Pedagogia dell’arte
Stefano Polenta
AA 2013-14
Scrive Tullio Regge, scienziato relativista:
La realtà esiste quando le sensazioni provocano in noi una
reazione istintiva senza ricorso a una sequenza di deduzioni
logiche. Per sopravvivere l’uomo primitivo doveva accertare
d’istinto l’esistenza di potenziali nemici e delle prede, e questa
pulsione ancestrale, che chiamerò Urtrieb, è rimasta in noi:
scomparsa la tigre dai denti a sciabola ci spinge a recepire e poi
analizzare la realtà. L’abitudine alla realtà richiede ambedue
queste componenti.
Condizioni essenziali per l’abitudine sono l’Urtrieb, ma anche la
continuità e la consistenza dei dati empirici. Una sequenza di
immagini scelte a caso che scorrono in rapida successione
provoca una sensazione che si trasforma ben presto in noi in
disinteresse e non dà luogo ad apprendimento. […] La continuità è
la prima manifestazione visibile della razionalità dell’universo e
delle leggi che lo regolano e i tentativi di un lattante di afferrare gli
oggetti intorno a sé sono l’esordio del metodo sperimentale: chi
nega la validità scientifica di questo metodo rinnega le proprie
origini…
…Non vedo differenza, se non quantitativa tra quanto apprende
un bambino e quanto apprende uno scienziato durante il corso
della sua ricerca. Tutti e due procedono spinti dall’Urtrieb e
analizzano il mondo con gli strumenti a disposizione. La ricerca
ha per noi anche un aspetto ludico ma non a caso è ben noto
che il gioco è cosa seria per il bambino e lo prepara alla vita
adulta. […]
Comprensibilità e incomprensibilità del reale sono aspetti
particolari e conseguenza di leggi naturali il cui dominio di
applicazione si è enormemente ampliato negli ultimi tre secoli; le
loro origini rimangono insondabili ma continuano ad affascinare
chi come me e i miei colleghi è ancora in preda dell’Urtrieb e
considera la scienza un gioco meraviglioso. Lo stesso Einstein
ha detto che “la cosa più incomprensibile dell’universo è che è
comprensibile”.
(T. Regge, 2000, pp. 24-27)
Scrive, in modo analogo, John Dewey:
Per molti anni ho pensato e insegnato che l’esperienza è
un’interazione fra l’io (self) e qualche aspetto del suo
ambiente. L’azione intenzionale (purposeful) ed intelligente è il
mezzo grazie al quale questa interazione è resa significante. Nel
corso di tale azione, gli oggetti acquistano significato e l’io diventa
consapevole delle sue capacità, perché, mediante il controllo
intelligente dell’ambiente, dirige e consolida i suoi personali poteri.
Un’azione intenzionale è così la meta di tutto ciò che è realmente
educativo ed è il mezzo con il quale la meta è raggiunta ed il suo
contenuto è rielaborato. Un’attività siffatta è necessariamente una
crescita ed un processo di crescita. Essa comincia quando un
bambino compie i suoi primi adattamenti intenzionali all’ambiente;
via via che li compie, egli acquista atteggiamenti e abitudini che lo
rendono capace di allargare i suoi scopi, di scoprire ed usare i
mezzi ed i metodi per raggiungere scopi più ampi. In questo
processo del vivere intelligente non c’è alcun limite intrinseco. Esso
dovrebbe continuare dall’infanzia alla morte. l’arresto della crescita
continua è una forma di decadenza e di morte premature.
Nel vivere intelligente, l’interazione dell’io e del suo mondo
non lasciata al caso, l’azione (nel senso ristretto della parola),
l’emozione e l’intelletto sono tutti coinvolti. L’adattamento
intelligente dell’io agli oggetti ed agli avvenimenti circostanti
equilibra queste funzioni. Il pensiero allora diventa conoscenza
e comprensione profonda (insight); l’emozione diventa
interesse e le risposte motorie diventano padronanza degli
oggetti e delle qualità che ci stanno intorno, e delle capacità
umane ad essi relative. L’arresto del processo di crescita è di
fatto l’arresto del vivere intelligente, dell’educazione. La crescita,
il vivere intelligente e l’educazione hanno molti nemici. Questi
nemici sono potenti. Essi sono, purtroppo, rafforzati dalle
pratiche che dominano i veicoli che fanno professione di
educazione, le scuole e le istituzioni chiamate educative.
(Dewey, J. [1935], Prefazione a The Art of Renoir di A.C.
Barnes e V. De Mazia, in Dewey, J. [1954], Educazione e arte,
Tr. it. La Nuova Italia, Firenze 1977, pp. 3-4)
Le emozioni, per Dewey, sono connesse con il
significato di oggetti e con un’azione intenzionale e
sono interessi che uniscono l’io al mondo in
cambiamento.
Quando, però, esse vengono lasciate fluttuare
liberamente al di fuori del legame che unisce il
soggetto al mondo, “invece di dare un’ancora di
salvezza sicura, esse si dissolvono in fantasticherie
che si interpongono tra l’io e il mondo”.
Nel campo artistico dell’esperienza più che in
qualunque altro, l’abitudine a separare la mente
(attiva nell’osservazione e nella riflessione) e
l’emozione è profondamente radicata. In questo
campo, i danni di questa abitudine sono
particolarmente notevoli. L’educazione, che è
essenzialmente addestramento alla percezione, è
messa da parte. Tra l’io ed il mondo percepibile
intervengono un’emozione privata ed un giudizio
altrettanto privato, perché essi non sono basati su
una percezione consapevole degli oggetti e delle
loro relazioni reciproche.
(Dewey, J. [1935], Prefazione a The Art of Renoir di
A.C. Barnes e V. De Mazia, cit.)
…l’impulso o il bisogno di un individuo a partecipare ad
un’impresa è un presupposto necessario perché la tradizione
possa essere un fattore della sua crescita personale in
capacità e libertà; e dobbiamo riconoscere anche che egli deve
osservare per suo conto e sotto il suo personale punto di vista le
relazioni tra mezzi e metodi impiegati e risultati conseguiti. Nessun
altro può vedere per lui ed egli non può osservare soltanto in base
a quanto viene ordinato, sebbene il retto modo di comandare possa
guidare la sua osservazione e possa così aiutarlo a vedere ciò che
ha bisogno di vedere. E se egli non ha un desiderio personale che
lo stimoli a diventare carpentiere, se il suo interesse ad essere tale
è superficiale, se è un interesse a non essere affatto carpentiere,
ma è solo interesse ad ottenere un compenso in danaro tramite un
lavoro, allora naturalmente la tradizione non penetrerà mai
realmente nelle sue capacità e non le completerà. Rimarrà allora
un insieme di regole meccaniche e più o meno insignificanti che
egli è costretto a seguire, se deve avere un lavoro e ricavarne la
paga. (Dewey J. [1926], Individualità ed esperienza, Tr. it. in Dewey
1954, cit., pp. 22-23)
Le tradizionali teorie filosofiche e psicologiche ci hanno
abituato a nette separazioni tra i processi fisiologici ed
organici da un lato e le manifestazioni più alte della
cultura nella scienza e nell’arte dall’altro. Queste
separazioni sono riassunte nella comune divisione che
si fa tra mente e corpo. Queste teorie ci hanno anche
abituato a tracciare rigide separazioni tra le operazioni
logiche, strettamente intellettuali, che culminano nella
scienza, i processi emotivi e immaginativi, che
dominano la poesia, la musica e in misura minore le arti
plastiche, e le azioni pratiche che regolano la nostra
vita quotidiana e che si risolvono in attività industriali,
economiche e politiche. Da queste separazioni è
derivata la creazione di un gran numero di problemi […]
Tra la cura della scienza, l’arte per l’arte, gli affari
come qualcosa di abitudinario o come attività per far
soldi, l’esilio della religione alla domenica ed ai giorni
festivi, il passaggio della politica in mano ai politicanti
di professione, la trasformazione degli sports in
mestieri e così via, sono rimaste poche occasioni per
vivere, per l’amore per vivere, per una vita piena, ricca
e libera. (Dewey J. [1926], Pensiero affettivo nella
logica e nella pittura, Tr. it. in Dewey 1954, cit.)
Blake
Newton
Per afferrare le fonti dell’esperienza estetica è perciò
necessario ricorrere alla vita animale al di sotto della
scala umana. Gli atti della volpe, del cane e del tordo
possono valere almeno a ricordare e simboleggiare
quella unità dell’esperienza che noi frazioniamo tanto,
quando il lavoro diventa fatica, e il pensiero ci astrae
dal mondo. L’animale vivo è pienamente presente,
tutto là, in ognuna delle sue azioni: nelle sue occhiate
caute, nel suo annusare accorto, nel suo drizzare gli
orecchi improvvisamente. Tutti i suoi sensi
indistintamente stanno sul chi vive. Se state attenti,
vedete il movimento confondersi con la sensazione e
la sensazione con il movimento, determinando quella
grazia animale con la quale all’uomo riesce così
difficile gareggiare. (Dewey, 1934, p. 25)
Recenti progressi in alcuni principi generali
fondamentali a proposito delle funzioni biologiche in
generale e di quelle del sistema nervoso in particolare
hanno reso un preciso concetto di un continuo sviluppo
dalle funzioni più basse a quelle più alte. […] C’è stato
per lungo tempo un discorso vago sull’unità
dell’esperienza e della vita mentale, nel senso che
conoscenza, sentimento e volizione sono tutte
manifestazioni delle medesime energie, ecc.
(Dewey J. [1926], Pensiero affettivo nella logica e nella
pittura, cit. p. 30)
Dewey: Arte come esperienza
(1934)
1 – la creatura vivente
• A chi comincia a scrivere sulla filosofia delle belle arti
si impone un compito primario: ripristinare la
continuità tra quelle forme raffinate e intense
d’esperienza che sono le opere d’arte e gli eventi,
i fatti e patimenti di ogni giorno. Le cime delle
montagne non fluttuano senza e neppure poggiano
sul terreno
– Per comprendere l’arte occorre partire da ciò che suscita
l’interesse dell’uomo: l’auto dei pompieri che passa, la
soddisfazione di un lavoro manuale…
•  si vedrà allora che l’arte permette di
intensificare il senso della esperienza
immediata.
•  Vi è una normale evoluzione delle
comuni attività umane in elementi di
valore estetico
• Ma se in ogni esperienza normale è implicita una
qualità artistica ed estetica, in che modo potremo
spiegare come e perché essa di solito non riesce a
diventare esplicita? Per capire ciò, occorre capire
cosa si intende per “esperienza normale”.
• La vita si sviluppa in un ambiente: non
solo in esso, ma a causa sua, interagendo con
esso.
Nessuna creatura vive soltanto dentro la propria pelle.
[…] In ogni momento l’essere vivente è esposto ai
pericoli del mondo circostante, e in ogni momento
deve prelevare qualcosa dal mondo circostante per
soddisfare i suoi bisogni. La vita e il destino di un
essere vivente sono connessi ai suoi scambi con
l’ambiente, non esteriormente, ma nella maniera più
intima.
Il ringhiare del cane che tiene stretto l’osso, il suo latrato nei
momenti di sconforto e di solitudine, il suo scodinzolio al ritorno
dell’amico uomo, sono tutte espressioni di quel legame che è tra
l’essere vivente e il mezzo naturale nel quale è incluso l’uomo e
l’animale che egli ha addomesticato. Ogni bisogno, di aria fresca o
di cibo che sia, è una mancanza che tradisce per lo meno la
temporanea assenza di un adeguato adattamento al mondo
circostante. Ma esso è anche un’esigenza, un protendersi verso
l’ambiente per colmare il vuoto e determinare un nuovo
adattamento creando per lo meno un temporaneo equilibrio. La vita
consiste in fasi in cui l’organismo perde il passo rispetto alla marcia
delle cose circostanti e poi lo recupera, o con uno sforzo o per
qualche felice circostanza. E in una vita che si sviluppa, il ricupero
non è mai un mero ritorno allo stato precedente, in quanto esso si è
arricchito dello stato di squilibrio e di resistenza attraverso il quale è
passato con successo. Se il vuoto tra l’organismo e l’ambiente è
troppo largo, l’essere vivente muore. Se la sua attività non viene
intensificata da un momentaneo dislivello, esso non fa che
vegetare. La vita si sviluppa allorché un momentaneo sbandamento
permette il passaggio a un equilibrio più vasto tra le energie
dell’organismo e quelle delle condizioni in cui esso vive.
Questi luoghi comuni biologici sono qualcosa di più di luoghi
comuni biologici; essi toccano le radici dell’estetico nell’esperienza.
…se la vita continua e se, continuando, si espande, vi è un
sopravvento su fattori di opposizione e contrasto; vi è una
trasformazione di essi in aspetti differenziati in una vita più potente e
significante. Ha effettivamente luogo il miracolo dell’adattamento
vitale, organico, attraverso l’espansione (anziché mediante la
contrazione e l’accomodamento passivo). Vi sono qui il germe
dell’equilibrio e armonia, raggiunti attraverso il ritmo. L’equilibrio
vien fuori non inerte e meccanico, ma da una tensione e per una
tensione. Nella natura, anche sotto al livello della vita, vi è
qualcosa di più di un semplice mutare e fluire. La forma è
raggiunta ogni qual volta è raggiunto un equilibrio stabile… […]
L’ordine non è imposto dal di fuori, ma è costituito dai
rapporti di reazione armonica che le energie producono
l’una sull’altra. Poiché è attivo (e non statico come sarebbe se
fosse estraneo a ciò che si svolge), l’ordine si sviluppa da sé.
[…] L’ordine non può essere che oggetto di ammirazione in un
mondo costantemente minacciato dal disordine. […]
In un
mondo come il nostro ogni essere vivente che raggiunga
sufficiente sensibilità ogni qual volta trovi attorno a sé un ordine
confacente accoglie l’ordine corrispondendogli con un
sentimento di armonia.
Il recupero di un’ordinata partecipazione
all’ambiente dopo una rottura ha i germi di una
perfezione simile all’estetico.
Mancanza e recupero dell’armonia avvengono
nell’uomo coscientemente.
L’emozione è il segno consapevole di una rottura,
attuale o imminente. La discordanza è l’occasione che
induce alla riflessione. Il desiderio di ripristinare l’unità
converte la mera emozione in interesse per gli oggetti
come condizioni per realizzare l’armonia. Con la
realizzazione, viene incorporato negli oggetti, assieme
al loro significato, un materiale di riflessione. Poiché
l’artista si cura in modo particolare della fase
dell’esperienza in cui l’unità viene raggiunta, egli non
rifugge i movimenti di resistenza e di tensione.
Piuttosto li coltiva, non fine a se stessi, ma in quanto il
loro potenziale reca alla coscienza vivente
un’esperienza che è unificata e totale.
La strana opinione che un artista non pensi e un ricercatore
non faccia altro che pensare è il risultato della conversione di
una differenza di tempo e di accento in un differenza di
qualità.
La natura […] è amabile e odiosa, dolce e bisbetica, irritante
e confortante. Persino parole come lungo e corto, pieno e
vuoto, comportano ancora per tutti, eccetto che per coloro
che sono intellettuali di professione, un significato morale ed
emotivo. Il vocabolario informerà chiunque lo consulti che
l’uso primitivo di parole come dolce e amaro non doveva
indicare qualità di sensazioni come tali, ma discriminare cose
in quanto favorevoli e ostili.
Il contrasto del vuoto e del pieno, della lotta e del successo,
dell’adattamento che segue il superamento di una irregolarità,
costituiscono il dramma in cui azione, sentimento e
intenzione sono tutt’uno. Il risultato è un equilibrio e uno
squilibrio. Questi non sono né statici né meccanici. Essi
esprimono una potenza che è intensa in quanto è misurata
dal superamento di una resistenza. […] In un mero
scorrere delle cose il mutamento non sarebbe
cumulativo; non muoverebbe verso una
conclusione. La stabilità e il riposo non ci sarebbero. Allo
stesso modo è vero, tuttavia, che un mondo finito, completo,
non avrebbe tratti di sospensione e di crisi e non offrirebbe
nessuna possibilità di soluzione. Laddove ogni cosa è già
completa non esiste compimento. Ci prospettiamo con
piacere il Nirvana e una felicità celestiale e uniforme soltanto
perché essi si proiettano sullo sfondo di questo nostro mondo
di violenza e di lotta.
• Vi possono essere piaceri occasionali e superficiali.
Essi non vanno disprezzati.
Ma felicità e gioia sono un’altra cosa. Esse nascono
da un soddisfacimento che è un adattamento di tutto
il nostro essere alle condizioni dell’esistenza.
Nella vita veramente ogni cosa si unifica e si confonde. Ma troppo
spesso noi ci troviamo in apprensione per ciò che il futuro può
portare, e siamo divisi dentro noi stessi. Persino quando la nostra
ansia non è eccessiva, non godiamo il presente in quanto lo
subordiniamo a ciò che è assente. […] Soltanto quando il passato
cessa di travagliare e le anticipazioni del futuro non turbano,
l’essere è completamente unito con il suo ambiente e perciò
completamente vivo. L’arte celebra con particolare intensità i
momenti in cui il passato rafforza il presente, e il futuro è una
accelerazione di ciò che ora è.
Per afferrare le fonti dell’esperienza estetica è perciò
necessario ricorrere alla vita animale al di sotto della scala
umana. Gli atti della volpe, del cane e del tordo possono valere
almeno a ricordare e simboleggiare quella unità dell’esperienza
che noi frazioniamo tanto, quando il lavoro diventa fatica, e il
pensiero ci astrae dal mondo. L’animale vivo è pienamente
presente, tutto là, in ognuna delle sue azioni: nelle sue occhiate
caute, nel suo annusare accorto, nel suo drizzare gli orecchi
improvvisamente. Tutti i suoi sensi indistintamente stanno sul chi
vive. Se state attenti, vedete il movimento confondersi con la
sensazione e la sensazione con il movimento, determinando quella
grazia animale con la quale all’uomo riesce così difficile gareggiare.
2 – L’essere vivente e le “cose eteree”
• La cultura è frutto dell’interazione con l’ambiente e non
qualcosa che nasce nel vuoto o magari dalla
riflessione degli uomini su loro stessi. “La profondità
degli echi suscitati dalle opere d’arte dimostra la loro
continuità con gli atti di questa lunga esperienza. Le
opere e gli echi che esse producono formano una
continuità con i reali processi della vita in quanto questi
sono condotti a una conclusione inaspettatamente felice”.
Quando sono lontano dalla vista dell’erba che vive e cresce o dal
canto degli uccelli e da tutti i suoni della campagna, sento di non
essere veramente vivo […] quando sento qualcuno che dice di non
aver trovato il mondo e la vita gradevoli e interessanti al punto di
amarli, o che pensa con animo indifferente alla loro fine, posso
credere che egli non è mai stato veramente vivo e che non ha mai
avuto un’immagine chiara del mondo di cui pensa così male oppure
non ne ha visto nulla, neppure un filo d’erba (W.H. Hudson).
• Dewey parla dell’affinità fra il misticismo
dell’abbandono estetico e quello che i religiosi
indicano con comunione estatica. Hudson lo ricorda
a proposito della sua fanciullezza e dell’effetto che
faceva su di lui la vista
dell’ondeggiante fogliame piumato [di un’acacia] nella
notte lunare […] che faceva apparire quest’albero più
intensamente vivo degli altri, più consapevole di me e
della mia presenza… simile al sentimento che qualcuno
avrebbe potuto provare se fosse stato visitato da un
essere soprannaturale qualora egli fosse convinto che
esso era là presente per quanto silenzioso e invisibile,
intento a guardarlo e a divinare ogni pensiero della sua
mente.
• Dewey cita anche Emerson, che normalmente viene
ritenuto un pensatore austero:
Attraversando una landa deserta, nella neve fangosa, al
crepuscolo, sotto un cielo nuvoloso, senza avere nella mente
il pensiero di nessun evento specialmente felice, mi sono
messo a ridere perfettamente di gusto. Provo contentezza
sull’orlo della paura.
• Dewey commenta: Non vedo alcun modo di rendersi conto
della molteplicità delle esperienze di questo tipo (qualcosa di
simile si trova in ogni reazione estetica spontanea e
inespressa) fuorché nel fatto che in esse vengono messe in
azione risonanze di tendenze acquisite nei rapporti originari
dell’essere vivente con il mondo circostante, e
irrimediabilmente perdute a una consapevolezza distinta o
intellettiva. Esperienze del tipo ricordato ci portano a una
nuova considerazione che attesta questa continuità
naturale. Un’esperienza sensibile immediata ha una
capacità senza limite di assorbire in sé significati e valori che
in sé e per sé (cioè in astratto), si direbbero “ideali” e
“spirituali”. Lo sforzo animistico dell’esperienza di Hudson, è
esemplare di un certo livello di esperienza. E il poetico, con
qualsiasi mezzo, è sempre strettamente apparentato
all’animistico. E se ci rivolgiamo a un’arte che per molte vie è
all’altro polo, all’architettura, apprendiamo come taluni
concetti, forse elaborati dapprima con un pensiero altamente
tecnico come quello matematico, hanno la capacità di
incorporarsi direttamente in forme sensibili.
• A proposito del senso dei riti primitivi, Dewey dice che non li si
può confinare all’intento magico di assicurarsi la pioggia, i figli,
il raccolto, il successo in battaglia.
Naturalmente essi avevano anche questo intento magico, ma furono eseguiti a
lungo, possiamo esserne sicuri, nonostante ogni fallimento pratico, in quanto
erano una immediata intensificazione dell’esperienza della vita. I miti erano
qualcosa di diverso da intellettualistici tentativi scientifici dell’uomo primitivo.
L’ostacolo costituito da ogni fatto che non fosse familiare ebbe senza dubbio la
sua parte. Ma il piacere del raccolto, dello svilupparsi e del risolversi di una
buona trama, rappresentò una parte dominante allora come la rappresenta oggi
nello sviluppo delle mitologie popolari. […] L’introduzione sopranaturale nelle
proprie credenze e il facile e fin troppo umano rifugiarsi in esso è molto più
questione della psicologia che produce un’opera d’arte che non di uno sforzo di
spiegazione scientifica e filosofica. Esso intensifica il brivido emotivo della
consueta routine. Se il potere del sovrannaturale sul pensiero umano fosse
esclusivamente o anche principalmente un fatto intellettuale, sarebbe
relativamente insignificante. Teologie e cosmogonie si sono impossessate della
fantasia perché sono state accompagnate da solenni processioni che suscitano
meraviglia e inducono a una ammirazione ipnotica. Cioè esse sono arrivate
all’uomo attraverso un appello diretto al senso e all’immaginazione sensuosa.
La maggior parte delle religioni hanno identificato i loro concetti sacri con i più
alti capolavori artistici […] I voli dei fisici e degli astronomi odierni rispondono al
bisogno estetico di soddisfare l’immaginazione piuttosto che a una rigorosa
esigenza di prove spassionate di una interpretazione razionale.
La maggior parte degli uomini procede con la stessa istintività, con la stessa
mira incrollabile del falco. Il falco ha bisogno di una compagna, l’uomo fa lo
stesso: guardateli, tutti e due vanno in giro e se la procurano nella stessa
maniera. Tutti e due hanno bisogno di un nido e tutti e due si accingono a
farselo alla stessa maniera, e alla stessa maniera si procurano il cibo. Il nobile
animale Uomo per divertirsi fuma la pipa – il falco si libra sopra le nuvole –
questa è l’unica differenza del loro riposo. Questo è ciò che costituisce lo
spasso della Vita per uno spirito speculativo.
Esco tra i campi – scorgo per un istante un ermellino o un topo di campagna
che corrono: perché? La creatura ha un intento e i suoi occhi se ne illuminano.
Cammino tra gli edifici di una città e vedo un Uomo che si affretta: Perché? La
Creatura ha un suo intento e gli occhi se ne illuminano.
Anche in questo caso, benché io segua lo stesso corso istintivo del più autentico
animale umano al quale io possa pensare, tuttavia, benché giovane, io scrivo a
caso sforzandomi di trovare barlumi di luce in mezzo a una grande oscurità,
senza conoscere la portata di nessuna affermazione o opinione. Tuttavia posso
in questo non essere libero da peccato? Non vi possono essere esseri superiori
divertiti da tutti gli atteggiamenti nei quali può cadere la mia mente allo stesso
modo come io sono divertito dalla prestezza dell’ermellino o dall’ansietà del
cervo? Benché si debba aborrire una rissa per la strada, le energie che in essa
si dispiegano sono belle; l’Uomo più comune ha una grazia nella rissa. Visti da
un essere soprannaturale i nostri ragionamenti possono assumere lo stesso
aspetto: benché sbagliati possono essere belli. In questo consiste veramente la
poesia. Si può trattare benissimo di ragionamenti, ma quando essi assumono
una forma istintiva, come quelle delle forme e dei movimenti animali, essi sono
poesia, sono belli; hanno grazia (Keats).
• In un’altra lettera, Keats parla di Shakespeare come di un
uomo di enorme “Capacità Negativa”; come di un uomo
capace di rimanere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio
senza nessuna eccitata tensione di arrivare al fatto o alla
ragione. In tal senso lo contrappone al contemporaneo
Coleridge, che quando non poteva giustificare
intellettualmente l’oscurità si abbandonava all’intuizione
poetica. Non era capace di accontentarsi, come diceva
Keats, di una “mezza conoscenza”.
• Keats confessa a Bailey di
…non essere mai stato ancora capace di capire come si possa
conoscere qualcosa per vera mediante un ragionamento
conseguente […] come possa darsi che persino il più grande
Filosofo sia mai arrivato al suo scopo senza accantonare
numerose obiezioni.
• Domandandosi, in realtà, se anche il ragionatore non
debba fidarsi delle sue “intuizioni”, di ciò che è arrivato a
lui attraverso la sua immediata esperienza sensibile ed
emotiva, di ciò che è arrivato a lui attraverso la sua
immediata esperienza sensibile ed emotiva, anche
contro le obiezioni che la riflessione presenta. Continua
Keats:
Infatti il semplice spirito fantastico può averla vinta reiterando
il proprio lavorìo silenzioso che interviene continuamente nello
Spirito con una mirabile prontezza.
• Così commenta Dewey la frase di Keats:
È un’osservazione che contiene più psicologia del pensiero
produttivo di molti trattati.
Nonostante il carattere ellittico delle affermazioni di Keats
emergono due punti. Uno di essi è la convinzione che i
“ragionamenti” hanno un’origine simile a quella dei
movimenti di una creatura selvaggia che si dirige verso uno
scopo, e che possono divenire spontanei, “istintivi”, e
quando sono istintivi sono sensuali e immediati, poetici.
L’altro aspetto di questa convinzione è di credere che
nessun “ragionamento”, come tale, cioè escludendo
fantasia e senso, possa raggiungere la verità. Anche il più
grande filosofo esercita una preferenza di tipo animale
guidando il suo pensiero alla conclusione. Egli sceglie e mete
da parte il suo pensiero alla conclusione. Egli sceglie e mette da
parte nel modo in cui spingono i suoi sentimenti immaginativi. La
“ragione” al suo apice non può raggiungere una presa completa
e una sicurezza propria. Essa deve ricadere sull’immaginazione,
sull’incarnazione delle idee in sensazioni cariche di emotività.
• Dewey ricorda i famosi versi di Keats:
Bellezza è verità, verità è bellezza – questo è tutto
Ciò che sapete sulla terra, e che avete bisogno di sapere
• Per “vero”, spiega Dewey, Keats non intendeva
qualcosa di intellettuale, ma soprattutto la saggezza
connessa al problema del male e la giustificazione
del bene e della fede nonostante l’abbondare del
male e della distruzione. Keats, al pari di
Shakespeare, non accettò sostituti e si accontentò di
quel che la fantasia può offrire all’uomo: “Questo è
tutto ciò che sapete sulla terra e che avete bisogno
di sapere”.
Cap. 3 – fare un’esperienza
• Un’esperienza è un intero: si fluisce da qualcosa
verso qualcosa; nell’esperienza del pensiero, la
conclusione è il perfezionamento di un movimento
 la conclusione di un’esperienza non è una
stasi, ma è il termine di una maturazione che si
raggiunge quando le energie attive al suo
interno hanno svolto la propria opera
• Un’esperienza ha un punto focale, una qualità che
la pervade: quel pasto, quella rottura dell’amicizia.
• Una esperienza ha una qualità emotiva appagante
quando raggiunge al suo interno integrazione e
compimento  la dimensione emotiva lega tra
loro le parti in un unico intero.
• Quando non c’è interesse unificante, l’esperienza
o è in balia di circostanze che la determinano
dall’esterno o si disperde dall’interno
 i nemici dell’estetico non sono né il pratico
né l’intellettuale, ma la monotonia, l’inerzia
dovuta a fini vaghi, la sottomissione alla
convenzione e alla prassi.
• Per Dewey l’arte è l’unica forma che riesce a
rendere l’interezza del processo vitale
Dove cercare il resoconto di un’esperienza, quale quella
di due persone che si incontrano per un colloquio per un
posto di lavoro? Non nelle colonne di un libro contabile,
né in un trattato di economia o sociologia del personale,
ma in una rappresentazione teatrale o in una narrazione.
La sua natura e il suo significato si possono esprimere
solo con l’arte, poiché c’è un’unità esperienziale che si
può esprimere solo con l’esperienza.
• Un’esperienza è un mettersi in relazione di
azioni e passioni: mettere la mano sul fuoco e
ritrarla non è operazione dell’intelligenza, ma
quando queste due azioni sono connesse
dall’intelligenza allora si produce significato
• Fare e subire devono nell’opera essere in
relazione, formando l’intero della percezione. Se
invece il creare è solo esibizione di virtuosismo
tecnico e il subire è l’effusione di un sentimento non
si ha compimento artistico. Se nel corso del suo fare
l’artista non dà compimento a una nuova visione,
egli agisce meccanicamente e ripete qualche
modello prefissato.
• ESTRINSECO VS. INTRINSECO:
“L’estrinsecità può anche essere
considerata una definizione del nonestetico”
[Per Luigi Pirandello:
– l’arte, quando è vera arte, crea “una realtà che ha
solamente in sé stessa le sue necessità, le sue leggi, il
suo fine, poiché la volontà non agisce da fuori, […] ma
agisce interiormente”
– L’unica vera tecnica, in arte, si ha quando cessiamo di
volere una “forma così o così, per un nostro fine; ma è
lei, assolutamente libera, poiché non ha altro fine che in
se stessa, lei che si vuole e provoca in sé e in noi gli atti
capaci di effettuarla fuori in un corpo: statua, quadro,
libro; e allora soltanto il fatto estetico è compiuto”]
• Quando v’è frenesia la possibilità di portare a
compimento l’esperienza è ridotta
• Per quel che riguarda la qualità fondamentale dei
quadri, la differenza dipende più dalla qualità
dell’intelligenza che viene messa nella percezione di
relazioni che da ogni altra cosa – sebbene certamente
l’intelligenza non possa essere separata dalla
sensibilità diretta e sia connessa, anche se in maniera
più estrinseca, con l’abilità  l’artista è una persona
dotata di particolare sensibilità per le qualità delle
cose.
• L’abilità dell’artefice, per essere indubitabilmente
artistica, dev’essere “amorosa”; deve prendersi cura a
fondo del contenuto su cui si esercita la sua tecnica
• La ricettività non è passività: il
riconoscimento non è un semplice apporre il
“cartellino giusto”, l’etichetta; ma neanche
comporta un’emozione interna che si
accompagna alla percezione: non vi è
percezione + emozione, ma sin dall’inizio la
percezione è pervasa emotivamente
 la dimensione estetica comporta sì un abbandonarsi,
un ricevere, ma tale ricettività comporta un fuoriuscire
dell’energia allo scopo di ricevere! L’idea che la
percezione estetica sia una questione a cui dedicarsi
solo a tempo perso è uno dei motivi dell’arretratezza
delle arti tra di noi.
• Per percepire, chi osserva deve creare la sua
propria esperienza. E la sua creazione deve
includere relazioni comparabili a quelle che
provò il produttore originario.
• Senza un atto di nuova creazione l’oggetto non
viene percepito come un’opera d’arte. L’artista
ha selezionato, semplificato, capito, condensato
secondo il proprio interesse. Chi osserva deve
passare attraverso queste operazioni secondo il
proprio punto di vista e il proprio interesse. C’
un lavoro che viene svolto sul versante di chi
percepisce così come ce n’è uno sul versante
dell’artista.
4 – l’atto dell’espressione
• L’impulso designa un movimento all’infuori e in
avanti dell’intero organismo  l’impulso è lo
stadio iniziale di ogni esperienza compiuta. Se
si osservano i bambini, essi mettono in gioco
l’intero sé
• È destino delle creature non potersi garantire ciò
che spetta loro senza avventurarsi nel mondo
estraneo. Avventurandosi nel mondo, sia che si
fallisca, sia che si abbia successo, il Sé non
restaura semplicemente l’ordine precedente,
perché gli atteggiamenti del Sé acquistano
significato.
• Se il Sé non incontrasse resistenza, non
riuscirebbe nemmeno a rendersi conto di se
stesso: la mera opposizione crea rabbia, ma
una resistenza che sollecita il pensiero crea
curiosità e attenzione e, quando è vinta e
asservita, sfocia nell’esultanza [cfr. esperienza
flow]. Che tensione richiami energia e che la
totale mancanza di opposizione non favorisca
uno sviluppo normale non fatti noti. In generale
riteniamo auspicabile lo stato di cose in cui vi è
equilibrio tra condizione che agevolano e
condizioni che frenano
• Lo sfogo emotivo è condizione necessaria, ma non
sufficiente, dell’espressione: sfogarsi è sbarazzarsi
di qualcosa; esprimere è trattenere qualcosa.
Quando non si gestiscono le condizioni oggettive,
quando non si plasmano i materiali al fine di dar
corpo all’eccitamento, non c’è espressione.
• Il bimbo inizia a capire progressivamente il
significato delle sue urla, dei suoi balbettii in base
alle reazioni che questi atti suscitano: comincia così
a rendersi conto del significato di ciò che fa  lo
sfogo manca di medium; solo dove il materiale è
impiegato come media c’è espressione e arte [cfr.
Bion]
• Quando natura e educazione si fondono in unità, gli
atti di relazione sociale sono opere d’arte.
• Ma  la connessione tra un medium e l’atto di
espressione è intrinseca: l’opera del poeta – dice
Alexander – gli viene estorta dall’argomento che lo
stimola.
• Non esistono cose come l’amore e l’odio: un poeta e
un narratore hanno un’immenso vantaggio rispetto a
uno psicologo esperto: costruiscono una situazione e
fanno sì che essa sia a suscitare una risposta emotiva
• L’operazione di selezione dei materiali effettuata in
modo potente da un’emozione in evoluzione
condensa materiali i più disparati: questa funzione
crea l’ “universalità” dell’arte.  siamo disturbati
quando sentiamo che non c’è un’emozione
personale a guidare la selezione dei materiali, ma
quando v’è un’intenzione calcolata  l’emozione
agisce come un magnete
• Maturazione subcosciente…
• Pensare direttamente in termini di suoni e colori
è diverso dal pensare in parole
• L’arte non è natura, è natura trasformata dal suo
entrare in nuove relazioni suscitando una nuova
risposta emotiva  in tutte le popolazioni
primitive il lamento assume forma cerimoniale
che è distante dalla sua manifestazione
originaria
5 – l’oggetto espressivo
• L’ “espressione” non si riferisce semplicemente
all’oggetto, ma anche all’apporto individuale
 Se la visione è stata artistica o costruttiva
(creativa). La rappresentazione non è di “oggetti
come tali” [cfr. passaggio da un paradigma
istruttivo a un paradigma perturbativo]
l’espressione in quanto atto personale e
l’espressione in quanto risultato oggettivo sono
connesse organicamente l’una con l’altra
 in un dipinto, le linee e i colori si cristallizzano in
un’armonia invece che in un’altra sia in funzione di ciò
che si trova nella scena presente che in funzione di ciò
che l’osservatore porta con sé: “una certa sottile affinità
con la corrente della sua propria esperienza di creatura
vivente fa sì che linee e colori di sistemino secondo un
modello e un ritmo invece che un altro”.
La passionalità contrassegna l’osservazione: essa non è
indipendente da qualche emozione precedente presente
nell’esperienza dell’artista, ma essa viene rinnovata e
ricreata grazie alla fusione con un’emozione che
appartiene alla visione di un materiale qualificato
esteticamente
L’affermazione per cui il contenuto è irrilevante vincola chi
l’accetta a una teoria dell’arte assolutamente esoterica
Se un artista potesse accostarsi a una scienza senza
provare interessi né idee, senza un bagaglio di valori tratti
dalla sua esperienza precedente, teoricamente potrebbe
vedere linee e colori prendendo in considerazione
esclusivamente le loro relazioni in quanto linee e colori.
Ma questa è una situazione impossibile da soddisfare.
Inoltre, in un caso del genere, per l’artista non vi sarebbe
nulla per cui appassionarsi
Non importa quanto ardentemente l’artista possa
desiderarlo; nella sua nuova percezione l’artista non può
sbarazzarsi di significati resi solidi dal suo rapporto
passato con le cose che lo circondano, né può liberarsi
dell’influenza che essi esercitano su cosa e come egli
vede al momento: se potesse farlo e lo facesse non gli
rimarrebbe nessun modo di vedere un oggetto
Memorie che non sono necessariamente
coscienti, ma che sono ricordi incorporati
organicamente nella struttura stessa del sé,
alimentano l’osservazione presente.
Linee differenti e relazioni differenti tra linee si
sono caricate inconsciamente di tutti i valori che
derivano da ciò che hanno fatto nella nostra
esperienza in ogni nostro contatto con il mondo
che ci circonda
Non è esagerato dire che l’emozione a cui
mancano percorsi motori propri per operare
essendo priva di direzione renderà la percezione
confusa e distorta.
• Il significato di un’asserzione è generale; il
significato di un oggetto espressivo è individuale.
– Ad esempio, lo stato di beatitudine che è un tema
ricorrente dei dipinti religiosi, non sempre è “indicato”,
ma talvolta è “espresso”
– Tiziano, Giotto..
• Quindi: l’arte implica selezione. Quando manca
selezione o attenzione è priva di direzione, la
conseguenza è una miscellanea caotica.
• Il principio-guida della selezione è l’interesse:
un’inclinazione inconscia ma organica verso
determinati aspetti e valori del complesso e
variegato universo in cui viviamo. Il solo limite che
non va superato è che resti un qualche riferimento
alle qualità e alla struttura delle cose circostanti.
• Grazie alle abitudini formate nell’interazione con il
mondo noi anche in-abitiamo il mondo. Esso
diventa una dimora, e la dimora è parte di ogni
nostra esperienza
• La familiarità spinge all’indifferenza e il torpore
avvolge in un guscio l’espressività delle cose:
l’arte toglie il velo che nasconde l’espressività
delle cose esperite; ci distoglie dall’indolenza e
dalla routine e ci fa dimenticare noi stessi
facendoci ritrovare nel piacere dell’esperienza
del mondo che ci circonda nelle sue diverse
qualità e forme
• Alla fine le opere d’arte sono i soli media capaci
di una comunicazione completa e non
ostacolata tra uomo e uomo
6 – sostanza e forma
• Se si ritiene che il prodotto artistico sia prodotto di
un’espressione del sé, considerando il sé come
qualcosa di compiuto e isolato al proprio interno,
forma e sostanza risultano senz’altro separate
• Il materiale con cui viene composta un’opera d’arte
appartiene al mondo comune invece che al sé, e
tuttavia vi è espressione di sé in arte perché il sé
assimila quel materiale in modo peculiare così da
farlo riemergere nel mondo pubblico in una forma
tale che costituisce un nuovo oggetto. Il materiale
espresso non può essere privato. Tale situazione
si verifica in manicomio.
• Un’opera d’arte viene ricreata ogni volta che si
fa un’esperienza estetica perché ogni individuo
porta con sé un proprio modo di vedere e di
sentire.
• Il significato non è separato dalla qualità del medium
sensoriale; le opere d’arte sono letteralmente pregne
di significato.
• Non possiamo afferrare alcuna idea finché non
l’abbiamo avvertita e sentita come se fosse un
colore o un odore  chi pensa di dover elaborare
dettagliatamente il significato di ogni idea, si
smarrirebbe in un labirinto senza fine né centro.
Ogni volta che un’idea perde la propria qualità
immediatamente sentita, smette di essere un’idea e
diventa un simbolo algebrico. Quando c’è vera e
propria artisticità nella ricerca scientifica e nella
speculazione filosofica, chi pensa non procede né
secondo una regola e neppure alla cieca, ma
sfruttando significati che sussistono immediatamente
come sentimenti dotati di coloro qualitativo
• Opporre la qualità in quanto immediata e
sensoriale alla relazione in quanto puramente
mediata e intellettuale è sbagliato sia nell’arte
che in generale, sul piano psicologico e
filosofico: è sempre l’intero organismo che
interagisce con l’ambiente in ogni azione che
non sia routine.
• L’insincerità in arte ha ragioni estetiche e non
morali: la si riscontra ogni volta che sostanza e
forma si separano.
7 – storia naturale della forma
• In arte, come in natura e nella vita, una relazione è
una maniera di interagire. Le relazioni sono spinte
e tirate; sono contrazioni ed espansioni;
determinano leggerezza e peso, salite e discese,
armonia e discordia. Le relazioni tra amici, tra
marito e moglie, tra genitore e figlio, tra cittadino e
nazione, come quelle tra corpo e corpo nella
gravitazione e nell’azione chimica, possono essere
simbolizzate mediante termini o concetti e, quindi,
divenire contenuti di asserzioni in proposizioni. Ma
esistono come azioni e reazioni in cui le cose si
modificano
• La forma si può definire come l’effetto di forze
che portano a totale compimento l’esperienza
di un evento, di un oggetto, di una scena e di
una situazione.
• Non c’è semplice ammasso e cumulo di
sensazioni e valori, ma sviluppo, come avviene
con la crescita di un embrione vivente,
tensione interna.
• L’opera è così creata “da dentro”, non
conformandola a qualche obiettivo o stampo
esterno
 il pittore e il poeta, come il ricercatore scientifico,
conoscono il piacere della scoperta. Chi sviluppa la
propria opera come dimostrazione di una tesi
preconcetta può avere le gioie di un successo
egoistico, ma non la gioia di dare compimento a
un’esperienza per se stessa.
• Di fronte all’opera c’è un’alternanza ritmica di
abbandono e riflessione. Interrompiamo il nostro
abbandonarci all’oggetto per chiedere dove ci sta
portando e come lo sta facendo. Prima di tutto
viene però l’impatto con l’opera, che reca con sé
la qualità del vento, che soffia dove lo si sente.
L’inizio della comprensione estetica sta nel
coltivare queste esperienze personali. Il nutrirsi di
esse si trasformerà poi in discernimento. Sarà poi
l’educazione estetica a elevare l’impressione
diretta a un livello più alto.
• La prima caratteristica del mondo circostante
che rende possibile la forma artistica è il ritmo.
• Coleridge fa derivare l’origine del metro
dall’equilibrio che si genera nella mente dalla
tensione causata dal tenere a freno il mero sfogo
di una passione. C’è quindi una interpenetrazione
fra passione e volontà, fra impulso spontaneo e
proposito volontario
– La musica rende più complesso e intenso il
processo della reciproca sollecitazione geniale
di antagonismo, sospensione e rafforzamento,
quando le varie “voci” contemporaneamente si
oppongono e rispondono l’una all’altra
• …relazione fra il fare e subire di organismo e
ambiente il cui prodotto è un’esperienza.
• C’è una vecchia formula per la bellezza nella
natura e nell’arte: unità nella varietà. L’unità
nella varietà che caratterizza l’opera d’arte è
dinamica.
8 – l’organizzazione delle energie
• Dewey tenta di illustrare come l’opera d’arte
sia una sorta di unità dinamica nella quale
forze e spinte disimmetriche trovano ordine e
conciliazione, ma non in senso meccanico, ma
di modo che la tensione che risulta dalle
“energie” di cui è composta l’opera
permangano al suo interno: si tratta di un
ordine “in senso attivo”.
• Nella prima parte del capitolo Dewey parla di
“ritmo”: tutto in natura è regolato dal ritmo; ma
non si tratta del ritmo meccanico di un orologio, ma
di un ritmo che comporta una variazione costante,
non solo ordine statico.
• L’ordine è necessario per vivere, ma se c’è
troppo ordine allora si percepisce noia;
all’opposto, se c’è troppo cambiamento si
percepisce caos. [cfr. bordo fra ordine e caos].
– I “best sellers” vengono rapidamente assimilati
nell’esperienza e perdono ben presto la capacità di
fornire nuovi stimoli. “È un elemento di continua
variazione – nel rispetto delle relazioni dinamiche di
rafforzamento e conservazione – a rendere durevole un
quadro o una qualsiasi opera d’arte”
9 – la sostanza comune delle arti
• Qual è il contenuto appropriato di un’opera d’arte, i
soggetti che legittimamente essa può trattare? Dewey
parte sempre dalla sua idea che l’arte è come
l’esperienza: così come in questa vi deve essere una
relazione sentita da parte della creatura fra fare e
subire, un estendersi e un espandersi subendo,
contemporaneamente, reazioni e opposizioni da parte
della realtà; e l’inoltrarsi nella realtà diventa allora un
acquisir volume, ritmo, articolazione del tutto in parti, le
quali restano però connesse all’intero; così l’arte non
può che avere questa organicità e scaturire dal
movimento intrinseco del sentire – che pertanto deve
essere sincero – che rappresenta una sorta di presa di
contatto globale con l’esistenza, a partire dalla quale,
poi, prenderà articolazione e consistenza l’opera
• A tale proposito Dewey cita Tolstoj, per il quale
nella sincerità sta l’essenza dell’opera d’arte
L’artista non deve imbrogliare o scendere a
compromessi
• L’artista e chi percepisce cominciano non con
l’analizzare le singole parti, ma il tutto, un intero
qualitativo globale: Schiller diceva che la
percezione iniziale di un’opera non ha un oggetto
chiaro e distinto: all’inizio c’è solo una certa
tonalità emotiva musicale che col tempo diventa
idea poetica.
• Inoltre, la “tonalità” non solo viene prima, ma
permane anche dopo che sono emerse le
distinzioni e l’opera si è articolata; sin dall’inizio la
qualità totale ha una sua unicità, sebbene sia vaga
e indefinita. Questa qualità deve essere presente
in tutte le “parti”. Se manca questa qualità globale,
l’opera è sentita come meccanica
• Cose, oggetti sono solo punti focali di un intero
che si estende indefinitamente: questo
“sfondo” qualitativo è qualcosa di “mistico”,
nel senso che rappresenta una dimensione di
illimitatezza che circonda la percezione della
singola cosa.
• Ad esempio, afferma Dewey, quando vediamo un
albero o una roccia, e poi ci focalizziamo su alcuni
particolari, ad esempio il muschio che sta sulla roccia,
tuttavia manteniamo la visione specifica come
connessa ad un insieme più grande e comprensivo
che fa da fulcro alla nostra esperienza; i margini
sfumano in quella indefinita estensione che
l’immaginazione chiama universo. Questo senso
dell’intero comprensivo implicito nelle esperienze
comuni viene reso intenso all’interno della struttura di
un dipinto o di una poesia.  Coleridge ha detto che
ogni opera d’arte, per ottenere il suo pieno effetto,
deve avere attorno qualcosa di non compreso.
un’opera d’arte fa emergere e accentua questa qualità
di essere un intero e di appartenere a quell’intero più
grande, onnicomprensivo, che è l’universo in cui
viviamo. Credo, dice Dewey, che questo fatto spieghi
quel sentimento di acuta intelligibilità e chiarezza che
proviamo in presenza di un oggetto di cui si fa
esperienza con intensità estetica.
Abbiamo bisogno, anche quando focalizziamo un
singolo aspetto della realtà, di mantenere una
connessione con un’esperienza estesa e soggiacente
che rappresenta l’essenza dell’equilibrio mentale.
Questa non può essere il risultato di una riflessione.
Deve presentarsi come qualcosa di intrinseco e non di
estrinseco. L’ “ideale” immesso in maniera estrinseca
in un’opera risulta insulso e meccanico, mentre se
prende corpo in cose concrete un senso di “spirituale”
pervade l’esperienza delle cose.
• Nell’opera vi è una compresenza di integrazione e
differenziazione, di connessione al tutto e di
articolazione in parti. Dewey cita a questo proprosito un
acquarellista americano, John Martin, che ha affermato
con riferimento all’arte che
l’identità si delinea come la grande Ancora di Salvezza. E
come nel forgiare il l’uomo la natura è rimasta rigorosamente
fedele a Identità, Testa, Corpo, Membra e ai loro contenuti
distinti, identità in se stessi, in quanto ogni parte lavota al
suo interno ma anche attraverso e insieme alle altre parti, a
quelle vicine, cercando di avvicinarsi al megglio aun
equilibrio bello, così questo prodotto dell’Arte è composto da
identità tra loro contigue. […] E se i legami che connettono le
parti vicine non trovano un proprio posto e una propria parte,
il servizio è cattivo. Quindi questo prodotto dell’Arte è in sé
un villaggio
Leibniz ha sostenuto che l’universo è infinitamente
organico perché ogni cosa organica è costituita ad
infinitum da altri organismi. Questo, dive Dewey, è
sicuramente vero per l’Arte, perché ogni parte di
un’opera si presta a un’indefinita differenziazione
percettiva
Poiché la funzione della linea è quella di dar la
forma, differenziare, conferire il ritmo, Blake
sosteneva che la “grande regola aurea dell’arte,
come nella vita, è questa: più distinta, netta e tesa è
la linea che delimita, più perfetta è l’opera d’arte, e
meno essa è netta e decisa, maggiore è la prova di
immaginazione debole, plagio e incompetenza”
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Pedagogia dell`arte - alfabetico dei docenti 2009