La “rivoluzione marginalista” L’OTTOCENTO DALLA RESTAURAZIONE AL TRIONFO DEL CAPITALE 1848-1870; l’Era del Capitale 1815-1830; La Restaurazione 1830-1848; La borghesia industriale al potere •Dominio delle aristocrazie in Europa •Accesa conflittualità sociale (luddismo 1808-20) •Alleanza politica tra borghesia e classi popolari (1830) •Vittoria politica della borghesia in Inghilterra e in Francia (1830) •Alleanza politica tra borghesia e aristocrazia •Radicalizzazione del movimento operaio e inasprimento del conflitto sociale •Sconfitta definitiva del movimento operaio (1848) •Consolidamento del modello di Stato liberal-borghese •Pace sociale e prime riforme sociali •Supremazia del modello Britannico •Ripristino del Gold Standard (1821) •Rallentamento della crescita e lunghe crisi economiche (1816-22; 1825-31) •Crescita lenta e ricorrenti periodi di crisi economiche (1836; 1839-42; 1847-48) •Ottimismo economico •Forte crescita delle economie europee •Espansione del capitalismo industriale in Europa e negli USA •Realizzazione di grandi infrastrutture (ferrovie, canale di Suez) •Gold Standard e libero scambio L’OTTOCENTO, DALLA GRANDE DEPRESSIONE ALLA BELLE ÉPOQUE 1870-1895 La depressione 1895-1915 La Belle Époque •Forte ripresa della conflittualità sociale (1870) •Relativa pace sociale e riforme sociali •Riorganizzazione del movimento operaio •Miglioramento degli standard di vita delle sugli schemi marxisti (I e II Internazionale) classi popolari •Politiche nazionaliste e imperialiste delle potenze europee •Prime avvisaglie del lento declino del modello britannico •Rallentamento della crescita e crisi finanziarie (1873; 1882; 1890; 1893) •Allargamento del Gold Standard in altri Stati europei •Grande crisi agraria in Europa e inizio delle grandi emigrazioni •Movimenti di concentrazione nel capitalismo industriale, formazione di oligopoli •Crescente compenetrazione tra industria, politica e finanza •Protezionismo economico •Nuove scoperte scientifiche e nuovi ritrovati tecnici •Seconda rivoluzione industriale •Industrializzazione di diversi paesi fino ad allora arretrati •Generale ottimismo economico e sociale IL LUNGO OTTOCENTO FASI STORICHE E TEORIE ECONOMICHE 1815-1830 La Restaurazione 1830-1848 La borghesia industriale al potere 1848-1870 L’era del capitale Ricardismo e Anti-ricardismo Armonie economiche Sintesi milliana 1870-1895 La grande depressione Rivoluzione marginalista 1895-1915 La belle époque Ortodossia neo-classica IL MARGINALISMO E LE SUE “SCUOLE” Stanley W. Jevons (1871): Teoria dell’economia politica Gran Bretagna Scuola neoclassica (mainstream) ► MARSHALL-1890 ► Edgeworth-1881 ► Wicksteed-1894 ► Pigou-1920 USA ► Clark-1899 ► Fisher-1907 Léon Walras (1874): Elementi di economia politica pura Carl Menger (1871): Principi fondamentali di economia politica Scuola austriaca ► Böhm-Bawerk1889 ► Wieser-1914 ► von Mises- 1912 ► Hayek Scuola di Losanna Pareto-1896 Scuola Svedese ► Wicksell1898 ► Cassel-1918 Scuola Italiana ► Pantaleoni1889 ► Barone-1908 La “Rivoluzione marginalista” in 6 punti 1) Spostamento dell’oggetto di studio della scienza economica 2) Approccio metodologico basato sull’idea di affrontare ogni problema economico come ricerca dell’ottima allocazione di risorse scarse 3) Approccio utilitarista 4) Principio di sostituzione 5) Individualità dei soggetti economici 6) A-storicità dei problemi economici (riduzionismo antistoricistico) Fu vera RIVOLUZIONE? Problema della CONTINUITA’/DISCONTINUITA’ La “rivoluzione marginalista” (Jevons, Walras, Menger) si è operata: contro la componente “macro” del pensiero classico contro i disturbi che detta componente aveva creato anche nel filone utilitarista “micro” rivalutando gli apporti di personaggi eterodossi come Senior e Gossen D’altra parte la scuola “neo-classica”, nella visione marshalliana, si poneva: come proseguimento ideale del filone classico-utilitarista, negando quindi ogni rottura con la grande tradizione classica In realtà il sistema classico e quello neo-classico sono tanto diversi che la disciplina cambiò addirittura nome, da Political Economy ad Economics, e terminologia Il cambio di nome fu giustificato: a) Per spirito di emulazione verso altre scienze naturali ed esatte, come mathematics, physics, ecc. (Jevons) b) Per il diverso significato assunto nel tempo dal termine “politico” da “corpo politico = nazione” a “politica = interesse di parte” c) Per la necessità di evitare di riferire la disciplina ai “corpi politici”, intesi come agenti collettivi (classi sociali) La teoria economica “marginalista” si proponeva come alternativa all’economia “classica”: Economia Classica Economia Marginalista Problema centrale: crescita economica; distribuzione come causa di sviluppo (dinamica) Problema centrale: allocazione ottima di risorse scarse; l’equilibrio economico (statica) Prezzi naturali o di lungo periodo Prezzi di mercato o di breve per. Teoria del valore oggettivistica: Costo di prod.; lavoro contenuto Teoria del valore soggettivistica (primato del consumo): utilità marginale (decrescente) I soggetti sono classi sociali con interessi contrapposti Economia “politica”: scienza della riproduzione della ricchezza sociale I soggetti sono agenti economici razionali; massimizzano l’utilità Scienza economica (“economics”): studia la condotta umana come rel. tra obiettivi molteplici e mezzi scarsi (Robbins 1932). LE RAGIONI DEL SUCCESSO (I) CAUSE “ENDOGENE” Lacune del “sistema” classico : teoria del valore-lavoro, anche nella variante ricardiana del costo di produzione; teoria della distribuzione: venendo meno l’idea di fissità del salario di sussistenza per vincoli “malthusiani” la costruzione classica cadeva o apriva la strada a “pericolose” derive socialiste CAUSE “ESOGENE” (secondo Screpanti-Zamagni decisive) Combattere la pretesa scientificità del nuovo socialismo teorico marxista I fondamenti scientifici del socialismo marxista erano gli stessi dell’Economia Politica Classica (da ciò la necessità di rifondare la disciplina) Identificare un approccio che distogliesse la disciplina dai problemi sociali d’attualità in un periodo di conflittualità acuta LE RAGIONI DEL SUCCESSO (II) Si dimostrava che nell’economia concorrenziale si realizzava l’armonia degli interessi individuali e la massimizzazione degli obiettivi dei singoli Rilancio dell’ideale liberista (mano invisibile, laissez-faire), non più in chiave di accumulazione, ma di allocazione ottimale delle risorse Problema dell’equilibrio di piena occupazione: si assecondava la teoria secondo cui ribassi salariali ristabiliscono l’equilibrio di piena occupazione e che l’azione sindacale sia d’impaccio agli equilibri naturali del mercato del lavoro Il carattere professionale ed accademico della disciplina si accentuò notevolmente nel periodo di affermazione del modello marginalista W.S. Jevons; Karl Menger ; Léon Walras; Nasce a Liverpool, da una famiglia benestante di mercanti di confessione unitariana. Nel 1854 accetta un posto di funzionario alla zecca di Sidney, in Australia, dove matura l’interesse per la scienza economica. 1862. Paper rivoluzionario presentato alla British Association for the Advancement of Science (Section F. Statistic): Notice of a General Mathematical Theory of Political Economy (2a ed. 1879) 1865. Pubblica The Coal Question. che pone il problema dell’esaurimento delle risorse energetiche. 1866. Professore di logica e filosofia all’Owens College di Manchester 1871. Pubblica The Theory of Political Economy. 1874 Pubblica Principles of Science, 1876. Docente di economia politica all’University College di Londra. 1882 Muore in un incidente di nuoto JEVONS, L’ECONOMIA COME SCIENZA DEL COMPORTAMENTO RAZIONALE ► ► ► ► Psicologismo di derivazione sensista (Condorcet) Utilitarismo benthamiano Matematizzazione della scienza economica L’economia come scienza esatta, affine alla fisica e alla matematica (scienze naturali) e come teoria della scelta razionale “Le idee di Bentham sono il punto di partenza della teoria sviluppata in questo lavoro (…) ho cercato di trattare l’Economia come un Calcolo di Piacere e Pena e ho abbozzato la forma generale che la scienza economica deve ultimamente assumere (…) ho a lungo riflettuto che, poiché essa tratta di quantità, deve essere una scienza matematica nella sostanza se non nel linguaggio (…) La mia teoria dell’economia è puramente matematica … consiste nell’applicare il calcolo differenziale alle nozioni comuni di ricchezza, utilità, valore, domanda, offerta, capitale, interesse, lavoro e a tutte le altre nozioni che appartengono all’operare quotidiano dell’industria” (da Theory of Political Economy) JEVONS, L’ECONOMIA COME SCIENZA DEL COMPORTAMENTO RAZIONALE Due caratteristiche definiscono gli uomini come agenti economici: A) gli individui ricavano utilità (PIACERE) dal consumo dei beni B) ciascun individuo agisce sulla base di un calcolo razionale teso a massimizzare l’utilità Questo tipo di comportamento è la sola caratteristica dell’agire umano che può e che deve essere studiato in economia: “soddisfare i nostri bisogni al massimo con il minimo sforzo … cioè massimizzare il piacere, ecco il problema dell’economia” Sequenza Jevonsiana (per la formulazione della teoria dello scambio) ► Utilità e disutilità ►Allocazione Scambio ►Prezzi relativi JEVONS, UTILITA’ E DISUTILITA’ (I) ► ► ► ► UTILITA’/ DISUTILITA’ L’utilità non è una qualità intrinseca di un oggetto, ma riconduce “… alla somma di piacere e di pena che il suo uso consente”, essa nasce cioè dalla relazione che si stabilisce tra l’oggetto ed il suo utilizzatore L’intero piacere ottenibile dall’uso di un determinato bene non può essere misurato: “Lo spirito di un individuo è la bilancia che stabilisce i suoi propri raffronti ed è il giudice definitivo della quantità dei sentimenti” I piaceri che provano due individui diversi dal consumo di una certa dose di un determinato bene non sono confrontabili: “ Ciascuna mente è imperscrutabile ad ogni altra mente e non sembra essersi alcun denominatore comune tra i sentimenti di individui diversi” SCOMPARE L’ETICA JEVONS, UTILITA’ E DISUTILITA’ (III) “IL VALORE DIPENDE COMPLETAMENTE DALLA UTILITÀ” L’utilità totale è l’utilità ricavata dall’intera quantità consumata di un certo bene Il grado di utilità è l’utilità associata ad una certa dose del bene Il grado di utilità finale (o utilità marginale), che è ciò che conta, è “il grado di utilità dell’ultima unità aggiunta, o la successiva quantità molto piccola, o infinitamente piccola, aggiunta ad una quantità esistente”, vale a dire: l’incremento infinitesimo di utilità procurato da un incremento infinitesimo della quantità di un bene, cioè quella che noi chiamiamo utilità marginale La disutilità è utilità negativa: come i beni generano piacere, le scomodità causano pena un valore zero di scomodità equivale a zero di piacere e a zero di utilità e disutilità Formulazione jevonsiana della prima legge di Gossen o legge dell’utilità marginale decrescente: “Il grado di utilità varia con la quantità della merce e, in ultima istanza, decresce man mano che la quantità aumenta” La disutilità marginale è invece funzione sempre crescente della scomodità che è all’origine della pena che la determina JEVONS, IL PROBLEMA DELL’ALLOCAZIONE Jevons risolve il problema dell’allocazione stabilendo che occorre allocare il bene in maniera tale da eguagliare le utilità marginali procurate dai due usi dx x dy y in modo tale che si rinunci all’uso X in favore dell’uso Y, finché la minore utilità derivante dalla rinuncia all’uso X, sia minore e al limite uguale alla maggiore utilità ricavabile dall’incremento dell’uso Y “… in altre parole, dobbiamo eguagliare i gradi di utilità finale dei due usi” JEVONS, LA TEORIA DELLO SCAMBIO (I) Il teorema dell’allocazione è alla base della teoria jevonsiana dello scambio Jevons intende il valore d’uso smithiano di un bene in termini di utilità totale procurata dal bene stesso L’idea smithiana del valore di scambio viene invece intesa come potere di acquisto di un bene in termini di un secondo bene (la quantità da cedere del primo bene per acquistare una certa quantità del secondo: cioè il rapporto di scambio tra i due beni) Le condizioni del mercato concorrenziale sono così fissate da Jevons: “Per mercato intenderemo due o più persone che trattano due o più beni, le cui quantità sono note a tutti e le intenzioni di scambio sono note a tutti. E’ pure essenziale che il rapporto di scambio sia noto a tutti” compratori e venditori sono dei trading bodies, cioè degli agenti aggregati: “per trading body, in senso generale, io intendo un insieme qualsiasi di compratori e di venditori” che possono essere uno, due, migliaia o milioni sul mercato vige una Legge di Indifferenza, secondo cui: “in un qualsiasi momento, sullo stesso mercato, non possono esserci due prezzi diversi per la stessa merce” JEVONS, LA TEORIA DELLO SCAMBIO (II) La legge di Indifferenza ha come conseguenza che “in un atto di scambio le ultime due dosi dei beni scambiati devono essere scambiate nello stesso rapporto in cui è stata scambiata l’intera merce”, vale a dire: dy/dx = y/x dove: dy/dx y/x è il rapporto di scambio delle dosi marginali scambiate è il rapporto di scambio tra le due merci La situazione di equilibrio in uno scambio si realizzerà quando l’utilità finale delle quantità di beni scambiate sarà uguale per entrambe le parti “Il rapporto di scambio tra due beni qualsiasi sarà il reciproco del rapporto dei gradi finali di utilità delle quantità di bene utilizzabile per il consumo dopo che lo scambio è completato” Un’attività di scambio è ottimale quando vi è proporzionalità tra le utilità marginali dei beni scambiati e i prezzi JEVONS, VALORE-UTILITA’ E COSTO DI PRODUZIONE Nella teoria jevonsiana dello scambio è dunque l’utilità marginale a determinare i prezzi relativi (valori di scambio) delle merci L’utilità marginale, a sua volta, risulta dalla scarsità (offerta) che, a sua volta, dipende dal costo di produzione delle merci In tal modo Jevons apparentemente chiude il cerchio per la determinazione del valore di scambio delle merci, con il ragionamento a catena: Il costo di produzione determina l’offerta l’offerta (la sua più o meno ampia scarsità) determina il grado finale di utilità ( Il grado finale di utilità determina il prezzo (valore di scambio) CARL MENGER (1840-1921) Nasce a Neu Sadec in Galizia Studia giurisprudenza alle Università di Vienna, Praga e Cracovia, dove si laurea nel 1867 Nel 1867 ottiene un importante incarico governativo In questo periodo scrive i Principi di economia nazionale (1871) 1879. Cattedra di economia alla facoltà di Diritto di Vienna Fonda una Scuola di fama internazionale Negli ultimi anni lavora a una nuova edizione dei Principi e a un trattato sul metodo delle scienze sociali. Entrambi vengono pubblicati postumi dal figlio Karl Muore a Vienna nel 1921 IL METHODENSTREIT Nell’ambiente germanico, Menger ebbe come principali oppositori i rappresentanti della “Scuola storica tedesca”. La polemica tra Menger e la Scuola Storica (Schmoller, in particolare) è nota come Methodenstreit (controversia sul metodo). Essa riveste grande importanza: da essa scaturiscono i principali filoni di riflessione sul metodo della scienza economica novecentesca. La Scuola Storica Tedesca A. “vecchia” scuola storica: Gli autori principali sono : - Wilhelm Roscher (1817-94) Bruno Hildebrand (1812-78) Karl Knies (1821-98) Il metodo della Scuola Storica 1. Induttivismo •Critica all’approccio logico-deduttivo, considerato immaturo= negazione della possibilità di una teoria economica generale. •I fenomeni economici possono essere studiati solo con riferimento a uno specifico contesto sociale e culturale. •Oggetto della scienza economica è studiare l’evoluzione storica di istituzioni, comunità nazionali e settori produttivi. •Da questo studio “positivo” si deve partire per costruire leggi di sviluppo più generali (metodo induttivo), ma mai astratte. 2. Organicismo o ‘olismo’ metodologico •Le realtà storico-sociali sono simili a organismi, caratterizzati da una loro dinamica autonoma e distinta da quella dei singoli individui che la compongono. •Ciascun popolo è una comunità organica, caratterizzata da un distinto Volksgeist (spirito nazionale). B. “nuova” scuola storica Gustav Schmoller (1838-1917) Riprende l’impostazione storicistica E’ contrario a separare l’analisi dei fenomeni economici da quella degli altri fenomeni sociali e culturali: l’agire economico non può essere ricondotto alla semplice razionalità massimizzatrice: è influenzato da usanze, istituzioni, legislazione, legami comunitari e culturali. Tuttavia il metodo induttivo non è sufficiente. Occorre raggiungere un certo livello di astrazione, e per farlo occorre applicare la logica deduttiva, che indaga i nessi causali. Ma non è possibile pervenire a generalizzazioni troppo estese (“Robinsonaden”). Esse vanno sempre riferite a determinati contesti storico-sociali. Il Methodenstreit I fatti 1883. Menger pubblica le Ricerche sul metodo delle scienze sociali e in particolare dell’economia politica, attaccando la scuola storica. Schmoller risponde con una recensione sullo Jahrbuch für Gesetzgebung, Verwaltung und Volkswirtschaft. Menger replica con un pamphlet: Gli errori dello storicismo nell’economia politica tedesca (1884). La controversia si estese a tutti i membri della scuola storica e della scuola di Menger (nota poi come “scuola austriaca”). La posizione di Menger Sul metodo delle scienze sociali Cap. 1. I diversi presupposti scientifici nel campo dell’economia “Il mondo fenomenico può essere considerato da due diversi punti di vista. L’oggetto conoscitivo del nostro interesse scientifico può essere costituito dai concreti fenomeni nella loro collocazione spazio-temporale e nei loro reciproci rapporti concreti oppure dalle forme nelle quali i fenomeni ricorrono pur nel mutamento di quei rapporti. Il primo indirizzo di ricerca è formato alla conoscenza del concreto, meglio dell’individuale; il secondo a quella del generale. A questi due indirizzi principali dell’aspirazione alla conoscenza corrispondono due grandi classi della conoscenza scientifica, delle quali chiameremo in breve l’una individuale, l’altra generale.” Tra la miriade di fenomeni oggetto di analisi scientifica ve ne sono alcuni che si ripetono con maggiore regolarità: i tipi e le relazioni tipiche. “I fenomeni della compravendita del denaro, della domanda e dell’offerta, del prezzo, del capitale, del saggio d’interesse sono esempi di forme tipiche di fenomeni economici. Invece, la costante diminuzione del prezzo di una merce in seguito all’aumento dell’offerta, l’incremento del prezzo delle merci in seguito all’aumento del denaro circolante, la diminuzione del saggio d’interesse in seguito ad un notevole accumulo di capitali, e così via, si presentano come relazioni tipiche tra i fenomeni economici.” “La ricerca dei tipi e delle relazioni tipiche dei fenomeni è di incommensurabile importanza per la vita umana, per nulla inferiore alla conoscenza degli stessi fenomeni concreti. Senza conoscere la forma dei fenomeni non ci sarebbe possibile comprendere la miriade di fenomeni concreti che ci circondano, né dar loro un ordine nella nostra mente. È questa la premessa di ogni ampia conoscenza del mondo reale. Senza la conoscenza delle relazioni tipiche ci mancherebbe non soltanto … la comprensione profonda del mondo reale, ma evidentemente anche qualsiasi conoscenza in grado di superare l’osservazione immediata, cioè qualsiasi previsione e dominio sulle cose. Ogni previsione umana, e di conseguenza ogni modificazione delle cose, è condizionata da quelle conoscenze che abbiamo definito generali.” Lo studio empirico dei fenomeni concreti che si svolgono nel tempo e nello spazio è legittimo e importante, Il metodo da applicare a questo studio è però radicalmente diverso da quello impiegato per analizzare le relazioni tipiche. Distinzione aristotelica tra Materia e Forma storia economica, statistica fatti concreti (la MATERIA) economia teorica relazioni tipiche (la FORMA) La scuola storica ha confuso questi distinti ambiti disciplinari: la Teoria non può essere desunta dalla Storia Menger si oppone anche al metodo basato sull’induzione statistica (che chiama “realistico-empirico”). Cap. 4: “L’idea più immediata per risolvere questo problema (teorico) [cioè il problema di giungere a una conoscenza scientifica generale] è indagare i tipi e le relazioni tipiche come si presentano nella loro ‘piena realtà empirica’, dunque nella totalità e complessità della loro essenza. In altre parole, si tratta di ordinare l’insieme dei fenomeni reali in forme fenomeniche definite e di rintracciare le regolarità nella coesistenza e successione di queste ultime per via empirica… Ma l’indagine ci mostra che questa idea è inattuabile nella sua piena rigorosità. Conformemente all’esperienza, i fenomeni si ripetono nella loro piena realtà empirica in certe forme, e tuttavia mai con la più completa rigorosità. Mentre di regola due fenomeni concreti, e ancor meno un più folto gruppo di essi non mostrano mai una concordanza.” “Il desiderio di stabilire categorie fenomeniche rigorose che comprendano ‘tutte le realtà empiriche’ … è pertanto uno scopo irraggiungibile per la ricerca teorica… Non diversamente stanno le cose riguardo al … la determinazione delle relazioni tipiche, delle leggi dei fenomeni. Se il mondo fenomenico viene considerato in modo rigorosamente realistico, le leggi dei fenomeni significano soltanto regolarità di fatto, constatate per via di osservazione, nella successione e nella coesistenza di fenomeni reali che appartengono a certe forme fenomeniche… La conclusione che di regola (cioè sempre, e non solo nei casi osservati!) ai fenomeni A e B succede il fenomeno C, … va oltre l’esperienza e oltre il punto di vista rigorosamente empirico: sulla base di quel metodo di osservazione essa non è rigorosamente garantita. Aristotele ha ben riconosciuto questo fatto quando ha ben negato il carattere rigorosamente scientifico dell’induzione…” L’unica regola conoscitiva per la ricerca di verità teoriche che sia giustificata in modo indubitabile (per quanto possibile) dall’esperienza e dalla nostra struttura mentale … consiste nella proposizione secondo cui ciò che è osservato anche in un solo caso deve tornare a ripetersi a parità di condizioni. Ovvero, ciò ch’è lo stesso, che nelle medesime circostanze a rigorosi fenomeni tipici di una certa specie devono sempre seguire sempre, necessariamente secondo la nostra struttura mentale, rigorosi fenomeni tipici di un’altra data specie.” NB. Questa metodologia va contro tutta la tradizione empiristica moderna, da Bacone (citato polemicamente) a Newton a David Hume (che basa le relazioni di causa ed effetto sulla “credenza” (belief). E non intraprende nemmeno la strada segnata Da Kant delle “forme a priori” della ragione. Riprende invece il metodo deduttivo di Aristotele. CARL MENGER, I FONDAMENTI TEORICI Per comprendere la battaglia teorica intrapresa da Menger sull’altro fronte, quello della critica dell’economia politica occorre affrontare le problematiche della teoria dell’utilità marginale Rispetto a questa Menger non affrontò mai le questioni relative alla natura dell’utilità e alla sua misurazione (cardinalità) Il problema teorico di Menger era: a quali condizioni il principio dell’utilità marginale può essere considerato il fondamento di tutto il discorso economico? La risposta era: Nella misura in cui quel principio possa essere esteso dall’ambito dello scambio a quelli più complessi della produzione e della distribuzione Naturalmente il primo, l’ambito dello scambio (l’ambito cioè relativo alla domanda) rappresentava il punto di partenza del modello mengeriano e in quell’ambito diventava importante definire - LA NATURA DEI BENI e - IL MECCANISMO DI ALLOCAZIONE, responsabile della massimizzazione delle utilità degli agenti individuali e della determinazione dei prezzi di equilibrio CARL MENGER, BENI ECONOMICI E TEORIA SOGGETIVA DEL VALORE Tutti i beni sono utili per soddisfare i bisogni, ma essi assumono le caratteristiche di Beni Economici solo quando il bisogno supera le quantità disponibili, cioè quando sono scarsi Diventando economici, o scarsi, i beni possono acquisire valore, ma ciò è in relazione alle circostanze e non dipende da caratteristiche intrinseche, oggettive del bene “Il valore dei beni trova fondamento nella relazione dei beni con le nostre necessità, non nei beni di per se. Secondo come variano le circostanze anche il valore può modificarsi, apparire o sparire” Il valore “è un giudizio che si fanno gli agenti economici sul significato che hanno i beni di cui dispongono per la salvaguardia della propria vita e del proprio benessere e che, perciò, non esiste al di fuori dell’ambito della loro propria coscienza” “Così è completamente erroneo parlare di valori come se si trattasse di cose reali e indipendenti, oggettivando così il concetto (…) L’oggettivazione del valore dei beni, che è per sua propria natura totalmente soggettivo, ha contribuito notevolmente a creare molta confusione attorno ai fondamenti della nostra scienza” CARL MENGER, LA DETERMINAZIONE DEL VALORE E allora come si determina il valore di un bene economico? Sia dato un bene economico disponibile in una determinata quantità per soddisfare un certo bisogno. Nell’attribuire valore al bene il comportamento economico degli individui si concentra su quella dose che assume la minore importanza ai fini della soddisfazione del bisogno Così se per un assetato il primo bicchiere d’acqua ha un valore enorme, il secondo vale già di meno e ancor meno il terzo, ecc… L’assetato tuttavia attribuirà un valore solo a tutta l’acqua disponibile sulla base della soddisfazione ricavabile dall’ultimo bicchiere di essa In tal modo Menger fa dipendere il valore dall’utilità marginale dei beni, senza tuttavia utilizzare mai quest’ultimo termine I beni sono associabili ai bisogni che soddisfano e gli individui stabiliscono delle priorità nei propri bisogni da soddisfare Gli individui distribuiscono (allocano) le proprie risorse sulla base di priorità soggettive di bisogno cercando di ottenere il massimo livello di soddisfazione (la massima utilità totale) CARL MENGER, L’ALLOCAZIONE COME PROCESSO SEQUENZIALE (I) Nello schema mengeriano l’allocazione risulta da un procedimento sequenziale L’individuo infatti scopre e sceglie, di volta in volta, il bene e la dose di bene che gli procura l’utilità maggiore Il cosiddetto principio di equi-marginalità (vale a dire il ragguaglio delle utilità dell’ultima dose acquistata di ogni bene) non è che il risultato di questa sequenza di scoperte, e costituisce anch’esso una scoperta (non è cioè predeterminata) E’ una scoperta finale, una constatazione a posteriori, che non ha influenzato le azioni e le scelte dell’individuo nel loro dispiegarsi in modo razionale e creativo E’ questo un elemento fondamentale di distinzione della scuola austriaca, la quale pone serissimi dubbi sulla coerenza logica ed empirica dell’approccio matematico degli anglo-sassoni alla seconda legge di Gossen Tale approccio presuppone infatti che all’individuo siano note simultaneamente tutte le funzioni di utilità di tutti i beni e la stessa equazione di eguaglianza delle utilità marginali ponderate L’equilibrio simultaneo che scaturisce dai modelli matematici è nella realtà un processo genetico, sequenziale, progressivo ed eterogeneo di acquisizione dell’informazione, di cui gli strumenti matematici non possono rendere conto Tavola di Menger I II III IV V VI VII VIII IX X 8 7 6 5 4 3 2 1 10 9 7 6 5 4 3 2 1 0 9 8 6 5 4 3 2 1 0 8 7 5 4 3 2 1 0 7 6 4 3 2 1 0 6 5 3 2 1 0 5 4 2 1 0 4 3 1 0 3 2 0 2 1 1 0 (numeri romani = beni; numeri arabi = utilità delle dosi successive) Ad ogni unità via via consumata dei beni I, II, III… corrisponde un dose di utilità via via minore (10, 9, 8…) CARL MENGER, L’ALLOCAZIONE COME PROCESSO SEQUENZIALE (II) La matematicizzazione dell’analisi economica appare perciò a Menger come distorsiva, perché non consente di cogliere la “reale essenza” dei concetti economici Essa propone un punto di vista statico che “sincronizza gli avvenimenti, quando ciò che in realtà esiste è un processo dinamico; il fatto è che non si può considerare un processo genetico in termini statici senza eliminare proprio la sua più intima caratteristica” (Mayer) In conclusione l’impiego sistematico della matematica in economia può risultare ingannevole, in quanto esso tende ad uniformare sincronicamente grandezze che sono in realtà eterogenee in termini temporali che in termini di capacità creativa dell’individuo CARL MENGER, LA TEORIA DELL’IMPUTAZIONE Poiché sono solo i beni di primo ordine (i beni di consumo) che soddisfano direttamente i bisogni, solo per questi beni il valore può essere determinato in maniera diretta in base all’utilità marginale I beni di ordine superiore (vale a dire i fattori della produzione) derivano la loro utilità, e quindi il loro valore, dai beni di primo ordine che concorrono a produrre Tale utilità può essere loro imputata (vale a dire calcolata) sulla base del contributo marginale dato alla produzione dei beni di primo ordine Il costo di produzione dei beni assume quindi le caratteristiche di costo opportunità, dato dal sacrificio di utilità sostenuto rinunciando alla produzione degli altri beni di primo ordine che si sarebbero potuti ottenere con gli stessi fattori impiegati Il costo di produzione non è più considerato in termini assoluti, ma in termini relativi: in termini di alternative sacrificate Se poi le circostanze fanno sì che un certo bene economico di primo ordine A perda valore, anche i beni P, Q, R, S,T … di ordine superiore rispetto ad A perdono valore, a meno che non abbiano possibilità di impiego nella produzione di un altro bene economico Attraverso la teoria dell’imputazione, M. tenta di estendere il principio di utilità marginale al costo di produzione e alle condizioni dell’offerta: domanda e offerta non sono che due aspetti dello stesso problema, risolvibile in termini di utilità CARL MENGER, LA DISTRIBUZIONE Il principio di utilità, dando ragione del costo di produzione, finisce anche per dar ragione della remunerazione da attribuire ai proprietari dei fattori di produzione (ciò che è costo per l’impresa è reddito per questi ultimi) L’ammontare dei salari, dei profitti e delle rendite dipende in ultima istanza dai prezzi dei beni di primo ordine, sono quindi determinati dall’utilità di questi Il problema della distribuzione (che nei classici era un importante e preminente capitolo della teoria economica) si riduce pertanto ad un paragrafo del capitolo relativo alla teoria dei prezzi Ciascun fattore riceve il corrispettivo del valore del proprio contributo produttivo ed il valore della produzione risulta completamente “esaurito” nella remunerazione dei fornitori dei fattori Non esiste quindi nessun ulteriore sovrappiù di cui qualcuno si possa appropriare senza averlo generato In tal modo Menger anticipa la soluzione di quello che sarà uno dei temi dominanti del pensiero neo-classico nei primi decenni del ‘900: la teoria dell’esaurimento della prodotto