La città industriale europea Dalla città utopica alla città industriale •Nel XV e XVI sec. con il pensiero utopico del tardo rinascimento, emerge un’idea di città come spazio ideale dell’estetica e della perfetta convivenza. Pensiero razionale e programmatore di filosofi, architetti e artisti al servizio di signorie e regnanti. •Architetti noti come Leon Battista Alberti e il Filerete si prestano a queste pianificazioni. In Italia vengono costruiti due prototipi di città ideali: Sabbioneta e Pienza in Toscana. • Seicento: declinano molte città mercantili (Firenze, Venezia) e si sviluppano città marittime come Liverpool, Amsterdam, Lisbona o capitali di regni (Parigi, Londra). Alcune città in declino si ri-feudalizzano. Dalla città utopica alla città industriale •Nel corso del XVIII secolo diventa meno significativa la differenza tra città di consumo e città dello scambio (es. Parigi: c’è Versailles ma anche la borghesia proto-rivoluzionaria) •Le trasformazioni tecniche e legislative (es. enclosures) nell’agricoltura fanno affluire persone in città: aumento della popolazione, difficoltà a ottenere lavoro a cottimo in campagna, ecc. • L’invenzione del primo filatoio meccanico aumenta tanto la produzione quanto l’inurbamento (riduzione del costo dei filati, aumento della domanda e dalla produzione) Automazione e paesaggio urbano •Con l’automazione delle macchine a vapore la competenza e il costo orario dei lavoratori diminuisce (Adam Smith e l’esempio dello spillo) •Depositi di ferro, acciaio e carbone, fonderie e capannoni diventano parte integrante dello spazio urbano. Es. le filande automatizzate che lavoravano il cotone potevano contare intorno ai 300 operai che lavoravano ininterrottamente per 14 o 16 ore. Automazione e paesaggio urbano •Nel resto d’Europa la rivoluzione industriale si sviluppa più lentamente, specie nell’area del Mediterraneo. •In Italia questi cambiamenti arrivano in ritardo e solo al nord. Il lavoro salariato di fabbrica appare a Torino e a Milano, con l’industria tessile, nel Sud prevale invece il latifondo e città come Napoli e Palermo crescono solo in quanto città amministrative. Si sviluppa invece il commercio di beni industriali nelle città portuali come Trieste, Livorno o Genova. • In Oriente le città continuano a rimanere prevalentemente amministrative e di consumo (Istambul, Delhi, ecc.) pur essendo presenti nel commercio internazionale di spezie e tessuti non hanno alcuna autonomia politica. Le analisi storiche di Mumford I fattori che favoriscono lo sviluppo industriale nelle città inglesi prima che altrove sono almeno cinque: 1.Una borghesia storicamente più indipendente e attiva 2.Le riforme fondiarie 3.La presenza del pensiero filosofico liberale e utilitarista e dell’economia neo-classica (laissez-faire, mano invisibile, ecc.) 4.Maggiore apertura verso il pensiero tecnico-scientifico (visione pragmatica dell’innovazione) 5.La presenza di un grande impero coloniale in espansione I primi osservatori delle trasformazioni urbane: Engels e i missionari anglicani •“La situazione della classe operaia in Inghilterra” opera giovanile scritta nel 1845 può essere considerata come il primo saggio di sociologia urbana industriale. Engels mette in rilievo l’impoverimento della classe lavoratrice, l’avidità della neoborghesia industriale, il declino degli strati intermedi della popolazione. •Per Engels la città diventa la sede fisica e simbolica del capitalismo, in preda all’anarchia della legge del profitto. •Se la posizione di Engels è critica e di natura politico-economica, per i volontari religiosi il problema è morale (ingiustizia eccessiva, ma anche paura del disordine e del “vizio”) •Se in Inghilterra la questione della classe operaia diventa il problema principale per la nuova classe politica borghese, nell’Europa mediterranea, la questione sociale principale rimane a lungo legata alla questione agraria. F. Engels “La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845) “I working man (proletari) erano tessitori-agricoltori ora non hanno nessuna proprietà, né la sicurezza del lavoro, né un’affittanza (…) Lo stato di miseria e di insicurezza è più grave che mai. L’East End di Londra è una palude estesa di fame e disperazione, di degradazione fisica e morale (…) St. Giles è nel cuore di Londra, accanto alle strade del bel mondo di Oxford Street, a pochi passi si trovano queste vie strette e buie dove la sporcizia, la rovina e il puzzo disgustoso superano ogni immaginazione (…) Si abita in casette di mattoni piene dalla soffitta alla cantina, le strade sono cosparse di rifiuti, senza canali di scarico e fognature. (…) Dappertutto rapine reciproche e morti per fame e ci si stupisce che questa pazzesca baraonda riesca a reggersi ancora (…) Si procede a fatica in un brulicare umano che ha qualcosa di repellente, dove ogni umanità è stata sacrificata, solo brutale indifferenza, isolamento di ciascuno nel suo interesse personale, gli uomini considerano gli altri solo come oggetti utilizzabili, il più forte sottomette il più debole e ai poveri resta a malapena la nuda vita” (1845: p. 61-67) Condizioni di vita •Nelle Midlands inglesi del 1845 nell’industria tessile erano impiegati circa : 58.000 uomini, 69.000 donne, 66.000 adolescenti 11-18 anni, 30.000 bambini sotto i 10 anni di età (nelle miniere di carbone lavoravano anche bambini di 4 o 5 anni, che venivano utilizzati per passare attraverso i cunicoli più stretti). Donne e bambini erano preferiti anche perché più disciplinati e meno costosi. •La riduzione del costo della manodopera era considerata centrale dalle teorie economiche dell’epoca e pertanto tutto il lavoro era stato declassato sia nei salari che nelle competenze richieste Condizioni di vita •L’afflusso contino di contadini e di artigiani senza lavoro, creava nella città il famoso “esercito di riserva” di disoccupati (la concorrenza reciproca garantisce salari minimi) •Alienazione del lavoratore che diventa una semplice protesi della macchina. •La protesta operaia non manca tra il 1810 e 1820 si sviluppa il luddismo (da Ned Ludd), gli operai distruggono le macchine in cui vedono la causa delle loro sofferenze. Le “piaghe urbane”: lotta al vizio e movimenti igienisti •La salute: le continue epidemie che dai bassifondi tendono ad espandersi per tutta la città, portano alla creazione del movimento igienista e a una prima necessità di pianificazione. Il movimento igienista ottenne risultati effettivi più nei suoi aspetti repressivi che nei suoi aspetti preventivi. Solo nel novecento fu creato un vero servizio sanitario pubblico. •La devianza: anche la criminalità e la prostituzione tendevano a diffondesi dai quartieri delle classes dangereuses. Si sviluppa una corrente repressiva ispirata da un’ideologia di controllo capillare. Occorre sorvegliare e punire chi vive in questi quartieri, aree che devono essere contenute, recintate fisicamente o simbolicamente. •Il conflitto urbano: benché disorganizzati gli operai cominciano a costituirsi come classe direttamente contrapposta a quella borghese, fondano le prime trade union, la crescente ostilità della classe operaia verso la borghesia inquieta quest’ultima, molto più delle condizioni pietose di vita degli operai. Le utopie urbane industriali : Fourier e Owen •La reazione intellettuale alle conseguenze nefaste dello sviluppo selvaggio della fabbrica crea nuove utopie urbane, nuovi tentativi di fondare ex-novo la città industriale su basi di vita comunitaria di tipo egualitario e solidale. •Molto noto è il progetto di Charles Fourier, elaborato nei primi decenni dell’Ottocento. Le comunità di Falansteri – ispirate a Rousseau - sarebbero state paritarie, eque e solidali (anche abolizione della proprietà e della monogamia). Ha ispirato molte comuni moderne in Europa e USA Le utopie urbane industriali : Fourier e Owen •Simile fu anche il progetto di un imprenditore tessile inglese illuminato Robert Owen. Inizialmente fonda una “società” (insieme anche a Bentham) in Scozia (New Larnak): “l’istituto per la formazione del carattere” •In seguito nel 1830 realizzò, negli USA, una prima forma di nucleo urbano chiamato “la città della nuova armonia”. •L’esperimento non resistette a lungo e fallì principalmente per dissidi interni. Owen però tornato in Inghilterra collaborò attivamente alla creazione dei primi sindacati e cooperative inglesi che permisero un effettivo miglioramento delle condizioni di lavoro. Città giardino e ritorno alla campagna Lo spazio urbano diventa lo scenario unico del cambiamento sociale dell’epoca moderna, mentre i borghi agricoli conservano un aspetto pre-moderno e acquistano un nuovo fascino proprio perché lì si possono ritrovare condizioni di vita meno disumane e innaturali di quelle della città. Soprattutto in USA e in GB (e in Germania anche per ragioni culturali) si forma un movimento culturale anti-industriale che propone il ritorno in campagna Nascita dei sobborghi borghesi delle città-giardino (qualche tentativo anche per gli operai) In Italia progetti ispirati alle città-giardino londinesi: Cusano Milanino (1912); Cervia-Milano Marittima; Roma: La Garbatella, Monte Sacro. Il Novecento : la specializzazione delle città Nei due secoli Ottocento e Novecento le città subiscono diverse ondate di sviluppo e di declino, legate a trasformazioni economiche e a eventi bellici. Non tutte le città seguono lo stesso ciclo, alcune sono state al centro della rivoluzione industriale (es Manchester) altre della rivoluzione fordista (es. Torino). Le città si specializzano anche nelle loro funzioni, continuano ad esserci città amministrative (es. Roma) città religiose (es. la Mecca) o universitarie (es. Oxford) e città che rimangono invece permanentemente marginali (molte città italiane del sud). Il fordismo •Nel periodo fordista la città diventa funzionale all’azienda e ai suoi ritmi, l’esempio tipico italiano è Torino. •Il fordismo si sviluppa tra gli anni 30-70, ma fu inaugurato da Ford nel 1914 con la giornata a 8 ore e 5 dollari per poter consumare, ma anche con la catena di montaggio di Taylor: crescita produzione = crescita dei consumi, le cosiddette economie di scala •La città basa la sua economia sulle industrie maggiori della città, nuovi quartieri sono costruiti per ospitare gli operai, allo stesso tempo la fabbrica ha bisogno della città e del suo bacino di manodopera (nel caso italiano importata dal sud, con una crescita incontrollata di molte aree urbane in assenza di un’adeguata pianificazione). •La crisi del modello fordista inizia negli anni 70 (crisi petrolifera, instabilità dei cambi monetari, esaurimento delle economie di scala, forte aumento della disoccupazione) l’aumento dei conflitti sociali nel mondo del lavoro spinge le industrie a modificare la loro struttura produttiva, ad automatizzarla. Il Novecento e il fordismo A partire dagli anni 70 il ciclo meccanico-fordista entra in crisi e si affaccia un nuovo tipo di economia, basata su tecnologie ad alto contenuto di conoscenza. Questo cambia l’incidenza del potere di attrazione della città : non più solo in termini quantitativi (quante persone arrivano) ma anche in termini qualitativi più selettivi. Oggi arrivano sia persone altamente qualificate, sia persone – spesso migranti – impiegate in attività di servizio o nell’economia informale. I poli di attrattiva della città sono quindi sempre più stratificati. La fase post-fordista •Molte fabbriche chiudono e si creano aree dimesse con ex-quartieri operai con alti tassi di disoccupazione e di disagio sociale. •Alcune città si riprendono più in fretta (Milano più di Torino) e riescono a inserirsi nel ciclo virtuoso del nuovo sviluppo informatico e finanziario che però offre meno posti di lavoro del ciclo precedente quindi non causa un’ulteriore crescita della città. •Si vogliono eliminare le rigidità tipiche del modello fordista e sviluppare al massimo la flessibilità economica e del lavoro, capace di rispondere alle esigenze mutevoli del mercato. Gli stabilimenti sono più piccoli e decentrati, proprio perché si rifiuta il modello delle economie di scala •La città metropolitana continua ad attirare attività altamente qualificate di finanza, consulenza, marketing. •La città diventa sempre più una rete e un luogo dove si concentrano flussi economici finanziari e informativi e non più aree fisiche di sviluppo. Ovunque si formano centri e periferie città a diverse velocità. •Le città sono sempre più interconnesse tra loro su scala nazionale e mondiale, la sociologia urbana classica basata sull’analisi spaziale viene quindi ridimensionata a favore delle analisi di rete