R.o.d. Le note THE I-JIN FILE Hiraga Gennai (平賀 源内 1728-? 24 gennaio 1780) è stato un farmacologo giapponese vissuto nel periodo Edo e che ebbe contatti con la scienza Occidentale grazie all'enclave Olandese di Dejima (vedi Rangaku). Fu anche medico, scrittore, pittore e inventore famoso per il suo Erekiteru (generatore elettrostatico), Kandankei (termometro) e Kakanpu (stoffa d’amianto). Nato in una famiglia di samurai di basso rango, suo padre era Shiraishi Mozaemon (Yoshifusa), sua madre era del clan Yamashita e aveva molti fratelli. Il suo vero nome era Kunitomo (国 倫), Ma anche lui è andato dal pseudonimi Kyūkei (鳩 渓), Furai Sanjin (風来 山人) (il suo principale pseudonimo letterario), Tenjiku Ronin (天竺 浪人) e Fukuchi Kigai (福内 鬼外). È comunque maggiormente noto con il nome di "Gennai". Ha studiato prima erbe medicinali a Osaka con Toda Kyokuzan, prima di trasferirsi a Edo nel 1757. Lì, ha studiato con Tamura Ransui e ha scritto una serie di libri, alcuni su argomenti scientifici o naturali, alcuni romanzi satirici, nel generi kokkeibon e dangibon. Nei suoi esperimenti scientifici, cercò vari minerali, creò tessuti in amianto, calcolato temperature e ha lavorato con l'elettricità statica. Gennai ha anche studiato tecniche occidentali nella pittura e nella ceramica, producendo una serie di opere. Interessato ai minerali, per un certo numero di volte ha tentato senza successo che le miniere venissero aperte. In un'occasione, frustrato e arrabbiato per la continua mancanza di sostegno da parte dei cittadini della zona, uccise uno dei suoi discepoli in un impeto di rabbia. Arrestato e mandato in prigione, vi morì nel 1779. Jean-Henri Casimir Fabre (Saint-Léons du Lévézou, 22 dicembre 1823 – Sérignan-duComtat, 11 ottobre 1915) è stato un entomologo e naturalista francese, considerato il padre dell'entomologia. Fabre nacque in una famiglia molto povera, e studiò quasi esclusivamente come autodidatta, arrivando a ottenere numerosi riconoscimenti accademici. Fu insegnante, fisico, e botanico, ma è noto soprattutto per le sue scoperte nel campo dell'entomologia, in particolare correlati allo studio del comportamento degli insetti. Su questo argomento scrisse numerosi saggi brevi, raccolti e pubblicati con il titolo di Souvenirs Entomologiques (in edizione italiana Ricordi di un entomologo). Alcune delle opere di Fabre ispirarono in parte gli ultimi lavori di Charles Darwin, che definì Fabre "un osservatore inimitabile". Fabre, invece, rifiutò la teoria dell'evoluzione di Darwin. L'ultima abitazione di Jean-Henri Fabre, la "Harmas de Sérignan" in Provenza, è oggi adibita a museo sulla sua vita e le sue opere. Karl Wilhelm Otto Lilienthal (Anklam, 23 maggio 1848 – Berlino, 10 agosto 1896) è stato un pioniere dell'aviazione tedesco, nella letteratura in lingua inglese talvolta soprannominato Glider King (Re degli alianti). Anche se si parla spesso di lui come del primo costruttore di un aliante in grado di volare trasportando un essere umano (il cosiddetto Derwitzer Gleiter nel 1891), in realtà la prima realizzazione avvenne ad opera di George Cayley che, ben quarant'anni prima, riuscì a staccarsi da terra alcune volte. Cayley, tuttavia, effettuò soltanto pochi voli di prova e smise in seguito ai primi incidenti. Anche se la sua passione era il volo, è stato un inventore eclettico: ha inventato, tra l'altro un piccolo motore che utilizzava caldaie tubolari e che era ben più sicuro di quelli disponibili al momento. Questa invenzione gli diede la tranquillità economica necessaria per potersi occupare soltanto di aviazione. Non vi è comunque alcun dubbio che il maggior contributo di Lilienthal sia stato lo sviluppo di oggetti volanti 'più pesanti dell'aria' (palloni e mongolfiere già volavano da tempo). Attese il ritorno del fratello Gustav (in Australia fino al 1886) per iniziare a disegnare e costruire alcuni 'aquiloni volanti' che sperimentò personalmente lanciandosi, per oltre 2000 volte, da colline o dai tetti delle case ed effettuando anche qualche modesto guadagno di quota. Lilienthal effettuò la sua ricerca di base studiando il volo degli uccelli ed utilizzando diagrammi polari per descrivere l'aerodinamica delle loro ali. Lilienthal dimostrò che oggetti più pesanti dell'aria erano in grado di volare senza che vi fosse alcun movimento dinamico delle ali, ponendo le basi per lavoro ed il successo dei Fratelli Wright che, alcuni anni dopo, costruirono e fecero volare il primo aereo motorizzato. Naturalmente Lilienthal ebbe numerosi incidenti durante le prove, anche se il suo aquilone volava lentamente ed a quote bassissime. Il 9 agosto 1896, un colpo di vento gli ruppe un'ala ed egli cadde da 17 metri di altezza, rompendosi la spina dorsale. Si spense il giorno dopo dicendo: "Opfer müssen gebracht werden!" ("I sacrifici devono esser fatti!"). A Otto Lilienthal è dedicato l'aeroporto di Berlino Tegel Il viaggio in Occidente Autore 1ª ed. originale Genere Sottogenere Lingua originale Ambientazione Protagonisti Wú Chéng'ēn 1590 Romanzo mitologico, avventura, fantastico cinese Cina, XVI secolo Sun Wukong, Xuánzàng, Zhu Wuneng, Sha Wujing Titolo originale 西遊記 Xīyóu Jì' Altri titoli Viaggio in Occidente Lo scimmiotto Sun Wukong - Lo scimmiotto di Pietra L'edizione più antica del romanzo, Cina, XVI secolo Il viaggio in occidente (in cinese 西遊記T, 西游记S, Xīyóu JìP, Hsiyu-chiW, letteralmente "Racconto del viaggio in occidente") è un classico della letteratura cinese, appartenente al gruppo dei quattro grandi romanzi classici. È stato pubblicato anonimo nel 1590 circa e non ci è pervenuta alcuna prova materiale relativa all'identità dello scrittore, ma lo si attribuisce tradizionalmente all'erudito Wu Cheng'en. Il libro è una riflessione su quanto il buddhismo cinese avesse unito, fondendo aspetti del Taoismo e del Confucianesimo in Cina. Rappresenta inoltre un vero e proprio percorso di purificazione dei vari personaggi, che alla fine del viaggio giungeranno all'illuminazione. La trama Il romanzo racconta in versione mitizzata il viaggio di un monaco buddhista. Nel romanzo, il monaco Sanzang (ispirato al personaggio storico Xuanzang) viene inviato dal Bodhisattva Guanyin in India per ottenere le copie di determinati testi buddhisti importanti, non disponibili in Cina. È accompagnato nel suo viaggio da tre discepoli — il re scimmia Sun Wukong, il maiale Zhū Bājiè ed il demone fluviale Sha Wujing i quali decidono di proteggerlo ed aiutarlo nell'impresa per ottenere il perdono dei peccati commessi. Il cavallo del protagonista è invece, in realtà un principe drago, figlio del Re Drago del Mare del Sud. Insieme, combattono i mostri ed i demoni che incontrano lungo il cammino, compreso il Bai Gu Jing, che uccide intere famiglie succhiando l'anima e la vita, ed il demone del ratto, che seduce e uccide i monaci con i suoi artigli. Storia di Sun Wukong I quattro eroi della storia, da sinistra a destra: Sun Wukong, Xuánzàng, Zhu Wuneng e Sha Wujing I primi capitoli del romanzo sono tutti dedicati alla storia di Sun Wukong, infatti diverse edizioni si limitano a questa parte. Da una roccia frutto della terra ingravidata dal vento, nasce lo scimmiotto di pietra Sun Wukong che si distingue per il suo coraggio portando il popolo delle scimmie nella Caverna del Sipario d'Acqua della Montagna dei Fiori e dei Frutti, e diventandone così il re. Preoccupato dalla possibilità che la sua conquistata felicità un giorno finisca, viaggia a lungo fino ad arrivare presso l'abitazione di un Saggio, il Patriarca Subhodi, che gli insegna la Via (Tao), e in particolare come diventare un Immortale e come difendersi dalle Tre Calamità, il che lo rende un guerriero potentissimo, capace di 72 trasformazioni e di volare su una nuvola; quando il Saggio si renderà conto che il giovane scimmiotto non ha appreso l'essenza della Via ma solo i suoi poteri, lo caccerà e gli proibirà di dichiararsi suo discepolo, e in effetti Sun Wukong non farà mai più il suo nome. Tornato nella sua Montagna dei Fiori e dei Frutti, si impegna a portare il suo regno alla supremazia, conquistando e sottomettendo tutte le altre specie e pretendendo in dono dai quattro Dragoni Re dei Mari un bastone che si allunga e rimpicciolisce a piacimento (originariamente una delle colonne che tenevano l'oceano al suo posto), un elmo di fenice, un'armatura d'oro e degli stivali magici. L'Imperatore di Giada, infastidito dalla sua arroganza, lo chiama a palazzo per tenerlo sotto controllo, e gli assegna l'incarico di Custode dei Cavalli Celesti (弼馬溫S, BimawenP), ma lo scimmiotto superbo trova l'incarico troppo umile, così torna alla sua montagna; allora l'Imperatore di Giada manda contro di lui il Re Li e suo figlio Nezha, che tuttavia non riescono a sconfiggerlo, così egli decide di concedere al Re delle Scimmie il titolo di Grande Saggio Pari del Cielo (齊天大聖S, Qitiān DashengP) come da lui richiesto e richiamarlo in Cielo. Qui però lo scimmiotto dà ancora prova di sé e dopo essersi cibato delle Pesche dell'Immortalità si introduce in una festa a cui non era stato invitato e mangia e beve tutti gli alimenti degli dei che può, ruba le pillole di Lao Zi, poi fugge di nuovo alla sua montagna. Questa volta l'Imperatore infuriato manda contro di lui suo nipote Erlang, che, dopo una estenuante battaglia a cui partecipano anche molte altre divinità tra cui la Bodhisattva Guanyin e Lao Zi, riesce a sconfiggerlo e consegnarlo al Cielo, dove viene subito condannato a morte. Il problema ovviamente è che lo scimmiotto è un Immortale, e il suo corpo è indistruttibile essendosi cibato delle pesche sacre, perciò nonostante venga trafitto da spade, battuto con martelli, colpito da fulmini e sottoposto a innumerevoli torture, non riporta neanche un graffio: allora viene rinchiuso in una fornace nella speranza che il suo corpo fonda, ma dopo diversi giorni, quando la fornace viene aperta, egli è ancora vivo, e i suoi occhi sono ora del colore del fuoco con pupille dorate, ed hanno acquisito il potere di vedere attraverso ogni inganno. In cerca di vendetta, Sun Wukong mette a ferro e fuoco il Cielo, combattendo alla pari con più di centomila soldati imperiali, e l'Imperatore terrorizzato manda a chiamare il Tathāgata Buddha, che sfida il Re delle Scimmie a saltare fuori dalla sua mano, ma nel momento in cui lo fa la mano diventa sempre più grande finché quando Sun Wukong crede di essere arrivato al confine dell'universo in realtà non ha raggiunto che le dita della mano. Il Buddha allora lo punisce per la sua arroganza seppellendolo sotto la Montagna dei Cinque Elementi. Il Viaggio ad Ovest Dopo 500 anni la Bodhisattva Guanyin viene incaricata dal Buddha di cercare un uomo pio in grado di affrontare il pericoloso viaggio verso Ovest per portare nell'impero Tang i Sutra, in modo da diffondere in esso il vero insegnamento del Buddha, e lungo il cammino questa pensa di concedere a Sun Wukong la libertà in cambio della promessa di diventare un discepolo del prescelto. Quando il monaco Chen Xuanzang, detto Sanzang (o Tripitaka, "tre ceste", dal nome del sutra che porterà al ritorno) e Tangseng (fratello dei Tang) giunge in prossimità della Montagna dei Cinque Elementi la scimmia ormai millenaria gli spiega la situazione e lo implora di liberarlo; il monaco accetta, gli dà il nomignolo Xingzhe (行者S) e da quel momento diventa il suo maestro. Non che Sun Wukong sia un buon discepolo; alla prima ramanzina abbandona il monaco, e la Bodhisattva Guanyin, giunta in suo soccorso, dona a questi un diadema magico. Quando il Grande Saggio Pari del Cielo ritorna il monaco gli fa indossare il diadema con un trucco e poi con una magia insegnatagli dalla Bodhisattva lo stringe attorno al suo cranio provocandogli un immenso dolore; quando smette Sun Wukong si rende conto di non poterlo togliere e cerca di uccidere di botte il suo maestro, ma questo ricomincia a recitare la formula magica. Da questo momento in poi Sun Wukong obbedirà senza discutere al monaco, e lo proteggerà durante tutto il viaggio, durante il quale incontrerà i nuovi compagni di avventura, precedentemente anch'essi discepoli del monaco: il maiale antropomorfo Zhu Wuneng e il demone fluviale Sha Wujing, condannati anch'essi, alcuni anni prima, durante l'annuale banchetto di pesche sacre (Zhu Wuneng si ubriacò e cercò di sedurre una bella fanciulla, Sha Wujing ruppe un vaso per sfogare un impeto di rabbia), mentre il cavallo del monaco è in realtà la trasformazione di un drago, figlio del re drago dei mari del sud, condannato dal padre per aver distrutto la sua grande perla sacra ma salvato da Guanyin. Insieme attraverseranno moltissimi scenari, tra cui larghi fiumi impassabili, montagne fiammeggianti, un regno con una popolazione interamente femminile e una tana di seducenti spiriti di ragno, e lotteranno contro gli innumerevoli banditi, demoni e creature mitologiche che incontreranno. Tra questi sono compresi il Bai Gu Jing, che uccide intere famiglie succhiando l'anima e la vita, ed il demone del ratto, che seduce e uccide i monaci con i suoi artigli. Lo scimmiotto protagonista imparerà da allora a comportarsi meglio e infine, dopo 14 anni di pellegrinaggio, arriveranno al confine con l'India e porteranno a termine la loro impresa ricevendo i testi sacri dal Buddha che vive sul picco della collina Griddhraj Parvat. Il gruppo raggiungerà l'illuminazione: Sun Wukong e Sanzang diventeranno dei buddha a loro volta, Sha Wujing un arhat, Zun Wuneng ironicamente il consumatore delle offerte in eccesso sugli altari e infine il cavallodrago un nāga. Popolarità del romanzo Uno degli assistenti soprannaturali del monaco, il re scimmia Sun Wukong (孙悟空S), è diventato uno dei personaggi più famosi e più cari della letteratura cinese. Per il suo grado di popolarità e di riconoscimento in Asia è stato paragonato al Topolino dei paesi occidentali, e nel Shanghai Disneyland Resort vi sarà anche il suo personaggio. La ragione della popolarità così duratura del romanzo, viene dal fatto che esso è portatore di messaggi a livelli multipli: è una storia di avventura, con parecchi passaggi al comico, e anche una metafora in cui il Illustrazione all'opera (XV secolo) gruppo dei pellegrini che viaggiano verso l'India corrisponde ad un viaggiare simbolico verso il chiarimento, ad un viaggio interiore verso un livello di educazione più elevato. Il romanzo è stato preso ad ispirazione per: The Monkey: serie umoristica a cartoni animati per la televisione, parodia del Viaggio in Occidente; a causa della fedelta' al titolo originale, risulta di difficile comprensione per il pubblico occidentale. Le 13 fatiche di Ercolino: un film d'animazione giapponese tratto dalla leggenda cinese. Lo scimmiotto, di Milo Manara e Saverio Pisu (Alterlinus, 1976). Versione molto libera della prima parte della storia, che si conclude con l'imprigionamento del re delle scimmie sotto la Montagna dei Cinque Elementi. Dragon Ball: serie giapponese di manga e anime liberamente ispirata anch'essa al Viaggio in Occidente. Gensomaden Saiyuki: un altro anime ispirato dal mito. Starzinger: anime liberamente ispirato dalla storia, ambientato nello spazio. Viaggio in Occidente: una serie di telefilm prodotti dalla CCTV (televisione cinese) con protagonista Liu Xiao Ling nella parte di Sun Wukong. Un film statunitense per la TV prodotto nel 2001 dalla NBC, di nome The Lost Empire (distribuito con il nome L'incantesimo del manoscritto ma mandato in onda su Italia 1 come Il viaggio in Occidente), diretto da Peter McDonald si propone come seguito della storia; in esso un americano (Nick Orton, interpretato da Thomas Gibson) prende il posto del monaco alla guida dei tre demoni per impedire agli dei, Confucio, e lo stesso Wu Cheng'en, di distruggere tutte le copie del romanzo richiamandole in cielo. Sono assistiti dalla bellissima dea Kuan Ying (la bodhisattva Guanyin), che ovviamente si innamora dell'americano. Nel cast anche Kabir Bedi A Chinese Odissey Part I - Pandora's Box e A Chinese Odissey Part II - Cinderella di Jeffrey Lau ne sono liberamente ispirati e l'autore dimostra una conoscenza profonda del buddhismo attraverso una spremitura del testo originario all'essenza. Lo scimmiotto Sun Wukong è interpretato maestralmente dal Jim Carrey orientale Stephen Chow. Tsui Hark, regista di Hong Kong autore di film di arti marziali ricchi di effetti speciali, di successo anche in occidente (ad esempio Seven Swords è stato distribuito in Italia da Medusa Film nel 2005), ha annunciato di avere in progetto una trasposizione cinematografica di Viaggio in Occidente. Il film americano Il regno proibito, diretto da Rob Minkoff, con Jet Li, Michael Angarano e Jackie Chan, è liberamente ispirato alla parte del romanzo in cui il monaco viaggia verso la Montagna dei 5 Elementi per liberare il Re Scimmia dalla sua prigionia. Nel 2013 è uscito nelle sale cinematografiche un film tratto dal romanzo, intitolato Journey to the West: Conquering the Demons e diretto da Stephen Chow Un altro adattamento cinematografica del romanzo, intitolato The Monkey King (Da Nao Tian Gong) è stato distribuito nel 2014. Talvolta la leggenda del Saiyuki viene citata od omaggiata: Il videogioco "Enslaved: Odyssey to the West" ha chiari riferimenti al romanzo quali il nome del protagonista "Monkey" e le sue caratteristiche fisiche che riportano alla mente quelle del protagonista del romanzo, nonché poi anche il titolo del videogioco è un'allusione a "Viaggio in Occidente". Love Hina: serie giapponese di manga e anime: nell'episodio 16 della serie televisiva, i protagonisti mettono in scena una rappresentazione teatrale del Viaggio in Occidente. Nel manga Inuyasha, il protagonista della storia è un demone inizialmente aggressivo e violento. Per renderlo inoffensivo, la sacerdotessa Kaede gli mette al collo un rosario sacro in grado di scaraventarlo violentemente a terra quando Kagome pronuncia la parola "Osuwari" (In italiano tradotto con "A cuccia"), in analogia col diadema di Bodhisattva. In un episodio dell'anime Inuyasha i protagonisti incontrano un demonecinghiale, Chokyukai, che afferma di essere discendente di Cho Hakkai, ed è accompagnato da due piccoli demoni: un kappa discendente di Sha Gojo ed una scimmia discendente di Son Goku, tre dei protagonisti della leggenda cinese; questi ultimi due si rivelano però molto deboli, dato che anche Shippo riesce a tenerli a bada. Inoltre sia il kappa che la scimmia indossano un diadema dorato come Son Goku e lo stesso Chokyukai ne possiede diversi con cui è in grado di far innamorare di sé chiunque lo indossi. Nell'anime uno di questi diademi finisce prima in testa a Inuyasha, poi a Miroku e poi a Kagome. Nel manga Saint Seiya, Shaka di Virgo, che è considerato una reincarnazione di Buddha, affronta Ikki di Phoenix e quest'ultimo, spaventato dal suo potere, cerca di fuggire più lontano possibile, solo per ritrovarsi nel palmo della mano di Buddha, proprio come successe a Sun Wukong alle prese con Tathāgata Buddha. Doraemon: Nobita's Parallel "Journey to the West", il nono film dell'anime giapponese Doraemon, segue satiricamente i personaggi principali della serie nei panni di Sun Wukong e dei suoi compagni. Ruyi Jingu Bang (Nyoi-bo) Un disegno del 19mo secolo che ritrae Sun Wukong con il suo bastone. Ruyi Jingu Bang (Cinese: 如意金箍棒; Pinyin: Rúyì Jīngū Bàng), o semplicemente come Ruyi Bang o Jingu Bang, è il nome del bastone magico brandito dalla scimmia immortale Sun Wukong nella novella cinese del 16mo secolo “Viaggio in Occidente”. Origine e descrizione L'asta compare per la prima nel terzo capitolo, quando il Re Scimmia va nel regno sommerso di Ao Guang, il Re Drago del Mare orientale, alla ricerca di un'arma magica che sia all'altezza della sua forza e abilità. Quando tutte le tradizionali armi magiche - spade, lance e alabarde, ognuna pensante centinaia di chili - si dimostrano non all'altezza delle sue aspettative, la Regina dei Draghi suggerisce al marito di dare a Sun un inutile pilastro in ferro che occupa spazio nel loro tesoro. Lei sostiene che il pilastro ha iniziato da qualche giorno ad emettere della luce divina e fa capire che la scimmia è destinata a possederlo. La novella non spiega come viene forgiato; dice solo che tempi immemorabili addietro venne utilizzato da Yu il Grande per misurare la profondità del Diluvio Universale. L'asta è inizialmente descritta quindi come un pilastro di ferro nero, alto venti piedi e della larghezza di un barile. Ma è solo quando scimmia lo solleva e suggerisce che una dimensione più piccola sarebbe più maneggevole che questo esaudisce il suo desiderio e si restringe. In quel momento Sun vede che le estremità dell'arma sono avvolte con degli anelli d'oro e l'iscrizione lungo l'asta stessa che riporta "il Bastone Conforme Contornato in Oro del peso di 13.500" (如意 金箍棒重 一 万 三千 五 百斤). La scritta indica che l'asta obbedisce ai comandi del suo proprietario, contraendosi o allungandosi arbitrariamente e che è enormemente pesante, 7.960 kg. Quando non viene usata, la scimmia la fa rimpicciolire fino alle dimensioni di un ago e la tiene nascosta dietro l'orecchio. Riferimenti letterari precedenti La più antica edizione del Viaggio in Occidente, la versione Kozanji del 13mo secolo (高 山寺) pubblicato durante l'ultimo periodo della dinastia Song, diverge in molti punti della versione definitiva pubblicata durante la dinastia Ming. Per esempio, l'episodio in cui scimmia prende possesso del pilastro è completamente diverso, come peraltro il pilastro stesso. Sun porta in Paradiso il monaco Xuanzang per incontrare il dio supremo Maha Brahma Deva. Dopo che il monaco riesce fare un'ottima impressione con gli dei grazie alla sua predica sul Sutra del Loto alla Scimmia viene dato un Bordone d'Oro per monaci come arma magica (fra le altre cose) contro i mali che dovranno affrontare nel loro viaggio verso l'India. Sun poi utilizza il bordone in una battaglia contro una donna vestita di bianco che si trasforma in un demone tigre. Fa tramutare il bordone in un Yaksha dai capelli rossi e dalla pelle blu, armato di bastone, mostrando così che il predecessore del "Bastone Conforme Contornato in Oro" aveva un numero superiore di abilità magiche. Un'arma che si avvicina alla foggia del “Bastone Conforme Contornato in Oro” è menzionata di sfuggita nelle prime fasi del racconto, versione dinastia Ming. La scimmia afferma che la Regina Madre d'Occidente lo aveva percosso con una "Clava di Ferro" (铁棒) per aver rubato 10 pesche dal suo Giardino dell'Eden. In seguito prende in prestito la Clava e la utilizza assieme al Bordone d'Oro per combattere 9 draghi. Opere derivate Il personaggio Son Goku, protagonista della serie Dragon Ball e la sua arma sono modellati rispettivamente sul personaggio di Sun Wukong e il suo bastone. Viene chiamato "Nyoi Bo" la traslitterazione giapponese di Ruyi bang (如意棒, Bastone Conforme). Il bastone gli viene regalato in giovane età dal nonno Gohan, un umano che lo ha adottato e che gli insegna le arti marziali. Ikkyū Sōjun Ikkyū Sōjun Uno dei padiglioni del monastero Daitoku-ji (大徳寺) di Kyoto che ebbe Ikkyū come abate a partire dal 1474 fino alla sua morte nel 1481. «Ti prego, ti prego, non preoccuparti quante volte devo dirtelo: non hai altra scelta se non quella di essere chi tu sei e dove tu sei.» (Ikkyū 一休) Ikkyū Sōjun1 (一休宗純 Ikkyū Sōjun) (1394 – 1481) è stato un monaco buddhista, abate e poeta giapponese. La vita Maestro buddhista zen, è comunemente ritenuto figlio illegittimo dell'imperatore Gokomatsu (後小松天皇 Gokomatsu-tennō, 1377-1433, regno: 1392-1412) e di una dama di corte di basso rango. Abbandonato dalla madre nel tempio buddhista zen di istituzione Gozan (五山), l'Ankoku-ji (安国寺) di Kyoto, Ikkyū trascorse l'infanzia tra questo tempio e il Tenryū-ji (天龍寺), sempre a Kyoto e anch'esso di istituzione Gozan. Nel 1410, Ikkyū lasciò il Tenryū-ji per trasferirsi in un eremo sotto la guida di Ken'ō Sōi (謙翁宗為 ?-1414). Da notare che questo maestro zen, Ken'ō Sōi, era Per i biografati giapponesi nati prima del Periodo Meiji si usano le convenzioni classiche dell'onomastica giapponese, secondo cui il cognome precede il nome. "Ikkyū" è il cognome. 1 privo di un formale certificato di illuminazione (印可, inka) e proveniva dai monasteri Daitoku-ji (大徳寺) e Myōshin-ji (妙心寺) che da tempo erano usciti dall'orbita del Gozan, quest'ultima una istituzione sostenuta dagli stessi shogun. Tale scelta dimostra quanto Ikkyū fosse, fin dall'adolescenza, insofferente nei confronti degli aspetti formali delle istituzioni zen, mirando piuttosto ai contenuti della tradizione di questa scuola buddhista. La prevalenza per Ikkyū del contenuto rispetto alla formalità degli insegnamenti venne confermata dal fatto che, dopo la morte di Ken'ō Sōi nel 1414, egli si trasferì al Daitoku-ji di Kyoto, sotto la guida del ventiduesimo abate di questo monastero, Kasō Sōdon (華叟宗曇, 1352-1428), con cui studiò presso un piccolo eremo a Katada sulle rive del Lago Biwa e dove, nel 1420 all'età di ventisei anni, raggiunse il satori (悟り), l' "illuminazione", al grido di una cornacchia mentre meditava su una barca. Ma anche Ikkyū, come Ken'ō Sōi, rifiutò il certificato di illuminazione offertogli dal suo maestro. Poco tempo dopo questo avvenimento, Ikkyū lasciò Katada, probabilmente per dei contrasti intercorsi con lo stesso Kasō Sōdon, dirigendosi verso Sakai dove presto conquistò fama di grande eccentrico frequentando postriboli e taverne. Ikkyū avrà modo di sostenere più volte che questi luoghi erano di gran lunghi più adatti all' "illuminazione" buddhista rispetto ai corrotti monasteri di Kyoto. In questo periodo, iniziò la sua lunga vita di monaco itinerante, assumendo il nome di Kyōun (狂雲, Nuvola folle) cui fece riferimento nel titolo della sua raccolta poetica più importante: Kyōunshū (狂雲集, Raccolta della Nuvola folle). Presto anche il Daitoku-ji divenne bersaglio dei suoi strali, nonostante fosse stato, per un breve periodo nel 1440, abate di un padiglione minore di questo monastero, il Nyoi-an. La nomina ad abate di Yōsō Sōi (養叟宗頤, 1376-1458), già discepolo di Kasō Sōdon, acuì infatti gli attacchi di Ikkyū al monastero di Kyoto essendo stato, l'appena nominato abate, suo rivale ai tempi di Katada. Sempre a partire dal 1440, Ikkyū si dedicò con passione alle emergenti nuove arti giapponesi: la calligrafia, dove le sue opere vennero successivamente molto apprezzate; la poesia, dove studiò con il poeta Sōchō (宗長, 1448-1532); il teatro Nō, dove strinse rapporti con l'autore Komparu Zenchiku (金春禅竹, 1405-1468); la Cerimonia del tè, dove collaborò con il monaco Murata Shukō (村田珠光, 14271502) ai primi canoni di questa disciplina; la pittura, dove frequentò i pittori Bokkei Saiyo (n.d.) e Motsurin Shōtō (anche Bokusai, 墨斎, 1412?-1492). Nel 1447 abbandonò definitivamente il Daitoku-ji, ritirandosi in un eremo nei pressi di Kyoto che denominò "Capanna dell'asino cieco" e dove rimase fino al 1467, allorché la zona iniziò ad essere funestata dagli scontri che portarono al conflitto Ōnin, la guerra civile che devastò il paese per ben dieci anni. Dopo altre peregrinazioni ritornò, per ordine imperiale, al Daitoku-ji nel 1474, quando il monastero non era che un mucchio di rovine causate dalle guerre civili. Le conoscenze maturate durante la sua vita errabonda, gli consentirono tuttavia di raccogliere donazioni per la ricostruzione del monastero Daitoku-ji che venne rifondato e che lo ebbe come abate fin dal 1474. I suoi ultimi anni di vita li trascorse in disparte, nei pressi di un piccolo tempio, insieme ad una cantante cieca di nome Mori. Morì in tarda età, a ottantasette anni, stroncato da un attacco di malaria. Le opere L'opera poetica maggiore di Ikkyū è il Kyōunshū (狂雲集, Antologia di nuvole pazze) che comprende circa mille poesie di stile cinese, tutte con metro di quattro versi con sette caratteri per verso. Una seconda opera poetica è il Jikaishū (自戒集, Raccomandazioni a se stesso). Oltre a queste opere poetiche è autore di alcune prose di carattere eminentemente buddhista: Bukkigun (仏鬼軍, La guerra dei buddha e dei demoni), Maka hannya haramita singyō kai (Spiegazione del Sutra del cuore della perfezione di saggezza), Amida hadaka monogatari (阿弥陀裸物語, Il racconto di Amida nudo), Gaikotsu (骸骨, Scheletri). Lo stile della sua poesia non prevedeva l'uso di caratteri fonetici hiragana non presenti nell'alfabeto cinese. Assai dibattuta è la forte contraddizione tra la fede professata nelle sue poesie e le immagini sensuali, spesso assai crude, che appaiono con una certa frequenza nei suoi versi. La sua poesia è un susseguirsi di elevati concetti religiosi e di forti passioni carnali, queste ultime tutt'altro che fantasiose quali quelle suscitate dall'amante cieca Mori. «Non passa notte che Ikkyu non canti a squarciagola per sé stesso per il cielo e le nuvole perché lei si è offerta in libertà le sue mani, la sua bocca, il suo seno le sue lunghe cosce bagnate dal sudore.» (Ikkyū 一休) Nella cultura di massa Il protagonista della serie anime Ikkyusan il piccolo bonzo è basato sulla vita di Ikkyū Sōjun. Voci correlate Buddhismo giapponese Buddhismo Zen Zen Rinzai Cha no yu Lettera all'Immortale Amata (Wikipedia) La Lettera all'Immortale Amata (in tedesco Briefe an die unsterbliche Geliebte) è un documento manoscritto di Ludwig van Beethoven. Si tratta di un gruppo di tre lettere redatte il 6 e il 7 luglio 1812 mentre Beethoven seguiva una cura alle Terme di Teplitz in Boemia. Il loro destinatario era una donna di cui il compositore era profondamente innamorato. La sua identità è rimasta ancora oggi sconosciuta: si tratta dell'enigma principale dei biografi di Beethoven. Sembra certo che queste lettere non furono mai inviate: furono trovate in una credenza nei giorni che seguirono la morte del compositore, in un lato di un altro importante documento, il Testamento di Heiligenstadt. Facsimile della prima pagina. Dagli studi dei coniugi Massin e di Maynard Solomon emergono due figure di donna, a cui ricondurre l'identità dell'"amata": Joséphine von Brunsvik e Antonia Brentano. Ma il piccolo dipinto di donna ritrovato accanto al manoscritto non corrisponde nelle fattezze a nessuna di queste. Nel film Amata immortale di Bernard Rose del 1994, si lascia intendere chiaramente come quest'amata, in fondo, non fosse altro che la musica stessa. Le tre lettere Ecco qui sotto la traduzione delle lettere: 6 luglio, di mattina. Mio angelo, mio tutto, mio io — Sono poche parole per oggi, e per giunta a matita (la tua) — Il mio alloggio non sarà definito prima di domani — che inutile perdita di tempo — Perché questa pena profonda, quando parla la necessità — può forse durare il nostro amore se non a patto di sacrifici, a patto di non esigere nulla l'uno dall'altra; puoi forse cambiare il fatto che tu non sei interamente mia, io non sono interamente tuo: Oh Dio, volgi lo sguardo alle bellezze della natura e rasserena il tuo cuore con ciò che deve essere — l'Amore esige tutto, e a buon diritto — così è per me con te, e per te con me. Ma tu dimentichi tanto facilmente che io devo vivere per me e per te; se fossimo davvero uniti, ne sentiresti il dolore tanto poco quanto lo sento io — Il mio viaggio è stato terribile; sono arrivato qui soltanto ieri mattina alle quattro. Poiché scarseggiavano i cavalli, la diligenza ha scelto un'altra strada, ma quant'era orribile! Alla penultima stazione di posta mi sconsigliarono di viaggiare la notte; volevano mettermi paura parlandomi di una foresta, ma ciò mi incitò maggiormente — ed ho avuto torto. La carrozza non poteva che rompersi per quel sentiero orrendo, fangoso e senza fondo. Se non avessi avuto con me quei postiglioni sarei rimasto in mezzo alla strada. Esterhby, viaggiando per la solita via, con otto cavalli ha avuto la stessa sorte che è toccata a me con quattro — Eppure ho provato un certo piacere, come sempre quando riesco a superare felicemente qualche difficoltà — Ora passo in fretta dai fatti esterni a quelli più intimi. Ci vedremo sicuramente presto; neppur oggi riesco a far parte con te delle mie considerazioni di questi ultimi giorni sulla mia vita — Se i nostri cuori fossero sempre vicini l'uno all'altro, non avrei certo simili pensieri. Il mio cuore trabocca di tante cose che vorrei dirti — ah — vi sono momenti in cui sento che le parole non servono a nulla — Sii serena — rimani il mio fedele, il mio unico tesoro, il mio tutto, così come io lo sono per te. Gli dei ci mandino il resto, ciò che per noi dev'essere e sarà. Il tuo fedele Ludwig. Lunedì 6 luglio, di sera. Tu stai soffrendo, creatura adorata — soltanto ora ho appreso che le lettere devono essere impostate di buon mattino il lunedì-giovedì — i soli giorni in cui parte da qui la diligenza per K. — stai soffrendo — Ah, dovunque tu sia, tu sei con me — Sistemerò le cose tra noi in modo che io possa vivere con te. Che vita!!! Così!!! Senza di te — perseguitato da ogni parte dalla bontà della gente — che io non desidero né tanto meno merito — umiltà dell'uomo verso l'uomo — mi fa soffrire — e quando considero me stesso in rapporto all'universo, ciò che io sono e che Egli è — colui che chiamiamo il più grande degli uomini — eppure — qui si rivela la natura divina dell'uomo —piango se penso che probabilmente non potrai ricevere notizie da me prima di sabato — Per quanto tu mi possa amare — io ti amo di più. — Ma non avere mai segreti per me — buona notte — Dato che sto facendo la cura dei bagni devo andare a letto — Oh Dio — così vicini! così lontani! Non è forse il nostro amore una creatura celeste, e, per giunta, più incrollabile della volta del cielo? Buon giorno, il 7 luglio. Pur ancora a letto, i miei pensieri volano a te, mia Immortale Amata, ora lieti, ora tristi, spettando di sapere se il destino esaudirà i nostri voti — posso vivere soltanto e unicamente con te, oppure non vivere più — Sì, sono deciso ad andare errando lontano da te finché non potrò far volare la mia anima avvinta alla tua nel regno dello spirito — Sì, purtroppo dev'essere così — Sarai più tranquilla, poiché sai bene quanto ti sia fedele. Nessun'altra potrà mai possedere il mio cuore — mai — mai — oh Dio, perché si dev'essere lontani da chi si ama tanto. E la mia vita a Vienna è ora così infelice — Il tuo amore mi rende il più felice e insieme il più infelice degli uomini — alla mia età ho bisogno di una vita tranquilla e regolare — ma può forse esser così nelle nostre condizioni? Angelo mio, mi hanno appena detto che la posta parte tutti i giorni — debbo quindi terminare in fretta cosicché tu possa ricevere subito la lettera. — Sii calma, solo considerando con calma la nostra esistenza riusciremo a raggiungere la nostra meta, vivere insieme — Sii calma — amami — oggi — ieri — che desiderio struggente di te — te — te — vita mia — mio tutto — addio. — Oh continua ad amarmi — non giudicare mai male il cuore fedelissimo del tuo amato. Sempre tuo Sempre mia Sempre nostri — L. Mata Hari Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Mata Hari, pseudonimo di Margaretha Geertruida Zelle (Leeuwarden, 7 agosto 1876 – Vincennes, 15 ottobre 1917), è stata una danzatrice e agente segreto olandese, condannata alla pena capitale per la sua attività di spionaggio durante la prima guerra mondiale.Era figlia di Adam Zelle (18401910) e di Antje van der Meulen (1842-1891), ed ebbe tre fratelli, il maggiore, Johannes (1878), e due fratelli gemelli, Arie Anne e Cornelius (1881-1956). Il padre aveva un negozio di cappelli, era proprietario di un mulino e di una fattoria. La sua famiglia poteva permettersi di vivere molto agiatamente in un antico e bel palazzo di Groote Kerkstraat, nel centro della città. Mata Hari Margaretha, che in gioventù frequentò una scuola prestigiosa, aveva una carnagione scura ed i capelli e gli occhi neri, caratteristiche fisiche che la differenziavano notevolmente dai suoi connazionali olandesi. Margaretha e Rudolph Mac Leod nel 1897 Nel 1889 gli affari del padre iniziarono ad andar male tanto da costringerlo a cedere la sua attività commerciale. Il dissesto economico provocò dissapori nella famiglia che portarono, il 4 settembre 1890, alla separazione dei coniugi ed al trasferimento del padre ad Amsterdam. La madre morì l'anno dopo e Margaretha venne allevata nella cittadina di Sneek dal padrino, il quale scelse di farla studiare da maestra d'asilo in una scuola di Leida. Sembra che le eccessive attenzioni, se non proprio molestie, del direttore della scuola, avessero spinto il suo padrino a toglierla dalla scuola, mandandola da uno zio che viveva a L'Aia Nel 1895 Margaretha rispose all'inserzione matrimoniale di un ufficiale, il capitano Rudolph Mac Leod (1856-1928), che viveva ad Amsterdam, in licenza di convalescenza dalle colonie d'Indonesia poiché soffriva di diabete e di reumatismi. L'11 luglio 1896, ottenuto anche il consenso paterno, Margaretha sposò il capitano Mac Leod: il padre, divenuto nel frattempo viaggiatore di commercio, partecipò alla cerimonia nuziale in municipio, ma non fu invitato al pranzo di nozze. Dopo il viaggio di nozze a Wiesbaden, la coppia si stabilì ad Amsterdam, nella casa di Louise, la sorella di Rudolph. In Indonesia La figlia Jeanne Louise Il 30 gennaio 1897 nacque a Margaretha un figlio, cui fu dato il nome del nonno paterno, Norman John. In maggio la famiglia s'imbarcò per Giava, dove il capitano riprese servizio nel villaggio di Ambarawa, nel centro della grande isola. L'anno dopo si trasferirono a Teompoeng, vicino a Malang, dove il 2 maggio 1898 nacque Jeanne Louise († 1919), chiamata col vezzeggiativo Non, dal malese nonah (piccola). La vita familiare non fu serena: vi furono litigi tra i coniugi, sia per la durezza della vita in villaggi che non conoscevano gli agi delle moderne città europee dell'epoca, sia per la gelosia del marito e la sua tendenza ad abusare dell'alcol. L'anno seguente il marito fu promosso maggiore e comandante della piazza di Medan, sulla costa orientale di Sumatra. Come moglie del comandante, Margaretha ebbe il compito di fare gli onori di casa agli altri ufficiali che, con le loro famiglie, frequentavano il loro alloggio, e conobbe i notabili del luogo. Uno di questi la fece assistere per la prima volta a una danza locale, all'interno di un tempio, che l'affascinò per la novità esotica delle musiche e delle movenze, che ella provò anche ad imitare. La famiglia venne sconvolta dalla tragedia della morte del piccolo Norman, che il 27 giugno 1899 morì avvelenato. La causa della morte fu una medicina somministrata dalla domestica indigena ai figli della coppia, ma non si hanno prove che costei avesse voluto uccidere i bambini; si sospetta però che ella, moglie di un subalterno del maggiore Mac Leod, fosse stata spinta dal marito a vendicarsi del superiore, che gli aveva inflitto una punizione. Rudolph, Margaretha e la piccola Non, per sottrarsi a un luogo di tristi ricordi, ottennero di trasferirsi a Banjoe Biroe, nell'isola di Giava, dove Margaretha si ammalò di tifo. Il maggiore Mac Leod, raggiunta la maturazione della pensione, il 2 ottobre 1900 diede le dimissioni dall'esercito: dopo poco più di un anno passato ancora a Giava, nel villaggio di Sindanglaja, cedendo forse alle richieste della moglie, riportò, agli inizi del 1902, la famiglia in Olanda. A Parigi Sbarcati il 2 marzo 1902, i due coniugi tornarono per breve tempo a vivere nella casa di Louise Mac Leod, poi per loro conto in un appartamento di van Breestraat 188: lasciata dal marito, che portò con sé la figlia, Margaretha, chiese la separazione, che le venne accordata il 30 agosto, insieme con l'affidamento della piccola Non e il diritto agli alimenti. Dopo una successiva, breve riconciliazione, Margaretha e il marito si separarono definitivamente; questa volta fu il padre ad ottenere la custodia della bambina, mentre Margaretha si stabilì dallo zio a L'Aja. L'esibizione al Museo Guimet di Parigi, 13 marzo 1905 Decisa a tentare l'avventura della grande città, nel marzo del 1903 Margaretha andò a Parigi, dove pure non conosceva nessuno: cercò di mantenersi facendo la modella presso un pittore e cercando scritture nei teatri ma con risultati alquanto deludenti. Forse giunse anche a prostituirsi per sopravvivere, nella vana attesa del successo. Il fallimento dei suoi tentativi la convinse a riparare in Olanda ma l'anno seguente, il 24 marzo 1904, tornò nuovamente a Parigi e prese alloggio al Grand Hotel, divenendo l'amante del barone Henri de Marguérie. Presentatasi dal signor Molier, proprietario di un'importante scuola di equitazione e di un circo, Margaretha, che in effetti aveva imparato a cavalcare a Giava, si offrì di lavorare e poiché un'amazzone può essere un'attrazione, fu accettata. Ebbe successo e una sera si esibì durante una festa in casa del Molier in una danza giavanese, o qualcosa che sembrava somigliarle: Molier rimase entusiasta di lei. La sua danza era, a suo dire, quella delle sacerdotesse del dio orientale Shiva, che mimavano un approccio amoroso verso la divinità, fino spogliarsi, un velo dopo l'altro, del tutto, o quasi. Trasferitasi in un più modesto alloggio, una pensione presso gli Champs-Élysées, sempre a spese del Marguérite, il suo vero debutto avvenne nel febbraio 1905, in casa della cantante Kiréevsky, che usava invitare i suoi ricchi amici e conoscenti a spettacoli di beneficenza. Il successo fu tale che i giornali arrivano a parlarne: lady Mac Leod, come ora si faceva chiamare, replicò il successo in altre esibizioni, ancora tenute in case private, dove più facilmente poteva togliersi i veli del suo costume, e la sua fama di «danzatrice venuta dall'Oriente» iniziò ad estendersi per tutta Parigi. Notata da monsieur Guimet, industriale e collezionista di oggetti d'arte orientale, ricevette da questi la proposta di esibirsi in place de Jéna, nel museo, dove egli custodiva i suoi preziosi reperti, come un animato gioiello orientale. Fu però necessario cambiare il suo nome, troppo borghese ed europeo: così Guimet scelse il nome, d'origine malese, di Mata Hari, letteralmente «Occhio dell'Alba» e quindi "Sole". L’esibizione di Mata Hari nel museo Guimet ebbe luogo il 13 marzo. Mata Hari alternò le esibizioni, tenute nelle case esclusive di aristocratici e finanzieri, agli spettacoli nei locali prestigiosi di Parigi: il Moulin Rouge, il Trocadéro, il Café des Nations. Il successo provocò naturalmente una curiosità cui ella non poté sottrarsi e dovette far collimare l'immagine privata con quella pubblica: «Sono nata a Giava e vi ho vissuto per anni» - raccontò ai giornalisti, mescolando poche verità e molte menzogne - «sono entrata, a rischio della vita, nei templi segreti dell'India [ ... ] ho assistito alle esibizioni delle danzatrici sacre davanti ai simulacri più esclusivi di Shiva, Visnù e della dea Kalì [ ... ] persino i sacerdoti fanatici che sorvegliano l'ara d'oro, sacra al più terribile degli dei, mi hanno creduto una bajadera del tempio [ ... ] la vendetta dei sacerdoti buddisti per chi profana i riti [ ... ] è terribile [ ... ] conosco bene il Gange, Benares, ho sangue indù nelle vene». Un successo internazionale Mata Hari Consacrata, il 18 agosto 1905, dopo l'esibizione al teatro dell'Olympia, come la «donna che è lei stessa danza», «artista sublime», e come colei che «riesce a dare il senso più profondo e struggente dell'anima indiana», Mata Hari si trovò ad essere desiderata tanto dai maggiori teatri europei quanto, come moglie, da ricchi e nobili pretendenti. La sua tournée in Spagna, nel gennaio 1906, fu un trionfo: venendo incontro alla fantasia, ingenua e torbida, costruita su realtà di paesi del tutto sconosciuti, Mata Hari offriva agli spettatori quanto essi si attendevano dalla sua danza: il fascino proibito dell'erotismo e la purezza dell'ascesi, in un assurdo sincretismo in cui la mite saggezza di un Buddha veniva parificata ai riti sanguinari - per quanto inesistenti - di terribili dee indù. D'altra parte, pare che ella avesse un certo talento se è vero che la sua esibizione nel balletto musicato da Jules Massenet, Le roi de Lahore, all'Opéra di Monaco ottenne, il 17 febbraio, un grande successo e lei venne salutata come «danzatrice unica e sublime» mentre il musicista francese, e anche Giacomo Puccini, si dichiararono suoi ammiratori. Il 26 aprile 1906 fu sancito ufficialmente il divorzio di Margaretha Zelle dal McLeod. Da Monaco si recò a Berlino, dove si legò ad un ricco ufficiale, Hans Kiepert, che l'accompagnò a Vienna e poi a Londra e in Egitto. Furono intanto pubblicate due sue biografie, una scritta dal padre, che esalta la figlia più che altro per esaltare se stesso, inventandosi parentele con re e principi, e quella, di opposte intenzioni, di George Priem, avvocato del suo ex-marito. Mata-Hari, naturalmente, confermò la versione del padre: l'excappellaio era un nobile ufficiale, mentre sua nonna era una principessa giavanese; quanto a lei, aveva viaggiato in tutti i continenti e aveva vissuto a lungo a Nuova Delhi, dove aveva frequentato maharaja ed abbattuto tigri, come dimostra la pelliccia che indossava - in realtà acquistata in un negozio di Alessandria d'Egitto. Il successo provocò anche imitazioni ma nessuna delle sue epigoni raggiunse mai la sua fama. Il suo nome fu accostato a quello delle maggiori vedettes del passato, come Lola Montez, e del tempo, come la Bella Otero, Cléo de Mérode e Isadora Duncan. Il 7 gennaio 1910 riscosse a Montecarlo nuove acclamazioni con la sua Danse du feu che non replicò all'Olympia di Parigi solo perché le sue pretese economiche furono eccessive. Il successo fece crescere enormemente le spese necessarie a sostenere una incessante vita mondana che conobbe solo una breve tregua quando, nell'estate, si trasferì in un castello a Esvres, non lontano da Tours, che il suo nuovo amante, il banchiere Félix Rousseau, affittò e le mise a disposizione e dove rimase circa un anno, quando, a causa dei problemi finanziari della banca Rousseau, il suo Félix affittò per lei un appartamento carino, ma meno costoso, a Neuilly, uno dei sobborghi di Parigi. Alla fine del 1911 raggiunse il vertice del riconoscimento artistico partecipando, al Teatro alla Scala di Milano, prima alla rappresentazione dell'Armida di Gluck, tratta dalla Gerusalemme liberata del Tasso, recitando la parte del Piacere e poi, dal 4 gennaio 1912, dando cinque rappresentazioni del Bacco e Gambrinus, un balletto di Giovanni Pratesi musicato da Romualdo Marenco, dove interpretò il ruolo di Venere. Il direttore dell'orchestra, Tullio Serafin, dichiarò che Mata Hari «...è una donna eccezionale, dall'eleganza perfetta e con un senso poetico innato; inoltre, sa ciò che vuole e sa come ottenerlo. Ella così fa della propria danza una sicura opera d'arte». In realtà, il Teatro milanese stava attraversando un periodo di decadenza e i tentativi, fatti in quell'occasione da Mata Hari, di ottenere collaborazione da musicisti come Umberto Giordano e Pietro Mascagni, andarono a vuoto, come inutile fu anche il tentativo di esibirsi con i ballerini russi della compagnia di Djagilev. Mata Hari si consolò allora con le Folies Bergères dove, mettendo per un momento da parte la danza orientale, si trasformò in gitana e, nell'estate del 1913, andò in tournée in Italia, esibendosi a Roma, a Napoli e a Palermo. C'è un motivo, raccontava, per cui ella conosceva così bene i balli spagnoli: giovanissima, aveva sposato un nobile scozzese, con il quale aveva vissuto in un antico castello; dopo il fallimento del suo matrimonio, aveva viaggiato molto e a lungo in Spagna, dove un torero, innamorato di lei, si era fatto uccidere nell'arena, disperato per non essere stato corrisposto. Nel 1914 si spostò a Berlino, per preparare un nuovo spettacolo nel quale intendeva interpretare una danza egiziana: nella sua stanza dell'albergo Cumberland, scrisse lei stessa il libretto del balletto, che intitolò La chimera; nel frattempo prevedeva di debuttare in settembre al Teatro Metropole in un altro spettacolo. Ma quello spettacolo non ebbe mai luogo: con l'assassinio del principe ereditario austriaco finì la Belle Epoque ed ebbe inizio la Prima guerra mondiale. La guerra e lo spionaggio Mentre l'esercito tedesco invadeva il Belgio per svolgere quell'operazione a tenaglia che, con l'accerchiamento delle forze armate francesi, avrebbe dovuto concludere rapidamente la guerra, Mata Hari era già partita per la Svizzera, da dove contava di rientrare in Francia; tuttavia, mentre i suoi bagagli proseguirono il viaggio verso la terra francese, lei venne trattenuta alla frontiera e rimandata a Berlino. Nell'albergo ove fece ritorno, senza bagaglio e denaro, un industriale olandese, tale Jon Kellermann, le offrì il denaro per il viaggio, consigliandole di andare a Francoforte e di qui, tramite il consolato, passare la frontiera olandese. Così, il 14 agosto 1914, il funzionario del consolato olandese rilasciò a Margaretha Geertuida Zelle, «alta un metro e settantacinque», di capelli, in quell'occasione, biondi, il visto per raggiungere Amsterdam. Mata Hari si intrattiene con militari francesi nel 1916 (Forse una sosia) Qui divenne l'amante del banchiere van der Schalk e poi, dopo il trasferimento a L'Aja, del barone Eduard Willem van der Capellen, colonnello degli ussari, che la soccorse generosamente nelle sue non poche necessità finanziarie. Il 24 dicembre 1915 Mata Hari tornò a Parigi, per recuperare il suo bagaglio e tentare, nuovamente invano, di ottenere una scrittura da Djagilev. Ebbe appena il tempo di divenire amante del maggiore belga Fernand Beaufort che, alla scadenza del permesso di soggiorno, il 4 gennaio 1916, dovette fare ritorno in Olanda. Furono frequenti le visite nella sua casa de L'Aja del console tedesco Alfred von Kremer, che proprio in questo periodo l'avrebbe assoldata come spia al servizio della Germania, incaricandola di fornire informazioni sull'aeroporto di Contrexéville, presso Vittel, in Francia, dove ella poteva recarsi col pretesto di far visita al suo ennesimo amante, il capitano russo Vadim Masslov, ricoverato nell'ospedale di quella città. Mata Hari, divenuta agente H21, fu istruita in Germania dalla famosa spia Fräulein Doktor, che la immatricolò con il nuovo codice AF44. La ballerina era già sorvegliata dal controspionaggio inglese e francese quando, il 24 maggio 1916, partì per la Spagna e di qui, il 14 giugno, per Parigi dove, tramite un ex-amante, il tenente di cavalleria Jean Hallaure, che era anche, senza che lei lo sapesse, un agente francese, il 10 agosto si mise in contatto con il capitano Georges Ladoux, capo di una sezione del Deuxième Bureau, il controspionaggio francese, per ottenere il permesso di recarsi a Vittel. Ladoux le concesse il visto e le propose di entrare al servizio della Francia, proposta che Mata Hari accettò, chiedendo l'enorme cifra di un milione di franchi, giustificata dalle conoscenze importanti che ella vantava e che sarebbero potute tornare utili alla causa francese. Un pericoloso doppio gioco A Vittel incontrò il capitano russo, fece vita mondana con i tanti ufficiali francesi che frequentavano la stazione termale e dopo due settimane tornò a Parigi. Qui, oltre a inviare informazioni sulla sua missione agli agenti tedeschi in Olanda e in Germania, ricevette anche istruzioni dal capitano Ladoux di tornare in Olanda via Spagna. Dopo essersi trattenuta alcuni giorni a Madrid, sempre sorvegliata dai francesi e dagli inglesi, a novembre s'imbarcò da Vigo per L'Aia. Durante la sosta della nave a Falmouth, nel Regno Unito, fu arrestata perché scambiata con una ballerina di flamenco, Clara Benedix, sospetta spia tedesca. Interrogata a Londra e chiarito l'equivoco, dopo accordi presi con Ladoux, Scotland Yard la respinse in Spagna, dove sbarcò l'11 dicembre 1916. A Madrid continuò il doppio gioco, mantenendosi in contatto sia con l'addetto militare all'ambasciata tedesca, Arnold von Kalle, che con quello dell'ambasciata francese, il colonnello Joseph Denvignes, al quale riferì di manovre dei sottomarini tedeschi al largo delle coste del Marocco. Il von Kalle comprese che Mata Hari stava facendo il doppio gioco e telegrafò a Berlino che «l'agente H21» chiedeva denaro ed era in attesa di istruzioni: la risposta fu che l'agente H21 doveva rientrare in Francia per continuare le sue missioni e ricevervi 15.000 franchi. L'ipotesi che i tedeschi avessero deciso di disfarsi di Mata Hari - rivelandola al controspionaggio francese come spia tedesca - poggia sull'utilizzo, da loro fatto in quell'occasione, di un vecchio codice di trasmissione, già abbandonato perché decifrato dai francesi, nel quale Mata Hari veniva ancora identificata con la sigla H21. In tal modo, i messaggi tedeschi furono facilmente decifrati dalla centrale parigina di ascolto radio della Tour Eiffel. Il 2 gennaio 1917 Mata Hari rientrò a Parigi e la mattina del 13 febbraio venne arrestata nella sua camera dell'albergo Elysée Palace e rinchiusa nel carcere di Saint-Lazare. Il processo Mata Hari all'apice del successo, nel 1906 Di fronte al titolare dell'inchiesta, il capitano Pierre Bouchardon, Mata Hari adottò inizialmente la tattica di negare ogni cosa, dichiarandosi totalmente estranea a ogni vicenda di spionaggio. Fu assistita, nel primo interrogatorio, dall'avvocato Édouard Clunet, suo vecchio amante, che aveva mantenuto con lei un affettuoso rapporto e che poté essere presente, secondo regolamento, ancora solo nell'ultima deposizione. Poi, con il passare dei giorni, Mata Hari non poté evitare di giustificare le somme - considerate dall'accusa il prezzo del suo spionaggio -che il van der Capelen, suo amante, le inviava dall'Olanda, di ammettere le somme ricevute a Madrid dal von Kalle, giustificandole come semplici regali, e di rivelare anche un particolare inedito: l'offerta ricevuta in Spagna di ingaggiarsi come agente dello spionaggio russo in Austria. Riferì anche della proposta fattale dal capitano Ladoux di lavorare per la Francia, una proposta che cercò di sfruttare a suo vantaggio, come dimostrazione della propria lealtà nei confronti della Francia. L'accusa non aveva, fino a questo momento, alcuna prova concreta contro Mata Hari, la quale poteva anzi vantare di essersi messa a disposizione dello spionaggio francese. Il fatto è che il controspionaggio non aveva ancora messo a disposizione del capitano Bouchardon le trascrizioni dei messaggi tedeschi intercettati che la indicavano come l'agente tedesco H21. Quando lo fece, due mesi dopo, Mata Hari dovette ammettere di essere stata ingaggiata dai tedeschi, di aver ricevuto inchiostro simpatico per comunicare le sue informazioni, ma di non averlo mai usato avrebbe gettato tutto in mare - e di non avere trasmesso nulla ai tedeschi, malgrado 20.000 franchi ricevuti dal console von Kramer, che ella, sostenne, considerò solo un risarcimento per i disagi patiti durante la sua permanenza in Germania nei primi giorni di guerra. Quanto al messaggio di von Kalle a Berlino, che la rivelava come spia, Mata Hari lo considerò la vendetta di un uomo respinto. I tanti ufficiali francesi dei quali fu amante, interrogati, la difesero, dichiarando di non averla mai considerata una spia. Al contrario, il capitano Georges Ladoux negò di averle mai proposto di lavorare per il servizi francesi, avendola sempre considerata una spia tedesca, mentre l'addetto militare a Madrid, l'anziano Denvignes, sostenne di essere stato corteggiato da lei allo scopo di carpirgli segreti militari; quanto alle informazioni sulle attività tedesche in Marocco, egli negò che fosse stata Mata Hari a fornirle. Entrambi gli ufficiali non seppero citare alcuna circostanza sostanziale contro Mata Hari, ma le loro testimonianze, nel processo, ebbero un peso determinante. L'inchiesta si chiuse con un colpo a effetto: l'ufficiale russo Masslov, del quale Mata Hari sarebbe stata innamorata, scrisse di aver sempre considerato la relazione con la donna soltanto un'avventura. La rivelazione non aveva nulla a che fare con la posizione giudiziaria di Mata Hari, ma certo acuì in lei la sensazione di trovarsi in un drammatico isolamento. L'inchiesta venne chiusa il 21 giugno con il rinvio a giudizio di Mata Hari. Il processo, tenuto a porte chiuse, ebbe inizio il 24 luglio: a presiedere la Corte di sei giudici militari fu il tenente colonnello Albert Ernest Somprou; a sostenere l'accusa il tenente Mornet. Nulla di nuovo emerse nei due giorni di dibattimento: dopo l'appassionata perorazione del difensore Clunet, vecchio combattente e decorato, nel 1870, nella guerra franco-prussiana, i giudici si ritirarono per rispondere a 8 domande: 1. se nel dicembre 1915 Margaretha Zelle avesse cercato di ottenere informazioni riservate nella zona militare di Parigi a favore di una potenza nemica; 2. se si fosse procurata informazioni riservate al console tedesco in Olanda von Kramer; 3. se nel maggio 1916 avesse avuto rapporti in Olanda con il console von Kramer; 4. se nel giugno 1916 avesse cercato di ottenere informazioni nella zona militare di Parigi; 5. se avesse cercato di favorire le operazioni militare della Germania; 6. se nel dicembre 1916 avesse avuto contatti a Madrid con l'addetto militare tedesco von Kalle allo scopo di fornirgli informazioni riservate; 7. se avesse rivelato al von Kalle il nome di un agente segreto inglese e la scoperta, da parte francese, di un tipo di inchiostro simpatico tedesco; 8. se nel gennaio 1917 avesse avuto rapporti con il nemico nella zona militare di Parigi. Dopo meno di un'ora venne emessa la sentenza secondo la quale l'imputata era colpevole di tutte le otto accuse mossegli: «In nome del popolo francese, il Consiglio condanna all'unanimità la suddetta Zelle Marguerite Gertrude alla pena di morte [...] e la condanna inoltre al pagamento delle spese processuali». Quanto all'unanimità dei giudici, questa valeva per la sentenza ma non per ogni capo d'imputazione, per alcuni dei quali il verdetto di colpevolezza non trovò l'unanimità dei giudici. La morte Immagine nota come la fucilazione di Mata Hari; esiste un documentario di Piero Angela prodotto dalla RAI negli anni '60 che ne dimostra la falsità (lei si vestì di bianco) L'istanza di riesame del processo venne respinta dal Consiglio di revisione il 17 agosto e il 27 settembre anche la Corte d'Appello confermò la sentenza di condanna. L'ultima speranza era rappresentata dalla domanda di grazia che l'avvocato Clunet presentò personalmente al Presidente della Repubblica Poincaré. Il 15 ottobre, un lunedì, Mata Hari, che dopo il processo occupava una cella in comune con due altre detenute, venne svegliata all'alba dal capitano Thibaud, il quale la informò che la domanda di grazia era stata respinta e la invitò a prepararsi per l'esecuzione. Si vestì con la consueta eleganza, assistita da due suore. Poi, su sua richiesta, il pastore Arboux la battezzò; indossato un cappello di paglia di Firenze e infilati i guanti, fu accompagnata da suor Léonide e suor Marie, dal pastore, dall'avvocato Clunet, dai dottori Bizard, Socquet, Bralet, dal Capitano Pierre Bouchardon e dai gendarmi nell'ufficio del direttore, dove scrisse tre lettere - che tuttavia la direzione del carcere non spedì mai - indirizzate alla figlia Jeanne Louise, al capitano Masslov e all'ambasciatore d'Olanda Cambon. Poi tre furgoni portarono il corteo al castello di Vincennes dove, scortati da dragoni a cavallo, giunsero verso le sei e trenta di una fredda e nebbiosa mattina. Al braccio di suor Marie, si avviò con molta fermezza al luogo fissato per l'esecuzione, dove venne salutata, come è previsto, da un plotone che le presentò le armi. Ricambiato più volte il saluto con cortesi cenni del capo, fu blandamente legata al palo; rifiutata la benda, poté fissare di fronte a sé i dodici fanti, reduci dal fronte, ai quali era stato assegnato il compito di giustiziarla: uno di essi, secondo regola, aveva il fucile caricato a salve. Degli undici colpi, otto andarono a vuoto - ultima galanteria dei militari di Francia - uno la colpì al ginocchio, uno al fianco e il terzo la fulminò al cuore: il maresciallo Pétey diede alla nuca un inutile colpo di grazia. Nessuno reclamò il corpo: trasportato all'Istituto di medicina legale di Parigi, sezionato, fu presto sepolto in una fossa comune. Venne conservata la testa che fu trafugata negli anni cinquanta, in circostanze mai chiarite, per servire forse come estrema e macabra reliquia. La sorte degli altri protagonisti I protagonisti principali della vita di Mata Hari, padre, figlia, amanti, diplomatici ed agenti segreti, proseguirono così la loro vita: Rudolph (John) Mac Leod, l'ex marito di Mata Hari, si risposò nel 1907 con Elizabeth van der Maast, dalla quale ebbe una figlia, Norma, nel 1909. La coppia si separò, la figlia se la portò via la madre e Mac Leod, con il quale era rimasta la figlia Non avuta da Margaretha, ottenuto il divorzio da Elizabeth, nel 1917 si sposò per la terza volta con la governante di Non, la venticinquenne Gietje Meijer. Ebbe dalla terza moglie una figlia nel 1921 e morì settantatreenne nel 1928 Non Mc Leod, figlia di Margaretha e di Rudolph (John) Mac Leod, alta e slanciata e di carnagione scura, molto somigliante alla madre anche nel carattere, rimasta a vivere con il padre, morì improvvisamente alla vigilia della partenza per l'Indonesia (10 agosto 1919): aveva ventuno anni. il capitano francese Georges Ladoux, del Deuxième Bureau, venne arrestato quattro giorni dopo l'esecuzione di Mata Hari con la medesimo accusa: spionaggio a favore della Germania. Prosciolto in un primo momento, venne nuovamente incarcerato e ci vollero quasi due anni prima che fosse prosciolto definitivamente e reintegrato nel grado, andando poi in pensione con quello di maggiore. il capitano francese Pierre Bouchardon, che condusse l'inchiesta per il processo, entrò nella magistratura civile e fece carriera come pubblico accusatore, morendo poi nel 1950.Fu lui a essere di nuovo in carica in 1944 per tutti i grandi processi della "Libération"su richiesta speciale del General de Gaulle. il maggiore tedesco Arnold Kalle, addetto militare all'Ambasciata tedesca di Madrid, rientrato in patria, rimase nell'esercito e si ritirò in pensione nel 1932 il barone francese Henri de Marguérie continuò la sua attività diplomatica presso il Quai d'Orsay; entrato in politica venne eletto senatore nel 1920 e morì ultranovantenne nel 1963 il barone olandese Eduard Willem van der Capellen lasciò l'esercito olandese nel 1923 dopo essere diventato generale di divisione il capitano russo Vadim Masslov sposò Olga Tardieu, figlia di un francese e di una russa; rientrato in Russia allo scoppio della rivoluzione, se ne persero le tracce il tenente di cavalleria francese Jean Halaure ricevette dal facoltoso padre una cospicua somma, si trasferì a New York, ove sposò un'americana con la quale rientrò in Francia, precisamente in Bretagna, vivendoci il resto della vita con la moglie e morendovi nel 1960 Jules Martin Cambon, ambasciatore francese in Olanda, fu delegato francese alle trattative di pace di Versailles nel 1919; morì novantenne a Vevey nel 1935 il console tedesco all'Aja, Alfred von Kramer, rientrato in Germania alla fine della guerra, morì nel 1938