© 2008 Fandango Libri s.r.l. Viale Gorizia 19 00198 Roma Tutti i diritti riservati ISBN ********** Copertina: progetto grafico Studio Jellici www.fandango.it Questo volume è stampato su carta Alsaprint delle cartiere Matussiere & Forest, la prima carta riciclata al 100% ottenuta al 100% da materiali disinchiostrati che ne fanno un prodotto di riferimento. La qualità della superficie e il grado di liscio ottenuto assicurano una elevata qualità di stampa, una mano non comune (1,4) ed una opacità molto alta. I problemi ambientali e la necessità di optare per una politica di acquisto veramente rispettosa dell’ambiente fanno di Alsaprint un prodotto faro in Europa. Alsaprint è la carta riciclata più premiata in Europa (premio eco-prodotto francese, premio eco-prodotto europeo). Cosimo Argentina Beata ignoranza questo libro è dedicato a Silvia Gatti e Paolo Vilbi perché un precario ha un maledetto bisogno di angeli custodi e io, Clara, Francesco e Milena a quanto pare ne abbiamo trovati due di quelli veri Introduzione È la moda! Oggi tutti a parlare di scuola, di precariato, di sofferenza sociale da parte delle classi in bilico… i blade runner della pagnotta, i forzati delle dieci mensilità più sussidio di disoccupazione. Eppure, signori miei, non vedo le medaglie. E le medaglie si conquistano sul campo. Molti parlano e scrivono ma lo fanno da porti sicuri, paratie alte. Invece è necessario che chi blatera lo faccia con le mani sporche dell’inchiostro di un registro di classe e con le suole levigate dai gradini dei provveditorati (li chiamo ancora così, altro che sovrintendenze). I titoli, bisogna avere i titoli. Quindi mi presento con due dati due: ecco le mie medaglie. Precario della scuola dal 1988. Non un giorno o due, vent’anni… vent’anni scavalcati da poco. Vincitore di concorsi nazionali, regionali, dipartimentali, riservati e non. Abilitato sia sul campo che grazie a un esame più simile al gioco del lotto che a una verifica culturale. Dall’88, per dirvela tutta, ho insegnato nella scuola pubblica e in quella privata. A nord (Milano) e a sud (Ginosa – provincia di Taranto – e Taranto). Ho insegna7 to in scuole legalmente riconosciute e non riconosciute. Ai serali, ai diurni, nei corsi per adulti, nei corsi ordinari, in quelli per vigilatrici di infanzia e per infermiere professionali. Insegno tuttora, si può controllare. Non parlo da una poltrona bulinata dei miei ricordi, no, signori miei, è roba talmente recente che appena finisco ’sta pagina mi vesto e vado in classe. Da precario ovviamente. Ho insegnato nelle più disparate tipologie di scuola: Itis (gli industriali coi ragazzi che filmano le bravate in classe), Itc (istituti tecnici da competizione come ad esempio quelli per ragionieri), Itg (dove i geometri in erba non amano il diritto), Ipc (i famigerati professionali di tutti i livelli… ad alto impatto ambientale), i Pacle (cioè le scuole per corrispondenti in lingua estera soffocate dalle sperimentazioni), i Turistici (dove il cuoco è Gesù Cristo e il prof di italiano una caccola), i licei scientifici sperimentali (dove ce la si tira un po’ e dove il precario è tale mille volte di più), gli ex magistrali (che adesso hanno nomi improponibili della serie licei socio-pedagogici e via dicendo), licei artistici (dove l’arte è bella a vedersi ma poi a te di diritto ti fanno un orario di merda), monoenni propedeutici (che non vi sto a spiegare perché nemmeno quelli che mi hanno dato la nomina, senza pagarmi, a tutt’oggi, a distanza di un anno, hanno saputo spiegarmi di che si tratta). Mi mancano gli agrari e i licei classici e faccio tombola. Ecco le mie medaglie. E rilancio, sul piatto, con 46 anni di età, una laurea in giurisprudenza acciuffata a 24 anni, venti scuole cambiate 8 in vent’anni, moglie e due figli a carico e fedina penale ancora immacolata. Ecco chi dovrebbe parlare della scuola. Ecco chi dovrebbe parlare dei precari. E invece che mi tocca sentire? Le parole di politici da operetta oppure le storie scritte da gente che è stata nella scuola mille anni fa o che ha assaggiato una settimana di precariato e, guardando negli occhi l’orrendo mostro, si è imbucato in una cuccia sicura buttando giù qualche paginetta di rovinose memorie. Mostratemi i vostri vessilli e potremo cominciare a parlare. Senza tema di smentite. Cosimo Argentina, partita di spesa del tesoro numero 1638/63, contratto a tempo determinato che mi scade il 30 giugno. E questo da vent’anni! 9 Capitolo uno Si fa presto a dire precario Parlare di precari è una falsità. È come parlare dell’inguine degli angeli. Come parlare del latte in polvere. Ci sono centinaia di tipologie e sottomarche, diramazioni e distinguo… il precario non esiste. Esistono i precari a mille euro al mese per otto, nove o dieci mesi all’anno, i precari da due stagioni e poi dentro, calcio nel culo indeterminato, i precari da trentamila euro l’anno e quelli da trentamila al mese. A esser precisi anche i grandi manager sono precari. I capitani d’industria. Cesare Romiti vi dirà che nella sua vita non ha mai avuto la certezza di un posto inamovibile… per lui parlavano le cifre. Nessuno ha mai ammesso che in un anno un precario di lusso, un open space, riesce a mettere talmente tanto grasso in dispensa da essere a posto per parecchi luuunghi inverni. Questo non si dice, no, non aiuterebbe il lamento. Ma il precario vero, quello di origine controllata, è il gottoso mezz’acciaccato che coi soldi del mensile si trascina per trenta giorni e poi si vedrà… Nella scuola il precario è un insegnante che ha tutte le 10 incombenze del collega di ruolo ma quando firma il foglio presenze si ritrova in un elenco a parte. “Ah, sei precario? Cristo, mi dispiace!” Eh! Come no! Mors tua vita mea… Un precario deve dimostrare che gode di sana e robusta costituzione con un certificato medico a settanta euro e deve presentarsi un giorno X presso il provveditorato o le cosiddette scuole polo per arraffare una nomina. Siete mai stati in provveditorato il giorno delle nomine? No? Andateci. Vedrete noi… una marea grigia che cerca la dignità in una giacchetta upim o in un tailleur dai cinesi e che arriva due ore prima che gli impiegati decidano di aprire i cancelli e fare l’appello. E, a proposito… gli impiegati ci disprezzano. Se potessero ci sputerebbero in faccia perché noi siamo dei perdenti di trenta, quaranta, cinquanta e sessant’anni che permettono a loro, perdenti di serie C1, di potersi segnare il petto e… “madonna mia, ci sta di peggio!”. Il giorno fissato per le nomine non lo sai fino all’ultimo momento perciò, anche se vinci una vacanza coi punti della Galbani, rassegnati: il giorno fatidico potrebbe essere il 20 luglio o il 20 agosto e allora a quel punto neanche una delega ti metterebbe al sicuro. Insomma sei lì, fa caldo, fa freddo (ci sono stati anni in cui la nomina l’ho avuta a gennaio) o fa quel che volete, ma tu sei lì e, in attesa della nomina, discuti con i tuoi consimili. Giuro che sono vent’anni che ascolto gli stessi discorsi. 11 Provo orrore per i momenti che precedono la nomina sicché il foglio col timbro diventa una liberazione dalla ciurma depressa. Ci desquamiamo gli uni sugli altri… ci aggrappiamo ai vestiti di chi ci è davanti in graduatoria per capire che sede sceglierà… e poi, soprattutto, ci poniamo gli uni gli altri sempre le solite grandi domande: dici che immettono in ruolo, quest’anno? Secondo te sbloccano le assunzioni? Quei figli di puttana dei riservisti ci toglieranno un posto? Mortificazione e scoramento giocano ai dadi sui nostri pezzi di carta. Lauree gettate nei bidoni della spazzatura, di questo si tratta. Donne calve e uomini ormai sintonizzati su un esaurimento nervoso di lungo corso entrano nel recinto alle grida e attendono la loro sorte. “Dio santo, Argentì… è sparita una cattedra!” E già, perché le cattedre a luglio e ad agosto spariscono. Spariscono sul serio per poi ricomparire a settembre/ottobre. Nulla di strano, si tratta di un vecchio gioco di prestigio dei presidi e dei compagnucci di merenda. In pratica capita che qualche dirigente voglia favorire il professor X o il dottor Y e allora imbosca una cattedra dichiarando che non è sicuro di poterla formare e poi, quando i legittimi sfigati hanno scelto sedi ai confini dell’Arizona, chiamano il provveditorato e tirano fuori dal cilindro nove ore più nove e il gioco è fatto. Ma ad essere sinceri noi siamo i primi profanatori della graduatoria. Noi, i precari annuali al 30 giugno, nascondiamo le cattedre che desideriamo per evitare che quello che ci precede se la pappi. Siamo illusionisti. Storniamo 12 l’attenzione. Spostiamo l’opinione pubblica. Creiamo falsi scopi e seminiamo l’ambiente di notizie false e tendenziose… “la preside di Besana Brianza odia i meridionali!”… “il preside di Mariano Comense convoca una riunione al giorno!!!”… “gli alunni di Cinisello si mangiano i precari!”… Il popolo dei nominandi ora dopo ora si gonfia, s’impuzzolisce, arriva alla frutta e dopo una mattinata di attesa vana comincia a schiumare. Il novanta per cento di noi ha le orecchie infiammate perché ha trascorso due ore al telefonino con le varie scuole per accertarsi che le cattedre nascoste siano lì, sotto uno strato di foglie bollate. Parlano sottovoce per non farsi ascoltare dai colleghi, ’sti 007 dell’indocenza, e si infilano i cancri nel cervello. Lo fanno premendosi in modo compulsivo contro le tempie cellulari senza schermatura, quelli rimediati da ElettroJack a venti euro il pezzo. “Tu cosa prendi, Argentì?” “Mah… non saprei!” Mai avere dubbi. I colleghi ti indirizzano condizionandoti come un capo bastone coi soldati. “Tu abiti da quelle parti… prenditi a Meda… si sta bene, ascolta a me”. Sappiamo tutto di tutti. Conosciamo le abitazioni di ognuno… i figli, le mogli a carico, le amanti, le lauree e i corsi di specializzazione fatti. Quando uno scala la graduatoria si sente in difetto. Magari ha comprato uno di quei corsi on-line che ti permettono, spendendo dei quattrini, di racimolare tre punti e scavalcare uno che ti sta davanti da quindici anni, forse venti. E tu lo guardi… “Cristo, 13 Francè, me l’hai messa in quel posto ’st’anno, ah?!” “Argentì! Ho 54 anni. Devo entrare di ruolo!” Alla fine, quando ti siedi per la scelta, hai in testa una confusione totale e poi sulla schiena ti stanno appollaiati gli avvoltoi che bramano le tue ore, il tuo completamento cattedra, le tue briciole orarie… e tutto quello che ti scivola per terra se lo pappano i vampiri montessoriani facendo anche la scarpetta col sugo della pubblica istruzione. “Oggi hanno convocato dal numero 1 al numero 100!” “Ah, bene, io sono il 13… e tu?” “Il 287!” Molti vengono a vuoto. Arrivano e cominciano a fare calcoli e a lamentarsi perché a loro la convocazione non arriverà mai. Ti chiedono i punti. Ti sottopongono a screeming per capire qual è il modo più onorevole per farti fuori e passare dal 500esimo posto al 499esimo. Pregano che ti venga un colpo. Un incidente stradale. Un blocco sulla statale 106. Un uragano… Gesù che ti impone di abbandonare la via della perdizione scolastica e darti all’ascetismo… Ecco chi sono i precari della scuola. Pressione arteriosa a mille, tutti. La sistolica alle stelle e la diastolica sulla luna: di questo si tratta. E poi arriva il momento in cui ci si presenta in sede. Hai scelto Cusano Milanino? Bene, ti metti su un treno delle Nord e poi scavigli verso la segreteria e lì compili un chilo di moduli ripetendo alla paranoia il tuo codice fiscale fino a che non lo sbagli per troppa sicurezza. Poi la presentazione col dirigente scolastico (guai a chiamarli presidi 14 che alcuni la prendono male). “Lei è sulla professoressa Deflangre?” “Non so!” penso che se è carina magari starle addosso non dovrebbe essere male. “Sì… le assegno la cattedra della professoressa… cinque classi. Le peggiori, sa… hanno avuto solo precari, negli ultimi tre anni!” La sala docenti è la prova successiva. Il cassetto coi registri, la postazione internet per le scuole che hanno un simile lusso, il raccoglitore delle circolari: su tutto domina uno strisciante nonnismo. Un precario che passa di ruolo da un giorno all’altro comincia subito col dire “voi dovete alzare la voce!” VOI. Il ruolo è una conquista sociale che il poveretto ha agognato per anni e adesso che è salito sul carro giusto guarda quelli che corrono a piedi nudi e dice VOI… voi sfigati, voi pezzenti, voi fottuti della terra, mentre io ce l’ho fatta. Sono dentro appena in tempo e ho fottuto pure la Gelmini che altrimenti mi spazzava via senza né leggere né scrivere. Ecco il precariato scolastico… potrei dirvi molto altro… potrei dirvi che il sussidio di disoccupazione prevede altre questue, altri moduli, altri codici fiscali; potrei dirvi che se uno inizia a lavorare a settembre cosa pretende? Di avere lo stipendio a ottobre? L’accredito latita. Le segreterie sbuffano. Si va in processione all’ufficio del tesoro ma lì si trovano code bibliche e impiegati esasperati – magari precari pure loro. Potrei dirvi che dopo vent’anni di lavoro la mia anzianità è zero. ZERO. 0. 15 Se la voglio buttare sul patetico ho anche visto colleghi con le mani in faccia e le lacrime che io la mettevo sul ridere ma loro avevano il mutuo come una scimmia cannibale a mettergli paura. Potrei dirvi che ogni volta che si rinnova la domanda in provveditorato per l’inserimento o aggiornamento delle graduatorie nasce un problema, un errore. Fascicoli smarriti; certificati abracadabrizzati… solleciti finiti nelle cloache dei provveditorati kafkiani. Ma perché ne parlo? Tanto i precari sono destinati a essere spazzati via, no? È solo questione di tempo, ci raccontano gli esperti. 16 Capitolo due Collegi docenti? No, grazie Ne ho viste di tutti i colori, in vent’anni. Ne scriverò, ne potrei scrivere per almeno altri venti. Controllare per credere: ecco le scuole in cui ho incrociato i guantoni con la dolce marmaglia: Nuova Europa di Ginosa Carducci di Taranto PACLE di Limbiate Versari di Cesano Maderno Primo Levi di Seregno Itis Da Vinci di Carate Pacle Parco Nord Cinisello Balsamo Olivetti Monza Falck Sesto San Giovanni Itis Fermi di Desio Itc Martino Bassi di Seregno Liceo magistrale Rebora di Rho liceo scientifico Cavalleri Parabiago Itc Gandhi di Besana Brianza Itis Maiorana di Cesano Maderno Magistrale Parini di Seregno 17 Isa di Giussano Itc Gadda di Paderno Dugnano Anna Frank di Meda Ipc Milani di Meda Quanti POF, puf e patapaf mi sono sorbito e a quanti inizi non ha fatto seguito nulla. Forse è la vita! Ma nel lavoro con la dolce marmaglia c’è un intarsio, una procedura che differisce e di molto da quella che si applica alla costruzione di cuscinetti a sfera e casse da morto. Ma fosse solo il rapporto con la dolce marmaglia la questione ci potremmo anche star dentro. Il fatto è che nella scuola c’è tutto un mondo intorno a quei 50 minuti di lezione che colma la misura nove volte su dieci. Prendo ad esempio il Collegio docenti, un luogo fisico dove tra un giornale sfogliato e un’occhiata alle gambe della collega il popolo dei pagellizzanti prende le decisioni collegiali più importanti. Un luogo che poi è l’organo che incarna la scuola. Se non da un punto di vista economico – quello è il Consiglio d’istituto – almeno da un punto di vista organizzativo. Come un marinaio che ha visto molti porti, io mi pregio di aver partecipato a questa mattanza culturale che è il collegio docenti nelle più disparate condizioni ambientali. A volte si è trattato di una buffonata… altre di una perdita di tempo con le signore in ansia per il tassametro della baby sitter… altre volte si è arrivati allo scontro armato, più spesso a quello verbale. Ombrelli che volano. Insulti. “Mi hai derubato della mia funzione obiettivo!” che tra18 dotto significa volevo imboscarmi mille euro e invece me li hai fregati tu! Frequente è il caso dei soliloqui non richiesti. In ogni collegio docenti poi, a qualunque latitudine, ho t rovato sempre un paio di oratori innamorati della propria voce. Pistolotti mica da ridere. Retorica dell’ i n s e g n a m e nto, digressioni onanistiche… catechizzazione di un uditorio sintonizzato sui compiti da corre g g e re e gli sms a cui r i s p o n d e re. Questi predicatori arano il deserto e si guard ano intorno compiaciuti perché, sospetto, ottengono da noi la stessa reazione che hanno in classe con la dolce marmaglia. Alla fine, quando la riunione di questi cento o duecento individui è allo sbando e nessuno sa più dove si trova e cosa deve fare e i primi vitelli cominciano a spingere contro lo steccato per aprirsi un varco, il dirigente scolastico pronuncia la fatidica frase che rimette le cose a posto e porta tutti all’attenzione di un miniaturista del cinquecento: “Allora aggiorniamo il collegio a domani!” Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!!! Ciocche di capelli strappate, svenimenti, “approvo, approvo tutto”, si firmano anche cambiali in bianco pur di non doversi ritrovare tutti lì appassionatamente l’indomani. E come in tutti i parlamenti che si rispettano, le decisioni importanti vengono prese al volo, là, in quello spazio che dura cinque minuti coi ritardatari che cercano il foglio firme, i cappotti già in groppa e i cellulari riaccesi e controllati con dita frenetiche. 19 In tanti anni di collegi ne ho viste, altro che, da riempire due tomi e passa. Lotte intestine… politiche… ideologiche, ma soprattutto di pagnotta. Per ogni questione poi nasce una votazione. In un magistrale un anno si rese necessario capire come votare per assegnare alcune funzioni che davano soldi agli interessati. “Voto segreto!” “Alleluia!” Ma quale maggioranza? Questo il dilemma. Maggioranza qualificata? Assoluta? Semplice? Unanimità? “Umanità, preside… voglio l’umanità!” Il preside decise di votare a maggioranza assoluta: il cinquanta per cento più uno degli aventi diritto. “E perché? Dobbiamo decidere tutti come si deve votare!” dai pagellizzanti. “E come si fa?” “Votiamo!” “E come votiamo?” Insomma alla fine si votò per capire che maggioranza adottare per il voto che avrebbe determinato la maggioranza con cui avremmo votato le funzioni in oggetto: un grandguignol. Azzeccagarbugliamenti. Sofismi… il pagliaccesco che sconfina nel delirio. I precari invece nei collegi docenti sono come le guardie che montano il turno nelle caserme. Sono al di sopra di tutto. Hanno molta più dignità degli stanziali. Questa forza interiore gli viene dalla consapevolezza che del malloppo loro non beccheranno neanche in cicinino. Zero. 20 Figuriamoci se gli ultimi arrivati hanno dei diritti in tal senso? Zitti e muti, al massimo faranno i segretari dei coordinatori di classe e beccheranno un rimborso orario… a esagerare! Per il resto noi precari possiamo ambire a fare da spettatori alle bagarre collegiali, alle vendette servite fredde, calde o intiepidite, ai muri presidenza contro RSU, ciellini contro progressisti, felliniani contro maccartisti e chi più ne ha più ne metta. 21 Capitolo tre Stipendi da fame? Diciamo che dimentichiamo il colore del l’aragosta Molti mi dicono che gli insegnanti non fanno un bel nulla e che quello che prendono è fin troppo. I primi che la pensano così sono gli alunni. Le famiglie a casa bombardano a tappeto. Già me li immagino, all’ora di cena, la famiglia riunita e il padre che chiede “a scuola?”. E la figlia “non sono andata perché c’era un’uscita didattica e io che sono ripetente già ci sono andata, lì!”. “Ostia!” grugna il padre “io mi spacco il culo dalla mattina alla sera per duemila euro e quelli lì non fanno un cazzo!” Io come insegnante precario con moglie e due figli a carico – 52 euro di detrazione per un figlio, gente! come se in un mese potessi mantenere Francesco o Milena con una somma del genere – guadagno 1.847,00 euro lordi che al netto diventano 1.400,00… ripeto per chi ha gli occhi distratti: con moglie e due figli minorenni di cui una sotto i tre anni a carico. Un paio di anni fa sono andato in trasferta – gita di istruzione – in Francia e ho avuto un rimborso di 49,00 euro, al che volevo dire alla segreteria 22 amministrativa di farsi un paio di birre alla mia salute. Trasparenza. Tutti si lamentano ma poi nessuno piazza le cifre sul bancone. Se dobbiamo parlare facciamolo con quattro numeri in mano. Durante uno scambio con una scuola inglese abbiamo domandato ai nostri colleghi come sono messi e loro sono messi meglio di noi per via di scuole adeguate, uffici a disposizione, computer, possibilità di trovare un benedetto codice civile senza doverlo portare da casa, eccetera eccetera… non voglio addentrarmi in questo dilemma comparativo ché ogni giorno giornali, web e televisioni ospitano parrucconi che snocciolano dati… siamo gli ultimi in Europa, i terz’ultimi nell’Unione Europea, siamo di qui e siamo di qua. Molti colleghi hanno il doppio lavoro. Lo fanno per starci dentro. Lo fanno perché ci sono posti in Italia dove i pomodori li paghi cinque euro lo scatolino e la benzina, beh, lo sapete, no? costa da boutique – anche perché dobbiamo pur mantenere Mourinho – e se ci aggiungete gli annessi e i connessi si sballa, perciò gli insegnanti di educazione fisica curano i corsi per anziani a cui fanno focalizzare il girovita e quelli di matematica e inglese cercano orfani della sufficienza per trascinarli in casa e propinargli un tot di esercizi da liquidare in sessanta minuti a quaranta euro in nero. E poi si cerca di arrotondare con Help, Idei, Cip e Ciop e varie formule interne che non aggiungono e non tolgono nulla alla comprensione della dolce marmaglia ma fanno mettere in tasca ai prof un ottavo di mutuo a tasso variabile – maledizione – che è uno 23 sputo su una montagna ma comunque contribuisce a rendere umido l’ambiente. I precari però, se proprio vogliamo fare una chiacchierata sui soldi che si sforchettano, spesso sono prima costretti a passare da due forche caudine, un’accoppiata tipo Scilla e Cariddi, che ve le raccomando vivamente. Una è la SISS (o almeno lo sono state fino a oggi), finte scuole di istruzione superiore che servono per potersi iscrivere nelle graduatorie. Cosa sono? Be’, qui sbraco ma tanto tutti lo sanno. Pagliacciate! Si dà la possibilità alle università di fare cassa e a un numero imprecisato di docenti di fascia extra lusso di tenere corsi pagati e strapagati mentre i precari, consapevoli che si stanno comprando l’abilitazione, saldano il pizzo in silenzio e preparano logorroiche dispense, ricerche, dettati, copiati e balle varie dissanguandosi su internet alla ricerca del vocabolo perduto. Il secondo mostro, il secondo cerbero istituzionalizzato… ministri della pubblica istruzione degli ultimi trent’anni… dove siete? è l’umiliazione di insegnare in alcune scuole private, private di tutto, che ti privano di dignità e stipendio. Io ad esempio a inizio carriera napoleonesca ho lavorato in una scuola legalmente riconosciuta dove il gestore a ottobre mi disse: “Argentì, tu hai poche ore è qui le buste paga so’ nu picch’come Dio vuole, ce ddice?”. “Hai ragione Peppì! Ma io metto la benzina che da qui a casa mia so’ cinquantaquattro chilometri ad andare e cinquantaquattro a tornare”. Fatto sta che il gestore della scuola mi disse che era più 24 dignitoso prendere uno stipendio alla fine del primo quadrimestre e uno alla fine del secondo: e così facemmo. Voi mi direte: è una libera scelta, e poi lo facevate per il punteggio. Infatti le scuole private parificate, legalmente riconosciute, davano punteggio che poi uno poteva giocarsi nelle graduatorie pubbliche. Un garbato ricatto. Tu lavori gratis e io ti do 12 punti in un anno e siamo tutti contenti e felici. Tu non fai il rompiscatole, che i ragazzi li dobbiamo promuovere se no vanno dalla concorrenza e prima o poi entrerai di ruolo anche grazie a me. Questo è l’andazzo. Sì, avete ragione voi, uno scambio tra adulti. Ma a volte la faccenda si complica e alcuni di noi sono stati costretti a fare il giro largo, il giro dalle scuole private non riconosciute. Un giro dell’oca dove la casella prigione salta sempre fuori e dove sia che hai la candela sia che hai il fiaschetto sempre in quel posto ti finisce. In pratica il ragionamento è questo: io entro in una scuola non parificata, lavoro, mi faccio conoscere, poi il gestore, che spesso è titolare di scuole non riconosciute e scuole riconosciute dallo Stato, mi passa a quelle parificate. Così metto in saccoccia dodici punti e poi lo mando a quel paese e me ne vado a Milano o a Varese o a Cuneo o dove diavolo credo e mi infilo nella graduatoria permanente. Solo che i gonzi precari fanno i conti senza l’oste. E l’oste, signori miei, è un omone cedevole alle sirene dell’intrallazzo; perciò quello che succede è che il babbo precario che ha accettato la scuola non parificata soffoca lì nella muffa non riconosciuta e nelle sedi parificate invece, quando si libera un posto 25 come in un reparto di malati terminali, arriva la figlia dall’assessore tizio o il figlio del tal preside o commissario del ministero. DioMio se ne ho viste di scuole non riconosciute spezzare le gambe a figli della pubblica istruzione convinti di aver superato il primo gradino! “Argentì, è fatta! Due anni qua, poi due anni nella sede principale e a trent’anni sono nelle graduatorie… speriamo!” E poi? Per paradosso a fine carriera la gente torna nelle scuole non parificate. Ci sono vecchi presidi che diventano nominali in queste scuole… vecchi insegnanti che arrotondano beccandosi qualche ora… fai trigonometria in quarta e pedalare… alcuni colleghi che vanno in panne e si fanno il giro delle sette scuole col berretto in mano a chiedere un’ora, due ore, “che poi, Argentì, tra una supplenza e una sostituzione esce lo stipendiuccio!”. E altri che aspettano una chiamata e intanto vanno a scaricare la frutta sul retro dell’Ipercoop. 26 Capitolo quattro Meritocrazia… meritoche? Maristella Gelmini, Ministro dell’Istruzione ha spinto molto, direi troppo sulla storiella della meritocrazia. Troppi soldi a occhio, meglio dare soldi non a pioggia (quando mai!!!) ma a chi se li merita e a chi lavora bene e produce. Su questo punto il carnevale della politica ha sollevato i suoi drappi più di una volta. Come nella tradizione circense ci si aspetta a un certo punto il numero col trapezio, così nella politica c’è sempre qualcuno che ci dice che bisogna premiare i bravi, gli operosi e sodomizzare gli altri. E di per sé la questione è ineccepibile. Trovatemi un balordo che affermi la volontà di dare soldi agli scarsi e calci nei fondelli ai fedeli alla bandiera. Non esiste. ONORE AL MERITO. Dunque. Questo vale solo per i defunti. Una medaglia alla memoria. Per i vivi bisogna guardare la realtà. Il sottoscritto che, ripeto, è entrato e sgusciato fuori da un paio di decine di scuole ha visto cosa succede sui fondi da destinare agli incentivi. Corsi, funzioni, progetti… gli amici, i compari, i limitrofi alla presidenza, gli spericolati, i rompi27 coglioni: a loro un paio di fette a testa. È matematico. Se abbiamo dieci patate e siamo in dieci e il primo prende quattro patate e il secondo prende cinque patate, agli altri cosa resta? Chi decide chi sono i bravi? La parola magica in questi casi, soprattutto in Italia è sempre la stessa: una commissione. Le commissioni… commissioni di robot programmati per uccidere? No, saranno i soliti noti che decideranno in base a principi inappuntabili ma che ci si appunterà agli attributi quando si capirà come volge il vento. Soluzioni? Eh no, signori miei, non ne ho. Ma smascheriamo la faccenda della meritocrazia. Chi decide cosa? Gli studenti? La dolce marmaglia rischierebbe di preferire i brillanti, i prof di carisma e tutti gli sfigati super preparati ma che non si cambiano la camicia se non alle feste comandate sarebbero fatti a pezzi. Il preside o dirigente scolastico che dir si voglia? Troppo distante dall’aula… nella sua torre d’avorio ha una percezione filtrata di come vanno le cose. I colleghi più anziani? Scelta peggiore… siamo uomini, né santi né dei… uomini, perciò suscettibili di ripicche, invidie, vota a me che voto a te e balle varie. Esterni? Tombola. Ma li devi pagare, così invece di restringere il 28 cerchio, fai stringere la cinghia a tutti aumentando i soggetti subordinati. Ecco perché la vedo nera. Ci vorrebbe un briciolo di onestà, bisognerebbe essere scafati e capire che far funzionar le cose serve alle cose stesse ma anche alle persone che si abbeverano allo stagno… ma tanto son parole, no? È dunque un falso problema che però ne risolve uno bello grosso. Dire “daremo i soldi ai meritevoli” va tradotto con un “per adesso li togliamo a chicchessia e poi vediamo di studiare un metodo equo per tutelare la meritocrazia”… questo il messaggio. Meritocrazia! Mi viene in mente il caso di quei chirurghi che asportavano un rene per far cassetta. E quelli risultavano sì i migliori, i meritevoli di un bonus-rene. O il caso della televisione italiana, dove la meritocrazia dei programmi si confonde con l’audience, così le trasmissioni pur di soddisfare l’auditel mettono in scena trivialità e truculenza. Vince chi fa ascolto, non chi fa qualità. È così che volete allora la scuola? Prendiamo il caso dell’università: già dovrebbe essere operativo un sistema di questo tipo eppure conta più un bel cognome lustro e ottonato che dieci pubblicazioni scientifiche sulla rivista tal dei tali. Meritocrazia… a volte non siamo in grado di dare i voti alla dolce marmaglia e sì che ce li abbiamo davanti ogni santo giorno, e ci crediamo in grado di poter dare i voti a chi parla di Cartesio, Beccaria (tanto Giulia quanto Cesare), di logaritmi e sistema arterioso? In realtà l’imbro29 glio regna sovrano e i padroni del vapore cercano solo il sistema per rendere legittimo l’imbroglio, solo questo, signori miei, solo questo è nulla più. Del resto la categoria degli insegnanti, precari e non, non è tutta sta gran cosa. Ammetterlo è doloroso visto che chi scrive ci sta dentro fino al collo, ma è così. Negli anni abbiamo accettato di tutto. Portatori di un peccato originale, “non facciamo niente di niente”, abbiamo rognato dentro e accettato fuori ogni colpo di cannone sparato contro la carretta scuola. Bombardate, bombardate, tanto la ciurma è in silenzio stampa. Potrei tirar fuori mille esempi. Ci pagate tardi? “Ma tanto prima o poi arrivano, i soldi”… non adeguate gli stipendi al costo della vita? “Ma tanto mio marito fa l’accalappiacani e guadagna per tutt’e due!” la tua professionalità (?) non viene riconosciuta? “Ma si sa che è così da sempre, non ci faccio più caso”. Ma queste sarebbero già delle risposte. In molte circostanze la categoria ha sollevato un lecchinoso silenzio e ne ho avuto l’ennesima riprova ogni anno della mia vita da prof. “Ma cribbio appena venti euro in più in busta paga!” “Meglio di un calcio nel culo, Argentì… che vuoi fare… va così… comandano sempre loro!” “Loro chi?” “Loro.” 30 Capitolo cinque Tina la generalessa di tutte le bidelle Dom: ehi Tina, ma da quanti anni lavori nella scuola, tu? Tina: eh, professò… sono arrivata a Milano nel ’73, prima ho lavorato in fabbrica, alla Zanussi, poi sono finita all’Icmesa e quando è scoppiato il casino, nel ’76, sono passata allo Stato. E da lì le ho girate tutte, le scuole… medie, elementari, superiori, serali, diurne… tutte va’! Dom: e qui come ti trovi? Tina: bene professò, io mi trovo bene da tutte le parti. Mi faccio i fatti miei e non voglio sapere niente di niente. Mo me ne vado in pensione e torno al paese mio ché mio marito c’ha il desiderio di morire là, così ha detto. Dom: e da dove vieni? Tina: Gioiosa Ionica. Sono calabrese. Dom: come la vedi questa proposta di far fare i concorsi e 31 i corsi nella scuola solo ai residenti? Tina: e vabbè… mo non si capisce più niente, professò. Io so solo che quando sono entrata nello Stato avevo la residenza a Seveso ma sono calabrese. Perciò a che vale? Invece di fare ’ste fesserie dovrebbero mettere a posto le scuole che cadono a pezzi… sapete che ho lavorato in scuole che sono tutt’un pezzo di amianto? Eternit da tutte le parti. Altro che adeguamento! Dom: ma a voi vi vedo sempre rilassate, Tina, sarà che siete in parecchie e poi il lavoro ai piani non è di gran sbattimento… però, insomma… ho visto di peggio Tina: il lavoro in fabbrica era più duro, prof, su questo non ci sono santi… che le devo dire? Qui è buono per le donne che tengono famiglia. Guadagnano non troppo e non poco, tornano a casa a orari onesti e possono curare i figli. Quando ero in fabbrica i miei figli potevo scordarmeli. Certo che per voi lo stipendio non è tutta ’sta cosa. Voi uomini intendo. Capo famiglia. Un bell’uomo così, che ci fa con mille e rotti euro? Una donna va bene, ma solo se tiene il marito che lavora bene e non si ubriaca. Un giovane pure! Ma un pezzo d’uomo com’a lei non so… mi sembra poco! Dom: eh, come no! Ma mica va a chilogrammi, Tina! Dai, piuttosto fammi due fotocopie. 32 Tina: è finita la carta, professò… ma se andate in didattica magari ve le fanno. Qui viene quello di musica e la finisce sempre, la carta. Anche lui, quello di musica, se non facesse altro non ce la farebbe. La moglie è sulla sedia a rotelle, lo sapevate? Dom: no, Tina. E cosa fa? Suona in qualche orchestra? Tina: macché! Vende aspirapolvere e una volta è venuto pure a casa di una mia vicina e io sono andata a vedere la presentazione e a lui ha preso male tanto che ha acchiappato arm’e bagagli e se n’è andato. Dom: ma tuo marito che fa? Tina: mo sta in pensione, ma prima lavorava all’Atm, guidava i tram a Milano… sa, anche quello di Mombello, il treno delle serve, quello che porta le cameriere dall’hinterland in centro per andare a fare i mestieri nelle case dei sciuri. Dom: sì, lo conosco quel tram, ho abitato proprio di fronte al deposito. Tina: e ora? E’ ancora lì? Dom: no, adesso abito qui, a cento metri da qui… una casa vecchia e grande. Diciamo che stringiamo i denti. Ma tu? Tu sei stata prima precaria nella scuola? 33 Tina: sì, ma per due anni solamente. Allora ti inseguivano. Nessuno voleva fare la bidella. Adesso ci sono liste d’attesa lunghissime, invece prima il lavoro c’era eccome. Bastava voler lavorare e ne trovavi talmente tanto da dover dire di no. Ora è tosta, professò. La conosce a Mariangela, no? Quella fa nu mese sì e tre no eppure tiene a due figli e il marito è in cassa integrazione. Gesù quante volte viene a piangere da me! Dom: capisco… Tina: il vostro lavoro non ve lo invidio proprio, i ragazzi mo sono maleducati e non conoscono il rispetto, ma anche il nostro lavoro è importante, sa?! Un sacco di volte la preside viene e dice Tina per piacere fai questo, o fai quest’altro e io faccio anche cose che magari potrei evitare di fare. Ma sono qui da tanti anni e oramai mi trovo come a casa. Tutte le circolari le affidano a me. Io passo personalmente per le aule a far firmare i professori che siete nu poco svagati… io controllo il faldone dove si archiviano le circolari. E poi a fine anno sistemo i tre piani per gli esami. Ormai non mi dicono più nulla. Faso tutto mi! Dom: sì, lo so che quando i collaboratori sono in gamba va tutto meglio anche se poi alla fine sono sempre gli stessi che si sbattono però… Tina: è vero, professò. Ma chi deve vedere spero veda. I fannulloni ci sono e ci saranno sempre. Scansafatica e finti 34 malati li ho trovati ovunque: in fabbrica, nel privato e qua nella scuola. Qua ci sono un po’ di più garanzie, ma quelle ci vogliono, professò, che la vita una è! Dom: però te ne vai con una buona pensione, ah? Tina: dipende cosa intende lei per buona, professò! Mia figlia l’ho sposata e sistemata e adesso fa l’impiegata. Mio figlio lavora come tappezziere. Io e mio marito abbiamo poche esigenze… guardiamo la tivvù, giochiamo a carte tutt’e due, da soli, e qualche volta andiamo da mia sorella che vive con il compagno vicino a Varese… per fare questo sì, la pensione basta… ma se va all’aria solo una di queste cose è notte, professò, notte cupa! Dom: va bene, Tina… grazie delle chiacchiere. Tra quanto suona la campana? Tina: cinque minuti professò, appena il tempo di andare da Nanda a fare le fotocopie. Dom: menchia è vero, me n’ero dimenticato. Tina: e noi che ci stiamo a fare qua, professò? O mi sbaglio? Dom: no, Tina, tu non ti sbagli mai. 35 Capitolo sei La dolce marmaglia C’ha un fascino, ’sto lavoro, che nessun altro lavoro ha. Lo paghi con l’esaurimento e con uno stipendio buono per raccogliere i pidocchi, ma il fascino resta. Il fascino proviene in battuta da loro: dalla dolce marmaglia. La dolce marmaglia è quest’entità fatta di occhi, bocche, cervelli, gambe, jeans sfilacciati, chewingum all’appiccico, magliette, voci stridule, filamentose, coniche, rumoreggianti che mi tocca omaggiare ogni giorno con il mio personale spettacolo a metà tra il demenziale e il professionale. Capitemi! Entro, spiego, dico cose, parlamento italiano… mah! norma giuridica… be’… l’atto giuridico e così via. Di fronte femmine e maschi. In tanti anni ho avuto sotto mano le tipologie più disparate. Classi solo maschili, classi maschili con qualche infiltrata, classi solo femminili, classi femminili con qualche infiltrato e classi miste. Coi maschi è facile… coi maschi è sempre facile. Entri, li minacci e al tempo stesso sorridi, mostri il tuo vessillo calcistico e spari due battute. Li ipnotizzi il giusto e loro 36 ipnotizzano te e poi via, il programma ce lo succhiamo fino al midollo e se i risultati non sono tutta ’sta roba fa nulla, possiamo farcela, prof… il girone di ritorno andrà meglio. I maschi li puoi trattare a colpi di machete didattico ma se gli fai capire che quel machete è di gommapane e loro un approdo lo possono trovare in qualunque momento è fatta. Entri in classe, dai un’occhiata a Pierino, strappi coi denti il cellophane del kit di sopravvivenza e cerchi di evitare che la classe sbielli. Le classi di maschi dove ci sono alcune ragazze sono comunque classi di maschi. Alle femmine tocca adeguarsi e quindi ’ste ragazze diventano rudi e cipigliose; non mostrano la loro femminilità e se c’è ed è spiccata cambiano sezione o cambiano scuola che forse è meglio. Le classi di femmine con pochi maschi sono un delirio per i maschi. Anche se i ragazzi sono invidiati da quelli degli Itis in realtà non se la passano bene perché avere di fronte venti ragazze non è semplice… da che mondo è mondo. Poi ci sono le classi miste, quelle più equilibrate, dove il mix è buono e una sponda bilancia l’altra e anche tu viaggi a dorso di cammello e sai che il motore non cederà a meno di sconvolgimenti. E alla fine ci sono, come quest’anno, le classi di sole donne! Cinque classi di sole donne ad eccezione di Oscar. È complicato. Hai di fronte queste ragazze, insomma, dai quindici ai vent’anni e ti ritrovi a fronteggiare splendidi meccanismi 37 mentali di una complessità impressionante. Non te la puoi cavare dicendo eccovi l’imprenditore, l’azienda è un complesso di beni ecceter’eccetera… no, bagaj, non funziona così. Equilibri, pause, sguardi, richiami, voti… sollecitazioni e rimproveri devono essere calibrati come se tu fossi un alchimista con in mano un immenso piatto posto su una bilancia atomica. Ho perso alunne per una battuta sbagliata. Ho conquistato ragazze che non ne volevano sapere solo perché ho avuto la fortuna di toccare la corda giusta, il liuto sospeso della sua anima e poi l’atto amministrativo è venuto di conseguenza. Quello che devi cercare di fargli capire è che tu sei nella loro stessa barca… che ci credano o no i vostri destini sono legati a doppio filo. Devi restare in bilico se vuoi che lo siano anche loro. E devi cercare di essere sincero, perché il ruolo di prof bla bla bla non ha più senso. Non più. E allora la tua autorevolezza deriva dall’essere vicino ma non raggiungibile. Onesto, ma non sbracato. E poi c’è la taratura. A noi precari non è consentito specializzarci. Noi soldati di ventura, plebaglia da macello, prima linea del registro dobbiamo adattarci a quello che troviamo. A maggio spiegavi legislazione sociale in un pedagogico? Bene, probabile che a settembre ti ritrovi a dover parlare di contratti in un aziendale. Noi non scegliamo… veniamo scelti. Noi siamo la fanteria della scuola… baionetta innestata avanziamo alla come viene e di volta in volta conquistiamo una collina o una radura appartenuta al nemico. E il nemico chi è? Uno una volta mi ha detto: noi stessi. Ma è un pazzo che 38 ho conosciuto in una scuola dove credevo fosse il vicepreside e invece non era che un povero precario come me, ma non voleva che si sapesse in giro. E allora il precario fa collimare, dicevo, quello che deve dire con chi ha di fronte. Ogni classe una fisionomia diversa. Ogni classe un coacervo di sensibilità diverse. La prima C è formata da una ventina di ragazzine molto giovani e ancora aggrappate al guscio; la seconda C è una nave in battaglia e il mio abbordaggio dev’esser quotidiano… la terza C è un fiume affascinante ma troppo vicino all’inferno per cercare di nuotarci dentro… la quarta C ospita quindici mine vaganti che sarebbe bello far brillare… la quinta C è un baobab sotto cui vegliano una dozzina di leonesse… E ognuno potrebbe dire la sua. Impatto verticale, con la dolce marmaglia. I parrucconi che ci mangiano in testa a tutti dovrebbero entrare in classe, ogni tanto. Ma non nelle classi fighette dello Iulm o di scuole esclusive per figli baciati dalla dea bendata. Né dovrebbero farlo per dieci minuti per fare un discorso. Dovrebbero esserci nel vero senso della parola. Dovrebbero esserci quando in prima P mi ritrovavo Mohamed, un ragazzo pachistano di grande educazione ma che non parlava perché non conosceva nemmeno una parola di italiano. “Mohamed… hai capito l’astrattezza della norma giuridica?” “Eh?” “L’astrattezza?” “Prof… no capire!” 39 “Cosa?” “Eh?” “Cos’è che non hai capito, Mohamed?” “Prof… sì, bene!” Ogni giorno così. Io e lui come due deficienti che parlavano senza capirsi e il resto della classe a gridacchiarsela. O come con Tzentzen Yang. “Ehi, Tzen, perché non prendi il foglio della verifica?” “Ma prof!” mi fa una compagna “Tzen non sta capendo nemmeno che ce l’ha con lei!” Mi fanno impazzire gli innovatori della domenica. Si parla di aumentare il rapporto alunni docenti nel senso che, stando a delle tabelle che io non ho mai visto e a cui non credo, ci sono troppi insegnanti per numero di alunni. Be’, io vi dico che nella mia esperienza sul campo – sempre quella, non frottole e numeri al buio – in molti casi se ci fossero stati più docenti e si fossero composte prime meno numerose forse un po’ di attenzione in più alla dolce marmaglia saremmo riusciti a dargliela. Stesso discorso vale per il mitico Gabriele, un alunno paraplegico che ha voglia di venire a scuola nonostante per lui la vita abbia riservato un giro di quelli tosti. Poca fortuna, per Gabriele, ma grande umanità, ’sto ragazzo. Ebbene, prendersi cura di lui è difficilissimo quando hai a che fare con altre ventidue creature. Gabriele ha bisogno di un’attenzione continua che in parte gli viene data dal sostegno ma che dovrebbe ricevere anche dall’insegnante di italiano, storia e via dicendo… vabbè… dai che facciamo notte… 40 Entità complesse. Le abbiamo davanti e a volte non riusciamo a far nulla e le loro esistenze sono giocate ai dadi dai padroni del vapore. Roberto l’anno scorso frequentava la prima. Un giorno ha deciso di non venire più a scuola. Qualche mese dopo si è sparato nel bagno di casa. Ecco cosa abbiamo di fronte: universi da esplorare, ma la sonda ci viene strappata a morsi. 41 Capitolo sette La scuola come il Titanic Io sono entrato nel mondo della scuola nell’88 e vi garantisco che da allora è stato un lento e inesorabile peggiorare di ciò che già non era chissà che. Sono partito con al comando Giovanni Galloni, uno scudocrociato per una scuola che marciava per conto suo modello “io ti pago poco e tu resti in classe lo stretto indispensabile”… Con Sergio Mattarella ho sguazzato nelle scuole legalmente riconosciute dove, come ho scritto, l’alunno-cliente andava omaggiato, salameleccato e soprattutto promosso. “Argentì, quanto c’ha Cianciotta?” “ Quattr’e mezzo, Peppe!” “E mettigli sette che il ragazzo c’ha buona volontà!” I sei si saltavano a piè pari. Si parlava del diritto al successo e noi, annuali con le suole della pedata nel sedere già ad affiorare, ingoiavamo a vuoto e modificavamo i voti. Poi sono passato allo Stato… stato di grazia? Macché! Stato Italiano… Pubblica Istruzione, con a capo in successione Ge r a rdo Bianco, Riccardo Misasi, Rosa Ru s s o Iervolino, Francesco D’Onofrio, Giancarlo Lombardi, Luigi Berlinguer, Tullio De Mauro, Letizia Moratti che 42 s’acchiappò anche l’università e Giuseppe Fioroni fino a pochi mesi fa. Chi getterei dalla torre e chi salverei? Una mattanza, questo verrebbe fuori. La logica che ha sotteso le scelte è stata sempre la stessa: soldi nisba, tagli necessari… tagli dove? Scuola. Il resto è chiacchiere. Forse che i conquistadores spagnoli in Perù e nel resto dell’America Latina dichiaravano “siamo qui per fregarvi l’oro”? Certo che no. I corteziani dichiaravano il loro amore per la civiltà e per il regno di Cristo e allora quegli indigeni ignoranti e pagani andavano educati, aiutati a comprendere la civiltà e battezzati. Uguale qui. Mica possono dirci ehi, belli miei, i soldi servono e qui rompiamo meno le palle che in altri settori: rassegnatevi. No, si parla di razionalizzazione – e in alcuni casi a ragione anche – si parla di redistribuzione delle risorse e di modernizzazione della scuola. Però! Ogni governo, ogni ministro e ogni sottosegretario ha dato una spallata al giocattolo. Ai primi anni novanta eliminarono gli stipendi estivi per il novanta per cento dei precari. Razionalizzazione, signori, razionalizzazione. E noi? Ci guardammo tutti in faccia come a dire per due mesi ci toccherà andare in letargo, anche se i mesi di luglio e agosto sono i meno adatti alla bisogna. Dopodiché fu un valzer di cattive notizie… feste natalizie non pagate, accrediti ritardati, scatti di anzianità non riconosciuti e chi più ne ha più ne metta. E i doveri? Quelli sono andati aumentando in barba al principio della contrattazione. Il diritto di sciopero per i pubblici dipendenti ha subito delle restrizioni. Le rivendi43 cazioni da astensione di un’ora hanno fatto scoppiare in crasse risate il sistema e anno dopo anno i sindacati hanno perso consenso se mai l’hanno avuto, nel mondo della scuola. Già, i sindacati. Nell’iceberg i sindacati della scuola hanno un ruolo bello potente. Ho assistito a centinaia di assemblee con rappresentanti sindacali imbarazzati che cercavano vie di scampo dalle domande della plebe in-docente. Ho assistito a tradimenti di sangue, quando i rappresentanti sindacali venivano a tenerci buoni mentre i loro emissari firmavano contratti collettivi dove ci consegnavano al nemico direttamente nella padella imburrata. Sempre veloci nell’organizzare scioperi, i sindacati, ma il sottoscritto si è visto scavalcare negli anni da una corte dei miracoli fatta di riservisti senza riserva, maestri elementari finiti nella mia classe di concorso, abilitati nel sostegno che poi hanno scavalcato la staccionata, titoli saltati fuori dal cilindro e poi istituzionalizzati grazie ad accordi e leggi quadro… di tutto e di più. I sindacati della scuola non hanno mai ricevuto bulloni dagli in-docenti e questo li ha tranquillizzati, placati, imbolsiti… le nostre giacchette di vecchio terital non fanno paura a nessuno e non abbiamo neanche gli spargiletame dei cobas del latte. I sindacalisti questo lo sanno. Sanno che siamo un popolo di topi bagnati dalla pioggia. Sanno che difendiamo quei quattro centesimi perché siamo terrorizzati dalle alternative e allora ci vanno giù pesanti. Ad alzo zero. Traditi e razziati. Gli aumenti in busta? Ma non rompete il santissimo che quello che vi danno vi permette pure di andare al mare a Taranto a respi44 rare polonio e diossina! Hanno ceduto su tutto, i sindacati, salvo poi venire a chiederci i soldi per il fondo pensioni come se un precario potesse pensare minimamente alla pensione. Noi non siamo in grado di riflettere lucidamente sul settembre prossimo, figurarsi se possiamo ipotizzare i prossimi vent’anni. Infine i sindacati hanno messo in piedi un carosello che ha intasando il sistema consegnando ai futuri tagliatori di teste l’alibi che le cose non funzionano perché c’è un casino immane ovunque. Permettere, ad esempio, attraverso una SISS di accedere alla graduatoria degli A019 di diritto e piazzarsi al 500esimo posto quando i primi cinquanta non sanno se lavoreranno è da codice penale. Vuol dire alimentare i sogni sapendo in partenza che da lì a breve diventeranno incubi. Quanto alla punta dell’iceberg… non lo so… ricordo il suo esordio contro gli insegnanti meridionali e il sistema scuola nel Meridione e poi viene fuori che lei, Maristella, l’abilitazione alla professione, pur essendo di Brescia, se l’è presa a Reggio Calabria… non so… i suoi ricordi di scuola terminano alla fine del liceo perciò mi sembra un po’ che sia stata buttata allo sbaraglio, ma non preoccupatevi, come i suoi predecessori farà i suoi bravi danni e magari in alcune occasioni ci azzeccherà… certo che farlo senza ascoltare la dolce marmaglia e gli in-docenti – almeno la sorella maestra – non mi sembra il modo migliore per cavalcare la tigre. 45 Capitolo otto La Gelmini raccontata alla classe In terza C mi chiedono cos’è ’sto decreto Ge l m i n i . Qualcuno mi chiede la differenza tra un decreto legge e uno legislativo. “Ehi, lo avete fatto in prima!” “Ma non ce lo ricordiamo!” “Va bene, repetita iuvant!” Qualcuno mi dice che qui siamo in Brianza, che in classe di politica non si parla. “Sono d’accordo. Perciò vediamo di accennare solo alla parte normativa e lasciamo la parte politica a quelli che hanno tempo da perdere!” “Sì, prof. Ma la Gelmini di che partito è?” “Niente politica, abbiamo detto!” “Prof!” “Eh?” “Posso andare in bagno?” “Vai.” Le guardo. La dolce marmaglia di terza consta di due fazioni che a volte si mescolano più per necessità che per virtù. 46 “Allora… inizio con le probabili novità per voi delle superiori. L’anno prossimo dovrebbe esserci una riduzione del monte ore…” “Allora usciamo prima!” “Non voi… credo che si comincerà con le prime e poi pian piano a regime… ehi, Doris, lascia perdere quell’affare e cerca di stare attenta! Dicevo… un’altra novità sarà quella delle classi di concorso che verranno accorpate e allora io che sono un A019 potrei essere unito agli A017 come la professoressa Gaviraghi che insegna economia aziendale!” “Ah! E lei potrà insegnarci aziendale?” “Preferisco diritto!” “E poi?” “Poi si riformerà il comparto dei professionali e degli istituti tecnici ma qui ci saranno delle leggi quadro e delle decisioni successive che ci faranno capire di che morte dobbiamo morire, e infine c’è la faccenda del voto di condotta ma quello lo sapevate già, che se insufficiente provoca la bocciatura. Quanto alle università si parla di trasformarle in fondazioni il che vorrà dire che cambia il modo di recuperare i fondi e l’organizzazione interna sarà più simile alle attuali università private che a quelle statali, ma su questo si sa ancora poco.” “Ah! E mia mamma?” “Che c’entra tua mamma!” “Mio fratello alle elementari potrebbe uscire alle 12.30?” “Per le elementari c’è introduzione del maestro preva47 lente. Il tempo pieno c’è chi dice che è finito e c’è chi dice che sarà comunque garantito. Non saprei, al momento. Poi viene introdotta la disciplina dell’educazione civica ma senza aggiunta di ore curriculari…” “Curricuche?” “Non si faranno ore in più. Al limite il prof di lettere, tipo la vostra, la Zito, magari sottrarrà qualche ora alla storia e farà educazione civica… però questo alle medie!” “Ah… capito! Ma a lei questa riforma piace, prof?” “No”. “Perché?” “Perché credo che in una società democratica le grandi innovazioni e le novità vadano introdotte dopo aver avviato un dialogo con le parti in causa. Magari la Gelmini è una buona legge ma io non la conosco, non so nulla, e mi devo fidare di maggioranza e opposizione che si scannano esibendo dati pro e contro che stanno a significare che qualcuno bluffa e…” “Prof!” “Che c’è?” “Posso andare in bagno?” “E interrompi per questo?” “Non ce la faccio più!” “Ma c’è ancora…” “No, Bea è tornata!” “Ah già… vabbè, vai… anche perché la discussione rischia di prendere una piega politica e abbiamo detto che non si parla di politica in classe e allora rispetto la vostra richiesta anche se ricordate che far politica non è solo par48 lare di Berlusconi e di Veltroni. La politica è uno stile di vita… anche le civiltà primitive avevano un indirizzo politico anche se non conoscevano concetti come destra, sinistra, centro, marxismo, fascismo, comunismo e via dicendo. Voi fate politica sempre. Anche quando mi stressate col bagno, la vostra è una rivendicazione anche di natura politica. E io a seconda dei termini che uso e di come mi comporto agisco come animale politico e… perché ridi, Sara?” “Lei… si definisce un animale…” “Sì, un cammello politico!” Risata generale. “Vabbè, chiudiamo ’sta parentesi e torniamo a bomba sulla Corte dei conti e sui controlli che opera a proposito del bilancio dello Stato!” “Prof!” “Eh!” “Ma la riforma la manda via da questa scuola?” “ Non sperare di liberarti così facilmente di me, Martina, e ora concentrati sulla Corte dei conti altrimenti poi facciamo i conti… battuta!” “Sa fare di meglio, prof!” È vero, ha ragione. So fare di meglio. 49 Capitolo nove Colleghi Di gente ne è passata e molti non li ricordo neanche più. Con tanti c’è stato solo qualche cenno di saluto nei corridoi, con altri ce la siamo chiacchierata. Qualcuno mi ha sbarrato la via… altri sono solo grigie sagome accatastate da qualche parte nella memoria. Un comune denominatore è di sicuro l’assenza di entusiasmo, direi la rassegnazione. Le lauree invecchiano, nella scuola. Pian piano diventano lettera morta, ingialliscono, cominciano a mandare un cattivo odore… si battono sempre i soliti sentieri, quelli che fanno parte del proprio credo didattico, e non ci si guarda intorno. Ci si adegua al ritmo impoverito di un valzer sopportabile e alla fine si resta irretiti da un pavimento che non ama le teste sollevate. Tessere di un unico mosaico, restiamo imbarazzati di fronte a qualcuno che osa fare qualcosa di diverso mettendosi in luce per iniziative che, di fatto, rimarcano una volta di più la nostra palude. L’impegno c’è, su questo non discuto. Conosco e ho conosciuto ottimi insegnanti nonostante uno degli sport nazionali sia quello di sparare sulla croce rossa dell’istruzio50 ne. C’è gente che sa quel che fa e lo fa bene. Ma… non ci si stacca mai dalla corrente del golfo. Il rischio non è il nostro mestiere e il metterci in discussione è problematico e mortale come lo schizzo di veleno di un mamba nero. In vent’anni con pochissimi ex colleghi ho mantenuto rapporti e questo è accaduto più per motivi extrascolastici che per affinità elettive professionali. Un precario è come un vagabondo delle stelle col registro sotto il braccio. Evita di legarsi alle persone perché sa che di lì a qualche mese potrebbe non vedere più nessuno. Spesso è un bene. Mi è capitato di pensare “dio mio in questa gabbia di matti devo resistere solo sette mesi e poi li mando tutti al diavolo… come fanno quelli che sono qui da quindic’anni?”. Sì, devo ammettere che mi è capitato di dire con disprezzo che ero felice di andar via, che potevo dire quello che pensavo perché non avevo nulla da difendere mentre i pecoroni erano lì avvinghiati a un fazzoletto di nomina per una commissione o per un corso serale. Altre volte però con amarezza ho saputo che non sarei potuto tornare. L’ho saputo per via di un trasferimento o un utilizzo e comunque in un modo o nell’altro la cattedra non era più disponibile e buona notte al secchio… perciò via, verso nuove avventure. Il cambiamento mi porta adrenalina. Oggi non riuscirei a immaginarmi per vent’anni nella stessa scuola, ma forse scrivo così perché questo è stato il mio percorso. Il mondo è pieno di “io non potrei mai!” e invece sappiamo che ci si adatta a tutto, anche a fare l’insegnante. Quando sento qualcuno che mi dice “ah, io non potrei 51 mai fare un lavo ro d’ u f f i c i o” mi girano le scatole. Sappiamo tutti e due che lo potrebbe fare. Per mangiare si fa di tutto. È che qualcuno ha la possibilità di scegliere… altri hanno la fortuna dalla loro… i più la prendono in saccoccia e sbarcano il lunario come possono. Non ci si lasci ingannare dall’articolo quattro della costituzione… belle parole… ogni cittadino deve concorrere allo sviluppo e al progresso materiale e spirituale della nazione… con il proprio lavoro che dev’essere quello che lui desidera e via discorrendo. Il settanta per cento degli insegnanti che ho conosciuto avevano altre aspettative professionali, ma per arrotondare hanno pensato all’insegnamento. Alla fine sono rimaste, ‘ste persone, con un mucchio di mosche in mano e una nomina a tempo indeterminato e allora hanno continuato a fare gli insegnanti. All’inizio dicendo massì, tanto poi lascio e divento ingegnere, astronauta, ricercatore eccetera eccetera e poi, a un certo punto, si sono accorti che erano passati vent’anni e che non si poteva andar più da nessuna parte. Alcuni però mi sono rimasti impressi, di colleghi, mentre con altri tre o quattro continuo a sentirmi regolarmente. Ricordo, ad esempio, una professoressa di matematica di Sesto San Giovanni… una dark lady. E’ difficile trovare una dark tra i colleghi. Lei era molto bella con questi occhi verdi e i capelli come la Valentina di Crepax ma non era questo il punto. Lei vestiva da dark ed era malinconica e spiegava le derivate quasi piangendo. Durante le interroga52 zioni assumeva un’espressione da fan dei Cure e quando le toccava fare un intervento in un consiglio di classe si schermiva e cercava di pronunciare meno parole possibili. Un altro collega che voglio ricord a re è Ig n a z i o Fragapane, un insegnante di fisica con cui ho lavorato a Limbiate. Ignazio era poliomielitico e per questo a volte la dolce marmaglia lo canzonava ed entrava in conflitto. Io ero il coordinatore di una seconda e quell’anno scoppiò una grana che riguardava alcune difficoltà tra le alunne e l’insegnante di fisica. Loro dicevano di non capire le spiegazioni e lui diceva che in classe era la baraonda a creare le maggiori difficoltà. Diomio, io coordinatore, ma si può!? Io già odio coordinare me stesso… eppure… eppure ogni tanto mi tocca. Parlai con le ragazze e chiesi loro due settimane di tempo. In pratica dovevano promettermi che per due settimane si sarebbero comportate correttamente senza far volare una mosca e se una mosca fosse entrata in aula bien, dovevano imporre il silenzio anche a lei. Dopo due settimane, se il prof non fosse riuscito a far capire qualcosa di fisica io mi impegnavo ad agire nei riguardi del collega. E intervenire come? Pensai… che faccio? Lo prendo a mazzate? Lo caccio dalla scuola a calci in culo? Mah! Vediamo. Alla fine delle due settimane però il rapporto tra lui e le ragazze era migliorato tanto che quando andò in Sicilia per un ponte lungo tornando nell’hinterland milanese portò alla classe i cannoli. Meglio così, no? Un giorno Fragapane non viene a scuola né avverte nessuno. Viveva da solo a Paderno Dugnano, in una zona a 53 rischio… ma in un modo o nell’altro si considerava autonomo. Il giorno dopo è ancora assente e allora alle 12.30 io e un collega andiamo a Paderno all’indirizzo che era segnato nel suo fascicolo personale in segreteria. Il palazzone delle case popolari sorgeva a ridosso della ex fabbrica Tonolli. Nella via scorticata all’osso si trovava stipato un angolo del mio Meridione, anche se ci trovavamo a nord di Milano. Panni stesi, braccia cariche di bambini e antenne televisive era ciò che riuscivamo a vedere mentre cercavamo di raggiungere via Cernaia 11. Insomma citofoniamo: nulla. Saliamo le scale e bussiamo alla porta: niente. Stiamo per andar via quando il mio collega nota una macchia di sangue sullo zerbino e subito scatta la telefonata ai carabinieri. Per farvela breve, visto che non è questa la sede per storie come quella di Ignazio, Fragapane era stato ucciso a colpi di bottiglia. L’appartamento frugato con discrezione. L’omicida lo aveva riempito di botte e alla fine gli aveva ficcato la manica di un maglione in gola, ma l’agonia del buon vecchio (51 anni anche se sembrava mio padre) Ignazio era stata lunga e dolorosa. I carabinieri rivoltarono come un calzino sia il quartiere che la vita di Ignazio. Era un brav’uomo con un’unica debolezza: i viaggi. Ogni volta che tornava da un viaggio all’estero portava dei doni. Il suo vicino di casa, un tipografo fallito, aveva ricevuto di tanto in tanto qualche moneta o qualche gingillo e si era fatto strane idee sulle ricchezze dell’insegnante. Fatto sta che proprio il vicino di 54 pianerottolo gli aveva sfondato il cranio con una bottiglia di birra rinforzata con del nastro adesivo e poi si era barricato in casa fingendo di essere partito da giorni. Ma alla fine, per una leggerezza commessa dietro lo spioncino della porta d’ingresso, si era fatto beccare e i carabinieri se l’erano portato a Opera. Un precario prese il posto di Ignazio e finì l’anno al suo posto. Un’altra collega che non dimenticherò facilmente è stata Rosanna, la prima collega che ho avuto in questo mondo di matti. Aveva due caratteristiche, Rosanna, regalava orchidee ed era nata per insegnare italiano. Il primo giorno di supplenza – ehi, bagaj, quanti ne avrei fatti! – le venni affidato dal gestore della scuola per farmi vedere cassetto, registro, aule e orario provvisorio. Avevo 24 anni e m’era toccata in dote una classe del serale fatta di camionisti e casalinghe e un paio di classi del diurno dove la dolce marmaglia divorava i banchi e succhiava i gessetti per la lavagna. Rosanna mi perse sottobraccio e mi spiegò come funzionavano le cose. “I ragazzi sono splendidi, vedrai! Un po’ vivaci ma sono come l’argilla e tu devi fare un lavoro di fino per plasmarli e renderli predisposti ad ascoltarti!” Io ero – e sono – un tarantino che andava malvolentieri in provincia solo perché un collega del tribunale mi aveva chiesto il favore di alleggerirlo di alcune ore di lezione visto che lui lo faceva solo per il punteggio. Ai tempi non avevo intenzione di fare l’insegnante – sì, proprio così, anch’io… uno dei tanti ancora qui – però mi stuzzicava l’idea di ritrovarmi dall’altra parte della barricata. Rosanna 55 mi fece vedere i suoi registri. Gesù! Erano sistemati in modo impeccabile, i nomi composti coi trasferelli, le penne di colori diversi a seconda della legenda che aveva creato sul retro. Di ogni alunno aveva un profilo psicologico e uno didattico. Io ero stravolto e confuso. Non avevo ancora un metodo mio che col tempo sarebbe venuto fuori naturalmente, ma sapevo che lei era un modello inavvicinabile. Aprì un cassetto e mi mostrò una caterva di relazioni supplementari a quelle richieste perché, mi disse, lo faceva per capire chi aveva di fronte. “Tu come pensi che ti muoverai?” mi chiese. E che ne sapevo? A stento ero in grado di distinguere un banco da una cattedra… avrei agito di istinto e poi avrei preso le misure cercando di far collimare le mie esigenze con quelle della dolce. In definitiva trascorsi due anni con Rosanna. Il suo modo di comportarsi e consigliarmi e supportarmi non mutò nel corso del tempo e mi accorsi che non ero l’unico che beneficiava dei suoi consigli. Lo eravamo tutti, là dentro. I ragazzi andavano da lei per un fazzoletto di carta, per un problema in storia o se erano stati mollati dalla fidanzata, i colleghi le chiedevano i programmi, le relazioni e il piano di lavoro e se c’era da coordinare un consiglio di classe state pur certi che lo avrebbe coordinato lei. Inoltre, di tanto in tanto, Rosanna si presentava a scuola con un’orchidea e la regalava a qualcuno. La prima volta che la donò al sottoscritto mi lesse in faccia uno sguardo perplesso. “Mi sa che non sei abituato a ricevere fiori… ma è una cosa bella, no?” 56 “Sai… sono uno di Taranto… del rione Montegranaro e da noi le ragazze più che fiori sono abituate ai mappini o ai baci trifolati e…” Ma Rosanna era già da un’altra parte a consolare un’alunna reduce da un tre in matematica e io con ’st’orchidea in mano cercavo di capire come stavano le cose. A distanza di vent’anni so solo che Rosanna insegna a Belluno. S’è sposata, ha avuto un paio di figli ed è entrata di ruolo – beata lei! – una decina di anni fa. Sono sicuro che anche in Veneto, anche in mezzo ai ladini Rosanna ha continuato a fare la prof a tutto campo e non ho dubbi che i fiorai di Belluno hanno incrementato i loro profitti da quando la ragazza di Ginosa ha messo piede nel provveditorato di via Mezzaterra. Trattatela bene. 57 Capitolo dieci Fa tutto schifo… va tutto bene… Sono uno all’antica. Sono uno che vede le cose con occhio romantico anche là dove di romantico non c’è nulla. Nella letteratura, nel rapporto coi figli, nei rapporti con gli amici vedo le cose sotto un’ottica magica. Questo, mi rendo conto, è un grave errore perché poi la vita è un uncino che gratta il terreno brullo e pietroso e allora un po’ di sano senso pratico non fa mai male. Anche per il mondo della scuola tendo a scivolare in una visione magister allievo… scuole peripatetiche con Aristotele che se la passeggia sotto gli ulivi e i giovinetti a sgambettargli dietro… storie tipo L’attimo fuggente… Capitano! Oh mio capitano eccetera eccetera. Mi rendo conto che le cose non stanno in questi termini e che in realtà c’è la dolce marmaglia che si trascina in classe perché così va il mondo e i docenti devono tenere sotto controllo il bisogno primario che è quello del salario da portare nel nido di competenza. Ma credo che tutte le esagerazioni sia forzate. Ormai sono entrate nel linguaggio ufficiale e nel gergo di tutti i giorni parole come utenza, prodotto, valore 58 aggiunto, visione aziendale del sapere e via dicendo. È il fallimento. Nel momento in cui pensiamo ai presidi come dirigenti scolastici e alle scuole organizzate e tirate su come aziende abbiamo snaturato la peculiarità della faccenda. Qui non stiamo assemblando una Fiat 500. Qui non c’è un prodotto da montare perché noi sappiamo che la dolce marmaglia a distanza di un mese dell’enfiteusi ricorderà solo questo nome un po’ ridicolo. In realtà noi attraverso l’enfiteusi, il contratto di somministrazione, le derivate, il corpo umano, l’Adelchi, la Grande Guerra e la corsa a ostacoli stiamo creando un battito… un respiro… uno stile, una specie di sostrato tipo carta moschicida su cui poi si spera attecchiranno nozioni e abilità che la dolce marmaglia svilupperà attraverso percorsi complessi e diversi nella vita. Mi fa venire il male sentir, invece, gente che parla della scuola senza sapere di cosa sta farfugliando. Ignoranti – nel senso che ignorano – di un mondo fragile, una specie di ecosistema da mato grosso dove strappi una foglia e vien giù una cascata di fango; dove sputi su un millepiedi e si sveglia un puma. Parlano di contratto formativo, di azienda scuola, di patto con gli studenti quando in realtà tu entri in classe ed è come se aprissi uno scrigno e cercassi di capire quante pietre preziose, quanti pezzi di vetro e quanta paccottiglia hai davanti. E invece niente… dobbiamo somministrare il prodotto scuola, offrire standard, tesaurizzare le competenze… ma 59 dove? Con chi? Ci sono delle realtà in cui, dopo tutte ’ste fesserie i professori si devono rimboccare le maniche e diventare assistenti sociali, madri, padri, zii e nipoti al tempo stesso perché di fronte si ritrovano devastazioni umane impressionanti. Tu sei lì, solo, e davanti hai una ragazza di diciott’anni con la famiglia all’aria, un presente tossico e un futuro a doppio punto interrogativo e il deserto dei tartari intorno. E allora? Allora cosa fai? Gli sommi nistri le conoscenze didattiche le offri il prodotto diritto piuttosto che il prodotto stage… ma, a dire il vero bisogna vedere perché dipende dal budget che abbiamo a disposizione quest’anno… ti sapremo dire!? Umanità! Qui siamo tutti i giorni a contatto con umanità, con microcosmi che se ti avvicini ad alcuni di loro a volte potresti solo fuggire via o rinnegare gli dei a cui sei votato per manifesta ingiustizia umana. Questo è il campo di battaglia. Altro che prodotti, brochure, open day e fumo negli occhi. E a proposito di budget si sa che nella scuola i soldi sono pochi, ma come in tutti gli ambienti in cui i soldi sono pochi gli sprechi ci sono, eccome. È paradossale che si finisca per borbottare che tutto fa schifo quando siamo all’opposizione e che si tranquillizzi la nazione tanto tutto va bene quando siamo i legislatori di turno. Le scelte poi si fanno sulla pelle di persone… carne, ossa, muscoli, tendini. Ci sono soldi che ci passano sotto il naso, a noi precari dell’ultim’ora… ci sono stipendi che si gonfiano, compe60 tenze, funzioni, dettagli, ore supplementari, progetti di cui uno come me nove volte su dieci non sa nulla. Ma poi arriva un pinco pallino qualunque e mi chiede di far sacrifici e mi dice “ehi, bello mio, a te l’estate non la contiamo, perché, sai… dobbiamo risparmiare… e gli esami di maturità li paghiamo uno sputo perché… sai com’è! i soldi non ci sono…”. Poi leggo che c’è gente che dichiara di aver fatto 300 ore “…sai di che cosa, no?”. No. E arrivano in busta bei denari che non risentono di crisi, congiunture economiche negative e salto lira euro. Un anno ho assistito a un regolamento di conti in pieno stile far west tra due insegnanti che si contendevano un progetto. Cento ore a proposito di non ricordo più cosa. C’erano di mezzo dei fondi della provincia e i due se le davano di santa ragione. Un bidello era intervenuto a separarli mentre io me ne stavo in un angolo a mangiare un ovetto Kinder in attesa dell’inizio di un consiglio di classe. Un quarto d’ora dopo arriva il preside, un uomo che, a dispetto del ruolo odioso per statuto, della serie controllore sul pullman, era una persona equilibrata. Be’, per chiuderla vi dirò che fu costretto a convocare in presidenza i due e a uscirne dopo un paio d’ore con duecento ore di progetto e a quel progetto vennero assegnati Pecos Bill e Billy the Kid, cento ore a cranio. 61 Capitolo undici Dimmi a chi sei figlio e ti dirò chi sei Nell’orario settimanale c’è una casella che mi manda a male più di tutte le altre caselle messe insieme. Quella occupata dalle lettere RP. Il ricevimento parenti è un supplizio di Tantalo che molti insegnanti vorrebbero evitare ma che fa parte delle incombenze professionali. I genitori! Diavolo, ora che lo sono anch’io mi rendo conto che questo è un terreno in cui muoversi è molto difficile. Si tratta di una vera spina nel fianco di ogni preside e di ogni prof di questa terra. I genitori, secondo l’accezione moderna, sono l’utenza. In vent’anni giuro che ne ho visti di tutti i tipi… alti, magri, belli, brutti, violenti, remissivi, polemici, esauriti, depressi, combattivi, pazzi furiosi, responsabili, stolti, esibizionisti, millantatori, mafiosi, oltranzisti, patriottici, avvinazzati, equilibrati, mediocri, colorati, variopinti, lussureggianti, libidinosi, felliniani, onesti, intelligenti… Ci sono delle macrocategorie che si perpetuano negli anni e poi ci sono le variabili impazzite che rendono la vita 62 difficile agli insegnanti ma soprattutto ai presidi. Io sono entrato nella scuola forte del ricordo dei miei, di genitori… gente all’antica pure loro come me, gente che qualunque cosa succedesse era sempre colpa del figlio, cioè colpa mia, perché un adulto va rispettato a prescindere e la scuola è una palestra che ti serve per ciò che diventerai dopo, e che si impara di più dalle sconfitte e dalle ingiustizie che dalle vittorie e dalle soddisfazioni. I genitori con cui ho avuto a che fare io invece sono, nella stragrande maggioranza dei casi, degli ansiosi pronti a coprire i figli a oltranza. Vittime del loro modo assente di gestire la famiglia, si emendano diventando complici della dolce marmaglia. “Signora, sua figlia ha bigiato il giorno della verifica e io l’ho beccata in stazione e adesso si configura un’ipotesi di sospensione e…” “Nooo! No, professore… io! Sono stata io a chiederle di andare dalla nonna… l’ho costretta a non venire! Aveva mal di pancia, sa… le sue cose… prof, le giuro sulla tomba di mia madre che Miriam è una ragazza adorabile e non bigerebbe mai e poi mai!” La frase classica che fa da presupposto al bluff è “non perché è mia figlia, ma!”. Dopo quel ma potete sentirvi dire di tutto… che è un genio, una dea, una creatura elfica, che possiede un’intelligenza mostruosa ma adesso è innamorata, deve prendere la patente, deve risolvere situazioni emotive… deve salvare la terra dai marziani e chi più ne ha più ne metta. I genitori si dividono in varie categorie: 63 – i genitori dei bravi che si vengono a far dire quanto è bravo suo figlio che poi sottintende ma che diavolo sei venuto a fare qui, i voti sono buoni, comunicazioni non ne hai avute, potevi risparmiarti ’sta sfacchinata – i genitori dei geni incompresi… mio figlio è uno scienziato ma ha sbagliato scuola e non lo vuole capire – i genitori abbagliati. “Signora, suo figlio è stato bocciato in prima, in seconda, in terza rischia di ripetere… secondo me dovete trovargli una collocazione migliore, non so, magari cambiando indirizzo scolastico…” “ma prof, che dice? Sono gli insegnanti che gli hanno fatto perdere gli anni. Quello di matematica di due anni fa lo odiava, quello di scienze dell’anno scorso ce l’aveva con lui, quello di economica di quest’anno lo ha preso sulla punta del naso fin da subito… ma lui è tanto bravo… se ne sta tutto il giorno chiuso in camera sua a studiare?” “studiare cosa, signora?” “ E che ne so? Mica faccio l’insegnante, io… ma vedo che sta lì, davanti al computer che gli abbiamo comprato che lui voleva tanto” “ah, beh, abbiamo capito, allora!” – i disperati. “Prof, mi dica lei che devo fare. È il doppio di me, nemmeno a suo padre ascolta. E sì che gli diamo la macchina, la paghetta… ma gliel’ho detto… Michele, se non studi quest’anno ti tolgo macchina e tutto il resto… eppure è un peccato perché lui è un ragazzo d’oro!” “Signora, ha la media del 3 e ha sfasciato una doccia nel centro dove vanno a fare educazione fisica!” “Ma quello, prof, si sa, sono giovani… io non so che devo fare” – i violenti. “Professore come va il ragazzo?” dicono 64 tenendo il figlio per una spalla… “Male!” Sblaaaaaaam! – i supplicanti. “Prof… me lo salvi! Lo mando a lavorare, ma me lo salvi, la prego!” “Signora, ha 2… se lui fa qualcosa poi un aiuto glielo diamo, anche perché ha 23 anni ed è ancora in quarta…” “Sì, lo so… ma voi sapete come fare, no?” Il più delle volte sono vittime e carnefici frullati insieme, i genitori. Mazza e panella non vanno più bene, capisco. Ci si vanta di non aver mai sfiorato i propri figli oppure ci si vanta di riempirli di botte per fargli capire il senso della vita. Ma si cercano surrogati alla presenza costante che ormai non esiste più perché i padri e le madri – e direi anche le nonne e i nonni – sono troppo impegnati a far soldi, a tirare avanti o semplicemente per realizzarsi per stare ad ascoltare i propri figli. Quando vedo una ragazza in difficoltà succede che mi ponga un po’ di domande. Quando vedo i genitori non me le pongo più. Sono loro la carta d’identità della dolce marmaglia. Non c’è dubbio. Possiamo vederla in mille modi diversi e adottare decine di strategie ma quando osservo i natali i pezzi del puzzle tornano tutti al loro posto. Le chiacchierate coi genitori mi stancano. Mi distruggono. Uno cerca di essere diplomatico perché anche le pillole più amare devono essere somministrate con un tot di granelli di zucchero ma loro spesso non ti ascoltano. Prim’ancora di arrivare da te si sono già schermati attraverso dei convincimenti che gli servono per rimanere aggrappati a un barlume di dignità parentale e allora tu che dia65 mine vuoi? Spiegagli l’irretroattività della norma e zitto. Muto. Al resto ci pensiamo noi. Amen. 66 Capitolo dodici Famiglie atto secondo… Capisco che la Gelmini potrebbe incasinare alcune famiglie che sul tempo prolungato hanno edificato il loro stile di vita. Madri che lavorano, padri in trasferta, nonne ai corsi di danza del ventre… nonni ai tornei di palla avvelenata… la scuola è una buona soluzione per sdoganare i figli. C’è chi si indigna e c’è chi ne fa una ragione di vita. Ormai, a 45 anni, mi sono reso conto che tutti hanno ragione. Sono secoli che non trovo qualcuno che mi dica “diamine, ho torto, sono un cretino, non ho capito niente!”. Nulla da fare. Tutti scienziati e depositari della verità. La questione è complessa perché le madri lavoratrici sono un dato di fatto. La scuola, dunque, soprattutto per i più piccoli, è un’ottima alternativa al divano, alla tivù e alla cocacola con i popcorn. Io non so se l’eliminazione della molteplicità di maestri nelle elementari creerà un danno nell’orario. Presumo di sì perché le risorse delle singole scuole sono sempre al limite, ma chi se lo può permettere sta già prendendo le contromisure. 67 Si prevede, ad esempio, che le iscrizioni presso le scuole private avranno un incremento del 25%. Già la gente comincia a informarsi, a pre-iscrivere, a sondare, a domandare. Del resto i nostri politici, a qualunque schieramento appartengano, per i loro figli scelgono le private… ovvio, gliela paghiamo noi, la retta! Altri genitori sono scesi in piazza a manifestare. Altri ancora attendono il verdetto legislativo con ansia. Molti genitori si stanno indirizzando verso le scuole private per via del terrore della convivenza dei loro pargoli con bambini extracomunitari. “Non gli fanno festeggiare il santo natale!” Io, sia da alunno che da insegnante, ho provato sia le scuole private che quelle pubbliche. Al di là di poche sacche d’elite credo che le private siano più scarse dell’istruzione pubblica non foss’altro che per via di una tradizione costituzionale del nostro paese. Quanto ai bambini extracomunitari non conosco formule per tenere i nostri figli lontani dal fiume in piena, ma una cosa è certa: l’equazione straniero delinquente ce la stanno ficcando nel cervello a forza di calci nelle onde cerebrali, ma il mondo è altro. Da sempre i flussi migratori hanno spinto masse di gente verso il pane. Dove c’è il pane arrivano le bocche da sfamare. Tra tante bocche ce ne sono di pulite e di guaste. Quella guasta manda in pezzi l’immagine del paniere. Certo, mi rendo conto che questo lo puoi dire per principio ma poi quando uno vive sulla pelle i ghetti è un’altra 68 storia. Io sono un meridionale arrivato in Brianza nel ’90. Mi hanno raccontato i vecchi sudisti arrivati qui negli anni ’50 e ’60 che all’inizio la gente del posto non affittava case né voleva contatti con loro. Oggi, pur essendoci quelli che la vedono come allora, c’è una tale integrazione fatta di gente che s’è innamorata, sposata e partorito sull’asse SondrioFavignana che la questione è diventata buona solo per gli slogan. L’anno scorso avevo in classe ragazze di posti diversi della terra. C’erano nei miei otto registri nomi ucraini, polacchi, croati, sloveni, rumeni, cinesi, pachistani, iraniani, albanesi, cingalesi, russi, montenegrini, vietnamiti, argentini, egiziani, colombiani, brasiliani, cubani, equadoregni, dominicani, indiani, bulgari, peruviani e c’era anche una ragazza tarantina che mi fa piacere nominare ma che non conto in questa breve rassegna. Questi non sono merda, signori miei, son persone come i brianzoli, i bergamaschi, i vastesi o i cittadini di Noicattaro. Inoltre c’è un dato di fondo: il mondo che ci aspetta è quello che Philip Dick e Ridley Scott hanno ipotizzato in Blade Runner. 69 Capitolo tredici Consigli… per gli acquisti? No, di classe Il Consiglio di classe è sovrano, si dice. Nel Consiglio di classe si affrontano tutti i problemi e tutte le questioni interne alla classe. Il Consiglio di classe, quest’organo formato da tutti gli insegnanti – sì, pure noi supplenti, certo – e a volte anche dai genitori e dagli alunni, sia rappresentanti sia nella loro totalità, rappresenta il momento in cui la famiglia lava i panni sporchi. Furti di cellulari, alunne vessate, cambi di posto che quelle due chiacchierano troppo, programmi, voti, situazioni familiari come attenuanti generiche e specifiche per questo o quella, “mi hanno rubato la merendina!”, l’andamento degli ultimi due mesi e così via… tutti argomenti trattati in consiglio. Il consiglio chiuso è riservato ai soli insegnanti; quello aperto prevede anche le altre componenti. Di solito i genitori disertano a meno che non ci sia un prof da mettere alla gogna. La dolce marmaglia invece partecipa solo se si tratta di approvare le gite o lamentarsi per il carico di compiti. A volte i consigli sono snelli ed efficaci. Altre volte si trasformano in cortiletti pettegoli o in lapidazioni pubbliche. Ricordo un anno a Cinisello quando venti 70 madri infuriate aggredirono un prof di tedesco. Il prof era fuso di suo a causa di un lutto in famiglia e s’era perso nei meandri di non so neanche io cosa e si sa, quando nel branco c’è un animale ferito, i predatori è lì che attaccano nei momenti di magra. E quindi la dolce marmaglia si era ammutinata e lui aveva fatto fioccare voti rasoterra per ristabilire le distanze pronto a far risalire la china a quanta più gente possibile. Quest’uomo era un precario di 55 anni. Già questo mi sconvolgeva perché ai tempi di anni ne avevo 27 e pensavo che il garzone di bottega lo si poteva fare per tre, quattr’anni, non di più. Il prof non fece in tempo, in consiglio, a dire “non preoccupatevi, ho annullato tutti i voti” che un drappello di signore imbufalite lo aveva messo all’angolo e lo stava riducendo a un mucchio di detriti organici. Ci sarebbe voluto l’intervento di Amnesty International, altro che, perché qui eravamo ai livelli di Aisha… pubblico ludibrio e lapidazione a oltranza, e noi da soli non riuscivano a difenderlo, il reo. In un’altra occasione due madri si presero a schiaffi perché le rispettive figlie uscivano con lo stesso ragazzo che era di una classe terminale. Una delle due accusava l’altra di permettere alla figlia di vestire in modo succinto e l’altra dava senza mezzi termini della puttana alla compagna di classe della figliola per via del furto con scasso del fidanzato in oggetto. Poi si venne a sapere che il giovanotto aveva preso il largo con una terza allieva della scuola, suffragando il famoso detto che tra le due litiganti… I consigli di classe rispecchiano la personalità dell’inse71 gnante che ne è coordinatore. Se il coordinatore è una persona spiccia e pragmatica tutto bene perché in un’ora e mezza si riesce a dire quello che va detto e si tirano le somme; se il coordinatore è dispersivo si va alle calende greche e a un certo punto si formano i sottogruppi che chiacchierano di pasta al forno, dell’ultimo film di Mazzacurati o della roulotte in vendita a Novedrate. Quando il consiglio è aperto ai genitori e alla dolce gli insegnanti assumono pose più da prof proferendo frasi di circostanza. “Grazie di essere venuti ma non abbiamo niente da dirvi se non sapere se approvate i nuovi testi in adozione ma tanto non serviranno ai vostri figli.” I genitori all’inizio sono intimiditi, ma se uno rompe gli argini poi c’è il rischio che ci rompano le ossa a tutti. Una domanda tipica è: “Si spera che quest’anno finisca la girandola dei supplenti… non se ne può più. Mia figlia ha cambiato tre insegnanti di diritto in tre anni”. Di solito quelli di ruolo fanno di sì con la testa, che quella dei precari è una sfiga che quel corso si porta dietro da anni. Noi, i vagabondi dal registro fugace, sorridiamo come ebeti. Cosa dovremmo fare? Rispondere “Signora, se non ci fossi io qua sua figlia non farebbe una materia prevista nel monte ore… faccia lei!”. No. Si sta zitti, si sorride, si fa finta che tutto va bene e che dai, forse l’anno prossimo arriva una di ruolo così io vado a fare in culo e tu sei contenta che almeno gli ultimi due anni tua figlia li faccia con una prof fissa. Che altro possiamo dire? Quando in un consiglio di classe fa capolino il preside 72 la gente si sistema le cravatte, si aggiusta i colletti dei tailleur e si passa una mano sull’orlo della gonna per capire se è composta. Di solito i presidi sfiorano i consigli di classe tanto poi i conti si faranno agli scrutini e lì ce la dichiareremo e vedremo i buoni e i cattivi. Nel frattempo grattatevela voi ché io ho un mucchio di cose da fare. Appena il dirigente esce dall’aula dove si tengono i consigli le gambe si stendono e partono le imprecazioni. Così, a prescindere. Per statuto. Negli ultimi anni sono arrivati i computer che una volta su due non funzionano ma che quando funzionano è anche peggio perché molti di noi si accostano questi aggeggi infernali con la reverenza di un prete di fronte all’altare. La dolce marmaglia presente ai consigli di classe sembra in visita allo zoo. Ci guardano, gli alunni, come fossimo esemplari in estinzione – mai abbastanza, immagino – e commentano tra loro la collana della prof di italiano e la buccia di mandarino che spunta dalla tasca di quello di disegno. Un intervento tipico è quello ad personam. “Allora”, dice il coordinatore, “come sempre nei consigli di classe si tratteranno casi generali che riguardano tutta la classe. Se ci sono problemi individuali con singoli docenti o che riguardano un alunno in particolare ci sono i colloqui del ricevimento parenti. Bene, fatta questa permessa passiamo all’ordine del giorno che prevede l’approvazione dell’uscita did…” Una mano alzata. Una signora di mezz’età con gli occhi scuri e i capelli biondi. 73 “Mi dica, signora!” “Mia figlia Carlotta, come va?” A loro delle questioni della classe non frega nulla. Vogliono sapere se il cinque e mezzo della figlia passerà a sei… questo vogliono sapere. Né interessano tutte ‘ste menate sulla didattica e sul tipo di apprendimento tanto “poi al negozio di lavatrici del padre, lì le tocca!”. Le madri sono molto più presenti dei padri, durante i consigli, e la loro quantità diminuisce all’aumentare della classe. Molta gente in prima, meno in seconda, pochi in terza, nessuno in quarta… in quinta non vengono neanche gli insegnanti… no, scherzo! Quando poi il consiglio ha termine c’è l’assalto. Già che sono lì le madri chiedono ai singoli insegnanti come vanno i figli. Tu però ti smarchi alla grande se subito dopo inizia un altro consiglio. Di solito si mettono per ultimi quelli delle quarte e delle quinte per il motivo evidenziato sopra. Ma a volte le madri non demordono e ti marcano stretto e ti spingono verso un angolo dell’aula e lì ti stringono d’assedio chiedendoti in sostanza se hai intenzione di rovinargli le vacanze con un debito alla figlia. E quando alla fine capiscono che farai di tutto per non lasciar macerie in giro se ne vanno soddisfatte e, possibilmente, rimborsate. 74 Capitolo quattordici Che ci faccio io qui? Conoscevo un tale, qualche hanno fa, che aveva una Tipo azzurra di dieci anni e in un’occasione feci un viaggio Taranto-Milano a bordo del suo mezzo. E siccome in autostrada andava a settanta all’ora mi ricordo di avergli domandato il perché. “La macchina è in rodaggio!” “In rodaggio?” “Eh! Sul libretto così c’è scritto… più il rodaggio è lungo e completo, meglio andrà la macchina.” Aveva raggiunto i 120mila chilometri e la povera Tipo, sottosforzo, non aveva mai superato i cento all’ora… per dieci anni. Devo dire che è così che ci si sente, da precario. Un apprendista stregone che va avanti a oltranza, un giovanotto di bottega che resta tale per tutta la vita… un lattaio in prova che consolida la sua instabilità. Un anno, a Monza, siccome la persona che sostituivo chiedeva quindici giorni alla volta arrivai ad accumulare una cinquantina di nomine. C’era questa valanga di carta conservata in una cartella rossa con l’elastico azzurro. E alla 75 fine neanche la cartelletta ne poté più e l’elastico si spezzò. I fogli vennero fuori zampillando sul pavimento. La segretaria si chiamava Anna e ogni volta che andavo a firmare una nomina mi guardava e “Che rabbia, Argentina, e pensare che i soldi si buttano via per un sacco di cazzate e sembra che è su di te che devono fare tutto il risparmio del mondo!”. Io ci ridevo su. È sempre stato così. Ridere delle anomalie del sistema e non farsi stritolare. Il precario doc, quello che ne ha viste tante, si trasforma in un clown filosofo… prendete e cibatevi del mio voto di laurea, della mia abilitazione col massimo dei voti… eccomi a voi… spidocchiate il mio fascicolo personale, tanto io vivo un anno alla volta. Un colpo per volta. Un vagabondo delle stelle è così. Arriva, si spara un anno scolastico e poi saluta e via, un’estate pericolosa in attesa di settembre. E a volte settembre non arriva mai. Soprattutto quando hai figli settembre non arriva mai. Arrivano le bollette, quelle sì che arrivano. Arrivano le multe, il condominio, l’affitto, la parcella dell’avvocato (ma prof, perché non ha fatto l’avvocato che guadagnava di più? … questa una domanda tipica della dolce… perché voglio scrivere e poi gli avvocati vestono male!). Ma da precario ho sempre cercato di sorridere sull’onda anomala e cercare una via di fuga nei campi quando proprio le cose si mettevano male. Se poi si aggiungono un paio di angeli custodi il gioco è fatto. La riforma, dicono, metterà in ginocchio il precariato. Altri ministri lo hanno fatto, non avevamo bisogno di 76 Maristella. Lei sta facendo la sua parte nel complicarci la vita… si parla di stipendifici ma non si dice che gli insegnanti di religione sono pagati dallo Stato mentre altrove non è così e che i prof di sostegno sono pagati dalla pubblica istruzione e non dalla sanità pubblica come in Germania, ad esempio o come in Inghilterra.. Si vomitano parole di fuoco sul Sud ma questo è il modo più stupido di risolvere le questioni, un modo che vuole metterci gli uni contro gli altri e invece le cose non stanno in questi termini. Io che ho insegnato a Taranto e a Milano non noto tutte queste differenze… posso notare livelli diversi tra un liceo classico e un Ipsia di frontiera e anche lì, umanamente, non saprei chi scegliere e anzi forse lo so ma me lo tengo per me. Insomma spesso e volentieri quelli che sono al di sopra di noi sono molto più scarsi e fuori dal senso delle cose rispetto a chi agisce sul campo. Capisco che ormai la trippa è finita e i gatti miagolano, ma recuperare pane e companatico sempre dalle stesse classi, dai lavoratori dipendenti e da quei quattro pezzenti che pagano le tasse mi sembra un segno di debolezza, di fragilità del sistema che non è in grado di assumere un valore sociale e perciò preserva quattro figli di buona donna e dà nelle orecchie agli altri. La scuola resta un punto cruciale della nostra vita. Io ho legami che, dico spesso, risalgono ai tempi della scuola. Il mio compagno di banco fa il chirurgo a due passi da qui ed è ancora oggi Riccardo, il mio compagno di banco. Benché ferita ’st’istituzione cerchi di difendersi e se proprio dovete mandarla all’aria ditemelo subito che mi apro un 77 chiosco di bibite sulla spiaggia di Corralejo, Fuerteventura, come ha fatto un mio amico ex insegnante di inglese. 78 Capitolo quindici La scuola che vorremmo? Quien sabe! In un articolo del 2 novembre 2008 un portavoce di Bankitalia afferma, dopo uno dei soliti studi approfonditi, che i ragazzi che hanno come insegnanti dei precari sono più portati alla dispersione scolastica. Anche Bankitalia s’accanisce, insomma… il sistema creditizio italiano è alle cozze, il popolo dei risparmiatori è stato preso per il collo e Bankitalia si concentra sui precari. Mutui, fondi comuni di investimento, titoli criptici e indecifrabili sul bancone e si gingillano coi dati sui supplenti. Forse noi precari diamo fastidio perché per le banche siamo carne bruciata. Non facciamo investimenti e ci teniamo stretti quei quattro quattrini per tirare alla fine del mese e non compriamo case e non cambiamo l’auto a ogni rottamazione sponsorizzata dallo Stato. Forse Bankitalia vede in noi un mucchio selvaggio che non fa ingozzare i propri manager ma che sopravvive come una tribù di zulù in via di estinzione che resiste asserragliata nella foresta cibandosi di radici e topi morti. E comunque l’instabilità a cui sottoponiamo la dolce marmaglia non la vogliamo certo noi supplenti. Quello 79 che noi chiediamo da anni, da sempre, è regolarizzare le posizioni acquisite, i diritti acquisiti… niente regali, Bank, solo quello che ci spetta in base a concorsi vinti, corsi abilitanti superati e terreno grattato con le unghie. Qui non c’è un problema ideologico… le ideologie hanno rotto perché creano illusioni e nelle illusioni ci sono quattro panzoni che s’arricchiscono e il resto del popolo che boccheggia. Le ideologie le lasciamo ai leader, ai grandi manager, a chi gestisce le grosse grasse riserve auree. Noi vorremmo insegnare le nostre due nozioni in santa pace ed essere pagati a fine mese ma non per edificare imperi, no… quelli li lasciamo ai compari di Bankitalia, ma per vivere in modo dignitoso anche in estate e non dover gravare a cinquant’anni sul bilancio di genitori pensionati – e sì che loro la pensione l’hanno conquistata – che per quanto longevi non sono delle sequoie. Questo vorremmo. Vorremmo una scuola semplice. Fateci stare più ore sul posto di lavoro, ehi Maristella! non è questo il problema, anzi… così almeno i commercialisti, gli ingegneri, gli avvocati e tutti i prof che vedono la scuola solo come riempipista per pagarsi il 730 andrebbero fuori dalle scatole… Ma dateci uno stipendio adeguato agli anni di studio sopportati e poi potrete pretendere quello che vorrete. Dateci la possibilità di aggiornarci e dateci aule mica spaziali… basterebbe una lavagna luminosa e un computer mezzo scassato che noi siamo gente alla buona e potremmo accontentarci. Snellite le procedure burocratiche e liberate le iniziative dei docenti da tutta una serie di fardelli e bal80 zelli dove la carta bollata la fa da padrona e tutto il resto non conta. E invece negli ultimi anni non ho visto che appesantire la macchina creando confusione e dispersione e, immagino, perdita di danaro pubblico. Come la faccenda della qualità. Se basta copiare i programmi su una carta intestata della scuola per ottenere il crisma della qualità non mi pare tutta questa prodezza… serve solo a quattro parrucconi che sguinzagliano i loro scagnozzi a controllare che tutti i timbri siano stati apposti. Una barzelletta. E la qualità dov’è quando, avendo tagliato i fondi e costringendo i presidi ad assegnare cattedre complete, non c’è nessuno in grado di coprire gli insegnanti assenti – ebbene sì, ministro Brunetta, ci ammaliamo anche noi, con lei forse di meno, ma ci ammaliamo comunque – con la conseguenza di avere classi scoperte e dolce marmaglia allo sbando? Domande retoriche, lo so… domande insulse e allora forse è meglio concentrarsi su di loro, sulla dolce, perché alla fine tutto ’sto ambaradan viene messo in piedi per allevare cuccioli di uomo e di donna e irrobustirli prima che becchino gli schiaffoni dell’esistenza. A questo serviamo. Non le tabelline né la parafrasi, ma irrobustire la mente, crearsi uno stile, un potenziale, scoprire attitudini, comprendere eventualità umane che possono essere alla portata, abituare al sacrificio, alla conquista ora di un sei in diritto, domani magari di qualcosa di più stimolante. Tutto per loro. Sono loro, la dolce marmaglia, il mio pane quotidiano. Sono un dio cannibale che si ciba delle loro 81 esistenze e loro sono degli immortali che mandano in pappa il cervello dell’insegnante. Infatti, anche se adesso vi farete una crassa risata, l’insegnamento è considerata dagli psicologi – e dagli psichiatri – un lavoro usurante. Il cervello va in fumo… la capoccia salata in aria. Uno dei motivi credo sia legato a questa contrapposizione, questa sorta di battaglia sotterranea che si combatte con la dolce. I voti in pratica condizionano tutto. Del resto senza i numerini non sapremmo cosa fare. S’è provato con arzigogolati giudizi ma credo che alla fine il voto sia più onesto. Un secondo motivo, almeno per il sottoscritto, è l’immortalità della controparte. Dio mio ho iniziato a insegnare nell’88 e avevo venticinque anni e i ragazzi di quarta avevano diciassette anni e quelli di prima avevano quattordici anni. Oggi ne ho quarantacinque, di anni, ma loro sono degli immortali, dei Connor MacLeod reincarnati… le ragazze di quarta C infatti hanno anche quest’anno diciassette anni e le ragazze di prima C hanno quattordic’anni… questo spacca. È come allontanarsi da una terra. E la terra sta sempre là mentre tu vai verso una strana deriva dove i legami con il mondo emerso si assottigliano e resti un po’ preoccupato per via dei rifornimenti. Ecco, se fossi un ministro penserei a questo. Un prof di venticinque, trentacinque anni può dare il meglio, uno a sessantacinque può essere in gran forma e giocarsi l’esperienza, ma aumentano i rischi di incomprensione con la dolce marmaglia… E allora ipotizzerei un cambio, una 82 mobilità tardiva nella pubblica amministrazione e un ricambio generazionale più ampio. Ma questo, si sa, è un film che non vale nemmeno la pena pensar di girare. 83 Capitolo sedici Max “Ehi Max, come te la passi?” Al telefono la voce di un mio vecchio collega che non sento da un po’, uno sempre molto aggiornato sugli eventi che riguardano la scuola. “Bene! Argentina… e il bimbo?” “Bene Max… ma adesso sono due, abbiamo raddoppiato… oltre al buon vecchio Francesco che ora ha cinque anni e mezzo abbiamo Milena, nuova di pacco, dieci mesi, nove chili di roba che mi gattona in casa.” “Cristo Santo, Argentì… un precario che fa un secondo figlio! Sei impazzito?” “Sì Max, quello è: pazzia! Tipo Leonida in 300… due spartani in casa e il borsellino che piange anche grazie alle ultime novità che mi sa sono mica da ridere.” “Sei un pazzo… lo sei sempre stato, in fondo… senti, ma vai a Taranto?” “A Natale, spero… ora sto finendo un pamphlet sulla scuola e volevo chiederti che ne pensi della situazione attuale… io mi sono fatto un’idea ma sai com’è, tu sei un caterpillar dell’informazione scolastica… perciò… per 84 esempio, che ne pensi della Gelmini, non come donna intendo, come legge? Vedi cose buone? C’è l’inghippo?” “Di positivo secondo me, Argentì, c’è il ritorno alla valutazione numerica nelle primarie e nelle medie inferiori, nonché la parte riguardante la condotta. Di negativo c’è la riforma del maestro unico o prevalente introdotta a solo scopo di contabilità, anche se in linea di principio non sono contrario.” “Ma tu, buon vecchio Max, pensi che la nostra posizione migliorerà con questa riforma?” “Non ho ancora ben chiara la parte che mi coinvolge direttamente perciò non mi pronuncio in modo definitivo, ma già il fatto che non ci ho capito molto la dice lunga.” “Tu da quanto tempo insegni, Max? E secondo te la situazione è migliorata negli ultimi 15 anni?” “Purtroppo insegno da più di 15 anni. È senz’altro peggiorata, Nella scala sociale siamo scesi agli ultimi posti e siamo considerati negativamente da diverse famiglie e alcuni studenti per questa ragione. Mi hanno chiesto dei ragazzi; “Perché non ha fatto l’avvocato? faceva più soldi”, capisci?”. “Sì, lo chiedono pure a me! Perché secondo te, Max, nell’immaginario collettivo esiste il convincimento che noi non facciamo un cazzo dalla mattina alla sera?” “Purtroppo alcuni colleghi fanno nascere questo convincimento, non facendo un tubo ed elargendo 6, 7 e 8. Purtroppo l’esempio negativo colpisce più del positivo, da sempre!” “Max, ti faccio ancora un paio di domande e poi ti 85 lascio che Milena sta strappando i compiti in classe della seconda C… Con lo stipendio da prof di ruolo – cosa che io mi sogno – che vita ti permetti?” “Molto spartano, ho ridotto molto la soddisfazione dei bisogni secondari.” “Be’, del resto sei uno di Taranto anche se vivi qui in Lombardia. Perciò un po’ spartano lo sei dentro, no?” “Se la cosa ti fa ridere e ti fa piacere, Argentì!” “Cazzo, ma non sorridi mai?” “Non quando si affrontano ’sti temi!” “Max, sinceramente. Tornando indietro faresti l’insegnante?” “Sì, penso di sì.” “Ehi Max… un’ultima curiosità perché vedo che Milena si sta mangiando il compito di Erika dopo aver sbafato quello di Zorro.” “Zorro!” “Sì, la chiamiamo affettuosamente così, ma mica si chiama Zorro sul serio! Allora… se avessi la possibilità di dire qualcosa a Maristella, cosa le diresti?” “Prova a vivere con 1500 ? al mese a Milano!” “Senti Max… posso mettere il tuo nome e cognome all’intervista semmai decido di inserirla nel libro?” “Prova a mettere il cognome e vengo a Meda e ti sfascio!” “Ullallà che caratteraccio! Dai, metto Max, Mad Max, che ne dici?” “Solo Max!” 86 Capitolo diciassette Ferrovie Nord Sono su uno di quei treni delle Nord. Da Meda mi sto spostando in piazzale Cadorna, a Milano. Mi tocca andare a fare il viaggio della speranza davanti agli uffici del Tesoro in via Zuretti. La mia ultima busta paga è un valzer degli errori. Milena non conteggiata più nelle detrazioni – e sì che a dieci mesi è difficile che, pur volendo, possa andare a vivere per conto suo – l’indirizzo sbagliato e il conto corrente che cerco di modificare da due anni. Il treno è un carro bestiame… siamo tutti ammassati e gli abiti puzzano di umidità e pioggia sporca. Un vecchio davanti a me si infila di continuo un dito in bocca a massaggiarsi la gengiva. Una ragazza tiene sollevato un libro di biologia all’altezza delle orecchie. A Seveso sale Sara, una mia ex alunna dell’Isa di Giussano che a volte vedo alle presentazioni dei miei libri. “Salve prof! Sempre vestito di nero, lei!” “E tu mai che ti fai i fatti tuoi… scherzo, Sara. Come stai?” “Bene. Sto andando alla Naba!” 87 “E perché? Giochi a pallacanestro? …Battuta!” “Sa fare di meglio, prof… è la nuova Accademia di belle arti!” “Lo so, lo so!” Sara si sistema meglio una spilletta a forma di torta sul bavero di un giaccone militare e con un dito spinge su per il naso un paio di occhiali da intellettuale new fashion. “Lei dove va, prof?” “Io?” Ce ne stiamo in piedi praticamente faccia contro faccia con la gente che ci pressa a ogni fermata un po’ di più. Nel fianco ho il gomito del vecchio che si massaggia la gengiva mentre Sara sta risalendo dal risucchio di due pifferai magici che cercano di manomortarla per bene. “Cerchiamo un posto più comodo?” “Dove? Sul tetto?” Ci spostiamo. “Sara, voi dell’università come la vedete la faccenda della riforma Gelmini?” “Quale riforma?” fa Sara. “In effetti una mia collega ha detto la stessa cosa… ha detto che questa non è una riforma, è un salvagente per la cassa dello Stato!” Arriva il controllore. Lo portano in trionfo come una rock star perché per lui l’unico modo di passare è venir spostato a braccia come Jim Morrison durante uno dei concerti delle porte della percezione. “Biglietti!” 88 “Eh?” Sara tira fuori il suo abbonamento. Io tiro fuori il mio biglietto andata e ritorno su ’sto tracciato a scartamento ridotto ma dalla tasca mi vien fuori un pezzo di carta che finisce per terra. “Sangue della giustizia umana!” “Glielo prendo io, prof!” Sara si immerge tra le gambe tiepide della gente e io faccio la mia parte inginocchiandomi alla ricerca del foglio perduto. “È importante?” chiede la mia ex alunna. “Non lo so!” La gente sbuffa e si sposta. Gli scossoni aiutano a smuovere quest’ammasso di panni sovrapposti che dal basso paiono stesi ad asciugare in un orinatoio pubblico. “Prof, l’ho visto, ora vedo di prenderlo!” “L’ho visto anch’io!” Riemergiamo. Sara ha in mano un pezzo di carta e io ho i palmi delle mani sporche di fuliggine. Un filo di cotone mi è rimasto impigliato nella barba. “Ecco qui, prof, spero ne valga la pena… abbiamo fatto la caccia al tesoro.” “Veramente la caccia al Tesoro la farò non appena avrò messo piede a Milano!” La gente ci guarda con sospetto. Un ammasso di Brianza tribal senza soluzione di continuità che ci scruta: un uomo di mezz’età e una ragazza di vent’anni che cercano pezzi di carta tra le gambe di perfetti sconosciuti è un movimento 89 fin troppo seccante per il popolo dei pendolari addormentati gli uni sugli altri. Ci ritroviamo, io e Sara, schienati contro la parete di eternit e plastica del vagone. Lei sorride curiosa. Apro il foglietto e trovo… ah, già, trovo una poesia. Me l’ha regalata una collega, Maria Rosa… si tratta di una poesia di Montale, una poesia degli anni settanta. Io le avevo chiesto un commento sulla riforma Gelmini e lei mi aveva risposto… “caro Cosimo ecco un testo, a mio avviso illuminante assai, che da almeno dieci anni mi risuona in testa ad ogni tentativo di riforma da qualsiasi parte provenga il ministro che ne è l’artefice, o almeno si propone di essere tale… I ministri passano, si sa, e le donne non fanno eccezione, ma l’armonia vince di mille secoli il silenzio”. Questo mi aveva detto Maria Rosa e poi mi aveva dato questo foglietto con la poesia di Montale. Il professore Il professore ignora se è supplente o aggregato o è associato a tempo pieno o vuoto o in toto esposto al vilipendio o espettorato deputato con doppio stipendio. Il professore ha i capelli grigi, non può cambiare mestiere. Se a notte tutti i gatti sono bigi meglio che la riforma si faccia e poi si dorma. 90 “Bella, prof…” “Già… solo, mi chiedo: secondo te, Montale ha mai vissuto un giorno da precario?” E intanto siamo arrivati a Cadorna. Le porte si aprono, vomitano la Brianza sulla piattaforma numero sei e io saluto Sara cercandomi dentro una ragione, una forza per scendere in metropolitana e strisciare sottoterra… direzione Centrale. 91 Capitolo diciotto Beata ignoranza… Il grembiule, il voto in condotta, le focaccine all’intervallo, i tornelli e compagnia cantante non sono il problema, sono i contorni... e l’uomo pare il re dei contorni. Tutto contorno. Ci si accanisce sui contorni. Si studiano i contorni, si analizzano, ci si spantega a macchia d’olio su questioni minimali, su quisquilie e lo si fa per non dover affrontare il cuore delle situazioni. Se mettiamo a paragone un ragazzo di terza media di oggi da un punto di vista didattico ne sa meno di uno del 1975. Ma se allarghiamo l’orizzonte sulle fonti cognitive vince la dolce marmaglia del Ventunesimo secolo. Ignoranti si nasce e poi iniziano le differenziazioni. Già il fatto di nascere in un ambiente in cui ci sono libri e dove viaggiano nell’etere parole non banali e svincolate dalla logica delle soap e della fanghiglia realiteggiante aiuta. Non possiamo far finta di niente. Una volta la dolce veniva nutrita dalla parola, dal racconto, dalla narrazione. Oggi è il dio denaro che gioca sia il ruolo principale che quello sussidiario. Agli occhi della dolce marmaglia l’aver abbandonato lo studio legale in cui 92 avevo prospettive economiche notevoli – e magari diventavo ministro della pubblica istruzione! – per insegnare e scrivere libri è una follia. È folle rinunciare a mettere in tasca due bigliettoni in più per passare un’ora con il piccolo Franz e con la cucciola Milena. La scuola è una specie di purgatorio dove i dannati senz’arte né parte vanno a svernare perché, è opinione comune, non sono in grado di finire nel paradiso dell’euro, del lingotto d’oro, e al tempo stesso sono troppo miseri e piatti per osare discendere lo Stige o l’Acheronte all’inferno e provare i brividi delle fiamme impazzite. La scuola perciò diventa una sorta di limbo asettico. Coltivare la beata ignoranza diventa una missione. Trasmettere un sapere di legno e rigido dà la sensazione a noialtri di essere comunque migliori della dolce… la scuola, si dice, è lo specchio dei tempi e i tempi sono sbudellati di fresco ogni giorno di più. Ogni tanto incontro un ex alunno in giro, a volte li trovo messi bene, a volte in difficoltà… Uno ad esempio era diventato un santone e appariva in tivù fino a che gli è saltata la testa. Un altro lavora sulle navi che fanno rotta verso la Groenlandia e quando torna in Lombardia mi passa a salutare. Diego ha un locale a Cesano Maderno e la sera ogni tanto calo per una birra e per domandare dei suoi ex compagni. L’unico che s’è mosso dalla palude è finito per diventare assessore comunale. Da Diego incontro anche alunne del liceo artistico e alunni da competizione dell’ Itis più violento della Lombardia. Numeri da circo, là dentro. Una seconda N indimenti93 cabile un giorno portò in classe una torta con tre candeline: un UNO e due ZERO. “Ehi ragazzi, che ci fate con la torta… è il compleanno di uno coi soldi o cosa?” “No prof!” mi fa Vincenzino “È per la prossima ora… festeggiamo perché quella di inglese di sicuro ci mette la nota e quella sarà la centesima dall’inizio dell’anno!” Ed eravamo solo a febbraio. Sì, quella seconda era una classe violenta. Facevano gli aerei di carta e li facevano volare. Quella di inglese lo disse al preside. “Be’, professoressa… è un classico, suvvia… chiuda un occhio!” “Mica vero, preside… quei delinquenti incendiano le code e fanno le simulazioni verosimili!” Un giorno facevo lezione in una quarta, sotto di loro, e vidi piombar giù una cattedra. Vennero bocciati in diciotto su ventuno… Ma quando ne incontro uno, da Diego, non trovo la dolce marmaglia… trovo maschi complessi, irrisolti, cambiati – ovvio – e capisco che dietro il branco c’erano personalità che non sono mai riuscito a capire fino in fondo e che probabilmente noi abbiamo lasciato così come li abbiamo trovate… nella beata ignoranza in cui sguazzavano e avrebbero sguazzato per sempre. Nulla di più. Nulla di meno. Come mi è stato detto una volta… si va oltre! Oltre… oltre le riforme, le cazzate e i tentativi di sabotaggio di ciò che va bene e di ciò che potrebbe andare meglio. Nonostante tutto se ritornassi indietro, come Max, rifa94 rei l’insegnante… forse… Lo farei anche per esclusione perché non amo fare l’impiegato di banca; non sopporto fare l’avvocato perché devi avere un pelo sullo stomaco che arriva alle ginocchia; non reggo la vista del sangue perciò dal chirurgo al paziente sono ruoli che non ho voglia di interpretare; non riesco a vedermi giornalista perché sono un pasticcio vivente e gli schemi, le battute e il numero di cartelle mi mandano a male; per l’astronauta ho perso la coincidenza e per il missionario non ho la vocazione; per fare il pescatore c’era il limite della sveglia e lo stesso valeva per il panettiere… gratta gratta ecco che l’insegnante, gomito a gomito con la dolce marmaglia, restava e resta un modo onorevole per sbarcare il lunario e avere l’illusione di forgiare al meglio dell’1% le nuove leve di questo mondo da incaprettati. Il tutto, per quant’è possibile, fatto con il sorriso sulle labbra. Perciò prevedo che, a meno che noi precari non si venga spazzati via dalla riforma al tagliere, qui mi toccherà restare… registro al seguito. Questo salvo che, dopo aver scritto questo breve libro, non decidano di sollevarmi dall’incarico per manifesta turbativa ambientale. 95 Indice Introduzione Si fa presto a dire precario Collegi docenti? No, grazie Stipendi da fame? Diciamo che dimentichiamo il colore dell’aragosta Meritocrazia… meritoche? Tina la generalessa di tutte le bidelle La dolce marmaglia La scuola come il Titanic La Gelmini raccontata alla classe Colleghi Fa tutto schifo… va tutto bene… Dimmi a chi sei figlio e ti dirò chi sei Famiglie atto secondo… Consigli… per gli acquisti? No, di classe Che ci faccio io qui? La scuola che vorremmo? Quien sabe! Max Ferrovie Nord Beata ignoranza… 7 10 17 22 27 31 36 42 46 50 58 62 67 70 75 79 84 87 92 L’AUTORE Fandango Tascabili 1. Albinati & Timi Tuttalpiù muoio 2. Chris Gardner La ricerca della felicità 3. Davide Longo Il mangiatore di pietre 4. Horacio Verbitsky Il volo 5. Francesco Cecconi e Antonella Contaldo Maximilian e la ricerca 6. Bill Buford Tra i furiosi del calcio 7. Thierry Meyssan L’incredibile menzogna. Nessun aereo è caduto sul Pentagono 8. John Cheever Il nuotatore 9. Dizionario Affettivo della Lingua Italiana, a cura di Matteo B. Bianchi e con la collaborazione di Giorgio Vasta