CLONAGGIO DEL DNA
E SUE PRINCIPALI
APPLICAZIONI IN
AMBITO BIOMEDICO
Montemurro Luca
Clonare il materiale genetico
Il materiale genetico (sia esso DNA genomico o cDNA) è composto da molte parti
(sequenze) che prendono parte al funzionamento della cellula sia coinvolte nell’espressione
di geni in proteine sia sconosciute.
Per studiare al meglio queste sequenze è necessario isolarle ed aumentarne selettivamente la
quantità. Ciò può essere fatto tramite il clonaggio del materiale genetico. Per clonaggio (non
clonazione) si intende la generazione di costrutti tramite il legame di sequenze di interesse
con altre in grado di replicarsi in modo indipendente.
Il processo del clonaggio è composto da 4 fasi:
1.
2.
3.
4.
Costruzione di molecole ricombinanti
Trasformazione
Propagazione selettiva dei cloni
Isolamento dei cloni contenenti il DNA ricombinante voluto
Enzimi di restrizione
Le biotecnologie ricombinanti sono in grado di analizzare e manipolare il materiale genetico
essenzialmente utilizzando una serie di specifiche attività enzimatiche con le quali si possono
“tagliare” e “cucire” il DNA
Tra gli strumenti più utili a nostra disposizione si annoverano gli enzimi di restrizione,
enzimi capaci di riconoscere sul DNA brevi sequenze bersaglio, di solito palindromiche
tagliandole in posizioni specifiche. Una palindrome è una parola che si legge allo stesso
modo sia da destra che da sinistra, per es. la parola radar oppure ala. Un sito di
riconoscimento palindromico è una sequenza in cui il filamento superiore e inferiore, letti in
direzione 5'-3', sono uguali. Per es. la sequenza:
5'-GAATTC3‘
3'-CTTAAGEsistono tre classi di enzimi di restrizione:
Gli enzimi di tipo I e III portano le attività di
restrizione e di metilazione nella5'
stessa molecola e non sono utilizzati in biologia
molecolare a causa della loro aspecificità di taglio. Gli enzimi di classe II, invece, portano
le due attività su molecole distinte e sono caratterizzati da una elevata specificità di taglio.
Centinaia di endonucleasi di tipo II sono correntemente utilizzate e commercializzate
o mordo tua nuora o aro un autodromo
Gli enzimi di restrizione furono scoperti intorno agli anni ‘50 e devono il loro nome al
fenomeno della restrizione-modificazione controllata dalla cellula ospite. Si notò che talvolta
l’introduzione in E.coli di DNA esogeno, proveniente da un diverso ceppo di E.coli, risultava
nella sua rapida frammentazione in piccoli frammenti (restrizione). L’analisi di un DNA virale
rivelatosi capace di resistere alla degradazione, rivelò, una decina di anni più tardi, la presenza
di alcune basi metilate. Si scoprì, quindi, l’esistenza in E.coli di sistemi di
restrizione/modificazione capaci di metilare specifiche basi e, contemporaneamente, di
tagliare le stesse basi quando non metilate (Fig.1 e 2). Con questo sistema E.coli è capace di
degradare DNA esogeno tagliandolo in specifici siti di riconoscimento. Gli stessi siti presenti
sul DNA endogeno, tuttavia, non sono tagliati perché preventivamente metilati dal sistema di
restrizione-metilazione
1
2
Nomenclatura
La nomenclatura degli enzimi di restrizione si basa sul genere e sulla specie del batterio
dal quale è stato isolato l’enzima di restrizione: per es. BamHI deriva da Bacillus
amylofaciens, EcoRI da Escherichia coli, HindIII da Haemophilus influentiae etc.
Specificità sito-specifica e frequenza di taglio
La straordinaria importanza degli enzimi restrizione risiede nella loro specificità. Ogni
particolare enzima di restrizione, infatti, riconosce una sequenza specifica di basi all’interno
di una catena polinucleotidica. La maggior parte degli enzimi più comuni riconoscono da 4 a
6 basi. Il numero di basi riconosciute è di importanza pratica perché determina la frequenza
media di taglio e la dimensione media dei frammenti generati. E’ ovvio che un enzima che
riconosce una sequenza di 4 basi taglierà più frequentemente di uno che ne riconosce 6.
Più in dettaglio, consideriamo, per esempio, l’enzima AluI che riconosce la sequenza di 4
basi AGCT. Assumendo che la distribuzione delle 4 basi che compongono il DNA sia
casuale, avremo che in ogni posizione del DNA ci sarà 1 probabilità su 4 di trovare una A.
Analogamente nella posizione seguente avremo 1 probabilità su 4 (0.25) di trovare una G,
mentre la probabilità di trovare in sequenza A e G sarà uguale al prodotto delle probabilità
1/4 x 1/4, ovvero 1/42= 1/16.
Nel caso di un enzima che riconosca 4 basi, quindi, la frequenza uguale sarà a 1/44 = 1/256
basi, mentre nel caso di un enzima che riconosca 6 basi sarà 1/4 6 = 1/4096. In altre parole
un enzima con una sequenza di riconoscimento di 4 basi, come ad es. AluI taglierà, in media
una volta ogni 256 bp , mentre un’enzima come EcoRI una volta ogni 4096 bp. In generale la
frequenza di taglio è sempre uguale a 1/4 n , dove n = al numero di nucleotidi del sito di
riconoscimento.
L‘utilizzo degli enzimi di restrizione é molto semplice. La maggior parte di essi funziona
in semplici tamponi tra pH 7 e 8, generalmenta a 37°C. Le condizioni di utilizzo sono
comunque sempre specificate dai fornitori.
Per definizione una unità di un enzima di restrizione è la quantità di enzima richiesta per
digerire completatamente 1 µg di DNA substrato in un’ora.
Tutti gli enzimi, in condizioni non ottimali, danno il cosiddetto "effetto star", che consiste
nella capacità dell'enzima di "confondersi" riconoscendo e tagliando sequenze simili, ma non
identiche a quella target.
Per evitare l'effetto star è opportuno attenersi alle condizioni specificate dai fornitori, con
particolare riferimento al glicerolo e alla quantità di enzima, che non devono essere mai in
eccesso.
Sebbene esistano enzimi di restrizione con siti di riconoscimento degenerati (per es. BsiEI
riconosce la sequenza 5'-CGPuPyCG-3' dove Pu e Py rappresentano "qualunque purina" e
"qualunque pirimidina“), la maggior parte degli enzimi di restrizione utilizzati nell'ingegneria
genetica riconoscono sequenze specifiche che tagliano in tre modi diversi:
•Generando estremità piatte (blunt)
Es. SmaI

5'-CCCGGG-3'
3'-GGGCCC-5'

5'-CCC-3'
3'-GGG-5'
5'-GGG-3'
3'-CCC-5'
•Generando estremità coesive (sticky) sporgenti al 5' (5' protuding)
Es. EcoRI

5'-G-3'
5'-GAATTC-3'
3'-CTTAA-5'
3'-CTTAAG-5'

•Generando estremità coesive (sticky) sporgenti al 3' (3' protuding)
Es. PstI

5'-CTGCAG-3'
3'-GACGTC-5'

5'-CTGCA-3'
3'-G-5'
5'-AATTC-3'
3'-G-5'
5'-G-3'
3'-ACGTC-5'
Estrazione di frammenti di DNA da gel
Dopo aver digerito un DNA con enzimi di restrizione ed averne separato i frammenti
risultanti su gel di agarosio, il passo seguente di solito consiste nell’excidere dal gel, con
un bisturi, specifiche bande corrispondenti a geni o porzioni di DNA di nostro interesse e
purificarle da gel.
Esistono molti sistemi per purificare bande da gel, tra cui:
•
•
•
•
•
•
elettroeluizione
colonne a scambio ionico
gel-filtration
ultrafiltrazioni
agarosio a basso punto di fusione
ecc. ecc.
Ligazione
Dopo aver tagliato (e isolato) specifici frammenti
di DNA, il passo successivo di un clonaggio
consiste nel “cucirli” tra loro in modo covalente.
Nella maggior parte dei casi questo compito è
affidato alle ligasi, enzimi che catalizzano la
formazione di legami fosfodiesterici tra estremità
3'-OH e 5'-P di molecole di DNA adiacenti,
uguali (ligazione intra-molecolare) o diverse
(ligazione inter-molecolare). Catalizzano, inoltre
la chiusura di interruzioni a singolo filamento
(nicks) in molecole di DNA a doppio filamento.
Il ruolo naturale della ligasi consiste nella riparazione dei
nicks a singolo filamento di DNA danneggiati o nella
giunzione dei frammenti di Okazaki durante la duplicazione del DNA. L’appaiamento labile di due frammenti di
restrizione con estremità coesive, dunque, è simile alla
giunzione di due nicks, molto vicini, situati su filamenti
opposti.
La DNA ligasi più utilizzata è quella codificata dal batteriofago T4, un enzima, ATPdipendente, ottenuto da cellule di E. coli infettate dal fago T4. Seppur a minor efficienza la
T4 DNA ligasi è capace di ligare tra loro anche estremità piatte.
Questo enzima richiede ATP come substrato. Nel primo passaggio della reazione la ligasi
reagisce con l’ATP per formare un complesso covalente ligasi-AMP, il quale, a sua volta,
reagisce con il fosfato al 5' su un lato del nick, trasferendo l’AMP al gruppo fosfato. Il
passaggio finale è l’attacco ad opera del gruppo 3'-OH che ripristina l’integrità dello
scheletro zucchero-fosfato
Le estremità “coesive”, che contengono cioè corti filamenti a singolo filamento
complementari tra loro, che vengono generate da molti enzimi di restrizione, facilitano il
compito della ligasi, perché le estremità tendono ad appaiarsi tra loro. In queste condizioni
le ligazioni si effettuano generalmente tra 4 e 37°C, per un tempo variabile tra 1 e 24 ore.
Se, invece, bisogna ligare estremità “blunt”, la ligazione è più difficile e si effettua a bassa
temperatura e a più elevata concentrazione di enzima e di frammenti da ligare per favorire
l’incontro delle molecole da ligare.
Ottimizzazione della ligazione
Per ottenere buoni risultati la ligazione deve essere accuratamente ottimizzata
rispetto alla:
• temperatura e al tempo di reazione
• alla concentrazione totale del DNA
• alla concentrazione dell’inserto e del vettore.
Riguardo alla temperatura bisogna considerare che si contrappongono due aspetti opposti:
la stabilizzazione dell’appaiamento tra estremità coesive, ottimale a basse temperature, e
l’attività enzimatica della ligasi, massima a 37°C. Come compromesso si utilizza spesso
una temp. di 16°C per 12 ore.
Per quanto riguarda la concentrazione è importante sia quella del DNA totale T, che
quella dell’inserto I e del vettore V. In linea di massima, basse concentrazioni di DNA
favoriscono le reazioni di primo ordine come la ricircolarizzazione del vettore, la cui
velocità è linearmente proporzionale alla sua concentrazione. D’altra parte aumentare la
concentrazione totale incrementando la concentrazione di vettore, peggiora la situazione,
ma aumentare la concentrazione dell’inserto aumenta la probabilità di avere di avere
inserti circolarizzati o vettori con inserti multipli
In pratica il problema si supera utilizzando T  10-20 ng/µl e rapporti molari I/V da 3:1
a 1:3 in reazioni di 10-20 µl.
E’ importante ricordare si devono utilizzare i rapporti molari. E’ pratica comune considerare
uguale il PM di molecole di DNA diverse, deducendo il numero di moli dal rapporto:
peso in g (o sottomultipli) del DNA
Kb del DNA
Esempio di calcolo: Vogliamo ligare 50 ng di un vettore di 10 Kb con un inserto di 1 Kb, in
due separate reazioni, utilizzando rapporti molari I/V 1:1 e 3:1, rispettivamente.
1^ ligazione:
2^ ligazione
1I : 1V = x/1: 50/10; 1:1 = x: 5; x= 5 ng
3I : 1V = x/1: 50/10; 3:1 = x: 5; x= 15 ng
Più semplicemente si calcola il rapporto tra i PM di inserto e vettore, eventualmente
moltiplicato per il numero di moli, e lo si moltiplica per i ng di vettore.
Per la 2^ ligazione:
I/V = 1/10 = 0,1; 50  0,1 = 5 ;
5  3 = 15
Fosfatasi alcalina
In molti casi, pur ottimizzando la reazione di ligazione, non si riesce ad evitare una
elevata frequenza di ricircolarizzazione del vettore, come, ad esempio, quando il vettore
e l’inserto sono tagliati con lo stesso enzima di restrizione.
P-5'AATTC
HO-3'
vettore
inserto
P-5'AATTC
HO-3'
3'OH
TTAAG -5'P
vettore
3'OH
TTAAG -5'P
Una strategia per superare questo problema consiste nell’utilizzo di una fosfatasi, come
ad esempio la fosfatasi alcalina (CIP), un enzima che rimuove il gruppo fosfato al 5'
impedendo così l’azione della ligasi. La defosforilazione del vettore con una fosfatasi
impedisce la ricircolarizzazione del vettore, abbassando sensibilmente il background.
Poiché il vettore defosforilato non può essere ligato, inoltre, è possibile utilizzare un
eccesso molare di vettore, minimizzando la possibilità di avere inserzioni multiple. In
alcuni casi, per esempio nella costruzione di una libreria genomica in lambda, è più
conveniente defosforilare l’inserto (in questo caso una popolazione di inserti)
P-5'AATTC
HO-3'
vettore
3'OH
fosfatasi
HO- AATTC
HO-3'
TTAAG -5'P
vettore
3'OH
TTAAG -OH
Sebbene un vettore defosforilato non possa essere circolarizzato dalla ligasi, può essere
ligato ad un inserto sfruttandone il suo fosfato al 5'. L’assenza di fosfati al 5' del vettore
produrrà due nicks, uno per filamento. Queste interruzioni a singolo filamento, tuttavia
non influenzeranno negativamente la stabilità del costrutto (vettore + inserto) e saranno
riparate dai sistemi di riparo di E.coli subito dopo la trasformazione.
P-5'AATTC
HO-3'
vettore
HO- AATTC
HO-3'
3'OH
TTAAG -5'P
inserto
vettore
3'OH
TTAAG -OH
-OH
-OH
+ ligasi
vettore
inserto
vettore
-OH
-OH
Filling in
Nel corso dei clonaggi può capitare di dover trasformare estremità coesive sporgenti al 5' o
al 3‘ in estremità piatte, sintetizzando le basi mancanti nel filamento incompleto al 5'
(filling in), oppure eliminando quelle sporgenti al 3' (trimming)
Esempio 1: estremità “sticky” 5' protuding (es.EcoRI)
In questo caso la tecnica d’elezione consiste nel cosiddetto “ filling in” che consiste nel
“riempire” una estremità sporgente al 5' con la Klenow
5'P
3'OH
G 3'OH
C AATTC
dTTP
dATP
dGTP
5'P
5'P
3'OH
G TTAAG
C AATTC
3'OH
5'P
Linker e adapter
Sebbene sia sempre possibile trasformare estremità coesive in estremità piatte per
sfruttarne la versatilità che ne permette la ligazione con estremità piatte generate con
molte enzimi diversi, va considerato che le ligazioni “blunt” sono comunque più
difficili da ottenere. Un alternativa consiste nell’utilizzo di linkers o adapters.
I linkers sono corti oligonucleotidi sintetici autocomplementari che contengono, al loro
interno, un sito di restrizione. Per esempio la sequenza:
5'-CCGGATCCGG-3'
Che contiene al suo interno il sito di riconoscimento per BamHI. In presenza di un
frammento “blunt” e di ligasi avremo:
Frammento SmaI
+
5'-CCGGATCCGG-3'
CCGGATCCGG-3'
Frammento SmaI GGCCTAGGCC-5'
Trattando, quindi, con BamHI avremo trasformato un’estremità blunt (SmaI) in una
sticky (BamHI).
CCGGATCCGG-3'
Frammento SmaI GGCCTAGGCC-5'
+ BamHI
CCG-3'
Frammento SmaI GGCCTAG-5'
Nonostante l’aggiunta di un linker implichi una ligazione blunt end, utilizzando elevate
concentrazioni molari di linker, si migliora notevolmente l’efficienza di ligazione.
Gli eventuali multimeri di linker che si potrebbero così creare, saranno facilmente rimossi
con la successiva digestione con l’enzima di restrizione.
Gli adapters sono coppie di brevi oligonucleotidi sintetici parzialmente complementari
progettati per appaiarsi tra loro creando un frammento a doppia elica con estremità
coesive differenti.
Per esempio la coppia:
5'-GATCCCCGGG-3'
Estremita coesive
BamHI
Frammento SmaI CCG-3'
GGCCTAG-5'
5'-AATTCCCGGG-3'
annealing
Estremita coesive
EcoRI
5'-GATCCCCGGG-3'
3'GGGCCCTTAA-5'
ligazione
Estremita coesive
EcoRI
Frammento SmaI CCGGATCCCCGGG-3'
GGCCTAGGGGCCCTTAA-5'
Omopolimeric tailing
Un ulteriore strategia per aggiungere estremità coesive a molecole di DNA consiste
nell’utilizzare la terminal deossinucleotide transferasi, più comunemente noto come
terminal transferasi.
Questo enzima catalizza l’aggiunta, stampo indipendente, di nucleotidi trifosfati all’OH
in posizione 3'.
Quando incubato in presenza di un singolo deossiribonucleotide trifosfato, per es: il
dCTP, questo enzima catalizza l’aggiunta di una coda omopolimerica di questo
deossiribonucleotide alla estremità 3' terminale.
5'-P
HO-3'
5'-P
3'OH
5'-P
HO-3'CCCCCCCC
Terminal transferasi + dCTP
CCCCCC3'OH
5'-P
Sottoponendo il vettore e l’inserto a trattamento con terminal transferasi con due
deossiribonucleotidi diversi le due molecole diventano complementari tra loro e possono
essere ligate.
vettore
inserto
Terminal transferasi
+ dGTP
5'-P
HO-3'GGGGGG
vettore
Terminal transferasi
+ dCTP
GGGGGG3'OH
5'-P
5'-P
HO-3'CCCCCCCC
inserto
CCCCCC3'OH
5'-P
T/A cloning di prodotti di PCR
La maggior parte delle polimerasi termostabili utilizzate nella PCR, possiedono una
debole attività di tipo terminal trasferasico e aggiungono un residuo di adenosina alla
estremità 3' dei propri prodotti di amplificazione
5'-P
HO-3 A
Sebbene questa caratteristica ostacoli il
clonaggio dei prodotti di amplificazione, è
stata vantaggiosamente sfruttata in una serie
di vettori commerciali, i cosiddetti vettori
T/A, che vengono forniti già linearizzati e che
possiedono un residuo di timidina alle loro
estremità 3'. I residui 3' terminali di T del
vettore si appaiano con le A dei prodotti di
amplificazione rendendo così possibile il
clonaggio dei prodotti di PCR.
A-3'OH
5'-P
Per clonare un gene dobbiamo inserirlo in un vettore
di clonaggio ed introdurre il costrutto risultante in un
ospite capace di replicarlo
Isolamento di un
gene
Trasformazione di cellule procariotiche ed
eucariotiche
Un aspetto importante di tutte le tecniche di ingegneria genetica è rappresentato dalla
introduzione del DNA ricombinante in una cellula ospite capace di replicarlo.
La capacità di trasferire geni da un organismo ad un altro è alla base di tutte le tecniche di
ingegneria genetica. L’efficienza di questo passaggio è cruciale per garantire il successo
di qualunque clonaggio
Svariate strategie di trasferimento genico sono state evolute in diversi organismi e sono
rimaste le tracce di antichi trasferimenti genici. I batteri, per esempio, sono in grado di
trasferire materiale genetico da batterio a batterio, mediante coniugazione; i virus
infettando cellule suscettibili di vari organismi; i batteri del suolo del genere
Agrobacterium riescono a trasferire e integrare stabilmente in cellule vegetali porzioni del
loro genoma.
Recenti progressi nelle tecniche di trasferimento genico permettono oggi di trasferire ad
alta efficenza, e in modo controllato materiale genico in altri organismi.
L’introduzione di materiale genetico eterologo, cioè proveniente da un altro organismo,
in una cellula viene generalmente definita trasformazione. Bisogna tener conto,
tuttavia, che il termine “trasformazione” è piuttosto generico, indicando, per esempio
anche la trasformazione di cellule normali in cellule tumorali.
Generalmente per “trasformazione” s’intende il trasferimento di DNA in cellule
batteriche, mentre per “trasfezione” il trasferimento genico mediato da batteriofagi o
virus.
Per le cellule animali il termine “trasformazione” indica il passaggio da cellula normale a
cellula tumorale, mentre l’introduzione di DNA eterologo nella cellula si definisce
“trasformazione mediata da DNA” o, più frequentemente “trasfezione”.
Tipi di trasferimento genico
DNA
DNA
plasmidico
Elettroporazione
CaCl2
Coniugazione
Trasformazione
virus
Trasfezione
PEG
Elettroporazione
DEAE-destrano
Cellula animale Ca3(PO4)2
Cellula batterica
Elettroporazione
cannoncino balistico
Agrobacterium
protoplasto
Elettroporazione
Cellula vegetale
fusione di protoplasti
Protocollo di trasformazione con cellule
calcio-competenti
A. CaCl2 method (fresh cells)
1. Dil ute overnight LB culture 1:1000 into 100 ml of fr esh LB broth a t 37° C
2.Coll ect cells at O.D. A600 =0.4-0.5 (It may vary d epend ing on the strains) and
sedim ent at 4.000 x g (=5000 rpm with A4 rotor * ) for 5’ at 4°C
3. Wash cells in about ha lf the volume ( 50 ml ) of cold 0.1 M CaCl2
4. . Sediment cells at 3.0000 xg for 5’ and resuspend very g ently in about 1/4 the
volume
( 25 ml ) of cold 0.1 M CaCl2
5. Sedim ent cell s at 3.0000 xg for 5’ and resuspend very g ently in
4 ml ) of cold 0.1 M CaCl2. Stand on ice for at least 30’.
6. Add DNA in a volume as little as possible (up to 0.1 ml ) to a 200 µl aliquot of
competent
cells and incub ate on ice fr om 1 hour to all day
7. Heat sho ck for 90’’ at 42°C. (impo rtant!)
8. Add 0,8 ml of LB without drug s and incuba te wit hout shak ing for 1 hour
9. Plate on selective media by spreading.
Tavola riassuntiva dei principali metodi di
trasferimento genico
Batteri
• Elettroporazione
• trasformazione chimica con CaCl2
• coniugazione batterica
Protoplasti
• Elettroporazione
• fusione di protoplasti
Piante
• elettroporazione
• trasferimento mediato da Agrobacterium
• cannoncino balistico
• fusione di protoplasti
Lieviti
• PEG
• Elettroporazione
• DEAE-destrano
Cellule animali
• PEG
• Elettroporazione
• DEAE-destrano
• Ca3(PO4)2
Vettori di clonaggio (1)
Gran parte degli straordinari progressi ottenuti dalla biotecnologia e dalla biologia
molecolare, dipendono dall'acquisizione della capacità di amplificare e propagare
indefinitivamente i geni.
Clonare un gene significa isolarlo da un genoma ed inserirlo in un vettore capace di
replicarsi in un certo ospite (di solito E.coli o lievito).
Esistono diversi tipi di vettori di clonaggio, ciascuno con vantaggi e svantaggi.
La principale considerazione da fare é relativa alle dimensioni dell'inserto di DNA che ogni
vettore può accettare.
PLASMIDI
da 0,1 a 10 Kb
FAGI
da 8 a 22 kb
COSMIDI
da 32 a 45 kb
BAC
da 75 a 300 kb
YAC
da 100 a 2000 kb
Vettori di clonaggio (2)
Dai plasmidi batterici naturali sono derivati i vettori di clonaggio, le cui caratteristiche
essenziali sono
• Origine di
replicazione
• Marcatore selezionabile
• Siti
di restrizione unici
PLASMIDI
I plasmidi sono degli elementi genetici extracromosomali che si replicano
autonomamente. Variano da 1 a 200 kb e sono molto diffusi tra i procarioti. Esempi di
plasmidi batterici naturali sono i plasmidi ColE1 di E.coli, i plasmidi Sym di rhizobium, I
plasmidi Ti o Ri di Agrobacterium.
I plasmidi possono essere lineari o integrati nel cromosoma batterico ma, nella maggior
parte dei casi, sono molecole di DNA circolari (episomi)
Nell'ospite batterico i plasmidi si presentano come molecole circolari superavvolte, che,
durante le manipolazioni sperimentali, possono rilassarsi o linearizzarsi in seguito a
rotture a singolo o a doppio filamento. In un gel di agarosio e bromuro di etidio le tre
forme migrano a velocità diverse e possono essere distinte.
nick
Plasmide superavvolto
(supercoiled)
Plasmide circolare
rilassato
Plasmide linearizzato
Plasmide:
forma rilassata
forma lineare
forma superavvolata
forma linerizzata (tagliata con un
enzima di restrizione in un sito unico)
Replicazione plasmidica
La caratteristica più importante dei plasmidi, quella di essere dei “repliconi”, cioè
molecole capaci di replicazione autonoma, è conferita loro dalla presenza di una
origine di replicazione, chiamata ori (nel caso dei plasmidi oriV, per “ori vector”)
I plasmidi si replicano per replicazione  (uni o bi-direzionale) o per circolo rotante
Richiedono proteine plasmidiche e/o dell’ospite batterico
Funzioni dell’origine di replicazione
Oltre ad essere essenziale per la replicazione, l’origine di replicazione controlla:
• Il numero di copie
• La specificità d’ospite
• I gruppi di incompatibilità
Numero di copie e modalità di replicazione
I plasmidi si replicano con due modalità diverse. Alcuni, generalmente quelli di grandi
dimensioni, si replicano in maniera coordinata con la replicazione del cromosoma batterico
e si di dicono sottoposti a controllo stringente. In genere sono presenti in una o poche copie
per batterio.
Altri, in genere di piccole dimensioni, si replicano in maniera indipendente dalla
replicazione batterica e si dicono sottoposti a controllo rilassato. Sono presenti in molte
copie - fino a 1000 - per batterio.
Plasmidi
ori
numero di copie
pBR322 e derivati
PMB1
15-20
pUC e derivati
ColE1
500-700
pACYC e derivati
p15A
10-12
pSC101 e derivati
pSC10
1 -5
Controllo del numero di copie
I plasmidi possono controllare il numero di copie regolando l’inizio della replicazione
plasmidica
L’inizio della replicazione può essere controllata regolando:
• La disponibilità del primer necessario a innescare la replicazione del DNA plasmidico
• La disponibilità di proteine essenziali alla replicazione
• La funzionalità di proteine essenziali alla replicazione
Rnasi H
RNA II
ori
rop
RNA I
La replicazione plasmidica inizia dalla ori ed è innescata da un primer a RNA (RNA II),
trascritto da un promotore situato 550 bp a monte della ori. Gli ibridi DNA:RNA formati dal
filamento di DNA e dall’RNA II nascente, costituiscono un substrato per la Rnasi H che
taglia l’ibrido e fornisce l’OH al 3' per la replicazione del DNA.
La maturazione dell’RNA II è controllata dall’RNA I, trascritto sul filamento opposto della
stessa regione di DNA e, quindi, complementare all’RNA II. L’appaiamente tra l’RNA II e
l’RNA I compete con l’appaiamento tra l’RNA II e il filamento stampo, riducendo la
frequenza di inizio della replicazione. Il prodotto d’espressione del gene rop, inoltre,
stabilizza il complesso RNA I:RNA II, riducendo ulteriormente la frequenza di inizio.
Rnasi H
RNA II
ori
rop
RNA I
Il numero di copie dei plasmidi, quindi, è diminuito da mutazioni che destabilizzano il
legame tra il filamento stampo e l’RNA II o da mutazioni che stabilizzano il complesso RNA
I : RNA II e, all’inverso è diminuito da mutazioni che stabilizzano il legame RNA I:RNA II e
aumentato da mutazioni che destabilizzano il legame tta il filamento stampo e l’RNA II.
Analogamente mutazioni che aumentano la disponibilità della proteina Rop o dell’RNA I o
che diminuiscono l’abbondanza di RNA II diminuiscono il numero di copie, mentre
mutazioni che aumentano l’abbondanza di RNA II e diminuiscono quella di RNA I e/o Rop,
aumentano il numero di copie.
Marcatori selezionabili
I plasmidi naturali a volte codificano per uno o pochi geni non essenziali capaci di
conferire loro un vantaggio selettivo in alcune situazioni. Per esempio possono codificare
per la tossine batteriche o per geni di resistenza agli antibiotici. In alcuni casi, tuttavia,
nessun vantaggio competitivo sembra essere associato alla presenza di geni di resistenza.
Tutti i vettori di clonaggio includono almeno un marcatore selezionabile.
Hanno lo scopo essenziale di distinguere e selezionare le molecole ricombinanti. Inoltre,
sotto un'appropriata pressione selettiva, stabilizzano il plasmide
I marcatori selezionabili più utilizzati nei batteri sono i geni di resistenza agli antibiotici.
Per esempio il gene per la beta-lattamasi codifica per un enzima capace di idrolizzare
l'anello lattamico degli antibiotici di tipo penicillinico (es. l'ampicillina). I batteri che
contengono un plasmide con questo gene quindi (simboleggiato con Amp o Ap) possono
crescere in terreni di coltura che contengono l'ampicillina.
Siti di restrizione unici
Per effettuare un clonaggio molecolare è necessario avere sempre almeno un sito di
riconoscimento per una endonucleasi di restrizione.
Il sito di riconoscimento per una endonucleasi di restrizione deve essere presente nel
vettore una volta sola per non distruggere l'integrità fisica del plasmide e non deve essere
presente in regioni cis essenziali (es. ori o promotori) o in geni che codificano per funzioni
essenziali (es. geni di resistenza).
La tendenza è stata quella di raggruppare (anche sovrapponendole) sequenze uniche
riconosciute da enzimi di restrizione in una zona particolare del plasmide chiamata appunto
Multiple Cloning Site (MCS) o anche polylinker.
Questa regione è di solita ingegnerizzata in modo tale da essere compresa, ad esempio tra
un promotore e un sito terminatore
Evoluzione dei vettori di clonaggio (1)
Da questi vettori di clonaggio sono derivati decine di nuovi altri vettori. La tendenza é
quella di creare vettori più piccoli e funzionali. Ci sono numerosi vantaggi, infatti, a
ridurre la dimensione di un plasmide
1) E' più maneggevole: per esempio é più difficile danneggiarlo o introdurvi interruzioni a singola
elica durante le manipolazioni sperimentali.
2) E' più facile estrarlo: i principali metodi di separazione dei plasmidi dal cromosoma batterico si
basano sulla denaturazione degli acidi nucleici (per es. mediante calore o basi diluite) e sulla loro
successiva rinaturazione. Mentre i plasmidi, di piccole dimensioni, rinaturano rapidamente il grosso
cromosoma batterico non riesce a rinaturare velocemente e viene selettivamente eliminato.
La velocità di rinaturazione plasmidica é inversamente proporzionale alla dimensione. Quanto più
piccoli sono, quindi, tanto più facile é il loro isolamento.
3) E' più facile introdurlo dentro un batterio: i metodi di "trasformazione" sono essenziali nella
tecnologia del DNA ricombinante: esistono varie tecniche, come la trasformazione con CaCl2 o
l'elettroporazione, ma in tutti i casi l'efficienza di trasformazione é inversamente proporzonale alla
dimensione plasmidica.
Evoluzione dei vettori di clonaggio (2)
Un'ulteriore tendenza è quella di sostituire i siti di restrizione unici con Multi cloning sites
sempre più completi. Questa caratteristica (in genere) facilita il lavoro di clonaggio
permettendo di utilizzare l'enzima di restrizione più conveniente.
Questo problema è particolarmente sentito quando si devono clonare inserti di grosse
dimensioni in cui possono essere presenti numerosi siti di restrizione. Numerosi altri
vettori più o meno "specializzati" sono reperibili per gli utilizzi più disparati: "trascrizione
in vitro, inserzioni di trasposoni, selezione di mutazioni, clonaggio di frammenti
amplificati con PCR, vettori "shuttle" che contengono più origini di replicazione ecc.
Il problema della selezione
vettori plasmidici
Qualunque tipo di clonaggio molecolare implica la ligazione di un inserto con un vettore e
l'introduzione di questo costrutto in un ospite, generalmente, batterico. Questa
trasformazione produce tre tipi di batteri, che bisogna riuscire a discriminare, nel modo più
rapido e semplice possibile.
• batteri vuoti
• batteri contenenti il solo vettore
• batteri contenenti il vettore ligato all'inserto
L'uso di marcatori selezionabili, per esempio resistenze ad antibiotici, permette facilmente di
distinguere batteri vuoti - sensibili all'antibiotico - da batteri contenti il vettore, con o senza
l'inserto, - resistenti all'antibiotico.
Ma non é ovvio come selezionare i cloni positivi per l'inserto e il vettore da quelli contenenti
solo il vettore. Per farlo si può ricorrere a metodi generali e laboriosi come l'ibridazione su
colonia (colony hybridisation) o un'analisi per digestione con enzimi di restrizione (se i cloni
trasformanti sono pochi).
Molti vettori di clonaggio moderni sono costruiti per facilitare lo screening dei cloni
ricombinanti.
Selezione per inattivazione inserzionale
pBR322 é un esempio tipico di vettore di clonaggio. Costruito nel 1977 da Bolivar e Rodriguez é
stato per molti anni uno dei vettori più utilizzati nei laboratori di ricerca. E' un vettore di piccole
dimensioni, presente in circa 20 copie per cellula batterica, con un certo numero di siti unici per
enzimi di restrizione. La sua caratteristica più saliente consiste nell'avere due geni di resistenza,
uno all'ampicillina e uno alla tetraciclina. Sfruttando i siti di restrizione all'interno di uno dei geni
resistenza é possibile clonare un inserto al suo interno e identificare i cloni positivi selezionandoli
per la perdita della resistenza corrispondente.
BamHI
(4363 bp)
Immaginiamo, per esempio di voler clonare un inserto in pBR322 all'interno del gene tetr
(resistenza alla tetraciclina) utilizzando il sito BamHI.
Per prima cosa si digerisce il vettore e l'inserto con l'enzima di restrizione BamHI.
Trasformiamo, quindi, la mix di ligazione (per esempio con cloruro di calcio) in un batterio
senza plasmidi sensibile sia alla tetraciclina che all' ampicillina (per esempio HB101) e
facciamo crescere i batteri in un terreno di crescita solido in presenza dell'antibiotico
ampicillina.
In queste condizioni si selezioneranno soltanto i batteri contenenti il vettore di clonaggio
ma non distinguiamo i batteri che contengono il vettore vuoto da quelli che contengono il
vettore con l'inserto
La presenza di due geni di resistenza, però ci permette di replicare tutti i batteri
trasformanti su una seconda piastra contenente tetraciclina e distinguere i cloni positivi da
quelli contenenti il solo vettore.
I cloni positivi, infatti, presentano un inserto di DNA inserito nel sito BamHI di pBR322.
Questa inserzione interrompe l'integrità strutturale e funzionale del gene di resistenza
permettendo cosi' di identificare i cloni positivi come Ap+ Tc-
pUC18
Un ulteriore evoluzione dei vettori di clonaggio é rappresentata dalla serie pUC, costruita nel
1982 da J.Messing e collaboratori. E' un plasmide più piccolo, presente nell'ospite batterico in
un alto numero di copie. Rispetto a pBR322 contiene più siti di restrizione utilizzabili (in gran
parte presenti in un unica regione chiamata polylinker o multi cloning site) e specialmente
un’altra forma di selezione per inattivazione inserzionale nota come -complementazione o
selezione bianco-blu.
Selezione Bianco-Blu (-complementazione)
I vettori della serie pUC possono esprimere, sotto il controllo del promotore del lattosio, un
piccolo peptide, corrispondente alla parte N-terminale della beta-galattosidasi (il prodotto
genico di lacZ). Questo peptide é in grado di complementare la funzionalità enzimatica di
beta-galattosidasi mutanti prive della corrispondente parte N-terminale ( lacZ∆M15)
Utilizzando, in terreno solido, un substrato cromogenico come l' X-Gal (5-bromo-4-cloro-3indolil-betagalattoside) l'attività enzimatica viene recuperata e le colonie appaiono colorate di
BLU.
Poiché il polylinker di pUC é situato nel gene che codifica l'alfa peptide, l'inserzione di un
frammento di DNA, ne interrompe l'integrità funzionale e la capacità di dare alfacomplementazione.
I cloni corrispondenti appaiono BIANCHI e segnalano la presenza di un clone positivo.
Un vettore plasmidico evoluto
Limiti della selezione per
-complementazione
Bisogna considerare, tuttavia, che la selezione bianco-blu può talvolta essere ingannevole:
qualche volta cloni bianchi risultano essere negativi, e qualche volta cloni blu possono
essere positivi. Se l’inserto è relativamente piccolo, infatti, e risulta inserito in registro con
lo schema di lettura della ß-galattosidasi o dell’ -peptide, si può formare una proteina di
fusione parzialmente o totalmente attiva. In questo caso, dunque, un clone ricombinante con
un inserto correttamente inserito, manterrà comunque attività ß-galattosidasica e produrrà
colonie blu.
D’altro canto può accadere che colonie bianche risultino in realtà contenere solo vettori
vuoti. E’ sufficiente, infatti, la delezione di anche una sola base per modificare lo schema di
lettura della proteina, facendo perdere completamente l’attività enzimatica.
E’ sempre opportuno, quindi, selezionare un piccolo numero di colonie bianche,
putativamente positive, e sottoporle ad ulteriore analisi con altri metodi, per esempio con
enzimi di restrizione e successiva analisi su gel
Colony hybridization
Nonostante l’esistenza di sistemi di selezione facilitata, come la selezione inserzionale o
l’-complementazione ci sono casi in cui questi ausilii non sono disponibili; per es. in molti
vettori d’espressione, in molti vettori di clonaggio di uso generale, nei rari casi in cui
l’inserto si inserisce in frame e recupera comunque attività -galattosidasica, oppure quando
l’efficenza del clonaggio è molto bassa e ci aspettiamo un clone positivo tra centinaia di
negativi. La colony hybridization o ibridazione su colonia è un potente metodo di screening
basato sulla ibridazione di una sonda, di solito marcata radiattivamente, complementare
all’inserto e in grado quindi di discriminare, in situ, i cloni ricombinanti da quelli contenenti
il solo vettore.
1) ligazione e trasformazione
3) trattamento della membrana:
denaturazione in situ
2) replica della piastra su
filtro di nitrocellulosa
4) Preparazione della sonda
generalmente si purifica
l’inserto clonato e si marca
per Nick translation
5) Ibridazione della sonda
6) Autoradiografia
Colony PCR
2.Si avvia una reazione di PCR per ogni
clone che si vuole analizzare,
risospendendo nella mix di PCR una
parte della colonia. Si utilizza una
coppia di primers specifica per l’inserto
clonato
1.Si piastra, come al solito, una
trasformazione. I cloni trasformanti
possono contenere il solo vettore o il
vettore più l’inserto
M
1
2
3
4
5
-
+
I cloni 1, 2, 3 e 4 contengono l’inserto. Il clone 5 contiene solo il vettore. “-” e “+”
sono controlli negativo e positivo
Strategie di clonaggio
Clonare un gene è un processo complesso che può essere schematizzato in 3 tappe:
• La prima tappa consiste nella scelta del materiale genetico da usarsi per il clonaggio:
bisogna scegliere l’organismo da usare, le condizioni di partenza, per esempio quale
fase di sviluppo, e bisogna decidere se utilizzare il cDNA o DNA genomico
• La seconda tappa consiste nella costruzione di una genoteca o library. Anche questo
aspetto deve essere ben valutato. Una buona library deve essere rappresentativa,
deve poter essere analizzata con un numero relativamente basso di cloni
indipendenti, deve essere stabile e deve contenere cloni parzialmente sovrapposti in
modo da permettere un eventuale chromosome walking.
• La terza tappa, probabilmente la più difficile, consiste nello screening dei cloni
ricombinanti cioè nella ricerca della sequenza di DNA in esame.
Il caso più semplice: la sequenza del
gene è nota
Nel caso più semplice, è a nostra conoscenza la sequenza del
gene. Dopo aver piastrato la library ad alta densità su ogni piastra
si applica un filtro di nitrocellulosa. Dopo aver fatto adsorbire i
fagi al filtro, questo viene rimosso e trattato in modo simile a
quanto descritto per l’ibridazione su colonia, in modo da fissare
sul filtro il DNA fagico in forma denaturata. Dopo aver saturato la
membrana, questa viene fatta ibridare con una sonda,
complementare al gene in analisi, che è stata preventivamente
marcato con 32P . Dopo un incubazione, opportunamente lunga, il
filtro viene lavato con soluzioni a più alta stringenza ed esposto
ad autoradiografia. Dopo aver, infine, identificato il/i cloni
positivi, si procede ad uno screening secondario.
E’ anche possibile utilizzare come sonda un oligo
opportunamente sintetizzato. Se non conosciamo la sequenza del
gene, ma è nota quella di un gene omologo, è possibile fare una
sonda eterologa, sia come DNA che come oligo, e effettuare
ibridazioni a bassa stringenza.
Un caso più complesso: la sequenza della
proteina è nota (1)
Un caso più frequente si presenta quando non è nota la sequenza genica, ma è stato
purificato biochimicamente il prodotto genico. In questo caso la cosa più probabile è
riuscire ad ottenere la sequenza aminoacidica di un frammento della proteina (una
sequenza aminoacidica completa non è facile da ottenere come una sequenza
nucleotidica!)
Ottenere la sequenza nucleotidica corrispondente ad una sequenza aminoacidica, allo
scopo di derivarne una sonda per lo screening, non è un gioco da ragazzi. Per la nota
degenerazione del codice, infatti, per specificare un amino acido possono essere usati
più di un codone (a parte la metionina).
Un caso più complesso: la sequenza della
proteina è nota (2)
Per codificare il peptide PRATI per esempio possiamo usare:
P
R
A
T
I
CCA
CCC
CCG
CCU
AGA
AGG
CGA
CGC
CGG
CGU
GCA
GCC
GCG
GCU
ACA
ACC
ACG
ACU
AUU
AUA
AUC
4
X
6
X
4
X
4
X
3
=
1152
possibili combinazioni
Siccome per avere un ibridazione stabile con un oligonucleotide occorre un
primer lungo almeno 15 bp, ne consegue che per avere qualche chance di isolare
il gene corrispondente bisogna derivare almeno 5 aminoacidi, meglio se più. Si
sintetitzza quindi un pool di oligonucleotidi contenente, in quantità equimolare
ciascuno dei possibili candidati
Phe Leu
Gly
Glu
Asp
Ala
Val
Arg
C
U
G
A
C
U
G
A
Ser
Lys
U
A
C
A G U C A
G
Ser
UC
A
G
G
A G U C
C
C
U
G
A
Asn
AG
UC
U
G
U
G
A
A
C
C
C
U
U G
Tyr
U
A
G
U
A
C
G
G
A
Thr
C
U
U G
G A
C
A
C U G
Met
Ile
Arg
A
C
C
A STOP
G
Cys
U
C
A STOP
G Trp
U
C
A Leu
G
U
C
A
U
Gln
His
Pro
Acido aspartico
Acido glutammico
Asparagina
Glutammina
Glicina
Alanina
Isoleucina
Valina
Leucina
Fenilalanina
Prolina
Treonina
Thr
Serina
Istidina
Triptofano
Tirosina
Cisteina
Arginina
Lisina
Metionina
Asp
Glu
Asn
Gln
Gly
Ala
Ile
Val
Leu
Phe
Pro
D
E
N
Q
G
A
I
V
L
F
P
T
Ser
His
Trp
Tyr
Cys
Arg
Lys
Met
S
H
W
Y
C
R
K
M
In pratica si utilizzano due strategie.
1) Si sceglie una regione aminoacidica con la minor degenerazione del codice e si derivano
tutti i possibili oligonucleotidi
Data per esempio la sequenza aminoacidica parziale LASCMNEMKRS
scegliamo: CMNEM:
TGT ATG GAT GAG ATG
C
C
A
Per aumentare la lunghezza dell’oligo senza aumentare la complessità del pool,
aggiungiamo le prime due basi comuni a tutti i codoni che codificano la lisina AA
Possiamo sintetizzare un pool di soli otto nucleotidi.
TGT
TGC
TGT
TGC
TGT
TGC
TGT
TGC
ATG
ATG
ATG
ATG
ATG
ATG
ATG
ATG
GAT
GAT
GAC
GAC
GAT
GAT
GAC
GAC
GAA
GAA
GAA
GAA
GAG
GAG
GAG
GAG
ATG
ATG
ATG
ATG
ATG
ATG
ATG
ATG
AA
AA
AA
AA
AA
AA
AA
AA
2) Si costruisce un “indovinamero” o “guessmer”
A partire dallo stesso peptide CMNEM si può sintetizzare un unico oligonucleotide, più
lungo, ma costituito da un’unica sequenza.
La sequenza viene definita sulla base della frequenza di utilizzo del codone, sulla sua
ridondanza e sul caso.
E’ dimostrato che, se le zone di complementarietà sono abbastanza lunghe
l’indovinamero riuscirà ad appaiarsi con il gene target anche in presenza di qualche
mismatch.
Esempio di “guessamer” indovinamero
5'-TGC ATG GAC GAG ATG AAG CGC AAC ATC TT-3'
TGC
ATG GAC
GAG ATG AAG CGC AAC ATC TT
AGG ACG
TAC CTG
CTT TAC TTC GCA TTG TAG AAA GAT GAG
5' RACE (Rapid amplification of cDNA ends)
Nella costruzione di una libreria a cDNA capita spesso di sotto-rappresentare le estremità al
5‘ o al 3'. Un metodo per minimizzare questo inconveniente consiste nell’amplificazione, per
PCR, delle estremità al 5' o al 3', utilizzando un innesco gene-specifico (GSP) e di un innesco
universale.
mRNA
AAAAAAA-3'
5'
Primer gene-specifico 1
AAAAAAA-3'
5'
3'
5'
3'
5'
Terminal trasferasi + dCTP
3'CCCCCC
5'
5'GGGGGG
3'CCCCCC
5'
5' GGGGGG
3'CCCCCC
3'
5'
Primer gene-specificico 2 (nested)
Frammento di gene
amplificato al 5'
3' RACE
mRNA
5'
AAAAAAA-3'
TTTTTTT-5'
transcriptasi inversa
RNAsi H
TTTTTTT-5'
3'
Primer sequenza specifico
TTTTTTT-5'
3'
AAAAAAA-3'
TTTTTTT-5'
5'
3'
5'
3'
AAAAAAA-3'
5'
oligo dT primer
TTTTTTT-5'
AAAAAAA-3'
TTTTTTT-5'
ESPRESSIONE GENICA
IN SISTEMI ETEROLOGHI
1. PERCHE’ ESPRIMERE GENI IN SISTEMI ETEROLOGHI.
2. QUALI SISTEMI ETEROLOGHI UTILIZZARE PER L’ESPRESSIONE
DEI GENI
Il problema di esprimere geni in sistemi eterologhi nasce dall’interesse generale ad ottenere
grandi quantità di peptidi di interesse pratico o scientifico e dalla difficoltà di esprimere geni, di
qualunque natura, in organismi superiori assai complessi e soggetti a regolazioni non sempre
pienamente comprese.
Al contrario, invece, il livello di conoscenze accumulate su alcuni organismi “semplici”,
specialmente procariotici, ha stimolato lo sviluppo di numerosi sistemi di espressione eterologhi
basati essenzialmente sull’utilizzo di appositi vettori di espressione.
E’ virtualmente possibile esprimere geni in sistemi di ogni tipo utilizzando vettori d’espressione
appropriati, in funzione di esigenze specifiche. I più diffusi sono Escherichia coli, Bacillus subtilis,
lievito, cellule d’insetto, cellule vegetali e cellule di mammifero in coltura. L’espressione in E.coli
è di gran lunga la più semplice e, forse, per questo la più utilizzata come prototipo di espressione
genica in sistemi eterologhi.
Per esprimere un gene eterologo bisogna definire due componenti:
un vettore d’espressione
un ospite per l’espressione
Batteri
Escherichia coli
Bacillus subtilis
Funghi
Saccaromices cerevisiae
Pichia pastoris
Aspergillus nidulans
Piante
Specie modello
protoplasti
(Arabidopsis thaliana, Nicotiana tabacco,ecc) cellule in coltura
piante transgeniche
Insetti
Dorifera californica
drosophila melanogaster
Animali
oociti
cellule in coltura
organismi interi
cellule d’insetto in coltura
organismi interi
ESPRESSIONE DI GENI IN SISTEMI ETEROLOGHI.
Principali utilizzi di proteine ricombinanti in campo medico
Vaccini ricombinanti
Ormoni
Carie ?
Cytomegalovirus
Difteria
Epatite B
Epatite C ?
Influenza
HIV ?
Malaria
Morbillo
Pertosse
Poliomelite
Tetano
ACTH
Ormone follicolo stimolante
TSH (Tiretropina)
HGH ( Somatotropina)
Calcitonina
Glucagone
Insulina
Inibitori di proteasi
Anticoagulanti
Anti-apoptosi
Inibitori generali
Peptidi bio-attivi
Interferoni
Interleuchine
emoglobine
Fattori neurotrofici
HNG (human nerve growth factor)
BGNF ( brain-derived neurotropic)
NT-3 (Neurotrophin-3)
NT-4 (Neurotrophin-4)
GDNF (gliale-derived neurotrophin)
CNTF ( Rat ciliary neurotrophin)
leptina umana
(Il prodotto del gene Ob,
recentemente identificato)
Proteina secreta dalle cellule
adipose in grado di controllare
il peso corporeo)
Ormone della crescita umana hGH
(somatotropina)
Scoperto nel 1912 l’ormone della crescita umano viene sintetizzato in età giovanile dalla
ghiandola pituitaria, nell’ipofisi.
La sua deficienza è causa del nanismo ipofisario che può essere efficacemente limitato
dalla somministrazione di hGH. Veniva inizialmente estratto dalle ghiandole pituitarie
di cadaveri di uomini o scimmie, a costi elevatissimi e con considerevoli problemi
pratici e sanitari.
Attualmente tutti questi problemi sono risolti dalla produzione del hGH per via
ricombinate e l’ormone della crescita è oggetto di un fiorente commercio
prevalentemente come farmaco anti-invecchiamento
A comparison of some properties of different vaccine types
(from Hansson et al. Biotechnol. Appl. Biochem. (2000) 32, 95–107)
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Vaccine type
Advantages
Drawbacks
____________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Live vaccines (attenuated) One or few doses normally required.
Long-lasting protection.
Both humoral and cellular
responses poorly
Controlled attenuation normally required.
Risk of reversion to pathogenicity
Certain risk of transmission
Killed vaccines
No risk of reversion to pathogenicity
No risk of transmission
Multiple doses typically required
Poorly defined composition
Antigen must be produced
by cultivation of a pathogen
Mainly humoral responses
Adjuvants normally needed
Subunit vaccines
(non-recombinant)
Defined composition
Various delivery systems available
Antigen must be produced and purified
by cultivation of a pathogen
Multiple doses typically required
Adjuvants needed
Subunit vaccines
(recombinant)
No risk of pathogenicity since the
pathogenic organism is not present
Multiple doses typically required
Adjuvants needed
Defined composition
Various delivery systems available
Simplified large-scale production
Further engineering possible
VETTORI D’ESPRESSIONE
I segnali che assicurano l’espressione genica nei procarioti sono molto diversi
e se un gene eucariotico viene semplicemente trasferito in una cellula
batterica ha poche probabilità di essere espresso.
Costruire un vettore d’espressione significa essenzialmente costruire un vettore
di replicazione contenente tutti quei segnali capaci di ottimizzare la corretta
trascrizione e traduzione dei geni eterologhi nell’ospite in cui avviene
l’espressione.
Per aumentare le rese, infine, in genere si cerca di ottimizzare la stabilita’ dei
prodotti di espressione, sia a livello trascrizionale che traduzionale.
OTTIMIZZAZIONE DELLA TRASCRIZIONE
Il livello di espressione di un gene dipende in larga misura dalla forza del promotore che
lo controlla determinando la frequenza con la quale la RNA polimerasi inizia la
trascrizione.
Conseguentemente sono stati isolati ed ottimizzati un certo numero di promotori forti di
E.coli che sono presenti nella maggior parte dei vettori d’espressione attuali. In piu’,
poichè il livello di conoscenza dei promotori procariotici è molto avanzato, sono stati
elaborati anche promotori in parte o totalmente sintetici sulla base delle sequenze
consensus ottimali.
Un promotore procariotico tipico è costituito da circa 60 bp contenenti due sequenze
consenso a -35 (TTCAGA) e -10 (TATAAT).
La spaziatura ideale tra -35 e -10 varia tra 16 a 17 bp, quella tra -10 e ATG è di 9 bp
Tra i promotori più comuni ricordiamo:
lac, lacuv10, trc, tac, t3, t7, lambda pr, lambda pl
OTTIMIZZAZIONE DELLA TRADUZIONE
L’inizio della traduzione in E.coli, richiede la presenza, sulla porzione non tradotta al 5‘
del mRNA, di una regione di legame al ribosoma (RBS). Nei batteri è costituita da una
sequenza, chiamata SHINE-DALGARNO (SD), complementare al 3' del rRNA 16S
presente nella subunità ribosomale piccola 30S. La sua sequenza consenso è:
5'-UAAGGAGG-3'
Subito dopo la sequenza di Shine-Dalgarno deve essere presente un codone di inizio,
quasi sempre AUG. In una piccola percentuale di casi può essere presente il codone
GUG.
La spaziatura ottimale tra SD e AUG è di 8 bp
E’ importante che la sequenza nucleotidica tra la SD e il codone d’inizio non sia
disturbata da strutture secondarie (es. hairpin loops) che possono interferire
drasticamente con il legame al ribosoma e la conseguente traduzione.
OTTIMIZZAZIONE DELLA STABILITA’ (1)
La resa di un prodotto di espressione dipende, in larga misura, dalla stabilità della proteina.
Sappiamo che la stabilità delle proteine dipende dalla presenza di aminoacidi stabilizzanti
all’estremità N-terminale e di aminoacidi destabilizzanti all’estremità C-terminale.
Modificando, tramite ingegneria genetica, la sequenza codificante una proteina, possiamo
alterarne la composizione aminoacidica ed aumentarne la stabilità.
Stabilità conferita alla -galattosidasi da diversi aa all’ N-terminale
Aminoacido
Tempo di dimezzamento
Met, Ser, Ala, Thr, Val, Gly
Ile, Glu
Tyr, Gln
Pro
Phe, Leu, Asp, Lys
Arg
 20 ore
 30’
 20’
 10’
 3‘
 1’
OTTIMIZZAZIONE DELLA STABILITA’ (2)
Le sequenze PEST
Le sequenze PEST , ricche in prolina (P), acido glutammico (E), serina (S) e treonina (T),
spesso fiancheggiate da gruppi di aminoacidi positivi, sono target di degradazione e
destabilizzano le proteine batteriche che le contengono. L’eliminazione delle sequenze PEST,
mediante mutagenesi sito-specifica, può migliorare la stabilità delle proteine ricombinanti
L’utilizzo di ceppi carenti in proteasi
Un altro modo per ottimizzare la stabilità dei prodotti di espressione, consiste nel minimizzare
la degradazione proteolitica a carico delle proteine espresse
A causa della presenza in E.coli di più venti proteasi, solo alcune delle quali risultano essere
caratterizzate, questo obbiettivo è difficile da ottenere.
Sono tuttavia disponibili ceppi di coli mutanti che risultano difettiva in una o
Più di queste proteasi, come ad esempio omp
Promotore/operatore
BamHI
Shine-Dalgarno
Terminatore
Ap
ori
mRNA
5'
RBS
AUG (start codon)
UAA (stop codon)
3'
Espressione di proteine native
NcoI
BamHI
RBS
AGGAAAC AGAACCATGGGAGGATCCGTCGGATAATTAGCTGA
TCC TTTG TCTT GGTACCCT CCTAGGCAGCCTATTAATCGACT
AGGAAAC AGAAC
TCC TTTG TCTT GGTAC
CATGG
C
AGGAAAC AGAACCATGG
TCC TTTG TCTT GGTACC
ATG
Met
GATCCGTCGGATAATTAGCTGA
GCAGCCTATTAATCGACT
C-DNA
C-DNA
G
CCTAG
GGATCCGTCGGATAATTAGCTGA
CCTAGGCAGCCTATTAATCGA CT
TAA
IL PROBLEMA DELLO SCHEMA DI LETTURA (FRAME)
LEI NON AMA CHE LUI. LUI NON AMA PIU’ LEI.
NON SAI PIU’ CHI SEI.
L EIN ONA MAC HEL UIL UIN ONA MAP IU’L EIN
ONS AIPI U’CH ISE I
LE INO NAM ACH ELU ILU INO NAM API U’LE INO
NSA IPI U’CH ISE I
Espressione di proteine di fusione
BamHI
AGGAAAC AGAACCATG
TCC TTTG TCTT GGTAC
AGGAAAC AGAACCATG
TCC TTTG TCTT GGTAC
BamHI
GST
HindIII
GGATCCGTCGAAGCTTGATAATTAGCTGA
CCTAGGCAGCTTCGAACTATTAATCGA CT
GST
G
CCTAG
AGCTTGATAATTAGCTGA
ACTATTAATCGACT
HindIII
cDNA IgG
TAA
ATG
AGGAAAC AGAACCATG
TCC TTTG TCTT GGTAC
Met
GST
GST
GGATCC
CCTAGG
cDNA IgG
IgG
AAGCTT
TTCGAA
Glu Ala Gly Ser Val Ala Cys Tyr
AGGAAAC AGAACCATG
TCC TTTG TCTT GGTAC
Met
GST
GGATCC
CCTAGG
cDNA IgG
AAGCTT
TTCGAA
IgG
GST
Glu Ala Gly Ser Lys Phe Met Asp
AGGAAAC AGAACCATG
TCC TTTG TCTT GGTAC
Met
GST
GST
GGATCCAAA
CCTAGGTTT
?
cDNA IgG
AAGCTT
TTCGAA
Perchè i vettori d’espressione sono (quasi) sempre regolati
• L’espressione di una proteina eterologa tende ad essere identificata come “estranea” e
degradato dalla cellula che attiva specifiche proteasi. La possibilità di indurre
l’espressione della proteina permette di minimizzare le degradazioni proteolitiche
aumentando le rese.
• Alcune proteine possono essere tossiche o, comunque, interferire con la crescita
dell’ospite di espressione. La possibilità di indurre l’espressione della proteina permette
alla cellula di crescere, in condizioni non induttive, e di produrre forti quantità di
proteina una volta indottane l’espressione.
• La possibilità, di indurre sperimentalmente l’espressione della proteina rappresenta un
primo strumento di verifica dei livelli di espressione; comparando un estratto proteico
indotto con uno non indotto si riesce facilmente ad evidenziare la presenza della
proteina eterologa putativa (di cui conosciamo il peso molecolare)
TAG per affinità
TAG
Vettori
______________________________________________________
• Calmodulin binding peptide (CBP)
pCAl
• 6xHis
pQE, pET
• Proteina A (IgG binding domain)
pEZZ
• Chitin binding domain (CBD)
Impact
• Glutatione S-transferasi (GST)
pGEX
• MBP (Maltose binding protein)
pMAL
• Strep tag (Streptavidin binding tag)
• Flag tag
• Myc tag
E.coli
+ IPTG
Clonaggio del gene MLL-ArgBP2 (1)
C.F.: LAM FAB M5
Nuovo gene partner di traslocazione di MLL
Per studiare il gene di fusione dal punto di vista funzionale e il
suo potere leucemogeno, è stato necessario clonarlo
Clonaggio del gene MLL-ArgBP2 (2)
EcoRI
pMVSCneo
PflmI XhoI
flag
MLL (-4178)
EcoRI
ATG of
flag-MLL
Polylinker
PflMI
pMSCVneo
NruI
flag...MLL
pMSCVneo.....GAATTCCATG.GAC....ATT.CCA.GCA.GAT.GGG.TCG.CGA.
pMSCVneo.....CTTAAGGTAC.CTG....TAA.GGT.CGT.CTA.CCC.AGC.GCT.
(XcaI=)
BstZ17I
PmlI
NsiI
XhoI
AGT.ATA.CAC.ACG.TGA.TGC.ATCTCGAG...pMSCVneo
TCA.TAT.GTG.TGC.ACT.ACG.TAGAGCTC...pMSCVneo
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Montemurro_02-12