R.o.d.
Le note
THE I-JIN FILE
Hiraga Gennai (平賀 源内 1728-? 24
gennaio 1780) è stato un farmacologo
giapponese vissuto nel periodo Edo e
che ebbe contatti con la scienza
Occidentale grazie all'enclave Olandese
di Dejima (vedi Rangaku). Fu anche
medico, scrittore, pittore e inventore
famoso per il suo Erekiteru (generatore
elettrostatico),
Kandankei
(termometro) e Kakanpu (stoffa
d’amianto).
Nato in una famiglia di samurai di basso rango, suo padre era Shiraishi Mozaemon
(Yoshifusa), sua madre era del clan Yamashita e aveva molti fratelli. Il suo vero nome
era Kunitomo (国 倫), Ma anche lui è andato dal pseudonimi Kyūkei (鳩 渓), Furai
Sanjin (風来 山人) (il suo principale pseudonimo letterario), Tenjiku Ronin (天竺
浪人) e Fukuchi Kigai (福内 鬼外). È comunque maggiormente noto con il nome di
"Gennai".
Ha studiato prima erbe medicinali a Osaka con Toda Kyokuzan, prima di trasferirsi a
Edo nel 1757. Lì, ha studiato con Tamura Ransui e ha scritto una serie di libri, alcuni
su argomenti scientifici o naturali, alcuni romanzi satirici, nel generi kokkeibon e
dangibon. Nei suoi esperimenti scientifici, cercò vari minerali, creò tessuti in
amianto, calcolato temperature e ha lavorato con l'elettricità statica. Gennai ha anche
studiato tecniche occidentali nella pittura e nella ceramica, producendo una serie di
opere.
Interessato ai minerali, per un certo numero di volte ha tentato senza successo che le
miniere venissero aperte. In un'occasione, frustrato e arrabbiato per la continua
mancanza di sostegno da parte dei cittadini della zona, uccise uno dei suoi discepoli
in un impeto di rabbia. Arrestato e mandato in prigione, vi morì nel 1779.
Jean-Henri Casimir Fabre (Saint-Léons du
Lévézou, 22 dicembre 1823 – Sérignan-duComtat, 11 ottobre 1915) è stato un
entomologo e naturalista francese, considerato
il padre dell'entomologia. Fabre nacque in una
famiglia molto povera, e studiò quasi
esclusivamente come autodidatta, arrivando a
ottenere numerosi riconoscimenti accademici.
Fu insegnante, fisico, e botanico, ma è noto
soprattutto per le sue scoperte nel campo
dell'entomologia, in particolare correlati allo
studio del comportamento degli insetti. Su
questo argomento scrisse numerosi saggi
brevi, raccolti e pubblicati con il titolo di
Souvenirs Entomologiques (in edizione
italiana Ricordi di un entomologo).
Alcune delle opere di Fabre ispirarono in parte gli ultimi lavori di Charles Darwin,
che definì Fabre "un osservatore inimitabile". Fabre, invece, rifiutò la teoria
dell'evoluzione di Darwin.
L'ultima abitazione di Jean-Henri Fabre, la "Harmas de Sérignan" in Provenza, è oggi
adibita a museo sulla sua vita e le sue opere.
Karl Wilhelm Otto Lilienthal
(Anklam, 23 maggio 1848 – Berlino, 10
agosto 1896) è stato un pioniere
dell'aviazione tedesco, nella letteratura
in
lingua
inglese
talvolta
soprannominato Glider King (Re degli
alianti). Anche se si parla spesso di lui
come del primo costruttore di un
aliante in grado di volare trasportando
un essere umano (il cosiddetto
Derwitzer Gleiter nel 1891), in realtà la
prima realizzazione avvenne ad opera
di George Cayley che, ben quarant'anni
prima, riuscì a staccarsi da terra alcune
volte. Cayley, tuttavia, effettuò soltanto
pochi voli di prova e smise in seguito
ai primi incidenti.
Anche se la sua passione era il volo, è stato un inventore eclettico: ha inventato, tra
l'altro un piccolo motore che utilizzava caldaie tubolari e che era ben più sicuro di
quelli disponibili al momento. Questa invenzione gli diede la tranquillità economica
necessaria per potersi occupare soltanto di aviazione.
Non vi è comunque alcun dubbio che il maggior contributo di Lilienthal sia stato lo
sviluppo di oggetti volanti 'più pesanti dell'aria' (palloni e mongolfiere già volavano
da tempo). Attese il ritorno del fratello Gustav (in Australia fino al 1886) per iniziare
a disegnare e costruire alcuni 'aquiloni volanti' che sperimentò personalmente
lanciandosi, per oltre 2000 volte, da colline o dai tetti delle case ed effettuando anche
qualche modesto guadagno di quota.
Lilienthal effettuò la sua ricerca di base studiando il volo degli uccelli ed utilizzando
diagrammi polari per descrivere l'aerodinamica delle loro ali. Lilienthal dimostrò che
oggetti più pesanti dell'aria erano in grado di volare senza che vi fosse alcun
movimento dinamico delle ali, ponendo le basi per lavoro ed il successo dei Fratelli
Wright che, alcuni anni dopo, costruirono e fecero volare il primo aereo motorizzato.
Naturalmente Lilienthal ebbe numerosi incidenti durante le prove, anche se il suo
aquilone volava lentamente ed a quote bassissime.
Il 9 agosto 1896, un colpo di vento gli ruppe un'ala ed egli cadde da 17 metri di
altezza, rompendosi la spina dorsale. Si spense il giorno dopo dicendo: "Opfer
müssen gebracht werden!" ("I sacrifici devono esser fatti!").
A Otto Lilienthal è dedicato l'aeroporto di Berlino Tegel
Il viaggio in Occidente
Autore
1ª ed. originale
Genere
Sottogenere
Lingua originale
Ambientazione
Protagonisti
Wú Chéng'ēn
1590
Romanzo
mitologico, avventura,
fantastico
cinese
Cina, XVI secolo
Sun Wukong,
Xuánzàng, Zhu
Wuneng, Sha Wujing
Titolo originale
西遊記 Xīyóu Jì'
Altri titoli
Viaggio in Occidente
Lo scimmiotto
Sun Wukong - Lo
scimmiotto di Pietra
L'edizione più antica del
romanzo, Cina, XVI secolo
Il viaggio in occidente (in cinese 西遊記T, 西游记S, Xīyóu JìP, Hsiyu-chiW,
letteralmente "Racconto del viaggio in occidente") è un classico della letteratura
cinese, appartenente al gruppo dei quattro grandi romanzi classici. È stato pubblicato
anonimo nel 1590 circa e non ci è pervenuta alcuna prova materiale relativa
all'identità dello scrittore, ma lo si attribuisce tradizionalmente all'erudito Wu
Cheng'en.
Il libro è una riflessione su quanto il buddhismo cinese avesse unito, fondendo
aspetti del Taoismo e del Confucianesimo in Cina. Rappresenta inoltre un vero e
proprio percorso di purificazione dei vari personaggi, che alla fine del viaggio
giungeranno all'illuminazione.
La trama
Il romanzo racconta in versione mitizzata il viaggio di un monaco buddhista. Nel
romanzo, il monaco Sanzang (ispirato al personaggio storico Xuanzang) viene inviato
dal Bodhisattva Guanyin in India per ottenere le copie di determinati testi buddhisti
importanti, non disponibili in Cina. È accompagnato nel suo viaggio da tre discepoli
— il re scimmia Sun Wukong, il maiale Zhū Bājiè ed il demone fluviale Sha Wujing i
quali decidono di proteggerlo ed aiutarlo nell'impresa per ottenere il perdono dei
peccati commessi. Il cavallo del protagonista è invece, in realtà un principe drago,
figlio del Re Drago del Mare del Sud. Insieme, combattono i mostri ed i demoni che
incontrano lungo il cammino, compreso il Bai Gu Jing, che uccide intere famiglie
succhiando l'anima e la vita, ed il demone del ratto, che seduce e uccide i monaci con
i suoi artigli.
Storia di Sun Wukong
I quattro eroi della storia, da sinistra a
destra: Sun Wukong, Xuánzàng, Zhu
Wuneng e Sha Wujing
I primi capitoli del romanzo sono tutti
dedicati alla storia di Sun Wukong,
infatti diverse edizioni si limitano a
questa parte.
Da una roccia frutto della terra
ingravidata dal vento, nasce lo
scimmiotto di pietra Sun Wukong che
si distingue per il suo coraggio
portando il popolo delle scimmie nella
Caverna del Sipario d'Acqua della
Montagna dei Fiori e dei Frutti, e
diventandone così il re. Preoccupato
dalla possibilità che la sua conquistata
felicità un giorno finisca, viaggia a
lungo fino ad arrivare presso
l'abitazione di un Saggio, il Patriarca
Subhodi, che gli insegna la Via (Tao), e
in particolare come diventare un
Immortale e come difendersi dalle Tre
Calamità, il che lo rende un guerriero
potentissimo,
capace
di
72
trasformazioni e di volare su una
nuvola; quando il Saggio si renderà
conto che il giovane scimmiotto non
ha appreso l'essenza della Via ma solo i
suoi poteri, lo caccerà e gli proibirà di
dichiararsi suo discepolo, e in effetti
Sun Wukong non farà mai più il suo
nome.
Tornato nella sua Montagna dei Fiori e
dei Frutti, si impegna a portare il suo
regno alla supremazia, conquistando e
sottomettendo tutte le altre specie e
pretendendo in dono dai quattro
Dragoni Re dei Mari un bastone che si
allunga e rimpicciolisce a piacimento
(originariamente una delle colonne che
tenevano l'oceano al suo posto), un
elmo di fenice, un'armatura d'oro e
degli stivali magici.
L'Imperatore di Giada, infastidito dalla
sua arroganza, lo chiama a palazzo per
tenerlo sotto controllo, e gli assegna
l'incarico di Custode dei Cavalli Celesti
(弼馬溫S,
BimawenP),
ma
lo
scimmiotto superbo trova l'incarico
troppo umile, così torna alla sua
montagna; allora l'Imperatore di Giada manda contro di lui il Re Li e suo figlio
Nezha, che tuttavia non riescono a sconfiggerlo, così egli decide di concedere al Re
delle Scimmie il titolo di Grande Saggio Pari del Cielo (齊天大聖S, Qitiān DashengP)
come da lui richiesto e richiamarlo in Cielo.
Qui però lo scimmiotto dà ancora prova di sé e dopo essersi cibato delle Pesche
dell'Immortalità si introduce in una festa a cui non era stato invitato e mangia e beve
tutti gli alimenti degli dei che può, ruba le pillole di Lao Zi, poi fugge di nuovo alla
sua montagna. Questa volta l'Imperatore infuriato manda contro di lui suo nipote
Erlang, che, dopo una estenuante battaglia a cui partecipano anche molte altre
divinità tra cui la Bodhisattva Guanyin e Lao Zi, riesce a sconfiggerlo e consegnarlo
al Cielo, dove viene subito condannato a morte.
Il problema ovviamente è che lo scimmiotto è un Immortale, e il suo corpo è
indistruttibile essendosi cibato delle pesche sacre, perciò nonostante venga trafitto da
spade, battuto con martelli, colpito da fulmini e sottoposto a innumerevoli torture,
non riporta neanche un graffio: allora viene rinchiuso in una fornace nella speranza
che il suo corpo fonda, ma dopo diversi giorni, quando la fornace viene aperta, egli è
ancora vivo, e i suoi occhi sono ora del colore del fuoco con pupille dorate, ed
hanno acquisito il potere di vedere attraverso ogni inganno.
In cerca di vendetta, Sun Wukong mette a ferro e fuoco il Cielo, combattendo alla
pari con più di centomila soldati imperiali, e l'Imperatore terrorizzato manda a
chiamare il Tathāgata Buddha, che sfida il Re delle Scimmie a saltare fuori dalla sua
mano, ma nel momento in cui lo fa la mano diventa sempre più grande finché
quando Sun Wukong crede di essere arrivato al confine dell'universo in realtà non ha
raggiunto che le dita della mano. Il Buddha allora lo punisce per la sua arroganza
seppellendolo sotto la Montagna dei Cinque Elementi.
Il Viaggio ad Ovest
Dopo 500 anni la Bodhisattva Guanyin viene incaricata dal Buddha di cercare un
uomo pio in grado di affrontare il pericoloso viaggio verso Ovest per portare
nell'impero Tang i Sutra, in modo da diffondere in esso il vero insegnamento del
Buddha, e lungo il cammino questa pensa di concedere a Sun Wukong la libertà in
cambio della promessa di diventare un discepolo del prescelto. Quando il monaco
Chen Xuanzang, detto Sanzang (o Tripitaka, "tre ceste", dal nome del sutra che
porterà al ritorno) e Tangseng (fratello dei Tang) giunge in prossimità della
Montagna dei Cinque Elementi la scimmia ormai millenaria gli spiega la situazione e
lo implora di liberarlo; il monaco accetta, gli dà il nomignolo Xingzhe (行者S) e da
quel momento diventa il suo maestro.
Non che Sun Wukong sia un buon discepolo; alla prima ramanzina abbandona il
monaco, e la Bodhisattva Guanyin, giunta in suo soccorso, dona a questi un diadema
magico. Quando il Grande Saggio Pari del Cielo ritorna il monaco gli fa indossare il
diadema con un trucco e poi con una magia insegnatagli dalla Bodhisattva lo stringe
attorno al suo cranio provocandogli un immenso dolore; quando smette Sun
Wukong si rende conto di non poterlo togliere e cerca di uccidere di botte il suo
maestro, ma questo ricomincia a recitare la formula magica.
Da questo momento in poi Sun Wukong obbedirà senza discutere al monaco, e lo
proteggerà durante tutto il viaggio, durante il quale incontrerà i nuovi compagni di
avventura, precedentemente anch'essi discepoli del monaco: il maiale antropomorfo
Zhu Wuneng e il demone fluviale Sha Wujing, condannati anch'essi, alcuni anni
prima, durante l'annuale banchetto di pesche sacre (Zhu Wuneng si ubriacò e cercò
di sedurre una bella fanciulla, Sha Wujing ruppe un vaso per sfogare un impeto di
rabbia), mentre il cavallo del monaco è in realtà la trasformazione di un drago, figlio
del re drago dei mari del sud, condannato dal padre per aver distrutto la sua grande
perla sacra ma salvato da Guanyin. Insieme attraverseranno moltissimi scenari, tra
cui larghi fiumi impassabili, montagne fiammeggianti, un regno con una popolazione
interamente femminile e una tana di seducenti spiriti di ragno, e lotteranno contro gli
innumerevoli banditi, demoni e creature mitologiche che incontreranno. Tra questi
sono compresi il Bai Gu Jing, che uccide intere famiglie succhiando l'anima e la vita,
ed il demone del ratto, che seduce e uccide i monaci con i suoi artigli.
Lo scimmiotto protagonista imparerà da allora a comportarsi meglio e infine, dopo
14 anni di pellegrinaggio, arriveranno al confine con l'India e porteranno a termine la
loro impresa ricevendo i testi sacri dal Buddha che vive sul picco della collina
Griddhraj Parvat. Il gruppo raggiungerà l'illuminazione: Sun Wukong e Sanzang
diventeranno dei buddha a loro volta, Sha Wujing un arhat, Zun Wuneng
ironicamente il consumatore delle offerte in eccesso sugli altari e infine il cavallodrago un nāga.
Popolarità del romanzo
Uno degli assistenti soprannaturali del
monaco, il re scimmia Sun Wukong
(孙悟空S), è diventato uno dei
personaggi più famosi e più cari della
letteratura cinese. Per il suo grado di
popolarità e di riconoscimento in Asia
è stato paragonato al Topolino dei
paesi occidentali, e nel Shanghai
Disneyland Resort vi sarà anche il suo
personaggio.
La ragione della popolarità così
duratura del romanzo, viene dal fatto
che esso è portatore di messaggi a
livelli multipli: è una storia di
avventura, con parecchi passaggi al
comico, e anche una metafora in cui il
Illustrazione all'opera (XV secolo)
gruppo dei pellegrini che viaggiano verso l'India corrisponde ad un viaggiare
simbolico
verso
il
chiarimento,
ad
un
viaggio
interiore
verso un livello di educazione più elevato.
Il romanzo è stato preso ad ispirazione per:
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The Monkey: serie umoristica a cartoni animati per la televisione, parodia del
Viaggio in Occidente; a causa della fedelta' al titolo originale, risulta di difficile
comprensione per il pubblico occidentale.
Le 13 fatiche di Ercolino: un film d'animazione giapponese tratto dalla leggenda
cinese.
Lo scimmiotto, di Milo Manara e Saverio Pisu (Alterlinus, 1976). Versione molto
libera della prima parte della storia, che si conclude con l'imprigionamento del
re delle scimmie sotto la Montagna dei Cinque Elementi.
Dragon Ball: serie giapponese di manga e anime liberamente ispirata anch'essa
al Viaggio in Occidente.
Gensomaden Saiyuki: un altro anime ispirato dal mito.
Starzinger: anime liberamente ispirato dalla storia, ambientato nello spazio.
Viaggio in Occidente: una serie di telefilm prodotti dalla CCTV (televisione
cinese) con protagonista Liu Xiao Ling nella parte di Sun Wukong.
Un film statunitense per la TV prodotto nel 2001 dalla NBC, di nome The Lost
Empire (distribuito con il nome L'incantesimo del manoscritto ma mandato in onda
su Italia 1 come Il viaggio in Occidente), diretto da Peter McDonald si propone
come seguito della storia; in esso un americano (Nick Orton, interpretato da
Thomas Gibson) prende il posto del monaco alla guida dei tre demoni per
impedire agli dei, Confucio, e lo stesso Wu Cheng'en, di distruggere tutte le
copie del romanzo richiamandole in cielo. Sono assistiti dalla bellissima dea
Kuan Ying (la bodhisattva Guanyin), che ovviamente si innamora
dell'americano. Nel cast anche Kabir Bedi
A Chinese Odissey Part I - Pandora's Box e A Chinese Odissey Part II - Cinderella di
Jeffrey Lau ne sono liberamente ispirati e l'autore dimostra una conoscenza
profonda del buddhismo attraverso una spremitura del testo originario
all'essenza. Lo scimmiotto Sun Wukong è interpretato maestralmente dal Jim
Carrey orientale Stephen Chow.
Tsui Hark, regista di Hong Kong autore di film di arti marziali ricchi di effetti
speciali, di successo anche in occidente (ad esempio Seven Swords è stato
distribuito in Italia da Medusa Film nel 2005), ha annunciato di avere in
progetto una trasposizione cinematografica di Viaggio in Occidente.
Il film americano Il regno proibito, diretto da Rob Minkoff, con Jet Li, Michael
Angarano e Jackie Chan, è liberamente ispirato alla parte del romanzo in cui il
monaco viaggia verso la Montagna dei 5 Elementi per liberare il Re Scimmia
dalla sua prigionia.
Nel 2013 è uscito nelle sale cinematografiche un film tratto dal romanzo,
intitolato Journey to the West: Conquering the Demons e diretto da Stephen Chow

Un altro adattamento cinematografica del romanzo, intitolato The Monkey King
(Da Nao Tian Gong) è stato distribuito nel 2014.
Talvolta la leggenda del Saiyuki viene citata od omaggiata:

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Il videogioco "Enslaved: Odyssey to the West" ha chiari riferimenti al
romanzo quali il nome del protagonista "Monkey" e le sue caratteristiche
fisiche che riportano alla mente quelle del protagonista del romanzo, nonché
poi anche il titolo del videogioco è un'allusione a "Viaggio in Occidente".
Love Hina: serie giapponese di manga e anime: nell'episodio 16 della serie
televisiva, i protagonisti mettono in scena una rappresentazione teatrale del
Viaggio in Occidente.
Nel manga Inuyasha, il protagonista della storia è un demone inizialmente
aggressivo e violento. Per renderlo inoffensivo, la sacerdotessa Kaede gli
mette al collo un rosario sacro in grado di scaraventarlo violentemente a terra
quando Kagome pronuncia la parola "Osuwari" (In italiano tradotto con "A
cuccia"), in analogia col diadema di Bodhisattva.
In un episodio dell'anime Inuyasha i protagonisti incontrano un demonecinghiale, Chokyukai, che afferma di essere discendente di Cho Hakkai, ed è
accompagnato da due piccoli demoni: un kappa discendente di Sha Gojo ed
una scimmia discendente di Son Goku, tre dei protagonisti della leggenda
cinese; questi ultimi due si rivelano però molto deboli, dato che anche Shippo
riesce a tenerli a bada. Inoltre sia il kappa che la scimmia indossano un
diadema dorato come Son Goku e lo stesso Chokyukai ne possiede diversi
con cui è in grado di far innamorare di sé chiunque lo indossi. Nell'anime uno
di questi diademi finisce prima in testa a Inuyasha, poi a Miroku e poi a
Kagome.
Nel manga Saint Seiya, Shaka di Virgo, che è considerato una reincarnazione di
Buddha, affronta Ikki di Phoenix e quest'ultimo, spaventato dal suo potere,
cerca di fuggire più lontano possibile, solo per ritrovarsi nel palmo della mano
di Buddha, proprio come successe a Sun Wukong alle prese con Tathāgata
Buddha.
Doraemon: Nobita's Parallel "Journey to the West", il nono film dell'anime
giapponese Doraemon, segue satiricamente i personaggi principali della serie
nei panni di Sun Wukong e dei suoi compagni.
Ruyi Jingu Bang (Nyoi-bo)
Un disegno del 19mo secolo che ritrae Sun
Wukong con il suo bastone.
Ruyi
Jingu
Bang
(Cinese:
如意金箍棒; Pinyin: Rúyì Jīngū Bàng), o
semplicemente come Ruyi Bang o
Jingu Bang, è il nome del bastone
magico brandito dalla scimmia
immortale Sun Wukong nella novella
cinese del 16mo secolo “Viaggio in
Occidente”.
Origine e descrizione
L'asta compare per la prima nel terzo capitolo, quando il Re Scimmia va nel regno
sommerso di Ao Guang, il Re Drago del Mare orientale, alla ricerca di un'arma
magica che sia all'altezza della sua forza e abilità. Quando tutte le tradizionali armi
magiche - spade, lance e alabarde, ognuna pensante centinaia di chili - si dimostrano
non all'altezza delle sue aspettative, la Regina dei Draghi suggerisce al marito di dare
a Sun un inutile pilastro in ferro che occupa spazio nel loro tesoro. Lei sostiene che il
pilastro ha iniziato da qualche giorno ad emettere della luce divina e fa capire che la
scimmia è destinata a possederlo. La novella non spiega come viene forgiato; dice
solo che tempi immemorabili addietro venne utilizzato da Yu il Grande per misurare
la profondità del Diluvio Universale.
L'asta è inizialmente descritta quindi come un pilastro di ferro nero, alto venti piedi e
della larghezza di un barile. Ma è solo quando scimmia lo solleva e suggerisce che
una dimensione più piccola sarebbe più maneggevole che questo esaudisce il suo
desiderio e si restringe. In quel momento Sun vede che le estremità dell'arma sono
avvolte con degli anelli d'oro e l'iscrizione lungo l'asta stessa che riporta "il Bastone
Conforme Contornato in Oro del peso di 13.500" (如意 金箍棒重 一 万 三千 五
百斤). La scritta indica che l'asta obbedisce ai comandi del suo proprietario,
contraendosi o allungandosi arbitrariamente e che è enormemente pesante, 7.960 kg.
Quando non viene usata, la scimmia la fa rimpicciolire fino alle dimensioni di un ago
e la tiene nascosta dietro l'orecchio.
Riferimenti letterari precedenti
La più antica edizione del Viaggio in Occidente, la versione Kozanji del 13mo secolo
(高 山寺) pubblicato durante l'ultimo periodo della dinastia Song, diverge in molti
punti della versione definitiva pubblicata durante la dinastia Ming. Per esempio,
l'episodio in cui scimmia prende possesso del pilastro è completamente diverso,
come peraltro il pilastro stesso. Sun porta in Paradiso il monaco Xuanzang per
incontrare il dio supremo Maha Brahma Deva. Dopo che il monaco riesce fare
un'ottima impressione con gli dei grazie alla sua predica sul Sutra del Loto alla
Scimmia viene dato un Bordone d'Oro per monaci come arma magica (fra le altre
cose) contro i mali che dovranno affrontare nel loro viaggio verso l'India. Sun poi
utilizza il bordone in una battaglia contro una donna vestita di bianco che si
trasforma in un demone tigre. Fa tramutare il bordone in un Yaksha dai capelli rossi
e dalla pelle blu, armato di bastone, mostrando così che il predecessore del "Bastone
Conforme Contornato in Oro" aveva un numero superiore di abilità magiche.
Un'arma che si avvicina alla foggia del “Bastone Conforme Contornato in Oro” è
menzionata di sfuggita nelle prime fasi del racconto, versione dinastia Ming. La
scimmia afferma che la Regina Madre d'Occidente lo aveva percosso con una "Clava
di Ferro" (铁棒) per aver rubato 10 pesche dal suo Giardino dell'Eden. In seguito
prende in prestito la Clava e la utilizza assieme al Bordone d'Oro per combattere 9
draghi.
Opere derivate
Il personaggio Son Goku, protagonista della serie Dragon Ball e la sua arma sono
modellati rispettivamente sul personaggio di Sun Wukong e il suo bastone. Viene
chiamato "Nyoi Bo" la traslitterazione giapponese di Ruyi bang (如意棒, Bastone
Conforme). Il bastone gli viene regalato in giovane età dal nonno Gohan, un umano
che lo ha adottato e che gli insegna le arti marziali.
Ikkyū Sōjun
Ikkyū Sōjun
Uno dei padiglioni del monastero Daitoku-ji
(大徳寺) di Kyoto che ebbe Ikkyū come
abate a partire dal 1474 fino alla sua morte
nel 1481.
«Ti prego, ti prego, non preoccuparti
quante volte devo dirtelo:
non hai altra scelta
se non quella di essere chi tu sei e dove tu sei.»
(Ikkyū 一休)
Ikkyū Sōjun1 (一休宗純 Ikkyū Sōjun) (1394 – 1481) è stato un monaco buddhista,
abate e poeta giapponese.
La vita
Maestro buddhista zen, è comunemente ritenuto figlio illegittimo dell'imperatore
Gokomatsu (後小松天皇 Gokomatsu-tennō, 1377-1433, regno: 1392-1412) e di una
dama di corte di basso rango. Abbandonato dalla madre nel tempio buddhista zen di
istituzione Gozan (五山), l'Ankoku-ji (安国寺) di Kyoto, Ikkyū trascorse l'infanzia
tra questo tempio e il Tenryū-ji (天龍寺), sempre a Kyoto e anch'esso di istituzione
Gozan. Nel 1410, Ikkyū lasciò il Tenryū-ji per trasferirsi in un eremo sotto la guida di
Ken'ō Sōi (謙翁宗為 ?-1414). Da notare che questo maestro zen, Ken'ō Sōi, era
Per i biografati giapponesi nati prima del Periodo Meiji si usano le convenzioni
classiche dell'onomastica giapponese, secondo cui il cognome precede il nome.
"Ikkyū" è il cognome.
1
privo di un formale certificato di illuminazione (印可, inka) e proveniva dai
monasteri Daitoku-ji (大徳寺) e Myōshin-ji (妙心寺) che da tempo erano usciti
dall'orbita del Gozan, quest'ultima una istituzione sostenuta dagli stessi shogun. Tale
scelta dimostra quanto Ikkyū fosse, fin dall'adolescenza, insofferente nei confronti
degli aspetti formali delle istituzioni zen, mirando piuttosto ai contenuti della
tradizione di questa scuola buddhista. La prevalenza per Ikkyū del contenuto rispetto
alla formalità degli insegnamenti venne confermata dal fatto che, dopo la morte di
Ken'ō Sōi nel 1414, egli si trasferì al Daitoku-ji di Kyoto, sotto la guida del
ventiduesimo abate di questo monastero, Kasō Sōdon (華叟宗曇, 1352-1428), con
cui studiò presso un piccolo eremo a Katada sulle rive del Lago Biwa e dove, nel
1420 all'età di ventisei anni, raggiunse il satori (悟り), l' "illuminazione", al grido di
una cornacchia mentre meditava su una barca. Ma anche Ikkyū, come Ken'ō Sōi,
rifiutò il certificato di illuminazione offertogli dal suo maestro. Poco tempo dopo
questo avvenimento, Ikkyū lasciò Katada, probabilmente per dei contrasti intercorsi
con lo stesso Kasō Sōdon, dirigendosi verso Sakai dove presto conquistò fama di
grande eccentrico frequentando postriboli e taverne. Ikkyū avrà modo di sostenere
più volte che questi luoghi erano di gran lunghi più adatti all' "illuminazione"
buddhista rispetto ai corrotti monasteri di Kyoto. In questo periodo, iniziò la sua
lunga vita di monaco itinerante, assumendo il nome di Kyōun (狂雲, Nuvola folle) cui
fece riferimento nel titolo della sua raccolta poetica più importante: Kyōunshū
(狂雲集, Raccolta della Nuvola folle). Presto anche il Daitoku-ji divenne bersaglio
dei suoi strali, nonostante fosse stato, per un breve periodo nel 1440, abate di un
padiglione minore di questo monastero, il Nyoi-an. La nomina ad abate di Yōsō Sōi
(養叟宗頤, 1376-1458), già discepolo di Kasō Sōdon, acuì infatti gli attacchi di Ikkyū
al monastero di Kyoto essendo stato, l'appena nominato abate, suo rivale ai tempi di
Katada. Sempre a partire dal 1440, Ikkyū si dedicò con passione alle emergenti nuove
arti giapponesi: la calligrafia, dove le sue opere vennero successivamente molto
apprezzate; la poesia, dove studiò con il poeta Sōchō (宗長, 1448-1532); il teatro Nō,
dove strinse rapporti con l'autore Komparu Zenchiku (金春禅竹, 1405-1468); la
Cerimonia del tè, dove collaborò con il monaco Murata Shukō (村田珠光, 14271502) ai primi canoni di questa disciplina; la pittura, dove frequentò i pittori Bokkei
Saiyo (n.d.) e Motsurin Shōtō (anche Bokusai, 墨斎, 1412?-1492). Nel 1447
abbandonò definitivamente il Daitoku-ji, ritirandosi in un eremo nei pressi di Kyoto
che denominò "Capanna dell'asino cieco" e dove rimase fino al 1467, allorché la zona
iniziò ad essere funestata dagli scontri che portarono al conflitto Ōnin, la guerra
civile che devastò il paese per ben dieci anni. Dopo altre peregrinazioni ritornò, per
ordine imperiale, al Daitoku-ji nel 1474, quando il monastero non era che un
mucchio di rovine causate dalle guerre civili. Le conoscenze maturate durante la sua
vita errabonda, gli consentirono tuttavia di raccogliere donazioni per la ricostruzione
del monastero Daitoku-ji che venne rifondato e che lo ebbe come abate fin dal 1474.
I suoi ultimi anni di vita li trascorse in disparte, nei pressi di un piccolo tempio,
insieme ad una cantante cieca di nome Mori.
Morì in tarda età, a ottantasette anni, stroncato da un attacco di malaria.
Le opere
L'opera poetica maggiore di Ikkyū è il Kyōunshū (狂雲集, Antologia di nuvole pazze)
che comprende circa mille poesie di stile cinese, tutte con metro di quattro versi con
sette caratteri per verso. Una seconda opera poetica è il Jikaishū (自戒集,
Raccomandazioni a se stesso). Oltre a queste opere poetiche è autore di alcune prose
di carattere eminentemente buddhista: Bukkigun (仏鬼軍, La guerra dei buddha e dei
demoni), Maka hannya haramita singyō kai (Spiegazione del Sutra del cuore della
perfezione di saggezza), Amida hadaka monogatari (阿弥陀裸物語, Il racconto di
Amida nudo), Gaikotsu (骸骨, Scheletri). Lo stile della sua poesia non prevedeva l'uso
di caratteri fonetici hiragana non presenti nell'alfabeto cinese. Assai dibattuta è la forte
contraddizione tra la fede professata nelle sue poesie e le immagini sensuali, spesso
assai crude, che appaiono con una certa frequenza nei suoi versi. La sua poesia è un
susseguirsi di elevati concetti religiosi e di forti passioni carnali, queste ultime
tutt'altro che fantasiose quali quelle suscitate dall'amante cieca Mori.
«Non passa notte che Ikkyu non canti a squarciagola
per sé stesso
per il cielo e le nuvole
perché lei si è offerta in libertà
le sue mani, la sua bocca, il suo seno
le sue lunghe cosce bagnate dal sudore.»
(Ikkyū 一休)
Nella cultura di massa
Il protagonista della serie anime Ikkyusan il piccolo bonzo è basato sulla vita di Ikkyū
Sōjun.
Voci correlate

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

Buddhismo giapponese
Buddhismo Zen
Zen Rinzai
Cha no yu
Lettera all'Immortale Amata
(Wikipedia)
La Lettera all'Immortale Amata (in tedesco
Briefe an die unsterbliche Geliebte) è un
documento manoscritto di Ludwig van
Beethoven.
Si tratta di un gruppo di tre lettere redatte il 6
e il 7 luglio 1812 mentre Beethoven seguiva
una cura alle Terme di Teplitz in Boemia. Il
loro destinatario era una donna di cui il
compositore era profondamente innamorato.
La sua identità è rimasta ancora oggi
sconosciuta: si tratta dell'enigma principale
dei biografi di Beethoven. Sembra certo che
queste lettere non furono mai inviate: furono
trovate in una credenza nei giorni che
seguirono la morte del compositore, in un
lato di un altro importante documento, il
Testamento di Heiligenstadt.
Facsimile della prima pagina.
Dagli studi dei coniugi Massin e di Maynard Solomon emergono due figure di donna,
a cui ricondurre l'identità dell'"amata": Joséphine von Brunsvik e Antonia Brentano.
Ma il piccolo dipinto di donna ritrovato accanto al manoscritto non corrisponde
nelle fattezze a nessuna di queste.
Nel film Amata immortale di Bernard Rose del 1994, si lascia intendere chiaramente
come quest'amata, in fondo, non fosse altro che la musica stessa.
Le tre lettere
Ecco qui sotto la traduzione delle lettere:
6 luglio, di mattina.
Mio angelo, mio tutto, mio io — Sono poche parole per oggi, e per giunta a matita (la tua) — Il
mio alloggio non sarà definito prima di domani — che inutile perdita di tempo — Perché questa
pena profonda, quando parla la necessità — può forse durare il nostro amore se non a patto di
sacrifici, a patto di non esigere nulla l'uno dall'altra; puoi forse cambiare il fatto che tu non sei
interamente mia, io non sono interamente tuo: Oh Dio, volgi lo sguardo alle bellezze della
natura e rasserena il tuo cuore con ciò che deve essere — l'Amore esige tutto, e a buon diritto
— così è per me con te, e per te con me. Ma tu dimentichi tanto facilmente che io devo vivere
per me e per te; se fossimo davvero uniti, ne sentiresti il dolore tanto poco quanto lo sento io
— Il mio viaggio è stato terribile; sono arrivato qui soltanto ieri mattina alle quattro. Poiché
scarseggiavano i cavalli, la diligenza ha scelto un'altra strada, ma quant'era orribile! Alla
penultima stazione di posta mi sconsigliarono di viaggiare la notte; volevano mettermi paura
parlandomi di una foresta, ma ciò mi incitò maggiormente — ed ho avuto torto. La carrozza
non poteva che rompersi per quel sentiero orrendo, fangoso e senza fondo. Se non avessi avuto
con me quei postiglioni sarei rimasto in mezzo alla strada. Esterhby, viaggiando per la solita via,
con otto cavalli ha avuto la stessa sorte che è toccata a me con quattro — Eppure ho provato
un certo piacere, come sempre quando riesco a superare felicemente qualche difficoltà — Ora
passo in fretta dai fatti esterni a quelli più intimi. Ci vedremo sicuramente presto; neppur oggi
riesco a far parte con te delle mie considerazioni di questi ultimi giorni sulla mia vita — Se i
nostri cuori fossero sempre vicini l'uno all'altro, non avrei certo simili pensieri. Il mio cuore
trabocca di tante cose che vorrei dirti — ah — vi sono momenti in cui sento che le parole non
servono a nulla — Sii serena — rimani il mio fedele, il mio unico tesoro, il mio tutto, così come
io lo sono per te. Gli dei ci mandino il resto, ciò che per noi dev'essere e sarà.
Il tuo fedele Ludwig.
Lunedì 6 luglio, di sera.
Tu stai soffrendo, creatura adorata — soltanto ora ho appreso che le lettere devono essere
impostate di buon mattino il lunedì-giovedì — i soli giorni in cui parte da qui la diligenza per K.
— stai soffrendo — Ah, dovunque tu sia, tu sei con me — Sistemerò le cose tra noi in modo che
io possa vivere con te. Che vita!!! Così!!! Senza di te — perseguitato da ogni parte dalla bontà
della gente — che io non desidero né tanto meno merito — umiltà dell'uomo verso l'uomo —
mi fa soffrire — e quando considero me stesso in rapporto all'universo, ciò che io sono e che
Egli è — colui che chiamiamo il più grande degli uomini — eppure — qui si rivela la natura
divina dell'uomo —piango se penso che probabilmente non potrai ricevere notizie da me prima
di sabato — Per quanto tu mi possa amare — io ti amo di più. — Ma non avere mai segreti per
me — buona notte — Dato che sto facendo la cura dei bagni devo andare a letto — Oh Dio —
così vicini! così lontani! Non è forse il nostro amore una creatura celeste, e, per giunta, più
incrollabile della volta del cielo?
Buon giorno, il 7 luglio.
Pur ancora a letto, i miei pensieri volano a te, mia Immortale Amata, ora lieti, ora tristi,
spettando di sapere se il destino esaudirà i nostri voti — posso vivere soltanto e unicamente
con te, oppure non vivere più — Sì, sono deciso ad andare errando lontano da te finché non
potrò far volare la mia anima avvinta alla tua nel regno dello spirito — Sì, purtroppo dev'essere
così — Sarai più tranquilla, poiché sai bene quanto ti sia fedele. Nessun'altra potrà mai
possedere il mio cuore — mai — mai — oh Dio, perché si dev'essere lontani da chi si ama tanto.
E la mia vita a Vienna è ora così infelice — Il tuo amore mi rende il più felice e insieme il più
infelice degli uomini — alla mia età ho bisogno di una vita tranquilla e regolare — ma può forse
esser così nelle nostre condizioni? Angelo mio, mi hanno appena detto che la posta parte tutti i
giorni — debbo quindi terminare in fretta cosicché tu possa ricevere subito la lettera. — Sii
calma, solo considerando con calma la nostra esistenza riusciremo a raggiungere la nostra
meta, vivere insieme — Sii calma — amami — oggi — ieri — che desiderio struggente di te — te
— te — vita mia — mio tutto — addio. — Oh continua ad amarmi — non giudicare mai male il
cuore fedelissimo del tuo amato.
Sempre tuo
Sempre mia
Sempre nostri — L.
Mata Hari
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Mata Hari, pseudonimo di Margaretha
Geertruida Zelle (Leeuwarden, 7 agosto
1876 – Vincennes, 15 ottobre 1917), è stata
una danzatrice e agente segreto olandese,
condannata alla pena capitale per la sua
attività di spionaggio durante la prima guerra
mondiale.Era figlia di Adam Zelle (18401910) e di Antje van der Meulen (1842-1891),
ed ebbe tre fratelli, il maggiore, Johannes
(1878), e due fratelli gemelli, Arie Anne e
Cornelius (1881-1956). Il padre aveva un
negozio di cappelli, era proprietario di un
mulino e di una fattoria. La sua famiglia
poteva permettersi di vivere molto
agiatamente in un antico e bel palazzo di
Groote Kerkstraat, nel centro della città.
Mata Hari
Margaretha, che in gioventù frequentò una
scuola prestigiosa, aveva una carnagione scura
ed i capelli e gli occhi neri, caratteristiche
fisiche che la differenziavano notevolmente
dai suoi connazionali olandesi.
Margaretha e Rudolph Mac Leod nel 1897
Nel 1889 gli affari del padre iniziarono ad
andar male tanto da costringerlo a cedere la
sua attività commerciale. Il dissesto
economico provocò dissapori nella famiglia
che portarono, il 4 settembre 1890, alla
separazione dei coniugi ed al trasferimento
del padre ad Amsterdam. La madre morì
l'anno dopo e Margaretha venne allevata nella
cittadina di Sneek dal padrino, il quale scelse
di farla studiare da maestra d'asilo in una
scuola di Leida. Sembra che le eccessive
attenzioni, se non proprio molestie, del
direttore della scuola, avessero spinto il suo
padrino a toglierla dalla scuola, mandandola
da uno zio che viveva a L'Aia
Nel 1895 Margaretha rispose all'inserzione matrimoniale di un ufficiale, il capitano Rudolph Mac
Leod (1856-1928), che viveva ad Amsterdam, in licenza di convalescenza dalle colonie d'Indonesia
poiché soffriva di diabete e di reumatismi. L'11 luglio 1896, ottenuto anche il consenso paterno,
Margaretha sposò il capitano Mac Leod: il padre, divenuto nel frattempo viaggiatore di commercio,
partecipò alla cerimonia nuziale in municipio, ma non fu invitato al pranzo di nozze. Dopo il
viaggio di nozze a Wiesbaden, la coppia si stabilì ad Amsterdam, nella casa di Louise, la sorella di
Rudolph.
In Indonesia
La figlia Jeanne Louise
Il 30 gennaio 1897 nacque a Margaretha un figlio, cui fu dato il nome del nonno paterno, Norman
John. In maggio la famiglia s'imbarcò per Giava, dove il capitano riprese servizio nel villaggio di
Ambarawa, nel centro della grande isola. L'anno dopo si trasferirono a Teompoeng, vicino a
Malang, dove il 2 maggio 1898 nacque Jeanne Louise († 1919), chiamata col vezzeggiativo Non, dal
malese nonah (piccola).
La vita familiare non fu serena: vi furono litigi tra i coniugi, sia per la durezza della vita in villaggi
che non conoscevano gli agi delle moderne città europee dell'epoca, sia per la gelosia del marito e la
sua tendenza ad abusare dell'alcol. L'anno seguente il marito fu promosso maggiore e comandante
della piazza di Medan, sulla costa orientale di Sumatra. Come moglie del comandante, Margaretha
ebbe il compito di fare gli onori di casa agli altri ufficiali che, con le loro famiglie, frequentavano il
loro alloggio, e conobbe i notabili del luogo. Uno di questi la fece assistere per la prima volta a una
danza locale, all'interno di un tempio, che l'affascinò per la novità esotica delle musiche e delle
movenze, che ella provò anche ad imitare.
La famiglia venne sconvolta dalla tragedia della morte del piccolo Norman, che il 27 giugno 1899
morì avvelenato. La causa della morte fu una medicina somministrata dalla domestica indigena ai
figli della coppia, ma non si hanno prove che costei avesse voluto uccidere i bambini; si sospetta
però che ella, moglie di un subalterno del maggiore Mac Leod, fosse stata spinta dal marito a
vendicarsi del superiore, che gli aveva inflitto una punizione. Rudolph, Margaretha e la piccola
Non, per sottrarsi a un luogo di tristi ricordi, ottennero di trasferirsi a Banjoe Biroe, nell'isola di
Giava, dove Margaretha si ammalò di tifo. Il maggiore Mac Leod, raggiunta la maturazione della
pensione, il 2 ottobre 1900 diede le dimissioni dall'esercito: dopo poco più di un anno passato
ancora a Giava, nel villaggio di Sindanglaja, cedendo forse alle richieste della moglie, riportò, agli
inizi del 1902, la famiglia in Olanda.
A Parigi
Sbarcati il 2 marzo 1902, i due coniugi tornarono per breve tempo a vivere nella casa di Louise Mac
Leod, poi per loro conto in un appartamento di van Breestraat 188: lasciata dal marito, che portò
con sé la figlia, Margaretha, chiese la separazione, che le venne accordata il 30 agosto, insieme con
l'affidamento della piccola Non e il diritto agli alimenti. Dopo una successiva, breve riconciliazione,
Margaretha e il marito si separarono definitivamente; questa volta fu il padre ad ottenere la custodia
della bambina, mentre Margaretha si stabilì dallo zio a L'Aja.
L'esibizione al Museo Guimet di Parigi, 13 marzo 1905
Decisa a tentare l'avventura della grande città, nel marzo del 1903 Margaretha andò a Parigi, dove
pure non conosceva nessuno: cercò di mantenersi facendo la modella presso un pittore e cercando
scritture nei teatri ma con risultati alquanto deludenti. Forse giunse anche a prostituirsi per
sopravvivere, nella vana attesa del successo. Il fallimento dei suoi tentativi la convinse a riparare in
Olanda ma l'anno seguente, il 24 marzo 1904, tornò nuovamente a Parigi e prese alloggio al Grand
Hotel, divenendo l'amante del barone Henri de Marguérie. Presentatasi dal signor Molier,
proprietario di un'importante scuola di equitazione e di un circo, Margaretha, che in effetti aveva
imparato a cavalcare a Giava, si offrì di lavorare e poiché un'amazzone può essere un'attrazione, fu
accettata. Ebbe successo e una sera si esibì durante una festa in casa del Molier in una danza
giavanese, o qualcosa che sembrava somigliarle: Molier rimase entusiasta di lei. La sua danza era, a
suo dire, quella delle sacerdotesse del dio orientale Shiva, che mimavano un approccio amoroso
verso la divinità, fino spogliarsi, un velo dopo l'altro, del tutto, o quasi. Trasferitasi in un più
modesto alloggio, una pensione presso gli Champs-Élysées, sempre a spese del Marguérite, il suo
vero debutto avvenne nel febbraio 1905, in casa della cantante Kiréevsky, che usava invitare i suoi
ricchi amici e conoscenti a spettacoli di beneficenza. Il successo fu tale che i giornali arrivano a
parlarne: lady Mac Leod, come ora si faceva chiamare, replicò il successo in altre esibizioni, ancora
tenute in case private, dove più facilmente poteva togliersi i veli del suo costume, e la sua fama di
«danzatrice venuta dall'Oriente» iniziò ad estendersi per tutta Parigi.
Notata da monsieur Guimet, industriale e collezionista di oggetti d'arte orientale, ricevette da questi
la proposta di esibirsi in place de Jéna, nel museo, dove egli custodiva i suoi preziosi reperti, come
un animato gioiello orientale. Fu però necessario cambiare il suo nome, troppo borghese ed
europeo: così Guimet scelse il nome, d'origine malese, di Mata Hari, letteralmente «Occhio
dell'Alba» e quindi "Sole". L’esibizione di Mata Hari nel museo Guimet ebbe luogo il 13 marzo.
Mata Hari alternò le esibizioni, tenute nelle case esclusive di aristocratici e finanzieri, agli spettacoli
nei locali prestigiosi di Parigi: il Moulin Rouge, il Trocadéro, il Café des Nations. Il successo provocò
naturalmente una curiosità cui ella non poté sottrarsi e dovette far collimare l'immagine privata con
quella pubblica: «Sono nata a Giava e vi ho vissuto per anni» - raccontò ai giornalisti, mescolando
poche verità e molte menzogne - «sono entrata, a rischio della vita, nei templi segreti dell'India [ ... ]
ho assistito alle esibizioni delle danzatrici sacre davanti ai simulacri più esclusivi di Shiva, Visnù e
della dea Kalì [ ... ] persino i sacerdoti fanatici che sorvegliano l'ara d'oro, sacra al più terribile degli
dei, mi hanno creduto una bajadera del tempio [ ... ] la vendetta dei sacerdoti buddisti per chi
profana i riti [ ... ] è terribile [ ... ] conosco bene il Gange, Benares, ho sangue indù nelle vene».
Un successo internazionale
Mata Hari
Consacrata, il 18 agosto 1905, dopo l'esibizione al teatro dell'Olympia, come la «donna che è lei
stessa danza», «artista sublime», e come colei che «riesce a dare il senso più profondo e struggente
dell'anima indiana», Mata Hari si trovò ad essere desiderata tanto dai maggiori teatri europei
quanto, come moglie, da ricchi e nobili pretendenti. La sua tournée in Spagna, nel gennaio 1906, fu
un trionfo: venendo incontro alla fantasia, ingenua e torbida, costruita su realtà di paesi del tutto
sconosciuti, Mata Hari offriva agli spettatori quanto essi si attendevano dalla sua danza: il fascino
proibito dell'erotismo e la purezza dell'ascesi, in un assurdo sincretismo in cui la mite saggezza di
un Buddha veniva parificata ai riti sanguinari - per quanto inesistenti - di terribili dee indù.
D'altra parte, pare che ella avesse un certo talento se è vero che la sua esibizione nel balletto
musicato da Jules Massenet, Le roi de Lahore, all'Opéra di Monaco ottenne, il 17 febbraio, un grande
successo e lei venne salutata come «danzatrice unica e sublime» mentre il musicista francese, e
anche Giacomo Puccini, si dichiararono suoi ammiratori. Il 26 aprile 1906 fu sancito ufficialmente
il divorzio di Margaretha Zelle dal McLeod. Da Monaco si recò a Berlino, dove si legò ad un ricco
ufficiale, Hans Kiepert, che l'accompagnò a Vienna e poi a Londra e in Egitto. Furono intanto
pubblicate due sue biografie, una scritta dal padre, che esalta la figlia più che altro per esaltare se
stesso, inventandosi parentele con re e principi, e quella, di opposte intenzioni, di George Priem,
avvocato del suo ex-marito. Mata-Hari, naturalmente, confermò la versione del padre: l'excappellaio era un nobile ufficiale, mentre sua nonna era una principessa giavanese; quanto a lei,
aveva viaggiato in tutti i continenti e aveva vissuto a lungo a Nuova Delhi, dove aveva frequentato
maharaja ed abbattuto tigri, come dimostra la pelliccia che indossava - in realtà acquistata in un
negozio di Alessandria d'Egitto.
Il successo provocò anche imitazioni ma nessuna delle sue epigoni raggiunse mai la sua fama. Il suo
nome fu accostato a quello delle maggiori vedettes del passato, come Lola Montez, e del tempo,
come la Bella Otero, Cléo de Mérode e Isadora Duncan. Il 7 gennaio 1910 riscosse a Montecarlo
nuove acclamazioni con la sua Danse du feu che non replicò all'Olympia di Parigi solo perché le sue
pretese economiche furono eccessive. Il successo fece crescere enormemente le spese necessarie a
sostenere una incessante vita mondana che conobbe solo una breve tregua quando, nell'estate, si
trasferì in un castello a Esvres, non lontano da Tours, che il suo nuovo amante, il banchiere Félix
Rousseau, affittò e le mise a disposizione e dove rimase circa un anno, quando, a causa dei
problemi finanziari della banca Rousseau, il suo Félix affittò per lei un appartamento carino, ma
meno costoso, a Neuilly, uno dei sobborghi di Parigi.
Alla fine del 1911 raggiunse il vertice del riconoscimento artistico partecipando, al Teatro alla Scala
di Milano, prima alla rappresentazione dell'Armida di Gluck, tratta dalla Gerusalemme liberata del
Tasso, recitando la parte del Piacere e poi, dal 4 gennaio 1912, dando cinque rappresentazioni del
Bacco e Gambrinus, un balletto di Giovanni Pratesi musicato da Romualdo Marenco, dove interpretò
il ruolo di Venere. Il direttore dell'orchestra, Tullio Serafin, dichiarò che Mata Hari «...è una donna
eccezionale, dall'eleganza perfetta e con un senso poetico innato; inoltre, sa ciò che vuole e sa come
ottenerlo. Ella così fa della propria danza una sicura opera d'arte».
In realtà, il Teatro milanese stava attraversando un periodo di decadenza e i tentativi, fatti in
quell'occasione da Mata Hari, di ottenere collaborazione da musicisti come Umberto Giordano e
Pietro Mascagni, andarono a vuoto, come inutile fu anche il tentativo di esibirsi con i ballerini russi
della compagnia di Djagilev. Mata Hari si consolò allora con le Folies Bergères dove, mettendo per un
momento da parte la danza orientale, si trasformò in gitana e, nell'estate del 1913, andò in tournée
in Italia, esibendosi a Roma, a Napoli e a Palermo. C'è un motivo, raccontava, per cui ella
conosceva così bene i balli spagnoli: giovanissima, aveva sposato un nobile scozzese, con il quale
aveva vissuto in un antico castello; dopo il fallimento del suo matrimonio, aveva viaggiato molto e
a lungo in Spagna, dove un torero, innamorato di lei, si era fatto uccidere nell'arena, disperato per
non essere stato corrisposto.
Nel 1914 si spostò a Berlino, per preparare un nuovo spettacolo nel quale intendeva interpretare
una danza egiziana: nella sua stanza dell'albergo Cumberland, scrisse lei stessa il libretto del balletto,
che intitolò La chimera; nel frattempo prevedeva di debuttare in settembre al Teatro Metropole in
un altro spettacolo. Ma quello spettacolo non ebbe mai luogo: con l'assassinio del principe
ereditario austriaco finì la Belle Epoque ed ebbe inizio la Prima guerra mondiale.
La guerra e lo spionaggio
Mentre l'esercito tedesco invadeva il Belgio per svolgere quell'operazione a tenaglia che, con
l'accerchiamento delle forze armate francesi, avrebbe dovuto concludere rapidamente la guerra,
Mata Hari era già partita per la Svizzera, da dove contava di rientrare in Francia; tuttavia, mentre i
suoi bagagli proseguirono il viaggio verso la terra francese, lei venne trattenuta alla frontiera e
rimandata a Berlino. Nell'albergo ove fece ritorno, senza bagaglio e denaro, un industriale olandese,
tale Jon Kellermann, le offrì il denaro per il viaggio, consigliandole di andare a Francoforte e di qui,
tramite il consolato, passare la frontiera olandese. Così, il 14 agosto 1914, il funzionario del
consolato olandese rilasciò a Margaretha Geertuida Zelle, «alta un metro e settantacinque», di
capelli, in quell'occasione, biondi, il visto per raggiungere Amsterdam.
Mata Hari si intrattiene con militari francesi nel 1916 (Forse una sosia)
Qui divenne l'amante del banchiere van der Schalk e poi, dopo il trasferimento a L'Aja, del barone
Eduard Willem van der Capellen, colonnello degli ussari, che la soccorse generosamente nelle sue
non poche necessità finanziarie. Il 24 dicembre 1915 Mata Hari tornò a Parigi, per recuperare il suo
bagaglio e tentare, nuovamente invano, di ottenere una scrittura da Djagilev. Ebbe appena il tempo
di divenire amante del maggiore belga Fernand Beaufort che, alla scadenza del permesso di
soggiorno, il 4 gennaio 1916, dovette fare ritorno in Olanda.
Furono frequenti le visite nella sua casa de L'Aja del console tedesco Alfred von Kremer, che
proprio in questo periodo l'avrebbe assoldata come spia al servizio della Germania, incaricandola di
fornire informazioni sull'aeroporto di Contrexéville, presso Vittel, in Francia, dove ella poteva
recarsi col pretesto di far visita al suo ennesimo amante, il capitano russo Vadim Masslov,
ricoverato nell'ospedale di quella città. Mata Hari, divenuta agente H21, fu istruita in Germania
dalla famosa spia Fräulein Doktor, che la immatricolò con il nuovo codice AF44.
La ballerina era già sorvegliata dal controspionaggio inglese e francese quando, il 24 maggio 1916,
partì per la Spagna e di qui, il 14 giugno, per Parigi dove, tramite un ex-amante, il tenente di
cavalleria Jean Hallaure, che era anche, senza che lei lo sapesse, un agente francese, il 10 agosto si
mise in contatto con il capitano Georges Ladoux, capo di una sezione del Deuxième Bureau, il
controspionaggio francese, per ottenere il permesso di recarsi a Vittel. Ladoux le concesse il visto e
le propose di entrare al servizio della Francia, proposta che Mata Hari accettò, chiedendo l'enorme
cifra di un milione di franchi, giustificata dalle conoscenze importanti che ella vantava e che
sarebbero potute tornare utili alla causa francese.
Un pericoloso doppio gioco
A Vittel incontrò il capitano russo, fece vita mondana con i tanti ufficiali francesi che
frequentavano la stazione termale e dopo due settimane tornò a Parigi. Qui, oltre a inviare
informazioni sulla sua missione agli agenti tedeschi in Olanda e in Germania, ricevette anche
istruzioni dal capitano Ladoux di tornare in Olanda via Spagna. Dopo essersi trattenuta alcuni
giorni a Madrid, sempre sorvegliata dai francesi e dagli inglesi, a novembre s'imbarcò da Vigo per
L'Aia. Durante la sosta della nave a Falmouth, nel Regno Unito, fu arrestata perché scambiata con
una ballerina di flamenco, Clara Benedix, sospetta spia tedesca. Interrogata a Londra e chiarito
l'equivoco, dopo accordi presi con Ladoux, Scotland Yard la respinse in Spagna, dove sbarcò l'11
dicembre 1916.
A Madrid continuò il doppio gioco, mantenendosi in contatto sia con l'addetto militare
all'ambasciata tedesca, Arnold von Kalle, che con quello dell'ambasciata francese, il colonnello
Joseph Denvignes, al quale riferì di manovre dei sottomarini tedeschi al largo delle coste del
Marocco. Il von Kalle comprese che Mata Hari stava facendo il doppio gioco e telegrafò a Berlino
che «l'agente H21» chiedeva denaro ed era in attesa di istruzioni: la risposta fu che l'agente H21
doveva rientrare in Francia per continuare le sue missioni e ricevervi 15.000 franchi.
L'ipotesi che i tedeschi avessero deciso di disfarsi di Mata Hari - rivelandola al controspionaggio
francese come spia tedesca - poggia sull'utilizzo, da loro fatto in quell'occasione, di un vecchio
codice di trasmissione, già abbandonato perché decifrato dai francesi, nel quale Mata Hari veniva
ancora identificata con la sigla H21. In tal modo, i messaggi tedeschi furono facilmente decifrati
dalla centrale parigina di ascolto radio della Tour Eiffel. Il 2 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a
Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell'albergo Elysée Palace e
rinchiusa nel carcere di Saint-Lazare.
Il processo
Mata Hari all'apice del successo, nel 1906
Di fronte al titolare dell'inchiesta, il capitano Pierre Bouchardon, Mata Hari adottò inizialmente la
tattica di negare ogni cosa, dichiarandosi totalmente estranea a ogni vicenda di spionaggio. Fu
assistita, nel primo interrogatorio, dall'avvocato Édouard Clunet, suo vecchio amante, che aveva
mantenuto con lei un affettuoso rapporto e che poté essere presente, secondo regolamento, ancora
solo nell'ultima deposizione. Poi, con il passare dei giorni, Mata Hari non poté evitare di giustificare
le somme - considerate dall'accusa il prezzo del suo spionaggio -che il van der Capelen, suo amante,
le inviava dall'Olanda, di ammettere le somme ricevute a Madrid dal von Kalle, giustificandole
come semplici regali, e di rivelare anche un particolare inedito: l'offerta ricevuta in Spagna di
ingaggiarsi come agente dello spionaggio russo in Austria. Riferì anche della proposta fattale dal
capitano Ladoux di lavorare per la Francia, una proposta che cercò di sfruttare a suo vantaggio,
come dimostrazione della propria lealtà nei confronti della Francia.
L'accusa non aveva, fino a questo momento, alcuna prova concreta contro Mata Hari, la quale
poteva anzi vantare di essersi messa a disposizione dello spionaggio francese. Il fatto è che il
controspionaggio non aveva ancora messo a disposizione del capitano Bouchardon le trascrizioni
dei messaggi tedeschi intercettati che la indicavano come l'agente tedesco H21. Quando lo fece,
due mesi dopo, Mata Hari dovette ammettere di essere stata ingaggiata dai tedeschi, di aver
ricevuto inchiostro simpatico per comunicare le sue informazioni, ma di non averlo mai usato avrebbe gettato tutto in mare - e di non avere trasmesso nulla ai tedeschi, malgrado 20.000 franchi
ricevuti dal console von Kramer, che ella, sostenne, considerò solo un risarcimento per i disagi
patiti durante la sua permanenza in Germania nei primi giorni di guerra. Quanto al messaggio di
von Kalle a Berlino, che la rivelava come spia, Mata Hari lo considerò la vendetta di un uomo
respinto.
I tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarando di non averla mai
considerata una spia. Al contrario, il capitano Georges Ladoux negò di averle mai proposto di
lavorare per il servizi francesi, avendola sempre considerata una spia tedesca, mentre l'addetto
militare a Madrid, l'anziano Denvignes, sostenne di essere stato corteggiato da lei allo scopo di
carpirgli segreti militari; quanto alle informazioni sulle attività tedesche in Marocco, egli negò che
fosse stata Mata Hari a fornirle. Entrambi gli ufficiali non seppero citare alcuna circostanza
sostanziale contro Mata Hari, ma le loro testimonianze, nel processo, ebbero un peso determinante.
L'inchiesta si chiuse con un colpo a effetto: l'ufficiale russo Masslov, del quale Mata Hari sarebbe
stata innamorata, scrisse di aver sempre considerato la relazione con la donna soltanto
un'avventura. La rivelazione non aveva nulla a che fare con la posizione giudiziaria di Mata Hari,
ma certo acuì in lei la sensazione di trovarsi in un drammatico isolamento.
L'inchiesta venne chiusa il 21 giugno con il rinvio a giudizio di Mata Hari. Il processo, tenuto a
porte chiuse, ebbe inizio il 24 luglio: a presiedere la Corte di sei giudici militari fu il tenente
colonnello Albert Ernest Somprou; a sostenere l'accusa il tenente Mornet. Nulla di nuovo emerse
nei due giorni di dibattimento: dopo l'appassionata perorazione del difensore Clunet, vecchio
combattente e decorato, nel 1870, nella guerra franco-prussiana, i giudici si ritirarono per
rispondere a 8 domande:
1. se nel dicembre 1915 Margaretha Zelle avesse cercato di ottenere informazioni riservate
nella zona militare di Parigi a favore di una potenza nemica;
2. se si fosse procurata informazioni riservate al console tedesco in Olanda von Kramer;
3. se nel maggio 1916 avesse avuto rapporti in Olanda con il console von Kramer;
4. se nel giugno 1916 avesse cercato di ottenere informazioni nella zona militare di Parigi;
5. se avesse cercato di favorire le operazioni militare della Germania;
6. se nel dicembre 1916 avesse avuto contatti a Madrid con l'addetto militare tedesco von
Kalle allo scopo di fornirgli informazioni riservate;
7. se avesse rivelato al von Kalle il nome di un agente segreto inglese e la scoperta, da parte
francese, di un tipo di inchiostro simpatico tedesco;
8. se nel gennaio 1917 avesse avuto rapporti con il nemico nella zona militare di Parigi.
Dopo meno di un'ora venne emessa la sentenza secondo la quale l'imputata era colpevole di tutte le
otto accuse mossegli: «In nome del popolo francese, il Consiglio condanna all'unanimità la suddetta
Zelle Marguerite Gertrude alla pena di morte [...] e la condanna inoltre al pagamento delle spese
processuali». Quanto all'unanimità dei giudici, questa valeva per la sentenza ma non per ogni capo
d'imputazione, per alcuni dei quali il verdetto di colpevolezza non trovò l'unanimità dei giudici.
La morte
Immagine nota come la fucilazione di Mata Hari; esiste un documentario di Piero Angela
prodotto dalla RAI negli anni '60 che ne dimostra la falsità (lei si vestì di bianco)
L'istanza di riesame del processo venne respinta dal Consiglio di revisione il 17 agosto e il 27
settembre anche la Corte d'Appello confermò la sentenza di condanna. L'ultima speranza era
rappresentata dalla domanda di grazia che l'avvocato Clunet presentò personalmente al Presidente
della Repubblica Poincaré.
Il 15 ottobre, un lunedì, Mata Hari, che dopo il processo occupava una cella in comune con due
altre detenute, venne svegliata all'alba dal capitano Thibaud, il quale la informò che la domanda di
grazia era stata respinta e la invitò a prepararsi per l'esecuzione. Si vestì con la consueta eleganza,
assistita da due suore. Poi, su sua richiesta, il pastore Arboux la battezzò; indossato un cappello di
paglia di Firenze e infilati i guanti, fu accompagnata da suor Léonide e suor Marie, dal pastore,
dall'avvocato Clunet, dai dottori Bizard, Socquet, Bralet, dal Capitano Pierre Bouchardon e dai
gendarmi nell'ufficio del direttore, dove scrisse tre lettere - che tuttavia la direzione del carcere non
spedì mai - indirizzate alla figlia Jeanne Louise, al capitano Masslov e all'ambasciatore d'Olanda
Cambon.
Poi tre furgoni portarono il corteo al castello di Vincennes dove, scortati da dragoni a cavallo,
giunsero verso le sei e trenta di una fredda e nebbiosa mattina. Al braccio di suor Marie, si avviò
con molta fermezza al luogo fissato per l'esecuzione, dove venne salutata, come è previsto, da un
plotone che le presentò le armi. Ricambiato più volte il saluto con cortesi cenni del capo, fu
blandamente legata al palo; rifiutata la benda, poté fissare di fronte a sé i dodici fanti, reduci dal
fronte, ai quali era stato assegnato il compito di giustiziarla: uno di essi, secondo regola, aveva il
fucile caricato a salve.
Degli undici colpi, otto andarono a vuoto - ultima galanteria dei militari di Francia - uno la colpì al
ginocchio, uno al fianco e il terzo la fulminò al cuore: il maresciallo Pétey diede alla nuca un inutile
colpo di grazia. Nessuno reclamò il corpo: trasportato all'Istituto di medicina legale di Parigi,
sezionato, fu presto sepolto in una fossa comune. Venne conservata la testa che fu trafugata negli
anni cinquanta, in circostanze mai chiarite, per servire forse come estrema e macabra reliquia.
La sorte degli altri protagonisti
I protagonisti principali della vita di Mata Hari, padre, figlia, amanti, diplomatici ed agenti segreti,
proseguirono così la loro vita:
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Rudolph (John) Mac Leod, l'ex marito di Mata Hari, si risposò nel 1907 con Elizabeth van
der Maast, dalla quale ebbe una figlia, Norma, nel 1909. La coppia si separò, la figlia se la
portò via la madre e Mac Leod, con il quale era rimasta la figlia Non avuta da Margaretha,
ottenuto il divorzio da Elizabeth, nel 1917 si sposò per la terza volta con la governante di
Non, la venticinquenne Gietje Meijer. Ebbe dalla terza moglie una figlia nel 1921 e morì
settantatreenne nel 1928
Non Mc Leod, figlia di Margaretha e di Rudolph (John) Mac Leod, alta e slanciata e di
carnagione scura, molto somigliante alla madre anche nel carattere, rimasta a vivere con il
padre, morì improvvisamente alla vigilia della partenza per l'Indonesia (10 agosto 1919):
aveva ventuno anni.
il capitano francese Georges Ladoux, del Deuxième Bureau, venne arrestato quattro giorni
dopo l'esecuzione di Mata Hari con la medesimo accusa: spionaggio a favore della
Germania. Prosciolto in un primo momento, venne nuovamente incarcerato e ci vollero
quasi due anni prima che fosse prosciolto definitivamente e reintegrato nel grado, andando
poi in pensione con quello di maggiore.
il capitano francese Pierre Bouchardon, che condusse l'inchiesta per il processo, entrò nella
magistratura civile e fece carriera come pubblico accusatore, morendo poi nel 1950.Fu lui a
essere di nuovo in carica in 1944 per tutti i grandi processi della "Libération"su richiesta
speciale del General de Gaulle.
il maggiore tedesco Arnold Kalle, addetto militare all'Ambasciata tedesca di Madrid,
rientrato in patria, rimase nell'esercito e si ritirò in pensione nel 1932
il barone francese Henri de Marguérie continuò la sua attività diplomatica presso il Quai
d'Orsay; entrato in politica venne eletto senatore nel 1920 e morì ultranovantenne nel 1963
il barone olandese Eduard Willem van der Capellen lasciò l'esercito olandese nel 1923 dopo
essere diventato generale di divisione
il capitano russo Vadim Masslov sposò Olga Tardieu, figlia di un francese e di una russa;
rientrato in Russia allo scoppio della rivoluzione, se ne persero le tracce
il tenente di cavalleria francese Jean Halaure ricevette dal facoltoso padre una cospicua
somma, si trasferì a New York, ove sposò un'americana con la quale rientrò in Francia,
precisamente in Bretagna, vivendoci il resto della vita con la moglie e morendovi nel 1960
Jules Martin Cambon, ambasciatore francese in Olanda, fu delegato francese alle trattative
di pace di Versailles nel 1919; morì novantenne a Vevey nel 1935
il console tedesco all'Aja, Alfred von Kramer, rientrato in Germania alla fine della guerra,
morì nel 1938
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