Nascita e sviluppo
dell’impresa
negli Stati Uniti
_____
slides terza lezione a.a. 2008-09
L’impresa tradizionale
e la sua specializzazione
------
Nel mondo preindustriale, conviene
ricordarlo, gli affari costituivano una
faccenda essenzialmente individuale.
Modesto era in genere il volume dei beni
trattati, come lenti erano i ritmi dell’attività,
mentre tutt’altro che secondario appariva il
ruolo della famiglia dell’operatore
economico: tanto che la forma d’impresa
più diffusa, verrebbe da dire la sua forma
“primigenia”, era l’azienda agricola
familiare.
Ciò era vero in Gran Bretagna, che a metà
del Settecento stava entrando nell’era
della rivoluzione industriale, e a maggior
ragione negli altri paesi che l’avrebbero
seguita solo di lì a qualche decennio sulla
stessa strada.
Vale perciò anche per gli Stati Uniti, e cioè
per il paese in cui lo sviluppo dell’impresa
avrebbe conosciuto esiti straordinari.
Quali Le origini dell’impresa
negli Stati Uniti?
Le origini sono prevalentemente rurali,
come sono rurali gli Stati Uniti
dell’Indipendenza
- nel 1790 su 4 milioni di abitanti,
solo 200.000 abitano in centri con più
di 2.500 abitanti
- su 2,9 milioni di persone attive,
ben 2,1 operavano in agricoltura
In America, come del resto in Europa, nei
periodi morti delle stagioni agricole il
lavoro nei campi fosse integrato da
produzioni manifatturiere per
autoconsumo.
In caso di sovrappiù di produzione, questa
veniva venduta nei mercati limitrofi
all’azienda agricola.
I prodotti manifatturieri non realizzati nelle
aziende rurali, erano opera di botteghe di
artigiani che potevano utilizzare qualche
apprendista, trattato generalmente quale
membro della famiglia.
Va ricordato che l’artigiano è un produttore
tipicamente “urbano”.
Ma guardiamo alle tipologie di imprese che
si trovano negli Stati Uniti delle origini…
E che sono:
 l’azienda agricola
 l’impresa mercantile
 la manifattura casalinga
 i mercanti-imprenditori…
Se l’impresa prevalente era nell’età preindustriale quella agricola a base familiare, una
variante importante fu tuttavia rappresentata dall’impresa mercantile.
E cioè da quella impresa – anch’essa personale, o fondata sui vincoli familiari – che,
con base nei centri urbani, distribuiva nei
mercati rurali i prodotti manifatturieri degli
artigiani urbani, e/o intermediava verso le
città i prodotti agricoli.
Fu dall’impresa mercantile che prese avvio
la lenta evoluzione dell’impresa tradizionale.
Ciò avvenne sostanzialmente attraverso due
strade.
Da un lato, mediante la progressiva trasformazione del mercante da semplice intermediatore di merci – fossero esse quelle
prodotte in città, o più tardi il surplus manifatturiero reso disponibile dai lavoratori
agricoli indipendenti e dalle stesse aziende agricole – in organizzatore, acceleratore e veicolatore della produzione
manifatturiera extracittadina.
Nacquero da ciò (qui, ma già prima in Europa) i c.d. mercanti-imprenditori…
Dall’altro mediante una rapida specializzazione, che portò il mercante da operatore
multi-prodotto (o “tuttofare”) a concentrare
la sua attività su di un solo bene, o su un
limitato numero di essi tra loro omogenei
dal punto di vista merceologico.
Merceologia = disciplina che studia
le caratteristiche intrinseche dei beni,
dalle materie prime impiegate, ai processi
che vengono utilizzati per produrli fino
all’individuazione dei loro possibili
mercati di sbocco commerciale.
La seconda “strada” indicata, quella della
c.d. specializzazione) fu la premessa di un
ulteriore salto di qualità: quello che vide il
mercante divenire mercante-imprenditore,
e cioè operatore economico in grado di
determinare il mercato di produzione dei
beni.
E ciò avvenne fornendo ai produttori la materia prima, i mezzi di produzione (quasi
sempre i primi macchinari), spesso il credito, ed imponendo la quantità di beni da
produrre ed anche i prezzi con cui questi
sarebbero stati remunerati.
Questo fece sì che i produttori indipendenti
– originariamente proprietari della materia
prima, e quindi del “prodotto finito” che
solo in un secondo momento veniva
venduto sul mercato locale, o veniva
ceduto al mercante – divennero via via
sempre meno autonomi, trasformandosi
anzi in una sorta di “terminali”
dell’intermediatore commerciale.
Era il mercante a connettere le attività delle
diverse unità produttive, vero e proprio
dominatore di tale sistema economico.
Il produttore indipendente,
o produttore “casalingo” come anche viene
chiamato, si trasformò sempre più
in una specie di lavoratore “salariato”.
Ciò che gli veniva remunerata non era più
la merce prodotta, bensì il solo “lavoro”, dato
che nel tempo fu il mercante-imprenditore a
fornirgli materie prime e strumenti di lavoro.
In sostanza, erano i prodromi di un nuovo
sistema economico, vale a dire quello che
avrebbe portato al “factory system” ed
alla c.d. Rivoluzione industriale.
Ben presto, tuttavia,
questa nuova figura economica,
il mercante-imprenditore,
scoprì il vantaggio di affiancare al giro
d’affari sul mercato nazionale
anche quello
del commercio internazionale.
DAL COMMERCIO NAZIONALE
A QUELLO INTERNAZIONALE…
in ciò furono attivi soprattutto gli
operatori dei centri costieri:
erano uomini d’affari “tuttofare”, e cioè
attivi in rami diversi delle attività
economiche, che esportavano,
importavano e commercializzavano
all’ingrosso e al minuto prodotti d’ogni
tipo, acquistando in proprio, o per
conto dei loro clienti fissi, o fungendo
da agenti per i mercanti di altre località,
vendendo le loro merci in cambio di una
provvigione prestabilita.
Essi si occupavano sia della distribuzione
che degli aspetti finanziari ad essa
collegati, nonché dei trasporti.
Negli Stati Uniti, tale figura di operatore
arrivò presto a concedere prestiti a lungo
termine ai piantatori di tabacco o di
cotone, agli agricoltori ed agli artigiani,
e a breve termine per finanziare i flussi
delle derrate agricole e dei manufatti.
Insieme ad altri mercanti, egli armava le
navi che ne dovevano assicurare il
trasporto, e di cui era quasi sempre
comproprietario.
L’evoluzione dell’impresa, a partire da
questi operatori, fu più rapida in America
che in Europa
Questo universo ove gli affari avevano
carattere personale e familiare, cominciò
infatti rapidamente a mutare: da un lato la
rottura con la Gran Bretagna aprì nuove
regioni ai mercanti americani (il Baltico, il
Levante, la Cina e le Indie Orientali),
dall’altro le guerre napoleoniche diedero
impulso a nuovi partners commerciali
in Europa.
Fu tuttavia soprattutto lo sviluppo che
si innestò sul commercio del cotone,
fortemente richiesto dall’industria
inglese in rapida espansione,
a costituire l’elemento più rilevante nel
vigoroso processo di specializzazione
dell’impresa e di spersonalizzazione
delle funzioni economiche.
IL RUOLO DEL COTONE
e della sua coltura commerciale
- la sgranatrice meccanica delle piante
tessili
- da 2500 q.li nel 1793
ai 376.000 del 1815,
oltre 1.000.000 q.li nel 1840,
con poi crescite esponenziali…
La diffusione della
coltura commerciale del cotone
avvenne inizialmente ad opera
degli agenti delle fabbriche inglesi,
le quali erano alla ricerca
di nuove più convenienti fonti
di approvvigionamento
della materia prima.
Presto, tuttavia, il commercio del cotone
divenne monopolio di mercanti
che si dedicarono al traffico di un solo tipo
di merci: i quali, consci del rischio delle
fluttuazioni internazionali dei prezzi
generate da una offerta e da una domanda
che non erano in grado di controllare,
preferirono in genere operare come
agenti su commissione,
percependo una percentuale fissa
per i loro servizi di intermediazione
con gli acquirenti inglesi.
Questi mercanti, trasformatisi
in agenti su commissione,
erano in realtà una sorta
di “uomini nuovi” nel mondo
dell’intermediazione di beni…
Comparvero però anche altri operatori:
 i mediatori
 i magazzinieri
 i jobbers (grossisti)
 i “corrieri comuni”
 i mediatori
non legati a clienti fissi: essi
facilitavano, su provvigione,
l’incontro di compratori e venditori
 i magazzinieri
svolgevano verso i piccoli piantatori di
cotone del Sud, ma anche per i coltivatori
occidentali che cominciavano a coltivare
su vasta scala il frumento, le stesse
funzioni di commercializzazione, di
rifornimento e di finanziamento svolte
dagli agenti su commissione
per le grandi piantagioni.
Diversamente
dagli agenti su commissione, tuttavia,
i magazzinieri delle campagne
acquistavano direttamente le merci ed
erano altresì proprietari
delle derrate alimentari che provenivano
dalla costa orientale, e che vendevano
agli agricoltori.
 i “jobbers” (grossisti)
Un numero limitato di importatori o,
comunque, grossisti (i jobbers, appunto)
avvertirono ad un certo punto –
prevalentemente quelli operanti a
New York o a Philadelphia – la
convenienza di divenire proprietari diretti
delle merci intermediate.
Essi vendevano ai dettaglianti delle città
in cui risedevano, a commissionari delle
città meridionali, ma – soprattutto – agli
agenti del cotone e ai magazzinieri che
raggiungevano New York o Philadelphia
due volte all’anno, per approvvigionarsi
per conto dei propri clienti o per rifornire i
propri magazzini.
 i “corrieri comuni”
L’aumento del volume degli affari,
e quindi delle merci intermediate, portò
alla specializzazione – oltreché della
distribuzione delle derrate – anche del
loro trasporto.
Successivamente al 1790 si assistette
infatti al rapido sviluppo dei cosiddetti
corrieri comuni, e cioè di imprese di
trasporto che accettavano qualsiasi tipo
di merce se depositata presso i loro punti
di carico, o presso i loro uffici.
Ben presto si costituirono vere e proprie
linee di diligenze e di carri, operanti su
territori sempre più vasti: tale processo si
accelerò nei primi decenni dell’800,
man mano che vennero costruite nuove
strade, talune delle quali – in quanto di
iniziativa privata – a pedaggio.
A metà degli anni Dieci, con l’istituzione
dei primi postali tra New York e
Liverpool, o tra New York ed altri porti
europei, lo sviluppo dei trasporti di
cabotaggio tra i vari porti della costa
orientale, le prime linee di battelli a
vapore lungo il Mississippi e i fiumi della
costa orientale, poteva dirsi realizzata
una razionale rete di approvvigionamento
e di esportazione del paese.
il grande cambiamento:
la specializzazione




nel commercio
nei trasporti
nel credito
nelle assicurazioni
IL SISTEMA DI FABBRICA
- trasformazione derrate alimentari,
industria del legno,
lavorazione del metallo...
( loro limite: le dimensioni,
la “stagionalità”...)
L’INDUSTRIA COTONIERA
( Francis Cabot Lowell )
* 1815, fabbrica di Walthan (Boston)
* filatura e tessitura integrata
* dimensioni...
* da partnership a società azionaria
* alti profitti
* effetti diffusivi
* progettazione sociale: 1822, Lowell City
LE PRIME IMPRESE
COMPLESSE
* LE COMPAGNIE DEI CANALI
* LE FERROVIE
* LE IMPRESE TELEGRAFICHE
loro caratteristiche:
* più funzioni:
costruzione impianti
ed esercizio degli stessi
* rilevante fabbisogno di risorse
finanziarie
* individuazione di nuovi strumenti
adatti al reperimento di tali risorse
Imprese complesse
LE COMPAGNIE DEI CANALI
(1810-1870)
• 1807-15, avvio della navigazione a
vapore sull’Hudson
* strade a pedaggio e canali
* prima fase (fino al 1820):
ruolo dei privati
(Boston-Merrimak,
Providence-Worcester)
* seconda fase:
intervento del “pubblico”
* 1825, canale New York-Erie:
primo grande canale su iniziativa
pubblica
* gli appaltatori…
struttura organizzativa
di una Compagnia (pubblica) dei canali
- Commissione del Canale:
5 membri
- ruolo dello “state comptroller”
- Cassa del Canale
(e innovazioni finanziarie)
LE COMPAGNIE
FERROVIARIE
ovvero del “big business”
slides quarta lezione a.a. 2008-09
LE FERROVIE
diversamente dai Canali,
il ruolo dei privati è fondamentale
ESSE DEVONO AFFRONTARE:
 problemi tecnici
 problemi organizzativi
 problemi finanziari
 problemi di concorrenza/cooperazione
tra imprese
LE FERROVIE SONO LE PRIME IMPRESE
A PRESENTARE:
* dirigenti stipendiati (tecnicismo della
funzione)
* elevato capitale fisso e circolante
* una molteplicità di sedi, uffici ecc.
* elevato numero di dipendenti
* vasto apparato burocratico
* uso sistematico dei dati statistici
a fini gestionali
LE FERROVIE AMERICANE:
le tappe dell’espansione
* 1829 - messa a punto della locomotiva a
vapore da parte di George Stephenson
* 1830 - avvio delle costruzioni ferroviarie
americane
* 1840 - già costruite 3 mila miglia
* 1850-1860 - vengono superati i monti
Appalachi, e si inizia a costruire nella
vallata del Mississippi
* 1860 - si giunge a 30 mila miglia, vale a dire
la trama fondamentale della rete
* 1869 - si raggiunge il Pacifico
* 1875 - rete di 75 mila miglia:
sistema quasi completo
* 1880 - accordi di interconnessione:
sistema nazionale di trasporto
* 1882-85 - riprendono le costruzioni:
il mito dei “sistemi autosostentatisi”
* 1890-95 - crisi, ed intervento delle banche
d’affari
* 1895-1900 - due terzi della rete accorpati in
25 grandi sistemi regionali, controllati
dalle grandi banche d’affari
IL TELEGRAFO
* l’avanzata della ferrovia corse parallela, in
molti casi essendone preceduta, a quella
del telegrafo
* 1844, invenzione del telegrafo
* 1844, sperimentazioni negli USA
(Washington-Baltimora)
* 1847, sua utilizzazione commerciale
* più facile ed economico da installare delle
ferrovie, il telegrafo raggiunse prima di
queste, nel 1861, il Pacifico
* al 1861
ferrovie = 30.000 miglia
telegrafo = 50.000 miglia
* al 1880
telegrafo = 300.000 miglia
* rapida concentrazione di imprese
1866 - nasce la Western Union
FERROVIE AMERICANE
le dimensioni del business…
* Metà anni ‘50
15 compagnie ferroviarie con
capitale fisso superiore a 5 milioni di dollari
* capitale circolante nelle più
grandi compagnie: > di 3 milioni di dollari
* personale nelle più grandi compagnie:
> di 4000 addetti
* investimenti complessivi fino al
1859: 1,5 miliardi di dollari
(di cui 0,7 miliardi solo dopo il 1850…)
FERROVIE AMERICANE
struttura organizzativa
centralità del ruolo dei capi-impresa:
i SOVRINTENDENTI…
(la loro provenienza dal Genio Militare)
impreviste e positive caratteristiche/sinergie
di tale comune origine professionale…
INIZIALMENTE
la struttura è composta da
SUCCESSIVAMENTE
essa assumerà questo assetto
ALLA FINE (anni 1860-65)
essa si evolverà nel c.d. STAFF & LINE,
che poi diventerà tipico della grande impresa
Tale evoluzione organizzativa, detta appunto
di STAFF & LINE, si era resa necessaria per
ovviare ai conflitti di competenza che presto
si determinarono tra gli Uffici alle dirette
dipendenze del Sovrintendente Generale
e gli omologhi uffici dei Sovrintendenti di tratta,
con gravi diseconomie sia organizzative
che economiche.
A tale soluzione arrivarono, senza consultarsi
tra loro, due diversi Sovrintendenti Generali:
Daniel McCalllum (New York and Erie Railroad)
e Edgar Thomson (Pennsylvania Railroad).
La adottarono poi tutte le Compagnie.
IN TALE NUOVA ORGANIZZAZIONE,
GLI UFFICI DI STAFF
DEL SOVRINTENDENTE GENERALE
(CHE SI DILATORONO NEL TEMPO SIA
COME NUMERO CHE PER
COMPETENZE LORO ATTRIBUITE),
AVRANNO RUOLI FUNZIONALI (e/o di
consulenza-supporto) RISPETTO
GLI UFFICI DEI
SOVRINTENDENTI DI TRATTA
TARIFFE E CONTABILITA’
nelle Ferrovie americane
* determinazione delle tariffe: complessità...
* il ruolo stategico del “comptroller”
* il problema dell’ammortamento
del capitale fisso
* i costi d’esercizio:
nasce la “contabilità industriale”
o “contabilità analitica”, con la strategica
individuazione dei “centri di costo”
* a metà anni ’70 dell’800 nasce 
 la c.d. formula di Fink per il calcolo del
costo del trasporto tonnellata/miglio,
che arriverà a valutare 70 voci diverse:
19 considerate costi costanti
9 più costanti che variabili
32 più variabili che costanti
10 solo costi variabili
* i dati contabili cominciano ad essere usati
non solo per determinare le tariffe, ma
anche per valutare l’efficienza delle
diverse unità operative (nonché per
determinare le carriere manageriali...)
FERROVIE AMERICANE:
( altri temi )
* i flussi informativi
* guerre tariffarie, cartelli, pools finanziari
* il dipartimento del traffico
* l’assorbimento dei corrieri privati
* il dibattito professionale tra i
Sovrintendenti,
ed il rapporto con i produttori
di materiale rotabile…
RIVOLUZIONE
COMMERCIALE
e
commercializzazione di massa
slides lezioni quinta e sesta a.a. 2008-09
LA RIVOLUZIONE COMMERCIALE
 Cosa si intende con tale concetto?
 PERIODO: 1850-1880
 MODALITA’:
- specializzazione
- accorciamento della catena
distributiva
- uso combinato di telegrafo e ferrovia
- introduzione di nuovi metodi
organizzativi
LA CASA GROSSISTA
chiave di volta
di tale rivoluzione
 due dipartimenti principali:
acquisto e vendite
 figure principali:
buyer e commesso viaggiatore





organizzazione degli acquisti
organizzazione delle vendite
logistica
i marchi propri
il nodo del credito:
iniziale eliminazione delle dilazioni
di pagamento, poi la concorrenza
deve giocarsi anche su tale fattore
 la liquidità: come investirla?
ancora sul credito:
le agenzie di informazioni commerciali,
o di affidabilità del “credito”,
poi chiamate agenzie di rating
1870: due le principali
- R.G. Dun
- Bradstreet
poi fusesi nella Dun & Bradstreet
due indici di valutazione
dei risultati aziendali
* indice di rotazione delle scorte:
più volte (a parità di dipendenti ed
attrezzature utilizzate)
“gira” il magazzino durante l’anno,
maggiore sarà la produttività pro-capite
dei dipendenti, e quindi la redditività
e quindi la redditività dell’azienda
* rapporto tra margine lordo e
e fatturato netto
(dove il margine lordo è il ricavo
detratto del costo delle merci e delle
spese generali)
più alto è tale rapporto,
più efficiente è l’azienda grossista
IL DETTAGLIO DI MASSA
• I MAGAZZINI A REPARTI
o “grandi magazzini”
- insediamento nelle aree di pregio delle
grandi città
- il ruolo-chiave del buyer
- enorme liquidità (e sue conseguenze)
- l’ostilità dei negozianti tradizionali
• LE CATENE DI NEGOZI
“monoprodotto”
- “monoprodotto” od unica tipologia
merceologica…
- localizzazione nelle periferie urbane
• LE CASE DI VENDITA
PER CORRISPONDENZA




il bacino sono le aree rurali
somiglianze con i “magazzini a reparto”
posta + ferrovia…
il nodo della celerità della consegna
 connessioni tra le varie tipologie
 problema e conseguenze della
liquidità…
PRODUZIONE
DI MASSA
ed Organizzazione Scientifica
del Lavoro
slides lezione settima a.a. 2008-09
LA PRODUZIONE DI MASSA
* PERIODO: 1870-1900 (ma anche prima…)
* MODALITA’:
 nuovi processi produttivi a ciclo
continuo, o per grandi lotti
 logistica
 elevata intensità nell’uso di energia
 ingenti investimenti in capitale fisso
 organizzazione scientifica del lavoro
* PRIMI SETTORI COINVOLTI:
 macinazione cereali
 inscatolamento dei cibi e del latte
 produzione sigarette, sapone e
materiale sensibile
 raffinazione e distillazione
Dove si ha Il più elevato potenziale di
crescita costante nella velocità e nel
volume di produzione?
Nelle seguenti lavorazioni:
 fusione e prima lavorazione dei metalli
 metallurgia di seconda fusione
 nell’industria meccanica
* i processi produttivi in meccanica
e siderurgia rendevano possibile una
divisione del lavoro molto maggiore di
quella conseguibile in altre produzioni,
ma ponevano la necessità di più
stringenti controlli sulla forza-lavoro.
* da qui l’esigenza di un rapporto
numerico tra dirigenti ed operai più
elevato…
* elevata parcellizzazione delle lavorazioni
nelle imprese che producevano su
grande scala macchinari ed altri prodotti
mediante la fabbricazione ed il montaggio
a parti intercambiabili
(ad es. armi da fuoco, serrature, orologi,
macchine per cucire, macchine per
scrivere, registratori di cassa, trebbiatrici
ed altri macchinari agricoli complessi,
pompe ecc.)
* numero di materiali grezzi o di
semilavorati superiore a quello di
ogni altro tipo di industria
manifatturiera
PRIMA FASE:
(anni ‘50-‘70 Ottocento)
i dirigenti si dedicano al miglioramento
dei macchinari e dell’impianto degli
stabilimenti
SECONDA FASE:
(anni Ottanta, depressione)
- I dirigenti affrontano il tema del
contenimento dei costi, e quindi i
problemi del sistema organizzativo.
- Si ricercano nuovi metodi (sistematici,
o “scientifici”) di gestione aziendale.
L’Organizzazione
Scientifica del Lavoro
* ruolo della A.S.M.E., una delle prime
associazioni professionali statunitensi,
fondata nel 1880.
* 1886, Henry R. Towne ( il capo della Yale
and Towne Lock Co., più semplicemente
conosciuta come “Yale”) elabora il
concetto dell’ingegnere inteso come
“economista” d’impresa.
«Nella nozione di “gestione di reparto” –
affermava Towne – sono compresi i
problemi attinenti all’organizzazione,
alla responsabilità, ai rapporti, ai sistemi
di contratto e di lavoro a cottimo,
connessi tutti alla direzione esecutiva
degli stabilimenti, degli opifici e delle
fabbriche».
«Nella nozione di “contabilità di reparto”
sono compresi i problemi attinenti ai
sistemi di calcolo dei tempi e di
remunerazione, alla determinazione dei
costi, alla scelta tra lavoro a cottimo o a
giornata, ai metodi di contabilizzazione…
…sono compresi altresì i problemi che
riguardano la distribuzione dei diversi
conti delle spese, e la verifica dei profitti:
elementi tutti del sistema di contabilità
attinenti ai dipartimenti produttivi di
un’impresa, e alla determinazione
e registrazione dei risultati da essa
ottenuti».
Nasceva così la “contabilità
industriale” delle moderne aziende
manifatturiere
DEL “TAYLORISMO”:
alcune osservazioni
Uno dei cardini delle riflessioni di
Frederick W. Taylor riguarda la
“fluidificazione” dei materiali e
l’incremento di produttività.
Furono queste le prime acquisizioni
concettuali della futura organizzazione
scientifica del lavoro (o.s.d.l.).
Taylor fu, in realtà, solo uno dei tanti
ingegneri (anche se tra i più abili), che
svilupparono negli Stati Uniti i principi –
più che dell’o.s.d.l., come egli chiamò i
suoi interventi razionalizzatori – del c.d.
movimento per la “direzione scientifica”
delle imprese.
Se in questo “movimento” – concretatosi
soprattutto tra la fine del secolo e i
primi due decenni del Novecento –
emerge netta la tendenza alla definizione
di leggi scientifiche, e in quanto tali
ritenute neutrali, idonee a risolvere i
problemi di efficienza aziendale, e quindi
dei singoli comportamenti del lavoratore,
il taylorismo può essere definito piuttosto
come una sua fase preliminare.
Con grossi limiti impliciti nella concezione
che Taylor aveva dell’uomo come essere
esclusivamente “economico” e soggetto
pertanto alla sola molla degli incentivi
monetari: e quindi egli prestò scarsa
attenzione agli aspetti psicologici che
costituiranno l’intuizione più
interessante del movimento per la
“direzione scientifica” delle imprese.
Taylor è comunque stato il primo a
lasciare una testimonianza
sistematizzata delle procedure da
lui sviluppate.
In due saggi,
- “Direzione d’officina”
- “Principi di organizzazione
scientifica del lavoro”,
Taylor riassunse un trentennio di
esperienze, tutte vissute nella
straordinaria trasformazione che
l’economia americana conobbe con
l’avvento della produzione di massa.
Si tratta però di due scritti “d’occasione”,
dato il carattere prevalentemente empirico
di Taylor.
“Principi di organizzazione scientifica del
lavoro” costituisce una appassionata
difesa da parte di Taylor dei metodi
dell’o.s.d.l.
Egli affronta esplicitamente le
conseguenze di tale metodo sul piano
sociale, contestando le accuse che ad
esso (ed a lui stesso) rivolgevano le
organizzazioni dei lavoratori.
Taylor sostiene in quel saggio che i
sistemi di valutazione da lui e da altri
sviluppati erano di per sé neutrali, ma che
potevano essere facilmente stravolti.
Egli si riferiva in particolare al tema della
attribuzione dei benefici degli incrementi
di produttività ottenuti attraverso una
utilizzazione sistematica dell’o.s.d.l., che
Taylor prevedeva dovessero essere
equamente ripartiti tra imprese e
lavoratori, ma che più spesso venivano
totalmente incamerati dalle prime.
«Riconoscimento della necessità di una
sempre maggiore produttività;
riconoscimento della necessità di
scoprire con metodi scientifici le leggi
che governano il risparmio delle energie
umane e materiali, nel conseguimento
della maggiore produttività; accordi fra
direzione e lavoratori per conferire
efficacia a queste leggi; e pazienza,
sempre più pazienza»…
Questo era ciò che Taylor considerava le pietre
angolari dell’autentica organizzazione scientifica
del lavoro.
L’IMPRESA
E LE VIE DELLA
CRESCITA DIMENSIONALE
- l’impresa “integrata” -
slides lezione ottava 2008-09
LA CRESCITA DIMENSIONALE
verso il “gigantismo” d’impresa
1885-1900
 CAUSE:
a) successo del prodotto, e conseguente
incremento della domanda
b) esigenza di economie di scala
c) strategia difensiva rispetto alla caduta
dei prezzi ed alle guerre commerciali
 MODALITA’ della crescita:
a) dall’interno: impresa “integrata”
b) dall’esterno: fusioni ed acquisizioni
 IL NODO DELLA CONCORRENZA:
- cartelli, pools finanziari, scambi azionari
- i Trusts
- le holdings finanziarie
(la New Jersey holding company)
LA PRIMA FORMA
della moderna impresa industriale:
l’impresa “integrata”
 L’integrazione tra produzione e
commercializzazione di massa
si generalizzò negli anni ’80 dell’800
 L’INTEGRAZIONE VERTICALE,
inizialmente risposta “difensiva” alla
caduta dei prezzi, fu poi usata come
fattore “strategico” per il conseguimento
di economie di scala
I settori pionieri
a) macchine innovative e complesse
(macchine prodotte su larga scala mediante la
tecnica della fabbricazione a parti intercambiabili)
- difficoltà di commercializzazione
(la “strozzatura” del commercio grossista)
- necessità di “inventarsi” servizi specializzati
di sostegno alla vendita (pubblicità, dimostrazio-
ne, finanziamento alla vendita, installazione,assistenza tecnica e riparazione) assieme alla creazione
di specifiche reti di vendita (le filiali…)
la prima impresa fu la SINGER Co.
fabbrica di macchine per cucire, ad uso
domestico ed industriale, fu la prima “multinazionale americana, approdando già alla fine
degli anni ‘60 dell’800 in Europa…
seguirono:
- McCormik, Harvester, Deere, Case (macchine
agricole)
- Otis Elevator Co. (ascensori)
- Remington, NCR-National Cash Register
(macchine per ufficio e negozi)
- Worthington (pompe)
- Western Electric, Westinghouse, Edison
General Electric (macchinari elettrici)
b) beni confezionati semideperibili
a basso prezzo
la macchina di Bonsak…
- American Tobacco
- Diamond Match
- Quaker Oats
- Campbell, Heinz, Borden
- Propter Gamble
- Eastman Kodak
il ruolo centrale della pubblicità…
c) “macellazione”, e produzione di birra
- Gustavus F. SWIFT
(e poi: Armour, Hammond, Morris, Cudahy)
il problema dei carri frigoriferi…
(il nodo della refrigerazione)
- Pabst Co., Schlitz, Busch
(il nodo della temperatura costante
e/o controllata)
- le prime imprese che divennero
“grandi” grazie a tali tecniche
dominarono a lungo il mercato,
prima nazionale poi mondiale…
- gli inevitabili processi imitativi…
LE IMPRESE GIGANTI
i loro passaggi evolutivi
slides lezione nona a.a. 2008-09
FUSIONI
ed
ACQUISIZIONI
 concetto di fusione
 concetto di acquisizione
 la ratio di tali processi di crescita
il successo di fusioni/acquisizioni
 tali processi ebbero successo quando le
società interessate centralizzarono il
comando sui singoli impianti acquisiti,
ed integrarono funzioni “altre” (ad es.
quelle commerciali, finanziarie ecc.)
…e quando ricorsero (per conseguire
economie di scala) ad un sempre più
sostenuto utilizzo di energia e di calore,
nonché alle tecniche di lavorazione a
ciclo continuo o per grandi partite, e –
soprattutto - a forti innovazioni
organizzative
 il successo delle fusioni si concentrò
dapprima nella produzione di beni
confezionati semideperibili (zucchero,
biscotti, dolciumi, whisky e prodotti
distillati in genere), in quella di macchinari
di largo uso (ma complessi) utilizzati dai
calzaturifici o dalle industrie tipografiche,
nella raffinazione del petrolio, nelle
industrie della gomma e degli esplosivi, in
numerosi settori chimici, e in parte nel
vetro e nella carta, che avevano introdotto
tecniche di produzione continua.
 Le nuove imprese “consolidate” (vale a
dire a comando centralizzato) nonché
“integrate”, giunsero ben presto a
dominare i rispettivi settori seguendo
l’esempio della Singer nella
internazionalizzazione delle loro attività.
 Le grandi imprese create dai processi di
fusione, e poi di integrazione, ebbero
successo anche nella siderurgia, nella
metallurgia, e nella lavorazione dei
minerali non ferrosi, tutti settori ad alta
intensità di capitale, i cui prodotti non
erano destinati al consumatore finale,
bensì ad utilizzatori industriali.
 Anche in queste imprese, la rilevanza
quantitativa della produzione imponeva
una attenta programmazione e un
sofisticato coordinamento del flusso
delle materie prime agli stabilimenti, e
della produzione sino agli utilizzatori
delle “materie seconde” o dei
semilavorati o dei c.d. beni intermedi.
 La differenza fra questa seconda
categoria di imprese, ed i produttori di
articoli destinati al consumatore finale,
consisteva essenzialmente nella diversa
consistenza degli apparati di
commercializzazione, che erano
ovviamente più contenuti per le imprese
indirizzate ad aziende utilizzatrici di
“materie seconde” o di semilavorati.
quando l’insuccesso
di fusioni/acquisizioni
 non poche volte, tuttavia,
le fusioni e le acquisizioni
fallirono i loro obiettivi,
tanto che spesso le nuove società
che così si erano formate finirono
per sciogliersi
quali i motivi?
 il fatto è che le concentrazioni si
rivelarono un fallimento (o conseguirono
risultati modesti) nei settori in cui
l’integrazione delle funzioni commerciali
non risultò vantaggiosa, o fu impossibile
per le limitate dimensioni che le imprese
fusesi raggiungevano sul mercato.
 Ciò riguardò i settori i cui processi
produttivi continuarono (per vincoli
tecnologici, all’epoca non superabili) ad
essere caratterizzati da un’alta intensità
di lavoro rispetto al capitale investito, e
in cui l’uso di quantità crescenti di
energia meccanica non accelerava il
processo produttivo, ma solamente
determinava un aumento proporzionale
delle quantità prodotte a condizione che,
contemporaneamente, crescessero in
misura analoga i macchinari impiegati e
il numero di addetti.
 Fu questo il caso del tessile,
dell’abbigliamento, dei cappelli, delle
calzature, della lavorazione del cuoio,
della produzione di carrozze, mobilio,
piastrelle e rivestimenti edili in genere,
di sigari, delle maggior parte di beni
alimentari, dell’editoria e della stampa,
ecc. Insomma, di settori i cui prodotti
non avevano necessità per la vendita di
servizi specifici che solo il produttore
avrebbe potuto assicurare.
 In tali settori, frazionatissimi e composti
di imprese per la maggior parte di
limitate dimensioni, il fatto di fondere
insieme più unità di produzione non
determinava effettivi vantaggi sul piano
della concorrenza, quali una riduzione
dei costi (e quindi dei prezzi di vendita),
o una più elevata capacità di soddisfare
le esigenze della clientela.
I PASSAGGI EVOLUTIVI
delle imprese che diventano “giganti”
 IMPRESA CENTRALIZZATA
(1890-1910):
è la forma indispensabile dopo la
crescita dall’esterno (fusioni ed
acquisizioni) per razionalizzare
l’apparato produttivo-distributivo
 IMPRESA DIVISIONALIZZATA
(dal 1910 in poi):
- esigenza imposta dalla diversificazione
(divisioni per prodotto, ma anche…)
- la centralità del Dipartimento di R&S
(ricerca e sviluppo)
 IMPRESA CONGLOMERATA
(1960-1970):
- l’impresa cresce mediante acquisizione di imprese di media taglia, ad
elevata profittevolità
- nessun processo di ristrutturazione
- logica prevalentemente finanziaria
Una metodologia unisce le tre tipologie,
via via sempre più complessa
 USO DEI GRANDI
AGGREGATI STATISTICI
- a fini previsionali
- analisi a breve, medio, lungo periodo
CONCENTRAZIONI PRODUTTIVE
e
tutela della concorrenza
 l’intervento della legislazione
federale: lo Sherman Act (1890)
 tale provvedimento, che inibiva l’uso
distorto del Trust, impose lo
scioglimento di quelli che nascondevano
forme di controllo della concorrenza: fu
il caso dello Standard Oil Trust guidato
da J.D. Rockefeller.
 Come è noto, l’approdo al Trust come
strumento di controllo/limitazione della
concorrenza di fronte alla caduta dei
prezzi ed alle guerre commerciali, fu la
conseguenza della inefficacia sia dei
“cartelli” sia degli scambi azionari tra
imprese intenzionate a spartirsi in modo
oligopolistico il mercato.
 La messa fuori legge del Trust, non
fermò tuttavia la corsa alle
concentrazioni produttive, che ricorse
allo strumento delle Holdings company.
la New Jersey Holding Co.
 dapprima, i Consigli di amministrazione di
quasi tutte le Holdings che sorsero
secondo la legislazione del New Jersey, si
limitarono alla fissazione dei prezzi e dei
quantitativi che le imprese consociate
dovevano produrre.
 presto si capì che era una strada
perdente: e che l’unico modo di stare
profittevolmente sul mercato era quello di
centralizzare le decisioni e
integrare/razionalizzare i distinti impianti
produttivi.
 questa acquisizione concettuale segnò
la svolta nei processi di concentrazione.
Per cui sia le Holdings nate dalla
trasformazione dei Trusts o dei cartelli,
sia quelle – e furono molte – che sorsero
per acquistare (o “scalare”) imprese
concorrenti, si posero l’obiettivo di
costruire organizzazioni in grado di
esprimere un comando centralizzato di
produzione e distribuzione.
 lo scopo ultimo? giungere ad un
mercato meno anarchico, e quindi meno
esposto alle fluttuazioni congiunturali.
 Nonostante lo Sherman Act, ed altri
provvedimenti legislativi minori tesi ad
impedire situazioni dominanti (o semplicemente oligopoliste) sul mercato,
l’ultimo decennio del secolo fu perciò
caratterizzato da una vera e propria
ondata di fusioni e/o di concentrazioni tra
imprese.
 Tra il 1890 e il 1898 le operazioni di
fusione e/o concentrazione furono
complessivamente 108, mentre nel solo
1899 se ne verificarono ben 105.
 In tale processo, un peso non
secondario giocarono i fattori
tecnici/tecnologici ed i fattori
commerciali: furono essi a determinare
in ultima istanza la dimensione ottimale
delle imprese, e la struttura dei settori
industriali.
 Come fu il vincolo tecnologico (e cioè la
complessità del processo produttivo, ed
il rapporto capitale/addetto) a
condizionare positivamente o
negativamente il successo delle fusioni
che via via si verificarono.
CONSEGUENZE
dei processi di concentrazione tra imprese
 gli elevati costi
 il frazionamento della proprietà azionaria
quali le cause?
 l’impresa manageriale e la separazione
tra proprietà e controllo
 quale potere ai “managers”?
 la mano visibile del mercato…
GLI STATI UNITI
tra riconversione
post-1a guerra mondiale,
Wall Street e Grande Crisi,
e secondo dopoguerra
slides della lezione decima e della lezione undicesima, a.a. 2008-09
LA “COBELLIGERANZA”
STATUNITENSE
NELLA 1a GUERRA MONDIALE
GLI USA: sono i “grandi fornitori” della
quadruplice Intesa (Francia, Russia,
Gran Bretagna ed Italia) contro gli Imperi
Centrali (Germania ed Austria-Ungheria)
1917: gli Stati Uniti dichiarano la propria
cobelligeranza a fianco dell’Intesa. E’
l’inizio della fine per gli Imperi Centrali.
Gli Stati Uniti erano dagli ultimi due
decenni dell’800 la più colossale
macchina produttiva del mondo.
I metodi di pianificazione strategica delle
“imprese giganti”, già estremamente
sofisticati, subiscono un ulteriore
miglioramento nei primi anni Dieci del
‘900 con il porre ad elemento cardine
delle scelte espansive una corretta
definizione della redditività degli
investimenti.
Ci si arrivò per progressive
approssimazioni, fino alla individuazione
da parte della Dupont de Nemours (la
principale impresa chimica del paese,
che controllava anche la General
Motors) di due diversi strumenti utili a
valutare tale redditività:
a) il rapporto tra profitti e capitale;
b) l’indice di “rotazione” del capitale,
vale a dire il rapporto
vendite
investimenti totali + capitale circolante
.
Tale indice di “rotazione del capitale”
divenne il parametro più realistico
dell’efficienza (e quindi della redditività)
di una “large corporation”.
Più elevato esso era, più profittevole era
l’impresa.
LA CRISI DI RICONVERSIONE
POST-BELLICA
Si è soliti considerare la gravità della crisi
di riconversione postbellica in Europa,
ed anche in Italia, dove essa portò alla
conquista del potere da parte del
fascismo mussoliniano.
Essa fu tuttavia ancora più grave negli
USA, dove l’euforia di una economia al
servizio del conflitto europeo aveva
dilatato ancor più l’apparato produttivo.
LA RIPRESA
Il biennio 1920-21 fu durissimo, stante le
difficoltà di riconvertire una economia di
guerra ad una economia totalmente
rivolta al mercato civile.
Era, del resto la prima recessione che si
verificava dopo i grandi processi di
concentrazione produttiva, i quali
avevano garantito un lungo periodo di
elevata domanda, e quindi di prosperità
diffusa.
La recessione mise in luce la fragilità di
quei settori i cui processi di produzione
e/o commercializzazione implicavano
larghe scorte di materie prime e di
semilavorati.
Tali settori erano quelli dell’industria
dell’acciaio, della grande meccanica, ma
anche dell’automobile ed in generale dei
macchinari complessi, delle produzioni
chimiche. Ma la crisi colpì anche la
grande distribuzione di massa.
In questi comparti, gli ordini di materie
prime, di semilavorati, degli stessi beni
finiti, ed anche il loro trasporto,
dovevano essere programmati con largo
anticipo rispetto alla loro utilizzazione o
vendita finale.
La recessione provocò perciò un brusco,
e critico, rialzo del volume delle scorte,
causando per molte imprese giganti
drammatiche crisi finanziarie che
compromisero, od annullarono, i livelli di
redditività.
Ciò non era invece avvenuto in quei
settori, ad esempio nella produzione e
commercializzazione di beni deperibili,
usi da sempre a coordinare i flussi fisici
tra le unità di acquisto, trasformazione e
vendita attraverso l’uso sistematico del
telegrafo.
Le imprese di tali settori non incontrarono
eccessive difficoltà nel contrarre i
volumi prodotti e/o commercializzati.
Anche perché si trattava produzioni “a
ciclo corto”, agevolmente (e
flessibilmente) gestibile rispetto il “ciclo
lungo” dei comparti prima ricordati.
I quali, per uscire dalla crisi, dovettero
concentrarsi ancor più di prima sulle
previsioni a lungo periodo.
La programmazione degli acquisti, della
produzione e dell’occupazione, venne
sempre più basata – al pari di quella
delle consegne dei prodotti finiti, e nella
stessa determinazione dei prezzi alla
vendita (che dipendevano dal costo
unitario, che a sua volta derivava dal
volume prodotto nell’unità di tempo) –
su proiezioni annue dell’andamento
della domanda, modificate
periodicamente per tener conto della
variabilità dei cicli congiunturali.
Fu grazie a ciò che il processo di
riconversione fu tutto sommato
abbastanza veloce, e l’economia riprese
a crescere. Determinando una nuova
euforia, e la sensazione che questa volta
il ciclo espansivo non si sarebbe più
arrestato…
L’ottimismo finì bruscamente con il crollo
di Wall Street (1929)…
Le cause…
E dopo?
LE GRANDI
RISTRUTTURAZIONI
 le reti di comunicazione
(ferrovie, telegrafo, telefono, viabilità)
 le grandi reti infrastrutturali
(le compagnie elettriche)
I NUOVI MEZZI
di
TRASPORTO
 auto
 autobus
 autotreni
 aereo
 grandi compagnie aeree a base regionale
modellate come le compagnie ferroviarie
LE “NUOVE” IMPRESE
 “media” ed industria dello spettacolo
 Gli sviluppi tecnici nel campo della
fotografia, della cinematografia, e
dei primi rudimenti dell’elettronica
diedero vita, a partire dal 1920, a
due settori industriali interamente
nuovi: il cinema e la radio.
 Dimensioni industriali sia per la messa
a punto di macchinari sempre più
sofisticati, che per il livello degli
investimenti ad essi destinati.
 La comparsa delle grandi imprese
moderne nel cinema fece fare un
salto di qualità (e di quantità) alla
produzione di film, che divenne
sempre più costosa e
tecnologicamente complessa: e che
dovette perciò dotarsi di strutture
organizzative in grado di
programmare la distribuzione del
prodotto anche su scala
internazionale.
 L’affermazione su vasta scala della
radiofonia, seguì invece il modello
dell’industria elettrica:
con la nascita di un certo
numero di network regionali o
nazionali che collegavano
tra loro molteplici emittenti locali.
LA SECONDA
GUERRA MONDIALE
In molti campi fu invece la seconda guerra
mondiale ad imporre veloci
riorganizzazioni e/o ristrutturazioni
produttive: con salti tecnologici prima
impensabili.
La messa a punto di nuovi prodotti
tecnologicamente complessi richiesti
dall’esercito americano – gomma
sintetica, benzina ad elevato numero di
ottani, radar e strumenti elettronici
antisommergibili, ordigni d’offesa e di
difesa di vario genere, ma anche altri
apparentemente banali – esaltò,
generalizzandola, l’utilizzazione congiunta
delle conoscenze scientifiche e del
normale background tecnico.
Ciò diede l’avvio a una fase di rapido
sviluppo nell’applicazione sistematica
della scienza alla produzione industriale
(spesso anche di largo consumo). E non
poche delle innovazioni che ne
derivarono, soprattutto nei settori
elettrico e radiofonico, fluirono poi al
mercato più vasto delle generalità delle
imprese.
La mobilitazione militare dell’economia
spinse, inoltre, il governo di Washington a
favorire l’ampia diffusione dei metodi
gestionali, e delle procedure di controllo,
fino agli anni Trenta patrimonio solo delle
grandi imprese tecnologicamente
avanzate ed integrate.
IL DOPOGUERRA
Il boom produttivo bellico – che riportò il
mercato statunitense a quelle condizioni
di virtuale piena occupazione interrotta
dalla crisi del 1929 – protrasse i suoi
effetti per almeno il ventennio successivo
grazie al vasto programma di sostegno
della domanda aggregata varato nel 1946
con una legge federale sull’occupazione,
e grazie anche al c.d. Piano Marshall.
Ciò - se da un lato favorì la crescita
ininterrotta delle società giganti,
segnando il trionfo della moderna impresa
burocratica e impersonale - riversò
sull’intero sistema economico gli effetti di
una domanda aggregata che crebbe più di
due volte tra il 1948 e il 1969.
 a prezzi costanti, il prodotto nazionale
lordo passò infatti da 300,9 miliardi di
dollari del 1948 a 725,5 del 1969.
Questo determinò la formazione di un
mercato di massa di dimensioni mai
prima conosciute, tanto che la domanda
di singole aree regionali raggiunse in
quegli anni il livello già enorme di quella
dell’intero paese negli ultimi due decenni
del XIX secolo.
Nel secondo dopoguerra, l’espansione al di
fuori dei confini nazionali – soprattutto in
Europa e in Estremo Oriente – ebbe per
l’impresa gigante americana importanza
anche maggiore dell’impulso governativo
alla domanda aggregata interna.
I soli investimenti diretti delle imprese
americane passarono da 1,7 miliardi nel
1950 a 24,5 nel 1970.
LA “SFIDA” AMERICANA
Una duplice conseguenza in Europa:
 Da un lato, la invasiva presenza delle
multinazionali statunitensi costrinse le
aziende europee ad un rapido adeguamento
organizzativo, che mutuò schemi e
comportamenti fino allora praticamente
sconosciuti ai sistemi economici europei,
segnatamente nell’uso intensivo della R&S,
nella diversificazione spinta e nella
divisionalizzazione.
 Dall’altro, la generalizzazione del modello
multinazionale portò le “larges
Corporations” americane ad arricchire la
loro struttura di una divisione
internazionale chiamata a coordinare le
attività estere, e a interagire con lo staff
centrale per quanto riguardava gli
investimenti e le strategie di espansione
all’estero.
Con una variante, tuttavia,: che quando una
multinazionale giunse a replicare
all’estero la forte diversificazione di
prodotto sviluppata in patria, si preferì
eliminare il filtro della divisione
internazionale, attribuendo alle singole
divisioni di produzione anche la
responsabilità internazionale degli stessi
prodotti che rientravano nella loro
competenza all’interno del paese.
 CENTRALITA’ DELLE STRATEGIE
DI INVESTIMENTO
 Nel 1947 le duecento più grandi società
degli Stati Uniti detenevano il 30% del
valore aggiunto, e il 47,2% delle attività
manifatturiere del paese;
 Nel 1963 tali percentuali erano salite
rispettivamente al 41 e al 56,3%;
 Alle soglie degli anni Settanta esse
erano attorno al 45 e al 61%.
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