Facoltà di Ingegneria
Corso di Cultura europea
Anno Accademico
2006 / 2007
8a lezione
La “Politica regionale”
L’espressione “politica regionale”, si riferisce di norma ad un
insieme di misure economiche il cui scopo finale è di
influenzare la distribuzione del reddito e delle attività
produttive nel territorio nazionale.
A livello comunitario, a questi obiettivi se ne aggiunge un
altro: quello di realizzare una migliore armonizzazione delle
politiche regionali adottate dai singoli Stati membri, sia per far
fronte agli effetti che tendono a prodursi automaticamente in
conseguenza dell’apertura delle frontiere interne, sia per
creare i presupposti per l’attuazione delle politiche comuni e
promuovere il massimo di economie esterne a favore di
ciascuna regione.
2
La politica regionale comunitaria
deve quindi assicurare:

il coordinamento ed il controllo delle politiche regionali
nazionali, per evitare la sovrapposizione degli aiuti regionali
tra gli Stati membri;

il coordinamento di tutte le politiche e degli strumenti
finanziari comunitari, per dare loro una “dimensione
regionale” e massimizzarne l’impatto sulle regioni che
necessitano d’intervento.
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Il coordinamento della politica economica
regionale nell’Unione europea
UNIONE EUROPEA
Stato membro 1
Regione A
Regione B
Stato membro 2
Regione X
Regione Y
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La “solidarietà”
La politica regionale comunitaria si ispira ad un principio di solidarietà.
Oltre un terzo del bilancio dell’Unione europea è destinato a ridurre le
disparità di sviluppo fra le regioni e i divari economici fra i cittadini.
Attraverso questa politica l’Unione intende contribuire a riassorbire il
ritardo delle regioni più svantaggiate, nonché a favorire la riconversione
delle zone industriali in crisi, la diversificazione economica delle
campagne penalizzate dal declino delle attività agricole e la
riqualificazione dei quartieri cittadini in stato di abbandono e degrado.
Tali interventi mirano principalmente a creare occupazione.
In sintesi, si tratta di rafforzare la «coesione» economica, sociale e
territoriale dell’Unione.
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I problemi “regionali” dell’Unione europea
L'Unione europea è una delle aree economiche più ricche del mondo, ma presenta forti
disparità tra i suoi Stati membri e ancor più tra le regioni ad essi interne.
In Grecia, Portogallo e Spagna il PIL medio pro capite non raggiunge l'80% della media
comunitaria, mentre il Lussemburgo la supera di oltre 60 punti percentuali. Il PIL delle
dieci regioni più dinamiche dell'Unione è circa il triplo di quello delle dieci regioni meno
sviluppate.
L’allargamento a 25 Stati membri ha aumentato enormemente il divario tra i livelli di
sviluppo dell’UE: il reddito nazionale dei dieci nuovi paesi membri è infatti notevolmente
inferiore alla media europea, nonostante i tassi di crescita di alcune delle zone più
povere dei nuovi Stati siano i più elevati dell’Unione.
Dal 1° gennaio 2007 (data di ingresso degli ultimi due nuovi Stati membri), l’UE è
costituita da un mercato interno e un potenziale umano di circa 490 milioni di cittadini.
Il suo dinamismo, tuttavia, è frenato dall’esistenza di rilevanti disparità economiche e
sociali sia fra gli Stati membri, sia tra le singole regioni.
L’Europa a venticinque, con le sue 254 regioni, ha fatto registrare divari interregionali
due volte maggiori rispetto all’Europa dei quindici e la nuova adesione di Bulgaria e
Romania potrebbe accentuare tali divari.
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Misurare l’economia regionale
Tre sono gli indicatori che vengono di norma utilizzati per definire la prosperità o il
grado di arretratezza economica di una regione:



il PIL pro capite
il tasso di disoccupazione
l’entità dei movimenti migratori, espressi in termini di tasso di migrazione.
All’interno dell’Unione europea esistono divari non solo tra regioni di differenti Paesi,
ma anche tra regioni all’interno di ciascuno Stato membro, compresi quelli
complessivamente più “ricchi”.
In effetti, le disparità esistenti tra le regioni dell’UE sono il riflesso di due componenti
con peso differente sulla gravità dei problemi regionali: una componente “interstatale”,
indice della eterogeneità tra gli Stati membri, ed una seconda componente correlata
alle differenze socioeconomiche tra le regioni all’interno degli Stati stessi. Dal punto di
vista comunitario si considerano entrambi problemi regionali, e non solo quelli del
secondo ordine; è il concetto stesso di regione che assume un significato alquanto
differente se considerato nell’accezione più ampia di “spazio economico”.
A seguito della graduale adesione di nuovi Stati alla Comunità, il baricentro degli
squilibri regionali si è spostato dal livello strettamente nazionale a quello
intracomunitario.
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Il PIL pro capite
Il prodotto interno lordo pro capite indica il reddito prodotto negli Stati membri e nelle
regioni dalle unità produttive residenti.
Come indicato nella “Seconda relazione sulla coesione”, il PIL pro capite, espresso in termini
di standard di potere d’acquisto, per tenere conto delle differenze nei livelli di prezzo, è
l’indicatore primario per valutare lo sviluppo delle economie, tanto nazionali quanto regionali.
A livello regionale sono di norma disponibili solo dati espressi in termini di PIL pro capite che
sono raccolti dall’Eurostat in serie statistiche e armonizzati al fine di renderli omogenei e
quindi confrontabili.
Questo indicatore viene utilizzato non solo nell’Unione per misurare le disparità tra regioni e
per individuare quelle meritevoli di assistenza da parte dei Fondi Strutturali, ma anche da
altre istituzioni internazionali (Nazioni Unite, Banca mondiale, FMI, OCSE, ecc.), dai governi
nazionali, dalle banche centrali e dagli istituti di ricerca per effettuare stime analoghe dello
sviluppo economico.
Il PIL pro capite non è una misura perfetta e presenta un certo numero di punti deboli. Questi
includono, in particolare, il problema del pendolarismo (i pendolari contribuiscono al valore
del PIL prodotto in un’economia o regione in aggiunta alle persone che vi risiedono ma non
sono inclusi tra coloro cui si riferisce il PIL) e l’esclusione dei trasferimenti che incrementano
o riducono il reddito. In ogni caso, considerando i dati al momento esistenti e le difficoltà
concettuali che restano da risolvere, questa misura è comunemente accettata come la
migliore disponibile.
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Alcuni dati sulle disparità economiche regionali
Le disparità in termini di reddito e occupazione nell’Unione europea a 15 si sono ridotte
nell’ultimo decennio, in particolar modo a partire dalla metà degli anni ‘90. Ciò vale per le
disparità sia tra paesi sia tra regioni.
Al tempo stesso, la produttività nelle zone meno prospere dell’Unione ha registrato un
aumento relativo rispetto ad altre aree dell’UE, attestando un miglioramento della loro
competitività. Permangono, tuttavia, ampie differenze nei livelli relativi di prosperità e
risultati economici, che riflettono il perdurare di debolezze strutturali, nonostante i
miglioramenti realizzati grazie al sostegno dei Fondi Strutturali.
Le disparità nei livelli di reddito e di occupazione, sia tra paesi sia tra regioni, hanno subito
un’ulteriore forte accentuazione con l’ingresso dei 10 nuovi Stati membri a maggio 2004. In
quasi tutti i casi, questi paesi hanno sperimentato una crescita significativamente più elevata
rispetto all’UE15 fin dalla metà degli anni ’90, dopo la confusa fase iniziale della transizione,
ma hanno un livello notevolmente più basso in termini di PIL pro capite e, nella maggioranza
dei casi, in termini di occupazione rispetto alla media UE15.
L’allargamento ha avuto un effetto sulle disparità tra le regioni perfino maggiore di quello tra i
paesi. Mentre circa 73 milioni di persone, approssimativamente il 19% della popolazione
dell’UE15, vivono in regioni dove il PIL pro capite tra il 1999 e il 2001 è stato inferiore al 75%
della media UE, come attestano le più recenti stime, quasi lo stesso numero, circa 69 milioni
dei 74,5 milioni che sono diventati cittadini dell’Unione nel 2004 (il 92% del totale) vivono in
regioni con un PIL pro capite inferiore al 75% della media UE25 nei nuovi Stati membri.
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Ma non dimentichiamo l’effetto statistico
E’ necessario considerare che in realtà i problemi di ogni singola
regione interna agli Stati membri dell’UE15 sono rimasti pressoché
immutati.
Ciò che si è invece verificato è una modificazione del loro peso
relativo, dovuto al fatto che quasi tutte le regioni dei nuovi Stati membri
si sono collocate all’ultimo posto nella graduatoria del PIL pro capite,
facendone diminuire la media statistica.
La conseguenza è che molte regioni che nella UE a 15 avevano un
livello di PIL pro capite al di sotto della media comunitaria, si sono poi
ritrovate ad occupare posizioni della graduatoria corrispondenti a livelli
superiori senza che a queste facessero riscontro effettivi incrementi
nello stato di benessere economico.
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PIL regionale
2001
Indice UE 25 = 100
< 50
50 - 75
75 - 90
90 - 100
100 - 125
>= 125
Assenza dati
Fonte: Eurostat
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Tasso di occupazione
2002
% della popolazione tra 15-64 anni
< 56
< 56.0 – 60.2
< 60.2 – 64.4
64.4 – 68.6
>= 68.6
Assenza dati
UE27 = 62.4
Deviazione Standard = 8.4
FONTE :
Eurostat e Istituti Statistici Nazionali
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Ampliamenti e disparità regionali
In tutte le sue pubblicazioni la Commissione europea ha sempre espresso un
indubbio ottimismo circa le implicazioni di ulteriori ampliamenti dell’UE. Anche in
passato, ogniqualvolta si prospettava una nuova adesione, non mancavano
obiezioni e dubbi sul fatto che l’arrivo di nuovi membri avrebbe comportato
eccessivi problemi di ordine economico e politico. Ogni nuova adesione è invece
servita, se non altro, ad accelerare il processo di integrazione europeo. I problemi
istituzionali, che pure esistono, sono stati in realtà secondari: in fin dei conti, sono
le istituzioni che devono adeguarsi alle esigenze degli Stati membri e non
viceversa.
Ma, se questo è il punto di vista istituzionale, non si possono ignorare le
implicazioni di politica regionale che una tale scelta comporta.
L’Unione europea non si è mostrata sufficientemente in grado di ridurre le attuali e
rilevanti disparità regionali, nonostante gli strumenti giuridici ed i mezzi finanziari
finora apprestati. Ora, è indubbio che l’ingresso di nuovi Stati membri comporterà
ulteriori divari economici e ancor più rilevanti problemi in campo regionale.
Prima di analizzare gli effetti che una integrazione economica esercita sui divari
interregionali, occorre soffermarsi sull’esatto significato di integrazione economica.
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Stadi di integrazione economica
Cinque sono gli stadi principali di integrazione, compresi, secondo un livello crescente, tra una economia
nazionale indipendente ed una economia nazionale che è integrata con altre in modo tale da costituire essa
stessa una regione.

Area di libero scambio. Si tratta di un insieme di Stati tra i quali vige un regime di libero scambio, attuato attraverso
l’abolizione delle tariffe doganali interne. Ogni Stato membro conserva tuttavia la propria autonomia per quanto
attiene alle politiche commerciali da adottare nei confronti di Stati non appartenenti all’area stessa.

Unione doganale. E’ un’area di libero scambio caratterizzata da una comune politica commerciale nei confronti di
Stati che non ne siano membri.

Mercato comune. Si tratta di un’unione doganale al cui interno i fattori di produzione, capitale e lavoro, possono
circolare liberamente.

Unione economica. Ha tutte le caratteristiche del mercato comune ma alcune politiche macroeconomiche sono
affidate ad una autorità centrale piuttosto che alle singole sovranità nazionali, anche se la responsabilità della loro
attuazione è attribuita esclusivamente a queste ultime.

Federazione economica. Costituisce l’ultimo ed anche il più completo stadio di integrazione economica, la cui
realizzazione comporta che la maggior parte delle politiche siano di competenza esclusiva di un’autorità federale
centrale piuttosto che degli Stati membri e che le monete nazionali, in precedenza indipendenti, siano fuse in
un’unica moneta comune.
L’Unione europea, sorta come unione doganale, è diventata poi un mercato comune che, in determinati settori, ha
sviluppato politiche economiche comuni (ad esempio, nel campo dell’agricoltura, del carbone e dell’acciaio, della
energia atomica) ed ha recentemente realizzando un’ulteriore fase di integrazione economica che ha portato alla
creazione di una vera e propria unione economica e monetaria, basata sulla libera circolazione dei capitali e delle
merci, sulla moneta unica per gli Stati membri nonché su di un’unica politica monetaria e dei cambi, affidata ad
una Banca centrale.
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Lezione 8 - Progetto Nord-Sud