L'amicizia per Dante Possiamo ritrovare tra gli scritti danteschi molti riferimenti alla vita sociale del poeta, grazie ai quali sappiamo che egli era molto legato a famosi poeti del suo periodo, tra i quali i noti Guido Cavalcanti e Lapo Gianni. Guido Cavalcanti Guido Cavalcanti nacque a Firenze nel 1259, apparteneva ad una famiglia nobile e aveva preso parte nella fazione dei Guelfi bianchi, come lo stesso Dante; nel 1300, durante il priorato dantesco, venne confinato nella città di Sarzana, dove si ammalò di malaria, malattia per la quale, al suo rientro a Firenze, nello stesso anno, morì. Le opere giunte oggi a noi di Cavalcanti sono 52, tra sonetti, ballate e canzoni. La più famosa in assoluto fu certamente la canzone “Donna me prega”, con cui riusciamo a comprendere la sua particolare concezione pessimistica dell' Amore. L'influenza di Cavalcanti per Dante Cavalcanti fu fondamentale nella formazione poetica di Dante, egli infatti prese ispirazione fino alla stesura della Vita Nova dal suo predecessore e futuro amico. Fu proprio Dante ad instaurare un principio di amicizia, attraverso il suo primo sonetto scritto appositamente per essere inviato a Guido, “A ciascun' alma presa e gentil core”(questo fue quasi lo principio de l'amistà tra lui e me, quando elli seppe che io era quello che li avea ciò mandato), nel quale era contenuto un enigma al quale Cavalcanti provò a rispondere senza successo con il sonetto “Vedeste al mio parere onne valore”. Questo fu il primo di una lunga serie di scambi di sonetti tra i due, che finirono però col procurare inimicizia ad entrambi ed a scatenare critiche sul modo di scrivere dell'altro e sulle proprie aspirazioni letterarie; come sappiamo i due avevano due concezioni dell'amore completamente diverse, praticamente opposte, il primo riteneva che fosse un tramite tra l'uomo e Dio e il secondo al contrario trovava solo aspetti negativi riguardo questo sentimento e lo riteneva strumento di sofferenza e disperazione per l'uomo. L' enigma di Dante PARAFRASI « A ciascun'alma presa e gentilcore nel cui cospetto ven lo dir presente, in ciò che mi rescrivan suo parvente, salute in lor segnor, cioè Amore. Già eran quasi che atterzate l'ore del tempo che onne stella n'è lucente, quando m'apparve Amor subitamente, cui essenza membrar mi dà orrore. Allegro mi sembrava Amor tenendo meo core in mano, e ne le braccia avea madonna involta in una drappo dormendo. Poi la svegliava, e d'esto core ardendo lei paventosa umilmente pascea: appresso gir lo ne vedea piangendo. (Dante Alighieri, Vita Nova, III) » Porgo il mio saluto nel nome del loro signore, cioè Amore, ad ogni anima da lui catturata e ad ogni cuore nobile, sotto lo sguardo dei quali arriva il presente componimento, affinché mi rispondano secondo la loro opinione. Erano già quasi arrivate alla loro terza parte le ore notturne, quando mi apparve all' improvviso Amore, il cui aspetto mi provoca ancora terrore a ricordarlo. Amore aveva un' aspetto lieto mentre teneva in una mano il mio cuore e fra le braccia portava la mia amata, addormentata e avvolta in un drappo. Dopo averla svegliata, cibava lei, timorosa, di quel cuore ardente, tenendo un atteggiamento mansueto. Infine lo vedevo andarsene in lacrime. La risposta di Guido PARAFRASI Vedeste, al mio parere, onne valore e tutto gioco e quanto bene om sente, se foste in prova del segnor valente che segnoreggia il mondo de l’onore, A mio avviso, avete visto ogni bene cortese ed ogni gioia e tutto il piacere che un uomo può assaporare, se davvero siete stato messo alla prova dal potente Signore, che domina il mondo della gentilezza. poi vive in parte dove noia more, e tien ragion nel cassar de la mente; sì va soave per sonno a la gente, che ’l cor ne porta senza far dolore. Di voi lo core ne portò, veggendo che vostra donna alla morte cadea: nodriala dello cor, di ciò temendo. Quando v’apparve che se ’n gia dolendo, fu ’l dolce sonno ch’allor si compiea, ché ’l su’ contraro lo venìa vincendo. Poiché egli vive lì dove la noia muore, e governa la fortezza della mente, e raggiunge con tale dolcezza gli uomini durante il sonno che porta loro via il cuore senza procurar loro dolore. A voi ha portato via il cuore vedendo che la vostra amata stava per morire, e temendo la cosa, l'ha nutrita per mezzo di esso. E quando vi è apparso andar via in lacrime è stato a causa del fatto che il dolce sonno stava per finire, poiché il suo contrario giungeva a vincerlo. L'Amistà tra Dante e Cavalcanti In un passo della Vita Nova, nel XXV capitolo, Dante cita l'amico riprendendo il momento del loro primo dibattito definendolo come l'inizio dell' Amistà tra i due, come se fossero due nemesi più che due normali amici. Il loro rapporto si estese dal 1285 fino al 1295, in questo decennio si conobbero e presto iniziarono a punzecchiarsi, fin da quando Cavalcanti mise in dubbio il pensiero guittoniano di Dante, fatto che scatenò accese discussioni, fatali per loro amicizia. Il loro rapporto culminò con il confino di Guido, che alcuni affermano essere stato proposto da Dante stesso, presso Sarzana, che lo portò alla morte nello stesso anno, il 1300. Lapo Gianni Del poeta grande amico di Dante si conosce poco riguardo la vita, ci giunge certo solo il fatto che sia morto dopo il 1328. Egli fece parte del gruppo di poeti stilnovisti, anche se non raggiunse mai il livello di capacità dei suoi colleghi, anche se riuscì, secondo i critici, a dare leggerezza e originalità ai suoi componimenti poetici. A noi, della sua produzione, restano 11 canzoni ballate, 3 canzoni. Grazie alle citazioni di Dante nel celebre sonetto “Guido, I' vorrei che tu Lapo ed io” e nel meno famoso “Amore e Monna Lagia e Guido ed Io”, è facile scoprire che Lapo Gianni fosse innamorato di una certa Monna Lagia, con la quale probabilmente ebbe persino una relazione. Nel De vulgari eloquentia, viene esaltato, assieme a Dante stesso, a Guido Cavalcanti e a Cino da Pistoia, tra i poeti che raggiunsero la "vulgaris excellentiam" Riferimenti ai due poeti nelle opere dantesche Come già detto in precedenza, Dante in due suoi sonetti cita gli amici e contemporanei Gianni e Cavalcanti; in “Guido, I' vorrei che tu Lapo ed io”, l' autore invita i sopracitati a una giornata in barca, nella più completa vagabondaggine, liberi dai pensieri ed in compagnia delle tre donne desiderate, tra le quali a sorpresa non spunta il nome di Beatrice. Il secondo sonetto in cui compaiono i due amici è “Amore e Monna Lagia e Guido ed io”, dal tema centrale profondamente diverso dall'altro, infatti non si presenta come un invito ma più come un messaggio rivolto ad un certo “ser”, lo stesso Lapo. la comprensione di questo tema è stata molto complicata nel corso degli anni ed ha portato alla formulazione di varie teorie al riguardo; nel componimento è Dante a parlare, affermando che lui, l'Amore, Monna Lagia e Cavalcanti sono costretti ad abbandonarlo per la sua offesa recata all'Amore stesso; un' interpretazione di quest'opera operata in passato da alcuni critici, portò all'idea che questo componimento potesse essere attribuito a Cavalcanti, pensiero del tutto errato ed impossibile visto che il Guido citato nel primo verso e nel dodicesimo, altri non può essere che Cavalcanti. Guido, i’ vorrei che tu Lapo ed io PARAFRASI Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento, e messi in un vasel ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio, sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse ’l disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch’è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi ragionar sempre d’amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come i’ credo che saremmo noi. Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io fossimo rapiti per incantesimo, e messi su un vascello che qualunque fosse il vento andasse per mare, obbedendo solo alla nostra volontà, in modo che la tempesta o altro tempo avverso non potessero esserci di intralcio, ma al contrario, vivendo noi sempre insieme in un’unica volontà, crescesse sempre più il desiderio di stare insieme. E poi (vorrei che) madonna Vanna e madonna Alagia insieme con quella donna che occupa il trentesimo posto il buon mago mettesse insieme con noi: e qui (sul vascello) (vorrei) parlare sempre d’amore, e (vorrei che) ciascuna di loro fosse contenta, così come credo che lo saremmo noi. COMMENTO Tre donne: Vanna, la donna amata da Cavalcanti, Lagia, la donna amata da Lapo, ovvero il notaio e poeta Lapo Gianni de’ Ricevuti, anche se per alcuni studiosi si tratta del poeta Lippo Pasci de’ Bardi, anch’egli in contatto con Dante. E poi la donna di Dante, quella che occupa il trentesimo posto, poiché Dante aveva scritto un’epistola in versi che elencava le sessanta donne più belle di Firenze. Non si sa chi fosse la trentesima, ma non era certo Beatrice, che occupava il nono posto. Abbiamo tre donne che sono oggetto di desiderio, ed è il desiderio d’amore ad essere l’argomento principale di questo sonetto. Il tema principale si divide in due interpretazioni dell’amicizia secondo Dante: 1) un’amicizia riservata a pochi spiriti eletti, volontariamente isolati dalla realtà storico-sociale che li circonda e che è fatta di guerre e sangue. E difatti, il riferimento “alla donna ch’è sul numer de le trenta”, è un riferimento quasi in codice, che è comprensibile soltanto a quei pochi amici che ne sono al corrente, e che sono isolati dal mondo esterno, come è ben espresso dal fatto che il luogo e il tempo della scena rappresentata nella poesia, sono indeterminati, atemporali: non a caso ricorre due volte l’avverbio «sempre», o lo spazio viene descritto come un mare quasi magico, non materiale, attraversato con un vascello che si muove per la forza di volontà e a dispetto degli agenti atmosferici. 2) l’amicizia si trasforma in una unità dei tre protagonisti che diventa superiore, spirituale, espressa bene dai versi: «al voler vostro e mio», o ancora: «vivendo sempre in un talento». Amore e Monna Lagia e Guido ed io Amore e monna Lagia e Guido ed io possiamo ringraziare un ser costui che 'nd'ha partiti, sapete da cui? Nol vo' contar per averlo in oblio; poi questi tre più non v'hanno disio, ch'eran serventi di tal guisa in lui, che veramente più di lor non fui imaginando ch'elli fosse iddio. Sia ringraziato Amor, che se n'accorse primeramente, poi la donna saggia, che 'n quello punto li ritolse il core e Guido ancor, che n'è del tutto fore; ed io ancor che 'n sua vertute caggia: se poi mi piacque nol si crede forse. COMMENTO La comprensione di questo tema è stata, ed è tutt’ora, molto complicata ed ha portato alla formulazione di varie teorie al riguardo; ciò che sappiamo con certezza è che Dante in questa poesia afferma che lui, l'Amore, Monna Lagia e Cavalcanti sono costretti ad abbandonare Lapo a causa la sua offesa recata proprio all’Amore stesso; un' interpretazione operata in passato da alcuni critici portò all'idea che questo componimento potesse essere attribuito a Cavalcanti, pensiero del tutto inverosimile visto che il Guido citato nel primo e nel dodicesimo verso, altri non può essere che Cavalcanti. Le risposte all’ invito di Dante Come sappiamo l’ illustre sonetto «Guido I’ vorrei che tu, Lapo ed io» non è un componimento fine a se stesso, esso infatti invita Lapo e Guido ad una giornata in barca trasportati dalle onde del mare, liberi dai pensieri della vita di tutti i giorni. Cavalcanti, come era usanza, rispose con un ulteriore sonetto, «S’io fossi quelli che d’Amor fu degno», nel quale mette al corrente Dante di essere costretto a rifiutare a causa della sua situazione sentimentale, avendo appena ricevuto una delusione amorosa. S’io fosse quelli che d’amor fu degno S’io fosse quelli che d’amor fu degno, del qual non trovo sol che rimembranza, e la donna tenesse altra sembianza, assai mi piaceria siffatto legno. E tu, che se’ de l’amoroso regno là onde di merzé nasce speranza, riguarda se ’l mi’ spirito ha pesanza: ch’un prest’ arcier di lui ha fatto segno e tragge l’arco, che li tese Amore, sì lietamente, che la sua persona par che di gioco porti signoria. Or odi maraviglia ch’el disia: lo spirito fedito li perdona, vedendo che li strugge il suo valore. COMMENTO Questo sonetto è quello con cui Cavalcanti risponde al sonetto dantesco «Guido i’ vorrei»; possiamo comprendere la sua situazione psicologica di angoscia e tristezza di amante deluso, che lo rende incline a non intraprendere lo smemorato vagabondaggio propostogli dall’amico. Questa replica non è da considerare come un rifiuto all’amicizia per Dante, bensì va disposta entro il clima sentimentale di Guido, il quale, come ci testimonia il malinconico commento " assai mi piaceria sì fatto legno " (v. 4) vorrebbe aderire alla progettata evasione fantastica nei regni d'amore e letizia. La risposta di Lapo Gianni La risposta del poeta Lapo Gianni non fu mai pervenuta, probabilmente l’amico di Dante rispose, ma il presunto sonetto andò perso… Anche Cavalcanti parla degli amici Se vedi Amore, assai ti priego, Dante, in parte là ’ve Lapo sia presente, che non ti gravi di por sì la mente che mi riscrivi s’elli ’l chiama amante e se la donna li sembla avenante, ch’e’ si le mostra vinto fortemente: ché molte fiate così fatta gente suol per gravezza d’amor far sembiante. Tu sai che ne la corte là ’v’e’ regna e’ non vi può servir om che sia vile a donna che là entro sia renduta: se la sofrenza lo servente aiuta, può di leggier cognoscer nostro sire, lo quale porta di merzede insegna. COMMENTO Sonetto di Cavalcanti che chiede a Dante se Lapo Gianni è veramente innamorato, come si richiede a un " fedele " degno di far parte dell'ideale corte d'Amore, concludendo che solo la " sofferenza " o pazienza nel " servire " può far conoscere l'amore vero e meritare all'amante la " merzede " o pietà. L'interpretazione del sonetto è controversa su alcuni punti. Accettabile pare senz'altro l'esclusione dell'ipotesi che Guido aspiri a prendere il posto di Lapo nel cuore di monna Lagia; meno sicura l'interpretazione di " per gravezza " come " per darsi gravità " o un'aria importante. FINE Presentazione realizzata da Tommaso Capolla e Simone Bertonati