CONSENSUS GAVeCeLT SUL CORRETTO UTILIZZO DEI SISTEMI TOTALMENTE IMPIANTABILI PER PROCEDURE DIAGNOSTICHE RADIOLOGICHE Sezione 1 – Indicazioni all’uso del port per l’infusione di mezzo di contrasto Responsabili: R. Biffi, F. Orsi, S. Batacchi Quesito 1: Quali sono le principali indicazioni all’utilizzo del port per l’infusione di mdc? Esami finalizzati alla diagnosi di complicanze del port Esami non finalizzati alla diagnosi di complicanze del port Quesito 2: Quali sono i potenziali vantaggi dell’infusione tramite port (se fattibile senza complicanze) anche per esami non finalizzati alla diagnosi di complicanze del presidio? Ovvero, in che misura l’utilizzo del port può essere vantaggioso in termini di costo/efficacia rispetto all’utilizzo di un accesso venoso periferico? Quesito 1: Quali sono le principali indicazioni all’utilizzo del port per l’infusione di mdc? •Esami finalizzati alla diagnosi di complicanze del port •Esami non finalizzati alla diagnosi di complicanze del port Esami finalizzati alla diagnosi di complicanze del port - 1 2 situazioni cliniche in cui può essere necessario eseguire uno studio radiologico con mezzo di contrasto introdotto attraverso il port (cosiddetto “catetere-gramma”): •ostruzione del catetere •danno meccanico del reservoir e/o del catetere connesso Esami finalizzati alla diagnosi di complicanze del port - 2 In accordo con le linee-guida RCN (Royal College of Nurses) - Standards for Infusion Therapy INS (Infusion Nurses Society) - Infusion Nursing Standards of Practice , la pervietà del sistema va sempre verificata prima di avviare ogni infusione: “The patency of any vascular access device (VAD) should be established prior to administration of medicines and/or solutions” Esami finalizzati alla diagnosi di complicanze del port - 3 McCloskey ha proposto la seguente classificazione pratica dell’occlusione del catetere: • occlusione completa – impossibilità di aspirare sangue ed infondere liquidi; • occlusione parziale – difficoltà nell’aspirazione; • “withdrawal occlusion” – impossibilità di aspirare sangue, ma è mantenuta la capacità di infondere liquidi. Secondo il London Standing Committee 2000, questa complicanza è meglio definibile come la possibilità dei fluidi di essere infusi per semplice gravità attraverso la linea, con l’impossibilità di aspirare sangue dal catetere. Esami finalizzati alla diagnosi di complicanze del port -4 L’occlusione completa può essere la conseguenza di: -formazione di un coagulo nel lume del catetere -precipitazione di farmaci -formazione di una guaina di fibrina che avvolge completamente il catetere e ne blocca il funzionamento. L’ostruzione parziale può essere causata da: -piccolo coagulo intraluminale non completamente ostruente -ostacolo meccanico esterno (ad esempio, un’angolatura della linea o del raccordo) o interno (ad esempio un pinch-off) -trombosi del vaso che accoglie il catetere e ne avvolge la punta . La “withdrawal occlusion” può infine essere il risultato nuovamente di un fibrin sleeve, di una trombosi parziale a livello della punta o di una malposizione secondaria Esami finalizzati alla diagnosi di complicanze del port - 5 Raccomandazione pratica condivisa dalle linee guida INS : “The nurse should aspirate the catheter to confirm patency prior to administration of medications and/or solutions. If resistance is met or absence of blood return noted, the clinician should take further steps to assess patency of the catheter prior to administration of medication and/or solutions”. •Quesito 1: Quali sono le principali indicazioni all’utilizzo del port per l’infusione di mdc? Esami finalizzati alla diagnosi di complicanze del port Esami non finalizzati alla diagnosi di complicanze del port Esami non finalizzati alla diagnosi di complicanze del port TC La rappresenta senz’altro l’esame diagnostico nell’ambito del quale la modalità di somministrazione del mdc endovenoso richiede un’attenzione particolare. Lo sviluppo tecnologico ha consentito tecniche di acquisizione di immagine talmente rapide da trasformare una metodica diagnostica prevalentemente morfologica in un’indagine funzionale. fegato, reni, pancreas e surreni Lo stesso principio vale per esami contrastografici quali RM ed Ecografia, ma anche di Radiologia Tradizionale come le urografie. Tuttavia, sia in RM che in Ecografia i mdc impiegati hanno caratteristiche fisiche (viscosità e densità) tali da minimizzare le eventuali problematiche iniettive attraverso i dispositivi venosi centrali. Inoltre queste indagini, insieme ad alcuni esami di Radiologia Tradizionale (Urografia) , non necessitano dell’infusione a pressione (alte velocità di flusso), riducendo pertanto il rischio di un danno meccanico del dispositivo. In TC l’esecuzione di esami diagnostici per gli organi precedentemente elencati richiede invece l’iniezione forzata (flussi compresi tra 2,5 e 5 ml/sec) per ottenere una concentrazione ematica elevata, potenziando in questo modo la risoluzione di contrasto parenchimale nelle diverse fasi. In particolare nello studio del parenchima epatico, . la dinamica contrastografica nelle diverse fasi (fase contrastografica arteriosa precoce, arteriosa tardiva, portale e tardiva) consente una migliore individuazione delle alterazioni focali nonché la valutazione di natura. I parametri contrastografici che possono influire sulla qualità di una immagine TC sono la velocità di flusso, il volume totale e la distanza del sito di iniezione dall’atrio destro. 1) flusso: la velocità di flusso influenza la concentrazione ematica di mdc (alti flussi = alte concentrazioni, bassi flussi = basse concentrazioni) 2) volume totale: rappresenta la ”durata dell’iniezione” del mdc ad un determinato flusso costante. Al primo passaggio nel piccolo circolo, esso rappresenta la lunghezza della “colonna” ematica contrastata che raggiungerà l’organo da studiare. Più lunga è la colonna, maggiore sarà il tempo di transito e quindi il tempo a disposizione per indagare l’organo in quella particolare fase contrastografica. L’adozione di macchine sempre più veloci ha consentito di ridurre il volume totale del mdc necessario per questi esami. 3) distanza del sito di iniezione: questo elemento influenza il tempo di latenza tra l’inizio della somministrazione del mdc e l’arrivo della colonna ematica contrastata a livello dell’organo oggetto di studio. Maggiore è la distanza dall’atrio destro e maggiore sarà la diluizione del mdc con il sangue. Pertanto a parità di flussi di iniezione , avrà una maggiore concentrazione ematica l’iniezione effettuata ad una distanza minore dall’atrio destro. Quesito 2: Quali sono i potenziali vantaggi dell’infusione tramite port (se fattibile senza complicanze) anche per esami non finalizzati alla diagnosi di complicanze del presidio? Ovvero, in che misura l’utilizzo del port può essere vantaggioso in termini di costo/efficacia rispetto all’utilizzo di un accesso venoso periferico? La risposta a questo quesito è controversa, riflettendo in ciò l’esiguità delle evidenze di livello elevato disponibili, e la conseguente necessità di ricorrere a dati di minore impatto scientifico. Il punto-chiave è se la metodica di power injection attraverso il port sia scevra di complicanze; una volta risolto questo punto a favore della sostanziale sicurezza della procedura (con o senza devices opportunamente costruiti per tollerare le elevate pressioni generate dalla power injection), è del tutto evidente che l’impiego di un port già presente per l’iniezione power del mdc è sicuramente più vantaggioso della ricerca di una vena periferica. Il problema del rapporto costo/efficacia dell’uso dei port nella terapia a lungo termine dei pazienti oncologici risente del fatto che trials randomizzati di confronto fra port e accesso venoso ripetuto possono essere condotti esclusivamente in soggetti con un patrimonio venoso periferico conservato, sottoposti a chemioterapia ciclica a bolo. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, vi è evidenza obiettiva che l’impianto e l’utilizzo di un port costituiscono una strategia sicura ed efficace per l’accesso venoso a lungo termine in pazienti oncologici, e che tale strategia è in grado di ridurre i problemi (ansia, dolore, costi) connessi alla ricerca di un ripetuto accesso periferico. Tra i vantaggi va anche segnalata la possibilità di standardizzare le tecniche infusive, sia tra i diversi pazienti che nell’ambito del follow up durante e/o dopo terapia nello stesso paziente. Inoltre, la posizione maggiormente centrale del punto di fuoriuscita del mdc (giunzione cava/atrio), consentirebbe l’impiego di flussi e volumi di contrasto inferiori rispetto ad una somministrazione da vena periferica. Reminder della Food and Drug Administration USA del luglio 2004: 250 eventi avversi connessi all’impiego del power injector per infusione diretta in vena centrale, occorsi nell’arco di alcuni anni precedenti il warning. Nel lavoro tecnicamente meglio dettagliato, pubblicato nel marzo 2007 e prodotto da un gruppo radiologico pediatrico del Children’s Memorial Hospital di Chicago*, non venne osservata alcuna complicazione riferibile alla power injection in 63 pazienti sottoposti a CT body scan, avendo l’accortezza di settare l’iniettore ad una pressione limite di 25 psi (172 kPa), che costituiva il minimo per l’iniettore in questione (En Vision Medrad). *Rigsby CK. AJR 2007; 188: 726-32. Alcuni gruppi hanno proposto l’impiego della somministrazione mediante iniezione manuale, allo scopo di azzerare i rischi della iniezione power . Uno studio in vitro non recente aveva documentato il raggiungimento di pressioni di picco più elevate di quelle ottenute usando l’iniettore power, a parità di flusso *. Nella pratica clinica, l’impiego dell’iniezione manuale di mdc in uno studio pediatrico condotto su 1440 CT scan ha evidenziato 4 episodi di danneggiamento del catetere esterno (tutti riparati senza conseguenze), verificatesi nell’arco di 6 anni, pari ad un’incidenza del fenomeno dello 0.3% **. *Herts BR. Radiology 1996; 200: 731-5. **Donnelly LF. AJR 2007; 189: 1530-2. Uno studio in vitro condotto in Germania* ha valutato 20 diversi tipi di port, usando un power injector fisso (Stellant, Medrad, Inianola, USA), attraverso il quale sono stati iniettati 100 ml di mezzo di contrasto (Ultravist 370, Schering, Berlin, Deutschland), con una pressione-limite di 325 PSI. La velocità di iniezione veniva aumentata di 2 ml/sec a partire da un valore di partenza di 2 ml/sec, sino ad un valore massimo di 10 ml/sec. La pressione di iniezione e la velocità di iniezione massime venivano misurate e registrate. * Gebauer B, Rofo 2005;177 (10): 1417-23. Una velocità di iniezione di 2 ml/sec fu possible in tutti i port studiati, 4 ml/sec fu possibile con 18 sistemi, 6 ml/sec in 13 sistemi e 8 ml/sec in 6 sistemi su 20. Applicando un limite di pressione di 325 PSI, una velocità di iniezione di 10 ml/sec non fu possible con alcun sistema studiato. Non furono osservate rotture, disconnessioni o stravasi. La conclusione degli autori* fu che la power injection di mezzo di contrasto, ad un limite di pressione di 325 PSI, sembra essere tollerata dai sistemi port indagati, e che la maggior parte di essi consente flussi adatti per lo studio TC multistrato, che richiede una somministrazione rapida di mezzo di contrasto. * Gebauer B, Rofo 2005;177 (10): 1417-23. Orsi F, dati non pubblicati Questo studio focalizza l’attenzione su alcuni elementi: - per flussi comunemente impiegati negli studi TC oncologici (2,5 – 3,5 ml/sec), anche un dispositivo non certificato (non Power Port) è probabilmente idoneo per la somministrazione del mdc in sicurezza; - esiste sempre una differenza tra il valore di flusso impostato ed il valore effettivamente iniettato (nel rispetto dei limiti pressori impostati al dispositivo di iniezione); -delle varie parti del sistema Port, l’unica soggetta effettivamente a rottura potrebbe essere quella esterna (raccordo con l’ago di Huber); - il diametro dell’ago di Huber rappresenta il vero “collo di bottiglia” del sistema. Questo giustifica la rottura a monte del sistema anche a pressioni eccedenti i limiti normalmente presenti nei Power Injector per TC (325 PSI). Un altro studio tedesco * si è posto l’obiettivo di valutare il massimo flusso ottenibile in vivo iniettando il mezzo di contrasto in cateteri venosi periferici di piccolo calibro (18-20-22 G). Nel 36% dei pazienti (33/91) non fu possibile somministrare il mezzo di contrasto alla velocità programmata e si osservò uno stravaso in 2 casi. Nei restanti 58 pazienti fu possibile ottenere un flusso di 3 ml/sec con cateteri 22 G e 5 ml/sec con cateteri 20 G. Al di là delle conclusioni degli autori, questi dati sembrano indicare un’alta percentuale di casi in cui l’infusione ad alta velocità non è ottenibile con cateteri periferici di ridotto calibro e che si determinano significativi tassi di stravaso. *Schwab SA. Rofo 2009 ;181 (4): 355-61. Epub 2009 Mar 11. Un gruppo USA* ha sottoposto 24 PICCs del diametro di 4 o 5 F, prodotti da 13 diverse aziende, al test di infusione rapida in vitro. Pur con notevoli variabilità fra i singoli devices, i PICCs in poliuretano hanno dimostrato una maggiore resistenza rispetto a quelli in silicone (flusso di rottura del poliuretano: 4-15.4 ml/sec vs 0.5-3.5 ml/sec del silicone). * Salis AI. J Vasc Interv Radiol. 2004 Mar;15(3):275-81. Uno studio analogo è stato condotto in vivo da un altro gruppo USA **, riscontrando 2 rotture di PICCs su 110 power injections eseguite, con errore umano in entrambi gli eventi avversi (clampaggio e torsione inavvertita del catetere). Non venne osservata alcuna significativa complicanza a danno dei pazienti; infine, la qualità delle immagini ottenute venne giudicata nella media - o superiore alla media - da un panel indipendente di radiologi nel 95% dei casi studiati. **Coyle D. J Vasc Interv Radiol. 2004 Aug;15(8):809-14. Raccomandazioni finali: •Quando è indicato l’utilizzo del port in radiodiagnostica e quando è controindicato? •Quali studi sono attualmente auspicabili in questo campo, per definire eventuali aspetti ancora controversi? Quando è indicato l’utilizzo del port in radiodiagnostica e quando è controindicato? - 1 Allo stato attuale delle conoscenze, sulla base di quanto è riportato nella letteratura scientifica di settore, non è possibile definire con assoluta certezza le situazioni in cui l’impiego di un port è sicuramente controindicato per l’infusione di mezzo di contrasto. Vi sono anzi situazioni cliniche (complicanze del posizionamento e dell’ uso del port) in cui può essere necessario eseguire uno studio radiologico con mezzo di contrasto introdotto attraverso il port (cosiddetto “cateteregramma”), in associazione o meno ad una preliminare radiografia del torace in 2 proiezioni. Quando è indicato l’utilizzo del port in radiodiagnostica e quando è controindicato? - 2 Il panel di esperti ritiene prudente raccomandare che l’impiego di un port a fini di radiodiagnostica debba essere oggetto di un accertamento specifico preliminare delle caratteristiche costruttive del device, ottenibii dal produttore. E’ opinione del panel che l’impiego a fini di radiodiagnostica di un device sicuro, in grado di tollerare i flussi richiesti e le pressioni generate da una power injection, si traduca in un vantaggio sia per il paziente che per l’istituzione (puntura periferica evitata e benefici economici derivanti dalla riduzione dei tempi di lavoro degli infermieri e del personale radiologico coinvolto nell’ esecuzione delle indagini radiodiagnostiche). Quando è indicato l’utilizzo del port in radiodiagnostica e quando è controindicato? - 3 Esistono in oncologia studi clinici (di fase I, II o III) relativi all’impiego di farmaci sperimentali o innovativi, in cui la valutazione della risposta viene effettuata sulla base dei criteri RECIST (Response Evaluation Criteria In Solid Tumors), universalmente riconosciuti . In casi simili non ci si può permettere, sia per motivi etici che di costo/beneficio, una qualità della documentazione radiologica meno che ottimale. Quando è indicato l’utilizzo del port in radiodiagnostica e quando è controindicato? - 4 La mancanza di un adeguato accesso periferico (pazienti con patrimonio esaurito, obesi etc.), o la presenza di un sistema di accesso venoso centrale non power-certificato potrebbe essere un limite insormontabile all’esecuzione di questo tipo di valutazioni più raffinate, e costituire invece un’indicazione ottimale per l’impiego di un sistema power port certificato. Raccomandazioni finali: •Quando è indicato l’utilizzo del port in radiodiagnostica e quando è controindicato? •Quali studi sono attualmente auspicabili in questo campo, per definire eventuali aspetti ancora controversi? Mancano studi di adeguato potere statistico e di buona qualità scientifica (Randomised Clinical Trials RCTs) di confronto fra: -una strategia “Power di principio” (si mette un power port e si fanno tutte le valutazioni radiologiche con power injection attraverso il device) - vs una strategia “Accesso venoso periferico di principio” (il port non c’è, o comunque non è powercertificato, e si utilizza un accesso venoso periferico per l’esecuzione di esami TC in pazienti oncologici sottoposti periodicamente ad indagini di ristadiazione della neoplasia). Gli end point di questo tipo di studi dovrebbero essere: • la soddisfazione del paziente • la sua qualità di vita (ansia, dolore etc,) • i costi diretti ed indiretti delle due differenti strategie (a fronte di un costo “crudo” più elevato si potrebbero avere dei risparmi gestionali con l’utilizzo di un sistema power certificato). Un secondo settore che dovrebbe essere indagato è l’impatto sulla qualità delle immagini in oncologia derivante dall’impiego di un sistema di accesso venoso centrale idoneo per la power injection. Per lo studio del fegato, ad esempio, è essenziale un’ottima sequenza standardizzata delle diverse fasi della TC; la doppia vascolarizzazione e la necessità di completare la scansione prima che si verifichi l’equilibrio fra i compartimenti intra- ed extra-vascolare fanno del fegato un organo unico. Soprattutto per le valutazioni RECIST, l’impiego di una tecnologia power potrebbe essere più costo/efficace dell’accesso periferico.