I VIZI CAPITALI Il processo di deformazione dell'uomo Un circolo … vizioso ATTO PECCAMINOSO DESIDERIO, PROPENSIONE DESIDERIO, PROPENSIONE RIPETIZIONE DELL'ATTO La classificazione "settenaria" occidentale L'elenco dei vizi capitali cui facciamo riferimento deriva da San Gregorio Magno (+ 604): Superbia: il desiderio disordinato di essere superiori agli altri, fino al disprezzo degli ordini e delle leggi. Avarizia: il desiderio disordinato dei beni temporali. Lussuria: la dedizione al piacere e al sesso. Invidia: la tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio. Gola: l'abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola. Ira: il desiderio disordinato di vendicare un torto subito. Accidia: il lasciarsi andare al torpore dell'animo, fino a provare fastidio per le cose spirituali, e in particolare l'abbandono della preghiera e dell'amicizia verso Dio perché faticosa. L’IRA Il rapporto deformato con l’altro Hieronimus Bosch, I sette peccati capitali: l’ira, Museo del Prado - Madrid La collera è una passione velocissima; è detta, infatti, bollore e movimento dell'animo contro chi ci ha arrecato un torto o si presume che l'abbia fatto. Nel corso di tutto il giorno la collera amareggia l'anima, ma è soprattutto durante la preghiera che essa soggioga la mente, rappresentandole il volto di chi ci ha rattristato. Quando essa è persistente si trasforma in risentimento. (Evagrio Pontico, Trattato pratico 11) Da cosa si riconosce l’iroso? Il cuore infiammato dagli stimoli della collera comincia a battere forte, il corpo trema, la lingua s'inceppa, il viso diventa di fuoco, gli occhi s'inferociscono e non si riconosce più nessuno, la bocca emette urli senza senso. Che differenza c'è tra un invasato e costui che non si rende conto di quel che fa? L’animo non riesce a dominarsi, perché è caduto in potere altrui; il furore spinge le membra fuori a colpire, appunto perché dentro tiene prigioniera la mente, padrona delle membra. Altre volte non mena le mani, ma la lingua scaglia maledizioni come frecce. Chiede con preghiere la morte del fratello, e insiste perché Dio compia ciò che lo stesso uomo malvagio teme o si vergogna di compiere; con la voce e con il desiderio commette un omicidio, anche se non alza le mani contro il prossimo. In certi casi la collera impone il silenzio all'animo agitato; e, quanto meno si esprime fuori, tanto più esso brucia di dentro, adirato a tal punto da togliere la parola al prossimo, dicendogli con il silenzio la sua ostilità. ... Nell'occhio adirato la pagliuzza diventa una trave, e la collera si trasforma in odio. Spesso la collera, chiusa nell'animo con il silenzio, ribolle con più veemenza e, pur senza parlare, forma voci violente; immagina che le si rinfaccino parole esasperanti e, come se fosse in contraddittorio, risponde con termini anche più duri ... (S. Gregorio Magno, Commento a Giobbe) Cosa è l’ira? Nella versione greca della Bibbia troviamo due termini per indicare l'ira, con un diverso significato: thymós indica un moto dell'anima, l'ira come passione, la facoltà "irascibile" irrazionale; e orghé, la collera che erompe, la manifestazione dell'ira in maniera disordinata. San Gregorio Magno, usando l'immagine del fuoco, descrive quattro caratteri di persone irose: “Si tenga presente che l'ira accende subito taluni e più facilmente svanisce. Agita altri più lentamente, ma li domina più a lungo. Altri prendono fuoco come le canne che bruciando scoppiettano; fanno subito la fiamma, ma presto si riducono in fredda cenere. Altri invece sono come tronchi di legno duro e pesante, che stentano a prender fuoco, ma una volta accesi è difficile spegnerli: tardano a inquietarsi, ma conservano più a lungo il fuoco del loro furore. Altri poi, e sono i peggiori, prendono subito fuoco e tardano a calmarsi. Infine alcuni difficilmente si accendono e presto si spengono”. (Commento morale a Giobbe, 1) Cosa è l’ira? “Alcuni sapienti hanno affermato che l'ira è una follia breve. Come la follia, infatti, l'ira è incapace di controllarsi, dimentica ogni decoro, è insensibile ai bisogni sociali, è ostinata e accanita nelle sue iniziative, preclusa alla ragione e alla riflessione; si agita per motivi inconsistenti, incapace di discernere il giusto e il vero; assomiglia alle rovine che si frantumano sopra ciò che hanno travolto”. (Seneca, De ira 1,2) “Generalmente la collera segue un percorso circolare: parte dal cuore, il luogo dei sentimenti, dei desideri, delle pulsioni, e si manifesta visibilmente in parole o azioni, per poi ritornare nell'interiorità e permanervi come rancore e risentimento. In questo tragitto entrano in gioco i vari tentativi messi in atto per dissimulare questa passione, tentativi che spesso falliscono quando l'ira diventa senza controllo” (Piovano, Ira) Cosa è l’ira? Talora l'ira viene soffocata nell'indifferenza, che spesso non è altro che ira repressa, rabbia raffreddata. Però basta poco, e la violenza affiora ed esplode: “Io ho visto alcuni, furiosamente arrabbiati, vomitare il loro rancore di vecchia data e mai rimosso e liberarsi di una passione grazie a un'altra passione, ottenendo, da parte di chi aveva loro arrecato dolore, o pentimento o una spiegazione per il dolore di antica data; e ho visto altri sopportare all'apparenza pazientemente, ma in realtà in modo irragionevole e covare dentro di sé il rancore con il silenzio: io ho giudicato più miseri questi di coloro che sono in preda alla follia, poiché hanno fatto sparire il candore della colomba con la loro oscurità”. (Giovanni Climaco) Il primo caso (serio) di ira Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo. Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato (lett. “a Caino bruciò molto”) e il suo volto era abbattuto (lett. “cadde per terra”). Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai». Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Il primo caso (serio) di ira Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. (Genesi 4,1-12) L’ira “giusta” e l’iracondia Nella cultura dell'Occidente l'immagine dell'ira è bifronte: da un lato è giudicata nobile passione di rivolta contro le offese e le ingiustizie subite, desiderio di punire la persona da cui si pensa di essere stati oltraggiati; dall'altro rappresenta una temuta perdita di autonomia e di giudizio. La tradizione si divide pertanto in due grandi tronconi di durata più che bimillenaria: uno che accetta l'ira giusta, ma condanna l'iracondia; l'altro che rifiuta ogni tipo di ira e chiede di astenersene del tutto. San Tommaso d'Aquino ha affermato che la mancanza della passione dell'ira è un vizio ed è un peccato non rendere giustizia quando lo si può o lo si deve fare. Esiste un'ira per zelo, che non comporta alcun peccato, anzi è buona e virtuosa . L'ira diventa un peccato (cioè iracondia) quando è ingiusta o vendicativa o smisurata: «Una collera peccaminosa trasgredisce la giustizia; giudica a priori [ ... ]. La sua preoccupazione principale è cercare delle scuse». (Summa theologiae, II-II, 158, 8) “Altra è l'ira che nasce dall'impazienza, e altra è quella che lo zelo alimenta. Quella nasce da un vizio, questa da una virtù”. (S. Gregorio Magno) Quando è messa al servizio della giustizia, l'ira diventa una forza moralmente legittima. Sono però richieste insieme tre condizioni: un obiettivo giusto; un'intenzione retta; una reazione proporzionata. (S. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, 11-11, 158) Quando l’ira è peccato L'ira è un vizio e un peccato quando diventa una presenza costante nei rapporti con gli altri; quando è segno del disprezzo e dell'odio verso l'altro; quando contiene l'intenzione della distruzione e dell'annientamento dell'altro. Nella dinamica dell'ira è dunque molto importante l'intenzione, perché essa può risultare distorta: può sembrare legittima perché l'obiettivo è giusto, ma l'intenzione è diversa da quella di riparare un torto, in quanto motivata da invidia nascosta, o per fare un regolamento di conti... Insomma, è spinta dal risentimento. Infine, pur essendo legittimo l'oggetto e retta l'intenzione, l'atteggiamento può essere spropositato. L'ira si ingrandisce e si diffonde: a tutta la persona (si riduce l'altro al male che ha commesso, cioè si identifica la persona con il suo atto), a tutta la sua vita (l'ira estende il torto all'esistenza intera della persona, senza remissione e senza speranza, nutrendo sospetti su tutto ciò che farà), alle persone che appartengono al suo contesto, addirittura a tutte le persone che le assomigliano. L’ira è un vizio capitale «Chi è pronto all'ira commette sciocchezze» (Proverbi 14,17); «Chi è iracondo mostra stoltezza» (Proverbi 14,29) «È segno di intelligenza per l'uomo trattenere la collera» (Proverbi 19,11); «Non ti associare a un collerico e non praticare un uomo iracondo» (Proverbi 22,24); «Un uomo collerico suscita litigi e l'iracondo commette molte colpe» (Proverbi 29,22). «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Matteo 5,5) «Chiunque si adira senza ragione [eiké, "alla leggera"] con il proprio fratello, dovrà essere sottoposto al giudizio» (Matteo 5,22) «Ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all'ira» (Giacomo 1,19). L’ira è un vizio capitale L'ira è un vizio capitale, perché genera altri peccati, dal più interiore al più esteriore: indignazione, insulti, bestemmie, urla, risse, percosse e addirittura omicidi. Può scatenare le reazioni più diverse e imprevedibili, che comunque rompono relazioni e modificano sentimenti, o addirittura stroncano vite. La vendetta è il potente sbocco alternativo dell'ira trattenuta, quando essa diventa rancore e rabbia repressa. Ovviamente la gravità è maggiore, se maggiore è la durata. Ed è peggiore quando l'ira non è più occasionale e circoscritta, ma diventa abituale e ossessiva. “L'ira è rapina della prudenza, distruzione di una condizione, confusione della natura, un modo di fare da selvaggi, una fornace del cuore, una fiamma che erutta fuori, una legge dell'irascibilità, collera per le offese, madre di belve, un conflitto silenzioso, impedimento della preghiera”. (Evagrio) Forme di ira L'ira contro se stessi: è possibile covare rancore fino ad autodistruggersi. Ne La Divina Commedia (Inferno, VII, 110-114), Dante Alighieri descrive gli iracondi come persone immerse in una palude che si percuotono e si sbranano; uno di loro, che non ha più nessuno accanto da distruggere, si rivolta contro se stesso e si divora a morsi . L'ira contro l'altro: a disturbarci è l'altro con la sua diversità, i suoi ritmi, i suoi gusti, le sue opinioni, fino a che ci diventa intollerabile. A volte a scatenare l'ira sono dei dettagli insignificanti, perché l’ira non è mai obiettiva. Le nostre esplosioni d'ira sono proporzionate alle delusioni: e le più forti sono provocate dalle persone alle quali si vuole bene. L'ira contro Dio: si scatena quando sembra che egli resista alle nostre preghiere e ai nostri desideri. Si può così arrivare a un comportamento blasfemo e sacrilego. All'opposto si può manifestare anche nella forma della fredda indifferenza nei suoi confronti. L’ ira … di Dio Come intendere il tema biblico del “dies irae”? “L‘esaltazione dell'indignazione (espressa con il vocabolo ebraico dell'ira, `af, che, onomatopeicamente, vuole evocare le "narici" sbuffanti del collerico) e della gelosia [...], l'intenzione dell'autore sacro è quella di delineare il profilo di un Dio personale e morale, non indifferente, come gli idoli, ai temi etici, alle violazioni del diritto, all'umiliazione dei poveri, ai giochi nefandi del potere”. (Grether — Fichtner, «Ira umana e ira divina nell'A.T.») Esiste una "giusta ira", che innanzitutto è propria di Dio. Soprattutto nell'Antico Testamento appare, in tutta la sua terribile potenza, questo aspetto "misterioso" del volto di Dio. Già nelle prime pagine essa si manifesta nella reazione e nella punizione per il peccato della prima coppia (cf. Genesi 3) e per la grande malvagità degli uomini sulla terra al tempo di Noè (cf. Genesi 6). Quando il popolo si costruisce un vitello di metallo fuso, prostrandosi davanti e offrendo sacrifici mentre Mosè è sul monte per ricevere le tavole della Testimonianza, il Signore gli dice: «Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori» (Esodo 32,10). L’ ira … di Dio Gesù, modello di mitezza e dolcezza (cf. Matteo 11,29), è anche colui che “fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi, gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi” (Giovanni 2,15). La sua collera è segno della sua umanità, però «non è mai un sentimento totalmente umano: è un'ira che ha sempre un po' il carattere dello sdegno divino». (G. Stahlin, «Ira umana e ira divina nel N.T. ») L'espressione "ira di Dio" si trova anche in Romani 3,5 (“Se però la nostra ingiustizia mette in risalto la giustizia di Dio, che diremo? Dio è forse ingiusto quando riversa su di noi la sua ira?”), peraltro "ingoiata" dalla sua grazia sovrabbondante, perché con quell'ira è misteriosamente connessa la morte del Figlio. Forse anche nel nostro modo di dire «è costato l'ira di Dio» riecheggia il dramma sconcertante della giustizia di Dio, rivelata nella misericordia della Pasqua, e il nostro grazie per essere stati liberati dall'ira. I "rimedi" all’ira “Frutto dello Spirito è il dominio di sé” (Galati 5,22): il fatto che la collera sia spesso palese fa sì che colui che ne soffre, se proprio non è cieco, di essa si vergogni, perché gli altri conoscono e misurano questa sua deformazione. Forse è questo il motivo per cui l'ira è un vizio da cui ci si può correggere più facilmente. La sua "evidenza pubblica" induce a disciplinarsi, a correggersi, a pentirsi di essere stati trasportati da essa a'compiere gesti inconsulti. Sempre attuale è la sapienza dei proverbi: «È meglio la pazienza che la forza di un eroe, chi domina se stesso vale più di chi conquista una città» (Prov 16,32); «una città smantellata, senza mura, tale è chi non sa dominare se stesso» (Prov 25,28). Pertanto «prima che la lite si esasperi, troncala», perché «iniziare un litigio è come aprire una diga» (Prov 17,14). Nel discorso della montagna, Gesù mette chiaramente in guardia: «Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio» (Matteo 5,22). E poi ci dice che un cuore dominato dal rancore o turbato dalla collera non può offrire a Dio un sacrificio gradito. I "rimedi" all’ira La “padronanza” dei pensieri: «bisogna, se è possibile, impedire che la collera penetri fino al cuore; se vi è già, fare in modo che non si manifesti nel viso; se vi si mostra, custodire la propria lingua per cercare di preservarla; se è già sulle labbra, impedire di passare negli atti, e vegliare per eliminarla al più presto dal cuore» (Vite dei Padri). Il trattenere la collera “deve avvenire innanzitutto a livello di pensiero. [ ... ] È molto importante soffocare gli stessi pensieri non solo perché essi sono la fonte di tutte le manifestazioni della collera, ma anche perché questa passione può, soprattutto sotto la forma dell'asprezza, del risentimento, del rancore, continuare a esistere, danneggiando la vita di tutta l'anima” (Larchet, Terapia delle malattie spirituali). “Non tramonti il sole sopra la vostra ira” (Efesini 4,26): dove non fosse possibile il dominio di sé e la padronanza dei pensieri, si può prendere l’impegno di rimediare il prima possibile al conflitto che si è creato, senza lasciar passare troppo tempo col rischio che esso si incancrenisca e la frattura venga considerata alla lunga “normale”. «Lotta con te stesso: se vuoi vincere l'ira, essa non può vincere te. Cominci a vincerla se la nascondi, se non le dai modo di venir fuori. Nascondiamo le sue manifestazioni e teniamola per quanto possibile nascosta. Ciò avverrà con nostro grande fastidio, perché essa desidera erompere e accendere gli occhi e mutare il volto; ma se le permettiamo di uscir fuori, ci dominerà... Combattiamo tutti i suoi indizi, ricomponiamo il volto, addolciamo la voce, allentiamo il passo. A poco a poco l'interno si conformerà all'esterno...» (Seneca, Sull'ira; III,13). Sabato 5 aprile L’ACCIDIA a cura di Don Maurizio Mirilli