Dante Alighieri Nacque a Firenze nel 1265 da una famiglia della piccola nobiltà fiorentina e la sua vita fu profondamente segnata dagli avvenimenti politici del tempo a cui egli partecipò attivamente. Eletto priore della città (governatore)fu inviato come ambasciatore presso Bonifacio VIII nel tentativo di dissuaderlo dalle sue manovre politiche. Fu accusato ingiustamente di inganno e di opposizione al Papa, fu invitato a rientrare in città per difendersi, ma egli rifiutò, sdegnato. Gli furono, allora, confiscati i beni e fu condannato al rogo. Era l’anno 1302. Da quel momento Dante non rientrò più a Firenze ed iniziò a peregrinare presso varie corti dell’Italia centro-settentrionale alla ricerca di una sistemazione per sé e per la sua famiglia. Si stabilì, infine, a Ravenna dove, in seguito ad una malattia, morì tra il 13 e il 14 settembre del 1321 all’età di 56 anni. Dante costituisce una figura centrale di tutta la letteratura europea e la sua opera rappresenta il punto di formazione e di massima espressione della lingua italiana. Egli segue la filosofia del Dolce Stil Novo secondo la quale tra l’uomo e la donna “gentile” si crea un rapporto di corrispondenza che assume valore religioso e sociale: l’Amore è, infatti, mezzo di elevazione spirituale, occasione di salvezza, motivo di ingentilimento in coloro che sono disposti ad accoglierne il messaggio. La donna gentile è, quindi, il tramite tra cielo e terra, tra l’uomo e Dio. Tra i suoi scritti ricordiamo: le Rime, la Vita nuova, opera in versi ed in prosa nella quale è narrata la vicenda dell’amore del poeta per Beatrice, idealizzata come fonte di virtù e di elevazione spirituale; il Convivio; il De vulgari eloquentia, trattato in latino lasciato incompiuto, sull’origine e sulla natura della lingua italiana; la Monarchia trattato politico in latino sui rapporti tra il Papato e l’impero; il capolavoro di Dante la “Divina Commedia” composta tra il 1306 e il 1321 divisa nelle tre cantiche dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso. Essa narra i viaggi compiuti dal poeta nei tre regni dell’oltretomba, guidato prima da Virgilio e poi da Beatrice. Quest’ultima opera è considerata una delle opere capitali della cultura universale. DANTE, VITA NOVA, XXI SONETTO Introduzione: Poesia che trattai d’Amore ne la soprascritta rima1, vennemi volontadedi volere dire anche in loda di questa gentilissima parole, per le quali io mostrasse come per lei si sveglia questo Amore, e come non solamente si sveglia là ove dorme, ma là ove non è in potenzia, ella, mirabilemente operando2, lo fa venire. E allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Ne li occhi porta. Ne li occhi porta la mia donna Amore, per che si fa gentil ciò ch’ella mira; ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core, sì che, bassando il viso, tutto smore, e d’ogni suo difetto allor sospira: fugge dinanzi a lei superbia ed ira. Aiutatemi, donne, farle onore. Ogne dolcezza, ogne pensero umile 10 nasce nel core a chi parlar la sente, ond’è laudato chi prima la vide. Quel ch’ella par quando un poco sorride, non si pò dicer né tenere a mente, sì è novo miracolo e gentile. Analisi morfologica Commento Analisi metrico ritmica Parafrasi Analisi figure di suono Analisi figure sintattiche e di significato Ne-li oc-chi- por-ta la- mia- don-na A-mo-re,per- chè- si- fa -gen-til –ciò- ch’el-la-mi- ra; ov ’el-la-pas- sa, ogn’om - ver- lei- si gi- ra, e- cui–sa-lu-ta- fa- tre-mar –lo- co-re,- A B B A sì -che,-bas-san-do- il-vi-so,-tut-to-smo- re, e -d’o-gni-suo-di-fet- to al -lor –sos-pi-ra:fug-ge- di-nan- zi a - lei- su-per- bia ed -i-ra. A-iu-ta-te-mi,- don-ne,- far- le on -ore. A B B A O-gne –dol-cez- za, o -gne- pen-se- ro u -mi-lenasce- nel-co- re a -chi- par-lar- la –sen- te, on -d’è-lau-da-to- chi- pri-ma -la –vi-de. C D E Quel-ch’el-la –par- quan- do un –po-co-sor-ri-de,- E non –si- pò –di-cer- né- te-ne- re a - men-te,D sì è-no-vo- mi-ra-co- lo e - gen-ti-le. C ALLITTERAZIONE: ripetizione di suoni vocalici aperti, principalmente “A” ed “E” SINALEFE: 18 DIALEFE:/ SINERESI:/ DIERESI:/ ENJAMBEMENT: 1 Ne li occhi porta la mia donna Amore, perchè si fa gentil ciò ch’ella mira; ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core, sì che, bassando il viso, tutto smore, e d’ogni suo difetto allor sospira: fugge dinanzi a lei superbia ed ira. Aiutatemi, donne, farle onore. Ogne dolcezza, ogne pensero umile nasce nel core a chi parlar la sente, ond’è laudato chi prima la vide. Quel ch’ella par quando un poco sorride, non si pò dicer né tenere a mente, sì è novo miracolo e gentile. FIGURE DI SIGNIFICATO: PERSONIFICAZIONE: 1 METAFORA: 1 (Dante dice che la superbia e l’ira che la donna dovrebbe suscitare, in realtà è come se fuggissero da lei) FIGURE DI POSIZIONE: ANASTROFE: 5 IPERBATO: 1 PARALLELISMO: 1 Ne li occhi porta la mia donna Amore, perchè si fa gentil ciò ch’ella mira; ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core, sì che, bassando il viso, tutto smore, e d’ogni suo difetto allor sospira: fugge dinanzi a lei superbia ed ira. Aiutatemi, donne, farle onore. Ogne dolcezza, ogne pensero umile nasce nel core a chi parlar la sente, ond’è laudato chi prima la vide. Quel ch’ella par quando un poco sorride, non si pò dicer né tenere a mente, sì è novo miracolo e gentile. PARAFRASI La mia donna porta negli occhi Amore, per cui ciò che ella guarda diventa nobile; dove lei passa, ogni uomo si gira verso di lei, e fa tremare chi saluta, così tanto che, abbassando il viso, tutto impallidisce, e prova pentimento di ogni suo sentimento: fuggono davanti a lei la superbia e l'ira. Donne, aiutatemi a farle onore. Ogni dolcezza, ogni pensiero umile nascono nel cuore di chi l'ascolta per cui ne ha lode e beatitudine chi la vide per primo. Quello che sembra quando sorride non si può dire nè tenere a mente, così è un miracolo mai visto e gentile. Nel sonetto “Ne li occhi porta la mia donna amore” Dante canta il suo amore per Beatrice. Nelle quartine il poeta illustra gli effetti dello sguardo di Beatrice su chi la vede. Questi consistono in una serie di reazioni fisiche (tremore, pallore, sospiri), nell’allontanamento di ogni cattivo sentimento e nell’elevazione morale. Nella prima terzina Dante spiega come il suo ingentilimento sia prodotto anche dalle parole di Beatrice in coloro che sentono la sua voce. Invece nella seconda terzina il poeta esalta la bellezza, “inconcepibile per la mente e inesprimibile a parole”, del sorriso della fanciulla. A livello lessicale è facile verificare quanto il testo sia chiaro e di facile comprensione, nonostante l’uso del volgare. La poesia rispetta a pieno l’ideale stilnovista. La natura autenticamente angelica che Dante riconosce in Beatrice trasforma la lirica amorosa, portandola a quella religiosa e dando un senso religioso ai vocaboli stessi. Di fronte a Beatrice gli uomini continuano a tremare, impallidire, sospirare, ma non più a causa del semplice turbamento dell’amore, bensì anche a causa dei pensieri e dalle altre emozioni che l’aspetto della donna suscita in loro. Solo chi comprende a prima vista i sentimenti di umiltà e dolcezza evocati da Beatrice può lodare sinceramente la donna. Per quanto riguarda il piano retorico, così come in ogni sua lode amorosa Dante introduce la personificazione dell’amore; egli sottolinea inoltre attraverso una metafora (v. 7) l’effetto che ella provoca sulla superbia e sull’ira, mediante l’uso metaforico del verbo fuggire. La donna cioè, nonostante la sua divina bellezza, non è fonte di invidia e pensieri maliziosi da parte di chi la osserva.