FOCUS CLINICI
REGOLAZIONE DELLA GLICEMIA. IL DIGIUNO
Per glicemia si intende il tasso (livello) di glucosio presente nel sangue. A
distanza di alcune ore dal pasto, i suoi valori normali sono compresi tra 80 e 110
mg/dl.
L’organismo è in grado di regolare la glicemia, riportando o mantenendo i suoi
valori entro il range di normalità, sia in risposta al suo rialzo dopo pasti contenenti
carboidrati, sia in situazioni di digiuno più o meno prolungato.
Dopo un pasto contenente carboidrati, si verifica un iniziale incremento dei valori
di glicemia dal livello basale a circa il doppio, legato all’assorbimento del glucosio
derivante dai processi digestivi; segue un progressivo ritorno al valore basale per
effetto dell’azione dell’insulina secreta in risposta all’aumentata concentrazione
del glucosio. Questo andamento, che in condizioni normali dura circa 2 ore, viene
denominato risposta glicemica postprandiale e può essere influenzata dalla
sensibilità individuale del soggetto al carico glicemico (“tolleranza al glucosio”) e
dalla funzionalità gastrointestinale (tempo di svuotamento gastrico, efficienza dei
processi digestivi e velocità di assorbimento intestinale).
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La risposta dipende ovviamente dalla quantità di carboidrati ingeriti (carico
glicemico), ma anche dalla loro qualità (i carboidrati semplici hanno un più rapido
assorbimento rispetto ai complessi), dalla presenza di fibra alimentare (le fibre
solubili e viscose riducono la risposta), dalla forma fisica del pasto (liquidi
zuccherini come le bibite, a rapido assorbimento, sono più iperglicemizzanti,
mentre semi di cereali o di legumi consumati interi sono meno iperglicemizzanti
delle rispettive farine), dalla contemporanea presenza di altri nutrienti (proteine,
grassi, alcol ecc.) che interferiscono in vario modo con la risposta.
In ogni caso, in condizioni normali, dopo un pasto ricco di carboidrati l’aumento
della glicemia è solitamente contenuto entro i limiti di 160-180 mg/dl. Ciò è dovuto
alla risposta insulinica che si innesca ed è stimolata dai prodotti della digestione del
pasto (glucosio, alcuni aminoacidi). L’insulina, ormone secreto dalle betacellule
pancreatiche, ha il compito di promuovere l’utilizzazione del glucosio favorendone
la penetrazione nelle cellule nelle quali, in relazione ai rispettivi bisogni metabolici,
può essere depositato come glicogeno (glicogenosintesi) oppure essere ossidato
con produzione di energia (glicolisi) oppure ancora, in particolari condizioni, dar
luogo alla produzione di trigliceridi (liposintesi).
Per contro, negli intervalli tra un pasto e l’altro, così come in situazioni anche
prolungate di mancata ingestione di alimenti (digiuno), l’organismo deve comunque
mantenere i valori della glicemia al di sopra di un minimo atto a garantire un
adeguato flusso di glucosio ai tessuti.
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Infatti il glucosio, il principale prodotto della digestione dei carboidrati (amido,
saccarosio), è il substrato energetico utilizzato da tutti i tessuti e per alcuni di
essi (sistema nervoso, globuli rossi) costituisce l’unica e insostituibile fonte di
energia.
L’organismo dispone di meccanismi fisiologici mediante i quali può ricavare
glucosio anche da sostanze differenti dai carboidrati: aminoacidi costituenti
delle proteine e glicerolo proveniente dai trigliceridi. Questo processo,
denominato neoglicogenesi, si affianca a quello della produzione di glucosio a
partire dal glicogeno epatico (glicogenolisi) in modo da fornire glucosio anche
durante il digiuno prolungato, evitando ogni eventuale diminuzione della
glicemia che potrebbe avere conseguenze avverse sul sistema nervoso
centrale. Infatti, anche nel corso di un digiuno protratto a lungo, il livello della
glicemia non scende mai al di sotto di 60 mg/dl. Nel corso del digiuno, non solo
protratto ma anche quello intervallare tra un pasto e l’altro, la secrezione
insulinica resta ai livelli basali, mentre prevalgono gli effetti di altri ormoni
(glucagone, catecolamine) che favoriscono la produzione di glucosio attivando
i processi sopraccitati di glicogenolisi e neoglicogenesi.
In sostanza l’insulina ha un effetto ipoglicemizzante; il glucagone e le
catecolamine, ai quali si deve aggiungere anche il cortisolo, hanno un effetto
iperglicemizzante.
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FOCUS CLINICI
EDULCORANTI
Le sostanze che hanno la proprietà di addolcire bevande o altri alimenti possono
essere distinte in edulcoranti naturali (presenti in natura) o sintetici (preparati per
sintesi chimica). La Food and Drug Administration statunitense preferisce utilizzare
il termine carboidrati dolcificanti per una serie di sostanze dolci glucidiche
(saccarosio, zucchero invertito, prodotti di idrolisi dell’amido, miele, sciroppi
commestibili) ed edulcoranti intensivi per saccarina, ciclammato e aspartame.
Tra gli edulcoranti naturali, oltre al saccarosio che è lo zucchero di riferimento
per valutare il potere dolcificante delle altre sostanze, si devono menzionare:
• il fruttosio, con potere dolcificante 1,7-1,8 volte quello del saccarosio;
• i polialcol-zuccheri: sorbitolo e mannitolo, con potere edulcorante inferiore a
quelli del saccarosio, e xilitolo. Il potere calorico dei polialcol-zuccheri è in media di
2,4 kcal/g.
Caratteristica comune a queste sostanze è il metabolismo a livello epatico,
indipendente dalla presenza di insulina. Per questa ragione sono proposti come
sostituti del saccarosio nell’alimentazione del diabetico; tuttavia il loro impiego
dev’essere limitato e controllato perché possono favorire l’evoluzione di alcune
complicanze del diabete (neuropatia, aterosclerosi).
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Tra gli edulcoranti sintetici meritano menzione:
• la saccarina: è il primo edulcorante sintetico privo di potere calorico, usato dai
diabetici da quasi un secolo. Ha un potere edulcorante 300-400 volte superiore a
quello del saccarosio. I possibili effetti cancerogeni (neoplasie vescicali) e
teratogeni (danni all’embrione) già prospettati in passato sono stati ritenuti
superati con i moderni processi di sintesi. L’OMS consiglia di non superare la
dose giornaliera di 5 mg/kg di peso per l’adulto, con l’esclusione delle gravide e
dei bambini fino a 3 anni di età (salvo i casi di provata necessità come il diabete);
• l’aspartame: è una sostanza di sintesi, composta dall’associazione di due
aminoacidi naturali. Ha un potere calorico di 4 kcal/g ma, poiché la sua capacità
edulcorante è 200-300 volte superiore a quella del saccarosio, l’apporto calorico
è da considerare trascurabile;
• l’acesulfame K: resistente ai trattamenti termici, non è metabolizzato
dall’organismo (escreto tal quale nelle urine), ha un potere edulcorante 130-200
volte più elevato del saccarosio.
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