Lezione 6
• Cenni di meccanica quantistica:
- principi della M.Q.
- equazione di Schrodinger
portata dell’interazione-massa del mediatore
vita media di una particella instabile
potere risolutivo di una particella
• Acceleratori a bersaglio fisso e fasci collidenti
Meccanica quantistica (cenni)
Alla base della Meccanica Quantistica sono i seguenti principi:
1) esistono quantità che possono assumere solo valori discreti (v. il momento
angolare e l’energia negli spettri atomici, l’energia trasportata dai fotoni nel
corpo nero e nell’effetto fotoelettrico, lo spin delle particelle);
2) la radiazione e.m. ha una doppia natura onda-corpuscolo (come dimostrato dallo
spettro di corpo nero e dall’effetto fotoelettrico e Compton). L’energia della
radiazione e.m. è portata da singoli quanti o fotoni di energia E e impulso p (e
lunghezza e numero d’onda l e k):
Ehν
p
E hν h


c
c
λ
pk
dove : λ 
c
2π
ek
ν
λ
I fotoni hanno massa a riposo nulla e viaggiano alla velocità c.
N.B. La costante di Planck è molto piccola e vale:
h  6.6 10 -34 J  s
o  c  200 MeV  fm  200 MeV  10 -15 m
3) anche le particelle materiali hanno una doppia natura onda-corpuscolo, in
quanto ad ogni particella materiale di impulso p è associata un’onda di lunghezza
d’onda l legata a p dalla relazione di de Broglie:
λ
h
p
 p
h 2π 

k
λ
λ
N.B. Questa è la stessa relazione che lega lunghezza d’onda e impulso per un fotone:
p
E hν h


c
c
λ
N.B. Questa relazione vale anche per i corpi macroscopici, ma la costante di
Planck è talmente piccola che la loro lunghezza d’onda è estremamente ridotta (v.
dopo).
4) la particella materiale viene descritta in termini di una “funzione d’onda”
y(x,t) che dipende dallo spazio e dal tempo (approccio di Schrödinger alla
meccanica quantistica), il cui modulo al quadrato fornisce la probabilità di
trovare la particella in un certo punto dello spazio ad un certo istante.
5) vale il principio di indeterminazione di Heisenberg per la posizione e la
quantità di moto di una particella: quanto maggiore è la precisione nella
determinazione di una delle due variabili, tanto minore è quella nella
determinazione dell’altra:
x  p  h
h  costante di Planck  6.63 10- 31 J  s
Il principio vale anche nel mondo macroscopico, ma in pratica il piccolo valore
della costante di Planck fa sì che tale limitazione non abbia effetto (v.dopo).
Più in generale, il principio di indeterminazione afferma che coppie di variabili
canonicamente coniugate non possono essere simultaneamente determinate
entrambe con la precisione voluta. Una coppia di tali variabili è la coppia
“posizione-quantità di moto”. Un’altra è la coppia “energia-tempo”:
E  t  h
Questo significa che una misurazione di energia che abbia una precisione voluta
E, richiede una durata di tempo dell’ordine almeno di t h/E. Se un sistema
ha una durata di vita dell’ordine di t, la sua energia sarà determinata con
un’incertezza dell’ordine almeno di E h/t.
Perchè le proprietà ondulatorie non si vedono per i corpi macroscopici?
Consideriamo un corpo macroscopico di 1 kg che si muove ad una velocità piccola,
come 3.6 km/h = 1. m/s e consideriamo un elettrone che si muove anche ad una
velocità altissima, prossima a quella della luce (c). Calcoliamo nei due casi la
lunghezza d’onda:
N.B.
m
m2
1 J  1 N  1 m  1 kg 2 m  1 kg 2
e
1 J  1 C 1 V
s
s
1 eV  1.6  10-19 C  1.6  10-19 J  1 J  0.625  1013 MeV
1
eV
 1.7  10 36 Kg
2
c
CORPO MACROSCOPICO
p  m v  1 kg  1 m/s
m
m2
8 m
8
pc  1 kg  1  3  10
 3  10 kg 2 
s
s
s
 3  108  0.625  1013 MeV  1.9  10 21 MeV
ELETTRONE
p c  10 KeV
h 2πc
λ

 1.2  10 10 m  1.2 A
p
pc
h 2 π  c 2 π  200 MeV  10-15 m
λ 

 6.3  10 34 m
21
p
pc
1.9  10 MeV
La lunghezza d’onda del corpo macroscopico è piccolissima, mentre quella di un
elettrone è dell’ordine di grandezza delle dimensioni atomiche. Il comportamento
ondulatorio di un elettrone può essere verificato con delle fenditure di larghezza
confrontabile con l (esperimento di Davisson e Germer).
Perchè il principio di indeterminazione di Heisenberg non influenza la precisione nelle
misure macroscopiche?
Se conosciamo ad esempio la posizione di una palla di diametro 0.2 m e massa 1. kg
con una precisione dell’ordine di 0.1 mm, in base al principio di indeterminazione
conosceremo il suo impulso con una precisione p superiore a:
h
p 

x
6.63  10-31 J  s
- 27 J  s

6.63
10
0.1  10- 3 m
m
e cioè determineremo la sua velocità con una precisione non inferiore a:
v 
p

m
J s
s
- 27 m
m  6.63 10-27 m  m


6.63
10

1.0 kg
s 2
m
s

6.63 10-27
che è un valore estremamente piccolo, quindi possiamo dire che la velocità
può essere determinata con una precisione piccola a piacere.
Se vogliamo invece determinare la posizione di un elettrone di impulso dell’ordine
di una decina di KeV, poichè (come abbiamo visto) esso è associabile a lunghezze
d’onda dell’ordine dell’Angstrom, potremo chiedere di determinare la sua
posizione con una precisione dell’ordine, ad esempio, del decimo di Å. In tal caso
potremo determinare il suo impulso con una precisione superiore a:
h
2 π c
6.3  200 MeV  10 -15 m
1.3  10 2 MeV  10 -15  1011 1.3  10 -2 MeV
p 




-10
x x  c
0.1  10 m  c
c
c
p c  1.3  10 -2 MeV  13 KeV
 ma questa indeterminazione è dello stesso ordine di grandezza dell’impulso
che vorremmo determinare. Quindi se vogliamo determinare con precisione la
posizione dell’elettrone, non possiamo determinare con precisione il suo impulso
e viceversa.
Equazione di Schrödinger (non relativistica)
Ogni particella può essere descritta con una funzione d’onda, che è funzione
dello spazio e del tempo e il cui modulo quadro fornisce, in ogni punto e ad ogni
istante, la densità di probabilità di trovare la particella in quel punto e a
quell’istante.
L’equazione di Schrodinger, che è alla base della meccanica quantistica, non può
essere dimostrata matematicamente, ma solo ipotizzata partendo da ragionamenti
logici. Successivamente dovranno essere verificate le sue predizioni. L’equazione
d’onda deve contenere derivate rispetto al tempo e rispetto a x (direzione di
propagazione dell’onda). Consideriamo una funzione sinusoidale del tipo:
A sin(kx – w t)
B cos(kx – wt)
C exp[i(kx – wt)]
D exp[-i(kx – wt)]
Le derivate rispetto al tempo e allo spazio implicano la fattorizzazione di un
parametro w e k rispettivamente, ma la relazione tra w e k è la seguente:
w = ħk2 / 2m
Equazione di Schrodinger (non relativistica)
Questo suggerisce che l’equazione d’onda debba contenere una derivata del
primo ordine rispetto al tempo e del secondo rispetto allo spazio:
ψ
2ψ
α 2
t
x
(1)
con a da determinarsi. Le funzioni esponenziali soddisfano alla (1) se:
- i w = - a k2
a = i w/ k2 = i ħ w/ (ħ k2) = i E/p2 = i ħ / (2m)
Riscriviamo cosi la (1):
EQUAZIONE DI
ψ
2  2ψ
i

t
2m x 2
SCHRÖDINGER
(2)
DI PARTICELLA
LIBERA
N.B. L’eq. di Schrödinger descrive particelle a spin nullo e non relativistiche
Equazione di Schrodinger (non relativistica)
Possiamo dire di aver ottenuto l’equazione di Schrödinger dall’equazione
classica per particella libera:
p2
E
2m
nella quale abbiamo fatto corrispondere a E e a p i seguenti operatori:



E  i
p  i
t
e quindi abbiamo applicato tali operatori alla funzione d’onda y. Se la
particella è soggetta ad un potenziale V(r), l’equazione di partenza diventa:

p2
E
 V( r )
2m
EQUAZIONE DI
e l’equazione di Schrödinger corrispondente è:
SCHRÖDINGER
ψ
2  2ψ
i

 Vψ
2
t
2m x
(3)
DI PARTICELLA
SOGGETTA A
POTENZIALE
EQUAZIONE DI CONTINUITÀ PER L’EQ. DI SCHRÖDINGER
Quale interpretazione possiamo dare alla y(x,t)? Prendiamo l’equazione di
Schrödinger e la sua complessa coniugata:
ψ *
2 2
 i

 ψ *  Vψ *
t
2m
ψ
2 2
i

 ψ  Vψ
t
2m
Moltiplichiamo la prima per ψ* e la seconda per ψ:
ψ
2
iψ *

ψ *  2 ψ  V | ψ |2
t
2m
ψ *
2 2
 i
ψ
 ψ * ψ  V | ψ |2
t
2m
Quindi sottraiamole membro a membro:
ψ ψ *
2
i(ψ *

ψ)  
(ψ *  2 ψ   2 ψ * ψ)
t
t
2m
Se definiamo le seguenti grandezze:

2
ρ  ψ(x, t)
 DENSITÀ DI PROBABILITÀ


i
j
ψ * ψ  ψψ *
 DENSITÀ DI CORRENTE DI
2m
ρ
ψ ψ *
PROBABILITÀ
 ψ*

ψ
t
t
t
 

i 
i
 j  
  ψ * ψ  ψψ *  
ψ *  2 ψ  ψ 2 ψ *
2m
2m








l’equazione di prima assume l’aspetto di un’equazione di continuità:
ρ  
  j  0
 t

 μ jμ 0
EQUAZIONE DI
CONTINUITA’
jm=(r , j )
Questa equazione ci dice che il tasso di diminuzione del numero di particelle
in un certo volume deve essere uguale al flusso di particelle attraverso le pareti
che racchiudono quel volume.
Range delle interazioni – massa del mediatore
(cenni di meccanica quantistica)
E1
E1
e1
e1
E
e2
E2
g
e2
La particella 1 di energia E1 emette un fotone di energia
E e rincula di p1 = -E/c, la particella 2 lo assorbe e
rincula di p2 = E/c. Il principio di conservazione
dell’energia può essere violato solo per un tempo massimo
t tale che valga il principio di indeterminazione di
Heisenberg:
E2
E t ~ ħ  t ~ ħ / E = r / c  r = ħc / E
L’energia minima che il fotone può trasportare è zero in quanto esso non ha
massa e pertanto la portata dell’interazione (“range”) è infinito.
Range delle interazioni – massa del mediatore
(cenni di meccanica quantistica) (continua)
Se invece il “quanto” che fa da mediatore dell’interazione ha massa m,
la minima energia da esso trasportata sarà pari a:
(E)min = mc2
e quindi il range massimo dell’interazione non potrà essere infinito e
sarà dato da:
rmax = ħc / (E)min = ħc / mc2
Nel 1935 Yukawa, per spiegare il fatto che le interazioni forti tra adroni
mostravano di avere una portata (“range”) dell’ordine di 2 fm, propose
l’idea che il mediatore dell’interazione fosse una particella dotata di
massa, il pione. Con questa ipotesi, il “range” massimo dell’interazione
si ha in corrispondenza dell’energia minima da esso trasportata:
E = mpc2 = 135.-139. MeV
rmax = ħc / E = 200 MeV fm/ mc2 ~ 1.4-1.5 fm
Vita media di una particella instabile
La meccanica quantistica non prevede la creazione o la distruzione di particelle,
in quanto il modulo al quadrato della funzione d’onda è una quantità che è
indipendente dal tempo (cioè se la particella esiste ad un certo istante, essa
esisterà sempre). Infatti, poichè per un sistema conservativo, l’evoluzione nel
tempo della funzione d’onda è data da:


ψ ( r , t )  ψ E ( r ,0 ) e -i E t / 
allora la probabilità di trovare la particella a un dato istante t nel punto r è
indipendente dal tempo:
ψ( r , t)
2
 ψ( r ,0)
2
Possiamo introdurre il decadimento delle particelle instabili nella meccanica
quantistica con un artificio matematico, ipotizzando che l’energia di una
particella instabile sia una quantità complessa, cioè:
E  E0  i

2
In tal caso l’evoluzione temporale della funzione d’onda sarà data da:



-i E t / 
ψ ( r , t )  ψ E ( r ,0 ) e
 ψ E ( r ,0 ) e -i E0 t /  e
 Γ t / ( 2 )
e la probabilità di trovare la particella in un certo punto dello spazio dipenderà
dal tempo:

ψ( r , t)
2

 ψ( r ,0)
2
 t 
exp  - 
 
Questa formula è identica alla legge di decadimento se si pone:
τ


ed è connesso con il principio di indeterminazione di Heisenberg applicato alla
vita media t di una particella (definito nel sistema di riferimento in cui la
particella è a riposo) e alla precisione con la quale è possibile determinare la
sua energia (cioè la sua massa, nel sistema a riposo).
Prendendo la trasformata di Fourier della funzione d'onda che descrive una particella
instabile:


ψ ( r , t )  ψ E ( r,0 ) e -i E0 t /  e -Γ t / 
nello spazio delle energie, otterremo la probabilità che la particella emesa abbia una certa
energia E:
P(E) 

1
2 π E  E 0 2   / 22
La curva ottenuta è detta lorentziana o di BreitWigner. La relazione:
2
π
τ

E0


è una forma del principio di indeterminazione di
Heisenberg: la massa della particella non può essere
determinata a meno in un' incertezza E = .
Il fenomeno della larghezza della massa di una particella è tanto più visibile
quanto più la particella è instabile. Facciamo qualche esempio:
r(770)
t= 4.3 ×10-24 s 
= ħ/ t = ħc / t c ~200 MeV fm/(4.3×10-24 s×3 108 1015 fm / s)~155 MeV
(1232) t = 6.0 ×10-24 s 
 = ħ/ t = ħc / t c ~200 MeV fm/(6.0×10-24 s×3 108 1015 fm / s)~110 MeV
p(139)
t = 2.6 ×10-8 s 
 = ħ/ t = ħc / t c ~200 MeV fm/(2.6×10-8 s×3 108 1015 fm / s)~
~ 256 10-16 MeV = 256 10-16 106 eV = 256 10-10 eV
Potere risolutivo di una particella
Per “vedere” un oggetto occorre illuminarlo con una lunghezza d’onda che sia
comparabile o inferiore alle dimensioni dell’oggetto e che, interagendo con
esso, ne venga diffusa tutto intorno, colpendo l’occhio.
Se l’oggetto è più piccolo della lunghezza d’onda della luce usata per illuminarlo,
esso sarà “avvolto” dalla luce, che non potrà così interagire con esso. L’oggetto non
può essere osservato.
Con la luce visibile (e con l’uso di un microscopio ottico) possiamo risolvere
oggetti con dimensioni maggiori o uguali del nanometro, come le micromolecole.
Per risolvere l’atomo che ha dimensione ratomo ~ 10-10 m, occorre adoperare i
raggi X che hanno lunghezze d’onda dell’ordine di:
l ~ 10-7 m – 10-11 m
Con i raggi g che hanno lunghezze d’onda inferiori a 10-11 m si possono sondare
oggetti di dimensioni più piccole come nuclei o nucleoni.
Dal momento che ad ogni particella dotata di impulso è associata una
lunghezza d’onda inversamente proporzionale al suo impulso (relazione di de
Broglie), per risolvere oggetti di dimensione ancora più piccola, possiamo
adoperare particelle dell’impulso appropriato.
Ad esempio, possiamo calcolare quale impulso deve avere una particella per
poter risolvere il nucleo o un nucleone (p o n) o un quark:
rnucleo ~ 10-14 m  p = h / l  pc = 2p ħc / l = 2p 200 MeV 10-15 m/10-14 m
 pc = 1.3 102 MeV = 130 MeV
rnucleone ~ 10-15 m  p = h / l  pc = 2p ħc / l = 2p 200 MeV 10-14 m/10-15 m
 pc = 1.3 103 MeV ~ 1300 MeV ~ 1.3 GeV
rquark < 10-18 m  p = h / l  pc = 2p ħc / l = 2p 200 MeV 10-14 m/10-19 m
 pc = 1.3 107 MeV ~ 1.3 103GeV
Nell’esperimento di Rutherford (1911), furono adoperate particelle a di energia
cinetica T ~ 2 MeV su nuclei di Au, che corrispondono a un impulso p:
T=p2/(2ma)  p = (2ma T)1/2 = (8 mpT)1/2 ~(8×103×2. MeV2 )1/2 =126 MeV
Pertanto la lunghezza d’onda esplorata corrispondeva a:
l = h / p  l = 2p ħc / pc = 2p 200 MeV fm/126 MeV
 l ~ 10 fm = 10-14 m (esattamente la dimensione di un nucleo!!)
Scegliendo sonde di diversa natura (fotoni, leptoni, adroni) per sondare un
bersaglio, si decide di sondarlo attraverso determinati tipi di interazioni. Ad
esempio, se adoperiamo una sonda leptonica per studiare un bersaglio
adronico (es. elettrone su nucleo o elettrone su protone), stiamo sfruttando le
interazioni elettromagnetiche e non quelle forti. Se invece adoperiamo un
fascio di pioni su un bersaglio nucleare, stiamo sfruttando le interazioni forti.
Accelerazione di particelle
È necessario portare le particelle a energie elevate per varie ragioni:
• Aumentare il potere risolutivo della particella che funge da sonda
( vedi trasparenze precedenti)
• Produrre particelle finali nuove e di massa elevata
A+BC
Energia disponibile nel centro di massa
• ESPERIMENTO A BERSAGLIO FISSO
A+B C
Sistema di riferimento del laboratorio
pA = (EA ; pA)
pB = (mB; 0 )

pC = (EC; pC) = (EA+mB; pA)
Sistema di riferimento del centro di massa
p*A= (E*A ; p*) pB = (E*B ; - p*) 
p*C = (E*C; 0 ) = (E*A+E*B; 0 )
La quantità che si conserva tra i due sistemi è il quadrato del quadrimpulso pc, che
ci fornisce la massa della particella C prodotta, cioè il quadrato dell’energia totale
nel C.M.:
s = mC2 = EC2 – pC2 = (EA+mB)2 – pA2 = mA2 + mB2 + 2EAmB
L’energia totale nel C.M. s dipende quindi dalla radice quadrata dell’energia del
fascio incidente.
Energia disponibile nel centro di massa (continua)
•ESPERIMENTO A BERSAGLIO FISSO (continua)
Dato che:
mC2 = mA2 + mB2 + 2EAmB
se vogliamo creare una particella di massa mC sarà dunque necessario un fascio
di energia minima (energia di soglia, “threshold” in inglese):
m  mA  mB
 C
2m B
2
(E A ) TH
2
2
Nel caso particolare di particelle ultrarelativistiche, per le quali possiamo
trascurare la massa rispetto all’energia, l’energia nel centro di massa nel caso di
bersaglio fisso sarà data semplicemente da:
se m A , m B  E A
s  m 2A  m B2  2m B E A  2m B E A
Energia disponibile nel centro di massa (continua)
• ESPERIMENTO CON FASCI COLLIDENTI
A+BC
Sistema di riferimento del laboratorio
pA = (EA ; pA)
pB = (EB ; pB)

pC = (EC; pc) = (EA+EB ; pA + pB)
Sistema di riferimento del centro di massa
p*A= (E*A ; p*) pB = (E*B ; -p*)

p*C = (EC*; 0 ) = (E*A+E*B; 0 )
s = (EC*)2 = mC2 = EC2 – pC2 = (EA+EB)2 – ( pA+ pB )2 =
= EA2 + EB2 + 2 EA EB – pA2 – pB2 – 2 pA · pB =
= mA2 + mB2 + 2EA EB – 2 pA · pB
Energia disponibile nel centro di massa (continua)
ESPERIMENTO CON FASCI COLLIDENTI (continua)
Dato che:
mC2 = mA2 + mB2 + 2EA EB – 2 pA · pB
se vogliamo creare una particella di massa mC , utilizzando due fasci di particelle
di ugual massa mA,uguale energia EA, diretti antiparallelamente (cos q =-1), sarà:
mC2 = 2 mA2 + 2EA2 + 2 |pA |2 = 2 mA2 + 2 EA2 + 2 (EA2 - mA2 ) = 4 EA2
e quindi l’energia minima di soglia che devono avere i due fasci è:
(E A ) TH 
mC
2
da confrontarsi con quella del caso a bersaglio fisso, molto più alta:
m  mA  mB
 C
2m B
2
(E A ) TH
2
2
L’energia totale disponibile nel C.M. infatti è molto più alta del caso a bersaglio
fisso in quanto è pari alla somma delle energie dei due fasci:
s  4E 2A  2 E A
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