Pedagogia dell’arte Stefano Polenta AA 2013-14 Scrive Tullio Regge, scienziato relativista: La realtà esiste quando le sensazioni provocano in noi una reazione istintiva senza ricorso a una sequenza di deduzioni logiche. Per sopravvivere l’uomo primitivo doveva accertare d’istinto l’esistenza di potenziali nemici e delle prede, e questa pulsione ancestrale, che chiamerò Urtrieb, è rimasta in noi: scomparsa la tigre dai denti a sciabola ci spinge a recepire e poi analizzare la realtà. L’abitudine alla realtà richiede ambedue queste componenti. Condizioni essenziali per l’abitudine sono l’Urtrieb, ma anche la continuità e la consistenza dei dati empirici. Una sequenza di immagini scelte a caso che scorrono in rapida successione provoca una sensazione che si trasforma ben presto in noi in disinteresse e non dà luogo ad apprendimento. […] La continuità è la prima manifestazione visibile della razionalità dell’universo e delle leggi che lo regolano e i tentativi di un lattante di afferrare gli oggetti intorno a sé sono l’esordio del metodo sperimentale: chi nega la validità scientifica di questo metodo rinnega le proprie origini… …Non vedo differenza, se non quantitativa tra quanto apprende un bambino e quanto apprende uno scienziato durante il corso della sua ricerca. Tutti e due procedono spinti dall’Urtrieb e analizzano il mondo con gli strumenti a disposizione. La ricerca ha per noi anche un aspetto ludico ma non a caso è ben noto che il gioco è cosa seria per il bambino e lo prepara alla vita adulta. […] Comprensibilità e incomprensibilità del reale sono aspetti particolari e conseguenza di leggi naturali il cui dominio di applicazione si è enormemente ampliato negli ultimi tre secoli; le loro origini rimangono insondabili ma continuano ad affascinare chi come me e i miei colleghi è ancora in preda dell’Urtrieb e considera la scienza un gioco meraviglioso. Lo stesso Einstein ha detto che “la cosa più incomprensibile dell’universo è che è comprensibile”. (T. Regge, 2000, pp. 24-27) Scrive, in modo analogo, John Dewey: Per molti anni ho pensato e insegnato che l’esperienza è un’interazione fra l’io (self) e qualche aspetto del suo ambiente. L’azione intenzionale (purposeful) ed intelligente è il mezzo grazie al quale questa interazione è resa significante. Nel corso di tale azione, gli oggetti acquistano significato e l’io diventa consapevole delle sue capacità, perché, mediante il controllo intelligente dell’ambiente, dirige e consolida i suoi personali poteri. Un’azione intenzionale è così la meta di tutto ciò che è realmente educativo ed è il mezzo con il quale la meta è raggiunta ed il suo contenuto è rielaborato. Un’attività siffatta è necessariamente una crescita ed un processo di crescita. Essa comincia quando un bambino compie i suoi primi adattamenti intenzionali all’ambiente; via via che li compie, egli acquista atteggiamenti e abitudini che lo rendono capace di allargare i suoi scopi, di scoprire ed usare i mezzi ed i metodi per raggiungere scopi più ampi. In questo processo del vivere intelligente non c’è alcun limite intrinseco. Esso dovrebbe continuare dall’infanzia alla morte. l’arresto della crescita continua è una forma di decadenza e di morte premature. Nel vivere intelligente, l’interazione dell’io e del suo mondo non lasciata al caso, l’azione (nel senso ristretto della parola), l’emozione e l’intelletto sono tutti coinvolti. L’adattamento intelligente dell’io agli oggetti ed agli avvenimenti circostanti equilibra queste funzioni. Il pensiero allora diventa conoscenza e comprensione profonda (insight); l’emozione diventa interesse e le risposte motorie diventano padronanza degli oggetti e delle qualità che ci stanno intorno, e delle capacità umane ad essi relative. L’arresto del processo di crescita è di fatto l’arresto del vivere intelligente, dell’educazione. La crescita, il vivere intelligente e l’educazione hanno molti nemici. Questi nemici sono potenti. Essi sono, purtroppo, rafforzati dalle pratiche che dominano i veicoli che fanno professione di educazione, le scuole e le istituzioni chiamate educative. (Dewey, J. [1935], Prefazione a The Art of Renoir di A.C. Barnes e V. De Mazia, in Dewey, J. [1954], Educazione e arte, Tr. it. La Nuova Italia, Firenze 1977, pp. 3-4) Le emozioni, per Dewey, sono connesse con il significato di oggetti e con un’azione intenzionale e sono interessi che uniscono l’io al mondo in cambiamento. Quando, però, esse vengono lasciate fluttuare liberamente al di fuori del legame che unisce il soggetto al mondo, “invece di dare un’ancora di salvezza sicura, esse si dissolvono in fantasticherie che si interpongono tra l’io e il mondo”. Nel campo artistico dell’esperienza più che in qualunque altro, l’abitudine a separare la mente (attiva nell’osservazione e nella riflessione) e l’emozione è profondamente radicata. In questo campo, i danni di questa abitudine sono particolarmente notevoli. L’educazione, che è essenzialmente addestramento alla percezione, è messa da parte. Tra l’io ed il mondo percepibile intervengono un’emozione privata ed un giudizio altrettanto privato, perché essi non sono basati su una percezione consapevole degli oggetti e delle loro relazioni reciproche. (Dewey, J. [1935], Prefazione a The Art of Renoir di A.C. Barnes e V. De Mazia, cit.) …l’impulso o il bisogno di un individuo a partecipare ad un’impresa è un presupposto necessario perché la tradizione possa essere un fattore della sua crescita personale in capacità e libertà; e dobbiamo riconoscere anche che egli deve osservare per suo conto e sotto il suo personale punto di vista le relazioni tra mezzi e metodi impiegati e risultati conseguiti. Nessun altro può vedere per lui ed egli non può osservare soltanto in base a quanto viene ordinato, sebbene il retto modo di comandare possa guidare la sua osservazione e possa così aiutarlo a vedere ciò che ha bisogno di vedere. E se egli non ha un desiderio personale che lo stimoli a diventare carpentiere, se il suo interesse ad essere tale è superficiale, se è un interesse a non essere affatto carpentiere, ma è solo interesse ad ottenere un compenso in danaro tramite un lavoro, allora naturalmente la tradizione non penetrerà mai realmente nelle sue capacità e non le completerà. Rimarrà allora un insieme di regole meccaniche e più o meno insignificanti che egli è costretto a seguire, se deve avere un lavoro e ricavarne la paga. (Dewey J. [1926], Individualità ed esperienza, Tr. it. in Dewey 1954, cit., pp. 22-23) Le tradizionali teorie filosofiche e psicologiche ci hanno abituato a nette separazioni tra i processi fisiologici ed organici da un lato e le manifestazioni più alte della cultura nella scienza e nell’arte dall’altro. Queste separazioni sono riassunte nella comune divisione che si fa tra mente e corpo. Queste teorie ci hanno anche abituato a tracciare rigide separazioni tra le operazioni logiche, strettamente intellettuali, che culminano nella scienza, i processi emotivi e immaginativi, che dominano la poesia, la musica e in misura minore le arti plastiche, e le azioni pratiche che regolano la nostra vita quotidiana e che si risolvono in attività industriali, economiche e politiche. Da queste separazioni è derivata la creazione di un gran numero di problemi […] Tra la cura della scienza, l’arte per l’arte, gli affari come qualcosa di abitudinario o come attività per far soldi, l’esilio della religione alla domenica ed ai giorni festivi, il passaggio della politica in mano ai politicanti di professione, la trasformazione degli sports in mestieri e così via, sono rimaste poche occasioni per vivere, per l’amore per vivere, per una vita piena, ricca e libera. (Dewey J. [1926], Pensiero affettivo nella logica e nella pittura, Tr. it. in Dewey 1954, cit.) Blake Newton Per afferrare le fonti dell’esperienza estetica è perciò necessario ricorrere alla vita animale al di sotto della scala umana. Gli atti della volpe, del cane e del tordo possono valere almeno a ricordare e simboleggiare quella unità dell’esperienza che noi frazioniamo tanto, quando il lavoro diventa fatica, e il pensiero ci astrae dal mondo. L’animale vivo è pienamente presente, tutto là, in ognuna delle sue azioni: nelle sue occhiate caute, nel suo annusare accorto, nel suo drizzare gli orecchi improvvisamente. Tutti i suoi sensi indistintamente stanno sul chi vive. Se state attenti, vedete il movimento confondersi con la sensazione e la sensazione con il movimento, determinando quella grazia animale con la quale all’uomo riesce così difficile gareggiare. (Dewey, 1934, p. 25) Recenti progressi in alcuni principi generali fondamentali a proposito delle funzioni biologiche in generale e di quelle del sistema nervoso in particolare hanno reso un preciso concetto di un continuo sviluppo dalle funzioni più basse a quelle più alte. […] C’è stato per lungo tempo un discorso vago sull’unità dell’esperienza e della vita mentale, nel senso che conoscenza, sentimento e volizione sono tutte manifestazioni delle medesime energie, ecc. (Dewey J. [1926], Pensiero affettivo nella logica e nella pittura, cit. p. 30) Dewey: Arte come esperienza (1934) 1 – la creatura vivente • A chi comincia a scrivere sulla filosofia delle belle arti si impone un compito primario: ripristinare la continuità tra quelle forme raffinate e intense d’esperienza che sono le opere d’arte e gli eventi, i fatti e patimenti di ogni giorno. Le cime delle montagne non fluttuano senza e neppure poggiano sul terreno – Per comprendere l’arte occorre partire da ciò che suscita l’interesse dell’uomo: l’auto dei pompieri che passa, la soddisfazione di un lavoro manuale… • si vedrà allora che l’arte permette di intensificare il senso della esperienza immediata. • Vi è una normale evoluzione delle comuni attività umane in elementi di valore estetico • Ma se in ogni esperienza normale è implicita una qualità artistica ed estetica, in che modo potremo spiegare come e perché essa di solito non riesce a diventare esplicita? Per capire ciò, occorre capire cosa si intende per “esperienza normale”. • La vita si sviluppa in un ambiente: non solo in esso, ma a causa sua, interagendo con esso. Nessuna creatura vive soltanto dentro la propria pelle. […] In ogni momento l’essere vivente è esposto ai pericoli del mondo circostante, e in ogni momento deve prelevare qualcosa dal mondo circostante per soddisfare i suoi bisogni. La vita e il destino di un essere vivente sono connessi ai suoi scambi con l’ambiente, non esteriormente, ma nella maniera più intima. Il ringhiare del cane che tiene stretto l’osso, il suo latrato nei momenti di sconforto e di solitudine, il suo scodinzolio al ritorno dell’amico uomo, sono tutte espressioni di quel legame che è tra l’essere vivente e il mezzo naturale nel quale è incluso l’uomo e l’animale che egli ha addomesticato. Ogni bisogno, di aria fresca o di cibo che sia, è una mancanza che tradisce per lo meno la temporanea assenza di un adeguato adattamento al mondo circostante. Ma esso è anche un’esigenza, un protendersi verso l’ambiente per colmare il vuoto e determinare un nuovo adattamento creando per lo meno un temporaneo equilibrio. La vita consiste in fasi in cui l’organismo perde il passo rispetto alla marcia delle cose circostanti e poi lo recupera, o con uno sforzo o per qualche felice circostanza. E in una vita che si sviluppa, il ricupero non è mai un mero ritorno allo stato precedente, in quanto esso si è arricchito dello stato di squilibrio e di resistenza attraverso il quale è passato con successo. Se il vuoto tra l’organismo e l’ambiente è troppo largo, l’essere vivente muore. Se la sua attività non viene intensificata da un momentaneo dislivello, esso non fa che vegetare. La vita si sviluppa allorché un momentaneo sbandamento permette il passaggio a un equilibrio più vasto tra le energie dell’organismo e quelle delle condizioni in cui esso vive. Questi luoghi comuni biologici sono qualcosa di più di luoghi comuni biologici; essi toccano le radici dell’estetico nell’esperienza. …se la vita continua e se, continuando, si espande, vi è un sopravvento su fattori di opposizione e contrasto; vi è una trasformazione di essi in aspetti differenziati in una vita più potente e significante. Ha effettivamente luogo il miracolo dell’adattamento vitale, organico, attraverso l’espansione (anziché mediante la contrazione e l’accomodamento passivo). Vi sono qui il germe dell’equilibrio e armonia, raggiunti attraverso il ritmo. L’equilibrio vien fuori non inerte e meccanico, ma da una tensione e per una tensione. Nella natura, anche sotto al livello della vita, vi è qualcosa di più di un semplice mutare e fluire. La forma è raggiunta ogni qual volta è raggiunto un equilibrio stabile… […] L’ordine non è imposto dal di fuori, ma è costituito dai rapporti di reazione armonica che le energie producono l’una sull’altra. Poiché è attivo (e non statico come sarebbe se fosse estraneo a ciò che si svolge), l’ordine si sviluppa da sé. […] L’ordine non può essere che oggetto di ammirazione in un mondo costantemente minacciato dal disordine. […] In un mondo come il nostro ogni essere vivente che raggiunga sufficiente sensibilità ogni qual volta trovi attorno a sé un ordine confacente accoglie l’ordine corrispondendogli con un sentimento di armonia. Il recupero di un’ordinata partecipazione all’ambiente dopo una rottura ha i germi di una perfezione simile all’estetico. Mancanza e recupero dell’armonia avvengono nell’uomo coscientemente. L’emozione è il segno consapevole di una rottura, attuale o imminente. La discordanza è l’occasione che induce alla riflessione. Il desiderio di ripristinare l’unità converte la mera emozione in interesse per gli oggetti come condizioni per realizzare l’armonia. Con la realizzazione, viene incorporato negli oggetti, assieme al loro significato, un materiale di riflessione. Poiché l’artista si cura in modo particolare della fase dell’esperienza in cui l’unità viene raggiunta, egli non rifugge i movimenti di resistenza e di tensione. Piuttosto li coltiva, non fine a se stessi, ma in quanto il loro potenziale reca alla coscienza vivente un’esperienza che è unificata e totale. La strana opinione che un artista non pensi e un ricercatore non faccia altro che pensare è il risultato della conversione di una differenza di tempo e di accento in un differenza di qualità. La natura […] è amabile e odiosa, dolce e bisbetica, irritante e confortante. Persino parole come lungo e corto, pieno e vuoto, comportano ancora per tutti, eccetto che per coloro che sono intellettuali di professione, un significato morale ed emotivo. Il vocabolario informerà chiunque lo consulti che l’uso primitivo di parole come dolce e amaro non doveva indicare qualità di sensazioni come tali, ma discriminare cose in quanto favorevoli e ostili. Il contrasto del vuoto e del pieno, della lotta e del successo, dell’adattamento che segue il superamento di una irregolarità, costituiscono il dramma in cui azione, sentimento e intenzione sono tutt’uno. Il risultato è un equilibrio e uno squilibrio. Questi non sono né statici né meccanici. Essi esprimono una potenza che è intensa in quanto è misurata dal superamento di una resistenza. […] In un mero scorrere delle cose il mutamento non sarebbe cumulativo; non muoverebbe verso una conclusione. La stabilità e il riposo non ci sarebbero. Allo stesso modo è vero, tuttavia, che un mondo finito, completo, non avrebbe tratti di sospensione e di crisi e non offrirebbe nessuna possibilità di soluzione. Laddove ogni cosa è già completa non esiste compimento. Ci prospettiamo con piacere il Nirvana e una felicità celestiale e uniforme soltanto perché essi si proiettano sullo sfondo di questo nostro mondo di violenza e di lotta. • Vi possono essere piaceri occasionali e superficiali. Essi non vanno disprezzati. Ma felicità e gioia sono un’altra cosa. Esse nascono da un soddisfacimento che è un adattamento di tutto il nostro essere alle condizioni dell’esistenza. Nella vita veramente ogni cosa si unifica e si confonde. Ma troppo spesso noi ci troviamo in apprensione per ciò che il futuro può portare, e siamo divisi dentro noi stessi. Persino quando la nostra ansia non è eccessiva, non godiamo il presente in quanto lo subordiniamo a ciò che è assente. […] Soltanto quando il passato cessa di travagliare e le anticipazioni del futuro non turbano, l’essere è completamente unito con il suo ambiente e perciò completamente vivo. L’arte celebra con particolare intensità i momenti in cui il passato rafforza il presente, e il futuro è una accelerazione di ciò che ora è. Per afferrare le fonti dell’esperienza estetica è perciò necessario ricorrere alla vita animale al di sotto della scala umana. Gli atti della volpe, del cane e del tordo possono valere almeno a ricordare e simboleggiare quella unità dell’esperienza che noi frazioniamo tanto, quando il lavoro diventa fatica, e il pensiero ci astrae dal mondo. L’animale vivo è pienamente presente, tutto là, in ognuna delle sue azioni: nelle sue occhiate caute, nel suo annusare accorto, nel suo drizzare gli orecchi improvvisamente. Tutti i suoi sensi indistintamente stanno sul chi vive. Se state attenti, vedete il movimento confondersi con la sensazione e la sensazione con il movimento, determinando quella grazia animale con la quale all’uomo riesce così difficile gareggiare. 2 – L’essere vivente e le “cose eteree” • La cultura è frutto dell’interazione con l’ambiente e non qualcosa che nasce nel vuoto o magari dalla riflessione degli uomini su loro stessi. “La profondità degli echi suscitati dalle opere d’arte dimostra la loro continuità con gli atti di questa lunga esperienza. Le opere e gli echi che esse producono formano una continuità con i reali processi della vita in quanto questi sono condotti a una conclusione inaspettatamente felice”. Quando sono lontano dalla vista dell’erba che vive e cresce o dal canto degli uccelli e da tutti i suoni della campagna, sento di non essere veramente vivo […] quando sento qualcuno che dice di non aver trovato il mondo e la vita gradevoli e interessanti al punto di amarli, o che pensa con animo indifferente alla loro fine, posso credere che egli non è mai stato veramente vivo e che non ha mai avuto un’immagine chiara del mondo di cui pensa così male oppure non ne ha visto nulla, neppure un filo d’erba (W.H. Hudson). • Dewey parla dell’affinità fra il misticismo dell’abbandono estetico e quello che i religiosi indicano con comunione estatica. Hudson lo ricorda a proposito della sua fanciullezza e dell’effetto che faceva su di lui la vista dell’ondeggiante fogliame piumato [di un’acacia] nella notte lunare […] che faceva apparire quest’albero più intensamente vivo degli altri, più consapevole di me e della mia presenza… simile al sentimento che qualcuno avrebbe potuto provare se fosse stato visitato da un essere soprannaturale qualora egli fosse convinto che esso era là presente per quanto silenzioso e invisibile, intento a guardarlo e a divinare ogni pensiero della sua mente. • Dewey cita anche Emerson, che normalmente viene ritenuto un pensatore austero: Attraversando una landa deserta, nella neve fangosa, al crepuscolo, sotto un cielo nuvoloso, senza avere nella mente il pensiero di nessun evento specialmente felice, mi sono messo a ridere perfettamente di gusto. Provo contentezza sull’orlo della paura. • Dewey commenta: Non vedo alcun modo di rendersi conto della molteplicità delle esperienze di questo tipo (qualcosa di simile si trova in ogni reazione estetica spontanea e inespressa) fuorché nel fatto che in esse vengono messe in azione risonanze di tendenze acquisite nei rapporti originari dell’essere vivente con il mondo circostante, e irrimediabilmente perdute a una consapevolezza distinta o intellettiva. Esperienze del tipo ricordato ci portano a una nuova considerazione che attesta questa continuità naturale. Un’esperienza sensibile immediata ha una capacità senza limite di assorbire in sé significati e valori che in sé e per sé (cioè in astratto), si direbbero “ideali” e “spirituali”. Lo sforzo animistico dell’esperienza di Hudson, è esemplare di un certo livello di esperienza. E il poetico, con qualsiasi mezzo, è sempre strettamente apparentato all’animistico. E se ci rivolgiamo a un’arte che per molte vie è all’altro polo, all’architettura, apprendiamo come taluni concetti, forse elaborati dapprima con un pensiero altamente tecnico come quello matematico, hanno la capacità di incorporarsi direttamente in forme sensibili. • A proposito del senso dei riti primitivi, Dewey dice che non li si può confinare all’intento magico di assicurarsi la pioggia, i figli, il raccolto, il successo in battaglia. Naturalmente essi avevano anche questo intento magico, ma furono eseguiti a lungo, possiamo esserne sicuri, nonostante ogni fallimento pratico, in quanto erano una immediata intensificazione dell’esperienza della vita. I miti erano qualcosa di diverso da intellettualistici tentativi scientifici dell’uomo primitivo. L’ostacolo costituito da ogni fatto che non fosse familiare ebbe senza dubbio la sua parte. Ma il piacere del raccolto, dello svilupparsi e del risolversi di una buona trama, rappresentò una parte dominante allora come la rappresenta oggi nello sviluppo delle mitologie popolari. […] L’introduzione sopranaturale nelle proprie credenze e il facile e fin troppo umano rifugiarsi in esso è molto più questione della psicologia che produce un’opera d’arte che non di uno sforzo di spiegazione scientifica e filosofica. Esso intensifica il brivido emotivo della consueta routine. Se il potere del sovrannaturale sul pensiero umano fosse esclusivamente o anche principalmente un fatto intellettuale, sarebbe relativamente insignificante. Teologie e cosmogonie si sono impossessate della fantasia perché sono state accompagnate da solenni processioni che suscitano meraviglia e inducono a una ammirazione ipnotica. Cioè esse sono arrivate all’uomo attraverso un appello diretto al senso e all’immaginazione sensuosa. La maggior parte delle religioni hanno identificato i loro concetti sacri con i più alti capolavori artistici […] I voli dei fisici e degli astronomi odierni rispondono al bisogno estetico di soddisfare l’immaginazione piuttosto che a una rigorosa esigenza di prove spassionate di una interpretazione razionale. La maggior parte degli uomini procede con la stessa istintività, con la stessa mira incrollabile del falco. Il falco ha bisogno di una compagna, l’uomo fa lo stesso: guardateli, tutti e due vanno in giro e se la procurano nella stessa maniera. Tutti e due hanno bisogno di un nido e tutti e due si accingono a farselo alla stessa maniera, e alla stessa maniera si procurano il cibo. Il nobile animale Uomo per divertirsi fuma la pipa – il falco si libra sopra le nuvole – questa è l’unica differenza del loro riposo. Questo è ciò che costituisce lo spasso della Vita per uno spirito speculativo. Esco tra i campi – scorgo per un istante un ermellino o un topo di campagna che corrono: perché? La creatura ha un intento e i suoi occhi se ne illuminano. Cammino tra gli edifici di una città e vedo un Uomo che si affretta: Perché? La Creatura ha un suo intento e gli occhi se ne illuminano. Anche in questo caso, benché io segua lo stesso corso istintivo del più autentico animale umano al quale io possa pensare, tuttavia, benché giovane, io scrivo a caso sforzandomi di trovare barlumi di luce in mezzo a una grande oscurità, senza conoscere la portata di nessuna affermazione o opinione. Tuttavia posso in questo non essere libero da peccato? Non vi possono essere esseri superiori divertiti da tutti gli atteggiamenti nei quali può cadere la mia mente allo stesso modo come io sono divertito dalla prestezza dell’ermellino o dall’ansietà del cervo? Benché si debba aborrire una rissa per la strada, le energie che in essa si dispiegano sono belle; l’Uomo più comune ha una grazia nella rissa. Visti da un essere soprannaturale i nostri ragionamenti possono assumere lo stesso aspetto: benché sbagliati possono essere belli. In questo consiste veramente la poesia. Si può trattare benissimo di ragionamenti, ma quando essi assumono una forma istintiva, come quelle delle forme e dei movimenti animali, essi sono poesia, sono belli; hanno grazia (Keats). • In un’altra lettera, Keats parla di Shakespeare come di un uomo di enorme “Capacità Negativa”; come di un uomo capace di rimanere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza nessuna eccitata tensione di arrivare al fatto o alla ragione. In tal senso lo contrappone al contemporaneo Coleridge, che quando non poteva giustificare intellettualmente l’oscurità si abbandonava all’intuizione poetica. Non era capace di accontentarsi, come diceva Keats, di una “mezza conoscenza”. • Keats confessa a Bailey di …non essere mai stato ancora capace di capire come si possa conoscere qualcosa per vera mediante un ragionamento conseguente […] come possa darsi che persino il più grande Filosofo sia mai arrivato al suo scopo senza accantonare numerose obiezioni. • Domandandosi, in realtà, se anche il ragionatore non debba fidarsi delle sue “intuizioni”, di ciò che è arrivato a lui attraverso la sua immediata esperienza sensibile ed emotiva, di ciò che è arrivato a lui attraverso la sua immediata esperienza sensibile ed emotiva, anche contro le obiezioni che la riflessione presenta. Continua Keats: Infatti il semplice spirito fantastico può averla vinta reiterando il proprio lavorìo silenzioso che interviene continuamente nello Spirito con una mirabile prontezza. • Così commenta Dewey la frase di Keats: È un’osservazione che contiene più psicologia del pensiero produttivo di molti trattati. Nonostante il carattere ellittico delle affermazioni di Keats emergono due punti. Uno di essi è la convinzione che i “ragionamenti” hanno un’origine simile a quella dei movimenti di una creatura selvaggia che si dirige verso uno scopo, e che possono divenire spontanei, “istintivi”, e quando sono istintivi sono sensuali e immediati, poetici. L’altro aspetto di questa convinzione è di credere che nessun “ragionamento”, come tale, cioè escludendo fantasia e senso, possa raggiungere la verità. Anche il più grande filosofo esercita una preferenza di tipo animale guidando il suo pensiero alla conclusione. Egli sceglie e mete da parte il suo pensiero alla conclusione. Egli sceglie e mette da parte nel modo in cui spingono i suoi sentimenti immaginativi. La “ragione” al suo apice non può raggiungere una presa completa e una sicurezza propria. Essa deve ricadere sull’immaginazione, sull’incarnazione delle idee in sensazioni cariche di emotività. • Dewey ricorda i famosi versi di Keats: Bellezza è verità, verità è bellezza – questo è tutto Ciò che sapete sulla terra, e che avete bisogno di sapere • Per “vero”, spiega Dewey, Keats non intendeva qualcosa di intellettuale, ma soprattutto la saggezza connessa al problema del male e la giustificazione del bene e della fede nonostante l’abbondare del male e della distruzione. Keats, al pari di Shakespeare, non accettò sostituti e si accontentò di quel che la fantasia può offrire all’uomo: “Questo è tutto ciò che sapete sulla terra e che avete bisogno di sapere”. Cap. 3 – fare un’esperienza • Un’esperienza è un intero: si fluisce da qualcosa verso qualcosa; nell’esperienza del pensiero, la conclusione è il perfezionamento di un movimento la conclusione di un’esperienza non è una stasi, ma è il termine di una maturazione che si raggiunge quando le energie attive al suo interno hanno svolto la propria opera • Un’esperienza ha un punto focale, una qualità che la pervade: quel pasto, quella rottura dell’amicizia. • Una esperienza ha una qualità emotiva appagante quando raggiunge al suo interno integrazione e compimento la dimensione emotiva lega tra loro le parti in un unico intero. • Quando non c’è interesse unificante, l’esperienza o è in balia di circostanze che la determinano dall’esterno o si disperde dall’interno i nemici dell’estetico non sono né il pratico né l’intellettuale, ma la monotonia, l’inerzia dovuta a fini vaghi, la sottomissione alla convenzione e alla prassi. • Per Dewey l’arte è l’unica forma che riesce a rendere l’interezza del processo vitale Dove cercare il resoconto di un’esperienza, quale quella di due persone che si incontrano per un colloquio per un posto di lavoro? Non nelle colonne di un libro contabile, né in un trattato di economia o sociologia del personale, ma in una rappresentazione teatrale o in una narrazione. La sua natura e il suo significato si possono esprimere solo con l’arte, poiché c’è un’unità esperienziale che si può esprimere solo con l’esperienza. • Un’esperienza è un mettersi in relazione di azioni e passioni: mettere la mano sul fuoco e ritrarla non è operazione dell’intelligenza, ma quando queste due azioni sono connesse dall’intelligenza allora si produce significato • Fare e subire devono nell’opera essere in relazione, formando l’intero della percezione. Se invece il creare è solo esibizione di virtuosismo tecnico e il subire è l’effusione di un sentimento non si ha compimento artistico. Se nel corso del suo fare l’artista non dà compimento a una nuova visione, egli agisce meccanicamente e ripete qualche modello prefissato. • ESTRINSECO VS. INTRINSECO: “L’estrinsecità può anche essere considerata una definizione del nonestetico” [Per Luigi Pirandello: – l’arte, quando è vera arte, crea “una realtà che ha solamente in sé stessa le sue necessità, le sue leggi, il suo fine, poiché la volontà non agisce da fuori, […] ma agisce interiormente” – L’unica vera tecnica, in arte, si ha quando cessiamo di volere una “forma così o così, per un nostro fine; ma è lei, assolutamente libera, poiché non ha altro fine che in se stessa, lei che si vuole e provoca in sé e in noi gli atti capaci di effettuarla fuori in un corpo: statua, quadro, libro; e allora soltanto il fatto estetico è compiuto”] • Quando v’è frenesia la possibilità di portare a compimento l’esperienza è ridotta • Per quel che riguarda la qualità fondamentale dei quadri, la differenza dipende più dalla qualità dell’intelligenza che viene messa nella percezione di relazioni che da ogni altra cosa – sebbene certamente l’intelligenza non possa essere separata dalla sensibilità diretta e sia connessa, anche se in maniera più estrinseca, con l’abilità l’artista è una persona dotata di particolare sensibilità per le qualità delle cose. • L’abilità dell’artefice, per essere indubitabilmente artistica, dev’essere “amorosa”; deve prendersi cura a fondo del contenuto su cui si esercita la sua tecnica • La ricettività non è passività: il riconoscimento non è un semplice apporre il “cartellino giusto”, l’etichetta; ma neanche comporta un’emozione interna che si accompagna alla percezione: non vi è percezione + emozione, ma sin dall’inizio la percezione è pervasa emotivamente la dimensione estetica comporta sì un abbandonarsi, un ricevere, ma tale ricettività comporta un fuoriuscire dell’energia allo scopo di ricevere! L’idea che la percezione estetica sia una questione a cui dedicarsi solo a tempo perso è uno dei motivi dell’arretratezza delle arti tra di noi. • Per percepire, chi osserva deve creare la sua propria esperienza. E la sua creazione deve includere relazioni comparabili a quelle che provò il produttore originario. • Senza un atto di nuova creazione l’oggetto non viene percepito come un’opera d’arte. L’artista ha selezionato, semplificato, capito, condensato secondo il proprio interesse. Chi osserva deve passare attraverso queste operazioni secondo il proprio punto di vista e il proprio interesse. C’ un lavoro che viene svolto sul versante di chi percepisce così come ce n’è uno sul versante dell’artista. 4 – l’atto dell’espressione • L’impulso designa un movimento all’infuori e in avanti dell’intero organismo l’impulso è lo stadio iniziale di ogni esperienza compiuta. Se si osservano i bambini, essi mettono in gioco l’intero sé • È destino delle creature non potersi garantire ciò che spetta loro senza avventurarsi nel mondo estraneo. Avventurandosi nel mondo, sia che si fallisca, sia che si abbia successo, il Sé non restaura semplicemente l’ordine precedente, perché gli atteggiamenti del Sé acquistano significato. • Se il Sé non incontrasse resistenza, non riuscirebbe nemmeno a rendersi conto di se stesso: la mera opposizione crea rabbia, ma una resistenza che sollecita il pensiero crea curiosità e attenzione e, quando è vinta e asservita, sfocia nell’esultanza [cfr. esperienza flow]. Che tensione richiami energia e che la totale mancanza di opposizione non favorisca uno sviluppo normale non fatti noti. In generale riteniamo auspicabile lo stato di cose in cui vi è equilibrio tra condizione che agevolano e condizioni che frenano • Lo sfogo emotivo è condizione necessaria, ma non sufficiente, dell’espressione: sfogarsi è sbarazzarsi di qualcosa; esprimere è trattenere qualcosa. Quando non si gestiscono le condizioni oggettive, quando non si plasmano i materiali al fine di dar corpo all’eccitamento, non c’è espressione. • Il bimbo inizia a capire progressivamente il significato delle sue urla, dei suoi balbettii in base alle reazioni che questi atti suscitano: comincia così a rendersi conto del significato di ciò che fa lo sfogo manca di medium; solo dove il materiale è impiegato come media c’è espressione e arte [cfr. Bion] • Quando natura e educazione si fondono in unità, gli atti di relazione sociale sono opere d’arte. • Ma la connessione tra un medium e l’atto di espressione è intrinseca: l’opera del poeta – dice Alexander – gli viene estorta dall’argomento che lo stimola. • Non esistono cose come l’amore e l’odio: un poeta e un narratore hanno un’immenso vantaggio rispetto a uno psicologo esperto: costruiscono una situazione e fanno sì che essa sia a suscitare una risposta emotiva • L’operazione di selezione dei materiali effettuata in modo potente da un’emozione in evoluzione condensa materiali i più disparati: questa funzione crea l’ “universalità” dell’arte. siamo disturbati quando sentiamo che non c’è un’emozione personale a guidare la selezione dei materiali, ma quando v’è un’intenzione calcolata l’emozione agisce come un magnete • Maturazione subcosciente… • Pensare direttamente in termini di suoni e colori è diverso dal pensare in parole • L’arte non è natura, è natura trasformata dal suo entrare in nuove relazioni suscitando una nuova risposta emotiva in tutte le popolazioni primitive il lamento assume forma cerimoniale che è distante dalla sua manifestazione originaria 5 – l’oggetto espressivo • L’ “espressione” non si riferisce semplicemente all’oggetto, ma anche all’apporto individuale Se la visione è stata artistica o costruttiva (creativa). La rappresentazione non è di “oggetti come tali” [cfr. passaggio da un paradigma istruttivo a un paradigma perturbativo] l’espressione in quanto atto personale e l’espressione in quanto risultato oggettivo sono connesse organicamente l’una con l’altra in un dipinto, le linee e i colori si cristallizzano in un’armonia invece che in un’altra sia in funzione di ciò che si trova nella scena presente che in funzione di ciò che l’osservatore porta con sé: “una certa sottile affinità con la corrente della sua propria esperienza di creatura vivente fa sì che linee e colori di sistemino secondo un modello e un ritmo invece che un altro”. La passionalità contrassegna l’osservazione: essa non è indipendente da qualche emozione precedente presente nell’esperienza dell’artista, ma essa viene rinnovata e ricreata grazie alla fusione con un’emozione che appartiene alla visione di un materiale qualificato esteticamente L’affermazione per cui il contenuto è irrilevante vincola chi l’accetta a una teoria dell’arte assolutamente esoterica Se un artista potesse accostarsi a una scienza senza provare interessi né idee, senza un bagaglio di valori tratti dalla sua esperienza precedente, teoricamente potrebbe vedere linee e colori prendendo in considerazione esclusivamente le loro relazioni in quanto linee e colori. Ma questa è una situazione impossibile da soddisfare. Inoltre, in un caso del genere, per l’artista non vi sarebbe nulla per cui appassionarsi Non importa quanto ardentemente l’artista possa desiderarlo; nella sua nuova percezione l’artista non può sbarazzarsi di significati resi solidi dal suo rapporto passato con le cose che lo circondano, né può liberarsi dell’influenza che essi esercitano su cosa e come egli vede al momento: se potesse farlo e lo facesse non gli rimarrebbe nessun modo di vedere un oggetto Memorie che non sono necessariamente coscienti, ma che sono ricordi incorporati organicamente nella struttura stessa del sé, alimentano l’osservazione presente. Linee differenti e relazioni differenti tra linee si sono caricate inconsciamente di tutti i valori che derivano da ciò che hanno fatto nella nostra esperienza in ogni nostro contatto con il mondo che ci circonda Non è esagerato dire che l’emozione a cui mancano percorsi motori propri per operare essendo priva di direzione renderà la percezione confusa e distorta. • Il significato di un’asserzione è generale; il significato di un oggetto espressivo è individuale. – Ad esempio, lo stato di beatitudine che è un tema ricorrente dei dipinti religiosi, non sempre è “indicato”, ma talvolta è “espresso” – Tiziano, Giotto.. • Quindi: l’arte implica selezione. Quando manca selezione o attenzione è priva di direzione, la conseguenza è una miscellanea caotica. • Il principio-guida della selezione è l’interesse: un’inclinazione inconscia ma organica verso determinati aspetti e valori del complesso e variegato universo in cui viviamo. Il solo limite che non va superato è che resti un qualche riferimento alle qualità e alla struttura delle cose circostanti. • Grazie alle abitudini formate nell’interazione con il mondo noi anche in-abitiamo il mondo. Esso diventa una dimora, e la dimora è parte di ogni nostra esperienza • La familiarità spinge all’indifferenza e il torpore avvolge in un guscio l’espressività delle cose: l’arte toglie il velo che nasconde l’espressività delle cose esperite; ci distoglie dall’indolenza e dalla routine e ci fa dimenticare noi stessi facendoci ritrovare nel piacere dell’esperienza del mondo che ci circonda nelle sue diverse qualità e forme • Alla fine le opere d’arte sono i soli media capaci di una comunicazione completa e non ostacolata tra uomo e uomo 6 – sostanza e forma • Se si ritiene che il prodotto artistico sia prodotto di un’espressione del sé, considerando il sé come qualcosa di compiuto e isolato al proprio interno, forma e sostanza risultano senz’altro separate • Il materiale con cui viene composta un’opera d’arte appartiene al mondo comune invece che al sé, e tuttavia vi è espressione di sé in arte perché il sé assimila quel materiale in modo peculiare così da farlo riemergere nel mondo pubblico in una forma tale che costituisce un nuovo oggetto. Il materiale espresso non può essere privato. Tale situazione si verifica in manicomio. • Un’opera d’arte viene ricreata ogni volta che si fa un’esperienza estetica perché ogni individuo porta con sé un proprio modo di vedere e di sentire. • Il significato non è separato dalla qualità del medium sensoriale; le opere d’arte sono letteralmente pregne di significato. • Non possiamo afferrare alcuna idea finché non l’abbiamo avvertita e sentita come se fosse un colore o un odore chi pensa di dover elaborare dettagliatamente il significato di ogni idea, si smarrirebbe in un labirinto senza fine né centro. Ogni volta che un’idea perde la propria qualità immediatamente sentita, smette di essere un’idea e diventa un simbolo algebrico. Quando c’è vera e propria artisticità nella ricerca scientifica e nella speculazione filosofica, chi pensa non procede né secondo una regola e neppure alla cieca, ma sfruttando significati che sussistono immediatamente come sentimenti dotati di coloro qualitativo • Opporre la qualità in quanto immediata e sensoriale alla relazione in quanto puramente mediata e intellettuale è sbagliato sia nell’arte che in generale, sul piano psicologico e filosofico: è sempre l’intero organismo che interagisce con l’ambiente in ogni azione che non sia routine. • L’insincerità in arte ha ragioni estetiche e non morali: la si riscontra ogni volta che sostanza e forma si separano. 7 – storia naturale della forma • In arte, come in natura e nella vita, una relazione è una maniera di interagire. Le relazioni sono spinte e tirate; sono contrazioni ed espansioni; determinano leggerezza e peso, salite e discese, armonia e discordia. Le relazioni tra amici, tra marito e moglie, tra genitore e figlio, tra cittadino e nazione, come quelle tra corpo e corpo nella gravitazione e nell’azione chimica, possono essere simbolizzate mediante termini o concetti e, quindi, divenire contenuti di asserzioni in proposizioni. Ma esistono come azioni e reazioni in cui le cose si modificano • La forma si può definire come l’effetto di forze che portano a totale compimento l’esperienza di un evento, di un oggetto, di una scena e di una situazione. • Non c’è semplice ammasso e cumulo di sensazioni e valori, ma sviluppo, come avviene con la crescita di un embrione vivente, tensione interna. • L’opera è così creata “da dentro”, non conformandola a qualche obiettivo o stampo esterno il pittore e il poeta, come il ricercatore scientifico, conoscono il piacere della scoperta. Chi sviluppa la propria opera come dimostrazione di una tesi preconcetta può avere le gioie di un successo egoistico, ma non la gioia di dare compimento a un’esperienza per se stessa. • Di fronte all’opera c’è un’alternanza ritmica di abbandono e riflessione. Interrompiamo il nostro abbandonarci all’oggetto per chiedere dove ci sta portando e come lo sta facendo. Prima di tutto viene però l’impatto con l’opera, che reca con sé la qualità del vento, che soffia dove lo si sente. L’inizio della comprensione estetica sta nel coltivare queste esperienze personali. Il nutrirsi di esse si trasformerà poi in discernimento. Sarà poi l’educazione estetica a elevare l’impressione diretta a un livello più alto. • La prima caratteristica del mondo circostante che rende possibile la forma artistica è il ritmo. • Coleridge fa derivare l’origine del metro dall’equilibrio che si genera nella mente dalla tensione causata dal tenere a freno il mero sfogo di una passione. C’è quindi una interpenetrazione fra passione e volontà, fra impulso spontaneo e proposito volontario – La musica rende più complesso e intenso il processo della reciproca sollecitazione geniale di antagonismo, sospensione e rafforzamento, quando le varie “voci” contemporaneamente si oppongono e rispondono l’una all’altra • …relazione fra il fare e subire di organismo e ambiente il cui prodotto è un’esperienza. • C’è una vecchia formula per la bellezza nella natura e nell’arte: unità nella varietà. L’unità nella varietà che caratterizza l’opera d’arte è dinamica. 8 – l’organizzazione delle energie • Dewey tenta di illustrare come l’opera d’arte sia una sorta di unità dinamica nella quale forze e spinte disimmetriche trovano ordine e conciliazione, ma non in senso meccanico, ma di modo che la tensione che risulta dalle “energie” di cui è composta l’opera permangano al suo interno: si tratta di un ordine “in senso attivo”. • Nella prima parte del capitolo Dewey parla di “ritmo”: tutto in natura è regolato dal ritmo; ma non si tratta del ritmo meccanico di un orologio, ma di un ritmo che comporta una variazione costante, non solo ordine statico. • L’ordine è necessario per vivere, ma se c’è troppo ordine allora si percepisce noia; all’opposto, se c’è troppo cambiamento si percepisce caos. [cfr. bordo fra ordine e caos]. – I “best sellers” vengono rapidamente assimilati nell’esperienza e perdono ben presto la capacità di fornire nuovi stimoli. “È un elemento di continua variazione – nel rispetto delle relazioni dinamiche di rafforzamento e conservazione – a rendere durevole un quadro o una qualsiasi opera d’arte” 9 – la sostanza comune delle arti • Qual è il contenuto appropriato di un’opera d’arte, i soggetti che legittimamente essa può trattare? Dewey parte sempre dalla sua idea che l’arte è come l’esperienza: così come in questa vi deve essere una relazione sentita da parte della creatura fra fare e subire, un estendersi e un espandersi subendo, contemporaneamente, reazioni e opposizioni da parte della realtà; e l’inoltrarsi nella realtà diventa allora un acquisir volume, ritmo, articolazione del tutto in parti, le quali restano però connesse all’intero; così l’arte non può che avere questa organicità e scaturire dal movimento intrinseco del sentire – che pertanto deve essere sincero – che rappresenta una sorta di presa di contatto globale con l’esistenza, a partire dalla quale, poi, prenderà articolazione e consistenza l’opera • A tale proposito Dewey cita Tolstoj, per il quale nella sincerità sta l’essenza dell’opera d’arte L’artista non deve imbrogliare o scendere a compromessi • L’artista e chi percepisce cominciano non con l’analizzare le singole parti, ma il tutto, un intero qualitativo globale: Schiller diceva che la percezione iniziale di un’opera non ha un oggetto chiaro e distinto: all’inizio c’è solo una certa tonalità emotiva musicale che col tempo diventa idea poetica. • Inoltre, la “tonalità” non solo viene prima, ma permane anche dopo che sono emerse le distinzioni e l’opera si è articolata; sin dall’inizio la qualità totale ha una sua unicità, sebbene sia vaga e indefinita. Questa qualità deve essere presente in tutte le “parti”. Se manca questa qualità globale, l’opera è sentita come meccanica • Cose, oggetti sono solo punti focali di un intero che si estende indefinitamente: questo “sfondo” qualitativo è qualcosa di “mistico”, nel senso che rappresenta una dimensione di illimitatezza che circonda la percezione della singola cosa. • Ad esempio, afferma Dewey, quando vediamo un albero o una roccia, e poi ci focalizziamo su alcuni particolari, ad esempio il muschio che sta sulla roccia, tuttavia manteniamo la visione specifica come connessa ad un insieme più grande e comprensivo che fa da fulcro alla nostra esperienza; i margini sfumano in quella indefinita estensione che l’immaginazione chiama universo. Questo senso dell’intero comprensivo implicito nelle esperienze comuni viene reso intenso all’interno della struttura di un dipinto o di una poesia. Coleridge ha detto che ogni opera d’arte, per ottenere il suo pieno effetto, deve avere attorno qualcosa di non compreso. un’opera d’arte fa emergere e accentua questa qualità di essere un intero e di appartenere a quell’intero più grande, onnicomprensivo, che è l’universo in cui viviamo. Credo, dice Dewey, che questo fatto spieghi quel sentimento di acuta intelligibilità e chiarezza che proviamo in presenza di un oggetto di cui si fa esperienza con intensità estetica. Abbiamo bisogno, anche quando focalizziamo un singolo aspetto della realtà, di mantenere una connessione con un’esperienza estesa e soggiacente che rappresenta l’essenza dell’equilibrio mentale. Questa non può essere il risultato di una riflessione. Deve presentarsi come qualcosa di intrinseco e non di estrinseco. L’ “ideale” immesso in maniera estrinseca in un’opera risulta insulso e meccanico, mentre se prende corpo in cose concrete un senso di “spirituale” pervade l’esperienza delle cose. • Nell’opera vi è una compresenza di integrazione e differenziazione, di connessione al tutto e di articolazione in parti. Dewey cita a questo proprosito un acquarellista americano, John Martin, che ha affermato con riferimento all’arte che l’identità si delinea come la grande Ancora di Salvezza. E come nel forgiare il l’uomo la natura è rimasta rigorosamente fedele a Identità, Testa, Corpo, Membra e ai loro contenuti distinti, identità in se stessi, in quanto ogni parte lavota al suo interno ma anche attraverso e insieme alle altre parti, a quelle vicine, cercando di avvicinarsi al megglio aun equilibrio bello, così questo prodotto dell’Arte è composto da identità tra loro contigue. […] E se i legami che connettono le parti vicine non trovano un proprio posto e una propria parte, il servizio è cattivo. Quindi questo prodotto dell’Arte è in sé un villaggio Leibniz ha sostenuto che l’universo è infinitamente organico perché ogni cosa organica è costituita ad infinitum da altri organismi. Questo, dive Dewey, è sicuramente vero per l’Arte, perché ogni parte di un’opera si presta a un’indefinita differenziazione percettiva Poiché la funzione della linea è quella di dar la forma, differenziare, conferire il ritmo, Blake sosteneva che la “grande regola aurea dell’arte, come nella vita, è questa: più distinta, netta e tesa è la linea che delimita, più perfetta è l’opera d’arte, e meno essa è netta e decisa, maggiore è la prova di immaginazione debole, plagio e incompetenza”