“Felice colui che ama qualcuno che rifiuta di lasciarsi cambiare”. COLETTE PORTELANCE Bisogna intraprendere un cammino che conduce a riprendere il controllo della propria vita. Prendere coscienza delle proprie risorse interiori che si hanno a disposizione riscoprendo il proprio valore personale. Imparare a rispondere in maniera autonoma ai propri bisogni e ad essere responsabile della propria felicità. Che cosa è il percorso di guarigione? Il termine “recupero” caratterizza i materiali con proprietà di elasticità, che riprendono la loro forma precedente quando viene meno l’azione di forze che li hanno deformati. Per quanto concerne l’essere umano, esso definisce in un certo qual modo un processo di ripresa del controllo sulla propria vita da parte di un individuo, in seguito a un problema di dipendenza. Anzitutto bisogno ammettere di essere vulnerabili. Il primo passo in questo percorso nasce da una decisione. Ammettendo di essere dipendenti affettivi e prendendo la decisione di agire concretamente allo scopo di soffrire meno, scegliamo di incamminarci lungo la strada della guarigione. Questa è la premessa. Il dipendente affettivo trascorre tempo a vivere in funzioni di obiettivi, valori, obblighi e aspettative imposti da congiunti, datori di lavoro, società, genitori e persone che lo influenzano. Non ha nemmeno il tempo di chiedersi se è questo ciò che vuole davvero, se gli fa piacere, se risponde ai suoi bisogni. Ha troppa paura di perdere qualcosa e di non piacere agli altri! Consacra allora la maggior parte dell’energia a fare quello che in realtà non vuole fare. Investe il meglio del suo tempo a rispondere ai bisogni degli altri, cosa che non gli offre nulla e che contribuisce a peggiorare la sua sensazione di vuoto interiore. Pensare a sé è una prova di maturità; quando si è sufficientemente responsabili da rispondere ai propri bisogni, non si ricade sotto al responsabilità di qualcun altro. Prendersi cura di sé è dal punto di vista del dipendente affettivo un rischio. Durante questi brevi istanti di benessere, l’altro potrebbe fuggire dalla porta del retro. Il maggior rischio al quale il dipendente sarà esposto nel suo percorso di guarigione, è quello di veder fuggire coloro che io chiamo “parassiti”. Ovviamente il senso di colpa, la vergogna, i pensieri disfattisti, la paura dell’abbandono, la resistenza al cambiamento, le relazioni malsane che manteniamo e un’autostima vacillante ci ostacolano il cammino. La dipendenza affettiva ci fa sprofondare in una forma di cattività. Ci rende impotenti sul piano emotivo nei confronti degli altri. Sprofondiamo così in un rapporto che non è di uguaglianza, che è spesso disfunzionale, soggetto agli abusi e alle delusioni. Una presa di coscienza dopo l’altra, iniziamo la nostra traversata del deserto, il nostro faccia a faccia con il vuoto interiore che ci abita e che tenta di inghiottirci. Fare amicizia con la solitudine Per il dipendente affettivo, solitudine significa terrore di vivere nel dolore dell’abbandono. I dipendenti affettivi temono la solitudine, perché li mette davanti a loro stessi. La paura della solitudine La paura di sé si aggiunge a quella dell’isolamento, dell’oblio. Poi, rapidamente, si instaura la noia. Le giornate e le persone che incontriamo cominciano ad apparirci noiose. Approfittiamo dunque di questi momenti di solitudine per occuparci di noi. Dopo una separazione Il telefono diventa un ponte con il mondo esterno. Si tratta di un tranello. Diventiamo allora dipendenti dal telefono. Completamente immersi in noi stessi, ci rendiamo invariabilmente conto di non conoscerci. Significa forse che ai nostri occhi non meritiamo di essere conosciuti? Che ispiriamo soltanto noia? Che chiunque altro è più interessante di noi? Io credo di no. Solitudine senza isolamento La solitudine ci permette di avvicinarci a noi, mentre l’isolamento è un muro che impedisce agli altri di accostarsi. Quando scegliamo di fare amicizia con la solitudine, non ci condanniamo automaticamente all’isolamento più totale. La solitudine che arricchisce La solitudine può insegnarci a consacrare del tempo a noi stessi. Il peso della solitudine diventa più leggero quando la trasformiamo in un appuntamento con ciò che siamo. Ricentrarsi su se stessi Quando siamo dipendenti affettivi, disperdiamo e dilapidiamo la nostra energia. Scegliamo quindi di liberarci dei pregiudizi negativi che nutriamo nei nostri confronti e di sottrarci al nostro invalidante lavoro interiore. Reinquadrarsi Ci si reinquadra, ossia si sviluppa una percezione più adeguata e realistica di quello che si è, dei propri bisogni, delle proprie possibilità e aspirazioni. Costringersi a porsi delle domande Perché ho tanta paura di essere solo? Da quanto tempo non faccio qualcosa che mi renda davvero felice? Riesco a ricordare una notte in cui ho davvero dormito tranquillo? Sono autentico? Prendersi del tempo di riflettere e di mettersi in discussione ci consente di trasformare la nostra stessa volontà. Affermarsi - Scegliere in funzione dei nostri bisogni - Scegliere ciò che rientrerà nella nostra giornata Occorre avere il coraggio di esprimere i propri bisogni e le proprie aspettative, senza imporli né trasformarli in esigenze per l’altro. - Accettarsi per quello che siamo - Accettare la nostra identità - Sviluppare un’immagine positiva di noi stessi anche se, come tutti, abbiamo le nostre debolezze - Concedersi il diritto di esistere - Assumersi il rischio di vedere chi ci sta attorno cambiare atteggiamento di fronte a noi man mano che ci affermiamo. Da principio ci affermiamo con goffaggine, talvolta abbandonando il nostro fazzoletto di territorio e sconfinando in quello del vicino. Affermarsi richiede anche molta pratica. Imparando ad affermarci, forgiamo il nostro carattere e rafforziamo la nostra identità Significa imparare a fissare dei limiti, a dire no, a esprimere i propri bisogni e le proprie opinioni riconoscendo e rispettando la sovranità di ciascun essere umano, compresi noi. Aumentare la propria autostima Il dipendente affettivo è lontano dall’attribuirsi il giusto valore. Hanno sempre paura di perdere, di non sentirsi all’altezza. Ci prendiamo il tempo di scegliere, di riflettere più a lungo prima di gettarci a testa bassa su un pacco a sorpresa. Considerando che abbiamo una visione più realistica di quello che siamo, siamo più in grado di scegliere qualcuno che faccia al caso nostro. I rapporti diventano più equilibrati e rispondono ai nostri bisogni, alle nostre vere preferenze e alle nostre aspettative. Conosciamo il nostro valore, e quindi ci è più facile farci valere con una nuova conquista. La percezione degli altri, o l’idea che ha di ciò che pensano, è il suo barometro. Più si apprezza, più i suoi personali obiettivi acquistano consistenza. Quando la stima cresce, ci si scoraggia meno rapidamente, si rinuncia meno frequentemente e ci rialza più velocemente. L’autostima è amore ben speso, è orgoglio meritato per aver tenuto duro. Sbarazzarsi del senso di colpa Poiché si vergogna dei comportamenti generati dalla sua dipendenza e si sente colpevole a priori, il dipendente affettivo si scusa di esistere, crede di essere direttamente responsabile dell’infelicità di chi gli sta vicino. Si condanna senza pietà. E’ sua colpa, sua grandissima colpa! Di fatto il senso di colpa, alimentato dal dipendente stesso, gli permette di autoflagellarsi. Teme di essere smascherato, teme che si scopra in lui un impostore. La sua unica via d’uscita è quella di scontare la sua pena, ossia asservirsi ulteriormente per pagare il suo debito. Il senso di colpa talvolta affonda le radici fin dall’infanzia, laddove il dipendente si è sentito a torto responsabile di dolorose perdite. Può aver avuto la sensazione di derubare qualcuno dell’amore, dell’attenzione o di certi momenti di tenerezza che non si riteneva degno di meritare. L’amore era così raro che è costretto a rubarlo oppure era talmente presente che ha creduto di averne privato gli altri a causa della sua avidità. Il senso di colpa crea l’impressione di un debito inestinguibile in colui che si lascia guidare. Si nutre del vuoto che regna nel cuore del dipendente. Più ci sentiamo colpevoli, più ci scusiamo di esistere e più facciamo spazio agli altri. Il dipendente affettivo, sopraffatto dal senso di colpa, si scusa in continuazione. Si scusa di chiedere, di arrivare un secondo in ritardo, di occupare un posto vuoto in un seminario, di non aver risposto abbastanza velocemente al telefono. Il senso di colpa nasce unicamente dentro di noi. Crediamo che scaturisca dall’opinione degli altri, ma siamo noi a proiettare davanti ai loro occhi il nostro senso d’infamia. “Nelle sue crisi di gelosia, mi accusava di tutto e io ero sempre sulla difensiva. Mi sentivo in colpa comunque. Arrivava a convincermi che avevo fatto qualcosa di male”. Sbarazzarsi della vergogna Il fatto di sminuirsi in continuazione davanti agli altri contribuisce al senso di vergogna, così come lo fanno le precedenti esperienze di rifiuto, oltre a suscitare un disprezzo verso se stessi. A braccetto con il senso di colpa la vergogna ci trascina in una danza macabra lontana dalla nostra libertà. Veniamo educati alla vergogna e a proteggere la nostra dignità. La vergogna non dovrebbe esserci. A far nascere la vergogna è la convinzione di essere sporchi, di aver perduto una forma di orgoglio e di non meritare più il rispetto. La vera dignità rimane intatta; l’unico problema è che la vergogna la vela e la nasconde. “Ho subìto molta violenza verbale. Mi sentivo in colpa e avevo paura che, confidandomi, mi avrebbero ritenuto colpevole o stupido. Per quanto riguarda il mio aspetto fisico, mi vergognavo del mio sovrappeso e mi colpevolizzavo facilmente”. Sbarazzandoci delle false credenze e dell’ingiustificato senso di colpa, li sostituiamo con emozioni più sane, che non danno alcun peso alla vergogna. Sbarazzarsi della paura dell’abbandono Secondo diversi autori, la dipendenza sarebbe maggiormente presente nel caso di persone cresciute in ambienti disfunzionali. Craig Nakken: “Quando i membri di una famiglia trattano gli esseri umani come se fossero oggetti, un bambino impara prestissimo a familiarizzare con la logica della dipendenza”. Ogni dipendente affettivo ha seguito un suo percorso disseminato di insidie, che lo ha condotto a credere di non valere quanto gli altri, di dover fare i salti mortali per meritare di essere amato. Claudette Rivest: “Il senso di abbandono e le difficoltà che sopraggiungono in seguito alle separazioni sono inestricabilmente legati alla prima esperienza vissuta con la madre o con chi ne ha fatto le veci”. Quando accenniamo alla nostra paura dell’abbandono, non ne siamo mai fieri. Rivelare la propria paura di essere abbandonati è un gesto che dimostra una buona conoscenza di sé e grande autenticità. Questa smisurata paura dell’abbandono che paralizza il dipendente affettivo, si accompagna a una collera repressa e a una rabbia che non ha mai potuto esprimersi. Probabilmente risale al giorno in cui i genitori si sono separati, secondo lui per colpa sua. Oppure al giorno in cui ha perduto qualcuno di così caro che tutto l’amore del mondo non è stato in grado di sostituire. Non è realistico cercare in qualcun altro quello che manca dentro di noi. E’ un esercizio di compensazione che non conduce da nessuna parte. Compensare una perdita con una presenza, ci fa sprecare tempo ed energia. In ragione della sua paura dell’abbandono, il dipendente affettivo attraversa momenti di scoraggiamento e disperazione. Finisce con l’infliggersi sevizie affettive, ad esempio lasciare qualcuno che ama per paura di essere tradito. Nonostante la sofferenza e l’angoscia emotiva che questo sentimento fa vivere, l’abbandono più penoso che si possa subire è quello di lasciarsi perdere da soli. Non è facendo in modo che l’altro non si allontani di un millimetro che ci immunizziamo dall’abbandono, bensì assicurandoci che, qualunque cosa accada, come individui noi non ci abbandoneremo. Sviluppare la fiducia Il dipendente affettivo non ha fiducia in se stesso e non ripone fiducia negli altri. Non ha nemmeno molta fiducia nella vita. Man mano che sviluppiamo la fiducia in noi stessi, cresce l’indipendenza. Nessuno possiede un’incrollabile fiducia in sé, tuttavia, se conserviamo dentro uno stabile nucleo di fiducia in noi stessi, la vita diventa più facile. Migliorare la conoscenza del sé Il dipendente affettivo ha un’immagine falsata di se stesso. Imparare ad amarsi Il dipendente affettivo è una vittima dell’amore. Elemosina l’amore, di cui gli si concedono solo le briciole. Scoprire la propria vera bellezza Si guarda in uno specchio deformante, che nasconde senza esitazione il suo fascino e le qualità che lo rendono unico. “Per essere amata, tentavo di diventare perfetta, soprattutto fisicamente. Avevo pretese molto alte nei miei confronti ed ero animata da un continuo senso d’insoddisfazione verso me stessa”. Per il dipendente affettivo è un’arma in più per svalutare e ritenere di non meritare di essere amato. Non è più spontaneo, tende a diventare superficiale e rischia di sviluppare una fissazione per il proprio aspetto. Riconosciamo il fascino dei nostri piccoli difetti fisici. Ammaliare gli altri e attirare complimenti non dura che un istante; dieci chili in più e gli sguardi si posano altrove. E’ negli occhi di chi ci ama davvero che vediamo la nostra bellezza ed è là che occorre guardare con sincerità. Invece di diventare schiavi dei simboli di bellezza, possiamo apprezzare ciò che abbiamo di buono in noi. Perdere peso però non trasmette alcuna fiducia in sé. Diventare autonomi “La libertà è la facoltà di scegliere le proprie costrizioni” BLANQUI L’autonomia ci mette in condizione di compiere scelte in funzione di ciò che siamo. L’autonomia implica anche una dose di rischio. Vivere il lutto delle perdite significative LE TAPPE DEL LUTTO: - shock - negazione - collera - tristezza - rassegnazione Sbarazzarsi dei discorsi disfattisti DIRE SI QUANDO E’ NO Ci sono persone che chiedono molto e anche di più quando scoprono la nostra difficoltà a dire di no. Bisogna imporre i propri limiti. Essere franchi Non ci si azzarda a imporsi troppo. E’ preferibile puntare sulla franchezza, non sulle scuse, ed evitare soprattutto interminabili giustificazioni. Rispettare il proprio intimo Il dipendente non conosce i propri limiti e ha difficoltà a percepire quelli altrui. Ha dunque la tendenza all’invasione, quella che subisce e quella di cui è responsabile. L’eccessivo bisogno dell’intimità. d’amore spalanca le porte Condividere impulsivamente le proprie vicissitudini o i propri aneddoti intimi al primo appuntamento può essere percepito come una mancanza di rispetto verso se stessi o addirittura come una mancanza di educazione. Parlare del proprio intimo è un un’arma a doppio taglio. Alcuni scelgono di esporre elementi della loro vita privata allo scopo di condurre l’altro ad aprirsi maggiormente. Le confidenze hanno il vizio di rafforzare il senso di familiarità e di affrettare l’attaccamento. Abbiamo aperto la porta a queste intrusioni, mentre avremmo potuto scegliere di rivelarci piano piano. Non bisogna svelarsi senza invito e senza matura riflessione. Sviluppare la propria intelligenza emotiva L’intelligenza emotiva è la capacità di un individuo di avere il controllo delle proprie emozioni, così da agire in maniera coerente in funzione di ciò che è e compiere scelte che gli siano favorevoli. L’intelligenza emotiva è la capacità di descrivere le emozioni a parole, di inquadrarle con sufficiente precisione per poterle esprimere nella maniera più sana e coerente possibile. Essere all’ascolto delle proprie emozioni Essere all’ascolto di sé per il dipendente affettivo, che spesso si sente confuso sul piano emotivo, è qualcosa da imparare. Quando le emozioni si manifestano il blocco e il dolore che le accompagna è forte, la paura sovente fa in modo che tutto venga represso. Non sconvolgere tutto nello stesso tempo Il dipendente è pronto a tutto per piacere; l’idea di assumere nuove sembianze gli piace come nessun’altra. Bisogna risolvere una cosa alla volta senza edificare una serie di cantieri. I cambiamenti saranno molto più duraturi e valorizzanti se ci prendiamo del tempo e lasciamo che la polvere torni a posarsi. Smettere di voler controllare tutto Tentando di controllare l’ambiente, il dipendente cerca di proteggere a ogni costo il suo paradiso artificiale. Conclusioni… E’ nell’azione che il dipendente affettivo sperimenta nuovi atteggiamenti e riprende, passo passo, la padronanza della propria vita. Nell’azione costruiamo noi stessi. Poiché non abbiamo più bisogno che gli altri rispondano alle nostre necessità, i motivi per instaurare dei legami cambiano. Allacciamo relazioni per puro piacere, perché ci sentiamo bene, perché ci arricchiscono e ci trasmettono energia.