IV
Ci concentreremo, oggi, sul testo della Epistola esplicatoria a Lo
Spaccio e sull’interpretazione di Cilberto che prende a sua volta
le distanze da Yates. Il tema del rovesciamento, presente nel
Lamento citato dalla Yates e nei Sileni di Erasmo, citati da
Ciliberto, ci permetterà di stabilire nei prossimi incontri dei
nessi con la filosofia di Callicle, evocata da Platone nel Gorgia, e
con la Genealogia della Morale di Nietzsche
“L’epistola esplicatoria a lo Spaccio”
campodeifioriurbani.wordpress.com
RIPRESA DALL’INCONTRO PRECEDENTE:
Abbiamo attraversato la filosofia di Bruno guidati dalle sue
ascendenze e dalle interpretazioni che di essa sono state prodotte
nei secoli.
Abbiamo rielaborato termini come natura, ermetismo, gnosi, magia,
seguendone i mutamenti di significato e le stratificazioni storiche,
fino ad arrivare all’interpretazione di Yates.
F. A. Yates propone una nuovo paradigma ermeneutico alla luce
del quale leggere l'intera opera di Bruno e, più in generale,
intendere il significato del Rinascimento: l'ermetismo.
In particolare viene messo in risalto
il tema della magia,
il suo inserimento in un quadro filosofico di stampo
neoplatonico,
la sintesi conciliativa con la tradizione cabalistica e soprattutto
con la religione cristiana che viene realizzata del platonismo
fiorentino nella seconda metà del Quattrocento.
se Ficino e Pico avevano accolto i temi ermetici con
estrema cautela e moderazione per non giungere a
collisione con l'ortodossia religiosa, Bruno esige un
ritorno esplicito e radicale alla religione egizia ed alla
pratica della magia in senso nettamente pagano.
Durante il suo soggiorno parigino prima e
londinese poi, Bruno ha insegnato dunque la
filosofia di Ermete Trismegisto, la prisca sophia
di cui egli intende essere il reastauratore, alla cui
luce ha letto anche il copernicanesimo e da cui
ha tratti tutte le implicazioni sul piano etico e
religioso.
precisa la Yates: «egli (Bruno) riconduce la magia rinascimentale alle sue fonti
pagane, abbandonando i deboli tentativi di Ficino di elaborare una magia
innocua dissimulandone la fonte principale, l'Asclepius [in cui si insegnava a
costruire idoli e amuleti, e che Agostino aveva condannato], violentemente
schernendo gli ermetici religiosi [che, come abbiamo detto, in età
rinascimentale erano numerosi] che hanno creduto di fondare un ermetismo
cristiano facendo a meno dell'Asclepius, e proclamandosi un Egiziano
convinto, che [...] deplora la distruzione, operata dai cristiani, del culto degli
Dei naturali della Grecia e della religione attraverso cui gli Egiziani
avevano raggiunto le idee divine, il sole intelligibile, l'Uno del neoplatonismo.»
La filosofia di Bruno, scrive la Yates, «è fondamentalmente
ermetica [...], egli era un mago ermetico del tipo più radicale, con
una sorta di missione magico - religiosa».
Ecco come Bruno cita nello Spaccio il lamento dell'Asclepio con la
sua profezia finale, e quali accenti commossi gli infonde:
Non sai, o Asclepio, come l'Egitto sia la imagine del
cielo [...], la nostra terra è tempio del mondo. Ma, oimé,
tempo verrà che apparirà l'Egitto in vano essere stato
religioso cultore della divinitade [...]. 0 Egitto, Egitto,
delle religioni tue solamente rimarranno le favole [...].
Le tenebre si preponeranno alla luce, la morte sarà
giudicata più utile che la vita, nessuno alzerà gli occhi
al cielo, il religioso sarà stimato insano, l'empio sarà
giudicato prudente, il furioso forte, il pessimo buono. E
credetemi che ancora sarà definita pena capitale a
colui che s'applicarà alla religion della mente; perché si
trovaranno nove giustizie, nuove leggi, nulla si trovarà
di santo, nulla di relligioso: non si udirà cosa degna di
cielo o di celesti. Soli angeli perniciosi rimarranno, li
quali meschiati con gli uomini forzaranno gli miseri
all'audacia di ogni male, come fusse giustizia; donando
materia a guerre, rapine, frodi e tutte altre cose
contrarie alla anima e giustizia naturale: e questa sarà
la vecchiaia ed il disordine e la irreligione del mondo.
Ma non dubitare, Asclepio, perché, dopo che saranno
accadute queste cose, allora il signore e padre Dio,
governator del mondo, romnipotente provveditore [...]
senza dubbio donarà fine a cotal macchia, richiamando
il mondo all'antico volto.
Tuttavia, non si risolve il problema dell'interpretazione
di Bruno, riducendolo a un pedissequo continuatore di
questo tipo di neoplatonismo e considerandolo un
semplice seguace di un culto misteriosofico egiziano,
perché egli era stato certamente influenzato dal grande
apparato messo in moto da Ficino e da Pico, con tutta
la sua forza psicologica, le sue associazioni
cabalistiche e cristiane, il suo sincretismo di diverse
posizioni filosofiche e religiose, antiche o medievali, e
con la sua magia. Occorre inoltre rammentare — e
questo, secondo me, è uno degli aspetti più significativi
di Giordano Bruno — che egli venne alla ribalta verso
la fine del XVI secolo, di quel secolo che vide terribili
manifestazioni di intolleranza religiosa, e nel quale si
cercò nell'ermetismo religioso un rifugio di
tolleranza, una via che portasse all'unione delle
varie sette in lotta fra loro. Abbiamo visto che c'erano
diverse varietà di ermetismo cristiano, cattolico e
protestante, e che la maggior parte di esse rifuggiva
dalla magia. A questo punto sopraggiunge Giordano
Bruno, il quale prende incondizionatamente come base
l'ermetismo magico egiziano, predica una specie di
controriforma egiziana, profetizza un ritorno alla
tradizione egiziana grazie al quale le difficoltà religiose
si comporranno in una soluzione nuova; propugna,
infine, anche una riforma morale, accentuando
l'importanza di buone opere sociali, di un'etica
rispondente a criteri di utilità sociale».
F.A.Yates
Se per la Yates “si cercò nell'ermetismo religioso un rifugio di tolleranza, una
via che portasse all'unione delle varie sette in lotta fra loro” anche per Ciliberto,
con alcune notevoli differenze, il progetto bruniano, interrottosi bruscamente,
approda ad un ideale di convivenza civile, mercé una religione civile, con funzioni
simili a quelle tratteggiate da Machiavelli e che collocano Bruno nel solco
dell’irenismo erasmiano (cfr. Lamento per la Pace e Adagia) e dei politiqués
francesi.
Irenismo: Termine avente il significato di Pace, indicante un indirizzo di pensiero
religioso che, collegandosi alle idee espresse da Erasmo da Rotterdam (v.), tendeva
alla conciliazione del Cattolicesimo con il Protestantesimo. Si diffuse nel XVI secolo,
ed ebbe tra i suoi principali sostenitori G. Amos Comenio (1592-1671), uno tra i
massimi rappresentanti dell’Empirismo, ed Ugo Grozio, giurista e teologo olandese
(1583- 1645).
I politiques: un partito intermedio
In Francia, fra i protestanti e i cattolici zelanti si forma ben presto un partito intermedio, che ha per scopo
soprattutto l’unità della nazione e che per questo è disposto a rinunciare all’unità religiosa. Tale
gruppo ispira la politica di Caterina de’ Medici fino al 1567. L’anno seguente, pare, viene dato loro
l’appellativo di “politiques”. Questo gruppo si attira l’avversione delle due parti contendenti, in quanto
sospettato d’indifferenza in materia di fede religiosa: per questo motivo Giovanna D’Albret li definisce
“ermafroditi religiosi”. Momentaneamente vinto, esso riprende forza con il nome di “Malcontents” grazie a
Damville, che in Linguadoca tratta con i protestanti, e grazie ancor più all’ambizione del duca di Alençon.
Dopo aver riscosso un certo successo in occasione della pace di Monsieur, si presenta per i politiques
un’altra favorevole opportunità alla morte di Enrico III, quando essi vengono denominati i “cattolici del re”.
Questa terza forza, per altro, vede in un forte potere monarchico sovraconfessionale l’unica possibilità di
salvare la Francia da un permanente stato di guerra civile.
Essi concepiscono i contrasti religiosi come conflitto politico e cercano perciò di risolvere il
problema religioso non sul piano confessionale, ma su quello politico-costituzionale,
impegnandosi ad assicurare ad ambedue le comunità religiose un diritto all’esistenza sancito
dalla legge. Esigono uno stato forte retto da un sovrano potente, poiché ravvisano la migliore
garanzia per la restaurazione e la salvaguardia della pace interna. Inoltre vogliono liberare lo stato
dai tradizionali legami con la Chiesa cattolica, per farne l’istanza che appiani e regoli le
controversie confessionali.
Per quanto singolare potesse apparire ai contemporanei il programma dei
politiques, le idee di questo partito non erano del tutto nuove. Erasmo da
Rotterdam, Sebastian Castellion, Georg Cassander e altri seguaci
dell’irenismo avevano più volte proclamato concetti analoghi.
Sin dagli anni intorno al 1570-79, Guglielmo d’Orange sosteneva una linea affine a quella dei politiques,
incontrando però la resistenza dei confessionalisti. Il loro programma del resto in Francia non viene subito
preso in considerazione, e solo dopo la dolorosa esperienza di una guerra civile si impone seriamente ad
ampie cerchie come una possibile soluzione.
Lamento ermetico e
Lamento erasmiano
Erasmo, in un'Europa sconvolta dalle guerre, un'Europa che si andava sempre più
profondamente dividendo sul piano religioso, ha difeso, ha combattuto per la pace
fra i popoli, pace politica e ancor prima pace religiosa.
Questo tema è costante in Erasmo sin dai primi scritti. In fondo, nonostante lo
sviluppo del suo pensiero, c'è un punto che quasi l'ossessiona: l'eliminazione della
guerra, allontanare i conflitti, "non vedere più la gente ammazzata, non vedere più
le città bruciate, non vedere più i saccheggi, non vedere più dominate le pacifiche
convivenze dai mercenari, dai soldati, non vedere più le armi".
C'è, nel suo pensiero, una sorta di crescendo: su questo crescendo, -spiega E. Garin
- ha pesato moltissimo la diffusione delle armi da fuoco. Ho pensato tante volte,
leggendo certi testi erasmiani, all'animus che si è diffuso nel mondo con l'apparizione
della bomba atomica. Non voglio dire che le bombarde e i cannoni, che utilizzavano
nel '400, siano paragonabili alla bomba atomica, ma certo c'è una pagina, nel
Lamento della pace, in cui Erasmo dice:
"pensare che oggi i morti nei campi di battaglia si contano a migliaia e a decine di
migliaia, mentre prima c'era il duello, c'era l'osservanza delle norme, c'erano persino
delle regole per ammazzarsi. Di fronte a queste stragi, cambia tutto".
Lo Spaccio non un trattato ermetico ma un opera moderna
Nell’incontro precedente: >>> La crisi della modernità ha comportato una diversa considerazione delle categorie etiche, giuridiche e politiche. Il connotato
comune delle moderne teorie del diritto naturale è da ravvisare nella sostituzione della trascendenza con l'immanenza delle leggi e delle istituzioni
politiche, con la conseguente prevalenza della volontà dello Stato sulla voluntas Dei . La realtà è considerata matura per produrre da sé il giusto e,
conseguentemente, anche il cosiddetto obbligo di diritto naturale, emancipandosi dalla sua base teonoma, è fatto scaturire dalla natura stessa delle cose,
in uno sviluppo progressivo che lo fa evolvere in legge. Sul piano politico, lo Stato, risultato della riflessione e del calcolo, opera d'arte e prodotto dell'
arte dello Stato e della scienza di governo, ha al suo vertice non più un principe nel senso feudale del termine, ma piuttosto un sovrano indipendente che
fa di preferenza affidamento sulla sua intelligenza e sulle sue risorse piuttosto che su principi etici o sulla posizione che gli è affidata da Dio in una società
piramidale. Contro questo processo di secolarizzazione e di autonomizzazione del diritto e della politica si erge Tommaso Campanella, la cui vasta
produzione di scritti politici è in larga misura sconosciuta agli studiosi in netto contrasto con l'amplissima diffusione delle numerose edizioni della Città del
Sole, che ha finito per avere un effetto addirittura distorcente e riduttivo rispetto all'acutezza e alla profondità di pensiero del filosofo di Stilo. (Nei prossimi
incontri proveremo a confrontare la visione politica di Bruno con il realismo di Machiavelli e con l’utopia di Moro, con la teologia politica
dell’altro dei tre maggiori filosofi della natura, Campanella. )
A partire dagli anni Ottanta il
paradigma ermeneutico della Yates
viene esplicitamente ridimensionato:
ridotta a mago, la figura di Bruno risulta
deformata,
insieme
amplificata
e
contratta. Si fa largo la consapevolezza
che ad un mito se ne è sostituito un
altro: alla visione laica, scientistica e
progressista, si è contrapposta quella
magica e religiosa che priva il pensiero
bruniano dello sguardo sul futuro. Si è
insistito sulla perennità e continuità di
una tradizione, ma non si è visto il suo
intreccio con altri fattori costitutivi
della modernità, il cui nesso con Bruno è
apparso offuscato
“l’epistola esplicatoria …”
Prima di introdurre la visione interpretativa complessiva
di Ciliberto, soffermiamoci ad analizzare il testo
dell’epistola esplicatoria e provando ad isolare alcuni dei
concetti su cui più batte la critica e lo stesso Ciliberto.
•La
dedica
dell’opera
(cfr.
differenza
con
l’interpretazione di H. Gatti)
•Il 1584 come evento che influisce sui piani di
Bruno
•Lo scontro di Oxford (per Yates, il motivo è Ficino;
per Ciliberto è Copernico)
•Le parole, utilità delle traduzioni, autonomia del
filosofo
•Il significato di Giove
•Il tema del rovesciamento, dai sileni al lamento
ermetico del III dialogo
I Sileni di Alcibiade
Prima di procedere, un paio di precisazioni riprendendo
ancora E. Garin su Erasmo:
Passiamo a considerare gli Adagia. Tra questi adagi lunghi (ce ne sono
alcuni brevi, altri brevissimi e altri molto più ampli) ce n'è uno che a me
piace moltissimo, che mi pare importantissimo, che mi pare una delle
chiavi per leggere non solo gli Adagi, ma per leggere tutto Erasmo.
Questo adagio è intitolato: I Sileni di Alcibiade.
Credo che sappiate cosa sono i sileni di Alcibiade: statuette cave
dentro, che fuori appaiono ridicole e brutte, mentre dentro vi sono
immagini bellissime. Che cosa significa? Significa che la realtà ha due
aspetti: un aspetto, nella fattispecie, esteriore, e un aspetto interiore.
Arrivare a leggere la realtà significa rendersi conto di che cosa è
Sileno, cioè vedere la bellezza straordinaria che c'è dentro, cioè la
necessità di capire che la realtà va sempre capovolta, perchè - ed è
questo l'importanza del testo di Erasmo - i Sileni vanno intesi in due
modi: nel ricordo platonico i sileni rappresentano sono la bellezza
interiore rispetto al ridicolo, al brutto esterno. Ma c'è l'altra possibilità,
cioè il bello esterno, il potente esterno, quello che si presenta con tutti
quanti i titoli apparenti di grandezza: lo apri, e che cosa trovi? Trovi i
vizi.
Ecco a che cosa serve l'esempio dei Sileni a Erasmo. Lui li applica
senz'altro ai sovrani e ai pontefici, ai vescovi, ecc., del suo tempo.
Perchè ho ricordato i Sileni? Perchè proprio alla fine dei Sileni c'è un
violentissimo attacco alle guerre: alle guerre che vengono scatenate
dai sovrani e dai grandi della Chiesa.
>>>
“il fisionomista”
Un altro degli "adagi" contro la guerra è quello in cui Erasmo parla dell'aquila, vinta dallo scarafaggio, dallo scarabeo. E
quando dipinge l'aquila - e rimpiange di non avere la penna del fisionomista - con questa cattiveria stampata in tutti
quanti i suoi lineamenti e, a un certo punto, animale veramente regale. Perché così sono i re: hanno quest'aspetto
imponente e sono cattivi, come l'aquila, che si diverte a massacrare.
La potenza nel mondo, in fondo, è questo. Uno degli adagi lunghi è appunto il dulce bellum: la guerra è dolce per chi
non la conosce. Insistendo, l'aquila è il potente, il potente laico o ecclesiastico che sia. Poniamo il caso che un
fisionomista di una certa competenza sottoponga ad analisi accurata, la fisionomia dell'aquila:
"... l'occhio torvo e rapace, il ghigno truculento, la mandibola spiegata, la fronte bieca e finalmente il rostro adunco.
Puoi star sicuro che il nostro fisionomista riconoscerà immediatamente l'immagine della regalità maestosa e altera.
L'identificazione aquila-sovrano-sovranità-potenza-regalità è rafforzata dal colore funereo, tetro e di malaugurio, quel
nero opaco e smorto, che è proprio dell'aquila. E a questi tratti bisogna aggiungere la voce chioccia e agghiacciante,
quell'atroce singulto, capace di incutere i brividi a ogni essere vivente...".
Ho letto questo brano anche perchè, secondo me, Erasmo, quando vuole, è un grande scrittore. Ci sono delle pagine
che difficilmente si dimenticano. Ecco la lettera in cui Erasmo dice quello che è la sostanza del Dulce Bellum:
"...Sono solito domandarmi, spesso meravigliato, cosa mai spinga, non dico i Cristiani, ma gli uomini tutti, a tale punto
di follia da adoperarsi, con tanto zelo, con tante spese, con tanti sforzi, alla reciproca rovina generale della guerra. Che
altro infatti facciamo nella vita se non la guerra o prepararci alla guerra? Neppure tutte le bestie combattono tanto, ma
solo le belve, le bestie cattive. E neppure queste combattono fra loro, ma solo se sono di specie diverse. Combattono
con mezzi naturali. Non come noi con macchine escogitate da un'arte diabolica".
Quando si parla, così, in modo indiscriminato, dell'età del rinascimento si dicono spesso tante cose giuste, ma spesso
anche tante bestialità. Ci si dimentica tutto quanto l'aspetto di perfezionamento tecnico, che in quel momento prende
potentissimo l'avvio e che non sempre è a beneficio dell'umanità.
Dietro tutta quanta la retorica di un periodo di civiltà che vuole rendere più umana la vita dell'uomo spesse volte si
nasconde l'avvio a una tecnica, la quale - non dirò che è disumana - è neutrale dal punto di vista morale. Se ne
infischia altamente se la macchina che sta costruendo serve a aiutare gli uomini o a ammazzarli.
Metempsicosi e natura umana
Gli anni della formazione presentano un Bruno orientato ben presto in senso antitrinitario e originalmente erasmiano,
in una concezione del pensiero nella quale acquista un ruolo centrale la riproposizione del noto Lamento ermetico e la
conseguente condanna del secolo “infelice”. La lucidità con la quale Bruno coglie le mediocri bassezze della società
cinquecentesca trova sfogo nel Candelaio; mentre le altre opere composte durante il suo primo soggiorno francese, il
De Umbris su tutte, presentano un tema che diverrà fondamentale per lo sviluppo in senso ontologico del pensiero
della “nova filosofia”: quello della umbratilità.
Ma è nell’arco di tempo che trascorre in terra inglese che Bruno, malgrado le varie e infelici esperienze umane e
accademiche, compone i suoi capolavori.
Nella Cena delle ceneri sviluppa una concezione dell’esegesi biblica che, delimitando i rispettivi ambiti di filosofia e
religione, mira a stabilire una positiva condizione di convivenza tra Scrittura e ragione, appellandosi alla pluralità di
codici linguistici mediante i quali l’uomo può attingere al vero. Nel primo dialogo cosmologico, il De Infinito, Bruno
discorre del rapporto tra necessità e immutabilità divine e libertà ed elezione umane, cercando di mantenere lo stesso
equilibrio dello scritto precedente. Con Lo Spaccio della bestia trionfante tuttavia, vedendo naufragato il proprio
impegno mediativo, Bruno si decide per un attacco diretto alla filosofia e alla religione coeve, presentando la sua
opera come rispondente a un’urgenza di rinnovamento. Questa svolta fa leva sulla rilevazione dello stato di crisi del
secolo attuale, preda della pedanteria di pseudo-filosofi, ben rappresentata da un personaggio come Poliinnio, nel De
la causa, ritratto di un pensiero inerte e abissalmente lontano dalla prassi.
Lo Spaccio nell’interpretazione di Ciliberto
Pubblicato a Londra da John Charlewood nel 1584 e dedicato a sir Philip Sidney, lo Spaccio
della bestia trionfante, nel cui titolo è già evidente il riferimento alle battute dell’Apocalisse, si
compone di tre dialoghi di filosofia morale, suddivisi ciascuno in tre parti. I tre interlocutori –
Sofia, Mercurio e Saulino – vi ragionano della riforma voluta da Giove per mettere fine alla
decadenza del mondo celeste. In un quadro storico che assiste all’accanimento anti-ebraico
del cattolicissimo Santo Uffizio in Spagna, alle persecuzioni contro cattolici e presbiteriani in
Inghilterra, alle vicende delle Fiandre insorte contro Filippo II di Spagna ed alle lotte religiose
in Germania, Bruno profetizza un tempo in cui un vincitore riporterà la pace nell’Europa misera
ed infelice, fiaccando quel mostro che sparge veleni ereticali, cioè la setta riformata, che,
affidandosi solo alla pura fede interiore, si rifiuta di fondare la salvezza sulle buone opere e
crea un grave rischio di instabilità per la pace sociale: chi nega la salvezza mediante le opere
ed afferma quella predestinata per sola fede demolisce e sgretola società civile e stato. In
realtà, in questa fase della sua vita, Bruno guarda alla monarchia francese di Enrico III ed alla
sua ispirazione cattolica ‘moderata’: lo Spaccio si chiude, non a caso, con un’invocazione al
sovrano francese, portatore e garante della pace europea, e contiene evidenti allusioni
politiche che rivelano che Bruno non ha mutato l’orientamento che aveva già manifestato in
Francia con l’adesione al partito dei politiques.
Da un punto di vista teorico, intenzione esplicita del Nolano
è trattare la filosofia morale secondo il lume irradiato dal
divino sole intellettuale, sottraendosi a qualsiasi
soggezione verso la teologia. La critica della duplice
natura della persona di Cristo – allegoricamente indicato
nel centauro Chirone e nella costellazione di Orione –
suggerisce l’ispirazione anticristiana dell’etica bruniana.
L’ambientazione presenta Giove e gli dei in consesso per
ripulire il cielo dai vizi e riportarvi le virtù, ovvero per dar
spaccio alla “bestia trionfante”. Si tratta di riformare ed
insieme di rifondare l’eticità a partire dall’accoglimento della
verità che tutto ritorna eternamente attraverso la coincidenza
dei contrari e che la sostanza corporea è eterna quanto
quella spirituale. La prima è un mutamento continuo di
composizione e decomposizione che lascia immutati il
principio materiale e gli elementi; la seconda è immutabile ed
indissolubile.
Celebri le pagine in cui Bruno, attraverso le ‘figure’ di
Diligenza, Sollecitudine e Fatica, affronta il tema
dell’operare umano, che, mai fine a se stesso, può
prendere la fortuna per i capelli, affrettando il corso della
sua ruota o bloccandolo con un chiodo. È a questo livello
che si pone la possibilità per l’agire umano di innalzarsi al di
sopra dell’indistinzione universale delle sorti: solo
un’operosità creativa e produttiva può “gettar
nell’inferno” l’“Ozio aureo”.
Duplice Cristo
>>>
il rovesciamento delle leggi di natura
Emblematiche anche le pagine che contengono il passo noto come il Lamento di Ermete, in cui Bruno
riferisce la preconizzazione da parte di Ermete Trismegisto dell’abbandono dell’Egitto, tempio del mondo, da
parte della divinità. Della sua religione rimarranno, con l’insediamento di barbari e stranieri, solo favole vane
per le generazioni future. A questo tempo tenebroso di irreligiosità, guerre e disordini, dopo un diluvio di
acqua e di fuoco, succederà la restaurazione da parte dell’onnipotente provveditore dell’antico mondo. Per
Bruno, Lutero ed i riformati hanno portato alle estreme conseguenze il rovesciamento delle leggi di natura,
la dolenda secessio, inaugurata dal cristianesimo. Ma la ‘vecchiaia del mondo’, cioè il ciclo ebraico-cristiano,
si sta compiendo, e dopo la notte dei pedanti e dei sofisti, riaffiora all’orizzonte la luce della verità, il ritorno
alla giovinezza. La religione egizia rappresenta, in tale contesto metaforico, la purezza originaria dei vincoli
naturali fra uomo, Dio e natura, esplicantisi in un linguaggio ‘figurale’, che Bruno esprime attraverso i simboli
animali. Nel Lamento Bruno recupera temi apocalittici, ponendo in primo piano quel concetto di
rovesciamento per cui la somma ingiustizia viene spacciata per giustizia e pietà. Ma l'analisi delle forme in cui
si esplica la decadenza s’intreccia continuamente alla messa a fuoco dei modi in cui è possibile sottrarsi al
declino e riportare la società umana alla giovinezza: in questo senso, Bruno individua nel recupero della
religione magica degli Egizi e della religione civile dei Romani lo strumento privilegiato che consente di
invertire il ciclo della decadenza.
Tra i numerosi temi che Bruno modula in quest’opera, il motivo del nesso organico che stringe insieme
verità e legge spicca per la straordinaria forza teorica con cui è formulato: sin dal primo dialogo, il
Nolano individua nell’intrecciarsi di verità e legge il nodo della comunicazione tra il principio divino e il mondo
umano. In una prospettiva simile, la coincidenza tra legge e verità viene presentata come un tramite
costitutivo di tutte le grandi civiltà. Rompere questo vincolo significa recidere le radici stesse della vita
associata. Anche da queste considerazioni scaturisce la fortissima polemica antiriformata che percorre tutta
l'opera: nei celebri passi contro la dottrina protestante della salvezza sola fide Bruno individua in Lutero
l’archetipo degli angeli nocentes che, introducendo una frattura insanabile tra giustizia divina e giustizia
umana, si fanno artefici della decadenza che investe il «secolo infelice». In questo senso la polemica finisce
per coinvolgere le radici ebraiche e cristiane della riforma: l'analisi di Bruno tende infatti a sottolineare
come la predicazione di Lutero non sia un fatto casuale, ma sia conseguenza inevitabile della scissione tra
divino ed umano operata dal cristianesimo. In una prospettiva simile, le forze che hanno condotto alla
decadenza attuale sono già racchiuse nella predicazione di Paolo, che, negando il valore delle opere e
privilegiando una fede tutta ripiegata nell'interiorità, ha reso impossibile la comunicazione tra uomini
e dei.
«la ‘vecchiaia del mondo’, cioè il ciclo ebraico-cristiano, si sta
compiendo, e dopo la notte dei pedanti e dei sofisti, riaffiora
all’orizzonte la luce della verità, il ritorno alla giovinezza».
Ancora su Ciliberto: asinità e pedanteria
Nel panorama del rinnovamento degli studi bruniani, il contributo più notevole lo ha
certamente recato M. Ciliberto a partire da "La ruota del tempo" (Ed. Riuniti, Roma 1986),
che lavora sulla base della consapevolezza che interpretare oggi Bruno significhi
ricostruirne il pensiero individuandone mutamenti e costanti. Infatti esso è distinto in
fortissimi, continui elementi di rielaborazione e autoripensamento, con paradossali ritorni al
passato e proiezioni al futuro. La sua filosofia è molto ricca e articolata, non riconducibile a
un solo tema o a una sola posizione: per questo è necessario distinguere fasi, momenti e
programmi di ricerca per individuarne la pluralità dei quadri teorici elaborati secondo linee di
scorrimento distinte da svolte, crisi, fratture, arretramenti che impongono una pluralità di
livelli di lettura e di punti di vista. Tra questi Ciliberto sceglie una prospettiva di lettura
che privilegia l'ambito etico-politico dell'esperienza inglese, ponendo al centro due
archetipi o strutture quali l'asinità e la pedanteria che servono ad illuminare, una volta
che se ne siano messe a fuoco costanti e mutamenti, le trasformazioni e le sistemazioni
tematiche e concettuali nella mente di Bruno. Se l'asinità è facilmente identificabile con
l'ignoranza, più complesso è il discorso riguardante la pedanteria: in generale essa
incarna una visione del mondo antitetica ad una concezione positiva e non oziosa del
sapere e della vita, che va combattuta perché disintegra la società e l'ordine umano e
naturale. Se nel "Candelaio" questa figura sta a significare la degenerazione umanistica,
nel periodo inglese essa si identifica fondamentalmente con Lutero: ciò è parallelo alla
polemica anticristiana e alla riduzione del cristianesimo a paolinismo e religione riformata
con la conseguente persuasione che la pedanteria sia la causa della crisi e della decadenza
attuale che invade il mondo e devasta il sapere. Essa diventa quindi la chiave interpretativa
della realtà, mentre asinità, pedanteria e cristianesimo si intrecciano nella stessa corrente
polemica. Distruggere la pedanteria significa allora veder rinascere la civiltà: perciò la
critica alla pedanteria si intreccia con la battaglia copernicana, con la riforma cosmologica e
gnoseologica, con la lotta in difesa della sua filosofia dalla critica dei dottori oxoniensi in
nome della lettera biblica. Infatti nella figura del pedante si saldano una concezione
grammaticale del testo sacro, la visione tolemaica del mondo, una concezione della
vita che esalta l'ozio e l'asinità, il rifiuto dei fondamenti della scienza e della società.
Ciliberto tende a sottolineare il significato antiriformato della polemica bruniana: il pedante
è Lutero che con la sua dottrina distrugge la repubblica seminando odio in nome del
vangelo.
Se a Parigi Bruno non è ancora interessato alla problematica etico-politica, questa
balza in primo piano nel periodo inglese quando vengono abbandonate le tendenze
concordatarie tra la Scrittura e la sua filosofia con la scoperta della religione civile (dei
Romani) e naturale (degli Egizi) e del nesso tra etica, religione e conoscenza. Nello
"Spaccio" si sostiene pertanto la tesi che la migliore religione è quella che, come
presso gli antichi, riconosce il valore delle opere umane, il loro significato sociale che
rinsalda le repubbliche ed incrementa il pubblico bene. Se dunque il culto divino non
ha altro fine che il buon vivere degli uomini, l'asinità si configura come il luogo
d'origine, come la ragion d' essere della pedanteria, in particolare quella riformata (con
la Chiesa cattolica, che apprezza e sostiene la dottrina delle opere buone, Bruno
ritiene possibili delle convergenze di carattere civile e politico), che trova la sua
principale matrice primaria nell'esaltazione della santa ignoranza fatta da S. Paolo e
S.Agostino. Ciliberto insiste sulla scansione cronologica del pensiero bruniano: sotto
questo aspetto l'opera principale del periodo parigino (tra il 1582 e il 1583), il "De
umbris idearum", costituisce una specie di laboratorio dell'intera ricerca del Nolano
dove sono presenti tutti i temi destinati ad essere successivamente svolti ed
approfonditi. Soprattutto si possono notare i motivi ermetici, che tuttavia si configurano
in termini più pacati nella loro valenza anticristiana. Solo successivamente l'interesse
si sposta dalla gnoseologia e dalla mnemotecnica verso la cosmologia; ma su questo
terreno, nel fuoco della polemica con i teologi di Oxford, viene scoperto anche il nesso
tra conoscenza ed etica (significativo che nel "Cantus circaeus" la purificazione morale
si costituisca come fattore prepedeutico all'arte della memoria). Ancora: se a Parigi la
mano è strumento di violenza e sofferenza di cui gli animali sono sprovvisti, a Londra,
nel pieno della disputa antiriformata, essa riveste una funzione positiva quale mezzo di
cui l'uomo si serve per costruire la civiltà. Essa è il fondamento del libero arbitrio e
perciò opposta all'orecchio che invece è condizione della fede (fides ex auditu,
secondo la definizione paolina ed agostiniana). Qui Bruno individua nella religione
oziosa (Lutero) ed ascetica (la controriforma cattolica con le sue pratiche devozionali e
l'esaltazione dell'imitatio Christi) la causa della decadenza universale delle opere, del
sapere, dei costumi a motivo dei suoi effetti nefasti sulla vita sociale. In Francia
prevale l'atteggiamento conciliativo, ma in Inghilterra si insiste sulle differenze, sulle
distinzioni nei rapporti tra religione e civiltà, tra etica e conoscenza.
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Anche se i suoi primi scritti (la "Cena" e l'"Epistula valedictoria") sono più un invito alla discussione e al confronto che cerca di
evitare la rottura radicale, il fallimento oxoniense, dovuto all'adesione al copernicanesimo (e non per la ripresa dei temi
di magia desunti da Ficino, come vuole la Yates) e all'esposizione del suo programma di ricerca del sapere, apre la strada
alla scoperta dell'etica quale condizione dello sviluppo della scienza e dell'umanità. L'esame della "Cena", prima opera in
volgare pubblicata in Inghilterra, mette in luce la convinzione bruniana di aver scoperto l'antica verità riservata a pochi sapienti.
Filosofia e religione hanno autonomia e assolutezza ciascuna nel proprio campo, ma certo non possono conciliarsi (come
veniva prospettato nel "De umbris"): la verità è solo della filosofia (la cui ricerca non è più limitata al piano dell'utilità e del
verisimile) che perciò si ritira dal campo pratico e civile lasciato alla Scrittura. Caduta la convinzione di un linguaggio
universale, tuttavia Bruno non sembra rinunciare al tema dell'unità: ciò significa che da un lato il sapere conserva una funzione
civile, e dall'altro che la Scrittura non ha solo un valore pratico. Occorre distinguere, nel discorso su Dio, tra metafora e verità,
tenere separati i codici ed i livelli: ma dalla distinzione può riemergere l'unità che attiva una relazione di reciprocità tra legge e
verità. Tuttavia secondo Bruno il criterio di differenziazione è costituito dalla natura, senza la cui conoscenza non si può
leggere adeguatamente la Scrittura ed intenderne i vari linguaggi. Nella prospettiva aperta da Ciliberto, Bruno da un lato
insisterebbe sulla distinzione tra filosofia e religione, dall'altro ne ridefinirebbe il piano d'incontro riproponendo l'unità di
linguaggio divino, naturale, umano. Egli svolge l'uno o l'altro argomento a seconda delle prospettive e delle discussioni, che si
snodano attraverso gli altri dialoghi metafisici, il "De l'infinito" e il "De la causa".
Secondo Ciliberto si assisterebbe ad una svolta solo con lo "Spaccio" (e con "La cabala del cavallo pegaseo", vera e propria
riscrittura ironica dell'"Elogio della follia" come elogio dell'asinità), steso nel contesto dello scontro tra la corona e i puritani di
cui Oxford era diventato un centro di propaganda e con i cui dottori Bruno si era scontrato. Qui nel mirino della polemica cade
la pedanteria identificata con il cristianesimo paolino di cui Lutero è la massima espressione. Vero angelo del male, egli ha
avvelenato il mondo e ne ha sconvolto l'ordine perseguitando e opprimendo: sotto questo aspetto lo "Spaccio" costituirebbe
una vera e propria risposta al "De servo arbitrio" di cui rovescia i valori mentre si annuncia il risorgere dell'antica religione con il
suo nesso tra Dio, uomo, natura. Cogliendo una significativa sintonia tematica con i "Discorsi" di Machiavelli (opposizione tra
ozio e virtù, la religione come principio di mantenimento e sviluppo della civiltà come nel caso della religione eroica e civile dei
Romani), Ciliberto mostra come Bruno dissolva la teologia nella religione civile mentre avanza la necessità dell'individuazione
di un nuovo principio religioso (il cristianesimo che doveva essere strumento di governo è diventato strumento di corruzione sia
dei costume che del sapere) ed etico a fondamento della vita civile e del rapporto con la natura. L'antica unità tra sapere,
opere e costumi si è infranta, scienza filosofia e religione si sono separate e corrotte, il mondo è invecchiato. Senza buoni
costumi non c'è scienza: perciò restaurare il sapere vuol dire ricostruire la base etico-religiosa del consorzio umano dissolto
dai pedanti. Per questo nello "Spaccio" si insiste sull'azione, sul lavoro (la mano), sul merito e sul loro riconoscimento
all'interno di un ambito caratterizzato dall'esperienza individuale e dalla sua storia dove mediante il lavoro si cerca di
trasformare la Fortuna cieca in Provvidenza (nei dialoghi cosmologici infatti la moralità consisteva nel superamento della
visione parziale e casuale della realtà e con la conoscenza dell'ordine naturale in cui la storia si dissolve nell'uguaglianza di
tutti i destini), che appunto è frutto di quell'intreccio di merito e fortuna in cui l'uomo trova la propria libertà. In questa
prospettiva restaurare la natura significa ristabilire le differenze rispetto all'indistinzione cieca e gratuita.
L'ultima parte del lavoro di Ciliberto è dedicata all'esame del problema del linguaggio. Partendo
dall'osservazione che Bruno definisce sempre i propri termini distinguendoli dagli analoghi della
tradizione aristotelica e dell'uso comune nella consapevolezza della pluralità delle forme espressive, ne
viene messa in evidenza anche la disponibilità nei confronti delle altre filosofie la cui validità non è
valutata sulla base di criteri pregiudiziali ma dell'unica pietra di paragone che è la natura (Aristotele
invece viene accusato di aver falsificato la filosofia degli altri). In particolare nel "De la causa" è
evidente l'ammissione della compossibilità di più lessici teorici da decifrare ciascuno nella propria
specificità per evitare confusione. Parole, voci ecc. non esauriscono il loro significato nell'ambito di una
sola tradizione valida una volta per tutte, ma variano a seconda della filosofia in cui si dispongono. Ma
la pluralità dei linguaggi si giustifica in base anche alla differenza dei loro oggetti e quindi delle forme di
vita: non c'è corrispondenza univoca tra nomi e oggetti e quindi non esiste un'unica lingua perfetta.
Mentre i pedanti e i filologi si fermano alle parole, si può penetrare un pensiero o una filosofia
superando i limiti linguistici mediante la focalizzazione dell'attenzione sulle cose piuttosto che sui segni.
Del resto anche l'astronomia è una lingua e gli astronomi sono come dei traduttori; sia il libro di Dio sia
quello della natura hanno bisogno di chiavi esplicative per poterne penetrare il contenuto. In definitiva
la critica del linguaggio in Bruno consiste a) nella critica all'impostazione grammaticale e filologica (e
matematica se ci si riferisce all'astronomia) che non penetra nella natura e nei problemi filosofici; b)
nella ricerca di un livello di comunicazione in grado di esprimere la molteplicità dei linguaggi dell'uomo,
della natura, di Dio, restaurando gli elementi di una nuova unità. E' proprio la riscoperta dell'antica
sapienza che porta alla luce una serie di piani comunicativi e con essi la pluralità (e relatività) dei
linguaggi che la nuova filosofia è in grado di esprimere insieme con la varietà della realtà e la ricchezza
dell'esperienza. Perciò da essa possono scaturire nuove concezioni etiche, politiche, religiose
antitetiche a quelle dei pedanti. Presso gli egizi la comunicazione con gli dei era possibile mediante
una lingua sacra, originaria, fondamento della magia e della conoscenza della verità. Oggi la lingua si è
corrotta e con essa anche la sapienza: uomini e dei si sono separati e sono incapaci di parlarsi. In
questo consiste la crisi della civiltà: corruzione della visione della verità, della concezione della divinità,
del sapere e dell'azione umana. Ricostruire l'unità e la comunicazione vuol dire pertanto riscoprire la
lingua originaria (delle figure, dei simboli, dei gesti): senza riforma della lingua non c'è renovatio mundi.
Ed ecco quindi il sogno di Giordano Bruno: risalire alle radici, alla giovinezza, restaurare l'infinita
pluralità dei linguaggi della vita e ricostruire la comunicazione tra Dio, uomini e natura dopo la crisi e la
loro separazione.
Dopo questo volume Ciliberto ha proseguito la sua ricerca pubblicando edizioni commentate dei testi
bruniani e offrendo un ricco lavoro di sintesi nel suo "Giordano Bruno" (Laterza, Bari 1992) dove
riprendendo i temi indicati nello studio precedente, viene ricostruita la complessità della personalità e
del pensiero del Nolano (specialmente i suoi rapporti con la "modernità") attraverso un itinerario che ne
mostra l'evoluzione sullo sfondo degli ambienti in cui è vissuto e delle problematiche che via via ha
dovuto affontare.
Fine 4° incontro
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bruno quarto incontro - Campo de` Fiori Urbani "Piattaforma G. Bruno"