di Andrea Grossutti Adesso sono in treno; sto tornando a casa, dopo sei anni in Argentina a lavorare come contadino. Tutto incominciò un giorno come altri: lavoravo duro nei campi, guadagnando scarso. Non avevo ancora famiglia fortunatamente: non avrei avuto di che sostenerla. Ad un certo punto mi chiamò la mia vicina di casa, che sapeva bene che non me la spassavo, e mi disse che, se volevo potevo andare in Argentina, dato che suo marito guidava navi e una settimana dopo avrebbe condotto in Argentina per lavoro molte persone. Io accettai e le chiesi cosa avrei dovuto fare. Lei mi disse che dovevo recarmi a Roma, in un ufficio che organizzava viaggi all’estero, ma che comunque lo avrei trovato facilmente. Cominciai a fare i bagagli: solo con le cose indispensabili, perché anche se me ne sarei andato non avrei lasciato definitivamente casa. Prima di partire per Roma salutai i miei parenti: genitori, fratelli, cugini, … Il mattino seguente presi il treno per Roma. Era molto affollato e la maggior parte della gente che era lì erano persone che volevano emigrare come me. Arrivato mi misi in coda, poi quando arrivò il mio turno mi fecero test di diversi tipi, e infine mi condussero ad un posto dove c’era un signore che prendeva i nomi dei viaggiatori, e faceva pagare il biglietto. 2AX3973D49J K476A Gli riferii il mio nome, e in quel momento mi disse che per me il viaggio era gratuito, se avessi lavorato tutta la notte per pulire, e io accettai. Poi chiesi come mai questa differenza, e lui mi rispose che era il conduttore della nave ad averglielo detto; e in quel momento, mi venne in mente che era il mio vicino di casa. Seguii il resto della fila ed entrai nella nave. Mi sistemai le cose in cabina e andai sul ponte. Durante il viaggio conobbi molte persone, gentili e non, ma comunque il viaggio non era male. Dopo un mese arrivammo. Abitavo in una piccola capanna, e trovai lavoro da un anziano, chiamato Luciano, che aveva una bella casa, molti campi e soprattutto era modestamente ricco e, visto che lui nei campi non lavorava più, mi aveva chiesto di aiutarlo. Lui era gentile e mi pagava bene. Mi faceva lavorare tutto l’anno: quando non era stagione per un certo cereale, me ne dava un altro da coltivare. Dovevo anche aiutarlo a fare delle cose impegnative in cui lui non riusciva da solo. Rimasi lì per sei anni; nel frattempo conobbi sua figlia e ci sposammo. Verso la fine del sesto anno di lavoro in Argentina Luciano morì di vecchiaia. La figlia Giada, in quel momento mi disse che lei non aveva più parenti. Lei e i suoi genitori erano figli unici e sua madre era già morta. Allora le proposi di andare a vivere in Italia. Lei accettò. Riprendemmo la nave dell’andata e arrivammo a Genova. Adesso stiamo tornando a casa a salutare i miei vecchi parenti, definitivamente.