PASQUA Dal greco (dei LXX) pàscha, traduzione dell’ebraico pésah, «passaggio». È la festa religiosa più importante sia per gli ebrei che per i cristiani, per i quali costituisce il vertice dì tutto l’anno liturgico. Già celebrata come festa agricola del primo raccolto (azzimi) e pastorale (sacrificio dei primi nati del gregge nel plenilunio di primavera), fu fissata al 14 di Nisan quando fu collocata nella cornice della liberazione dall’Egitto. Esodo 12,14: Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne. Esodo 34,25: Non sacrificherai con pane lievitato il sangue della mia vittima sacrificale; la vittima sacrificale della festa di Pasqua non dovrà restare fino al mattino. Per gli ebrei rievoca la morte dei primogeniti egiziani e l’inizio dell’esodo Levitico 23,5: Il primo mese, al quattordicesimo giorno, al tramonto del sole sarà la Pasqua del Signore. Deuteronomio 16,1: Osserva il mese di Abìb (= spiga) e celebra la Pasqua in onore del signore tuo Dio, perché nel mese di Abìb il Signore, tuo Dio, ti ha fatto uscire dall’Egitto, durante la notte. Giosuè 5,10: Gli israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. Per i cristiani la Pasqua segna il passaggio di Gesù, nuovo agnello, al Padre attraverso la morte e la risurrezione (di cui il termine pasqua è divenuto sinonimo). Giovanni 13,1: Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 1a lettera ai Corinzi 5,7-8: Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e verità. Durante la cena pasquale Gesù istituì l’Eucaristia Come la domenica, Pasqua settimanale, rappresenta l’inizio e il culmine della settimana, così il cuore di tutto l’anno liturgico è il sacro Triduo pasquale della Passione e Risurrezione del Signore, preparato nella Quaresima e prolungato nella gioia dei cinquanta giorni del Tempo pasquale. Il passaggio dal tempo quaresimale al Triduo pasquale avviene il giovedì santo, con la messa vespertina «nella cena del Signore», esso continua quindi il venerdì santo «nella passione del Signore» e nel sabato santo, e ha il suo centro nella «veglia pasquale». Nel Triduo si radicano i significati che danno senso al nostro celebrare lungo l’anno liturgico: il mistero pasquale, l’Eucaristia come culmine della vita cristiana, la preghiera di invocazione, la storia della salvezza raccontata nelle Scritture… Contro la fretta e l’agitazione che a volte invadono anche le nostre celebrazioni, il Triduo pasquale ci invita a sostare, a prendere il tempo necessario per entrare nel mistero, a dare ai gesti, alle parole, al silenzio tutto il loro spazio evocativo, a lasciar parlare i segni… L’esperienza del Triduo - e successivamente del tempo pasquale - può così “rivitalizzare” e ridare entusiasmo a tutti i tempi dell’anno liturgico. UN PO’ DI STORIA Sin dalle origini, i cristiani fanno memoria della morte e risurrezione del Signore la domenica, primo giorno della settimana, giorno del Signore. Nei vangeli l’espressione ricorrente “otto giorni dopo” scandisce le apparizioni del risorto e le colloca nel giorno in cui la comunità si raduna per celebrare l’Eucaristia, memoriale dell’evento pasquale. Dal II secolo, si cominciò ad aggiungere al memoriale settimanale il memoriale annuale della Pasqua, in concomitanza con la Pasqua giudaica: la celebrazione della Pasqua non era centrata esclusivamente sulla domenica di Pasqua, giorno della risurrezione di Gesù, ma considerava l’evento globale della passione, morte e risurrezione con due giorni di digiuno (non caratterizzati per il resto da celebrazioni particolari) che precedevano la grande veglia pasquale e un prolungamento di cinquanta giorni, fino a Pentecoste (il tempo di Pasqua). Nei giorni precedenti la notte santa, la celebrazione della morte e risurrezione di Cristo viene poi articolata in diverse celebrazioni (il Triduo), per evocare in maggior dettaglio gli avvenimenti storici della passione e morte di Gesù, dall’ultima cena alla sepoltura. Questa consuetudine era particolarmente sentita dalla comunità di Gerusalemme, nei luoghi in cui Gesù aveva sofferto ed era morto, e si diffuse poi nelle altre chiese. Nel IV secolo la pellegrina Egeria (scrittrice romana) testimonia che a Gerusalemme durante gli otto giorni della settimana santa si celebrano i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme, fino alla risurrezione. Durante la settimana santa il Triduo pasquale vero e proprio è preceduto da due celebrazioni significative: La Domenica delle palme della Passione del Signore, che mette insieme il trionfo regale di Cristo e l’annunzio della passione. Fin dall’antichità si commemora l’ingresso del Signore in Gerusalemme con la solenne processione in cui si portano rami di palma o di ulivo benedetto, poi conservati nelle case come segno della vittoria di Cristo celebrata in questo giorno. Il colore liturgico è il rosso. La messa del Crisma (celebrata, in genere, la mattina del giovedì santo) in cui il vescovo, in comunione con i presbiteri della diocesi, consacra il sacro crisma e benedice gli oli, che verranno adoperati nella notte della veglia pasquale e lungo tutto l’anno per la celebrazione dei sacramenti. GIOVEDÌ SANTO Giovedì Santo: RITI ODIERNI I riti odierni del giovedì santo sono stati rivisti sia dalla prima riforma del 1955 che da quella del Vaticano II. La Chiesa vuole che la messa In coena Domini sia concelebrata e con più solennità. I temi da richiamare all’attenzione dei fedeli sono: l’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio ministeriale e il comandamento dell’amore fraterno. La colletta è stata sostituita. Quella precedente che parlava della traditio è cambiata con una di nuova composizione: “O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena…, che esprime meglio il senso della celebrazione. La prima lettura presenta un brano dell’Esodo (12,1-8.11-14) che contiene le prescrizioni per la pasqua ebraica. Segue il Salmo con il responsorio: «Che cosa renderò al Signore… alzerò il calice della salvezza». Esso introduce la seconda lettura dalla 1a lettera ai Corinzi (11,23-26) che evoca l’istituzione dell’Eucarestia. Giovedì Santo: RITI ODIERNI Dopo l’omelia, “pro opportunitate” (secondo opportunità), si procede alla lavanda dei piedi, che in confronto con l’Ordo precedente è stata semplificata. Il canto Ubi caritas et amor è proposto per la processione delle offerte. Il prefazio afferma l’eucaristia quale memoriale del sacrificio di Cristo. Dopo la celebrazione, il Santissimo sacramento viene portato processionalmente al tabernacolo provvisorio, dove si può svolgere un’adorazione protratta, ma le rubriche suggeriscono che questa sia fatta senza particolari solennità. Dopo la celebrazione si compie la spogliazione dell’altare. Non è più un rito particolare, ma tutto si svolge con semplicità. VENERDÌ SANTO VENERDÌ SANTO L’odierna celebrazione del Venerdì ha i suoi albori probabilmente nella celebrazione della Chiesa di Gerusalemme, che era solita rievocare, con particolari riti, la passione di Cristo e ciò nei luoghi dove essa era realmente avvenuta. Le testimonianze di Egeria, probabilmente hanno influito sulla formazione di questa liturgia nelle Chiese di Roma. Dall’antichità questo giorno è stato aliturgico, cioè privo della celebrazione eucaristica. Il nucleo della celebrazione è la Parola di Dio e, in modo particolare, la Passione secondo Giovanni. Concludevano la celebrazione le Orazioni solenni, che rielaborate, sono presenti nella nostra celebrazione. Esistevano anche altri schemi come quello, oggi adottato dal Messale: dopo la prostrazione viene proclamata la colletta che dà inizio alla Liturgia della Parola. Questa prosegue con le letture e la proclamazione della Passione secondo Giovanni, per concludersi con le solenni orazioni della Preghiera universale. VENERDÌ SANTO La celebrazione romana ha subito l’influsso delle tradizioni orientali. Nel VIII-IX sec. i vescovi di Roma provenivano da quella tradizione. Portano con loro l’Adorazione della croce. Nell’Urbe si conservava un frammento del legno della Croce. Esso veniva portato in processione dalla basilica di Santa Croce al Laterano. La processione veniva guidata dal papa che, scalzo, a modo dei vescovi orientali, portava il turibolo (uso sconosciuto nella tradizione romana) davanti alla reliquia della Santa Croce. Tutto probabilmente si svolgeva in silenzio, in quanto solo nel tardo VIII sec. si hanno testimonianze del canto delle antifone: Ecce lignum crucis… o Crucem tuam adoramus… di origine bizantina, che accompagnavano l’adorazione della croce. Nel XII sec. entra nella liturgia romana, specie sotto l’influsso delle liturgie francogermaniche, un altro fattore: la drammatizzazione. Si hanno molti gesti come ad esempio la velazione - svelazione della croce fin ora sconosciuta, le processioni con le statue, con la figura di Cristo morto, ma anche la stessa celebrazione diventa molto più complessa. Venerdì Santo: IL DIGIUNO EUCARISTICO L’unico mistero dei tre giorni del Triduo culmina nella celebrazione della Veglia Pasquale, e in particolare nell’Eucaristia. «Bramiamo, dunque, il pane celeste della Risurrezione di Cristo». In questo senso entra il digiuno eucaristico del Venerdì santo. «Il Signore è assente dal mondo, allora i discepoli digiunano». Comunque per ciò che riguarda la comunione nell’arco dei secoli, gli usi sono stati diversi. Inizialmente nella celebrazione del papa non ci si comunicava. «Chi vuole comunicarsi vada nelle altre chiese consumando da ciò che è stato conservato dalla celebrazione del giovedì». Dal XIII secolo, però si comunica solo il pontefice. Il popolo, fino alla riforma del Vaticano II non poteva ricevere il pane eucaristico. Venerdì Santo: LITURGIA DELLA PAROLA Oggi la celebrazione del Venerdì non è stata molto cambiata nella struttura celebrativa. È stata introdotta la comunione dei fedeli. La celebrazione si svolge nel primo pomeriggio. Il sacerdote indossa le vesti rosse, simboleggianti la regalità di Cristo. L’ingresso del celebrante, fatto senza nessun canto, prosegue con la prostrazione e la preghiera silenziosa. Successivamente, dall’ambone, viene proclamata la colletta. Poi c’è la liturgia della Parola. La prima lettura è quella del Servo sofferente di Isaia. La seconda è tratta dalla lettera agli Ebrei, che vuole significare il sacrificio di Cristo. Il vangelo, per l’antica tradizione, è sempre quello della Passione secondo Giovanni. La liturgia della parola si conclude con la Preghiera universale: per il Papa, gli ordini sacri e i fedeli, i catecumeni, l’unità dei cristiani, gli Ebrei, i non cristiani, i non credenti in Dio, i governanti, i tribolati. Venerdì Santo: ADORAZIONE DELLA SANTA CROCE L’adorazione della Croce inizia con l’ostensione della stessa e il suo “svelamento”: “Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo” – “Venite adoriamo”. I fedeli si recano processionalmente al bacio della Croce. Per la comunione è stato abolito il Confiteor e l’assoluzione. Viene riportato sull’altare il Santissimo, senza solennità. L’assemblea si scioglie in silenzio. Riassumendo si può dire che questa celebrazione è un buon rito celebrativo della Passione del Signore: La Liturgia della Parola proclama la passione. Le Invocazioni pregano la passione. La Venerazione della Croce adora la passione, e la Comunione ci fa comunicare con la passione. Comunque la comunione nella Veglia pasquale è il culmine al quale conduce tutto il cammino quaresimale. SABATO SANTO Sabato santo è il giorno del grande silenzio perché, come dice un’antica omelia, «il Re dorme. La terra tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormono». Le Chiese orientali celebrano la discesa di Cristo agli inferi. Egli, che rompe le porte dell’inferno, redime e libera i santi, che aspettavano da secoli la sua risurrezione. La chiesa romana, oltre all’Ufficio del mattino e della sera, non ha però mai istituito alcuna celebrazione del Cristo nel sepolcro. È la celebrazione silenziosa del tempo sospeso, del riposo, ma non del nullafare. Sabato mattina venivano convocati i catecumeni per la pubblica professione di fede. Questo giorno era segnato da un severo digiuno fino alla celebrazione della Veglia. Purtroppo, per causa della sempre più anticipata celebrazione della Veglia, fino al punto di celebrarla al mattino, si era perso il senso primitivo di questo giorno. Grazie alla riforma liturgica che riporta la Vigilia di Pasqua alla sera, viene restituito al sabato santo il significato originario. In alcune chiese, in modo particolare dell’Est europeo, c’è l’usanza di benedire i cibi per il primo pasto della domenica. VEGLIA DELLA NOTTE SANTA VEGLIA DELLA NOTTE SANTA: liturgia odierna Oggi la celebrazione consta di quattro momenti fondamentali: 1. La liturgia della luce 2. La liturgia della Parola 3. La liturgia battesimale 4. La celebrazione eucaristica La liturgia della luce, essendo compiuta nelle ore notturne, ha ripristinato la sua simbologia. Compiuta la benedizione del fuoco e del cero, l’assemblea rientra in chiesa con la triplice acclamazione del «Cristo - luce del mondo». Degno di sottolineatura è il fatto della partecipazione dell’assemblea, sia nella risposta «Rendiamo grazie a Dio», che nell’accensione delle loro candele; prima della riforma l’assemblea era quasi ignorata. Segue il canto dell’Exultet che oggi può essere cantato anche da un cantore. VEGLIA DELLA NOTTE SANTA: liturgia odierna La liturgia della Parola è stata arricchita con le orazioni «a scelta», che rendono più facile la comprensione delle letture. Oggi si hanno nove letture scelte dall’Antico (Genesi, Genesi, Esodo, Isaia, Isaia, Baruc, Ezechiele) e dal Nuovo testamento (Romani, Matteo o Marco o Luca). Si può tralasciarne qualcuna, mai però quella dell’Esodo, cioè del passaggio del Mar Rosso. Nel varco dall’Antico al Nuovo si ha il canto del Gloria, canto pasquale per eccellenza, accompagnato dal suono delle campane. Quell’inno nell’Occidente fu riservato proprio alla Notte santa. A ciò si aggiungono diversi «Alleluia» che annunziano la gioia della Risurrezione del Signore. VEGLIA DELLA NOTTE SANTA: liturgia odierna Alla liturgia della Parola segue la liturgia battesimale con due varianti: quando ci sono i battezzandi, oppure la sola benedizione dell’acqua lustrale. È una novità non indifferente: la rinnovazione delle promesse battesimali e l’aspersione dell’assemblea con l’acqua benedetta. I fedeli portano in mano la candela accesa col fuoco nuovo, che simboleggia l’attesa del Signore che ritorna alla fine dei tempi. È da sottolineare che i Padri più che l’attesa della risurrezione hanno qui visto l’attesa escatologica. Parafrasando si potrebbe dire: «se vedete la prima alba celebrate l’Eucaristia. È segno che questa volta il Signore non verrà». Si è voluto lasciare alla Veglia il senso battesimale. Pertanto se ci sono i candidati al battesimo qui ha il luogo la celebrazione del sacramento. VEGLIA DELLA NOTTE SANTA: liturgia odierna Al termine la celebrazione prosegue con l’Eucaristia. Tutto il mondo è rinnovato dal Mistero Pasquale. I neo-battezzati per la prima volta si comunicano assieme con tutti i fedeli. Tutti partecipano al sacramento dell’altare, a cui l’intera preparazione quaresimale e il digiuno intra-pasquale hanno portato. Dal punto di vista pastorale c’è ancora molto da fare, perché la Veglia sia riscoperta anche da parte dei fedeli. La Vigilia di Natale ad esempio riesce abbastanza bene; tanto più dovrebbe essere celebrata questa, La Madre di tutte le veglie, unica nell’anno. Si dovrebbero forse, accentuare maggiormente gli elementi fondamentali di questa celebrazione: la liturgia della Parola, la celebrazione dell’acqua e soprattutto la celebrazione dell’Eucaristia, che è il coronamento di esse. Quest’ultima rischia però di passare in secondo ordine, in quanto non comporta una propria originalità.