STORIA E NARRAZIONE
STORICA
Un dibattito di fine Novecento
La storiografia come racconto
• La storiografia nasce come racconto, strettamente congiunta
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con i generi letterari (poesia, epica, retorica, narrativa, ecc.)
più diffusi nel mondo antico.
Fare storia significa sempre e comunque, innanzitutto,
“raccontare” una storia.
Storia vera anziché inventata, ma pur sempre storia (story,
recit).
Solo la narrazione, infatti, può dar senso agli avvenimenti e
alle vite umane di per sé slegate fra loro e prive di senso.
Un avvenimento (o una biografia) diventa tale solo quando è
narrato.
Aristotele: «lo storico descrive fatti
realmente accaduti»
• La differenza fra storia e poesia e fra lo storico e il poeta è chiara per
Aristotele:
• «La vera differenza è questa, che lo storico descrive fatti realmente
accaduti, il poeta fatti che possono accadere. Perciò la poesia è
qualcosa di più filosofico e di più elevato della storia; la poesia tende
piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare» [Aristotele,
Poetica, 1451b 4-1451b 10)].
• Il poeta è dunque più libero dello storico e può raffigurare l’intera gamma
delle potenzialità umane. Lo storico si limita invece a descrivere
accadimenti particolari e limitati.
Voltaire: la storia come «il racconto dei fatti
dati per veri»
• Ancora più precisa la distinzione fra storie, argomenti e favole proposta dallo
storico Isidoro di Siviglia all’inizio del VII secolo:
• «Le storie sono fatti accaduti; gli argomenti sono fatti non accaduti, ma che
avrebbero potuto esserlo; le favole, invece, sono quei fatti che né sono accaduti
né potrebbero, perché contrari al naturale» [Isidoro, Etimologie, I, 41, 44].
• Undici secoli dopo Isidoro, Voltaire, nella voce Histoire dell’Encyclopédie, definiva
la storia come «il racconto dei fatti dati per veri, al contrario della favola che è il
racconto dei fatti dati per falsi». La differenza di significato delle due affermazioni,
apparente simili, è netta: per Isidoro la differenza tra la storia e la favola è di
ordine ontologico, mentre per Voltaire la differenza è di ordine discorsivo e
dipende dall’intenzione del racconto.
• Anche sul piano della grafica e dell’impaginazione “vero” o “falso” è ciò che
distingue il libro di storia (con le note) dal libro di narrativa (senza note). Il primo si
preoccupa di dichiarare le proprie fonti (le prove), il secondo no. Nel primo le
immagini sono documenti iconografici, il secondo sono semplici illustrazioni.
Hayden White, Metahistory (1973)
• Lo storico della letteratura americano Hayden White
(1928) propone nel 1973 un provocatorio saggio su
Retorica e storia, applicando le categorie narratologiche
ai prodotti della storiografia ottocentesca e proponendo
una lettura delle stesse non a partire dai contenuti, ma
dalle forme narrative.
• Criticato duramente da molti storici, fra cui gli italiani A.
Momigliano e C. Ginzburg, White, in realtà pone un
problema importante – quello del rapporto fra storiografia
e narrazione - destinato a riemergere in maniera
dirompente negli anni novanta.
Paul Veyne e «la storia come bricolage»
• Lo storico del mondo antico e archeologo francese Paul
Veyne (1930) interviene nel 1971 nel dibattito aperto da
White con il saggio Come si scrive la storia nel quale
definisce la storia come «bricolage»
• Secondo Veyne ogni tentativo di dare fondamento
scientifico all’interpretazione storica è vano, essendo
l’accadere storico dominato dal caso e non dalla
necessità. Ogni idea di causalità, ogni «spiegazione»
storica è il frutto dell’immaginazione degli storici, ragion
per cui l’attività storiografica è essenzialmente
«romanzesca».
F. Furet e la critica della storiaracconto
• Nel 1975 lo storico francese François Furet (1927-1997), docente
nella parigina Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales noto
per le sue ricerche quantitative sulla storia del libro e per i suoi saggi
critici sulla rivoluzione francese, pubblicava sulla rivista «Diogène» un
polemico articolo dal titolo De l’histoire-récit à l’histoire-problème
(Dalla storia-racconto alla storia-problema), nel quale sintetizzava non senza schematismi - i presupposti della cosiddetta "nuova storia"
francese, dichiarando definitivamente tramontata la storia-racconto,
dominata dalla cronologia, dall'evento, dall'individualità, a favore della
storia-problema, dominio della struttura, della longue durée, del
seriale e del quantitativo.
F. Furet e la critica della storiaracconto
• Allontanandosi definitivamente dall'approccio "artistico" o "letterario"
alla disciplina, lo storico – secondo Furet - doveva avvicinarsi sempre
di più all'approccio scientifico, affiancandosi agli altri scienziati sociali
(sociologi, economisti, antropologi, psicologi, ecc.) e lavorando, più
che sui singoli avvenimenti - di per sé poco significativi - sulle
strutture e sui quadri socio-economici di lungo periodo, sforzandosi di
costruire modelli interpretativi multidimensionali.
• L'articolo di Furet non sollevava soltanto problemi relativi alle forme
dell’esposizione storiografica, ma una più profonda e complessa
questione epistemologica: se cioè la storia potesse avere uno statuto
scientifico più forte rinunciando ad alcuni dei tratti che, nella
coscienza comune, avevano caratterizzato la disciplina fino a quel
momento. Per convertirsi in scienza la storia avrebbe dovuto
eliminare gli avvenimenti, o più esattamente ciò che per tanti storici
ne costituiva l'aspetto più importante: il carattere singolare, unico,
individuale.
L. Stone e il “ritorno al racconto”
• Nel 1979 lo storico inglese Lawrence Stone (1919-1999), docente
nell’università americana di Princeton e assai noto per i suoi studi di
storia sociale sull’aristocrazia britannica, sulle cause della rivoluzione
inglese, sulla famiglia in età moderna, pubblicava sulla prestigiosa
rivista «Past and Present» un altrettanto polemico articolo dal titolo
The Revival of Narratie. Considerations on a Old New History (Il
ritorno al racconto: riflessioni su una nuova vecchia storia) nel quale,
movendo dalla constatazione (parzialmente autocritica) che sul piano
della spiegazione dei grandi fatti storici non si poteva sostenere che
la risposta fornita dalla storia economico-sociale e quantitativa fosse
più sicura ed oggettiva di quella fornita da una storiografia che
enfatizzava il ruolo delle grandi personalità, Stone rilevava come
quegli stessi storici (soprattutto francesi, come Emmanuel Le Roy
Ladurie e François Furet) che negli anni sessanta e settanta avevano
teorizzato la fine della “storia narrativa” e la definitiva vittoria delle
scienze sociali e dei metodi quantitativi, avessero poi ripiegato sulla
narrazione tradizionale e sulla biografia, addirittura enfatizzando i
caratteri soggettivi dei processi storici.
L. Stone e il “ritorno al racconto”
• Da ciò Stone traeva una prima conclusione: «la
narrazione è un modo di scrivere la storia, ma è anche
un modo che coinvolge ed è coinvolto dal contenuto e
dal metodo».
• Il ritorno alla narrativa constatato e propugnato dallo
storico inglese implicava dunque non già una rinuncia
all’analisi, ma la consapevolezza che la narrazione e
l’eleganza stilistica rappresentavano componenti
ineliminabili del “discorso storico”.
Storia come arte o come scienza
• Alle spalle dell’articolo di Stone stava infatti una stagione di forte
critica nei confronti della storia cosiddetta “narrativa” o
“evenemenziale” alla quale gli storici sociali o “nuovi storici” avevano
contrapposto un modello espositivo saggistico dove il dato
quantitativo e seriale, esposto in diagrammi e tabelle, diveniva
protagonista assoluto. La narrazione perdeva quindi ogni significato in
quanto la “storia problema” poteva tutt’al più essere esposta
problematicamente, non certo raccontata.
• Più indietro ancora stava la secolare contrapposizione fra la
storiografia intesa come arte (e quindi come genere letterario e come
racconto fortemente segnato dalla soggettività dell’autore) e la
storiografia intesa come scienza (e quindi come ricerca di dati
oggettivi che lo storico-scienziato non avrebbe dovuto far altro che
presentare nei loro nessi).
Simon Schama e la verità scomparsa
• Nel 1991 lo storico britannico Simon Schama (1945),
docente negli USA, propone in un provocatorio libro Le
molte morti del generale Wolfe. Due casi di ambiguità
storica, il problema della non oggettività della storia,
fondata solo su narrazioni (per lo più false o deformate) e
di conseguenza dell’impossibilità di raggiungere una
«verità storica» diversa da meri «discorsi sui testi».
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