FOCUS CLINICI
DISFUNZIONI ARTICOLARI
Artrosi
Con il termine artrosi si indica un’affezione a carattere degenerativo delle articolazioni,
causata da molteplici fattori; è possibile quindi distinguere forme primitive e forme
secondarie.
Le forme primitive sono dovute a un’alterazione di natura biochimica della
composizione della sostanza fondamentale della cartilagine articolare, mentre le
forme secondarie conseguono ad alterazioni morfologiche delle articolazioni o del
carico cui vengono sottoposte.
Nelle artrosi secondarie ad alterazioni meccaniche si osserva precocemente una
modificazione della composizione della sostanza fondamentale della cartilagine, in
particolare della composizione dei mucopolisaccaridi, con variazioni nel contenuto dei
glicosaminoglicani e dell’acido condroitinsolforico. Per questo motivo la distinzione tra
forma primaria e secondaria è andata pian piano annullandosi, dal momento che la
patogenesi sembra essere unica, mentre l’eziologia è varia e rappresentata da:
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forme infiammatorie e reumatiche, turbe nutritive o vascolari (forme
aterosclerotiche), alterazioni del carico (carico irregolare o concentrato in un
solo punto dell’articolazione) o, infine, alterazioni morfologiche dei capi
articolari che determinano la cosiddetta “incongruenza articolare”, dovuta a
fattori acquisiti (esiti di fratture articolari mal saldate) o congeniti (esiti di
displasia dell’anca). Si spiega pertanto come possano esistere forme
“giovanili” e forme “senili”.
L’artrosi può colpire tutte le articolazioni ma, in particolar modo, quelle
sottoposte a carico; pertanto la patogenesi di questa affezione è individuabile
in:
• alterazione strutturale della composizione articolare, che determina una
percezione alterata del carico;
• sollecitazione meccanica eccessiva o inegualmente ripartita, che sottopone
a eccessivo stress le strutture della cartilagine articolare.
La cartilagine articolare consta di cellule immerse in una sostanza
fondamentale, costituita da mucopolisaccaridi, entro cui sono immerse fibrille
collagene; l’orientamento delle fibrille è tale che esse si oppongono
elasticamente al carico, deformandosi in parte per azione del carico stesso e
ritornando elasticamente alla condizione normale al cessare del carico.
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Fattori condizionanti tale elasticità sono rappresentati dalle fibrille stesse e dalla
composizione della sostanza fondamentale; se le fibrille si rompono e/o la sostanza
fondamentale si altera, le forze pressorie del carico non possono più essere
egualmente ed elasticamente distribuite sulla superficie articolare, non venendo più
ammortizzate dall’impalcatura fibrillare e scaricandosi, pertanto, direttamente
sull’osso sottocondrale.
La sostanza fondamentale si modifica con l’età, divenendo meno ricca di acido
condroitinsolforico. Pertanto sono condizioni favorenti l’artrosi:
1. l’età;
2. le alterazioni della forma articolare;
3. l’alterazione del normale carico;
4. i ripetuti traumatismi;
5. l’eccessiva richiesta funzionale;
6. la modificazione delle condizioni statiche;
7. le alterazioni metaboliche;
8. le malattie primitive o secondarie della sinovia articolare, quali: artrite reumatoide,
reumatismo articolare, artriti settiche, artriti enteropatiche, artrite psoriasica ecc.
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Se viene a mancare un normale movimento articolare o se la sinovia è alterata e
non produce più un liquido sinoviale normale, si verifica una sofferenza delle cellule
cartilaginee che si tradurrà in alterazioni cellulari, alterazioni della sostanza
fondamentale, presenza di fibrille meno elastiche e meno resistenti al carico e che si
spezzano, determinando delle ulcerazioni della cartilagine e delle fissurazioni nella
sua compagine (lacune di Weichselbaum).
La cartilagine così alterata trasmette il carico direttamente all’osso sottostante che si
sclerotizza, come meccanismo di difesa, divenendo sede di un eccessivo
riassorbimento, che porta alla formazione di cavità (geodi) sottocondrali; infine si
verifica anche una contrattura muscolare antalgica che immobilizza ulteriormente
l’articolazione.
L’accumulo di materiale catabolico o di sfaldamento cellulare favorisce la
precipitazione di sali di calcio, che determinano il formarsi di un tessuto di
granulazione ricco di depositi amorfi calcarei, sollecitato a evolversi in senso
osteogenetico. Nascono così gli osteofiti, a sede paraarticolare, che deformano e
ingrossano l’articolazione, aumentandone l’incongruenza articolare. Inoltre il dolore
determina una limitazione del movimento articolare, che causa una ipotrofia
muscolare da disuso, con mancata azione ammortizzante e protettiva sulla
cartilagine articolare, che riceve in pieno l’azione del carico.
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Quindi nelle artrosi la cartilagine scompare e l’osso sottocondrale in parte si
ispessisce (sclerosi), divenendo meno resistente per la presenza delle cavità
geodiche; inoltre sempre per azione del carico si possono avere microfratture e
crolli parcellari dell’osso sottocondrale.
La sintomatologia di accompagnamento è caratterizzata da:
• dolore, che peggiora con il carico e cessa con il riposo ed è maggiore all’inizio del
movimento;
• contrattura muscolare, che fissa l’articolazione in una posizione obbligata;
• limitazione dei movimenti articolari.
La presenza di versamento articolare, per aumento del liquido sinoviale, non è
costante e si presenta in funzione della partecipazione della membrana sinoviale al
processo artrosico.
La possibilità di una guarigione spontanea dell’artrosi si ha quando la progressiva
limitazione articolare arriva all’anchilosi, che sopprime ogni forma di movimento e,
di conseguenza, anche il dolore. Con la terapia si può fare in modo che l’anchilosi
avvenga in posizione fisiologica per l’articolazione.
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La terapia medica trova utile impiego solo nelle fasi iniziali della malattia e consiste
nella somministrazione di fattori che entrano nella composizione della sostanza
fondamentale (mucopolisaccaridi, acido condroitinsolforico, aminoacidi ecc.) e di
sostanze ad azione antiflogistica (aspirina, cortisone, FANS), che diminuiscono la
flogosi dei tessuti sinoviali, consentendo una più efficace mobilizzazione
dell’articolazione. Anche l’applicazione di calore locale (da evitare se la flogosi è
acuta, ovvero in presenza di artrite) trova indicazione come analgesico, così come
la terapia termale.
Traumi da frattura
Spesso l’esito di traumi a carico delle articolazioni è rappresentato da fratture, che
devono essere prontamente e adeguatamente trattate per permettere un ripristino
del movimento, cui l’articolazione è deputata. Pertanto il loro trattamento deve
mirare a:
• ottenere una ricostruzione il più perfetta possibile della superficie articolare;
• permettere una mobilizzazione più precoce possibile dell’articolazione, al fine di
ottenere un valido recupero funzionale.
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Il segmento articolare sottoposto a trauma è rivestito di cartilagine, sprovvisto di
periostio e bagnato dal liquido sinoviale; la mancanza del periostio impedisce una
corretta formazione del callo osseo con conseguente difficoltà dei processi
riparativi, peggiorata anche dalla presenza del liquido sinoviale nel focolaio di
frattura, che ostacola la formazione dell’ematoma, anch’esso indispensabile alla
formazione del callo.
La sintomatologia è caratterizzata da impotenza funzionale, dolore, gonfiore,
presenza di ematoma e deformazione dell’articolazione per alterati rapporti dei capi
articolari.
Molto spesso la riduzione delle fratture articolari avviene tramite l’applicazione di un
peso all’arto, che agisce in senso gravitario, consentendo il ripristino dei normali
rapporti articolari. Una riduzione cruenta e/o un intervento di osteosintesi si
rendono necessari solo in caso di fratture scomposte, mentre nel caso di fratture
vertebrali non è prevista l’ingessatura, ma è necessaria l’immobilizzazione a letto
per un congruo periodo di tempo.
Di assai rilevante importanza è l’intervento riabilitativo, per consentire un recupero
totale della mobilità articolare.
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Lussazioni
La lussazione è caratterizzata dalla fuoriuscita permanente di un capo articolare
dalla sua sede, favorita dalla rottura della capsula articolare. Nelle lussazioni
traumatiche ciò è dovuto alla violenza del trauma, che spinge il capo articolare fuori
dalla sua sede, con rottura della capsula articolare.
Si parla di lussazione pura quando vi è solo lo spostamento del capo articolare, e
di lussazione associata a frattura quando il capo articolare, nella sua corsa fuori
dall’articolazione, provoca anche la frattura di un osso o di una sua parte (per
esempio, quando la testa del femore, nel lussarsi, rompe il ciglio dell’acetabolo).
Le lussazioni traumatiche, associate a rottura della capsula articolare, sono sempre
extracapsulari, differendo dalle intracapsulari, il cui capo articolare, seppur
lussato, rimane all’interno dell’articolazione, come avviene per esempio nella
lussazione congenita dell’anca.
La lussazione può recidivare se si verifica una incompleta o mancata cicatrizzazione
della breccia capsulare; in quest’ultimo caso si ha una retrazione dei tessuti
capsulari per i processi di cicatrizzazione e il cavo articolare si riempie di coaguli,
che si organizzano in tessuto fibroso, per cui è praticamente impossibile ottenere
una riduzione incruenta della lussazione.
Infine le lussazioni possono essere complete, quando la perdita del contatto con il
cavo articolare è totale, o incomplete.
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Anche le formazioni anatomiche attigue all’articolazione (tendini, vasi e nervi)
possono venire coinvolte dalla lussazione e dare una sintomatologia vascolare o
nervosa di accompagnamento (per esempio, edema, parestesie, disestesie ecc.);
talora le formazioni tendinee possono essere dislocate all’interno dell’articolazione
e rappresentare, per la loro presenza, causa di irriducibilità della lussazione. Il
trattamento delle lussazioni recenti prevede una manovra manuale di trazione
distale dell’arto (articolazione della spalla e dell’anca), dapprima extrarotandolo e
poi intrarotandolo (manovra di Kocher), oppure abducendolo e nello stesso tempo
operando un’energica pressione sul segmento osseo interessato (manovra di
Mothes), che permette di ridurre la lussazione in modo abbastanza agevole. È
ovviamente necessario che vi sia un completo rilasciamento muscolare, che
generalmente si ottiene in narcosi generale. L’avvenuta riduzione viene
confermata da un netto rumore di scatto, dovuto al rientro del segmento osseo nel
cavo articolare. Dopo l’avvenuta riduzione, è sufficiente immobilizzare la parte per
10-15 giorni con una fasciatura.
Lesioni legamentose, meniscali e tendinee
Questi tipi di lesione sono solitamente secondari e/o associati a traumi e ne
costituiscono spesso un’ulteriore complicanza; il loro trattamento è sempre
chirurgico. Per una trattazione approfondita di questo argomento si rimanda ai
testi specialistici di Ortopedia.
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