Economia globale e globalizzazione della politica
«Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un’impronta
cosmopolitica alla produzione ed al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi
all ’ industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari. Le
antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora adesso vengono
distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione
diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non
lavorano più soltanto materie prime del luogo, ma delle zone più remote, e i cui
prodotti non vengono consumati solo nel paese stesso, ma anche in tutte le parti
del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano
bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più
lontani. All’antica autosufficienza e all’antico isolamento locali e nazionali subentra
uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni»
L’attuale fase di globalizzazione dell’economia non può essere analizzata senza
ricordare che le dinamiche di fondo di questo processo hanno una lontana
genealogia.
Come suggerivano già Marx ed Engels e come ribadisce anche Schumpeter, la
forza trasformativa del mercato rivoluziona incessantemente la stessa impalcatura
istituzionale degli apparati statali e, così facendo, modifica le condizioni di esercizio,
le forme e le possibilità della democrazia (distruzione creatrice).
1. Globalizzazione economica e crisi della sovranità dello Stato
Principali forme di internazionalizzazione dell’economia:
1. l’intensificazione del flusso di commerci interstatali di prodotti e di servizi, in cui
giocano un ruolo predominante le imprese transnazionali con catene mondiali di
produzione;
2. la crescita degli investimenti diretti all’estero (IDE);
3. l ’ accelerazione senza precedenti dei movimenti di capitale all ’ interno dei
network telematici, che collegano in tempo reale i mercati finanziari di tutto il
mondo;
4. il processo di progressiva autonomizzazione della circolazione finanziaria dalla
produzione reale.
La sconnessione del flusso dei capitali dall’economia reale è illustrata, in modo
significativo, dal rapporto fra le transazioni finanziarie e il commercio internazionale:
nel 1979 questa proporzione era di 6:1, nel 1986 era salita a 20:1 e nel 2003 si
attestava intorno a 72:1.
In questa fase dello sviluppo economico la produttività del capitale è, dunque,
assicurata principalmente dagli investimenti finanziari, piuttosto che da quelli
industriali.
Il risultato più evidente di questo processo è che i mercati finanziari sono diventati
capaci di far circolare i propri investimenti ad un ritmo che non corrisponde più a
quello degli scambi mercantili, a fondamento, sino a poco tempo fa, dei movimenti
finanziari internazionali.
Questa necessità condiziona pesantemente gli Stati, che si vedono costretti ad
entrare in concorrenza per attirare investimenti di mercato: un guadagno di mobilità
da parte loro è possibile a condizione di acquisire un “vantaggio comparativo
istituzionale ” , mettendo a punto politiche di riforma della tassazione, di
alleggerimento dei sistemi di protezione sociale, di regolazione del mercato del
lavoro e dello sviluppo economico locale gradite agli investitori.
Gli investitori tendono a stringere con i territori rapporti che dipendono
fondamentalmente da elementi di calcolo economico, da chance di espansione del
mercato e dalla presenza di contesti istituzionali favorevoli.
Scegliendo determinati territori in cui insediare le proprie attività, vengono premiati
determinati assetti istituzionali piuttosto che altri: gli attori economici prestano molta
attenzione, non solo alle regole esistenti, ma anche, e talora soprattutto, ai vuoti
normativi, ossia all’assenza di regole e regolazioni.
In questo quadro, le borse internazionali si sono incaricate di valutare le politiche
economiche nazionali: la sfera finanziaria ha accresciuto considerevolmente il
proprio potere e, ormai, le è possibile sanzionare gli Stati devianti grazie ai
movimenti di capitale.
Le tendenze di sviluppo del tardo capitalismo modificano di fatto una “costellazione
storica” che si caratterizzava per la coincidenza coestensiva, all’interno degli stessi
confini nazionali, di Stato, società, ed economia.
Nella precedente fase di sviluppo capitalistico lo Stato nazionale era in grado sia di
promuovere la dinamica economica, sia di garantire l’integrazione della società
attraverso il compromesso dello Stato sociale. Lo Stato diventava “ sociale ”
regolando le economie nazionali, stabilendo un patto fra capitale e lavoro.
I mutati rapporti fra economia e Stato nazionale rendono problematica questa
costruttiva coincidenza fra il processo di sviluppo economico ed il progresso
sociale.
Con lo sviluppo dell ’ economia transnazionale si assiste ad un progressivo
svuotamento di questo modello di regolazione centrato sullo Stato sociale e sul
compromesso fordista tra capitale e lavoro, garantito dalla autorità politica delle
istituzioni.
Emerge un modello in cui le funzioni regolative e distributive che assolvono
all ’ integrazione sociale sono assunte essenzialmente dal mercato, che si
autoregola e si autolegittima, coerentemente con la dottrina neoliberista della
“mano invisibile”.
Nell’insieme si assiste perciò ad un indebolimento della sovranità dello Stato
nazione, sia dentro i suoi confini territoriali, che nelle relazioni internazionali. Tale
perdita di sovranità si registra in modo palese e massiccio in materia di decisioni
economiche.
Poiché per questa via la politica nazionale si riduce ad amministrazione, più o meno
efficiente, di fronte alle forze che attraversano lo Stato-nazione, la perdita di
sovranità dello Stato si registra altrettanto sul terreno della coesione sociale, e si
estende all ’ insieme dell ’ organizzazione sociale, in proposito si parla di
disorganizzazione sociale.
E’ indebolita la complessa architettura della democrazia e delle sue istituzioni
politiche. Ad essere indebolita, in altre parole, è la politica.
Habermas parla di “sconfitta della politica” o anche di “depoliticizzazione dello
spazio pubblico”.
2. La privatizzazione del diritto e la sovranità condivisa
La sovranità dello Stato, originariamente indivisa ed indivisibile, è divenuta de facto
condivisa fra diverse forze che agiscono a livello nazionale, regionale e
internazionale.
Lo Stato-nazione è sempre più esposto alla concorrenza di altre fonti di potere non
soltanto in materia di politica economica, ma più precisamente su quel terreno della
produzione di norme legali finora prerogativa esclusiva dello Stato stesso.
Si assiste in genere alla moltiplicazione di fonti del diritto e di soggetti giuridici, che
rompe il tradizionale monopolio degli Stati in materia di produzione di norme.
Si diffondono sedi e forme contrattuali o pattizie che producono norme giuridiche,
una sorta di diritto via contratto, in cui prende corpo uno spostamento delle basi del
diritto stesso dalla deliberazione pubblica alle transazioni private (fenomeno della
contrattualizzazione delle politiche).
Gli Stati perdono l’esclusiva come legislatori e vengono affiancati da nuovi attori
istituzionali sovranazionali e da altri soggetti, privati, che concorrono alla creazione
del diritto, in campo economico, ma non solo.
Law firms, organismi internazionali, le stesse imprese transnazionali, e anche le
organizzazioni non governative – tutti soggetti che non hanno un fine o una
caratterizzazione giuridica – diventano volta a volta autori o coautori di norme
giuridiche, o conquistano participatory rights nei processi di decisione giuridica
transnazionale.
Queste nuove fonti e forme giuridiche penalizzano gli Stati come sedi incaricate di
elaborare regole e regolazioni.
Segnalano una dislocazione del potere politico, qui inteso come il potere di istituire
norme, in particolare norme giuridiche. Il potere politico non pertiene più alle
tradizionali strutture in gran parte statali, ma tende a disperdersi ed insediarsi in
nuove sedi che spesso non hanno una configurazione statale o esplicitamente
istituzionale.
Anche se, da un punto di vista formale, la sovranità resta appannaggio dello Stato,
gli attori economici rivendicano e praticano una sorta di quasi-sovranità, per usare
le parole di Beck, non statuale e priva di legittimazione democratica.
Si va costituendo un ordine normativo assai diverso dal precedente, nel quale
cambiano le fonti del diritto, il ruolo delle istituzioni rappresentative e il rapporto fra
soggetti pubblici e privati nel governo della società.
Le normali procedure del sistema politico legate ai canali della rappresentanza
pubblica (elezioni, partiti, parlamento) non sono l’unico percorso di formazione
delle leggi; sempre più spesso, soprattutto per quanto riguarda la disciplina
internazionale dei mercati, sono gli stessi attori privati “a fare la propria legge”
senza mediazione da parte della società politica.
L’emergere di reti di governo sovranazionali in cui gli interessi privati organizzati si
rapportano con le istituzioni politiche da una posizione di vantaggio modifica in
modo sostanziale il quadro dei rapporti fra Stato e mercato.
Secondo Beck, le imprese e le organizzazioni transnazionali divengono dei quasiStati privati che prendono decisioni che riguardano la collettività senza alcuna
legittimazione e soprattutto senza assumersene la responsabilità.
Complessiva riorganizzazione del modo di produrre le regole che conduce ad una
sorta di sbriciolamento dei dispositivi di regolazione tradizionali a vantaggio di
nuove fonti del diritto.
Va formandosi un ordine normativo che si avvicina alla cosiddetta lex mercatoria,
espressione con cui si intende l ’ insieme delle misure giuridiche commerciali
prodotte privatamente dal mondo imprenditoriale.
Questo diritto cosmopolita, apparso per la prima volta nel mondo medievale prima
della nascita degli Stati, si ripropone oggi con grande vitalità nel mercato
globalizzato, come una forma di comunicazione universale che supera le barriere
statali.
Va detto tuttavia che, a differenza di quello tradizionale, lo jus mercatorio che va
delineandosi al tempo della globalizzazione economica, non è comunque
completamente autonomo (in senso etimologico), ma interagisce con istituzioni
pubbliche a diversi livelli territoriali.
Si ha peraltro l’impressione che sia all’opera un processo di ribaltamento in cui le
istituzioni economiche assumono via via potere politico, mentre le istituzioni
politiche fanno propri repertori di interpretazione e moduli d’azione economici.
3. Problemi di legittimazione pubblica
Proprio mentre la vita economica diventa detentrice sempre più importante di
decisioni di rilievo collettivo, i luoghi in cui queste decisioni vengono assunte
diventano sempre più chiusi e lontani dalla società in cui dispiegheranno i propri
effetti. Ed è proprio il carattere giuridico di queste decisioni che permetterà di
sottrarle al controllo sociale e politico, immettendole in un altro circuito
comunicativo.
Sono gli stessi meccanismi di legalizzazione che, operando attraverso percorsi di
negoziazione, diventano “privati”, nel senso di segreti, sottratti alla visibilità e
all’argomentazione pubbliche.
Vi è anzi da considerare che è lo stesso problema della legittimazione democratica
a diventare poco riconoscibile, difficilmente tematizzabile, se non incongruo.
4. Quale spazio per la politica?
Secondo Beck la politica nello spazio dell’economia globale diventa un “effetto
secondario ” di fondamentale importanza, una sorta di sous-politique che si
costruisce in modo invisibile a partire dalle decisioni dei principali attori non pubblici,
non istituzionali – quando non prettamente economici – che dettano le condizioni e
le modalità di rapporto fra mercato e istituzioni politiche, trasformando in modo
significativo i dispositivi di regolazione grazie alla loro conquistata sovranità
giuridica.
Anche Galli si confronta con lo spiazzamento della politica descrivendo il processo
di globalizzazione economica come sconfinamento, sfondamento dei confini e delle
geometrie politiche moderne.
Se lo Stato non riesce più a contenere l’economia, crolla uno dei presupposti
spaziali della politica moderna, e cioè il comando della politica sull’economia o,
quantomeno, la possibilità di dare all’economia e alla società una figura ed una
forma politica.
Al contrario, sembra che il mercato globale sia in grado di contenere gli Stati
operando come unico principio regolatore: l’interesse particolare afferma la propria
portata universale, che in età moderna era invece regolata e messa in forma dallo
Stato.
Il potere economico si sottrae al potere politico e si organizza con una spazialità a
rete; la nuova economia tende ad esercitare un comando sui territori non mediato
politicamente, contro ogni principio democratico.
Crouch parla in proposito di “postdemocrazia” descrivendo la parabola discendente
di un modello di democrazia, per così dire, nazionale.
Sebbene tutti i componenti formali della democrazia sopravvivano, in questa fase
postdemocratica gli interessi particolari vengono tradotti in linee di condotta politica
generale.
Scarica

stati e mercati - Dipartimento di Sociologia