Atti del 50°SCIVAC C ONGRESSO NAZIONALE MULTISALA CONGRESSO in collaborazione con SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA SOCIETÀ FEDERATA ANMVI organizzato da Eventi Veterinari ® certificata ISO 9001:2000 Estratti relazioni Comunicazioni brevi RIMINI 27-29 MAGGIO 2005 PALACONGRESSI DELLA RIVIERA DI RIMINI G U I D A A L L ’ U T I L I Z Z O D E L C D li atti del Congresso Multisala SCIVAC 2005, oltre che di tutti i Congressi Multisala SCIVAC dal 1998 al 2004, sono presentati in formato PDF. Oltre a consentire la fedele riproduzione digitale della versione cartacea, questo formato offre la possibilità di inserire ipertesti in modo da rendere i documenti ricercabili e navigabili. La consultazione del CD richiede Acrobat Reader 3.0 o superiore installato sul computer. Nel CD è contenuto il file di installazione del programma per gli utenti che ne fossero sprovvisti (aprire la cartella ACROBAT e quindi quella MAC o WIN in base al proprio sistema operativo. Cliccare sul file di installazione e seguire le istruzioni fornite). Per iniziare la consultazione aprire il file menu.pdf. Si può accedere agli abstracts a partire dai segnalibri (a sinistra della finestra di Acrobat reader). Le frecce gialle consentono di visualizzare in sequenza i lavori di ciascun autore. È possibile eseguire una ricerca per parole chiave (TROVA) e stampare ogni sezione degli atti. G R Macintosh PowerPC 160 MHz MacOS 8.1 64 Mb RAM CD-ROM 8x monitor 800x600 migliaia di colori E Q U I S I T I M I N I M I D I S I S T E M A PC Pentium 150 MHZ WIN 95/98 32 Mb Ram CD-ROM 8x monitor 800x600 migliaia di colori Ideazione e realizzazione Enrico Febbo, Med Vet © SCIVAC 2005. Tutti i diritti riservati. La SCIVAC ringrazia le Aziende sponsor Hill’s* COMITATO SCIENTIFICO CONGRESSUALE DIRETTIVO SCIVAC 2005-2007 / SCIVAC BOARD OF DIRECTORS 2005-2007 MASSIMO BARONI Presidente ERMENEGILDO BARONI Presidente Senior DEA BONELLO Vice Presidente FABIA SCARAMPELLA Segretario UGO BONFANTI Tesoriere DAVIDE DE LORENZI Consigliere GUIDO PISANI Consigliere RESPONSABILI SOCIETÀ SPECIALISTICHE SPECIALISTIC ASSOCIATIONS’ CHAIRPERSONS STEFANO BO, SIMEF ROBERTO MARCHESINI, SISCA UGO BONFANTI, SICIV MASSIMO MARISCOLI, SINVET MICHELE BORGARELLI, SICARV BRUNO PEIRONE, SIOVET FABRIZIO FABBRINI, SIDEV GUIDO PISANI, SCVI PAOLO FERRARI, SVIDI ROBERTO TOVINI, Practice Management ADRIANO LACHIN, SIARMUV FABIO VIGANÒ, SIARMUV UGO LOTTI, SIMIV ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE / ORGANIZING SECRETARIAT SCIVAC - Via Trecchi 20 - 26100 CREMONA (Italy) - Tel: + 39 0372 403508 - Fax: +39 0372 457091 Coordinatore Congressuale FULVIO STANGA Segreteria Congressuale Scientifica MONICA VILLA - [email protected] Segreteria Marketing FRANCESCA MANFREDI - [email protected] Segreteria Iscrizioni PAOLA GAMBAROTTI - [email protected] ORGANIZZAZIONE ALBERGHIERA / HOTEL RESERVATIONS Agenzia ADRIA CONGREX srl - Via Sassonia, 30 - 47900 Rimini - Italia Tel. 0541 305811 - Fax 0541 305825 - e-mail: [email protected] Gli Atti di questo 50° Congresso SCIVAC sono dedicati a tutti coloro che, a vario titolo, vi hanno collaborato: Maurizio Garetto e Tiziana Binelli (traduzione testi dall'inglese), Carla Mischiatti della tipografia Press Point (revisione testi), Enrico Febbo (versione CD Rom) e Fulvio Chiodini di Press Point. Ma una dedica particolare e soprattutto il mio ringraziamento vanno a Monica Villa di EV e Cristina Invernizzi di Press Point, che hanno lavorato e collaborato con entusiasmo e passione per permettere a tutti noi di poter avere questi Atti pronti entro i tempi previsti. Fulvio Stanga Coordinatore 50° Congresso SCIVAC 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 5 CURRICULA VITAE DEI RELATORI ANNE BAHR DVM, MS, Dipl ACVR, College Station, Texas, Usa La Dr.ssa Anne Bahr è nata in California e negli ultimi 6 anni è vissuta a College Station, TX. Ha frequentato la University of California at Davis e nel 1988 ha conseguito un diploma (undergraduate degree) in Biochimica. In seguito, nel 1992, si è laureata in Medicina Veterinaria (DVM) presso la UC Davis. Dal 1992 al 1993 si è recata presso la Cornell University per un periodo di internato sui piccoli animali. Dal 1993 al 1998 ha invece effettuato un periodo di residenza presso la University of Tennessee e la Colorado State University. In quest’ultima Università, nel 1998 ha anche conseguito un master in Radiologia. Dal 1997 è membro dell’American College of Veterinary Radiology dove attualmente ricopre le funzioni di componente del board certification examination committee. Nel 1998 è entrata a far parte del personale della Texas A&M University, dove oggi è Chief of Radiology. MASSIMO BARONI Med Vet, Dipl ECVN, Monsummano Terme, Pistoia Laureato in Medicina Veterinaria con Lode nel 1987 presso l’Università di Pisa. Dal 1992 al 1995 ha compiuto un Non Conforming Residency Programme in Neurologia presso l’Istituto di Neurologia, Università di Berna. Nel 1995 ha ottenuto il Diploma del College Europeo di Neurologia a Liegi (Belgio). Dal 1995 al 1999 ha lavorato a Genova, svolgendo attività di referenza in campo neurologico ed ortopedico. Attualmente svolge la propria attività specialistica presso la Clinica Veterinaria “Val di Nievole”, Monsummano Terme, Pistoia. È stato membro dell’Education Commitee del College Europeo di Neurologia (ECVN) dal 1996 al 1999 ed è attualmente Vicepresidente della Società Europea di Neurologia Veterinaria (ESVN). È stato direttore del Corso di Neurologia di base ed avanzato SCIVAC. È inoltre componente del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVET) e Presidente SCIVAC dal Maggio 2004. È autore di pubblicazioni riguardanti l’ortopedia e la neurologia e ha presentato oltre 90 relazioni ad incontri a carattere nazionale ed internazionale, in Italia ed all’estero. Attuali aree di interesse: Neurodiagnostica per immagini, neurochirurgia intracranica. ROBERTO BELLEI Med Vet, Sassuolo (MO) Nato a Modena il 20 ottobre 1961, conseguita la maturità scientifica si laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università di Parma nel 1988 con una tesi sull’importanza dell’artoscopia nella diagnostica e terapia di alcune affezioni articolari. Nello stesso periodo frequenta per alcuni mesi la Clinica Chirurgica della Facoltà di Medicina Veterinaria all’Università di Milano. Socio SCIVAC dal 1988, ha seguito con particolare interesse i lavori di chirurgia ed ortopedia partecipando a numerosi corsi d’aggiornamento, seminari e congressi. Dal 1990 ha avviato e gestito con colleghi tre strutture veterinarie ed oggi esercita come libero professionista a Sassuolo in un ambulatorio di cui è Direttore Sanitario. Dal 2003 è vice presidente dell’Associazione Veterinari Modenesi con finalità organizzativa di eventi culturali e formativi. Attento osservatore delle tematiche di Management e Marketing è tra i soci fondatori del Gruppo di Studio di Practice Management della SCIVAC. MARCO BERTOLI Med Vet, Roma Si laurea presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Parma nel 1997 presso la quale pratica un internato di un anno in clinica chirurgica. Relatore per due anni al Corsi di pronto soccorso Scivac. Membro dell’EVEECS. Ha partecipato a corsi nazionali e internazionali ed è stato relatore a Seminari e Congressi sempre riguardanti la Medicina d’Urgenza. Ha collaborato alla realizzazione del manuale di pronto soccorso SCIVAC. Da sei anni lavora presso il Centro Veterinario Gregorio VII del quale è anche responsabile del pronto Soccorso notturno. GIULIANO BETTINI Med Vet, Bologna Laureato in Medicina Veterinaria a Bologna nel 1988 con una tesi sulla diagnostica citologica dei versamenti, è professore associato presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna, dove è titolare dei corsi di Anatomia Patologia Veterinaria I e di Oncologia Veterinaria e vice-responsabile del servizio di anatomia patologica. Si occupa da oltre 10 anni di diagnostica citopatologica ed istopatologica, è coordinatore del gruppo di studio di citologia veterinaria della Società Italiana di Citologia, ha partecipato come relatore a numerosi corsi di aggiornamento per Medici Veterinari ed è autore di circa 100 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali. CLAUDIO BROVIDA Med Vet, Torino Si è laureato a Torino nel 1974. Sin dal 1976, dopo il servizio militare in qualità di Ufficiale Veterinario, si è dedicato alla clinica dei piccoli animali, con particolare interesse alla nefrologia-urologia e patologia delle vie respiratorie dei piccoli animali. Attualmente è il Direttore Sanitario dell’Ospedale per Animali da Compagnia ANUBI® di Moncalieri, presso Torino. Ha pubblicato su riviste specializzate nazionali ed internazionali, ha partecipato e partecipa attivamente come relatore a Congressi nazionali ed internazionali. È stato ed è tuttora coinvolto in attività correlate alla professione veterinaria: Presidente della Associazione Italiana Veterinari per Piccoli Animali (AIVPA) - 1991-1994; Presidente della Società Europea di Nefrologia ed Urologia Veterinaria (ESVNU), 19901992; Presidente del Comitato Organizzatore del Congresso Mondiale WSAVA-AIVPA di Roma del Settembre 1992; Tesoriere della World Small Animal Veterinary Association (WSAVA), 1992-1996; Vice-Presidente della WSAVA, 1996-1998; Presidente-Eletto della WSAVA, 1998-2000; Presidente WSAVA, 20002002; Immediate Past-President WSAVA 2002-2004; Membro dell’IRIS (International Renal Interest Society); Membro della giuria per l’Osborne Award dell’IRIS Group; Membro Comitato di Redazione del Progresso Veterinario 1998-2000. CLAUDIO BUSSADORI Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Card), Med Chir, Milano Laureato in Medicina Veterinaria (108/110) il 23/3/82. Diplomato ECVIM ca (cardiology) il 21/3/93. Laureato in Medicina e Chirurgia (110 e Lode) il 29/10/2001. Direttore sanitario della Clinica Veterinaria G. Sasso a Milano, dove si occupa di cardiologia, medicina interna ed ecografia e Direttore del residency program dell’ECVIM-CA European college of Internal Medicine in cardiologia. Dal 2002 Research fellow del centro di cardiologia pediatrica & Cardiopatie Congenite dell’Adulto Centro per lo Studio e la Terapia delle 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Malattie Cardiovascolari dell’Istituto policlinico di San Donato Milanese. Dal 2005 Dottorando di Ricerca in Fisiopatologia Cardiovascolare presso l’Istituto di Medicina Cardiovascolare dell’Ospedale Maggiore IRCCS della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Milano. Docente a seminari di cardiologia interventistica presso la Scuola di Specialità in Cardiologia della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università degli Studi di Milano. Professore a contratto in Cardiologia presso le Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma e di Torino. Ha tenuto corsi di Cardiologia, ed Ecocardiografia presso Università e istituzioni private in varie nazioni Europee. È stato presidente dell’ESVC (European Society of Veterinary Cardiology) dal 1997 al 1999, attualmente è membro onorario permanente del board. È stato vice presidente dell’E.C.V.I.M. dal 1993 al 1999. Autore di 165 pubblicazioni (dal 1984 al 2004), includendo: articoli originali su riviste Veterinarie e Mediche, atti di congressi e libri. I campi di interesse attuali riguardano l’ecocardiografia, la diagnosi e il trattamento interventistico delle cardiopatie congenite nell’uomo e negli animali. MARCO CALDIN Med Vet, Padova Laureato alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna nell’anno 1987-88, ha coordinato il gruppo di studio SCIVAC di “diagnostica per immagini” dal 1988 al 1990. Professore a contratto presso la scuola di specializzazione della facoltà di medicina veterinaria di Pisa nell’anno 1994-1995 e di patologia medica dei piccoli animali presso la facoltà di medicina veterinaria dell’Università di Padova dall’anno 1996, incarico tuttora in corso. Ha partecipato come relatore a numerosi congressi, seminari e corsi con tematiche inerenti la medicina interna (Approccio Orientato al Problema, Ematologia clinica di base e avanzata, Coagulopatie, Biochimica clinica, Endocrinologia e Pronto Soccorso). È stato coordinatore del Gruppo di Studio SCIVAC di “Medicina Interna” dal 1992 al 2001. Svolge la libera professione a Padova presso la Clinica Veterinaria Privata San Marco della quale è direttore sanitario. MARIO CANIATTI Med Vet, Dipl ECVP, Milano Mario Caniatti si è laureato nel 1985 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano. Dottorato di ricerca in patologia comparata degli animali domestici, ha compiuto periodi di ricerca e studio presso le Facoltà di medicina veterinaria di Davis (California) e Barcellona. Dal 1990 è dipendente dell’Istituto di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia aviare dell’Università di Milano, attualmente in qualità di ricercatore confermato. La sua attività lavorativa è imperniata sul servizio di citologia diagnostica dell’Istituto. La sua attività di ricerca è focalizzata sulla citologia diagnostica, le neoplasie cutanee e linfoproliferative, le patologie croniche del cavo nasale. Ha pubblicato più di 40 articoli, di cui una decina su riviste internazionali. È diplomato del College Europeo dei patologi veterinari (ECVP). GIOVANNI CARDINI Med Vet, Pisa Il Prof. Giovanni Cardini è ordinario di Clinica Medica Veterinaria presso l’Università di Pisa. Direttore Sanitario del Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa, Direttore della Scuola di Specializzazione in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione dell’Università di Pisa. Presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Tecniche di Allevamento del cane di Razza ed Educazione Cinofila. Membro della Commissione Consultiva del Ministero della Salute per l’accertamento dei requisiti tecnici del farmaco veterinario. Esperto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali nella Commissione Tecnica Centrale del Libro Genealogico del cane di razza dell’Ente Nazionale Cinofilia Italiana. Autore e coautore di 160 pubblicazioni scientifiche. 6 MARIA CHIARA CATALANI Med Vet, Senigallia (AN) Si laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Perugia, nell’Anno Accademico 1998/99, e, nel 2001, riceve, dallo stesso Ateneo, l’Attestazione di Perfezionamento in “Educazione Sanitaria”. Attualmente svolge il “Master di medicina comportamentale degli animali d’affezione” dell’Università degli Studi di Pisa presso la quale ha conseguito l’Attestato di Perfezionamento in “Scienze Comportamentali Applicate” nel giugno del 2003. Membro della SISCA (Società Italiana Scienze Comportamentali Applicate) dall’anno 2000, dal 2002 è referee della SIUA (Scuola di Interazione Uomo-Animale) per la zooantropologia didattica. È stata autrice di alcuni articoli scientifici pubblicati su riviste italiane e di un saggio per una monografia sulla pet therapy, edita dalla SCIVAC. Svolge la sua attività professionale esclusivamente nell’ambito della medicina comportamentale e della zooantropologia applicata, sviluppando progetti di zooantropologia didattica e corsi privati di pet-ownership. Inoltre, è consulente per la prevenzione e la terapia comportamentale del cane e del gatto presso alcune strutture veterinarie. RAIMONDO COLANGELI Med Vet, Comp ENVF, Roma Si laurea nel 1982 a Perugia in medicina veterinaria. Lavora da libero professionista a Roma dal 1983. Dal 1995 si occupa di patologia comportamentale. Consigliere SISCA dal 1999. Ha seguito corsi di base ed avanzati di patologia comportamentale sia in Italia che in Francia. Ha conseguito il diploma di specialità (CES) di Medico Veterinario Comportamentalista nelle ENV francesi nell’ottobre 2002. È stato relatore a seminari e corsi di patologia comportamentale in Italia e Francia. È direttore del corso base ed avanzato di medicina comportamentale della Scivac dal 2002. È professore a contratto alla facoltà di Medicina Veterinaria di Teramo per la Medicina comportamentale nel Master in “Scienze del comportamento e pet therapy” del 2004. Ha pubblicato articoli di patologia comportamentale su riviste veterinarie. Autore insieme alla Dott.ssa Sabrina Giussani del libro “La medicina comportamentale del cane e del gatto” editore Poletto. È membro dell’associazione dei comportamentalisti francesi Zoopsy e dell’ESVCE. DANIEL SEBASTIAN CORLAZZOLI Med Vet, Roma Si laurea nel 1991 a Milano con lode, discutendo una tesi sulla discospondilite nel cane, relatore il Prof Mortellaro. Dopo un periodo di studio in Francia, Inghilterra e negli Stati Uniti, lavora nell’area milanese occupandosi esclusivamente di neurologia e chirurgica dei piccoli animali. Dal 1995 si trasferisce a Roma dove collabora inizialmente con il Centro Veterinario Gregorio VII, quindi con lo Zoospedale Flaminio. Dal 2001 ha aperto un centro di referenza in neurologia, ortopedia e diagnostica per immagini a Roma. Hobby: campeggio, sci di fondo e bricolage. GUALTIERO WALTER CROTTI Med Vet, Dipl Master in Cardiologia, Civitanova Marche (MC) Laureato a Milano nel 1990, abilitato nello stesso anno. Fino al 1993 ha svolto attività libero professionale su animali di affezione in diverse strutture di Milano e provincia come collaboratore e come turnista di Pronto Soccorso. Trasferitosi a Civitanova Marche, nel 1993, svolge attualmente attività nella propria struttura e consulenza esterna. Si occupa di cardiologia, medicina interna, diagnostica per immagini e medicina di urgenza. Ha conseguito nel 2005 il diploma Master in Cardiologia del cane e del gatto presso l’Università di Torino, con tesi riguardante il cuore di atleta. Dal 2003 collaboratore del Gruppo di Studio di Practice Management. Coautore di relazioni al congresso SCIVAC del 2004 e di pubblicazioni riguardanti il Practice Management. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC DAVIDE DE LORENZI Med Vet, SMPA, Forlì Laureato in Medicina Veterinaria a Bologna nel 1988, con lode; ha conseguito nel 1992 la specializzazione in Clinica e Patologia degli animali da Affezione presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa. È stato ideatore e primo coordinatore del Gruppo di studio SCIVAC di Citologia Diagnostica ed inoltre è relatore ed istruttore del Corso di Citologia Diagnostica della SCIVAC ed a numerosi altri corsi di citologia sempre in ambito SCIVAC (Citologia Linfonodale, Citologia Dermatologica, Citologia Oncologica, Citologia Midollare). Docente presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano per l’anno 2003 dove ha tenuto parte di un Master in Patologia Veterinaria Applicata (Piccoli Animali), ha svolto lezioni ad analogo argomento presso le Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa e Berna. È autore e coautore di oltre trenta fra articoli e comunicazioni su riviste ed a congressi nazionali ed internazionali aventi come oggetto la citologia diagnostica e la chirurgia. Ha svolto numerosi periodi di aggiornamento presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Utrecht, un periodo di studio alla Facoltà di Medicina Veterinaria di West Lafayette (Purdue) ed ha curato l’edizione italiana del testo “Color Atlas of Cytology of the Dog and the Cat” di Baker e Lumsden. Attualmente esercita come libero professionista a Forlì ed a Padova occupandosi di chirurgia generale, endoscopia e citologia diagnostica. JACQUES DEBRAEKELEER DVM, Dipl ECVCN, Ghent, Belgio Nel 1970 si laurea presso l’Università di Medicina Veterinaria a Ghent, in Belgio. Libero professionista fino al 1985. Nel 1986 inizia la sua collaborazione con Hill’s Pet Nutrition per la quale oggi ricopre la carica di Associate Director Professional and Regulatory Affairs, per Hill’s Europa. Dal 1996 al 1998 ha lavorato presso il Centro Hill’s Science & Technology a Topeka negli Stati Uniti. Dal 1991 è membro Fondatore della Società Europea di Nutrizione veterinaria e comparativa. Dal 1998 al 2004 è stato Guest Professor della clinica di Nutrizione e Dietetica della Facoltà di Medicina Veterinaria presso l’Università di Ghent. Autore e co-autore di numerosi capitoli del Small Animal Clinical Nutrition IV. Diverse le pubblicazioni e le relazioni realizzate sulla nutrizione clinica. JOËL DEHASSE DVM, Dipl ECVBM-ca, Bruxelles, Belgio Si laurea in Medicina Veterinaria nel 1978. Nel 1999 si specializza nel comportamento animale e nella terapia della famiglia. Si occupa di medicina comportamentale da più di 20 anni dedicandosi a questa attività a tempo pieno. Autore di numerosi libri sul comportamento del cane e del gatto e di diversi articoli scientifici. Dal 1993 si occupa di consulenze comportamentali, supervisione dei colleghi, consulenza alle aziende di cibo per animali, farmaceutiche, avvocati ed assicuratori. Relatore a Congressi nazionali ed Internazionali. Fondatore e Past president (1998-2202) dell’ESVCE (società europea di etologia clinica veterinaria), fondatore e Presidente (1998 - 2003) del GERC (Gruppo di studio belga ricerca del comportamento degli animali da Compagnia - SAVAB), fondatore e presidente (2002) del College Veterinario Europeo di Medicina Comportamentale per animali da compagnia (ECVBM-CA). CURTIS W. DEWEY – DVM, MS, Dipl ACVS, Dipl ACVIM (Neurology), New York, USA Il Dott. Dewey si è laureato in Medicina Veterinaria (DVM) presso la Cornell University nel 1989. In seguito, ha portato a termine un periodo di internato sui piccoli animali ed uno di residenza in chirurgia presso la University of Georgia. Durante la residenza in chirurgia, ha completato un programma di master in Anatomia. Dopo, ha effettuato un periodo di residenza in neurologia/neurochirurgia presso la University of California-Davis. Per i successivi 5,5 anni, ha fatto parte del personale della facoltà della Texas A&M University. Negli ultimi 4 anni, ha lavorato come neurologo nello staff del Long Island Veterinary Specialists, il più grande ospedale veterinario privato di New York con attività di consulenza specialistica. Oltre a numerosi articoli su riviste, nel 2003 ha pubblicato un libro, A Practical Guide to Canine and Feline Neurology. 7 MARIO DOLERA Med Vet, Romanengo (CR) Nato a Soresina (CR) nel 1972, laureato in Medicina Veterinaria con lode a Milano nel 1997, Specialista in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione con indirizzo in Ortopedia dal 2000, Dottorando in Scienze Cliniche Veterinarie con indirizzo in Neurologia dal 2001. Libero professionista, si occupa di neurologia, ortopedia, chirurgia, RM e TC. Autore di 20 pubblicazioni scientifiche e di 5 comunicazioni congressuali. ORIOL DOMENECH Med Vet, Barcellona, Spagna Laureato in Medicina Veterinaria nel 1996 presso l’Università Autonoma di Barcellona. Dal 1996 al 1997 ha lavorato come veterinario generico nella clinica veterinaria “Mediterrani Veterinaris” di Reus (Tarragona). Dal 1997 al 1999 ha frequentato tre corsi di cardiologia veterinaria dell’ESAVS (European Advanced Veterinary Studies). Dal 1998 al 2000 ha lavorato nel centro di “Urgencias Veterinarias y Referencia” di Barcellona come responsabile dell’area di Cardiologia. Dal 2000 al 2001 ha svolto l’internship con il Dr. Claudio Bussadori Dipl. ECVIM-CA (Cardiology) nella “Clinica Veterinaria Gran Sasso” di Milano. Dal 2001 al 2004 ha completato il programma di residence dell’ECVIM-CA per la specialità di Cardiologia. Autore di diversi articoli e studi presentati in sede nazionale ed internazionale. Attualmente sta lavorando come referente di medicina interna e cardiologia nella “Clinica Veterinaria Gran Sasso” di Milano e nella clinica “Urgencias Veterinarias y Referencia” di Barcellona. FABRIZIO FABBRINI Med Vet, Dipl CES Derm, Milano Ha ottenuto nel 1981, a pieni voti, la laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università Statale di Milano. Il suo interesse verso la dermatologia veterinaria inizia nel 1987 quando prende parte a diverse attività del gruppo di studio di dermatologia della SCIVAC, divenendone il responsabile nazionale per il biennio 1994-1995. Ha frequentato in più occasioni seminari formativi a livello specialistico all’estero, e ha ottenuto, a seguito di un corso triennale (1993/95) presso le Facoltà Veterinarie di Lyon e Nantes il Diploma Francese di specialità in Dermatologia Veterinaria. Collabora con SCIVAC come relatore ai corsi di Dermatologia da svariati anni, ha presentato pubblicazioni scientifiche in riviste nazionali, relazioni e casi clinici in convegni e congressi nazionali ed europei. Attualmente lavora a Milano, presso la Clinica Veterinaria Papiniano. Collabora con la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano dove, per l’anno accademico 2003-2004, è stato nominato professore a contratto di Dermatologia per la Scuola di Specialità in Piccoli Animali da Compagnia. È full member della ESVD, uno dei promotori e soci fondatori della SIDEV nella quale riveste attualmente la carica di vice-presidente. EMILIO FELTRI Med Vet, Castelnuovo Scrivia (AL) Laureato presso l’Università degli Studi di Parma nel 1996. Dal 1999 segue un programma di aggiornamento continuo in anestesiologia presso l’Unviersità di Gent e l’Università di Berna sotto la supervisione del Prof. Yves Moens. È membro della Società Scivac di Anestesiologia, della Società europea di Anestesia Veterinaria (AVA), della Società di Anestesia a Bassi Flussi (ALFA). È, inoltre, docente e istruttore ai Corsi Professionali Scivac di anestesia e ai Seminari professionali di livello base e avanzato in collaborazione con lo staff dell’Università di Berna. Nel triennio 2003-2005 ricoprirà l’incarico della Siamurv (Società di Anestesia e Medicina di Urgenza Scivac). I suoi principali ambiti di interesse riguardano le tecniche avanzate di basso flusso nell’anestesia gassosa e nel controllo del dolore nel periodo perioperatorio, oltre che le più moderne tecniche di monitoraggio. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC ALESSANDRA FONDATI Med Vet, PhD, Dipl ECVD, Roma Alessandra Fondati si è laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Pisa nel 1981. Si è occupata di dermatologia veterinaria come libero professionista dal 1984 al 1997, prima a Firenze quindi a Roma. Nel 1998 ha ottenuto il Diploma del College Europeo di Dermatologia Veterinaria (ECVD) e dal 1998 al 2003 ha lavorato come Professore Associato di Dermatologia presso l’Università Autonoma di Barcellona (Spagna). Nel 2003 ha completato un PhD sulla patogenesi del complesso del granuloma eosinofilico felino presso l’Università Autonoma di Barcellona. Attualmente si occupa di dermatologia veterinaria, come libero professionista, a Roma. LUCA FORMAGGINI Med Vet, Dormelletto (NO) Si laurea a Milano nel Febbraio 1991. Dopo vari periodi di tirocinio in Italia e all’estero, lavora per due anni presso la Clinica veterinaria “Città di Pavia”e per altri due anni presso il Centro veterinario “Gregorio VII” in Roma, rivestendo responsabilità di chirurgo e medico di pronto soccorso. Dal 1996 lavora presso la Clinica veterinaria “Lago Maggiore” di cui è socio fondatore. È relatore in diversi corsi SCIVAC di chirurgia, ortopedia e medicina/chirurgia d’urgenza. È stato relatore a diversi congressi e seminari a livello nazionale. Membro SCIVAC, BSAVA, VECCS e EVECCS, è Resident in training per accedere all’esame dello European College of Veterinary Surgery (ECVS). Dal 2001 è Segretario della Società di Chirurgia Veterinaria Italiana (SCVI). I principali campi di interesse sono la chirurgia/traumatologia e la medicina d’urgenza. THERESA W. FOSSUM DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA Theresa (Terry) W. Fossum è Professor of Surgery e titolare della Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery presso la Texas A&M University. È anche Director for Cardiothoracic Surgery and Biomedical Devices in the Michael E. DeBakey Institute at TAMU. La Dr.ssa Fossum si è laureata presso la Washington State University College of Veterinary Medicine nel 1982. Dopo aver portato a termine nel corso dell’anno successivo un periodo di internato presso il Santa Cruz Veterinary Hospital, si è recata per un periodo di residenza alla Ohio State University. Nel 1987 ha ottenuto il board certification in Surgery (ACVS) e più tardi, nel corso dello stesso anno, è entrata a far parte del personale della facoltà della Texas A&M University. Nel 1992, ha conseguito un PhD in Veterinary Microbiology. I principali interessi della Dr.ssa Fossum sono le malattie degli apparati respiratorio e cardiovascolare, comprese le procedure di bypass cardiopolmonare. È editor di Small Animal Surgery, un trattato completo di chirurgia pubblicato da Mosby Publishing Co. Inoltre, è autrice di numerosi articoli sul chilotorace ed altre malattie respiratorie e chirurgiche. È il ricercatore principale di numerosi progetti di ricerca come la valutazione del DeBakey Ventricular Assist Device in un modello sperimentale nel vitello, lo studio dei fattori angiogeni per il trattamento dell’ischemia cardiaca e gli adattamenti vascolari all’ipertensione. La Dr.ssa Fossum fa parte del Board of Directors of the National Space Biomedical Research Institute ed è membro del Board of Governors for the Foundation for Biomedical Research. In passato, ha ricevuto il Wiley Distinguished Professor of Veterinary Medicine Award ed il Carl J. Norden Distinguished Teacher Award at Texas A&M University. Nel 2004, le è stato assegnato il Texas Society for Biomedical Research Award come riconoscimento ed apprezzamento dei numerosi anni di servizio da lei dedicati alle comunità scientifiche, di ricerca e mediche dello Stato del Texas. GUALTIERO GANDINI Med Vet, Dipl ECVN, Bologna Il Dr. Gualtiero Gandini si è laureato con lode presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Bologna nel dicembre 1990. Dal 1995 ricopre il ruolo di ricercatore presso il Dipartimento Clinico 8 Veterinario dell’Università degli Studi di Bologna. Nel 1996 ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Medicina Interna Veterinaria. Dal 1998 al 2002 è stato impegnato in un “non-conforming residency programme” in neurologia veterinaria sotto la guida del Prof. André Jaggy. Dal 2000 al 2004 è stato membro dell’Executive Committee della European Society of Veterinary Neurology (ESVN). Nel settembre 2004 è stato eletto segretario dell’Executive Committee della European Society of Veterinary Neurology (ESVN). Nel marzo 2003 ha acquisito il titolo di “Diplomate of the European College of Veterinary Neurology (DECVN)”. È iscritto alla Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVet) dal 1998 e dal Novembre 2004 è membro del Consiglio Direttivo con le funzioni di segretario. È autore e coautore di circa 45 pubblicazioni scientifiche, di cui 10 su riviste internazionali peer-reviewed. SABRINA GIUSSANI Med Vet, Comp ENVF, Busto Arsizio (VA) Si laurea cum laude a Milano in Medicina Veterinaria. Dal 1998 si occupa di medicina comportamentale. È consigliere della SISCA (Società Italiana di Scienze Comportamentali Applicate) dal febbraio 2002. Ha partecipato a seminari, corsi di base ed avanzati di medicina comportamentale sia in Italia sia in Francia. Si è diplomata Medico Veterinario Comportamentalista ENVF (Ecole Nationale Vétérinaire Française) nel 2002. È stata relatrice a corsi di patologia comportamentale in Italia. Ha pubblicato articoli inerenti alla medicina comportamentale su riviste veterinarie. È socia di Zoopsy e di ESVCE (European Society of Veterinary Clinical Ethology). FRANCES HARCOURT-BROWN BVSc, MRCVS, N. Yorkshire, UK Frances Harcourt-Brown si è laureata a Liverpool nel 1973 e da allora ha esercitato la professione generica. Al momento attuale, i conigli costituiscono il 90% della sua casistica. Ha pubblicato molti lavori sulle patologie dentali e su Encephalitozoon cuniculi nei conigli da compagnia ed ha ricevuto parecchi premi per il suo lavoro. È autrice del Textbook of Rabbit Medicine, un bestseller fra i testi di medicina veterinaria dedicati alle malattie del coniglio da compagnia. Quest’anno ha portato a termine una tesi dal titolo: Osteopatia metabolica come causa di patologia dentale nel coniglio da compagnia. KATE HOPPER BVSc, MVS, Dip ACVECC Dopo la laurea presso la University of Melbourne, Australia, conseguita nel 1991, la Dr.ssa Kate Hopper ha trascorso i 4 anni successivi esercitando la professione nel settore dei piccoli animali nella zona suburbana di Melbourne. In seguito è tornata alla Melbourne University per un periodo di residenza in medicina d’urgenza e terapia intensiva. Dopo 4 anni di lavoro all’Università, si è infine allontanata da casa per compiere un secondo periodo di residenza in medicina d’urgenza e terapia intensiva presso la University of California, Davis e nel 2002 ha conseguito il titolo di Diplomate of the American College of Veterinary Emergency and Critical Care. È poi rimasta a Davis, dove attualmente sta lavorando per ottenere il PhD. I suoi interessi nel campo della ricerca sono rappresentati dalla sepsi e dalla ventilazione meccanica. ADRIANO LACHIN Med Vet, Venezia Laureato presso l’Università degli Studi di nel Parma 1996. Dal 1997 ha iniziato ad occuparsi di Chirurgia Generale frequentando diversi corsi base ed avanzati sull’argomento tenuti dalla SCIVAC, nonché numerosi congressi e seminari; sempre nello stesso anno è entrato in qualità di “ospite frequentatore” nel reparto di Chirurgia Generale dell’Ospedale “Villa Salus” di Mestre (Ve) frequentando attivamente la sala operatoria, successivamente, con le medesime modalità, ha frequentato per tre anni il reparto di Chirurgia Generale dell’Ospedale di Dolo (Ve). Dal 1999 ha incominciato ad interessarsi di Anestesia sotto la guida del Dott. Oscar Grazioli e del Dott. Emilio Fel- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC tri. Ha presentato una comunicazione libera al Congresso Multisala di Milano 2002 sull’utilizzo della Ketamina a bassissimi dosaggi per l’analgesia intra e postoperatoria. Relatore ed istruttore al Corso di Anestesia SCIVAC per gli anni 2003, 2004 e 2005. Relatore al 48° Congresso Nazionale Multisala (“Anestesia nel paziente anziano”), nonché relatore a numerosi seminari e corsi privati di livello base ed avanzato sull’argomento, ha inoltre presentato una relazione al Corso di Pronto Soccorso SCIVAC 2003. Ha collaborato alla stesura di un capitolo del libro “Medicina d’urgenza e terapia intensiva del cane e del gatto” (Masson-2004). Membro SIARMUV di cui fa parte del consiglio direttivo per il triennio 20052007; dal 2004 membro della Association of Veterinary Anaesthesist (AVA). I suoi principali campi di interesse professionale riguardano, oltre all’Anestesiologia, anche la Chirurgia Generale. Attualmente svolge l’attività libero professionale nel suo ambulatorio in provincia di Venezia e in due Cliniche Veterinarie a Padova e a Vicenza, di cui è uno dei titolari, occupandosi esclusivamente di Anestesia e di Chirurgia d’emergenza. ROBERTO MARCHESINI Med Vet, Bologna Studioso di scienze comportamentali applicate è Professore a contratto del corso di Zooantropologia e Benessere animale integrativo dell’insegnamento ufficiale di Medicina legale all’Università Statale di Milano; Titolare dell’insegnamento di Diritto dell’Unione Europea all’Università Statale di Milano; Professore a contratto insegnamento di Etologia veterinaria e benessere animale all’Università degli Studi di Padova; Professore a contratto insegnamento di Aspetti Comportamentali negli Animali da Compagnia all’Università degli Studi di Bologna. Dal 1994 dirige il periodico “Quaderni di Bioetica” e dal 2001 è vice presidente della Società Italiana di Scienze Comportamentali Applicate (SISCA). Ha realizzato oltre un centinaio di studi e articoli di bioetica, zooantropologia ed epistemologia applicate alle scienze biologiche. È autore di oltre una ventina di libri sugli stessi argomenti. Oltre alla laurea in Medicina Veterinaria ha conseguito anche le lauree in Filosofia e in Pedagogia. LUCA MECHELLI Med Vet, Perugia Il Prof. Luca Mechelli ha conseguito la laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Perugia nel 1981 e dal 1983 ha svolto la propria attività presso la Sezione di Patologia Veterinaria della Facoltà di Medicina Veterinaria - Università degli Studi di Perugia. Dal 1998 è Professore Associato con incarichi di docenza presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Ateneo di Perugia e Camerino, nonché presso la Facoltà di Agraria e di Medicina e Chirurgia di Perugia. Nel 1994 viene nominato referee della Società Italiana di Dermatologia Veterinaria (S.I.D.E.V.). È autore di oltre 100 pubblicazioni inerenti la dermatopatologia e la fisiopatologia cutanea degli animali domestici e l’oncologia veterinaria. Attualmente è professore straordinario di Patologia ed Oncologia veterinaria. MASSIMO MILLEFANTI Med Vet, Gaggiano (MI) Milanese, 49 anni, sposato, 3 figli, si è laureato a Milano in Medicina Veterinaria nel 1982. Attualmente lavora in un Ambulatorio Veterinario a pochi chilometri da Milano, che ha costituito nel 1983. Si interessa in particolar modo di medicina e chirurgia di nuovi piccoli mammiferi da compagnia, di rettili, anfibi e di pesci ornamentali. È stato Coordinatore del Gruppo di Studio di Animali Esotici della SCIVAC (Società Culturale Italiana Veterinari per Animali da Compagnia) dal 1995 al 1998. Attualmente è Presidente e membro della Commissione Scientifica della SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici), di cui è un socio fondatore. Collabora con il Notiziario “Exotic files” della stessa Società. È stato consulente della Commissione Scientifica della SCIVAC dal 2001 al 2003 ed è consigliere dell’ANMVI (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani) Lombardia. Ha partecipato a molti Congressi, Seminari, Giornate di studio e Corsi italiani ed europei, come direttore di cor- 9 so, relatore ed istruttore. Ha redatto numerosi lavori scientifici pubblicati anche all’estero. Ha partecipato a trasmissioni televisive e radiofoniche ed ha tenuto conferenze sulla gestione degli animali esotici e dei nuovi animali da compagnia per allevatori e proprietari. Collabora con alcuni giornali, riviste del settore e siti internet. Ha scritto dei libri sulle malattie dei pesci ornamentali, sull’iguana verde, sul pitone reale, sul boa costrittore, sui camaleonti, sulle tartarughe acquatiche e sui gechi per la De Vecchi Editore (DVE). MATT MILLER DVM, MS, Dipl ACVIM (Cardiology), College Station, Texas, USA Si laurea nel 1984 presso la Ohio State University e nel 1993 completa un Master in Scienze presso la medesima Università. Termina un percorso di intership in Medicina e chirurgia nei piccoli animali presso la West Los Angeles Veterinary Medical Group. Recidency in cardiologia dal 1985 al 1988 presso la Ohio State University. Si diploma all’ American College of Veterinary Internal Medicine (Cardiologia) nel 1988. Attualmente è Professore in Cardiologia presso il Dipartimento di Scienze Cliniche per piccoli animali presso il College of Veterinary Medicine and Biomedical Sciences della Texas A&M University. È Charter Fellow del Michael E. De Bakey Institute of Comparative Cardiovascular Science and Biomedical Devices. Cardiologo nello staff del Texas Veterinary Medical Center. DAVID MORGAN BSc, MA, VetMB, CertVR, MRCVS, Regno Unito La prima laurea, in Biochimica, conseguita da David Morgan presso l’Università di Cardiff, è stata seguita nel 1986 da quella in Medicina Veterinaria rilasciata dall’Università di Cambridge. Dopo brevi esperienze lavorative libero professionali, maturando esperienze in settori diversi, ha operato per sette anni nel settore degli animali da compagnia, indirizzando i propri interessi principalmente sulla chirurgia e sulla radiologia. Nel 1990 ha ottenuto il diploma in Radiologia Veterinaria. Nel 1993 ha iniziato a lavorare in una società privata, fornendo consulenze tecniche nel Regno Unito, nei Paesi Scandinavi ed in Sud Africa. È frequentemente coinvolto in attività di informazione ed aggiornamento rivolta alla classe medico veterinaria, docenti universitari e studenti. Ha tenuto conferenze in tutta l’Europa ed in Sud Africa, in occasione di congressi sia nazionali che internazionali. RALF S. MUELLER Med Vet, Dipl ACVD, FACVSc, Monaco, Germania Laureato nel 1985 a Monaco in Germania. Completa il suo residency in dermatologia veterinaria presso la University of California a Davis, nel 1992. In seguito si trasferisce a Melbourne, in Australia, dove insieme alla sua attuale moglie, Dr. Sonya Bettenay, fanno pratica specialistica. Nel 1999 diventa Assistant Professor in Dermatologia Veterinaria presso il College of Veterinary Medicine and Biomedical Sciences alla Colorado State University. Termina la sua habilitation thesis all’Università di Zurigo. Nel 2004 accetta di coprire la posizione di direttore del servizio dermatologico veterinario presso l’Università di Monaco. RETO NEIGER Dr Med Vet, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, Giessen, Germania Reto Neiger si laurea in Svizzera nel 1988. In seguito fa esperienza in diverse strutture private e completa la sua ricerca nel corso di un anno per ottenere quindi il titolo di Dr. Med vet. Torna in accademia, prima a Berna, in Svizzera poi in Louisiana, negli Stati Uniti per completare un intership e il residency in Medicina Interna. Per ottenere il PhD ha proseguito la sua ricerca in Infezioni da Helicobacter nel cane e nel gatto, presso L’Ospedale della facoltà di medicina e chirurgia di Berna. Dal 1999 al 2003 Reto Neiger è stato lettore al Royal Veterinary College di Londra. Dal 2004 è Direttore del Dipartimento di Medicina per Piccoli animali presso dell’Università di Giessen in Germania. Diplomato all’American and European College of Veterinary Internal Medicine. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC MASSIMO OLIVIERI Prof Med Vet, PhD, Samarate (VA) Laureato all’Università di Milano con lode nel 1988, si è interessato da subito della chirurgia, dapprima sia dei tessuti molli che duri, per poi focalizzarsi principalmente sull’ortopedia del cane e del gatto. Dal 1991 al 2003 ha svolto programmi di aggiornamento in chirurgia dei tessuti molli ed in ortopedia in Ohio, Colorado, Florida, Texas, Nord Carolina, Francia. Dal 1990 è relatore a corsi, seminari e congressi Nazionali di ortopedia e, dal 1993, anche Internazionali. È autore di numerose pubblicazioni. Dal 1991 è responsabile del reparto di Chirurgia della Clinica Veterinaria Malpensa, dove si occupa di chirurgia specialistica dei tessuti molli (incluse laparoscopia e toracoscopia operativa), ortopedia e, soprattutto, dal 1995, di patologie articolari e di artroscopia. Nel 1998 ha iniziato l’Alternate Program per il College Europeo di Chirurgia. Nel 2000 ha iniziato a collaborare con l’Università di Medicina Veterinaria di Torino in artroscopia, conseguendo nel 2004 un dottorato di ricerca su questo argomento. Dal 2005 è professore a contratto presso la stessa Università. MARIA CRISTINA OSELLA Med Vet, Torino Laureata in Medicina Veterinaria, Dottore di Ricerca in Medicina Interna, Socio fondatore SISCA e Tesoriere ESVCE 2002-2005. Ha organizzato e/o ha partecipato in qualità di relatore a congressi, corsi e seminari sulle tematiche legate alla Clinica Comportamentale, sia in Italia sia all’estero. Attualmente opera come libero professionista dedicandosi al settore della diagnosi e del trattamento dei disturbi comportamentali nel cane e nel gatto; si occupa di programmi di Pet-Facilitated Therapy, a livello teorico e pratico applicativo; prosegue l’attività di aggiornamento per i colleghi e di ricerca scientifica nel settore della clinica comportamentale degli animali domestici; svolge attività di consulenza comportamentale privatamente, presso la Clinica Gran Sasso a Milano e presso il Consultorio di Medicina Legale e di Etologia Clinica applicata dell’Ospedale Veterinario della Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. SAVERIO PALTRINIERI Med Vet, PhD, Dipl ECVCP, Milano 1984-1990: Laurea in Medicina Veterinaria (3 luglio 1990, voto: 110/110 e lode, tesi: identificazione “in situ” di cellule infiammatorie nel granuloma tubercolare bovino, Relatore: Prof. G. Mandelli, Istituto di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviare, Università degli Studi di Milano)1990-1993: Dottorato di Ricerca in Patologia Comparata degli animali Domestici (15 giugno, 1994: tesi: Fisiopatologia del metabolismo energetico dei ruminanti, docente guida: Prof. F. Agnes, Istituto di Patologia Generale Veterinaria, Università degli Studi di Milano). 1995-2001: Ricercatore per il gruppo concorsuale V31A (patologia generale ed anatomia patologica veterinaria) presso l’Istituto di Patologia Generale Veterinaria, Università degli Studi di Milano. 2001-: Professore associato di Patologia Generale Veterinaria presso il Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, sezione di Patologia Generale Veterinaria e Parassitologia, Università degli Studi di Milano. 2001-: Diploma dell’European College of Veterinary Clincal Pathology. I suoi interessi di ricerca sono: valutazione diagnostica e patogenetica delle principali alterazioni ematologiche rilevabili in medicina veterinaria; alterazioni funzionali leuco-eritrocitarie in diverse condizioni patologiche ed in specie animali differenti; patogenesi e diagnosi delle principali malattie infettive della specie felina; metabolismo energetico in animali di interesse zootecnico. L’attività di ricerca del Prof. Paltrinieri è testimoniata da circa 100 relazioni a congressi e pubblicazioni 25 delle quali sono apparse su riviste internazionali. 10 ANNA PASQUINI Med Vet, Pisa La dott.ssa Anna Pasquini si è laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università di Pisa. Si è specializzata in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione dell’Università di Pisa, con indirizzo “Ematologia”. Ha svolto un progetto di ricerca sull’influenza dell’alimentazione sul metabolismo lipidico nel cane finanziato con Assegno di Ricerca biennale dall’Università di Pisa. Vincitrice di un posto di Dottorato di Ricerca finanziato dall’Università di Pisa su un progetto riguardante la valutazione dello stress ossidativo nel cane. È autore e coautore di 28 pubblicazioni e comunicazioni scientifiche. BRUNO PYPENDOP Dr Med Vet, DscV, Dipl ACVA, Davis, California, USA Si laurea all’Università di Liegi, nel 1992. Da allora fino al 1999 ha lavorato part time nella clinica di Anestesia per piccoli animali dell’Università di Liege. Nello stesso periodo lavorava sulla tesi di ricerca sull’anestesia parenterale nel cane, che discusse nel marzo 1999. In seguito si trasferì all’Università di Davis, in California, come resident in Anestesia e medicina d’urgenza. Completò il suo residency nel 2002 e si diplomò all’American College of Veterinary Anesthesiologists nel 2003. Da allora è rimasto a Davis come lettore e dal 2004 come Assistant Professor. ALAN RADFORD Med Vet, BSc, BVSc, PhD, MRCVS, Liverpool, UK Alan Radford si è laureato presso la Liverpool Veterinary School nel 1993 dove si è occupato di biologia molecolare. Dopo un soggiorno a Newcastle, ha effettuato l’internato in Small Animal Medicine a Dublino. Tornato in Inghilterra, ha conseguito il PhD occupandosi dei meccanismi di persistenza dell’infezione da calicivirus felino. Ha successivamente proseguito le sue ricerche sulla persistenza, epidemiologia e vaccinazione dei calicivirus felini e si è occupato di virologia. Collabora con l’università di Manchester in ricerche volte a chiarire la differente reattività individuale alle patologie. ATTILIO ROCCHI Med Vet, Firenze Laureato presso l’Università di Pisa nel 1999 con una tesi su “La presenza di L. interrongans in suini regolarmente macellati”. Ha completato la propria formazione partecipando a numerosi congressi e seminari nazionali e internazionali sia in Italia che all’estero; nel 2001 ha svolto un mese di formazione intensiva teorico-pratica sull’anestesia dei piccoli animali presso l’Università di Berna sotto la supervisione del Prof. Yves Moesn. Nel 1999 ha svolto un periodo di pratica come medico veterinario e assistente manager della sezione latte presso la Marula Estate Ltd di Naivasha (Kenya). Dal 2000 ha lavorato presso l’Ospedale Veterinario “S. Francesco” di Latina, la Clinica Veterinaria “Città di Lucca” di Lucca, l’Ambulatorio Veterinario “Città di Tortona” di Tortona (AL) e la “Clinica Veterinaria 24 Ore” di Firenze. È, inoltre, tutore e relatore di corsi e seminari privati. FEDERICA ROSSI Med Vet, Dipl ECVDI, Sasso Marconi (BO) La dott.ssa Federica Rossi si è laureata nel novembre 1993. Ha ricevuto dall’Istituto Rotary International il “Premio Rotary Corsi di Laurea” per il miglior Curriculum di Laurea in Medicina Veterinaria nell’Anno Accademico 1992/1993. Dal 1993 lavora come Libero Professionista, svolgendo attività di referenza in Diagnostica per Immagini nella propria struttura a Sasso Marconi (BO) ed in altre Cliniche in Emilia-Romagna. Dal 1995 al 1997 ha frequentato la Scuola di Specializzazione in Radiologia Veterinaria presso l’Università degli Studi di Torino. Dal 1997 al 1999 ha trascorso diversi periodi di formazione all’estero. Ha curato la traduzione in lingua italiana del testo-atlante di ecografia del cane e del gatto “Atlas und Lehrbuch der Ultraschalldiagnostik bei Hund und Katze”, C.P. Nautrup, R. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Tobias, Edizioni UTET, Torino 2000. È autrice di numerose pubblicazioni nazionali ed internazionali. Ha presentato poster e lavori scientifici a Congressi nazionali ed internazionali. Collabora attivamente ed è relatrice agli incontri del Gruppo di Studio in Diagnostica per Immagini SCIVAC. Ha svolto il programma di training per il College Europeo di Diagnostica per Immagini presso l’Università di Torino e Berna (Svizzera). Ha conseguito il Diploma ECVDI nel settembre 2003. XAVIER ROURA Med Vet, Dipl ECVIM, Barcellona, Spagna Laureato in veterinaria presso l’Università Autonoma di Barcellona nel 1989. Dottore in medicina veterinaria nella medesima Università con la tesi “Studio comparativo dell’applicazione de la Polymerase Chain Reaction nel diagnostico di leishmaniosi canina”, 1999. Diplomato all’European College of Veterinary Internal Medicine nel 2004. Nel 1990 si incarica al servizio di medicina interna all’ospedale clinico veterinario della U.A.B. È stato veterinario visitante nella facoltà di veterinaria di Ohio State (1993) e North Carolina State (1997, 2001 e 2004). Ha presentato comunicazioni e conferenze in congressi e seminari nazionali e internazionali ed ha pubblicato articoli per riviste nazionali ed internazionali. Il suo lavoro e la sua ricerca sono incentrati sulla medicina interna (specialmente patologie cardiorespiratorie e malattie infettive) e sulla leishmaniosi canina (diagnosi e immunologia). MARCO RUSSO Med Vet, Napoli Marco Russo è nato a Napoli il 27 aprile 1971. Il 27 luglio 1995 consegue la laurea in Medicina Veterinaria con il massimo dei voti e la lode. Nell’aprile 1999 consegue il titolo di dottore di ricerca in “Morfologia Comparata degli Animali Domestici” discutendo la dissertazione finale dal titolo “Studio dell’anatomia dell’encefalo del cane e del gatto mediante risonanza magnetica”. Nel luglio 1999, in seguito a concorso, gli è assegnata una borsa di studio per la frequenza di corsi o perfezionamento all’estero, per l’Area Disciplinare Scienze Mediche, Veterinarie e Biologiche applicate, della durata di sei mesi. Il 31 agosto 2000 ha completato, con esito positivo, il programma triennale di Residency in Diagnostic Imaging presso il Royal Veterinary College University of London. Dal 1° novembre 2001 è ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Per gli anni accademici 2001/02, 2002/03 e 2003/04 gli è stato conferito l’incarico di “Diagnostica per immagini dell’apparato riproduttore degli animali domestici” presso la Scuola di specializzazione in Fisiopatologia della Riproduzione degli Animali Domestici della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Napoli Federico II. Dall’anno 2004 all’anno 2006 fa parte della Commissione esaminatrice della European School of Veterinary Postgraduate Studies (ESVPS). L’attività scientifica si compendia in 25 pubblicazioni scientifiche, tutte a carattere sperimentale, pubblicate su riviste italiane e straniere o oggetto di comunicazione a congressi nazionali ed internazionali. ROBERTO A. SANTILLI Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Card), Malpensa (VA) Laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano nel 1990. Si è diplomato all’European College of Veterinary Internal Medicine - Companion Animals (Specialty of Cardiology) nel 1999. Lavora presso la Clinica Veterinaria Malpensa in Samarate (Varese) come referente per la cardiologia e la medicina interna. È stato professore a contratto in cardiologia felina per l’anno 1997-1998 presso la Scuola di Specializzazione in Patologia e Clinica degli animali d’affezione dell’Università degli Studi di Milano. Dal 1992 al 1998 ha svolto programmi di aggiornamento in cardiologia ed ecografia addominale presso la North Carolina State University, l’Ohio State University, University of California, Cornell University e Missouri State University. È istruttore ai corsi S.C.I.V.A.C. di cardiologia, 11 ed ecografia addominale. È autore di numerose pubblicazioni di cardiologia ed ecografia addominale su riviste nazionali ed internazionali. Il suo principale settore di ricerca sono le aritmie con rischio di morte improvvisa e le cardiomiopatie e l’ipertensione arteriosa del gatto. KURT SCHULZ DVM, MS, Dipl ACVS, Davis, California, USA Si laurea in medicina Veterinaria nel 1989 alla Cornell University. Completa l’internship in medicina e chirurgia dei piccoli animali presso l’Università del Missouri. In seguito trascorre un anno presso la United States Peace Corps in Marocco occupandosi di animali da reddito nelle aree depresse. Tornato negli Stati Uniti completa un master e il Residency in chirurgia presso Virginia Tech. Per due anni ha lavorato alla Texas A&M University e per nove anni è stato in facoltà alla UV Davis, in California. Vive con sua moglie Marielle ed il suo bimbo Remy in California. Autore di circa 50 articoli scientifici, revisionati e pubblicati, e di tre libri sulla chirurgia. ANNE-MARIE SVENDSEN DVM, MRCVS, Copenaghen, Danimarca Si laurea nel 1992 alla Royal Danish Veterinary and Agricultural University a Copenhagen, Danimarca. Per sette anni ha condotto la sua clinica per piccoli animali. In seguito ha iniziato a collaborare con Hill’s Pet Nutrition fino al 2002 anno in cui si è trasferita in Inghilterra per lavorare come Professional & Veterinary Affairs Manager. WILLIAM VERNAU BSc, BVMS, DVSc, PhD, Dipl ACVP, Davis, California, USA Il prof. Vernau si laurea presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Murdoch (Australia) con il massimo dei voti. Compie il suo periodo di intership presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Guelph (Canada) sotto la supervisione del Professor. V. E. O. Valli. Nel 1991 supera l’esame di specialità del College Americano dei Patologi Clinici e diventa professore associato di patologia clinica presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Guelph. Dal 1992-1994 diventa il responsabile capo del Laboratorio di Patologia Clinica del “Veterinary Laboratory Services di Sydney (Australia). Dal 1994 al 1998 è uno dei patologi clinici del Consolidat Veterinary Diagnostics/IDEXX della città di Sacramento (California). Nel 1999 ottiene il titolo di PhD con un lavoro sulla caratterizzazione fenotipica e molecolare (clonalità) delle leucemie nella specie canina sotto la supervisione del Professor P.F. Moore. Attualmente è professore associato di patologia clinica presso il dipartimento di VM: Pathology, Microbiology & Immunology della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università della California (Davis) dove è docente di ematologia, citologia e biochimica clinica. I sui interessi di ricerca riguardano oncologia, immunopatologia con un particolare interesse alla caratterizzazione molecolare ed immunofenotipica delle neoplasie ematopoietiche dei piccoli animali. È un membro del comitato organizzativo dell’American College di Patologia Veterinaria e reviewer delle riviste scientifiche Veterinary Pathology e Veterinary Clinical Pathology. È autore di numerose pubblicazioni internazionali e coautore del libro “Clinical Biochemistry of Domestic Animals” (Kaneko). ALDO VEZZONI Med Vet, SMPA, Dipl ECVS, Cremona Laureato in Medicina Veterinaria all’Università di Milano nel 1975, Specializzato in Clinica delle malattie dei Piccoli Animali nella stessa università nel 1978, ha conseguito il Diploma di specializzazione europea in chirurgia veterinaria dell’ECVS a Cambridge nel 1993. Dal 1993 al 2004 è stato segretario della ESVOT, la società europea di ortopedia veterinaria e dal 2004 ne è Vice-Presidente. Nel 1996 ha conseguito a Stoccarda l’abilitazione dell’Hoheneimer Kreis alla lettura delle radiografie per la displasia dell’anca del cane secondo il protocollo FCI e nel 1998 quella per la lettura delle radiografie per 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC la displasia del gomito secondo il protocollo IEWG-FCI. Presidente della Fondazione Salute Animale dal 1996 e Chairman della relativa Commissione di lettura per la displasia dell’anca e per la displasia del gomito, accreditata dall’ENCI nel 2002. Dal 1997 al 2002 è stato delegato per il Sud-Europa dell’AO-Vet International ed è stato relatore e direttore di diversi Corsi AO. Membro della Commissione Tecnica Centrale dell’ENCI dal 2000. Relatore in Congressi nazionali ed internazionali nell’ambito della chirurgia e dell’ortopedia dei piccoli animali, ha realizzato numerose pubblicazioni scientifiche ed ha curato l’edizione italiana di numerosi testi stranieri di medicina veterinaria. Dal 1976 opera come libero professionista a Cremona, svolgendo dal 1998 un’attività prevalentemente di riferimento dei Colleghi nell’ambito della diagnostica e della chirurgia ortopedica. Socialmente impegnato per la categoria è stato Socio Fondatore e Presidente della SCIVAC, Socio Fondatore e Consigliere dell’ANMVI; dal 1996 riveste le cariche di segretario FNOVI e di Presidente dell’Ordine dei Veterinari di Cremona, dal 1999 fa parte della Commissione “Terapia del Dolore” del Ministero della Salute e dal 2004 fa parte della Commissione sulla Professione Veterinaria del Ministero della salute. FABIO VIGANÒ Med Vet, Milano Il Dott. Fabio Viganò si è laureato nel 1987 e specializzato nel 1995 in malattie dei piccoli animali presso l’università di Milano. Dal 1987 ad oggi svolge soggiorni di studio presso Università e cliniche private negli Stati Uniti. Dal 1993 membro della società americana Veterinary Emergency and Critical Care Society. Socio fondatore, Honorary Treasurer e Membership Secretary della società Europea: European Veterinary Emergency and Critical Care Society. Membro AVA e EAVPT. Relatore a numerosi congressi nazionali ed internazionali. Dal 2000 al 2002 relatore e direttore del corso di pronto soccorso della Scivac. Attualmente impegnato nella direzione di una Clinica veterinaria con pronto soccorso 24 ore e nella ricerca di nuove terapie in medicina d’urgenza e terapia intensiva. Autore di pubblicazioni in medicina d’urgenza e terapia intensiva dei piccoli animali, direttore e relatore di numerosi corsi di pronto soccorso e terapia intensiva. MARCO VIOTTI Med Vet, Torino Laureato a Torino nel 1994 con una tesi sperimentale sull’embriogenesi cardiaca, si occupa esclusivamente di piccoli animali. Ha frequentato numerosi corsi di aggiornamento Scivac, nonché congressi e seminari. Attualmente vicecoordinatore del Gruppo di Studio di Practice Management, membro del consiglio direttivo di Amnvi Piemonte, si occupa esclusivamente di medicina interna e practice management. 12 GIUSEPPE VISIGALLI Med Vet, Milano Laureato in medicina veterinaria nel febbraio del 1989. Da sempre si occupa con grande passione di animali esotici ed in particolare di rettili, senza tuttavia mai trascurare la medicina degli uccelli, dei mammiferi, degli anfibi, dei pesci e degli invertebrati. Iscritto alla ARAV (Association of Reptilian and Amphibian Veterinarian) ed alla AAV (Association of Avian Veterinarians) dal 1994 ha partecipato in qualità di relatore a numerosi seminari a tema italiani ed europei dei quali i più importanti sono stati i seguenti: “Medicina delle tartarughe” nel 1997, il “Seminario di base ed avanzato di Medicina e Chirurgia dei Rettili” nel 1999, il “Corso di base di Medicina Aviare” nel 2000 ed il “Seminario: gestione dell’acquario patologie e terapie dei pesci ornamentali” del 2000. È inoltre autore di numerose pubblicazioni ed articoli su riviste italiane e straniere di medicina veterinaria legati alla medicina e chirurgia degli animali esotici. Dal 1999 è direttore sanitario di una clinica veterinaria che si occupa prevalentemente di “exotic pets”. SANDRO ZUCCHETTA Med Vet, San Donà di Piave (Ve) Laureato con tesi sperimentale in teratologia e abilitato alla professione nel 1982 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna. Corsi di perfezionamento presso l’Università di Parma in “Farmaci ed igiene veterinaria”, “Ambiente ed igiene veterinaria” e “Zoonosi”. Dal 1982 esercita la libera professione nel settore degli animali da compagnia. Dal 1991 è Direttore Sanitario della Clinica Veterinaria “San Francesco” di San Donà di Piave e di quattro ambulatori veterinari ubicati nella zona orientale della provincia di Venezia. Ha frequentato numerosi corsi di aggiornamento e ha partecipato a più di 150 seminari e congressi nazionali e all’estero, per alcuni di quali è stato anche organizzatore e relatore. È stato membro dei gruppi di studio SCIVAC di Patologia della riproduzione, Medicina interna, Dermatologia, Ortopedia, Chirurgia generale, Patologia felina. Attualmente è iscritto al gruppo di studio di Veterinary Practice Management, argomento sul quale ha tenuto seminari per gli studenti della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Padova. Presso l’Ordine dei Veterinari della Provincia di Venezia ha ricoperto l’incarico di Consigliere e di Segretario. È stato inoltre Segretario provinciale e regionale SIVELP. Dal 1998 è membro della Commissione per gli Esami di Stato per l’esercizio della professione veterinaria presso l’Università di Padova. È stato relatore unico al Pre-Congress Day AIVPAFE 2002. Attualmente, oltre ad espletare l’attività clinica, si interessa di gestione della professione veterinaria nell’ambito del territorio e delle dinamiche delle relazioni nel rapporto uomo-pet-veterinario. Ha approfondito le conoscenze del Veterinary Practice Management ai corsi di Martin J. Becker, Charles J. Wayner, Fabrice Clerfouille e Yannick Poubanne. ESTRATTI DELLE RELAZIONI Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore. Le relazioni di uno stesso autore sono elencate secondo l’ordine cronologico di presentazione. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 14 Valutazione scintigrafica degli shunt sinistra-destra e della funzionalità cardiaca Anne Bahr DVM, MS, Dipl ACVR, College Station, Texas, USA La scintigrafia è utile perché consente una valutazione non invasiva della funzione cardiaca e permette di individuare e determinare l’entità delle lesioni degli shunt sinistradestra. Queste tecniche sono considerate i metodi non invasivi “ottimali” ed al momento attuale vengono ritenute più accurate degli indici derivati attraverso l’ecocardiografia. Queste tecniche richiedono soltanto l’iniezione endovenosa di radiofarmaci e molti computer da diagnostica per immagini sono dotati del software necessario per acquisire ed elaborare gli studi cardiaci. Angiografia con radionuclidi di primo passaggio (FPNA, first pass radionuclide angiography) La FPNA è basata sulla visualizzazione dinamica di un bolo di radiofarmaco quando questo transita nella circolazione centrale. Quindi, uno dei principali requisiti, è che l’agente si muova liberamente lungo questo via, senza alcun assorbimento o distorsione del bolo. L’insufficienza cardiaca destra può causare una frammentazione ed invalidare l’esame. Si utilizzano tipicamente il pertecnetato (99mTCo4-) o 99mtc-DTPA (acido dietilenetriaminopentacetico). Il tempo totale di acquisizione è di 30-40 secondi e l’animale viene tenuto in decubito laterale sotto una gamma camera. In condizioni normali, la FPNA è caratterizzata dal passaggio del radiofarmaco in sequenza attraverso la vena cava craniale, l’atrio destro, il ventricolo destro, le arterie polmonari, il polmone, le vene polmonari, l’atrio sinistro, il ventricolo sinistro ed infine l’aorta. L’interpretazione dell’esame prevede sia l’ispezione visiva delle immagini che la quantificazione dell’attività all’interno della regione polmonare. Durante la destrofase del passaggio del bolo, il sangue passa dal ventricolo destro nei polmoni. I cani con uno shunt sinistro-destro possono mostrare un quadro analogo durante questa fase. Gli animali con uno shunt destra-sinistra mostrano un’attività all’interno dell’aorta durante la destrofase. Poiché i soggetti con shunt sinistra-destra saranno caratterizzati dal ricircolo dell’attività del polmone durante la levofase del passaggio del bolo, si avrà un prolungamento della comparsa dell’attività nel polmone. Occasionalmente, si può identificare la localizzazione dello shunt sotto forma di un difetto del setto interventricolare (VSD) se durante la levofase viene riidentificato il ventricolo destro. L’entità dello shunt sinistra-destra può venire misurata attraverso la quantificazione della radioattività nel polmone. Ciò si ottiene con la valutazione di una regione di interesse nel polmone e tracciando una curva di attività in funzione del tempo. Normalmente, l’attività nel polmone raggiunge il picco quando il bolo passa attraverso la vascolarizzazione polmonare e poi diminuisce rapidamente sino ad un livello basso. Il riscontro di un’attività residua nel polmone normale riflette l’attività arteriosa sistemica dovuta ai vasi broncoesofagei ed all’attività della parete toracica. Poiché uno shunt sinistra-destra consente il ritorno del sangue nel polmone, immediatamente dopo la levofase si osserva un secondo picco di ricircolo. Poiché l’area al di sotto della curva di attività in funzione del tempo è direttamente proporzionale al volume di sangue che passa attraverso la regione, la quantificazione delle aree del picco polmonare iniziale (Qp) e del secondo picco di ricircolo (Qs) consente di valutare l’entità della lesione dello shunt. Si utilizza la seguente formula: Qp/Qs = Qp/(Qp-Qs) Gli animali normali presentano un rapporto Qp/Qs inferiore a 1,2. Un valore superiore a questo limite è considerato diagnostico di shunt sinistra-destra e la lesione sarà da ritenere tanto maggiore quanto più elevato sarà il rapporto Qp/Qs. Gli shunt destra-sinistra possono anche venire valutati utilizzando un farmaco differente per la FPNA, il 99mTc-MAA (albumina macroaggregata). La MAA ha particelle di dimensioni pari a 10-90 µ e quindi si arresta nel primo letto capillare durante il suo passaggio. In condizioni normali, si localizza interamente nel polmone. Invece, gli animali con shunt destra-sinistra mostrano un’attività diffusa in tutto l’organismo. La gravità dell’anastomosi può venire calcolata con la seguente formula: % shunt = (Conteggi su tutto l’organismo – conteggi polmonari/conteggi su tutto l’organismo) x 100 Ventricolografia “gated” con radionuclidi (RNV) La ventricolografia “gated” (sincronizzata) con radionuclidi presenta molti vantaggi rispetto all’ecocardiografia quando viene utilizzata per valutare la funzione cardiaca. Le immagini RNV rappresentano un quadro composito di molteplici cicli cardiaci, gli indici di funzioni ventricolari derivati corrispondono ad un valore medio della funzione e non sono influenzati dalla variazione esistente fra un battito e l’altro. Inoltre, le immagini rappresentano le variazioni di 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC radioattività all’interno delle camere in esame, che a loro volta corrispondono ai cambiamenti del volume ematico e quindi non sono influenzate dalla posizione della fetta (slice) o da inaccuratezze dovute alla stima del volume. È stato dimostrato che la RNV risulta utile per la valutazione della funzione ventricolare nonché per la quantificazione dell’entità del rigurgito mitralico nel cane. La RNV si effettua marcando gli eritrociti con la radioattività al fine di ottenere un agente di pool ematico. Poiché la radioattività si distribuisce uniformemente in tutto l’organismo, le variazioni di attività all’interno delle camere cardiache sono direttamente correlate ai cambiamenti di volume ematico. Lo studio viene effettuato dopo la marcatura degli eritrociti (con tecniche in vivo oppure in vitro), che vengono poi lasciati distribuire ed equilibrare all’interno del pool ematico. L’acquisizione dell’immagine si basa sull’ECG come fattore di sincronizzazione ed effettuando 16-32 frame durante ogni intervallo R-R. L’acquisizione delle immagini si esegue durante ogni intervallo di lunghezza appropriata (da stabilire all’inizio dello studio). Ogni serie di frame viene sovrapposta alla prima immagine per ottenere una serie con un’adeguata densità di conteggio. Durante la maggior parte degli studi RNV, vengono combinate immagini ottenute da un numero di battiti compreso fra parecchie centinaia ed un migliaio. Il risultato finale è una serie di immagini (16 o 32) che rappresentano la lunghezza dell’interno ciclo cardiaco. Il tempo tipico di acquisizione è di 10 minuti e le immagini si ottengono con l’animale in decubito laterale sinistro. L’analisi del RNV viene iniziata definendo una regione di interesse intorno al ventricolo sinistro. L’attività in questa regione viene determinata per ogni frame e si traccia una curva di attività in funzione del tempo che rappresenta le variazioni di volume nell’arco del ciclo cardiaco. Sulla base di questi dati, è possibile calcolare la frazione di eiezione, le frequenze di eiezione ventricolare (funzione sistolica) e lo riempimento (funzione diastolica). La frazione di eiezione viene calcolata a partire dai conteggi nei frame telesistolici e telediastolici utilizzando la seguente formula: Frazione di eiezione = ((conteggi telediastolici-conteggi telesistolici) / conteggi telediastolici) x 100 Le velocità di riempimento e svuotamento vengono calcolate assumendo il valore assoluto della prima derivata 15 della curva di attività in funzione del tempo a livello ventricolare. I picchi di questa curva identificano chiaramente le massime velocità di svuotamento e riempimento e di solito vengono riferite in volume telediastolico per secondo. Con questa curva è anche possibile calcolare il tempo occorrente per arrivare al picco di riempimento ed al picco di svuotamento. La RNV può anche venire utilizzata per calcolare l’entità del rigurgito mitrale. In un animale normale, la gittata sistolica del ventricolo destro è pari a quella del sinistro. Negli animali con rigurgito mitrale, la gittata sistolica del ventricolo sinistro deve aumentare per mantenere la progressione anterograda. L’entità del rigurgito è quindi correlata alla differenza fra i due. La gittata sistolica può essere determinata a partire dalla RNV sottraendo l’attività nel ventricolo durante la fine della sistole dall’attività alla fine della diastole. Nell’uomo, è stato dimostrato che il rapporto della gittata sistolica sinistra in confronto con quella destra (rapporto di gittata sistolica) è direttamente correlato alla quantità del rigurgito. Nel cane, invece, si deve utilizzare un fattore di correzione, perché esiste una lieve sovrapposizione (di solito 25-30%) del ventricolo destro sul sinistro quando si effettua la visualizzazione dalla parte laterale sinistra. Per compensazione, la sovrapposizione percentuale viene calcolata utilizzando una FPNA che separi temporaneamente le attività all’interno dei ventricoli. Riassunto FPNA ed RNV possono venire impiegate in medicina veterinaria per valutare gli shunt sinistra-destra e quelli destra-sinistra, calcolare la funzione ventricolare globale e stabilire l’entità dell’insufficienza mitrale. Anche se è leggermente più complicato che eseguire un’ecocardiografia, nell’uomo è stato dimostrato che la scintigrafia è un metodo più affidabile per ottenere questa informazione. Indirizzo per la corrispondenza Anne Bahr Assistant Professor Chief, Radiology Texas A&M University College Station, TX 77843-4475 (979) 412-3068 (979) 847-8863 FAX 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 16 Radiografia diretta delle masse addominali Anne Bahr DVM, MS, Dipl ACVR, College Station, Texas, USA La chiave per il successo della valutazione delle masse addominali è la capacità di riconoscere la dislocazione delle strutture normali adiacenti. Quindi, ai fini della valutazione, risulta di importanza critica la capacità di identificare le strutture normali. L’aspetto delle masse dipende dall’entità dell’ingrossamento. Inoltre, gli effetti della gravità possono avere un ruolo sull’aspetto definitivo. Se una massa deriva da un organo che si trova in posizione fissa, la gravità eserciterà un’influenza minima, mentre se la massa prende origine da un organo mobile, la posizione e la gravità avranno un ruolo significativo sull’immagine finale. Esistono tre organi addominali che possono venire ingrossati in situazioni normali: lo stomaco, la vescica e l’utero. Può essere difficile determinare se l’aumento di dimensioni di questi organi sia patologico, tuttavia, allo scopo di solito risultano utili la valutazione dell’anamnesi e dell’esame clinico. Verranno illustrati alcuni casi che esemplificano i differenti aspetti delle masse. Dettaglio della superficie viscerale La visualizzazione delle strutture della cavità addominale è dovuta alla differenza di radiopacità fra quelle costituite da tessuti molli, che sono principalmente circondate dal grasso. Questo è il fattore chiave, dal momento che nel cane o nel gatto normale i liquidi peritoneali liberi sono molto scarsi. Un’accentuazione della visualizzazione delle superfici viscerali in addome può essere dovuta a pneumoperitoneo. La presenza di aria libera nello spazio peritoneale consente una visualizzazione delle strutture che in condizioni normali non sono visibili. Sono esempi di questo tipo il polo craniale del rene destro, la superficie viscerale dello stomaco ed il diaframma. Le possibili cause di pneumoperitoneo sono rappresentate da danni iatrogeni (chirurgia, peritoneocentesi), ferite penetranti, rotture di visceri o batteri gas-produttori. La diagnosi di pneumoperitoneo dipende dalla quantità di aria libera presente. Talvolta, può essere sufficiente una radiografia di routine. Tuttavia, per individuare quantità di aria più piccole può essere necessario ricorrere ad immagini riprese in posizioni particolari. Allo scopo si utilizza il fascio radiografico diretto orizzontalmente. Spesso, il decubito laterale sinistro consente all’aria di accumularsi nel quadrante craniale destro, lontano dal fondo dello stomaco. La perdita di dettaglio viscerale può essere dovuta a numerose cause, come la mancanza di grasso addominale negli animali giovani o emaciati. Di solito, ciò non risulta clinicamente significativo. Altre cause sono l’accumulo di radiopacità dei tessuti molli che delineano le strutture addominali, ad esempio in presenza di infiltrati fluidi o cellulari. I fluidi come i trasudati, i trasudati modificati o gli essudati possono causare una perdita di dettaglio. Anche gli infiltrati cellulari come la carcinomatosi possono provocare lo stesso effetto. Anche la compressione del contenuto addominale può causare una perdita del dettaglio viscerale. Questo quadro si osserva spesso in presenza di grandi effetti di massa in addome, come nei soggetti con neoplasie o con una vescica grande e distesa. Spesso, per contribuire a determinare la perdita di dettaglio viscerale e differenziare l’accumulo di fluidi dall’effetto di massa, si può utilizzare l’ecografia. Questa può anche servire ad ottenere un campione di fluido, in particolare se questo è presente in piccola quantità. Strutture addominali normali - stomaco Lo stomaco è localizzato appena caudalmente al fegato e la sua visualizzazione dipende dalla quantità di grasso circostante nonché dal suo contenuto. Spesso viene riconosciuto a causa del cibo presente nel lume. Se non contiene alimenti ingeriti, l’organo può venire frequentemente localizzato grazie ai gas presenti al suo interno. Nel cane, il fondo è situato nel quadrante craniale sinistro, con il piloro a destra. Nelle immagini ventrodorsali, l’asse deve essere perpendicolare alla colonna vertebrale. Nel gatto, il piloro è localizzato lungo la linea mediana ed ha una forma a C nelle proiezioni ventrodorsali. In entrambe le specie animali, l’asse dello stomaco deve essere parallelo alle costole nelle proiezioni laterolaterali. Inoltre, è possibile far spostare il gas eventualmente presente sfruttando la gravità per visualizzare le differenti porzioni dello stomaco. È necessario rendersi conto che il fondo è leggermente più dorsale del corpo dell’organo, così come il piloro. Quindi, se l’animale si trova in decubito laterale sinistro, il gas può venire individuato nel piloro. Nel decubito laterale destro, il gas sale verso il fondo. Nelle proiezioni ventrodorsali, il gas si trova nel corpo ed in quelle dorsoventrali si sposta nel piloro e nel fondo. Strutture addominali normali piccolo intestino Il duodeno viene fissato in posizione dalle sue inserzioni mesenteriche. In condizioni normali, costituisce il tratto di intestino più laterale sul lato destro e il duodeno discendente è parallelo alla parete corporea. Il digiuno è relativamente mobile. I margini sierosi vengono visualizzati grazie al grasso circostante. I margini della mucosa NON possono essere definitivamente visualizzati senza un mezzo di contrasto positivo che ne delinei la superficie. In generale, il diametro complessivo del piccolo intestino non dovrebbe essere superiore ad 1-2 (talvolta fino a 3) volte la larghezza di una costola (o 12 mm nel gatto). 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Struttura addominale normale - fegato Il fegato è localizzato appena caudalmente al diaframma. In condizioni normali, nella maggior parte delle razze si trova all’interno dell’arco costale ed ha un margine netto. Nel gatto, si osserva comunemente un grande cuscinetto adiposo falciforme situato ventralmente al fegato, che dà all’organo l’aspetto di “fluttuare”. Nelle proiezioni laterolaterali, l’asse dello stomaco deve essere essenzialmente parallelo alle costole. Struttura addominale normale - milza La testa della milza è tenuta in posizione dal legamento gastrosplenico. Si può osservare nelle proiezioni laterolaterali, appena dorsalmente al rene nella parte craniale dorsale dell’addome. Nelle immagini ventrodorsali, risulta visibile appena caudolateralmente allo stomaco. La coda è mobile e si può trovare in un punto qualsiasi della parte intermedia o caudale dell’addome. Il margine deve essere liscio e netto. Struttura addominale normale - reni I reni sono localizzati nello spazio retroperitoneale. Si osservano meglio nelle immagini in proiezione ventrodorsale e vengono misurati per confronto con la lunghezza di L2. Nel cane, i reni normali possono avere una lunghezza pari a 2,5-3,5 volte quella di L2, mentre nel gatto misurano 2,4-3 volte L2. I reni devono essere valutati per rilevare eventuali disparità di dimensioni e di margini, nonché alterazioni di radiopacità. In condizioni normali questi organi si trovano a livello di T13-L4. Il rene destro di solito è localizzato più cranialmente nel cane. Nel gatto, il rene può essere pendulo. Strutture addominali normali - ureteri Gli ureteri in condizioni normali non si osservano radiograficamente. Dal punto di vista anatomico, il tratto prossimale dell’uretere è retroperitoneale, mentre la porzione più distale si trova in sede peritoneale. L’unico modo per valutare questi organi è ricorrere alle indagini radiografiche con mezzo di contrasto. Struttura addominale normale - vescica Le radiografie senza mezzo di contrasto sono utili soltanto per valutare la posizione, la radiopacità, la forma e le dimensioni della vescica. Tuttavia, per completare lo studio può essere necessario eseguire un esame con mezzo di contrasto. La vescica viene divisa in tre aree - vertice, corpo e collo. Il trigono si trova nella parte dorsale del collo. Struttura addominale normale prostata ed utero La prostata è situata in posizione immediatamente caudale al collo della vescica. La possibilità di visualizzarla radiograficamente dipende dalle sue dimensioni e dalla quota localizzata all’interno della cavità addominale. Se è ingrossata, può spostare cranialmente la vescica. La ghiandola non deve misurare più di 2/3 dell’ampiezza dell’ingresso del bacino nelle proiezioni ventrodorsali. L’utero è localizzato fra la vescica ed il colon. La possibilità di visualizzarlo dipende dallo status riproduttivo dell’animale e da quello patologico (piometra). Se è ingrossato, l’utero può determinare la dislocazione craniale dei visceri addominali (in particolare del tratto gastroenterico). 17 Possibile origine di una massa osservata in proiezione laterolaterale - Regione craniodorsale - lobi epatici caudato e laterale destro - testa della milza - surreni - reni - ovaio destro - Regione cranioventrale lobi epatici di destra/sinistra cistifellea/dotto biliare pancreas - Regione addominale centrale corpo/coda della milza testa del pancreas linfonodi mesenterici tratto intestinale ovaie parte craniale delle corna uterine - Regione dorsocaudale linfonodi sottolombari colon/retto tratto distale degli ureteri - Regione caudoventrale vescica utero prostata masse pelviche Possibile origine di una massa osservata in proiezione ventrodorsale - Regione craniale destra - piloro - lobi epatici di destra - pancreas - cistifellea/dotto biliare - rene/surrene di destra - regione craniale sinistra - lobi epatici di sinistra - fondo/corpo dello stomaco - milza - surrene di sinistra - Regione addominale centrale - pancreas - milza - rene sinistro - linfonodi mesenterici - tratto intestinale - ovaie - utero - Regione addominale caudale vescica prostata/utero colon/retto linfonodi sottolombari Indirizzo per la corrispondenza Anne Bahr - Assistant Professor Chief, Radiology Texas A&M University - College Station, TX 77843-4475 (979) 412-3068 (979) 847-8863 FAX 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 18 Diagnostica per immagini dell’apparato gastroenterico: radiologia diretta, contrastografia, ecografia ed altre metodiche (scintigrafia, TC) - Parte 1 e 2 Anne Bahr DVM, MS, Dipl ACVR, College Station, Texas, USA Malattie dello stomaco I corpi estranei vengono solitamente visualizzati grazie alla loro differente radiopacità rispetto al contenuto normale. Ciò dipende da molti fattori, come la composizione dell’oggetto (metallo o tessuto, ecc..). Spesso, è possibile utilizzare la motilità dei gas in differenti proiezioni per contribuire ad evidenziare il corpo estraneo. Talvolta, per confermare questo riscontro, può essere necessario ricorrere ad esami con mezzo di contrasto. Il principale reperto radiografico in questo caso è la visualizzazione di un difetto di riempimento o di un residuo di contrasto adeso al corpo estraneo (come normalmente avviene quando si tratta di lembi di stoffa. La dilatazione/torsione dello stomaco è un problema comune. La prima proiezione radiografica da ottenere è quella in decubito laterolaterale destro. In questa immagine si osserva una “doppia bolla” o compartimentalizzazione dello stomaco dovuta al fatto che il piloro si è tipicamente spostato dorsalmente ed a sinistra. La proiezione in decubito laterolaterale destro promuove l’accumulo di gas all’interno del piloro e quindi la comparsa della “doppia bolla”. Se questa immagine non porta a risultati conclusivi può essere utile la proiezione dorsoventrale. Anche in questo caso, l’aria dovrebbe riempire il piloro e contribuire a determinarne la localizzazione (dovrebbe essere a destra). Affezioni del piccolo intestino Il problema più comunemente evidenziato nelle immagini radiografiche senza mezzo di contrasto è l’ileo. Per definizione, questo riscontro indica rigorosamente il mancato passaggio del contenuto intestinale. Esistono fondamentalmente due categorie di ileo: 1) meccanico (o ostruttivo o dinamico) e 2) funzionale (o paralitico o adinamico). L’ileo meccanico di solito è associato ad un’ostruzione fisica delle anse intestinali dovuta ad un blocco intra- o extraluminale come quello provocato da un corpo estraneo o un tumore. I segni radiografici dell’ileo meccanico sono la dilatazione focale dell’intestino con distensione prossimale all’ostruzione. Spesso, le anse intestinali possono apparire ammassate e formare delle curvature molto strette ad U. I corpi estranei lineari possono causare la formazione di pliche. L’ileo funzionale è dovuto ad una disfunzione neurologica/muscolare generalizzata delle anse intestinali, per cui la motilità progressiva va perduta. Questo quadro si osserva comunemente in caso di enterite, disautonomia, ecc.. I segni radiografici sono rappresentati dalla dilazione generalizzata dell’intestino. Esami con mezzo di contrasto del tratto gastroenterico Pasto baritato - lo scopo è quello di determinare la distensione del tratto digerente con una radiopacità alternativa, che delinei le interfacce con la superficie mucosa. Tecnica - si utilizza una sospensione di solfato di bario al 37% peso/volume disponibile in commercio. Bisogna evitare la vecchia polvere della USP perché non contiene emulsionanti e precipita. Se possibile, l’animale va preparato con la sospensione del cibo per 12-24 ore e clismi di pulizia del tratto gastroenterico. Prima di iniziare l’esame, si effettua la ripresa di radiografie in bianco per verificare la corretta preparazione e disporre di un’immagine utile per il futuro confronto con le radiografie con mezzo di contrasto. Attraverso una sonda gastrica, si somministrano 13 ml/kg (nel cane); la dose può essere leggermente aumentata nei cani di piccola taglia e nei gatti e ridotta nei cani di grossa taglia. L’obiettivo è quello di distendere lo stomaco con il bario. Dopo la somministrazione, si effettua la ripresa di immagini in proiezione laterolaterale destra, laterolaterale sinistra, ventrodorsale e dorsoventrale. Poi si eseguono due radiografie ortogonali ogni 15 minuti per un’ora e poi ogni ora fino a che il mezzo di contrasto non raggiunge il colon. Nel gatto, dopo la prima ora, le riprese vanno effettuate ogni 30 minuti. Valutazione - nello stomaco, la parete deve essere sottile ed uniforme. Il tempo di svuotamento nel cane è di 1-4 ore e quello di transito deve essere al massimo di 15 minuti. Il piccolo intestino presenta un normale margine della superficie mucosa caratterizzato da fimbrie. Nel duodeno, si possono osservare delle pseudoulcere (aggregati linfoidi) sul bordo antimesenterico. Nel gatto, a livello del duodeno può comparire un’immagine a “filo di perle” dovuta alle energiche contrazioni della muscolatura circolare. Il tempo di transito nel cane arriva a 5 ore nel piccolo intestino ed a 3 ore nel gatto. Va ricordato che se si sospetta una perforazione è necessario utilizzare un mezzo di contrasto iodato. La fuoriuscita del bario nello spazio peritoneale può scatenare una grave reazione granulomatosa. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA FISICA DEGLI ULTRASUONI Le onde sonore con una frequenza fino a 20.000 Hz rientrano nella gamma udibile. L’ecografia diagnostica si serve di frequenze che nella maggior parte dei casi sono di 1-15 MHz. È particolarmente utile per la valutazione delle strutture interne formate da tessuti molli e consente la visualizzazione di eventi dinamici in tempo reale. Le proprietà delle onde sonore sono rappresentate da velocità, frequenza e lunghezza d’onda. Queste sono fra loro correlate attraverso la formula: Velocità = frequenza x lunghezza d’onda La velocità si misura in m/s; la frequenza è il numero di lunghezze d’onda che passano per un punto in un secondo (misurata in Hz) e la lunghezza d’onda è misurata in metri. Nella maggior parte dei tessuti molli, la velocità è di circa 1540 m/s. In generale, l’elemento che produce e riceve le onde sonore ed i relativi echi è il trasduttore. Questi strumenti convertono l’energia elettrica in onde sonore e poi nuovamente in energia elettrica. Ne esistono principalmente di due tipi: 1) lineare (l’immagine ha le stesse dimensioni sia nei campi vicini che in quelli lontani) e 2) settoriale (i campi vicini sono piccoli e quelli lontani sono grandi). Il trasduttore emette onde sonore per l’1% circa del tempo e riceve gli echi di ritorno per il 99% circa del totale. L’immagine ecografica viene formata sulla base del tempo impiegato da un eco per tornare al trasduttore. Dal momento che la velocità è di 1540 m/s, metà del tempo occorrente all’eco per tornare moltiplicata per la velocità fornisce la misura della distanza fra il trasduttore stesso e l’oggetto riflettente. L’intensità dell’eco viene mostrata nell’immagine sotto forma di brillantezza: 1)gli echi a bassa intensità appaiono come macchie scure o ipoecogene, 2) gli echi ad alta intensità si presentano come macchie bianche o iperecogene. La frequenza del trasduttore è direttamente correlata alla risoluzione dell’immagine ed inversamente proporzionale alla profondità della penetrazione. Di conseguenza, bisogna scegliere di utilizzare il trasduttore con la frequenza più elevata che consenta di ottenere la profondità di immagine richiesta. PRINCIPI DI BASE DELL’ECOGRAFIA DELL’ADDOME DEI PICCOLI ANIMALI Per ottenere immagini di qualità è essenziale la preparazione del paziente. In generale, bisogna rimuovere il mantello, perché spesso l’aria rimane intrappolata fra i peli e ciò causa una degradazione delle immagini. La ripresa può venire effettuata sia in posizione ventrodorsale che in decubito laterale. Per eliminare totalmente la presenza di aria tra la cute ed il trasduttore si utilizza un materiale di accoppiamento (di solito un gel acustico). Si può anche ricorrere allo sfregamento con alcool. Non bisogna utilizzare olio di vaselina perché ciò potrebbe distruggere l’involucro esterno del trasduttore. La scansione iniziale si esegue di solito utilizzando la più elevata frequenza possibile del trasduttore. Risulta utile una sonda settoriale, che consente un’ampia visualizzazione degli organi da esaminare. Inoltre, le sonde settoriali di solito hanno una superficie di appoggio relativamente piccola, il che rende più facile mantenere un buon contatto. I dati che seguono possono venire utilizzati come linea guida generale. 19 7-10 MHZ- gatti/cani di piccola taglia 5 MHz - cani di media taglia (15,5-22,5 kg) 3 MHz - cani di grossa taglia/giganti Spesso, in particolare negli animali più grandi, io effettuo una scansione generale utilizzando un trasduttore settoriale a frequenza relativamente bassa, e poi passo ad una frequenza più elevata (spesso lineare) per la visualizzazione di specifiche porzioni degli organi. La convenzione generale per tutte le scansioni (tranne che per quella cardiaca) è di presentare il lato craniale o destro dell’animale sul lato sinistro dell’immagine. Quindi, su un piano parasagittale, la parte craniale si trova a sinistra dello schermo e quella caudale è a destra. In generale, l’indagine ecografica può venire utilizzata per valutare l’ecotessitura di una struttura, nonché l’aspetto dei margini e l’alterazione interna di un’architettura normale. In addome, la relativa ecogenicità degli organi rappresenta un caposaldo della valutazione. La terminologia comunemente impiegata distingue zone 1) iperecogene – forti echi brillanti, 2) ipoecogene – deboli echi scuri, 3) isoecogene – strutture della stessa ecogenicità (non esprimono necessariamente la brillantezza o l’oscurità), 4) eteroecogene – una combinazione di iper- ed ipoecogenicità. La milza è l’organo più ecogeno, mentre il fegato e la corticale del rene hanno approssimativamente la stessa ecogenicità e risultano ipoecogeni in confronto alla milza. Valutazione ecografica del tratto gastroenterico La visualizzazione delle strutture dipende dal contenuto del lume e dalla quantità di gas presente. Il duodeno è tipicamente l’ansa più laterale del piccolo intestino nel quadrante craniale destro. Il tenue mostra tipicamente una disposizione laminare degli strati. La superficie mucosa o luminale è iperecogena. Il piano successivo è la mucosa, che è ipoecogena. Segue la sottomucosa, che è iperecogena. La muscolare è ipoecogena e lo strato più esterno è la sierosa, che è iperecogena. Lo spessore dello stomaco normale risulta tipicamente di 3-5 mm. Le anse intestinali hanno uno spessore di 2-3 mm (tranne il duodeno, che può misurare 1-2 mm). Valutazione ecografica delle affezioni gastroenteriche Ileo funzionale: radiograficamente, si osserva una distensione lieve o moderata del piccolo intestino, secondaria alla mancanza di motilità propulsiva. Questo quadro è spesso associato ad enterite (come avviene in caso di infezione da parvovirus) ma può dipendere anche da una varietà di altre cause quali alterazioni vascolari, peritonite, neoplasia, ecc… Ecograficamente, spesso si osserva un aumento del fluido all’interno del lume dell’intestino con una mancanza di motilità propulsiva. Nello stomaco, si devono osservare 35 onde di motilità/minuto. Il piccolo intestino deve presentare 2-3 onde peristaltiche al minuto. L’ileo funzionale si può osservare o meno in associazione con malattie infiltranti. Tipicamente, gli infiltrati benigni mantengono la capacità di visualizzare gli strati della parete, ma possono renderli ispessiti. Sono esempi di condizioni di questo tipo l’infiammazione intestinale o l’enterite batterica o virale. Queste 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC malattie possono anche essere accompagnate da linfoadenopatia regionale. Gli infiltrati maligni, che possono essere diffusi come il linfoma, di solito causano una perdita dell’organizzazione in strati della parete ed una linfoadenopatia regionale. Se si identificano dei linfonodi aumentati di dimensioni, spesso risulta più sicuro sottoporre queste strutture ad un prelievo mediante aspirazione, che può ancora consentire di ottenere un campione diagnostico. Ileo meccanico: radiograficamente, si osserva tipicamente come una distensione focale del piccolo intestino. Ecograficamente, i riscontri dell’intestino anormale sono simili a quelli descritti per l’ileo funzionale. Tuttavia, si identificano tipicamente i segmenti del piccolo intestino normale. Le possibili eziologie sono rappresentate da corpi estranei, masse che causano ostruzioni, stenosi, intussuscezione, ecc… La possibilità di individuare la causa dell’ileo meccanico mediante ecografia dipende dalla quantità di gas presente. Può essere utile effettuare la visualizzazione attraverso una finestra che consenta di sfruttare l’azione della gravità (sotto il tavolo) per ottenere il più possibile una via di accesso priva di gas. Una massa, dovuta ad una neoplasia o ad un granuloma, può venire visualizzata come un’alterazione degli strati parietali riscontrabili in condizioni normali. Non esistono caratteristiche ecografiche che consentano di formulare una diagnosi definitiva della lesione, tuttavia si può tentare di ricorrere all’aspirazione sotto guida ecografica. In questo caso, bisogna stare attenti a non provocare la rottura dell’intestino. Da questo punto di vista, è di importanza critica il contenimento del paziente. Il modo migliore per identificare l’intussuscezione è l’ecografia. Risulta tipico di questa anomalia l’aspetto a “bersaglio”. Questo quadro si osserva quando l’intestino viene visualizzato lungo un piano trasversale. Tipicamente, si identificano 10 piani intestinali; l’ansa più interna viene detto tratto intussuscetto mentre quella più esterna prende il nome di intussuscente. Le masse maligne, che possono causare un ileo meccanico, vengono spesso identificate sotto forma di ispessimenti focali della parete di un segmento intestinale. Questi ispessimenti possono essere iper- o ipoecogeni. Gli adenocarcinomi hanno spesso un andamento circonferenziale, mentre altri tumori come il leiomiosarcoma possono essere localizzati in posizione eccentrica; comunque, è ancora necessaria la conferma citologica o istologica. DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DEL LIQUIDO PERITONEALE L’ecografia è un modo di rilevare la presenza di liquido peritoneale libero molto più sensibile della radiografia (4,4 ml/kg contro 8,8 ml/kg). Le sedi migliori per identificare le piccole quantità di fluidi sono le regioni prossime alla vescica (cosiddette “grondaie”). Tenere l’animale in una data posizione consente a piccole quantità di fluidi di raccogliersi, il che rende più facile l’identificazione ed anche il campionamento. Altre aree che spesso accentuano la presenza del liquido peritoneale sono la zona intorno alla cistifellea, fra i lobi epatici e lungo i margini laterali della parete addominale. L’ecogenicità dei fluidi tende ad essere anecogena o ipoecogena o ecogena. Le caratteristiche ecografiche dipendono dal conteggio cellulare e dal contenuto proteico del fluido. I liquidi anecogeni tendono ad essere composti da trasudati puri, mentre quelli ecogeni spesso sono essudati. Tuttavia, per una diagnosi definitiva è necessaria la peritoneocentesi. 20 PANCREAS Nel cane, il pancreas si trova in posizione mediale rispetto al duodeno (arto destro) con la coda situata caudalmente alla grande curvatura dello stomaco (ma senza attraversare la linea mediana). Nel gatto, la testa è posta medialmente al duodeno, ma la coda attraversa la linea mediana e si estende sino a livello del rene di sinistra. Negli animali normali, l’ecogenicità del pancreas può essere simile a quella del grasso circostante. La visualizzazione dei vasi pancreaticoduodenali può favorire l’identificazione. L’ecografia è la migliore tecnica iniziale di diagnostica per immagini per la valutazione del pancreas. In condizioni normali, questo ha la stessa ecogenicità del grasso mesenterico circostante e spesso può essere difficile da identificare. Di solito, per individuare il pancreas normale è necessario ricorrere all’alta frequenza (> 7 MHz). La testa si osserva in posizione adiacente al duodeno discendente, mentre la coda è situata ventralmente alla vena porta e caudalmente allo stomaco. Nel cane, la coda di solito non si estende oltre alla linea mediana, mentre nel gatto può arrivare a sinistra del rene sinistro. Un punto di repere per l’identificazione della testa del pancreas è la visualizzazione della vena pancreaticoduodenale, che decorre parallela all’asse maggiore. Tipicamente, il pancreas viene meglio identificato ricorrendo alla scansione su un piano parasagittale. I gas presenti nello stomaco, nel duodeno e nel colon possono interferire con la visualizzazione, in particolare nel paziente normale. PANCREATITE Il riscontro ecografico tipico della pancreatite è l’ipoecogenicità del pancreas con aumento dell’ecogenicità circostante del grasso, spesso in associazione con un accumulo focale di fluidi. Durante l’esame, la pressione esercitata dal trasduttore può suscitare dolore. Tuttavia, va fatto rilevare che l’esito normale dell’esame ecografico non consente di escludere la pancreatite, in particolare nel gatto. Altri riscontri ecografici sono rappresentati da stasi di stomaco e duodeno e, spesso, aspetto corrugato del duodeno discendente. Nella grave pancreatite cronica si possono osservare segni di ostruzione biliare extraepatica (dilatazione del dotto biliare comune, cistifellea ingrossata, dilatazione dei dotti intraepatici). NEOPLASIA PANCREATICA Non è possibile differenziare la neoplasia dalla pancreatite basandosi unicamente sull’aspetto ecografico. Tuttavia, se si notano molteplici masse nel fegato o nella regione della porta hepatis, si deve ritenere probabile la presenza di metastasi. I tumori più comuni sono gli adenocarcinomi, che di solito si osservano nei cani anziani. L’airdale terrier è predisposto a questo tipo di neoformazione. Queste neoplasie sono di solito costituite da masse ipoecogene, ma può essere colpito l’intero pancreas. I tumori delle cellule degli isolotti sono di solito piccoli e possono sfuggire all’osservazione se si utilizzano trasduttori a bassa frequenza. Indirizzo per la corrispondenza Anne Bahr - Assistant Professor Chief, Radiology Texas A&M University - College Station, TX 77843-4475 (979) 412-3068 (979) 847-8863 FAX 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 21 Diagnostica per immagini dell’apparato urinario: radiologia diretta, contrastografia, ecografia ed altre metodiche (scintigrafia, TC) - Parte 1 e 2 Anne Bahr DVM, MS, Dipl ACVR, College Station, Texas, USA Strutture addominali normali - Reni Strutture addominali normali - Ureteri I reni sono localizzati nello spazio retroperitoneale. Si osservano meglio nelle immagini in proiezione ventrodorsale e vengono misurati per confronto con la lunghezza di L2. Nel cane, i reni normali possono avere una lunghezza pari a 2,5-3,5 volte quella di L2, mentre nel gatto misurano 2,4-3 volte L2. I reni devono essere valutati per rilevare eventuali disparità di dimensioni e di margini, nonché alterazioni di radiopacità. In condizioni normali questi organi si trovano a livello di T13-L4. Il rene destro di solito è localizzato più cranialmente nel cane. Nel gatto, il rene può essere pendulo. Gli ureteri in condizioni normali non si osservano radiograficamente. Dal punto di vista anatomico, il tratto prossimale dell’uretere è retroperitoneale, mentre la porzione più distale si trova in sede peritoneale. L’unico modo per valutare questi organi è ricorrere alle indagini radiografiche con mezzo di contrasto. Malattie dei reni Gli aumenti uniformi delle dimensioni dei reni possono essere dovuti a: Ipertrofia compensatoria Neoplasia Idronefrosi FIP Pseudocisti perirenali Pielonefrite acuta. Gli aumenti focali delle dimensioni dei reni possono essere dovuti a: Neoplasia Emorragia sottocapsulare Ematoma Ascesso Cisti renali Le riduzioni delle dimensioni dei reni possono essere dovute a: Pielonefrite cronica Infarti cronici Ipoplasia corticale Nefropatia progressiva cronica In condizioni normali, i reni devono presentare la radiopacità dei tessuti molli ed essere circondati dal grasso retroperitoneale. Un aumento di radiopacità di solito è associato a nefroliti o nefrocalcinosi. La perdita di visualizzazione di questi organi può essere dovuta ad un accumulo di fluidi all’interno dello spazio retroperitoneale. Radiografia con mezzo di contrasto dei reni/ureteri Urografia escretoria - Indicazioni - l’ecografia ha sostituito l’urografia escretoria per la maggior parte dei suoi impieghi per la valutazione dei reni. Tuttavia, è ancora utile per valutare le dimensioni e la localizzazione di questi organi se non si dispone dell’ecografia o se con questo metodo è difficile valutare i reni. L’indicazione più comune per l’urografia escretoria oggi è la diagnosi e la localizzazione di un uretere ectopico. Tecnica - La principale controindicazione è la disidratazione clinica. Gli animali vengono preparati come per gli altri esami contrastografici (nulla per os, clismi). Immediatamente prima dell’inizio dell’esame bisogna riprendere delle radiografie in bianco senza mezzo di contrasto. Si somministrano 400 mg/kg di mezzo di contrasto iodato sotto forma di bolo endovenoso. Quindi, si effettua la ripresa immediata di radiografie (due proiezioni) da ripetere a distanza di 5, 10, 20 e 40 minuti. Questi intervalli possono venire modificati a seconda dello scopo che ci si prefigge. La visualizzazione del mezzo di contrasto all’esterno dei reni richiede: perfusione renale, funzionalità dei glomeruli, riassorbimento tubulare e pervietà del sistema collettore. Interpretazione - È possibile valutare le dimensioni, la forma, la radiopacità, ecc.. dei reni durante la fase di nefrografia. Nella fase di pielografia vengono visualizzati gli ureteri. Di solito, hanno un diametro di 1-2 mm e mostrano una peristalsi. Di conseguenza, non è possibile visualizzare in un dato momento l’intera lunghezza dell’uretere. Per determinare la localizzazione del termine degli ureteri può essere utile la pneumocistografia. Struttura addominale normale - Vescica Le radiografie senza mezzo di contrasto sono utili soltanto per valutare la posizione, la radiopacità, la forma e le 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 22 dimensioni della vescica. Tuttavia, per completare lo studio può essere necessario eseguire un esame con mezzo di contrasto. La vescica viene divisa in tre aree - vertice, corpo e collo. Il trigono si trova nella parte dorsale del collo. Malattie della vescica Le alterazioni della posizione della vescica possono essere dovute ad un’ernia o a una dislocazione causata dall’ingrossamento dei visceri adiacenti. Le variazioni della radiopacità sono normalmente da attribuire alla presenza di calcoli. Fra quelli radiopachi rientrano quelli contenenti calcio o fosforo. Si può osservare un calo della radiopacità in presenza di aria all’interno del lume, penetrata per cause iatrogene, oppure nella parete, in seguito ad una cistite enfisematosa. Quest’ultima è spesso associata a diabete mellito o iperadrenocorticismo. Le variazioni di dimensioni sono soggettive, ma possono essere dovute ad ostruzione o incapacità di urinare. La mancanza completa della visualizzazione della vescica può essere dovuta ad una rottura o semplicemente al fatto che è vuota. Cistografia a doppio contrasto - Si introduce in vescica un catetere. Si asporta la maggior quantità possibile di urina. Si instillano 5-15 ml di mezzo di contrasto iodato e poi di contrasto negativo (aria o CO2) fino ad ottenere la distensione dell’organo. L’iniezione va sospesa se si percepisce una pressione di contrasto. Le radiografie vengono riprese in proiezione laterolaterale destra, laterolaterale sinistra, ventrodorsale e dorsoventrale per distribuire la pozza di liquido di contrasto su tutte le aree dell’organo. Valutazione Cistografia a doppio contrasto È possibile valutare la superficie della mucosa e la parete. Quest’ultima deve essere sottile ed uniforme. L’ispessimento della sua parte craniale ventrale è spesso associato a cistite. La neoplasia si riscontra tipicamente nel trigono. Tuttavia, infiammazione o neoplasia possono essere causa di alterazioni in qualsiasi parte della vescica. I dati riscontrabili all’esame del lume sono riportati nella tabella sottostante. Valutazione ecografica dei reni Esami contrastografici della vescica Esistono tre tipi di studi: cistografie a contrasto negativo, positivo e a doppio contrasto. Le cistografie a contrasto negativo di solito servono solo a determinare la posizione della vescica. Quelle a contrasto positivo vengono impiegate per determinare l’integrità dell’organo. Quelle a doppio contrasto servono a valutare le aree della mucosa ed il lume della vescica. Quest’ultima tecnica è stata recentemente rimpiazzata dall’ecografia. Tecnica - Cistografia con mezzo di contrasto negativo. È rapida e poco costosa. Si introduce un catetere all’interno della vescica che viene distesa con aria ambiente o CO2. Quest’ultima è considerata ideale perché ha minori probabilità di causare embolismo. La vescica viene distesa fino a che non è possibile percepirla turgida alla palpazione (facendo attenzione a non indurre una sovradistensione) e poi si riprendono le radiografie. Cistografia con mezzo di contrasto positivo - È simile a quella con mezzo di contrasto negativo, dalla quale differisce perché si utilizzano agenti iodati. Spesso, questi possono essere diluiti in misura del 50-75%. La vescica viene distesa fino a che non è turgida. Questo è un fattore di importanza critica se si vuole escludere la presenza di perdite, perché è possibile che eventuali piccoli fori non lascino fuoriuscire il contenuto fino a che l’organo non è completamente disteso. La tecnica di esame di solito richiede un trasduttore settoriale da 5-7 MHz per la maggior parte dei cani e dei gatti. Nei piccoli animali si può utilizzare un trasduttore lineare. La corticale del rene presenta tipicamente un’ecogenicità simile o leggermente inferiore a quella del fegato. Va notato che in alcuni gatti grassi la corticale può essere più ecogena a causa dell’infiltrazione adiposa, che non è patologica. La midollare risulta tipicamente ipoecogena rispetto alla corticale e deve essere presente una distinta giunzione corticomidollare. La midollare è separata dalla corticale dai diverticoli e dai vasi interlobari. Le papille renali possono essere circondate da grasso in alcuni animali, determinando un focolaio ecogeno nella regione del bacinetto. A causa della forma dei reni, si può avere un’ombra da artefatto che non va confusa con la mineralizzazione. Le dimensioni del rene possono venire misurate utilizzando l’ecografia, ma nei cani non sono disponibili valori normali. I gatti devono avere reni di almeno 3,5-4 cm di lunghezza in direzione del piano sagittale mediano. Una delle comuni alterazioni che si osservano è l’aumento dell’ecogenicità della corticale renale. Si riscontra spesso nei reni con nefropatia cronica progressiva. Anche altre anomalie, come l’infiammazione, l’infezione o la mineralizzazione possono causare questo quadro. In alcuni animali, a livello della giunzione corticomidollare si può osservare una linea ecogena distinta (nota come segno della “rima”). A que- Difetto di riempimento Forma Bordi Localizzazione Bolle d’aria Tondeggianti Lisci Periferia della pozza di liquido di contrasto Calcoli Tondeggianti o irregolari Indistinti Centro della pozza di liquido di contrasto Coaguli Irregolari Irregolari o indistinti Nella pozza di liquido di contrasto o in prossimità della parete 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC sto riscontro non viene attribuito alcun significato clinico. Si può anche avere una riduzione dell’ecogenicità della corticale, di solito dovuta a formazioni cistiche. Ciò può avvenire nella nefropatia cronica, ma può anche essere una sindrome come tale, come si osserva in certe razze di gatti. Bisogna stare attenti a non confondere una midollare ipoecogena con le cisti. Queste vengono differenziate sulla base della loro localizzazione (corticale o midollare) e per la presenza della cosiddetta “trasmissione passante” (through transmission). Si tratta di un artefatto ecografico che viene utilizzato come contributo alla diagnosi. La trasmissione passante si ha perché il fascio ecografico è relativamente meno attenuato quando passa attraverso strutture piene di fluidi piuttosto che nei tessuti molli circostanti. Ciò genera degli echi con una maggiore energia di ritorno e quindi il computer assegna loro un’ecogenicità più elevata. Di conseguenza, le strutture cistiche (come la cistifellea o le cisti della corticale renale) presentano in posizione profonda un aumento dell’ecogenicità, che indica che sono piene di liquidi. Le neoplasie del rene possono essere ecogene, isoecogene o ipoecogene. La massa di solito deforma l’architettura dell’organo. Per determinarne l’eziologia è necessaria la biopsia. Le anomalie del sistema collettore o degli ureteri vengono comunemente valutate mediante ecografia. In condizioni normali, il tratto prossimale dell’uretere del cane non deve avere un diametro superiore a circa 2 mm. La lieve dilatazione pelvica (pielectasia) si osserva più facilmente nelle vedute mediotrasversali del rene. si presenta come un’area anecogena a forma di V adiacente alle papille renali. Nella maggior parte dei casi la pielectasia è associata a diuresi, pielonefrite o ostruzione iniziale/parziale. La dilatazione moderata o grave della pelvi renale o del bacinetto renale viene detta idronefrosi e di solito è associata ad ostruzione. Si può osservare come un’area anecogena al centro del rene. Le papille renali possono andare incontro ad atrofia e venire smussate. I calcoli possono causare ostruzione del sistema collettore e si osservano come focolai di ombreggiatura ipercogena solitamente nel bacinetto o nel tratto prossimale dell’uretere. La mineralizzazione all’interno dei diverticoli costituisce un riscontro comune e di solito non causa ostruzione. Ecografia della vescica È importante che quando viene valutata ecograficamente la vescica sia distesa. I problemi comunemente identificabili con questa tecnica sono rappresentati da variazioni di spessore della parete dell’organo, masse patologiche, corpi estranei, calcoli, coaguli sanguigni, diverticoli, ureteri ectopici ed ureterocele. Inoltre, la vescica può venire utilizzata come finestra acustica per la valutazione della prostata, dell’utero e della regione sottolombare. In alcuni animali si può talvolta osservare una piccola massa convessa nella regione del trigono, nota come papilla ureterale (dove gli ureteri si aprono in vescica). Di solito, per la valutazione della vescica è necessario un trasduttore da 7-10 MHz. Un comune artefatto che si osserva durante la visualizzazione della vescica è il cosiddetto lobo laterale o grating lobe. Si tratta di un fenomeno 23 dovuto al fatto che vicino alla vescica si trova una struttura molto ecogena (solitamente, gas nel colon). Gli echi dai lobi laterali, che normalmente non contribuiscono alla formazione dell’immagine, quando vengono respinti dal colon generano delle linee ecogene all’interno del lume della vescica dovute a collocamento non accurato da parte del computer. Tutti gli echi che ritornano al trasduttore vengono considerati come dovuti al fascio principale. Quindi, questo artefatto può venire eliminato inclinando il trasduttore in modo da prevenire l’interazione con il colon oppure, più tipicamente, diminuendo il gain complessivo e quindi quello dei lobi laterali. La vescica deve essere esaminata su due piani. In alcuni casi, a livello delle papille ureterali è possibile identificare i getti degli ureteri, in particolare quando si utilizza il metodo Doppler a codice di colore. Risulta tipicamente agevole valutare la parete craniale della vescica, che è parallela al fascio di ultrasuoni. Ciò spesso determina un’area anecogena nella parete, dovuta all’incapacità del fascio di generare degli echi in una struttura parallela ad esso. Le misurazioni della parete vescicale vanno effettuate preferibilmente lungo la superficie dorsale. Per misurare la parete vescicale ventrale ed eliminare gli artefatti può essere necessario inserire uno standoff. Lo spessore della parete vescicale varia con l’entità della distensione. Uno studio ha suggerito che la parete non debba essere più spessa di 2,3 mm nelle vesciche piccole. Tuttavia, l’esperienza personale suggerisce che ciò possa non essere vero. Se la vescica è piccola e la misurazione non risulta di importanza critica, bisogna ripetere l’esame e rilevare nuove immagini quando l’organo sia più disteso. Allo scopo è possibile aspettare, somministrare un diuretico o somministrare soluzione fisiologica attraverso un catetere urinario. Una comune anomalia che provoca una variazione dello spessore della vescica è la cistite. Questa si osserva tipicamente nella porzione craniale dell’organo e può causare un ispessimento asimmetrico (per cui la parete è più sottile vicino al collo) nonché irregolarità della mucosa. Va ricordato che l’ecografia non consente di differenziare la cistite da altre malattie a carattere infiltrante come la neoplasia. Con l’ecografia i calcoli possono venire identificati facilmente. Si tratta tipicamente di strutture ecogene che proiettano delle ombre sotto di sé. La capacità di visualizzarli dipende dalla loro dimensione, dalla frequenza del trasduttore utilizzato e dal posizionamento dei fuochi all’interno dell’immagine. Se il calcolo è più piccolo del fascio ecografico, può sfuggire all’esame. Quando si ricercano calcoli di piccole dimensioni, bisogna utilizzare trasduttori della massima frequenza possibile. La neoplasia più comunemente riscontrata nella vescica è il carcinoma delle cellule di transizione. Questo si osserva tipicamente come ispessimento o formazione di una massa nella regione del trigono. Tuttavia, si può visualizzare in qualsiasi sede all’interno della vescica. Il carcinoma delle cellule di transizione spesso prende origine dall’uretra e quindi, se possibile, bisogna effettuare un’accurata valutazione del collo e del tratto prossimale dell’uretra stessa. In molti animali, quest’ultima può essere difficile da valutare a causa della sua localizzazione intrapelvica. Spesso risultano 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC utili i trasduttori settoriali/vettoriali, con i quali è possibile dirigere la sonda sotto il pube. Sono disponibili anche sonde intrarettali, che possono offrire una finestra migliore per la valutazione di quest’area. Naturalmente, si possono trovare anche altri tipi di tumori come il fibrosarcoma ed il rabdomiosarcoma ecc… Il tipo di tumore non può essere stabilito con l’ecografia. La vescica si trova ventralmente al colon (ed all’utero nelle femmine). La sua parete è normalmente sottile (meno di 2-3 mm) e deve presentare un contenuto anecogeno. Nel gatto, l’urina può contenere alcuni echi, che possono essere clinicamente insignificanti (possibili cristalli). Scintigrafia renale La maggior parte delle modalità di diagnostica per immagini fornisce informazioni morfologiche relative ai reni. Le diagnosi vengono raggruppate basandosi sulle alterazioni delle dimensioni, della forma, dei margini e della radiopacità di questi organi. Tuttavia, gli esami radiografici senza mezzo di contrasto sono limitati nei pazienti con scarso grasso retroperitoneale, eccesso di ingesta o accumulo di fluido perirenale. L’urografia escretoria definisce ulteriormente la morfologia della corticale renale e del sistema collettore. La valutazione qualitativa della funzione renale è possibile presso le unità di emergenza, ma è limitata nei pazienti con iperazotemia. Attraverso la stima della velocità di filtrazione glomerulare, che è direttamente proporzionale al numero di nefroni funzionali, si possono ottenere informazioni funzionali. Lo standard aureo per la misurazione della velocità di filtrazione glomerulare è la clearance dell’inulina. Quest’ultima è un marcatore ideale per la misurazione della velocità di filtrazione glomerulare, perché è metabolicamente inerte, viene filtrata dal glomerulo e non subisce alcuna secrezione o assorbimento da parte dei tubuli. La tecnica per la misurazione della clearance dell’inulina richiede un notevole lavoro e non è adatta alle valutazioni cliniche di routine. La determinazione dei livelli sierici di creatinina ed azotemia consente di effettuare una stima della velocità di filtrazione glomerulare, ma ha scarsa sensibilità, in quanto questi parametri non si innalzano fino a che non si è instaurata una significativa insufficienza renale. L’azoto 24 ureico viene filtrato nel glomerulo e poi riassorbito dai tubuli, in una quantità che dipende dal flusso tubulare. L’aumento dell’azotemia può essere dovuto sia a fattori prerenali che postrenali. La creatininemia dipende meno dell’azotemia dai fattori non renali. La creatinina viene prodotta dal metabolismo muscolare ed escreta attraverso i reni quasi interamente per filtrazione glomerulare, ma con una certa secrezione tubulare. I suoi livelli sierici vengono determinati attraverso il volume di distribuzione della creatinina, la velocità di produzione da parte del muscolo, il tasso di escrezione e il contributo del cromogeno non creatininico. La concentrazione sierica di creatinina può essere elevata in caso di disidratazione o insufficienza renale. Quando si utilizza il metodo del picrato alcalino si possono avere risultati falsi positivi dovuti alla misurazione di cromogeni non creatininici. La stima della velocità di filtrazione glomerulare mediante scintigrafia è un metodo clinicamente utile per valutare in modo più accurato la funzione renale. Lo studio richiede meno di 10 minuti per essere portato a termine. Il radiofarmaco utilizzato è il 99mTC-acido dietilenetriampentacetico (DTPA). Viene escreto esclusivamente per filtrazione glomerulare. Per stimare la velocità di filtrazione glomerulare sulla base della dose percentuale di captazione del 99mTC-DTPA entro il rene a distanza di 1 e 3 minuti dall’iniezione si utilizza una formula di regressione. Uno dei vantaggi di questa tecnica rispetto alla clearance dell’inulina è che consente di stimare la velocità di filtrazione glomerulare di ogni singolo rene. Indicazioni per la scintigrafia per la velocità di filtrazione glomerulare: valutare la funzione renale globale in termini di velocità di filtrazione glomerulare, insufficienza renale subclinica, risposta alla terapia, valutare la funzione renale prima dell’insulto renale (chemioterapia, preterapia con iodio radioattivo), valutare la funzione renale individuale (soltanto studi di diagnostica per immagini), prima della nefrectomia, prima della nefrotomia. Indirizzo per la corrispondenza Anne Bahr - Assistant Professor Chief, Radiology Texas A&M University College Station, TX 77843-4475 (979) 412-3068 (979) 847-8863 FAX 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Malattie neurologiche del cucciolo: diagnosi e trattamento Massimo Baroni Med Vet, Dipl ECVN, Monsummano Terme (PT) ATTI NON PERVENUTI 25 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 26 I risultati che “contano” (dall’obiettivo al bilancio con i piedi per terra) Roberto Bellei Med Vet, Sassuolo (MO) Questo lavoro si propone di fare un’analisi di metodo nella determinazione dei costi e dei ricavi della nostra professione; non vuole sostituirsi al lavoro e al supporto, indispensabili, del commercialista e del fiscalista, quanto piuttosto essere uno strumento per iniziare a valutare oggettivamente quelle che spesso sono solo sensazioni scritte su un foglio di carta. In questo modo è possibile misurare nel tempo i risultati ottenuti da obiettivi che ci siamo dati, potendoli quantificare realmente. In un mercato come il nostro sono fondamentali la professionalità e la qualità del servizio offerti, ma tutto questo comporta costi che dobbiamo essere in grado di valutare. La tariffa della prestazione non può essere certo calcolata sulla base dei soli costi, ma averne consapevolezza rende più facile stabilirne quale valore effettivo vogliamo dare al nostro impegno professionale. La raccolta dei dati che andremo a ricercare è fondamentale; deve essere fatta in modo corretto per poterci consentire l’analisi successiva. L’insieme dei valori che andremo a raccogliere costituiranno il conto profitti e perdite (o costi e ricavi) dal quale potremmo valutare il margine (differenza tra le entrate e gli acquisti); l’utile operativo (margine meno le spese di gestione); l’utile al lordo delle imposte (utile operativo meno oneri finanziari) ed infine l’utile al netto delle imposte. della nostra azienda. Tra i principali possiamo annoverare l’acquisto dei farmaci, il materiale sanitario di consumo, i reagenti per il laboratorio, reagenti e pellicole radiografiche e ancora tutto ciò che potremmo acquistare per il pet corner. Un dato importante nella valutazione dei costi variabili è sicuramente l’incidenza che essi hanno in rapporto alle entrate prodotte: ovvero il rapporto tra i costi variabili e le entrate moltiplicato 100, definita come incidenza dei costi variabili. Nella nostra professione può variare parecchio a seconda del prodotto o della prestazione (nella dispensazione di un farmaco l’incidenza può aggirarsi intorno al 70%, mentre è molto più bassa 10-15% nell’effettuazione di una vaccinazione). I costi semivariabili hanno la caratteristica di variare sempre in funzione delle prestazioni eseguite, ma in modo non proporzionale. In questo tipo di costi avremo quindi una quota variabile ed una fissa il cui scorporo può essere effettuato attraverso diversi metodi (interpolazione grafica, minimi quadrati, analitico), ma che noi tratteremo, per semplicità come fissi per la prevalente incidenza di questa quota nella nostra professione. Tra questi potremmo elencare le utenze, la cancelleria, la manutenzione, le spese per la pulizia o eventuali collaborazioni a provvigione. ANALISI DEI COSTI Il punto di pareggio (break even point) Per comprendere meglio quali sono le spese che partecipano all’attuazione e lo sviluppo della nostra professione dobbiamo innanzi tutto tenere i costi separati per tipologia che potremmo raggruppare in: • Fissi • Variabili • Semivariabili I costi fissi sono quelli che rimangono costanti, entro certi limiti, e indipendenti dalla quantità di prestazioni eseguite. Sono di fatto i costi della struttura e non dipendono da decisioni immediate, ma prese in passato con implicazioni sul futuro. Vengono sostenuti per dare all’azienda una struttura capace di utilizzare in modo ottimale le risorse disponibili. Tra i costi fissi della nostra professione possiamo inserire l’affitto, spese condominiali, consulenze fiscali e contabili, collaborazioni, assicurazioni, utenze, costi d’aggiornamento, ammortamenti, rate di mutui ed altri. I costi variabili sono invece proporzionati alle prestazioni eseguite in maniera diretta; sono di fatto i costi di produzione Considerata la presenza dei costi, è evidente che una riduzione delle prestazioni effettuate o prodotti dispensati (volume di produzione) porta la struttura veterinaria da una situazione di “utile” ad una situazione di “perdita”. Il punto di pareggio indica il volume di entrate minime che è necessario raggiungere se si vuole passare dalla zona delle perdite a quella dei profitti. Non sarà ovviamente sufficiente incassare più dei costi fissi per avere un guadagno, ma, dal momento che ogni prestazione effettuata comporta dei costi propri, occorrerà andare anche oltre i costi variabili che questa prestazione comporta. Il Punto di pareggio si ricava applicando la formula: costi fissi/(1-incidenza % dei costi variabili). ANALISI DELLE ENTRATE Le principali entrate che derivano dalle nostre attività sono senza dubbio le prestazioni che noi effettuiamo. Sarà molto utile catalogarle in modo chiaro utilizzando voci 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 27 ESEMPIO DI SCHEDA PER OBIETTIVO Obiettivo Prevenzione e trattamento dell’obesità data inizio data fine 01/10/2005 30/04/2006 responsabile Dr. Slim Weight come proporlo - un articolo nelle news letter da allegare a casa al richiamo vaccinale - nota informativa nell’album delle news letter in sala d’aspetto - inserire la voce nel tariffario esposto (visita di consulto dietetico) - inserire il controllo routinario del peso ad ogni visita - segnare il peso sul grafico personale da mettere nel libretto fornire un questionario ai proprietari di animali in sovrappeso con lo scopo di informare, valutare le abitudini alimentari e stimolare l’interesse ad una successiva visita specifica come realizzarlo - prima visita con approfondimento - supporto di approfondimenti diagnostici strumentali - avere disponibili prodotti dietetici idonei - effettuare consegne a domicilio della dieta - controlli dei risultati ottenuti ogni 30 giorni quanto farlo pagare 1° visita Profilo biochimico Un sacco di mangime per la riduzione del peso totale numero di azioni tre al mese che aderiscono al programma budget disponibile 1000 brocure da inserire nelle news letter e nell’album in sala d’aspetto mailing a casa € 150 € 100 140 € X 3 volte al mese X 6 mesi =>> indotto derivato dalla vendita (altri 45 sacchi a 30 euro cad.) totale entrate € 2.520 € 1.350 € 3.870 costo dei sacchi di mangime (sconto 40% su 63 sacchi) spese mailing e realizz. Brochure costo laboratorio per analisi (€ 35 per profilo) totale uscite € € € € facciamo i conti entrate presunte uscite presunte Conti € € € € 30 80 30 140 1.134 250 630 2.014 € 1.856 saldo finale costi fissi Acquisti Margine (utile lordo) Spese di gestione affitto spese condominiali iscrizione Ordine assicurazioni inail rifiuti speciali ammortamenti aggiornamento (corsi, cong, libri..) servizi amm.tivi e contabili aggiornamento software collaborazioni utenze materiale per pulizie pubblicità/mailing cancelleria manutenzione 114.656,00 € 28.050,00 € 86.606,00 € 36.652,00 € 9.600,00 € 500,00 € 200,00 € 300,00 € 47,00 € 350,00 € 2.500,00 € 900,00 € 2.500,00 € 250,00 € 15.000,00 € 2.985,00 € 370,00 € 600,00 € 550,00 € 500,00 € totale costi fissi e semivariabili 36.652,00 € Utile operativo 49.954,00 € 2.500,00 € 47.454,00 € oneri finanziari Utile al lordo delle tasse farmaci materiale sanitario ossigeno materiale per lab analisi farmaci per dispen. pet corner totale costi variabili energia elettrica acqua gas/riscaldam telefono/internet totale incidenza obiettivi incidenza costi variabili incidenza costi fissi punto di pareggio annuo punto di pareggio die costi fissi al di (260 lav) 7.400,00 € 5.400,00 € 350,00 € 4.150,00 € 2.750,00 € 6.000,00 € 2.000,00 € 28.050,00 € obiettivi 1.856,00 € 5.000,00 € 6.800,00 € 200,00 € 13.856,00 € costi variabili totale da obiettivi totale fatturato costi semivariabili obiettivo A obiettivo B obiettivo C obiettivo D 1.120,00 € 35,00 € 950,00 € 880,00 € 2.985,00 € utenze 13.856,00 € 90.000,00 € 8.200,00 € 2.600,00 € da obiettivi programmati altri onorari dispensa farmaci Pet corner altre entrate 12,08% 24,46% 31,97% 48.522,87 € 186,63 € 140,97 € indici entrate IPOTESI DI SCHEMA COSTI E RICAVI PER UNA STRUTTURA MEDIA DI 80 MQ CON TITOLARE E COLLABORATORE 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC quanto più univoche nelle nostre ricevute comprendendo tra queste quelle presenti nel tariffario dei minimi dell’Ordine della nostra Provincia (in attesa di quello nazionale). Un maggiore dettaglio ci aiuterà a capire ad esempio quali sono le prestazioni maggiormente effettuate, quelle maggiormente redditizie, quelle sulle quali si deve programmare un incremento. Andranno considerate inoltre le entrate derivanti da un eventuale pet corner, dalla dispensazione dei farmaci e da altre possibili fonti se ci sono. La situazione ottimale sarebbe quella di poter avere tutte le entrate suddivise per tipologia con l’importo totale quantificabile ed il numero di volte in cui la singola prestazione viene effettuata. Un’analisi di questo tipo non può prescindere dall’impiego di un computer con un software appropriato. Oggi in commercio ve ne sono alcuni in grado di soddisfare le esigenze sia della parte di gestione clinica che di quella contabile ed il loro utilizzo rende assolutamente tutto più semplice e comprensibile. A questo punto per avere gli elementi utili a capire come si muovono i nostri conti manca solo di inserire i movimenti finanziari e la nostra situazione è finalmente tangibile. ATTUARE UNA STRATEGIA Sulla base dei risultati avuti nell’anno o negli anni precedenti possiamo finalmente interrogarci sui cambiamenti da apportare per migliorare la nostra situazione. Inizia allora la fase di strategia grazie alla quale, con i dati finalmente raccolti, possiamo prepararci ad organizzare le operazioni che vorremmo accadessero. Oggi dobbiamo prendere atto che la vaccinazione, come elemento “vincolante” alla regolare visita dei nostri pazienti, sta sempre più sfuggendoci di mano, anche per motivazioni scientifiche prevalenti che ne fanno uno strumento da praticare non più con quella assiduità a cui eravamo abituati. Ciononostante abbiamo mille occasioni per proporre la nostra professionalità. Si tratta solo di allargare l’orizzonte ed impegnarci in campi non ancora da tutti esplorati, ma che ogni giorno si aprono ai nostri occhi. Quali possono essere gli obiettivi che ci possiamo dare per migliorare la nostra situazione? Innanzi tutto occorre chiarire che i beni primari da perseguire sono la qualità e la durata della vita di nostri pazienti; solo così potremmo rag- 28 giungere anche gli obiettivi economici auspicati trasferendo l’immagine professionale che ci compete. Gli spunti di miglioramento ci sono attorno e sta a noi saperli vedere e sfruttare secondo le nostre attitudini, le nostre strutture e le nostre capacità. Tra le opportunità che non dovremmo trascurare vorrei ricordarne alcune: - la dispensazione del farmaco o la sua implementazione - la realizzazione del pet corner o la sua implementazione - la regolare profilassi, non solo vaccinale, ma anche antiparassitaria - l’aiuto nella scelta del cucciolo - le visite comportamentali - la dietologia - l’odontostomatologia - la prevenzione e la terapia del dolore - la geriatria - la prevenzione, il controllo e il trattamento precoce delle patologie articolari nei cani giovani - gli screening preoperatori - la prevenzione e la terapia del dolore Ognuna di queste opportunità, come tante altre ancora, richiedono preparazione con curve d’apprendimento più o meno impegnative e costose, non solo in termini economici, ma anche di tempo e risorse umane (che hanno anche loro un costo). Dobbiamo saperne valutare i vantaggi e gli svantaggi, mettendoli sulla bilancia, o meglio, sul bilancio. Il raggiungimento di alcuni obiettivi porta ad un guadagno diretto, per altri il guadagno è indiretto e legato alle vendite, per altri ancora il guadagno sta nella fidelizzazione. OBIETTIVI Perché un obiettivo sia tale deve avere alcune caratteristiche fondamentali che possono essere sintetizzate nell’acronimo EMAIL, ovvero: • Esattamente definito • Misurabile • Attivabile e basato sull’azione • Interdipendente, che consideri gli effetti sugli altri • Limitato in tempo, denaro e mezzi Da altri autori viene anche utilizzato l’acronimo “smart” per semplice, misurabile, azione, realizzabile, tempo. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Un obiettivo non potrà essere “voglio migliorare facendo tutto il possibile”, ma ad esempio “incrementare del 10% la dispensazione degli antiparassitari nei prossimi tre mesi attraverso una campagna d’informazione personale specifica”. Sulla base di queste caratteristiche possiamo quindi fissare obiettivi precisi che andremo a definire nel dettaglio in apposite schede. Proporsi degli obiettivi e raggiungerli richiede metodo, determinazione ed impegno. In questo percorso sono importanti alcuni punti che verranno annotati nello schema: descrizione semplice dell’obiettivo; responsabile del procedimento; tempi di preparazione e di attuazione; come proporlo; come realizzarlo; budget da mettere a disposizione; misurazione dell’obiettivo, controllo della realizzazione nelle fasi intermedie e alla fine con saldo economico presuntivo e consultivo. La progettazione di obiettivi, come strategia di miglioramento, ci obbliga a prevedere una serie di azioni, a volte costanti nei vari progetti. Si comprende allora quanto importanti siano le cose sentite sulla sala d’aspetto, come strumento della nostra comunicazione, o ancora l’importanza di inviare un promemoria scritto all’approssimarsi di una sca- 29 denza nel quale potremmo inserire i nostri spunti per la sensibilizzazione verso gli argomenti che ci stanno a cuore. Si capisce bene ancora come sia importante saper usare un metodo nella comunicazione, ed imparare a comprendere le aspettative di chi ci sta di fronte. Con una comunicazione corretta, un lavoro di squadra e con i dati utili possiamo fare una strategia e con la strategia possiamo andare oltre le difficoltà trasformando i problemi in opportunità. Bibliografia Lo Martire G. e G., (1990), La redditività aziendale, Buffetti editore, Roma, 90-113. Facchinetti I., Rigano L.,Svanoni P., (1993), Il controllo della gestione, Pirola ed., Milano, 25-29. Welsch G.A., (1985), I budget, Franco Angeli ed., Milano, 234-246. Ringrazio Poubanne Y e Clerfeuille F. per gli innumerevoli spunti che mi hanno dato nelle loro relazioni. Indirizzo per la corrispondenza: Roberto Bellei - E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 30 Management del paziente avvelenato o intossicato Marco Bertoli Med Vet, Roma La maggior parte dei tossici/veleni non ha antidoto specifico quindi il management del paziente ha, come priorità, la stabilizzazione dei parametri vitali (ABC). Molti tossici, inoltre, simulano malattie metaboliche quindi è necessario escludere la presenza di queste per una corretta diagnosi e trattamento. La diminuzione dell’assorbimento del tossico, la decontaminazione organica e l’eliminazione dello stesso sono i principi da seguire tenendo sempre ben presente che la priorità resta comunque il supporto delle funzioni vitali ed il controllo delle complicazioni pericolose per la vita (iper-ipotermia, iper-ipoglicemia, squilibri acido-base ed elettrolitici, aritmie cardiache…). Cosa può fare il proprietario? Diminuire ulteriormente l’assorbimento della tossina 1) Lavare il paziente con acqua e sapone proteggendo naso, occhi e bocca del paziente nel caso vi sia stata una contaminazione per via cutanea 2) Nel caso di contatto oculare lavare gli occhi con una soluzione salina isotonica ottenibile con due cucchiai da tè di sale da cucina in un litro d’acqua. Considerata l’estrema sensibilità della cornea ad insulti esterni, ritengo questa sia la decontaminazione più utile da far effettuare al proprietario 3) Se il tossico è stato inalato il paziente deve essere portato in ambiente ben ventilato 4) Indurre l’emesi, qualora non sia controindicato e se il proprietario non può raggiungere il veterinario entro 3060 minuti, con Perossido di idrogeno 3% (2 ml/kg per os) ripetibili dopo 20 minuti, non sempre è efficace. Il sale è estremamente irritante per mucosa faringea, esofagea e gastrica inoltre è possibile un’intossicazione da sale con ipersodiemia e sintomi neurologici conseguenti causati dalla disidratazione delle cellule nervose Controindicazioni all’induzione dell’emesi, sia per il veterinario che per il proprietario, sono alterazione della coscienza, convulsioni, ingestione di caustici, difficoltà respiratoria, ingestione del tossico da più di 2-4 ore (il veterinario ha la possibilità di verificare la presenza di materiale gastrico con una radiografia e giustificare l’induzione dell’emesi anche dopo questo termine). Qualora fossero state ingerite sostanze istolesive (acidi o basi forti o derivati del petrolio) è indicata la somministrazione orale di latte alla dose di 5-30 ml secondo taglia (se le sostanze non sono liposolubili) o d’albume d’uovo (1-4 albumi secondo taglia) i quali agiscono sia come adsorbenti che da diluenti. EMETICI • Apomorfina cloridrato: derivato sintetico della morfina, emetico di elezione nel cane, spesso inefficace nel gatto. 0,02-0,04 mg/kg iv o im provoca l’emesi in pochi secondi (iv) o in pochi minuti (im). Possibile anche la somministrazione per via congiuntivale (0,3 mg/kg nel sacco congiuntivale), ad emesi avve- nuta lavare abbondantemente l’occhio con soluzione salina isotonica. Gli effetti collaterali (depressione respiratoria e cardiaca e depressione del Snc) possono essere controllati con la somministrazione di Naloxone (0,01-0,04 mg/kg iv o im) • Xilazina idrocloridrato: alla dose di 1,1-2,2 mg/kg im induce vomito in 5-10 minuti nel 90% dei pazienti. La dose indicata nel gatto è di 0,44 mg/kg im o sc. Causa bradicardia, possibili blocchi a-v II grado, sedazione e depressione respiratoria. L’antagonista è la Yohimbina (0,11 mg/kg iv nel cane, 0,5 mg/kg iv nel gatto lentamente) • Sciroppo di ipecacuana: l’emetina e la cefaelina, i suoi principi attivi, agiscono mediante irritazione gastrointestinale locale e stimolazione diretta della CRTZ. 1-2,5 ml/kg nel cane, 3,3 mg/kg nel gatto per os ripetibili se il paziente non vomita entro 20-30 minuti. Possibile diluirlo 50:50 con H2O per ovviare al sapore sgradevole a cui il gatto è estremamente sensibile. L’emesi può durare per 20 minuti • Perossido di idrogeno 3% e sale da tavola già citati L’induzione dell’emesi è stata dimostrata avere più efficacia o, quanto meno, la medesima efficacia della lavanda gastrica la quale, però, è necessaria qualora vi siano controindicazioni alla stimolazione del vomito (tranne l’ingestione di caustici per i quali entrambe le metodiche devono essere evitate). Controindicazioni all’induzione dell’emesi sono: • Paziente in stato di incoscienza o di alterato stato mentale • Ingestione del tossico da più di 2-4 ore • Ingestione di sostanze istolesive • Difficoltà respiratoria LAVANDA GASTRICA-CARBONE ATTIVATO-CATARTICI SALINI Il paziente deve essere inconscio o in lieve stato di anestesia, intubato per evitare che reflussi gastro-esofagei possano andare nelle vie aeree. Il tubo orogastrico deve essere almeno dello stesso diametro del tubo endotracheale ed essere misurato dall’estremità del naso fino alla cartilagine xifoidea o fino all’ultima costa. Introdurre acqua tiepida (40o-45o C) in quantità di 5-10 ml/kg facendo refluire passivamente il liquido di lavaggio o aspirandolo con una siringa da 50-60 ml. Eseguire 10-15 lavaggi o fino a quando il liquido diventa pulito e chiaro. La complicazione principale di questa metodica è la polmonite ab ingestis, soprattutto se il paziente non è stato intubato o se il tubo endotracheale non è stato cuffiato adeguatamente. Terminata la lavanda gastrica attraverso la stessa sonda può essere somministrato Carbone attivato (1 g/5-10 ml H2O) alla dose di 2-8 g/kg da ripetere, poi, 3-4 volte al giorno per diversi giorni a seguire (esistono anche compresse ma sono del 25% meno efficaci rispetto la polvere). Somministrato ripetutamente interrompe il riciclo enteroepatico della maggior parte dei tossici. Da ricordare che il car- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC bone attivato si lega allo sciroppo di ipecacuana rendendolo inattivo così come lo sciroppo stesso rende inattivo il carbone. Poiché, dopo che le particelle di carbone ed i composti legati ad esse raggiungono un equilibrio, le sostanze tossiche ricominciano ad essere liberate, per accelerare l’eliminazione del carbone e della tossina legata ad esso si raccomanda l’uso di Catartici salini i quali favoriscono l’evacuazione tramite aumento della fluidità del contenuto intestinale (lassativo osmotico) e aumento della peristalsi. Il solfato di sodio è il catartico salino più utilizzato alla dose di 250-500 mg/kg nel cane e 200 mg/kg nel gatto in 5-10 ml/kg d’H2O somministrato per via orale o tramite sonda orogastrica. Altri catartici sono solfato e citrato di magnesio. Catartico non salino è il Sorbitolo al 70%. (4 g/kg o 1-2 ml/kg per os). L’utilizzo di olio di paraffina diminuisce l’efficacia del carbone attivato. Controindicati in caso di ingestione di sostanze corrosive, ostruzione intestinale, atonia gastrica e/o intestinale, perforazione intestinale, ipotensione, disidratazione e squilibri elettrolitici. La maggior causa di mortalità nei pazienti intossicati o avvelenati sono le complicazioni respiratorie (insufficienza ventilatoria, ipossiemia, broncospasmo). L’insufficienza ventilatoria può avvenire a causa di una insufficiente funzionalità dei muscoli respiratori o per eccessiva depressione del Snc. L’I.v. causa ipossiemia la quale può esitare in danno cerebrale, aritmie ed arresto cardiaco. L’ipercapnia, sempre conseguente all’i.v., induce acidosi la quale può provocare aritmie cardiache che non rispondono agli agenti antiaritmici. Il monitoraggio emogasanalitico e pulsossimetrico permette la corretta valutazione dei gas disciolti nel sangue e la saturazione di Hb. Nel caso non fossero disponibili tali strumenti è consigliata comunque una supplementazione di O2 attraverso le vie di somministrazione più comuni. La PaO2 deve essere mantenuta tra 92-100 mmHg, la PaCO2 tra 30-38 mmHg mentre la SaO2>95%. La pressione sistolica deve essere mantenuta >80 mmHg. Se non è possibile la misurazione con la metodologia oscillometrica o con un doppler si possono utilizzare tali parametri i quali, però, sono puramente indicativi: • Polso femorale facilmente palpabile, polso metatarsale debole o assente Psist=60-80 mmHg • Polso femorale debole o assente Psist<60 mmHg Monitorare sempre la produzione di urina cateterizzando il paziente poiché, con Psist.<60 mmHg, c’è rischio di Arf. La produzione di urina normale è pari ad 1-2 ml/kg/hr nel cane e 0,5 ml/kg/hr nel gatto Valutare sempre colore delle mucose e tempo di riempimento capillare: • Mucose pallide o bianche: anemia (avvelenamento da rodenticidi antivitamina k e/o vasocostrizione periferica da shock). Valutare Pcv-Ts per differenziare le due possibilità diagnostiche. Pcv e Ts diminuiti sono indice di emorragia acuta. • Mucose blu (cianotiche): indicano grave ipossiemia (Hb<5 g/dl). Non tutti i pazienti ipossiemici sono anche cianotici causa un possibile stato di shock o grave anemia. • Mucose marroni: possono indicare metaemoglobinemia (avvelenamento da acetaminofene, vit k1, blu di metilene, cipolla, inalazione di fumo sono i più frequenti) • Mucose congeste: vasodilatazione periferica causata da uno stato di shock in stadio compensato o da una tossina o citochina rilasciata in risposta ad infezione o infiammazione. 31 Molti pazienti intossicati sono ipotermici e, spesso, non rispondono adeguatamente alla fluidoterapia routinaria fino a quando non saranno riscaldati con rischio di iperidratazione ed edema polmonare iatrogeno (i gatti sono più a rischio dei cani). I soggetti ipotermici possono essere riscaldati con somministrazione di fluidi tiepidi (40o-45oC), riscaldando l’ambiente esterno o somministrando fluidi tiepidi in cavità peritoneale. Pericoloso utilizzare tappetini riscaldati o bottiglie/guanti caldi a contatto diretto col paziente poiché questi possono causare vasodilatazione della vascolarizzazione cutanea peggiorando l’ipotensione. Minimo Data Base 1) Hct-Ts per valutare eventuale anemia e grado di disidratazione. 2) Elettroliti (Sodio, Potassio, Calcio ionico) - L’iper e l’iposodiemia possono essere causa di sintomi neurologici causati da disidratazione e rigonfiamento delle cellule nervose rispettivamente. L’iper e l’ipokalemia sono responsabili di alterazioni elettrocardiografiche. Iperkalemia: diminuzione dell’ampiezza dell’onda P, incremento della lunghezza del tratto P-R, onda T appuntita, silenzio atriale e bradicardia. Ipokalemia: inversione e appiattimento dell’onda T, bradicardia sinusale, depressione del tratto S-T, blocchi A-V di I e II grado e flutter atriale. L’ipocalcemia grave causa tremori e convulsioni. 3) Glicemia - L’iperglicemia protratta causa depressione e coma determinati da disidratazione delle cellule nervose. La glicemia deve essere diminuita lentamente (100-150 mg/dl/hr) per evitare che le molecole osmoticamente attive prodotte dal cervello come protezione (veloci nella sintesi ma lente nel catabolismo) non siano esse stesse causa di edema cerebrale. L’ipoglicemia (Glicemia<60 mg/dl) va corretta con bolo di Glucosio 50% (0,25-1 ml/kg diluito 1:1 con soluzione isotonica salina). 4) Elettrocardiogramma. 5) Profilo renale ed analisi delle urine. 6) Profilo coagulativo se sospetta coagulopatia. 7) Emogasanalisi se disponibile. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Gfeller R.W., Messonnier S.W. (2003), Handbook of Small Animal Toxicology & Poisonings, II edizione, Mosby, St. Louis. Hudelson S., Hudelson P. (1997), Pathophisiology of Snake Envenomization and Evaluation of Treatments Parts I-IV. In Emergency Medicine in Small Animal Practice, the Compendium Collection, Veterinary Learning Systems, Trenton, New Jersey, 167-190. Kirby R., Krowe D.T. (1998), Clinica veterinaria del Nord America, Medicina d’Urgenza, vol.9, IV edizione, Delfino editore, RomaMilano, 805-821. Porciello F. (2003), Elettrocardiografia nel cane, nel gatto e nel cavallo, Poletto editore, Milano. Plunkett. S.J. (2000), Emergency Procedure, II ed., Saunders, Edinburgo. Veterinary Emergency and Critical Care Society, CD-rom library 1991-1998. Wingfield W.E. (1997), Veterinary Emergency Medicine Secrets, Hanley & Belfus, Philadelphia, 115-119, 355-360, 375-378. Indirizzo per la Corrispondenza: Marco Bertoli - Ospedale Veterinario Gregorio VII P.zza Carpegna 52 - Tel. 06660681 (Roma) E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 32 Come gestire gli avvelenamenti “atipici” Marco Bertoli Med Vet, Roma La relazione verte sulla presentazione di una casistica clinica su avvelenamenti ed intossicazioni tra i più comuni ed i meno frequenti con i quali l’autore si è confrontato negli ultimi sei anni di lavoro in pronto soccorso ospedaliero. AVVELENAMENTO DA METALDEIDE E STRICNINA La motivazione con cui questi due tossici sono stati affrontati insieme è che la sintomatologia è simile quindi è bene aver ben presente le differenze sostanziali e più importanti tra i due tossici per una corretta diagnosi e trattamento specifico. La metaldeide viene comunemente utilizzata come componente principale per i molluschicidi, a livello di Snc riduce la concentrazione del Gaba (neurotrasmettitore inibitorio), di noradrenalina e serotonina mentre aumenta la concentrazione delle monoamino-ossidasi (Mao) provocando abbassamento della soglia di eccitabilità delle cellule nervose. Agisce in 2-3 ore circa. La stricnina, utilizzata come pesticida o come esca per le volpi, ha un assorbimento molto rapido per via gastroenterica e mucosale (20-30 minuti) ed agisce antagonizzando competitivamente e reversibilmente la glicina, neurotrasmettitore inibitorio localizzato nel cervello e nella corda spinale. Entrambi i tossici agiscono provocando sintomatologia neurologica molto violenta. Provocano entrambi spasmi muscolari, contrazioni tonicocloniche, fascicolazioni, convulsioni, ipersalivazione, midriasi, tachicardia, tachipnea ed ipertermia che risulta di maggior entità per la metaldeide. La stricnina, come detto, agisce più velocemente, ed ha predilezione per spasmi della muscolatura estensoria e, raramente, a differenza della metaldeide, induce vomito, ed il paziente mostra aggravamento della sintomatologia quando stimolato da agenti visivi, uditivi e tattili esterni. La metaldeide induce, invece, una ipereattività ai soli stimoli tattili. Elementi caratterizzanti la metaldeide sono la diarrea di tipico colore verdastro, il vomito dal caratteristico odore di acetaldeide, la grave ipertermia (42o-43o C) e l’acidosi metabolica più grave di quella indotta dalla stricnina poiché, oltre all’acido lattico prodotto a causa delle contrazioni muscolari, viene prodotta acetaldeide. La terapia farmacologica è sovrapponibile (diazepam, midazolam, tiobarbiturici) considerando la possibilità che la metaldeide può essere trattata anche con acepromazina la quale, in questo caso, non abbassa la soglia convulsivante come accade normalmente. Spesso la somministrazione di diazepam a dosaggio di 0,5-1 mg/kg per via rettale è la via di somministrazione più semplice nella fase acuta data la difficoltà a creare una via d’accesso venoso durante le convulsioni. MORSO DI VIPERA Generalmente il veleno contiene ialuronidasi (permette al veleno di diffondere e penetrare nei tessuti) ed un enzima, la chininogenasi, che attiva la bradichinina, potente vasodilatatore e stimolante la produzione di fosfolipasi A che dà il via alla cascata dell’acido arachidonico con conseguente infiammazione sistemica, vasodilatazione e grave ipotensione. Il veleno danneggia la lamina basale ed il collagene dei capillari sanguigni determinando clinicamente edema e petecchie. Può causare, inoltre, aggregazione piastrinica e sintomi clinici riferibili a DIC. La prognosi è peggiore se il paziente viene morsicato in addome o torace rispetto alla testa, la faccia o il naso causa la grave ipotensione per accumulo di liquidi nel distretto epatosplancnico nel cane e nei polmoni nel gatto. L’ecchimosi e la forte dolorabilità nel sito del morso si evidenziano dopo 30-60 minuti. Nella maggior parte dei pazienti avvelenati compaiono nel sangue periferico entro 24 ore dal morso, gli Echinociti che scompaiono entro 48-72 ore. Trattamento: il paziente deve essere mantenuto il più fermo possibile poiché l’attività muscolare determina una più rapida propagazione del veleno in circolo. Terapia fluida antishock se necessario (la grave ipotensione è la causa di morte più frequente). Monitorare i parametri della coagulazione e trattare l’eventuale DIC. Gli antistaminici possono essere utili per calmare il paziente e prevenire reazioni allergiche al siero. L’utilizzo di corticosteroidi è controverso poiché, se da una parte è provata la loro azione di blocco della liberazione della fosfolipasi A, dall’altra essi possono causare danni sistemici in pazienti fortemente ipotesi aumentandone la mortalità. Monitorare strettamente la produzione di urina data la capacità del veleno di provocare mio- ed emoglobinuria. La somministrazione di siero immune ha la massima funzionalità se somministrata entro 4 ore dal morso, decresce se somministrata tra le 4-8 ore, può essere inutile se data dopo le 12 ore. Somministrare il siero lentamente monitorando eventuali reazioni allergiche (un eritema sulla pinna auricolare sembra essere il primo segno di reattività alla somministrazione). INTOSSICAZIONE DA SALE Trattandosi di una delle sostanze più utilizzate dai proprietari per indurre l’emesi è possibile che una sovradose possa provocare sintomatologia riferibile ad ipersodiemia. Nella mia esperienza clinica solo una volta tale intossicazione è stata determinata dall’alimentazione, un gattino di 2 etti alimentato per 7 giorni con solo prosciutto crudo salato. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Come detto i sintomi sono quelli di ipersodiemia la quale determina uno spostamento di fluidi dallo spazio intra a quello extracellulare ed uno spostamento di sodio dallo spazio extra a quello intracellulare (processo più lento del primo). Tale processo è responsabile di disidratazione cellulare che ha effetti devastanti a livello cerebrale (emorragie subaracnoidee e subcorticali ed ematomi subdurali). Come meccanismo di difesa alla disidratazione cellulare il sistema nervoso ha la capacità di produrre soluti intracellulari non diffusibili detti “osmoli idiogenici” i quali aumentano l’osmolalità intracellulare e minimizzano ulteriori perdite d’acqua intracellulare. Tale processo inizia molto rapidamente anche se il raggiungimento dell’equilibrio osmotico necessita di diversi giorni. Trattamento: la natriemia deve essere riportata a valori nella norma lentamente (0,5-1 mEq/hr) per evitare che gli osmoli idiogenici, veloci nella produzione ma lenti nell’eliminazione, provochino edema delle cellule nervose. A tal fine possono essere utilizzate soluzioni povere in sodio come NaCl 0,45% o glucosio 5% in H2O da infondere con una velocità ottenibile stimando il deficit di fluidi in base alla sodiemia. ml da infondere nelle prime 20-30 ore: 4(ml) x kg p.v. x mEq al di sopra della norma Spesso i pazienti ipernatriemici hanno acidosi metabolica ma l’utilizzo di Sodio Bicarbonato è, ovviamente, controindicato salvo per pH ematico < 7,05. INTOSSICAZIONE DA HASHISH-MARIJUANA (cannabis sativa) La marijuana è la pianta, l’hashish è la resina ricavata disidratando e comprimendo la pianta stessa. La dose letale, quando ingerito, è di 2 g/kg. Il componente attivo è un alcaloide, il THC (tetraidrocannabinolo) il quale, dopo ingestione, raggiunge il circolo in percentuale variabile tra il 6-20% e viene detossificato dal fegato. Viene assorbito molto rapidamente, ha potente azione antiemetica, provoca inizialmente stato di euforia seguito da profonda depressione e sonnolenza. Possibili atassia, scialorrea, tachi-bradicardia, midriasi, mucose congiuntivali congeste, tremori, depressione respiratoria. Il THC è reperibile nelle urine. La sintomatologia può durare 24-72 ore e non c’è antidoto. Il trattamento è sintomatico. E (spesso inefficace), LG, CA, CS. Nella casistica dell’autore l’ingestione di Hashish è estremamente frequente rispetto a quella di Marijuana. INTOSSICAZIONE DA TEOBROMINA (Cioccolato) Alcaloide vegetale, è tossica per dosi tra 100-500 mg/kg nel cane (il cioccolato al latte contiene circa 150 mg per 100 g di prodotto, il cioccolato fondente contiene una quantità di teobromina di circa il triplo). Inibisce le fosfodiesterasi determinando aumento di cAMP e rilascio di catecoloamine. La sintomatologia compare dopo 2-4 ore e la morte è possibile in 6-24 ore: lieve aumento della pressione ematica, ipereccitabilità, scialorrea, nervosismo, convulsioni. Possibile incontinenza urinaria. Il trattamento è sintomatico, non c’è antidoto. E, LG (non usare acqua fredda poiché rende più “appiccicosa” la consistenza del cioccolato nello stomaco), CA, CS. Monitoraggio: ECG, pressione sanguigna. 33 NARCOTICI (OPPIOIDI) sovradosaggio Atassia, forte depressione intervallata da momenti di eccitazione (nel gatto solitamente prevale l’ipereccitazione). Successivamente delirio, convulsioni, miosi (nel gatto midriasi), coma, depressione respiratoria (la più frequente causa di morte) e grave ipotensione. Il naloxone (Narcan) è l’antidoto (0,02-0,04 mg/kg ivim nel cane, 0,05-1 mg/kg iv-im nel gatto). L’effetto del naloxone compare dopo 2-3 min per via endovenosa e 15 min per via intramuscolare. Da tenere ben presente che l’emivita dei narcotici è superiore a quella dell’antagonista il cui effetto scompare dopo circa 45 min. quindi devono essere ripetute le somministrazioni fino alla fine dell’effetto dell’oppioide utilizzato. Le convulsioni provocate dalla sovradose di meperidina (Petidina) possono essere refrattarie alla somministrazione di naloxone quindi può essere necessaria la somministrazione di benzodiazepine o tiobarbiturici Piante tossiche più comuni Azalea (Rhododendron): l’intera pianta è tossica. La tossina aumenta la permeabilità di membrana al sodio favorendo l’entrata dell’elettrolita nella cellula. A livello miocardico mima l’effetto di intossicazione da digitale. Sintomi (a circa 6 ore dall’ingestione): scialorrea, nausea, vomito. Epifora, bradicardia, collasso cardiocircolatorio, debolezza, stupore, coma, convulsioni, morte. Trattamento: fluidoterapia a sostegno pressorio, atropina se necessario. E, LG, CA, CS. Monitoraggio: elettroliti, ecg, pressione sanguigna. Cactus (Lophophora): l’intera pianta è tossica. Sintomi: allucinazioni, ansietà, tremori, delirio, euforia e depressione. Vomito, diarrea, crampi addominali. Trattamento: E, LA, CA, CS. Sintomatico. Cycas (Cycas revoluta): I semi causano intossicazione nel cane ma sembrano essere tossiche anche altre parti della pianta. Sintomi (a 12 ore dall’ingestione): anoressia, vomito, dolore addominale. Epatotossicità (ittero, ascite, cirrosi). Coagulopatia (trombocitopenia, aumento di Pt, aPtt, ACT) che può causare epistassi, emottisi, melena, ematochezia ed emartrosi. Laboratorio: aumento di bilirubina ed enzimi epatici. Ipoproteinemia, iponatremia, ipocalcemia, ipokalemia, azotemia ed alcalosi metabolica. La prognosi è, spesso, sfavorevole. Trattamento: di supporto e sintomatico. E, LG, CA, CS. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Digitale (Digitalis perpurea): l’intera pianta e l’acqua del vaso sono tossici. Sintomi: dolore addominale, scialorrea, nausea, vomito ed irritazione locale delle membrane mucose. Polso lento e duro (fase iniziale), veloce e duro (stadio avanzato). Ipotensione, atassia, collasso e morte (sintomi legati alle alterazioni elettrocardiografiche). Possibile midriasi. Possibile ipocalcemia, iperkalemia ed ipoglicemia. Trattamento: possono essere utilizzati frammenti anticorpali specifici antidigitale (Digibin Glaxo), utilizzati anche per l’intossicazione da Oleandro, somministrati alla dose di 60 mg/kg iv (ripetibili se necessario) fino alla conversione a ritmo sinusale. E, LG, CA, CS. Monitoraggio: elettroliti (in particolare potassio), glicemia, ecg, pressione sanguigna. Dieffenbachia (Dieffenbachia maculata, sanguine…): l’intera pianta è tossica. Sintomi: dolorabilità buccale immediata al contatto con la pianta. Scialorrea, cambio di voce. Rigonfiamento della bocca (raramente causa ostruzione delle vie aeree). Nausea, vomito, diarrea. Molto rare aritmie, midriasi, coma e morte. Trattamento: risciacquare la bocca con acqua o latte (il calcio presente nel latte può far precipitare gli ossalati solubili). Antistaminici. Monitoraggio: elettroliti e pressione sanguigna. Lilium (Lilium spp.): l’intera pianta è tossica soprattutto per il gatto. Sintomi aspecifici. Può provocare Arf anurica in 24-48 ore. Trattamento: E, LG, CA, CS. Fluidoterapia per mantenere una buona perfusione renale. In caso di Arf la mortalità è molto alta. 34 Oleandro (Nerium spp.): l’intera pianta è tossica. Vedi intossicazione da Digitale. Ortica (Urtica spp.): tossici i peli pungenti sulla pianta. Sintomi: scialorrea, bruciore buccale e nasale, debolezza muscolare e tremori. Possibile paresi posteriore o paralisi, rara la morte. Trattamento: l’atropina è l’antidoto. Non certa l’efficacia di antistaminici. Terapia del dolore e, se necessaria, blanda sedazione se il dolore buccale è molto intenso. Risciacquare la cavità orale. Stella di Natale (Euphorbia spp.): tossici le foglie, lo stelo e la linfa. Sintomi: grave irritazione di orofaringe ed esofago. Tosse, soffocamento, tentativi di grattarsi la bocca con le zampe. Possibili vomito, diarrea, crampi intestinali. Trattamento: E, LG, CA, CS. Legenda: E= induzione emesi; LG= lavanda gastrica; CA= carbone attivato; CS= catartici salini. Bibliografia 1. Gfeller R.W., Messonnier S.W. (2003), Handbook of Small Animal Toxicology & Poisonings, II edizione, Mosby, St. Louis. 2. Hudelson S., Hudelson P. (1997), Pathophisiology of Snake Envenomization and Evalutation of Treatments Parts I-IV. In Emergency Medicine in Small Animal Practice, the Compendium Collection, Veterinary Learning Systems, Trenton, New Jersey, 167-190. 3. Kirby R., Krowe D.T. (1998), Clinica veterinaria del Nord America, Medicina d’Urgenza, vol.9, IV edizione, Delfino editore, Roma-Milano, 805-821. 4. Porciello F. (2003), Elettrocardiografia nel cane, nel gatto e nel cavallo, Poletto editore, Milano. 5. Plunkett. S.J. (2000), Emergency Procedure, II ed., Saunders, Edinburgo. 6. Veterinary Emergency and Critical Care Society, CD-rom library 1991-1998. 7. Wingfield W.E. (1997), Veterinary Emergency Medicine Secrets, Hanley & Belfus, Philadelphia, 115-119, 355-360, 375-378. Indirizzo per la corrispondenza: Marco Bertoli Ospedale Veterinario Gregorio VII - P.zza Carpegna 52 (Roma) Tel. 06660681 - E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 35 Colorazioni speciali in citologia diagnostica Giuliano Bettini Med Vet, Bologna Stefano Ghiotto, Maria Morini, Flavia Merendi, Med Vet, Bologna Nella diagnostica citopatologica veterinaria la maggior parte delle situazioni è risolta con l’osservazione di strisci colorati con colorazioni ematologiche quali il May GrünwaldGiemsa (MGG) o altre colorazioni rapide. In alcuni casi, tuttavia, permangono dubbi riguardo la natura di materiali, granulazioni, vacuoli colorati in modo non sufficientemente specifico con i metodi di routine. Nella diagnostica istologica queste situazioni di incertezza, che si presentano con la stessa frequenza che nella citologia, vengono quotidianamente affrontate affiancando alla colorazione di routine ematossilina eosina altre colorazioni, dette “speciali” e “istochimiche”. La caratteristica fondamentale di queste colorazioni è quella di essere in grado di identificare specifiche sostanze o componenti tessutali mediante reazioni chimiche o fisiche, talvolta ben documentate, altre volte solo empiricamente osservate. Poiché gli stessi metodi possono essere facilmente applicati con buoni risultati anche ai preparati citologici, scopo di questa relazione è passare sinteticamente in rassegna le principali colorazioni speciali realizzabili in citologia, ricordando le sostanze che possono essere svelate e le principali patologie in cui tali metodi possono essere indicati. Realizzare colorazioni speciali è difficile? L’attività di un laboratorio di istochimica evoca scaffali colmi di flaconi di polveri e reagenti dal nome impronunciabile e di tecnici impiegati nell’allestimento di complicate soluzioni chimiche e nella realizzazione di lunghi protocolli di colorazione. In realtà la maggior parte delle colorazioni che verranno presentate richiede un numero limitato di reagenti ed ha tempi di realizzazione piuttosto brevi. La situazione negli ultimi anni è stata ulteriormente semplificata dall’immissione in commercio da parte delle principali ditte produttrici di reagenti per istologia di appositi kit per la realizzazione di colorazioni speciali, in cui le soluzioni coloranti sono prediluite e pressoché pronte all’uso. Nella maggior parte dei casi questi kit di colorazioni speciali possono essere utilizzati con successo anche per la colorazione di preparati citologici e l’attrezzatura necessaria è limitata ad una dotazione essenziale di vetreria da laboratorio. Il limite principale all’uso delle colorazioni speciali in citologia non è quindi relativo a difficoltà tecniche né ai costi, ma alla necessità, al momento dell’allestimento dei preparati, di mantenere qualche striscio non colorato per eventuali successivi approfondimenti. Le colorazioni speciali sono generalmente classificate in base alla natura chimico-fisica delle sostanze che si intendono svelare. Glucidi. Una delle colorazioni speciali più utilizzate è il metodo PAS, la cui sigla sta per Periodic Acid Shiff. La peculiarità del metodo risiede nella capacità del reattivo di Schiff di evidenziare nei tessuti i gruppi aldeidici, conferendovi un intenso colore rosso magenta. Le aldeidi sono normalmente presenti nei tessuti solo nelle fibre elastiche, ma il pretrattamento con acido periodico determina la trasformazione in aldeidi dei carboidrati presenti, rendendoli così evidenti se presenti in quantità sufficiente. Il metodo può essere pertanto impiegato per dimostrare la presenza di diversi tipi di macromolecole glucidiche non diffusibili, quali glicogeno, mucopolisaccaridi e glicoproteine. La colorazione PAS per esempio può trovare utile applicazione nel dimostrare l’accumulo intracellulare di glicogeno in agoaspirati dal fegato di cani con epatopatia steroidea ed in cui la citologia evidenzia una degenerazione vacuolare di incerta differenziazione rispetto alla lipidosi o altre patologie vacuolari, oppure per evidenziare i mucopolisaccaridi neutri presenti in vacuoli otticamente vuoti nelle cellule mucipare, ma anche nelle cellule di carcinomi mucosi e delle ghiandole salivari. Il metodo PAS è anche il sistema più semplice per evidenziare selettivamente i più comuni miceti patogeni (Criptococcus, Microsporum, Trichopyton, Aspergillus, ecc) grazie alla componente glucidica presente nel rivestimento chitinoso della loro parete. Altre molecole PAS positive, ma meno indagabili con la citologia, sono le glicoproteine della sostanza fondamentale dell’osso e della cartilagine, delle membrane basali, delle cellule mucipare nell’apparato respiratorio e della sostanza colloide della tiroide. Altre colorazioni per i glucidi sono più selettive. Per esempio il metodo al mucicarminio secondo Mayer colora solo i mucopolisaccaridi neutri di origine epiteliale (mucine), e pertanto può essere utile per la differenziazione dei carcinomi mucosi dai mixosarcomi. Il principio istochimico del metodo è sconosciuto, ma è molto specifico anche per la colorazione della parete dei criptococchi. I mucopolisaccaridi acidi (o proteoglicani acidi), come acido ialuronico, condroitin-4-solfato, condroitin-6-solfato, dermatansolfato, keratansolfato ed eparina, che sono PAS negativi per la presenza di gruppi –SO3H che bloccano i gruppi glicolici reattivi, possono essere evidenziati con la colorazione Alcian blu, che sfrutta la proprietà della soluzione di legarsi ai polianioni dei mucopolisaccaridi. Variando il pH a cui avviene la reazione è inoltre possibile differenziare le mucine fortemente solforate da quelle debolmente solforate: a pH 2,5 si colorano tutte le mucine acide, a pH 1 solo quelle fortemente solforate. Anche il blu di toluidina colora con il fenome- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC no della metacromasia (rosso porpora) i mucopolisaccaridi acidi fortemente solforati, ma la colorazione è nota soprattutto per l’intensità con cui reagisce all’eparina contenuta nei granuli dei mastociti; il metodo può essere utilizzato nei mastocitomi poco differenziati per evidenziare maggiormente i granuli rispetto al MGG. Proteine. In istopatologia si utilizzano diversi metodi per evidenziare e differenziare fibre reticolari, collagene mature, muscolari, ed elastiche. La loro applicazione in citologia è limitata, perché queste sostanze sono difficilmente presenti nei preparati citologici, ma realizzabile. Per esempio la colorazione tricromica di Masson può essere usata per verificare che brandelli di materiale fibrillare provenienti da tessuti sede di un processo sclerotico colorati in azzurro intenso ma in rosa pallido col MGG sono fibre collagene. La colorazione Rosso Congo per la sostanza amiloide è empirica, pertanto non è noto se il colorante si lega alla componente proteica o glucidica dell’amiloide. L’applicazione citologica del metodo trova indicazione soprattutto negli agospirati da fegati con amiloidosi che, negli strisci colorati con MGG, mostrano fra gli epatociti ammassi di materiale amorfo colorato in blu, simile a zolle di materiale necrotico, ma che col Rosso Congo si colora in rosso e presenta una caratteristica ed intensa birifrangenza verde se osservato in luce polarizzata. Lipidi. In istologia la colorazione dei lipidi è ostacolata dalla solubilità di queste sostanze nei solventi, per cui nelle sezioni istologiche normalmente allestite i lipidi non sono più presenti; la loro dimostrazione istochimica è possibile solo se le sezioni sono state allestite al criostato, evitando l’inclusione in paraffina. In citologia, invece, la problematica non sussiste. Le applicazioni più interessanti riguardano la dimostrazione della natura lipidica di vacuolizzazioni intracitoplasmatiche, come nella lipidosi (steatosi) epatica e nei liposarcomi. Le colorazioni utilizzabili (Oil-Red-O, Sudan nero, Sudan IV) agiscono con un meccanismo fisico e non chimico, in quanto, essendo sostanze liposolubili, semplicemente si miscelano ai lipidi con cui entrano in contatto, colorandoli. Acidi nucleici. Oltre alla colorazione di Feulgen, che colora in rosso magenta il DNA e che può essere utilizzata per valutare in situ la ploidia delle cellule tumorali, è possibile ricordare il verde metil-pironina. Si tratta di una miscela di due coloranti che colorano sia il DNA che l’RNA; regolando opportunamente il pH (4,5-4,8) il verde metile colora solo il DNA e la pironina colora in rosa l’RNA. La 36 metodica evidenzia molto bene le plasmacellule per il loro elevato contenuto citoplasmatico di RNA. Ioni, minerali e pigmenti. Il riscontro di granulazioni grossolane colorate in blu-verdastro o bruno nel citoplasma di macrofagi o altre cellule può esprimere un contenuto in emosiderina. Se vi sono dubbi è possibile applicare la semplice colorazione di Perls che sfrutta la caratteristica del ferrocianuro di potassio di reagire con gli ioni ferrici dell’emosiderina formando il sale colorato Blu di Prussia. Il metodo alla rodanina permette invece di colorare in rosso brillante i depositi di rame, il che può risultare molto indicato nella stadiazione di alcune patologie epatiche. I precipitati di calcio possono essere colorati con il metodo Von Kossa, che opera una sostituzione dei sali di calcio con nitrato d’argento, colorandoli in nero, oppure con Alizarina S, che forma con i sali di calcio un complesso a colorazione rosso-arancio. Fra i pigmenti, la melanina presente in quantità minimale può essere meglio visualizzata con la colorazione di Masson-Fontana che, tramite una impregnazione argentica, permette di riconoscere con maggiore facilità i melanomi scarsamente pigmentati. Batteri e miceti. Oltre alla già citata possibilità di utilizzare il metodo PAS, i miceti possono essere evidenziati anche con le colorazioni di Grocott e di Gridley, che ugualmente producono l’evidenziazione del rivestimento chitinoso. La colorazione di Gram utilizzata in microbiologia permette la differenziazione fra germi Gram positivi e negativi, ma non conserva una morfologia cellulare soddisfacente; esistono tuttavia adattamenti della stessa più rispettosi della citomorfologia che possono essere applicati anche ai preparati citologici. I germi alcool-acido resistenti quali i micobatteri, che nel gatto possono essere causa di lesioni granulomatose similtumorali, possono essere infine molto ben evidenziati con la colorazione Ziehl-Neelsen, soprattutto nella variante secondo Fite, in cui i micobatteri colorati in rosso ben risaltano sullo sfondo azzurro. Indirizzo per la corrispondenza: Giuliano Bettini Servizio di Anatomia Patologica Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale Facoltà di Medicina Veterinaria Alma Mater Studiorum Università di Bologna Via Tolara di Sopra 50, 40064 Ozzano Emilia (Bologna) Tel. 051 2097969 - Fax 051 2097967 E-mail:[email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 37 Insufficienza Renale Cronica (IRC) nel gatto Claudio Brovida Med Vet, Torino L’insufficienza renale cronica (IRC) è una patologia di comune riscontro nei gatti di età adulta od avanzata; in caso di malattie ereditarie, congenite od infettive, l’IRC può anche manifestarsi precocemente. Si definisce insufficienza renale l’evoluzione della malattia renale verso uno stadio di scompenso, associata ad una progressiva riduzione di tessuto renale funzionante, uguale o inferiore al 25% e corrispondente ad un danno strutturale e funzionale, ormai consolidato, di 3/4 del parenchima dei due reni. La sintomatologia può variare in relazione alla gravità o stadio della malattia1 (Tab. 1) e comprende: dimagramento e perdita di peso, diminuzione o mancanza di appetito (anoressia), pelo opaco, poliuria – polidipsia (PU/PD), depressione, letargia, vomito, alitosi, disfagia associata a lesioni del cavo orale; l’esame obiettivo può inoltre evidenziare anemia, alterazione delle dimensioni renali, variazioni dell’aspetto dei vasi sanguigni del fondo dell’occhio, tachicardia2. Ulteriori indagini strumentali possono evidenziare ipertensione, alterazione della conformazione strutturale dei reni. L’IRC felina può essere determinata da fattori congeniti o familiari, come l’amiloidosi nella razza Abissina e nei gatti orientali a pelo corto, oppure il rene policistico (PKD) nei gatti Persiani o Himalaiani; può essere provocata da cause acquisite infettive batteriche o virali, da forme immunomediate (glomerulopatie); da neoplasie (linfoma), da ipercalcemia, o per danni provocati da traumi o di natura iatrogena (procedure invasive scorrette o farmaci nefrotossici). Esami di laboratorio L’esame delle urine dovrebbe essere il punto di partenza nella valutazione di pazienti in cui si sospetta danno renale; importanti informazioni vengono dalla valutazione del peso specifico, che è il primo valore che si altera con la progressione del danno renale, per la diminuita capacità di concentrare le urine; la proteinuria glomerulare è un altro elemento molto utile di valutazione (rapporto proteine/creatinina urinarie - P/CU - elevato) in particolare quando è associata ad un basso peso specifico3. Gli esami ematologici normalmente evidenziano anemia, aumento dell’urea, creatinina, fosforo, calcio, diminuzione delle proteine totali, albumina, potassio4, bicarbonato (acidosi metabolica). Qualora fosse possibile misurare il GFR (ioexolo, creatinina esogena, creatinina endogena, Tc-99m-DTPA)5, 6 si avrebbero indicazioni ancora più precise sulle residue capacità renali. Progressione dell’IRC I nefroni residui sono sottoposti a superlavoro e vanno incontro ad ipertrofia compensatoria (meganefroni) associata ad un aumento del flusso ematico renale che col tempo determina aumento della pressione glomerulare, sclerosi glomerulare e, spesso, ipertensione sistemica7. I tubuli renali distali col tempo perdono capacità di eliminare con le urine il fosfo- Tabella 1 Classificazione IRIS (International Renal Interest Society) dell’insufficienza renale felina Stadio I (Non insufficiente) Malattia renale identificabile Creatinina <140 micromol/l (<1.6 mg/dl) Proteinuria: Classificare (P/NP/BP)* Ipertensione: Classificare (Hc/Hnc/NH/BH/HND)** Stadio II (Lievemente insufficiente) Malattie renale identificabile Creatinina 140 – 250 micromol/l (1.6 – 2.8 mg/dl) Proteinuria: Classificare (P/NP/BP)* Ipertensione: Classificare (Hc/Hnc/NH/BH/HND)** Stadio III (Moderatamente insufficiente) Creatinina 251 – 440 micromol/l (2.9 – 5.0 mg/dl) Proteinuria: Classificare (P/NP/BP)* Ipertensione: Classificare (Hc/Hnc/NH/BH/HND)** Stadio IV (Gravemente insufficiente) Creatinina >440 micromol/l (>5.0 mg/dl) Proteinuria: Classificare (P/NP/BP)* Ipertensione: Classificare (Hc/Hnc/NH/BH/HND)** *P = proteinurico (P/CU>1); NP = non proteinurico (P/CU<0.5); BP = proteinurico borderline (P/CU=0.5-1); **Hc = Iperteso con complicazioni (Pressione Sistolica >180 mm/Hg); Hnc = iperteso senza complicazioni; (PS>180 mm/Hg); NH = non iperteso (PS<150 mm/Hg); BH = iperteso borderline (PS 150-180 mm/Hg); HND = ipertensione non misurata. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC ro, con conseguente iperfosforemia ed iperparatiroidismo secondario che sono alla base di molti sintomi collaterali negativi dello stato uremico. La diminuita attività tubulare renale si manifesta anche con la riduzione della produzione di eritropoietina, che determina ridotta attività eritroide del midollo osseo e quindi anemia non rigenerativa. I gatti con IRC si trovano ad affrontare una situazione patologica in cui molte attività dell’organismo sono compromesse e le cui conseguenze spesso costituiscono una ulteriore complicanza alla possibilità si effettuare una terapia efficace. Fra i primi aspetti da prendere in considerazione, c’è da rimarcare la difficoltà ad alimentare adeguatamente il paziente, l’anoressia, le complicanze gastro-enteriche. L’anoressia è conseguenza dello stato uremico, dell’iperparatiroidismo secondario, dell’anemia, della gastrite uremica e spesso delle alterazioni orofaringee che rendono dolorosa la masticazione e difficoltosa la somministrazione di farmaci per via orale; all’anoressia è strettamente associata la disidratazione del paziente in cui i meccanismi di conservazione dei liquidi sono già compromessi dalla incapacità del rene di trattenere correttamente i liquidi. 38 L’anemia che consegue all’IRC è normalmente ben tollerata dai gatti anche con valori di ematocrito molto bassi, tuttavia l’incremento degli eritrociti circolanti determina un innegabile miglioramento delle condizioni cliniche; la terapia più specifica consiste nell’uso di eritropoietina umana ricombinante (rHuEPO), somministrata sottocute fino ad ottenere un valore ematocrito di circa il 35%. Trattandosi di una proteina umana può provocare la comparsa di anticorpi anti-EPO, tale evenienza è stata individuata in circa il 30% dei casi12. Altri aspetti terapeutici utili consistono nel controllare infezioni secondarie, soprattutto del cavo orale, ottimizzare lo stato di idratazione del paziente anche tramite somministrazione quotidiana di soluzione fisiologica sottocute, controllare i sintomi gastroenterici conseguenti allo stato uremico; secondo alcuni autori, la somministrazione di basse dosi di calcitriolo13 aiuta a tenere sotto controllo l’iperparatiroidismo secondario renale, soprattutto nelle fasi iniziali. Bibliografia 1. Terapia L’armamentario terapeutico per affrontare l’IRC, tende a tamponare o contenere tutti gli elementi metabolici negativi conseguenti all’evoluzione, ineluttabile, del danno renale, con lo scopo di ritardare il più possibile la progressione della malattia stessa. In generale, i gatti rispondono in maniera certamente più soddisfacente dei cani a tale protocollo. L’alimentazione è un fattore molto importante8, forse la base della terapia dell’IRC, ed è stata oggetto di ampi studi, nonché dibattiti, per lungo tempo; attualmente le diete studiate per tale patologia nel gatto sono caratterizzate da un contenuto equilibrato di proteine, fosforo ridotto9, sodio ridotto, integrazione con vitamine del gruppo B, elevato contenuto calorico, integrazione di potassio, lieve effetto alcalinizzante sull’equilibrio acido-base; l’integrazione con acidi grassi omega-3, comunemente presente nelle diete renali per cani, non è stata ancora dimostrata essere utile nei gatti. Per controllare l’ipertensione glomerulare, mutuando l’esperienza umana, si è valutata la validità di farmaci che agiscono miratamene sull’arteriola efferente del glomerulo renale, gli inibitori dell’angiotensina II (ACEInibitori)10. Tali farmaci espletano un miglioramento del flusso glomerulare (GFR) ed ottimizzano la funzionalità dei nefroni ancora funzionanti. Particolarmente significativo il loro effetto sulla proteinuria glomerulare. L’ipertensione sistemica è una ulteriore complicanza ed il farmaco dimostrato di maggior efficacia nel gatto è un calcio antagonista, l’amlodipina11, che espleta un’azione vasodilatatrice a carico delle arteriole precapillari. Tale effetto può tuttavia compromettere il GFR. L’associazione di ACEInibitori e di amlodipina è prevista in caso di ipertensione grave, difficile da controllare. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. Polzin D et al., (2004), Textbook of Veterinary Internal Medicine, 6th ed., WB Saunders Co, Philadelphia,1756-1785 Elliot J, Barber P., (1998), Feline chronic renal failure: clinical findings in 80 cases diagnosed between 1992 and 1995. J Small Anim Pract 39:78-85. Lulich J et al., (1992): Feline renal failure: questions, answers, questions. Compend Cont Ed Pract Vet 14:127-152. Dow S, Fettman M., (1992), Current Veterinary Therapy XI, WB Saunders Co, Philadelphia, 820-822. Miyamoto K: Clinical application of plasma clearance of iohexol on feline patients. J Fel Med Surg 3:143-147, 2001. Barthez P, Chew D, DiBartola S., (2001), Simplified methods for estimation of 99mTc-Pentetate and 131I-Orthoiodohippurate plasma clearance in dogs and cats. J Vet Int Med 15:200-208. Syme H et al: Prevalence of systolic hypertension in cats with chronic renal failure. J Am Vet Med Assoc 220:1799-1804, 2002. Elliot J et al., (2000), Survival of cats with naturally occurring chronic renal failure: effect of dietary management. J Small Anim Pract 41:235-242. Barber P et al., (1999), Effect of dietary phosphate restriction on renal secondary hyperparathyroidism in the cat. J Small Anim Pract 40:62-70. Brown S et al., (2001), Effects of the angiotensin converting enzyme inhibitor benazepril in cats with induced renal insufficiency. Am J Vet Res 62:375-383. Henik R, Snyder P, Volk L., (1997), Treatment of systemic hypertension in cats with amlodipine besylate. J Am Anim Hosp Assoc 33:226-234. Cowgill L et al., (1998), Use of recombinant humans erythropoietin for management of anemia in dogs and cats with renal failure. J Am Vet Med Assoc 212:521-528. Nagode L, Chew D, Podell M., (1996), Benefits of calcitriol therapy and serum phosphorus control in dogs and cats with chronic renal failure: both are essential to prevent or suppress toxic hyperparathyroidism. Vet Clin North Am 26:1293-1330. Indirizzo per la corrispondenza: Claudio Brovida ANUBI® Ospedale per Animali da Compagnia - Moncalieri E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 39 Stato dell’arte della terapia interventistica in cardiologia umana e veterinaria Claudio M. Bussadori Med Vet, Dipl ECVIM CA (Card), Med Chir, Milano Massimo Chessa, Med Vet, PhD, FSCAI, Milano Oriol Domenech, Med Vet, Milano In questa trattazione, al fine di illustrare quegli aspetti della cardiologia interventistica umana che possono essere utili a quella veterinaria e viceversa, prenderemo in considerazione solo parte della cardiologia interventistica umana, tralasciando la parte sicuramente più praticata nella Medicina Umana ma che per mancanza delle patologie analoghe negli animali, non viene praticata in Medicina Veterinaria. Escluderemo infatti dalla nostra trattazione il trattamento delle patologie coronariche e delle lesioni di origine aterosclerotica dei vasi periferici. Gran parte delle procedure interventistiche comuni alla cardiologia umana e a quella veterinaria o che pur essendo in uso in un solo settore hanno buone prospettive di esserlo anche nell’altro riguardano il trattamento delle cardiopatie congenite. La cardiologia interventistica delle cardiopatie congenite nasce nel 1953, quando il Messicano Rubio-Alvarez eseguì la prima rudimentale valvulotomia utilizzando una guida metallica che formava un’ansa all’estremità di un catetere, l’introduzione di materiali tecnologicamente sempre più avanzati e la crescita delle esperienze svolte in molti centri in tutto il mondo, ha aperto prospettive sempre più ampie di collaborazione fra cardiologi interventisti e cardiochirurghi a beneficio dei pazienti pediatrici e congeniti per i quali sono oggi possibili molti nuovi trattamenti per queste patologie, sia palliativi di preparazione alla cardiochirurgia, sia definitivi e quindi alternativi alla cardiochirurgia che correttivi rispetto ai risultati a volte incompleti o insoddisfacenti di un intervento chirurgico. Tredici anni dopo l’approccio di Rubio-Alvarez alla stenosi polmonare venne pubblicato l’intervento forse più importante di tutta la cardiologia interventistica: l’atriosettotomia secondo Raskind e Miller, tale metodica, a quasi quarant’anni dalla sua pubblicazione viene ancora eseguita secondo gli stessi criteri. Questa procedura d’urgenza si pratica per lo più in neonati con cianosi centrale grave determinata da cardiopatie congenite complesse nelle quali la comunicazione tra circolazione sistemica e polmonare è mantenuta solo attraverso il dotto arterioso persistente, pertanto è necessario creare un ulteriore shunt arterovenoso per consentire la sopravvivenza di questi piccoli pazienti fino all’intervento chirurgico correttivo definitivo. L’atriosettostomia di Raskind viene eseguita prevalentemente in neonati con trasposizione dei grossi vasi, l’ap- proccio venoso può avvenire dalla vena ombelicale, o da quella femorale in una di queste viene introdotto il catetere a pallone di Raskind, il quale ha un angolo preformato atto a puntare direttamente sul forame ovale, normalmente pervio in questa fase della vita. Una volta passato attraverso il forame il pallone viene gonfiato in atrio sinistro e tutta la procedura successiva consiste in un rapido strappo del catetere da parte dell’operatore verso l’atrio destro, determinando così un ampio difetto del setto interatriale. Tale procedura può essere eseguita al letto del paziente con la semplice guida dell’ecografia transtoracica. Questa procedura non trova allo stato attuale alcuna indicazione in cardiologia veterinaria, perché qualora dei cuccioli nascano con cardiopatie congenite così complesse sono destinati a morire nei primi giorni di vita senza alcun diagnostico. In ogni caso, la sua importanza in cardiologia pediatrica le fa meritare la citazione dettagliata. A partire dagli anni ’70 in campo umano iniziò la corsa allo studio di materiali adatti ad eseguire cateterismi cardiaci e interventi realmente mini-invasivi anche in piccoli pazienti, in quegli anni iniziano i primi interventi di chiusura dei difetti interatriali e dei dotti arteriosi pervi, nonché la dilatazione di lesioni stenotiche sia valvolari che periferiche. Solo dopo gli anni ’80 la cardiologia interventistica inizia ad essere impiegata routinariamente, da allora migliaia di pazienti affetti da cardiopatie congenite, sia pediatrici che adulti vengono trattati in centri sparsi in tutto il mondo, Il successo dei primi interventi di valvuloplastica polmonare eseguita con adeguati cateteri a pallone, la relativa facilità della metodica, oltre alla diffusione della stenosi polmonare nel cane hanno fatto sì che dopo breve tempo questa procedura entrasse nella pratica veterinaria. Le prime procedure eseguite nei cani a scopo terapeutico vennero infatti pubblicate verso la fine degli anni ’80. Dopo di allora molti articoli di autori Americani ed Europei hanno confermato l’efficacia e la sicurezza di questa metodica in veterinaria. Le difficoltà, le complicanze, le controindicazioni e i fattori in grado di influenzare il successo della procedura sono molto simili nelle due specie. Il criterio principale per l’indicazione all’intervento è in entrambi i casi è il gradiente di picco, nel cane l’intervento trova una indicazione assoluta con gradienti superiori a 80 mmHg mentre nei bambini si tende ad intervenire anche per gradienti molto inferiori. Il fattore che più di tutti gli altri 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC influisce sul risultato è l’anatomia dell’apparato valvolare polmonare. La classificazione in uso in Medicina Veterinaria distingue la stenosi polmonare in tipo A e tipo B anche se nella pratica si riscontra un ampio spettro di forme intermedie tra questi due morfotipi e che corrispondono ampiamente a quelli descritti nella cardiologia umana. Il tipo A con annulus di dimensioni normali e stenosi determinata per lo più da fusione dei lembi è il tipo che nell’uomo si riscontra più frequentemente in stenosi polmonari isolate in soggetti esenti da altre patologie congenite anche non cardiovascolari. Anche nei cani questo tipo di stenosi si riscontra non associato ad altre anomalie e diffuso in quasi tutte le razze canine senza specifiche prevalenze. Il morfotipo B caratterizzato da annulus ipoplasico e lembi valvolari ispessiti e rudimentali, nella specie canina si riscontra più spesso nelle razze brachicefale e in particolare nei Bulldog Inglesi e Francesi nei Boxer e negli American Staffordshire; un morfotipo analogo, nei bambini, si riscontra più frequentemente in corso di patologie sindromiche quali la sindrome di Noonan. Questo secondo tipo anatomico di stenosi è quello che offre risultati meno brillanti alla valvuloplastica con riduzioni del gradiente spesso incomplete e a volte insoddisfacenti e che più frequentemente, sia nei bambini che nei cani favorisce l’insorgenza di complicanze tachiaritmiche durante il cateterismo. In entrambe le specie si possono avere complicanze immediatamente conseguenti alla procedura e legate a stenosi dinamiche associate alla stenosi valvolare come il cosiddetto infundibulo suicida. Inoltre nei Bulldog è raccomandata la coronarografia prima della procedura, poiché in questa specie è stata descritta un’anomalia coronarica caratterizzata da un singolo tronco comune insorgente dall’ostio destro che circonda l’arteria polmonare, come quella che si riscontra frequentemente nei bambini con Tetralogia di Fallot. La procedura in Medicina Veterinaria e in Medicina viene eseguita con modalità pressoché identiche. La valvuloplastica aortica nella specie umana trova indicazione negli adulti e nei neonati, anche se nei primi la presenza di frequenti calcificazioni a carico dei lembi che rappresentano un grave potenziale emboligeno sistemico sconsigliano, nella maggior parte dei casi, l’approccio interventistico. Nei neonati invece tale trattamento riveste carattere d’urgenza, ed è la procedura di prima scelta, da eseguirsi nei primi giorni di vita in caso di stenosi critiche che possono evolvere rapidamente a disfunzione sistolica. Nei cani la valvuloplastica aortica è stata proposta ed eseguita nella stenosi sottovalvolare con risultati per lo più insoddisfacenti in quanto, come osservato anche in cardiologia pediatrica, le strutture sottovalvolari aortiche patologiche sono costituite da tessuto fibroso inestensibile. Nelle stenosi valvolari aorti- 40 che, meno comuni in medicina veterinaria, la valvuloplastica aortica ha fornito ottimi risultati. La chiusura percutanea del dotto arterioso pervio venne eseguita per la prima volta nell’uomo nel 1967 da Porstmann con una metodica che però non ebbe grande diffusione; solo con Rashkind, che nel 1979 propose il primo dispositivo ad ombrello, l’approccio mini-invasivo incominciò a diffondersi. Fino allo stato attuale in cui il trattamento chirurgico è riservato ai dotti dei bambini al di sotto dei 5 kg, mentre per i dotti piccoli (< 4 mm di diametro) si usano i coil a rilascio controllato mentre per i dotti più grandi si usano i dispositivi di occlusione di Amplatzer con una percentuale di successi superiore al 95%. In campo veterinario la maggior parte dei PDA viene ancora trattata chirurgicamente, infatti questa maggioranza di casi beneficerebbe di un trattamento con il dispositivo Amplatzer Ductal Occluder (ADO) che non è ancora ampiamente diffusa in Veterinaria a causa dell’alto costo dei dispositivi. Il metodo più comunemente usato in veterinaria per la chiusura dei dotti è l’occlusione mediante coil a rilascio controllato e non controllato (Miller MW 1995, Snaps FR 1995, Fellows CG 1998, Schneider M 1998, Stokhof AA 2000). Gli altri dispositivi dei quali è stata riportata un’esperienza sono: il dispostivo di Gianturco-Grifka, usato da Ronald G. Grifka per la prima volta in un cucciolo di Terranova, e altri sistemi volti ad evitare l’embolizzazione dei coil come il Nitinol snare descritto da Philip R. Fox. La prima descrizione dell’uso di un ADO nel cane si deve a Sisson e recentemente una serie di casi è stata descritta da M. Martin, dimostrando anche nel cane che l’uso di questo dispositivo evita i problemi di embolizzazione, emolisi e shunt residui che si possono riscontrare chiudendo dotti di dimensioni maggiori di 4 mm utilizzando dei coil. Altre metodiche interventistiche di uso comune in cardiologia pediatrica e che hanno prospettive di utilizzo in veterinaria e che per motivi di spazio nel testo vengono solo citati ma che verranno descritte in modo esaustivo nella relazione sono: la chiusura dei difetti interatriali e interventricolari, l’embolizzazione di fistole arterovenose, la dilatazione con stent di stenosi dei rami polmonari o di tratti coartati dell’aorta e la perforazione in radiofrequenza della valvola polmonare atresica. La bibliografia è disponibile su richiesta. Indirizzo per la corrispondenza: Claudio M. Bussadori Istituto di Medicina Cardiovascolare Ospedale Maggiore IRCCS Università degli studi di Milano - MI 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 41 Nuove metodiche per lo studio della funzione epatica: colinesterasi sierica ed acidi biliari urinari Marco Caldin Med Vet, Padova INTRODUZIONE Da tempi non recenti lo studio della funzione epatica costituisce ambito di discussione per internisti e patologi clinici data la complessità e molteplicità delle funzioni svolte dal fegato. I segni clinici che derivano dalle alterazioni funzionali epato-biliari sono numerosi, così come numerose sono le funzioni assolte da quest’organo, e non sempre caratteristici. Da qui l’esigenza di disporre di test diagnostici che documentino con affidabilità l’origine epato-biliare di taluni segni clinici di difficile interpretazione come ad es. l’apatia, la disoressia e molti altri ancora. Il fegato viene considerato un vero e proprio sofisticato laboratorio “interno” che ha l’ambizione di farsi giudicare esclusivamente da un altro laboratorio. L’esigenza di disporre di test di semplice utilizzo, possibilmente di basso costo e con una affidabilità diagnostica elevata, in termini di sensibilità e specificità, è quindi molto sentita. Nell’ultimo decennio la scena diagnostica è stata dominata dagli acidi biliari sierici pre e post prandiali che si sono consolidati come gold standard per lo studio della funzione epatica, soppiantando test più tradizionali quali il dosaggio dei coloranti organici (verde di indocianina e bromosulftaleina) e dell’ammoniemia. Tale superamento si è verificato data la stabilità degli acidi biliari sul campione sierico, in grado di resistere settimane a temperatura ambiente, e la facilità dell’analisi se paragonata alla esecuzione dell’ammoniemia e dei coloranti organici. In questo periodo, fiorente di pubblicazioni scientifiche che relazionano tali test a svariate patologie epatiche, quali ad esempio le anomalie vascolari porto-sistemiche, si sono venuti delineando alcuni aspetti limitativi l’utilizzo degli stessi, che verranno presi in considerazione successivamente. ACIDI BILIARI SIERICI Gli acidi biliari sierici (SBA) vengono dosati su siero e devono essere utilizzate metodiche appositamente validate per la specie canina e felina. Gli intervalli di riferimento sono differenziati in rapporto al momento del prelievo (a digiuno o due ore dopo il pasto) evidenziando livelli più elevati nella fase post-prandiale poiché maggiore è il carico di acidi biliari che verranno sottoposti a clearance da parte del fegato. Un’idonea fase pre-analitica (corretto prelievo e manipolazione dei campioni) per il dosaggio degli acidi biliari sierici è un requisito indispensabile giacché l’emolisi e la lipemia sono in grado di influenzare notevolmente i risultati analitici. Gli intervalli di riferimento variano da laboratorio a laboratorio in funzione delle metodiche usate e della sensibilità e specificità che il singolo laboratorio vuole dare a questi test. Un dosaggio singolo degli SBA si è dimostrato insufficiente in molte condizioni di epatopatia, motivo per il quale si è ricorsi ad una prova da carico epatico. Tale prova consiste nel mantenere a digiuno il paziente per almeno 12 ore, dopo le quali si passa alla raccolta di un campione di siero contemporaneamente alla somministrazione di un pasto che abbia idonee quantità di proteine e grassi. Si preferisce che la quantità di cibo assunto sia minimale dando come indicazione di massima due cucchiaini da thè per i pazienti di peso inferiore ai cinque chilogrammi, e due cucchiai da tavola per i soggetti di grossa taglia. Un pasto abbondante sembra essere sconsigliato in quanto il ritardato svuotamento gastrico, relativamente alla quantità di cibo ingerito, può pregiudicare i risultati della prova. Dopo due ore dalla somministrazione del pasto si raccoglie un secondo campione di siero ove si esamineranno gli SBA postprandiali. Questi ultimi sono più diagnostici in quanto dopo l’assunzione di cibo avviene la contrazione della cistifellea, colecistochinina mediata, che induce la liberazione di una gran quantità di bile a livello intestinale finalizzata alla emulsione lipidica e quindi all’assorbimento dei grassi. La maggior parte degli SBA liberati a livello intestinale viene riassorbita e sottoposta ad un circolo entero-epatico ad alta efficienza di estrazione epatica (clearance portale). In condizioni di insufficienza epatica sub-clinica l’incremento post-prandiale del pool di acidi biliari, che arriva attraverso il circolo portale al fegato viene captato e quindi estratto solo parzialmente dal fegato (clearance epatica) evidenziando così insufficienze epatiche anche modeste. Al contrario, in condizioni basali, la quantità di acidi biliari che entra nel sistema portale è abbastanza modesta e consente comunque anche ad un fegato insufficiente di esercitare una funzione di clearance portale idonea per quel carico di acidi biliari. L’interpretazione dei risultati deve considerare che la contrazione della vescica biliare può essere indipendente dal pasto. Quindi occasionalmente se i pazienti che ci giungono a visita contraggono la cistifellea due ore prima del primo prelievo, mettono in evidenza livelli di SBA più elevati rispetto ai post-prandiali. Questo deve essere tenuto nella debita considerazione quando vengono interpretati i risultati in quanto devono essere applicati gli intervalli di riferimento dei post-prandiali (notoriamente molto più elevati) ai pre-prandiali. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC La sensibilità e la specificità nei confronti delle alterazioni funzionali epatiche, dimostrate nel tempo, hanno giustificato la posizione di rilievo che queste molecole hanno assunto nello studio delle epatopatie. Ciononostante, alcune limitazioni si sono rese evidenti, e tra queste vanno ricordate: 1) i soggetti epatopatici sovente sono disoressici se non anoressici ostacolando la realizzazione degli acidi biliari post-prandiali ritenuti più diagnostici dei pre-prandiali 2) ritardati svuotamenti gastrici possono inficiare i risultati 3) il transito intestinale ritardato, condizione non infrequente in corso di epatopatia, può anch’esso ostacolare il raggiungimento da parte degli SBA dell’ileo ove avverrà l’assorbimento attivo dei medesimi consentendo di valutare l’efficacia della clearance portale 4) condizioni di malassorbimento possono condizionare i livelli ematici degli acidi biliari 5) interpretazioni dei risultati mediamente più complessa. 6) una volta alimentato il paziente, difficilmente nella stessa giornata può poi essere sottoposto ad altri prelievi ematici o procedure diagnostiche aggiuntive, ritardando nel complesso l’intero iter diagnostico necessario. Nasce quindi l’esigenza di disporre di un test che presenti la stessa affidabilità diagnostica degli SBA ma che elimini le complicazioni derivanti dall’alimentazione, dal doppio campionamento e che sia di semplice interpretazione. ACIDI BILIARI URINARI Notevole interesse, di recente, è stato rivolto al dosaggio degli acidi biliari urinari (UBA), in quanto le urine potrebbero rappresentare una sintesi efficace delle fluttuazioni sieriche degli SBA cagionate dalla contrazione della cistifellea che avvengono durante il pasto od indipendemente dallo stesso. Alcune opportune modifiche al sistema enzimatico-colorimetrico si sono dovute approntare, in quanto in alcune specie animali, gli acidi biliari urinari vengono eliminati dopo essere stati sottoposti ad un processo di sulfatazione (USBA) che li rende maggiormente idrosolubili abbassando la clearance renale dei medesimi. Le varianti così apportate consentono di identificare tre specie molecolari: acidi biliari sulfatati (USBA), acidi biliari non sulfatati (UNSBA), acidi biliari sulfatati e non sulfatati (USBA + UNSBA). Dosaggi simultanei degli acidi biliari sierici hanno consentito di verificare un buona correlazione soprattutto tra questi ultimi e gli UNSBA e/o in alternativa con USBA+UNSBA, a testimoniare che nella specie canina e felina la sulfatazione non è una modalità privilegiata di eliminazione degli acidi biliari. Il dosaggio degli UBA risente in modo molto pesante della concentrazione idrica del campione urinario e appare d’obbligo quindi la normalizzazione della concentrazione urinaria di questi analiti rispetto alla creatinina urinaria, 42 consentendo così una valutazione quantitativa più rapportata ai difetti di clearance portale o di secrezione epatica degli UBA, indipendentemente dalla diluizione del campione urinario. La letteratura sembra delineare una minore sensibilità degli UBA rispetto ai SBA, ma una migliore specificità. È opinione dell’Autore che studi più ampi e dettagliati potranno meglio delineare le vere caratteristiche di sensibilità e specificità di questi nuovi test, ma che sicuramente presentano caratteristiche intrinseche che li rendono particolarmente attraenti dal punto di vista clinico applicativo. Basti pensare alla riduzione dei costi, alla semplificazione dei prelievi e ad una più agevole interpretazione analitica. Queste caratteristiche rendono l’utilizzo degli UBA uno strumento clinico particolarmente valido e relativamente semplice in grado di affiancare l’internista nello studio dei pazienti epatopatici. COLINESTERASI (PChe) La PChe è un enzima che idrolizza i derivati dell’acetilcolina. Esistono due tipi di colinesterasi, la pseudocolinesterasi, che presenta una serie di sinonimi (Che o PChe detta anche acilcolina acilidrolasi, buttirilcolinesterasi, colinesterasi non specifica etc.) e la vera colinesterasi (AChe, acetilcolina acetilidrolasi, colinesterasi I, colinesterasi specifica). Il primo enzima (PChe) si trova normalmente nel siero ove può essere facilmente dosato mediante metodiche automatizzate di recente validazione nella specie canina. Tale enzima, costituisce un vero e proprio test di funzionalità epatica nella specie umana, essendo la produzione epatica dell’enzima associata alla produzione albuminica. Nella specie canina viene di solito utilizzato per la diagnosi di avvelenamenti da organofosforici e carbamati, ma nulla si conosce sul suo significato relativamente alle epatopatie canine. L’Autore ha utilizzato per alcuni anni il dosaggio di tale enzima, evidenziando una buona correlazione tra questo test e gli acidi biliari sierici e la biopsia epatica. Le osservazioni raccolte in questo studio delineano che la PChe sierica del cane in corso di epatopatie, al contrario della specie umana, può anche aumentare. Le epatopatie aspecifiche determinano moderati innalzamenti, maggiori in caso di cirrosi epatica. Anche se la sensibilità e la specificità del test non sono altissime, è opinione dell’Autore che l’integrazione di questo test con altri test di funzionalità epatica possa contribuire ad una miglior valutazione clinica globale del paziente. Indirizzo per la corrispondenza: Marco Caldin Clinica Veterinaria Privata “San Marco” v. Sorio 114/c, 35141 Padova E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 43 Errori in citologia diagnostica veterinaria Esperienza è il nome che tutti danno ai propri errori (Oscar Wilde) Mario Caniatti Med Vet, Dipl ECVP, Milano Per inquadrare il problema nella sua complessità è interessante in via preliminare considerare alcuni dati riportati nel sito www.chirurgiatoracica.orgS2_12_01: secondo l’Institute of Medicine, ogni anno muoiono negli ospedali statunitensi tra i 44.000 e i 98.000 pazienti per sbaglio: troppi per molti studiosi, che contestano direttamente i criteri adottati negli studi che portano a simili conclusioni. Questi numeri, se accettati, parlano di medici che uccidono più dell’AIDS, del cancro al seno e degli incidenti automobilistici o sul lavoro. Sempre nello stesso sito sono riportati i risultati di un lavoro eseguito a Harvard, apparso sul New England Journal of Medicine, che analizzava gli errori commessi dai medici controllando le cartelle cliniche di 30.121 pazienti a New York. Ne risultava che gli errori sono chirurgici (47,7%) e non chirurgici (52,3%). Degli errori chirurgici: il 13,6% era dovuto a infezioni delle ferite chirurgiche, il 12,9% a errori di tecnica durante l’atto chirurgico, il 12,6% a errori di tecnica chirurgica scoperti solo successivamente all’atto chirurgico, il 7,0% a cause varie e il 3,6% o a insuccesso della chirurgia. Gli errori non chirurgici erano dovuti a errori terapeutici nel 26,9%, a cause varie nel 10,3% dei casi, alla diagnostica nell’8,1% dei casi e alle procedure cliniche nel 7,0% dei casi. Anche in medicina veterinaria, sebbene molto meno frequenti, si cominciano a registrare alcuni lavori che mettono in luce gli errori che vengono commessi. È di recente pubblicazione un lavoro di Mellanby e Herrtage1 condotto presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Cambridge per valutare la frequenza e il tipo di errori compiuti dai veterinari nella pratica clinica. Lo studio, che si è basato su un questionario inviato ai veterinari laureati nel 2001 nelle Università di Bristol, Edimburgo, Glasgow, Londra e Liverpool, rivela che dall’inizio della loro attività, 82 veterinari su 105 (78%) affermano di aver compiuto un errore. Questo errore risultava in un esito non ottimale o potenzialmente pericoloso per il paziente e, in molti casi, aveva un impatto emotivo notevole sul veterinario che lo aveva commesso. Come si può ben vedere l’errore è quindi un “male necessario” di qualunque attività lavorativa medica e, tra le varie pratiche connesse a questa disciplina, quella diagnostica non appare certo quella più a rischio in questo senso. In ogni caso, parlando di errori, dobbiamo renderci conto del fatto che non tutti gli errori sono uguali. La gravità di un errore, e non solo di quelli diagnostici, dipende ovviamente dalle sue conseguenze. È chiaro che errori gravi sono quelli che hanno gravi conseguenze, errori meno gravi sono quelli che hanno modeste conseguenze. Per quanto riguarda la diagnostica (non solo quella citologica, ma anche quella clinica, di diagnostica per immagini, chimico-clinica, sierologica ecc.), possono essere commessi due tipi di errori: falsi positivi (FP) e falsi negativi (FN). Per contro, una corretta diagnosi porterà a diagnosi di veri positivi (VP) e veri negativi (VN) riferiti a una patologia specifica (es. neoplasie). Tra gli errori devono essere definiti gravi i falsi positivi in quanto possono avere conseguenze estreme per il paziente (es. eutanasia, interventi largamente demolitivi, terapie mediche aggressive), mentre il falsi negativi non dovrebbero avere alcuna conseguenza in quanto dovuti a limiti della tecnica (es. nel caso della radiografia è noto come lesioni più piccole di un certo calibro non siano visibili, nel caso della citologia è noto come, per esempio, alcune lesioni neoplastiche non cedano cellule, non siano centrate dal prelievo, possano essere campionate nelle porzioni necrotiche o in quelle in cui prevale la componente infiammatoria). Di fatto, per qualunque indagine diagnostica, va affermato che dobbiamo fidarci di ciò che vediamo, ma non fidarci di ciò che non vediamo. La definizione di veri e falsi, positivi e negativi, permette di valutare la capacità diagnostica di una qualunque tecnica. Ovviamente bisogna disporre di una casistica sufficientemente dimensionata e la valutazione viene fatta attraverso la definizione di percentuali di sensibilità, specificità, valori predittivi e accuratezza diagnostica. Tali valori si ottengono applicando le seguenti formule2: 1- Sensibilità - Risponde alla formula TP/TP+FN ed è la percentuale di casi di malattia correttamente diagnosticati in relazione a tutti i casi di malattia. 2- Specificità - Risponde alla formula TN/FP+TN ed è la percentuale di casi di non malattia diagnosticati in relazione a tutti i casi liberi da malattia. 3- Valore predittivo dei risultati positivi - Risponde alla formula TP/TP+FP ed è la percentuale di casi con malattia correttamente diagnosticati. 4- Valore predittivo dei risultati negativi - Risponde alla formula TN/TN+FN ed è la percentuale di casi liberi da malattia correttamente diagnosticati. 5- Accuratezza - Risponde alla formula TP+TN/ TP+TN+FP+FN ed è espressione della complessiva capacità diagnostica della tecnica. Sensibilità e specificità stanno in equilibrio precario fra loro. Un test deve essere il più sensibile possibile, ma non può esserlo a scapito della specificità il cui valore è condizionato dai falsi positivi (errori gravi). È infatti meglio avere a disposizione un test diagnostico relativamente poco sensibile, ma assolutamente specifico. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC In citologia diagnostica, ammesso che non vi siano cause tecniche che possano portare a una valutazione erronea del campione (es. etichettatura di un campione con i dati di un paziente diverso, contaminazione del campione con materiale patologico estraneo ecc.), le cause più comuni di errore diagnostico che può essere definito grave possono essere riassunte principalmente in: 1) Inesperienza - la scarsa esperienza è una frequente causa di errore diagnostico. 2) Eccesso di fiducia nelle proprie capacità diagnostiche - È il difetto opposto dell’inesperienza. 3) Mancanza di tempo - una valutazione frettolosa del campione può portare a diagnosi sbagliate. 4) Elevata pressione diagnostica - dovuta alla “necessità” di fornire una diagnosi su ogni campione valutato (classico è il caso dei campioni citologici in cui si cerca di fare diagnosi su campioni assai poco cellulari, ma non è raro neppure il caso di campioni valutati nel breve spazio di tempo in cui il paziente è in anestesia in attesa di una diagnosi citologica di neoplasia che “appare” clinicamente evidente, ma che è citologicamente dubbia o insufficiente). 5) Mancata comunicazione fra il personale medico - una stretta collaborazione fra clinico e citologo è fondamentale. A volte il referto citologico ha un significato per il citologo, ma può averne un altro per il clinico. Una stretta collaborazione e una comunicazione efficace fra i due permette una più precisa gestione del caso clinico. È chiaro che questo tipo di errore può essere eliminato completamente nel caso in cui la figura che segue il caso clinicamente sia anche quella che valuta il campione citologico (patologo clinico). 6) Difficoltà diagnostiche dovute a casi complessi - Casi complessi possono essere dovuti a una varietà di fattori assai diversi fra loro e di cui i più comuni vengono di seguito elencati: - Inadeguatezza del campione citologico causata da cattivo striscio, fissazione, colorazione. Un campione citologico tecnicamente inadeguato non dovrebbe essere preso in considerazione dal citologo. - Scarsa cellularità del campione citologico. Benché la cellularità sufficiente perché un campione citologico sia diagnostico sia variabile con il tipo di lesione (es. nei mastocitomi è possibile fare diagnosi su campioni assai poco cellulari, mentre nel caso dei tumori a cellule fusate è necessaria una quota cellulare decisamente più significativa), è intuitivo come la fiducia sulla diagnosi citologica eseguita su un campione decisamente cellulare sia maggiore di quella eseguita su un campione contenente poche cellule. 44 - Valutazione di lesioni neoplastiche in cui la componente infiammatoria sia prevalente su quella neoplastica. - Valutazione di campioni in cui le cellule neoplastiche potrebbero invece essere espressione di una reattività dei tessuti che subiscono la flogosi (classico è il caso della reattività delle cellule mesoteliali che nei versamenti spesso mimano forme neoplastiche) o della proliferazione connettivale associata alla flogosi. - Valutazione di lesioni benigne che mostrano invece criteri citologici di malignità (es. alcuni tumori benigni di origine ghiandolare ceruminosa o sudoripara). - Valutazione di lesioni rare di cui non è noto con precisione il quadro citologico. Vi sono per esempio molte neoplasie rare in cui il quadro citologico è poco o per nulla noto (es. tumore delle cellule di Merkel). Non va neanche dimenticato che l’indagine citologica, per la sua natura di essere applicata frequentemente su campioni preoperatori, è una pratica diagnostica la cui bontà dei risultati è più spesso controllata attraverso l’indagine istologica che spesso segue l’intervento chirurgico. Questo da un lato pone il citologo nella condizione di essere costantemente controllato, ma dall’altro gli permette di affinare le sue capacità diagnostiche sulla base del confronto fra campione citologico e istologico. Alla luce di quanto sopra esposto è chiaro che l’errore è sempre possibile in citologia. La risposta non è solo quella di “cercare il colpevole” dell’errore che va comunque individuato, ma piuttosto quella di approfondire il contesto nel quale un certo errore si è verificato. Cercare le cause dell’errore significa porre le basi in modo da evitare che l’errore si ripeta. In questa ottica sarebbe importante e auspicabile definire programmi di “controllo di qualità” sia interna che esterna sui laboratori di diagnostica citologica. Bibliografia 1. 2. Mellanby RJ, Herrtage ME (2004), Survey of mistakes made by recent veterinary graduates, Vet Rec, 155(24):761-765. Gerstman BB, Cappucci DT (1986), Evaluating the reliability of diagnostic test results, JAVMA, 188: 248-251. Indirizzo per la corrispondenza: Mario Caniatti Dipartimento di Patologia Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria. Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviare. Università degli Studi di Milano - Via Celoria, 10 -20133 Milano Tel. 02-50318114 - Fax 02-50318106 E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 45 L’utilizzo di Ginkgo Biloba ed Echinacea nell’alimentazione quotidiana del cane Giovanni Cardini Med Vet, Pisa Anna Pasquini Med Vet, Pisa Da molti secoli l’uomo ricorre all’uso di estratti vegetali, per le numerose attività biologiche che questi possiedono, sia a scopo curativo che come prevenzione nei confronti delle malattie ma anche per la salvaguardia del benessere in stati fisiologici o parafisiologici, come l’accrescimento, la senescenza ecc.1,4,9. In questo senso, l’utilizzo di tali sostanze non deve essere inteso come rimedio alternativo alla medicina ufficiale, deve essere piuttosto ritenuto un ausilio complementare ad essa9,10. Le sostanze attive vegetali si distinguono per essere delle miscele complesse di prodotti chimici, i fitocomplessi, che sono caratterizzati dalla contemporanea presenza di composti con attività biologiche individuali distinte e dalle interazioni che possono avvenire tra questi composti. In questo modo il fitocomplesso esercita un’attività diversa da quella svolta da ciascuna delle molecole che lo compongono, venendosi spesso a creare un’azione sinergica tra loro9,10. La possibilità di impiego di estratti naturali, ampiamente usati nell’uomo e con provati benefici effetti sulla salute è da considerarsi estremamente interessante anche in ambito veterinario6,8. Gli estratti vegetali, in titolazioni e formulazioni standardizzate e approvate, possiedono un’elevata biodisponibililità ed un basso rischio di tossicità, caratteristiche che ne permettono un’assunzione prolungata nel tempo e che può facilitare il raggiungimento di effetti benefici duraturi9,10. La crescente attenzione che viene posta all’alimentazione del cane come momento di prevenzione, fondamentale per il mantenimento di un ottimale stato di salute, anche al fine di migliorare le sue prestazioni o per facilitare il superamento di alcune situazioni stressanti, costituisce il presupposto per l’introduzione di composti naturali che possono contribuire efficacemente al raggiungimento di tali obiettivi. Particolarmente interessante è la possibilità di aggiungere direttamente al mangime gli estratti vegetali che, possedendo peculiari proprietà, migliorano le caratteristiche qualitative dell’alimento e rendono specifico il suo impiego. Inoltre, questo tipo di formulazione garantisce un’assunzione regolare, controllata e duratura nel tempo del composto vegetale5,8. L’estratto secco delle foglie di Ginkgo biloba è molto utilizzato nell’uomo, soprattutto nella senescenza. Le foglie di Ginkgo contengono infatti un’ampia varietà di sostanze tra cui flavonoidi e terpenoidi. L’uso di questo estratto riguarda primariamente i problemi legati all’insufficienza cerebrale quali deficit di memoria o di concentrazione, vertigini o ronzii alle orecchie legati a disturbi vascolari e patologie vascolari periferiche tra cui la zoppia intermittente1. La quercetina, che costituisce il principale metabolita della frazione flavonoidica, ha mostrato una significativa attività antinfiammatoria dovuta alla diretta inibizione di diversi processi iniziali dell’infiammazione. Inibisce, per esempio, sia la produzione che il rilascio di istamina e di altri fattori allergicoinfiammatori4,10. La quercetina è anche un forte inibitore dell’aldosoreduttasi, l’enzima responsabile della trasformazione del glucosio in sorbitolo, glucide strettamente implicato nell’insorgenza delle complicanze diabetiche4,10. Numerosi studi in vitro ed in vivo, testimoniano l’efficacia dell’estratto di Ginkgo biloba nei confronti di patologie secondarie ad insufficienza vascolare sia a livello cerebrale che periferico. È stata anche dimostrata un’azione protettiva contro i danni da ipossia cerebrale1,10. I flavonoidi sono inoltre caratterizzati da una potente attività antiossidante che si oppone efficacemente alla produzione di radicali liberi. I ginkgolidi, ed in particolare il ginkgolide B, sono noti antagonisti del PAF (Platelet Aggregating Factor) che è un potente attivatore dell’aggregazione piastrinica, della degranulazione dei neutrofili e della produzione dei radicali dell’ossigeno. È stato dimostrato che i flavonoidi possono indurre nell’uomo una netta diminuzione della colesterolemia, della trigliceridemia e dei livelli plasmatici di beta lipoproteine. Sono stati osservati, in animali da laboratorio, effetti positivi sulla coclea, sul nervo acustico e sulla compensazione vestibolare1,9. L’impiego del Ginkgo biloba assume un particolare interesse nell’alimentazione del cane anziano per le sue attività sulla circolazione e per la sua marcata azione antiossidante. Per valutare l’impiego del Ginkgo biloba nell’alimentazione del cane anziano, è stato somministrato ad un gruppo di cani anziani di proprietà per un periodo di due mesi, un mangime secco Senior contenente l’estratto della pianta. Sono state effettuate in primo luogo prove di assorbimento tramite cromatografia liquida, misurando la quantità di quercetina presente nel plasma prima e dopo l’assunzione del mangime, che hanno dato un esito positivo. Inoltre, tramite 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC il monitoraggio clinico degli animali con visite ed esami ripetuti a distanze predeterminate, sono stati verificati eventuali effetti riconducibili all’assunzione della suddetta dieta. In particolare sono stati tenuti sotto osservazione alcuni parametri che hanno evidenziato un lieve aumento del colesterolo HDL ed una diminuzione dei trigliceridi oltre ad un aumento del potenziale antiossidante biologico (BAP) in modo statisticamente significativo (p<0,05). L’estratto di Echinacea (E. angustifolia, E. purpurea e E. pallida) è stato proposto per lungo tempo come panacea per moltissime patologie; gli studi clinici più recenti indicano invece un suo utilizzo nella prevenzione e nella coterapia delle malattie da raffreddamento, in particolar modo delle vie aeree superiori, delle infezioni urinarie e, come topico, nelle affezioni della cute3,9. Le molecole coinvolte nella costituzione di questo fitocomplesso sono numerose e comprendono oli essenziali, alcamidi, polialcheni, echinacosidi e polisaccaridi, tra cui gli arabinogalattani, oltre a molti flavonoidi. La principale attività riconosciuta all’estratto di Echinacea è quella immunomodulatrice, in particolare provoca un incremento della fagocitosi, un aumento dei leucociti totali e dei neutrofili, la differenziazione dei granulociti immaturi in granulociti maturi, un aumento del numero e dell’attività dei macrofagi e della produzione di interferone, interleuchine e TNF (Tumor Necrosis Factor) oltre ad un’incrementata attività dei linfociti, soprattutto dei linfociti T, con stimolazione dell’immunità cellulomediata2,5,6,10. È stata dimostrata un’attività antibatterica e antimicotica da parte degli echinacosidi attraverso un’azione batteriostatica e fungistatica diretta con un completo arresto della crescita di alcuni batteri, tra cui Staphilococcus aureus ed Escherichia coli, e funghi, come Epidermophyton interdigitale2,5. Sia gli arabinogalattani che gli echinacosidi esplicano un’azione antivirale provocando un notevole aumento dell’interferone e della produzione di anticorpi3,5,10. La frazione polisaccaridica e alchilammidica sono capaci di inibire l’enzima jaluronidasi e di stimolare la proliferazione e l’attività dei fibroblasti, svolgendo un’efficace azione cicattrizzante9,10. Gli echinacosidi si sono inoltre dimostrati efficaci nel neutralizzare i radicali liberi, in particolare i radicali liberi dell’ossigeno (ROS)5. Infine la somiglianza strutturale delle alchilamidi con l’acido arachidonico sarebbe alla base della spiegazione dell’attività inibente, da parte di questi composti, nei confronti della ciclossigenasi e della lipoossigenasi, con conseguente azione antiflogistica5. L’impiego di un mangime contenente estratto di echinacee, per le attività immunomodulatrici, l’azione antinfiammatoria e la potenziale capacità di ostacolare la formazione di radicali liberi, si rivolge principalmente ai soggetti che possono trovarsi in condizioni climatiche sfavorevoli, che sono sottoposti a cambiamenti ambientali o che, comunque, 46 devono superare situazioni di stress come i cani da lavoro o che vivono in canili. L’assorbimento dell’estratto di Echinacea da parte del cane è stato verificato somministrando ad un gruppo di cani da lavoro di proprietà un mangime secco per cani adulti al quale era stato aggiunto il composto e misurando i livelli di echinacosidi, tramite cromatografia liquida, nel plasma prima e dopo l’assunzione di detto mangime. Esiste ad oggi, per la specie canina, uno studio clinico multicentrico nel quale la polvere di echinacea è stata somministrata con il cibo una volta al giorno per otto settimane ad un gruppo di cani con manifestazioni di infezione al tratto respiratorio superiore, per i quali è stato evidenziato esclusivamente in base alle evidenze cliniche, un miglioramento significativo nel 92% dei casi8. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. Christen Y., (2004), Ginkgo biloba and neurodegenerative disorders, Front Biosci, Sep,01;9:3091-104. Goel V, Chang C, Slama J et al, (2002), Echinacea stimulates macrophage function in the lung and spleen of normal rats, J Nutr Biochem, Aug;13(8):487. Goel V, Ovlin R, Barton R et al., (2004), Efficacy of a standardized echinacea preparation (Echinilin) for the treatment of the common cold: a randomized, double-blind, placebo-controlled trial, J Clin Pharm Ther, Feb;29(1):75-83. Hollman PC, Katan MB, (1999), Health effects and bioavailability of dietary flavonols, Free Radic Res, Dec;31 Suppl:S75-80. Mishima S, Saito K, Maruyama H et al., (2004), Antioxidant and immuno-enhancing effects of echinacea purpurea, Biol Pharm Bull, Jul; 27(7):1004-9. O’Neill W, Mc Kee S, Clarke AF, (2002) Immunological and haematinic consequences of feeding a standardized Echinacea (Echinacea angustifolia) extract to healthy horses, Equine Vet J, May;34(3):222-7. Pietta PG, (2000) Flavonoids as antioxidants, J Nat Prod, Jul;63(7):1035-42. Reichling J, Fitzi J, Fürst-Jucker J, et al., (2003), Echinacea powder: Treatment for canine chronic and seasonal upper respiratory tract infections. Schweiz Arch Tierheilk, 145(5),223-231. Sannia A. (2004) Fitoterapia moderna: teoria e pratica, SET Ed. Cassina dei Pecchi (MI), 4,5. World Health Organization, (1999) WHO monograph on selected medicinal plants. 125-135,154-166. Indirizzo per la corrispondenza: Giovanni Cardini Professore Ordinario di Clinica Medica Veterinaria Dipartimento di ClinicaVeterinaria Università di Pisa Viale delle Piagge,2 E-mail: [email protected] Anna Pasquini, Dottoranda di Ricerca in Medicina Veterinaria Dipartimento di Clinica Veterinaria Università di Pisa Viale delle Piagge, 2 E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 47 Approccio ai problemi comportamentali attraverso la valutazione della relazione di pet ownership Maria Chiara Catalani Med Vet, Senigallia (An) Roberto Marchesini, Med Vet, Bologna Introduzione L’osservazione di un rapporto tra proprietario e pet o relazione affiliativa (pet-ownership o PO) eseguita con i criteri stabiliti dalla zooantropologia applicata prevede una valutazione dei parametri di adeguatezza, vale a dire: a) congruità, o correlazione alle caratteristiche specie-specifiche del pet; b) consapevolezza, o assunzione del valore della relazione con il pet; c) equilibrio, o bilanciamento delle diverse dimensioni di relazione; d) responsabilità, o assunzione del carico affiliativo del pet. Il concetto di “dimensione di relazione” riprende quanto specificato nel “Canone di Zooantropologia Applicata” (CZA) ossia piano di incontroconfronto tra pet e pet-owner entro cui si realizza una particolare tipologia di interscambio e di decentramento e una reciproca assunzione di ruolo dei due partner. Sempre in riferimento al CZA le aree dimensionali individuate sono 6 sotto il profilo tipologico di interscambio - ludica, epistemica, edonica, affettiva, sociale, affiliativa - ognuna caratterizzata da due o tre modi di decentramento, vale a dire centripeto, centrifugo o neutro (Tab. 1). Ciascuna area, e le relative dimensioni di relazione in essa contenute, presenta delle caratteristiche specifiche in termini di valenze relazionali (beneficialità) e potenziali rischi (compromissorietà). La relazione di pet-ownership per essere adeguata e positiva per la persona e per l’animale dovrebbe essere rispondente ai quattro parametri (ad); in caso contrario si verificano situazioni derivali che producono sul pet: 1) stress reattivo da alterata formulazione di stimoli; 2) stress proattivo da frustrazione dell’espressione motivazionale; 3) induzione di alterate direttrici ontogenetiche; 4) costrizioni sull’espressione comportamentale. La relazione stessa diventa più debole (fragilità e vulnerabilità) e il pet-owner può demotivarsi all’impegno di relazione. Questo ci fa comprendere che molto spesso, accanto all’intervento di medicina comportamentale (MCA) sul pet, è necessario intervenire sulla struttura di PO per emendare la permanenza di elementi relazionali alterati che sono l’eziologia stessa del problema. L’approccio zooantropologico non vuole sostituirsi a quello della MCA ma semplicemente affiancarsi per facilitare la soluzione del problema intervenendo sulla relazione come “entità fenomenica” caratterizzata da leve strutturali, senza intervenire sul “perché motivazionale” del pet-owner, non essendo questo previsto dallo statuto professionale del medico veterinario. L’intervento sulla relazione fa parte di quell’area della zooantropologia applicata che prende il nome di “sistemica zooantropologica” e si esplicita: 1) attraverso una valutazione diagnostica della struttura di realizzazione, organizzata su tre livelli: a) osservazione della relazione in diverse situazioni; b) questionario sul modo di percepire la relazione da parte del proprietario; c) testaggio su particolari aree di expertise relazionale; 2) con interventi sulla struttura della relazione agendo sui parametri di adeguatezza: a) aumentando le conoscenze e le proprietà di relazione correlate alle caratteristiche del pet; b) incrementando processi di consapevolezza sul valore della pet-ownership; c) favorendo l’espressione delle dimensioni di relazione neglette o non rappresentate in quella relazione. L’approccio zooantropologico di sistemica non si basa su una trasmissione di informazioni bensì su una prescrizione da parte del medico veterinario di attività (attività di pet relationship o APR) da realizzare sul campo e a casa con l’ausilio di un pet trainer. In questo lavoro presenteremo l’intervento su tre parametri di adeguatezza - congruità, consapevolezza, equilibrio - con particolare riferimento a quest’ultimo nell’analisi dei copioni dimensionali di relazione. Variabili di monitoraggio Il monitoraggio dei parametri di adeguatezza di PO ci consente di capire la struttura della pet-ownership e quali APR prescrivere al fine di togliere quei vizi-devianze relazionali che possono causare alterazioni comportamentali nel pet. Il monitoraggio può essere realizzato su più livelli: a) intervista, attraverso un questionario, b) osservazione, attraverso la formulazione di una griglia di variabili; c) test, attraverso la definizione di un protocollo di prove da somministrare. Per quanto riguarda la definizione delle variabili da monitorare è utile che siano aspetti molto specifici e di facile rilevazione nonché chiaramente ascrivibili a un profilo. Le variabili inoltre devono essere adeguate rispetto alla definizione del profilo e acquisibili attraverso più strumenti di monitoraggio, al fine di poter confrontare le risultanze: per esempio mettendo a confronto le acquisizioni dirette (in 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 48 Tabella 1 AREA DIMENSIONALE DIMENSIONI DI RELAZIONE LUDICA Relazione fondata sul gioco, il divertimento, l’autogratificazione, la conoscenza con scarso regime di impegno Ludico-comica Divertimento, distrazione, buon umore sollecitati dalla relazione EPISTEMICA Relazione fondata sull’interesse conoscitivo che l’animale suscita, sullo scambio di conoscenze Epistemico-esplorativa L’animale stimola alla conoscenza centrifuga, di ciò che c’è attorno alla persona e all’animale Epistemico-biografica L’animale suscita la riflessione, il ricordo e l’autonarrazione EDONICA La relazione si basa sul piacere che produce l’interscambio con l’animale Edonico-narcisistica L’animale riconosce, fa sentire importante e cercato e ciò dà importanza alla relazione con lui Edonico-distraente L’animale diviene un tramite per lasciarsi andare senza impegno e distrarsi dalla routine AFFETTIVA La relazione è fonte di sicurezza, protezione, accreditamento e riconoscimento Affettivo-epimeletica Alimentare, curare, avere cura dell’animale, essere responsabili della custodia Affettiva-di attaccamento Chiedere conferme affettive, essere riconosciuti e protetti dall’animale SOCIALE La relazione produce piacere di condivisione, di non essere soli, di vivere una partnership Sociale-performativa Si fonda sulla costruzione di performances di coppia Sociale-collaborativa Uomo e pet comunicano con grande intesa, collaborano ed agiscono in sincronia AFFILIATIVA Il legame è di forte appartenenza e l’animale è parte del gruppo umano. Si sviluppa un rapporto di reciproco sostegno Affiliativo-cooptativa L’animale è affiliato nel gruppo umano ed omologato ai suoi stili di vita set) dello sperimentatore su griglia con la valutazione delle acquisizioni attraverso telecamera da parte di un altro sperimentatore dotato della stessa griglia. I parametri analizzati sono: 1) il grado di congruità, ossia quanto il pet-owner si rivolga al pet come un’alterità, caratterizzata cioè da soggettività, diversità e peculiarità; 2) livello di consapevolezza, ovvero quanto il pet-owner ritiene importante la relazione con il pet; 3) copione dimensionale, o quali dimensioni sono attive e quali no, quali enfatiche e quali neglette. Grado di congruità: si osserverà se il modo relazionale (interazioni, richieste, comunicazione) del pet-owner è compatibile-correlato ai predicati di alterità, in particolare ai caratteri di peculiarità, ad esempio l’etografia della specie di appartenenza. Il profilo motivazionale, l’espressione comportamentale, le modalità comunicative sono entità speciespecifiche che vanno conosciute e rispettate nell’estrinsecazione relazionale al fine di instaurare un rapporto corretto. Le caratteristiche del soggetto o profilo ontogenetico - sulla base della sua storia, della genealogia, del percorso di sviluppo comportamentale in età evolutiva - sono altrettanto importanti e il proprietario dovrebbe testimoniare capacitàtendenze a correlarsi al soggetto animale evitando di cadere in reificazioni, antropomorfismi, pregiudizi, improprietà. Grado di consapevolezza: si esaminerà l’importanza tributata alla relazione nel senso di consapevolezza di valore di una buona relazione o di problematicità di una cattiva relazione, e quindi la disponibilità e l’impegno nella costruzione della relazione e il desiderio di portare a eccellenza la Ludico-cognitiva Sollecitazione dell’immaginario, attivazione mentale più che fisica Edonico-estetica Il piacere della relazione nasce dall’osservare, ammirare qualcosa fuori dalla persona Affiliativo-surrogatoria L’animale diviene il sostituto di un referente umano per favorire l’accreditamento della persona nella comunità umana Ludico-performativa Gioco cinestesico con alta performance fisica ed emozionale, forte componente motivazionale Affiliativo-vicariante L’animale fornisce un’alternativa relazionale alla persona con problemi di relazione con altre persone relazione. L’analisi di consapevolezza mi indica l’interesse del pet-owner per acquisire informazioni sui caratteri del pet, la disponibilità a mettere in pratica i consigli e le prescrizioni del consulente, il livello di compliance e l’alleanza terapeutica che sarà in grado di mettere in atto. L’analisi di consapevolezza valuta altresì il livello di percezione del problema e il livello di rassegnazione rispetto al problema sottoposto al consulente. Questa osservazione potrà essere particolarmente utile quando sono presenti più persone che si relazionano con l’animale per valutare quanto e come ciascuna di esse lo viva e lo percepisca anche rispetto al problema e come si ponga nei confronti della consulenza zooantropologica. Copione di relazione: si osserveranno le prevalenti modalità di incontro-confronto - interazioni, attività, interscambi - tra proprietario e animale e, sulla base di criteri di frequenza (numero di azioni ascrivibili a una dimensione particolare in un tempo t), prevalenza (quantità di tempo trascorso in una particolare attività), preferenza (scelta tra due possibili modalità di incontro-confronto), intesa (capacità di realizzazione dell’azione modale tra i partner), proprietà (capacità di compiere l’azione modale da parte del petowner), si assegnerà un “indice di espressione” a ciascuna dimensione di relazione. In tal modo ponendo in una struttura a istogrammi le diverse dimensioni di relazione che caratterizzano quella particolare pet-ownership sarà possibile verificare il grado di bilanciamento dimensionale ed eventualmente stabilire quali dimensioni risultano enfatiche e 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Tabella 2 Esemplificativa dei copioni dimensionali • L’area ludica è rappresentata da contatti prevalentemente giocosi, da piani di incontro-confronto basati sullo scherzo, sulla finzione, sulla prova, sulla comicità, da alti livelli di attivazione emozionale (arousal), da richieste di performances fisiche e/o di gratificazione del desiderio di distrazione e divertimento, talvolta da un rapporto altalenante nei toni. • L’area epistemica si basa sulla conoscenza e sull’interesse specifico del conoscere, nelle valenze del capire, acquisire un’expertise, avere delle competenze tecniche, con una forte tendenza a informarsi e a declinare il rapporto su componenti fredde sotto il profilo emozionale e più connotate da aspetti cognitivi e rappresentazionali, poco incline all’affettività e alla ludicità. • L’area edonica si caratterizza per attività di incontro-confronto molto rilassanti e appaganti, basate sul piacere della relazione, sulla distrazione, sull’allontanamento dalle situazioni routinarie, sul comportamento disimpegnato e disimpegnante, sulla riflessione e sulla regressione infantile, con atteggiamenti poco inclini alla definizione e al raggiungimento di obiettivi specifici. • L’area affettiva si realizza sulla costruzione della sicurezza emozionale, sul legame, sul riconoscimento soggettivo, sull’attribuzione di senso, con piani di incontro-confronto predominati dalla carezza, dal contatto frequente, dall’azzeramento degli spazi individuali, con tendenze alla morbosità relazionale, dal sostegno reciproco, con forti valenze riferite all’autostima. • L’area sociale si fonda sulla comunicazione, sull’alleanza, sul sostegno performativo, sulla reciprocazione interattiva, sulla stretta e allargata condivisione degli spazi, sulla reciproca richiesta di attenzioni, sulla promozione di attività condivise e sulla proiezione di coppia, è caratterizzata da una tendenza alla partnership e alla forte produttività relazionale. • L’area affiliativa si contraddistingue per una tendenza all’omologazione del pet all’interno delle caratterizzazioni del pet-owner, il pet diventa una sorta di mascotte del gruppo, un elemento esemplificativo del pet-owner, talvolta un vero e proprio status symbol, a scapito delle caratteristiche di peculiarità e soggettività del pet. Altre volte il pet diviene una sorta di spazio rifugio per il pet-owner con tendenza alla morbosità relazionale. quali neglette. L’attribuzione a una specifica dimensione riguarda: a) la tipologia di interscambio, ovvero cosa viene interscambiato (affetto, gioco, affiliazione, etc.) tra proprietario e animale e quali ruoli reciproci assumono i due partner; b) il tipo di decentramento, ovvero se il pet-owner richiama su di sé il pet (centripetazione) o è portato a interessarsi a lui (centrifugazione). Modalità di monitoraggio Il monitoraggio viene realizzato sulla base di tre elementi di acquisizione: a) l’osservazione; b) l’intervista; c) il testaggio. Sulla base delle variabili esemplificate in tabella 3 è possibile assegnare un indice alle diverse variabili di congruità, consapevolezza, equilibrio di relazione e diagnosticare una situazione di inadeguatezza da emendare con specifiche APR. a) L’osservazione della relazione dovrebbe prevedere due tipi di monitor incrociati: una griglia di valutazione ed una telecamera. Nello specifico si osserveranno le interazioni spontanee, il tipo di richieste che la persona fa all’anima- 49 Tabella 3 Elementi da osservare nella dog ownership - tipologie di interazioni a. carezze prolungate b. piccoli buffetti c. pacche sul torace d. scrollate e. invito alla lotta f. comandi - tipi di attività proposte a. gioco fisico b. gioco con oggetti c. problem solving d. obbedienza e. richiesta affettiva f. attività di cura - modo di comunicazione a. verbale b. gestuale c. prossemico d. con oggetti e. mimico - aree di gestione a. modalità di controllo b. passeggiata al guinzaglio c. attenzione allo stato del pet d. modalità alimentazione e. modalità di richiesta f. sicurezza relazionale g. attenzione alla tutela le, gli approcci, le attività che vengono proposte dal petowner. Con la telecamera si potrà avere a disposizione materiale video utile per un confronto diagnostico da sottoporre all’esame di un collega per verificare che quanto rilevato dalla consulenza risponda a criteri oggettivi. L’osservazione della coppia pet-owner dovrebbe essere effettuata: 1) in un setting predeterminato (sala consulenza), 2) in campo aperto e in situazioni esterne ordinarie, 3) in ambiente domestico. In tal modo si potranno raccogliere informazioni complete sulla relazione esistente e comprendere quanto l’ambiente incida sui rilevamenti fatti. b) L’intervista si basa sulla definizione generale del modo di percepire il pet da parte del pet-owner, sulle dimensioni motivazionali, sulle espressioni relazionali, sulla definizione delle aspettative attraverso la somministrazione di un questionario che andrà a esaminare i quattro parametri di adeguatezza. I questionari per la valutazione della pet-ownership saranno necessari per comprendere quali disposizioni ha la persona nei confronti del pet, su cosa poggia la relazione, come viene percepita la consulenza e il problema eventualmente presente. In particolare si andranno a valutare: a) il modo di considerare il pet da parte del pet-owner, b) le aree motivazionali del petowner coinvolte nella relazione con il pet, c) le attività che il pet-owner realizza con il suo pet, d) come si rivolge ordinariamente al pet, e) cosa richiede al pet e quali aspettative ha il pet-owner. c) Dopo aver esaminato la relazione nei suoi parametri di adeguatezza attraverso l’osservazione e l’intervista, sarà necessario confrontare i risultati ottenuti richiedendo al proprietario di svolgere semplici attività col suo animale (esercizi di educazione di base, accarezzarlo, spazzolarlo, ispezionarlo, lasciarlo libero, farsi seguire, etc.) al fine di mettere alla prova il suo livello di expertise ovvero comprendere quanto la persona conosca il pet, cosa la coppia è in grado di fare, come la coppia si posizioni a livello dialogico-interattivo, quanto il proprietario sia in grado di comunicare con il suo pet. Il testaggio di questi aspetti dovrà necessariamente essere costruito tenendo in considerazione la specie animale ed il contesto in cui si svolge ed essere realizzato sempre evitando qualunque rischio per la coppia pet-proprietario. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC ESEMPI DI ANALISI DI CONGRUENZA DELLA PO Indica come è percepito l’animale, quante informazioni conosce il proprietario e quanto percepisce la conoscenza dell’animale come una necessità per una buona relazione. Conosce le caratteristiche di specie del suo pet? ❏ No ❏ Sì ❏ Non so Sa valutare quando il suo pet si trova in una situazione problematica? ❏ Non saprei ❏ Sì ❏ Talvolta 1) Ritiene che l’animale possa essere educato? 2) Se sì, sa come educare il suo animale? 1) ❏ Sì ❏ No 2) ❏ Sì ❏ No Ritiene che oltre al cibo, un riparo e la salute, l’animale abbia altre necessità? ❏ Sì ❏ No Conosce le modalità di comunicazione della specie animale cui appartiene il suo pet? ❏ Sì ❏ No ❏ Un po’ Come comunica al suo animale ciò che desidera da lui? ❏ Gli parlo ❏ Con dei gesti ❏ Non so come fare ❏ Non lo ritengo capace di capire ESEMPI DI ANALISI DI CONSAPEVOLEZZA DELLA PO Indica come il pet-owner si pone nei confronti della consulenza zooantropologica, della possibilità che la relazione col suo animale condizioni il benessere di questo e dei possibili cambiamenti che saranno suggeriti. Che valore dà alla sua relazione con l’animale? ❏ Nessuno, mi fa compagnia ❏ Importante ❏ Lo stesso che ha un familiare Ha pensato di rivolgersi ad un esperto per migliorare tale relazione? ❏ Sì ❏ No ❏ Seguo i consigli di conoscenti Sarebbe disposto a cambiare qualcosa nel modo di relazionarsi col suo animale per poter trarre maggior beneficio dalla relazione con lui e per farlo vivere meglio? ❏ Sì ❏ No ❏ Dipende da cosa dovrei cambiare Crede che si possa migliorare la relazione conoscendo un diverso modo di comunicare con l’animale? ❏ Sì ❏ No Si è mai chiesto se ciò che offre all’animale è adatto al suo benessere? ❏ Sì ma non saprei cos’altro dargli ❏ No, credo che non gli manchi nulla Crede che la relazione col suo animale sia completa? Se risponde no, crede sia necessario A) arricchirla B) capirla C) modificarla sulle mie esigenze D) modificarla sulle esigenze dell’animale E) modificarla sulle esigenze di entrambi ❏ Sì ❏ No ❏ A ❏ B ❏ C ❏ D ❏ E ESEMPI DI ANALISI DI EQUILIBRIO DELLA PO Indica come la persona è disposta verso l’animale, che tipo di dimensione prevale e se esiste la percezione nel pet-owner della mancanza di qualcosa nella relazione. Scelga la definizione che più si avvicina alla relazione che ha col suo animale: ❏ Protezione/sostegno reciproco ❏ Accudimento/Cura ❏ Affetto/tenerezza ❏ Divertimento/gioco ❏ Riconoscimento/fedeltà ❏ Collaborazione ❏ Conoscenza/scoperta ❏ Ammirazione ❏ Studio/osservazione ❏ Compagnia ❏ Esplorazione insieme ❏ Scambio ❏ Sostegno reciproco Se dovesse descrivere il suo animale in relazione a lei lo descriverebbe: ❏ Come un figlio ❏ Un divertente compagno di giochi ❏ Un essere da proteggere ❏ Una utile compagnia ❏ Un compagno che non tradisce mai ❏ Un campione di abilità ❏ Il mio unico vero amico ❏ Il mio partner ❏ Un componente della famiglia ❏ Utile ❏ Un’affascinante compagno da conoscere ❏ Un’occasione per socializzare Cosa l’ha spinta a prendere con sé un animale? ❏ utilità ❏ compagnia ❏ amore ❏ divertimento ❏ regalo ❏ per i figli ❏ altro Il suo animale è: ❏ un componente della famiglia ❏ un compagno di vita ❏ un amico ❏ un animale e basta ❏ un compagno di giochi ❏ un soggetto più debole da proteggere ❏ una fonte di sospresa ❏ una fonte di riconoscenza 50 Sulla base della classificazione della relazione sottoposta ad esame sarà necessario richiedere al pet-owner azioni rivolte a confermare-falsificare le risultanze ottenute nelle fasi di osservazione e intervista. Ad esempio: le risultanze di osservazione-intervista hanno rilevato la tendenza del proprietario a coccolare spesso l’animale, a richiedere attenzioni, a proteggerlo e limitare i suoi movimenti proponendo giochi di varia natura. Da ciò si evidenzia che la PO si presenta sbilanciata in senso centripetativo con tipologie dimensionali enfatiche nelle aree ludica e affettiva. Il test potrà verificare o invalidare il risultato ottenuto proponendo attività che centrifughino l’animale dal proprietario; quindi si potrà chiedere di far eseguire una ricerca al cane, lasciarlo libero di esplorare, di mostrarci esercizi di obbedienza o il modo ritenuto corretto per fare una richiesta all’animale (comunicazione e prossemica). La verifica attraverso il test sull’expertise di relazione è importante perché fornisce una precisa immagine di corrispondenza tra quanto osservato dal consulente, riferito dal pet-owner, raccolto attraverso le domande proposte. Terapia comportamentale e zooantropologia sistemica Una volta ottenuto un quadro completo della tipologia di relazione esistente tra animale e proprietario si potrà distinguere il percorso successivo a seconda che ci si ritrovi ad affrontare un problema di relazione, un disturbo comportamentale dell’animale o entrambe le condizioni. Quindi sarà possibile programmare un intervento su tre livelli: 1) intervento di sistemica zooantropologica, 2) intervento di medicina comportamentale, 3) entrambi gli interventi. La terapia comportamentale (TC) e l’intervento di zooantropologia sistemica (ZS) potranno quindi essere complementari o alternativi a seconda della specificità eziologica del problema comportamentale. Di solito tuttavia la situazione “3” è quella che si presenta con maggiore facilità poiché il disturbo comportamentale può essere l’esito della non adeguatezza relazionale di PO oppure l’alterazione relazionale può esitare in un disturbo comportamentale del pet. Oltre a ciò, quando la patologia presente richiede modificazioni di gestione compatibili con la tipologia di relazione attiva, la ZS potrà completare ed arricchire la TC. Non va dimenticato, infine, che il parametro di consapevolezza è fortemente correlato con la capacità di attivare situazioni di compliance indispensabili nella TC. Ad esempio: relazione sociale-performativa, sindrome Is/Ia. In questo caso la TC prevede l’educazione alla calma, l’apprendimento del gioco controllato, l’apprendimento dei segnali di stop e il tipo di relazione che il pet-owner vive è basata sul piacere di lavorare col suo animale e di raggiungere con lui particolari performances. In questo caso le dimensioni attive non contrastano, al contrario favoriscono, la terapia necessaria e la ZS sarà utile in seguito per arricchire gli scambi tra proprietario e animale, facilitando una relazione equilibrata e stimolante. Al contrario, nel caso di una relazione affettivo-epimeletica con una diagnosi di “intolleranza al contatto” in un 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC gatto, se la TC prevede una diminuzione ed estinzione delle carezze, la valutazione della ZS permette di attendersi che tale intervento non sarà facilmente applicato dal proprietario. In tal caso la ZS indicherà, ad esempio, nuove attività da svolgere con l’animale (per esempio in area ludica: ludico-performative, ludico-cognitive) che aiuteranno la coppia zooantropologica ad interagire diversamente equilibrando le dimensioni attive nella relazione aiutando così il proprietario anche a seguire le indicazioni della terapia comportamentale. Infatti, quando il problema dell’animale richiede una radicale modificazione della gestione e del modo di relazionarsi, la ZS è sempre più efficace perché non richiede alla persona di mettere in discussione la propria percezione e concezione della relazione quanto piuttosto indirizza il petowner verso nuove attività interattivo-relazionali (effettuare esercizi ed attività nuove col suo animale) allargando l’orizzonte di incontro-confronto tra i partner. In questo modo la collaborazione sarà maggiore e la prognosi migliore. 51 non ammette che l’intervento del medico veterinario comportamentalista sia rivolto a modificare motivazioni, aspettative o qualsiasi aspetto legato alla persona (proprietario) sebbene questa sia il tramite fondamentale tra medico e paziente e talvolta possa essere causa evidente del problema dell’animale. Per questo la zooantropologia sistemica lavora per aggirare l’ostacolo: esaminare la relazione e intervenire sulla struttura di PO agendo sui parametri di adeguatezza attraverso una prescrizione di attività di pet relationship. L’approccio zooantropologico, infatti, permette di accrescere i pattern di relazione animale-proprietario attraverso nuove attività che da un lato avvieranno le dimensioni di relazione neglette, dall’altro non comporteranno alcuna fragilità nell’alleanza terapeutica necessaria tra comportamentalista e cliente. Bibliografia Conclusioni Marchesini R., Fondamenti di Zooantropologia, Alberto Perdisa Editore, Bologna, in corso di stampa. Marchesini R., Canone di Zooantropologia Applicata, Apèiron, Bologna 2004. L’approccio zooantropologico ai problemi comportamentali fornisce strumenti utili per ridurre i rischi legati alla mancanza di compliance del proprietario, favorisce l’alleanza terapeutica, facilita la risoluzione del problema comportamentale dell’animale affiancando l’approccio tipico della medicina comportamentale. L’etica professionale, infatti, Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Maria Chiara Catalani Medico veterinario Str.da del giardino - S. Angelo, 164 - Senigallia (An) E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 52 Aggressività e aggressioni “L’aggressività (il cosiddetto male) non è una dimensione distruttiva, ma una tendenza positiva che spinge gli esseri viventi alla conservazione della vita” (Konrad Lorenz) Raimondo Colangeli Med Vet, Comp ENVF, Roma Iniziamo con dire che esiste una differenza etimologica nel definire aggressività e aggressioni. L’aggressività per alcuni psicologi è “l’intenzione di ferire o di danneggiare”; ma questa definizione ci sembra non ricalchi una filosofia etologica. Osservando questo fenomeno nelle varie specie possiamo dire che “sono aggressivi tutti i comportamenti che procurano una posizione di dominanza”: le lotte ritualizzate degli antilopi o dei cervi (che derivano dalle sequenze reali) comportano l’acquisizione di una prerogativa sociale di uno dei contendenti (priorità delle risorse) che si traduce in un distanziamento sia spaziale sia sociale del perdente. Un concetto limitato è definire le aggressioni “solamente quando esiste l’uso della forza fisica per stabilire un distanziamento” in quanto nella sequenza comportamentale esiste una fase appetitiva che corrisponde alla minaccia (il ringhio) e che può essere l’unica presente. Dobbiamo sottolineare che la minaccia e la lotta sono legati da un continuum funzionale e che i loro meccanismi neurofisiologici spesso coincidono. Inoltre secondo il modello etologico-clinico di Patrick Pageat l’indagine semiologica del comportamento di aggressione e la completezza della sequenza è fondamentale per inquadrare correttamente sia la diagnosi sia la prognosi e relativo intervento terapeutico. Al medico veterinario comportamentalista viene spesso richiesta dal proprietario una valutazione di pericolosità del suo animale. L’iter semiologico da seguire deve essere il seguente: 1. definire il tipo di aggressione 2. verificare l’integrità della sequenza aggressiva 3. mettere in evidenza il livello del controllo del morso. 1. Partendo dalla classificazione di Moyer sulle aggressioni, suddivise a seconda delle situazioni scatenanti o dello scopo da raggiungere, Pageat ha definito nel cane cinque sequenze aggressive: l’aggressione predatoria, da paura, gerarchica, da irritazione e territoriale (in cui si comprende anche quella materna). Solo queste ultime tre riguardano i disturbi gerarchici. Ogni tipo di aggressione ha caratteristiche diverse: ■ Aggressione predatoria: legata all’assenza o scarsa socializzazione dell’animale nei confronti delle altre specie; la sequenza varia se l’aggressione avviene su piccole o grandi prede. Difficilmente risolvibile. ■ Aggressione gerarchica: è un comportamento che serve a ribadire oppure ad ottenere il controllo delle prerogative sociali (risorse): cibo, territorio, sessualità, gestione dei contatti. Uno dei sintomi patognomonici è la miosi, legato al controllo della sfera cognitiva su quella emozionale. In un cane dominante il morso è ben controllato, al contrario in caso di ambiguità gerarchica (caso più frequente). ■ Aggressione da irritazione: legata ad una frustrazione, dolore, privazioni (fame, sete) oppure da persistenza di un contatto fisico dopo l’emissione di segnali di arresto. Può essere compiuta da un dominante o da un sottomesso, ma le posture saranno differenziate, oltre ad essere presente midriasi, che sottolinea il coinvolgimento emozionale; l’aspetto peculiare è la brevità della fase appetitiva. L’insorgenza improvvisa dell’aggressione da irritazione deve indurci ad indagare una causa organica (algie artrosiche, tumori del diencefalo, shunt porto-sistemici, alterazioni sensoriali, ecc.). ■ Aggressione territoriale (e materna): si scatena all’entrata di un intruso nel campo di isolamento o nel territorio del branco con una fase appetitiva caratterizzata da abbai, ringhi, marcature territoriali; l’aggressione termina nel momento in cui l’intruso abbandona il territorio. Raramente questo tipo di aggressione si presenta da sola. Nell’aggressione materna si assiste alla seguente sequenza: fase intimidatoria con madre accucciata, attacco rapido con possibilità di morsi ma quando l’avversaria/intrusa si allontana torna alla cuccia e lecca i cuccioli. ■ Aggressione da paura: è un’aggressione compiuta da un soggetto con impossibilità di fuga ed è caratterizzata dalla assenza della fase appetitiva, morso non controllato e ripetuto, presenza di manifestazioni neurovegetative (ptialismo, diarrea, minzioni emozionali). 2. Integrità della sequenza aggressiva: la perdita della fase di appagamento, l’arresto, ed in seguito la perdita della fase appetitiva, il ringhio, lasciano presente la sola fase consumatoria, cioè il morso e questo processo patologico viene chiamato strumentalizzazione e comporta una iperaggressività secondaria. Si può rilevare questo processo in patologie comportamentali quali la sociopatia stadio 2, le distimie, la sindrome Hs-Ha in forma avanzata, nella fobia sociale; un caso particolare è la destrutturazione della sequenza compiuta per condizionamento operante nell’addestramento all’attacco dove la fase appetitiva e di arresto è decisa e controllata dal conduttore. 3. Il livello del controllo del morso: oltre alle cause già sopra esposte ricordiamo che l’assenza di controllo del morso è presente nel cane con sindrome Hs-Ha, inizialmente durante l’attività ludica e solo in seguito per condizionamento operante si giunge ad una strumentalizzazione dell’aggressione. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Sociopatia interspecifica e comportamento di aggressione Uno dei motivi più frequenti di richiesta di consultazione comportamentale da parte dei proprietari è il comportamento di aggressione del loro animale da compagnia. E se, ancor prima di raccogliere i dati semiologici, noi domandiamo ai proprietari la causa di questo comportamento, una percentuale molto significativa risponderà che il loro cane è aggressivo in quanto è dominante. La sociopatia interspecifica, caratterizzata dalla conflittualità gerarchica, è una patologia relazionale fra proprietari e cani dovuta ad una incomprensione, ignoranza, antropomorfizzazione, sopravvalutazione del ruolo dell’animale all’interno del contesto familiare. La diagnosi di sociopatia interspecifica si può definire in un cane che ha acquisito alcune prerogative sociali (sintomo obbligatorio) ed almeno due dei seguenti sintomi: 1. Triade dell’aggressività (aggressione gerarchica + aggressione da irritazione + aggressione territoriale) 2. Aumento della frequenza del comportamento di presa alimentare in presenza di uno o più componenti della famiglia 3. Minzioni gerarchiche 4. Cavalcamenti gerarchici su una o più persone dello stesso sesso del cane 5. Nelle femmine: pseudo-gravidanza con poca produzione di latte, ed aggressioni materne in prossimità dell’oggetto di sostituzione quando la proprietaria ci si avvicina (gioco, pantofola, ecc...) 6. Appropriazione dei bambini ed aggressioni materne quando la proprietaria si avvicina 7. Aggressioni sui figli dei proprietari 8. Distruzioni dei mobili attorno alle uscite, da dove i proprietari lasciano la casa, ed attorno alle finestre da dove il cane li vede partire. Da ciò si evince che un sociopatico non è obbligatoriamente un cane aggressivo, e quindi si allontana dalla diagnosi anglosassone di “aggression of dominance”. La differenza semiologica fra lo stadio 1 e lo stadio 2 è l’integrità della sequenza (iperaggressività secondaria nello stadio 2), il che comporta un peggioramento nella prognosi. Il nostro lavoro è, in primis, compiere una ristrutturazione cognitiva cioè la trasformazione della rappresentazione e delle conoscenze dei proprietari sul concetto di gerarchia, dominanza, sottomissione, dei pattern comportamentali dei canidi e della comunicazione intra e interspecifica. La gerarchia La gerarchia esiste all’interno di un gruppo sociale, ma perché degli individui della stessa specie si riuniscono in un gruppo? Seguendo le idee evoluzionistiche di Darwin, per una più facile sopravvivenza della specie, attraverso tre motivi sostanziali: 53 • il procacciarsi il cibo: maggiore capacità di cattura di prede e approvvigionamento. • la presenza di un territorio e la difesa di questo da cospecifici esterni al gruppo • la difesa dai predatori: diminuzione dello stato globale di allerta di ogni singolo individuo e maggiore potere difensivo. Il prezzo che però bisogna pagare all’interno di un gruppo sociale è la competizione sulle risorse ambite, tra cui il cibo e la possibilità di riprodursi. E ciò comporterà, nel rispetto di una politica di economia di forze spese, la necessità di un codice di regole gerarchiche e di un mantenimento dei ruoli gerarchici che facilitino la gestione delle risorse comuni. Lo stabilirsi dei ruoli gerarchici, rafforzato dai suoi rituali sociali, permetterà una diminuzione ed una canalizzazione delle pulsioni aggressive e favorirà la riproduzione degli elementi dominanti, nel rispetto delle direttive darwainiane. Quali sono dunque le prerogative sociali significative per i cani? Come si diventa leader? Essenzialmente i privilegi sociali sono: • il controllo dell’accesso al cibo: i componenti del gruppo ricercano ed uccidono la preda, ma è il dominante che inizia il pasto, guardato dal resto del gruppo, e solamente quando lascerà la risorsa alimentare, gli altri potranno nutrirsi. • il controllo del territorio: il dominante gestisce le entrate, le uscite dei componenti del gruppo, e sceglie i luoghi più strategici per controllare il territorio. Il sottomesso ha a disposizione una zona sociale periferica, dal punto di vista sociale e topografico, a lui destinata e quindi ansiolitica. • il diritto alla sessualità: il maschio dominante non è il solo a riprodursi all’interno del branco, ma è solo lui che può ostentare la sessualità, accoppiandosi davanti al resto del gruppo. Allo stesso modo il diritto alla riproduzione è prerogativa delle femmine dominanti. • il controllo dell’iniziativa: il dominante decide quali comportamenti possano adottare e quali azioni possono compiere gli altri componenti del gruppo. Una falsa convinzione di molti proprietari è che il ruolo di dominante sia prerogativa solo dei maschi: al contrario ritroviamo una struttura gerarchica, fra l’altro molto meno flessibile fra le femmine, in quanto lineare (F1 dominante su F2, F2 dominante su F3, e così via); nel maschio invece la struttura è circolare (M1 su M2, M2 su M3, M3 su M4 che può però dominare su M2, e così via). Ritornando ai rituali sociali e al simbolismo comunicativo dei cani, per acquisire e mantenere questi privilegi un dominante adopererà: • l’aggressione gerarchica • le posture e la cinetica da dominante in contrapposizione a quelle del sottomesso • il rilascio di feromoni dalle ghiandole peri-orali e auricolari ed in concomitanza delle marcature urinarie, podali, ecc. • L’utilizzo di un privilegio, in assenza dell’effettivo bisogno fisiologico, per sottolineare un suo diritto. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Terapia della sociopatia interspecifica Da un punto di vista dell’intervento terapeutico le strade da percorrere possono essere tre: ■ terapia farmacologica: lo psicotropo di scelta sarà definito dalla diagnosi funzionale e dai sintomi riscontrati. In caso di triade dell’aggressività possiamo scegliere tra la fluoxetina (1-4 mg/kg/die); se preminente l’aggressione per irritazione la carbamazepina (20-40 mg/kg/die in due volte) + acetato di ciproterone (3-5/mg/kg/die in due volte le prime due settimane, ed a dosaggio dimezzato per altre due settimane); se preminenti l’ipervigilanza, l’ipermotricià e sintomi digestivi (disfunzione noradrenergica e dopaminergica) la selegilina (0,5 mg/kg/die). ■ Terapia feromonale: il Dap (Dog Appesing Pheromone) in diffusore può essere di supporto in quanto tende a diminuire lo stato di disagio dell’animale. Ricordiamo che l’ambiguità gerarchica di per sé è un fattore di stress per l’animale, che non vede ben definito il suo ruolo all’interno del gruppo familiare. ■ Terapia comportamentale: tecnica principe è la Regressione Sociale Guidata, tecnica cognitivo-comportamentale che tende in modo soft a rendere i proprietari leader autorevoli: le indicazioni sono: - Regressione dello stato gerarchico: il cane diventerà un sottomesso 54 - Sociale, in quanto varieremo i comportamenti che hanno un valore di privilegio sociale nel branco - Guidata, in quanto la terapia sarà modulata nel tempo, con delicatezza, senza provocare ulteriori conflitti tra il cane e la famiglia. È bene sottolineare che la terapia farmacologica/feromonale è solo di affiancamento alla terapia comportamentale e la sua utilità è legata ad una guarigione dello stato patologico. Conclusioni L’attenta raccolta semiologica comportamentale ci permette di definire in modo scientifico l’indice di valutazione di pericolosità di un cane. Alla luce della diagnosi (nosografica, funzionale e contestuale) potremmo emettere una prognosi del caso e la possibilità di un intervento terapeutico, nel pieno rispetto del benessere dell’animale, del sistema familiare e della società. Indirizzo per la corrispondenza: Raimondo Colangeli Via dei Gracchi 297/a - Roma 00192 Tel. 0039/063214709 - 0039/3476315513 E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 55 Il tetano nel cane e nel gatto Daniele Sebastian Corlazzoli Med Vet, Roma Il tetano è causato dall’azione di una potente neurotossina sintetizzata nel corpo del paziente dal Clostridium tetani, un batterio anaerobio, Gram positivo, mobile, non capsulato e sporigeno. Esistono differenti ceppi di C. tetani, tuttavia la tossina prodotta è antigenicamente omogenea. Le spore di C. tetani sono diffuse nell’ambiente, dove l’umidità, le coltivazioni e la concimazione ne favoriscono la sopravvivenza. C. tetani è frequentemente isolato dalle feci degli animali domestici, inclusi il cane e il gatto. Le spore possono sopravvivere mesi o anni purché non esposte direttamente alla luce solare. Le spore sono resistenti alla bollitura, ai fenoli, cresolo, mercurio bicloridrato e resistono in autoclave a 120° per 20’. La forma vegetativa di C. tetani non è più resistente di qualsiasi altro microorganismo. La via di ingresso è rappresentata da ferite contaminate. Le spore proliferano in presenza di ambienti anaerobi. La presenza di corpi estranei, necrosi, altri micororganismi o ascessi ne favoriscono la proliferazione. Le forme vegetative di C. tetani producono due tossine: la tetanolepsina e la tetanospasmina. La tetanolepsina causa, in vitro, emolisi, tuttavia non è considerata clinicamente rilevante. La tetanospasmina, al contrario, produce marcati effetti neuromuscolari. La sensibilità alla tossina tetanica è differente nelle varie specie. Sensibilità alla tossina tetanica assegnando arbitrariamente al cavallo valore 1 in quanto animale più sensibile: Cavallo Uomo Topo Coniglio Cane Gatto Pollo 1 3 12 24 600 7200 360.000 Il cane e il gatto sono naturalmente più resistenti agli effetti della tossina, per questo motivo la prevalenza della patologia è più bassa in queste specie. Il sito di produzione della tossina è importante nel determinare il quadro clinico. La tossina tetanica è un dimero composto da una proteina che si lega alle cellule nervose e alle proteine di trasporto, e da una proteina che blocca il rilascio di neurotrasmettitori. La tossina entra negli assoni del più vicino nervo motore in corrispondenza della placca neuromuscolare, e migra per trasporto retrogrado fino al corpo cellulare del neurone a livello spinale. Dal neurone spinale è in grado di ascendere bilateralmente fino al cervello. La sommistrazione di grandi quantità di tossina per via endovenosa provoca di solito segni clinici intracranici (convulsioni, spasmi facciali e arresto respiratorio) prima di poter sviluppare rigidità degli arti. Si ritiene che piccole quantità di tossina tetanica siano in grado di penetrare la barriera ematoencefalica intatta. È possibile che la tossina si leghi alle placche neuromuscolari di più nervi motori ascendendo parallelamente a livello cerebrale. Alternativamente le tossine possono essere diffuse sistemicamente attraverso il sistema circolatorio. La tetanospasmina non può essere assorbita per via gastroenterica e non può attraversare la placenta. Il coinvolgimento iniziale della muscolatura facciale dopo diffusione ematogena della tossina potrebbe essere causato da una minore lunghezza del nervo facciale comparato ai nervi presenti negli arti. La tossina tetanica inibisce il rilascio di glicina e GABA, neurotrasmettitori inibitori, a livello cerebrale e spinale. Inoltre espleta la sua azione patogena anche sulle giunzioni neuromuscolari e sui gangli del sistema autonomo. L’affinità della tossina tetanica per i gangliosidi nella sostanza grigia del sistema nervoso centrale sembra giustificare la predominaza di segni cerebrali in alcuni pazienti a fronte di assenti segni spinali. L’azione della tossina sul sistema nervoso autonomo può essere la causa della bradicardia, probabilmente tramite un ipertono vagale. La tossina tetanica può bloccare inoltre i neurotrasmettitori nel centro inibitorio cardiaco del nucleo ambiguo causando un ipertono vagale e gravi bradiaritmie. Un aumentato rilascio di catecolamine associato a stimolazione adrenergica, può anche causare episodi di ipertensione o tachicardia. I segni clinici compaiono generalmente in un periodo compreso tra 5 giorni e 3 settimane dalla ferita. La ferita può essere non apprezzabile, soprattutto nel cane. Ferite più vicine alla testa causano sintomi più rapidamente e più generalizzati che ferite sugli arti. Il tetano è una contrazione continua dei muscoli estensori, la tetania invece è una contrazione intermittente. Entrambe le forme possono essere presenti in corso di infezione da C. tetani. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC È possibile riconoscere una forma di tetano localizzata e una forma generalizzata. La forma localizzata è espressione della resistenza del cane e del gatto all’azione della tossina ed è caratterizzata dalla rigidità estensoria di un solo arto o di entrambi gli arti posteriori o anteriori. La rigidità di solito si sviluppa in stretta vicinanza con la ferita e diffonde successivamente a tutto l’arto ed eventualmente all’arto controlaterale. Nelle forme che colpiscono l’arto anteriore nel gatto si assiste a una rigidità estensoria del gomito associata a flessione del carpo, a differenza del cane, in cui anche il carpo viene mantenuto esteso. È importante distinguere questa forma dalle contratture post-traumatiche e dagli esiti di infezioni da neospora, soprattutto nelle forme che colpiscono il treno posteriore. Nella forma generalizzata si assiste a una rigidità diffusa ai quattro arti, le reazioni posturali sono abitualmente mantenute, i riflessi spinali non sono evocabili a causa della rigidità estensoria. Spesso la stazione è ad ampia base, cosiddetta “a cavalletto”. I segni intracranici compaiono in un secondo momento causando progressivamente un aumento del tono muscolare fino a obbligare il paziente al decubito. Successivamente può comparire: - protrusione della terza palpebra ed enoftalmo per l’ipertono dei muscoli extraoculari - corrugamento della fronte con avvicinamento delle orecchie e contrazione della muscolatura facciale con conseguente “riso sardonico” - trisma mandibolare - tachicardia - scialorrea - spasmo laringeo - disfagia - rigurgito nei pazienti che sviluppano ernia iatale Stimoli tattili o uditivi anche minimi possono scatenare crisi generalizzate di spasmo muscolare ed eventualemente convulsioni. Lo spasmo muscolare riflesso è doloroso e spesso gli animali vocalizzano durante questi episodi. Disuria, ritenzione urinaria e costipazione possono essere la conseguenza della contrazione persistente dello sfintere vescicale o anale. La progressione della sintomatologia può causare morte per insufficenza respiratoria causata da: - spasmo della muscolatura respiratoria - spasmo laringeo - aumento delle secrezioni bronchiali - paralisi respiratoria centrale. La diagnosi differenziale nelle forme generalizzate di tetano comprende patologie mesencefaliche o della porzione rostrale del cervelletto: - encefaliti - neoplasie - carenza di Vit B1 (tiamina) - intossicazioni (stricnina) Nel tetano la contrazione dei muscoli estensori è continua, nella tetania e nella miotonia al contrario la contrazione è intermittente. 56 In questi casi il diagnostico differenziale si amplia a comprendere anche: - patologie metaboliche (ipocalcemia, ipoglicemia) - patologie cerebrali diffuse - patologie tossiche (op, stricnina, piombo) - patologie congenite. La valutazione clinica del paziente permette comunque in molti casi di formulare un sospetto clinico di tetano, soprattutto nei casi più lievi in cui sia presente rigidità sui quattro arti associata ad alterazioni del visus del paziente. Nelle forme più gravi escludere patologie intracraniche diverse sulla base del solo reperto clinico può essere complesso. Le alterazioni ematochimiche sono aspecifiche. La sierologia può essere utilizzata per confermare un sospetto clinico, i valori ottenuti devono essere confrontati con quelli di animali di controllo sani. L’elettromiografia evidenzia una persistente scarica di potenziali di unità motoria. Il trattamento può richiedere lunghi periodi di ospedalizzazione e la prognosi può essere riservata, soprattutto nei casi in cui il trattamento sia tardivo. Il cane e il gatto sono comunque resistenti alla tossina tetanica, le forme più frequenti sono di media gravità e rispondono al trattamento. Il trattamento comprende: - somministrazione dell’antitossina tetanica - gestione della ferita - trattamento antibiotico - sedativi - terapia fisica e assistenza infemieristica nei pazienti in decubito L’antitossina tetanica è siero iperimmune equino o globuline umane. L’antitossina lega la tossina circolante e quindi può controllare la progressione dei segni clinici solo se somministrata precocemente, non interagisce con la tossina già legata alla cellula nervosa. La via di somministrazione consigliata è endovena (1001000 UI/kg), lenta (15-30’). Dopo somminsitrazione sottocute sono necessarie 4872 ore per il raggiungimento di livelli terapeuticamente efficaci. Essendo proteine eterologhe, la somministrazione endovena può causare shock anafilattico. La somministrazione dovrebbe sempre essere preceduta da una iniezione test intradermica di 0.1-0.2 ml, e non andrebbe mai ripetuta. La ripetizione della somministrazione endovena aumenta il rischio di shock anafilattico, inoltre livelli terapeuticamente efficaci persistono nel sangue per 14 giorni dopo una singola somministrazione endovena. Una dose inferiore di antitossina (100 UI) può anche essere iniettata in sede perilesionale nei casi in cui il sito d’infezione sia evidente. Pazienti con sintomatologia molto grave possono beneficiare della somministrazione intratecale; la dose in questo caso è circa l’1% della dose endovenosa. La somministrazione intratecale è più rischiosa e andrebbe riservata solo ai pazienti più gravi. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Nei casi in cui la sede di infezione sia evidente, la pulizia della ferita e la rimozione dei tessuti necrotici favorisce l’eradicamento dell’infezione. La ferita andrebbe manipolata solo dopo la somministrazione dell’antitossina tetanica a causa dell’elevata quantità di tossina che può essere liberata. Il trattamento antibiotico è volto a eradicare l’infezione da C. tetani e limitare quindi l’assorbimento di tossina. Si utilizzano antibiotici attivi contro i germi anaerobi, in particolare Pencillina G o Metronidazolo, per 10 giorni. In alcuni pazienti può essere necessario controllare gli spasmi muscolari riflessi e le convulsioni. Le fenotiazine e i barbiturici sono i due farmaci di elezione. Le fenotiazine sono molto utili nel controllo degli stati di ipereccitabilità. È possibile che esplichino la loro azione a livello del tronco encefalico deprimendo stimoli eccitatori discendenti diretti ai motoneuroni inferiori spinali. Il tetano è l’unico caso in cui le fenotiazine sono consigliate in pazienti a rischio di convulsioni. I barbiturici sono invece indicati in caso di convulsioni, rigidità muscolare diffusa e opistotono. Anche le benzodiazepine riducono lo spasmo muscolare e sono utili nel controllo delle crisi convulsive. In medicina umana vengono utilizzati anche bloccanti neuromuscolari, quali il pancuronio o il vencuronio, tuttavia non esistono segnalazioni in medicina veterinaria. 57 La gestione di un caso complesso di tetano con sintomi gravi richiede senza dubbio il ricovero e un gruppo di persone dedicate alla cura del singolo paziente, e comporta comunque una prognosi riservata. Le cure sono volte a controllare: - il rischio di lesioni da decubito - la pervietà delle vie aeree - le secrezioni bronchiali - le alterazioni del ritmo cardiaco - ritenzione urinaria e fecale - l’ipertermia - provvedere un’adeguata alimentazione eventualmente tramite sonda esofagostomica o gastrostomica. La prognosi è buona per pazienti con sintomi di media gravità, il ritorno alla normalità è prevedibile verso la terza settimana dalla istituzione del trattamento. Letture consigliate Green, CE. Tetanus. In: Infectious diseases of the dog and cat. Philadelphia: W.B. Saunders; 1998, pp 267-273. Chrisman, CL. Ophistotonus, tetanus, tetany, tremors myoclonus, and other muscle spasms. In: Problems in small animal neurology Philadelphia: Lea & Febiger; 1991, pp 307-318. Indirizzo per la corrispondenza: Daniele Sebastian Corlazzoli E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 58 Miopatie traumatiche dell’ileopsoas Daniele Sebastian Corlazzoli Med Vet, Roma Le lesioni traumatiche del muscolo ileopsoas causano una zoppia a carico del treno posteriore. Distinguere i segni di questa patologia da quelli legati a una compressione lombo-sacrale o a una patologia coxofemorale può essere complesso. Per questo motivo ritengo che conoscere e riconoscere le lesioni traumatiche del muscolo ileopsoas sia importante nella formulazione di un diagnostico differenziale tanto neurologico quanto ortopedico. Il muscolo ileopsoas appartiene ai muscoli sotto-lombari, che originano sulla superficie ventrale delle vertebre toraciche caudali e lombari, e si inseriscono sul bacino e sul femore. I m. sotto-lombari sono: - m. quadrato dei lombi; - m. ileopsoas; - m psoas minore. Sono disposti in piu strati sovrapposti. Il m. quadrato dei lombi è il più dorsale e origina dalle ultime v. toraciche e da tutte le v. lombari. Ventralmente è in contatto con il m. psoas minore nelle ultime toraciche, con il m. psoas maggiore dalla quarta v. lombare. Prende inserzione sulle v. lombari e sulla pelvi e quindi è un muscolo flessore della colonna e della pelvi sulla colonna. Il m. ileopsoas (m.i.p.) giace ventralmente al m. quadrato dei lombi e dorsalmente al m. psoas minore. È composto da un punto di vista anatomico dalla fusione di due muscoli, il muscolo iliaco e il muscolo psoas maggiore. Il m. psoas maggiore origina dai processi trasversi della seconda e terza vertebra lombare dove giace lateralmente al m. quadrato dei lombi. Tramite l’aponeurosi del m. quadrato dei lombi prende inserzione anche sulle vertebre lombari dalla quarta alla settima. Decorre ventralmente all’ileo dove si fonde con il muscolo iliaco che origina dalla superficie ventrale dell’ileo. I due muscoli decorrono fino all’inserzione comune sul piccolo trocantere femorale, posto sulla faccia mediale del femore. Il m.i.p. è un flessore del femore sul bacino. Il m. psoas minore origina dalla fascia del muscolo quadrato dei lombi in corrispondenza delle ultime verterbre toraciche e delle prime lombari. Si inserisce sulla pelvi in corrispondenza dell’eminenza pettinea. È un flessore della pelvi. I pazienti presentati con lesioni traumatiche del m.i.p. sono giovani, attivi e dimostrano zoppie da lievi a gravi. Talvolta nella posizione seduta tendono a mantenere il femore extraruotato per ridurre la tensione sul ventre muscolare del m.i.p. L’esame dell’andatura può essere normale. Le manovre cliniche che evidenziano una lesione del m.i.p sono: - palpazione della muscolatura ventralmente alla colonna lombare - estensione dell’anca e intrarotazione del femore - palpazione dell’inserzione tendinea sul piccolo trocantere - palpazione del ventre muscolare per via transrettale da ore 7 a ore 9 e da ore 3 a ore 5. Le trappole che conducono a una diagnosi errata di sede sono 2: 1) La palpazione della colonna lombo-sacrale quando effettuata appoggiando i pollici dorsalmente e le dita ventralmente, in quanto sollecita tanto la colonna quanto la muscolatura ventralmente a essa. 2) L’estensione della coxofemorale in quanto può evocare dolore sia nelle patologie articolari, sia nelle patologie lombo-sacrali e anche nelle patologie del m.i.p. Nella visita clinica di un paziente presentato per zoppia posteriore è necessario eseguire manovre che evochino algia in singoli distretti. In particolare: - estensione della colonna lombo-sacrale senza estensione dell’anca - palpazione del ventre muscolare o della inserzione tendinea del m.i.p. - movimenti passivi dell’anca senza sollecitare lombosacro e m.i.p. L’ecografia è l’esame di elezione per la conferma del sospetto clinico, a causa della minima invasività e della grande diffusione in medicina veterinaria. TC e RM sono indagini molto sensibili, ma non esistono dati completi in veterinaria; inoltre la necessità di eseguire questi test in anestesia ne riduce il vantaggio. In medicina umana si ritiene che la RM possa avere una sensibilità superiore alle altre metodiche nello studio delle patologie muscolari. In medicina veterinaria i casi descritti non sono sufficienti a definire la sensibilità di ecografia, TC e RM nello studio di questa patologia. Ecograficamente è necessario localizzare le vertebre lombari e il tessuto adiposo sottolombare, il m.i.p. giace tra queste due strutture. I reperti ecografici tipici sono rappresentati da: - aumento di volume del muscolo; - aree di ipoecogenicità; - aree di iperecogenicità. L’aumento di volume può essere associato a edema ed è più frequente nelle fasi acute. L’ipoecogenicità è associata a emorragia acuta, o accumulo di fluidi interstiziali. Aree di iperecogenicità sono state descritte in associazione a lesoni croniche del m.i.p. e si ritiene che rappresentino aree di fibrosi o di mineralizzazione ectopica. Il trattamento consiste in riposo assoluto e utilizzo di brevi cicli di antiinfiammatori. La prognosi è buona, tuttavia in alcuni soggetti può essere necessario ricorrere a tenectomia del m.i.p. Letture consigliate Breur, G.J., et al: Traumatic injury of the iliopsoas muscle in three dogs. JAVMA, Vol 210, No11, 1997, pp 1631-1634. Rossmeisl, J.H., et al: Computed tomographic features of suspected traumatic injury of the iliopsoas and pelvic limb musculature of a dog. Vet Rad, Vol 45, No 5, 2004, pp 388-392. Indirizzo per la corrispondenza: Daniele Sebastian Corlazzoli E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 59 La sala d’aspetto: usi ed abusi Gualtiero Walter Crotti Med Vet, Dipl Master cardiologia, Civitanova Marche (MC) Roberto Tovini, Med Vet, Milano Marco Viotti, Med Vet Torino Questo lavoro vuole rimarcare l’importanza della sala d’aspetto come “biglietto da visita” di una struttura veterinaria. È proprio attraverso questo locale che il cliente fa il suo ingresso nella struttura stessa. È questo il primo ambiente che il proprietario vede e nel quale può passare del tempo, ed una sala d’attesa ben curata, pulita, adeguatamente arredata ed illuminata fornisce una prima buona impressione, è di grande ausilio per mettere a proprio agio il cliente, e connota immediatamente il livello della struttura ed il suo posizionamento sul mercato, oltre a dare alla struttura stessa la possibilità di inviare messaggi precisi alla clientela. Nel lavoro sono state incluse 30 (vedi nota finale) sale di attesa di strutture, un numero da noi considerato statisticamente rilevante, scelte in zone diverse del territorio italiano. Queste sono state visitate con occhio critico, documentando la visita con foto, mettendosi dal punto di vista del cliente e valutandole con la mentalità di un fruitore di servizi. La visita è stata ovviamente autorizzata dal direttore sanitario della struttura, che ha anche accettato di metterre a disposizione le immagini relative e le eventuali critiche poste durante la relazione. Viste le difficoltà di scelta di adeguati criteri di valutazione, abbiamo deciso di raggruppare le strutture visitate in base al numero di colleghi vi lavorano nei gruppi seguenti: • Strutture con un solo Veterinario • Strutture in cui operano fino a tre Veterinari • Strutture complesse nelle quali lavorano più di quattro Veterinari È stata inoltre valutata la modalità di gestione della clientela, considerando quali strutture lavorino solo o prevalentemente per appuntamento e quali no, e quali effettuino anche apertura al pubblico continuativa. È stata posta una particolare attenzione su alcuni aspetti: l’accoglienza che la sala trasmetteva, la prima impressione che si ricava dall’osservazione dell’ambiente e la percezione di sensazioni gradevoli e sgradevoli. Pertanto sono state valutate impressioni visive, olfattive, la presenza o meno di rumori o suoni gradevoli, la qualità del primo contatto con il rappresentante della struttura e l’accoglienza riservata, l’impressione globale di “trovarsi a proprio agio” in un ambiente in cui il cliente “è gradito”. Nella valutazione sono stati presi in considerazione in sequenza diversi aspetti della sala d’aspetto: • lo spazio immediatamente esterno alla sala d’attesa ed in prossimità dell’ingresso; • l’architettura e le dimensioni, la pavimentazione, gli infissi, l’arredamento, l’illuminazione, i colori delle pareti ed i loro abbinamenti; • la presenza o meno della reception, la presenza di una separazione tra zone per i cani e per i gatti, la disponibilità di un bagno a disposizione del pubblico con un facile accesso dalla sala d’aspetto; • le poltroncine e la loro comodità, la presenza di piante o complementi di arredo personalizzanti, la presenza di bacheche ed il loro contenuto, i poster o quadri o fotografie affisse, le comunicazioni presenti ed il loro contenuto, la presenza di un angolo dedicato ai bambini, la presenza di un televisore ed i contenuti di quanto trasmesso (VHS, ecc), la diffusione di musica; • le condizioni igieniche, la presenza di odori, • la presenza di distributori di bibite o snacks. Nel valutare in modo sistematico tutte queste caratteristiche, abbiamo rimarcato gli aspetti o i particolari che ci hanno favorevolmente impressionato e che, a nostro giudizio, danno un’impronta personale, mostrando la cura e l’attenzione riposta nella costruzione di un ambiente gradevole, caldo ed accogliente. Nota: il numero di sale è stato dato in 30 ma potrà essere superiore, in quanto il lavoro al momento della stesura di questo estratto non è stato ancora completato. Indirizzo per la corrispondenza: Dott. Roberto Tovini Via Petrarca 29 20093 Cologno Monzese - MI Tel. e Fax 022543324 E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 60 Neoplasie mesenchimali: croce e delizia del citologo Davide De Lorenzi Med Vet, SMPA, Forlì Una volta stabilito che il campione citologico in esame non è di natura infiammatoria, per la presenza sul vetrino di elementi non riferibili a cellule quali granulociti neutrofili, macrofagi, monociti e plasmacellule, un fondamentale passaggio dell’esame citopatologico consiste nell’individuare l’oncotipo, ovvero la linea cellulare di origine, della proliferazione patologica in atto. Tradizionalmente si riconoscono tre categorie principali: neoplasie di derivazione epiteliale, mesenchimale e rotondocellulare; queste suddivisioni vengono effettuate sulla base delle caratteristiche citomorfologiche della popolazione cellulare sospetta. In particolare vengono osservati il numero di cellule che la biopsia con ago sottile ha permesso di raccogliere (cellularità), la tendenza che queste cellule hanno nel raggrupparsi in ammassi più o meno organizzati (clusters) formando insiemi ordinati che prendono il nome di architetture, le caratteristiche morfologiche delle singole cellule (forma e colore del citoplasma e forma, numero, disposizione e struttura nucleare) e la presenza di elementi non cellulari ma derivanti dal metabolismo delle cellule stesse (sostanza fondamentale, secreti, amiloide ed altro). Le neoplasie mesenchimali sono generalmente caratterizzate dalla presenza di una cellularità da modesta a moderata, con presenza di cellule singole o raccolte in piccoli clusters ad architettura stromale, storiforme o perivascolare. Le singole cellule mostrano morfologia tendenzialmente fusiforme, tanto che il termine “fusocellulare” viene spesso utilizzato come sinonimo di “mesenchimale” (Fig. 1) ed il nucleo, generalmente singolo e centrale, è di forma ovale. Il citoplasma è normalmente basofilo e spesso i margini citoplasmatici risultano sfumati e non ben identificabili. Frequente è il rilievo di matrice intercellulare (Fig. 2), generalmente di colore da porpora a viola a tenuemente rosato, genericamente definita sostanza fondamentale che è l’espressione dell’attività metabolica delle cellule stesse. In determinate circostanze è possibile ulteriormente definire questa sostanza come condroide, osteoide od altro. I criteri di malignità che vengono applicati a questa categoria cellulare non differiscono da quelli comunemente impiegati in presenza di altre linee cellulari: anisocitosi, anisocariosi, variazioni di rapporto N/C, nucleoli di forma irregolare e di grosse dimensioni, mitosi numerose ed atipiche. Un criterio di atipìa che si applica solamente alle neoplasie mesenchimali è rappresentato dalla eventuale elevata cellularità dei campioni citologici: poiché una caratteristica dei tessuti mesenchimali è data dalla forte coesione intercellulare, conseguenza della funzione di sostegno e protezione che spesso questi tessuti hanno, il trovare campioni ad elevata cellularità generalmente indica una perdita di questa caratteristica dei tessuti maturi e ben differenziati e pertanto viene interpretata come aspetto di dedifferenziazione associata alle neoplasie maligne. Questo in teoria. Nella pratica neoplasie a cellule mesenchimali possono assumere morfologie diversissime da quelle descritte poco sopra, e questo a causa della notevolissima diversificazione e specializzazione che i tessuti di derivazione mesodermica assumono durante lo sviluppo dell’organismo. FIGURA 1 - Elementi fusocellulari. FIGURA 2 - Sostanza fondamentale. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 61 FIGURA 3 - Leiomiosarcoma intestinale (cane). FIGURA 5 - Meningioma (cane). FIGURA 4 - Sarcoma cutaneo (gatto). Basti pensare che tessuti a funzione diversissima come tessuto osseo, muscolare, endoteliale, aracnoideo, adiposo e connettivale derivano tutti dal mesoderma e che tutte le neoplasie benigne e maligne che da questi possono derivare rientrano tutte nella categoria delle neoplasie mesenchimali. Non solo le neoplasie mesenchimali fusocellulari possono presentare uno spiccatissimo pleomorfismo nell’ambito delle differenti categorie tumorali (Fig. 3 e Fig. 4) ma esistono anche neoplasie mesenchimali caratterizzate dall’essere composte da elementi prevalentemente rotondocellulari ed addirittura neoplasie nelle quali si osserva una mescolanza di elementi fusocellulari e rotondocellulari, questi ultimi sia singoli che organizzati in architetture di tipo pseudoghiandolare (c.d. pattern “bifasico”, Fig. 5). A complicare il tutto abbiamo tumori non di derivazione mesenchimale caratterizzati dalla presenza di cellule fusate (ad es. certi tipi si carcinoma squamocellulare, Fig. 6 e di melanoma) e di neoplasie non neoplastiche dove elementi fusocellulari presentano importanti atipìe citomorfologiche tali da poter fare insorgere il legittimo dubbio al citologo di trovarsi di fronte ad una patologia neoplastica maligna. In corso di sospetta patologia mesenchimale il compito del citologo consiste: 1) nell’individuare la componente mesenchimale della patologia in atto; FIGURA 6 - Carcinoma squamocellulare (gatto). 2) nel distinguere patologie effettivamente neoplastiche da quadri flogistici associati ad intensa fibroplasia reattiva 3) nel valutare il potenziale di malignità della neoplasia in atto applicando i criteri di malignità citomorfologici. La corretta definizione della neoplasia mesenchimale attraverso l’individuazione del tessuto di origine del tumore non sempre è possibile in corso di esame citopatologico (e spesso nemmeno in corso di esame istopatologico) anche se esistono neoplasie mesenchimali con caratteristiche citomorfologiche abbastanza peculiari da consentire una buona identificazione del tessuto di origine. Nel corso della relazione verranno illustrati esempi citologici di neoplasie mesenchimali fusocellulari, di neoplasie mensenchimali non fusocellulari, di patologie non neoplastiche con elementi fusocellulari e di patologie non mesenchimali con presenza di elementi fusocellulari. Indirizzo per la corrispondenza: Davide De Lorenzi Clinica veterinaria San Marco, Via Sorio 114/c Padova Tel. 0498561098 - E-mail [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 62 Trattamento dell’obesità: è possibile evitare la frustrazione? Jacques Debraekeleer DVM, Dipl ECVCN, Ghent, Belgio INTRODUZIONE Aspetto psicologico L’obesità può essere definita come la condizione in cui il peso corporeo supera quello ottimale del 15-20%. Almeno il 25% della totalità dei cani e dei gatti è sovrappeso od obeso; la prevalenza aumenta con l’età, arrivando quasi al 50% fra 7 e 10 anni. Un terzo dei proprietari non riesce a rendersi conto del fatto che i propri animali sono sovrappeso e nella maggior parte dei casi la visita viene richiesta per una ragione diversa dall’obesità. Perché il trattamento abbia successo, il proprietario deve essere disposto a partecipare al programma e tutti i membri della famiglia devono essere coinvolti nella discussione del problema. Di conseguenza, al momento della prima visita il veterinario deve prendersi abbastanza tempo da illustrare tutti gli aspetti dell’obesità e del suo trattamento, comprese le potenziali difficoltà ed i suggerimenti su come superarle. Un problema di questo tipo è la tendenza ad accattonare il cibo; i proprietari spesso non si rendono conto che, offrendo dei bocconcini fuori dai pasti, non fanno altro che rafforzare questo tipo di comportamento; se proprio si vuole concedere qualche ghiottoneria, bisogna farlo immediatamente dopo un pasto. Il numero dei bocconcini deve essere stabilito a priori e le calorie così apportate vanno sottratte dal totale della dieta. Lo schema di alimentazione deve essere adattato allo stile di vita del cliente. I proprietari devono essere informati della durata prevista del trattamento (Tab. 2). È realistico attendersi un calo medio settimanale dell’1% in base al peso corporeo iniziale. Il peso ottimale deve essere stabilito in corrispondenza di un valore abbastanza basso, altrimenti l’animale potrebbe non dimagrire. È meglio arrestare il trattamento un po’ prima, quando si è raggiunto un buon compromesso fra la volontà di continuare del proprietario ed i potenziali rischi per la salute che il peso ottenuto comporta. Effettuare regolarmente delle visite di controllo (ogni 1-2 mesi) contribuisce ad aumentare la collaborazione da parte del proprietario e permette di adottare eventuali correzioni. DIAGNOSI ED IMPATTO CLINICO La diagnosi si basa sulla valutazione combinata del peso dell’animale e del punteggio di condizione corporea (body condition score - BCS), assegnato utilizzando una scala articolata in 5 punti (Tab. 1). Anche se la maggior parte dei proprietari sostiene di alimentare molto poco i propri animali, l’obesità è quasi sempre la conseguenza del fatto che la quantità di energia assunta supera quella spesa. Il rischio di insorgenza dell’obesità può essere aumentato da parecchi fattori, quali la sterilizzazione chirurgica, la razza (Labrador retriever), l’età, certi farmaci ed alcuni disturbi endocrini. L’obesità è stata associata ad un aumento del rischio di diverse malattie ed alterazioni metaboliche, come l’insulinoresistenza ed il diabete mellito, l’ipertensione e l’ipertrofia ventricolare sinistra, l’aggravamento delle valvulopatie ed il collasso tracheale, la compromissione della risposta immunitaria, la pancreatite, la lipidosi epatica, le artropatie, il carcinoma delle cellule di transizione, le dermatopatie, l’infertilità, l’intolleranza all’esercizio fisico, ecc. TRATTAMENTO Il trattamento dell’obesità viene spesso considerato frustrante e deludente, ma può anche essere molto soddisfacente se viene attuato in modo corretto, tenendo conto di tutte e 3 le componenti che entrano in gioco: aspetto psicologico, attività e modificazione della dieta. Tabella 1. Una scala in 5 punti per l’assegnazione del BCS BCS Condizione corporea 1 2 3 4 5 Molto magro Magro Ottimale Sovrappeso Obeso Esercizio fisico L’attività fisica può stimolare la perdita del grasso senza aumentare l’assunzione di cibo e contribuisce al mantenimento della massa corporea magra. L’esercizio va introdotto gradualmente, perché è possibile che gli animali obesi siano incapaci di aumentare il proprio livello di attività quando il sovrappeso è notevole. Tabella 2. Calcolo della durata del trattamento Durata del trattamento = [Peso iniziale (in g) Peso desiderato (in g)]/Perdita di peso settimanale (in g) 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 63 Modificazione della dieta Il trattamento dietetico dell’obesità ha tre obiettivi: 1) ridurre l’assunzione di energia, 2) stimolare la sensazione di sazietà e 3) assicurare a tempo indeterminato una nutrizione bilanciata adatta allo stadio della vita o alla specifica condizione dell’animale. 1. Riduzione dell’assunzione di energia L’assunzione energetica giornaliera va ridotta, portandola al valore del fabbisogno energetico a riposo (resting energy requirements - RER) (Tab. 3) calcolato sulla base del peso ottimale stimato. Nel gatto spesso occorre scendere fino a 0,8 x RER. Bisogna sempre spiegare al proprietario che si tratta solo di un punto di partenza e può darsi che sia ulteriormente necessario modificare il consumo di cibo se non si ottiene la riduzione del peso. Bisogna evitare un’eccessiva restrizione energetica perché nei gatti estremamente obesi il dimagramento rapido è stato associato ad una maggiore perdita di massa corporea magra e ad un aumento del rischio di lipidosi epatica. Inoltre, può stimolare un incremento ponderale di ritorno una volta raggiunto il peso ottimale. 2. Aumento della sazietà La regolazione della sazietà può essere distinta in due fasi, a breve e lungo termine: la prima evita che un animale mangi troppo durante un pasto, mentre la seconda è correlata al mantenimento delle riserve energetiche sul lungo periodo. I dati disponibili indicano che, nel cane e nel gatto, la distensione dello stomaco induce un’iniziale sensazione di sazietà, che è indipendente dall’assunzione calorica. Questo risultato si può ottenere con una dieta ricca di fibra insolubile. Nel 1996, Borne et al. dimostrarono una riduzione significativamente maggiore del grasso corporeo, della pressione arteriosa media e del colesterolo totale in cani alimentati con una dieta ricca di fibre e povera di grassi piuttosto che povera di fibra e ricca di grassi. Nel gatto è possibile un approccio alternativo. Negli animali di questa specie alimentati con una dieta ricca di proteine e povera di carboidrati, l’elevata assunzione proteica stimola la sazietà attraverso la secrezione di colecistochinina, mentre lo spostamento del metabolismo determinato dal consumo dei carboidrati stimola la degradazione del tessuto adiposo. La diminuzione della sazietà a lungo termine è spesso la ragione per cui gli animali sono più affamati durante la seconda fase della modificazione del peso. Tabella 3. Calcolo del RER. Nel gatto il RER può anche essere calcolato per kg di peso corporeo (PC) Cane e gatto Gatto Aspetti pratici del piano di dimagramento • Registrare ad ogni contatto il peso corporeo ed il BCS. • Calcolare i fabbisogni energetici sulla base del peso corporeo ideale dell’animale (Tab. 2). 290 kJ/kg0.75 ± 225 kJ/kg PC • Dividere il cibo in 3 o 4 pasti giornalieri. • Se è necessario offrire qualche bocconcino per ottenere la collaborazione dell’animale o per somministrare dei farmaci, bisogna farlo immediatamente dopo un pasto e la corrispondente quota calorica va sottratta dalla razione giornaliera. • L’animale deve trovare il cibo sempre solo nella sua solita ciotola, anche i bocconcini. • Quando è presente una malattia concomitante, è necessario stabilire quali siano i principi nutritivi di importanza chiave per il suo trattamento e modificare di conseguenza la dieta. • Una volta raggiunto il peso desiderato, spesso è possibile aumentare leggermente l’assunzione di cibo, anche se per alcuni animali è necessario restare al livello del RER e continuare a consumare la dieta dimagrante per mantenere il peso ottenuto. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 3. Nutrizione bilanciata Nonostante la restrizione energetica imposta dalla necessità di perdere peso, il fabbisogno di tutti i principi nutritivi resta invariato. Pur determinando una riduzione dell’assunzione di energia, la dieta deve garantire il loro l’apporto in quantità sufficiente a coprire i fabbisogni nutrizionali specifici per lo stadio della vita dell’animale o per un’eventuale malattia concomitante. Quindi, la concentrazione nella dieta rispetto al livello energetico deve essere aumentata, per mantenere il valore assoluto della quantità assunta. 70 kcal/kg0.75 ± 50 kcal/kg PC 9. 10. 11. 12. Armstrong PJ and Lund EM. Changes in Body Composition and Energy Balance with Aging. In: Proceedings of a Symposium on Health and Nutrition of Geriatric Cats and Dogs, January 12, 1996: 11-15. Borne AT, Wolfsheimer KJ, Truett AA, et al. Differential Metabolic Effects of Energy Restriction in Dogs using Diets varying in Fat and Fiber Content. Obesity Research 1996; 4, 337-345. Burkholder W, Toll P. Obesity. In: Small Animal Clinical Nutrition 4th edit. Hand MS, Thatcher CD, Remillard RL, Roudebush P. eds. Topeka, KS, 2000: 401-426. Butterwick R. Markwell P. Changes in the body composition of cats during weight reduction by controlled dietary energy restriction. Vet Rec 1996; 138: 354-357. Campbell WE. The effects of social environment on canine behavior. Mod Vet Practice 1986; 29: 113-115. Jewell DE, Toll PW. Effects of Fiber on Food Intake in Dogs. Vet Clin Nutr 1996; 3, 115-118. Laflamme D, Kuhlman G, Lawler D. Evaluation of weight loss protocols for dogs. JAAHA 1997; 33: 253-259. Leblanc J, Diamond P. The effect of meal frequency on postprandial thermogenesis in dogs. Fed Proceed 1985; 44: 1678. Meyer H, Drochner W, Weidenhaupt C. Ein Beitrag zum Vorkommen und zur Behandlung der Adipositas des Hundes. DTW 1978; 85: 133136. Pappas TN, Melendez RL, Debas HT. Gastric Distension is a Physiologic Satiety Signal in the Dog. Digestive Diseases and Sciences 1989; 34: 1489-1493. Rocchini AP, Moorehead CP, Wentz E, DeRemer S. Obesity-induced Hypertension in the Dog. Hypertension 1987; 9 (SIII), 64-68. Ruckebusch Y, Phaneuf L-Ph, Dunlop R. Feeding Behavior. In: Physiology of small and large animals BC. Decker, Inc. Philadelphia, PA. 1991: 209-219. Indirizzo per la corrispondenza: Jacques Debraekeleer Hill's Pet Nutrition Ltd.Europe - Sherbourne House, Hatters Lane Croxley Business Park, Watford, Herts WD 18 8WX 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 64 Nefropatia cronica: come possiamo migliorare la qualità della vita? Jacques Debraekeleer DVM, Dipl ECVCN, Ghent, Belgio INTRODUZIONE La nefropatia cronica (Chronic renal disease - CRD) è una malattia irreversibile e progressiva. Alla sua progressione possono portare principalmente tre meccanismi: l’iperfiltrazione stimolata dall’elevata assunzione di proteine e dall’ipertensione, l’iperparatiroidismo causato da elevata assunzione di fosforo, ritenzione di fosforo e riduzione della produzione di calcitriolo ed il danno tubulointerstiziale aggravato da aumento del carico acido e dell’assunzione di fosforo, riduzione del flusso capillare peritubulare e stress ossidativo. TRATTAMENTO Gli studi condotti hanno dimostrato che le diete con un moderato contenuto di proteine e sodio, povere di fosforo e con aumentati livelli di acidi grassi ω-3 e vitamine antiossidanti migliorano le condizioni generali dei cani con nefropatia cronica e rallentano la progressione della malattia. Lo scopo è quello di ridurre l’assunzione di proteine ed aumentare quella di calorie di origine non proteica per limitare la produzione di cataboliti azotati responsabili delle manifestazioni cliniche dell’uremia (Polzin 1991). Una moderata assunzione proteica (3 - 4 g di proteina grezza di elevata qualità per 100 kcal di EM nel cane, 6 7 g per 100 kcal nel gatto) può ridurre la morbilità e la mortalità nei pazienti con insufficienza renale (Polzin et al. 1984, Ross et al. 2005, Jacob et al. 2002, Adams et al. 1994). Una moderata riduzione dell’assunzione di proteine e sodio diminuisce la poliuria, determinando un calo dell’escrezione di soluti (urea e sodio) (Polzin et al. 1984). La proteinuria è un indicatore di danno glomerulare e la sua gravità può essere correlata a quella delle lesioni (Hood et al. 1991). I cani alimentati con una dieta a moderato contenuto proteico erano più attivi, mostravano una minor caduta del pelo ed avevano un mantello più lucente. (Polzin et al. 1984). L’eccessiva restrizione di proteine, tuttavia, è da evitare nei pazienti con insufficienza renale cronica e va limitata in quelli con gravi disfunzioni renali, che richiedono maggiori restrizioni della dieta per il controllo delle anomalie cliniche e biochimiche. Fra i singoli principi nutritivi, il fosforo è il più importante per il controllo degli animali con nefropatia cronica. La restrizione della sua assunzione riduce l’iperfosfatemia, fa regredire l’iperparatiroidismo e diminuisce il tasso di mortalità (Brown et al. 1991, Lopez-Hilker et al. 1990, Nagode et al. 1996). Un’elevata assunzione di fosforo stimola la nefrocalcinosi e la fibrosi interstiziale. Nell’insufficienza renale, la carenza di calcitriolo è dovuta principalmente agli effetti inibitori della ritenzione di fosfato sull’attività 1α-idrossilasica. Man mano che l’insufficienza renale progredisce, la perdita delle cellule vitali dei tubuli renali limita la capacità di sintesi dell’1,25-diidrossicolecalciferolo o calcitriolo. Di conseguenza, col tempo è possibile che la restrizione dei fosfati, da sola, non riesca a prevenire l’iperparatiroidismo secondario renale, imponendo un’integrazione con calcitriolo per ottenere la soppressione completa del PTH (Nagode et al. 1996). Tuttavia, la terapia con calcitriolo va attuata con molta cautela perché determina frequentemente la comparsa di un effetto collaterale, l’ipercalcemia, che quando è prolungata può esitare in una riduzione della velocità di filtrazione glomerulare. I pazienti non devono essere sottoposti ad una terapia con calcitriolo a meno che non si effettui un accurato monitoraggio delle concentrazioni di calcio e fosfati per tutta la durata del trattamento; inoltre, le somministrazioni devono essere effettuate lontano dai pasti. Nagode et al. hanno raccomandato per i cani con insufficienza renale cronica un dosaggio di 1,5-3,5 ng/kg/ die per os. La riduzione della massa renale diminuisce la capacità dell’organismo di eliminare un elevato carico acido e può portare ad un’acidosi metabolica. Quest’ultima può accelerare la degradazione delle proteine, accentuare il rischio di uremia ed innalzare i fabbisogni proteici (Polzin et al. 1988 and 1993). Il tamponamento o la correzione dell’acidosi metabolica sembra ridurre la produzione di urea, diminuire le lesioni tubulointerstiziali e migliorare il bilancio azotato. Fino al 60% dei cani e dei gatti con nefropatia cronica può essere iperteso e costituire una popolazione a rischio (Tab. 1). (Cowgill et al. 1986, Kobayashi et al. 1990, Brown 2004). La somministrazione di ACE-inibitori, la moderazione dell’assunzione del sodio e l’incremento di quella degli acidi grassi ω-3 contribuiscono a ridurre l’ipertensione sistemica ed a correggere la pressione capillare glomerulare. Una moderata assunzione proteica può anche servire al controllo della pressione sanguigna nei gatti con nefropatia cronica (Adams et al. 1994). 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 65 Tabella 1 Classificazione dell’ipertensione sistemicaa Categoria di rischiob Pressione sistolica (mmHg) Pressione diastolica (mmHg) < 150 < 95 Bassa 150 - 159 95 - 99 Moderata 160 - 179 100 - 119 ≥ 180 ≥ 120 Minima Alta a Secondo le raccomandazioni dell’ACVIM Hypertension Consensus Panel e della Veterinary Blood Pressure Society. Rischio di danneggiamento dell’organo terminale. b È stato dimostrato che nel gatto l’elevata assunzione di sodio può stimolare la progressione della nefropatia, ma l’eccessiva restrizione è da evitare perché può avere effetti indesiderati che si osservano sotto forma di incrementi dell’aldosterone (Brown 2004). Il benefico effetto degli acidi grassi omega-3 può essere attribuito alla riduzione della formazione di TBA2, che viene generato dalla ciclossigenasi nella cascata metabolica degli eicosanoidi omega-6. Il TBA2 è un forte vasocostrittore e può causare lesioni ischemiche nei reni modificando le emodinamiche glomerulari. Inoltre, gli eicosanoidi prodotti dagli acidi grassi omega-3 sono meno infiammatori e possono attenuare la flogosi eventualmente presente. I gatti con nefropatia cronica possono sviluppare un’ipokalemia conseguente all’aumento dell’escrezione urinaria frazionale, ed il rischio di insorgenza dell’ipokalemia può essere superiore negli animali alimentati con una dieta ad elevato tenore proteico. (Dow et al. 1990) La diminuzione della produzione di eritropoietina che si verifica nella nefropatia cronica è causa di anemia ed anoressia. Per stimolare la produzione degli eritrociti sono stati utilizzati, senza molto successo, gli steroidi anabolizzanti, come il nandrolone. L’eritropoietina ricombinante risulta efficace per la stimolazione della produzione eritrocitaria, ma in una percentuale significativa di animali si sviluppano degli anticorpi anti-eritropoietina che esitano nella comparsa di un’anemia refrattaria. In attesa che sia disponibile su scala generale un prodotto specie-specifico, per il momento la somministrazione di eritropoietina va consigliata solo negli animali che manifestano segni clinici di anemia palese (debolezza, marcata letargia non attribuibile ad altri fattori). Ciò generalmente si verifica a livelli di ematocrito < 20%. Una recente indagine ha preso in esame le conseguenze dello stress ossidativo nei gatti e l’effetto di una dieta per soggetti nefropatici che dichiarava l’integrazione con antiossidanti. I gatti con insufficienza renale mostravano una tendenza allo stress ossidativo rilevata sulla base del test della cometa (Comet assay) e delle misurazioni della malondialdeide (MDA) sierica. L’aggiunta di una miscela di antiossidanti (vitamina E, vitamina C e β-carotene) ad una dieta per nefropatici ha determinato una significativa riduzione dei marcatori sierici dello stress ossidativo ed un calo del danno del DNA evidenziato dal Comet assay. Inoltre, nei gatti con nefropatia si è anche ottenuta una significativa riduzione dell’azotemia (Yu et al. 2004). L’anoressia è un problema molto comune negli animali con nefropatia. Viene generata e stimolata da una combinazione dei seguenti fattori: uremia che porta ad un’alterazione del senso del gusto, stomatite e gastrite, iperparatiroidismo (elevati livelli di PTH), disidratazione, improvvise variazioni della dieta ed alimentazione forzata, eccessi e carenze metaboliche, ecc. Viene suggerito con sempre maggiore frequenza l’impiego delle sonde da alimentazione (ad es., rinogastrica o PEG), i cui benefici effetti sono stati dimostrati sull’equilibrio proteico (Cowgill 2004). La terapia mediante dialisi presenta numerosi vantaggi, ma per la maggior parte dei pazienti non è disponibile. CONCLUSIONI L’alimentazione con una dieta per animali nefropatici che soddisfi le caratteristiche sopradescritte migliora, dal punto di vista della salute, la qualità della vita dei cani e dei gatti con nefropatia cronica (Jacob et al. 2004, Ross et al. 2005). Diminuisce il rischio di crisi uremiche, migliora la qualità e le condizioni generali del mantello, contribuisce a mantenere il peso corporeo e riduce il rischio di sviluppo di acidosi. In uno studio randomizzato condotto in prospettiva, lo status nutrizionale dei cani alimentati con una dieta per nefropatici è rimasto stabile, come è stato evidenziato dalla mancanza di modificazioni del peso corporeo, del punteggio di condizione corporea, dell’ematocrito e dei livelli sierici di albumina (Jacob et al. 2002). Inoltre, recenti studi hanno dimostrato che alimentando con le appropriate diete per nefropatici i cani ed i gatti con insufficienza renale ad insorgenza spontanea è possibile ridurre la mortalità ed aumentare la speranza di vita (Jacob et al. 2002, Ross 2005). Indirizzo per la corrispondenza: Jacques Debraekeleer Hill's Pet Nutrition Ltd.Europe - Sherbourne House, Hatters Lane Croxley Business Park, Watford, Herts WD 18 8WX 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 66 Diabete mellito: il gatto è diverso dal cane? Jacques Debraekeleer DVM, Dipl ECVCN, Ghent, Belgio Il diabete mellito (DM) è un gruppo di disordini che hanno come comune denominatore l’iperglicemia. La malattia è associata ad una carenza (totale, parziale o relativa) di insulina. La prevalenza del diabete aumenta con l’invecchiamento e può colpire 1 gatto su 100 di età compresa fra 7 e 12 anni, che coincide con la fascia anagrafica in cui si osserva anche la massima prevalenza dell’obesità. Nella specie canina le femmine sono 2 volte più colpite dei maschi, mentre nei gatti questi ultimi sono più a rischio delle femmine. Nel cane è stato descritto un diabete mellito famigliare (Kramer et al. 1980, Nelson 2000b, Hess et al. 2000). Nei felini è stata segnalata una predilezione per la razza Burmese (Rand 2004). I termini diabete di Tipo I (DM-1) e Tipo II (DM-2) indicano l’eziologia e la patogenesi della condizione, mentre con la definizione diabete mellito insulino-dipendente (IDDM) e non-insulino-dipendente (NIDDM) si fa riferimento al trattamento necessario. Non si devono utilizzare i termini NIDDM e IDDM per indicare il DM-1 o il DM-2. La maggior parte dei cani diabetici viene classificata come affetta da DM-1, mentre nel gatto la forma più comune è il DM-2 (Lutz & Rand 1995). Nel DM-1 le cellule β vengono distrutte da un attacco autoimmune che porta ad un’insufficiente secrezione di insulina. Prima che il diabete mellito si renda clinicamente evidente, si deve già essere verificata la distruzione del 75% circa di questi elementi. La loro perdita può essere brusca o progressiva, nel qual caso i primi segni della malattia possono essere molto tenui (Nelson 2000b). Il DM-2 è causato da un’insulinoresistenza, inizialmente compensata dall’aumento della secrezione dell’ormone. Parallelamente all’insulina, le cellule β secernono il polipeptide amiloide degli isolotti (islet amyloid polypeptide - IAPP), anche detto amilina; al crescere della secrezione dell’insulina, aumenta anche quella dell’IAPP. Quest’ultimo è responsabile della deposizione di sostanza amiloide negli isolotti pancreatici di Langerhans, che in ultima analisi conduce alla distruzione degli isolotti stessi (Höppener et al. 2004). Tutte le cause di insulinoresistenza possono contribuire alla malattia, ma l’obesità è chiaramente il fattore più importante nel DM-2 dei felini. Nei gatti sani che aumentano del 44% il proprio peso corporeo la sensibilità all’insulina subisce una riduzione del 50% (Rand 2004). Il rischio di sviluppo del diabete mellito aumenta di quattro volte nei gatti obesi (Scarlet & Donoghue 1998). Nel cane e nel gatto il grado di intolleranza al glucosio è correlato all’aumento del livello di obesità (Nelson 1995). L’iperglicemia di per sé sopprime la secrezione insulinica, causa un’insulinoresistenza periferica e può portare alla distruzione delle cellule β, un fenomeno noto come tossicità del glucosio (Rand & Martin 2001). L’infiammazione o la malattia sistemica possono sopprimere temporaneamente la secrezione di insulina portando ad insulinoresistenza ed iperglicemia (Nelson 1995). In medicina veterinaria, il diabete mellito viene spesso diagnosticato in uno stadio avanzato; ciò vale particolarmente nel caso dei gatti con DM-2, che può essere molto insidioso nelle fasi iniziali. La diagnosi del diabete mellito si basa sul riconoscimento dei segni clinici, dell’iperglicemia persistente (dimostrata dalla presenza di elevati livelli di fruttosamina) e della glicosuria. La determinazione della fruttosamina è anche un buon metodo per monitorare i risultati del trattamento. Nel gatto, la misurazione della glicosuria va preferibilmente effettuata dal proprietario, in un ambiente famigliare e non stressante. Le prime manifestazioni cliniche sono rappresentate da poliuria/polidipsia, perdita di peso e letargia. I gatti possono semplicemente mostrare una minore interazione con i membri della famiglia ed una riduzione del comportamento di toelettatura. L’obiettivo complessivo del trattamento del paziente diabetico è quello di evitare le complicazioni a lungo termine come la polineuropatia, l’ipoglicemia, la cataratta, la chetoacidosi e la neuropatia diabetica ottimizzando l’impiego del glucosio ed aumentando la sensibilità all’insulina. Il successo della terapia poggia su tre fondamenti: il trattamento farmacologico, la dieta e la correzione o prevenzione dell’insulinoresistenza. Tutte le cause di quest’ultima, come la periodontopatia e l’obesità, devono essere costantemente monitorate, le cagne devono essere ovariectomizzate e bisogna evitare l’impiego di farmaci come il megestrolo acetato ed i glucocorticosteroidi. A differenza di quanto avviene nell’uomo, il 50-70% dei felini con DM-2 è insulinodipendente (Nelson 2000b); gli altri possono venire trattati con un appropriato controllo del peso o con ipoglicemizzanti orali come il glipizide (alla dose iniziale di 2,5 mg BID per os in associazione con un pasto). Tuttavia, dati più recenti suggeriscono che la secrezione di insulina stimolata dal glipizide acceleri anche la perdita delle cellule β funzionalmente attive (Nelson 2004). Invece, il trattamento precoce di questi gatti con una piccola dose di insulina sembra avere un effetto protettivo, e può aumentare le probabilità che riescano a liberarsi completamente della dipendenza dall’insulina una volta raggiunto il peso corporeo ottimale. I gatti devono sempre essere trattati con due iniezioni giornaliere. Nel cane, il caposaldo della terapia del diabete mellito è la somministrazione di insulina, alla dose ed alla frequenza appropriate. Nella maggior parte degli animali di questa specie, la durata d’azione dell’insulina lenta può essere suffi- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC cientemente prolungata da consentire 1 sola iniezione giornaliera. Tuttavia, attualmente si ha la tendenza a suggerire l’impiego di due dosi quotidiane di 0,5 UI/kg di un’insulina ad azione intermedia (NPH o lenta) piuttosto che di 1 mg/kg una volta al giorno, in particolare nei cani che risultano più difficili da regolare (Nelson 2000). Lo scopo principale della dieta è quello di raggiungere o mantenere il peso corporeo ottimale; modeste riduzioni del peso possono portare ad un rapido calo dei livelli ematici del glucosio. La fibra della dieta è una delle componenti principali del trattamento del diabete mellito. Il suo effetto sulla riduzione dell’iperglicemia postprandiale è maggiore se la formulazione è anche ricca di carboidrati complessi; ciò vale anche per il cane (Nelson et al. 1991). Nel gatto diabetico, anche una dieta ad elevato contenuto di cellulosa migliora significativamente il controllo glicemico (Nelson et al. 2000a). Nell’uomo e nel cane, l’elevata assunzione di carboidrati complessi (amido) può migliorare la sensibilità tissutale all’insulina, aumenta il numero dei recettori insulinici e diminuisce i livelli sierici dei lipidi. Nel gatto diabetico, tuttavia, le diete ricche di proteine e povere di carboidrati possono migliorare il controllo glicemico e ridurre il fabbisogno di insulina (Mazzaferro et al. 2003, Frank et al. 2001). Gli alimenti semiumidi sono da evitare a causa dei loro livelli elevati di zuccheri semplici. Nei pazienti con regolazione insufficiente si ha un aumento della gluconeogenesi, che converte le proteine in glucosio; ciò può esitare in una perdita della massa corporea magra. Questo fenomeno è importante nel gatto. I felini diabetici necessitano come minimo di una percentuale di proteine di elevata qualità pari al 35% sulla sostanza secca. Nel cane, bisogna assicurare l’apporto di una quota di proteine sufficiente a garantire le normali funzioni dell’organismo (circa il 20% sulla sostanza secca). Il diabete mellito è causa di anomalie che non interessano solo il metabolismo dei carboidrati, ma anche quello dei lipidi. Mantenere i livelli sierici di questi ultimi entro limiti desiderabili è uno degli scopi principali della terapia. Le diete ricche di grassi causano insulinoresistenza. Si raccomanda di mantenere l’assunzione totale di grassi al di sotto del 30% dell’energia. La L-Carnitina riduce l’accumulo dei lipidi ed il rischio di chetosi nei gatti sottoposti ad una rapida perdita di peso (Blanchard et al. 2002). 67 La carenza di zinco può ostacolare il rilascio dell’insulina dalle cellule β ed aumentare l’insulinoresistenza attraverso varie modificazioni del legame e dell’attività dell’ormone. La compromissione della tolleranza al glucosio è stata osservata nella carenza di cromo, ma, nel corso di studi controllati condotti su pazienti diabetici nell’uomo e nel cane non è stato dimostrato alcun reale effetto dell’integrazione con questo elemento (Stoecker ’96, Schachter 2000). Le complicazioni associate al diabete possono essere correlate all’aumento della produzione di radicali liberi ed all’avanzata glicazione dei prodotti terminali. L’aumento dell’assunzione di vitamina E ha ridotto lo stress ossidativo nei pazienti umani diabetici (Sharma et al. 2000). Nel cane l’alimentazione va coordinata con la somministrazione di insulina, in modo che il picco di attività dell’ormone coincida con quello della glicemia postprandiale. Nei soggetti trattati con una sola somministrazione di insulina al giorno si possono far consumare due pasti, uno al momento dell’iniezione ed uno a distanza di 7,5 ore. È bene offrire all’animale uno snack prima che vada a dormire, per evitare l’ipoglicemia durante la notte. Negli animali trattati con due iniezioni di insulina al giorno la razione va suddivisa in quattro pasti uguali, due da assumere al momento delle iniezioni e due a distanza di 6 ore. Nel gatto, il coordinamento dell’assunzione del cibo con l’insulina è meno importante, soprattutto quando si impiega una dieta ricca di proteine e povera di carboidrati, perché la glicemia viene mantenuta dalla gluconeogenesi. Per i gatti che mangiucchiano continuamente risulta perfetta l’alimentazione ad libitum; l’assunzione di pasti piccoli e frequenti riduce l’iperglicemia postprandiale. Se è necessario alimentare l’animale con dei pasti completi e si devono praticare due iniezioni, si può adottare lo stesso protocollo descritto per il cane. Il gatto va tenuto sotto osservazione per rilevare ogni eventuale causa di insulinoresistenza (ad es., una periodontopatia), correggendola se necessario. La Bibliografia completa è disponibile a richiesta. Indirizzo per la corrispondenza: Jacques Debraekeleer Hill's Pet Nutrition Ltd.Europe - Sherbourne House, Hatters Lane Croxley Business Park, Watford, Herts WD 18 8WX 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 68 Osteoartrite: cosa possiamo fare oltre ad utilizzare i Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei? Jacques Debraekeleer DVM, Dipl ECVCN, Ghent, Belgio Introduzione Manifestazioni cliniche L’osteoartrite (OA) è una sindrome complessa, di natura progressiva e difficile da descrivere con una sola definizione. Si tratta di un disordine delle articolazioni mobili (sinoviali) caratterizzato da deterioramento della cartilagine articolare, formazione di osteofiti, rimodellamento osseo, modificazioni dei tessuti periarticolari e vari gradi di infiammazione non purulenta di lieve entità 1. L’osteoartrite è una sindrome molto comune, tanto che si stima che colpisca fino ad un cane su cinque sopra l’anno di età 1. L’osteoartrite causa dolore, tumefazione periarticolare, crepitio, rigidità e perdita di escursione del movimento ed atrofia muscolare 3, 4. Di conseguenza, i cani possono manifestare la tendenza a restare indietro durante le passeggiate, essere riluttanti a giocare, correre, camminare, salire le scale o saltare sull’auto, trovano difficoltà ad alzarsi quando sono coricati e zoppicano. Alcuni mostrano un cambiamento della personalità e possono diventare aggressivi. Trattamento della malattia Eziopatogenesi L’osteoartrite può essere primitiva, ma di solito è secondaria a qualche tipo di trauma. Si ritiene che la forma primaria sia la conseguenza di un difetto delle proprietà biomateriali della cartilagine articolare o sia associata ad un logoramento meccanico dovuto all’invecchiamento 2, 3. L’osteoartrite secondaria è causata da forze normali che agiscono su un’articolazione anomala (come avviene nel caso dell’aumento della lassità nella displasia dell’anca, nella rottura del legamento crociato craniale [CCL] o nella displasia del gomito) o da forze anormali su un’articolazione normale, come nel caso di un’eccessiva attività sportiva e delle fratture intrarticolari 1. Indipendentemente dalla causa iniziale, la malattia progredisce alla fine lungo una via molecolare comune 1, 2. Questa prevede l’intervento di enzimi che degradano la cartilagine, come le metalloproteinasi della matrice (ad es., la stromelisina [MMP-3]) e l’aggrecanasi, che distrugge la struttura della cartilagine scindendo le unità degli aggrecani 1, 2, 3. Le modificazioni dei proteoglicani possono avvenire prima che si rendano visibili le lesioni macroscopiche. Ciò provoca la perdita di spessore e di elasticità della cartilagine, due importanti proprietà che consentono l’assorbimento dei carichi meccanici esercitati attraverso l’articolazione durante il movimento. Di conseguenza, si può avere un aumento dell’instabilità articolare ed un aggravamento della malattia, che conducono a sfaldamento, fessurazione, eburneazione dell’osso subcondrale, rimodellamento osseo e formazione di osteofiti. Parallelamente, vengono prodotti citochine ed eicosanoidi che causano vari gradi di infiammazione 1, 3. In seguito al danno cartilagineo, si ha la perdita nel liquido sinoviale di proteoglicani e frammenti di cartilagine 1. Ciò innesca le risposte infiammatorie della sinovia, che aggravano l’infiammazione ed il dolore. Il trattamento ideale dell’osteoartrite deve prendere in considerazione tutti gli aspetti della malattia, attraverso il controllo del peso per ridurre il rischio di ulteriori danni meccanici, il rallentamento della progressione del processo patologico mediante l’inibizione degli enzimi responsabili della degradazione ed il controllo dei segni clinici tramite la riduzione del dolore e dell’infiammazione ed il miglioramento della mobilità e della stabilità articolare. Oltre alla terapia classica basata sull’impiego dei FANS, eventualmente integrata da somministrazione a brevissimo termine di corticosteroidi, moderata attività fisica e fisioterapia, recentemente è stata oggetto di maggiore attenzione la modificazione della dieta, per la sua capacità di migliorare le condizioni generali degli animali colpiti 3, 5-8. Dieta Nell’organismo, si può avere la conversione di un acido grasso poliinsaturo (PUFA), l’acido linoleico (LA) (ω-6) in acido arachidonico (AA) e quella di un altro, l’acido alfalinolenico ALA (ω-3), in EPA e DHA. Per questo l’ALA compete con l’LA, utilizzando gli stessi enzimi per produrre il PUFA a catena più lunga PUFA (Fig. 1). L’AA e la sua controparte ω-3, l’EPA, sono entrambi incorporati nelle membrane cellulari. In caso di danneggiamento delle cellule si ha il rilascio di fosfolipasi, che avvia una reazione a cascata in cui l’AA viene convertito in PG e TXA della serie 2 ad opera della ciclossigenasi ed in LT della serie 4 dalla lipossigenasi. L’EPA viene convertito dagli stessi enzimi, ma i prodotti terminali, PG-3 e TXA-3 ed LT-5, sono molto meno infiammatori. L’impiego di una dieta ricca di PUFA ω-3 e povera di ω-6 può diminuire le reazioni infiammatorie e, quindi, ridurre il dolore. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 69 PUFA ω-6 PUFA ω-3 Acido linoleico (LA) 18 : 2 n-6 ↓ Acido γ-linolenico (GLA) 18 : 3 n-6 ↓ Acido diomo-γ-linolenico (DGLA) 20 : 3 n-6 ↓ Acido arachidonico (AA) 20 : 4 n-6 Acido α-linolenico (ALA) 18 : 3 n-3 ↓ Acido stearidonico 18 : 4 n-3 ↓ Acido eicosatetraenoico (ETA) 20 : 4 n-3 ↓ Acido eicosapentaenoico (EPA) 20 : 5 n-3 ↓ Acido docosaesaenoico (DHA) ← ∆6 Desaturasi (- 2H) → ← Elongasi (+ 2C) → ← ∆5 Desaturasi (- 2H) → Elongasi (+ 2C) → FIGURA 1 - I due PUFA omega-3 ed omega-6 – LA ed ALA – sono in competizione per gli stessi enzimi. Studi condotti Recentemente, tre studi clinici condotti nel cane (controllati, randomizzati, in doppio cieco) hanno dimostrato un significativo miglioramento dei segni clinici dell’osteoartrite, come la capacità di alzarsi, camminare, correre e giocare, nei cani alimentati con una dieta contenente elevati livelli di acido eicosapentaenoico (EPA) ed acidi grassi omega-3 totali (Hill’s* Prescription Diet* Canine j/d*) 8. La dieta ha anche significativamente diminuito i livelli sierici di acidi grassi ω-6, in particolare di AA, significativamente aumentato i livelli sierici di acidi grassi ω-3 come l’EPA e significativamente diminuito il rapporto ω-6 : ω-3. In uno degli studi, quando gli animali sono stati alimentati con la dieta di prova è stato possibile ridurre il dosaggio degli antinfiammatori non steroidei fino al 25% 8. Un quarto studio, effettuato presso i Veterinary College della Florida e del Kansas, ha confermato i risultati delle tre indagini cliniche utilizzando l’analisi dell’andatura mediante piastra di forza. Il miglioramento del carico dimostrato dalla modificazione del picco di forza verticale è stato dell’82% nei cani trattati con la dieta di prova (ricca di EPA ed acidi grassi ω-3) a fronte del 31% soltanto nel gruppo di controllo 8. Inoltre, recenti studi ‘in vitro’ hanno dimostrato che la cartilagine del cane può reagire in modo differente da quella di altre specie animali ed hanno indicato che l’EPA è l’unico PUFA ω-3 in grado di abrogare il catabolismo dei proteoglicani della cartilagine mediato dall’aggrecanasi, mentre il DHA o l’ALA non ne sono capaci 7. Pertanto, l’EPA è non solo in grado di diminuire la reazione infiammatoria, come gli altri acidi grassi ω-3, ma anche di rallentare la degradazione della cartilagine e, quindi, la progressione dell’osteoartrite del cane. Infine, una recente indagine condotta nei pazienti umani con osteoartrite ha dimostrato che l’osso spongioso possiede livelli più elevati di grasso e presenta concentrazioni significativamente aumentate di AA, l’ω-6 equivalente dell’EPA (ω-3) 9. * Trademarks owned by Hill’s pet Nutrition Inc. L’aggiunta di L-carnitina alla dieta può servire a rallentare l’atrofia muscolare, perché contribuisce a mantenere la massa muscolare 10, 11. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. Johnston SA. Osteoarthritis Joint anatomy, Physiology, and Pathobiology. Veterinary Clinics of North America: Small Animal Practice, 1997; 27 (4): 699-723. Bennett D, May C. Joint Diseases of dogs and cats - Chapter 149. In: Textbook of veterinary internal medicine 4th edition SJ Ettinger & EC Feldman Eds. WB Saunders Company, Philadelphia, PA 1995; Vol. 2: 2032-2077. Hulse D. Treatment methods for pain in the osteoarthritic patient. Veterinary Clinics of North America: Small Animal Practice, 1998; 28 (2): 361-375. Harari J. Clinical evaluation of the osteoarthritic patient. Vet. Clinics of North Amer. Small Anim. Pract. 1997; 27 (4): 725-734. Johnston SA, Budsberg SC. Nonsteroidal anti-inflammatory drugs and corticosteroids for the management of canine osteoarthritis. Veterinary Clinics of North America: Small Animal Practice, 1997; 27 (4): 699-723. Carmichael S Putting theory into practice – best practice management for osteoarthritis. In: Proceedings of Hill’s European symposium on osteoarthritis and joint health. Genoa 25th - 27th April, 2005: 48-53. Caterson B, Little CB, Cramp J, et al. Eicosapentaenoate supplementation abrogates canine articular cartilage degradation in ‘in vitro’ explant culture systems. In: Proceedings of Hill’s European symposium on osteoarthritis and joint health. Genoa 25th - 27th April, 2005: 14-18. Schoenherr WD. Fatty acids and evidence-based dietary management of canine osteoarthritis. In: Proceedings of Hill’s European symposium on osteoarthritis and joint health. Genoa 25th - 27th April, 2005: 54-59. Plumb MS, Aspden RM. High levels of fat and (n-6) fatty acids in cancellous bone in osteoarthritis. Lipids Health Dis. 2004; 3: 12. Allen T. The effect of carnitine supplementation on body composition in obesity prone dogs. Proceedings Hill’s Symposium L-Carnitine What difference does it make? Leuven, (Belgium) 15th December 1998: 35. Owen KQ, Nelssen JL, Goodband RD et al. Effect of L-carnitine on growth performance and body composition in nursery and growingfinishing pigs. J Anim Sci 2001; 79 (6): 1509-1515. Indirizzo per la corrispondenza: Jacques Debraekeleer Hill's Pet Nutrition Ltd.Europe Sherbourne House, Hatters Lane Croxley Business Park, Watford, Herts WD 18 8WX 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 70 Disordini nello sviluppo comportamentale del cane e del gatto e conseguenze nell’anziano Joël Dehasse DVM, Dipl ECVBM-CA, Bruxelles, Belgio Riassunto Lo sviluppo comportamentale passa attraverso periodi di importanza elevata che strutturano i circuiti nervosi; qualsiasi problema durante l’imprinting può portare ad handicap cognitivi o emotivi che vengono distinti in disturbi da privazione, iperattività, ansia da separazione, ecc. Introduzione Esistono molti studi sull’influenza dell’ontogenesi per assicurare ad un dato soggetto una buona partenza nella vita oppure farne un individuo socialmente handicappato fino alla morte. Ricerche etologiche sull’imprinting hanno dimostrato che gli animali hanno bisogno di apprendere a quale specie appartengono. Studi retrospettivi hanno dimostrato l’importanza dell’apprendimento in giovane età. I test esistenti nel cucciolo e nel gattino non forniscono risultati validati circa il probabile comportamento futuro di questi animali una volta diventati adulti. Socializzazione primaria Negli anni 1940-1960, Scott e Fuller riscontrarono che i cani possiedono una specifica fase di apprendimento in giovane età, durante la quale possono imparare molto facilmente certi concetti. Questa fase, da essi definita “della socializzazione primaria” è seguita da un’altra di minore sensibilità e con una diminuita capacità di apprendimento. Questa fase di socializzazione primaria è stata paragonata a quella di imprinting osservata dagli etologi nei pesci, negli uccelli e in altri mammiferi. Per riassumere un argomento complesso, possiamo dire che questa fase di socializzazione primaria si estende dalla 3a alla 14a settimana nei cuccioli e dalla 2a alla 9a settimana nei gattini. Esistono delle eccezioni a questa regola teorica. Un cucciolo apprende di essere un cane, un gattino apprende di essere un gatto, e che la propria specie è quella di elezione con la quale socializzare e riprodursi. Inoltre, imparano che gli esseri umani ed i soggetti di altre specie sono animali sociali con i quali possono stabilire delle relazioni. Talvolta possono persino cercare di riprodursi con loro. Al fine di imparare che questi altri individui sono ami- chevoli, gli animali giovani hanno bisogno di molti contatti piacevoli con i soggetti di questo tipo, con quelli della propria specie e con quelli delle altre, durante questo periodo di socializzazione. Lo stesso processo appena illustrato per l’imprinting si applica all’acquisizione ed integrazione cognitiva dell’ambiente in cui l’animale vive. I soggetti giovani sviluppano mappe cognitive (spazio) e riferimenti cognitivi (sistema e struttura di riferimenti) per qualsiasi cosa con la quale vengano in contatto, come la struttura dei rumori ambientali (cittadini o di aree rurali). Lo sviluppo di un’ampia gamma di riferimenti cognitivi costituisce un vantaggio per l’animale, che si adatterà più facilmente ai vari ambienti. L’imprinting è uno speciale processo di apprendimento che porta al riconoscimento di concetti: individui e spazi a cui attaccarsi, identificazione con una specie, riconoscimento degli individui di tipo amichevole (all’interno di altre specie), differenziazione da individui di tipo sconosciuto e messa a punto dei riferimenti sensoriali (sistemi di riferimento). È come se il cervello del giovane animale conformasse il mondo dividendolo in differenti categorie (identificando di volta in volta la specie come propria, nota, sconosciuta e amichevole o pericolosa, ecc.) e stabilisse delle (scale di) riferimenti (come il livello di rumore, ecc.). Queste funzioni cognitive possono venire “incise” nella struttura nervosa (si veda il paragrafo sullo sviluppo nervoso). Apprendimento della comunicazione sociale Il fatto che un animale abbia avuto un imprinting corretto non significa che abbia acquisito tutte le capacità di comunicare adeguatamente con la propria specie. Alcune posture comunicative che si ritenevano innate sono in realtà apprese, come la “posizione di sottomissione”. L’animale giovane deve quindi anche imparare a controllare i propri movimenti, i graffi ed i morsi. Disturbi di sviluppo del comportamento Negli animali giovani, un numero limitato di disturbi causa più del 90% dei casi clinici. Di conseguenza, la diagnosi è molto facile da formulare. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 71 Segni clinici Processo Disturbi Paura, ansia Socializzazione Disturbi da privazione Nervosismo, iperattività Autocontrollo Disturbi “Iper-”, come quello da iperattività Aggressione, mancato rispetto delle regole sociali Regole sociali, rituali di comunicazione Disturbi da dis-socializzazione Isolamento ed intolleranza della solitudine Attaccamento e distacco Disturbi da separazione Inattività, mancanza di gioco Umore, distacco Depressione (Acuta) Malattia, trauma Stress Ansia e depressione (reattiva), Disturbi da Stress Acuti (post-traumatici) Disobbedienza Educazione Problemi di educazione: tecniche, motivazione, tempo investito, ecc. Prevenzione Un ambiente arricchito e stimolante e la presenza di parecchi cani adulti con funzione di educatori, negli ambienti di allevamento e nelle classi di cuccioli a partire dall’età di 7 settimane dovrebbero riuscire a prevenire la maggior parte dei problemi. Trattamenti e terapie L’unica terapia farmacologica priva di effetti collaterali che si può prescrivere agli animali giovani con meno di 6 mesi di vita è la selegilina (0,5 mg/kg nei cuccioli, 1 mg/kg nei gattini). Esistono parecchie terapie comportamentali efficaci come la desensibilizzazione sistematica, il flooding (controllato), l’abitudine alla terapia ludica, il divieto di giocare al tiro alla fune (nei cani iperattivi), l’apprendimento delle posture di appagamento e sottomissione (rotolamento del cucciolo sul dorso da parte del cane “educatore” o del proprietario), ecc. Bibliografia Dehasse J. Mon jeune chien a des problèmes. Montréal: Le Jour, éditeur, 2000. Scott J P, Fuller J L Dog Behavior: The Genetic Basis. The University of Chicago Press, 1965, Phoenix Edition 1974. Indirizzo per la corrispondenza: Joel Dehasse 3 avenue du Cosmonaute, 1150 Brussel, Belgio E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 72 Demenza senile nel cane e nel gatto Joël Dehasse DVM, Dipl ECVBM-CA, Bruxelles, Belgio Riassunto La demenza senile è un disordine cognitivo ed affettivo che influisce sul comportamento degli animali anziani. All’inizio i segni clinici della malattia possono essere molto lievi ed intermittenti, ma evolvono fino ad uno stato di handicap su larga scala. Il trattamento è molto efficace per contribuire a mantenere il benessere degli animali, ma anche quello dei proprietari. Introduzione Sono state suggerite parecchie descrizioni della demenza senile, facendo uso di terminologie come Disfunzione Cognitiva (Landsberg et al. 1997), Depressione da Involuzione e Sindrome di Confusione (Pageat, 1998). Io suggerisco di raccogliere queste diagnosi sotto un termine generico come Demenza Senile o Disordine da Compromissione cognitiva Generalizzata, caratterizzato dalle modalità proprie dei disturbi dell’umore. Modelli e metodi • Deterioramento delle capacità sociali e/o delle interazioni e diminuzione delle capacità di apprendimento. Si possono osservare parecchi segni accessori, quali manifestazioni di: • Confusione, • Comportamenti ambivalenti, • Movimenti ripetitivi o stereotipati, • Stordimento, esitazione, • Deterioramento della rappresentazione spaziale, • Produzione di comportamenti infantili, • Reazioni impulsive, • Deterioramento della funzione degli sfinteri, • Crisi simili ad attacchi di panico. Possono essere specificati differenti tipi di questo disordine, quali: • Insorgenza improvvisa o lenta • Insorgenza precoce o tardiva • Umore depresso o produttivo (iper) • Causa riferibile ad una malattia specifica, un trauma, un disordine neurologico, un disturbo endocrino, una perdita dello status sociale, ecc. Queste indicazioni consentono di associare, ad esempio, la demenza senile ai disturbi dell’umore, o altre compromissioni cognitive con disordini neurologici o endocrini I metodi utilizzati sono stati la rassegna della letteratura disponibile e l’intuizione. Discussione e conclusioni Risultati Nel cane e nel gatto è possibile diagnosticare la demenza senile. Il quadro da me suggerito per questo disordine è di tipo descrittivo (criteri diagnostici) e può essere causato da molteplici eziologie. Come diagnosi standardizzata si potrebbe accettare una classificazione descrittiva generale di compromissione cognitiva. Ciò può aiutare i ricercatori a parlare dello stesso disordine servendosi delle stesse definizioni e facilita la ricerca di nuove funzioni cognitive facilmente riconosciute dal clinico. Bibliografia Criteri diagnostici Questo disordine è caratterizzato da segni obiettivi che sono presenti per la maggior parte della giornata, per almeno un mese, e sono riferibili ad una compromissione della funzione cognitiva che si manifesta con parecchi dei seguenti segni: • Disorientamento nello spazio e nel tempo, • Deterioramento delle abitudini e delle capacità di routine, • Compromissione della memoria, del riconoscimento simbolico e del concetto di persistenza di un oggetto nascosto, Dehasse J. Senile dementia or Generalised cognitive impairment disorder. 4th International veterinary Behavioural Meeting, proceeding n°352, Caloundra, Australia, 207-8. Landsberg G, Hunthausen W, Ackerman L 1997 Handbook of behaviour problems of the dog and cat. Butterworth-heinemann, Oxford. Pageat P 1998 Pathologie du comportement du chien. Le Point Vétérinaire, Maisons-Alfort. Indirizzo per la corrispondenza: Joel Dehasse 3 avenue du Cosmonaute, 1150 Brussel, Belgio E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 73 Problemi comportamentali di aggressività legati all’ansia nel gatto Joël Dehasse DVM, Dipl ECVBM-CA, Bruxelles, Belgio Riassunto A causa della loro mancanza di capacità sociali e dell’importanza della loro organizzazione territoriale, i gatti sono predisposti ai disturbi da ansia quando vengono esposti a contatti sociali o a distruzioni della territorialità, come nel caso dell’ansia da coabitazione, quella da appartamento, ecc. Introduzione I gatti sono predisposti ai disturbi da ansia. Sono predatori solitari, trascorrono ore a cacciare in ampie aree ogni giorno, senza cooperare con altri gatti. Hanno la tendenza ad evitare il contatto con i conspecifici. Sono sempre vigili. Quando vengono radunati intorno ad aree limitate o imprigionati in spazi molto ristretti, insorgono dei disturbi. contenimento, le manipolazioni, la spazzolatura, ecc. Ipervigilanza Segni autonomi come salivazione, diarrea, ecc. Manifestazioni organiche secondarie dovute ad attività di dislocazione, come l’alopecia da leccamento e l’obesità da iperfagia Marcature come la traspirazione o lo svuotamento dei sacchi anali 1.2-Trattamento Se l’arricchimento dell’ambiente non è sufficiente, è necessario impiegare farmaci come la clomipramina, la fluvoxamina o la fluoxetina. 1.3-Terapia Oggetti e richiami, stimolazione alla caccia. Pasti frequenti (10 - 15 volte al giorno); nascondere il cibo, in modo che il gatto debba cercarlo (stimolazione della caccia). 1-L’ansia del gatto in ambienti chiusi È possibile che i gatti non si adattino facilmente a vivere in piccoli ambienti chiusi. Possono sviluppare ansia accompagnata da aggressività predatoria reindirizzata nei confronti delle persone. 1.1-Criteri diagnostici A. I segni clinici compaiono in un gatto che vive in un ambiente di piccole dimensioni ed ipostimolante. Generalmente, l’animale è stato allevato in un ambiente più stimolante di quello attuale, come avviene ad esempio nel caso dei gatti che prima di venire adottati vivevano all’aperto o in quelli che discendono da gatti liberi di vagare (influenza dell’ereditarietà) e che ora vengono tenuti costantemente al chiuso. B. Esistono marcate manifestazioni di comportamenti simili a paura o timore, o di ansia o eccitazione, del tipo specificato fra i disordini da ansia generalizzata. C. C’è, o c’è stato, un aumento di una o più delle seguenti manifestazioni: Comportamenti predatori (venatori) reindirizzati verso parti del corpo delle persone, come le caviglie, le mani o la testa Attacchi di iperattività, talvolta in ore specifiche della giornata, come il tramonto. Arrotolamento della cute Aggressione da irritazione, scatenata da stimoli come il 2-Ansia da coabitazione del gatto I gatti che sono costretti a vivere insieme possono presentare diversi quadri di degradazione dei loro stati emotivi e delle loro capacità di comunicazione. 2.1-Criteri diagnostici A. I segni clinici si osservano in un gatto che vive in un gruppo, nel quale si sono verificati dei mutamenti della composizione o delle interazioni sociali (come l’arrivo di un nuovo gatto, il ritorno di uno che era stato ricoverato in clinica o anestetizzato, la presenza di un gatto malato, anziano, confuso, …) B. Esistono marcate manifestazioni di comportamenti simili a paura o timore, o di ansia o eccitazione, del tipo specificato fra i disordini da ansia generalizzata. C. Nel gruppo, ci sono almeno un gatto passivo ed uno attivo. entrambi possono essere colpiti dal disturbo. D. Specificare lo stadio: Distacco: nel primo stadio, entrambi i gatti aumentano la distanza che li separa e che si trova fra i propri campi territoriali, con minacce reciproche (soffiare). Scaramucce: nel secondo stadio, il gatto passivo che si muove (scappa) viene attaccato ed inseguito da quello attivo. Il campo di attività del gatto passivo viene invaso da quello attivo. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Ossessione: il gatto ipervigilante, ipersensibile, iperattivo (sindrome di arrotolamento della cute, irrequietezza della coda, aggressione reindirizzata verso oggetti e persone che si muovono, alopecia localizzata da leccamento, tendenza a spruzzare urina, …) invade i campi di isolamento del gatto passivo, inibito, che mostra aggressività da paura ed autoleccamento (alopecia estesa). 2.2-Trattamento Varia a seconda di ciascuno stadio. È utile il Feliway®. Gatto attivo: selegilina, clomipramina, fluoxetina e fluvoxamina. Gatto passivo: selegilina, clomipramina, trimipramina, sertralina. 2.3-Terapia I gatti possono essere posti in gabbie separate, ma contigue (unite da un’apertura che verrà ingrandita ad intervalli regolari), attuando contemporaneamente un trattamento con Feliway® e farmaci. I gatti possono essere controllati mediante pettorine e guinzagli e non è indispensabile metterli nelle gabbie. 3-Disturbi da ansia del gatto legati al territorio La distruzione della appagante marcatura territoriale può portare ad un comportamento di paura ed ansia con alterazione della marcatura facciale e comparsa di tendenza ad imbrattare o spruzzare urina. Quest’ultima è la principale ragione per cui il gatto viene portato alla visita. 74 3.1-Criteri diagnostici A. I segni clinici sono comparsi dopo una distruzione dell’appagante marcatura territoriale, come un’eccessiva pulizia dei mobili, il cambio di casa, ecc. B. Esistono marcate manifestazioni di comportamenti simili a paura o timore, o di ansia o eccitazione, del tipo specificato fra i disordini da ansia generalizzata. C. C’è, o c’è stato, un aumento di una o più delle seguenti manifestazioni: Marcatura facciale (appagante), Tendenza a graffiare i mobili Tendenza a spruzzare urina 3.2-Psicodinamiche Si riconoscono due stadi. 1- Tendenza reattiva a spruzzare urina in punti limitati da parte di un gatto eccitato o spaventato. 2- Aumento della tendenza a spruzzare urina da parte di un gatto ansioso. 3.3-trattamento Diffusori di Feliway, clomipramina (0,25 mg/kg), pulizia con agenti che eliminino gli odori e trattamento degli stimoli scatenanti. Bibliografia Dehasse J. L’éducation du chat. Montreal: Le Jour, éditeur, 2000. Frank D, Dehasse J. Differential diagnosis and management of humandirected aggression in cats. Vet Clin Small Anim 33 (2003) 269-286 Indirizzo per la corrispondenza: Joel Dehasse - 3 avenue du Cosmonaute, 1150 Brussel, Belgio E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 75 La visita comportamentale specialistica: inquadratura, problemi e aspettative Joël Dehasse DVM, Dipl ECVBM-CA, Bruxelles, Belgio Riassunto In medicina comportamentale veterinaria, più che nella pratica clinica generale, è importante stabilire un contatto con il proprietario: cosa ci chiede? Una perizia, una consulenza, una terapia? Noi ci aspettiamo di dover trattare i disturbi, ma può darsi che il proprietario ci chieda solo di spiegargli il problema. Introduzione Questa relazione è destinata ad aiutare il veterinario a strutturare il proprio lavoro. 1-Impostazioni Definizione: L’impostazione è la struttura professionale che voi suggerite al cliente per arrivare ad una relazione professionale. L’impostazione è l’accordo su una relazione professionale fra voi come terapista ed il cliente (ed i suoi animali). 1.1-Impostazioni da definire prima del consulto Aspetti economici (denaro) Tempo Spazio Impostazione professionale 1.2-Impostazioni da definire durante il consulto Aspettative Frequenza Rinuncia Fine della terapia Relazione professionale o privata 2-Problemi Il cliente vi comunica i problemi (seccature) che gli provoca il suo animale. 2.3-Descrizione dettagliata dei problemi Sequenze comportamentali, posture, fattori scatenanti, correlazioni, contesti, conseguenze ed interazioni sociali per ogni singolo problema. 2.4-Eccezioni ai problemi È molto utile chiedere quando ci si aspetta che il problema si manifesti, ed anche quando non compare. Questa è quella che io chiamo l’”eccezione” al problema. Spesso, fornisce indicazioni per le soluzioni terapeutiche. 3-Richieste ed aspettative Il cliente spesso descrive i problemi. Ciò non significa che voglia che siano risolti. Può anche darsi che desideri avere una spiegazione, una perizia, una valutazione della pericolosità del suo animale o il trattamento di parecchi problemi. “Che cosa si aspetta da me?” è la domanda che pongo. Le aspettative devono essere dettagliate in termini di obiettivi e di tempo (scadenze). Definire le aspettative contribuisce a precisare l’urgenza delle richieste. Le richieste sono ciò che il cliente vuole ottenere da voi, ciò che sta dicendo. Sono una cosa che riguarda il momento presente. Le aspettative sono ciò che il cliente ricerca, crede e desidera, anche senza dirlo. Sono una cosa che riguarda il futuro. Le richieste stesse sono il punto di partenza di un questionario dettagliato (semiotica). Suggerisco di utilizzare un “questionario a stella”, incentrato sulla richiesta (segno clinico) ed esplorando l’intero etogramma basandosi su questo schema. 4-Contratto È necessario stabilire un accordo fra terapista e cliente, chiarendo ciò che il primo può suggerire e quello che il secondo si aspetta. Se non vi sentite a vostro agio con la richiesta che vi è stata fatta, non accettate di “firmare” il contratto. Avete il diritto di rifiutarlo per qualsiasi ragione (etica, professionale, ecc.). Nessuno può costringervi ad accettare un patto se non vi sentite di farlo. 2.1-Elenco e gerarchia di tutti i problemi 2.2-Cinetiche dei problemi Chiedere quando è iniziato ogni problema, qual è la sua frequenza e che evoluzione ha: è stabile, migliora o si accentua e, se è così, quando? 5-Semiotica Definizione: la semiotica è la scienza dei segni e dei sintomi. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC In ambito clinico, dobbiamo cercare i segni pertinenti che ci aiutino a gestire e modificare i disturbi comportamentali ed aumentare il benessere degli animali e delle persone. Ci sono parecchi fattori essenziali da analizzare nei problemi comportamentali: cinetiche, sequenze comportamentali, posture, fattori scatenanti, correlazioni, contesti, conseguenze ed interazioni sociali di ogni singolo problema. 6-Graduatorie Il proprietario può valutare soggettivamente i problemi comportamentali ed i disturbi del suo animale. Le graduatorie sono interessanti per il terapista, perché lo aiutano a capire quanto un dato comportamento sia problematico per il proprietario, classificare i diversi problemi in un ordine gerarchico ed apprezzare l’evoluzione dei problemi stessi durante le visite di follow-up. Ad esempio: Stabilire il grado del problema/seccatura su una scala da 1 a 10 in percentuale (dove 0 è il giudizio peggiore mentre 10 corrisponde al comportamento migliore/desiderato) 7-Diagnosi Esistono parecchi tipi di diagnosi. Nosografia (descrizione della malattia): indicare i problemi con dei nomi. Assegnare un nome ai disturbi può essere interessante per i veterinari per comunicare professionalità, ma non è molto utile per i clienti e può anche ostacolare la comunicazione fra veterinario e cliente. Disfunzione e patologia: Questa è la classificazione dei problemi secondo la loro patologia: esiste un qualsiasi processo patologico a carico dell’animale o del sistema? Sistema: comprende l’analisi della struttura e delle comunicazioni all’interno del sistema stesso. Pericolosità: si tratta della valutazione della pericolosità dell’animale: quanto questo è pericoloso per il suo ambiente? 8-Terapie Le terapie possono essere suddivise in parecchi gruppi: Gestione ambientale Terapie comportamentali Terapie sistemiche Terapie cognitive Interventi meccanici (come base delle terapie comportamentali) Trattamenti farmacologici Le terapie saranno suddivise a seconda delle conoscenze del terapista e dell’esperienza dei proprietari circa la loro attuazione 9-Follow-up Prima di accettare la valutazione del proprietario, potrete giudicare voi stessi la situazione dell’animale. Spesso il 76 proprietario afferma che lo stato dell’animale è peggiorato, pensando ad un ultimo evento negativo, quando invece in realtà la situazione nel complesso è migliorata, come risulta evidente dalle graduatorie di valutazione. Miglioramento: la situazione migliore. Si può decidere di continuare il trattamento o fermarsi. Nessuna variazione: la mancanza di cambiamenti rispetto alla prima visita deve essere valutata secondo le cinetiche dei segni clinici. Aggravamento: riconsiderare la situazione, analizzare comportamenti e graduatorie e passare in rassegna le strategie terapeutiche e l’attuazione delle terapie e dei trattamenti previsti. Insorgenza di problemi/disturbi: cessare il trattamento farmacologico, valutare se la terapia non abbia aggravato i problemi, ecc. 10-Limitazioni In psichiatria veterinaria non è possibile guarire qualsiasi cosa. Un animale pericoloso, ad esempio, potrebbe non arrivare mai al livello di “pericolosità zero”. La comunicazione fra esseri viventi è inevitabilmente legata all’imprevedibilità della vita. Esistono parecchi argomenti che ci possono aiutare a capire queste limitazioni: la teoria del caos, la genetica, gli handicap strutturali, il momento per effettuare il trattamento, il denaro, la conoscenza, l’attuazione delle terapie da parte del proprietario, le considerazioni etiche, il rispetto dei diritti degli animali, la personalità dell’animale. 11-Pericoli Gli psichiatri veterinari vedono molti animali che causano delle seccature, scatenano pregiudizi e sono un pericolo per la società (o almeno per i loro proprietari). Un cane su due esaminati perché presentano problemi comportamentali manifesta un comportamento aggressivo. Numerosi veterinari sono stati morsicati. Io suggerisco ad ogni terapista di adottare le misure protettive (museruole o guinzagli) per evitare questi pericoli. Bibliografia Dehasse J. The role of the family in behavioural therapy. In: Horwitz D, Mills D, Heath S, eds. BSAVA manual of Canine and Feline Behavioural Medicine. British Small Animal Vet Association, 2002: 30-36. Indirizzo per la corrispondenza: Joel Dehasse 3 avenue du Cosmonaute, 1150 Brussel, Belgio E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 77 Nuove linee guida per la prescrizione dei farmaci Joël Dehasse DVM, Dipl ECVBM-CA, Bruxelles, Belgio Riassunto I farmaci possono venire prescritti in base al loro effetto neurofisiologico o alla loro conseguenza psicologica. Io suggerisco di utilizzare il secondo metodo, più pratico nella pratica professionale. scritti dagli specialisti veterinari è limitato: Alprazolam, Amitriptilina, Clomipramina, Ciproterone, DAP (Dog appeasing pheromone), FeliwayR, Fluoxetina, Fluvoxamina, Mianserina, Fenobarbital, Pipamperone, Selegiline, Sertraline. Prescrivere un farmaco è una terapia Introduzione Questa relazione è dedicata ad aiutare i veterinari a prescrivere farmaci nei casi di medicina comportamentale. È facile per I veterinari prescrivere I farmaci. Quelli utilizzati oggi possiedono un effetto di modulazione, non sono i sedativi che si usavano 10 o 20 anni fa. Nella maggior parte dei casi, sono sicuri da utilizzare. Prescrivere un farmaco è una terapia. Dovete spiegare al proprietario cosa vi aspettate dal farmaco, come e quando influenzerà il comportamento dell’animale, cosa e quando vi aspettate che i proprietari vi riferiscano per quanto riguarda gli effetti, le reazioni collaterali, la compliance, ecc. Stati di Iper-, Ipo- e DisI disordini possono essere così classificati: Prescrizione dei farmaci Qualunque sia il trattamento o la gestione del comportamento (educazione, terapia comportamentale, ecc.), si riduce tutto ad un fatto semplice: la neurotrasmissione. qualsiasi cosa che modifichi una sequenza di atti deve modificare la neurotrasmissione da qualche parte lungo l’intera catena chimica cerebrale. Uno dei modi più facili per accedere agli eventi chimici del cervello e modificarli è la somministrazione di farmaci. È anche il solo modo per modificare nello stesso momento tutti gli elementi psicobiologici come le reazioni autonome, le emozioni, la cognizione e le disposizioni di umore. Benché esistano dozzine o persino centinaia di farmaci psicotropi, in medicina comportamentale veterinaria ne utilizziamo solo pochi. Non rientrano in questa affermazione i farmaci delle medicine non tradizionali, come quelli omeopatici, che si contano a migliaia. Qualunque sia il farmaco scelto, bisogna avere uno schema per usarlo. Che farmaco useremo ed a quale scopo? Bisogna che soddisfi due requisiti di base: non essere dannoso ed essere efficace. La scelta di una terapia farmacologica non è mai definitiva; è legata ad una strategia terapeutica; questa non è rigida, si modifica col tempo e con l’evoluzione della sintomatologia, delle esigenze e delle necessità. Stato Descrizione Farmaci Iper- L’animale sta producendo comportamenti e fastidi Anti-iper = anti-produttivi Ipo- Stati di deficit in cui i comportamenti sono ridotti Anti-ipo = facilitanti Dis- Stati iper- ed ipo- alternantisi Anti-dis = regolatori Basi logiche della prescrizione e repertorio In un modello di prescrizione basato su segni clinici o diagnosi, si può utilizzare un repertorio per facilitare la scelta del farmaco efficace. Non limitatevi a lavorare su un solo segno clinico, ma scegliete parecchie manifestazioni del problema (selezionate in base alla vostra strategia terapeutica) in modo da arrivare ad individuare il farmaco migliore. Demenza, disturbo cognitivo, età avanzata Durata del trattamento: solo a breve termine DisPaure, fobia Ipo- Il limitato numero di farmaci utilizzati di frequente Sul mercato (umano) si trovano dozzine di farmaci psicotropi disponibili. Ma il numero di quelli solitamente pre- IperComportamento di alimentazione, ipofagia, trattamenti farmacologici da evitare Selegilina Alprazolam, Mianserina Selegilina Alprazolam, Clomipramina, DAP, Feliway, Selegilina, Sertralina Alprazolam, Mianserina, Sertralina, Clomipramina, Fluoxetina, Fluvoxamina Fluoxetina 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 78 Dosaggio dei farmaci Farmaco Cane Gatto Alprazolam 0,01-0,1 mg/kg/die in 2 - 4 dosi 0,01-0,05 mg/kg/die (attenzione, rischio di morte) Amitriptilina 2 – 6 mg/kg/die in 2 dosi 0,25-0,5 mg/kg/die in 2 dosi Clomipramina 2-4 (fino a 6) mg/kg/die in 2 dosi 0,25 - 0,5 mg/kg in 1 - 2 dosi (attenzione, rischio di morte) Ciproterone 5 mg/kg/die in 2 dosi, ridurre la posologia dopo 1 settimana – Fluoxetina 1-4 mg/kg/die in 1 dose 0,25-1mg /kg/die Fluvoxamina 2-8 mg/kg/die in 2 dosi 0,5 – 3 mg/kg/die in 2 dosi Pipamperone (in associazione) 20-40 mg/m2/die in associazione con clomipramina o fluvoxamina – Selegilina 0,5 mg/kg/die in 1 dose (al mattino o al pomeriggio) 1 mg/kg/die in 1 dose Sertralina 2-5 mg/kg/die in 1 - 2 dosi 0,5-3 mg/kg/die in 1 - 2 dosi I dosaggi vanno adattati ai singoli individui. Modalità di prescrizione e linee guida generali Non esiste alcuna regola generale per la prescrizione dei farmaci: ogni veterinario segue la sua logica di prescrizione. Io suggerisco di utilizzare il dosaggio minimo efficace e poi aumentare la posologia ogni 3-5 giorni fino a che non si raggiunge l’efficacia desiderata. Dovete dire al cliente che potreste modificare il dosaggio con il passare del tempo. Un ristretto numero di farmaci, come la selegilina, presenta un dosaggio esclusivo. Con il ciroterone, la posologia va ridotta col tempo. Per tutti i farmaci, esclusa la selegilina, è necessaria una sospensione graduale. Allo scopo si riduce progressivamente il dosaggio per una settimana per ogni mese di trattamento. Conclusioni A condizione di rispettare poche regole, prescrivere farmaci per trattare i disturbi comportamentali è molto facile. Bibliografia Dehasse J. Le chien agressif. Paris: Publibook.com 2002. Indirizzo per la corrispondenza: Joel Dehasse 3 avenue du Cosmonaute, 1150 Brussel, Belgio E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 79 Encefalopatie vascolari Curtis W. Dewey DVM, MS, Dipl ACVIM (Neurology), Dipl ACVS, New York, USA INTRODUZIONE Col termine “encefalopatie vascolari” si indica un disturbo della funzione cerebrale causato da ischemia o mancato apporto di ossigeno. Questa relazione sarà incentrata sugli eventi ischemici focali (ictus, infarto) e descriverà brevemente gli aspetti dell’ischemia cerebrale globale (da arresto cardiopolmonare e da “incidenti” in anestesia). La fisiopatologia dell’encefalopatia vascolare verrà trattata solo brevemente, sottolineando invece le caratteristiche cliniche. L’encefalopatia vascolare, ed in particolare l’ictus, è relativamente comune nel cane e si riscontra occasionalmente nel gatto. L’espansione della disponibilità e dell’applicazione della risonanza magnetica (MRI) in medicina veterinaria ha senza dubbio svolto un ruolo di primaria importanza nell’accrescere il riconoscimento delle encefalopatie vascolari del cane e del gatto. FISIOPATOLOGIA E CAUSE DI EVENTI ISCHEMICI FOCALI (INFARTI, ICTUS) Gli ictus o gli infarti sono interruzioni dell’apporto ematico arterioso ad una sezione del cervello. Possono essere grandi (territoriali) o piccoli (lacunari). Questi eventi ischemici possono essere dovuti ad un’ostruzione vascolare di derivazione locale (trombo, vasospasmo) oppure ad un’ostruzione vascolare che raggiunge l’encefalo a partire da una sede distante (tromboembolismo). Il sanguinamento intracranico può essere associato agli infarti cerebrali (ictus emorragico) oppure no (ictus non emorragico). Nei cani, gli ictus non emorragici sembrano essere molto più comuni di quelli emorragici. La fisiopatologia dell’ictus è complessa. In generale, l’interruzione dell’apporto di ossigeno al tessuto distrugge il normale metabolismo energetico cellulare (cioè la produzione di ATP) nell’encefalo. Ciò esita in necrosi ed edema cerebrali, dovuti alla liberazione di una moltitudine di mediatori citotossici associata alla perdita dell’integrità cellulare. Nell’uomo, gli ictus sono comuni e di solito associati ad aterosclerosi. Quest’ultima viene occasionalmente segnalata in cani gravemente ipotiroidei e negli schnauzer nani con iperlipoproteinemia, ma generalmente è considerata rara nel cane e nel gatto. Tuttavia, esistono molteplici fattori di rischio di sviluppo di ictus nell’uomo, che si aggiungono all’aterosclerosi. Spesso coesiste un’ipertensione, che viene ritenuta uno dei principali fattori che contribuiscono allo sviluppo dell’ictus. L’ipertensione viene spesso diagnosticata nella popolazione umana e nella maggior parte dei casi è idiopatica (ipertensione essenziale). Nel cane e nel gatto può essere difficile da documentare, per parecchie ragioni. I valori pressori del sangue possono risultare falsamente elevati (soprattutto nel gatto) a causa dello stress del- l’ospedalizzazione. Inoltre, i pazienti possono manifestare un’ipertensione intermittente; se si effettuano letture singole della pressione sanguigna, un esito normale può non essere rappresentativo delle condizioni del paziente. Presso l’ospedale dell’autore, effettuiamo di routine misurazioni seriali della pressione sanguigna nei pazienti nei quali sia stato diagnosticato un ictus mediante MRI; molti dei cani esaminati presentano una pressione sistolica superiore a 200 mm Hg. I disordini che possono essere associati all’ipertensione nel cane sono rappresentati da insufficienza renale, iperadrenocorticismo, diabete mellito, insufficienza epatica, feocromocitoma ed ipero ipotiroidismo. Nell’uomo, l’uso di fenilpropanolamina (PPA) è stato correlato all’ipertensione ed all’ictus. L’autore ha osservato due cani con ictus che erano stati trattati con PPA. Uno di questi mostrava anche segni di insufficienza renale. L’altro non era affetto da alcuna altra anomalia identificabile e alla biopsia, che seguì alla MRI, venne diagnosticato un infarto emorragico. Oltre all’ipertensione, esistono altri fattori capaci di predisporre il paziente all’ictus, come l’ipercoagulabilità e l’aumento della viscosità ematica. L’ipercoagulabilità si può sviluppare in casi di insufficienza renale cronica ed iperadrenocorticismo. L’insufficienza renale cronica (con nefropatia proteinodisperdente) può portare ad una riduzione dei livelli circolanti di antitrombina III. I meccanismi responsabili dello stato di ipercoagulabilità nell’iperadrenocorticismo sono meno chiari, ma sembrano coinvolgere elevati livelli ematici di certi fattori della coagulazione (VII, IX, XI, XII) nonché una ridotta attività fibrinolitica dovuta ad elevati livelli di plasminogeno ed alfa2-antiplasmina. In un recente studio su cani con ictus, i due stati patologici più comunemente identificati risultarono essere la nefropatia cronica e l’iperadrenocorticismo. L’aumento della viscosità ematica è spesso associato a disordini poco comuni come le gammopatie e la policitemia vera. Tuttavia, nell’uomo esistono prove che indicano che elevati livelli plasmatici di fibrinogeno possono aumentare la viscosità del sangue e predisporre all’ictus. L’iperfibrinogenemia è comune ad una gran varietà di disordini, dal momento che si tratta di una proteina reattiva di fase acuta. Gli elevati livelli ematici di fibrinogeno possono anche promuovere la formazione di fibrina, l’attivazione delle piastrine e la proliferazione dell’endotelio vascolare e delle cellule muscolari lisce. Di conseguenza, l’iperfibrinogenemia può predisporre all’ictus aumentando la viscosità ematica e sostenendo uno stato di ipercoagulabilità. Per le razze spaniel, ed in particolare per il Cavalier King Charles spaniel, sembra esistere una predisposizione allo sviluppo degli ictus cerebellari. Si sospetta che ciò sia dovuto alla frequente presenza in questi cani della sindrome da malformazione occipitale caudale (COMS), alla quale è associata un’interferenza con il normale flusso dell’arteria basilare. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Le affezioni tromboemboliche possono portare ad infarti cerebrali. Benché in medicina veterinaria sia più comunemente associata alle affezioni tromboemboliche aortiche ed alla disfunzione degli arti pelvici, anche la perdita di funzionalità cardiaca può essere abbinata all’ictus. Recentemente, è stata pubblicata una casistica di cani con endocardite batterica con diffusione di tromboemboli settici all’encefalo, che avevano portato ad un’encefalopatia vascolare. In rari casi, grappoli di cellule neoplastiche possono procedere lungo il sistema vascolare sino a raggiungere l’encefalo, causando un’ostruzione vascolare ed un ictus. Nell’ictus del cane e del gatto è occasionalmente implicata la migrazione di parassiti aberranti. L’encefalopatia ischemica felina è stata messa in relazione con la migrazione di Cuterebra. Si ritiene che il parassita migrante, o la risposta ad esso (ad es., degranulazione degli eosinofili) porti ad un vasospasmo della vascolarizzazione cerebrale (tipicamente, dell’arteria cerebrale media). FISIOPATOLOGIA E CAUSE DELL’ISCHEMIA CEREBRALE GLOBALE In confronto all’ischemia cerebrale focale (infarti, ictus), in ambito clinico l’ischemia cerebrale globale si riscontra con frequenza molto minore. Il tasso di sopravvivenza dall’arresto cardiopolmonare è estremamente basso, per cui si può disporre di pochi pazienti sopravvissuti per dimostrare gli effetti dell’ischemia cerebrale globale. Gli “incidenti” anestetici, nei quali un paziente viene reso involontariamente ipossiemico durante l’anestesia, sono fortunatamente poco frequenti. Gli eventi fisiopatologici di base descritti per gli infarti focali sono gli stessi dell’ischemia globale, ma su scala più diffusa. Esistono certe aree dell’encefalo che risultano più sensibili di altre all’ipossiemia. Queste aree comprendono i neuroni della corteccia cerebrale, l’ippocampo, certi nuclei basali (ad es., quello caudato) e la corteccia cerebellare. DIAGNOSI DI ENCEFALOPATIA VASCOLARE Una caratteristica distintiva dell’encefalopatia vascolare è l’insorgenza iperacuta di una disfunzione neurologica non progressiva. Occasionalmente, si può osservare un certo deterioramento neurologico entro le prime 24 ore dell’infarto. Un’altra caratteristica costante dell’ischemia cerebrale focale è la marcata asimmetria. La risonanza magnetica è la tecnica di diagnostica per immagini più sensibile per l’identificazione dell’encefalopatia vascolare. Anche se gli eventi ischemici possono talvolta risultare difficili da distinguere da altri processi patologici, nelle immagini MRI gli infarti tendono ad avere certe caratteristiche tipiche. Quelli non emorragici tendono ad essere delineati in maniera netta, ed a risultare ipointensi nelle immagini pesate in T1, iperintensi in quelle in T2 ed intermedie (ad es., FLAIR). Le lesioni tendono anche a non presentare un’accentuazione del contrasto o a mostrare soltanto un’accentuazione marginale. Gli infarti emorragici si incontrano poco comunemente, ma tendono ad accentuare bene il contrasto. Gli infarti cerebrali tendono ad essere localizzati nel territorio dell’arteria cerebrale media mentre quelli cerebellari si trovano nell’ambito vascolare dell’arteria cerebellare rostrale. Tipi- 80 camente, non esiste alcun segno di distorsione del parenchima cerebrale in posizione adiacente alla lesione dell’infarto (ad es., non si riscontrano distorsione ventricolare né spostamento lungo la linea mediana della falx cerebri). Nei casi di ischemia cerebrale globale da anestesia, ci sono segni di captazione simmetrica del contrasto nelle regioni encefaliche sensibili all’ischemia. Tali regioni assumono anche un aspetto iperintenso nelle immagini pesate in T2 e FLAIR. L’analisi del liquido cefalorachidiano (liquor) nei cani e nei gatti con encefalopatia vascolare risulta variabile. Nella maggior parte dei casi è normale o riflette una lieve pleocitosi mononucleare o neutrofila; occasionalmente, si ha un aumento dei livelli di proteine. Nei pazienti con sospette encefalopatie vascolari focali, si deve ricercare una causa primaria dell’infarto. TRATTAMENTO E PROGNOSI DELL’ENCEFALOPATIA VASCOLARE Poiché i segni clinici della disfunzione nell’encefalopatia vascolare sono spesso gravi ed inaspettatamente improvvisi, spesso si emette scorrettamente una prognosi sfavorevole immediata. Il sospetto di un’encefalopatia vascolare come entità eziologica in questi casi è probabilmente finalizzato ad evitare un’eutanasia non necessaria. La maggior parte dei casi di encefalopatia vascolare recupera la funzione neurologica entro parecchie settimane di terapia di supporto. Per trattare i cani ed i gatti colpiti da eventi ischemici focali è di primaria importanza indirizzare le misure terapeutiche alla causa sottostante dell’infarto, se la si identifica. Nell’immediato periodo successivo ad un sospetto ictus, probabilmente è necessaria una terapia con mannitolo (0,5-1,0 mg/kg) per contrastare l’edema cerebrale. Nel trattamento dei pazienti umani con ictus, non è stata rilevata alcuna prova dell’utilità dei glucocorticoidi. Un’adeguata ossigenazione, il sostegno cardiovascolare ed attente cure infermieristiche sono tutti elementi di capitale importanza nell’immediato periodo successivo all’ictus. La prognosi del paziente risulta tipicamente correlata in modo più diretto al processo patologico sottostante responsabile dell’ictus che all’ictus stesso. In una recente segnalazione di 33 cani con ictus, 10 furono infine soppressi eutanasicamente. In 7 casi la soppressione fu dovuta alla gravità della malattia sottostante, mentre in altri 3 la causa fu la mancanza di miglioramento dello status neurologico. L’ipertensione può spesso venire controllata con ACE-inibitori come l’enalapril e/o farmaci vasodilatatori come il prazosin o l’amlodipina. Il trattamento dei pazienti con ischemia cerebrale globale richiede in primo luogo cure infermieristiche di sostegno e tempo. Bibliografia Dewey CW. A Practical Guide to Canine and Feline Neurology 2003: 99. Hillock SM, et al. Compend Contin Educ Pract Vet 2005: in press. Berg JM, et al. J Am Anim Hosp Assoc 2003;39: 203. McConnell JF, et al. Vet Rad Ultrasound 2005;46:1. Garosi LS, et al. J Vet Intern Med (abstract) 2004;18:409 Garosi LS, et al. J Vet Intern Med (abstract) 2004;18:411. Panarello GL, et al. J Vet Emerg Crit Care 2004;14:269. Indirizzo per la corrispondenza: Curtis W. Dewey - Long Island Veterinary Specialists 163 South Service Road, Plainview, NY 11803 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 81 Principi per il trattamento del trauma cranico Curtis W. Dewey DVM, MS, Dipl ACVIM (Neurology), Dipl ACVS, New York, USA INTRODUZIONE Fra i casi più difficili da trattare in medicina del cane e del gatto rientrano quelli che comportano un grave trauma cerebrale. Nonostante il rischio di cattiva risposta al trattamento e successiva morte, molti pazienti con gravi lesioni della testa rispondono ad una terapia tempestiva ed aggressiva. I clinici tendono ad emettere prematuramente una prognosi sfavorevole per questi pazienti, basandosi principalmente sul loro aspetto iniziale. Il clinico esperto sa che la maggior parte dei cani e dei gatti con profonde lesioni encefaliche non hanno affatto un bell’aspetto quando vengono portati alla visita per la prima volta e che ciò è dovuto in parte al danno encefalico ed in parte allo stato di shock complessivo in cui si trova la maggior parte di questi soggetti. Cani e gatti si riprendono pienamente da un grave insulto cerebrale, anche se ciò può richiedere tempo e cure infermieristiche intensive. FISIOPATOLOGIA DEL DANNO ENCEFALICO Il danno encefalico può essere concettualmente suddiviso in primario e secondario. Quello primario fa riferimento agli eventi che si verificano immediatamente al momento dell’impatto e comprende il danno diretto del parenchima cerebrale e quello dei vasi sanguigni intracranici. Le contusioni cerebrali, le lacerazioni, il danno assonale diffuso, l’emorragia e l’edema vasogenico sono tutte conseguenze immediate del danno encefalico primario. Quest’ultimo innesca una cascata di eventi biochimici che costituiscono quello secondario. Tali eventi comprendono la deplezione dei livelli neuronali di ATP (accelerata da ipossiemia/ipovolemia), l’accumulo intracellulare di Ca++ ed Na+, la formazione di radicali liberi dell’ossigeno, l’aumento della produzione di citochine, la presenza di elevati livelli extracellulari di glutammato (mediatore del danno neuronale excitotossico), l’accumulo di acido lattico, quello di ossido nitrico e l’attivazione di parecchie vie potenzialmente dannose per le cellule (ad es., chinina, complemento, coagulazione/fibrinolisi). Sia il danno cerebrale primario che quello secondario esitano in progressivi incrementi della pressione intracranica (ICP) che può diventare fatale se non viene migliorata. Al momento attuale, i clinici hanno scarso o nessun controllo sul danno encefalico primario, ma possono riuscire a diminuire gli effetti dannosi di quello secondario. DINAMICHE DELLA PRESSIONE INTRACRANICA (ICP) La pressione intracranica (ICP) è la pressione esercitata dai tessuti e dai fluidi all’interno della volta cranica. I suoi valori normali nel cane e nel gatto sono compresi fra 5 e 12 mmHg. La pressione di perfusione cerebrale (CPP) è uno dei fattori primari che determinano la pressione sanguigna cerebrale e, quindi, l’ossigenazione ed il supporto nutrizionale dell’encefalo. La CPP viene definita dalla seguente equazione: CPP = MABP-ICP, dove MABP corrisponde alla pressione sanguigna arteriosa media. Il contenuto normale della cavità cranica è rappresentato dal parenchima cerebrale, dal sangue e dal liquido cefalorachidiano (liquor). In condizioni normali, queste componenti si trovano in equilibrio reciproco e la ICP resta entro i limiti normali. Fra gli estremi della MABP di 50 e 150mm Hg, la ICP resta costante. Questo fenomeno viene detto autoregolazione della pressione. Tale autoregolazione serve a mettere in relazione le alterazioni della pressione sanguigna sistemica con il tono vascolare cerebrale. Se la MABP aumenta, a livello encefalico si ha una vasocostrizione; se diminuisce, si ha una vasodilatazione. Nell’animale normale, il primo scenario impedisce alla ICP di aumentare ed il secondo le impedisce di diminuire. Col termine autoregolazione chimica si indica la capacità di risposta diretta della vascolarizzazione cerebrale alla pressione parziale del biossido di carbonio nel sangue arterioso (PaCO2); elevati livelli di PaCO2 provocano vasodilatazione, mentre un calo degli stessi livelli induce una vasocostrizione. Entrambe le forme di vasoregolazione spesso restano integre nei pazienti umani con grave trauma cranico, ma la autoregolazione della pressione può venire compromessa nel 30% circa dei casi. In alcuni di questi soggetti, il limite estremo inferiore della MABP può venire “resettato” ad un valore più elevato. In presenza di un grave trauma cranico, sia l’emorragia intracranica che l’edema possono aggiungersi al volume del comparto intracranico. Data la natura inespandibile del cranio, una o più componenti della cavità cranica devono andare incontro a fenomeni di accomodazione per rispondere all’aumento di volume, perché altrimenti si avrebbe un innalzamento della ICP. Questa accomodazione o tamponamento del volume si ottiene attraverso lo spostamento dei fluidi nella vascolarizzazione cerebrale e le vie del liquor e viene indicata come compliance intracranica. La compliance viene espressa come la variazione di volume per unità di variazione di pressione. Quella intracranica ha dei limiti e 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC diminuisce man mano che la ICP aumenta. Se il volume intracranico viene incrementato oltre le capacità dei meccanismi di compensazione, si verificano degli innalzamenti progressivamente sempre più elevati della ICP per unità di incremento volumetrico, la CPP viene compromessa e si ha la morte ischemica del tessuto cerebrale. Nei casi di grave trauma cranico, la compliance intracranica spesso va rapidamente esaurita. Se la MABP diminuisce (ipotensione), specialmente in associazione con ipossiemia, la vascolarizzazione cerebrale va incontro a vasodilatazione nello sforzo di preservare il flusso ematico. L’aumento del volume di sangue accresce la ICP, ma la CPP resta inadeguata. Inoltre, i processi autolitici secondari che si verificano nell’encefalo leso vengono accentuati dall’ipotensione e dall’ipossiemia e si ha un ulteriore danno ed edema cerebrale con conseguente aumento della ICP. VALUTAZIONE INIZIALE E TRATTAMENTO DI EMERGENZA La valutazione clinica iniziale dei pazienti con grave trauma encefalico deve essere focalizzata sulle anomalie che comportano una minaccia immediata per la sopravvivenza. Molti pazienti colpiti da grave trauma cranico si presentano al clinico in uno stato di shock ipovolemico. Non bisogna avere fretta di concentrarsi inizialmente sulle condizioni neurologiche del paziente; questo potrà migliorare una volta che sia stato corretto lo stato di shock. Va ricordato che i pazienti traumatizzati ed ipovolemici senza alcun danno cerebrale apprezzabile spesso mostrano depressione del sensorio, dovuta principalmente allo stato ipotensivo. Il clinico deve prima di tutto concentrarsi sull’ABC del trattamento del trauma (vie aeree, respirazione, status cardiovascolare). Così facendo, l’encefalo, come il resto del paziente, ne trarrà beneficio. I test di valutazione rapida (QAT, quick assessment test), come la determinazione dell’ematocrito (Htc), dei solidi totali (TS), dell’azotemia mediante strisce reattive (AZO) e della glicemia (BG) fanno parte della valutazione del paziente. L’ipovolemia e l’ipossiemia vanno trattate immediatamente perché nei pazienti umani vittime di un trauma cranico sono fortemente correlate all’innalzamento della ICP ed all’incremento della mortalità. Spesso ci si preoccupa che l’aggressiva fluidoterapia endovenosa necessaria a contrastare l’ipotensione nei pazienti con danno encefalico possa aggravare l’edema cerebrale. Esistono prove sia a favore che a sfavore di questa ipotesi. Proprio a causa di questa preoccupazione, è stato suggerito di limitare il volume nelle vittime di gravi traumi cranici. Queste raccomandazioni sono non solo infondate, ma anche fortemente controindicate. Sulle disastrose conseguenze del danno encefalico se si concede all’ipotensione di persistere non si discute. È stato ripetutamente dimostrato che l’ipotensione è un affidabile fattore per prevedere il protrarsi degli aumenti della ICP e l’incremento della mortalità nei pazienti umani che hanno subito traumi cranici. La pressione sanguigna va riportata ai livelli normali il più presto possibile. Un paziente con una pressione sistolica inferiore a 90 mm Hg deve essere considerato ipoteso. Alcuni fluidi da ripristino volumetrico (ami- 82 do eterificato, soluzione ipertonica di NaCl) offrono una certa protezione all’encefalo edematoso, anche se utilizzate con grandi volumi di cristalloidi (Ringer lattato, soluzione fisiologica). L’amido eterificato e la soluzione ipertonica di NaCl possono migliorare la MABP e quindi la CPP senza esacerbare l’edema cerebrale. Nella maggior parte dei pazienti con danno encefalico acuto si raccomanda l’iperossigenazione. Lo status dell’ossigenazione dei pazienti vittime di trauma cranico può essere inizialmente valutato basandosi sulla frequenza e sul tipo di respirazione, sul colore delle mucose e della lingua e sull’auscultazione del torace. Pneumotorace e contusioni polmonari sono sequele comuni dei traumi e, se presenti, devono essere trattate. Se è disponibile l’emogasanalisi arteriosa, la pressione parziale dell’ossigeno nel sangue arterioso (PaO2) va mantenuta pari o superiore a 90 mmHg nel cane e 100 mmHg nel gatto. I pulsossimetri sono estremamente utili ed offrono una stima relativamente accurata dello status dell’ossigenazione. Tuttavia, la loro affidabilità varia in funzione del modello utilizzato e del livello di PaO2 (i pulsossimetri possono sovrastimare lo status dell’ossigenazione a livelli di PaO2 inferiori). VALUTAZIONE SECONDARIA E PROCEDURE DIAGNOSTICHE Una volta ottenuta la normovolemia e un’ossigenazione/ventilazione appropriata, il paziente deve essere valutato in modo più accurato per rilevare altre lesioni a carico del sistema nervoso (ad es., fratture/lussazioni vertebrali), nonché di altri apparati (polmoni, organi addominali, sistema muscoloscheletrico). A questo punto, si deve effettuare una visita neurologica completa. In coincidenza con la valutazione secondaria, bisogna iniziare la terapia medica specifica per il danno encefalico. Può essere necessario effettuare altri esami ematochimici e radiografie. Spesso è indicata la valutazione della testa del paziente con tecniche di diagnostica per immagini, specialmente negli animali che non rispondono ad una terapia medica aggressiva o peggiorano dopo una prima risposta al trattamento. È improbabile che le radiografie del cranio rilevino informazioni clinicamente utili nei casi di grave trauma cranico, ma occasionalmente possono evidenziare segni di fratture con infossamento della volta. La tomografia computerizzata (TC) è la modalità d’elezione per la visualizzazione della testa nei casi di grave danno encefalico. Questa metodica è da preferire alla risonanza magnetica (MRI) nei casi di trauma cranico, per parecchie ragioni. Le immagini TC si ottengono molto più rapidamente di quelle MRI (il che costituisce un vantaggio importante in un paziente in condizioni critiche), la TC è considerevolmente meno costosa della MRI e consente di visualizzare meglio un’emorragia acuta e le strutture ossee. TERAPIA SPECIFICA Per i cani ed i gatti con lesioni encefaliche sono state raccomandate numerose terapie mediche, molte delle quali controverse e non definitivamente dimostratesi capaci di influire sull’esito finale. Oltre a questi trattamenti, per il successo 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC del trattamento sono di importanza vitale la fisioterapia aggressiva ed il supporto nutrizionale. Nel paziente in decubito, la testa va tenuta leggermente sollevata (15°-30°) per favorire l’abbassamento della ICP. Il mannitolo è un diuretico osmotico che si è dimostrato efficace per ridurre l’edema cerebrale e l’ICP nei casi di grave danno encefalico. Sono stati ipotizzati molteplici meccanismi di azione con cui questo agente diminuisce la ICP, come la vasocostrizione riflessa della vascolarizzazione cerebrale attraverso la diminuzione della viscosità del sangue, la riduzione della produzione di liquido cefalorachidiano, l’eliminazione dei radicali liberi e l’attrazione per via osmotica dei fluidi dell’edema extravascolare nello spazio intravascolare. Il meccanismo ritenuto primariamente responsabile degli effetti più immediati e profondi del mannitolo sulla ICP è la vasocostrizione riflessa. Questa risposta della vascolarizzazione cerebrale alla diminuzione della viscosità ematica causata da un bolo endovenoso di mannitolo è correlata al meccanismo di autoregolazione della pressione encefalica; consente un miglioramento della CPP ad un volume ematico cerebrale più basso (ridotta ICP). L’effetto della vasocostrizione riflessa sull’ICP si verifica entro pochi minuti, mentre l’azione osmotica agisce entro 15-30 minuti. L’effetto del mannitolo sulla riduzione dell’edema cerebrale dura da 2 a 5 ore. Il mannitolo viene somministrato per via endovenosa nell’arco di 1020 minuti alla dose di 0,5-1,0 g/kg. Quando si usa ripetutamente questo agente è necessario monitorare l’osmolalità sierica e gli elettroliti; la prima va mantenuta a livelli pari o inferiori a 320 mOsm/l, mentre gli elettroliti devono restare entro i limiti normali. L’osmolalità sierica si può calcolare per approssimazione moltiplicando il valore di Na+ del paziente per due. Un’utile linea guida per prevenire gli effetti collaterali indesiderati dell’impiego del mannitolo è quella di limitare la sua somministrazione a tre boli in un perio- 83 do di 24 ore. Una preoccupazione teorica che viene frequentemente sollevata in relazione all’impiego di questo farmaco è l’esacerbazione dell’emorragia cerebrale in atto dovuta alla sua azione osmotica. Un’altra preoccupazione dell’impiego del mannitolo nelle vittime di trauma cranico origina dal concetto di “spostamento osmotico inverso”; con un tempo di contatto prolungato (dosi multiple o infusione continua), la concentrazione extravascolare del mannitolo nell’encefalo può accumularsi e superare quella intravascolare. La conseguenza di questo fenomeno è l’aumento dell’edema cerebrale. Queste teoriche controindicazioni del mannitolo si manifestano raramente nella realtà; il farmaco deve essere considerato un agente di prima linea per la diminuzione della ICP ed il miglioramento della CPP. I glucocorticoidi probabilmente non trovano posto nel trattamento dei pazienti con trauma cranico; non esiste alcuna prova della loro efficacia, mentre esiste il rischio di potenziali effetti collaterali indesiderati. L’autore considera la craniotomia un’opzione valida nei pazienti refrattari alla terapia medica. Vi sono dati che indicano che nel cane e nel gatto questo intervento, associato alla durotomia, riduce drasticamente la ICP. Bibliografia Dewey CW. A Practical Guide to Canine and Feline Neurology 2003:179. Bagley RS. Compend Contin Educ Pract Vet 1996;18:605. Dewey CW. Vet Clin N Amer (Small Anim Pract) 2000;30:207. Chestnut RM. Emerg Med Clin N Amer 1997;15:581. Indirizzo per la corrispondenza: Curtis W. Dewey Long Island Veterinary Specialists, 163 South Service Road, Plainview, NY 11803 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 84 Terapia chirurgica delle patologie celebrali Curtis W. Dewey DVM, MS, Dipl ACVIM (Neurology), Dipl ACVS, New York, USA INTRODUZIONE La chirurgia cerebrale nel cane e nel gatto viene praticata sempre più diffusamente per una varietà di disordini. Gli scopi principali di questa presentazione sono quelli di fornire una rassegna delle encefalopatie suscettibili di intervento chirurgico e discutere alcuni dei dettagli tecnici delle procedure operatorie stesse. Il materiale presentato è un’associazione di informazioni già pubblicate, studi clinici in atto ed esperienza clinica dell’autore. La decisione di operare o meno un disordine in un singolo paziente deve essere basata su numerosi fattori intercorrelati. Rientrano fra questi la natura della sospetta affezione, lo status di salute complessivo del paziente, la sua speranza di vita in assenza di disordini encefalici, le aspettative del proprietario, la sua capacità emotiva e fisica di occuparsi dell’animale nel periodo postoperatorio ed il suo impegno ad attuare i trattamenti postoperatori ed il follow-up, l’esperienza clinica e il livello di abilità del chirurgo, il livello di esperienza infermieristica della clinica curante e le considerazioni economiche. DISORDINI CONGENITI/ANOMALI In questa categoria di malattie rientrano l’idrocefalo congenito, la sindrome di malformazione occipitale caudale (COMS) e le cisti intraaracnoidee intracraniche (IAAC). Nei prossimi paragrafi verrà discusso il trattamento chirurgico di ognuna di queste condizioni. Idrocefalo congenito L’idrocefalo congenito è l’eccessivo accumulo di liquido cefalorachidiano (liquor) all’interno del sistema ventricolare e si incontra più comunemente nei cani giovani (con meno di un anno di vita) delle razze nane e toy. Occasionalmente, sono colpite razze più grandi. Meno comunemente, l’idrocefalo congenito si osserva nel gatto. Predominano i segni clinici a carico del proencefalo (emisferi cerebrali/diencefalo). La diagnosi di solito viene formulata sulla base dei risultati della tomografia computerizzata (TC) o della risonanza magnetica (MRI). Secondo l’esperienza dell’autore, è raro che i pazienti con evidente compromissione neurologica associata ad idrocefalo congenito rispondano favorevolmente alla terapia medica (ad es., glucocorticoidi, diuretici). Il paziente viene posto in decubito laterale, con la cute al di sopra della testa e l’intero lato non in decubito preparato asetticamente per l’intervento sino a livello della parte cau- dale dell’addome. La testa viene collocata in posizione sternale, con il corpo situato più lateralmente. Nei cani di piccola taglia e nei gatti, dovrebbero essere necessarie solo due incisioni cutanee: quella craniale viene praticata appena lateralmente alla linea mediana, in corrispondenza della faccia caudale della testa. Il muscolo temporale viene inciso e ribaltato ventralmente. Nella faccia caudale del margine laterale dell’osso parietale, a circa un terzo-metà della distanza dorsoventrale fra la cresta sagittale e l’arcata zigomatica, si pratica con un trapano un foro per l’estremità rostrale dello shunt ventricolo peritoneale (VPS). Questa apertura si viene a trovare tipicamente appena ventralmente a livello della linea temporale. In posizione adiacente (caudale) a questo foro se ne pratica un altro, più piccolo, di ancoraggio. La sottile rima di tessuto cerebrale a livello del foro dello shunt viene quindi perforata con lo strumento utilizzato per l’introduzione dello shunt stesso e/o rimossa mediante aspirazione. L’estremità rostrale dello shunt viene diretta nel ventricolo laterale e fatta progredire in direzione rostrale, fino a che tutte le perforazioni non si trovano all’interno del ventricolo. Lo shunt viene quindi ancorato al cranio con alcune suture di fissazione precedentemente applicate e fatte passare attraverso il foro di ancoraggio e quello di penetrazione dello shunt. Queste suture di fissazione (solitamente in prolene 3-0) vengono immobilizzate con una sutura antiscivolo a sandalo romano eseguita intorno al tratto di tubo che fuoriesce. Una seconda sutura di ancoraggio viene applicata attraverso il muscolo temporale o la fascia ed annodata intorno allo shunt. Vicino alla periferia del punto di penetrazione dello shunt si applica un pezzo di gelfoam per ridurre al minimo l’emorragia e l’eccessiva fuoriuscita di liquor. La seconda incisione cutanea viene praticata appena caudalmente all’ultima costola, estendendola ventralmente sino a livello della muscolatura ipoassiale. Un paio di pinze diritte di Doyen o di Carmalt di grandi dimensioni viene quindi introdotto nel sottocute e fatto avanzare dall’incisione addominale sino a quella cranica. Con la punta delle pinze si afferra l’estremità distale dello shunt, tirandola fino alla sede dell’incisione addominale. Si adotta un approccio a griglia attraverso i muscoli obliquo esterno dell’addome, obliquo interno dell’addome e trasverso, utilizzando un paio di forbici di Metzenbaum. L’applicazione di due divaricatori di Gelpi (baby) ad ogni piano muscolare successivo facilita questo approccio. Si perfora il peritoneo e si introduce nella cavità l’estremità distale dello shunt. La chiusura viene eseguita secondo le procedure di routine. Le percentuali di successo di questo intervento variano, ma probabilmente sono prossime all’80-85%. Le potenziali complicazioni sono rappresentate dall’occlusione, dislocazione o infezione dello shunt. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Sindrome di malformazione occipitale caudale (COMS) Si tratta di un disordine trattato dettagliatamente in una relazione a parte. I cani colpiti spesso rispondono alla terapia medica (ad es., glucocorticoidi, gabapentin), ma entro 1-2 anni possono divenire refrattari a questo tipo di trattamento. In una segnalazione, 5 cani su 10 con COMS trattati con terapia medica vennero infine soppressi eutanasicamente a causa della progressione della malattia. Si sospetta che, sia nei pazienti umani con malformazione di tipo I di Chiari che nei cani con COMS, il tempo che intercorre fra l’insorgenza dei segni clinici e l’intervento chirurgico sia inversamente proporzionale al successo dell’operazione. L’autore esegue un intervento di decompressione del foramen magnum (FMD), simile a quello utilizzato nei pazienti umani con malformazione di tipo I di Chiari. Il paziente viene posto in decubito sternale, con la testa in ventroflessione. Si pratica un’incisione lungo la linea mediana dorsale, estendendola da un punto situato circa 1 cm rostralmente alla protuberanza occipitale esterna (cranialmente) sino alla metà della seconda vertebra cervicale (caudalmente). La muscolatura cervicale superficiale e profonda viene divisa lungo la linea mediana, esponendo l’osso occipitale caudale e l’arco dell’atlante (C1). Con un trapano pneumatico ad alta velocità ed un paio di pinze ossivore di Lempert si rimuove l’osso al di sopra dell’occipite caudale e dell’arco di C1. I limiti laterali del difetto osseo sono le articolazioni atlanto-occipitali ed i fori vertebrali laterali dell’atlante. L’estensione rostrale del difetto arriva approssimativamente a metà distanza fra la protuberanza occipitale esterna e la parte dorsale del foramen magnum. Il limite caudale del difetto è compreso fra metà e tre quarti della lunghezza dell’arco dell’atlante. Le meningi situate al di sopra della sede della FMD vengono incise lungo la linea mediana con una lama da bisturi N°11 (talvolta si utilizzano anche un paio di forbici da strabismo). Questo tessuto è generalmente ispessito ed occasionalmente ossificato. I margini delle meningi incise vengono marsupializzati alla muscolatura circostante con una sutura a punti staccati in materiale assorbibile 5-0 (ad es., polidiossanone). In corrispondenza della sede del difetto si applica del gelfoam. La chiusura si esegue con le modalità di routine. La percentuale di successo di questa procedura (casi migliorati e risolti) è dell’81% circa. L’incidenza degli episodi in cui si rende necessario un secondo intervento chirurgico è approssimativamente del 25% ed è tipicamente dovuta alla formazione di tessuto cicatriziale compressivo a livello del sito operato. Nei pazienti con COMS non è ancora stata effettuata la valutazione di procedure chirurgiche aggiuntive (ad es., applicazione di stent, shunt siringopleurici, shunt siringoperitoneali, ecc…). DISORDINI NEOPLASTICI Il più comune tumore encefalico primario riscontrato nel cane e nel gatto è il meningioma. Nel cane, in confronto al gatto, sono molto frequenti i gliomi. Altri tumori cerebrali primari sono quello del plesso coroideo, l’ependimoma ed il medulloblastoma. Nella maggior parte dei casi, la rimozione chirurgica dei meningiomi dei felini è relativamente agevo- 85 le. In questa specie animale, l’anemia postoperatoria costituisce un fenomeno comune, che di solito viene corretto con una singola trasfusione di sangue. La sopravvivenza postoperatoria media dei felini con meningioma sottoposti al solo trattamento chirurgico è superiore ai due anni. Poiché molti gatti con meningiomi intracranici hanno più di dieci anni di vita al momento dell’intervento, non tutti i casi di morte sono necessariamente correlati al tumore. Inoltre, secondo l’esperienza dell’autore, la ricrescita di meningiomi nel gatto di solito può essere eliminata facilmente, con una guarigione postoperatoria simile a quella del primo intervento. La rimozione dei meningiomi del cane è considerevolmente più complicata che nel gatto sia dal punto di vista tecnico che logistico. I meningiomi intracranici del cane hanno maggiori probabilità di essere abbastanza invasivi e la loro completa rimozione non è facile da ottenere come nei felini. I meningiomi del cane tendono a recidivare più rapidamente di quelli del gatto, forse a causa della maggiore diffusione del fenomeno della rimozione incompleta. I massimi tempi di sopravvivenza nei meningiomi nel cane sono stati ottenuti mediante intervento chirurgico di rimozione/citoriduzione, seguito da radioterapia a megavoltaggio. Con la sola chirurgia, i segni clinici della ricrescita tumorale spesso si osservano entro 6-12 mesi dall’intervento. Con la sola radioterapia, la sopravvivenza media è di circa un anno. Con un trattamento combinato chirurgico/radioattivo, i tempi di sopravvivenza media sono compresi fra circa 1,5 e 3 anni. Presso l’ospedale dell’autore noi somministriamo di routine idrossiurea per os ai cani con meningiomi. Il tempo di sopravvivenza medio negli animali di questa specie trattati con idrossiurea e glucocorticoidi è di circa 8 mesi (dati non pubblicati). La maggior parte dei cani con meningiomi trattati con i soli glucocorticoidi sopravvive per un periodo compreso fra 1 e 4 mesi dal momento della diagnosi. Anche se si tratta di un tipo di tumore encefalico abbastanza comune nel cane, praticamente non esiste alcuna informazione relativa al trattamento chirurgico dei gliomi intracranici in questa specie animale. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che questi tumori tendono ad essere intraparenchimali ed invasivi. La maggior parte dei cani con gliomi intracranici risponde favorevolmente alla somministrazione di lomustina per via orale, con tempi di sopravvivenza medi tipicamente compresi fra 7 e 12 mesi. I tempi di sopravvivenza medi nei cani con gliomi trattati con radioterapia sono di circa 10-11 mesi. In generale, nei cani con tumori encefalici accessibili si deve considerare con molta attenzione il ricorso al trattamento chirurgico. Tuttavia, si raccomanda quasi sempre una terapia aggiuntiva dopo la guarigione chirurgica. Secondo l’esperienza dell’autore, la situazione migliore per un tumore encefalico del cane è un meningioma della regione del bulbo olfattivo. Questi tumori sono facilmente accessibili e la loro rimozione completa o quasi completa è da ritenere probabile, con effetti collaterali postoperatori minimi. L’asportazione dei tumori situati in sedi più caudali è tipicamente associata ad una disfunzione neurologica postoperatoria più evidente, e la rimozione completa o quasi è meno probabile. Come regola generale, per l’asportazione dei tumori cerebrali si utilizza un approccio su ampia base, anche in caso di masse relativamente piccole. Oltre a ridurre la pressione intracranica (ICP), un approccio di questo tipo con- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC sente all’encefalo di muoversi più liberamente mentre la massa viene manipolata e rimossa. Benché la velocità dell’intervento non sia importante quanto una buona tecnica operatoria, secondo l’esperienza dell’autore i pazienti guariscono più rapidamente e con meno deficit postoperatori secondo un rapporto inversamente proporzionale alla durata del periodo di tempo in cui l’encefalo è stato esposto all’atmosfera. Mentre è scoperto, l’encefalo va tenuto umido con tamponi imbevuti di soluzione fisiologica. È anche importante che il chirurgo si impegni ad attuare subito l’intervento, piuttosto che sprecare tempo durante l’operazione per decidere che cosa fare. Prima di operare è necessario mettere a punto una buona pianificazione operatoria, basata sui risulti della TC o della MRI. Se, in base alle immagini risulta chiaro che si dovrà sacrificare una certa quantità di tessuto cerebrale normale per accedere alla massa (ad es., massa intrassiale) ciò dovrà essere fatto poco dopo la rimozione della volta cranica. Se per accedere alla massa si dovrà asportare una rima di tessuto cerebrale, ciò si potrà fare utilizzando un cauterio bipolare, una lama da bisturi n°11 ed un’unità CUSA. Quest’ultima è anche molto utile per rimuovere le masse infiltranti. Se si riesce ad identificare un margine che separa la massa dall’encefalo normale, l’uso di un’ansa ricurva può essere molto utile per separare la massa dal tessuto cerebrale. L’emorragia viene controllata mediante surgicel, gelfoam e cauterio bipolare. Se si penetra nel seno frontale (ad es., approccio transfrontale per la rimozione di un meningioma del bulbo olfattivo), l’autore preferisce chiudere il campo operatorio con la fascia temporale piuttosto che con un innesto durale e poi zaffare/ricostruire la regione del seno con PMMA prima della chiusura. Nel periodo postoperatorio la gabbia del paziente deve essere rivestita di fogli di plastica da imballaggi con bolle d’aria 86 (pluriball) per prevenire eventuali traumi. L’attenta ed aggressiva fisioterapia è una parte vitale del trattamento postoperatorio dei pazienti con tumori encefalici. Le crisi convulsive nei cani con neoplasia di questo tipo non devono essere trattate con fenobarbital, secondo l’opinione dell’autore. Anche a basse dosi, questo farmaco tende a causare una profonda sedazione in questi pazienti. L’uso del fenobarbital è particolarmente controindicato se si prevede di ricorrere alla chirurgia. L’ideale è utilizzare un anticonvulsivante non sedativo come il felbamato, la zomisamide o il levetiracetam. Se questa soluzione è impossibile a causa dei costi, il bromuro rappresenta una scelta migliore del fenobarbital (pur potendo causare anch’esso una certa sedazione). Bibliografia Dewey CW. A Practical Guide to Canine and Feline Neurology 2003: 99. Levesque DC, et al. Proc 12th ACVIM Forum 1994: 891. Dewey CW, et al. Compend Contin Educ Pract Vet 2004; 26(11): 886. Dewey CW, et al. J Am Vet Med Assoc (submitted for publication) 2005. Rusbridge C, et al. J Am Anim Hosp Assoc 2000; 36: 34. Vernau KM, et al. Vet Rad Ultrasound 1997; 38: 171. Dewey CW, et al. Compend Contin Educ Pract Vet 2000; 22(8): 756. Troxel MT, et al. J Vet Intern Med 2004; 18: 176. Axlund TW, et al. J Am Vet Med Assoc 2002; 11(1): 1597. Theon AP, et al. J Am Vet Med Assoc 2000; 216(5): 701. Rosenthal MA, et al. J Clin Neuroscience 2002; 9(2): 156. Bagley RS, et al. Vet Surg 1995; 24: 122. Kerrigan JF, et al. Epilepsia 2004; 45(4): 346. Indirizzo per la corrispondenza: Curtis W. Dewey Long Island Veterinary Specialists, 163 South Service Road, Plainview, NY 11803 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 87 Sindrome da malformazione occipitale caudale nel cane Curtis W. Dewey DVM, MS, Dipl ACVIM (Neurology), Dipl ACVS, New York, USA INTRODUZIONE La sindrome di malformazione occipitale caudale (COMS – caudal occipital malformation syndrome) nel cane è analoga a quella di Chiari di tipo I nell’uomo. Si tratta di un’anomalia congenita della regione occipitale caudale del cranio che porta ad un sovraffollamento di strutture nella fossa caudale ed alla compressione della giunzione cervicomidollare a livello del foramen magnum. Si ritiene che sia la compressione ossea diretta che l’ipertrofia meningea progressiva della regione della giunzione cervicomidollare dorsale conducano ad anomalie delle dinamiche del flusso del liquido cefalorachidiano (liquor). Queste alterazioni del flusso del liquor spesso portano ad un accumulo di fluidi all’interno del midollo spinale (siringoidromielia). Dalla COMS possono derivare dei segni clinici di disfunzione del sistema nervoso centrale (SNC) riferibili all’encefalo e/o al midollo spinale. FISIOPATOLOGIA DELLA COMS Anche se la causa della COMS è sconosciuta, si sospetta che si tratti di un disordine di sviluppo del mesoderma dell’osso occipitale trasmesso geneticamente. Nei pazienti con COMS, tende ad esistere un certo livello di compressione cerebellare, nonché di costrizione della giunzione cervicomidollare in prossimità del foramen magnum. Con la compressione ossea cronica a livello della giunzione cervicomidollare e il probabile flusso turbolento del liquor e le alterazioni pressorie in questa regione, si ritiene che le meningi sottostanti col tempo vadano incontro ad ipertrofia. Quest’ultima è stata documentata sia nei pazienti umani con malformazione di tipo I di Chiari che nei cani con COMS. Esistono numerose teorie per spiegare lo sviluppo e la propagazione delle cavità della siringoidromielia nei pazienti con COMS. Una discussione approfondita di queste ipotesi (ad es., effetto di “colpo d’ariete”, “aspirazione”, “sciabordio”, “valvola a sfera”) esula dagli scopi di questa presentazione. Comune a tutte queste teorie è l’ostruzione del flusso normale del liquor a livello della giunzione cervicomidollare. CARATTERISTICHE MRI DELLA COMS Le modalità di diagnostica per immagini diverse dalla MRI hanno scarsa probabilità di riuscire a diagnosticare costantemente la COMS. La risonanza magnetica è anche il metodo d’elezione per la diagnosi della siringoidromielia. Le caratteristiche tipiche della MRI nei pazienti con COMS sono rappresentate da attenuazione/obliterazione dello spazio subaracnoideo dorsale a livello della giunzione cervicomidollare, dislocazione rostrale della parte caudale del cervelletto da parte dell’occipite, siringoidromielia cervicale, ernia cerebellare attraverso il foramen magnum ed aspetto “piegato” del tratto caudale del midollo allungato. L’immagine più critica da valutare è quella mediosagittale pesata in T2. CARATTERISTICHE CLINICHE DELLA COMS La sindrome da malformazione occipitale caudale sembra essere limitata ai cani delle razze di piccola taglia. La razza più comunemente segnalata come colpita dalla COMS è il Cavalier King Charles spaniel. Altre razze segnalate sono Yorkshire terrier, barbone nano/toy, maltese, Pomerania, carlino, chihuahua, bichon frise, pincher nano, west highland white terrier, shih tzu, pechinese e bulldog francese. L’età media al momento della presentazione alla visita è compresa fra 4 e 6 anni, anche se esiste un’ampia gamma di possibilità. Le manifestazioni cliniche della COMS comprendono disfunzioni multifocali dell’SNC, mielopatia cervicale, disfunzione cerebellovestibolare e disfunzione del proencefalo. Occasionalmente, un cane con siringoidromielia mostra torcicollo. Un segno clinico esclusivo della COMS, presumibilmente correlato alla siringoidromielia cervicale, è il grattamento persistente della spalla, del collo e delle regioni della testa. I risultati dell’esame del liquor nei soggetti con COMS sono tipicamente normali; occasionalmente, si osserva una lieve pleocitosi mononucleare e/o un leggero aumento del livello di proteine. TRATTAMENTO E PROGNOSI DELLA COMS Il trattamento d’elezione per i pazienti umani con forme sintomatiche di malformazione di tipo I di Chiari è la decompressione del foramen magnum (FMD). Il trattamento dei pazienti con COMS con glucocorticoidi per via orale (ad es., prednisone, 0,5 mg/kg bid) spesso determina un 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC miglioramento clinico. L’autore ha anche ottenuto un considerevole successo con la somministrazione per via orale di gabapentin (10 mg/kg tid) per alleviare il comportamento di grattamento. Anche se il numero dei casi è limitato, sembra che nella metà circa dei cani con COMS trattati con terapia medica la malattia progredisca dopo 1-2 anni a dispetto della terapia. L’autore et al. hanno recentemente studiato una procedura di FMD per la COMS. Nell’80% circa dei pazienti è stata ottenuta una risoluzione o un miglioramento prolungato dei segni clinici. Il 25% circa di questi cani ha formato un tessuto cicatriziale esuberante nella regione della FMD entro parecchi mesi dall’intervento ed ha dovuto essere nuovamente operato (a causa della compressione a livello del foramen magnum). Nei cani con COMS non sono ancora state valutate le procedure chirurgiche aggiuntive utilizzate con successo nei pazienti uma- 88 ni con malformazioni di tipo I di Chiari (ad es., shunt siringopleurico/siringoperitoneale). Bibliografia Dewey CW, et al. Compend Contin Educ Pract Vet 2004;26:886. Dewey CW, et al. J Am Vet Med Assoc 2005 (in press) Rusbridge C, et al. J Am Anim Hosp Assoc 2000;36:34. Rusbridge C, et al. J Vet Intern Med 2004;18:673. Milhorat TH, et al. Neurosurgery 1999;44:1005. Lu D, et al. Vet Record 2003;153:260. Indirizzo per la corrispondenza: Curtis W. Dewey Long Island Veterinary Specialists, 163 South Service Road, Plainview, NY 11803 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 89 Alterazioni del sistema nervoso periferico Curtis W. Dewey DVM, MS, Dipl ACVIM (Neurology), Dipl ACVS, New York, USA INTRODUZIONE Le alterazioni del sistema nervoso periferico costituiscono un ampio gruppo di disordini che comprende malattie dei nervi periferici, della muscolatura scheletrica e della giunzione neuromuscolare (NMJ). Per il clinico, è della massima importanza riuscire a distinguere i pazienti colpiti da disturbi del sistema nervoso periferico (SNP) e da quello centrale (SNC). In generale, le neuropatie sono caratterizzate da cattiva attività riflessa e diminuzione del tono muscolare. I soggetti con miopatie mostrano spesso debolezza (frequentemente correlata all’esercizio fisico), riflessi e funzioni sensoriali (ad es., propriocezione, nocicezione) normali, atrofia muscolare e mialgia. I disordini della giunzione neuromuscolare sono spesso caratterizzati da debolezza generalizzata con funzione sensoriale normale. Questi riscontri tipici sono ben lungi dall’essere assoluti; può essere difficile distinguere se un particolare animale è colpito da una neuropatia, una miopatia o un disordine della giunzione neuromuscolare (giunzionopatia). Nel complesso, all’interno del gruppo di disordini i test volti ad arrivare ad una diagnosi sono simili, indipendentemente dalla malattia specifica. Queste prove comprendono l’elettromiografia (EMG), gli studi sulla velocità di conduzione nervosa (NCV), la stimolazione nervosa ripetuta (NRS-principalmente per le giunzionopatie) e le biopsie muscolari/nervose. Una discussione completa di tutti i disordini del SNP esula dagli scopi di questa presentazione. Verranno trattate parecchie neuropatie e miopatie selezionate, nonché la myasthenia gravis (MG) acquisita. NEUROPATIE SELEZIONATE Neuropatia paraneoplastica. Si ritiene che queste neuropatie si sviluppino come effetto indiretto piuttosto che primitivo della neoplasia sottostante. La patogenesi di questo fenomeno è sconosciuta, ma esistono parecchie ipotesi. Le potenziali spiegazioni comprendono l’elaborazione di qualche fattore neurotossico da parte del tumore, la distruzione neoplastica del metabolismo degli assoni e/o delle cellule di Schwann e la reazione immunologica agli antigeni condivisi dalla neoplasia e dagli elementi del nervo periferico (cosiddetta reazione contro gli spettatori innocenti). Occasionalmente, in soggetti con insulinomi pancreatici è stata segnalata una polineuropatia paraneoplastica che potrebbe essere dovuta all’ipoglicemia che acompagna il tumore. Tuttavia, i nervi periferici sono particolarmente resistenti agli effetti dell’ipoglicemia e la neuropatia periferica non è stata associata ad alcuna altra malattia che esiti in ipoglicemia. Quest’ultimo probabilmente non è uno dei principali fattori che contribui- scono al danno nervoso. I segni clinici sono variabili e possono andare da una neuropatia subclinica ad una grave tetraplegia da motoneurone inferiore. L’esistenza di questo fenomeno rende indispensabile escludere la presenza di una neoplasia negli animali portati alla visita a causa di neuropatie, specialmente se si tratta di soggetti anziani. La diagnosi di insulinoma viene solitamente basata su un’alterazione del rapporto corretto fra insulina/glucosio a livello sierico e talvolta sull’identificazione del tumore pancreatico mediante ecografia o laparotomia esplorativa. Il trattamento è diretto contro la neoplasia sottostante. Non esiste alcuna terapia specifica per la neuropatia associata. La prognosi relativa alla guarigione dalle neuropatie paraneoplastiche (presumendo che si ottenga un controllo adeguato del tumore primario) nel cane e nel gatto al momento attuale è sconosciuta. Nei pazienti umani con neuropatie paraneoplastiche, spesso è sfavorevole. La prognosi relativa al controllo della neoplasia sottostante dipende in larga misura dal tipo e dalla localizzazione del tumore stesso. Poliradicoloneurite idiopatica acuta (paralisi del coonhound). Nel cane si osserva un disordine infiammatorio idiopatico che coinvolge primariamente gli assoni e la mielina delle radici ventrali dei nervi ed è probabilmente una delle più comuni neuropatie di questa specie animale. Pur essendo molto meno comune, un’analoga polineuropatia è stata descritta nel gatto. I caratteristici segni clinici vengono spiegati da vari gradi di perdita di assoni e mielina a livello dei nervi motori. Esistono prove che indicano che la perdita assonale sia più accentuata della demielinizzazione nella maggior parte dei cani con poliradicoloneurite. Si ritiene che la demielinizzazione sia più grave a livello delle radici ventrali dei nervi del cane, con una minima perdita di mielina nei principali tronchi nervosi. Anche se la patogenesi non è chiara, si sospetta un processo autoimmune. Il termine paralisi del coonhound fa riferimento ai cani in cui l’anamnesi segnala il morso o il graffio di un procione poco prima dello sviluppo dei segni clinici della malattia. Il termine di poliradicoloneurite idiopatica si applica ai pazienti con un disordine clinico identico, ma senza alcuna possibile esposizione ai procioni. Queste due sottocategorie probabilmente riflettono la stessa sindrome patologica, in cui il processo infiammatorio viene innescato, nel secondo caso, da un fattore non ancora identificato. Il tipico scenario clinico della poliradicoloneurite idiopatica acuta descrive una paresi/paraplegia da motoneurone inferiore in rapido sviluppo, che di solito inizia a livello degli arti pelvici ed infine coinvolge quelli toracici. Nella maggior parte degli animali colpiti la condizione progredisce fino alla perdita della capacità di deambulazione ed all’insorgenza di tetraparesi o tetraplegia entro 10 giorni dalla comparsa iniziale dei segni clinici. Non è raro che questo stadio della disfunzione venga 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC raggiunto entro un periodo di tempo di 72 ore. Lo sviluppo di una paralisi respiratoria potenzialmente letale costituisce un motivo di preoccupazione, specialmente nei casi che evolvono più rapidamente. È comune la perdita della voce (disfonia, afonia) ed alcuni pazienti mostrano anche debolezza facciale. I riflessi spinali sono tipicamente assenti (fatta eccezione per quello perineale, che è normale), i muscoli sono ipotonici e nei pazienti in decubito si sviluppa rapidamente un’atrofia neurogena. Le reazioni al piazzamento propriocettivo sono normali negli animali che possiedono ancora una capacità motoria sufficiente a determinare il movimento dell’arto efferente di questi test. Questi pazienti conservano la capacità di urinare e defecare, e mangiano e bevono volentieri se si sostiene loro la testa. Anche la sensibilità dolorifica resta intatta. Anzi, questi animali spesso sembrano manifestare un’iperestesia alla manipolazione degli arti, che può riflettere la natura infiammatoria della malattia. Nei cani con paralisi del coonhound, l’anamnesi riferisce l’incontro con un procione circa 1-2 settimane prima della comparsa dei segni clinici. Nei pazienti con poliradicoloneurite idiopatica sono presenti caratteristiche cliniche identiche a quelle descritte, senza però alcuna possibilità di graffio o morso di procione. Molti di questi cani, se non la maggior parte, presentano un’anormale attività EMG con velocità di conduzione dei nervi motori (MCV) normale. I pazienti spesso non hanno abbastanza assoni funzionali da deambulare, ma quelli residui mostrano una mielinizzazione essenzialmente normale. L’esame del liquor può evidenziare un incremento dei livelli di proteine. Non esiste alcuna terapia specifica per questa malattia. È stato suggerito l’impiego dei glucocorticoidi, ma non esistono prove della loro efficacia. Cure infermieristiche, fisioterapia e corretta nutrizione sono essenziali per la guarigione. Si ritiene che la fase infiammatoria di questo disordine sia transitoria, ma gli assoni danneggiati devono andare incontro a rimielinizzazione e, in una certa misura, ricrescita. La prognosi per la completa guarigione è spesso favorevole, ma è tipicamente prolungata, poiché di solito occorrono parecchie settimane o parecchi mesi. Alcuni pazienti sviluppano una paresi/paralisi respiratoria potenzialmente letale nella fase acuta della malattia (di solito si tratta di quei cani in cui i segni clinici progrediscono rapidamente nell’arco di 72 ore) e può essere necessario ricorrere alla ventilazione meccanica. Nei cani che sono guariti da una paralisi del coonhound è necessario evitare una successiva esposizione ai procioni, perché ciò potrebbe scatenare una recidiva dei segni clinici della malattia. Polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (CIDP). Si tratta di una sospetta polineuropatia autoimmune dei cani e dei gatti adulti (età media di 6-7 anni) che è stata descritta recentemente. Una neuropatia analoga si osserva nell’uomo. Si ritiene che questo disordine sia una delle più comuni neuropatie del cane e del gatto. Nei felini, è stata descritta una condizione molto simile alla CIDP, indicata col nome di polineuropatia recidivante cronica. In entrambe sono stati descritti i segni clinici di paresi da motoneurone inferiore insidiosamente progressiva, con anomalie della propriocezione e sensibilità normale. Il decorso della malattia è tipicamente cronico ed i pazienti tendono a guarire spontaneamente e poi presentare delle recidive. I segni clinici della disfunzione spesso si osservano inizialmente a livello degli arti pelvici e poi progrediscono fino ad interes- 90 sare quelli toracici. Lo spettro dei potenziali segni clinici di disfunzione è ampio e può comprendere depressione dei riflessi spinali, atrofia muscolare, paraparesi, tetraparesi e tetraplegia. La diagnosi si basa su anamnesi e caratteristiche cliniche compatibili con la malattia, in associazione con i risultati delle biopsie nervose/muscolari. Anche la risposta alla terapia (vedi oltre) contribuisce alla diagnosi. La caratteristica patologica predominante osservata nelle biopsie nervose di questi pazienti è la presenza di demielinizzazione e rimielinizzazione. Negli studi ultrastrutturali delle biopsie nervose dei pazienti con CIDP sono state costantemente identificate cellule infiammatorie. Nelle biopsie nervose dei pazienti con polineuropatia recidivante cronica i segni della flogosi erano invece assenti. La degenerazione assonale non è una caratteristica della CIDP, mentre era evidente nelle biopsie nervose di un gatto con polineuropatia recidivante cronica. La prognosi varia da riservata a buona. La maggior parte degli animali con CIDP e polineuropatia recidivante cronica tende a rispondere alla terapia con glucocorticoidi. In una recente segnalazione, il 90% dei cani e l’88% dei gatti con CIDP hanno manifestato un’iniziale risposta positiva alla terapia con prednisone per os (1-2 mg/kg ogni 12 ore). I pazienti possono mostrare delle recidive in coincidenza con la riduzione del dosaggio dei glucocorticoidi o la sospensione della terapia steroidea. Alcuni animali che inizialmente rispondono ai glucocorticoidi possono in seguito diventare resistenti a questo trattamento. Se viene dimostrata una risposta positiva ad una terapia con glucocorticoidi in un paziente con sospetta CIDP o polineuropatia recidivante cronica, la riduzione del dosaggio deve essere effettuata lentamente. L’autore ha trattato parecchi gattini colpiti da una condizione molto simile alla CIDP; questi pazienti hanno risposto alla terapia immunosoppressiva. Neuropatie tossiche: avvelenamento ritardato da organofosfati nel gatto. Nel gatto è stata descritta una polineuropatia associata alla prolungata esposizione al clorpirifos. Il meccanismo con cui gli organofosforici provocano la neuropatia è sconosciuto. I gatti descritti mostravano vari gradi di riduzione della propriocezione degli arti toracici e pelvici, diminuzione dei riflessi spinali, iperestesia generalizzata e paraparesi. È stata anche segnalata una dilatazione pupillare bilaterale (parzialmente sensibile alla luce). La diagnosi nei casi segnalati era basata su anamnesi (esposizione ad organofosforici), ridotta attività sierica della colinesterasi, riscontri all’esame neurologico ed anomalie dell’EMG. Il trattamento consisteva nella somministrazione endovenosa di pralidossima (2-PAM) e atropina per via sottocutanea. I gatti guarirono completamente. Mononeuropatia del walker hound. In cuccioli non svezzati di walker hound è stata descritta una inusuale neuropatia che coinvolgeva i nervi peroneo e tibiale di un arto pelvico. Era presente una degenerazione degli assoni e della mielina dei nervi peroneo e tibiale. La causa è rimasta non determinata, ma è stato sospettato un agente tossico presente nell’acqua di pozzo utilizzata per preparare il latte artificiale. I segni clinici comparvero all’età di circa due settimane ed erano rappresentati da paresi, mancanza di propriocezione, assenza di nervi spinali, atrofia muscolare ed analgesia (fatta eccezione per la faccia mediale dell’arto), tutti a carico di un arto pelvico. Nell’arco di un periodo di 6 settimane si ebbero segni pro- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC gressivi di paresi in aggravamento nonché automutilazione dell’arto colpito. La diagnosi si fondò su anamnesi, segnalamento, riscontri clinici e risultati della valutazione istopatologica. Tutti i cuccioli del caso segnalato vennero soppressi eutanasicamente a causa della natura progressiva della malattia. Avvelenamento da salinomicina nel gatto: nei gatti del Regno Unito e dei Paesi Bassi che avevano mangiato alimenti contaminati con un coccidiostatico ionoforo del pollame, la salinomicina, è stata segnalata una grave neuropatia. Negli animali colpiti si è riscontrata una neuropatia acuta e progressiva. I segni clinici della disfunzione neurologica erano rappresentati da paraparesi, tetraparesi, disfagia, dispnea ad atrofia muscolare generalizzata. Inizialmente, si sviluppò tipicamente una paralisi degli arti pelvici, seguita da quella degli arti toracici. La diagnosi venne basata sul riscontro di segni clinici compatibili con una polineuropatia in gatti esposti ad alimenti contaminati da salinomicina. All’esame istopatologico dei campioni nervosi risultarono evidenti i segni di un’assonopatia distale che colpiva sia i nervi motori che quelli sensoriali. Molti dei primi casi segnalati vennero soppressi eutanasicamente a causa della gravità della malattia. Tuttavia, nella maggior parte dei gatti colpiti l’eliminazione degli alimenti contaminati e l’attuazione di una terapia di sostegno probabilmente conducono ad una completa guarigione neurologica. MIOPATIE SELEZIONATE Miotonia congenita. Questo disordine è probabilmente trasmesso ereditariamente attraverso un carattere autosomico recessivo nei chow chow e negli schnauzer nani. Altre razze nelle quali è stata segnalata una condizione simile sono lo Staffordshire terrier, il Rhodesian ridgeback, l’alano, il west highland white terrier, gli incroci di samoyedo ed il Labrador retriever. Recentemente, la miotonia congenita è stata descritta in 6 gattini domestici a pelo corto. I 4 gattini citati in una di queste segnalazioni provenivano da cucciolate separate, ma le loro madri erano imparentate. La caratteristica clinica distintiva di questo disordine è la prolungata contrazione muscolare dopo la cessazione del movimento volontario. Si ritiene che il mancato rilassamento muscolare sia dovuto ad un’anomalia della conduttanza del cloro a livello del sarcolemma. Questa diminuzione della conduttanza del cloro porta ad un’ipereccitabilità della membrana muscolare. Il successivo accumulo di ioni potassio nel sistema di tubuli a T è responsabile del protrarsi della contrazione muscolare dopo l’iniziale depolarizzazione. La presenza di anormali canali del cloro nel sarcolemma, dovuti ad un difetto genetico trasmesso per via autosomica, è stata dimostrata come causa della miotonia congenita nello schnauzer nano. Esistono parecchie forme di miotonia congenita nell’uomo, alcune delle quali dovute ad anomalia della conduttanza del sodio attraverso il sarcolemma. I segni clinici si apprezzano di solito quando i cuccioli ed i gattini colpiti cominciano a camminare. Gli animali interessati sembrano tipicamente peggiorare dopo un periodo di riposo. Anche le temperature fredde tendono ad esacerbare i segni clinici. L’andatura è rigida e tende a migliorare o persino a normalizzarsi con l’attività. Gli arti pelvici spesso sono colpiti più gravemente di quelli tora- 91 cici; nella miotonia del cane, possono venire portati simultaneamente in avanti con un’andatura “a salti da coniglio”. Può essere difficile per i cani colpiti flettere l’articolazione del ginocchio. Gli arti toracici vengono spesso tenuti abdotti durante la deambulazione, a causa della ridotta capacità di flettere le loro articolazioni prossimali. I pazienti miotonici possono trovare difficoltà ad alzarsi da una posizione sternale. I gattini miotonici tendono a rimanere impigliati con le unghie quando camminano su un tappeto. Quando vengono spaventati, i gattini miotonici possono presentare un’iperestensione di tutti e 4 gli arti e cadere in decubito laterale per circa 10 secondi. Lo spavento improvviso in questi gattini può anche esitare in prolasso bilaterale della terza palpebra, blefarospasmo (dovuto a spasmo dei muscoli orbicolari dell’occhio), appiattimento delle orecchie e retrazione delle palpebre. Spesso si apprezza ipertrofia muscolare generalizzata (specialmente a livello dei muscoli appendicolari prossimali e di quelli del collo e della lingua nel cane, mentre nel gatto è più accentuata a livello del gastrocnemio) e la percussione dei muscoli può lasciare un infossamento indicato come “fossetta miotonica”. Alcuni pazienti mostrano disfagia e problemi respiratori (ad es., stridore) dovuti alla protratta contrazione della muscolatura, rispettivamente, faringea e laringea. I gattini colpiti possono presentare segni di disfonia, caratterizzata da un miagolio rauco e fusa tranquille. In tutti i cani appartenenti ad un gruppo di schnauzer miotonici imparentati erano presenti caratteristiche fisiche inusuali quali il prognatismo (accorciamento della mandibola) e la dislocazione mediale dei denti canini. La diagnosi si basa su segnalamento, segni clinici caratteristici e riscontri elettrodiagnostici (anomalie EMG). I livelli di CK sono spesso normali o solo lievemente aumentati e le alterazioni delle biopsie muscolari di norma sono lievi ed aspecifiche (ad es., variazioni delle dimensioni delle fibre muscolari). I risultati della biopsia muscolare possono contribuire alla diagnosi, ma può darsi che in questi pazienti non valga la pena di correre i rischi di un’anestesia. Quest’ultima può essere difficile e pericolosa a causa della stenosi della glottide laringea. Inoltre, i pazienti umani con miotonia sono predisposti all’ipertermia maligna da anestesia. I riscontri caratteristici all’EMG sono dati da scariche bizzarre ad alta frequenza con andamento altalenante. Queste scariche vengono spesso indicate come “rumore di bombardiere in picchiata”, a causa della loro natura a va e vieni. Altri hanno paragonato il loro suono al motore di una moto. Esistono alcune prove del fatto che l’uso degli stabilizzatori di membrana possa essere utile per alleviare i segni clinici nei cani miotonici. Si ritiene che la procainamide sia più efficace della fenitoina o della chinidina. Altri farmaci che sono stati utilizzati per il trattamento della miotonia nel cane sono rappresentati da carbamazepina, tocainide, nifedipina e mexiletina cloridrato. Per il controllo dei segni clinici nei gatti miotonici si suggerisce la sola modificazione dell’ambiente. Questi gattini tendono a venire ben gestiti senza terapia farmacologica ed i farmaci tipicamente utilizzati per il controllo della miotonia nel cane comportano un rischio di tossicità inaccettabile nel gatto. La miotonia congenita non è considerata una malattia progressiva ed i segni clinici della disfunzione tendono a stabilizzarsi entro i 6-12 mesi di età. In generale, la maggior parte dei cani e dei gatti con miotonia congenita non è colpita da processi gravemente invalidanti e, 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC di conseguenza, la prognosi per la sopravvivenza a lungo termine è favorevole. Tuttavia, quella per il miglioramento nel tempo dei segni clinici è riservata. Polimiosite autoimmune. Si tratta di una malattia infiammatoria autoimmune dalla patogenesi sconosciuta che colpisce primariamente i muscoli appendicolari. Viene segnalata più comunemente nel cane che nel gatto. Anche se di solito non esiste alcuna causa identificabile della risposta immunitaria, allo sviluppo di questa condizione sono stati associati il lupus eritematoso sistemico, il trattamento con trimethoprim/sulfamidici nel Dobermann ed i timomi (di solito in associazione con myasthenia gravis acquisita). Benché possano essere colpiti cani di qualsiasi età o razza, nella maggior parte dei casi si tratta di soggetti di media età e di grossa taglia di entrambi i sessi. Recentemente è stato descritto un gruppo di 7 Terranova con polimiosite autoimmune, di età variabile da 6 mesi a 5 anni. I segni clinici possono essere acuti o cronici e possono comprendere debolezza generalizzata che spesso viene aggravata dall’esercizio, iperestesia alla palpazione muscolare (mialgia), rigurgito (da megaesofago), disfagia, depressione, febbre, tumefazione muscolare nelle forme acute, atrofia muscolare in quelle croniche, zoppia che si sposta da un arto all’altro ed alterazioni della voce. Nessuno dei Terranova descritti mostrava una mialgia. La diagnosi si basa sui riscontri clinici tipici, nonché sui risultati di vari test diagnostici. I livelli di CK possono essere elevati, l’EMG evidenzia tipicamente delle anomalie e la biopsia muscolare mostra necrosi della miofibre, fagocitosi e rigenerazione con infiltrato infiammatorio non suppurativo. Con le tecniche immunoistochimiche è anche possibile dimostrare una localizzazione delle immunoglobuline al sarcolemma. Il trattamento consiste nella somministrazione di prednisone per via orale a dosi immunosoppressive (ad es., 1-2 mg/kg ogni 12 ore) fino ad ottenere la remissione clinica e poi riducendo progressivamente la posologia. La prognosi è generalmente favorevole, benché si possano avere delle recidive. Miosite masticatoria. Si tratta di un disordine autoimmune in cui gli anticorpi sono diretti contro i muscoli della masticazione (ad es., temporale, massetere, pterigoideo). La patogenesi di questa malattia è incerta, ma le caratteristiche esclusive dell’isoforma miosinica e del tipo di miofibre (tipo II M) dei muscoli masticatori possono spiegare perché questi costituiscano il bersaglio preferenziale della risposta immunitaria. Queste miofibre di tipo II M hanno un’origine embriologica differente (mesoderma degli archi branchiali) rispetto a quelle appendicolari (mesoderma parassiale) e si ritiene che siano antigenicamente distinte da queste ultime. Il disordine è stato segnalato in cani di numerose razze (di solito di grossa taglia) e di entrambi i sessi, ma i pastori tedeschi sembrano essere particolarmente predisposti. La maggior parte dei soggetti con miosite masticatoria è costituita da giovani adulti. Nel gatto, il problema viene segnalato raramente. I segni clinici sono tipicamente rappresentati da tumefazione dolente dei muscoli masticatori e vari gradi di trisma. Le manifestazioni hanno spesso un’insorgenza acuta e possono essere ricorrenti. Occasionalmente si osservano esoftalmo e febbre. La palpazione dei muscoli masticatori ed i tentativi di aprire a forza le fauci spesso suscitano una risposta algica. In alcuni cani l’anamnesi riferisce un’atrofia cronica dei muscoli masticatori senza evidenti tumefazioni dolorose. Questi animali possono essere interessati da una for- 92 ma più cronica di miosite masticatoria, atrofia neurogena da neurite del trigemino o distinta miopatia atrofica dei muscoli masticatori. La diagnosi di miosite masticatoria viene formulata in base alla dimostrazione della localizzazione degli anticorpi alle miofibre di tipo II M mediante l’immunoreagente proteina A staffilococcica coniugato a perossidasi (SPA-HRPO). Questo esame può essere effettuato utilizzando sezioni congelate del muscolo temporale del paziente oppure incubando il siero del soggetto con muscolo canino normale conservato congelato e immunoreagente. Si può anche riscontrare un aumento dei livelli di CK e l’esame EMG rivela spesso la presenza di anomalie. Le biopsie muscolari possono dimostrare la presenza di vari gradi di infiltrati infiammatori nonché necrosi delle miofibre e fagocitosi. Il trattamento si basa sulla somministrazione di dosi immunosoppressive di prednisone (1-2 mg/kg per os ogni 12 ore) per 3-4 settimane, dopo di che il dosaggio viene gradualmente ridotto a giorni alterni. Questa riduzione viene continuata lentamente al fine di ottenere la più bassa posologia a giorni alterni in grado di controllare i segni clinici. La maggior parte dei cani mostra una risposta favorevole alla terapia, ma le recidive sono comuni. In alcuni soggetti, il prednisone può venire rimpiazzato dall’azatioprina come farmaco immunosoppressore di mantenimento, risolvendo alcuni o tutti gli effetti collaterali associati alla terapia con glucocorticoidi. In generale, la prognosi per questa malattia è favorevole. MYASTHENIA GRAVIS ACQUISITA La myasthenia gravis (MG) acquisita è la quintessenza della giunzionopatia. Si tratta di un disordine autoimmune in cui gli anticorpi sono diretti contro i recettori ACh nicotinici della muscolatura scheletrica, esitando in debolezza dei muscoli stessi. Nel cane e nel gatto sono state descritte forme focali, generalizzate e fulminanti acute di MG. La forma focale è caratterizzata dalla mancanza di un’evidente debolezza muscolare appendicolare (arti), che invece è palese nei pazienti con la forma generalizzata di MG. La MG fulminante acuta è una forma rapidamente progressiva del disordine che spesso ha esito fatale. La diagnosi definitiva di MG viene tipicamente formulata sulla base della positività di un test sierico per la dimostrazione di autoanticorpi circolanti diretti contro i recettori ACh nicotinici. Il trattamento consiste nella somministrazione di anticolinesterasici, spesso associati ad una terapia immunosoppressiva. La prognosi è riservata, generalmente più favorevole nei casi in cui il megaesofago è assente o, se presente, viene corretto dalla terapia. Bibliografia 1. 2. 3. Dewey CW. A Practical Guide to Canine and Feline Neurology 2003: 367. Dewey CW. A Practical Guide to Canine and Feline Neurology 2003: 413. Dewey CW. Myasthenia Gravis. In: Wingfield WE, Raffe WR (eds): The Veterinary ICU Handbook, Jackson Hole, Teton New Media 2002: 892. Indirizzo per la corrispondenza: Curtis W. Dewey Long Island Veterinary Specialists, 163 South Service Road, Plainview, NY 11803 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 93 Cervicalgia nel cane e nel gatto: studio clinico retrospettivo Mario Dolera Med Vet, Spec Pat Clin Anim Affez, Romanengo (CR) Andrea Vercelli, Med Vet, Torino Alberto Valazza, Med Vet, PhD, Torino Federica Sammartano, Med Vet, Torino Ottaviano Pozza, Med Vet, PhD, Milano Luca Malfassi, Med Vet, Crema (CR) Introduzione Il dolore cervicale si riscontra frequentemente nella clinica del cane e del gatto. Sebbene i pazienti affetti da tale sintomo possano avere lesioni in diverse strutture anatomiche, la maggior parte di essi presenta coinvolgimento diretto o indiretto del Sistema Nervoso. Poiché ad oggi si contano pochissimi lavori dedicati all’argomento (Webb 2003) è parsa utile una ricerca clinica sulla cervicalgia approfondita ed aggiornata alle nuove acquisizioni in campo neurologico. Materiali e metodi Sono state esaminate le cartelle cliniche dei pazienti riferiti negli anni 2001-2004. I criteri d’ammissione a questo studio di tipo retrospettivo sono stati (a) la presenza di dolore cervicale riconoscibile alla visita clinica, (b) la conoscenza dell’intero decorso clinico, (c) la conferma diagnostica istopatologica, infettivistica, chirurgica, per immagini. Tutti gli animali sono stati sottoposti ad esame obiettivo generale e particolare neurologico. Gli esami di diagnostica per immagini hanno contemplato la radiologia convenzionale, TC e RM. Gli esami liquorali hanno previsto la conta cellulare a fresco in camera contaglobuli, la valutazione citologica dopo arricchimento per sedimentazione, la determinazione del titolo proteico mediante analizzatore automatizzato. Gli interventi chirurgici sono stati di tipo decompressivo, stabilizzativo o esplorativo. Gli esami anatomopatologici hanno previsto nei deceduti il prelievo e la valutazione macroscopica dell’intero Sistema Nervoso e l’allestimento di preparati istologici mentre nei pazienti in vita l’esame bioptico. La diagnosi di eziologia infettiva si è basata su sieroconversione e PCR. I criteri d’analisi sono stati molteplici. Il dolore cervicale è stato classificato come: (+) lieve nei soggetti in cui un’attenta osservazione riconosceva movimenti spontanei del collo normali mentre alla mobilizzazione massimale in flesso-estensione e lateralità si potevano osservare reazioni muscolari di contrasto e/o manifestazioni fonetiche di dolore; (++) moderato ove l’osserva- zione evidenziava movimenti spontanei del collo ridotti ed algia evocabile mediante mobilizzazione entro i limiti fisiologici; (+++) severo in quei pazienti in cui si potevano riconoscere contrattura dei muscoli del collo, manifestazioni fonetiche spontanee di dolore ed algia evocabile alla sola digitopressione. Sono stati considerati l’insorgenza (acuta o progressiva), il decorso (monofasico o polifasico, indipendentemente dalle eventuali terapie) e l’eventuale presenza di segni sistemici (febbre, linfadenopatia, alterazioni di emogramma e ferogramma). I pazienti con algia cervicale sono stati classificati secondo la topografia della lesione responsabile della cervicalgia (collo, testa, torace), il coinvolgimento del Sistema Nervoso (neurologici e non neurologici) e, per i casi neurologici, è stata inoltre considerata la sede coinvolta (encefalo, midollo spinale, nervi periferici). I casi sono stati esaminati secondo il tipo di patologia responsabile dei sintomi osservati (malformativa, traumatica esogena, vascolare, infiammatoria, degenerativa/discale, neoplastica). Sono quindi stati presi in considerazione gli eventuali sintomi neurologici rilevati che sono stati classificati come lievi (paresi deambulatoria, atassia lieve-moderata, ipoestesia) o gravi (paresi non-deambulatoria e plegia, opistotono e pleurostotono, nistagmo, deambulazione compulsiva, atassia grave, alterazioni dello stato mentale). In fine, nei pazienti in cui sono stati eseguiti esami liquorali, sono stati presi in considerazione la pleiocitosi (cellule nucleate superiori a 4/mcl) e le alterazioni del titolo proteico (superiore a 25 mg/dl per prelievo sub-occipitale e 40 mg/dl per prelievo lombare). Risultati 178 animali (9 gatti di razza comune europea, 169 cani) soddisfacevano i criteri d’ammissione a questo studio. Nei 9 gatti sono state osservate le seguenti patologie: 4 meningiomi (2 intracranici, 1 cranio-spinale, 1 spinale), 1 linfoma encefalico, 1 FIP, 1 encefalite ad eziologia non determinata, 1 malformazione di Chiari tipo-1, 1 corpo estraneo paraesofageo. I 169 cani erano così suddivisi: incrocio piccola taglia 33, incrocio di grossa taglia 17, Doberman 18, 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 94 Tabella 1 Tabella 3 degenerativa discale 80 60 cervicale 70 50 60 cefalica e cervicale 50 40 30 cefalica 20 neoplastica 40 infiammatoria 30 traumatica 20 10 cervico-toracica 0 topografia della lesione 10 malformativa 0 patologia vascolare Tabella 2 spinale cervicale 80 70 60 50 40 30 20 10 0 encefalica e spinale encefalica nervo periferico localizzazione neuroanatomica spinale cervicotoracica encefalo e nervo periferico Dalmata 11, Beagle 10, Labrador 8, Pechinese 7, Bassotto 7, Boxer 6, Barboncino 6, Pastore Tedesco 5, Rottweiler 4, Maltese 3, Pinscher 3, Bolognese 3, West Highland White Terrier 3, Pastore Bernese 3, Carlino 2, Yorkshire 2, Setter Inglese 2, Bull Dog Francese 2, Segugio Italiano 2, Cocker Spaniel 2, Bull Dog Inglese 1, Chow Chow 1, Volpino italiano 1, Volpino pomerania 1, Basset hound 1, Husky 1, Terranova 1, Dogo argentino 1, Pastore australiano 1, Bracco tedesco 1. L’età era variabile tra 3 mesi e 15 anni con una media di 6,2 anni. Tutti gli animali sono stati sottoposti ad almeno una modalità diagnostica per immagini (radiologia convenzionale n. 65, TC n. 18, RM n. 95). Sono stati eseguiti 120 esami liquorali, 31 pannelli d’infettività, 44 esami istologici, 98 interventi chirurgici, 1 esame elettromiografico. Entità del dolore: 54/178 (30,3%) presentava dolore lieve, 76/178 (42,7%) moderato, 48/178(27%) severo. Diagnosi anatomica: (Tabb. 1, 2) 169 (95%) erano portatori di patologia neurologica, 9 (5%) erano non neurologici. La topografia della lesione era cervicale in 129/178 (72,5%), sia cefalica che cervicale in 31/178 (17,4%), cefalica in 16/178 (9%), cervico-toracica in 2/178 (1,1%). Relativamente al Sistema Nervoso, 120/169 (71%) presentavano una lesione spinale cervicale, 30/169 (17,8%) una lesione sia encefalica che spinale cervicale, 12/169 (7%) una lesione encefalica, 4/169 (2,4%) una lesione del nervo periferico, 2/169 (1,2%) una lesione spinale cervico-toracica e 1/169 (0,6%) una lesione sia del nervo periferico che dell’encefalo. Patologia: (Tab. 3) 94/178 (52,8%) erano portatori di patologia degenerativa discale, 34/178 (19,1%) neoplastica, 26/178 (14,6%) infiammatoria, 14/178 (7,9%) traumatica, 5/178 (2,8%) malformativa, 4/178 (2,2%) vascolare, 1/178 (0,6%) da corpo estraneo. Gli animali affetti da patologie non neurologiche presentavano in 6/9 casi lesioni neoplastiche di: mandibola (1 caso, osteosarcoma), tonsilla (1 caso, adenocarcinoma), parotide (1 caso, adenocarcinoma), ghiandola sottomandibolare (1 caso, adenocarcinoma), tiroide (1 caso, adenocarcinoma), linfonodi cervicali (1 caso, linfoma). Due recavano infezioni muscolari da ferita penetrante, 1 caso una lesione da corpo estraneo (ago nell’esofago in un gatto). Patologia e localizzazione neuroanatomica: (Tabb. 4, 5). Nella localizzazione spinale cervicale 94/120 (78%) presentavano patologia degenerativa discale, 14/120 (12%) traumatica, 7/120 (5,8%) neoplastica, 4/120 (3,4%) vascolare, 1 malformativa (0,8%). Nella localizzazione sia encefalica che spinale 23/30 (77%) recava patologia infiammatoria, 3/30 (10%) patologia neoplastica, 4/30 (13%) patologia malformativa. Nella localizzazione esclusivamente encefalica 12/12 (100%) patologia neoplastica. Nella localizzazione al nervo periferico 3/4 (75%) patologia neoplastica (neurofibrosarcoma), 1/4 (25%) patologia infiammatoria (rickettsiosi). In localizzazione cervico-toracica si annoverano 2 casi neoplastici (osteosarcoma), in localizzazione al nervo periferico e all’encefalo 1 caso neoplastico (neurofibrosarcoma di C1). Patologia, dolore e deficit neurologici. - Patologia discale. È costituita in 64/94 casi (68%) da prolassi nucleari in soggetti di piccola taglia che presentano dolore marcato (+++ 46/64, 72%) o moderato (++ 18/64, 28%). I deficit neurologici sono lievi in 21/64 (32,8%) dei casi, assenti in 35/64 (54,6%), gravi nel restante 8/64 (12,5%). Il 32% (30/94) delle patologie discali accompagnate da cervicalgia è costituita da discopatie croniche, 60% (18/30) delle quali nel Doberman. Il dolore è sempre lieve (30/30, 100% +), i deficit neurologici nel 70% (21/30) lievi, nel restante 30% (9/30) severi. - Patologia traumatica. Su un totale di 14, sono stati considerati 6 pazienti (43%) aggrediti da cani di taglia maggiore, 6 soggetti (43%) traumatizzati da investimento autmobilistico, 1 cane (7%) che ha ricevuto un calcio alla testa 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 95 Tabella 4 Totale neurologici: 169 Spinali cervicali: 120 Discali: 94 Traumatici: 14 Neoplastici: 28 94 14 7 Spinali cervicali ed encefalici: 30 3 Encefalici: 12 12 Nervo periferico: 4 3 Spinali cervicotoracici: 2 2 Encefalo e nervo periferico: 1 1 Encefalo e nervo periferico: 1 1 Totale non neurologici: 9 6 Infiammatori: 24 23 Vascolari: 4 Malformativi: 5 4 1 Altro 4 1 2 1 corpo estraneo Tabella 5 100 80 degenerativa 60 traumatica neoplastica 40 infiammatoria vascolare 20 malformativa 0 spinale cervicale encefalico-spinale ed 1 soggetto (7%) che ha sviluppato lussazione atlantoepistrofica da precipitazione. In quest’ultimo paziente il dolore ed i deficit neurologici erano lievi. Tre degli animali investiti presentavano frattura di una vertebra cervicale mentre in 10 si avevano danni midollari da mobilizzazione sovramassimale: tutti manifestavano gravi deficit neurologici con tetraparesi non deambulatoria/tetraplegia ma mentre nei primi il dolore era severo, nei secondi il dolore era variabile al momento della prima visita (5/10 +, 3/10 ++, 2/10 +++). - Patologia neoplastica. Dei 34 casi neoplastici, 6 recavano lesioni non neurologiche. In questi ultimi il dolore era encefalica lieve in 3 casi (neoplasie tonsillare, linfonodale, tiroidea) severo negli altri 3 (osteosarcoma mandibolare e neoplasie salivari). Deficit neurologici erano presenti solo nel soggetto affetto da neoplasia parotidea (emiparesi facciale). I restanti 28 casi neoplastici vedevano un coinvolgimento: spinale cervicale n. 7/28 (25%) (2 osteosarcoma, 1 meningioma in un gatto, 2 condrosarcoma, 1 neoplasia epiteliale metastatica), n. 3/28 (10,7%) encefalo e midollo spinale (3 meningiomi di cui 1 in un gatto), n. 3/28 (10,7%) nervo periferico (neurofibrosarcoma), n. 2/28 spinale-toracico (7,1%) (osteosarcomi), n. 1/28 nervo periferico ed encefalo (3,5%) (neurofibrosarcoma), n. 12/28 lesione neoplastica encefalica (43%) (7 menin- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 96 Tabella 6 insorgenza decorso discale Acuta 69% Progressiva 31% Monofasico 69% (90% discopatie acute) Polifasico 31% (65% discopatie croniche) traumatica Acuta 100% Monofasico 100% neoplastica Acuta 6% Progressiva 94% Monofasico 53%, Polifasico 47% infiammatoria Acuta 20% Progressiva 80% Monofasico 15%, Polifasico 85% vascolare Acuta 3/4 Progressiva 1/4 Monofasico 4/4 malformativa Progressiva 5/5 Polifasico 5/5 giomi di cui 2 in 2 gatti, 4 gliomi, 1 linfoma in un gatto). In 6/12 (50%) dei pazienti affetti da tumore cerebrale era presente un’ernia cerebellare trans-forame magno di vario grado, in 2/12 (16,6%) coesisteva una lesione siringoidromielica spinale cervicale. Il dolore era severo negli osteosarcomi (100% +++), moderato nei restanti casi esaminati. I deficit neurologici erano moderati (++ in 9/28, 32,1%) o gravi (+++ in 19/28, 67,9%). - Patologia infiammatoria. 26 animali presentavano una lesione flogistica, in 24 dei quali era presente coinvolgimento neurologico. A tale capitolo nosologico sono stati ascritti i pazienti in cui si è rilevato pleiocitosi liquorale e/o proteinorrachia con RM suggestiva di lesione flogistica e/o esame istologico indicativo. Sono stati considerati affetti da meningite (8/24, 33,3%) quei soggetti in cui si evidenziavano alterazioni essenzialmente meningee; sono stati considerati affetti da encefalomielite (5/24, 20,8%) quei casi in cui si evidenziavano lesioni significative nel neuropilo, mentre sono state considerate meningoencefalomieliti (10/24, 41,6%) le lesioni infiammatorie coinvolgenti sia il tessuto nervoso che i rivestimenti meningei. Sono state considerate neuriti le lesioni esclusivamente dei nervi periferici (1/24, 4,1%). Si contano 5 casi di meningite suppurativa steroido-sensibile (citologia e pannello d’infettività negativo), 3 casi (1 Maltese, 1 Carlino, 1 Yorkshire) di encefalomielite necrotizzante (istologia e pannello d’infettività negativo), 3 casi di meningoencefalite in corso di Erhlichiosi (sieroconversione), 3 casi di meningoencefalite ad eziologia non determinata, di cui 1 in un gatto (istologia e pannello d’infettività negativo), 1 caso di meningoencefalite in corso di Rickettsiosi (PCR), 1 caso di neurite bilaterale del plesso brachiale in corso di Rickettsiosi (elettromiografia e PCR), 1 caso di encefalomielite in corso di Neosporosi (sieroconversione), 2 casi di meningoencefalomielite granulomatosa (istologia e pannello d’infettività negativo), 2 casi di meningite in corso di Borreliosi (sieroconversione), 1 caso di encefalomielite da Cimurro (PCR), 1 caso di meningoencefalomielite in corso di FIP (PCR), (istologia e pannello d’infettività negativo), 1 caso di meningite batterica (colturale). Il dolore è severo nei casi di meningite (100% +++), lieve (100% +) nei casi di encefalite; i deficit neurologici sono lievi (2/8, 25%) o assenti (6/8, 75%) nelle meningiti, gravi nelle encefaliti e meningoencefaliti. - Patologia vascolare. Si contano 4 pazienti affetti da infarto spinale accompagnato da manifestazione algica in cui la diagnosi è stata posta sulla scorta di anamnesi, RM e confortata dal decorso clinico. In 3 era coinvolta l’intumescenza cervicale, in 1 il tratto C3. Il dolore era lieve ad eccezione di quest’ultimo in cui era severo. I deficit neurologici erano gravi. - Patologia malformativa. Sono stati osservati 4 casi di malformazione di Chiari tipo-1, uno dei quali in un gatto, accompagnati da idrosiringomielia secondaria ed un caso di ipoplasia del processo odontoideo dell’epistrofeo. Il dolore era moderato nei primi tre, lieve nell’ultimo. In tutti i deficit neurologici erano lievi-moderati. Patologia, insorgenza e decorso. I risultati sono sunteggiati nella tabella 6. Patologia e alterazioni liquorali. Dei 120 esami liquorali, 79 sono stati condotti in soggetti affetti da patologia discale, 24 da patologia infiammatoria, 9 neoplastica, 4 vascolare, 1 traumatica, 1 malformativa. Pleocitosi liquorale è stata riscontrata nella patologia infiammatoria (19/24, 79,1%), neoplastica (4/9, 44,4%), discale (2/79, 2,5%). Proteinorrachia è stata rilevata nella patologia infiammatoria (24/24, 100%), traumatica (4/5, 80%), neoplastica (3/9, 33,3%), discale (25/79, 31,6%) e vascolare (1/4, 25%). Segni sistemici. Segni sistemici sono stati rilevati nelle forme infiammatorie ad eziologia infettiva (11/11, 100% dei casi), in tutti i casi di meningite suppurativa steroido-sensibile, in un caso di encefalomielite necrotizzante (1/3, 33,3%) e in 10/14 (71,4%) dei pazienti traumatizzati Localizzazione clinica e localizzazione anatomica. In 10 pazienti la localizzazione anatomica effettiva della lesione non corrispondeva alla localizzazione ipotizzata sulla scorta dell’esame clinico. 6 di questi erano affetti da neoplasia intracranica. Discussione Questo studio conferma la netta preponderanza della patologia neurologica (95%) tra i pazienti affetti da cervicalgia. Sebbene in tutti gli animali considerati nello studio fosse presente algia cervicale, il collo era sede della lesione nel 72,5%. In percentuali non trascurabili le lesioni si estendevano topograficamente sia al collo sia alla testa (17,4%) oppu- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC re erano esclusivamente cefaliche (9%). Se nelle localizzazioni spinali cervicali prevale la patologia discale degenerativa (78%), nel 77% dei pazienti con lesione sia midollare sia encefalica la patologia sottostante è di tipo infiammatorio mentre la totalità degli animali cervicalgici con lesione esclusivamente cefalica è affetta da patologia neoplastica. Questo studio dimostra una volta di più che non sempre esiste corrispondenza tra sede del dolore e sede della lesione. L’algia cervicale può essere determinata dallo stimolo o dalla sensibilizzazione delle radici nervose e dei nocicettori situati nell’annulus discale, nel periostio e nei legamenti vertebrali come pure nelle meningi (Webb 2003). L’algia cervicale da lesione encefalica riconosce cause complesse, come l’aumento di pressione endocranica (variabile secondo le diverse posture cefalico-cervicali), la sensibilizzazione o lo stimolo diretto delle afferenze trigeminali delle meningi, la sensibilizzazione delle afferenze spino-talamiche e l’instaurarsi della sindrome da iperalgesia centrale (Foster et al. 1988, Coates et al. 1998, Holland et al. 2000, McDonnel 2001, Webb 2003). Alcuni dei pazienti considerati in questo studio recavano lesioni nel tratto caudale dello splancnocranio: in questi, la sovrapposizione anatomica con la regione cervicale anteriore, particolarmente evidente nelle razze a collo corto (ad es. piccoli brachicefali) può rendere ragione della sintomatologia riscontrata. Ancora, 2 cani recavano lesioni neoplastiche a carico della seconda vertebra toracica: si può ipotizzare che la cervicalgia fosse da mettere in relazione alle sollecitazioni dei muscoli nucali che trovano inserzioni sulle suddette vertebre. Nei 10 pazienti portatori di lesione neoplastica encefalica la cervicalgia osservata può essere riferita all’aumento di pressione intracranica ma anche all’ernia cerebellare come pure all’idrosiringomielia cervicale presente in alcuni di essi (Klekamp 2002, Da Costa, 2004). Le relazioni tra entità del dolore e deficit neurologici è variabile a seconda del tipo di lesione. Nella patologia discale acuta, ad esempio, 71% dimostra algia severa ma i deficit sono assenti o lievi nel 80,8% dei casi. Relativamente alla patologia flogistica, nei soggetti in cui l’esame RM ha evidenziato un prevalente coinvolgimento meningeo, a fronte di un’algia sempre severa, non sono stati spesso riconosciuti deficit neurologici mentre negli animali in cui si è pervenuti ad una diagnosi definitiva di encefalomielite il dolore risultava prevalentemente lieve pur accompagnato da gravi deficit. Il gruppo delle patologie flogistiche è quanto mai eterogeneo. Può essere interessante evidenziare il coinvolgimento del midollo spinale in 3 pazienti affetti da encefalite necrotizzante che mostravano cervicalgia. Tali reperti, pur essendo non frequentemente segnalati, trovano corrispondenza in una recente segnalazione relativa ad un Maltese (Fearnside 2004). Merita segnalazione anche la co-presenza di meningite (pleiocitosi mista con RM negativa per lesioni parenchimali ma evidenziante sfumate impregnazioni durali spinali) e poliartrite in un paziente affetto da borreliosi, in accordo con i dati della letteratura (Fritz e Kientrup, 2003). Ancora, può essere interessante sottolineare il caso riferito a rickettsiosi sulla scorta della positività della PCR in cui la cervicalgia si accompagnava a grave paresi di entrambi gli arti anteriori da lesione dell’innervazione periferica spinoappendicolare (elettromiografia e RM). A conoscenza degli autori esistono poche segnalazioni di compromissione del 97 Sistema Nervoso periferico in corso di questa malattia. Più in particolare, in uno storico lavoro di Greene et al. (1985) vengono segnalate lesioni a carico dei nervi cranici e del midollo spinale. Può essere interessante segnalare come in Medicina umana sia riportato il possibile coinvolgimento dei nervi spinali in corso di rickettsiosi; le lesioni sottostanti sono inquadrabili come vasculiti o vere e proprie neuriti (Evangelista et al. 1994, Bonawitz et al. 1997, Warner e Marsh 2002). Degna di nota è pure la cervicalgia riscontrata in un paziente di tre mesi d’età affetto da cimurro (PCR): ad ulteriore suffragio diagnostico si segnala come, a distanza di alcuni mesi, si è resa evidente una caratteristica atrofia dello smalto dentale. I casi riferibili a patologia malformativa offrono interessanti spunti di discussione. 4 di questi presentavano lesioni ascrivibili a malformazioni Chiari tipo-1 (2 stenosi del forame magno, 2 ipoplasia della fossa cerebellare) accompagnate da idrosiringomielia di grado variabile. A parere degli autori la lesione responsabile della cervicalgia era più verosimilmente da ricercarsi nell’idrosiringomielia, condizione notoriamente algica quando accompagnata a conseguente sollecitazione sul rivestimento durale spinale (Churcher e Child 2000, Dal Pozzo 2001, Steffen 2003). Per quanto concerne la patologia vascolare, sebbene nel quadriennio considerato siano stati esaminati dagli autori numerosi pazienti affetti da infarto spinale (dati non pubblicati), in un’esigua percentuale è stata riconosciuta cervicalgia, per altro prevalentemente lieve. A parere di chi scrive tale reperto non sovverte le generali acquisizioni cliniche relative a detta patologia (notoriamente non accompagnata da algia) (Gandini 2003) ma può essere riferibile a fenomeni di concomitante e conseguente irritazione meningea e/o radicolare. Pare interessante menzionare una recente segnalazione veterinaria di un caso riferibile ad infarto cerebrale accompagnato da cervicalgia (Di Terlizzi et al. 2004). È opportuno sottolineare i limiti del procedimento localizzativo mediante esame clinico diretto come dimostrato in questo studio, in consonanza con altri autori (Bagley et al. 1999), dai 6/10 casi neoplastici intracranici privi di segni riferibili all’effettiva localizzazione. Gli esami liquorali non sono stati condotti su tutti i soggetti e non è quindi possibile definire l’esatta prevalenza delle alterazioni nelle diverse patologie. Tuttavia, poiché pleiocitosi è stata rilevata oltre che nella patologia flogistica anche nella patologia neoplastica e, sia pur in misura marginale, nella patologia discale, pare importante sottolineare come la corretta interpretazione degli esami liquorali si giovi di un accurato quadro di diagnostica per immagini. Sulla scorta dei dati scaturiti da questo studio, a giudizio degli autori può essere proposto un possibile protocollo diagnostico per l’approccio alla cervicalgia. Dopo il momento anamnestico, la considerazione dei dati epidemiologici e l’esecuzione dell’esame obiettivo generale e particolare neurologico, può essere avanzata una localizzazione ed una graduatoria di diagnosi differenziali. Come passo successivo è consigliato l’esame radiografico diretto del collo in proiezione latero-laterale neutra e flessa comprendendo anteriormente la testa fino alle orbite e caudalmente il torace anteriore. Nei casi in cui sia altamente probabile una paratopia discale 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC (caratteristiche clinico-epidemiologiche, reperti desunti dall’esame radiografico diretto) è ragionevole procedere ad esame mielografico (Cherrone 2004). In tutti i restanti casi è più opportuno procedere ad esame RM cervicale (da C1 a T2) sia in condizioni basali che dopo somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico endovenoso; qualora la RM spinale risulti normale, oppure si evidenzino (a) lesioni a carico dei neuromeri più rostrali o (b) lesioni cistico/idrosiringomieliche in qualsiasi tratto midollare, è opportuno estendere l’indagine alla testa con particolare attenzione per la fossa cranica posteriore (Bagley et al. 2000, Sheehan e Jane 2000, Klekamp 2002, Da Costa et al. 2004). L’esame del liquor è convenientemente condotto prima della mielografia e a completamento di una RM compatibile con lesione flogistica; a parere degli autori può essere eseguito indipendentemente dalla diagnostica per immagini solo negli animali cervicalgici molto giovani, nei quali sono più frequenti patologie infettivo-infiammatorie (Suzuky 2003, Capelli 2004, Son 2004); la possibile presenza di lesioni malformative coinvolgenti la cerniera cervico-occipitale suggerisce tuttavia un prelievo per via lombare. La dimostrazione di una lesione flogistica sulla base del quadro RM e degli esami liquorali necessita di un’ulteriore valutazione diagnostica volta ad escludere o individuare un’eziologia infettiva (Capelli 2004, Mylonakis 2004). Bibliografia Bagley, R., Gavin, P., Moore, M., Silver, G., Harrington, M., Connors, R. (1999) Clinical signs associated with brain tumors in dogs: 97 cases (1992-1997). Journal of American Veterinary Medicine Association 215, 818-819. Bagley, R., Silver, G., Kippens, H. (2000) Syringomyelia and hydromyelia in dogs and cats. Compend Contin Educ Pract Vet 22, 471-479. Bonawitz, C., Castillo, M., Mukherji, S. (1997) Comparison of CT and MR features with clinical outcome in man with Rocky Mountain spotted fever. American Journal of Neuroradiology 18, 459-64. Capelli, G. (2004) Sero-epidemiological survey of Neospora caninum infection in dogs in north-eastern Italy. Veterinary Parasitology 123, 143-148. Cherrone, K. (2004) A retrospective comparison of cervical intervertebral disk disease in nonchondrodystrophic large dogs versus small dogs. Journal of the American Animal Hospital Association 40, 316-320. Churcher, R., Child, G. (2000) Chiari 1/syringomyelia complex in a King Charles Spaniel. Australian Veterinary Journal 78, 92-95. Coates, J, Dewey, C. (1998) Cervical spinal hyperesthesia as a clinical sign of intracranial disease. Compend Contin Educ Pract Vet 20, 10251037. Da Costa, R., Pareny, J., Poma, R., Duque, C. (2004) Cervical syringohydromyelia secondary to a brainstem tumor in a dog. Journal of American Veterinary Medicine Association 225, 1061-1064. 98 Dal Pozzo, G. (2001) Compendio di Risonanza Magnetica. UTET, Torino Di Terlizzi, R., Platt, S., Dennis, R. (2004) Whay is your diagnosis? Journal of Small Animal Practice 45, 526-528. Evangelista, T., Pimentel, J., Made, L. (1994) Acute polyradiculoneuritis associated with boutonneuse fever. Acta Medica Portuguese 7, 437439. Fearnside, S. (2004) Cervical Hyperaesthesia in a Maltese terrier with necrotizing meningoencephalitis. Australian Veterinary Journal 82, 550-552. Foster, E., Carrillo, J., Patnaik, A. (1988) Clinical signs of tumors affecting the rostral cerebrum in 43 dogs. Journal of Veterinary Internal Medicine 2, 71-74. Fritz, C., Kjemtrup A. (2003) Lyme boreliosis. Journal of American Veterinary Medicine Association 223, 1261-1270. Gandini, G. (2003) Fibrocartilagineous embolism in 75 dogs: clinical findings and factors influencing the recovery rate. Journal of Small Animal Practice 44, 76-80. Greene, C., Burgdorfer, W., Cavagnolo, R., Philip, R., Peacock, M. (1985) Rocky Mountain spotted fever in dogs and its differentiation from canine ehrlichiosis. Journal of American Veterinary Medicine Association 186, 465-472. Holland, C., Charles, J., Cortaville, P. (2000) Hemihyperaesthesia and hyperresponsiveness resembling central pain syndrome in a dog with a forebrain oligodendroglioma. Australian Veterinary Journal 10, 676-680. Klekamp, J. (2002) The pathophysiolgy of syringomyelia-historical overview and current concept. Acta Neurochirurgica (Wien) 144, 649664. McDonnel, J. (2001) Neurologic conditions causing lameness in companion animals. Vet Clin North Am: Small Anim Pract 31, 17-38. Mylonakis, M. (2004) Chronic canine ehrlichiosis (Ehrlichia canis): a retrospective study of 19 natural cases. Journal of the American Animal Hospital Association 40, 174-184. Sheehan, J, Jane, J. (2000) Resolution of tonsillar herniation and syringomyelia after supratentorial tumor resection: case report and literature review. Neurosurgery 47, 233-235. Son, W. (2004) Idiopathic canine polyarteritis in control beagles dogs for toxicity studies. Journal of Veterinary Science 5, 147-150. Steffen, F. (2003) Traumatic atlanto-occipital luxation in a dog: associated hypoglossal nerve deficits and use of 3-dimensional computed tomography. Veterinary Surgery 32, 411-415. Suzuky, M. (2003) A comparative pathological study on canine necrotizing meningoencephalitis and granulomatous meningoencephalomyelitis. Journal of Veterinary Medical Science 65, 1233-1239. Warner, R., Marsh, W. (2002) Rocky mountain spotted fever. Journal of American Veterinary Medicine Association 221, 1413-1417. Webb, A. (2002) Steroid-responsive, meningitis-arthritis in dogs with noninfectious, non-erosive, immune-mediated polyarthritis. Journal of Veterinary Internal Medicine 16, 269-273. Webb, A. (2003) Potential sources of neck and back pain in clinical conditions of dogs and cats: a review. The Veterinary Journal 165, 193-213. Indirizzo per la corrispondenza: Mario Dolera, via La Cittadina 1, 26014 Romanengo (CR) Fax: 0373-72227 E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 99 Ecocardiografia nelle emergenze cardiovascolari e in terapia intensiva Oriol Domenech Med Vet, Barcellona, Spagna Pedro Oliveira, Med. Vet, Milano L’ecocardiografia è uno dei metodi non invasivi che svolge un ruolo molto importante nell’esame cardiovascolare e che va a completare l’esame fisico, la radiografia toracica e l’elettrocardiografia. L’ecocardiografia con tutte le sue metodiche permette di realizzare uno studio anatomo-topografico delle strutture cardiache, permette di realizzare uno studio della funzione sistolica e diastolica, così come permette uno studio emodinamico non invasivo 1. Tutte queste informazioni sono imprescindibili per il cardiologo veterinario ma sono anche molto importanti per il veterinario d’urgenza e intensivista. L’utilizzo dell’ecocardiografia in medicina d’urgenza servirà in tutte quelle patologie cardiache che possono determinare un quadro clinico tale da giustificare una visita di pronto soccorso così come in tutti quei pazienti ospedalizzati critici. Nella nostra esperienza l’ecocardiografia d’urgenza è stata utilizzata nel versamento pericardico e masse cardiache, nella degenerazione mixoide della valvola mitrale, nell’endocardite, nella cardiomiopatia dilatativa, nella cardiomiopatia ipertrofica, nella cardiomiopatia restrittiva, nell’ipertensione polmonare così come nelle patologie cardiache congenite. Versamento pericardico e masse cardiache L’ecocardiografia è un metodo molto sensibile per la diagnosi del versamento pericardico e pleurico 2. Uno degli aspetti più importanti nell’ecocardiografia d’urgenza è valutare la presenza di tamponamento cardiaco dove le immagini ecocardiografiche mostrano la presenza di liquido pericardico, una moderata-grave inversione diastolica (collasso telediastolico) dell’atrio destro con o senza collasso proto-mesodiastolico del ventricolo destro così come una esagerata variazione respiratoria dei flussi cardiaci con una diminuzione di questi durante l’inspirazione 3. La gravità del tamponamento pericardico viene determinata non solo per la quantità di liquido pericardico ma anche per la velocità di formazione del liquido stesso, dalla distensibilità del pericardio e dalla pressione intracardiaca che determinerà la presenza di tamponamento pericardico ad alta e/o bassa pressione. Non possiamo dimenticarci del polso paradosso come segno clinico che ci farà sospettare durante l’esame fisico il tamponamento cardiaco. Un aspetto importante è differenziare il versamento pericardico dal versamento pleurico; il versamento pleurico permette di visualizzare la base del cuore, i lobi polmonari collassati così come permette la visualizzazione del legamento pericardio-diaframmatico e del mediastino craniale. È importante prendere diverse proiezioni ecografiche per confermare la presenza del versamento pericardico poiché questo può essere erroneamente diagnosti- cato in pazienti con l’orecchietta sinistra molto grande, perché può apparire come uno spazio anecogeno tra la cavità ventricolare e il sacco pericardico. Una delle cause più frequenti del versamento pericardico è la presenza di tumori cardiaci o pericarditi 4. L’ecocardiografia, pertanto, permette anche di identificare la causa del versamento pericardico e poter differenziare nella maggior parte dei casi se il versamento pericardico è dovuto a pericardite idiopatica emorragica o è secondario a neoplasia cardiaca. Questa metodica mini-invasiva permette anche di identificare la presenza di masse intracardiache ed extracardiache 5. La visualizzazione di masse cardiache si ottimizza realizzando proiezioni ecografiche multiple, molte volte al di fuori delle proiezioni ecografiche standard. La localizzazione e l’ecostruttura delle masse cardiache ci permette di realizzare una diagnosi differenziale oncologica 6 così come ci permette di decidere per una possibile chirurgia. È importante realizzare un esame ecocardiografico completo di entrambi gli emitoraci per evitare che non solo piccole ma anche grosse masse cardiache possano passare inosservate7. La presenza del liquido pericardico ci aiuta a riconoscere possibili masse cardiache per questo è importante realizzare una ecocardiografia completa prima di relizzare una pericardiocentesi sempre e quando le condizioni cliniche del paziente lo permettano. Nella nostra esperienza le cause di versamento pericardico per ordine di frequenza sono: neoplasia cardiaca, pericardite idiopatica, rottura atriale, pericardite costrittiva, intossicazione con rodenticidi. Il trattamento d’elezione del tamponamento cardiaco è la pericardiocentesi sempre e quando non ci siano probemi di coagulazione, masse cardiache sanguinanti o rottura atriale. Degenerazione mixoide della valvola mitrale L’uso dell’ecocardiografia in pazienti con degenerazione cronica della valvola mitrale in medicina d’urgenza dipenderà dalla situazione clinica del paziente. È controindicato realizzare una ecocardiografia in quei pazienti con edema polmonare, perché l’esame ecocardiografico può stressare il paziente peggiorandone la situazione clinica. L’ecocardiografia d’urgenza in questo tipo di patologia si realizzerà quando la situazione clinica del paziente lo permetta potendo non solo determinare la diagnosi definitiva di questa patologia ma soprattutto poter determinare la gravità della patologia in funzione delle dimensioni delle cavità sinistre, della funzione ventricolare sistolica e del riconoscimento di una ipertensione polmonare che determina in molti casi un quadro d’insufficienza respiratoria, debolezza e/o presenza di sincopi. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Le dimensioni delle cavità sinistre saranno maggiori quanto maggiore sarà la gravità della patologia mitralica 8 ad eccezione dei casi con ipertensione polmonare grave; inoltre la funzione sistolica del ventricolo sinistro incomincia a peggiorare nelle fasi avanzate di degenerazione valvolare dove si osservano una frazione di accorciamento e frazione di eiezione normali o diminuite 9. Esistono molti parametri ecocardiografici per determinare la gravità della patologia mitralica, però in medicina d’urgenza è di grande interesse utilizzare pochi parametri ecocardiografici facili e rapidi da ottenere che ci danno informazioni non solo del sovraccarico di volume ma anche della funzione ventricolare sistolica. L’EDVI (“End Diastolic Volume Index”), l’ESVI (“End Systolic Volume Index”) e il rapporto LA/AO (“Left Atrium / Aorta”) sono tre parametri ecocardiografici facili e rapidi da ottenere che sono correlati con la gravità clinica del paziente 10. L’EDVI e l’ESVI sono due parametri ecocardiografici che si ottengono con il metodo monodimensionale (M-mode) dalla proiezione parasternale destra asse corto a livello del punto d’inserzione della valvola mitrale ai muscoli papillari. L’EDVI si ottiene applicando la formula [(7/2,4+LVIDd)x (LVIDd)3] /BSA dove il LVIDd è la dimensione telediastolica del ventricolo sinistro e il BSA è l’area della superficie corporea. L’ESVI si ottiene applicando la formula [(7/2,4+LVIDs)x (LVIDs)3] /BSA dove il LVIDs è la dimensione telesistolica del ventricolo sinistro. Il rapporto LA/Ao è un parametro ecocardiografico che si ottiene con il metodo bidimensionale con la proiezione parasternale destra asse corto a livello della valvola aortica. L’ecocardiografia bidimensionale ci dà la possibilità d’identificare la rottura delle corde tendinee. Nei casi con ipertensione polmonare osserviamo la presenza del setto paradosso sia in modo bidimensionale che monodimensionale, l’arteria polmonare aumentata di dimensioni e la presenza di rigurgito tricuspidale ad alta velocità (>3 m/s). Cardiomiopatia dilatativa L’ecocardiografia d’urgenza in questa patologia ci servirà principalmente per arrivare ad una rapida, precisa e definitiva diagnosi che ci aiuterà nell’impostazione di una terapia inotropica positiva. In più ci darà la possibilità di determinare la causa nei pazienti con fibrillazione atriale perché questa può essere primaria o secondaria alla dilatazione dell’atrio sinistro11. Gli aspetti ecocardiografici da considerare in una situazione d’urgenza sono: le dimensioni delle cavità sinistre e/o destre, l’ipocontrattilità miocardica che si osserva con una bassa frazione di accorciamento e frazione di eiezione, diminuzione dello spessore miocardico, aumento del EPSS (“Epoint septal separation”), diminuzione del movimento della valvola mitrale e diminuzione dell’annulus aortico. Cardiomiopatia ipertrofica L’ecocardiografia è altamente sensibile per riconoscere un ipertrofia miocardica così come permette di analizzare varie forme d’ipertrofia 12. I parametri ecocardiografici d’urgenza in questa patologia si basano nella misurazione del setto interventricolare e parete posteriore del ventricolo sinistro che appariranno con valori superiori a 6 mm insieme con la riduzione delle dimensioni del ventricolo sinistro (<12 mm). Sarà anche di grande interesse determinare la presenza di stenosi dinamica. 100 Cardiomiopatia restrittiva Con l’ecocardiografia si osserva una dilatazione dell’atrio sinistro o biatriale con dimensioni delle cavità ventricolari, spessore del setto interventricolare e parete posteriore del ventricolo sinistro nella norma. Nei gatti sarà molto importante valutare la presenza di ecocontrasto spontaneo o coagulo nell’atrio e nell’orecchietta sinistra. Endocardite La diagnosi d’endocardite in medicina d’urgenza si basa principalmente sulla sintomatologia clinica e sull’ecocardiografia 13. Questa permette di determinare la presenza di vegetazioni iperecogene a livello delle diverse valvole cardiache, principalmente a livello della valvola aortica e mitralica; anche la tricuspide può esserne colpita ma con una prevalenza molto bassa. L’ecocardiografia è uno degli esami strumentali da fare nei casi di febbre di origine sconosciuta. L’ecocardiografia non solo può rivelare le lesioni vegetative ma anche permette di analizzare le conseguenze emodinamiche di queste lesioni che determineranno insufficienza o stenosi valvolare 14. La tecnica Doppler permette di determinare la gravità dell’eventuale stenosi e/o insufficienza valvolare che sarà di grande interesse terapeutico e prognostico. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Weyman AD (ed.) (1994), Principles and practice of echocardiography, 2nd ed. Philadelphia, Lea and Febiger, pp 3, 218, 302 Bonagura JD, Pipers FS. (1981), Echocardiographic features of pericardial effusion in dogs, J Am Vet Med Assoc, 179:49 Sagar KB, Wann LS, Klopefenstein HS. (1987), Echocardiography in the diagnosis of cardiac tamponade, Echocardiography, 4:29 Berg RJ (1994), Pericardial effusion and cardiac neoplasia, Semin Vet Med Surg Sm Anim, 9:185 Thomas WP, Sisson D, Bauer TG, et al. (1984), Detection of cardiac masses in dogs by two-dimensional echocardiography, Vet. Radiol; 25:65 Domenech O, Bonfanti U, Lubas G et al. (2002) Echocardiographic, pathologic and immunohistochimical studies on canine cardiac tumors, Proceedings ECVIM-CA congress:156 Boon JA (1998), Pericardial effusions, pericardial diseases and cardiac masses. En Manual of Veterinary echocardiography, Baltimore, Williams and Wilkins, 355-371. Pipers FS, Bonagura JD, Hamlin RL et al. (1981), Echocardiographic abnormalities of the mitral valve associated with left-side heart diseases in the dog, J Am Vet Med Assoc, 179:580 Zile MR, Gaasch WH, Carrol JD, et al. (1984), Chronic mitral regurgitation: predictive value of preoperative echocardiographic indices of left ventricular function and wall stress, J Am Coll Cardiol, 3:325 Domenech O., Bussadori C. (2004), Estudio retrospectivo de pacientes mitralicos: parametros ecocardiograficos de pronostico, Proceedings del Tercer Congreso de Grupos de Trabajo (GTA) de AVEPA: 63-64 Wingfield WE, Boon J, Miller CW. (1982), Echocardiogenic assessment of mitral valve motion, cardiac structures and ventricular function in dogs with atrial fibrillation, J Am Vet Med Assoc, 181:46 Peterson EN, Moise NS, Brown CA, et al. (1993), Heterogeneity of hypertrophy in feline hypertrophic disease, J Vet Intern Med, 7:183 MacDonald KA, Chomel BB, Kittleson MD, Kasten RW, Thomas WP, Pesavento P. (2004), A prospective study of canine infective endocarditis in northern California (1999-2001): emergence of Bartonella as a prevalent etiologic agent. J Vet Intern Med, 18(1):56-64 Santilli R.A., Bussadori C., Borgarelli M., G. D’Agnolo. (1997), Endocarditi valvolari nel cane. Studio retrospectivo su 18 casi (19921996). Veterinaria; 11 (3):5-14 Indirizzo per la corrispondenza: Oriol Domenech - E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 101 Gestione intra e postoperatoria nel trattamento chirurgico e interventistico delle cardiopatie Oriol Domenech Med Vet, Barcellona, Spagna Roberto Bussadori, Med Vet, Milano Il dotto arterioso persistente (PDA), la stenosi polmonare (SP) e la pericardite idiopatica sono le patologie che più frequentemente si trattano mediante la chirurgia convenzionale o la cardiologia interventistica. Nel caso di PDA con deviazione da sinistra a destra la terapia definitiva è data dalla chiusura di questa comunicazione che si può realizzare, in base alle dimensioni e alla morfologia del PDA stesso, con cardiologia interventistica o chirurgia tradizionale. Il trattamento della SP si basa principalmente nella dilatazione dell’annulus valvolare mediante cardiologia interventistica (valvuloplastica) 1. Il versamento pericardico ha un incidenza dell’8% nel cane ed è dovuto nel 90% dei casi a masse cardiache o pericardite idiopatica 2. L’incidenza di masse cardiache nella nostra casistica è del 2,17% delle ecocardiografie eseguite 3. Generalmente sono masse extracardiache e in una minore proporzione intracardiache. La diagnosi definitiva di queste masse è data dall’esame istopatologico ed immunoistochimico 3. La chirurgia tradizionale con toracotomia è la metodica d’elezione non solo per ottenere campioni istologici ma anche in alcuni casi per asportare il tumore sia intracardiaco che extracardiaco. Esistono diverse pubblicazioni che descrivono la tecnica di questi procedimenti terapeutici, ma sono pochi i lavori che si riferiscono al monitoraggio cardiologico intra-e postoperatorio di queste tecniche operatorie innovative in medicina veterinaria. Chiusura del PDA Il monitoraggio intra-e postoperatorio di questa patologia dipende dallo stadio clinico 4, 5 ed ecocardiografico del PDA 6, 7 . Una visita clinica completa così come uno studio radiografico, elettrocardiografico ed ecocardiografico prima dell’intervento sono di vitale importanza. Quanto più lo stadio clinico ed ecocardiografico del nostro paziente è avanzato maggiore dovrà essere il monitoraggio intra- e postoperatorio. Nel momento in cui si chiude il PDA le cavità cardiache sinistre sono sottoposte ad un aumento del postcarico che in fase avanzata della patologia può determinare aritmie cardiache e congestione venosa polmonare. Nella nostra esperienza abbiamo osservato che i pazienti di classe IIIa e IIIb (secondo la classificazione clinica di J. Buchanan) presentavano una maggiore probabilità di sviluppare aritmie e insufficienza cardiaca congestizia postchirurgica rispetto ai pazienti in stadio meno avanzato. Il 70% dei casi in classe IIIa e IIIb hanno presentato qualche tipo di aritmia come la tachicardia sopraventricolare o ventricolare parossistica ed edema polmonare. Il 3% di questi casi hanno presentato morte improvvisa. L’inizio di una terapia medica in questi pazienti è di grande importanza per stabilizzare il paziente prima della chiusura del PDA. La pressione venosa centrale (PVC) rappresenta la pressione di riempimento del ventricolo destro e la capacità relativa del cuore di pompare il ritorno venoso 8, per questo può essere utile per monitorizzare un paziente con rischio di sovraccarico volumetrico 9 ed edema polmonare 10. Abbiamo osservato che durante la chiusura del PDA la PVC in qualche paziente grave aumenta di 2-4 cm d’H2O, per questo la valutazione di questo parametro durante e dopo l’intervento ci è servito per effettuare una fluidoterapia ed una terapia diuretica intra e postoperatoria più adeguata al fine di prevenire una congestione venosa polmonare. L’uso della PVC ci ha aiutato a diminuire il numero dei casi che presentavano edema polmonare acuto durante o poco dopo l’intervento. Il monitoraggio elettrocardiografico continuo è di vitale importanza per il riconoscimento precoce di una aritmia durante e fino a 48 ore dopo l’intervento. Lo studio radiografico subito dopo l’intervento, così come 24 e 48 ore dopo ci aiuterà nella diagnosi precoce non solo di un possibile edema polmonare, ma anche di pneumotorace o versamento pleurico anche se questi ultimi sono molto rari. Valvuloplastica polmonare Il monitoraggio di questa patologia dipenderà dalla gravità della stenosi polmonare non solo in funzione del suo gradiente di pressione ma anche in funzione della presenza o assenza di stenosi dinamica e dalla presenza o assenza di fibrosi endomiocardica. Abbiamo osservato che la presenza di fibrosi endomiocardica così come la presenza di stenosi dinamica aumenta la probabilità di complicazioni intra e postoperatorie. Le complicazioni più frequenti che abbiamo osservato in questo tipo di paziente sono state aritmie ventricolari (tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare) e peggioramento della stenosi dinamica. Le aree di fibrosi endomiocardica sono altamente aritmogeniche quando stimolate da un catetere. I betabloccanti riducono l’automatismo e la conduttività degli impulsi elettrici e correggono così possibili aritmie che originano frequentemente durante la valvuloplastica. L’atenololo prolunga il periodo refrattario e insieme con l’inibizione di una risposta simpatica riduce la probabilità che impulsi prematuri determinino una tachicardia ventricolare e, secondariamente, una fibrillazione ventricolare11. Il trattamento preoperatorio con atenololo è di grande interesse perché permette di ottenere una concentrazione plasmatica stabile che ci aiuterà nel controllo della comparsa di possibili aritmie durante l’intervento. Nei casi con ipertrofia marcata del ventricolo destro, la riduzione repentina del postcarico effettivo, ottenuta dopo la dila- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC tazione dell’anulus polmonare potrà determinare in qualche caso una stenosi dinamica come risposta dell’infundibolo ad una minor resistenza nel tratto di efflusso destro (RVOT “right ventricular outflow tract”), fenomeno che può causare una grave ostruzione che si conosce come infundibulo o ventricolo destro suicida 12. L’uso del betabloccante ci aiuterà a correggere possibili aritmie cardiache ma soprattutto a ridurre la gravità di una possibile stenosi dinamica subito dopo la dilatazione. La monitorizzazione ecocardiografica sarà importante per evidenziare e controllare la presenza di stenosi dinamica, così come, la possibile presenza di tamponamento cardiaco secondario a versamento pericardico dovuto a perforazione di strutture cardiache destre. La monitorizzazione elettrocardiografica postoperatoria si effettua quando il paziente presenta una evidente stenosi dinamica post dilatazione o quando persistono ancora aritmie cardiache una volta terminata la valvuloplastica. Generalmente se il paziente si riprende bene dall’anestesia e non si riscontrano alterazioni durante le prime 4-8 ore dall’intervento non è necessario che il paziente resti ospedalizzato. 102 L’approccio chirurgico a questo tipo di masse non è una pratica clinica abituale nella chirurgia oncologica veterinaria. Esistono differenti tecniche chirurgiche per l’approccio ad una massa cardiaca in funzione della sua localizzazione. Il metodo d’elezione per asportare masse intracardiache è con l’utilizzo della circolazione extracorporea. Il grande costo di questo tipo di strumentazione fa sì che l’utilizzo rutinario di questa metodica sia ancora utopico. Esistono però tecniche chirurgiche che permettono di accedere per pochi minuti all’interno delle cavità cardiache senza l’uso della circolazione extracorporea, mediante legatura della vena cava craniale, della vena cava caudale e della vena azigos 14. La monitorizzazione incomincia con una buona e precisa localizzazione della massa per poter così scegliere la miglior tecnica chirurgica che determinerà un preciso comportamento intra e post operatorio. Il monitoraggio cardiologico postopoeratorio si basa sulla PVC, la radiografia toracica, l’elettrocardiografia e l’ecocardiografia. L’ecocardiografia ci darà informazioni vitali per monitorizzare la funzionalità cardiaca una volta asportata la massa e la comparsa di possibili recidive. Pericardiectomia La monitorizzazione della pericardiectomia comincia prendendo in considerazione se il versamento pericardico è un versamento acuto o cronico, se il paziente presenta o non presenta tamponamento cardiaco, se esiste o meno pericardite costrittiva o masse cardiache e se sono presenti aritmie cardiache. Per questo un buon monitoraggio intra-e postchirurgico inizia con una buona e attenta valutazione prechirurgica. Abbiamo osservato che pazienti con versamento pericardico cronico e tamponamento cardiaco sviluppano più facilmente aritmie cardiache in particolare tachicardia sopraventricolare parossistica e/o fibrillazione atriale subito dopo o anche qualche ora dopo la pericardiocentesi. I pazienti che presentano questo tipo di aritmia bisogna stabilizzarli con terapia antiaritmica prima dell’intervento. La diagnosi prechirurgica di una eventuale pericardite costrittiva è molto importante per l’eventuale presenza di aderenze tra la parte viscerale del pericardio sieroso e l’epicardio 13. Le aderenze tra il pericardio e l’epicardio aumentano le probabilità di comparsa di aritmie cardiache che aumenteranno il rischio di mortalità intrachirurgica; questi pazienti possono presentare una disfunzione diastolica anche dopo la pericardiectomia per questo il monitoraggio ecocardiografico postoperatorio è di grande utilità. In questi casi la valutazione della PVC ci aiuterà ancora una volta nel monitoraggio della capacità contrattile del ventricolo destro. Una radiografia toracica subito dopo, 24 e 48 ore dall’intervento ci permetterà di diagnosticare possibili complicazioni nello spazio pleurico. Nella nostra esperienza le complicazioni più frequenti in questo tipo di intervento sono state il pneumotorace e il versamento pleurico. Attualmente lasciamo sempre un drenaggio pleurico che ci aiuterà a realizzare un miglior controllo di queste due complicazioni. Nei casi con abbondante formazione di versamento pleurico postchirurgico aggiungiamo prednisolone a 0,5 mg/kg/12 ore alla terapia medica per ridurre in questo modo la componente infiammatoria della pleura. Exeresi di masse cardiache L’ecocardiografia è un metodo non invasivo che permette il riconoscimento e la localizzazione di masse cardiache. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Bussadori C, Demadron E, Santilli R et al. (2001), Balloon valvuloplasty in 30 dogs: effect of valve morphology and anular size on initial and one-year outcome, J Vet Intern Med, 15 (6): 553-558. Smith FW, Rush JE. (2000) Diagnosis and treatment of pericardial effusion. In: Bonagura JD: Kirk’s current veterinary therapy XIII, Philadelphia, WB Saunders:772-777. Domenech O, Bonfanti U, Lubas G et al. (2002) Echocardiographic, pathologic and immunohistochimical studies on canine cardiac tumors, Proceedings ECVIM-CA congress:156. Buchannan JW. (1994), Patent ductus arteriosus, Proceedings of seminar in veterinary surgery and medicine, 9 (4):168-176. Buchannan JW. (1992), Pathogenesis and surgical aspect of PDA and vascular rings, Proceedings of academy in veterinary cardiology:7-8. Pouchelon JL, Chetbul V, Garnier E et al. (1996) Proposition d’une classification echocardiographique de la persistence du canal arteriel chez le chien a partir de 24 cas. Rec Med Vet, 172 (11/12): 623-642. Bussadori C. (1999), Therapeutic intervention in congenital heart disease, Proceedings 9th Annual ESVIM Congress: 98-100. Walton RS. (1999). Choque. In: Wingfield WE: Secretos de la medicina de urgencias en veterinaria, Mejico, Mc Graw-Hill Interamericana: 32-37. Hughes D. (2002), Cardiovascular assessment of hemodynamic monitoring, Proceedings ECVIM-CA:136-137. Hughes D. (2002) Pulmonary edema. In: Wingfield WE, Raffe MR: The veterinary ICU book, Jackson, Teton New Media: 629-642. Uprichard AC, Harron DW (1989), Atenolol, but not mexiletine protects against stimulus-induced ventricular tachycardia in a chronic canine model. Br J Pharmacol, 96:220. Berman AD, McKay RG, Grossman W. (1996), Balloon valvuloplasty. In: Baim DS, Grossman W: Cardiac catheterization, angiography, and intervention (Ed 5), Pennsylvania, Williams and Wilkins: 659-687. Kienle RD. (1998), Pericardial disease and cardiac neoplasia. In: Kittleson M, Kienle R: Small animal cardiovascular medicine, St. Louis, Mosby Inc,: 413-432. Ware WA, Merkley DF, Riedesel DH. (1994) Intracardiac thyroid tumor in a dog: diagnosis and surgical removal. J Am Hosp Assoc, 30:20-23. Indirizzo per la corrispondenza: Oriol Domenech E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 103 Piodermiti: classificazione, iter diagnostico e protocolli terapeutici Fabrizio Fabbrini Med Vet, Dipl CES Derm, Milano INTRODUZIONE Il termine piodermite sta ad indicare un insieme di malattie ad espressione clinica varia, sostenute da batteri piogeni capaci di interessare l’epidermide, il derma o l’ipoderma. Sono infezioni comuni nel cane, dove i fattori che ne determinano l’insorgenza sono a tutt’oggi molto dibattuti e in parte oscuri. Si pensa che a favorire la proliferazione e la penetrazione dei batteri sia il pH cutaneo elevato (7,5) e l’assenza di un’adeguata funzione barriera, data dalla presenza di uno strato corneo sottile e dalla mancata occlusione degli osti follicolari da parte del film idrolipidico. Inoltre la presenza di malattie infiammatorie sottostanti, specie quelle allergiche, predispongono all’infezione. Le piodermiti avvengono quando si hanno alterazioni dell’ecosistema di superficie, perdita dell’integrità cutanea (es. a causa di ferite penetranti o di malattie pruriginose) oppure più raramente deficit immunitari dell’ospite. In pratica tranne poche eccezioni, le infezioni batteriche cutanee nel cane sono secondarie alla presenza d’altre malattie dermatologiche che, se non identificate ed eliminate, comportano la frequente comparsa di recidive. Nel cane sono generalmente sostenute da stafilococchi, in particolare da Staphylococcus intermedius, mentre più raramente, in corso di piodermiti profonde, si possono isolare anche bastoncelli gram negativi d’origine fecale come Pseudomonas spp, Proteus spp ed E. coli. Più raramente sono descritte nel cane infezioni sostenute da batteri meticil-resistenti, come Staphylococcus aureus (coagulasi positivo) e Staphylococcus scheiferi, (coagulasi negativo), presenti anche nell’uomo. CLASSIFICAZIONE Le piodermiti sono classificate a secondo della profondità e struttura cutanea coinvolta in: 1. Piodermiti di superficie: quando l’infezione resta confinata allo strato corneo. In verità per molti autori queste non sono considerate vere infezioni, ma piuttosto delle colonizzazioni batteriche superficiali molto estese, e pertanto definite “pseudo piodermiti”: la componente batterica è ampia e secondaria a traumi e sfregamenti. La dermatite piotraumatica o dermatite essudativa acuta è causata dall’improvvisa e intensa attività di leccamento, mordicchiamento o grattamento del cane in aree corporee doloranti o pruriginose a seguito di malattie allergiche (es. DAP), ectoparassitosi, otiti, corpi estranei, ecc. In poche ore si formano ampie aree eritematose, essudatizie, glabre dai bordi ben definiti in prossimità della sede del prurito o del dolore. I cani a mantello lungo e folto sono più colpiti, specie durante i mesi caldo-umidi. L’intertrigine, o dermatite delle pliche, è indotta dallo sfregamento tra aree cutanee strettamente vicine, dove l’eccesso d’umidità, per la poca aria circolante o per l’accumulo di secrezioni, (sebo, lacrime, saliva, urina), favorisce un’eccessiva crescita di batteri o di lieviti (malassezie) e la presenza di eritema, essudazione, suppurazione e cattivo odore. Le razze maggiormente a rischio sono quelle con pliche facciali (es. Carlino, Bulldog Inglese), con pliche labiali estese come i Cocker e i S. Bernardo, con pliche disseminate come i Basset hounds e Shar pei e cani obesi. 2. Piodermiti superficiali: l’infezione resta confinata all’epidermide o al lume dei follicoli piliferi e non si ha distruzione della membrana basale: L’impetigine interessa essenzialmente i cuccioli entro la pubertà ed è caratterizzata dalla presenza di papule pustole o croste nelle aree glabre ventrali (ascelle, addome e inguine). Si ritiene possa essere favorita dalla presenza di parassiti, infezioni virali, carenze nutrizionali o ambiente malsano; in realtà spesso non ci sono cause sottostanti, la malattia è asintomatica, transitoria e auto risolutiva. La terapia non è necessaria o si limita a detersione locale con soluzioni antisettiche. Nei soggetti adulti talvolta si può sviluppare un’impetigine bollosa con lesioni più ampie e flaccide, in corso di malattie immunosoppressive sottostanti (es. cushing, diabete, ipotiroidismo) che rispondono rapidamente ad un’adeguata terapia sistemica antibiotica. La follicolite batterica superficiale, rappresenta la forma di piodermite più vista a qualsiasi età e deve essere considerata, sino a prova contraria, secondaria ad altre dermatosi concomitanti. Le lesioni sono date da papule e pustole follicolari, in rapporto numerico di 10:1 visto che le pustole facilmente si rompono ed evolvono a collaretti epidermici. Altre lesioni presenti sono le scaglie, le croste (non emorragiche), le aree d’alopecia multifocale (mantello “tarmato”), le lesioni dette “a bersaglio” date da aree rotondeggianti eritematose con un centro iperpigmentato, e tipicamente nei bulldog inglesi, aree alopeciche lichenificate, scarsamente infiammate. La distribuzione delle lesioni comprende: addome, ascelle, inguine e tronco; raramente interessa gli arti e in generale risparmia la testa. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC La diagnosi si basa sulla clinica e sulla citologia eseguita da lesioni integre: si devono identificare batteri fagocitati da PMN neutrofili. Gli esami batteriologici ed istologici sono riservati ai casi che non rispondono alla terapia o a razze dove le lesioni macroscopiche sono difficili da visualizzare (es. shar-pei, chow-chow). Nel diagnostico differenziale si devono prendere in considerazione ed escludere tramite esami collaterali appropriati le malattie follicolari (demodicosi, dermatofitosi, pemfigo foliaceo,...). La terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici (vedi tabella per molecole e dosaggi) attivi su Staphylococcus intermedius per almeno dieci giorni oltre la guarigione clinica (di media per 3-4 settimane). Nelle forme iniziali si possono utilizzare empiricamente molecole batteriostatiche come i macrolidi mentre nelle forme recidivanti/croniche sono più indicate molecole battericide scelte in base all’antibiogramma. La risposta farmacologica deve essere vagliata dopo due settimane di terapia tramite una visita di controllo e in mancanza di una seppur parziale risposta terapeutica è necessario chiedersi: 1. La diagnosi di piodermite è stata eseguita correttamente (esame citologico ed esclusione delle diagnosi differenziali)? 2. Se sì, la terapia è stata impostata correttamente (molecola, dose e modalità di somministrazione)? 3. Il paziente assume il farmaco (non vomita, non presenta diarrea, il proprietario è affidabile)? Nel caso di risposte affermative, è consigliabile eseguire un tampone cutaneo e/o delle biopsie multiple per valutare la presenza di antibiotico-resistenza (evento raro) o di altra malattia capace di mimare una follicolite batterica (ad esempio un pemfigo foliaceo). Dopo la guarigione clinica, se si ha una ricaduta entro 710 giorni dalla sospensione del farmaco, probabilmente non si tratta di una recidiva della piodermite ma di una mancata guarigione batteriologica a causa della sospensione troppo precoce dell’antibiotico. Quando, nonostante un corretto trial terapeutico, si hanno recidive entro tre mesi dall’avvenuta guarigione oppure, in assenza dell’infezione sono comunque presenti anomalie dermatologiche (prurito, dermatiti esfoliative, mancata ricrescita del mantello.), si deve ricercare, identificare, eliminare / gestire la malattia predisponente sottostante, sicuramente presente. La piodermite muco cutanea interessa principalmente le labbra e la cute periorale di cani di ogni razza, sesso ed età, ma in particolare del Pastore tedesco e suoi incroci. Esordisce con eritema ed edema alla commessura delle labbra, seguita da presenza d’essudato, ragadi, erosioni e croste; tardivamente nei casi cronici, si ha depigmentazione delle aree interessate. Lesioni simili possono presentarsi alle palpebre, narici, prepuzio e ano. La diagnosi si basa sul quadro clinico e l’esclusione d’altre malattie come ad esempio intertrigine, lupus discoide, pemfigo foliaceo/eritematoso o dermatite irritativa/allergica da contatto, tramite biopsie cutanee. 3. Piodermiti profonde: l’infezione, a seguito di ferite penetranti, depressione del sistema immunitario, traumi o grave danno follicolare, si diffonde al derma (follicolite profonda e foruncolosi) e all’ipoderma (cellulite) propagandosi dalla membrana basale epidermica o dal follicolo distrutti. 104 Si tratta di forme più gravi che si osservano in associazione a malattie debilitanti e imunosoppressive e che si possono suddividere in forme localizzate e forme generalizzate. Le lesioni sono date da pustole, bolle emorragiche, noduli, ulcere, aree necrotiche, croste emorragiche e fistole, accompagnate talvolta da segni sistemici. Le forme localizzate comprendono la follicolite/foruncolosi del dorso del naso, la follicolite/foruncolosi interdigitale e la follicolite piotraumatica, interessano piccole aree e sono in genere causate da fattori esterni (traumi, corpi estranei, morsi,..) e solo raramente correlate a malattie sottostanti. La follicolite/foruncolosi del dorso del naso, localizzata al dorso del naso e aree attorno alle narici è riscontrabile nel PT, bull terrier, collie, pointer ed altre razze dolicocefaliche. Si crede sia innescata da traumi derivanti dall’attività predatoria o dallo scavare buche nel terreno. All’esordio si notano alcune papule/pustole sul dorso del naso accompagnate da prurito/dolore. L’evoluzione è rapida: a seguito dell’auto traumatismo le lesioni si espandono, diventando papulo-ulcerativecrostose o nodulari a interessare anche le aree limitrofe. L’infezione batterica è secondaria. Le diagnosi differenziali includono: il pemfigo foliaceo, il lupus, le reazioni da farmaco, la dermatomiosite, la foruncolosi eosinofilica, la demodicosi, la dermatofitosi, granulomi da c.e e/o sterili. La follicolite/foruncolosi interdigitale/podale è complessa si presenta con eritema, edema, papule pustole emorragiche, noduli (simili a “cisti”) ulcere e fistole, ad interessare gli spazi interdigitali o altre aree podali di uno o più arti (in tal caso più facilmente correlate a malattie sistemiche sottostanti). L’infezione batterica è sempre secondaria ed i microrganismi chiamati in causa oltre ai classici stafilococchi e bastoncelli d’origine fecale comprendono anche batteri presenti nel terreno (es. micobatteri, actynomices, nocardia,…). La causa delle infezioni podali talvolta rimane sconosciuta anche perché i fattori predisponenti correlati sono molti e non sempre facili da identificare: ripetuti traumi locali (sia per lo stile di vita del paziente che per eventuali difetti d’appiombo degli arti), neoplasie, corpi estranei, dermatiti irritative/allergiche da contatto, malattie allergiche, ipotiroidismo, demodicosi, dermatiti da larva migrans. Durante l’iter diagnostico si deve vagliare la presenza di ectoparassiti, di malattie fungine e valutare tramite l’esame citologico (utilizzando, se necessario, più colorazioni) la presenza o meno di neutrofili, di batteri fagocitati (e loro caratteristiche morfologiche/tintoriali), di granuli (es. di micetomi o pseudomicetomi), elementi fungini, eosinofili, macrofagi e/o cellule neoplastiche o acantolitiche. Le radiografie delle estremità colpite sono d’aiuto nell’evidenziare corpi estranei radiopachi o l’interessamento della base ossea sottostante. Inoltre, se presente il prurito come segno clinico maggiore, vagliare la presenza di malattie allergiche, e se indicato dalla clinica (lesioni non pruriginose a più arti, interessamento sistemico) sono indicati screening ematochimici ed esami ormonali (per tiroide e surreni). Infine, rimane essenziale eseguire biopsie per documentare la presenza di corpi estranei (inclusi frammenti di peli e di cheratina), batteri, funghi, demodicosi, malattie autoimmuni, e neoplasie. Si rammenti della necessità di utilizzare colorazioni speciali in citologia e istologia per identificare microrganismi (es. micobatteri) altrimenti non visualizzabili tramite le colorazioni abituali. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC MOLECOLA 105 ATTIVITÀ DOSE COMMENTI Amoxicillina/clavul. (Synulox, Augmentin) Battericida ad ampio spettro d’azione 12.5-25 mg/kg bid o tid Dare dosi elevate e tid nelle infezioni profonde; segnalate reazione da farmaco Cefalessina (ICF vet, Rilexine, Nisamox, Keforal) Battericida, ad ampio spettro d’azione; +/- attivo su Proteus/ Pseudomonas 15-30 mg/kg bid o tid Come sopra; segnalati anche vomito e diarrea; ottima per tx pulsatile Cefadroxil (Cefacure-tabs) Come sopra 22-30 mg/kg bid o tid (sid nei gatti) Come sopra, induce facilmente vomito Ceftriaxone (Rocefin) Cefalosporina iniettabile di 3 generazione attiva su gram+ e gram- come Pseudomonas 25-50 mg/kg sid o bid Molecola ottima ma cara Enrofloxacina (Baytril) Battericida ad ampio spettro d’azione attivo (a dosaggi molto alti) su Pseudomonas, Proteus, ed altri microrganismi 5 o (10-20) mg/kg sid a digiuno Penetra bene nei tessuti veicolato dai leucociti; segnalate alterazioni a cartilagini articolari sotto l’anno d’età e distacco retinico nei gatti a dosi > a 5 mg/kg Ciprofloxacina (Ciproxin) Come sopra, si tratta di un metabolica dell’enrofloxacina 10-20 mg/kg sid Come sopra Marbofloxacina (Marbocyl) Chinolonico ad attività simile all’enrofloxacina 2.5-5-10 mg/kg sid Come sopra Difloxacina (Dicural) Chinolonico ad ampio spettro d’azione 5-10 mg/kg bid Eritromicina Macrolide batteriostatico a spettro ristretto sui gram + 10-20 mg/kg tid a stomaco pieno Facilmente si ha vomito e antibiotico resistenza crociata con altri macrolidi (lincomicina) Lincomicina (Lincocin) Come sopra 15-25 mg/kg bid a digiuno Come sopra Clindamicina (Clindacin) Come sopra 5-10 mg/kg bid Come sopra ma si diffonde meglio nei tessuti Tilosina (Tylan) Come sopra 10-20 mg/kg bid Come sopra Doxiciclina (Ronaxan) Tetraciclina attiva su micobatteri, ehrlichia, borrelia, rickettsia 5-10 mg/kg sid o bid Può intaccare ossa e denti di animali in accrescimento Rifampicina (Rifadin) Attivo su stafilococchi, streptococchi e micobatteri 5-10 mg/kg sid Utile nelle lesioni profonde podali in associazione ad altre molecole; epatotossico, induce rapidamente resistenza Claritromicina Attivo su stafilococchi, streptococchi e micobatteri 5-10 mg/kg bid Azitromicina Primariamente i gram+ 5-15 mg/kg bid Si concentra nel citoplasma cellulare Levamisolo Immunomodulatore attivo nel 10% delle piodermiti ricorrenti 2.2 mg/kg/48h Reazione da farmaco diarrea, vomito e discrasie ematiche Cimetidina Come sopra 6-10 mg/kg tid Rari effetti collaterali, si dà a vita Staphage Lysate (Delmont Laboratories, Swarthmore, PA) Batterina stafilococcica capace di stimolare l’immunità cellulomediata e umorale. Prodotta dalla lisi di Staphylococcus aureus 0.5-1.5 ml s.c due volte a settimana x 10 settimane, quindi 1 inoculo a settimana Il trattamento, se efficace, va continuato per tutta la vita dell’animale 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC La terapia e gestione clinica spesso sono frustranti: il problema risulta auto-perpetuante in quanto le lesioni pregresse esitano in cicatrici che rendono le estremità podali predisposte a future infezioni; in tal senso è necessario intervenire precocemente e rapidamente sia nella gestione dell’infezione che nella ricerca della causa sottostante. La terapia antibiotica in genere è molto lunga (di media 8-12 settimane) e deve essere protratta per almeno tre settimane oltre la risoluzione clinica. Si rammenti che la guarigione degli strati superficiali cutanei avviene parecchie settimane prima della risoluzione dell’infezione presente nel derma profondo e che sino a quando si ha ispessimento e dolore alla palpazione queste aree devono essere considerate come infette. La follicolite piotraumatica interessa in particolare cani giovani delle razze Labrador/Golden retriever, S. Bernardo e Terranova. La malattia presenta esordio improvviso ed evoluzione rapida: si formano ampie aree eritematose, essudatizie, ulcerate e rilevate a placca, dai bordi ben definiti con papule e pustole in periferia, in particolare al collo o alla guancia. Istologicamente si differenzia dalla dermatite essudativa acuta per la presenza di una follicolite/foruncolosi suppurativa necrotizzante profonda, sostenuta da batteri e accompagnata da idroadenite e pannicolite con infiltrato prettamente neutrofilico, a testimoniare la presenza di un’infezione batterica profonda. Le forme di piodermite profonda generalizzata sono spesso correlate ad un quadro d’immunodepressione primario (raro) o secondario ad altre malattie sottostanti e possono interessare un’intera regione o buona parte della superficie corporea. Tra le forme generalizzate vanno ricordate la piodemodicosi e la piodermite profonda idiopatica del Pastore tedesco. Alla demodicosi è associato uno stato di alterazione del sistema immunitario, capace di favorire l’insorgenza di una piodermite profonda. La piodermite profonda idiopatica del Pastore tedesco, è una malattia cronica, caratterizzata dalla presenza d’infezioni che si risolvono lentamente e a stento, e che spesso recidivano una volta cessata la somministrazione di antibiotici. Nei cani colpiti, oltre alla predisposizione familiare è stata evidenziata la possibilità di riscontrare malattie sottostanti, quali allergie, endocrinopatie, malattie infettive/parassitarie che di deficit dell’immunità cellulo-mediata. La malattia colpisce soggetti adulti tra i 5 e i 7,5 anni, con raggruppamenti di papule e pustole cui rapidamente fanno seguito foruncoli, placche, ulcere, tragitti fistolosi, aree iperpigmentate, alopeciche, necrotiche e/o crostose. A volte sono presenti escoriazioni e seborrea secondaria. La distribuzione è piuttosto caratteristica: sono colpiti la groppa, le cosce, il dorso e l’addome, mentre spesso sono risparmiati testa e arti. Alcuni soggetti con quadri più gravi, presentano lesioni generalizzate anche al collo, fianchi, perineo e arti. Il decorso della malattia è lungo e tormentato da episodi di parziali guarigioni seguiti da frequenti recidive. Nella totalità dei casi si riscontra una linfoadenomegalia periferica mentre più raramente è possibile riscontrare perdita di peso, anoressia e febbre. La diagnosi definitiva si basa sulla confluenza di criteri anamnestici (razza, età d’insorgenza, presenza di dermatiti ulcerative crostose croniche e/o recidivanti), clinici (lesioni 106 e distribuzione suggestive di una piodermite profonda e conferma dell’infezione tramite esami citologici e batteriologici) e sull’esclusione della presenza di malattie dalla stessa presentazione clinica o considerate capaci d’innescare l’insorgenza di una piodermite profonda. Diagnosi differenziale: sono da vagliare le malattie che si esprimono clinicamente con quadri di dermatiti bolloseulcerative e/o ulcerativo-crostosa quali: infezioni fungine, Leishmaniosi, Lupus, pemfigo, pemfigoide, reazione da farmaco, neoplasie, ecc. Inoltre sono da prendere in considerazione le malattie capaci di indurre alterazioni della risposta immunitaria, quali demodicosi, ipotiroidismo, Cushing, Ehrlichiosi. La terapia topica si basa, dopo tricotomia, sull’uso di shampoo antisettici e/o idromassaggio giornalieri, indicati per la rimozione d’essudato e croste in quanto favoriscono il drenaggio del pus dalle aree cutanee interessate e mettono a proprio agio il paziente. Inizialmente devono essere eseguite delicatamente e con estrema cautela a causa del dolore, e conseguente reazione di difesa dell’animale. I prodotti a base di clorexidina, lattato d’etile, iodo povidone, e perossido di benzoile, se usati spesso possono indurre xerosi e per tale motivo è consigliabile abbinarli a degli umettanti/reidratanti. La durata e frequenza della terapia topica dipende dalla risposta clinica, in generale dopo pochi giorni si passa a 2 trattamenti a settimana e dopo 3-4 settimane a 1 trattamento a settimana. Terapia sistemica. La corretta somministrazione di antibiotici è fondamentale per una buona risposta terapeutica e per ottenerla è necessaria la massima collaborazione del proprietario, che deve essere convinto sulla necessità della somministrazione prolungata e selettiva del farmaco prescritto. La scelta deve cadere su molecole ad attività battericida, in base ai risultati dell’antibiogramma, e che presentino buona diffusione nei tessuti infetti e/o rimaneggiati dalla fibrosi. Secondo alcuni autori i chinolonici, in particolare l’enrofloxacina a 5-10 mg/kg sid, sono considerati i farmaci d’elezione. La durata della terapia deve essere almeno di tre settimane oltre la risoluzione clinica delle lesioni (in media dalle sei alle dieci settimane). Nei casi in cui si hanno frequenti e rapide recidive dopo sospensione della terapia, sono consigliate somministrazioni pulsatili del farmaco, ad esempio per i primi tre giorni di ogni settimana, oppure giornalmente a settimane alterne o ad ogni tre settimane. Prognosi. L’eliminazione dell’infezione batterica in soggetti in cui s’identificano e si gestiscono le cause sottostanti, spesso porta a una risoluzione clinica prolungata. I proprietari devono essere sensibilizzati sul fatto che i loro cani resteranno in ogni modo suscettibili a nuove infezioni e che ogni anomalia riscontrata su cute o mantello deve essere prontamente controllata dal veterinario. I cani che presentano recidive ad ogni sospensione dell’antibiotico, probabilmente hanno un deficit immunologico di tipo cellulo mediato e richiedono terapia a vita. Per piodermiti ricorrenti idiopatiche s’intendono le infezioni batteriche recidivanti (solitamente superficiali) non correlabili ad una causa sottostante, nonostante la messa in 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC atto di trial diagnostici adeguati. La loro gestione prevede, una volta eliminata l’infezione in atto tramite adeguato trial terapeutico, la messa in atto di una terapia immunomodulatrice (vedi tabella) e/o antibiotica pulsatile (3-4 giorni a settimana oppure a settimane alterne) utilizzando molecole battericide, in particolare le cefalosporine. Si definiscono “pseudopiodermiti” quelle dermatosi ad eziologia varia capaci di “mimare” il quadro clinico delle piodermiti pur non facendone parte, come ad esempio: I calli infetti, la cellulite giovanile, l’acne, l’intertrigine, la dermatite pustolosa lineare da IgA, la pannicolite sterile, il pemfigo foliaceo ed eritematoso, la pustolosi eosinofilica sterile, la sindrome piogranulomatosa sterile, la dermatite pustolosa sotto corneale e la follicolite/foruncolosi eosinofilica facciale. 107 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. Letture consigliate 18. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Bell A: Prophylaxis of German shepherd recurrent furunculosis (German shepherd dog pyoderma) using cephalexin pulse theraphy. Aust. Vet. Practit. 1995; 25: 30. Cerundolo R, et al: Reccurent deep pyoderma in German shepherd dogs with underlying ehrlichiosis and hyperglobulinemia. Vet. Dermatol. 1998; 9: 135, Chabanne L, et al: Lymphocyte subset abnormalities in German shepherd dog pyoderma (GSP). Vet. Immunol. Immunopathol. 1995; 49: 189-198. De Boer DJ.: Management of chronic and recurrent pyoderma in the dog. In: Bonagura JD, Kirk’s Current Veterinary Terapy XII, pag 611617. WB Saunders Co, Philadelphia, 1995. De Boer DJ, Moriello KA, Thomas CB, and Schultz KT.: Evaluation of a commercial staphylococcal bacterin for management of idiopathic recurrent superficial pyoderma in dogs. Am J Vet Res 51(4): 636, 1990. Denerolle P, et al: German shepherd dog pyoderma: a prospective study of 23 cases. Vet. Dermatol. 1998; 9: 243-248. Duquette RA, Nuttal TJ: Methicillin-resistant Staphylococcus aureus in dogs and cats: an emerging problem? Journal Small Animal Practice 45: 591-597, 2004. Frank L, et al: Isolation of Staphylococcus schleiferi from dogs with pyoderma. JAVMA 15, 451-454, 2003. Hill PB, Moriello KA. Canine pyoderma. JAVMA 20(3):334, 1994. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. Ihrke PJ, et al: German shepherd dog pyoderma: An overview and antimicrobial management. Compend. Cont. Educ. Pract. Vet. (suppl) 1999; 21: 44, Ihrke P.J.: Bacterial Skin Diseases in the Dog. A guide to canine pyoderma. Veterinary Learning Systems, (1996) Ihrke P.J.: Bacterial infections of the skin. In Green CE: Infectious Diseases of the Dog and Cats, 3th edition, WB Saunders Co, Philadelphia, 2004. Koch HJ: et al: Antimicrobial therapy in German shepherd dog pyoderma (GSP). An open clinical study. Vet. Dermatol. 1996; 7: 117. Koch HJ and Vercelli A.: Shampoos and other topical therapies. Workshop Report 3. In: White S and Mason I (eds.) Advanced in Veterinary Dermatology, vol. 2. Pergamon Press, 1993:409. Kwochka KW.: Recurrent pyoderma. In Griffin CE, Kwochka KW, and MacDonald JM (eds.): Current Veterinary Dermatology, Mosby Year Book, 1993:3. Mason K.V.: The most common causes of therapeutic failure in canine pyoderma. Proceedings of the 14th Annual Congress ESVDECVD, Pisa. (1997) 5-7 September, pg. 13-14. Medleau L, Long RE, Brown J, and Miller WH.: Frequency and antimicrobial susceptibility of Staphylococcus species isolated from canine pyoderma. Am J Vet Res, 47:229, 1986. Miller WH: Deep pyodema in two German shepherd dogs associated with a cell-mediated immunodeficiency. J. Am. Anim. Hosp. Assoc. 1997; 27: 513-517. Noble WC and Kent LE.: Antibiotic resistance in Staphylococcus intermedius isolated from cases of pyoderma in the dog. Vet Dermatol 3:71, 1992. Noli C, Houwers D, Willemse T.: Study on the resistancy patterns of Staphylococcus spp. isolated from dogs with pyoderma. Proceedings of 12th Annual Meeting ESVD/ECVD, Barcelona, 1995. Prost C and Arfi L.: Utilisation de la lincomycine dans le traitement des pyodermites du chien. Prat Med Chir Anim Comp, 28: 495, 1993. Rosser EJ: German shepherd dog pyoderma: a prospective study of 12 dogs. J. Am. Anim. Hosp. Assoc. 1997; 33: 355-363. Scott DW, et al: Muller & Kirk’s Small Animal Dermatology 6th Edition W.B. Saunders Co Philadelphia, 2001; p 230-232, 306-308. Wisselink MA et al: Deep pyoderma in the German shepherd dog. J. Am. Anim. Hosp. Assoc. 1985; 21: 773-776. Wisselink MA et al: Immunologic aspects of German shepherd pyoderma. Vet. Immunol. Immunopathol. 1988; 19: 67-77. Wisselink MA et al: German shepherd pyoderma: A genetic disorder. Vet. Q. 1989; 11: 161-164. Indirizzo per la corrispondenza: Fabrizio Fabbrini - E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 108 Cinetica dei gas anestetici (assorbimento e distribuzione) Emilio Feltri Med Vet, Castel Nuovo Scrivia, Alessandria Lo studio e la conoscenza dell’assorbimento e della distribuzione dei gas anestetici è indispensabile quanto la conoscenza della cinetica dei farmaci iniettabili al fine di produrre una concentrazione utile (sufficiente a permettere un intervento chirurgico) di anestetico volatile nel distretto cerebrale, cardiaco, muscolare. Inoltre il diffondersi in medicina veterinaria dei circuiti di rirespirazione e l’approccio sempre più diffuso di tecniche a basso e minimo flusso di gas fresco rende questa conoscenza obbligatoria da parte dell’anestesista. Rivedremo concetti come “Mac”, rapporto tra frazione alveolare (Fa) e frazione inspirata (Fi) di un gas anestetico, compartimentazione dei gas, tessuti molto vascolarizzati e poco vascolarizzati, solubilità dei gas, influenza della fisiopatologia cardiaca sugli scambi etc. Rapporto tra Frazione inspirata (Fi) e Frazione alveolare (Fa) Il primo concetto da ricordare per capire questo rapporto è quello della Minima concentrazione alveolare di un gas anestetico (Mac) che ad un’atmosfera è in grado di produrre immobilità nel 50% dei sottoposti ad uno stimolo nocicettivo sovramassimale. Per ottenere lo stesso risultato nel 95% dei soggetti è necessario spingersi a 1,2/ 1,4 volte la Mac. Nel concetto ben conosciuto ai molti si nota come è introdotto un dato di pressione (un’atmosfera), ed è proprio alle leggi fisiche della pressione parziale dei gas che si rifà la cinetica. Agire e controllore l’anestesia volatile o inalatoria è come dire di agire sulla pressione parziale del gas anestetico nel distretto cerebrale. L’anestetico si sposterà sempre in ragione di una pressione minore fino al raggiungimento di un equilibrio. Dunque, dei vari passaggi, il più importante è dato dal rapporto tra la frazione inspirata e quella alveolare del gas. Per semplificare si potrebbe dire che usando “circuiti paziente” semiaperti (ad alti flussi) si ha il controllo diretto della frazione inspirata; mentre si parlerà di frazione somministrata nell’uso dei circuiti. La “Fa” di un gas determina in ultimo le pressioni parziali nei vari distretti tissutali dove le frazioni tenderanno ad eguagliarsi alla frazione alveolare stessa. Due sono i fattori che influenzano il rapporto Fa/Fi uno è la stessa Fi e l’altro è la Ventilazione alveolare. Quest’ultimo fattore agisce in modo direttamente proporzionale ecco perché se tale funzione fisiologica non è depressa marcatamente oppure se è guidata meccanicamente si ha più velocemente la tendenza ad uno del rapporto. A contrastare questo evento vi è l’assorbimento dell’anestetico da parte del sangue. Quindi la Fa di un gas volatile anestetico è la risultante dell’equilibrio tra ventilazione, Fi ed assorbimento (entrate ed uscite per rendere facile l’apprendimento) del gas medesimo. Il concetto è fin qui molto facile se l’assorbimento rimuoverà la metà di gas la Fa sarà 1/2 della Fi…etc. Assorbimento del gas anestetico L’interazione di tre fattori determina l’assorbimento dell’anestetico. Solubilità (λ), Gittata cardiaca (Q) e delta tra pressione parziale alveolare e pressione venosa (Pa-Pv). La relazione completa considera anche la pressione atmosferica: • Assorbimento = λ x Q x (A-v)/BP Essendo la relazione un prodotto il tendere di uno qualsiasi dei fattori a zero porta a zero tutto il rapporto dunque l’assorbimento. Pensiamo ad esempio ad un gas poco solubile come il Sevoflurano (0,65) oppure ad una condizione di anestesia molto profonda con drastica riduzione della gittata porterebbero l’assorbimento verso lo zero cosiché la Fa del gas sarebbe determinata più che altro dalla ventilazione ed il rapporto Fa/Fi tenderebbe rapidamnete ad uno (Equilibrio). Analizziamo ora i tre fattori in gioco. • Solubilità: si tratta di un coefficiente di partizione che descrive come un gas anestetico si distribuisce tra due fasi (gas/sangue) o tra due solventi (sangue/muscolo) una volta raggiunto l’equilibrio. Si potrebbero ricavare tre gruppi di gas in base alla solubilità, quelli poco solubili come protossido, sevoflurano e desflurano (0,45, 0,65, 0,47); quelli intermedi come l’isoflurano ed alotano (1,4, 2,4) e quelli molto solubili come il metoxiflurano (15). Dire che la solubilità dell’isoflurano è 1,4 è come dire che all’equilibrio (ugual pressione tra i compartimenti analizzati) la concentrazione plasmatica dell’isoflurano sarà 1,4 volte maggiore la concentrazione alveolare oppure che il contenuto dell’anestetico in un millilitro di sangue sarà maggiore di 1,4 volte il contenuto possibile in un millilitro di gas alveolare. Per taluni gas 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC molto solubili come il metoxiflurano diverrà difficile raggiungere il cervello e dunque l’effetto anestetico sarà tardivo ecco perché vengono somministarti in sovrapressione. • Gittata Cardiaca: l’aumento della gittata ha come diretta conseguenza la diminuzione della Fa infatti l’alveolo viene svuotato maggiormente se contattato da flussi ematici più elevati. Quindi il discorso è identico a quello fatto per la solubilità. • Gradiente Alveolo-Venoso: questo gradiente è la diretta conseguenza dell’assorbimento tissutale dell’anestetico. Come per l’assorbimento ematico anche per quello tissutale i fattori in gioco sono gli stessi; solubilità tissutale, vascolarizzazione e flusso tissutale e gradiente artero venoso tissutale. Di nuovo la tendenza a zero di uno dei fattori determina un assorbimento tissutale nullo. Se poi è vero che la solubilità sangue/gas varia da 0,4 (desflurano) a 15 (metoxiflurano) è altrettanto vero che invece la solubilita sangue / tessuto è simile per le categorie di tessuti in esame. Anche in questo caso il coefficiente identifica il rapporto tra le concentrazioni di anestetico. Quello che diviene importante è la perfusione di un tessuto infatti vengono identificati i seguenti gruppi tissutali: Molto vascolarizzati (cervello, cuore, rene) intermedi (muscoli, adipe) poco vascolarizzati (tendini, osso). Questa assunzione ci deve fare capire come un tessuto molto vascolarizzato capterà anestetico e raggiungerà la saturazione o equilibrio molto più rapidamente di un tessuto povero di vasi. Il cervello (alta perfusione per grammo di tessuto) si equilibrerà molto rapidamente mentre un muscolo che circa è deficitario di venti volte la prefusione cerebrale impiegherà proprio venti volte di più in termini di tempo a raggiungere l’equilibrio con la pressione arteriosa del gas. La banale somma algebrica dell’assorbimento dei tessuti determina la differenza di pressione tra alveoli e distretto venoso: Assorbimento polmonare. 109 Ad un certo momento tuttavia la frazione alveolare del gas dipenderà dalla ventilazione alveolare e dall’assorbimento che si opporrà alla precedente in modo diverso a seconda della solubilità del gas in questione come dimostrato dalla figura 1. Una volta raggiunto un equilibrio in realtà non rimarrà costante infatti il rapporto tra le frazioni alveolare ed inspirata crescerà anche se molto più lentamente , questo evento è dovuto alla saturazione dei tessuti molto vascolarizzati che hanno compartimentato il gas e quindi non assorbono più. L’assorbimento passerà ai tessuti muscolari ed altri molto meno perfusi che daranno quindi una lenta salita al rapporto Fa/Fi. Influenza della ventilazione e della gittata cardiaca sul rapporto Fa/Fi Sintetizzando si può asserire che la genesi della frazione alveolare di un gas anestetico volatile dipende da tutti i fattori sopraelencati ventilazione, solubilità e perfusione e che per tutti i gas nelle fasi iniziali il rapporto Fa/Fi aumenta rapidamente poiché non vi è gradiente ....ovvio prima bisogna compartimentare il gas. Le conseguenze d’alterazioni fisiopatologiche di ventilazione e gittata si traducono in cambiamenti della distribuzione polmonare dei gas anestetici e modificazioni del rapporto Fa/Fi. Per quel che riguarda la ventilazione è lecito pensare che aumentandola il rapporto tenderà più velocemente ad uno (Fig. 2). Va tuttavia tenuto conto della solubilità dell’agente in questione; infatti, un agente poco solubile determinerà una velocità maggiore nel portare il rapporto ad uno rispetto ad un agente più solubile e soprattutto anche in condizione di ipoventilazione. In sintesi, mentre la ventilazione sarà meno influente sul cambiamento del rapporto Fa/Fi se l’agente è poco solubile, sarà invece proporzionalmente sempre più determinante all’aumentare la solubilità dell’agente. Da un punto di vista pratico quindi aumenti della ventilazione o passaggi della stessa da una condizione di spontaneità ad una di controllo meccanico producono un aumento dell’effetto anestetico con conseguente notevole approfondimento. Gli stessi anestetici influenzano la ventilazione e quindi il proprio assorbimento; una sorta di autoregolazione a feedback negativo sulla concentrazione alveolare. Considerare solo la ventilazione tuttavia è forviante del fatto che anche le modificazioni della Gittata cardiaca vanno a modificare il rapporto Fa/Fi (Fig. 3). Un aumento della gittata aumenta l’assorbimento e dunque si oppone all’incremento del rapporto Fa/Fi. Figura 1 Figura 2 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Figura 3 110 Figura 5 Anche qui la solubilità dell’agente gioca un ruolo importante, infatti, per agenti poco solubili le variazioni della gittata hanno scarso effetto sul rapporto. Anche nei riguardi della gittata gli anestetici producono un’autoregolazione a feed-back positivo sul raporto Fa/Fi. Infine considerando ambedue i fattori ventilazione e gittata come, in effetti, potrebbe accadere in fisiologia, se aumentassero entrambi si potrebbe pensare che la velocità di incremento del rapporto Fa/Fi non varierebbe di molto. Tuttavia, come dimostrato dalla Figura 4, all’aumentare della ventilazione e perfusione proporzionalmente la velocità dell’incremento del rapporto Fa/Fi aumenta, questo perché in sostanza è aumentata la velocità d’equilibrio anestetico tissutale. Infine non va scordato un fattore importante che è la concentrazione con cui viene somministrato un gas che influenza la rapidità di crescita del rapporto Fa/Fi come si nota dalla Figura 5. Figura 4 Indirizzo per la corrispondenza: Emilio Feltri - E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 111 Casi clinicopatologici Alessandra Fondati Med Vet, PhD, Dipl ECVD, Roma Luca Mechelli Med Vet, Perugia CASO CLINICO-PATOLOGICO ATAHUALPA SEGNALAMENTO: Cane, Pastore belga meticcio, 10 anni, maschio. ANAMNESI: Atahualpa ha un problema di erosioni, ulcere e croste sul tartufo da quasi 2 anni e non sembra esserci differenza tra estate ed inverno. Un anno e mezzo prima della visita, dopo aver eseguito un esame sierologico per la diagnosi di leishmaniosi con esito negativo, il cane è stato trattato con cicli di prednisone per via orale, di 2-3 settimane l’uno, che sembravano aiutare. Tre mesi prima della visita è stato eseguito un esame citologico linfonodale in cui sono stati osservati amastigoti di Leishmania. Atahualpa è stato quindi trattato con antimoniato di N-metilglucamina (50 mg/Kg per via sottocutanea ogni 12 ore) e allopurinolo (10 mg/Kg per via orale ogni 24 ore) per 3 settimane senza osservare nessun miglioramento. Il cane ha inoltre un problema di prurito nella regione posteriore dorsale che sembra rispondere alla somministrazione di antistaminici e, gradualmente, negli ultimi mesi, sembra “perdere forza” sugli arti posteriori. Atahualpa vive in una casa con giardino con un altro cane che non presenta problemi cutanei. Viene trattato con fipronil spot on ogni 3 mesi circa (dopo il bagno). Mangia, con appetito normale, alimenti secchi commerciali alternati con un’alimentazione casalinga a base di riso, carne e carote. Beve una quantità di acqua normale. ESAME FISICO GENERALE ED ESAME DERMATOLOGICO ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ DEFINIZIONE DEI PROBLEMI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ DIAGNOSI DIFFERENZIALI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ PROTOCOLLO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ASSESSMENTS DIAGNOSTICI-TERAPEUTICI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ FOLLOW UP ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ DISCUSSIONE DI ALCUNI ASPETTI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC CASO CLINICO-PATOLOGICO DUILIO SEGNALAMENTO: Cane, Segugio meticcio, 3.5 anni, maschio. ANAMNESI: Duilio ha un problema di “mancanza di pelo e prurito” stagionali estivi da 2 anni. Inizia a “cadere il pelo” attorno agli occhi e sulle zampe e il cane si gratta. Negli anni scorsi è stata diagnosticata una demodicosi e Duilio, con una spugnatura di amitraz settimanale per 1-2 mesi, “tornava a posto” fino alla primavera successiva. Quest’anno, nonostante le applicazioni settimanali di amitraz (pur non avendo osservato parassiti nei raschiati cutanei), il problema cutaneo persiste da 4 mesi con alopecia e prurito sul muso, le orecchie e le 4 estremità. Un mese prima della visita sono stati eseguiti un esame sierologico per la diagnosi di leishmaniosi con esito negativo, un esame citologico linfonodale per la ricerca di amastigoti di Leishmania negativo ed una PCR su materiale midollare per la ricerca di Leishmania negativa. Inoltre, sono stati eseguiti esami ematologici (lieve eosinofilia), chimico-clinici (nel range dei valori di riferimento normali), T4 e cortisolo basali (nel range dei valori di riferimento normali). Duilio da 1 anno vive in campagna (prima abitava in un appartamento in città) con un altro cane che non presenta problemi cutanei e “vari” gatti, che stanno bene. Tutti gli animali vengono trattati mensilmente con fipronil spot on ed ai 2 cani viene messo un collare a base di permetrine nella stagione estiva. Il cane mangia, con appetito normale, una dieta casalinga a base di riso, carne e verdure. Beve una quantità di acqua normale. Da 7 giorni sta seguendo una dieta casalinga a base di riso e agnello (ma “ruba” anche il cibo dei gatti). 112 DIAGNOSI DIFFERENZIALI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ PROTOCOLLO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ASSESSMENTS DIAGNOSTICI-TERAPEUTICI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ESAME FISICO GENERALE ED ESAME DERMATOLOGICO ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ FOLLOW UP ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ DEFINIZIONE DEI PROBLEMI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ DISCUSSIONE DI ALCUNI ASPETTI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC CASO CLINICO-PATOLOGICO NIPPI SEGNALAMENTO: Cane, Pastore tedesco meticcio, 8 anni, femmina sterilizzata. ANAMNESI: Nippi ha problemi “di salute” da 6 mesi. Ha iniziato con abbattimento, febbre e disoressia, quindi sono apparse ulcere, soprattutto sulla parte dorsale del tronco. Da 4 mesi il cane viene trattato con antibiotici (alternando ciprofloxacina, amoxicillina-acido clavulanico e cefalexina) e prednisone (1mg/Kg per via orale ogni 24 ore) e le lesioni in parte sono migliorate. Tuttavia, ogni volta che la dose di prednisone viene abbassata, le lesioni cutanee peggiorano e ritorna la febbre. Quattro mesi prima della visita sono stati eseguiti esami sierologici per la diagnosi di leishmaniosi ed ehrlichiosi con esito negativo, esami ematologici (lievi anemia e leucocitosi con neutrofilia e monocitosi), esami chimico-clinici (aumento di AST e ALP), e un’elettroforesi proteica sierica (ipoalbuminemia ed iperglobulinemia di alfa 2, beta e gamma globuline). Al momento della visita il proprietario riferisce che il cane si muove e respira con difficoltà. Nippi vive in un appartamento senza nessun altro animale da compagnia e non riceve nessun trattamento contro le pulci. Il cane mangia, con poco appetito, alimenti secchi e freschi e beve molto. ESAME FISICO GENERALE ED ESAME DERMATOLOGICO ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ DEFINIZIONE DEI PROBLEMI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ DIAGNOSI DIFFERENZIALI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ 113 PROTOCOLLO DIAGNOSTICO-TERAPEUTICO ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ASSESSMENTS DIAGNOSTICI-TERAPEUTICI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ FOLLOW UP ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ DISCUSSIONE DI ALCUNI ASPETTI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ ................................................................................................ Indirizzo per la corrispondenza: Alessandra Fondati E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 114 Procedure pratiche sul paziente con insufficienza respiratoria Luca Formaggini Med Vet, Dormelletto (NO) TORACOCENTESI Il clinico deve sempre considerare l’estrema instabilità di un paziente presentato alla visita clinica per sindrome da stress respiratorio acuto. Per questo motivo occorre ponderare la scelta dell’ordine in cui gli esami collaterali (radiografia, ecografia, toracocentesi) dovranno essere eseguiti. Questo significa che, dal momento che la radiografia non è terapeutica, il paziente deve essere stabilizzato prima di intraprendere una qualsiasi manovra che possa in qualche modo creare un eccessivo stress al paziente. La toracocentesi, può ricoprire (unitamente all’ossigeno terapia e alla sedazione) un ruolo primario sia diagnostico che terapeutico nel paziente con dispnea causata da patologie dello spazio pleurico quali lo pneumotorace e il versamento. Durante la manovra di toracocentesi si possono verificare alcune situazioni che devono immediatamente richiamare l’attenzione del clinico: il peggioramento delle condizioni del paziente (es il gatto che passa dal decubito sternale al decubito laterale) segnala di interrompere la manovra di toracocentesi e intraprenderne altre, quali l’intubazione, seguita dall’inserimento di un drenaggio toracico o da una toracotomia d’urgenza. L’ago deve essere riposizionato se: la centesi fosse negativa ma il sospetto clinico fondato, se fossero aspirate solamente poche gocce di sangue oppure se si percepisse lo “sfregamento” dell’ago contro il parenchima polmonare. Nel caso in cui il campione dovesse essere francamente ematico, valutandone la coagulabilità in una provetta con tappo rosso si avrebbe la conferma della presenza di sangue nello spazio pleurico (in questo caso il campione non coagula). Il liquido aspirato deve essere valutato macroscopicamente (colore, aspetto, densità, peso specifico e concentrazione proteica) e microscopicamente (conta cellulare, citologia e esame colturale). In questo modo, facendo una distinzione tra essudato, trasudato e trasudato modificato sarà possibile stilare una serie di diagnosi differenziali che unitamente all’esame citologico e a quello colturale, consentiranno di impostare una terapia e riferire al proprietario dei costi e della prognosi. Nel caso di versamento settico, occorre impostare una antibiotico terapia con molecole ad ampio spettro, in attesa dell’esito dell’esame colturale e dell’antibiogramma. Le possibili complicanze in corso di una toracocentesi sono: lo pneumotorace, l’emotorace, l’edema polmonare da riespansione e le infezioni. DRENAGGIO TORACICO O TORACOSTOMIA SU TUBO Con il termine di toracotomia su tubo o, più comunemente, drenaggio toracico, è indicata quella tecnica che permette di evacuare anomale raccolte di aria o di liquidi presenti in cavità pleurica, permettendo così di ripristinare la normale pressione negativa intratoracica. In linea generale, il drenaggio toracico fa seguito alla toracentesi, laddove quest’ultima non avesse risolto il problema dopo due tentativi consecutivi. In particolare, situazioni quali l’empiema toracico (piotorace) e lo pneumotorace instabile (iperteso) richiedono un posizionamento immediato del drenaggio (Yoshioka MM, 1982, Holtsinger RH et al, 1993, Tseng W and Waddel LS, 2000). Materiali: esistono in commercio differenti tipi di cateteri toracici, diversi per materiale, distribuzione e numero dei fori e modalità di inserzione. Per semplicità saranno presi in considerazione due tipologie di drenaggi, classificati in base alla loro modalità di inserzione: il catetere toracico tipo Redon (inserito in cavità pleurica mediante l’utilizzo di pinze emostatiche) e il catetere toracico su mandrino. Quest’ultimo, per le sue caratteristiche di facilità e rapidità d’inserzione, è più utile nella gestione delle emergenze. Secondo l’esperienza dell’Autore, il drenaggio tipo Redon, avendo numerosi fori distribuiti su una lunghezza di circa 15 cm, è maggiormente indicato nel trattamento dei versamenti; al contrario il catetere su mandrino, avendo 2 o 3 fori localizzati in prossimità dell’apice, è maggiormente indicato nella gestione dello pneumotorace. Dopo l’inserimento del drenaggio toracico, l’aspirazione dell’anomalo contenuto pleurico può essere eseguita ad intermittenza con una siringa, in aspirazione continua mediante l’utilizzo del sistema a due o tre bottiglie (pneumotorace iperteso) oppure mediante l’utilizzo di una valvola di Heimlich. Quest’ultimo metodo è indicato per lo pneumotorace semplice (stabile) ma non per la gestione a lungo termine di essudati e trasudati modificati (Crowe DT, 2002). Per una visione più completa di queste tecniche, si rimanda il lettore a pubblicazioni specifiche (Crowe D.T. and Devey J.J., 1998). Il sistema ad aspirazione intermittente con siringa utilizzato dagli Autori prevede quanto segue: se la quantità di aspirato aumenta, il tempo tra due aspirazioni si dimezza; al contrario, se l’aspirato diminuisce, il tempo tra due aspirazioni raddoppia. Il drenaggio è rimosso quando sono drenati non più di 2 ml/kg/die di liquido (Plunkett SJ, 2001). Con il paziente sveglio, si rimuove la sutura e il drenaggio è semplicemente sfilato. La ferita è fasciata e lasciata guarire per seconda intenzione. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC ACCESSO CHIRURGICO ALLE VIE AEREE Nell’approccio iniziale ad un paziente acuto, si riconosce alla valutazione della pervietà delle vie aeree un valore di primaria importanza (Airways – Breating – Circulation). Generalmente il controllo delle vie aeree è ottenuto tramite intubazione endotracheale; vi sono tuttavia delle situazioni in cui questa manovra è impedita, controindicata oppure il tempo necessario ad eseguirla potrebbe risultare fatale per la vita del paziente. In questi casi, la tracheotomia è la tecnica d’elezione per ottenere il controllo temporaneo delle vie aeree e il clinico deve essere in grado di eseguirla senza nessun indugio. Tutto il materiale dedicato allo scopo deve essere prontamente reperibile oppure in alternativa e in particolari situazioni d’emergenza, la tracheotomia può e deve essere eseguita con una qualsiasi forbice a portata di mano (Crowe, DT, 2002). Dal momento che il tubo specifico per tracheotomia reperibile in commercio può non essere disponibile, è possibile sostituirlo durante l’emergenza modificando un tracheotubo monouso trasparente. La gestione nel periodo post operatorio consiste nel porre particolare attenzione ad una possibile ostruzione del tubo, nell’umidificare la mucosa tracheale, nell’aspirazione del contenuto anomalo della trachea e, considerando che il sito della stomia è una ferita chirurgica aperta, iniziare una profilassi antibiotica ad ampio spettro. È necessario instillare ad intervalli di 2-4 ore, soluzione salina sterile in dosi variabili da 2 ml nei gatti e nei cani di piccola taglia, fino a 10 ml nei soggetti di taglia grande. L’aspirazione del contenuto della trachea (muco, sangue, pus) può essere eseguita routinariamente ogni 6-8 ore, oppure ogni qualvolta si percepiscano anomali rumori inspiratori; in ogni caso occorre sempre pre ossigenare il paziente tramite un sondino direttamente inserito nel tubo tracheotomico e, solo in seguito mettere in atto l’aspirazione. Questa deve essere eseguita a bassa pressione (-80 mmHg fino ad un massimo di -120 mmHg) e non deve durare più di 10 secondi. La quantità e le caratteristiche del materiale rimosso con l’aspirazione, fornisce un’idea sull’evoluzione della patologia o sulle possibili complicanze della metodica. Le complicanze immediate possono essere emorragie, enfisema sottocutaneo e mediastinico, ostruzione del tubo dovuta a piegamenti o a tappi di 115 muco (aspirazione periodica del contenuto tracheale, pulizia della cannula interna del tubo da tracheotomia). A lungo termine sono state segnalate emorragie dovute ad irritazione ed infiammazione della mucosa tracheale (umidificare la trachea) (Raffe MR, 2002). Il tubo tracheotomico è rimosso una volta risolta la causa ostruttiva delle prime vie aeree; gli anelli tracheali eventualmente lesionati durante l’emergenza saranno rimossi e in questo caso dovrà essere eseguita un’anastomosi tracheale. Se non fosse necessaria una chirurgia ricostruttiva della trachea il sito dello stoma sarà fasciato e lasciato guarire per seconda intenzione. Bibliografia Crowe, DT: Handbook of emergency surgery-protocols and techniques. In Proocedings of ECVS pre-Congress Seminar, Vienna, 2002. Raffe MR: “ Respiratory care”. In Wingfield WE, Raffe MR (eds.): The veterinary ICU Book. Jackson Hole, Wyoming. Teton NewMedia. 2002. pp147-165 Plunkett, SJ: “Respiratory Emergencies”. In Plunkett, SJ (ed.): Emergency Procedures for the Small Animal Veterinarian (2th ed). Saunders, 2001. pp. 27-45. Tseng, LW, Waddel LS: Approach to the patient in respiratory di stress. Clinical techniques in small animal practice. 15, 2, 2000. pp 53-62. Yoshioka, MM: Management of spontaneous pneumothorax in twelve dogs. J Am Anim Hosp Assoc 18:57-62, 1982. Holtsinger RH et al: Spontaneous pneumothorax in the dog: a retrospective anlysis of 21 cases. J Am Anim Hosp Assoc 29:195-210, 1993 Crowe DT and Devey JJ: Thoracic drainage. In Bojrab MJ, Ellison GW, Slocum B (eds): Current Techniques in Small Animal Surgery. Fourth edition. Williams & Wilkins, 1998. pp 403-417. Letture consigliate Fabio Viganò: Medicina d’Urgenza del Cane e del Gatto. Masson-EV. 2004. King, L Hammond, R: BSAVA Manual of Canine and Feline Emergency and Critical Care. 1999. Indirizzo per la corrispondenza: Luca Formaggini Clinica Veterinaria “Lago Maggiore” C.so Cavour, 3 28040 Dormelletto (NO) Tel +39 0322 243716 Fax +39 0322 232756 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 116 Concetti base per l’approccio alla chirurgia toracica Theresa W. Fossum DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA La toracotomia può essere eseguita praticando un’incisione fra le costole oppure dividendo lo sterno a metà. L’approccio utilizzato dipende dall’esposizione necessaria e dal processo patologico sottostante. Indipendentemente dal tipo di toracotomia eseguito, bisogna preparare per la chirurgia asettica un’ampia area, in modo da consentire l’estensione dell’incisione in caso di necessità. Sul lato sinistro del torace, a seconda di quale lobo polmonare sia colpito, si pratica una toracotomia laterale sinistra a livello del quarto, quinto o sesto spazio intercostale, che offre un’esposizione adeguata per la lobectomia. Una toracotomia a livello del quarto spazio intercostale sinistro concede l’esposizione del cono arterioso del ventricolo destro, dell’arteria polmonare principale e del dotto arterioso. Con questo tipo di approccio può essere difficile la rimozione bilaterale del sacco pericardico. La toracotomia intercostale destra consente di esporre il lato destro del cuore (orecchietta, atrio e ventricolo), la vena cava craniale e caudale, i lobi polmonari di destra e la vena azigos. Una sternotomia mediana espone entrambi i lati della cavità toracica. La lobectomia parziale bilaterale si esegue facilmente attraverso una sternotomia mediana; tuttavia, la lobectomia completa è spesso difficile. Attraverso questo approccio è possibile isolare e manipolare la vena cava caudale, l’arteria polmonare principale ed entrambi i lati del sacco pericardico. Sul torace, dopo l’intervento, si applica un bendaggio lasso. Toracotomia intercostale Con il cane in decubito laterale, scegliere la sede dell’incisione. Localizzare lo spazio intercostale ed incidere la cute, i tessuti sottocutanei ed il muscolo cutaneo del tronco con una lama. L’incisione si deve estendere da un punto situato appena sotto ai corpi vertebrali sino ad uno posto vicino allo sterno. L’incisione viene approfondita con un paio di forbici attraversando il muscolo grande dorsale e poi, insinuando una mano cranialmente sotto il muscolo stesso, si identifica con la palpazione la prima costola. Per verificare che si tratti dello spazio intercostale giusto, si può contare a ritroso a partire dalla prima costola. Con le forbici, si recidono i muscoli scaleno e pettorale, perpendicolarmente alle loro fibre, poi si separano le fibre muscolari del muscolo serrato ventrale a livello dello spazio intercostale prescelto. Vicino alla giunzione costocondrale, una delle lame delle forbici viene fatta passare sotto le fibre del muscolo intercostale esterno per poi spingere le forbici stesse dorsalmente al centro dello spazio intercostale in modo da incidere il muscolo. Si scontinua in modo analogo il muscolo intercostale interno. Si comunica all’anestesista che si sta per penetrare nella cavità toracica e, dopo aver identificato i polmoni e la pleura, si perfora quest’ultima servendosi delle forbici chiuse o di un oggetto a punta smussa. Ciò consente all’aria di penetrare nel torace, determinando il collasso dei polmoni, che si allontanano dalla parete corporea. L’incisione viene estesa dorsalmente e ventralmente al fine di ottenere l’esposizione desiderata. Si identificano i vasi toracici interni che decorrono a livello sottopleurico in prossimità dello sterno e si evita di inciderli. Sui margini esposti dell’incisione toracica si applicano dei tamponi da laparotomia inumiditi. Con un divaricatore di Finochietto si distanziano le costole. Se è necessaria un’ulteriore esposizione, si può rimuovere una delle costole adiacenti all’incisione; tuttavia, è raro che ciò occorra. Se bisogna inserire un drenaggio toracico, lo si può fare prima di chiudere il torace. Il drenaggio non deve uscire attraverso lo spazio intercostale inciso. La toracotomia viene chiusa mediante 4-8 suture di robusto materiale monofilamento assorbibile o non assorbibile (da 3-0 a N. 2, a seconda della taglia dell’animale) applicate preventivamente e fatte passare intorno alle costole adiacenti all’incisione. Le costole vengono avvicinate con una pinza fissateli o con un apposito strumento, oppure si chiede ad un assistente di tirare due fili in modo da tenerle vicine mentre si annodano le suture rimanenti. Tutti i fili da sutura devono essere annodati prima di togliere l’avvicinatore costale o la pinza fissateli. I muscoli serrato ventrale, scaleno e pettorale vengono uniti con una sutura continua in materiale assorbibile. Analogamente si accostano i margini del muscolo grande dorsale. Si rimuove l’aria residua presente nella cavità toracica servendosi del drenaggio toracico preventivamente applicato o di un catetere ad ago interno. Sottocute e cute vengono chiusi secondo le procedure di routine. Sternotomia mediana Quando si esegue la sternotomia mediana, bisogna lasciare intatte due o tre sternebre cranialmente o caudalmente (a seconda di dove è localizzata la lesione) per ridurre il dolore postoperatorio ed evitare il ritardo nella guarigione causato dallo spostamento delle sternebre stesse. Se è 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC necessario esporre i polmoni o il cuore (nei cani con pneumotorace spontaneo o per eseguire una pericardectomia), la sternotomia si deve estendere in direzione craniale partendo dalla cartilagine xifoidea ed arrivando alla seconda o terza sternebra. Se si desidera esporre la parte craniale del mediastino, la sternotomia deve andare dal manubrio sino alla sesta o settima sternebra. Con il cane in decubito dorsale, si incide la cute lungo la linea mediana al di sopra dello sterno. Quest’ultimo viene esposto attraverso l’impiego combinato di incisione con strumenti taglienti e dissezione per via smussa della muscolatura sovrastante. Servendosi di una sega da ossa, di uno scalpello ed un osteotomo o di pinze ossivore, si recidono le sternebre longitudinalmente lungo la linea mediana. Negli animali giovani, può andare bene un robusto paio di forbici; tuttavia, bisogna evitare di schiacciare l’osso. La divisione delle sternebre lungo la linea mediana facilita la chiusura. Mentre si esegue la sternotomia, bisogna stare attenti a non danneggiare il cuore ed i polmoni sottostanti. Sui margini dell’incisione delle sternebre si applicano dei tamponi da laparotomia inumiditi e si divaricano i bordi con un divaricatore costale di Finochietto. Se è necessario inserire un drenaggio toracico, bisogna farlo prima di chiudere la sternotomia. Il tubo non deve fuoriuscire dall’apertura fra le sternebre; deve invece passare fra le costole o attraverso il diaframma. La sternotomia viene chiusa con fili metallici (cani < 20 kg) o suture robuste (cani e gatti < 20 kg) fatte passare intorno alle sternebre. Il sottocute viene accostato con una sutura semplice continua in materiale assorbibile. Si rimuove l’aria residua dalla cavità toracica e si chiude la cute secondo le procedure di routine. Lobectomia parziale La lobectomia parziale può venire eseguita per rimuovere una lesione focale che interessa la metà o i due terzi periferici del lobo polmonare, oppure per praticare una biopsia. L’asportazione di una parte di un lobo polmonare può essere effettuata attraverso una toracotomia a livello del 4°-5° spazio intercostale oppure attraverso una sternotomia mediana. Si identifica il tessuto polmonare da rimuovere e si applicano due pinze attraverso il lobo, prossimalmente alla lesione. Lungo una linea situata 4-6 mm prossimalmente alle pinze, si applica una sutura continua in materiale assorbibile (2-0 o 4-0). Eventualmente, si può eseguire una seconda sutura simile alla prima. Il polmone viene inciso fra le linee di sutura e le pinze, lasciando un margine di 2-3 mm di tessuto distalmente alla sutura stessa. La superficie di taglio del polmone rimasto viene chiusa con una sutura a sopraggitto continua semplice in materiale assorbibile (3-0 o 5-0). Il polmone viene riposizionato nella cavità toracica, che viene poi colmata con soluzione fisiologica sterile riscaldata. Insufflando i polmoni, si verifica che non ci siano perdite di aria dai bronchi. Prima di chiudere il torace si rimuove il liquido. 117 Lobectomia completa La lobectomia completa va preferibilmente effettuata attraverso una toracotomia laterale. Se il polmone contiene grandi quantità di materiale purulento, è necessario evitare un eccessivo riflusso di questi fluidi nella parte prossimale dei bronchi e nella trachea, chiudendo con una pinza il bronco in prossimità dell’ilo, prima di manipolare il lobo. Analogamente, i lobi polmonari che hanno subito una torsione vanno rimossi senza ruotare in senso contrario il peduncolo, per evitare il rilascio di materiale necrotico intrappolato nel polmone. I cani possono sopravvivere alla perdita acuta di una quota di volume polmonare che può arrivare al 50%; tuttavia, si possono avere acidosi respiratoria transitoria ed intolleranza all’esercizio. Si identifica il lobo (o i lobi) interessato e lo si isola dagli altri con tamponi inumiditi (da laparotomia o da 10 x 10 cm, a seconda della taglia dell’animale). Si identificano la vascolarizzazione ed il bronco del lobo. Mediante dissezione per via smussa, si isola l’arteria polmonare che irrora il lobo colpito e si fa passare una legatura in materiale da sutura assorbibile o non assorbibile (2-0 o 3-0) intorno all’estremità prossimale del vaso. Non bisogna compromettere il lume del vaso di origine da cui deriva quest’arteria. Distalmente al punto in cui il vaso deve essere reciso si applica una seconda legatura, eseguita in modo simile alla prima. Fra queste suture si può far passare una sutura trapassante, prossimalmente alla sede di resezione, per evitare che la prima venga inavvertitamente dislocata. L’arteria viene recisa fra le due legature più distali. La legatura della vena polmonare si esegue in maniera analoga. Si identifica il bronco principale che garantisce l’apporto di aria al lobo e lo si chiude con due paia di pinze di Satinsky o con due forcipi prossimalmente e distalmente alla sede prescelta per la resezione. Il bronco viene reciso fra le pinze ed il polmone viene rimosso. Il bronco viene suturato prossimalmente alla pinza rimasta in sede con una sutura continua orizzontale da materassaio; in alternativa, nel gatto e nei cani di piccola taglia si applica una legatura trapassante intorno al bronco. Prima di rimuovere la pinza, si assicura un filo al bronco in un tratto situato distalmente alla pinza e, dopo che questa è stata rimossa, si esegue una sutura semplice continua a sopraggitto sull’estremità del bronco. La cavità toracica viene riempita con soluzione fisiologica sterile riscaldata. Si insufflano i polmoni e si verifica che non vi siano perdite di aria dai bronchi. Si rimuove il fluido e si chiude il torace secondo le modalità precedentemente descritte. Indirizzo per la corrispondenza Theresa W. Fossum Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery Director, Clinical Programs and Biomedical Devices, Michael E. DeBakey Institute Professor of Surgery, Texas A&M University College of Veterinary Medicine College Station, Texas 77843-4474 E-mail: [email protected] Tel: (979) 845-2351 - Fax: (979) 845-6978 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 118 Ernie diaframmatiche: trattamento chirurgico Theresa W. Fossum DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA ERNIE DIAFRAMMATICHE TRAUMATICHE Considerazioni generali e aspetti fisiopatologici clinicamente rilevanti Le ernie diaframmatiche (DH) sono un’entità comunemente riconosciuta nella clinica degli animali da compagnia e possono essere di natura congenita o conseguenti a traumi. Le prime vengono diagnosticate raramente nei piccoli animali perché molti dei soggetti colpiti muoiono alla nascita o poco dopo. La maggior parte delle ernie diaframmatiche del cane e del gatto è di origine traumatica, in particolare a causa di investimenti da parte di veicoli. La localizzazione delle dimensioni della o delle lacerazioni dipendono dalla posizione dell’animale al momento dell’impatto e dalla localizzazione dei visceri. Le ernie diaframmatiche traumatiche sono spesso associate a significative difficoltà respiratorie; tuttavia, non è raro osservare forme croniche in animali asintomatici. Diagnosi Segnalamento: Non esiste alcuna predisposizione di razza per l’ernia diaframmatica traumatica; tuttavia, la maggior parte dei cani colpiti è costituita da maschi giovani di età compresa fra 1 e 2 anni. Anamnesi: La durata dell’ernia può variare da qualche ora a diversi anni. In una segnalazione, il 20% dei casi risultò diagnosticato a distanza di più di 4 settimane dall’evento traumatico. Gli animali possono venire portati alla visita in stato di shock dopo il trauma. Spesso sono colpiti anche da altre lesioni, come le fratture. Nell’ernia diaframmatica cronica, nella maggior parte dei casi i segni clinici sono riferibili ad un interessamento dell’apparato respiratorio o gastroenterico e possono essere rappresentati da dispnea, intolleranza all’esercizio, anoressia, depressione, vomito, diarrea, perdita di peso e/o dolore in seguito all’ingestione del cibo. Gli animali con ernia diaframmatica traumatica vengono frequentemente portati alla visita in stato di shock; di conseguenza, i segni clinici possono comprendere pallore o cianosi delle mucose, tachipnea, tachicardia e/o oliguria. Sono comuni le aritmie cardiache, che risultano associate ad una significativa morbilità. Altri segni clinici dipendono dagli organi erniati e possono venire attribuiti agli apparati gastroenterico, respiratorio o cardiovascolare. Il fegato è l’organo che viene erniato più comunemente e spesso l’ernia è associata ad idrotorace dovuto ad intrappolamento ed occlusione venosa. La diagnosi definitiva dell’ernia diaframmatica pleuroperitoneale viene formulata mediante radiografia o ecografia. L’esame ecografico del profilo diaframmatico risulta utile negli animali in cui l’ernia non è evidente radiograficamente (ernia epatica, versamento pleurico). Se è presente un significativo versamento pleurico, può essere necessario eseguire una toracentesi per ottenere radiografie di valore diagnostico. I segni radiografici dell’ernia diaframmatica sono rappresentati dalla scomparsa della linea del diaframma e della silhouette cardiaca, dalla dislocazione dorsale o laterale dei campi polmonari, dalla presenza di uno stomaco contenente gas o bario oppure di anse intestinali nella cavità toracica, e dal versamento pleurico. Occasionalmente, per la diagnosi può essere necessario eseguire una celiografia con mezzo di contrasto positivo. Nella cavità addominale si iniettano mezzi di contrasto idrosolubili preventivamente riscaldati, alla dose di 1,1 ml/kg (da raddoppiare in presenza di ascite); il paziente viene fatto delicatamente rotolare da un lato all’altro oppure tenuto sollevato per il bacino e le radiografie vengono riprese immediatamente dopo l’iniezione e la manipolazione. I criteri utilizzati per la valutazione di queste immagini devono fare riferimento alla presenza di mezzi di contrasto nella cavità pleurica, all’assenza di un normale profilo dei lobi epatici in addome ed all’incompleta visualizzazione della superficie addominale del diaframma. Le celiografie con mezzo di contrasto positivo vanno interpretate con cautela, perché la breccia può venire chiusa da omento ed aderenze fibrose, portando a risultati falsi negativi. Tecniche operatorie Si esegue un’incisione lungo la linea mediana ventrale dell’addome; se è necessario aumentare l’esposizione, la breccia viene estesa cranialmente attraverso lo sterno. Gli organi addominali vengono riportati nella cavità addominale (se necessario, allargando la lacerazione diaframmatica). Se sono presenti delle aderenze, i tessuti devono essere delicatamente dissezionati separando le strutture toraciche in modo da evitare pneumotorace o sanguinamento. Nelle ernie croniche, è necessario eseguire la revisione chirurgica dei margini della porta erniaria prima della chiusura. Si chiude l’apertura diaframmatica con una sutura semplice continua. Se il diaframma è stato avulso dalle costole, una di queste va incorporata nella sutura continua per assicurare una maggiore robustezza alla riparazione (vedi figura). Dopo la chiusura del difetto, si rimuove l’aria dal cavo pleurico. Se lo pneumotorace continua o se è probabile un versamento, si inseri- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC sce un drenaggio toracico. Si esplora l’intera cavità addominale alla ricerca di lesioni associate (compromissione della vascolarizzazione dell’intestino, trauma splenico, renale e vescicale) e si riparano tutte le eventuali alterazioni. ERNIE DIAFRAMMATICHE PERITONEOPERICARDICHE Considerazioni generali ed aspetti fisiopatologici clinicamente rilevanti Per i veterinari che si occupano degli animali da compagnia, le ernie diaframmatiche peritoneopericardiche (PPDH) rappresentano un riscontro meno comune di quelle traumatiche. Benché queste lesioni siano spesso associate a difficoltà di respirazione, sono comuni anche le forme asintomatiche. Nell’uomo (nel quale il diaframma forma una parete del sacco pericardico) l’ernia diaframmatica peritoneopericardica può insorgere in seguito a trauma; invece, nel cane e nel gatto si tratta quasi sempre di animale congenite, perché dopo la nascita in queste specie animali non esiste alcuna comunicazione diretta tra la cavità pericardica e quella peritoneale. La teoria più comunemente accettata riguardo all’embriogenesi di questo difetto è che l’origine dell’ernia sia da imputare ad un errore di sviluppo o ad un danno prenatale del setto trasverso. Questo potrebbe essere la conseguenza di un agente teratogeno, un difetto genetico o un trauma prenatale. Spesso, in concomitanza con le ernie diaframmatiche peritoneopericardiche si verificano anomalie cardiache e deformazioni sternali. La combinazione di difetti congeniti della parete addominale craniale, del tratto caudale dello sterno, del diaframma e del pericardio è stata descritta nel cane, spesso in associazione con difetti del setto interventricolare o altre anomalie intracardiache. Non è noto se questa condizione sia ereditaria; tuttavia, sono state riconosciute parecchie predisposizioni di razza (vedi oltre). Nel gatto, in associazione con l’ernia diaframmatica peritoneopericardica sono stati segnalati reni policistici. Diagnosi Segnalamento. Anche se l’ernia diaframmatica peritoneopericardica è congenita, non è raro che la diagnosi venga formulata quando l’animale è ormai di media età o più anziano, perché i segni clinici sono variabili e possono essere intermittenti. Possono essere maggiormente a rischio i weimaraner ed i cocker spaniel. Anamnesi. I segni clinici possono essere riferibili agli apparati gastroenterico, cardiaco o respiratorio e comprendono anoressia, depressione, vomito, diarrea, perdita di peso, sibili, dispnea, intolleranza all’esercizio e/o dolore in seguito all’ingestione di cibo. A causa dell’encefalopatia epatica si possono avere manifestazioni neurologiche. 119 I riscontri clinici negli animali con ernia diaframmatica peritoneopericardica possono essere rappresentati da ascite, attenuazione dei toni cardiaci, soffi (causati dallo spostamento del cuore da parte di organi viscerali oppure dovuti all’esistenza di difetti intracardiaci) e concomitanti alterazioni della parete addominale ventrale. L’organo più comunemente erniato è il fegato ed è comune un versamento pericardico associato. Il sospetto diagnostico di ernia diaframmatica peritoneopericardica può venire formulato sulla base di anamnesi, segni clinici e riscontri obiettivi, ma per la diagnosi definitiva sono essenziali la radiografia e/o l’ecografia. I segni radiografici dell’ernia diaframmatica peritoneopericardica sono rappresentati da ingrossamento della silhouette cardiaca, sollevamento dorsale della trachea, sovrapposizione dei margini del cuore e del diaframma, discontinuità del diaframma, presenza di strutture piene di gas nel sacco pericardico, difetti sternali e residui mesoteliali peritoneopericardici dorsali (vedi oltre). L’esame con mezzo di contrasto (angiografia non selettiva, indagini con bario) deve essere effettuato soltanto se non si riesce a giungere ad una diagnosi definitiva con le immagini in bianco o con l’ecografia. Quest’ultima risulta utile perché spesso è presente una discontinuità del profilo diaframmatico. In genere è evidente l’ernia del fegato. Tecniche operatorie Si pratica un’incisione dell’addome lungo la linea mediana ventrale. Se è necessario ottenere una maggiore esposizione, la breccia viene prolungata cranialmente attraverso lo sterno. Se occorre si amplia la lacerazione diaframmatica e si riportano gli organi addominali nella cavità addominale. Se sono presenti delle aderenze, si esegue una delicata dissezione dei tessuti dalle strutture toraciche, recidendo o sbrigliando secondo necessità le componenti necrotiche. Si effettua la revisione chirurgica dei margini della porta erniaria e si esegue la chiusura con una sutura continua semplice. Non si chiude il sacco pericardico. Dopo la riparazione della lacerazione, si rimuove l’aria dal sacco pericardico e/o dal cavo pleurico. Se è probabile uno pneumotorace continuo o un versamento, si inserisce un drenaggio toracico. Si riparano i concomitanti difetti dello sterno o della parete addominale. Indirizzo per la corrispondenza Theresa W. Fossum Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery Director, Clinical Programs and Biomedical Devices, Michael E. DeBakey Institute Professor of Surgery, Texas A&M University College of Veterinary Medicine College Station, Texas 77843-4474 E-mail: [email protected] Tel: (979) 845-2351 - Fax: (979) 845-6978 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 120 Complicazioni intra- e post-operatorie delle ernie diaframmatiche Theresa W. Fossum DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA ERNIE DIAFRAMMATICHE TRAUMATICHE Le più comuni complicazioni associate alle ernie diaframmatiche traumatiche sono le aderenze, l’edema polmonare da riespansione e i casi in cui non si dispone di tessuto sufficiente a suturare insieme i margini della lacerazione del diaframma (generalmente nei casi in cui l’ernia si è verificata in modo tale che questo è stato avulso dalla gabbia costale). Le complicazioni associate alle aderenze vanno trattate preferibilmente preparando la parte caudale dello sterno come per l’esecuzione di una sternotomia mediana caudale. Quest’ultima si esegue incidendo la cartilagine xifoidea e le 1-2 sternebre più caudali. Generalmente l’operazione può venire effettuata con un paio di forbici robuste nel gatto e con degli osteotomi o con una sega nel cane. L’esposizione offerta da una sternotomia mediana caudale consente al chirurgo di accedere al cuore ed alle strutture mediastiniche caudali, permettendogli di visualizzare in modo appropriato tutti gli organi che possono essere coinvolti nella formazione di aderenze, nonché di recidere le aderenze stesse e legare tutti i vasi necessari. L’edema polmonare (edema polmonare da riespansione, RPE) si può sviluppare in alcuni animali sottoposti ad un intervento chirurgico che consenta la riespansione di lobi polmonari da tempo collassati. L’origine di questo tipo di edema è sconosciuta e probabilmente multifattoriale, ma non sembra essere associata ad insufficienza cardiaca. A partire di solito da poche ore dopo l’intervento, il paziente sviluppa tipicamente una dispnea e tachipnea che si aggravano progressivamente. Compare un’ipossiemia che persiste nonostante un’intensa ossigenoterapia. Contrariamente all’esperienza nell’uomo in cui l’edema polmonare da riespansione di solito è monolaterale e, quindi, non potenzialmente letale, nella maggior parte degli animali la condizione è rapidamente fatale. Si ritiene che la riossigenazione dei polmoni da tempo collassati determini il rilascio di radicali superossido, che non possono venire efficacemente eliminati e portano ad un aumento della permeabilità capillare polmonare e ad un edema polmonare. Il tessuto polmonare da tempo collassato può aver subito un calo dell’attività mitocondriale della superossidodismutasi e della citocromossidasi. La profilassi e la terapia dei pazienti con edema polmonare da riespansione sono difficili e scarsamente compresi. La riespansione del tessuto polmonare da tempo collassato deve essere effettuata lentamente (cioè, è possibile chiudere la parete toracica lasciando 1 o 2 lobi collassati, che dovranno poi riespandersi lentamente) e bisogna evitare pressioni di ventilazione elevate (superiori a 25 cm H2O). Le attuali raccomandazioni per il trattamento dell’edema polmonare da riespansione prevedono l’uso della ventilazione a pressione positiva tele-espiratoria e la somministrazione di farmaci che stabilizzano le membrane capillari polmonari (metilprednisolone). Attualmente sono in corso di studio numerosi altri agenti farmacologici, ma non sono ancora disponibili prove conclusive dei loro benefici effetti. Le lacerazioni del diaframma possono essere tali da far sì che non vi sia una quantità di tessuto sufficiente per la sutura. Ciò si verifica nella maggior parte dei casi quando si è avuta un’avulsione dalla gabbia costale. In alcuni casi, il diaframma può venire fissato alla parete corporea eseguendo una sutura continua che incorpori la costola adiacente (Fig. 1). Costola Avulsione del diaframma FIGURA 1 - Da: Fossum, TW: Small Animal Surgery, Mosby Publishing Co., St. Louis Mo, 2002. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Negli animali traumatizzati possono essere presenti altre lesioni che complicano il trattamento delle affezioni della cavità pleurica. È necessario un monitoraggio accurato. Si deve effettuare un’accurata esplorazione di tutte le zone colpite, con particolare riguardo alla valutazione dell’addome per identificare le avulsioni mesenteriche ed altre lesioni associate potenzialmente letali. Prognosi Se l’animale sopravvive all’iniziale periodo postoperatorio (12-24 ore) la prognosi è eccellente e, utilizzando una tecnica appropriata, le recidive sono poco comuni. I tassi di mortalità segnalati per i casi di ernia diaframmatica traumatica risultano variabili dal 12% al 48%. I tassi di sopravvivenza descritti per gli animali con ernia diaframmatica trattata chirurgicamente sono prossimi al 75%. ERNIE DIAFRAMMATICHE PERITONEOPERICARDICHE Le complicazioni associate alle ernie diaframmatiche peritoneopericardiche sono simili a quelle elencate sinora. Occasionalmente, il tessuto presente non è sufficiente a consentire una salda chiusura del diaframma. In questi casi, si può ricorrere all’impiego di una rete o di una trasposizione muscolare per chiudere la lacerazione. Nei pazienti con ernie diaframmatiche peritoneopericardiche può essere presente un’ipoplasia polmonare che contribuisce allo sviluppo di pressioni intrapleuriche elevate ed edema polmonare da riespansione. Nel periodo postoperatorio si devono somministrare analgesici. Prognosi Se l’animale sopravvive al primo periodo operatorio (1224 ore) la prognosi è eccellente e, se la tecnica usata è stata appropriata, le recidive sono poco comuni. La prognosi è più grave nei pazienti con ernie diaframmatiche peritoneopericardiche con concomitanti anomalie cardiache. ERNIE IATALI Le complicazioni associate alle ernie iatali sono rappresentate da esofagite da reflusso e polmonite ab ingestis. Queste condizioni vanno trattate prima di indurre l’anestesia. Può essere utile l’offerta di pasti piccoli e frequenti ricchi, di pro- 121 teine e poveri di grassi. Se è presente un megaesofago, gli animali colpiti vanno alimentati in piedi, collocando il cibo in posizione sopraelevata per diminuire il rigurgito. Nel periodo postoperatorio, questi pazienti devono essere sottoposti ad un monitoraggio specifico per rilevare la dispnea derivante da pneumotorace e, se necessario, bisogna evacuare l’aria dal torace. Negli animali dispnoici può essere utile la somministrazione di ossigeno per via nasale. Per il controllo del dolore si devono impiegare gli analgesici, da somministrare secondo necessità. Gli animali colpiti possono continuare a rigurgitare dopo l’intervento a causa di una persistente esofagite. Il trattamento di quest’ultima e della polmonite ab ingestis va continuato nel periodo postoperatorio. Negli animali con concomitante megaesofago può essere utile offrire il cibo su una piattaforma sopraelevata. Nei pazienti in cui i segni clinici non scompaiono possono essere indicati gli studi radiografici postoperatori per identificare ernie persistenti, ostruzioni o ulcere. È comune la presenza di disfagia per parecchi giorni. Tuttavia, se il problema continua anche oltre questo limite di tempo, può darsi che lo iato sia stato eccessivamente ridotto, il che richiede un nuovo intervento. Se si è penetrati nel lume gastrico o esofageo con fili da sutura o sonde, si può avere un’infezione. I potenziali problemi dopo un intervento antiriflusso sono rappresentati da dilatazione gastrica, gastrite necrotica e morte acuta. Prognosi Non sono disponibili dati obiettivi che confrontino i risultati della terapia medica e chirurgica negli animali con ernie iatali. La prognosi in assenza di intervento è buona nei pazienti asintomatici; invece, in quelli sintomatici che non vengono sottoposti a riparazione chirurgica si possono sviluppare grave esofagite e stenosi. La prognosi è buona con la riparazione chirurgica descritta; tuttavia, per un buon esito è necessario controllare la polmonite ab ingestis. Nei pazienti con incompetenza dello sfintere gastroesofageo possono risultare utili le procedure antiriflusso aggiuntive. Indirizzo per la corrispondenza Theresa W. Fossum Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery Director, Clinical Programs and Biomedical Devices, Michael E. DeBakey Institute Professor of Surgery, Texas A&M University College of Veterinary Medicine College Station, Texas 77843-4474 E-mail: [email protected] Tel: (979) 845-2351 - Fax: (979) 845-6978 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 122 Chirurgia delle neoplasie toraciche e delle pericardiopatie Theresa W. Fossum DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA NEOPLASIA POLMONARE La neoplasia polmonare primitiva nel cane e nel gatto è meno comune di quella metastatica. Nella maggior parte dei casi sono coinvolti i lobi diaframmatici, ed i lobi del polmone destro sono colpiti più spesso di quelli del sinistro. La classificazione dei tumori polmonari primitivi viene solitamente basata sul quadro istologico predominante, dal momento che non è sempre possibile effettuare la specifica localizzazione anatomica del tumore di origine e che può essere presente più di un tipo di neoplasia. L’adenocarcinoma è il tipo istologico più comune riscontrato nel cane e nel gatto; il carcinoma squamocellulare ed i carcinomi anaplastici sono meno frequenti. I tumori polmonari primari di origine connettivale (ad es., osteosarcoma, fibrosarcoma, emangiosarcoma) sono rari. Anche se la maggior parte delle neoplasie polmonari è di origine maligna, sono state descritte forme benigne (adenoma papillare, adenoma bronchiale, fibroma, mixocondroma e plasmocitoma). Le neoplasie polmonari sono altamente aggressive e tendono a dare precocemente origine a metastasi. Al momento della diagnosi, queste ultime sono già presenti nella maggior parte dei carcinomi anaplastici e di quelli squamocellulari e nella metà circa degli adenocarcinomi. La metastasi è spesso localizzata ai polmoni stessi e/o ai linfonodi regionali. Il trattamento d’elezione per i noduli isolati o le masse multiple a carico di un singolo lobo, se non vi sono segni di metastasi a distanza o di un coinvolgimento extrapleurico, è rappresentato dalla resezione chirurgica su ampia base. L’asportazione è occasionalmente indicata per le metastasi polmonari di un tumore primitivo situato in una sede distante (ad es., osteosarcoma di un arto). Si preferisce ricorrere alla toracotomia intercostale piuttosto che alla sternotomia mediana, perché assicura un’adeguata esposizione per la lobectomia e la biopsia linfonodale. La lobectomia parziale va effettuata soltanto quando il tumore è localizzato alla periferia del lobo polmonare; altrimenti, si deve eseguire la lobectomia totale. MASSE MEDIASTINICHE Le masse presenti nel mediastino del cane e del gatto sono di solito neoplastiche, benché occasionalmente si trovino ascessi, granulomi e cisti. Il linfoma è il più comune tumore mediastinico craniale del cane e del gatto. Altre neoplasie occasionalmente riscontrate in questa sede sono rap- presentate da timomi, chemodectomi (tumori dei corpi aortici e carotidei) e neoplasie ectopiche della tiroide e delle paratiroidi. I timomi sono le più comuni neoplasie suscettibili di trattamento chirurgico del mediastino craniale del cane e nella maggior parte dei casi sono benigni. Tuttavia, dal momento che l’aspetto istologico dei tumori è scarsamente correlato al loro comportamento clinico, spesso si utilizzano i termini di “invasivo” o “non invasivo”. I timomi dello stadio I (non invasivo) sono ben circoscritti e non si estendono oltre la capsula timica. Altri possono spingersi al di là della capsula localmente e possono invadere gli organi circostanti e/o dare origine a metastasi ad altre strutture toraciche o extratoraciche. I segni clinici associati ai timomi possono essere dovuti ad occupazione di spazio, sindrome paraneoplastica o entrambi. Man mano che si ingrandiscono, i timomi possono causare difficoltà respiratorie comprimendo i polmoni o la trachea e/o inducendo versamento pleurico. I versamenti associati ai timomi possono essere sieroematici o chilosi. Le sindromi paraneoplastiche sono effetti a distanza di un tumore. Il 50% circa dei timomi del cane è associato a myasthenia gravis (MG). Questa è un disordine neuromuscolare autoimmune caratterizzato da debolezza muscolare. La debolezza è dovuta ad una carenza di recettori acetilcolinici funzionali nella membrana neuromuscolare postsinaptica causata da autoanticorpi che si legano ai recettori e li bloccano. Altre sindromi paraneoplastiche associate ai timomi sono la neoplasia non chimica e la polimiosite. Man mano che si ingrandiscono, i timomi possono comprimere la vena cava craniale ed altri vasi toracici craniali, causando edema della testa, del collo e/o degli arti anteriori (sindrome della vena cava craniale). Le cisti branchiali timiche si sviluppano a partire dalle vestigia del sistema degli arti branchiali del feto. Si possono trovare nel sottocute del collo o nel timo. La loro rottura può esitare in una reazione infiammatoria cronica ed in un’ascessualizzazione. La timectomia si può eseguire attraverso una toracotomia intercostale a livello del terzo o quarto spazio di sinistra se il tumore è piccolo, oppure attraverso una sternotomia mediana craniale. Se la massa è di grandi dimensioni, l’approccio attraverso la sternotomia mediana consente una migliore visualizzazione delle strutture circostanti come la vena cava craniale. I piccoli timomi incapsulati di solito possono venire asportati senza difficoltà, ma nelle neoplasie grandi ed invasive spesso non si può fare altro che una citoriduzione. I timomi sono spesso friabili ed occasionalmente cistici e devono venire manipolati con 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC cautela per evitare di disseminare di cellule tumorali la cavità toracica. Le cisti branchiali timiche si presentano come masse multilobulari contenenti numerose cisti in sezione trasversale. PERICARDIOPATIA I versamenti pericardici benigni idiopatici e neoplastici si osservano più comunemente nei cani delle razze di grossa taglia e giganti. L’emangiosarcoma dell’atrio destro è particolarmente comune nel pastore tedesco e nel golden retriever. Il versamento pericardico idiopatico è stato segnalato con maggiore frequenza nel golden retriever, nel pastore tedesco ed in altre razze canine di grossa taglia. I tumori del corpo aortico sono più comuni nei cani anziani delle razze brachicefale. I cani di media età e di media e grossa taglia sono più comunemente colpiti da una pericardiopatia costrittiva; tuttavia, si tratta di una condizione rara. I motivi che spingono i proprietari a portare alla visita gli animali con versamento pericardico sono rappresentati da debolezza, letargia, intolleranza all’esercizio e/o collasso. I pazienti spesso presentano congestione destra, ascite e/o versamento pleurico. Il più comune problema segnalato dai proprietari degli animali con pericardite costrittiva è l’ingrossamento addominale. Meno frequentemente, possono venire rilevati dispnea, tachipnea, debolezza, sincope e/o perdita di peso. Occasionalmente, è presente una precedente anamnesi di versamento pericardico idiopatico. I riscontri clinici sono correlati alle conseguenze del tamponamento cardiaco ed all’insufficienza cardiaca congestizia destra. Di solito si osserva la classica triade di segni del tamponamento cardiaco (polso arterioso rapido e debole, vene giugulari distese e toni cardiaci diminuiti). Si rileva una distensione delle vene giugulari o un riflusso epatogiugulare positivo, che però viene comunemente sottovalutato. La misurazione della pressione venosa centrale dimostra un’ipertensione venosa sistemica e risulta spesso superiore a 10 ml H2O (mentre normalmente è inferiore a 6 ml H2O). Se è presente un versamento pleurico, i suoni polmonari possono risultare diminuiti. Altre anomalie auscultabili (ad es, ritmo di galoppo, soffi cardiaci, aritmie) sono poco comuni. Si possono riscontrare anche ascite, epatomegalia e/o edema periferico. L’esame radiografico del torace di solito evidenzia vari gradi di ingrossamento globoide (per cui la silhouette cardiaca perde la propria conformazione normale ed assume un profilo globoso.). In genere non ci si aspetta il riscontro radiografico di edema o congestione polmonare e ciò contribuisce a distinguere il versamento pericardico dalla miocardiopatia dilatativa. Se si è sviluppata una congestione destra di solito risultano evidenti distensione della vena cava caudale, epatomegalia, ascite e versamento pleurico. I tumori della base del cuore possono deviare la trachea e determina- 123 re un effetto di massa. I riscontri radiografici anomali negli animali con pericardite costrittiva sono poco evidenti; la silhouette cardiaca può essere arrotondata. Può risultare evidente una dilatazione della vena cava caudale. La diagnosi definitiva di versamento pericardico viene formulata facilmente attraverso l’ecocardiografia. Anche se la pericardiocentesi determina un sollievo temporaneo del tamponamento cardiaco, il trattamento palliativo a lungo termine del versamento pericardico spesso richiede la pericardectomia. Quest’ultima può venire eseguita attraverso una toracotomia intercostale o una sternotomia mediana, oppure può essere attuata mediante toracoscopia. Nei soggetti operati con quest’ultima tecnica, non hanno trovato conferma i timori relativi al fatto che asportando soltanto una piccola porzione del pericardio si possa consentire a quella rimasta di aderire al cuore e causare una recidiva del versamento. Ciò nonostante, quando la pericardectomia viene effettuata in associazione con una toracotomia si raccomanda di asportare una porzione abbondante di pericardio. Se si ricorre alla toracotomia aperta, è tecnicamente più facile eseguire una pericardectomia attraverso una sternotomia mediana perché con questo approccio è possibile accedere ad entrambi i lati del cuore ed ad entrambi i nervi frenici. Se si sospetta un emangiosarcoma dell’atrio destro, bisogna utilizzare una toracotomia intercostale a livello del 5° spazio destro oppure una sternotomia mediana. La rimozione dei tumori dell’atrio destro può venire eseguita altrettanto bene con entrambi gli approcci. I chemodectomi possono avere origine dalla parte sinistra o destra della base del cuore. La pericardectomia in questi casi va effettuata attraverso una toracotomia dal lato in cui si sospetta che si trovi la massa tumorale. Se prima dell’intervento non è stata identificata una neoplasia cardiaca e si sospetta solo un versamento pericardico idiopatico, la pericardectomia va attuata attraverso una toracotomia destra o una sternotomia mediale, perché in questo modo è comunque possibile esaminare e, se necessario, incidere, l’atrio destro. Benché si possa eseguire una pericardectomia totale, negli animali con versamento pericardico di solito risulta adeguata una pericardectomia subfrenica. La pericardectomia totale può essere indicata in alcuni casi con neoplasia o processi infettivi del pericardio. La pericardectomia totale va effettuata preferibilmente attraverso una sternotomia mediana. Indirizzo per la corrispondenza Theresa W. Fossum Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery Director, Clinical Programs and Biomedical Devices, Michael E. DeBakey Institute Professor of Surgery, Texas A&M University College of Veterinary Medicine College Station, Texas 77843-4474 E-mail: [email protected] Tel: (979) 845-2351 - Fax: (979) 845-6978 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 124 Complicazioni intraoperatorie e postoperatorie delle neoplasie toraciche e delle pericardiopatie Theresa W. Fossum DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA NEOPLASIA POLMONARE La dispnea può essere una grave complicazione della chirurgia nei cani e nei gatti con neoplasia toracica. In questi animali è utile la valutazione della ventilazione mediante analisi dei parametri dei gas ematici o pulsossimetria. I soggetti colpiti devono essere strettamente monitorati per rilevare difficoltà di ventilazione e si deve avere a disposizione dell’ossigeno. Gli analgesici postoperatori possono rendere gli animali meno restii ad espandere la propria cavità toracica dopo una toracotomia. Un’improvvisa difficoltà respiratoria può essere associata ad emorragia o pneumotorace. La prognosi per la neoplasia polmonare primaria è riservata a causa della natura avanzata della malattia al momento della diagnosi. Più del 50% dei cani che presentano piccole lesioni isolate (che non hanno dato origine a metastasi) e non mostrano segni respiratori sopravvive per almeno un anno dopo l’intervento chirurgico. I cani con tumori della periferia polmonare o in prossimità della base del polmone fanno riscontrare tempi di sopravvivenza migliori di quelli in cui le neoplasie coinvolgono un intero lobo. Il fattore prognostico più importante correlato alla sopravvivenza nei cani operati è la presenza o meno di metastasi linfonodali. La prognosi per la maggior parte dei gatti con tumori polmonari primari è sfavorevole a causa della natura avanzata della malattia al momento della diagnosi e dell’aggressivo comportamento metastatico delle neoplasie. La maggior parte dei pazienti finisce per venire a morte o essere soppressa eutanasicamente a causa delle recidive del tumore primario o di metastasi. MASSE MEDIASTINICHE Se è presente una polmonite ab ingestis il cane va trattato prima dell’intervento con la somministrazione di antibiotici appropriati. Negli animali con megaesofago talvolta risulta utile offrire i pasti in posizione sopraelevata. Si deve eseguire la toracentesi per asportare il versamento pleurico e bisogna lasciare gli animali dispnoici in un ambiente arricchito di ossigeno. Nei cani con megaesofago e/o debolezza secondari a myasthenia gravis può risultare utile la terapia con anticolinesterasici (piridostigmina bromuro) e/o corticosteroidi. Nei soggetti con rigurgito grave o frequente può essere necessario ricorrere alla fluidoterapia ed alla correzione delle anomalie elettrolitiche. In alcuni animali con timomi la radioterapia può ridurre i segni clinici. Gli animali con timomi sono maggiormente esposti al rischio di aspirazione durante il periodo postoperatorio; un posizionamento che consenta loro di avere la testa sollevata può ridurre il rischio. Inoltre, eseguire un’aspirazione della faringe prima dell’estubazione ed effettuare quest’ultima con il manicotto leggermente insufflato riducono il rischio di fenomeni ab ingestis nell’eventualità che si sia verificato un rigurgito passivo durante l’intervento. L’animale deve essere tenuto sotto osservazione nel periodo postoperatorio per rilevare la presenza di emorragia e/o pneumotorace. Nei soggetti con tumori invasivi che non possono essere completamente asportati può risultare utile la radioterapia adiuvante. L’animale deve essere strettamente osservato per identificare lo sviluppo di malattie paraneoplastiche dopo la terapia. In questi pazienti, nel periodo postoperatorio si devono somministrare analgesici. In caso di timoma, il drenaggio toracico in genere può venire rimosso entro 24 ore se non si verificano emorragie o pneumotorace. Nei soggetti con cisti branchiali timiche, se la rottura di una cisti ha causato una pleurite può essere necessario mantenere più a lungo la toracostomia mediante sonda. La prognosi dipende dall’invasività del tumore, dalle sue dimensioni al momento della diagnosi e dalla presenza o meno di malattie paraneoplastiche. La prognosi per le cisti branchiali timiche ed i timomi non invasivi è buona. Se sono presenti sindromi paraneoplastiche è riservata. PERICARDIOPATIA Se sono presenti quantità di versamento pericardico significative dal punto di vista emodinamico (tamponamento cardiaco evidenziato da distensione delle vene giugulari, ascite e/o versamento pleurico), l’animale deve essere sottoposto a pericardiocentesi prima dell’intervento. È necessario escludere l’esistenza di cause metaboliche del versamento pericardico come un’ipoproteinemia. Prima dell’induzione dell’anestesia bisogna correggere le anomalie elettrolitiche ed acido-basiche che possono essere associate al trattamento con alte dosi di diuretici. La pericardiocentesi è il trattamento d’elezione per la stabilizzazione iniziale dei cani e dei gatti con versamento pericardico e tamponamento cardiaco. Quando viene effettuata correttamente, è associata a complicazioni minime. Va tentata negli animali sintomatici con sospetto versamento pericardico, anche se non si dispone dell’ecocardiografia per la conferma della diagnosi. Rasare e preparare chirurgica- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC mente un’ampia area dell’emitorace destro (dallo sterno a metà del torace, dalla terza all’ottava costola). Si esegue un’anestesia locale con lidocaina e, se necessario, si seda l’animale (ad es., ossimorfone, fentanyl). È necessario accertarsi che con la lidocaina venga infiltrata anche la pleura, perché la sua perforazione sembra causare un disagio significativo. L’animale viene posto in decubito sternale o laterale, a seconda del suo comportamento. La pericardiocentesi si può eseguire anche nell’animale in stazione, ma è essenziale un contenimento adeguato per evitare la puntura cardiaca o la lacerazione polmonare. La sede di puntura viene determinata sulla base delle localizzazioni del cuore nelle radiografie toraciche. Nella maggior parte dei casi, tale sede è situata fra il quarto ed il quinto spazio intercostale, a livello della giunzione costocondrale. Ad un ago da 14-18 G o un catetere si raccordano una valvola a tre vie, un deflussore ed una siringa, in modo da consentire di esercitare una pressione negativa costante durante l’inserimento ed il drenaggio. Una volta che il catetere sia stato fatto penetrare attraverso la cute si esercita la pressione negativa. Se è presente un versamento pleurico, immediatamente dopo la penetrazione nella cavità toracica si osserverà la comparsa di liquido. Il versamento pleurico associato a cardiopatia è solitamente limpido, di colore giallo pallido. Il catetere viene fatto avanzare fino a che non giunge a contatto del pericardio e non si percepisce una sensazione di sfregamento. Poi, viene spinto lentamente in avanti in modo da attraversare il pericardio. Non appena compare del fluido, si interrompe l’avanzamento del catetere. Se si prende contatto con l’epicardio e si percepisce il movimento del cuore attraverso l’ago, quest’ultimo va immediatamente ritirato. Quando si esegue la pericardiocentesi, è raro che sia necessario servirsi della guida ecografica, a meno che il volume di fluido non sia piccolo o suddiviso in più comparti separati. La pericardiocentesi determina un immediato miglioramento clinico negli animali con tamponamento cardiaco. Il polso rallenta e si irrobustisce non appena sia stato rimosso un adeguato volume di liquido. Il versamento pericardico può venire differenziato dal sangue periferico perché coagula raramente ed ha un ematocrito significativamente inferiore a quello ematico. Il 50% circa dei cani con versamento idiopatico viene trattato con successo mediante pericardiocentesi periodica eventualmente associata alla somministrazione di corticosteroidi (prednisolone per os) senza bisogno di ricorrere alla pericardectomia. Negli altri, per il controllo dei segni clinici sono necessarie centesi ripetute. Il fluido si può accumulare nuovamente in breve tempo (entro diversi giorni) oppure può non ricomparire per mesi o anche per parecchi anni. Nei pazienti che devono essere sottoposti a più di due centesi, di solito è indicata la pericardectomia subfrenica. Anche se ai cani con versamento pericardico 125 idiopatico si somministrano comunemente dosi antinfiammatorie di prednisolone, non esistono studi controllati che confermino l’efficacia di questa terapia. La pericardectomia subtotale è di solito risolutiva nei cani con versamento pericardico idiopatico. Il versamento ricorrente e la costrizione pericardica sono possibili sequele tardive dei versamenti idiopatici nei casi in cui non si ricorre alla pericardectomia. Per la rimozione del pericardio risulta utile l’elettrocauterizzazione per diminuire l’emorragia intra- e postoperatoria. Il pericardio infiammato spesso presenta un aumento numerico dei vasi sanguigni e, dopo la pericardectomia, se questi non vengono cauterizzati o legati si può avere un’emorragia significativa. Il drenaggio toracico deve essere sottoposto ad aspirazione inizialmente ogni ora, quantificando il volume del versamento pleurico. Dopo 4-6 ore, la frequenza del drenaggio può venire diminuita ad una volta ogni 2-4 ore. Una volta che il versamento pleurico si sia ridotto a livelli compatibili con quelli causati dalla sonda da toracostomia, questa può venire rimossa. Se il paziente sviluppa una difficoltà respiratoria acuta senza segni di versamento pleurico o infiltrati polmonari significativi indicativi di edema polmonare, si deve sospettare un tromboembolismo polmonare. In questi casi può essere utile l’ossigenoterapia. Se viene formulata una diagnosi definitiva di tromboembolismo polmonare, si possono impiegare agenti trombolitici. Il dolore postoperatorio va trattato con oppiacei sistemici e tecniche di anestesia locale. La pericardectomia è un intervento palliativo per il versamento pericardico neoplastico e risolutivo per quello idiopatico. L’effetto palliativo a lungo termine dopo pericardectomia è possibile nei cani con mesotelioma o chemodectoma. La somministrazione intracavitaria di cisplatino si è dimostrata promettente per ottenere una remissione a lungo termine nei cani con mesotelioma. I chemodectomi sono tumori a lenta crescita ed è possibile ottenere un’attenuazione prolungata mediante pericardectomia ed escissione della massa primaria. Il tempo di sopravvivenza mediano per i cani con emangiosarcoma cardiaco è di circa 4 mesi con pericardectomia. Indirizzo per la corrispondenza Theresa W. Fossum Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery Director, Clinical Programs and Biomedical Devices, Michael E. DeBakey Institute Professor of Surgery, Texas A&M University College of Veterinary Medicine College Station, Texas 77843-4474 E-mail: [email protected] Tel: (979) 845-2351 - Fax: (979) 845-6978 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 126 Chirurgia del chilotorace: cosa c’è di nuovo? Theresa W. Fossum DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA Il chilotorace è una malattia devastante, per la quale le percentuali di successo sia in caso di trattamento medico che chirurgico sono meno che soddisfacenti. In alcuni animali colpiti il pericardio risulta ispessito per effetto dell’irritazione cronica indotta dal chilo. Noi riteniamo che l’ispessimento pericardico possa portare ad un aumento delle pressioni venose del lato destro e che tali alterazioni pressorie possano agire in modo da impedire il drenaggio del chilo attraverso le comunicazioni linfatico-venose dopo la legatura del dotto toracico (TD). Abbiamo anche ipotizzato che i versamenti sieroematici che si verificano dopo la legatura del dotto possano essere efficacemente trattati o prevenuti mediante pericardectomia negli animali colpiti. La legatura del dotto toracico associata a pericardectomia è stata eseguita in 17 animali, mentre la pericardectomia da sola è stata messa in atto in altri tre soggetti che sono stati presentati alla visita nell’arco di un periodo di 5,5 anni alla Texas A&M University. In 19 casi (9 cani, 10 gatti) il motivo della visita era rappresentato da un chilotorace idiopatico, mentre un cane presentava un versamento pleurico sieroematico dopo una legatura del dotto toracico che era stata eseguita altrove. In tutti gli animali, l’ecocardiografia era normale, fatta eccezione per un ispessimento soggettivo del pericardio in 7 gatti e 6 cani. Dopo l’intervento, i segni clinici della presenza del fluido pleurico si risolsero in 10 cani su 10 ed in 8 gatti su 10. La percentuale di successo complessiva per il trattamento chirurgico del chilotorace (risoluzione del fluido pleurico) in questo studio fu del 90% (100% nel cane e 80% nel gatto). Questi dati suggeriscono che la legatura del dotto toracico in associazione con la pericardectomia ha un esito favorevole negli animali con chilotorace idiopatico. Selezione dei casi Venne effettuato uno studio sugli animali portati alla visita a causa di un chilotorace a partire dal febbraio 1998 fino a luglio 2003 ed operati da un primario chirurgo (TWF). Vennero inclusi in questo studio 20 animali con chilotorace idiopatico che furono sottoposti a legatura del dotto toracico più pericardectomia o alla sola pericardectomia. Se sulla base dell’anamnesi, dei segni clinici, della radiografia del torace, dell’ecocardiografia e del test per la diagnosi della filariosi cardiopolmonare non fu possibile identificare alcuna causa sottostante, venne formulata una diagnosi di chilotorace idiopatico. Gli animali con segni istologici di diffusa affezione linfatica (linfangectasia intestinale epatica o mesenterica), neoplasia o cardiopatia vennero esclusi dallo studio. Il chilotorace venne confermato mediante analisi del fluido e misurazione del contenuto dei trigliceridi nel liquido pleurico. Tutti gli animali furono sottoposti a radiografie del torace e valutati ecocardiograficamente per rilevare la presenza di segni di cardio- o pericardiopatia. Le informazioni relative al follow-up vennero ottenute contattando il proprietario e/o il veterinario curante. Il problema del versamento venne considerato come risolto negli animali in cui i segni radiografici della presenza di liquido pleurico erano minimi o assenti e non si rilevavano manifestazioni associate al versamento pleurico a distanza di almeno 60 giorni dall’intervento. Tecnica operatoria Si eseguì una legatura del dotto toracico mediante toracotomia intercostale laterale sinistra nel gatto e toracotomia intercostale laterale destra nel cane. In 14 animali venne tentata la linfangiografia, che ebbe successo in 4 cani. Per la linfangiografia, la somministrazione del cibo venne sospesa 12 ore prima dell’intervento. Ad intervalli di un’ora a partire da 3 ore prima dell’induzione dell’anestesia, si offrirono panna o olio di mais (1-2 ml/kg). Dopo l’induzione dell’anestesia, la sede appropriata della parete toracica e dell’addome venne preparata per l’intervento chirurgico asettico. Si praticò un’incisione paracostale per esteriorizzare il ceco. Si localizzò uno dei linfonodi adiacenti ad esso e si eseguì un’accurata dissezione dell’area intorno al linfonodo stesso fino a che non furono visualizzati i grandi vasi linfatici. Un vaso linfatico relativamente diritto venne incannulato con un catetere ad ago interno da 20 o 22 G. Nel mesentere si applicarono due suture (seta 3-0) utilizzate per fissare il catetere e un tratto di deflussore ad esso raccordato mantenendoli in posizione avvolgendo le estremità della sutura sopra al cono del deflussore. Un’altra sutura venne fatta passare intorno al tubo di prolunga ed attraverso un segmento di intestino, per prevenire la dislocazione del catetere. All’estremità del deflussore venne fissata una valvola a tre vie e si iniettò un mezzo di contrasto idrosolubile (Renovist®) alla dose di 1 ml/kg diluito con 0,5 ml/kg di soluzione fisiologica. Si effettuò una ripresa di una radiografia del torace in proiezione laterolaterale mentre veniva iniettato l’ultimo ml. Questa linfangiografia venne utilizzata per contribuire ad identificare il numero e la localizzazione dei rami del dotto toracico che dovevano essere legati e venne ripetuta dopo la legatura per contribuire a stabilire se era stata effettuata o meno una legatura completa del dotto toracico. Nei casi in cui l’incannulazione di un vaso mesenterico non era possibile, la legatura 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC del dotto è stata eseguita senza poter contare sull’aiuto di questo tipo di indagine. L’accesso al dotto toracico venne effettuato attraverso una toracotomia intercostale caudale (8°, 9° o 10° spazio intercostale). Una volta localizzato il dotto, per legare il vaso si utilizzò una sutura in seta (2-0 o 3-0). In alcuni animali, la visualizzazione del dotto e dei suoi rami venne favorita dall’iniezione nel catetere linfatico di blu di metilene (0,1 ml diluito sino ad effetto). Nei casi in cui la pleurite fibrosante venne ritenuta grave, si eseguì la decorticazione dei lobi polmonari colpiti. Occasionalmente, negli animali con grave fibrosi ed aderenze, la decorticazione risultò necessaria per identificare le strutture mediastiniche (aorta e dotto toracico). Prima della decorticazione si somministrò metilprednisolone sodio succinato (15-30 mg/kg IV). Una volta completata la legatura del dotto toracico, si eseguì una pericardectomia subtotale. Il pericardio venne rimosso attraverso un accesso craniale nel torace a partire dalla toracotomia eseguita per la legatura del dotto o, in alcuni animali, attraverso una seconda toracotomia praticata per migliorare la visualizzazione del cuore. La breccia toracica e paracostale venne chiusa secondo le procedure di routine. Risultati Nello studio vennero compresi 10 cani (5 maschi e 5 femmine) e 10 gatti (4 maschi e 6 femmine) con chilotorace idiopatico. Gli animali avevano un’età compresa fra 12 mesi ed 11 anni. Le razze canine rappresentate erano west higland white terrier, afgano, golden retriever, Labrador retriever, Dobermann, cane da montagna bernese, chihuahua e pastore delle Shetland. In questa casistica erano anche presenti due meticci. Fra i felini, si trovavano 9 gatti domestici a pelo corto ed uno a pelo lungo. La maggior parte degli animali era stata portata alla visita perché presentava tosse (2), dispnea (10) o entrambi (3). La durata dei segni clinici notati dal proprietario variava da due settimane ad un anno. In tre animali, nelle radiografie erano state identificate delle masse toraciche. In sede intraoperatoria, queste risultarono essere costituite da lobi polmonari collassati secondariamente a pleurite fibrosante. Al momento della stesura di questa relazione 14 animali erano ancora vivi, 5 erano morti ed uno era stato perso per il follow-up. In tutti e 20 gli animali venne eseguita la legatura del dotto toracico con pericardectomia o la sola pericardectomia. In 13 casi, la legatura del dotto e la pericardectomia vennero attuate nel corso della stessa operazione; in due cani la pericardectomia venne eseguita 2 e 9 mesi dopo che la legatura 127 del dotto toracico non era riuscita a risolvere il versamento pleurico ed in un cane ed un gatto (ognuno con chilotorace) si effettuò la pericardectomia da sola (senza concomitante o precedente legatura del dotto). In due animali, la pericardectomia venne eseguita dopo che la legatura era stata effettuata altrove. In uno di questi soggetti (un gatto) la legatura del dotto toracico venne ripetuta due mesi dopo la pericardectomia a causa di un persistente chilotorace. In un gatto, la legatura del dotto venne effettuata dopo che la pericardectomia non era riuscita a risolvere il versamento. In un cane con versamento chiloso continuo che era stato sottoposto a legatura del dotto e pericardectomia si eseguì una seconda legatura cinque settimane dopo la prima. In tre gatti si riscontrarono i segni di una grave pleurite fibrosante, due gatti erano affetti da una pleurite fibrosante moderata ed un cane mostrava una lieve pleurite fibrosante in sede di intervento. Due di questi animali vennero sottoposti a decorticazione. Lo pneumotorace persistente era una complicazione postoperatoria in entrambi i gatti sottoposti a decorticazione, uno dei quali presentò anche una lacerazione tracheale. In entrambi gli animali lo pneumotorace si risolse con la terapia conservativa mediante inserimento di un drenaggio toracico al momento dell’intervento ed aspirazione continua o intermittente dell’aria dallo spazio pleurico. I segni clinici dell’accumulo di liquido pleurico si risolsero nel 90% degli animali di questo studio (10 su 10 cani ed 8 su 10 gatti) dopo l’intervento. Un gatto andò perso per il follow-up dopo 7 mesi, ma sino a quel punto non aveva presentato segni di versamento pleurico. Un altro cane venne sottoposto a toracentesi parecchie settimane dopo che la pericardectomia era stata eseguita, ma negli ultimi 43 mesi in questo animale non è poi più stato necessario ripetere la toracentesi. I rimanenti soggetti non ebbero bisogno di toracentesi dopo l’immediato periodo postoperatorio e non fecero riscontrare segni clinici di versamento pleurico per una media di 20,6 mesi (con limiti di 0,65 e 63 mesi). L’esame istopatologico del pericardio mostrò una lieve o marcata infiltrazione linfoplasmocitaria in tutti gli animali. Indirizzo per la corrispondenza Theresa W. Fossum Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery Director, Clinical Programs and Biomedical Devices, Michael E. DeBakey Institute Professor of Surgery, Texas A&M University College of Veterinary Medicine College Station, Texas 77843-4474 E-mail: [email protected] Tel: (979) 845-2351 - Fax: (979) 845-6978 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 128 Complicazioni intraoperatorie e postoperatorie del chilotorace Theresa W. Fossum DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA Le complicazioni associate al chilotorace possono essere rappresentate da: impossibilità di ottenere una linfangiografia, pleurite restrittiva, edema polmonare da riespansione, pneumotorace e produzione continua di fluido. Impossibilità di ottenere una linfangiografia Nonostante il fatto che molti animali colpiti vengano alimentati con una dieta ad elevato tenore di grasso prima dell’intervento, il dotto toracico può contenere linfa limpida piuttosto che chilo bianco. La linfangiografia e l’iniezione del blu di metilene nel catetere linfatico possono contribuire ad identificare il dotto; tuttavia, questa procedura non ha un successo uniforme. La linfangiografia è particolarmente difficile negli animali di piccola taglia (particolarmente i gatti). Trovare il dotto, che può essere circondato dal grasso o dal mediastino ispessito, è estremamente difficile in questi casi. Nonostante la bassa percentuale di successo, suggerisco di provare sempre ad eseguire la linfangiografia, perché i tentativi di cateterizzazione di un vaso linfatico mesenterico prolungano di poco la durata complessiva dell’intervento se non hanno successo, mentre se ottengono il risultato sperato rendono il dotto sostanzialmente più facile da identificare. Quindi, io ritengo che il maggior impegno di tempo sia giustificato. In un caso da me operato (chihuahua), il chilotorace ha continuato ad esistere dopo la legatura del dotto toracico e la pericardectomia. Le piccole dimensioni di questo cane hanno impedito l’esecuzione di una linfangiografia per contribuire a localizzare il dotto o confermarne la completa legatura. Cinque settimane dopo l’intervento iniziale venne effettuata una seconda legatura del dotto attraverso una toracotomia a livello del decimo spazio intercostale. Venne visualizzata la cisterna chili, identificando accuratamente e legando i rami del dotto che fuoriuscivano da essa. Dopo questo secondo intervento il versamento pleurico si risolse, il che suggerisce che questi rami erano sfuggiti durante la prima operazione e conferma la necessità di garantire un’occlusione completa del dotto. Pleurite restrittiva La pleurite fibrosante è una complicazione potenzialmente letale del chilotorace cronico del gatto. Oltre che al chilotorace, lo sviluppo di questa condizione è stato associato a piotorace, peritonite infettiva felina, emotorace e tubercolosi. Benché la causa della fibrosi sia sconosciuta, apparentemente si può sviluppare in seguito a qualsiasi versamento prolungato a carattere essudativo o striato di sangue. Gli essudati sono caratterizzati da un elevato tasso di formazione e degradazione di fibrina. La fibrinopoiesi probabilmente aumenta perché gli essudati infiammatori cronici, come il chilotorace ed il piotorace, inducono delle modificazioni delle caratteristiche morfologiche delle cellule mesoteliali, portando ad un aumento della permeabilità, desquamazione delle cellule mesoteliali stesse e innescamento di entrambe le vie della cascata della coagulazione. È stato anche dimostrato che queste cellule mesoteliali desquamate producono collagene di tipo III in coltura cellulare, promuovendo la fibrosi. Inoltre, la presenza cronica di fluido pleurico può portare ad una compromissione del meccanismo di degradazione della fibrina. La fibrinolisi può diminuire perché il danno diretto sulle cellule mesoteliali può ridurre l’attività fibrinolitica intrinseca di questi elementi e/o l’aumento del volume di fluido può ridurre a livello locale l’attivatore del plasminogeno. Quest’ultimo converte il precursore, il plasminogeno, nella sua forma attiva, la plasmina. L’attività fibrinolitica nei mammiferi è attribuibile primariamente a questa serina proteasi. Negli animali con fibrosi, la pleura è ispessita dal diffuso tessuto fibroso che impedisce la normale espansione polmonare. I test di funzione polmonare nei pazienti umani con pleurite fibrosante hanno dimostrato un calo della capacità vitale e della compliance statica, facendo sì che, in confronto ai pazienti sani, per ogni data modificazione del volume polmonare fossero necessarie pressioni intrapleuriche negative più elevate. È importante notare che il grado di pleurite fibrosante non sembra comportare una prognosi sfavorevole nel gatto. Io ho operato animali di questa specie con grave pleurite fibrosante che sembravano clinicamente normali una volta arrestato il versamento. Edema polmonare da riespansione L’edema polmonare (edema polmonare da riespansione, RPE) si può sviluppare in alcuni animali dopo un intervento chirurgico che abbia consentito la riespansione di lobi polmonari da tempo collassati. L’origine della condizione è sconosciuta e probabilmente multifattoriale, ma non sembra essere associata all’insufficienza cardiaca. A partire di solito da poche ore dopo l’intervento, il paziente sviluppa tipicamente dispnea e tachipnea che si aggravano progressivamente. Si riscontra un’ipossiemia che persiste nonostante un’intensa ossigenoterapia. Contrariamente all’esperienza maturata nei pazienti umani, in cui l’edema polmonare da riespansione di 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC solito è monolaterale e, di conseguenza, non pericoloso per la vita del soggetto, nella maggior parte degli animali la condizione è rapidamente fatale. Si ritiene che la riossigenazione dei polmoni collassati da lungo tempo determini il rilascio di radicali superossidi che non possono venire efficacemente eliminati, portando ad un aumento della permeabilità capillare polmonare e ad un edema polmonare. Il tessuto dei polmoni a lungo collassati può avere subito una diminuzione dell’attività mitocondriale della superossidodismutasi e della citocromossidasi. La profilassi e la terapia dei pazienti con edema polmonare da riespansione sono difficili e scarsamente note. La riespansione del tessuto polmonare collassato da tempo deve essere effettuata lentamente (la parete toracica può essere chiusa lasciando uno o due lobi polmonari collassati, in modo da permettere loro di riespandersi lentamente) e bisogna evitare le pressioni di ventilazione elevate (superiori a 25 cm H2O). Le attuali raccomandazioni per il trattamento dell’edema polmonare da riespansione sono rappresentate dall’impiego della ventilazione a pressione tele-espiratoria positiva e dei farmaci che stabilizzano le membrane capillari polmonari (metilprednisolone). Sono attualmente in fase di studio numerosi altri agenti farmacologici, ma non sono ancora disponibili prove definitive dei loro benefici effetti. Pneumotorace Lo pneumotorace può essere una sequela della decorticazione per una pleurite restrittiva. Anche se l’unico trattamento efficace noto per la pleurite fibrosante è la decorticazione, le indicazioni ed il valore di questa procedura negli animali sono sconosciuti. La decorticazione può dare i migliori risultati dal punto di vista funzionale quando la pleurite è di breve durata e la malattia del parenchima polmonare è minima. In questi casi, la pleura ispessita non è saldamente adesa al parenchima sottostante e può venire rimossa senza danneggiare gravemente il polmone; tuttavia, lo pneumotorace è una sequela comune e di solito richiede la toracentesi con inserimento di un drenaggio. Nell’uomo, la decorticazione comporta una prognosi buona se sono coinvolti solo uno o due lobi; tuttavia, quando la fibrosi è diffusa, come avviene in molti animali con chilotorace, anche in caso di decorticazione efficace si impone una prognosi riservata. Quando l’intervento viene eseguito su più di un lobo polmonare, si può avere un edema da riespansione che spesso è fatale. Se la decorticazione ha successo, l’espansione polmonare e la funzione polmonare possono migliorare nell’arco di 2 o 3 mesi. In una recente indagine, sono stati descritti parecchi animali affetti da grave pleurite fibrosante, nonostante che i proprietari affermassero che i segni clinici erano insorti di recente. In questo studio, venne ritenuta necessaria la decorticazione in due gatti perché l’estensione della pleurite era tale che si riteneva che dopo l’intervento potesse essere presente una difficoltà respiratoria, perfino se si fosse risolto l’accumulo di liquido pleurico. Entrambi questi gatti svilupparono un grave pneumotorace e fu necessario un prolungato trattamento intensivo di questa condizione. In un gatto venne accertata una rottura della trachea che guarì spontaneamente nell’arco di due settimane. Nessuno dei due animali sviluppò un edema polmonare da 129 riespansione dopo la decorticazione, per cui è possibile che quest’ultima sia utile negli animali con grave pleurite fibrosante in cui l’aumento dell’espansione polmonare viene ritenuto importante. I proprietari devono essere messi in guardia sull’aumento della morbilità e mortalità associato a questa condizione, in particolare in relazione allo sviluppo dell’edema polmonare da riespansione. La durata dei segni clinici sembra essere un fattore altamente inaffidabile per prevedere il successo della chirurgia o l’estensione della pleurite fibrosante negli animali con chilotorace. Perdurare della produzione di fluido (sieroematico o chiloso) Se nel periodo postoperatorio la produzione di fluido pleurico continua, il chirurgo deve in primo luogo stabilire se il liquido è chiloso o sieroematico. Se si tratta di chilo, è indicata la ripetizione dell’operazione. Se il fluido è di natura sieroematica, si può tentare con uno shunt pleuroperitoneale o con la somministrazione di somatostatina. Quest’ultima è una sostanza presente in natura e dotata di un’emivita estremamente breve. Inibisce le secrezioni gastriche, pancreatiche e biliari (glucagone, insulina, acido gastrico, amilasi, lipasi e tripsina) e prolunga il tempo di transito gastroenterico, riduce la secrezione digiunale e stimola l’assorbimento di acqua nel tratto digerente. Negli ultimi anni, analoghi della somatostatina sono stati utilizzati con successo per trattare il chilotorace in pazienti umani colpiti da questa condizione per cause traumatiche o postoperatorie. In questi pazienti, la riduzione delle secrezioni gastroenteriche può favorire la guarigione del dotto toracico diminuendo il flusso linfatico che lo attraversa. È stato anche riferito che esita in un calo precoce del drenaggio e nella chiusura precoce della fistola in cani con resezione sperimentale del dotto toracico. Il meccanismo con cui il chilotorace non traumatico può trarre vantaggio da questo trattamento non è chiaro, tuttavia, la risoluzione del fluido pleurico è stata segnalata in gatti con chilotorace idiopatico nei quali era stato somministrato octreotide. Quest’ultimo (sandostatina; 10 µg/kg per via sottocutanea 3 volte al giorno per 2 o 3 settimane) è un analogo di sintesi della somatostatina che ha un’emivita prolungata ed effetti collaterali minimi. Si possono avere feci molli che si risolvono dopo la sospensione del farmaco. I trattamenti prolungati sono da sconsigliare perché nei pazienti umani l’impiego per più di 4 settimane è stato associato alla formazione di calcoli alla cistifellea. Io ho utilizzato l’octreotide in due cani; uno con chilotorace ed uno con versamento sieroematico dopo legatura del dotto toracico. Mentre in quest’ultimo caso il versamento si è risolto entro pochi giorni di trattamento, il primo non rispose. L’efficacia dell’octreotide negli animali con chilotorace richiede ulteriori indagini. Indirizzo per la corrispondenza Theresa W. Fossum Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery Director, Clinical Programs and Biomedical Devices, Michael E. DeBakey Institute Professor of Surgery, Texas A&M University College of Veterinary Medicine College Station, Texas 77843-4474 E-mail: [email protected] Tel: (979) 845-2351 - Fax: (979) 845-6978 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 130 Persistenza del dotto aortico e dell’arco aortico di destra: trattamento chirurgico Theresa W. Fossum DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA DOTTO ARTERIOSO PERSISTENTE Il dotto arterioso è un vaso fetale che connette l’arteria polmonare principale all’aorta discendente. Durante lo sviluppo, devia il sangue evitandone il passaggio attraverso i polmoni fetali collassati. In condizioni normali, si chiude poco dopo la nascita durante il periodo di transizione dalla vita fetale a quella extrauterina. Il perdurare della pervietà del dotto arterioso per più di qualche giorno dopo la nascita costituisce una condizione indicata con il nome di “dotto arterioso persistente” (PDA). Il PDA è il più comune difetto cardiaco congenito del cane; si riscontra anche nel gatto. Questa condizione provoca uno shunt sinistra-destra che esita in sovraccarico volumetrico del ventricolo sinistro e produce una dilatazione ed ipertrofia del ventricolo stesso. La dilatazione progressiva del ventricolo sinistro distende l’anello della valvola mitrale causando un rigurgito secondario ed un sovraccarico ventricolare aggiuntivo. Questo grave sovraccarico volumetrico porta ad un’insufficienza cardiaca congestizia sinistra con edema polmonare, di solito entro il primo anno di vita. Come sequela tardiva dovuta ad una marcata dilatazione dell’atrio sinistro, si può avere una fibrillazione atriale. In rari casi, i cani con dotto arterioso persistente sviluppano un’ipertensione polmonare soprasistemica che inverte la direzione del flusso attraverso lo shunt causando grave ipossiemia e cianosi (fisiologia di Eisenmenger). Il PDA destra-sinistra può insorgere come sequela tardiva di un dotto arterioso persistente non trattato. Il riscontro di un dotto arterioso persistente destra-sinistra negli animali molto giovani può essere dovuto ad un’ipertensione polmonare persistente dopo la nascita. L’inversione del PDA riduce il rischio di sviluppo dell’insufficienza cardiaca sinistra progressiva, ma provoca una grave ipossiemia sistemica debilitante, intolleranza all’esercizio e progressiva policitemia. Diagnosi Anamnesi – La maggior parte degli animali giovani con dotto arterioso persistente è asintomatica o presenta soltanto una lieve intolleranza all’esercizio. Il problema più comunemente segnalato dai proprietari negli animali sintomatici con shunt sinistro-destro è rappresentato da tosse o fiato corto (o entrambi) dovuti all’edema polmonare. Gli animali con PDA destra-sinistra o inverso possono essere asintomatici o presentare intolleranza all’esercizio e collasso degli arti posteriori durante l’attività fisica. Riscontri all’esame clinico Il riscontro clinico più evidente associato al dotto arterioso persistente è un caratteristico soffio continuo (rumore di macchina) meglio udibile alla base del cuore di sinistra. L’itto cardiaco apicale sinistro è ben evidente e dislocato caudalmente, ed è spesso presente un “fremito” cardiaco palpabile. Il polso femorale è forte o ipercinetico (polso “a maglio”) dovuto all’ampia onda pressoria causata dal flusso diastolico del sangue attraverso il dotto. Il riscontro di onde R elevate (> 2,5 mV) o onde P larghe nei tracciati elettrocardiografici in II derivazione conforta la diagnosi, ma non è sempre presente. Nei casi avanzati, si può riscontrare fibrillazione atriale o ectopia ventricolare. I riscontri clinici negli animali con dotto arterioso persistente destra-sinistra o inverso differiscono da quelli con shunt sinistro-destro. È tipicamente presente una cianosi “differenziale” (cioè più evidente a livello delle mucose più caudali), anche se in alcuni animali questa alterazione si può osservare anche nella metà craniale del corpo. La cianosi è dovuta al fatto che si verifica una mescolanza di sangue non ossigenato (proveniente dall’arteria polmonare) e sangue aortico ossigenato. Il polso femorale è normale. Spesso è presente un soffio cardiaco sistolico piuttosto che un soffio di macchina. Tuttavia, il soffio può risultare non udibile se è presente una policitemia o se le pressioni del lato sinistro e destro sono quasi uguali e lo shunt del sangue attraverso il dotto è minimo. Presentazione clinica Segnalamento – Il dotto arterioso persistente si osserva più comunemente nelle cagne di razza pura. I soggetti di razza maltese, Pomerania, pastore delle Shetland, english springer spaniel, keeshonds, bischon frise, barbone nano e toy e Yorkshire terrier sono maggiormente a rischio di sviluppo di questa anomalia. Nel barbone è stata stabilita una base genetica. Radiografia/ecocardiografia L’esame radiografico del torace evidenzia tipicamente un ingrossamento dell’atrio e del ventricolo di sinistra, un aumento di dimensioni dei vasi polmonari ed una caratteristica dilatazione dell’aorta discendente nelle immagini in 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC proiezione dorsoventrale. L’ecocardiografia fornisce informazioni che confermano ulteriormente la presenza del dotto arterioso persistente e contribuisce ad escludere l’esistenza di concomitanti difetti cardiaci, ma non è invariabilmente necessaria per formulare la diagnosi. I riscontri ecocardiografici che depongono a favore dell’ipotesi di PDA sono rappresentati da ingrossamento dell’atrio sinistro, dilatazione ed ipertrofia del ventricolo sinistro, dilatazione dell’arteria polmonare, aumento della velocità di eiezione aortica e caratteristico quadro di flusso turbolento inverso evidenziato con il metodo Doppler nell’arteria polmonare. In presenza di PDA destra-sinistra, le radiografie del torace mostrano i segni di un ingrossamento di entrambi i ventricoli ed un marcato aumento di dimensioni del segmento dell’arteria polmonare. Le arterie polmonari possono anche apparire tortuose. È possibile documentare l’esistenza di un dotto arterioso persistente destra-sinistra effettuando un’ecocardiogramma con mezzo di contrasto costituito da bolle di soluzione fisiologica. L’osservazione delle bolle nell’aorta discendente, ma non in una qualsiasi delle camere cardiache del lato sinistro, ha valore diagnostico. Riscontri di laboratorio Negli animali con shunt sinistro-destro le anomalie di laboratorio sono poco comuni; invece, i soggetti con shunt destro-sinistro sono comunemente policitemici. La policitemia insorge in risposta all’aumento della produzione di eritropoietina determinato dall’ipossiemia cronica. Diagnosi differenziale I caratteristici riscontri clinici (soffio continuo, polso arterioso martelante) rendono la diagnosi di dotto arterioso persistente agevole nella maggior parte degli animali colpiti. Un’associazione di stenosi aortica/insufficienza aortica o di difetto del setto interventricolare/insufficienza aortica esita in un soffio a va e vieni che può essere difficile da differenziare dai soffi continui del PDA. In alcuni animali in cui la componente diastolica del soffio del dotto arterioso persistente non è facile da da individuare, le altre possibili diagnosi differenziali sono rappresentate da stenosi subaortica, stenosi polmonare, difetto del setto interatriale e difetto del setto interventricolare. Le possibili diagnosi differenziali nei cani con PDA destra-sinistra sono la tetralogia di Fallot, i difetti del setto interatriale o interventricolare con shunt destro-sinistro o altre complesse forme di cardiopatia cianotica (rare). Terapia medica Agli animali con edema polmonare si deve somministrare furosemide per 24-48 ore prima dell’intervento. Se è presente una fibrillazione atriale, bisogna controllare la frequenza di risposta ventricolare utilizzando digossina (con o senza beta-bloccanti o calcio-bloccanti) prima dell’intervento. Se sono presenti delle aritmie emodinamicamente signi- 131 ficative, è necessario porle sotto controllo. La risoluzione completa dei segni clinici dell’insufficienza cardiaca congestizia con la sola terapia medica può essere difficile. Trattamento chirurgico La correzione chirurgica del dotto arterioso persistente si effettua mediante legatura del dotto arterioso. Questo intervento è considerato risolutivo e deve essere eseguito il più presto possibile dopo la diagnosi. Il rigurgito mitrale secondario di solito regredisce dopo l’operazione a causa della riduzione della dilatazione del ventricolo sinistro. La complicazione più grave associata alla riparazione del dotto arterioso persistente è l’involontaria rottura del dotto stesso durante la dissezione. Il rischio di questa complicazione diminuisce all’aumentare dell’esperienza del chirurgo. Le rotture di piccole dimensioni, specialmente quelle del lato posteriore del dotto, spesso rispondono ad un delicato tamponamento, ma si allargano e si aggravano se la dissezione viene continuata. Le rotture più grandi devono essere immediatamente controllate mediante pinze vascolari e poi riparate con suture da materassaio rinforzate con batuffoli di cotone. Una volta controllato il sanguinamento bisogna decidere se controllare l’intervento o abbandonare l’operazione a favore di una riparazione da attuarsi in un secondo momento. La ripetizione dell’intervento risulta più difficile a causa delle aderenze formatesi nel sito operato, per cui, se possibile, bisogna cercare di ottenere un’occlusione completa durante il primo intervento. Spesso, non è possibile eseguire la semplice legatura del dotto dopo che si è verificata una rottura. In questi casi, le tecniche chirurgiche alternative sono rappresentate dalla chiusura del dotto con suture da materassaio rinforzate con batuffoli di cotone oppure dalla sua recisione dopo applicazione di pinze vascolari. I capi separati del dotto vengono chiusi con una sutura continua da materassaio sulla quale si esegue una sutura continua semplice a sopraggitto. L’intervento di chiusura del dotto senza reciderlo è più facile della sua divisione chirurgica, ma può essere seguito da una ricanalizzazione. Poiché la divisione del dotto richiede un’abilità tecnica aggiuntiva, deve essere eseguita soltanto dai chirurghi esperti. Anatomia chirurgica Il dotto arterioso nel cane e nel gatto è di solito largo (1 cm) ma relativamente corto (< 1 cm). È localizzato fra l’aorta e le arterie polmonari principali, caudalmente all’origine delle arterie brachiocefalica e succlavia sinistra. Come conseguenza, nei cani con PDA inverso la maggior parte della mescolanza di sangue ossigenato e non ossigenato si verifica nell’aorta discendente. Quindi, alla testa ed al collo viene apportato sangue normalmente ossigenato, mentre alla metà caudale dell’organismo si distribuisce sangue insaturo (si vedano le considerazioni espresse in precedenza sulla cianosi differenziale). Il nervo vago di sinistra decorre sempre sopra il dotto arterioso e deve essere identificato e scostato durante la dissezione. Spesso è possibile identificare il nervo ricorrente laringeo di sinistra che forma un’ansa intorno al dotto. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 132 TECNICA OPERATORIA Si esegue una toracotomia a livello del 4° spazio intercostale di sinistra. Si identifica il nervo vago di sinistra, nel punto in cui decorre al di sopra del dotto arterioso, e lo si isola mediante dissezione con strumenti taglienti a livello del dotto stesso. Si applica una sutura intorno al nervo e lo si scosta delicatamente. Il dotto arterioso viene isolato mediante dissezione per via smussa intorno ad esso, senza aprire il sacco pericardico. Dietro il dotto, parallelamente al suo piano trasversale, si fa passare un paio di pinze ad angolo retto per isolare la sua parte caudale. Quindi, si esegue la dissezione della faccia craniale del dotto inclinando le pinze caudalmente di circa 45°. Si completa questa dissezione facendo passare le pinze dalla parte mediale al dotto in direzione caudo-craniale. Con le pinze ad angolo retto si afferra il filo da sutura. Questo viene delicatamente tirato al di sotto del dotto. Se la sutura non scivola facilmente intorno al vaso, non bisogna forzarla. Occorre invece riafferrarla e ripetere il processo, facendo attenzione a non includere nelle pinze i tessuti molli sottostanti. Con la stessa manovra si fa passare un secondo filo da sutura. In alternativa, il filo può essere fatto passare sotto forma di ansa doppia e poi tagliato, in modo da ottenerne due tratti. Si stringe per prima, lentamente, la sutura più vicina all’aorta. Poi si stringe l’altra. Materiale da sutura/strumenti speciali I materiali adatti per la legatura del dotto sono la seta robusta (N. 1 o N. 0) o il nastro di cotone. Per la dissezione per via smussa del PDA e per far passare le legature, gli strumenti più adatti sono le pinze ad angolo retto. Per la divisione chirurgica del dotto persistente o per la riparazione delle involontarie rotture è necessario impiegare pinze vascolari ad angolo o tangenziali. Per la riparazione della rottura del PDA si utilizzano suture da materassaio in polipropilene (4-0), rinforzate con batuffoli di teflon. Trattamenti e valutazioni postoperatori Il dolore postoperatorio va trattato con oppiacei sistemici e tecniche di anestesia locale. Si può utilizzare la bupivacaina iniettata a livello intercostale o intrapleurico per integrare l’analgesia. Gli animali giovani devono essere alimentati non appena si siano completamente svegliati dall’anestesia. Occasionalmente, prima della chiusura del torace si inseriscono delle sonde da toracostomia (ad es., se si verifica un sanguinamento intraoperatorio). Queste possono generalmente venire rimosse entro 12-24 ore dall’intervento. Prognosi I cani con dotto arterioso persistente non trattato di solito sviluppano un’insufficienza cardiaca congestizia sinistra progressiva ed un edema polmonare. Il 70% dei cani con PDA non trattato viene a morte prima di un anno di vita. I cani colpiti da questa anomalia possono anche sviluppare un’ipertensione polmonare soprasistemica che inverte la direzione dello shunt causando grave ipossiemia, cianosi ed intolleranza all’esercizio. La legatura di un PDA completamente invertito è controindicata. ANOMALIE DELL’ANELLO VASCOLARE Le anomalie dell’anello vascolare sono malformazioni congenite dei grandi vasi e dei loro rami che causano una costrizione dell’esofago e segni di ostruzione esofagea. Il tipo più comune di anomalia dell’anello vascolare è la persistenza del 4° arco aortico destro, della radice aortica dor- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC sale destra e del legamento arterioso sinistro rudimentale (6° arco sinistro). L’arteria polmonare di sinistra e l’aorta discendente sono unite dal legamento arterioso. L’esofago viene circondato da questo legamento (o da un dotto arterioso pervio) a sinistra, dalla base del cuore e dall’arteria polmonare ventralmente e dall’arco aortico sulla destra. L’esofago viene costretto da questo “anello” vascolare ed inizia a dilatarsi cranialmente man mano che si accumula il cibo. Quello che non riesce a superare questa strettoia viene rigurgitato in modo intermittente. Il rigurgito cronico predispone alla polmonite ab ingestis. Il 95% circa dei soggetti con anomalie dell’anello vascolare diagnosticate presenta una persistenza dell’arco aortico destro (PRAA). In associazione con la PRAA, nel 40% circa dei casi si ha una persistenza della vena cava sinistra. La localizzazione anormale dei grandi vasi interferisce meccanicamente con la funzione dell’esofago e, talvolta, della trachea e di altre strutture adiacenti. La gravità dei segni clinici ed il grado di stenosi esofagea dipendono delle strutture vascolari coinvolte. Altri tipi di anomalie dell’anello vascolare sono rappresentati da: (1) arco aortico destro persistente con persistenza dell’arteria succlavia sinistra, (2) arco aortico destro persistente con persistenza del legamento arterioso sinistro e dell’arteria succlavia sinistra, (3) arco aortico doppio, (4) arco aortico sinistro normale con persistenza del legamento arterioso destro, (5) arco aortico sinistro normale con persistenza dell’arteria succlavia destra e (6) arco aortico sinistro normale con persistenza del legamento arterioso destro e dell’arteria succlavia destra. Durante le prime fasi della vita fetale, l’esofago e la trachea sono circondati da 6 paia di archi aortici. La normale maturazione e regressione selettiva di questi archi forma la vascolarizzazione dell’adulto. Tutte le anomalie dell’anello vascolare sono derivate da anomalie di sviluppo degli archi 3, 4 e 6. Si ritiene che il meccanismo di trasmissione ereditaria coinvolga singoli o multipli geni recessivi. Nell’embrione, il primo ed il secondo paio di archi aortici scompaiono ed il quinto paio è incompleto ed incostante. Il terzo arco si unisce all’arco aortico dorsale e prosegue anteriormente trasformandosi nelle arterie carotide interne di destra e di sinistra. Il terzo arco forma anche il tronco brachiocefalico. L’aorta dorsale scompare fra il terzo ed il quarto paio di archi. Normalmente, il quarto arco aortico di sinistra e la radice aortica dorsale persistono per formare l’arco aortico permanente. Il sesto arco di sinistra diventa il dotto arterioso ed il quarto arco di destra contribuisce all’arteria succlavia destra. Diagnosi Segnalamento. Le anomalie dell’anello vascolare si verificano sia nel cane che nel gatto, ma sono più comuni nel cane. Le razze interessate con maggiore frequenza sono il pastore tedesco, il setter irlandese ed il Boston terrier. Nel gatto siamese e persiano queste condizioni sono state diagnosticate più spesso che nelle altre razze feline. Maschi e femmine sono colpiti in ugual misura. La condizione può interessare più animali in una cucciolata. Le anomalie dell’anello vascolare sono presenti alla nascita. I segni clinici risultano di solito evidenti al momento dello svezzamento, e nella maggior parte dei casi la diagnosi viene formulata fra il 2° ed il 6° mese di vita. Se 133 l’ostruzione è parziale ed i segni clinici sono lievi, può darsi che la condizione non venga riconosciuta fino ad un’età più avanzata. La diagnosi precoce ed il trattamento della PRAA possono migliorare la prognosi. Anamnesi. L’anamnesi classica riferisce l’insorgenza acuta di rigurgito quando l’animale viene alimentato per la prima volta con cibo solido o semisolido. Il rigurgito del cibo indigerito nelle fasi iniziali della malattia si verifica subito dopo il pasto; in seguito, può comparire con intervalli variabili (da minuti ad ore). Gli animali colpiti possono crescere più lentamente dei loro fratelli ed apparire malnutriti. Spesso, hanno un appetito vorace, alcuni mangiano immediatamente il cibo rigurgitato. La tosse con difficoltà respiratoria può essere una conseguenza della polmonite ab ingestis e/o della stenosi tracheale secondaria ad arco aortico doppio. Riscontri clinici Gli animali colpiti sono spesso magri e piccoli. Talvolta, con la palpazione è possibile apprezzare all’ingresso del torace e nel collo un esofago ingrossato. L’ingresso del torace e la parte caudale dell’area cervicale possono rigonfiarsi quando si comprime il torace. I soffi sono rari; occasionalmente, un paziente può presentare un soffio continuo associato a concomitante pervietà del dotto arterioso. L’auscultazione di rantoli aspri o la presenza di febbre può suggerire l’ipotesi di una polmonite. Radiografia/ecografia/endoscopia Le radiografie del torace possono rivelare un esofago dilatato cranialmente al cuore e contenente aria, acqua o cibo. La trachea può essere dislocata ventralmente e l’esofago può sovrapporsi ad essa. Si possono identificare segni di polmonite. Gli esami radiografici con mezzo di contrasto positivo eseguiti utilizzando una sospensione di bario o l’aggiunta di bario al cibo dimostrano una costrizione dell’esofago a livello della base del cuore, con vari gradi di dilatazione esofagea che si estende in direzione craniale. La parte caudale dell’organo di solito ha dimensioni normali, anche se talvolta può apparire dilatata. La fluoroscopia risulta utile per la valutazione della motilità esofagea. L’esofago dilatato di solito non mostra le 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC normali contrazioni peristaltiche. Benché non venga eseguita di routine, l’angiografia è utile per l’identificazione preoperatoria del tipo di anomalia dell’anello vascolare e di altre alterazioni cardiache. Anche l’ecocardiografia può risultare utile. L’esame endoscopico dell’esofago contribuisce ad escludere altre cause di stenosi o ostruzione esofagea e può rivelare la presenza di ulcere. La tracheoscopia non viene eseguita di routine, ma può documentare un restringimento del lume tracheale secondario a compressione esterna. TRATTAMENTO CHIRURGICO Il trattamento chirurgico della PRAA viene descritto più oltre. Altri tipi di anomalie dell’anello vascolare possono essere trattate in modo simile. Spesso, l’area ventrale sinistra dell’anello vascolare è coperta da una vena cava sinistra persistente. Ad un legamento arterioso destro persistente e ad alcune succlavie destre aberranti si deve accedere dal lato destro. Nei pazienti con archi aortici doppi sono utili le angiografie per determinare quale sia l’arco dominante e se sia possibile mantenere una circolazione adeguata dopo la resezione dell’altro. Può essere impossibile alleviare le costrizioni a causa di un arco aortico doppio. Se l’animale è gravemente debilitato, per parecchi giorni prima dell’intervento bisogna inserire una sonda da alimentazione gastrica. Alcuni chirurghi cercano di ridurre le dimensioni del lume esofageo se l’esofago è gravemente dilatato e non si prevede un suo ritorno alle dimensioni normali. Allo scopo si applicano una serie di suture non penetranti “di plicatura” o “arricciatura” nella parete esofagea laterale accessibile. In alternativa, si può ricorrere alla resezione di una porzione di esofago. Queste tecniche non sono consigliate di routine perché aumentano il rischio di complicazioni. Si raccomanda di eseguire la resezione chirurgica delle strutture responsabili della costrizione prima che la dilatazione esofagea diventi grave. La resezione è fattibile nella maggior parte delle anomalie dell’anello vascolare, fatta eccezione per alcuni archi aortici doppi. Nei pazienti con PRAA, si esegue una toracotomia laterale a livello del 4° (5°) spazio intercostale. La parte craniale del polmone viene scostata caudalmente per esporre il mediastino dorsalmente al cuore. Si identificano l’aorta, l’arteria polmonare, il legamento arterioso, il nervo vago ed i nervi frenici. Si identificano le strutture anomale. Se è presente una vena cava craniale sinistra persistente, è necessario dissezionarla e scostarla per migliorare la visualizzazione. Analogamente, se è presente una vena emiazigos prominente, bisogna eseguirne la dissezione e la legatura e poi reciderla. Se si identifica un’arteria succlavia responsabile della costrizione, bisogna isolarla, legarla e reciderla. Dopo aver inciso il mediastino, si disseziona e solleva il legamento arterioso. Quindi, si esegue una doppia legatura e si recide il legamento fra le due legature. Attraverso l’esofago strangolato si fa passare un catetere a palloncino o un tubo orogastrico di grandi dimensioni, per favorire l’identificazione delle bande fibrose responsabili della costrizione in modo da dilatare la zona interessata. Queste bande fibrose vengono dissezionate e recise separandole dalla parete esofagea. L’area viene lavata, i lobi polmonari vengono riposizionati, se necessario si inserisce una sonda da toracostomia e si chiude la parete toracica con le procedure di routine. 134 Trattamenti e valutazioni postoperatori Nel periodo postoperatorio si devono somministrare analgesici. Il paziente deve essere strettamente monitorato per rilevare la comparsa di dispnea e, se necessario, si ricorre alla puntura del torace. Nei pazienti dispnoici può essere utile l’ossigeno per via nasale. Se è stata inserita una sonda da toracostomia, bisogna effettuare l’aspirazione del torace ad intervalli regolari (inizialmente ogni 15-30 minuti) e registrare il volume di aria e di fluidi ottenuto in occasione di ogni aspirazione. In questi pazienti, le sonde da toracostomia possono generalmente venire rimosse il giorno dell’intervento o il mattino successivo. Nei soggetti debilitati, se si è verificata una contaminazione toracica o se esiste una polmonite, si deve continuare con la somministrazione di antibiotici. I pazienti in età pediatrica devono essere strettamente monitorati per rilevare la comparsa di ipoglicemia nel periodo postoperatorio. L’assunzione di alimenti per via orale può venire ripresa entro 12-24 ore dall’intervento. Inizialmente bisogna somministrare all’animale una miscela semiliquida di alimenti umidi collocando la ciotola in posizione sollevata. Questa stazione va mantenuta per 10-20 minuti dopo il pasto, per contribuire a prevenire la distensione dell’esofago dilatato e favorire il ripristino del tono muscolare esofageo e delle corrette funzioni dell’organo. Se l’impiego di alimenti semiliquidi ha determinato un rigurgito minimo, 2-4 settimane dopo l’intervento il proprietario può gradualmente ridurre la quantità di acqua nel cibo. Ci si augura che l’aggiunta di acqua possa infine venire eliminata senza che ciò provochi un aumento del rigurgito. Gli animali che possono ingerire alimenti solidi senza rigurgitare devono essere lasciati mangiare dalla ciotola sul pavimento mentre sono in stazione normale. Questa pratica deve continuare a meno che la frequenza del rigurgito non aumenti. Alcuni soggetti possono infine venire alimentati con qualsiasi tipo di cibo da una posizione normale, mentre altri devono continuare ad assumere formulazioni semiliquide da una posizione sollevata. L’esofago deve venire riesaminato mediante esofagografia a distanza di 1-2 mesi dall’intervento per valutarne la persistenza della dilatazione e la motilità. Talvolta l’organo recupera dimensioni e funzioni normali. In altri casi resta gravemente dilatato e presenta una motilità scadente. Se si verifica una costrizione esofagea, può risultare utile una dilatazione mediante palloncino. Bisogna sconsigliare ai proprietari di far riprodurre gli animali colpiti perché si ritiene che il disordine abbia un’origine genetica. Indirizzo per la corrispondenza Theresa W. Fossum Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery Director, Clinical Programs and Biomedical Devices, Michael E. DeBakey Institute Professor of Surgery, Texas A&M University College of Veterinary Medicine College Station, Texas 77843-4474 E-mail: [email protected] Tel: (979) 845-2351 - Fax: (979) 845-6978 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 135 Approccio chirurgico alle cardiopatie congenite in circolazione extracorporea Theresa W. Fossum DVM, MS, PhD, Dipl ACVS, College Station, Texas, USA Circolazione extracorporea cardiopolmonare e blocco dell’afflusso venoso cardiaco La chirurgia cardiaca comprende interventi da eseguire sul pericardio, sui ventricoli, sugli atri, sulle vene cave, sull’aorta e sull’arteria polmonare principale. Nella maggior parte dei casi si eseguono procedure cardiache chiuse (cioè quelle che non richiedono l’apertura delle principali strutture del cuore); tuttavia, alcune condizioni richiedono un intervento chirurgico a cuore aperto (nelle quali, per effettuare la riparazione è necessario aprire una delle strutture cardiache principali). La chirurgia a cuore aperto impone l’arresto della circolazione durante l’intervento, mediante blocco dell’afflusso venoso o circolazione extracorporea. L’occlusione dell’afflusso venoso consente di ottenere un breve arresto circolatorio, permettendo l’esecuzione di interventi di breve durata (meno di 5 minuti). Per le operazioni a cuore aperto più lunghe è necessario instaurare una circolazione extracorporea mediante bypass cardiopolmonare per mantenere la perfusione degli organi durante l’intervento. La chirurgia cardiaca non è fondamentalmente differente dagli altri tipi di chirurgia generale e si applicano i medesimi principi di buona tecnica operatoria (manipolazione atraumatica dei tessuti, buona emostasi ed esecuzione di nodi di sicura tenuta). Le conseguenze di una cattiva tecnica operatoria sono spesso devastanti. La chirurgia cardiaca differisce dagli altri tipi di intervento perché il movimento dovuto alla ventilazione ed alle contrazioni cardiache comporta una difficoltà tecnica aggiuntiva all’esecuzione di queste procedure. Gli approcci che consentono un limitato accesso alle strutture dorsali richiedono che il chirurgo incida, suturi e/o leghi delle strutture localizzate in posizione profonda all’interno del torace. In queste situazioni risulta utile la capacità di eseguire i nodi a mano libera, piuttosto che servendosi di strumenti; anzi, tale capacità deve essere considerata un’abilità fondamentale per il cardiochirurgo. Assicurare la tenuta dei nodi è di importanza critica per il successo della chirurgia cardiaca. Le tecniche di realizzazione a mano libera sono rapide e consentono di ottenere dei nodi più stretti e più sicuri di quelli strumentali. La più adatta alle raffinate suture utilizzate in chirurgia cardiaca è la tecnica di annodamento ad una mano sola. La realizzazione di nodi solidi risulta facilitata facendo passare il filo in modo che si incroci per due o tre volte nella stessa direzione prima di finire con dei nodi quadrati per sicurezza. Blocco dell’afflusso venoso Il blocco dell’afflusso è una tecnica utilizzata per la chirurgia a cuore aperto in cui viene interrotto temporaneamente tutto il flusso venoso diretto al cuore. Poiché esita in un completo arresto circolatorio, questa metodica lascia a disposizione un periodo di tempo limitato per l’esecuzione degli interventi chirurgici sul cuore. In condizioni ideali, l’arresto in un paziente normotermico dovrebbe essere inferiore a due minuti, ma se necessario si può prolungare fino a quattro minuti. La durata dell’arresto circolatorio può venire estesa fino a 6 minuti ricorrendo ad una lieve ipotermia dell’intero corpo dell’animale (32-34 °C). Le temperature al di sotto di 32° C possono predisporre alla fibrillazione e sono da evitare. Il vantaggio del blocco dell’afflusso venoso è che non richiede attrezzature specializzate; tuttavia, la limitatezza del tempo disponibile per l’esecuzione dell’intervento impone che quest’ultimo sia ben pianificato ed eseguito con rapidità ed esperienza. Noi abbiamo utilizzato questa tecnica principalmente per i tumori dell’atrio destro e per il cor triatriatum destro. A seconda della procedura cardiaca da attuare, si esegue una toracotomia sinistra o destra oppure una sternotomia mediana. Con la toracotomia destra o la sternotomia mediana, si occludono la vena cava craniale e caudale e la vena azigos, mediante pinze vascolari o lacci emostatici di Rumel che possono essere realizzati facendo passare un nastro ombelicale intorno al vaso e poi attraverso un pezzo di tubo di gomma della lunghezza di 2,5 – 7,5 cm. Quando il nastro ombelicale è stato adeguatamente stretto in modo da occludere il vaso, sopra al tubo di gomma si applica una pinza, in modo da tenerlo saldamente in posizione. Durante l’applicazione della pinza o dei lacci emostatici, bisogna fare attenzione ad evitare di danneggiare il nervo frenico destro. Per le toracotomie di sinistra, si fanno passare dei lacci emostatici separati intorno alla vena cava caudale e quella craniale. Poi, praticando una dissezione dorsalmente all’esofago ed all’aorta, si occlude la vena azigos applicandovi intorno un laccio emostatico. Circolazione extracorporea La circolazione extracorporea è una procedura in cui un sistema extracorporeo assicura l’apporto di sangue ossigenato al paziente mentre il flusso ematico viene deviato in modo da evitare il passaggio attraverso il cuore ed i polmoni. Ciò prolunga notevolmente il tempo disponibile per la chirurgia 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC a cuore aperto. I numerosi progressi compiuti (sviluppo di ossigenatori a membrana, miglioramento dei metodi di protezione del miocardio, aumento della disponibilità delle tecnologie di monitoraggio e miglioramento del trattamento dei pazienti in condizioni critiche in medicina veterinaria) hanno reso il bypass cardiopolmonare sempre più fattibile nel cane. Questa tecnica può venire utilizzata per il trattamento di cani con difetti congeniti o acquisiti. Per i dettagli sull’esecuzione di questa metodica si rimanda il lettore ai trattati di chirurgia cardiovascolare. Considerazioni preoperatorie Gli animali che richiedono un intervento di chirurgia cardiaca spesso si trovano a priori in uno stato di compromissione cardiovascolare che, quando possibile, deve essere stabilizzata con la terapia medica prima di indurre l’anestesia. L’insufficienza cardiaca congestizia, ed in particolare l’edema polmonare, vanno trattati con diuretici (ad es., furosemide) e ACE-inibitori (ad es., enalapril, lisinopril) prima dell’intervento. Bisogna riconoscere e trattare tutte le aritmie cardiache (si veda anche la parte relativa alle cure postoperatorie, più oltre). Prima dell’operazione è necessario sopprimere la tachicardia ventricolare con farmaci antiaritmici di classe I (ad es., lidocaina, procainamide). La lidocaina è efficace per il trattamento delle tachiaritmie ventricolari durante ed immediatamente dopo l’intervento. La tachicardia sopraventricolare può richiedere un trattamento preoperatorio con digossina, beta-bloccanti (ad es., esmololo, atenololo), o calcio-bloccanti (ad es., diltiazem). Prima dell’intervento bisogna anche controllare la fibrillazione atriale con digossina per diminuire la frequenza di risposta ventricolare portandola al di sotto di 140 battiti al minuto. Ciò può richiedere la somministrazione di beta-bloccanti o calcio-bloccanti se la digos- 136 sina da sola non diminuisce a sufficienza la frequenza ventricolare. Gli animali con bradicardia devono essere sottoposti ad un test preoperatorio di risposta all’atropina. Se la bradicardia non risponde alla somministrazione di questo farmaco, può essere necessario ricorrere all’inserimento di un pacemaker transvenoso temporaneo oppure alla somministrazione di isoproterenolo per infusione IV costante. La maggior parte degli animali deve essere sottoposta ad esame ecocardiografico prima degli interventi di cardiochirurgia, dal momento che una diagnosi incompleta o poco accurata può avere conseguenze devastanti. Grazie all’avvento dell’ecocardiografia Doppler non è più necessario ricorrere di routine alla cateterizzazione cardiaca prima di un intervento chirurgico sul cuore. STENOSI SUB-AORTICA Sino ad oggi, il trattamento chirurgico della stenosi subaortica (SAS) nel cane ha avuto successo a breve termine per ridurre il gradiente di pressione sistolica attraverso la valvola aortica, ma non si è dimostrato in grado di diminuire l’incidenza della morte improvvisa nella popolazione dei soggetti colpiti. Le segnalazioni di dilatazione transventricolare chiusa hanno dimostrato un marcato calo postoperatorio dei gradienti pressori, ma è comune la ricomparsa della stenosi, di solito entro tre mesi. Tale ricomparsa è compatibile con quanto segnalato in letteratura umana in seguito a dilatazione transventricolare. I risultati più promettenti ottenuti sinora sono stati riscontrati nelle tecniche che hanno preso in esame l’uso della circolazione extracorporea e della correzione chirurgica a cuore aperto. Il tradizionale approccio alla resezione della stenosi sottovalvolare è quello effettuato attraverso un’aortotomia praticata al di sopra degli osti coronarici. La lacerazione dell’incisione aortica durante la resezione è una delle potenziali complicazioni di questo approccio. Il difetto tipico è una membrana fibrosa isolata che risulta localizzata 1-5 mm al di sotto della base delle cuspidi della valvola aortica e si ribalta sulla cuspide settale della valvola mitrale proveniente dal setto. Questa porzione dell’anello deve essere asportata per ridurre adeguatamente il gradiente pressorio, ma bisogna fare attenzione a non danneggiare la valvola mitrale durante la resezione. Questa lesione è accompagnata da vari gradi di ipertrofia muscolare del setto interventricolare. In letteratura veterinaria è stata descritta la rimozione di sezioni a spessore parziale del setto ipertrofizzato (miectomia settale), ma non è stata dimostrata una significativa differenza della sopravvivenza utilizzando questa tecnica. A causa del perdurare del problema della ricorrenza tardiva della stenosi, nell’uomo sono state utilizzate tecniche alternative che prevedono la resezione di porzioni a tutto spessore del setto e la ricostruzione del difetto settale con un innesto a rattoppo. La vicinanza del sistema di conduzione è il principale motivo di preoccupazione quando si esegue una miectomia settale. Sino ad oggi, un cane con stenosi subaortica è stato sottoposto a bypass cardiopolmonare e correzione a cuore aperto di questo difetto presso la Texas A&M University. Il paziente presentava una grave SAS con un gradiente Doppler superiore a 200 mm Hg ed un’ipertrofia moderata o gra- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC ve del ventricolo sinistro, senza una significativa ectopia ventricolare o rigurgito mitrale. Attraverso una sternotomia mediana, è stata eseguita una ventricolotomia destra. Un’iniziale incisione nel setto ipertrofizzato ha consentito l’esplorazione del cono arterioso del ventricolo sinistro (LVOT, left ventricular outflow tract). È stata anche eseguita un’aortotomia per migliorare la visualizzazione di questo cono arterioso e della valvola aortica. È stata rimossa un’ampia porzione (1,5 x 2 cm) del setto dorsale e il tessuto fibroso sottovalvolare è stato asportato senza danneggiare la valvola mitrale. Il difetto del setto è stato riparato con pericardio autologo prelevato in sede intraoperatoria e trattato con glutaraldeide per migliorarne le caratteristiche di manipolazione. È stata eseguita una resezione a tutto spessore nel tentativo di alleviare la ricomparsa tardiva della stenosi, notata con le tecniche alternative di resezione a spessore parziale. Benché non sia stato confermato nel cane, ci si augura che ciò ritardi, come minimo, la progressione della malattia e diminuisca le probabilità di morte improvvisa. STENOSI POLMONARE Benché siano state osservate lesioni sopra- e sottovalvolari, la causa più comune della stenosi polmonare nel cane è la displasia valvolare. I cani con stenosi moderata o grave possono presentare fenomeni di sincope o alterazioni che conducono all’insufficienza cardiaca congestizia e sono a rischio di morte improvvisa. Se il gradiente pressorio è superiore ad 80 mm Hg, si deve prendere in considerazione il trattamento chirurgico o la valvuloplastica mediante palloncino. Quest’ultima può essere utile per le lesioni principalmente valvolari, ma può avere un’efficacia ridotta nei casi in cui è presente una significativa ipertrofia muscolare sottovalvolare. Sono state descritte recidive delle stenosi, presumibilmente dovute a cicatrizzazione. In alternativa, la tecnica di innesto a rattoppo utilizzando PTFE o Gortex può avere maggiori probabilità di assicurare una riduzione del gradiente pressorio di entità superiore e di maggiore durata, anche se non sono stati valutati in precedenza i dati relativi alla sopravvivenza. Le tecniche di innesto a rattoppo possono venire attuate mediante occlusione dell’afflusso venoso e lieve ipotermia; tuttavia, il ricorso alla circolazione extracorporea lascia a disposizione del chirurgo più tempo per applicare con precisione l’innesto e, quindi, può portare a migliori esiti postoperatori. I cani in cui alla stenosi polmonare contribuisce un’arteria coronaria aberrante non sono considerati candidati per la valvuloplastica mediante palloncino o per le tecniche di innesto a rattoppo, perché esiste il rischio di interferire con questo vaso coronarico. La chirurgia in questi animali richiede generalmente la circolazione extracorporea e l’applicazione di un condotto dal ventricolo destro all’arteria polmonare per aggirare la stenosi. DIFETTI DEL SETTO INTERVENTRICOLARE I difetti del setto interventricolare (VSD) sono al secondo posto in ordine di frequenza fra i difetti cardiaci congeniti nel 137 gatto e costituiscono il 5-10% del totale di quelli riscontrati nel cane. La maggior parte di queste anomalie nei piccoli animali si verifica a livello della porzione membranosa del setto stesso. I difetti perimembranosi sono localizzati nel setto membranoso, medialmente al lembo settale della tricuspide ed inferiormente alla cresta sopraventricolare. I difetti infundibolari o sopracrestali sono localizzati nel cono arterioso destro, superiormente alla cresta sopraventricolare. La fisiopatologia dei VSD dipende dalle dimensioni del difetto e dalla resistenza vascolare polmonare. Queste alterazioni provocano tipicamente uno shunt sinistra-destra. Un VSD tipico sovraccarica il cuore sinistro e, a seconda delle sue dimensioni e della sua localizzazione, può anche sovraccaricare il destro. Un difetto interventricolare di grandi dimensioni può evolvere in insufficienza cardiaca congestizia sinistra. La sovracircolazione cronica dei polmoni può essere causa di rimodellamento vascolare polmonare progressivo, che conduce a grave ipertensione polmonare e shunt ematico destra-sinistra (fisiologia di Eisenmenger). L’insufficienza aortica è un’anomalia secondaria abbastanza comunemente associata al VSD, in particolare a quello infundibolare. L’insufficienza aortica deriva dal prolasso di un lembo aortico nel difetto. Tale prolasso è dovuto al difetto di Venturi associato al flusso del difetto del setto interventricolare ed alla perdita di supporto dell’anello aortico. L’insufficienza aortica si aggiunge al sovraccarico volumetrico del ventricolo sinistro ed è solitamente progressiva. La chiusura definitiva mediante innesto a rattoppo del VSD può essere effettuata con l’aiuto della circolazione extracorporea nei cani di peso superiore a 4 kg. Un difetto interventricolare perimembranoso viene corretto dal lato destro attraverso un approccio tramite atriotomia destra. Un VSD infundibolare viene corretto attraverso una ventricolotomia destra, attraverso una toracotomia sinistra o una sternotomia mediana. I difetti atriali possono venire facilmente fissati utilizzando la circolazione extracorporea. Abbiamo effettuato interventi chirurgici in parecchi cani con difetti del setto interventricolare in cui abbiamo utilizzato pericardio fissato con glutaraldeide per la riparazione dell’apertura. La prognosi è generalmente eccellente. VALVULOPATIA MITRALE Benché la valvulopatia mitrale (MVD, mitral valve disease) sia la causa più comune di insufficienza cardiaca nel cane, non è ancora stata identificata alcuna terapia medica che ne ritardi o alteri la progressione. La riparazione o sostituzione delle valvole è diventata lo standard terapeutico nei pazienti umani con valvulopatia degenerativa cronica. Se possibile, la riparazione valvolare è ritenuta preferibile alla sostituzione perché elimina la necessità di attuare una terapia anticoagulante dopo l’intervento ed è meno costosa. A seconda dello stadio della malattia, sono disponibili una vasta gamma di tecniche di riparazione per migliorare le dinamiche della valvola. La rottura delle corde tendinee può venire riparata con suture in materiale sintetico (Gortex) per ripristinare il normale movimento dei lembi valvolari. Un intervento di Alferari (realizzazione di un “fiocco” o procedura in cui si applica una sutura fra il lembo valvolare anteriore e quello posteriore) può ridurre l’area di rigurgito e 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC garantire un supporto ai lembi valvolari ed alle corde tendinee. Generalmente è necessaria una anuloplastica che comporta l’applicazione di un anello di sintesi o di una sutura per ridurre le dimensioni dell’anello mitrale dilatato. Una volta che la funzione sistolica si sia deteriorata al punto da rendere essenziale un supporto inotropo continuo (diverso dalla digossina), la chirurgia mediante circolazione extracorporea per la riparazione della valvola mitrale diventa sostanzialmente più rischiosa. Presso il nostro ospedale, per essere considerati buoni candidati per la chirurgia della valvola mitrale i cani devono soddisfare i seguenti criteri: • non devono essere affetti da concomitanti malattie significative, quali nefropatia in stadio terminale, filariosi cardiopolmonare, insufficienza epatica, neoplasia metastatica, setticemia, ecc.. • Nel paziente deve essere stata confermata ecocardiograficamente la diagnosi di valvulopatia degenerativa cronica (CVD) senza presenza di concomitante grave malattia congenita quale stenosi subaortica, stenosi polmonare e difetti del setto interventricolare. L’anamnesi deve segnalare un edema polmonare cardiogeno (insufficienza cardiaca congestizia) con risposta radiografica alla terapia con diuretici ed il cane deve aver bisogno di un trattamento di mantenimento con diuretici. • La misurazione indiretta della pressione sistolica mediante metodo Doppler o Dynamap deve essere superiore a 100 mm Hg nell’animale sveglio e stabilizzato. • La funzione sistolica del ventricolo sinistro deve esser preservata. La funzione sistolica viene considerata entro i limiti normali nei cani con CVD se la dimensione interna del ventricolo sinistro durante la sistole (LVIDs) è entro i limiti normali per quel dato paziente. Questa 138 misurazione fa parte di un ecocardiogramma di routine in M-mode sotto guida 2-D. Come valore di riferimento si può utilizzare la seguente formula: 0,69 P (kg)0,41 = LVIDs media normale (cm). • Il cane non deve aver bisogno di un supporto inotropo continuo (fatta eccezione per la digossina). Nei 30 giorni precedenti, richiediamo l’esecuzione delle seguenti valutazioni preoperatorie di screening: • Esame emocromocitometrico completo, compreso il conteggio piastrinico • Profilo biochimico • Determinazione del gruppo sanguigno del cane • Radiografia toracica • Pressione sanguigna indiretta • Ecografia dell’addome • Ecocardiografia È necessario effettuare e rendere disponibili per la valutazione delle registrazioni video digitali o VHS dell’ecocardiogramma, che devono comprendere la visualizzazione 2-D standard dei piani dalla posizione parasternale destra e sinistra nonché le misurazioni in M-mode del ventricolo sinistro e dell’atrio sinistro/aorta. Indirizzo per la corrispondenza Theresa W. Fossum Tom and Joan Read Chair in Veterinary Surgery Director, Clinical Programs and Biomedical Devices, Michael E. DeBakey Institute Professor of Surgery, Texas A&M University College of Veterinary Medicine College Station, Texas 77843-4474 E-mail: [email protected] Tel: (979) 845-2351 - Fax: (979) 845-6978 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 139 Attuale approccio clinico diagnostico al cimurro del cane Gualtiero Gandini Med Vet, Dipl ECVN, Ozzano Emilia (BO) EZIOLOGIA ED EPIDEMIOLOGIA Nonostante sia una delle malattie della specie canina da più tempo conosciute, il cimurro del cane rappresenta ancora oggi per il medico veterinario una sfida diagnostica e clinica tutt’altro che risolta. Il cimurro, malattia sostenuta da un morbillivirus appartenente alla famiglia paramyxoviridae (RNA virus), è stato considerato per lungo tempo un vero e proprio flagello ed una delle prime cause di morte per la popolazione canina mondiale fino a quando, alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, l’introduzione di vaccini vivi attenuati aveva fatto sperare che la malattia fosse sotto controllo. In tempi recenti, nonostante l’incidenza della malattia sia stata fortemente abbattuta dall’impiego sistematico dei vaccini, il cimurro sembra essere segnalato con crescente frequenza nella popolazione canina. Il cimurro può colpire una notevole varietà di specie animali (tra cui tutti i Canidi, i Procionidi, i Mustelidi) e la gravità della malattia dipende in larga misura sia dalla capacità dell’ospite di mettere a punto una risposta immunitaria adeguata che dalla virulenza del ceppo. PATOGENESI DELLE LESIONI Sebbene il virus del cimurro sia considerato ascrivibile ad un solo sierotipo, sono ben conosciuti diversi ceppi caratterizzati da modeste differenze antigeniche ma da grande variabilità in termini di patogenicità. Il virus ha scarsa resistenza nell’ambiente e risente soprattutto delle alte temperature. L’infezione avviene perlopiù per contatto diretto attraverso l’aspirazione di aerosol infetto. Il virus diffonde dapprima ai linfonodi regionali e successivamente anche agli altri tessuti linfatici dell’ospite. Se questo non è in grado di sviluppare una risposta immunitaria adeguata il virus, attraverso i linfociti, raggiunge i tessuti di derivazione epiteliale, manifestando i segni clinici dell’infezione. La diffusione del virus nell’organismo è infatti sempre accompagnata da una fase immunosoppressiva. È ormai assodato che il tessuto nervoso è infettato precocemente (nella prima settimana) e lo sviluppo dei segni neurologici riflette l’incapacità del sistema immunitario dell’ospite di contrastare efficacemente il virus. I cani in grado di sviluppare una rapida risposta immunitaria generalmente guariscono senza strascichi sintomatologici, mentre quelli che sono in grado di sviluppare una risposta parziale o tardiva evolvono verso una cronicizzazione della malattia. I soggetti che soccombono sono quelli che non riescono a sviluppare per tempo adeguate difese immunitarie. Le lesioni a carico del SNC riconoscono diverse componenti: le più precoci risultano da un effetto degenerativo diretto del virus sia sui neuroni che sugli astrociti e gli oligodendrociti, mentre in un secondo momento (se il soggetto sopravvive) diventano evidenti lesioni infiammatorie a carico della sostanza bianca, dovute in parte alla montante risposta immunitaria. SINTOMATOLOGIA CLINICA I soggetti più sensibili all’infezione cimurrosa sono i cuccioli che hanno perduto la protezione anticorpale materna, anche se tutti i cani sono potenzialmente suscettibili alla malattia. Le diverse forme cliniche del cimurro rappresentano quindi la risultante della combinazione tra la virulenza del ceppo e le difese immunitarie dell’ospite. I cuccioli sprovvisti di immunità sono colpiti da una forma di encefalite/encefalomielite acuta, preceduta o meno dai classici segni sistemici a carico degli apparati respiratorio e digerente. Questa forma è quella ancor oggi di maggior riscontro nella pratica clinica. I segni neurologici dimostrano un coinvolgimento del prosencefalo e del tronco cerebrale e sono costituiti da crisi convulsive, alterazioni dello stato mentale, atassia, paresi, segni vestibolari, midriasi per la presenza di una neurite del nervo ottico. Il mioclono, o spasmo dei muscoli flessori, è un segno particolarmente indicativo di infezione cimurrosa, anche se non patognomonico. Si ritiene che questa contrazione ritmica e involontaria dei muscoli sia dovuta all’instaurarsi di una sorta di “pacemaker” autonomo a livello dei segmenti dei motoneuroni interessati. Il decorso è acuto e, quasi invariabilmente, fatale. È opportuno ricordare che questa forma può manifestarsi in cani giovani apparentemente vaccinati in modo corretto. In questi casi, l’immunità vaccinale può essere compromessa da una vaccinazione troppo precoce e/o non richiamata o da una inadeguata preservazione della catena del freddo che inattiva il vaccino vivo attenuato, particolarmente sensibile al calore. Una forma clinica a decorso cronico si manifesta saltuariamente nel cane adulto. Questa forma di encefalomielite cronica multifocale è probabilmente la risultante dell’azione di un ceppo meno virulento o della parziale incapacità delle difese immunitarie a impedire il coinvolgimento del tessuto nervoso. La capacità del virus di sopravvivere in alcune cellule del SNC (in particolare negli oligodendrociti) in virtù di una infezione “difettiva” che porta ad una ridotta espressio- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC ne delle proteine virali di membrana, sembra essere alla base di questa forma a sintomatologia protratta. La cronicizzazione e la lenta progressione appaiono legate all’azione operata dal sistema immunitario di “clearance” del virus, azione che provoca a sua volta significative lesioni del tessuto nervoso. La sintomatologia rivela soprattutto difficoltà deambulatorie, caratterizzate da atassia e paresi progressive, accompagnate a volte da segni vestibolari e cerebellari, con head tilt e difficoltà a mantenere l’equilibrio. Convulsioni e alterazioni dello stato mentale sono raramente riportate in questa sindrome, e spesso l’unico segno di disfunzione delle strutture prosencefaliche può essere rappresentato dall’assenza della risposta alla minaccia. Altre due forme cliniche del cimurro nel cane sono rappresentate dalla Encefalite sclerosante del cane anziano (old dog encephalitis) e dalla Encefalomielite cronica recidivante. Entrambe queste forme sono molto rare: la prima, caratterizzata da compulsione, circling, anteropulsione e demenza, non viene descritta come forma spontanea da diverso tempo; la seconda è stata riportata sporadicamente nell’aspetto di una remissione spontanea e successiva recidiva della sintomatologia. DIAGNOSI CLINICA E PROTOCOLLO DIAGNOSTICO La diagnosi intra vitam di cimurro del cane rappresenta ancora oggi un problema non sempre risolto, soprattutto in quei casi in cui è necessario avere, ad esempio per aspetti medico-legali, una conferma certa del sospetto clinico di cimurro. Se infatti molte volte la sintomatologia clinica è assai suggestiva dell’infezione cimurrosa, gli strumenti diagnostici non sono altrettanto efficaci nel confermarla in modo chiaro e univoco. La presenza in un cucciolo non vaccinato di una encefalite acuta, con convulsioni e mioclono, è senz’altro suggestiva di cimurro: accanto a questa vi sono comunque diverse situazioni in cui la conferma diagnostica non è altrettanto semplice, soprattutto per animali non più giovanissimi, con sintomi “atipici” e apparentemente vaccinati in modo corretto. La diagnosi di cimurro è quindi ottenuta dalla comparazione degli aspetti clinici e dei risultati di diverse procedure diagnostiche, tra cui è importante ricordare l’esame emocromocitometrico, l’esame del liquido cerebrospinale (LCS), la sierologia su sangue e LCS, l’applicazione di tecniche di immunofluorescenza, immunocitochimica e PCR (Polymerase Chain Reaction) per dimostrare direttamente la presenza del virus. Accanto alla valutazione neurologica, che porta spesso alla definizione dell’esistenza di un problema multifocale a carico del SNC, dovrebbero sempre essere eseguite, soprattutto nei casi acuti, tutte quelle indagini volte a rivelare la presenza, diretta o indiretta, del virus. In questo contesto, dovrebbe essere sempre eseguito un esame del fondo dell’occhio alla ricerca di una corioretinite, così come il prelievo di 140 materiale dal sacco congiuntivale o da lesioni cutanee per la ricerca, attraverso l’immunocitochimica o la PCR, del virus. Durante la fase acuta dell’infezione è sempre presente una transitoria leucopenia che può essere rivelata dall’esame emocromocitometrico, ma che scompare nei giorni successivi. In questa fase, dai leucociti è possibile isolare materiale del genoma virale utilizzando la PCR. Il profilo biochimico non mostra alterazioni di rilievo. L’esame del liquido cerebrospinale offre quadri diversi a seconda della presenza di una infezione acuta non ancora in fase infiammatoria o di una forma più cronica con risposta immunitaria da parte dell’ospite. Nel primo caso il LCS può essere addirittura normale o, in una minoranza di casi, caratterizzato da una modica pleocitosi di cellule mononucleate. Nelle forme più protratte, dove la risposta infiammatoria diventa significativa, il LCS si presenta con una pleocitosi di mononucleati (raramente mista) che non è mai di marcata entità ed un aumento consistente delle proteine. In entrambi i casi è raccomandabile una attenta valutazione citologica del vetrino in quanto, seppur raramente, è possibile rinvenire corpi inclusi citoplasmatici eosinofili. Sul LCS può essere determinata la frazione degli anticorpi anticimurro che, in caso positivo, testimoniano una risposta umorale intratecale contro il virus di rilevante significato clinico. Analogamente a quanto affermato per il sangue, anche i mononucleati del LCS possono essere il substrato per la ricerca del virus attraverso la PCR. PROGNOSI, DECORSO E TERAPIA La prognosi della malattia è sempre estremamente riservata: sia le forme acute che croniche del cimurro nervoso progrediscono più o meno rapidamente fino all’exitus spontaneo o producono deficit neurologici di entità tale da richiedere l’eutanasia del soggetto. In una minoranza di casi si può comunque assistere ad una stabilizzazione della sintomatologia che può essere compatibile con la vita dell’animale. La terapia delle forme nervose è puramente sintomatica ed è limitata all’uso di farmaci anticonvulsivanti in quei casi in cui sono presenti crisi convulsive. La conferma della malattia avviene al tavolo anatomopatologico dove, oltre alle caratteristiche lesioni a carico della sostanza grigia e bianca, è possibile dimostrare la presenza del virus utilizzando specifiche colorazioni immunoistochimiche. Bibliografia disponibile a richiesta presso l’autore. Indirizzo per la corrispondenza: Gualtiero Gandini Dipartimento Clinico Veterinario Via Tolara di Sopra, 50 - 40064 - Ozzano Emilia (BO) Tel. 051 2097591 - Fax 051 2097593 E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 141 Encefaliti atipiche del cane Gualtiero Gandini Med Vet, Dipl ECVN, Ozzano Emilia (BO) Le malattie infiammatorie del Sistema Nervoso Centrale (SNC) rappresentano, nonostante i grandi progressi compiuti dalla neurologia veterinaria negli ultimi decenni, ancora un settore che mantiene numerosi aspetti oscuri o quantomeno dibattuti. Obiettivo di questa lezione è affrontare in modo sistematico e consequenziale l’approccio alle encefaliti di riscontro meno frequente che colpiscono la specie canina. Le malattie infiammatorie del SNC che colpiscono il cane sono da ascriversi ad eziologie virali, batteriche, protozoarie, così come a forme infiammatorie non infettive. CARATTERISTICHE CLINICHE DELLE ENCEFALITI E DELLE MENINGOENCEFALITI DEL CANE In neurologia, la sintomatologia clinica è di norma legata nella sua espressione alla regione neuroanatomica colpita e, di conseguenza, i quadri sintomatologici sono assai diversi in base alle strutture anatomo-funzionali interessate dal processo patologico. È pertanto difficile tracciare un profilo sintomatologico comune delle malattie infiammatorio-infettive in quanto, per la loro stessa natura, possono colpire diverse strutture del SNC. Nonostante ciò possono però essere individuati alcuni tratti comuni a questa categoria di malattie. Le malattie infiammatorio-infettive possono colpire soggetti di qualsiasi età e, caratteristicamente, presentano un esordio perlopiù acuto ed un decorso a carattere progressivamente ingravescente. All’esame neurologico sono frequenti i reperti di alterazioni a carico delle funzioni del tronco cerebrale e del prosencefalo. Queste sono testimoniate rispettivamente da alterazioni dei nervi cranici, dell’andatura, della propriocezione e dalla presenza di convulsioni, di alterazioni del temperamento e della risposta alla minaccia. I quadri clinici possono differire anche per la gravità del corredo sintomatologico, che può esprimersi sia con lievi alterazioni delle funzioni colpite che con deficit tali da mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’animale. Il coinvolgimento delle meningi è testimoniato dalla presenza di dolore rachideo più o meno diffuso, ma di norma particolarmente evidente a livello del rachide cervicale. In presenza di malattie infiammatorie del SNC, la localizzazione neuroanatomica della lesione all’esame clinico è di norma una localizzazione multifocale. IPOTESI CLINICHE DIAGNOSTICO-DIFFERENZIALI In presenza di una localizzazione multifocale e del sospetto di una eziologia infiammatoria/infettiva, le diagnosi differenziali cliniche devono prendere in considerazione un vasto panorama di malattie più o meno frequentemente segnalate e di non sempre facile identificazione. Se le meningoencefaliti batteriche sono scarsamente rappresentate nella specie canina, altro rilievo presentano invece le forme virali, fungine e protozoarie. Particolare importanza è poi rivestita dalle forme cosiddette “sterili”, dove l’infiammazione del SNC non riconosce l’azione documentata di nessun agente infettivo. Oltre al cimurro, ampiamente trattato in altra sede, le malattie virali che colpiscono il SNC del cane sono abbastanza rare e possono essere sintetizzate nell’herpesvirus della Malattia di Aujeszky, nei flavivirus della tick-borne encephalitis e nel virus della rabbia. Più numerose, seppur a incidenza sporadica, sono invece le forme fungine e protozoarie che possono rendersi responsabili di forme a carico del SNC. Tra le prime devono essere annoverate la criptococcosi, la istoplasmosi, la blastomicosi e la aspergillosi. Tra le forme protozoarie, particolare importanza rivestono la toxoplasmosi e la neosporosi; sporadicamente sono stati segnalati casi di sarcocistosi, encefalitozoonosi e babesiosi. Al presente, in Italia non sono segnalate forme ascrivibili a rickettsiosi, quali la Ehrlichiosi e la Febbre delle Montagne Rocciose. Tra le forme “sterili” sono riconosciute le forme di meningoencefalite granulomatosa (GME), meningoencefalite eosinofilica e di encefalite necrotizzante del Carlino e dello Yorkshire. Accanto a queste forme, sono poi variamente riportate in letteratura testimonianze di infiammazione dell’encefalo ad eziologia non determinata. PROTOCOLLO DIAGNOSTICO I passi diagnostici successivi, finalizzati alla conferma del sospetto di malattia infiammatoria del SNC e alla sua individuazione eziologica, comprendono essenzialmente l’esecuzione di esami del sangue, ma soprattutto dell’esame del liquido cerebrospinale (LCS). Altri ausili diagnostici, quali la diagnostica per immagini avanzata (Tomografia Computerizzata e Risonanza Magnetica Nucleare) trovano ragione di essere nella conferma o nell’esclusione di altre ipotesi cliniche diagnostico-differenziali. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC L’esame emocromocitometrico ed il profilo biochimico non presentano quasi mai alterazioni significative, in quanto la maggior parte delle malattie infiammatorie del SNC decorre senza un apprezzabile interessamento sistemico. Gli esami del sangue rivestono importanza soprattutto nel settore della sierologia, dove si possono dimostrare di estrema utilità per rilevare presenza di anticorpi contro agenti eziologici quali, ad esempio, cimurro, toxoplasma, neospora, flavivirus. Il prelievo e l’analisi del liquido cerebrospinale (LCS) rappresentano uno degli strumenti diagnostici più importanti nell’approccio alle malattie infiammatorie del SNC. Dal punto di vista patogenetico, queste malattie sono accomunate dall’infiltrazione di leucociti provenienti dal circolo ematico nelle strutture del SNC e dalla possibile compresenza di alterazioni della membrana ematoencefalica. Entrambi questi aspetti possono essere documentati nelle alterazioni della composizione del LCS, in particolare nell’aumento della componente proteica e cellulare. Nella maggioranza dei casi, la presenza di un aumento del numero di cellule (pleocitosi) nel LCS, associata di solito anche ad un aumento delle proteine, permette in primis di confermare il sospetto di una malattia infiammatoria del SNC, ed in seguito di orientare ulteriormente la diagnosi verso una specifica malattia. Da questa finalità deriva l’importanza di determinare la quantità e il tipo di cellule presenti nel LCS. Le pleocitosi marcate riflettono di norma non solo l’interessamento del tessuto nervoso, ma anche della componente meningea. La GME e in genere le meningoencefaliti sono accompagnate da una pleocitosi molto più marcata rispetto ad una encefalite/encefalomielite pura, quale appunto il cimurro del cane. Anche il tipo di popolazione cellulare rappresentata nel LCS riveste notevole importanza diagnostica: con le debite eccezioni, si può affermare che una pleocitosi neutrofilica è associata a forme francamente meningee o a meningoencefaliti batteriche; una pleocitosi di cellule mononucleate accompagna le encefaliti virali. Di rara occorrenza sono le pleocitosi eosinofiliche, legate perlopiù a meningoencefaliti parassitarie o idiopatiche. Le pleocitosi miste sono quelle di più frequente riscontro e sono associate a forme di GME e a meningoencefaliti protozoarie e fungine. Il liquido cerebrospinale è un substrato che permette anche di effettuare indagini più specifiche e mirate. I criptococchi, ad esempio, possono essere apprezzati direttamente all’esame microscopico sul vetrino. Se la componente proteica è aumentata, è possibile determinare gli anticorpi prodotti nei confronti di alcuni agenti, ad esempio virali e protozoari. Di recente introduzione sul liquido cerebrospinale è l’applicazione della tecnica di PCR per determinare la presenza di DNA o RNA appartenenti a strutture estranee all’ospite. Questa tecnica sembra essere molto promettente nella diagnosi eziologica intra vitam di alcune malattie che, come il cimurro del cane, fino ad ora hanno avuto conferma solo all’esame neuropatologico. 142 La diagnostica per immagini, ed in particolare la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), al presente è utile soprattutto per escludere dalle ipotesi diagnostico-differenziali altre categorie di malattie. Va però sottolineato che anche nel settore veterinario la RMN, in parallelo con i progressi ottenuti nel rilevare e definire gli aspetti delle lesioni infiammatorie, sta trovando un proprio ruolo nella diagnosi di queste malattie del SNC. DECORSO E POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE Nonostante i progressi compiuti nel settore, la diagnosi e, di conseguenza, la terapia delle malattie infiammatorie del SNC del cane presenta ancora molti aspetti non chiariti e, per certi versi, frustranti. Per definizione, in mancanza di adeguata terapia, la progressione dei sintomi clinici è continua e ingravescente. Esiste tuttavia una discreta serie di testimonianze, non solo aneddotiche, di affezioni infiammatorie del SNC autolimitanti o addirittura a remissione spontanea. Ciò farebbe presupporre, soprattutto per le forme cosiddette “sterili”, la possibilità che queste derivino da “insulti” al SNC limitati nel tempo e non sempre necessariamente progressivi. Va comunque sottolineato che la prognosi in caso di encefalite di qualsiasi natura è sempre fortemente riservata: la maggior parte delle encefaliti risponde parzialmente alle terapie, che sovente non fanno altro che procrastinare, in modo non sempre sostanziale, l’exitus. Non potendo sempre arrivare ad una diagnosi definita, anche le scelte terapeutiche sono spesso orientate in base ad elementi diagnostici non conclusivi. Aldilà delle “ovvie” terapie eziologiche, instaurate ogni qual volta possibile e non trattate in questa sede per limiti di spazio, le malattie infiammatorie del SNC possono mostrare una remissione (o quantomeno una attenuazione) sintomatologica a seguito di terapia con corticosteroidi, somministrati a dosaggi prima immunosoppressivi e, in seguito, antinfiammatori. Questo è particolarmente vero per le infiammazioni “sterili” o “idiopatiche” del SNC. La terapia corticosteroidea deve comunque essere instaurata in base ad un preciso sospetto diagnostico e solo dopo aver effettuato il prelievo e l’analisi del LCS. Ben nota è infatti la capacità dei corticosteroidi di attenuare o addirittura annullare le alterazioni infiammatorie del LCS, con indubbie ripercussioni negative sulla possibilità di ottenere informazioni di utilità diagnostica. Bibliografia disponibile a richiesta presso l’autore. Indirizzo per la corrispondenza: Gualtiero Gandini - Dipartimento Clinico Veterinario Via Tolara di Sopra, 50 - 40064 - Ozzano Emilia (BO) Tel. 051 2097591 - Fax 051 2097593 E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 143 La prima visita del cucciolo e del gattino: un’opportunità per il Medico Veterinario Sabrina Giussani Med Vet, Comp ENVF, Busto Arsizio (VA) L’osservazione del comportamento del cane e del gatto riscuote un sempre maggiore interesse da parte del proprietario. È opportuno che il Medico Veterinario effettui una consultazione comportamentale volta a seguire da vicino l’integrazione del cucciolo e del gattino nel gruppo famigliare. La realizzazione di tale consultazione permette la prevenzione e la terapia di alcune patologie comportamentali relative al periodo dello sviluppo e la prevenzione di quelle dell’età giovanile. La visita comportamentale La consultazione comportamentale è rivolta al cucciolo e al gattino di due - tre mesi di età. La visita si articola in più fasi: • la descrizione dei sistemi di comunicazione; • l’osservazione del comportamento; • effettuare una corretta adozione; • conoscere il mondo; • la messa a punto di alcuni apprendimenti fondamentali per una serena convivenza con gli esseri umani: il comportamento eliminatorio e le prime regole all’arrivo in casa per quanto riguarda il cucciolo; • la messa a punto di alcuni apprendimenti fondamentali per una serena convivenza con gli esseri umani: la cassetta igienica e i graffiatoi, l’arricchimento ambientale e il trasporto in automobile per quanto riguarda il gattino. Le condizioni indispensabili per mettere in atto un programma educativo efficace sono l’assenza di patologie del comportamento e una comunicazione coerente tra il proprietario, il cane e il gatto. facilmente lo stress legato alla separazione dalla madre e al cambiamento di ambiente. Il cucciolo: imparare ad evacuare nell’ambiente esterno Il cucciolo fino all’età di circa quattro mesi è in grado di trattenere le deiezioni solo per pochi minuti poiché la competenza degli sfinteri non è ancora acquisita. L’utilizzo di giornali e pannoloni può favorire un apprendimento non corretto. È necessario condurre il piccolo nell’ambiente esterno ogni ora circa, soprattutto immediatamente dopo ogni sonnellino, ogni pasto o al termine di un gioco. Per favorire l’apprendimento il proprietario dovrà accompagnare il cucciolo e ricompensarlo con un bocconcino appetitoso al termine di ogni evacuazione eseguita correttamente. Il gattino: l’arricchimento ambientale L’arricchimento ambientale è fondamentale per il gattino che vive all’interno di un appartamento e che non ha la possibilità di accedere all’ambiente esterno. I giochi devono permettere al piccolo di svolgere un’attività di caccia: scatole con alcuni fori contenenti topolini giocattolo, giochi in elevazione, tunnels, oggetti appesi ricoperti da piume e così via. È opportuno ricordare che i giochi di eccitazione come ad esempio giocare con le mani o con i piedi, inseguire le ombre, i riflessi od i raggi laser proiettati sul muro, devono essere evitati. Il gattino: il trasporto in automobile L’adozione del cucciolo e del gattino Il cucciolo e il gattino dovrebbero essere adottati intorno all’8° - 9° settimana di vita. Per favorire un corretto sviluppo comportamentale è fondamentale che il piccolo rimanga con la madre fino al momento dell’adozione. A partire dalla terza settimana di età del piccolo, la madre svolge un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’apprendimento degli autocontrolli. Per favorire l’inserimento del piccolo nella nuova abitazione è opportuno utilizzare i feromoni di sintesi (DAP e Feliway diffusore): il cucciolo e il gattino supereranno più Per viaggiare in automobile è necessario che il gatto si abitui ad entrare con tranquillità nel trasportino. Nel trasportino si devono collocare giochi e croccantini in modo da invitare il piccolo ad utilizzarlo. Prima di effettuare un viaggio per andare dal Medico Veterinario, è necessario vaporizzare nel trasportino i feromoni di identificazione di sintesi (Feliway vaporizzatore). Questa operazione deve essere realizzata all’esterno dell’abitazione: il proprietario spruzzerà il prodotto per due o tre volte nel trasportino, lo lascerà all’esterno per circa venti minuti ed in seguito vi collocherà il piccolo. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Conclusioni Sempre più frequentemente il proprietario si rivolge al Medico Veterinario ancora prima di acquistare un animale da compagnia. La visita pre - adozione costituisce un momento fondamentale per quanto riguarda la nascita di un futuro legame uomo - animale pienamente soddisfacente per entrambe le parti. Il Medico Veterinario diviene così il principale referente anche per quanto riguarda le patologie comportamentali e non solo per le patologie organiche. Bibliografia Colangeli R., Giussani S. - “Medicina comportamentale del cane e del gatto” - Poletto editore, Gaggiano, 2004. Dehasse J., - “L’educazione del gatto” - Alberto Perdisa Editore, Bologna, 2001. 144 Giussani S. - “L’educazione del cucciolo e del gattino… il ruolo del Medico Veterinario Generalista” - il Chirone, Organo ufficiale pro tempore della federazione degli ordini dei Medici Veterinari della Lombardia, 2001. Giussani S., Colangeli R., Fassola F. - “L’uso dei feromoni nella terapia comportamentale del cane. Esperienze cliniche. ” - Rivista di zootecnia e veterinaria pp 13 - 34 Volume 30 n° 2 Luglio - Dicembre 2002. Giussani S., Colangeli R., Fassola F. - “Approccio clinico all’utilizzo della feromonoterapia nel cane. ” - Rivista di zootecnia e veterinaria pp 35 - 45 Volume 30 n° 2 Luglio - Dicembre 2002. Giussani S., Colangeli R., Fassola F. - “L’uso dei feromoni nella terapia comportamentale del gatto. Esperienze cliniche. ”- Rivista di zootecnia e veterinaria pp 13 - 34 Volume 31 n° 1 Gennaio - Giugno 2003. Giussani S., Colangeli R., Fassola F. - “Approccio clinico all’utilizzo della feromonoterapia nel gatto. ” - Rivista di zootecnia e veterinaria pp 35 - 45 Volume 31 n° 1 Gennaio - Giugno 2003. Pageat P. - “La patologia comportamentale del cane” - Edizione Le Point Veterinaire Italie, Milano 2000. Indirizzo per la corrispondenza: Sabrina Giussani - E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 145 Il comportamento alimentare nel cucciolo e nel cane adulto Sabrina Giussani Med Vet, Comp ENVF, Busto Arsizio (VA) INTRODUZIONE Il cane è un animale sociale: vive all’interno di un gruppo, instaura relazioni di collaborazione con i partner sociali e organizza la propria vita grazie a regole gerarchiche. Il cucciolo deve apprendere tali regole per comunicare ed interagire correttamente con i componenti della propria famiglia. Il cibo riveste un ruolo di estrema importanza per quanto riguarda la creazione della struttura gerarchica all’interno del gruppo uomo - cane. I PERIODI SENSIBILI Durante il periodo prenatale l’embrione possiede alcune competenze sensoriali: la sensibilità tattile è presente intorno al quarantacinquesimo giorno di gravidanza mentre alcuni Autori riportano la possibilità di indurre una preferenza alimentare nei cuccioli modificando la dieta della madre. Durante questo periodo l’embrione è in contatto con le stimolazioni ambientali che vengono avvertite dalla gestante. Le emozioni della madre, grazie all’intervento di mediatori neuroendocrini, sono percepite dall’embrione: le contrazioni uterine e dell’apparato gastroenterico che si verificano in seguito a situazioni stressanti sono avvertite grazie alla sensibilità tattile. L’embrione, inoltre, è in grado di reagire alle manipolazioni effettuate a carico dell’utero materno. Osservazioni ecografiche hanno permesso di evidenziare movimenti di ripiegamento su di sé dell’embrione che tendono ad attenuarsi fino a sparire in seguito a palpazioni ripetute a carico delle corna uterine. Per migliorare la tolleranza al contatto dei cuccioli è consigliabile accarezzare e massaggiare ripetutamente il ventre della partoriente, soprattutto nell’ultimo terzo della gravidanza. È inoltre necessario evitare le situazioni stressanti come ad esempio il trasferimento presso l’allevatore o l’isolamento della femmina in una stanza dell’abitazione in vista del parto. Numerose osservazioni hanno evidenziato che alcune sostanze alimentari presenti nella dieta della madre saranno in seguito ricercate dai piccoli e serviranno come criterio di riconoscimento degli alimenti. Cinque femmine gravide sono state divise in due gruppi e ad un gruppo lo sperimentatore ha aggiunto alla dieta venti gocce di essenza di timo. Alla nascita dei cuccioli una mammella su due è stata cosparsa di essenza di timo: tutti i cuccioli che fanno parte del lotto test hanno ricercato attivamente la mammella con il timo, mentre per gli altri questo parametro non ha avuto alcuna influenza. Il periodo neonatale si estende dalla nascita all’apertura degli occhi da parte dei cuccioli, che normalmente avviene intorno al decimo - sedicesimo giorno di vita. Durante il periodo neonatale “ogni desiderio dei cuccioli è un ordine”: la madre soddisfa immediatamente ogni richiesta alimentare. Grazie alla nascita del legame di attaccamento primario, intorno alla terza settimana di vita, la madre diviene un polo rassicurante. In occasione dell’esplorazione dell’ambiente circostante il piccolo si avvicina alla madre in seguito alla percezione di una situazione di pericolo e i feromoni di appagamento secreti a livello del solco intermammario stabilizzano la risposta emozionale dei cuccioli, tranquillizzandoli e rilanciandone il comportamento esploratorio. Grazie all’esplorazione è quindi possibile la memorizzazione di oggetti, di suoni, di odori e la messa in atto dell’omeostasi sensoriale (equilibrio che si instaura tra un individuo e l’ambiente in cui vive e che consiste nell’assenza di risposte emozionali e motorie al di sotto della stimolazione media presente). Il periodo di socializzazione inizia intorno alla terza settimana di vita del cucciolo e si conclude alla dodicesima settimana circa. È caratterizzato dalla socializzazione primaria, dall’acquisizione degli autocontrolli e dalla gerarchizzazione alimentare. La socializzazione primaria comporta l’acquisizione e la messa in atto di sistemi di comunicazione tra il cane ed altre specie (socializzazione interspecifica) e tra il cane e i conspecifici (socializzazione intraspecifica). In questo modo gli esseri umani, i gatti o gli altri animali saranno “conosciuti” e considerati come “non pericolosi”. Intorno all’età di 4 - 5 settimane i piccoli effettuano giochi di lotta corpo a corpo che consistono nell’emissione di vocalizzi e in “mordicchiamenti”. L’eccitazione provocata dal gioco porta ad aumentare l’intensità del morso fino a provocare un grido di dolore da parte del compagno. La madre interviene mettendo in atto le punizioni etologiche: afferra alla collottola, schiaccia a terra il cucciolo che ha esagerato oppure lo obbliga a rimanere a pancia all’aria per qualche secondo. Inoltre, in occasione di corse sfrenate, abbai ripetuti o vocalizzi, obbliga il cucciolo a rimanere fermo (utilizzando le punizioni di cui sopra) fino ad ottenerne il rilassamento. Nelle settimane che seguono lo svezzamento alimentare (all’incirca intorno alla quarta - quinta settimana di età) i cuccioli perdono il diritto di accesso prioritario al cibo: la madre, di fronte alla ciotola piena, li respinge violentemente ringhiando fino a quando non ha terminato di mangiare la propria parte della razione. Rapidamente i cuccioli imparano a rispettare l’ordine di 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC accesso al cibo: gli adulti, siano cani o esseri umani, hanno il diritto di “servirsi per primi”. Inoltre apprendono le posture di “appagamento” mentre si avvicinano alla ciotola colma: le orecchie abbassate, la coda sotto di sé, il leccamento delle labbra dell’adulto. In seguito alla corretta gerarchizzazione alimentare i cuccioli non mostreranno alcun comportamento aggressivo in occasione della somministrazione della razione e dell’avvicinamento alla ciotola da parte dei futuri proprietari. La mancata gerarchizzazione alimentare può essere alla base di una patologia del comportamento (La Dissocializzazione Primaria). LA PUBERTÀ Nella società canina esiste una gerarchia piramidale dove al vertice si pongono una coppia costituita da un maschio e da una femmina: il maschio occupa una posizione di rilievo in relazione agli altri maschi presenti nel gruppo, così come la femmina per quanto riguarda le altre femmine. In seguito al distacco il cucciolo diventa adulto e si inserisce nella struttura gerarchica del gruppo. Il possesso dei “privilegi” indicherà al piccolo la figura del leader: l’accesso prioritario al cibo, l’occupazione di luoghi di riposo strategici, la gestione dei contatti sociali e l’ostentazione della sessualità. Il cibo riveste un ruolo di estrema importanza per quanto riguarda la creazione della struttura gerarchica all’interno del gruppo uomo - cane. In natura il maschio e la femmina che occupano il vertice della scala gerarchica consumano il pasto per primi, lentamente, mentre i componenti del gruppo rimangono a guardarli ad una certa distanza. Successivamente si allontanano e gli altri possono mangiare velocemente, in quanto il maschio e la femmina potrebbero avere ancora fame. All’interno della nuova famiglia, al fine di consentire la nascita di una struttura gerarchica in cui il vertice è occupato dal proprietario, il cucciolo dovrà consumare il proprio pasto dopo il termine della colazione, del pranzo e della cena dei proprietari. La ciotola rimarrà a disposizione per venti minuti circa e poi sarà ritirata fino al pasto successivo. Se il proprietario lo desidera è possibile 146 raccogliere alcuni “bocconcini” durante la colazione, il pranzo o la cena e somministrarli al cucciolo nella ciotola al termine del pasto del proprietario stesso. La non corretta gestione dei privilegi sociali predispone all’insorgenza di una patologia del comportamento (La Sociopatia). LA MEDICINA COMPORTAMENTALE La medicina comportamentale indaga, durante la visita comportamentale, anche il comportamento alimentare. Secondo il modello proposto dal Dottor P. Pageat, il comportamento alimentare è definito come un comportamento centripeto e permette di evidenziare la presenza di alterazioni emozionali e la percezione della posizione gerarchica del cane all’interno del gruppo sociale. Il Medico Veterinario si interesserà alla composizione del pasto, all’ora del pasto in relazione al pranzo e alla cena dei proprietari, alle fluttuazioni dell’appetito, all’organizzazione sociale del pasto e alla presenza del comportamento di aggressione. Bibliografia Colangeli Raimondo, Giussani Sabrina - “Medicina comportamentale del cane e del gatto” - Poletto editore, Gaggiano 2004. Dramard Valérie - “Les troubles de l’homéostasie sensorielle” - Mémoire pour l’obtention du titre de Vétérinaire Comportementaliste des ENV Française. Gaultier Emmanuel - “La communication canine” - Actes de Cours de Formation pour l’obtention du titre de Vétérinaire Comportementaliste des ENV Française Toulouse Maggio 2000. Giussani Sabrina - “L’educazione del cucciolo e del gattino… il ruolo del Medico Veterinario Generalista” - il Chirone pp 24 - 32 Organo ufficiale pro tempore della federazione degli ordini dei Medici Veterinari della Lombardia 2001. Pageat Patrick- “La patologia comportamentale del cane” - Edizione Le Point Veterinaire Italie Milano 2000. Indirizzo per la corrispondenza: Sabrina Giussani E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 147 La prevenzione di alcune patologie del comportamento durante le prime visite vaccinali Sabrina Giussani Med Vet, Comp ENVF, Busto Arsizio (VA) INTRODUZIONE Le prime visite vaccinali rappresentano un’importante occasione per effettuare non solo un bilancio sanitario ma anche comportamentale. Il periodo di socializzazione, infatti, non è ancora terminato e la plasticità comportamentale che lo caratterizza permette al cucciolo di perfezionare alcuni apprendimenti e di modificarne altri. Inoltre una visita di controllo al raggiungimento della pubertà permetterà di valutare il distacco dalla madre e il corretto inserimento gerarchico del cane all’interno del gruppo famigliare. È opportuno ricordare che il Medico Veterinario rappresenta la sola figura professionale competente in materia di prevenzione delle patologie del comportamento in quanto in grado di effettuare una diagnosi differenziale in relazione alla possibile origine organica dei sintomi rilevati. IL PERIODO DI SOCIALIZZAZIONE (terza settimana - terzo mese) Il periodo di socializzazione è il più complesso tra i periodi sensibili che caratterizzano lo sviluppo comportamentale del cucciolo. Inizialmente la rete di connessioni sinaptiche è ridondante ma a partire dalla 7a settimana di età le sinapsi immature vanno incontro ad involuzione. Questo processo termina intorno al terzo mese di vita e tutte le esperienze (il contatto con esseri umani, con altri cani o gatti, il rumore di un camion e così via) effettuate fino a quel momento vengono classificate come conosciute e quindi non pericolose e permarranno nella memoria del piccolo. Grazie all’insegnamento materno sono appresi e perfezionati gli autocontrolli (controllo del morso e della motricità), la comunicazione con i conspecifici e la gerarchizzazione alimentare. Il periodo di socializzazione Gli autocontrolli Intorno all’età di 4 - 5 settimane i piccoli effettuano giochi di lotta corpo a corpo che consistono nell’emissione di vocalizzi e in mordicchiamenti. L’eccitazione provocata dal gioco porta ad aumentare l’intensità del morso fino a provocare un grido di dolore da parte del compagno. La madre interviene mettendo in atto le punizioni etologiche: afferra alla collottola, schiaccia a terra il cucciolo che ha esagerato oppure lo obbliga a rimanere a pancia all’aria per qualche secondo. Inoltre, in occasione di corse sfrenate, abbai ripetuti o vocalizzi, obbliga il cucciolo a rimanere fermo (utilizzando le punizioni di cui sopra) fino ad ottenerne il rilassamento. La comunicazione Il cucciolo durante il periodo di socializzazione impara a comunicare utilizzando i differenti canali sensoriali: tattile, olfattivo (i feromoni), uditivo e visivo. I messaggi trasmessi ai conspecifici saranno così correttamente interpretati e costituiranno la base della socializzazione intraspecifica. La gerarchizzazione alimentare Nelle settimane che seguono lo svezzamento alimentare i cuccioli perdono il diritto di accesso prioritario al cibo: la madre, di fronte alla ciotola piena, li respinge violentemente ringhiando fino a quando non ha terminato di mangiare la propria parte della razione. Rapidamente i cuccioli imparano a rispettare l’ordine di accesso al cibo: gli adulti, siano cani o esseri umani, hanno il diritto di “servirsi per primi”. Inoltre apprendono ad emettere delle posture di “appagamento” mentre si avvicinano alla ciotola colma: le orecchie abbassate, la coda sotto di sé, il leccamento delle labbra dell’adulto. In seguito alla corretta gerarchizzazione alimentare i cuccioli non mostreranno alcun comportamento aggressivo in occasione della somministrazione della razione e dell’avvicinamento alla ciotola da parte dei futuri proprietari. LA PUBERTÀ (6-7 mesi/1,5 anni a seconda della taglia) Il periodo pubertario, grazie alle modificazioni ormonali in atto, è a tutti gli effetti un periodo sensibile. L’autonomia comportamentale e sociale del cucciolo è completa: il distacco è realizzato e avviene l’inserimento nella gerarchia del gruppo sociale. Tutti gli apprendimenti realizzati nei periodi sensibili devono essere ben consolidati: l’acquisizione degli autocontrolli, la socializzazione intra e interspecifica e le regole gerarchiche. La pubertà Il distacco A partire dall’eruzione dei denti da latte inizia il distacco, caratterizzato dalla rottura del legame di attaccamento primario. La madre allontana attivamente i cuccioli, dapprima i maschi e in seguito le femmine, permettendo l’autonomia comportamentale e la nascita di un attaccamento dei piccoli al gruppo sociale. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC La gerarchia Il cane è un animale sociale e considera la famiglia in cui vive come un “branco” in cui si possono distinguere una coppia (un maschio e una femmina) che svolge il ruolo di capogruppo e altri individui che, invece, svolgono ruoli più marginali. Il capogruppo è eletto “a pieni voti” dai componenti della famiglia (non assume il potere grazie alla forza fisica) e mantiene il proprio ruolo grazie “ai privilegi” posseduti. Durante la crescita (a partire dallo svezzamento) il cucciolo troverà il “proprio posto” all’interno del “branco” alla pubertà (all’età di circa 6 - 7 mesi nelle razze di piccola e media taglia mentre nelle razze di taglia grande a 12 - 15 mesi) avverrà l’inserimento gerarchico. In natura i “privilegi” del capogruppo riguardano il comportamento alimentare, il controllo dello spazio, i rapporti sociali e il comportamento sessuale. LA PRIMA VISITA VACCINALE Durante la prima visita vaccinale il Medico Veterinario, grazie all’osservazione del comportamento del cucciolo libero in ambulatorio e alle domande poste al proprietario, effettuerà un primo bilancio comportamentale. Inoltre, verranno elargite informazioni relative alla messa a punto di alcuni apprendimenti fondamentali per una serena convivenza con gli esseri umani. 148 Il cucciolo agitato Distrugge numerosi oggetti i presenza e in assenza del proprietario Mordicchia le mani provocando ferite dolorose Gioca e si stanca con difficoltà È sempre in movimento Il cucciolo aggressivo Comportamento di aggressione nei pressi della ciotola Comportamento di aggressione in occasione di ogni tentativo di controllare il cucciolo Assenza della postura di sottomissione Mordicchia le mani provocando ferite dolorose LA SECONDA VISITA VACCINALE L’osservazione del comportamento del piccolo libero in ambulatorio e il bilancio comportamentale permetteranno al Medico Veterinario di valutare la qualità dello sviluppo comportamentale del cucciolo. Inoltre saranno elargite informazioni relative alla messa a punto di alcuni apprendimenti fondamentali per una serena convivenza con gli esseri umani. La seconda visita vaccinale La prima visita vaccinale Il bilancio comportamentale L’acquisizione degli autocontrolli, la gerarchizzazione alimentare, la socializzazione intra e interspecifica, l’omeostasi sensoriale L’educazione Il comportamento eliminatorio, i premi e le punizioni, il comportamento alimentare, il luogo di riposo, le passeggiate L’osservazione del comportamento del cucciolo e il bilancio comportamentale permettono al Medico Veterinario di evidenziare precocemente i sintomi che potrebbero fare capo a patologie del comportamento come la Sindrome da Privazione Sensoriale (il cucciolo inibito), la Sindrome Ipersensibilità - Iperattività (il cucciolo agitato) e la Dissocializzazione Primaria (il cucciolo aggressivo). Il bilancio comportamentale L’acquisizione degli autocontrolli, la socializzazione intra e interspecifica, l’omeostasi sensoriale L’educazione Il comportamento eliminatorio, imparare a rimanere da solo, il gioco, gli esercizi (il seduto, il vieni) Così come in occasione della prima visita vaccinale, potranno essere evidenziati i sintomi - spia di una patologia del comportamento come la Sindrome da Privazione Sensoriale, la Sindrome Ipersensibilità - Iperattività e la Dissocializzazione Primaria. LA VISITA PUBERTARIA Alla pubertà il legame di attaccamento primario si interrompe definitivamente e il cucciolo, grazie alla messa in atto delle regole gerarchiche, si inserisce definitivamente nella scala gerarchica del gruppo sociale. Il cucciolo inibito Rifiuta il contatto con le persone presenti ad eccezione dei proprietari Presenta risposte comportamentali di timore o di paura esacerbate di fronte a stimoli quotidianamente presenti nell’ambiente di vita Non si avvicina ai conspecifici Non esce volentieri in passeggiata e non sporca nell’ambiente esterno La visita pubertaria Il bilancio comportamentale L’acquisizione degli autocontrolli, la socializzazione intra e interspecifica, il comportamento eliminatorio, la capacità a rimanere da solo, il rispetto delle regole gerarchiche Perfezionare l’educazione La punizione, la passeggiata al guinzaglio, gli esercizi (il seduto, il vieni) 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC L’osservazione del cane libero in ambulatorio e il bilancio comportamentale permetteranno al Medico Veterinario di evidenziare i sintomi che potrebbero indicare la presenza di una patologia del comportamento come l’Ansia da Separazione (il cane che non resta da solo) e la Sociopatia (il cane con i privilegi sociali). Inoltre è necessario porre attenzione alla relazione tra il cane e il proprietario. Una comunicazione non corretta, infatti, potrebbe essere alla base di una patologia del comportamento. Il cane che non resta da solo Distrugge gli oggetti del proprietario in sua assenza Elimina urina e feci in assenza del proprietario Quando il proprietario esce dall’abitazione, il cane è estremamente agitato Quando il proprietario rientra a casa, il cane è estremamente agitato Il cane con i privilegi sociali 149 Bibliografia Arpaillange Colette - “Pourquoi un chien apprend t-il, pourquoi un chien n’apprend t-il pas?” - Conférence de Module de prévention et éducation- Lyon maggio 2001 Béata Claude - “ L’attachement, racine de l’équilibre et de la pathologie comportementale ” - Mémoire pour l’obtention du titre de Vétérinaire Comportementaliste des ENV Françaises 1998 Colangeli Raimondo, Giussani Sabrina - “Medicina comportamentale del cane e del gatto” - Poletto editore, Gaggiano 2004 Gaultier Emmanuel - “Démarche diagnostique lors de nuisances canines” - Actes de Cours de Formation pour l’obtention du titre de Vétérinaire Comportementaliste des ENV Française Toulouse Maggio 2000 Giussani Sabrina - “L’educazione del cucciolo e del gattino… il ruolo del Medico Veterinario Generalista” - il Chirone pp 24 - 32 Organo ufficiale pro tempore della federazione degli ordini dei Medici Veterinari della Lombardia 2001 Pageat Patrick- “La patologia comportamentale del cane” - Edizione Le Point Veterinaire Italie Milano 2000 Zoopsy - “Le comportement du chien et du chat dans la pratique quotidienne ”, Module prévention et éducation, Lyon maggio 2001 Distruzioni nei pressi delle uscite Minzioni e/o defecazioni sociali Comportamento di aggressione in occasione di costrizioni Abbai o ringhi in occasione dell’uscita del proprietario Indirizzo per la corrispondenza: Sabrina Giussani E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 150 Cause e diagnosi delle patologie dentali nel coniglio Frances Harcourt-Brown BVSc, MRCVS, N. Yorkshire, UK I denti dei conigli erompono e crescono continuamente per tutta la vita. Gli incisivi vengono utilizzati per tagliare la vegetazione, masticare e mordere. I canini sono assenti. Premolari e molari formano una fila unica di denti che triturano il cibo. Profonde scanalature all’interno della fila di molari/premolari si adattano a corrispondenti solchi della parete alveolare. Una plica longitudinale verticale di smalto decorre lungo il centro di ciascuno di questi denti. A livello della superficie di occlusione, il morbido cemento e la dentina vengono consumati prima di questa plica di smalto, per cui in corrispondenza del centro di ciascun dente si forma un margine tagliente che si interdigita con lo spazio interdentale fra due denti contrapposti. Ciò conferisce un caratteristico aspetto a zig-zag alle radiografie del cranio in proiezione laterolaterale. La forma del dente viene mantenuta grazie al consumo determinato dall’attrito fra superfici contrapposte durante i periodici movimenti della mandibola, che molano i denti assicurando il mantenimento della forma. Una dieta abrasiva contribuisce a preservare la forma del dente. I denti dei conigli crescono rapidamente. Gli incisivi si sviluppano ad una velocità di 2-2,4 mm alla settimana. La velocità con cui si accrescono le corone è determinata dalla rapidità dell’eruzione e dall’entità dell’attrito. Se i denti risultano fuori occlusione, la velocità di eruzione viene accelerata. Sindrome progressiva di odontopatia acquisita (PSADD - progressive syndrome of acquired dentale disease) Nel Regno Unito, la maggior parte delle affezioni dentali nei conigli da compagnia segue un andamento progressivo di alterazioni della struttura, della posizione e della forma dei denti. Questa sindrome progressiva di odontopatia acquisita (PSADD) può essere distinta in stadi. All’esordio, l’occlusione, la forma e la struttura dei denti sono normali. La prima alterazione è rappresentata dalla perdita dell’osso alveolare di sostegno e dall’allungamento della radice, seguiti dalla malocclusione causata da modificazioni della forma, della struttura e della posizione dei denti. L’incremento della curvatura dei molari/premolari conduce ad uno sviluppo di puntine acuminate che possono penetrare o lacerare i tessuti molli. Le puntine più comuni sono quelle dirette verso la lingua e localizzate a livello del terzo inferiore del quarto dente premolare/molare, sebbene se ne possano riscontrare anche dirette lateralmente in corrispondenza del primo e secondo premolare/molare dell’arcata superiore. Man mano che la PSADD progredisce, la forma del dente diventa sempre più anormale, con le corone che si ripiegano su se stesse o crescono in qualsiasi direzione. A livello dei denti molari/premolari dell’arcata inferiore si formano delle puntine dirette lateralmente o orizzontalmente, che sono difficili da visualizzare attraverso un otoscopio in un coniglio non anestetizzato. Lo stadio successivo è la cessazione della crescita del dente. Le corone dei denti colpiti possono spezzarsi del tutto, di solito subito al di sotto del margine gengivale. A questo stadio, si può avere un miglioramento delle condizioni del coniglio. La gengiva guarisce al di sopra della sede in cui dovrebbero trovarsi le corone. Ciò si osserva più frequentemente a livello dell’arcata inferiore dei denti premolari/molari e si può avere in conigli che non sono mai stati sottoposti ad alcun trattamento odontoiatrico. La PSADD culmina nella perdita della corona e nel riassorbimento o calcificazione della radice. Come parte della PSADD si osservano delle alterazioni della struttura del dente. Un comune riscontro clinico nei conigli da compagnia è la formazione di margini orizzontali sugli incisivi superiori, che danno ai denti un aspetto scanalato. Questi margini si possono trovare sugli incisivi di forma e lunghezza normale. Negli ultimi stadi, gli incisivi colpiti possono apparire di colore beige o leggermente marrone. Talvolta, a livello del margine gengivale si osservano aree di smalto eroso. Possono essere presenti zone di infiammazione periodontale. Manifestazioni cliniche dei problemi dentali Un segno precoce della presenza di problemi dentali può essere rappresentato da una variazione delle abitudini alimentari del coniglio. L’allungamento della radice è una caratteristica precoce della PSADD e i denti allungati premono sull’innervazione causando disagio durante il consumo di alimenti duri. I conigli colpiti possono smettere di mangiare fieno e lasciare intatti i loro vegetali preferiti. Man mano che la PSADD progredisce, le puntine acuminate, l’assenza di corone o le anomalie dell’occlusione possono compromettere la prensione e la masticazione del cibo. Questi animali possono lasciar cadere gli alimenti dalla bocca o impiegare molto tempo a mangiare. Inoltre, perdono pelo. Il riscontro di tumefazioni ossee dure e palpabili lungo il margine ventrale della mandibola indica un allungamento delle radici dei denti premolari/molari inferiori. L’allungamento delle radici dei primi incisivi superiori può bloccare il dotto nasolacrimale e causare epifora. L’ostruzione del dotto può essere seguita da infiammazione del sacco lacrimale (dacriocistite). Questa condizione si manifesta sotto forma di congiuntivite e scolo oculare purulento. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Le puntine dei denti possono lacerare la lingua o la mucosa del cavo orale. Sui lembi di mucosa che vengono a contatto dei denti si possono formare delle ulcere. La presenza di lesioni dei tessuti molli all’interno della bocca stimola la salivazione e rende dolorosa la deglutizione. I conigli colpiti possono mostrare una perdita continua di saliva. Occasionalmente, questo colio è così grave da determinare disidratazione e squilibri elettrolitici. Il danno dei tessuti molli all’interno della bocca provoca un dolore acuto. Ciò provoca un rallentamento della mobilità intestinale, che, se non viene trattato, può infine esitare in lipidosi epatica e morte. Le affezioni dentali possono interferire con l’ingestione del cecotrofo. Per il proprietario, i cecotrofi non ingeriti hanno l’aspetto di diarrea. Si presentano molli e pastosi, con un caratteristico odore intenso e possono rimanere appiccicati al mantello sotto la coda. I problemi dentali interferiscono con la toelettatura, sia perché compromettono la capacità del coniglio di afferrare i peli morti fra gli incisivi che perché provocano la comparsa di lesioni della lingua, per cui l’animale diviene riluttante a leccarsi la cute ed il mantello. Si può avere l’accumulo di un gran numero di parassiti come Leporacus gibbus o Cheyletiella parasitovorax. La compromissione della toelettatura e la presenza di cecotrofi non ingeriti aumentano anche il rischio di infestazione da larve di mosca. Alle anomalie dentali sono comunemente associati degli ascessi facciali. Si osservano nelle sedi in cui le radici allungate sono penetrate nell’osso. Cause di PSADD La causa della PSADD è controversa. Per la sue tesi di FRCVS, l’autore ha condotto uno studio comparato su 175 crani preparati di coniglio e sulle radiografie di 315 animali della stessa specie che dimostravano la progressione delle alterazioni che avvengono nella PSADD. I crani preparati ottenuti a partire da conigli da compagnia colpiti da questa sindrome si presentano osteopenici, il che suggerisce una sottostante malattia metabolica dell’osso. Ciò è logico, dal momento che gli animali, come i conigli, con denti ad eruzione continua sono caratterizzati da un’elevata domanda di calcio per l’ininterrotta formazione di dentina e smalto. Lo studio della dieta e delle abitudini alimentari dei conigli da compagnia ha dimostrato che la scelta di cereali e legumi per le razioni miste può esitare in una formulazione carente di calcio. Ulteriori studi hanno dimostrato che questi animali possono presentare livelli non rilevabili di vitamina D e che quelli con affezioni dentali in fase avanzata mostrano livelli ematici di calcio inferiori e concentrazioni di PTH superiori a quelli con denti sani e tenuti all’esterno in condizioni simili a quelle dei conigli selvatici. 151 Altre cause ipotizzate di affezioni dentali acquisite sono l’artropatia temporomandibolare, l’infiammazione delle radici dei molari e l’invecchiamento. Come causa di malocclusione vengono spesso citate la mancanza di alimenti abrasivi e le anomalie dei quadri della masticazione. Cause di altri problemi dentali La predisposizione genetica può essere responsabile di prognatismo mandibolare e malocclusione degli incisivi. Si tratta di una condizione ereditaria più comune nelle razze nane. Nei casi lievi, gli incisivi si occludono margine contro margine piuttosto che nella posizione normale, in cui i bordi taglienti di quelli inferiori si appoggiano su quelli contrapposti appena caudalmente ai primi incisivi superiori. Se la disparità tra la lunghezza della mascella e quella della mandibola è notevole, gli incisivi non giungono mai a contatto reciproco e diventano molto lunghi. Alcuni autori citano una predisposizione genetica e la forma del cranio come causa di malocclusione acquisita dei premolari/molari, ma uno studio condotto dall’autore su 1254 registrazioni di casi clinici non ha dimostrato alcuna relazione significativa fra la razza ed il trattamento per affezioni dentali. Il danno traumatico della mascella, della mandibola e dei denti può essere causa di anomalie della dentizione. Strutture ossee fratturate o denti spezzati possono essere dovuti ad una caduta su una superficie dura. Alcuni conigli si rompono gli incisivi tirando le sbarre della gabbia. Corpi estranei quali elementi vegetali duri, schegge di legno o semi nella cavità orale possono incunearsi fra i denti e dare origine ad un’infezione periodontale cronica che determina la dislocazione dei denti stessi o amplia l’infezione periodontale stessa. Le neoplasie dei denti della mandibola o della mascella o dei tessuti molli circostanti possono esitare in problemi dentali, sia direttamente che indirettamente, spingendo alcuni denti fuori dalla loro normale posizione e causando una malocclusione. Sono esempi di questo tipo i fibrosarcomi, gli osteosarcomi e gli odontomi. Bibliografia Crossley, D.A. (2003). Oral biology and disorders of lagomorphs. The Veterinary Clinics of North America. Exotic Animal Practice. Ed. D.A. Crossley. Saunders, Philadelphia, pp.629-660 Harcourt-Brown, F.M. (2001). Textbook of Rabbit Medicine. Butterworth Heinemann, Oxford. Harcourt-Brown, F.M. (2005). Metabolic bone disease as a cause of dental disease in pet rabbits. FRCVS Thesis (in press). Indirizzo per la corrispondenza: Frances Harcourt-Brown E-mail [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 152 Trattamento delle malattie dentali nel coniglio (compresi gli ascessi) Frances Harcourt-Brown BVSc, MRCVS, N. Yorkshire, UK Trattamento della malocclusione Anche se risulta utile in qualsiasi caso di affezione dentale, la radiologia del cranio non è obbligatoria nei conigli con malocclusione. Le anomalie della corona sono visibili mediante ispezione visiva. Il trattamento della malocclusione dipende dai denti coinvolti, dalla causa sottostante e dallo stadio della malattia. Indipendentemente dal metodo utilizzato, è impossibile ripristinare la forma e la posizione normali dei denti. Le opzioni terapeutiche sono rappresentate da: • Pareggio con tronchesine manuali. Spesso è sconsigliabile, ad esempio nei casi di malocclusione congenita o negli stadi iniziali della sindrome progressiva di odontopatia acquisita (PSADD), quando i denti sono ancora coperti di smalto. Se vengono tranciati questi denti vanno in pezzi, lasciando dei margini netti e con il rischio di esposizione della cavità pulpare. Negli stadi più avanzati della PSADD, quando i denti sono deboli, permanentemente deformati e privi o quasi di smalto, un impiego oculato delle tronchesine è accettabile. Questi strumenti possono anche venire utilizzati per la rimozione delle puntine dai premolari/molari senza asportare l’intera corona. • Fresatura dei denti. Questa procedura non fracassa i denti ed assicura un maggior controllo sulla forma finale. Tuttavia, esiste il rischio di danno iatrogeno dei tessuti molli circostanti. Anche se è accettabile fresare i singoli denti fino a livello della gengiva, la pratica di “riduzione coronale generalizzata”, cioè della rimozione delle corone di tutti i premolari/molari, è inutile e potenzialmente dannosa. Può esporre la dentina innervata e la cavità pulpare. Compromette la capacità del coniglio di mangiare alimenti fibrosi dopo l’intervento. • Asportazione di un dente. La rimozione degli incisivi è il trattamento d’elezione nel caso della loro malocclusione. L’estrazione dei premolari/molari è più difficile. È facile tirare fuori le corone allentate e spezzate dei premolari/molari alterati negli stadi avanzati della PSADD. L’estrazione dell’intero dente è più difficile. Un’indicazione comune è data dal trattamento degli ascessi quando il dente può essere rimosso attraverso la bocca o passando per la cavità ascessuale. L’estrazione del premolare/molare corrispondente non è necessaria, perché l’occlusione di questi denti non li contrappone esattamente l’uno all’altro. Se dovesse verificarsi un allungamento, il dente opposto può venire periodicamente accorciato. Gli strumenti utili per il trattamento dei problemi dentali sono rappresentati da apribocca e dilatatori di tasca guanciale, tronchesine a manico lungo per molari, raspe diamantate, dischi diamantati, una gamma di frese, leve, aghi ipodermici di grosso calibro, speciali pinze da estrazione e portaaghi adattati per afferrare le radici dei denti nelle cavità ascessuali. Per il trattamento di queste ultime è essenziale un cucchiaio di Volkmann. Trattamento degli ascessi Gli ascessi nei conigli sono notoriamente difficili da curare. Tendono ad avere una crescita lenta e ad essere relativamente non dolenti con una spessa capsula fibrosa. Il riassorbimento dell’acqua dal pus esita nella formazione di un denso materiale caseoso all’interno della cavità ascessuale. Qui gli antibiotici non sono in grado di penetrare a causa della cattiva vascolarizzazione. L’intervento di incisione e successiva irrigazione è raramente risolutivo e le recidive sono comuni. Si possono riscontrare tragitti fibrosi nei tessuti più profondi e la spessa parete della capsula dell’ascesso è così rigida che non collassa dopo l’intervento. I microrganismi residui portano al rinnovamento dell’infiammazione. La chiave di successo del trattamento degli ascessi è l’accurata diagnosi e l’eliminazione della causa scatenante, unita alla rimozione del tessuto necrotico e ad un’efficace terapia antibiotica locale. Le cause degli ascessi facciali sono rappresentate da: • ascessi periapicali associati alla sindrome di affezione dentale acquisita. • Ferite penetranti: dovute a lotte, oppure punture della mucosa boccale o delle labbra da parte delle corone troppo allungate • Reazione da corpo estraneo: ad es., pezzi di fieno o schegge di legno incuneati negli alveoli o nelle cavità nasali • Da cause iatrogene: ad es., per rimozione di un incisivo o pareggio di un dente, o in caso di formazione di ferite penetranti da fresatura di denti • Otite L’elenco delle possibili diagnosi differenziali (neoplasie, cisti, ecc...) è lo stesso delle altre specie animali. Sono essenziali la palpazione e l’approfondito esame del cavo orale per stabilire la forma e la posizione delle corone. La radiografia del cranio fornisce utili informazioni sulle radici dei denti. Gli esami ematologici sono raramente utili. I conigli con 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC ascessi mostrano raramente una leucocitosi ed una neutrofilia, anche se si può osservare uno spostamento a sinistra. Invece, si riscontrano segni aspecifici di malattia quali lieve anemia e linfopenia. Gli esami colturali e gli antibiogrammi identificano i batteri presenti e possono risultare utili per la scelta degli antibiotici. In coltura si possono isolare molti microrganismi aerobi ed anaerobi quali Pasteurella multocida, Staphylococcus aureus, Fusobacterium nucleatum, Pseudomonas o Proteus spp. Opzioni terapeutiche Non fare nulla: non è il trattamento d’elezione, ma non tutti i proprietari acconsentono ad una terapia completa. Una volta che un ascesso è stato aperto, è improbabile che guarisca e lascerà una fistola drenante, per cui talvolta è preferibile lasciarlo stare con la capsula integra. Molti conigli con ascessi mangiano bene e sembrano godersi la vita! Può risultare utile una terapia permanente con antibiotici o analgesici. Molto occasionalmente, gli ascessi si risolvono da soli. Terapia antibiotica: la scelta degli antibiotici nei conigli non è agevole come nelle altre specie animali. Quelli somministrati per via orale possono alterare l’equilibrio dei microrganismi nel ceco e portare ad una proliferazione di specie patogene quali Clostridium spp. ed allo sviluppo di enterotossiemia. Gli antibiotici indicati per l’osteomielite in altre specie animali, ed in particolare la clindamicina o la lincomicina, hanno buone probabilità di interferire con la flora intestinale nel coniglio. L’interferenza con la microflora del ceco è meno probabile con la penicillina, la cefalessina e l’amossicillina, che però devono essere somministrate per via paraenterale e non orale. In generale, gli antibiotici sicuri da somministrare per os come l’enrofloxacin, non sono efficaci per il trattamento delle infezioni purulente. I sulfamidici potenziati vengono inattivati dall’essudato e dai detriti. Rimozione chirurgica (abbinata a terapia antibiotica sistemica): si tratta del trattamento di elezione per un ascesso sottocutaneo che non sia adeso ad una struttura sottostante. È impossibile asportare completamente gli ascessi periapicali. Drenaggio chirurgico e terapia topica Il drenaggio chirurgico, associato alla terapia antibatterica topica, alla somministrazione sistemica di antibiotici ed alla rimozione di tutto il pus ed il tessuto necrotico è risolutivo, ma non sempre fattibile. La marsupializzazione della ferita consente la sua pulizia e l’applicazione dei trattamen- 153 ti topici. È importante ricordare che le preparazioni da impiegare per questa via possono causare enterotossiemia. Le cavità ascessuali si possono aprire nella bocca o il coniglio può ingerire i preparati topici durante la toelettatura. La gentamicina è un antibiotico sicuro se ingerito. Il miele è un efficace rimedio topico. Promuove la formazione di un tessuto di granulazione sano e pulito, acidifica le ferite e stimola la guarigione. Il suo effetto igroscopico attira l’infezione fuori dai tessuti circostanti. È dotato di proprietà antibatteriche naturali che risultano efficaci contro una vasta gamma di microrganismi. Un modo alternativo per effettuare una terapia antibatterica topica è rappresentato dai grani di polimetilmetacrilato (PMMA) impregnati di antibiotico. Questi consentono di raggiungere elevate concentrazioni locali di principi antibatterici per lunghi periodi di tempo. I grani impregnati di gentamicina sono efficaci per circa un mese nelle ferite infette. Al loro posto si può utilizzare la doxiciclina in gel. Un vantaggio di questi metodi è che la cute sopra la cavità ascessuale viene suturata, per cui il coniglio può essere rimandato a casa senza bisogno di ulteriori trattamenti da parte del proprietario. Lo svantaggio dei grani è che possono agire da corpo estraneo una volta ceduto tutto l’antibiotico. Queste preparazioni sono efficaci soltanto se viene rimosso tutto il tessuto necrotico. TRATTAMENTO DEI CONIGLI CON PROBLEMI DENTALI La fibra è una parte importante della dieta del coniglio da compagnia. Promuove la motilità intestinale, ma gli animali con problemi dentali spesso trovano difficoltà a mangiare gli alimenti duri, per cui sovente è necessario trovare un’alternativa al fieno. Erba fresca, vegetali e piante sono più morbidi, anche se può essere necessario sminuzzarli o tagliarli a cubetti. I cibi pellettati o estrusi sono preferibili alle miscele di cereali. Possono venire ammorbiditi in modo che i conigli con gravi alterazioni dei denti riescano a mangiarli. Le integrazioni vitaminiche e minerali sono necessarie soltanto per gli animali che mangiano esclusivamente alimenti selezionati, come piselli, mais, mele o carote. Il fabbisogno di calcio nei conigli con denti che non si accrescono più è sostanzialmente ridotto. Se possibile, bisogna dare modo agli animali di svolgere un esercizio fisico quotidiano. Può essere utile offrire loro l’opportunità di crogiolarsi al sole durante l’estate. Ciò non solo consente di sintetizzare la vitamina D, ma arricchisce anche le loro vite e permette di accedere ad erba ed altre piante che garantiscono una dieta variabile ed un apporto aggiuntivo di fibra nella dieta. L’erba (ed il fieno) contengono livelli di calcio e fosforo ottimali per i conigli. Indirizzo per la corrispondenza: Frances Harcourt-Brown E-mail [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 154 Encephalitozoon cuniculi nel coniglio da compagnia Frances Harcourt-Brown BVSc, MRCVS, N. Yorkshire, UK Encephalitozoon cuniculi è un microrganismo microsporidico unicellulare che si trova in una vasta gamma di animali e costituisce una causa significativa di malattia nei conigli da compagnia. Le sue spore hanno forma ovale e misurano approssimativamente 2,5 x 1,5 µ. Sono caratterizzate da una capsula fortemente Gramnegativa. All’interno della spora, si trova un filamento polare a spirale che può venire estruso per iniettare lo sporoplasma in un vacuolo in una cellula vicina. All’interno del vacuolo avviene la moltiplicazione fino a che non si sviluppano spore mature. Infine, il vacuolo diviene così disteso che la cellula si rompe e libera le spore. La rottura cellulare è associata ad un risposta infiammatoria ed allo sviluppo di lesioni granulomatose. Incidenza di Encephalitozoon cuniculi E. cuniculi è stato isolato da numerose specie animali quali cani, volpi, ratti, topi e polli. Anche se colpisce primariamente il coniglio, può causare malattia anche in altri animali. È stato riscontrato in cuccioli morenti. Nell’uomo, E. cuniculi è stato messo in relazione con diarrea, rinosinusite, cheratocongiuntivite, nefrite o epatite in pazienti immunocompromessi dall’AIDS o dai trattamenti antirigetto successivi ai trapianti d’organo. Geneticamente, si possono identificare tre ceppi di E. cuniculi. Il ceppo I si trova principalmente nel coniglio, il II nei roditori ed il III nel cane. Negli USA, è stato dimostrato che i microrganismi isolati dall’uomo appartenevano al ceppo III, tuttavia quelli di origine umana identificati in Europa erano del ceppo I. In molte specie animali, comprese il cane, i caprini e l’uomo, si trovano anticorpi anti-E. cuniculi. Il coniglio viene parassitato per ingestione orale di alimenti contaminati da urine infestate oppure in utero da una madre a sua volta colpita. L’infestazione si estende ad altri organi quali i reni, il sistema nervoso centrale (SNC) ed il cuore. Si può avere anche l’interessamento della lente, specialmente in utero. Manifestazioni cliniche Esiste un’ampia gamma di manifestazioni cliniche dell’encefalitozoonosi del coniglio. I segni neurologici acuti come le vestibulopatie o le crisi convulsive possono essere potenzialmente letali. Le lesioni miocardiche croniche possono causare insufficienza cardiaca e morte. Vaghi segni di malattia quali atassia, mancata reattività o perdita di peso possono essere dovuti ad affezioni renali o neurologiche subcliniche causate da lesioni granulomatose croniche. Altri casi sono asintomatici. La vestibulopatia rappresenta una manifestazione clinica comune dell’encefalitozoonosi e può variare di gravità da forme minori di testa piegata all’incapacità dell’animale di reggersi, associata a rotolamento ed emiparesi. Paresi posteriore ed atassia sono altre manifestazioni neurologiche della malattia. La nefropatia è una caratteristica dell’infestazione da E. cuniculi e le tipiche cicatrizzazioni renali costituiscono un riscontro post-mortem comune anche in conigli che non hanno mostrato evidenti segni di encefalitozoonosi durante la vita. E. cuniculi può causare affezioni intraoculari quali cataratta, ipopion o uveite. Le cataratte sono dovute alla rottura spontanea della lente infestata in corrispondenza del suo punto più sottile sulla superficie anteriore. Il rilascio del contenuto della lente nella camera anteriore causa un’uveite facoclastica. Diagnosi La diagnosi definitiva di E. cuniculi come causa di malattia nel coniglio vivo è difficile. Esistono molte possibili diagnosi differenziali, ed anche dopo la morte spesso si può emettere soltanto un sospetto. Fatta esclusione per la possibilità di identificare le spore nei tessuti, nelle urine o nel contenuto della lente, al momento attuale nel Regno Unito non esiste alcun metodo di riconoscimento dell’antigene, benché presto possano essere disponibili i test PCR. Alla necroscopia, è possibile che non si osservino alterazioni macroscopiche diverse da lesioni renali di minore entità. All’esame istopatologico, la presenza di spore ha valore diagnostico, ma non si trovano sempre. Di solito si osservano nel rene e nell’encefalo. La diagnosi di encefalitozoonosi è spesso solo presuntiva, specialmente nei casi cronici, perché basata sulla presenza di caratteristiche lesioni infiammatorie piuttosto che su quella del microrganismo. La sierologia può essere utile, ma è ben lontana dall’avere valore diagnostico. Le indagini di laboratorio hanno dimostrato che i conigli sviluppano anticorpi circolanti entro 2-3 settimane dall’infestazione. Alcuni laboratori riferiscono livelli di titoli anticorpali, benché questi non sembrino correlati all’eliminazione del microrganismo nell’ambiente o alla gravità delle lesioni riscontrate alla necroscopia. Gli esami di laboratorio non hanno monitorato i titoli anticorpali nell’arco della naturale durata della vita di un coniglio (10-12 anni) e non è chiaro se i soggetti esposti infine diventino sieronegativi, benché possano avere lesioni residue a livello di reni, SNC o miocardio. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Trattamento Nonostante un’ampia letteratura sul ciclo vitale ed i test diagnostici per E. cuniculi, le informazioni pubblicate sui protocolli terapeutici efficaci nei conigli sono scarse. I segni clinici sono non solo correlati alla presenza del parassita, ma anche alla reazione infiammatoria che questo suscita. L’uccisione dell’agente eziologico non fa regredire le infiammazioni croniche che si sono già instaurate in molti organi. Per uccidere il parassita sono stati utilizzati parecchi farmaci, benché sia difficile dimostrarne l’efficacia. L’opinione soggettiva del proprietario che può affermare che il suo coniglio “sembra stare meglio” può essere l’unica informazione disponibile. Prima del 2001, la preparazione che veniva solitamente consigliata era a base di albendazolo. Questo è un antielmintico per uso orale che determina la morte delle spore di E. cuniculi nelle colture tissutali di cellule renali di coniglio senza prova di danno citopatico. Il farmaco è solo parassitostatico. Le dosi consigliate per i conigli variano da 10 a 25 mg/kg/die. Le indicazioni relative alla durata del trattamento differiscono fra le varie fonti bibliografiche. Di solito, si suggeriscono periodi di 10-30 giorni. I pazienti umani con infezioni da AIDS possono venire trattati per tutta la vita. Nel Regno Unito, dopo la pubblicazione di un piccolo studio che ha descritto l’eradicazione dei microrganismi di E. cuniculi in conigli trattati con fenbendazolo per 28 giorni alla dose di 20 mg/kg/die, questo farmaco viene utilizzato più spesso dell’albendazolo. Esistono alcune segnalazioni aneddotiche di soppressione midollare in un piccolo numero di conigli trattati con benzimidazoli. Altri prodotti che sono stati utilizzati per la terapia dell’infestazione da E. cuniculi nei conigli comprendono l’ossitetraciclina e la pirimetamina. È stato preso in esame anche il lufenuron, perché la parete cellulare del parassita contiene chitina. Tuttavia, i test in vivo non indicano alcun effetto terapeutico. Per i segni neurologici acuti associati ad E. cuniculi e per sopprimere la risposta infiammatoria che 155 accompagna la rottura cellulare sono indicati i corticosteroidi. Tuttavia, l’impiego di questi agenti a lungo termine ed a dosi elevate è controindicato per i suoi effetti immunosoppressori. Ai conigli che hanno recentemente sviluppato segni neurologici acuti è possibile somministrare una singola dose di un corticosteroide ad azione breve, ad esempio 0,5-1 mg/kg di desametazone. Se è necessario un ulteriore trattamento, si suggerisce di impiegare lo stesso agente alla dose antinfiammatoria, piuttosto che immunosoppressiva, di 0,2 mg/kg. Un’ulteriore terapia sintomatica può essere rivolta ai segni clinici, ad es. si può utilizzare il midazolam (0,5-1 mg/kg) per controllare gli attacchi della malattia o la proclorperazina (500 µg/kg per os tre volte al giorno) per contribuire ad attenuare i segni vestibolari. Bibliografia Snowden, K., Logan, K., Didier, E.S. (1999). Encephalitozoon cuniculi Strain III is a cause of encephalitozoonosis in both humans and dogs. The Journal of Infectious Diseases, 180, 2086-2088. Stiles J., Didier E., Ritchie, B., Greenacre, C., Willis, M., Martin, C. (1997). Encephalizoon cuniculi in the lens of a rabbit with phacoclastic uveitis: Confirmation and treatment. Veterinary and Comparative Ophthalmology, 7, 233-238. Harcourt-Brown, F.M., Holloway, H.K.R. (2003). Encephalitozoon cuniculi in pet rabbits. Vet. Rec., 152,427-431. Waller, T., Morein, B., Fabiansson, E. (1978). Humoral immune response to infection with Encephalitozoon cuniculi in rabbits. Lab. Anim., 12, 145-148 Lyngset, A. (1980). A survey of serum antibodies to Encephalitozoon cuniculi in breeding rabbits and their young. Lab. An. Sci., 30, 558-561 Weiss, L.M., Michalakakis, E, Coyle, C.M., et al. (1994). The in vitro activity of albendazole against Encephalitozoon cuniculi. J. Eukaryotic Microbiol. 41, 65S. Suter, C., Müller-Doblies, U.U., Hatt, J-M., Deplazes, P. (2001). Prevention and treatment of Encephalitozoon cuniculi. Vet. Rec., 148, 478-480. Indirizzo per la corrispondenza: Frances Harcourt-Brown E-mail [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 156 Malattie gastrointestinali acute nel coniglio Frances Harcourt-Brown BVSc, MRCVS, N. Yorkshire, UK L’apparato digerente nel coniglio, e specialmente il tratto posteriore dell’intestino, è adattato ad una dieta costituita da alimenti fibrosi. Il colon ascendente può essere suddiviso in 4 sezioni anatomicamente distinte, (i) una con tre bande di taeniae che separano file di haustra o sacculazioni, (ii) una con una singola taenia ed un minor numero di haustra più piccoli, (iii) il “fusus coli”, che è un’area muscolare lunga circa 4 cm e (iv) la parte restante del colon ascendente, istologicamente indistinguibile da quello trasverso e discendente. Il fusus coli forma una divisione naturale fra due sezioni del colon distinte sia dal punto di vista morfologico che da quello funzionale. Per questa ragione, si utilizzano spesso i termini di colon “prossimale” e “distale”. Il colon prossimale miscela e separa le ingesta. Le particelle di grandi dimensioni si accumulano nel lume e sono spostate in direzione distale, mentre quelle più piccole si radunano in prossimità della circonferenza, negli haustra, e sono spinte in senso prossimale verso il ceco. La motilità e la funzione del tratto posteriore dell’intestino cambiano a seconda del tipo di feci che si formano al suo interno. La produzione delle feci dure o “fase delle feci dure” coincide con l’attività dell’assunzione del pasto. L’espulsione del cecotrofo è nota come “fase delle feci molli”. Questa fase di escrezione segue un marcato ritmo circadiano. Per spingere il cibo attraverso il tratto digerente ad apportare alla microflora del cieco principi nutritivi e fluidi è necessaria una motilità intestinale ottimale. Il fusus coli agisce da pacemaker per la motilità del colon. È sotto controllo autonomo. Si tratta di una struttura ben vascolarizzata ed altamente innervata. Pur non avendo alcun valore nutritivo, la fibra indigeribile è di primaria importanza per la funzione digerente nei conigli, perché stimola la motilità dell’intestino. Il cieco contiene in numero elevato una gran varietà di microrganismi. Gli acidi grassi volatili prodotti dalla microflora cecale assicurano una fonte energetica al coniglio. La produzione di acidi grassi volatili si fonda sulla composizione della microflora cecale e sul tipo e sulla disponibilità del substrato. Come in qualsiasi sistema di coltura continua, sono presenti numerosi meccanismi omeostatici attivi. Ad esempio, il bicarbonato secreto dall’appendice agisce da tampone. Le fluttuazioni della produzione di acidi grassi volatili e del pH influenzano la popolazione dei microrganismi del ceco. Le alterazioni della microflora cecale possono esitare nella proliferazione di microrganismi patogeni, ed in particolare di Clostridium spp., e causare un’enterotossiemia. Gli antibiotici, specialmente se somministrati per via orale, possono alterare l’equilibrio della popolazione microbica e consentire la proliferazione di specie patogene. Ipomotilità gastroenterica (“Stasi intestinale, “ileo”, “tricobezoari”, “palle di pelo”) La stimolazione del sistema nervoso simpatico inibisce la motilità intestinale. Lo stress stimola il sistema nervoso simpatico. Il dolore è stressante, per cui quasi tutte le malattie o le situazioni stressanti possono rallentare la motilità intestinale nel coniglio e scatenare questa sequela di eventi. La lentezza dello svuotamento dello stomaco esita in disidratazione e formazione di masse compatte a partire dal contenuto dello stomaco. Il pelo, ingerito durante la toelettatura, viene incorporato nel contenuto gastrico prosciugato e compattato che può venire indicato col nome di “tricobezoar” o “palla di pelo”. Sono comuni le ulcere gastriche. La lenta motilità dell’intestino esita nell’accumulo di gas nello stomaco e nel ceco, che distende i visceri e causa dolore addominale. La lenta motilità enterica altera la secrezione e l’assorbimento dell’acqua e degli elettroliti lungo il tratto digerente e porta alla disidratazione ed agli squilibri elettrolitici. La ridotta assunzione di cibo diminuisce l’apporto di fluidi e principi nutritivi alla microflora del ceco. Una caduta nella glicemia stimola la mobilizzazione degli acidi grassi liberi e l’infiltrazione adiposa del fegato. L’ossidazione degli acidi grassi liberi causa chetoacidosi. I conigli sono particolarmente suscettibili all’acidosi perché alcuni meccanismi compensatori renali e le vie metaboliche che sono presenti in altre specie risultano assenti o limitati. Una volta instauratasi la chetoacidosi, i conigli diventano sempre più depressi ed anoressici. Si sviluppa rapidamente una lipidosi epatica fatale e la morte sopravviene tipicamente entro una settimana dall’inizio dell’anoressia. I soggetti obesi e le femmine in gravidanza ed in lattazione sono maggiormente esposti al rischio di sviluppo di lipidosi epatica e muoiono più rapidamente. Al momento della presentazione alla visita, i segni clinici dell’ipomotilità gastroenterica sono rappresentati da riduzione o cessazione della produzione di feci ed anoressia. Possono venire espulse piccole pallottole di feci o muco. Negli stadi iniziali, il coniglio può sembrare vispo e vivace, ma, man mano che la condizione progredisce, diventa sempre più depresso ed immobile. Negli stadi finali, con la palpazione si può apprezzare il contenuto dello stomaco compattato. In alcuni casi di ipomotilità gastroenterica si osservano fecalomi del ceco. La condizione può anche essere causata da ingestione di sostanze, come la lettiera di argilla per gatti, che vengono portate nel ceco ma non possono venire degradate dalla microflora. I lassativi che determinano l’aumento della massa fecale inducendo l’assorbimento di acqua 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC possono avere un effetto simile. I fecalomi del ceco sono anche una caratteristica dell’enteropatia mucoide. L’insorgenza è insidiosa. I conigli colpiti assumono una stazione curva e rannicchiata. Il ceco colmo di materiale compattato può venire identificato con la palpazione nella parte ventrale dell’addome e risulta visibile nelle radiografie addominali. L’ipomotilità gastroenterica è un problema secondario ed è importante identificare la causa primaria. Sono esempi di situazioni stressanti la paura (ad es., da attacchi di predatori, fuochi d’artificio, traumi, trasporti), i problemi legati al modo in cui vengono tenuti gli animali (ad es., in caso di manipolazioni grossolane, perdita recente di un compagno, presenza di un compagno dominante, eccesso di caldo o freddo). Possono essere causa di dolore, ad esempio, gli interventi chirurgici recenti (ad es., laparotomia, rimozione di incisivi), la presenza di aree di cute infiammata (ad es., ustioni da urina, corpi estranei penetranti), la pododermatite ulcerativa, o il dolore addominale, orale o scheletrico (ad es., artrite, neoplasia o osteomielite). Il trattamento è volto a garantire la nutrizione e l’idratazione attraverso la somministrazione di cibo mediante siringa e l’offerta di alimenti fibrosi particolarmente appetiti. Sono anche importanti la terapia procinetica e l’analgesia. Per la risoluzione dei fecalomi del ceco è indicata la paraffina liquida. La dilatazione gastrica ed ostruzione intestinale si verifica frequentemente nei conigli da compagnia. Gli animali colpiti diventano in breve tempo totalmente anoressici, non rispondono agli stimoli, sono depressi ed immobili. La dilatazione gastrica si sviluppa rapidamente, specialmente se l’ostruzione si trova nel tratto prossimale del piccolo intestino. La causa più comune dell’ostruzione è una pallottola di pelo infeltrito, anche se la condizione può essere dovuta anche a legumi essiccati, corpi estranei, tumori, cisti di cestodi, strangolamenti ed intussuscezioni. La radiografia ha valore diagnostico. La decompressione gastrica e l’analgesia sono essenziali. La rimozione di un corpo estraneo di solito ha successo se l’intervento viene effettuato prontamente. Se la condizione non viene trattata, il coniglio muore a meno che il corpo estraneo non venga eliminato ed espulso nel colon. 157 La enterite da enteropatia mucoide e l’enterotossiemia sono cause comuni di perdite nelle colonie di conigli commerciali o da laboratorio, ma sono rare in quelli da compagnia. L’enteropatia mucoide è caratterizzata dal rallentamento della motilità del tratto posteriore dell’intestino e dalla presenza di abbondanti quantità di muco nel colon. Le alterazioni infiammatorie sono minime. Nel ceco si sviluppano dei fecalomi. Negli stadi terminali si osserva la dilatazione gastrica. In alcuni casi sono presenti segni respiratori. Anche se è comune soprattutto nei conigli giovani, occasionalmente l’enteropatia mucoide si osserva anche negli adulti ed è legata ad una mancanza di fibra nella dieta ed a situazioni stressanti. Fra le causa ipotizzate rientrano la disautonomia e le neurotossine. I segni clinici sono rappresentati da anoressia, distensione addominale, temperature corporee inferiori alla norma, depressione ed assunzione di una posizione accovacciata. Si rileva una distruzione della normale produzione di feci. Non vengono prodotte quelle dure. Negli stadi iniziali può essere presente una diarrea. In quelli più avanzati viene escreto del muco, sia da solo che misto a materiale fecale, oppure la produzione può cessare completamente. Una caratteristica dell’enteropatia mucoide è il digrignamento dei denti, presumibilmente dovuto al dolore addominale. La malattia è progressiva e solitamente fatale. Esistono molte cause infettive di enterite come la coccidiosi e le infezioni enteriche batteriche e virali. Alcuni dei batteri producono potenti enterotossine. L’enterite è rara nei conigli da compagnia adulti e la causa più usuale è la terapia antibiotica, che distrugge la flora intestinale e consente la proliferazione di specie patogene. L’enterotossiemia è una grave condizione potenzialmente letale. Si manifesta con depressione, anoressia, assenza di feci dure e diarrea liquida. Richiede un trattamento aggressivo basato su fluidoterapia, analgesia e antibiotici. La prognosi è sfavorevole. Indirizzo per la corrispondenza: Frances Harcourt-Brown E-mail [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 158 Malattie gastrointestinali croniche nel coniglio Frances Harcourt-Brown BVSc, MRCVS, N. Yorkshire, UK Una caratteristica della fisiologia digestiva del coniglio è la duplice funzione del tratto prossimale del colon. Per la maggior parte della giornata, miscela e separa le ingesta, inviando simultaneamente le particelle indigeribili di grandi dimensioni verso l’ano e quelle piccole e degradabili verso il ceco. Periodicamente, una o due volte al giorno, la motilità di questo tratto intestinale si modifica completamente. Il colon cessa di mescolare e separare ed il ceco si contrae per espellere il suo contenuto lungo il colon stesso. Questo materiale viene espulso sotto forma di morbide pallottole fecali o “cecotrofi”. Questi ultimi vengono reingeriti direttamente dall’ano per essere digeriti nello stomaco e nel piccolo intestino come fonte aggiuntiva di principi nutritivi per il coniglio. La reingestione del cecotrofo dall’ano è un riflesso scatenato dalla sensazione dell’uscita dei cecotrofi attraverso lo sfintere anale e dal loro odore. La produzione del cecotrofo segue un ritmo diurno. La maggior parte dei conigli produce feci molli durante il mattino o la sera, circa 4 ore dopo il pasto. Feci dure e cecotrofi hanno un aspetto microscopico differente. Le feci dure normali sono costituite da particelle compattate di fibra con pochi microrganismi. Le tecniche di esame coprologico per flottazione dimostrano la presenza di oocisti di coccidi o uova di elminti (di solito Passalurus ambiguus) se esiste un’infestazione. Al contrario, i cecotrofi contengono un’ampia gamma di microrganismi quali batteri grandi e piccoli, protozoi e lieviti. In caso di diarrea dei conigli da compagnia adulti, le colture fecali sono raramente indicative. Conigli che non mangiano i propri cecotrofi (“diarrea cecale”) Benché i conigli possano essere affetti da enterite, nei singoli soggetti l’autentica diarrea è rara. Di solito, il materiale fecale che i proprietari vedono intorno al posteriore del loro coniglio non è una diarrea, ma normali cecotrofi che non sono stati ingeriti. Questi hanno una consistenza molle ed un odore intenso dovuto alla presenza di acidi grassi volatili. I cecotrofi possono essere più molli e più appiccicosi del normale se l’animale viene alimentato con una dieta povera di fibre o se viene introdotto un nuovo alimento. Esistono molte ragioni per cui un coniglio non ingerisce i propri cecotrofi. L’animale di solito sta bene, ha un buon appetito ed elimina abbondanti quantità di pallottole fecali dure oltre ai cecotrofi molli. Queste caratteristiche consentono di differenziare i cecotrofi non ingeriti dall’autentica diarrea. Se esiste un qualsiasi dubbio sul fatto che il materiale fecale sia costituito da feci dure o molli, risulta utile l’esame di uno striscio colorato con la tecnica di Gram. I cecotrofi contengono acidi grassi volatili che non solo conferiscono loro il caratteristico odore, ma possono anche ustionare la cute portando alla comparsa di dolore e dermatite secondaria. Ciò innesca un circolo vizioso di cute dolente ➝ riluttanza ad effettuare la toelettatura ➝ mantello imbrattato ➝ piodermite superficiale ➝ cute dolente. Esistono numerose cause scatenanti o sottostanti della mancata ingestione dei cecotrofi. Se si vuole risolvere la condizione, è necessario prenderle in esame. Cause di mancata ingestione dei cecotrofi (può essere presente più di un problema) Riduzione dell’appetito per i cecotrofi: • Dieta ricca di proteine • Dieta povera di fibra • Alimento troppo ricco di calorie • Caratteristiche degli alimenti che alterano l’odore dei cecotrofi Fattori fisiologici: • Modificazioni della dieta • Stress • Interruzione della routine quotidiana Incapacità fisica di ingerire i cecotrofi: • Mantello cotonoso • Assenza di incisivi funzionali, per cui il coniglio non può effettuare la toelettatura ed intorno all’ano si formano dei viluppi di pelo • Voluminosa giogaia • Spondilite • Deficit neurologici (ad es., da E. cuniculi) • Obesità (comune), che impedisce al coniglio di raggiungere il proprio ano Dolore associato all’ingestione del cecotrofo • Malattie dentali • Problemi muscoloscheletrici • Ustioni da urina • Infezione delle pliche cutanee perineali • Piaghe della cute perineale Trattamento della mancata ingestione dei cecotrofi A breve termine: • Tosare il mantello dell’area perineale (Nota: i bagni non associati alla tosatura lasciano il mantello imbrattato ed umido, il che può esitare in un’infezione della cute sottostante) 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC • Se la cute è infiammata, utilizzare gli analgesici. Questi possono determinare una temporanea proroga della produzione di cecotrofo che risulta utile • Anche se non migliorano la consistenza delle feci molli o non ne riducono la produzione, gli antibiotici sono utili per il trattamento di qualsiasi dermatite. Costituiscono una buona scelta quelli sicuri, come l’enrofloxacin o il trimethoprim, che hanno scarse probabilità di determinare una diarrea da antibiotici • Modificare la dieta in modo da comprendere un’abbondante quantità di fieno o erba. L’erba fresca è appetita dalla maggior parte dei conigli e non determina cecotrofi molli, per cui è l’alimento ideale da offrire [I probiotici possono svolgere un ruolo nell’instaurare una microflora cecale sana.] A lungo termine: • Aumentare la quantità di fibre nella dieta e ridurre il contenuto di proteine e carboidrati. Ciò determina un aumento dell’appetito del coniglio per i cecotrofi e rende questi ultimi più fibrosi e meno appiccicosi. Devono sempre essere disponibili fieno o erba. Bisogna anche eliminare completamente le miscele di cereali. Non si devono offrire delle ghiottonerie come il cioccolato. Si possono somministrare dei vegetali, ma non la frutta, introducendo un nuovo componente della dieta ogni qualche giorno iniziando con varietà fibrose come il cavolo o i broccoli. Successivamente si possono introdurre mele, carote e piante da giardino come il dente di leone. Alcuni frutti e verdure come il cetriolo, la lattuga ed i pomodori non sono necessari e sono da evitare nei conigli che hanno la tendenza a non ingerire i cecotrofi molli. • L’introduzione di nuovi alimenti può squilibrare la flora cecale ed alterare temporaneamente la consistenza dei cecotrofi. Questa può venire modificata dai cibi nuovi, per cui i conigli non sono spinti a mangiarli. Dal punto di vista del proprietario, sembra che il coniglio sia ancora colpito da diarrea. Di conseguenza, la modificazione della dieta deve essere effettuata gradualmente. L’obesità è una delle principali cause di imbrattamento perineale e la riduzione del peso è una parte essenziale del trattamento. L’esercizio fisico è importante. • Può essere indicata la rimozione chirurgica delle pliche cutanee. La riduzione del peso e la modificazione della dieta possono essere solo parzialmente efficaci nella risoluzione del problema della mancata ingestione dei cecotrofi. Alcuni conigli presentano intorno al perineo delle pliche cutanee profonde che possono infettarsi facilmente e diventare dolorose. Negli animali obesi, queste pliche possono persistere anche dopo che il coniglio è dimagrito. La loro rimozione di solito è agevole. 159 Trattamento dei casi incurabili di imbrattamento perineale In alcuni casi di imbrattamento perineale, la causa sottostante non può venire eliminata ed i proprietari devono gestire il problema per tutta la vita del coniglio. Può essere necessario adottare altre misure, oltre alla modificazione della dieta, per alterare la consistenza dei cecotrofi. • Le razze dal mantello cotonoso o i conigli privi di incisivi funzionali richiedono una costante toelettatura e tosatura dell’area intorno alla coda. • Il coniglio deve avere abbastanza spazio per allontanarsi dalla lettiera imbrattata e ridurre le probabilità che i cecotrofi aderiscano al mantello • La produzione di cecotrofi segue un ritmo circadiano. Di solito, avviene al mattino. L’osservazione dei quadri di escrezione dei singoli individui e la sostituzione di conseguenza della lettiera possono ridurre al minimo l’imbrattamento del mantello • Per il trattamento delle sottostanti condizioni di spondilite o artrite può essere utile una terapia analgesica a lungo termine con FANS. Enterite cronica Alcuni conigli sono affetti da un’autentica diarrea cronica o intermittente. Le feci sono voluminose e pastose e si distinguono in pallottole dure e molli. Si possono osservare periodi di anoressia associati alla diarrea. Nelle radiografie riprese durante questi episodi può risultare evidente un timpanismo cecale. I conigli colpiti perdono pelo e sviluppano un addome pendulo. Possono mangiare voracemente fra gli episodi di anoressia e in questi periodi le feci dure sono spesso di forma e dimensioni anormali. I campioni di sangue possono evidenziare anemia, ipoproteinemia e ipoglobulinemia. Una colorazione di Gram di uno striscio fecale evidenzia una gamma di microrganismi nello stesso campione nonché particelle di fibra, che suggeriscono che il colon non stia separando correttamente le particelle grandi da quelle piccole. L’esame istopatologico mostra un’infiammazione linfoplasmocitaria. Alcuni casi rispondono alla modificazione della dieta. Letture consigliate Harcourt-Brown, F.M. (2001). Textbook of Rabbit Medicine. Butterworth Heinemann, Oxford. Indirizzo per la corrispondenza: Frances Harcourt-Brown E-mail [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 160 Anestesia e analgesia del coniglio Frances Harcourt-Brown BVSc, MRCVS, N. Yorkshire, UK I conigli hanno la reputazione di animali in cui l’anestesia comporta un rischio elevato. Spesso, gli agenti anestetici vengono accusati di morti perioperatorie anche quando i farmaci impiegati sono sicuri. È di importanza vitale eseguire un esame necroscopico dei conigli che vengono a morte nel periodo perioperatorio piuttosto che ipotizzare le cause del decesso. Spesso i problemi sono causati da una combinazione di fattori, ed in particolare da stress, ipossia e malattie preesistenti. Stress: i conigli si stressano facilmente. Lo stress può essere causato da dolore, malattia, ambiente non familiare, trasporto, manipolazione grossolana o vicinanza di potenziali predatori come cani, gatti o furetti. Molti pazienti sono già stressati dalla loro malattia primaria. Lo stress determina numerosi effetti potenzialmente letali: • il rilascio di catecolamine aumenta il rischio di aritmia cardiaca, specialmente se l’animale è ipossico. • Lo stress nei conigli provoca un marcato calo del flusso di urina, della perfusione renale e della velocità di filtrazione. L’oliguria può durare da 30 a 120 minuti. • Lo stress può causare ulcera gastrica nel coniglio. • Lo stress colpisce il metabolismo dei carboidrati. La sola manipolazione può causare un incremento della glicemia nell’ordine di 8-10 mmol/l. Il livelli ematici di glucosio possono essere molto elevati (20-30 mmol/l) in associazione con un’ostruzione intestinale o altre malattie stressanti. • Lo stress causa anoressia, che, in associazione con la riduzione della motilità intestinale e la distruzione del normale metabolismo dei carboidrati, può portare a lipidosi epatica, insufficienza epatica e morte. • Lo stress è immunosoppressore. Nei conigli affetti da malattie dentali il conteggio dei linfociti è significativamente più basso che in quelli sani. Ipossia: i conigli sono predisposti all’ipossia a causa della loro ridotta capacità polmonare e della restrizione del rinofaringe. Il loro volume tidalico è di 4-6 ml/kg. L’ipossia può essere causata da agenti anestetici che provocano una caduta della tensione di ossigeno (ad es., medetomidina), depressione respiratoria, tendenza a trattenere il respiro, occlusione delle vie aeree da cattivo posizionamento, aumento di peso dei visceri sul diaframma, pneumopatia preesistente o contenimento troppo energico intorno al torace. Le malattie preesistenti come la nefropatia o la miocardiopatia non diagnosticata aumentano il rischio anestetico. I disordini odontoiatrici possono causare dolore, stress, malnutrizione o salivazione, che aumenta il rischio anestetico. Le affezioni preesistenti del tratto respiratorio incrementano il rischio di ipossia. La sicurezza dell’anestesia può essere migliorata: • Offrendo del cibo fino a poche ore prima dell’anestesia. I conigli non possono vomitare. • Offrendo un ambiente tranquillo e riparato con un materiale da lettiera familiare (pieno) • Effettuando delle manipolazioni tranquille e delicate • Inducendo l’anestesia con agenti iniettabili per evitare che l’animale trattenga il respiro perché percepisce con l’olfatto i vapori anestetici • Introducendo gradualmente gli agenti volatili per evitare che l’animale trattenga il respiro • Effettuando un posizionamento accurato in modo da garantire l’assenza di ostruzioni nelle vie aeree e tenere il peso dei visceri lontano dal diaframma • Somministrando ossigeno per tutta la durata dell’anestesia • Impiegando di routine un’analgesia efficace in TUTTI i conigli sottoposti ad intervento chirurgico • Monitorando attentamente l’anestesia • Ricorrendo all’intubazione orotracheale • Prestando accurate cure infermieristiche e tenendo sotto stretta osservazione l’animale nel periodo postoperatorio. È essenziale offrire alimenti appetitosi e riscaldati. Può essere necessario ricorrere all’alimentazione mediante siringa ed alla terapia procinetica È di importanza vitale suggerire ai proprietari di assicurarsi che i loro conigli stiano mangiando ed eliminando feci dure entro 24 ore dall’intervento. In caso contrario, l’animale deve essere riportato dal veterinario per il trattamento. Spesso è utile ospedalizzare fino al giorno successivo i conigli sottoposti ad un’anestesia, per assicurarsi che stiano mangiando e somministrare ulteriori analgesici ed ogni altro farmaco necessario. Induzione dell’anestesia Vi sono molti modi per indurre l’anestesia nei conigli. L’autore utilizza uno di questi tre: 1. Induzione mediante maschera con isofluorano dopo premedicazione. Questo metodo è lento, ma il risveglio è rapido. Il metodo di premedicazione d’elezione era l’associazione fentanyl/fluanisone, che però attualmente non è disponibile nel Regno Unito. In sua vece, si utilizza una combinazione di acepromazina (0,2 mg/kg) e butorfanolo (1 mg/kg) miscelati nella stessa siringa ed iniettati per via sottocutanea. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 2. Una combinazione di medetomidina (0,2 mg/kg), ketamina (10 mg/kg) e butorfanolo (0,5 mg/kg) miscelati nella stessa siringa ed iniettati per via sottocutanea. Questa associazione può essere utilizzata come unico agente per gli interventi di breve durata. Ha anche il vantaggio di essere reversibile con l’atipamezolo (1 mg/kg). 3. Propofolo per via endovenosa (5-10 mg/kg). I vantaggi di questo metodo sono la rapidità dell’induzione e del risveglio. Gli svantaggi sono l’apnea ed il tempo limitato per l’intubazione. Si tratta della tecnica meno favorita dall’autore. I barbiturici non sono consigliati per l’anestesia nei conigli. Intubazione orotracheale L’intubazione orotracheale nei conigli è resa difficile dai problemi connessi alla visualizzazione della laringe. La bocca del coniglio non ha un’apertura ampia e la larga base della lingua che occupa la maggior parte del rinofaringe impedisce la visuale. Tuttavia, è possibile intubare i conigli senza visualizzare la laringe. Dopo l’induzione dell’anestesia, l’animale viene posto in decubito sternale con il collo esteso in modo da formare una linea diritta dalla bocca alla laringe. Nel tratto più aborale possibile della bocca si spruzza della lignocaina cloridrato in modo che il liquido coli sulla lingua e sulla laringe. Si misura quindi un tubo orotracheale non dotato di manicotto, appoggiandolo sull’esterno della testa del coniglio in modo da stimare la lunghezza necessaria al raggiungimento della laringe, che può essere identificata con la palpazione. Si impiegano dei tubi da 2,0-3,0 mm non dotati di manicotto. Sull’estremità del tubo, prima di inserirlo sulla lingua e farlo avanzare sino all’ingresso della laringe, si applica un lubrificante idrosolubile. La posizione dell’estremità del condotto può venire accertata ascoltando i suoni respiratori. Quando questi si odono, il tubo viene lentamente fatto avanzare durante ogni inspirazione. I suoni respiratori sono più forti quando la punta del tubo è situata a livello dell’ingresso della laringe. Se invece scompaiono, si è quasi certamente penetrati nell’esofago. Se si entra nella laringe, il coniglio spesso tossisce ed è possibile udire i rumori respiratori attraverso il condotto. La comparsa di condensazione all’estremità del tubo ne conferma il corretto posizionamento. L’intubazione orotracheale può anche venire effettuata visualizzando la laringe attraverso un otoscopio, un laringoscopio o un endoscopio. L’autore trova questa tecnica più difficile dell’intubazione alla cieca. Le alternative all’intubazione orotracheale sono il mantenimento dell’anestesia con una maschera o un tubo nasale. Sono state descritte maschere nasali e maschere laringee. È possibile l’intubazione nasale. Si utilizza un tubo di ridotte dimensioni per portare i gas anestetici nelle vie nasali. Per avere successo, questa tecnica 161 richiede un’elevata velocità di flusso per indurre una pressione positiva e spingere la miscela anestetica nel rinofaringe. Monitoraggio dell’anestesia Per il monitoraggio dell’anestesia dei conigli si possono utilizzare la pulsossimetria, l’elettrocardiografia, i monitor della respirazione e quelli della pressione sanguigna ed i capnografi, anche se non sempre questi metodi sono essenziali. La parte più importante del monitoraggio dell’anestesia è rappresentata dalla vigilanza e dall’osservazione. Si può valutare il colore delle mucose a livello del naso, delle labbra e della lingua. Si può percepire il battito cardiaco appoggiando il dito su ciascun lato del torace. Spesso, con la delicata palpazione dell’arteria auricolare centrale si può rilevare il polso. Nel coniglio, i parametri utilizzati per la valutazione della profondità dell’anestesia nel cane e nel gatto sono variabili. Ad esempio, l’assenza del riflesso corneale denota una profondità pericolosa dell’anestesia nel coniglio a meno che non sia stato anestetizzato con combinazioni di medetomidina. Non ci si può basare sul riflesso palpebrale per effettuare una corretta valutazione della profondità dell’anestesia. Il riflesso di retrazione in risposta al pinzettamento della punta delle dita è più affidabile utilizzando gli arti posteriori piuttosto che quelli anteriori. La frequenza, la profondità ed il quadro della respirazione sono gli indicatori più utili della profondità dell’anestesia. Le tecniche di rianimazione hanno spesso successo se vengono effettuate prontamente. Trattamenti farmacologici postoperatori L’analgesia è essenziale per tutti i conigli sottoposti a qualsiasi intervento chirurgico. Si impiegano FANS come il carprofen (3 mg/kg) o il meloxicam (0,3 mg/kg). In associazione con i FANS si possono utilizzare gli oppiacei come la buprenorfina (0,03 mg/kg). Negli animali che soffrono per un intenso dolore sono utili i cerotti al fentanil. I conigli che non mangiano dopo l’intervento devono essere trattati con agenti procinetici come la metoclopramide (0,5 mg/kg SC o per os.). Questa può essere associata con un farmaco antiulcera come la ranitidina (5 mg/kg per os). Bibliografia Flecknell, P.A. (1996). Laboratory Animal Anaesthesia. Academic Press. Indirizzo per la corrispondenza: Frances Harcourt-Brown E-mail [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 162 La cascata coagulativa in chiave moderna e le alterazioni della coagulazione associate alla sepsi Kate Hopper BVSc, MVS, Dipl ACVECC, Davis, California, USA La via tradizionale della coagulazione Via intrinseca Pathway Via estrinseca Pathway Via comune FIGURA 1 - La via tradizionale della coagulazione. La coagulazione in chiave moderna Nell’animale sano, l’equilibrio fra processi pro- ed antitrombotici è tale che il danno vasale viene riparato efficacemente senza che si verifichi un eccessivo sanguinamento, né un’eccessiva coagulazione. In presenza di processi patologici, si può avere una perdita di questo equilibrio, che conduce ad emorragia o trombosi (Tab. 1). Il punto di vista moderno sulla coagulazione sottolinea l’intricata connessione esistente fra il sistema della coagulazione stessa e l’infiammazione. Oggi è chiaro che queste vie sono intimamente legate in modo tale che l’attivazione di una provoca sempre delle alterazioni nell’altra. In generale, i processi procoagulanti tendono ad avere effetti proinfiammatori, mentre i processi anticoagulanti tendono ad avere effetti antinfiammatori. Questa reazione è reciproca, i processi proinfiammatori spesso hanno effetti procoagulanti, ecc… SISTEMI PROTROMBOTICI 1. Tappo piastrinico La funzione delle piastrine non verrà trattata in questa sede. Tabella 1. Vie endogene protrombotiche ed antitrombotiche Sistemi protrombotici Sistemi antitrombotici Tappo piastrinico Fattore tissutale inibitore della via della coagulazione Cascata della coagulazione Antitrombina Sistema della proteina C Fibrinolisi 2. Cascata della coagulazione Il fattore tissutale (TF), già noto come fattore III della via estrinseca, è il principale agente che dà inizio alla coagulazione sia negli stati normali che in quelli patologici. Questo fattore tissutale è l’unico componente della cascata della coagulazione legato alla membrana. Si tratta di una molecola estremamente procoagulante che possiede anche delle attività di segnalazione cellulare ed interagisce con numerose vie diverse dalla coagulazione. Quando viene a contatto con il sangue, il TF si lega al FVII e lo attiva in presenza di calcio; questo complesso TF-VIIa-Ca2+ a sua volta attiva i fattori IX e X (Figura 2); si tratta della fase di inizio. Il fattore Xa porta alla generazione di trombina, ma il fattore tissutale inibitore della via della coagulazione (TFPI, tissue factor pathway inhibitor) inattiva rapidamente questa parte della via stessa, in modo tale che possono venire prodotte solo tracce di trombina. Il FIX attivato, in aggiunta al FVa ed al FVIIIa generati dai livelli in tracce di trombina, consente l’amplificazione della via coagulativa. Questa “propagazione” della formazione di trombina da parte della via intrinseca è una componente essenziale della risposta secondaria della coagulazione al fine di ottenere un’emostasi efficace. Nello stato normale, il TF è essenzialmente espresso nei tessuti extravascolari. Si trova a livelli elevati nell’avventizia dei vasi sanguigni, nelle capsule fibrose degli organi e nell’epitelio della cute, nonché nei piani interni delle mucose. Questo TF costitutivo si trova molto vicino allo spazio vascolare, dove è responsabile dell’appropriata attivazione della coagulazione, in risposta ad un’interruzione dell’integrità vascolare. Esistono parecchie cellule che possono venire indotte ad esprimere il TF, come gli elementi endoteliali, quelli muscolari lisci ed i monociti circolanti. L’endotossina, il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α), le lipoproteine ed i fattori di crescita sono tutti in grado di stimolare l’espressione intravascolare del TF. Il TF indotto è presente nello spazio intravascolare dove può dare inizio alla coagulazione patologica. È questa espressione del TF indotto che si ritiene svolga un ruolo chiave in numerosi stati patologici, compresa la sepsi e l’aterosclerosi. Al culmine della cascata della coagulazione, la trombina scinde il fibrinogeno in fibrin-monomeri che polimerizzano spontaneamente, ma devono dare origine a legami crociati per produrre un coagulo stabile. Anche il fattore XIII (transglutaminasi plasmatica) è attivato dalla trombina e stimola la formazione di legami covalenti fra le molecole di fibrina adiacenti completando il processo della coagulazione secondaria. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 163 La moderna cascata della coagulazione TF-VIIa-Ca2+ Fase di inizio Trombina Tracce di trombina 4. Via fibrinolitica Fase di propagazione Protrombina Nei pazienti settici si ha un aumento del consumo, un incremento della distruzione ed una riduzione della produzione di proteina C che conducono ad una riduzione dei suoi livelli. La somministrazione di proteina C a pazienti umani è l’unico trattamento farmacologico sino ad oggi risultato in grado di aumentare la sopravvivenza nei soggetti con grave sepsi. Trombina FIGURA 2 - La moderna cascata della coagulazione. SISTEMI ANTITROMBOTICI 1. Fattore tissutale inibitore della via della coagulazione Il fattore tissutale inibitore della via della coagulazione (TFPI) è una serina proteasi inibitoria prodotta principalmente dalle cellule endoteliali della microvascolarizzazione. Inibisce direttamente il fattore Xa ed il complesso fattore VIIa-TF. È l’unico inibitore endogeno del TF-VIIa, il che ne fa una componente estremamente importante del normale equilibrio emostatico. 2. Antitrombina L’antitrombina (AT) è una serina proteasi inibitoria ad ampio spettro riscontrata nel plasma e prodotta dal fegato. Possiede sia effetti anticoagulanti che antinfiammatori. L’antitrombina inibisce l’azione di trombina, VIIa, IXa, Xa, XIa e XIIa. La molecola della AT si lega al fattore della coagulazione in un rapporto di 1:1 che conduce ad inattivazione del fattore, il complesso viene successivamente rimosso dal sistema reticoloendoteliale. Gli effetti anticoagulanti sono moltiplicati per 1000 dall’eparina. Si osserva un aumento del consumo, un incremento della distruzione ed una riduzione della produzione di AT durante la sepsi, il che porta al riscontro di ridotti livelli di AT nei pazienti settici. La fibrinolisi viene spesso dimenticata quando si considera la normale cascata della coagulazione, ma la rimozione della fibrina è di importanza vitale per mantenere l’omeostasi senza determinare una trombosi. La plasmina è responsabile della degradazione della fibrina. Viene ottenuta per scissione dal plasminogeno (che è legato alla fibrina all’interno del coagulo) ad opera dell’attivatore del plasminogeno tissutale (tPA) e/o dall’urochinasi. Questi vengono prodotti e rilasciati dalle cellule endoteliali in risposta ad un danno o alla trombina. Oltre alla fibrina, la plasmina determina anche la degradazione di FVa ed FVIIIa. Si osserva un aumento della produzione di inibitori fibrinolitici che porta ad un calo della fibrinolisi nei pazienti settici. Sepsi • Aumentata tendenza procoagulante • Ridotti meccanismi antinfiammatori • Ridotta fibrinolisi Nel complesso, i pazienti settici mostrano una maggiore probabilità di formazione intravasale di fibrina. Quanto ciò costituisca un problema clinico è noto sotto forma di coagulazione intravasale disseminata (DIC), che può portare a formazione di fibrina a livello microvascolare. Se la DIC non viene controllata, può esitare nel consumo di fattori della coagulazione e si può sviluppare una coagulopatia. In medicina veterinaria, non siamo in grado di identificare i pazienti in stato protrombotico e diagnostichiamo invece la DIC nello stato coagulopatico, una fase molto tardiva della malattia. La diagnosi di DIC non è specifica ed è basata sul riscontro di due o più anomalie di laboratorio indicative (Tab. 2) in un paziente affetto da un processo patologico ritenuto probabile causa di DIC. Tabella 2. Riscontri di laboratorio che confortano la diagnosi di DIC Parametro di laboratorio Risultato Conteggio piastrinico Ridotto 3. Sistema della Proteina C Morfologia degli eritrociti Schistociti La proteina C ed il suo cofattore, la proteina S, sono serine proteasi vitamina K-dipendenti. La proteina C è dotata di potenti azioni anticoagulanti, profibrinolitiche ed antinfiammatorie. La proteina C è una proteina plasmatica prodotta dal fegato, che circola in forma inattiva. La trombomodulina (TM), una proteina legata alla membrana endoteliale, dà origine a complessi con la trombina e la inattiva. Il complesso TM-trombina può poi rapidamente legarsi alla proteina C ed attivarla. Un’altra proteina legata alla membrana endoteliale, il recettore endoteliale della proteina C (EPCR, endothelial protein C receptor) potenzia questo processo concentrando la proteina C intorno alla TM. Una volta attivata, la proteina C viene quindi rilasciata nuovamente in circolo, dove esercita degli effetti anticoagulanti. Il legame della trombina alla TM determina un’efficace conversione della trombina stessa da un potente fattore protrombotico ad un potente fattore antitrombotico. La proteina C attivata in associazione con il suo cofattore, la proteina S, inattiva i fattori Va ed VIIIa. Tempi di coagulazione Prolongati Fibrinogeno Ridotto Prodotti di degradazione della fibrina Elevati D-Dimero Elevato Bibliografia Cate H: Pathophysiology of disseminated intravascular coagulation in sepsis. Crit Care Med 2000; 28[Suppl.]: S9-S11. Esmon CT. The protein C pathway. Chest 2003;124(3 Suppl):26S-32S). Hack CE: Tissue factor pathway of coagulation in sepsis. Crit Care Med 2000; 28[Suppl.];S25-S30. Levi M, Cate H, van der Poll T: Endothelium: Interface between coagulation and inflammation. Crit Care Med 2002. Indirizzo per la corrispondenza: Kate Hopper - Dept of Veterinary Surgery & Radiology Room 2112, Tupper Hall, University of California, Davis, CA 95616 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 164 Princìpi per la corretta interpretazione dei test di coagulazione Kate Hopper BVSc, MVS, Dipl ACVECC, Davis, California, USA EMOSTASI PRIMARIA La normalità dell’emostasi dipende dall’efficacia dell’interazione fra i sistemi emostatici primari e secondari. Le responsabili dell’emostasi primaria sono le piastrine; si tratta del tappo piastrinico iniziale che si forma quando un vaso viene danneggiato. Esistono due cause di difetti dell’emostasi primaria, la trombocitopenia o la trombocitopatia. I segni clinici delle anomalie dell’emostasi primaria sono rappresentati da petecchie, ecchimosi, epistassi e fuoriuscita di sangue dalle sedi di puntura venosa. Conteggio piastrinico Per la valutazione di tutti gli animali in condizioni critiche si raccomanda il conteggio piastrinico, che risulta di importanza vitale nei pazienti con problemi di sanguinamento. La determinazione di questo parametro può venire effettuata servendosi di un apparecchio automatico, ma è anche possibile stimarlo direttamente accanto al paziente a partire da uno striscio di sangue. In primo luogo, è necessario esaminare l’intero vetrino per rilevare la presenza di aggregati piastrinici che determinerebbero una riduzione artificiosa del conteggio di questi elementi. Quindi, si conta il numero di piastrine in parecchi campi microscopici ad alto ingrandimento e se ne calcola la media. Devono essere presenti 10-15 piastrine visibili in un campo microscopico ad elevato ingrandimento (1000 x con immersione in olio). Una piastrina per campo microscopico ad elevato ingrandimento corrisponde approssimativamente a 15.000 per µl. Si ritiene che il valore normale del conteggio piastrinico debba essere compreso fra 200.000 e 500.000 e che il riscontro di un numero inferiore a 150.000 debba generalmente essere considerato come segno di trombocitopenia. Conteggi piastrinici inferiori a 50.000 possono venire associati ad un prolungamento dei tempi di sanguinamento (vedi oltre), conteggi piastrinici inferiori a 20.000 possono causare sanguinamenti clinicamente preoccupanti per le procedure operatorie e valori al di sotto di 5000 sono associati ad episodi di sanguinamento spontaneo. Come linee guida, si può affermare che se sono presenti più di 5 piastrine per campo microscopico ad elevato ingrandimento molto probabilmente i sanguinamenti non sono dovuti soltanto ad una trombocitopenia. Il conteggio piastrinico è suscettibile di risultati falsamente bassi come conseguenza del prelievo di sangue e di errori connessi alle apparecchiature. Per questa ragione, prima di iniziare una terapia imponente bisogna sempre confermare la diagnosi di trombocitopenia. Tempo di sanguinamento della mucosa boccale Il tempo di sanguinamento della mucosa boccale (BMBT, buccal mucosal bleeding time) è uno dei pochi metodi clinicamente disponibili per la misurazione della funzione piastrinica. Si effettua utilizzando uno strumento capace di indurre un sanguinamento standardizzato praticando un’incisione nella mucosa boccale del labbro superiore. Si misura la durata del periodo di tempo che intercorre fra la realizzazione dell’incisione e la cessazione del sanguinamento. Il labbro superiore viene tenuto girato verso l’alto (di solito con una museruola di garza) per tutta la durata della determinazione, ed il sangue viene delicatamente assorbito via dall’incisione senza disturbare il coagulo in formazione. Un BMBT di circa 3 minuti è considerato normale, mentre uno superiore a 5 minuti è ritenuto prolungato. Le anomalie della funzione piastrinica ed una significativa trombocitopenia (< 50.000/µl) causano dei prolungamenti dei BMBT. Le cause di trombocitopenia sono rappresentate da uremia, terapia con farmaci non steroidei come l’acido acetilsalicilico e malattia di von Willebrand. Sfortunatamente, il BMBT è un test abbastanza grezzo della funzione piastrinica ed è risultato normale in alcuni pazienti affetti da un disordine accertato della funzione stessa e anormale in altri in cui questa non era alterata. Di conseguenza, i risultati di questo test devono venire interpretati con una certa cautela. EMOSTASI SECONDARIA Con questo termine si indica la formazione di una rete di fibrina intrecciata nel coagulo sanguigno che dipende dai fattori solubili della coagulazione. Le anomalie dell’emostasi secondaria possono essere dovute ad insufficienza dei fattori della coagulazione o alla presenza di fattori inattivi. I Via intrinseca Pathway Via estrinseca Pathway Via comune FIGURA 1 - La via tradizionale della coagulazione. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC fattori della coagulazione solubili vengono tradizionalmente ripartiti fra una via intrinseca, una via estrinseca ed una comune (Fig. 1). Gli animali con disordine della coagulazione secondaria tendono a venire portati alla visita con emorragie significative all’interno delle cavità corporee, formazione di ematomi, emartrosi, ecc… I problemi emostatici secondari non portano alla comparsa di petecchie ed ecchimosi. 165 Rilevanza clinica Il lieve prolungamento di un tempo di sanguinamento risulta difficile da interpretare e potrebbe essere la conseguenza di errori nella manipolazione del campione e/o nell’impiego dell’analizzatore. In generale, per poter essere associati a problemi di emorragie di interesse clinico, i tempi di sanguinamento devono essere pari ad 1,5-2 volte il normale. Tempo di coagulazione attivato Il tempo di coagulazione attivato (ACT) può venire determinato manualmente con le specifiche provette contenenti terra di diatomee (ACT tubes, Becton Dickinson) o con un analizzatore automatico. Se si ricorre al metodo manuale, le provette devono essere tenute a temperatura corporea per tutta la durata dell’operazione, il che idealmente si effettua impiegando un bagno in acqua a temperatura controllata oppure tenendole sotto un braccio e facendole girare delicatamente. Al momento del prelievo, alla provetta si aggiungono 2 ml di sangue e poi si misura il tempo che intercorre fra il prelievo e la formazione del coagulo. Il valore normale dell’ACT in un cane è di 90-120 secondi, mentre nel gatto è < 75 secondi. L’ACT valuta sia la via intrinseca della coagulazione che quella comune, per cui risulta prolungata in presenza di anomalie o carenze dei fattori XII, XI, IX, VIII, X, V, II o I. Poiché l’ACT è un test condotto sul sangue intero, può anche venire lievemente prolungato dalla trombocitopenia (< 50.000). I processi patologici ritenuti in grado di prolungare l’ACT sono rappresentati da DIC, epatopatie, avvelenamenti da antagonisti della vitamina K ed emofilia A e B. Tempo di protrombina Il tempo di protrombina (PT) viene misurato con un analizzatore automatico; inoltre, esistono apparecchi più recenti, portatili, che consentono la determinazione di questo parametro e dell’APTT come procedura di emergenza. Il tempo di protrombina è una misura della via estrinseca e di quella comune della coagulazione. Risulta prolungato dalla carenza o dalle anomalie dei fattori della coagulazione VII, X, II o I. I processi patologici ritenuti in grado di indurre un prolungamento del PT sono gli antagonisti della vitamina K, l’epatopatia e la DIC: Tempo di tromboplastina parziale attivata Anche il tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT) viene misurato da un analizzatore automatico. L’APTT è una misura della via intrinseca e di quella comune della coagulazione. Come l’ACT, viene prolungato dalle anomalie o dalle carenze dei fattori XII, XI, IX, VIII, X, V, II o I. Non è influenzato dalla trombocitopenia. L’APTT è considerato un test più sensibile dell’ACT e risulta prolungato quando si sia verificata una deplezione del 70% circa di un fattore, mentre l’ACT viene prolungato soltanto quando tale deplezione corrisponde al 90% circa. Valutazione di un paziente con sanguinamento 1. BMPT prolungato; se il conteggio piastrinico è > 50.000, si sospetta una trombocitopatia, se è < 20.000 si sospetta una trombocitopenia, se è compreso fra 20.000 e 50.000 si sospettano entrambe le condizioni. Le cause comuni di trombocitopatia sono rappresentate da farmaci antinfiammatori non steroidei, malattia di von Willebrand ed uremia. 2. ACT prolungata; si considerano gli stessi aspetti citati per il prolungamento dell’APTT (punto 3). 3. APTT prolungato, PT normale, conteggio piastrinico e BMBT normali: si sospetta una carenza/anomalia dei fattori della coagulazione XII, XI, IX o VIII. In medicina veterinaria, l’evento più probabile è una carenza del fattore VIII (emofilia A) o del fattore IX (emofilia B). In base a segnalazioni aneddotiche, le epatopatie in fase iniziale e le DIC all’esordio possono influire sull’APTT più che sul PT. 4. APTT prolungato, PT prolungato, conteggio piastrinico normale e BMBT normale: si sospettano antagonisti della vitamina K, epatopatie, DIC o carenza congenita dei fattori X, V, II o I. 5. PT prolungato, APTT normale, conteggio piastrinico normale e BMBT normale: si sospetta una carenza del fattore VII, sia dovuta ad un’iniziale intossicazione da antagonisti della vitamina K (il fattore VII ha l’emivita più breve) o ad una carenza congenita del fattore VII. 6. APTT prolungato, PT normale, conteggio piastrinico normale e BMBT prolungato: si sospetta la malattia di von Willebrand, che può causare oppure no delle variazioni dell’APTT. Bibliografia Carvallo ACA. Hematologic Pathophysiology. Ed; Schiffman FJ. Lippincott-Raven, Philadelphia 1998 Macintire DK, Drobatz KJ, Haskins SC and Saxon WD. Small animal emergency and critical care medicine. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2005 Indirizzo per la corrispondenza: Kate Hopper Dept of Veterinary Surgery & Radiology Room 2112, Tupper Hall University of California Davis, CA 95616 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 166 Nuovi concetti nell’approccio alla sepsi: SIRS (sindrome della risposta infiammatoria sistemica) e MODS (sindrome della disfunzione d’organo multipla) Kate Hopper BVSc, MVS, Dipl ACVECC, Davis, California, USA Col termine di sepsi si indica un processo infettivo che causa una risposta infiammatoria sistemica (SIRS) evidenziata da febbre, tachipnea, tachicardia e leucocitosi (Tab. 1). La mortalità dovuta alla sepsi si verifica in conseguenza di anomalie acquisite e progressive della funzione di altri organi, un processo noto come sindrome da disfunzione d’organo multipla (MODS – multiple organ dysfunction syndrome). Questa sindrome è caratterizzata da anomalie che si sviluppano in organi che non erano stati colpiti dall’insulto originale ed è associata ad elevati tassi di morbilità e mortalità. Il trattamento clinico dei pazienti settici è complesso e difficile. Richiede l’identificazione iniziale degli animali a rischio, un’intensa attività di monitoraggio, cure infermieristiche ed un trattamento aggressivo di qualsiasi anomalia che si sviluppi. La risposta infiammatoria Il danno tissutale locale e l’ischemia innescano delle risposte infiammatorie locali e, in molti casi, sistemiche. L’entità di tali risposte è correlata a quella del danno stesso. Una risposta infiammatoria esagerata o non regolata può travolgere i normali meccanismi di protezione dell’organismo ospite e causare a sua volta un danno tissutale. Questo diffuso danno infiammatorio può portare ad una condizione simile alla sepsi, ma non è necessariamente associato ad una causa infettiva. La risposta infiammatoria locale In seguito ad un insulto o un evento traumatico si verificano un danno cellulare, una distruzione endoteliale ed un’ischemia tissutale. Le cellule danneggiate ed il tessuto ischemico rilasciano mediatori che attivano le cellule effettrici del sistema immunitario innato come i macrofagi tissutali. Una volta attivati, questi elementi producono citochine come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α), l’interleuchina-1 beta (IL-1β), l’IL-6 e le chemochine. Le cellule endoteliali locali vengono attivate dal loro usuale stato di quiescenza ad opera di stimoli come il danno diretto, l’endotossina e/o le citochine. Queste cellule endoteliali localmente attivate esprimono molecole di adesione, rilasciano citochine proinfiammatorie ed attivano la coagulazione. Il danno cellulare endoteliale e l’esposizione degli elementi endoteliali alle citochine proinfiammatorie esitano in vasodilatazione ed incrementi locali della permeabilità capillare, con conse- guente spostamento di proteine plasmatiche e fluidi nello spazio interstiziale. L’espressione da parte delle cellule endoteliali delle selectine e delle molecole di adesione intercellulare (ICAM) in associazione con citochine e chemochine esita in arrotolamento, adesione e transmigrazione dei leucociti circolanti nei circostanti tessuti danneggiati. I neutrofili sono di importanza vitale per questa risposta infiammatoria. Una volta attivati, rilasciano proteasi, elastasi e forme reattive dell’ossigeno per determinare la morte delle cellule danneggiate e dei microrganismi, consentendo un’efficace fagocitosi ed una riparazione tissutale. Questa risposta flogistica locale è accompagnata dall’attivazione di numerose altre vie infiammatorie, come il complemento, la coagulazione, il sistema delle chinine e la cascata dell’acido arachidonico. Questa reazione infiammatoria è anche responsabile dell’elaborazione dei fattori occorrenti per la nuova crescita cellulare, l’angiogenesi, ecc… essenziali per la riparazione tissutale. La risposta infiammatoria locale è una componente appropriata e vitale sia delle difese dell’ospite che del processo di guarigione da un evento patologico. Porta alla comparsa dei classici segni di arrossamento, calore, tumefazione e dolore del tessuto leso, ma senza segni sistemici associati. Infiammazione sistemica La sindrome di risposta infiammatoria sistemica (SIRS) si ha quando si verifica il rilascio di mediatori dell’infiammazione nella circolazione sistemica. Questi mediatori innescano risposte globali che sono i marcatori clinici della SIRS: febbre o ipotermia, tachicardia, tachipnea, riduzione o aumento dei leucociti totali (Tab. 1). La risposta infiammatoria sistemica si ha quando una sede locale di infiammazione è abbastanza grave da consentire un “superafflusso” di mediatori in circolo invece di contenerli a livello della sola regione del tessuto leso. Il rilascio sistemico dei mediatori si può anche avere in risposta ad un insulto sistemico come una batteriemia o un’endotossiemia. L’entità della SIRS varia da lieve a grave; in generale, la SIRS lieve o moderata è una risposta normale e benefica ad un insulto significativo. È vitale per l’immunocompetenza e senza di essa si ha un aumento della morbilità e della mortalità. Una grave risposta da SIRS può essere dannosa, causando una disfunzione cellulare ed un danno tissutale più significativi di quelli indotti dall’evento patologico primario stesso. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 167 Tabella 1. Riconoscimento clinico della SIRS Cane = 2 o più delle seguenti condizioni Gatto = 3 o più delle seguenti condizioni* Tachipnea Tachipnea – frequenza > 40 atti/minuto Tachicardia Frequenza cardiaca < 140 o > 225 atti/minuto Iper- o ipotermia Temperatura < 37,8°C o > 39,7 °C Alto o basso numero di leucociti o > 10% forme non segmentate Leucociti < 5000/µl o >19.500/µl o > 5% forme non segmentate *Brady CA et al. JVMA 2000; 217 (4): 531-535. Tabella 2. Definizioni dei più comuni termini relativi alla sepsi Termine Definizione Infezione La risposta dell’organismo ospite alla presenza di microrganismi o all’invasione tissutale da parte di microrganismi Batteriemia La presenza di batteri vitali nel sangue circolante SIRS Sindrome di risposta infiammatoria ad un insulto o danno, che si manifesta mediante tachipnea, tachicardia, temperatura corporea anormale, conteggio leucocitario anormale MODS Sindrome di disfunzione d’organo multipla – la presenza di una funzione organica alterata richiede un intervento in un paziente in condizioni critiche Sepsi SIRS ed un’infezione Sepsi grave Sepsi associata a disfunzione organica, ipoperfusione o ipotensione Shock settico Ipotensione in un paziente settico nonostante un’adeguata rianimazione mediante fluidoterapia Le principali cause della SIRS sono rappresentate da infezione, trauma, pancreatite, ustioni e reazioni immunitarie. In pratica, qualsiasi insulto che porti ad un danno cellulare induce una risposta infiammatoria ed è potenzialmente in grado di causare la SIRS. È importante notare che, anche se costituisce una causa comune della sindrome, l’infezione non è l’unica. La sindrome di risposta infiammatoria sistemica, come dice il suo stesso nome, è una sindrome, una raccolta di segni clinici che si presentano insieme. Il riscontro della SIRS in un paziente non fornisce alcuna informazione relativa al processo patologico primario o alla prognosi. Piuttosto, si tratta di un’osservazione che può risultare utile per la valutazione della gravità della malattia e può consentire di identificare i pazienti maggiormente a rischio di sviluppo di disfunzioni organiche acquisite. La SIRS grave conduce ad un’attivazione endoteliale globale che causa un’attivazione generalizzata ed aumenta la permeabilità capillare; ciò contribuisce a determinare ipovolemia, ipotensione, ipoproteinemia ed edema interstiziale. La diffusa attivazione dei neutrofili, in associazione con la attivazione globale dell’endotelio, può portare ad una indiscriminata invasione tissutale. I neutrofili attivati migrano nel tessuto sano e non danneggiato. Il rilascio di sostanze citotossiche da parte di questi elementi provoca un danno tissutale non controllato e la morte delle cellule. L’attivazione endoteliale generalizzata è il precursore della coagulazione intravasale disseminata (DIC) che può esitare nella formazione di trombi microvascolari. Negli organi vitali, la combinazione di ipoperfusione, microtrombosi e danno cellulare diretto può condurre alla perdita di funzione e, se grave, all’insufficienza organica. Sindrome di disfunzione d’organo multipla Bibliografia La sindrome di disfunzione d’organo multipla (MODS) è caratterizzata da alterazioni progressive ed acquisite della funzione di organi non coinvolti dall’insulto o evento patologico originario. Come può venire danneggiato un organo lontano dalla sede del processo patologico iniziale? Si tratta di un danno mediato dall’infiammazione ed è una conseguenza delle risposte cellulari dello stesso organismo ospite. Fra gli effetti positivi e quelli dannosi dell’infiammazione sistemica esiste un delicato equilibrio. Con il rilascio sistemico di mediatori dell’infiammazione, tutti gli effetti della flogosi locale elencati più sopra si verificano su scala globale. Come componente critica di questa risposta si osserva un’attivazione diffusa delle cellule endoteliali. Come già ricordato, la SIRS lieve o moderata e controllata è una reazione appropriata ed utile ad un danno o un insulto significativo, ma quella grave può avere effetti deleteri per l’ospite. Brady CA et al. JAVMA 2000;217(4):531-535 Hotchkiss RS, Karl IE. The pathophysiology and treatment of sepsis. N Engl J Med 2003;348(2):138-150 Macintire DK, Drobatz KJ, Haskins SC and Saxon WD. Small animal emergency and critical care medicine. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2005 Marino PL, The ICU Book, 2nd Ed. Williams & Wilkins, Baltimore 1998 Schrier RW, Wang W. Acute renal failure in sepsis. N Engl J Med 2004; 352(2):159-169 Tracey KJ. The inflammatory reflex. Nature 2002;420(19):853-859 Indirizzo per la corrispondenza: Kate Hopper Dept of Veterinary Surgery & Radiology Room 2112, Tupper Hall - University of California Davis, CA 95616 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 168 Trattamento dell’insufficienza renale acuta Kate Hopper BVSc, MVS, Dipl ACVECC, Davis, California, USA Nei pazienti in condizioni critiche l’insufficienza renale acuta può essere dovuta a numerose cause; fra queste, sono comuni l’ischemia renale e la necrosi tubulare acuta, che possono essere reversibili se l’animale può venire adeguatamente sostenuto. Se si sospetta una causa scatenante specifica come un agente infettivo o una nefrotossina, è essenziale attuare una terapia appropriata e mirata. Negli animali in condizioni critiche, il primo segno di insufficienza renale acuta di solito è l’oliguria o l’anuria. L’insorgenza dell’iperazotemia con aumenti dei livelli ematici di azoto ureico e creatinina può richiedere molte ore e nei pazienti in condizioni critiche tende ad essere un segno tardivo di insufficienza renale. La produzione di urina viene generalmente considerata adeguata quando è > 1 ml/kg/ora; valori inferiori a questo limite richiedono un intervento immediato ed una produzione di urina < 0,5 ml/kg/ora costituisce un’emergenza medica. La terapia iniziale illustrata in questa relazione è volta a risolvere l’oliguria/anuria. Ciò può riflettere oppure no il miglioramento della funzione renale, ma previene molte delle complicazioni potenzialmente letali associate all’insufficienza renale. uroretroperitoneo a seconda della localizzazione del danno. L’uroaddome viene diagnosticato in base alla presenza di fluidi addominali con una concentrazione di creatinina e/o potassio più elevata dei corrispondenti livelli sierici. Un esame con mezzo di contrasto della vescica e dell’uretra di solito rivela la localizzazione della rottura. Le raccolte di fluidi nello spazio retroperitoneale possono venire individuate mediante radiografie o ecografie addominali. Se risulta possibile effettuare l’aspirazione di questi fluidi per l’analisi, si arriva facilmente alla diagnosi. Per definire ulteriormente le lesioni degli ureteri di solito è necessario un esame con mezzo di contrasto come una pielografia endovenosa. Il successo dell’inserimento di un catetere urinario permette di escludere la maggior parte delle cause di ostruzione uretrale e vescicale. L’ostruzione degli ureteri è più difficile da identificare, le radiografie dell’addome possono rivelare la presenza di ureteroliti radiopachi, l’ecografia addominale può evidenziare una dilatazione della pelvi renale ± del tratto prossimale degli ureteri. Gli esami con mezzo di contrasto sono utili, ma possono essere molto difficili da eseguire in presenza di un’ostruzione renale completa. 3. Esclusione delle cause prerenali 1. Conferma dell’oliguria/anuria • Palpazione della vescica • Introduzione di un catetere urinario – infusione di liquidi attraverso il catetere, per assicurarsi che non vi siano ostruzioni al flusso • Se il catetere non è inserito – inserirlo appena possibile • Ecografia addominale – verificare le dimensioni della vescica e la presenza di segni di uroaddome. L’oliguria/anuria può essere dovuta a malattie prerenali, renali o postrenali. Quelle prerenali sono costituite da processi patologici che causano una riduzione della perfusione renale, per cui l’oliguria che ne deriva costituisce una risposta appropriata da parte dell’organo. Le cause renali indicano l’esistenza di nefropatie intrinseche come una necrosi tubulare acuta, una glomerulonefrite, ecc.. Le cause postrenali dell’oliguria/anuria comprendono le lesioni ostruttive o la rottura di ureteri, vescica o uretra. 2. Esclusione delle cause postrenali La rottura dell’uretra o della vescica determina un uroaddome e/o una cellulite nella regione della distruzione uretrale. La rottura degli ureteri può causare un uroaddome o un Nella maggior parte dei casi, la ridotta perfusione renale è una conseguenza dell’ipovolemia e/o dell’ipotensione. Quest’ultima viene identificata sulla base del riscontro di una pressione arteriosa media < 60 mm Hg o di una pressione sistolica di 90 mm Hg. L’esame clinico è una delle valutazioni più importanti dell’ipovolemia. I segni di quest’ultima sono rappresentati da depressione, pallore delle mucose, prolungamento del tempo di riempimento capillare, tachicardia e raffreddamento delle estremità. Se è disponibile la misurazione della pressione venosa centrale, il riscontro di valori < 0 cm H2O conforta la diagnosi di ipovolemia. 4. Ripristinare la perfusione renale nel modo appropriato: Se esiste una qualsiasi prova dell’esistenza di ipovolemia e/o ipotensione, si deve avviare la rianimazione mediante infusione di fluidi. Si può utilizzare un bolo di cristalloidi di 10-20 ml/kg per via endovenosa, da ripetere per risolvere i segni clinici dell’ipovolemia. Se l’ipotensione persiste nonostante la somministrazione di un adeguato volume di fluidi, bisogna utilizzare un agente vasopressore come la dopamina alla dose di 5-15 µg/kg/min a velocità di infusione costante. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Si inizia dall’estremità inferiore dell’intervallo posologico e si aumenta lentamente sino ad effetto. Se lo status volumetrico del paziente è difficile da determinare, prima di iniziare la diuresi si somministra un bolo di fluidi di prova. Se in risposta a questo trattamento il paziente mostra un miglioramento, può essere indicata un’ulteriore infusione di fluidi. 5. Diuresi Se l’anuria/oliguria non risponde al ripristino della perfusione renale, la terapia deve essere volta a stimolare direttamente la produzione di urina. La presenza di una produzione di urina non è associata ad una prognosi migliore per la guarigione della funzione renale, ma rende di gran lunga più facile il trattamento del paziente e riduce la morbilità e la mortalità per questa ragione. Furosemide: Si effettua una somministrazione iniziale di 1-4 mg/kg/IV, se la produzione di urina non è > 1 ml/kg/ora entro 30 minuti si ripete alla dose iniziale o ad una più elevata. Se si ottiene una produzione di urina soddisfacente, la somministrazione può venire ripetuta ogni 6-8 ore secondo necessità. Il farmaco può venire somministrato prima, dopo o in associazione con la terapia con mannitolo. Mannitolo: Si ritiene che il mannitolo aumenti la perfusione renale, faccia regredire il rigonfiamento delle cellule epiteliali renali, aumenti il flusso dei fluidi nei tubuli renali, allevi l’ostruzione intratubulare, incrementi l’escrezione di soluti ed elimini i radicali liberi dell’ossigeno. La dose “renale” del mannitolo (10-25%) è pari a 0,251,0 g/kg in bolo nell’arco di 20-30 minuti; se dopo questa terapia si osserva un’adeguata produzione di urina, si può continuare a velocità di infusione costante di 1-2 mg/kg/min o ripetere la somministrazione del bolo ogni 4-6 ore. La terapia con mannitolo va limitata ad una durata di circa 48 ore. Dopamina: La dopamina è una catecolamina che a basse dosi (< 5 µg/kg/min) è stata utilizzata per molti anni per la prevenzione o il trattamento dell’insufficienza renale acuta. Si ritiene che sia inefficace nel gatto e scarsamente efficace nel cane. Non è più consigliata nei pazienti umani con insufficienza renale acuta. 6. Mancata risposta alla terapia Se un paziente non riesce a presentare un’adeguata produzione di urina nonostante la terapia medica, le conseguenze dell’uremia diventeranno in breve tempo potenzialmente letali. La terapia più efficace per questi animali è l’emodialisi, che però attualmente ha una disponibilità limitata a causa di fattori economici e geografici. Se non si può ricorrere all’emodialisi, una possibile alternativa è data dalla dialisi peritoneale. Quest’ultima è associata a molte complicazioni tecniche e mediche, ma in alcuni pazienti può essere una 169 procedura salvavita. Il principale motivo di preoccupazione per la sopravvivenza del paziente nell’insufficienza renale acuta è l’iperkalemia. 7. Trattamento dell’iperkalemia Gli animali con oliguria/anuria devono essere sottoposti frequentemente al monitoraggio degli elettroliti. Qualsiasi fluidoterapia somministrata deve essere priva di potassio, come la soluzione fisiologica (NaCl 0,9%). Se si verifica un aumento dei livelli sierici di questo elemento, si raccomanda il monitoraggio elettrocardiografico (ECG) per determinare se l’iperkalemia sia clinicamente preoccupante oppure no. Il trattamento di questa condizione è indicato quando si rilevano altre alterazioni elettrocardiografiche, si sviluppa una nuova aritmia o una bradicardia, o – in assenza di un monitoraggio ECG – si rileva un aumento clinicamente preoccupante dei livelli sierici del potassio. Per il trattamento dell’iperkalemia esistono tre opzioni principali: 1. Calcio gluconato 10% IV (0,5-1 ml/kg IV lentamente nell’arco di due minuti). Questo trattamento protegge il cuore dagli effetti dell’iperkalemia, ma non abbassa i livelli sierici di potassio. La terapia con calcio gluconato è raccomandata come intervento di emergenza nell’iperkalemia che causa anomalie cardiache. 2. Insulina e destrosio (0,5-1 U di insulina amorfa IV seguita da 1-2 g di destrosio al 25% IV per U di insulina somministrata). I fluidi IV somministrati ai pazienti devono anche essere integrati con destrosio ed è necessario uno stretto monitoraggio della glicemia. Questa terapia diminuisce i livelli sierici di potassio e può essere ripetuta in caso di necessità, a condizione di prevenire l’insorgenza dell’ipoglicemia. 3. Bicarbonato di sodio (1-2 mEq/kg IV nell’arco di 15-20 minuti) Anche questa terapia diminuisce i livelli sierici di potassio, e possiede un effetto alcalinizzante per cui va utilizzata preferibilmente nei pazienti con una concomitante acidosi metabolica. Se il paziente non è in acidosi, può essere preferibile il trattamento con insulina/destrosio. Bibliografia DiBartola SP. Fluid therapy in small animal practice. WB Saunders 2000 Macintire DK, Drobatz KJ, Haskins SC and Saxon WD. Small animal emergency and critical care medicine. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2005 Indirizzo per la corrispondenza: Kate Hopper Dept of Veterinary Surgery & Radiology Room 2112, Tupper Hall University of California Davis, CA 95616 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 170 Trattamento dell’insufficienza epatica Kate Hopper BVSc, MVS, Dipl ACVECC, Davis, California, USA Terapia specifica Le cause più comuni dell’insufficienza epatica sono le epatotossine e le malattie infettive. Se si riesce ad identificare una specifica causa scatenante, occorre eliminarla o farla regredire il più presto possibile. Spesso l’eziologia primaria non è nota al momento della presentazione alla visita dell’animale. L’insufficienza fulminante comporta una prognosi riservata nonostante una terapia intensiva; nei pazienti che sopravvivono al periodo acuto la prognosi relativa alla guarigione è discreta, perché il fegato ha ampie capacità di rigenerazione. Ipoproteinemia Il fegato è la sola fonte di produzione di albumina e la perdita della sua funzionalità porta rapidamente ad un’ipoalbuminemia. L’albumina svolge molte funzioni fisiologiche vitali, oltre ad essere il principale fattore che contribuisce alla pressione oncotica colloidale sierica (COP). Livelli di albumina inferiori a 20 g/l sono motivo di preoccupazione e valori al di sotto di 10 g/l sono associati ad ascite spontanea, edema, ecc… In questi pazienti, si raccomanda di monitorare strettamente i livelli totali di proteine sieriche e di misurare le concentrazioni sieriche di albumina almeno una volta al giorno. La COP può venire misurata direttamente con un colloidosmometro, che però può non essere facilmente disponibile in ambito clinico. I valori normali di questo parametro sono pari a 22-24 mm Hg ed esiti inferiori a 24 mm Hg sono motivo di preoccupazione. La soluzione ideale è rimpiazzare l’albumina mediante trasfusioni, ma generalmente non è praticabile sia per ragioni di disponibilità che per fattori economici. Come linee guida generale, occorrono almeno 40 ml/kg di plasma per far aumentare di 10 g/l i suoi livelli sierici. L’albumina sierica umana è una forma concentrata di questa proteina disponibile in soluzione al 5% o al 25%. È stata utilizzata con successo in medicina veterinaria e consente di ripristinare efficacemente l’albuminemia, ma la disponibilità ed i costi di questo prodotto per uso umano possono essere proibitivi. I colloidi di sintesi sono un trattamento efficace dei bassi valori di COP e vengono frequentemente utilizzati nei pazienti con insufficienza epatica. Questi composti non svolgono le molte altre importanti funzioni dell’albumina, per cui in caso di grave ipoalbuminemia può essere importante somministrare contemporaneamente sia plasma che altri colloidi. I colloidi di sintesi, specialmente in dosi elevate, pos- sono compromettere la coagulazione, e per questa ragione vanno utilizzati con cautela in presenza di una cattiva funzione epatica. Si consiglia di mantenere la dose totale impiegata al di sotto di 20 ml/kg/die per ridurre la probabilità di un’esacerbazione di una coagulopatia. Nei pazienti con una significativa coagulopatia preesistente, può essere necessario interrompere la somministrazione dei colloidi fino alla risoluzione della coagulopatia stessa. Coagulopatia La maggior parte dei fattori della coagulazione viene prodotta dal fegato e l’insufficienza dell’organo conduce alla loro deplezione. Oltre a compromettere il metabolismo epatico, si può avere una compromissione dell’assorbimento della vitamina K liposolubile attraverso il sistema degli acidi biliari, determinando un’effettiva carenza di questa vitamina e un’inadeguata attivazione dei fattori della coagulazione che da essa dipendono. Nell’insufficienza epatica si osserva anche un calo del conteggio e della funzione delle piastrine. Come conseguenza, i pazienti con disfunzione epatica mostrano comunemente un aumento della tendenza al sanguinamento. In questi animali è essenziale monitorare la coagulazione una o due volte al giorno. Sono comuni segni clinici quali ecchimosi e fuoriuscita di sangue in corrispondenza delle sedi di puntura venosa. Negli animali con significativa disfunzione epatica è indicata la terapia con vitamina K1 nel tentativo di prevenire lo sviluppo di una coagulopatia. È stato suggerito l’impiego della vitamina K1 alla dose di 2,5 mg/kg due volte al giorno per via sottocutanea. Quando il sanguinamento clinico costituisce un motivo di preoccupazione, si deve ricorrere alla somministrazione di plasma fresco congelato alla dose iniziale di 10 ml/kg; può darsi che tale dose debba essere ripetuta frequentemente per controllare la coagulopatia. Ipoglicemia L’ipoglicemia si può instaurare in seguito ad insufficienza epatica e/o sepsi e deve essere identificata e trattata rapidamente per prevenire le crisi convulsive ed il danno neurologico. Tutti i pazienti con insufficienza epatica devono essere sottoposti regolarmente alla misurazione della glicemia, 2-6 volte al giorno. Questo monitoraggio va ripetuto frequentemente anche nei casi in cui un paziente diviene ipoglicemico e richiede un’integrazione con glucosio. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC L’ipoglicemia senza segni clinici evidenti può venire trattata mediante integrazione dei fluidi con destrosio al 2,5% o al 5%. Nota: ripristinare i fluidi del paziente con una sacca da infusione di destrosio al 5% in acqua non è appropriato perché questa soluzione non contiene sodio e non assicura un sostegno al volume vascolare. Se un animale presenta un’ipoglicemia che causa dei problemi clinici, è indicata l’iniezione di un bolo endovenoso di destrosio – 0,5 ml/kg di destrosio al 50% in bolo IV lento. Compromissione gastroenterica Vomito, diarrea ed emorragia gastroenterica sono comuni sequele dell’insufficienza epatica. Si ricorre comunemente ad una terapia sintomatica con antiemetici ed antiacidi come i bloccanti H2 o l’omeprazolo. La compromissione gastroenterica può esitare in traslocazione batterica ed aumento della suscettibilità alle infezioni. Per questa ragione, si somministrano antibiotici ad ampio spettro come l’ampicillina e l’enrofloxacin. I corticosteroidi ed i farmaci antinfiammatori non steroidei sono controindicati perché possono causare un sanguinamento gastroenterico. Encefalopatia epatica L’encefalopatia epatica (HE) si può presentare con una varietà di segni clinici quali ottundimento, cecità, comportamento maniacale e crisi convulsive. Si tratta di una conseguenza dell’accumulo di tossine formate dalla degradazione delle proteine nell’intestino. La terapia è finalizzata principalmente a ridurre la produzione e l’assorbimento di queste tossine. Negli episodi acuti di encefalopatia epatica si sospende del tutto l’alimentazione e si utilizzano dei clismi di ritenzione di lattulosio. All’interno del colon si introduce, attraverso un catetere di Foley, una soluzione costituita da una parte di lattulosio e tre parti di acqua, dopo di che si gonfia il palloncino e si lascia in sede per 20 minuti circa. Questa procedura viene ripetuta ogni 4-6 ore finché l’animale mostra significativi segni neurologici. La somministrazione di lattulosio può causare disidratazione ed anomalie elettrolitiche e, per prevenire questi problemi, è necessario ricorrere alle appropriate cure mediche. L’attività convulsiva va controllata rapidamente. È di importanza vitale monitorare la glicemia di questi pazienti, perché l’ipoglicemia può essere causa di crisi convulsive. Data la ridotta funzione metabolica del fegato, per quanto possibile si devono evitare i barbiturici; se li si impiega, la dose va diminuita al 25% del normale e titolata sino ad effetto. La sensibilità al diazepam dei pazienti con encefalopatia epatica è controversa; esistono dati che indicano che questi animali potrebbero mostrare un aumento o un calo della sensibilità a questo farmaco. Se si utilizza il diazepam, bisogna somministrarlo a basse dosi e titolandolo sino ad effetto. Per il controllo delle crisi con- 171 vulsive in questa popolazione di pazienti è stato utilizzato il propofolo, che però può portare ad una sedazione profonda o all’anestesia, che impongono il monitoraggio intensivo e, in alcuni casi, la ventilazione meccanica. Per ridurre la popolazione dei batteri che producono le tossine risultano utili anche gli antibiotici per uso orale, che vanno somministrati non appena il paziente viene ritenuto abbastanza stabile. Si possono utilizzare metronidazolo per os alla dose di 7,5 mg/kg PO 2-3 volte al giorno, o ampicillina alla dose di 10 mg/kg PO ogni 8 ore, o neomicina solfato alla dose di 20 mg/kg PO due volte al giorno. Per la terapia di mantenimento, si somministra lattulosio per os (1-2 ml/10 kg due volte al giorno) per ridurre la produzione e l’assorbimento dell’ammoniaca. Una volta che il paziente sia stato stabilizzato, si assicura una dieta a ridotto contenuto proteico ed a base di proteine e carboidrati altamente digeribili, come quelli derivati da formaggio fresco e riso oppure riso e uova. Cure di sostegno Come tutti i pazienti in condizioni critiche, è costantemente necessario mantenere lo status idrico, elettrolitico ed acido basico. L’ipovolemia è uno dei principali motivi di preoccupazione, come conseguenza dell’aumento delle perdite nel terzo spazio del tratto gastroenterico. È indicata una terapia con fluidi cristalloidi isotonici, associata ad un’adeguata integrazione con potassio. Si raccomanda di mantenere l’ematocrito a valori pari o superiori al 24% circa. Il supporto cardiovascolare è di importanza vitale per garantire la perfusione del fegato malato e prevenire la compromissione di altri organi. Alcune linee guida generali sono rappresentate dal mantenimento di una pressione arteriosa media > 60 mm Hg, una pressione arteriosa sistolica > 90 mm Hg ed una produzione di urina adeguata (> 1 ml/kg/ora). Si suggerisce l’impiego di un catetere urinario per consentire un monitoraggio accurato della produzione di urina e prestare la necessaria assistenza infermieristica al paziente in decubito. Bibliografia Ettinger SJ, Feldman EC. Textbook of veterinary internal medicine.5th ed. WB Saunders 2000 DiBartola SP. Fluid therapy in small animal practice. WB Saunders 2000 Macintire DK, Drobatz KJ, Haskins SC and Saxon WD. Small animal emergency and critical care medicine. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2005 Indirizzo per la corrispondenza: Kate Hopper Dept of Veterinary Surgery & Radiology Room 2112, Tupper Hall University of California Davis, CA 95616 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 172 Monitoraggio dell’ossigenazione. Ossimetria pulsatile ed emogasanalisi: due tecniche a confronto Kate Hopper BVSc, MVS, Dipl ACVECC, Davis, California, USA INTRODUZIONE VALORI ATTESI DI PaO2 L’ossigeno ematico può venire misurato in diversi modi. Clinicamente, le due modalità più comuni sono l’emogasanalisi arteriosa e la pulsossimetria. La prima è di gran lunga più affidabile e sensibile per la valutazione dell’ossigenazione rispetto alla seconda, ma, sfortunatamente, risulta tecnicamente più difficile e più costosa. I livelli di ossigeno misurati devono sempre essere interpretati tenendo conto della quantità di ossigeno inspirata dal paziente. Tale quantità dipende dalla frazione di ossigeno inspirato (FIO2), dalla pressione barometrica e dalla PCO2 in atto. La frazione dell’ossigeno inspirato viene espressa sia sotto forma di percentuale che di decimale. Ad esempio, la FIO2 dell’aria ambientale può essere considerata pari al 21% o a 0,21. Al livello del mare, la pressione barometrica è di circa 760 mm Hg, e diminuisce all’aumentare dell’altitudine. Come conseguenza, si osserva una riduzione del livello normale di ossigeno nel sangue all’aumentare dell’altitudine. Ad un dato livello di ossigeno inspirato, la capacità di un paziente di ossigenare è in gran parte un riflesso della funzione polmonare. In un paziente con polmoni normali, la PaO2 aumenta al crescere della FIO2. Per analizzare un gas arterioso, è necessario calcolare la PaO2 “normale” per un dato valore di FIO2; questa potrà poi venire confrontata con il valore misurato. Esistono parecchi modi con cui è possibile determinare la PaO2 attesa. GAS EMATICI ARTERIOSI I gas ematici arteriosi misurano la pressione parziale dell’ossigeno (PaO2) e del biossido di carbonio (PaCO2) trasportati in soluzione fisica nel plasma. La PaO2 normale di un animale che respiri aria ambientale a livello del mare è di 80-120 mm Hg. Si definisce come ipossiemia una PaO2 inferiore a 80 mm Hg. Valori al di sotto di 60 mm Hg sono considerati indicativi di ipossiemia grave e richiedono una terapia immediata perché potrebbero essere potenzialmente letali. La valutazione dei gas ematici arteriosi richiede un prelievo di un campione di sangue arterioso ed un emogasanalizzatore. I campioni di sangue arterioso possono venire prelevati attraverso un ago arterioso diretto oppure attraverso un catetere arterioso permanente. Le sedi comuni di campionamento sono l’arteria dorsale del piede, l’arteria femorale, e l’arteria del padiglione auricolare. È importante manipolare i campioni con cautela; non devono essere esposti all’aria, si devono utilizzare gli anticoagulanti appropriati e l’analisi deve essere effettuata rapidamente. Se invece è necessario ritardarla, in campione va conservato in acqua ghiacciata. Gradiente A-a: La differenza fra la PO2 alveolare e quella arteriosa viene detta gradiente A-a. Nei polmoni normali, la pressione parziale arteriosa dell’ossigeno si pone quasi sempre in equilibrio completo con la pressione parziale dell’ossigeno alveolare. Man mano che la funzione polmonare si deteriora, la differenza fra ossigeno alveolare ed arterioso aumenta. Il gradiente A-a costituisce una misura della capacità di ossigenare, e tiene conto delle alterazioni dei livelli di PCO2. La PO2 alveolare (PAO2) deve essere calcolata attraverso l’equazione dell’aria alveolare per determinare questo gradiente. Equazione dell’aria alveolare PAO2 = (FIO2 x (pressione barometrica – vapore acqueo)) – (PaCO2/RQ) RQ = quoziente respiratorio = Produzione di CO2/Consumo di O2 ~ 0,9 (0,7 – 1,0) Vapore acqueo = 47 mm Hg Pressione barometrica = 760 mm Hg a livello del mare Il gradiente A-a normale (PAO2 – PaO2) è < 10 mm Hg per l’aria ambientale e un gradiente A-a > 25 mm Hg nell’aria ambientale è considerato anormale. L’entità del gradiente è proporzionale alla gravità della disfunzione polmonare. Il gradiente A-a normale aumenta al crescere della FIO2; sfortunatamente, gli esatti valori normali del gradiente A-a per gli animali sottoposti ad un’integrazione con ossigeno non sono stati definiti ed il gradiente A-a viene preferibilmente calcolato su campioni di gas ematici arteriosi prelevati quando il paziente sta respirando aria ambientale. Rapporto PaO2/FIO2 (rapporto P/F): Si tratta di un modo eccellente per confrontare la capacità di ossigenazione in un paziente con differenti livelli di FIO2, purché la PCO2 non abbia subito drastici mutamenti. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Per questo rapporto, la FIO2 viene espressa sotto forma di decimali. Per esempio, una PaO2 di 110 mm Hg in un animale che respiri aria ambientale al 21% fornirebbe un valore calcolato pari a 110/0,21 = 524. > 500: funzione polmonare normale 200 – 300: disfunzione polmonare moderata < 200: disfunzione polmonare grave Regola della moltiplicazione per 5: Si tratta di un modo utile, rapido e facile per determinare quale PaO2 ci si deve aspettare da un paziente con funzione polmonare normale che abbia una data FIO2. Non tiene conto di grandi anomalie della PCO2. La PaO2 attesa viene calcolata pari a circa 5 volte la FIO2 (espressa come %). Ad esempio, se un animale sta respirando ossigeno al 50%, la PaO2 attesa sarà di 250 mm Hg. PULSOSSIMETRIA La pulsossimetria utilizza una sonda che emette luce, l’apparecchio analizza lo spettro della luce riflessa dai tessuti e determina la percentuale di emoglobina saturata dall’ossigeno (SpO2). La SpO2 è una tecnica non invasiva ed ampiamente disponibile, il che ne fa un mezzo molto utile per il monitoraggio del paziente, ma esposto ad errori di lettura e molto poco sensibile per il monitoraggio dei pazienti trattati con integrazione con ossigeno. Come massimizzare la precisione della pulsossimetria • Applicare la sonda su un’area di tessuto calda, sottile e con pigmentazione minima: l’ideale sono le mucose. • Proteggere la sonda dalla luce ambientale. • Fare in modo che il paziente stia fermo. • Effettuare letture continue oppure multiple, non fidarsi mai di una sola. • Assicurarsi che la frequenza cardiaca mostrata dal pulsossimetro corrisponda a quella del paziente nel momento in esame. • Se la SpO2 non corrisponde al quadro clinico, effettuare un’analisi dei gas ematici arteriosi o continuare a ripetere le letture prima di fidarsene. – Quando sono poco accurati, i pulsossimetri tendono a leggere una saturazione inferiore a quella reale – La SpO2 è una misurazione della saturazione dell’emoglobina da parte dell’ossigeno, ma non fornisce alcuna informazione relativa alla quantità di emoglobina. In un paziente anemico con funzione polmonare normale ci si deve attendere una SpO2 normale. – L’emoglobina raggiunge la massima saturazione ad una PaO2 di circa 120 mm Hg, per cui un animale con una SpO2 del 99-100% può avere un valore di PaO2 qualsiasi fra 120 e 500 mm Hg o più. Al contrario, un animale sottoposto ad integrazione con ossigeno potrebbe presentare una drastica riduzione della funzione polmonare che determina una caduta della sua PaO2, ad esempio da 400 a 200, ed il pulsossimetro non mostrerebbe alcuna alterazione. Per questa ragione, la pulsossimetria è un sistema di monitoraggio molto poco sensibile per i pazienti trattati con integrazione con ossigeno. 173 – Il riscontro di un qualsiasi valore di SpO2 al di sotto del 99% in un animale sottoposto ad integrazione con ossigeno è anormale!! CIANOSI La cianosi è associata ad ipossiemia (di solito PaO2 entro i limiti di 40-50 mm Hg), ma è importante ricordare che la sua assenza non implica un’ossigenazione adeguata. La PaO2 può corrispondere a qualsiasi valore fra 50 ed 80 mm Hg e le mucose appariranno ancora di colore rosa, nonostante che il paziente sia ipossiemico. Perché la cianosi sia visibile è necessario che siano presenti 5 g/dl di emoglobina deossigenata. Ciò significa che i pazienti anemici si troveranno ad essere di gran lunga più ipossiemici di quelli con ematocrito normale per determinare la stessa alterazione di colore delle mucose. OSSIGENO VENOSO La PvO2 viene determinata sulla base della quantità totale di ossigeno apportato ai tessuti e del consumo di ossigeno da parte dei tessuti stessi. Di conseguenza può essere influenzata da molte variabili; • Gittata cardiaca • Ematocrito • Ossigenazione • Tasso metabolico tissutale • Consumo di ossigeno Per questa ragione, la PvO2 non può mai venire utilizzata come indicatore della funzione polmonare! I campioni periferici di PvO2 possono presentare delle variazioni sostanziali, specialmente nei pazienti scarsamente perfusi e/o in condizioni critiche. Se desiderate interpretare la PvO2, si consiglia il prelievo di campioni a livello centrale (giugulare). Interpretazione della PvO2 Un basso valore di PvO2 centrale costituisce un motivo di preoccupazione, dal momento che suggerisce che in quel paziente vi siano tessuti che stanno ricevendo un insufficiente apporto di ossigeno. La PvO2 dovrebbe essere almeno pari a 40 mm Hg, un valore < 30 mm Hg deve suscitare una certa preoccupazione e risultati < 20 mm Hg richiedono attenzione. Un’elevata concentrazione plasmatica di lattati in associazione con una bassa PvO2 centrale costituisce un ulteriore segno della cattiva ossigenazione tissutale. Un basso valore di PvO2 è indice di insufficiente apporto di ossigeno alle cellule, può riflettere una gittata cardiaca inadeguata, anemia, ossigenazione inadeguata o aumento del consumo di ossigeno. Bibliografia King LG. Textbook of respiratory disease in dogs and cats. WB Saunders, St Louis 2004 Macintire DK, Drobatz KJ, Haskins SC and Saxon WD. Small animal emergency and critical care medicine. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2005 Marino PL, The ICU Book, 2nd Ed. Williams & Wilkins, Baltimore 1998 West JB, Respiratory Physiology, The Essentials. 6th Ed. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2000 Indirizzo per la corrispondenza: Kate Hopper - Dept of Veterinary Surgery & Radiology Room 2112, Tupper Hall, University of California, Davis, CA 95616 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 174 Quando la difficoltà respiratoria non è di origine respiratoria Kate Hopper BVSc, MVS, Dipl ACVECC, Davis, California, USA La difficoltà respiratoria è un comune problema di emergenza caratterizzato da un aumento della frequenza e dello sforzo del respiro. Gli animali appaiono spesso a disagio ed irrequieti; possono estendere il collo e manifestare una respirazione più rumorosa. Le cause della condizione possono essere distinte in 8 ampie categorie: 1. Affezioni delle vie aeree superiori 2. Affezioni delle vie aeree profonde 3. Affezioni del parenchima polmonare 4. Malattie dello spazio pleurico 5. Malattie della parete toracica 6. Tromboembolismo polmonare 7. Distensioni addominali 8. Malattie “che sembrano respiratorie” Le prime 6 cause coinvolgono tutte una patologia primitiva del tratto respiratorio e sono comunemente associate ad anomalie dell’ossigenazione e della ventilazione. Le ultime due cause non sono affezioni primarie del tratto respiratorio e verranno discusse più a fondo in questa sede. Distensione addominale La distensione addominale provoca una dislocazione anteriore del diaframma che determina una compromissione respiratoria. Le cause più comuni di grave distensione addominale sono rappresentate da dilatazione/torsione dello stomaco, gravidanza molto sviluppata, ascite e masse intraddominali. Una significativa distensione addominale in un paziente con difficoltà respiratorie deve essere decompressa il più presto possibile. Nei casi di grave distensione addominale si può avere un’atelettasia polmonare. Malattie “che sembrano respiratorie” Esistono parecchie cause di aumento della frequenza e/o dello sforzo respiratorio che sono dovute ad una stimolazione del centro del respiro nel sistema nervoso centrale di animali non affetti da alcuna alterazione primitiva del tratto respiratorio. Questi pazienti presentano un’ossigenazione normale e non mostrano alcuna anomalia all’auscultazione o alle radiografie del torace. Non necessitano di alcun trattamento dei segni respiratori, ma può risultare utile la terapia del processo patologico primario. Molte malattie encefaliche possono causare una stimolazione del centro respiratorio del bulbo. Malattie quali neo- plasie, encefalopatie infiammatorie e traumi possono portare ad alterazioni della respirazione. Questi pazienti di solito mostrano altri segni di encefalopatia quali ottundimento, deficit dei nervi cranici ed alterazioni comportamentali. Possono anche mostrare quadri respiratori anomali come il respiro apneustico e quello di cheyne stokes. L’ipertermia è un altro potente stimolo della frequenza e dello sforzo della respirazione, specialmente nel cane. Può essere dovuta ad elevate temperature ambientali e/o allo sforzo e va differenziata dalla febbre. Quest’ultima è un innalzamento della temperatura corporea dovuto a pirogeni endogeni e non scatena alcun aumento della frequenza e dello sforzo della respirazione. La misurazione della temperatura corporea negli animali con difficoltà respiratoria è molto importante. L’ipertermia può essere la causa primaria o uno dei fattori che contribuiscono ad aumentare la frequenza e lo sforzo della respirazione ed il raffreddamento tende a migliorare questi segni clinici. Farmaci come gli oppiacei stimolano direttamente il centro respiratorio inducendo una rapida polipnea. Alla visita clinica questi animali mostrano una temperatura corporea normale o inferiore alla norma e valori di PCO2 normali o superiori alla norma. Anche l’acidosi metabolica stimola un aumento della frequenza e della profondità del respiro nel tentativo di diminuire i livelli di PCO2 e riportare i valori di pH alla normalità. Ipoventilazione Si tratta di una forma di compromissione respiratoria che non si presenta con un aumento della frequenza e dello sforzo del respiro. L’ipoventilazione è associata ad una riduzione di questi due parametri e spesso è clinicamente indistinguibile dalla respirazione normale. La ventilazione viene definita come il movimento tidalico dell’aria dentro e fuori dai polmoni. Viene quantificata come ventilazione/minuto (MV) che corrisponde al volume totale di gas scambiato in un minuto ed è pari alla frequenza respiratoria (RR) moltiplicata per il volume tidalico (TV) di ciascun respiro. MV = RR x TV L’ipoventilazione si ha quando la quantità di gas freschi inalati che penetrano sino a livello degli alveoli funzionali è insufficiente per poter rimuovere adeguatamente il biossido di carbonio. Il risultato finale è un aumento delle concentrazioni ematiche di quest’ultimo (ipercapnia). Questa “ventilazione alveolare efficace” corrisponde al valore di 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC MV meno il volume dello spazio morto. Quest’ultimo è costituito da qualsiasi porzione del volume tidalico che non partecipa allo scambio gassoso. Ad esempio, il volume tidalico che riempie le vie aree superiori ed i bronchi è considerato spazio morto e non è efficace per la ventilazione alveolare. Per definizione, l’ipoventilazione provoca un aumento dei livelli ematici di biossido di carbonio, cioè un’ipercapnia. Segni clinici L’ipoventilazione spesso è clinicamente silente. Può essere dovuta ad un’inadeguata RR, ad un inadeguato TV o, eventualmente, ad entrambi. I casi di respirazione superficiale spesso sono caratterizzati da un aumento di RR e si possono osservare movimenti addominali esagerati per compensare l’insufficienza di quelli della parete toracica. Se è grave, l’ipercapnia può portare ad una depressione del sistema nervoso centrale e, nei casi estremi, alla narcosi ed al coma. A livello sistemico, l’ipercapnia tende ad aumentare la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna. L’ipercapnia intracranica causa vasodilatazione cerebrale che può esitare in un incremento della pressione intracranica. Per questa ragione, i pazienti con encefalopatie primarie spesso non sono in grado di tollerare qualsiasi livello di biossido di carbonio più elevato del normale. Cause I livelli di biossido di carbonio in condizioni normali sono mantenuti molto rigorosamente entro limiti ristretti ed accettabili. Se nell’apparato respiratorio si rileva una qualsiasi variazione della concentrazione di CO2, si ha istantaneamente una modificazione della ventilazione in risposta. Nella maggior parte dei casi, l’ipoventilazione è dovuta a processi patologici neuromuscolari che compromettono questa via. Affezioni neuromuscolari: • depressione del centro del respiro nel SNC. Anestetici e farmaci sedativi, trauma encefalico, masse patologiche, ecc.. • Affezioni del midollo spinale cervicale, ad es. protrusione discale intervertebrale, trauma, masse patologiche, ecc… • Anomalie del motoneurone inferiore/giunzione neuromuscolare, quali myasthenia gravis, botulismo, poliradicoloneurite, ecc… • Problemi a carico dei muscoli respiratori quali miopatia, trauma della parete toracica, affaticamento dei muscoli della respirazione. Altro: • Tromboembolismo polmonare. • Eccessivo spazio morto nel circuito respiratorio (animali anestetizzati). • Esaurimento della calce sodata, difetti di funzionamento dell’apparecchiatura (animali anestetizzati) 175 Diagnosi L’ipoventilazione può venire sospettata sulla base dei segni clinici presenti, ma non può essere confermata senza una misurazione delle concentrazioni arteriose o venose di PCO2. I livelli normali di biossido di carbonio nel sangue arterioso corrispondono a circa 37 mm Hg nel cane e 32 mm Hg nel gatto. I livelli venosi normali del biossido di carbonio sono di 5-10 mm Hg più elevati di quelli arteriosi e costituiscono nella maggior parte dei casi un’indicazione accettabile del valore arterioso del biossido di carbonio. Il riscontro di una PCO2 superiore a 45 mm Hg nel cane ed a 40 mm Hg nel gatto è considerato segno di ipercapnia. Una PCO2 superiore a 60 mm Hg indica un’ipercapnia grave e richiede un intervento. Negli animali intubati, è possibile effettuare le misurazioni del biossido di carbonio teletidalico (ETCO2). Negli animali normali, l’ETCO2 è approssimativamente 2-6 mm Hg inferiore alla PCO2 arteriosa ed è considerata una rappresentazione accurata della PCO2 arteriosa nella maggior parte delle situazioni. Trattamento La priorità iniziale nei pazienti in ipoventilazione è quella di assicurare che l’animale abbia vie aeree pervie e stia respirando. Se le vie aeree sono compromesse, si deve immediatamente inserire un tubo orotracheale; se ciò non è possibile, è indicata una tracheostomia. Se l’animale non respira o presenta una frequenza respiratoria insufficiente, si deve iniziare la ventilazione manuale. Per qualsiasi animale con significativa ipercapnia è essenziale l’ossigenoterapia. Quando possibile, si deve attuare una terapia specifica per il processo patologico primario, in modo da abbassare la PCO2. Ad esempio, si può eseguire la decompressione di un prolasso discale intervertebrale cervicale o contrastare farmacologicamente un sovradosaggio da farmaci oppiacei. Quando non esiste alcuna terapia specifica, nei pazienti con grave ipercapnia persistente è indicata la ventilazione meccanica. Quest’ultima risulta in grado di assicurare una soddisfacente ventilazione/minuto alveolare in modo da garantire un’adeguata eliminazione di CO2. Lo scopo della ventilazione meccanica è quello di stabilizzare il paziente mentre si effettuano gli interventi diagnostici e terapeutici finalizzati a risolvere il processo patologico primario. Bibliografia King LG. Textbook of respiratory disease in dogs and cats. WB Saunders, St Louis 2004 Macintire DK, Drobatz KJ, Haskins SC and Saxon WD. Small animal emergency and critical care medicine. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2005 Marino PL, The ICU Book, 2nd Ed. Williams & Wilkins, Baltimore 1998 West JB, Respiratory Physiology, The Essentials. 6th Ed. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2000 Indirizzo per la corrispondenza: Kate Hopper - Dept of Veterinary Surgery & Radiology Room 2112, Tupper Hall, University of California, Davis, CA 95616 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 176 Trattamento post-operatorio del paziente Kate Hopper BVSc, MVS, Dipl ACVECC, Davis, California, USA Gli animali sottoposti a interventi chirurgici significativi e/o quelli che al momento dell’intervento erano affetti da malattie sistemiche possono essere molto difficili da trattare in terapia intensiva. Durante il periodo postoperatorio si possono sviluppare numerose complicazioni che spesso è possibile prevenire con uno stretto monitoraggio ed un trattamento appropriato. L’ideale è determinare il piano di valutazione e trattamento del paziente operato mentre l’animale è ancora intubato e sottoposto alla somministrazione di ossigeno. STATO RESPIRATORIO La compromissione respiratoria è una caratteristica comune dei pazienti operati. Tutti gli anestetici sono potenti depressori della respirazione e possono continuare a compromettere la normale funzione respiratoria durante il periodo postoperatorio. La compromissione respiratoria può venire distinta in due tipi: inadeguata ossigenazione o inadeguata ventilazione. Inoltre, gli animali sedati possono non essere in grado di mantenere la pervietà delle vie aeree a causa del rilassamento della faringe e della riduzione del riflesso faringeo. Si tratta di un problema particolarmente evidente nelle razze brachiocefaliche. Valutazione Mentre l’animale è ancora intubato e viene trattato con ossigeno, bisogna valutare soggettivamente la frequenza e lo sforzo della respirazione. Se è noto che l’animale è colpito da una pneumopatia, è stato sottoposto ad un prolungato periodo di anestesia, ha sofferto di complicazioni postoperatorie o mostra i segni clinici di un problema respiratorio, la soluzione ideale per determinare la capacità del soggetto di ossigenare e ventilare è la misurazione dei gas ematici arteriosi. Un animale sottoposto al 100% di ossigeno inspirato deve presentare una PaO2 di circa 500 mg Hg se la funzione polmonare è normale e la PaCO2 non deve essere superiore a 40-45 mm Hg se la ventilazione è adeguata. Se non si dispone di un campione di sangue arterioso, la PCO2 venosa fornisce una buona rappresentazione dello status della ventilazione, ma la PO2 venosa non è una misura della capacità di ossigenazione. Anche il monitoraggio del biossido di carbonio teletidalico è un’utile misurazione della capacità di ventilazione degli animali. In assenza di emogasanalisi, si possono utilizzare i dati rilevati attraverso un pulsossimetro. In un animale che respiri ossigeno al 100% una SpO2 inferiore al 99% è anormale; se questo valore scende al di sotto del 95% si deve prendere in considerazione la possibilità di un’ipossiemia. Ridotta capacità di ossigenare Una PaO2 < 400 mm Hg o una SpO2 < 99% mentre si respira ossigeno al 100% indica una riduzione della capacità di ossigenare. È importante ricordarsi che la PaCO2 non evidenzia le alterazioni della PaO2 fra 500 e 100 mm Hg, per cui un animale può avere significativi problemi di ossigenazione pur mantenendo valori di pulsossimetria normali. In assenza di emogasanalisi arteriosa, qualsiasi ragione che giustifichi una preoccupazione per la capacità dell’animale di ossigenare richiede l’apporto di un’integrazione con ossigeno almeno nell’immediato periodo postoperatorio. Molti pazienti mostrano un miglioramento della capacità di ossigenazione quando si riprendono dagli effetti depressori degli anestetici. L’atelettasia da decubito prolungato è un’altra causa di difficoltà di ossigenazione in questi pazienti, specialmente nei cani di grossa taglia. Far risvegliare gli animali in posizione sternale consente di minimizzare questo problema e costituisce una misura raccomandata per tutti i pazienti con problemi di ossigenazione e nei cani di grossa taglia. Una grave ipossiemia (PaO2 < 60 mm Hg, SpO2 < 90%) a dispetto di un’ossigenoterapia costituisce un’indicazione per una ventilazione meccanica. Inadeguata ventilazione Una PaCO2 > 45 mm Hg è considerata segno di ipoventilazione. Se un animale è ancora profondamente anestetizzato, la ventilazione può migliorare con il risveglio. Un’altra potente causa di ipoventilazione è l’analgesia con oppiacei. La maggior parte degli animali tollera una PCO2 di 40 – 50 mm Hg e questa lieve ipoventilazione costituisce generalmente una conseguenza accettabile della somministrazione degli oppiacei. Se l’ipoventilazione è grave, può essere indicato far regredire parzialmente l’azione degli oppiacei somministrando degli antidoti. Un paziente con una PCO2 significativamente elevata deve essere mantenuto sotto integrazione con ossigeno per prevenire un’ipossiemia secondaria. Se a dispetto della terapia persiste una grave ipoventilazione (PCO2 > 60 mm Hg), è indicata la ventilazione meccanica. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Mancanza di pervietà delle vie aeree In caso di estubazione prematura o se l’animale risulta sovrasedato dopo l’estubazione si può avere un’ostruzione delle vie aeree dovuta al rilassamento e collasso del tessuto faringeo. È essenziale che gli animali non vengano mai lasciati con una via aerea non protetta. Anche se non ci sono segni di ostruzione, un animale che non presenti il riflesso faringeo deve sempre essere intubato per ridurre l’occorrenza della polmonite ab ingestis. Per queste ragioni si deve evitare l’estubazione fino a che l’animale non tollera assolutamente più la presenza del tubo. STATUS CARDIOVASCOLARE La pressione sanguigna va monitorata finché il paziente non è sveglio e i valori pressori non si trovano entro i limiti normali. La pressione può venire misurata indirettamente con una tecnica Doppler o oscillometrica, oppure direttamente attraverso un catetere arterioso. La pressione sanguigna arteriosa media deve essere mantenuta > 60 mm Hg e deve essere pari o superiore a 80 mm Hg prima di cessare il monitoraggio. La pressione arteriosa sistolica va mantenuta > 90 mm Hg e deve essere > 120 mm Hg prima di cessare il monitoraggio. Tutti gli anestetici hanno effetti depressivi sul sistema cardiovascolare. Gli agenti inalatori comunemente utilizzati sono potenti vasodilatatori e l’ipotensione costituisce un riscontro frequente. Ci si aspetta che la pressione sanguigna migliori man mano che il paziente si riprende dagli effetti degli anestetici. L’ipotensione va trattata dapprima mediante espansione volumetrica vascolare; quando ciò non risulta efficace, è indicato un vasopressore come la dopamina. Nel periodo postoperatorio bisogna anche valutare spesso la frequenza ed il ritmo del cuore. In seguito alla somministrazione di anestetici, ed in particolare degli oppiacei, si può avere una bradicardia, che può richiedere l’impiego di anticolinergici come l’atropina se risulta significativa. La tachicardia può indicare la presenza di dolore ed agitazione, oppure rappresentare un meccanismo compensatorio per l’ipovolemia e/o l’ipotensione. Se non ci sono segni di compromissione cardiovascolare in un paziente tachicardico, può essere indicata l’analgesia, eventualmente in associazione con sedativi. Nei pazienti con affezioni gastroenteriche, spleniche o cardiache sono comuni le aritmie, specialmente le tachiaritmie ventricolari. Se la tachicardia ventricolare è persistente con una frequenza > 160-180 battiti al minuto, è necessaria una terapia con un farmaco come la lidocaina. TEMPERATURA L’ipotermia è un problema costante negli animali operati, specialmente nei cani di piccola taglia o nei gatti. L’ipotermia è associata al ritardo del risveglio dall’anestesia, arit- 177 mie, cattiva perfusione periferica e, se è grave, può alterare la coagulazione. La temperatura corporea va misurata ogni 30 minuti fino a che non è ritornata entro i limiti normali. Nei casi appropriati, bisogna ricorrere a sistemi di riscaldamento attivo con cuscinetti termici, bottiglie di acqua calda e materassini ad aria riscaldata. ANALGESIA Il dolore è dannoso per lo stato fisiologico e comportamentale del paziente. Si deve presumere che tutti i soggetti sottoposti ad un intervento chirurgico siano afflitti da un certo grado di dolore e in tutti i casi operati è essenziale attuare un’analgesia appropriata. La scelta del o degli analgesici appropriati deve essere basata sulla natura della lesione e su ogni eventuale considerazione medica concomitante. Oggi è noto che l’analgesia preventiva assicura un controllo del dolore di gran lunga migliore di quello che si ha aspettando ad iniziare i trattamenti analgesici fino a che non si sia verificato lo stimolo doloroso. Per questa ragione, si raccomanda sempre la somministrazione preoperatoria di analgesici. L’analgesia può venire attuata in modo intermittente oppure a velocità di infusione costante (CRI). Per molti pazienti in condizioni critiche con dolore significativo, la CRI consente il mantenimento di un livello costante di analgesia e la titolazione appropriata del dosaggio dell’analgesico. La combinazione di basse dosi di sedativi come il diazepam o bassissime dosi di acepromazina con analgesici può avere un effetto sinergico e contribuire a mantenere il paziente tranquillo ed a suo agio. CURE INFERMIERISTICHE Al paziente operato si devono sempre applicare i principi delle cure infermieristiche intensive generali nei pazienti in condizioni critiche e in decubito. Bibliografia Macintire DK, Drobatz KJ, Haskins SC and Saxon WD. Small animal emergency and critical care medicine. Lippincott Williams & Wilkins, Baltimore 2005 Marino PL, The ICU Book, 2nd Ed. Williams & Wilkins, Baltimore 1998 Slatter, D. Textbook of small animal surgery. 3rd Ed. Saunders, Philadelphia, 2003 Indirizzo per la corrispondenza: Kate Hopper Dept of Veterinary Surgery & Radiology Room 2112, Tupper Hall University of California Davis, CA 95616 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 178 Farmacologia e monitoraggio del blocco neuromuscolare Adriano Lachin Med Vet, Venezia INTRODUZIONE L’introduzione del curaro nel 1942 e della succinilcolina nel 1952, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nella pratica anestesiologica: prima dell’avvento dei farmaci di blocco neuromuscolare, l’anestesista era sovente costretto a gestire la difficile “arte” del compromesso tra il soddisfare le esigenze di adeguate condizioni operatorie richieste dal chirurgo e le deleterie conseguenze cardiorespiratorie e metaboliche di un piano anestesiologico eccessivamente profondo. L’introduzione dei rilassanti muscolari ha inoltre reso più agevole l’intubazione tracheale (nell’uomo) e, soprattutto, ha permesso di rendere routinaria la ventilazione controllata in anestesia. Probabilmente, gran parte dei progressi raggiunti dalla chirurgia, non sarebbero stati possibili senza l’avvento degli agenti di blocco neuromuscolare. A fronte degli innegabili vantaggi offerti dai miorilassanti, sono rapidamente emerse alcune problematiche legate ad un loro inopportuno utilizzo; c’è il costante pericolo, infatti, che i miorilassanti, siano somministrati in maniera inappropriata, allo scopo di sopperire ad un inadeguato piano anestesiologico. Situazioni in cui il paziente si trova ad essere correttamente paralizzato ma inadeguatamente anestetizzato, sono purtroppo frequenti e, se da un lato possono soddisfare le esigenze del chirurgo dall’altro possono avere conseguenze devastanti per il paziente. Ed ecco quindi che un corretto utilizzo dei miorilassanti non può prescindere dall’avere un monitoraggio strumentale completo dell’attività emodinamica e respiratoria oltre che di un ventilatore affidabile ed una perfetta conoscenza delle tecniche di ventilazione controllate; inoltre, al fine di evitare la somministrazione di dosi inutilmente elevate di miorilassante con conseguente prolungamento della paralisi oltre le esigenze operatorie, può risultare indispensabile il monitoraggio della funzionalità neuromuscolare, soprattutto dopo infusioni prolungate cui potrebbero conseguire inadeguati recuperi e maggiori difficoltà di antagonismo del blocco residuo. CLASSIFICAZIONE DEI MIORILASSANTI I farmaci miorilassanti possono essere classificati in base a tre criteri: ■ La struttura chimica • Composti quaternari dell’ammonio • Aminosteroidi • Derivati benzilisochinolonici ■ Il meccanismo d’azione • Bloccanti depolarizzanti • Bloccanti competitivi (non depolarizzanti). ■ La durata d’azione • A breve durata d’azione – Succinilcolina – Mivacurio • A media o medio-breve durata d’azione – Atracurio – Vecuronio – Rocuronio – Cis-atracurio • A lunga durata d’azione – Pancuronio – Pipecuronio – Doxacurio Caratteristiche del blocco depolarizzante È provocato da farmaci (Succinilcolina) che interagiscono con i recettori nicotinici al pari dell’ACh, però la Succinilcolina, al contrario dell’ACh, non viene rapidamente metabolizzata dall’AChE, quindi, alla iniziale depolarizzazione della membrana postsinaptica, non fa seguito la normale fase di ripolarizzazione: la persistenza dell’agonista crea uno sbarramento tra placca e muscolo, che diviene ineccitabile ed il muscolo rimane depolarizzato e refrattario a qualunque forma di stimolazione. Il blocco depolarizzante è caratterizzato da: • Rapida comparsa e durata d’azione • La comparsa della paralisi è preceduta da fascicolazioni muscolari diffuse • Non può essere antagonizzato da farmaci anticolinesterasici • Effetti autonomi clinicamente significativi. Caratteristiche del blocco non depolarizzante È un blocco di tipo competitivo: prodotto da molecole di grandi dimensioni (Pachicurari) contenenti due frazioni simili all’ACh, antagonisti specifici dell’ACh sul sito specifico del recettore nicotinico postsinaptico, incapaci di promuovere l’apertura del canale ionico Al contrario del blocco depolarizzante, può essere antagonizzato dai farmaci anticolinesterasici. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Il blocco non depolarizzante è caratterizzato da: • Lenta comparsa d’azione • In relazione al tipo di molecola usata: durata d’azione media o lunga • La comparsa del blocco non è preceduta da fascicolazioni muscolari • Effetti autonomi clinicamente poco significativi (alle dosi clinicamente utili) Modificazioni dell’intensità e durata del blocco Sia la durata che l’intensità del blocco neuromuscolare sono frequentemente e facilmente influenzati da numerosi fattori quali: • Temperatura corporea In particolare l’ipotermia è in grado di prolungare in maniera significativa la durata del blocco • Dosaggio e numero di somministrazioni L’intensità del blocco neuromuscolare è dose dipendente, inoltre, somministrazioni ripetute possono prolungare la durata del blocco. • Trattamenti farmacologici Alcuni farmaci sono in grado di potenziare e prolungare il blocco neuromuscolare: – Antiparassitari a base di organofosforici – Alcuni antibiotici (Streptomicina, Gentamicina, Lincomicina, Clindamicina…). • Squilibri acido-basici ed elettrolitici • Età In particolare, i soggetti giovani risultano essere più resistenti, mentre quelli più anziani sono più sensibili alle molecole di vecchia generazione • Alcune patologie muscolari USO CLINICO DEI MIORILASSANTI Indicazioni del blocco • Facilitazione dell’intubazione tracheale • Fornire condizioni necessarie per la messa in atto della ventilazione controllata in corso di anestesia • Ventilazione controllata in pazienti in terapia intensiva. • Miglioramento della compliance toraco-polmonare. • Fornire al chirurgo assenza di riflessi e condizioni di miorilassamento ottimali: – Chirurgia ortopedica – Chirurgia toracica – Chirurgia oculare – Broncoscopia Condizioni d’utilizzo Obbligatorio – Intubazione tracheale – Monitoraggio strumentale completo (emodinamico, respiratorio) – Ventilatore affidabile – Perfetta conoscenza delle tecniche di ventilazione controllata. Consigliato – Monitoraggio neuromuscolare – Spirometria 179 MONITORAGGIO DEL BLOCCO NEUROMUSCOLARE Indicazioni 1. Stabilire l’intensità del blocco neuromuscolare. 2. Valutare il recupero della funzione neuromuscolare del paziente. 3. Stabilire quando e se somministrare un anticolinesterasico. Segni clinici e strumentali della decurarizzazione Uno dei più comuni segni d’esaurimento del blocco neuromuscolare è il tentativo da parte del paziente di attuare degli atti respiratori spontanei, evidenziabili sul tracciato capnografico con la improvvisa comparsa sulla linea di plateau di una incisura deflettente (“curva dicotoma”) e la contemporanea brusca modificazione del tracciato della curva di pressione-volume nel monitoraggio spirometrico; sempre la spirometria, evidenzierà una progressiva diminuzione della compliance toraco-polmonare. Monitoraggio tramite stimolatore neuromuscolare Si sfrutta la risposta di un muscolo alla stimolazione elettrica sopramassimale di un nervo motorio periferico: misurando l’accelerazione impressa dal muscolo dopo detta stimolazione si ottiene una valutazione quantitativa (numerica) del grado di miorilassamento. Siti di stimolazione: – N. Ulnare – N. Tibiale posteriore – N. Peroneo comune – N. Facciale Tipi di stimolazione del nervo Stimolazione tetanica – Erogazione rapida di una stimolazione di 50 Hz per 5 sec. – Usato per valutare il blocco neuromuscolare residuo – Molto dolorosa – Può produrre un duraturo antagonismo del blocco neuromuscolare nel muscolo stimolato – Tutte le risposte necessarie possono comunque essere fornite dalla risposta TOF Stimolazione con treno di quattro TOF (Train-of-four) – 4 stimoli sopramassimali sono somministrati ogni 0,5 sec. (2 Hz) – Ogni stimolo nel treno causa una contrazione nel muscolo – La riduzione (Fade) della risposta fornisce la base della valutazione – Nella risposta di controllo le 4 risposte sono teoricamente uguali – Dividendo l’ampiezza della quarta risposta per l’ampiezza della prima: valutazione del rapporto TOF 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC – Se sono individuate tutte e 4 le risposte: Viene visualizzata la “TOF-ratio” – Meno di 4 risposte o se il primo spasmo è inferiore a 20%: visualizzato solo il numero delle risposte – Ciascun “set” di stimoli può essere applicato in continuo ogni 10-15 sec. Conta post-tetanica PTC (Post Tetanic Count) – Permette di valutare il grado di blocco neuromuscolare quando non ci sia risposta al TOF o allo stimolo singolo come conseguenza di un intenso blocco non depolarizzante – Inizia con stimolazioni ad una frequenza di 1 Hz per 15 sec. – In assenza di risposte è seguito da una stimolazione tetanica (50 Hz per 5 sec.). – Dopo 3 sec. di pausa le stimolazioni riprendono ad una frequenza di 1 Hz per 15 sec. – Il display visualizza il numero delle risposte rilevate Stimolazione a doppia carica – DBS (Double Burst Stimulation) – Consiste di 2 (o 3) brevi scariche (0,2 ms) tetaniche a 50 Hz in successione rapida (ogni 750 ms) – Comparsa di 2 brevi contrazioni muscolari (ogni 750 ms) – In assenza di blocco: le 2 contrazioni sono d’eguale intensità – In presenza di blocco residuo: la seconda contrazione è più debole – Permette il rilievo manuale (tattile) di piccoli gradi di blocco neuromuscolare residuo – Migliore sensibilità rispetto alla valutazione tattile al TOF. Interpretazione delle risposte alla stimolazione Il tipo di stimolazione che viene routinariamente utilizzata è la stimolazione TOF: 1. Presenza di una sola risposta TOF: 1.1. Blocco neuromuscolare del 90-95% 180 1.2. Miorisoluzione sufficiente per l’intubazione endotracheale anche a livelli superficiali di anestesia (attenzione alle risposte autonome) 2. Presenza di 2-3 risposte alla stimolazione TOF: miorisoluzione chirurgica sufficiente se associata ad buon piano anestesiologico 3. Quando riappare la 4 risposta TOF: blocco neuromuscolare del 60-85% 4. Per l’antagonismo farmacologico del blocco è preferibile che siano presenti almeno 3 risposte TOF CONCLUSIONI Per un corretto e razionale utilizzo dei miorilassanti in anestesia, è necessario ricordarsi che non si tratta di agenti anestetici bensì di adiuvanti dell’anestesia e come tali devono essere utilizzati. Di particolare importanza è evitare il rischio di paralisi prolungata e/o di inadeguato antagonismo, un rischio che può essere facilmente scongiurato avendo l’accortezza di osservare queste semplici regole: a) Somministrare dosi minime di farmaco sufficienti a fornire un rilassamento adeguato sia alle esigenze chirurgiche che ventilatorie. b) In pazienti correttamente anestetizzati non è necessario abolire completamente la contrazione o la risposta TOF. c) Non affidarsi unicamente ai miorilassanti per ottenere un adeguato rilassamento chirurgico o per correggere un’anestesia troppo superficiale. d) Cercare di prevedere i “tempi chirurgici” evitando somministrazioni inutilmente prolungate di miorilassante. e) Conoscere, prevedere e possibilmente evitare tutti i possibili fattori che possono influenzare la durata e l’intensità del blocco neuromuscolare. Indirizzo per la corrispondenza: Adriano Lachin E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 181 Alterazioni del processo di attaccamento nel cane e insorgenza di problematiche di relazione con l’uomo Roberto Marchesini Med Vet, Bologna Il processo di attaccamento nel suo corretto sviluppoadempimento come evento cruciale che segna la prima fase dell’età evolutiva (dall’acquisizione di un primo coordinamento locomotorio alle soglie della maturità sessuale) – ove la seconda fase, nel cane corrispondente al 2° anno di vita, ne è la conseguenza finalizzata al posizionamento sociale – rappresenta una variabile importantissima nella strutturazione ontogenetica ed è una componente essenziale nella costruzione del corretto equilibrio cognitivo-comportamentale del soggetto. Il processo di attaccamento influenza infatti: a) la definizione dei modelli di base socio-relazionali; b) lo sviluppo del piano prossimale di esperienza e i campi di socializzazione; c) l’assetto emozionale e umorale ordinario; d) i meccanismi di autoefficacia e il posizionamento sociale; e) l’equilibrio di attivazione o stato di arousal; f) il livello di autonomia del soggetto e il grado di dipendenza dai referenti affettivi; g) la strutturazione dei pattern comportamentali e la definizione dei segnali di arresto. Ovviamente il processo di attaccamento può subire alterazioni di diverso tipo – sia dipendenti dalle caratteristiche della referenza di attaccamento (nel cane: primaria è la madre, secondaria è il pet-owner) sia dipendenti dalle modalità di intervento sul cucciolo in fase di allevamento e separazione dalla cucciolata – per cui ritroveremo nell’adulto conseguenze differenti nelle diverse variabili sopra enunciate. Innanzitutto va chiarito cosa s’intende per processo di attaccamento e quale sia il ruolo di questo evento, definito per la prima volta dall’etologo Robert Hinde e dallo psicologo John Bowlby per chiarire la relazione mamma-cucciolo in opposizione alla visione esclusivamente alimentare (= la madre come fornitrice di latte) proposta dalla scuola freudiana. Secondo i teorici dell’attaccamento la madre per il cucciolo non ha solo una “funzione performativa”, ovvero di presiedere ai normali compiti di ordine epimeletico di cui il cucciolo necessita (essere accudito, curato, alimentato, protetto), ma altresì una “funzione referenziale”. Parliamo di funzione referenziale per intendere, per usare le parole di Gregory Bateson, una “struttura che connette” ossia un polo chiamato a indirizzare il processo di coniugazione del cucciolo alla realtà esterna. Una referenza è un’entità dialogica capace di rendere possibile un percorso di cambiamento (in questo caso educativo) attraverso il suo affiancarsi, il porsi in relazione, l’orientare lo svolgimento del processo. Una referenza è una sorta di trama o falsariga che sostiene, ispira, modella, promuove, indirizza, rassicura e in tal modo rende possibili quei processi di interazione con il mondo che sono alla base del percorso ontogenetico. Nella visione bowlbiana la madre è prima di tutto una “base sicura” ossia un riferimento su cui centripetare ogni volta che il cucciolo si trova in difficoltà. Oggi, a fronte delle numerose ricerche sui processi ontogenetici e in accordo con le ricerche di Jean Piaget, forse è più corretto parlare di “centro di referenza” ovvero di entità complessa – dove la madre svolge un ruolo importante ma non in isolamento – che permette il realizzarsi di più eventi referenziali, non solo di sostegno-rassicurazione. In effetti la madre per il cucciolo costituisce la falsariga del suo sviluppo – è un modello da imitare, fornisce rinforzi e punizioni e così incentiva e inibisce i comportamenti, orienta l’interesse esplorativo eleggendo i report che emergono dal contesto e indirizzando le esperienze, promuove alcuni comportamenti non solo attraverso il sostegno-sicurezza ma anche attraverso l’induzione e la conazione - ossia è capace di implementare e favorire il processo di interrelazione tra il cucciolo e il mondo esterno e di ritagliare l’orizzonte di esperienze possibili. Come già evidenziato da R. Hinde l’attaccamento è un processo stabilizzato nel percorso filogenetico (cioè adattativo darwinianamente), in virtù della particolare conformazione dei mammiferi e della loro necessità di coniugare all’expertise filogenetica – la competenza di retaggio della specie – un’expertise ontogenetica. La funzione del processo di attaccamento va ricondotta al bisogno, proprio dei mammiferi, di una declinazione specifica del retaggio filogenetico ossia alla plasticità del modello comportamentale di retaggio. All’inizio il sistema ha un alto regime di virtualità – tante strade percorribili per costruire la propria identità – cosicché il percorso di sviluppo non è altro che una potatura di potenzialità sulla base della stimolazione di solo alcune aree cognitive (ipotesi selezionista). Il percorso esperienziale è pertanto centrale nella formazione dell’identità comportamentale, ma nello stesso tempo necessita di un indirizzo, ovvero di essere contenuto all’interno di un alveo: di qui il bisogno di un centro referenziale. Il perché della plasticità comportamentale di partenza sta nel profilo riproduttivo tipico dei mammiferi, caratterizzato da un basso regime genesico (numero di piccoli) e un alto investimento di ordine parentale. L’adattamento alle fluttuazioni ambientali, che in altri animali ad alto regime riproduttivo viene realizzato attraverso la selezione sulle varianti popolazionali – ovvero sul fenotipo degli individui di una genitura –, nei mammiferi viene costruito attraverso la selezione sulle varianti neurali, vale a dire attraverso un processo di selezionismo neuronale (si vedano al riguardo le tesi di Gerald Edelman). In altre parole la plasticità cognitiva dei mammiferi si sviluppa in virtù e parimenti richiede un cucciolo a) molto curioso, cioè portato a centrifugare e a interrelarsi al mondo, e b) molto incompetente, cioè scarsamente dotato di expertise comportamentale e di pattern chiusi rispetto al profilo espressivo comportamentale. Sotto questo aspetto il processo di attacca- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC mento non è altro che una sorta di negoziazione tra due istanze (necessità) del cucciolo: 1) il bisogno di esplorare il mondo per strutturare i set neurali adattativi rispetto al profilo specifico della realtà; 2) il bisogno di indirizzo ovvero di avere un centro referenziale in grado di rendere ottimale il processo di centrifugazione. J. Bowlby chiama questo centro referenziale “base sicura”, vale a dire punto di partenza per l’esplorazione con direzione centrifuga e per il ritorno con direzione centripeta. La madre rappresenta per il cucciolo la base sicura, che d’altro canto non va interpretata in modo semplicistico come zona rifugio bensì come fulcro di referenza, in grado cioè di dare un modello, di indurre-inibire, di dare sicurezza, di definire priorità e orientamenti, di stabilizzare posizionamenti emozionali, motivazionali e di arousal. L’attaccamento pertanto non è altro che il legame che si viene a creare tra cucciolo e base sicura, una sorta di guinzaglio la cui misura si modifica nel tempo sotto l’influenza di normali fattori di sviluppo e di intervenienze di diverso ordine. Ma come interpretare questo legame e quindi il significato del processo stesso di attaccamento? Il legame è infatti un induttore di referenza ovvero accresce l’esperienza del cucciolo e quindi la sua autonomia, non la sua dipendenza. L’attaccamento pertanto dovrebbe rafforzare la centrifugazione – l’andare verso il mondo – non la centripetazione ovvero lo stare attaccato alla base sicura. La base sicura diviene cioè un centro da cui partire per esplorare e interrelarsi alla realtà (centrifugazione) e a cui ritornare ogni qualvolta si richiede sicurezza o stile-modo per affrontare l’incognito-inesperito. All’inizio il cucciolo alterna centrifugazione e centripetazione dando vita a un’esplorazione “a modo radiale”, simile ai raggi di una stella, che dimostra lo stato conflittuale del cucciolo tra curiosità e timore dell’incognito (esplorazione a stella). Quindi la tendenza centrifuga, ovvero la curiosità per l’incognito, dovrebbe prevalere – grazie al sostegno referenziale della madre – cosicché l’esplorazione assume la conformazione di un’orbita intorno alla base sicura, trasformando le spinte centripetative in una sorta di forza di gravità che mantiene l’orbitazione. In tal senso il moto esplorativo del cucciolo perde di conflittualità e diventa “a modo lineare” intorno al mondo, con progressione accrescitiva del piano prossimale di esperienza (esplorazione orbitale). Nella crescita si modifica – o, meglio, si dovrebbe modificare – l’orbita intorno alla base sicura, pertanto il raggio di orbitazione è indicativo del livello di maturità del processo di attaccamento. La base sicura favorisce cioè l’allungamento del raggio di orbitazione, del guinzaglio, fino alla fase del distacco che si realizza in età adolescenziale. Se l’orbitazione è il modello di esplorazione ordinaria, dove possiamo parlare di una centrifugazione limitata-controllata, è tuttavia importante considerare l’insorgenza di eventi esplorativi in qualche modo straordinari - perché caratterizzati da incontri inattesi, nuovi, problematici - dove si inverte il moto del cucciolo in senso centripetativo riportando l’esplorazione a stella. Il processo di attaccamento ha pertanto alcune funzioni specifiche nello sviluppo cognitivo-comportamentale del cucciolo: a) serve ad accrescere il livello di socializzazione con i report presenti nell’ambiente di vita o in altre parole ad aumentare il suo “piano prossimale d’esperienza”; b) serve a dare fiducia al cucciolo attraverso i meccanismi di autoefficacia aumentando la sua autonomia e quindi a strutturare il suo “posizionamento emozionale e di arousal”. Per questo una base sicura dev’essere solida sotto il profilo referenziale e parimenti capace di favo- 182 rire e non inibire i processi centrifugativi. In tal senso è fisiologico un decorso del processo di attaccamento misurabile attraverso la progressiva prevalenza dell’esplorazione orbitale rispetto a quella a stella e attraverso l’allungamento del raggio di orbitazione rispetto alla base sicura. Una buona base sicura induce questa progressione, vale a dire favorisce il progressivo allungamento del guinzaglio di attaccamento, inducendo nel cucciolo sicurezza, autonomia, socializzazione. In altre parole quanto più solida è la referenzialità della base sicura tanto più il cucciolo acquisirà autonomia, cosicché possiamo dire che il distacco è l’esito naturale e il frutto di un buon processo di attaccamento. Quando analizziamo un profilo cognitivo-comportamentale nelle sue componenti di socializzazione – ovvero nella dotazione rappresentazionale che rende possibile e caratterizza il modo di interrelazione con il mondo esterno (piano prossimale d’esperienza) – e nelle sue componenti posizionali, vale a dire nel livello di arousal ordinario e nell’assetto emozionale, non facciamo altro che riscontrare l’adeguatezza del processo di attaccamento. Se la base sicura non è adeguata o se il cucciolo viene deprivato anzitempo della base sicura noteremo delle alterazioni nello stile comportamentale (deficit di socializzazione) e delle alterazioni nel profilo emozionale e di arousal (deficit posizionale). Il deficit di socializzazione dipende dal venir meno della referenzialità, ossia dell’organizzazione esperienziale, propria della base sicura. Avremo carenze negli stili specie-specifici, nella strutturazione dei pattern (in genere con mancanza dei segnali di arresto e di autocontrollo), nella costruzione dei vocabolari referenziali ed euristici, nell’organizzazione delle competenze, nello sviluppo del volano cognitivo e delle tendenze esplorative. Il deficit posizionale dipende da una mancanza di sicurezza e di autonomia del soggetto, dal venir meno dei meccanismi di autoefficacia, da un’estrema vulnerabilità ed esposizione alle fluttuazioni esterne e ancora da un deficit di autocontrollo. Avremo una prevalenza delle disposizioni ansiogene, una continua oscillazione tra stati di arousal+ (eccitazione o deficit di concentrazione) e stati di arousal- (apatia o deficit di attenzione), la strutturazione di assetti umorali prevalentemente (non necessariamente) su emozioni negative (paura e allarme = profilo diffidente o reattivo). Deficit di socializzazione e di posizionalità provocano una forte sensibilità (Hs) e proattività (Ha) del soggetto, che in altre parole manifesta alcune incompetenze del cucciolo associate tuttavia a un profilo espressivo esagerato e in un costante stato di non equilibrio adattativo. Il cane è come scollegato dal mondo e parimenti non è in grado di posizionare su un piano di equilibrio le sue fluttuazioni emozionali e di arousal. Questo va a compromettere ulteriormente le capacità di fare esperienza e di apprendere – l’apprendimento infatti sta in un posizionamento intermedio di arousal e in un assetto umorale su profilo fiducioso - cosicché è molto difficile modificare lo stile comportamentale in sede postadolescenziale in un soggetto con uno stato di attaccamento alterato. Inoltre, dal momento che la base sicura è altresì un archetipo socio-relazionale, ogni alterazione del processo di attaccamento compromette il modo socio-relazionale rendendo il soggetto incompetente di fronte alle relazioni sociali quantunque socializzato. I problemi dell’attaccamento nel cane possono essere divisi in due macrocategorie: 1) problemi da incompetenza della base sicura; 2) problemi di deprivazione della base sicura. Parliamo di base sicura primaria quando ci riferiamo alla madre e 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC di base sicura secondaria quando ci riferiamo al pet-owner adottivo. L’incompetenza della base sicura primaria può essere dovuta: a) a un profilo scarsamente epimeletico o addirittura aggressivo verso il cucciolo con strutturazione di un comportamento di diffidenza o di evitanza relazionale; b) a un comportamento di fluttuazione epimeletica o di negligenza epimeletica con deficit di autonomia e autoefficacia nel cucciolo e realizzazione di un profilo ambivalente; c) a un comportamento di eccessiva tutela sul cucciolo con deficit di strutturazione del piano prossimale d’esperienza. Questi ultimi due comportamenti sono facilmente riscontrabili nella base sicura secondaria ovvero nell’adottante umano che quando prende il cucciolo a 2 mesi non si rende conto di dover realizzare in modo corretto la seconda fase di attaccamento e che può sbagliare o perché manifesta un’epimelesi intermittente (ogni tanto coccola il cucciolo e lo tiene vicino e ogni tanto lo lascia da solo) dando vita a un profilo ambivalente, o perché non favorisce il processo di allungamento del guinzaglio di attaccamento (tiene il cucciolo sempre attaccato a sé) dando vita a un profilo morboso. Sia il profilo ambivalente che quello morboso manifestano un’incapacità di costruire una propria autonomia relazionale e strutturano il loro comportamento in modo adesivo sulla base sicura (quasi simbiontico) andando in ansia tutte le volte che questa esce dal loro raggio di visuale. I problemi di deprivazione si hanno quando il cucciolo viene tolto troppo presto dal gruppo familiare o quando la madre viene tolta troppo presto dalla cucciolata. Possiamo dire che i due mesi sono a tutti gli effetti uno spartiacque nella vita del cane ed è corretto parlare di deprivazione (togliere anzitempo una referenza) ogni volta che si toglie al cucciolo la referenza primaria prima dei due mesi. Infatti l’uomo non è in grado di essere un centro referenziale competente cosicché se al cucciolo viene tolta anzitempo la madre quest’ultimo subirà inevitabilmente un deficit ontogenetico sotto il piano della strutturazione comportamentale, di un’equilibrata posizionalità emozionale e di arousal, dello sviluppo degli autocontrolli, della definizione degli stili socio-relazionali. In questo caso il profilo è assai differente da quelli presi in considerazione nell’incompetenza della base sicura perché ricorderà più una persistenza di modelli infantili associati a un eccesso di reattività-proattività. La base sicura secondaria o adottiva non è in grado infatti, essendo eterospecifica, di apportare quei contenuti educativi primari che sono a fondamento del successivo periodo interattivo-relazionale. In altre parole il cucciolo deprivato affronta il mondo senza le dotazioni di base che gli sono necessarie per interagire e relazionarsi con la realtà esterna arrivando a mancare: a) di un filtro emozionale e di un corretto posizionamento ordinario di arousal, b) di uno stile nel processo interattivorelazionale, c) di un vocabolario rappresentazionale adeguato per affrontare le situazioni specifiche. Di qui l’impressione che il soggetto sia come scollegato dal mondo, che non raccolga i feedback del suo comportamento, che fluttui tra eccitazione e apatia, che abbia un comportamento destrutturato, che manifesti un’interattività eccessiva e maldestra con la realtà esterna. La relazione con il cane, nella sua specificità cinotecnica e di pet-ownership, può essere alla base di errori nel corretto sviluppo dell’attaccamento. Già si è detto che una base sicura secondaria ambivalente o morbosa può dar luogo a profili disadattati perché non autonomi e quindi adesivi verso il proprietario e non relazionali con lui. Molti proprietari equivocano il ruolo dell’at- 183 taccamento ritenendo che il distacco possa essere un fattore compromissorio alla loro relazione con il cane; in realtà solo la strutturazione dell’identità, come soggettività autonoma e autoefficace, può essere una garanzia di corretta relazione e, viceversa, l’adesività inibisce i processi relazionali oltre a essere un grave problema ogni volta che il proprietario deve lasciar solo il cane. Spesso i due profili si fondono in uno solo quando il proprietario alterna momenti in cui è presente e tiene ossessivamente il cane vicino a sé a momenti in cui il cane è lasciato da solo. In questi casi nel cane si verificano veri e propri attacchi di panico che lo portano a manifestare comportamenti distruttivi, sostitutivi, eccessivi con manifestazioni di ordine neurovegetativo. Le punizioni positive (somministrare uno stimolo avversativo), quasi sempre intempestive e non correlabili, peggiorano il quadro e lo peggiorerebbero anche se fossero comminate con tempestività e il motivo è molto semplice. Se l’espressione comportamentale è il frutto di un deficit di sicurezza ogni evento che va a minare o a diminuire lo stato di sicurezza struttura il posizionamento emozionale che è alla base del comportamento ansiogeno-distruttivo. Esistono delle strutture relazionali che con più facilità possono dar luogo a profili morbosi-ambivalenti, per esempio un eccesso dimensionale di ordine epimeletico da parte del proprietario. In questi casi allargare l’orizzonte dimensionale di relazione – per esempio nelle dimensioni ludico-performative e socio-collaborative – stempera l’investimento epimeletico da parte del proprietario e rafforza i meccanismi di autoefficacia nel cane. Una situazione assai diversa ma parimenti problematica si ha nel caso della deprivazione. Spesso questo quadro viene peggiorato in famiglie dove sono presenti preadolescenti o dove sono incentivate le dimensioni ludico-performative, anche elicitate dal profilo interattivo-relazionale del cane stesso. In questo caso è opportuno lavorare sugli autocontrolli, sull’abbassamento di arousal, su dimensioni socio-performative e ludico-cognitive, su occasioni di socializzazione allargata del cane in contesti ove sia presente un cane tutor. Occorre peraltro ricordare che abbassano l’arousal i giochi solutivi, la ricerca olfattiva, le attività petitive e in generale tutte quelle attività che chiedono al cane di decentrarsi e di centripetarsi sul pet-owner. Bibliografia Bateson G., Steps to an Ecology of Mind, Chandler Publishing Company, San Francisco 1972 (trad. it. Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976). Bowlby J., The making and breaking of affectional bonds, Tavistock, London, 1979 (trad. it. Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1982). Bowlby J., Una base sicura, Raffaello Cortina Edizioni, Milano, 1989 Edelman G.M. Neural Darwinism. The Theory of Neuronal Group Selection, Basic Books, Inc., New York, 1987 (trad. it. Darwinismo neurale. La teoria della selzione dei gruppi neuronali, Einaudi, Torino, 1995). Hinde R., McGinnis L., Some factors influencing the effects of temporary infant-mother separation, Psycological Medicine, 7: 197-212. Holmes J., John Bowlby and Attachment Theory, Routledge, London, 1993 (trad. it. La teoria dell’attaccamento, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994). Marchesini R., Canone di Zooantropologia Applicata, Apeiron, Bologna, 2004 Pageat, P. Pathologie du comportement du chien, Editions du Point Vétérinaire, Maisons-Alfort Cedex, 1998. Piaget J., Epistemologia genetica, Laterza, Roma-Bari, 1973. Indirizzo per la corrispondenza: Roberto Marchesini - E-mail [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 184 Disordini del sistema immunitario Luca Mechelli Med Vet, Perugia Chiara Brachelente, DVM, PhD, Dip. ECVP, Perugia Il sistema immunitario è un complesso cognitivo che permette all’organismo di interagire con l’esterno, svolgendo un ruolo fondamentale nella difesa dell’ospite attraverso una sequenza integrata di eventi che coinvolgono antigeni, cellule immunocompetenti, anticorpi, mediatori chimici e cellule effettrici. Tuttavia, le risposte immuni possono essere causa esse stesse di danni tessutali o di malattie; questi eventi immunomediati sono considerati, in medicina veterinaria, non particolarmente rari ed i meccanismi patogenetici che li sostengono risultano in stretta analogia con le reazioni considerate “normali”. Disordini causati da risposte immunitarie esuberanti sono indicati con il termine di “malattie da ipersensibilità”, mentre le alterazioni o la perdita dell’auto-tolleranza, con risposte immuni rivolte verso antigeni self, vengono definite “malattie autoimmuni”. Per molti anni il sistema di classificazione prodotto da Gell e Coombs per i modelli di reazione immunitaria è stato ampiamente accettato, rappresentando una guida fondamentale per la medicina dell’Uomo e degli animali (Tab. 1). In questi ultimi decenni sono stati proposti due modelli ulteriori di reazioni da ipersensibilità: le reazioni “late-phase” e l’ipersensibilità cutanea basofila6. Per la gran parte di questi modelli si assiste ad un coinvolgimento di numerosi componenti del processo infiammatorio e molte malattie immunitarie possono caratterizzarsi per l’intervento combinato di meccanismi reattivi diversi, dove una distinzione netta fra l’uno e l’altro risulta estremamente artificiosa, come nel caso dell’atopia1. Nel 1996, S. Sell propone un nuovo criterio di classificazione dei disordini immunitari, individuando sette meccanismi fondamentali diversi: 1. Attivazione/inattivazione immunomediata di molecole biologicamente attive; 2. Reazioni citolitiche mediate da anticorpi; 3. Reazioni da immunocomplessi; 4. Reazioni allergiche; 5. Citotossicità cellulo-mediata; 6. Ipersensibilità ritardata; 7. Reazioni granulomatose2. In tutti questi meccanismi, le risposte infiammatorie che si attivano coinvolgono elementi specifici e non specifici cellulari ed umorali del sistema immunitario, a cui si associa un network di mediatori solubili, citochine e chemochine. Per quanto riguarda il primo meccanismo (attivazione/ inattivazione immunomediata di molecole biologicamente attive), l’azione si riferisce ad anticorpi che si sviluppano contro ormoni, recettori ormonali, fattori della coagulazione, fattori di crescita, enzimi e quant’altro, con l’inattivazione delle funzioni biologiche di queste molecole. Inoltre, anticorpi rivolti contro recettori cellulari possono attivare azioni secretorie cellulari del tutto disattese. Pertanto, la malattia risulterà dall’attivazione o dall’inattivazione di una specifica molecola biologicamente attiva o di una specifica cellula. Questi eventi, per la gran parte dei casi, si realizzano senza un’azione distruttiva tessutale o cellulare ma attraverso meccanismi di stimolazione di cellule bersaglio o di blocco del ligando. Anticorpi per il recettore della tireotropina a livello delle cellule Tabella 1. Classificazione dei tipi di ipersensibilità secondo il modello di Gell e Coombs5 Tipo di ipersensibilità Meccanismi immunopatologici Meccanismi di danno tessutale Malattie dermatologiche Immediata (tipo I) IgE Mastociti e loro mediatori (citochine, amine vasoattive, mediatori lipidici) Angioedema; anafilassi; atopia; allergia alimentare; ipersensibilità al morso di pulce; alcune reazioni da farmaco Citotossica (tipo II) IgM ed IgG contro antigeni cellulari di superficie o contro la matrice extracellulare, con o senza la partecipazione del complemento Opsonizzazione e fagocitosi di cellule; citotossicità o citolisi. Complemento e recettori Fc mediano il reclutamento e l’attivazione di leucociti Pemfigo; pemfigoide; crioglobulinemia; alcune reazioni da farmaco Immuno-complessi (tipo III) Immunocomplessi di antigeni circolanti (IgM o IgG) Complemento e recettori Fc mediano il reclutamento e l’attivazione di leucociti L.E.S.; vasculite leucocitoclastica; ipersensibilità batterica; alcune reazioni da farmaco Cellulo-mediata / ritardata (tipo IV) 1. Cellule T CD4+ (ipersensibilità ritardata) 2. Cellule T CD8+ (citolisi mediata da cellule T) (CTL) Attivazione macrofagica; citolisi cellulare diretta; flogosi mediata da citochine Ipersensibilità al morso di pulce; ipersensibilità da contatto; alcune reazioni da farmaco 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC epiteliali tiroidee sono un esempio di auto-anticorpi che possono agire in maniera analoga al ligando per il recettore ormonale, producendo un segnale positivo nelle cellule. Le reazioni citolitiche mediate da anticorpi si caratterizzano per una reazione immunitaria che coinvolge prevalentemente anticorpi IgG ed IgM contro antigeni cellulari di superficie (eritrociti, cellule epiteliali di rivestimento e ghiandolari, neutrofili, piastrine, etc.) o tessutali (ad es. le membrane basali). Gli antigeni sensibilizzanti possono essere rappresentati da antigeni cellulari superficiali naturali, antigeni cellulari superficiali modificati o apteni adesi alla superficie delle cellule7. I meccanismi immunopatologici che si attivano in questo secondo modello di reazione sono: a) opsonizzazione; b) lisi mediata dal complemento; c) citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente. Le reazioni da immunocomplessi si riferiscono a meccanismi immunitari gravi ed intensi che coinvolgono anticorpi di tipo IgG ed IgM, l’attivazione del complemento e la chemiotassi di granulociti neutrofili. Il fenomeno si realizza attraverso la costituzione di una macromolecola (immunocomplesso) costituita da un anticorpo e da un antigene. Questo tipo di struttura si attiva nel corso delle normali risposte immunitarie; tuttavia, nei casi in cui vi sia una produzione eccessiva di immunocomplessi ed una loro inadeguata rimozione, si determina inevitabilmente un deposito tessutale disseminato con lo sviluppo di malattie immunomediate sistemiche. In questo caso, un esempio per tutti può essere il lupus eritematoso sistemico. Le reazioni allergiche sono rappresentate da meccanismi di ipersensibilità con rilascio di mediatori di origine mastocitaria o granulocitaria basofila che inducono risposte immediate o ritardate (4-8 ore) nei confronti di allergeni o di parassiti. Seppur non direttamente coinvolti nella reazione immediata, i granulociti eosinofili sono spesso richiamati nella sede del processo grazie all’intervento di specifici fattori chemiotattici prodotti nel corso del processo flogistico. Queste cellule contengono proteine cationiche (proteina basica maggiore) che hanno la capacità di amplificare enormemente il processo infiammatorio grazie ad una loro specifica azione istolesiva. Oltre ai granulociti eosinofili, anche i granulociti neutrofili vengono richiamati nella sede del processo di ipersensibilità da fattori chemiotattici. Ciascuna di queste cellule (mastociti e polimorfonucleati) secernono una vasta gamma di mediatori chimici pro-infiammatori quali istamina, prostaglandine, leucotrieni, PAF, chinine, adenosine, citochine, chemochine, etc. che contribuiscono a modulare gli eventi reattivi locali e sistemici. Tuttavia, si ritiene con sempre maggiore convinzione che la fase precoce (early-phase), la fase avanzata (late-phase) e le manifestazioni croniche di numerose reazioni allergiche vedano la partecipazione di molte, se non di tutte, le componenti cellulari infiammatorie oltre quelle citate in precedenza3. I meccanismi di citotossicità cellulo-mediata e di ipersensibilità ritardata sono in grado di provocare un danno tessutale, tramite l’azione di linfociti T CD4+ e CD8+ oppure un danno cellulare, per un’azione diretta su cellule bersaglio, ad opera di NK. La risposta cellulo-mediata è il più comune modello di reazione agli agenti intracellulari come virus, batteri e protozoi. Il primo contatto dell’antigene con il sistema immunitario porta alla differenziazione di cellulle T CD4+ verso cellule Th1 in grado di secernere una specifica gamma di citochine, 185 tra cui IL-12, IFN-gamma, IL-2, TNF-alfa e linfotossina. L’IL-12 promuove ulteriormente la differenziazione dei CD4+ verso Th1, inducendo la secrezione di IFN-gamma da parte dei macrofagi. L’IFN-gamma, a sua volta, sollecita una maggior attivazione dei macrofagi verso una più incisiva attività fagocitaria. (Abbas et al, 2000; Kumar et al, 2005) La natura antigenica dello stimolo che induce la proliferazione di cellule T Helper CD4+ è responsabile del modello di differenziazione delle cellule Th1/Th2 (Abbas et al., 2000). La differenziazione Th1 è solitamente indotta da batteri o parassiti che possono infettare i macrofagi come, ad esempio, gli amastigoti di leishmania e i micobatteri. La risposta Th1 è generalmente caratterizzata da infiltrazione macrofagica e le citochine coinvolte sono rappresentate da IFN-gamma, linfotossina (LT), IL-2 e IL-12, peraltro promotrici dello sviluppo d’ulteriori cellule Th1. Queste citochine stimolano i macrofagi ad aumentare l’attività fagocitarla e facilitano l’eliminazione intracellulare dei batteri. Al contratrio, la differenziazione Th2 è generalmente associata alla presenza di parassiti o allergeni che sono causa di una stimolazione cronica dei linfociti T con modesta attivazione macrofagica. Le citochine Th2 hanno anche un’azione inibitrice sull’attivazione macrofagica ed antagonizzano l’azione dell’IFN-gamma; tale funzione soppressiva delle reazioni mediate dai macrofagi identifica le cellule Th2 come “cellule regolatrici”. Questa condizione biologica mostra spesso risvolti immunologici negativi nei confronti di agenti intracellulari quali leishmania e micobatteri, poiché l’instaurarsi di una predominanza Th2 determina una risposta cellulo-mediata gravemente insufficiente4. Infine, il meccanismo legato allo sviluppo di reazioni granulomatose si caratterizza per attivare un reclutamento, uni o multifocale, di cellule infiammatorie, tra cui macrofagi, cellule epitelioidi, cellule giganti multinucleate, linfociti e plasmacellule. Queste reazioni vengono rivolte contro strutture antigeniche persistenti, insolubili e con un modesto potere antigenico. Possono essere innescate dall’azione di linfociti sensibilizzati che reagiscono contro antigeni specifici oppure in risposta a complessi Ag-Ac localizzati e persistenti; non tutti i granulomi, tuttavia, hanno un’origine immunitaria. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Abbas A.K.; Lichtman A.H., (2003), Cellular and Molecular Immunology, 5th ed., Saunders, Philadelphia, 411-431. Adkinson N.F.Jr, Yunginger J.W., Busse W.W., Bochner B.S., Holgate S.T., Simons E.R., (2003), Middleton’s Allergy: Principles and Practice e-dition, 6th ed., Saunders, Philadelphia, 11-14, 671-683. Kumar W., Abbas A.K.K., Fausto N., (2005),Robbins and Cotran: Pathologic Basis of Disease, 7th ed., Elsevier Saunders, Philadelphia, 193-264. Nuttal T.J., Knight P.A., McAleese S.M., Lamb J.R. and Hill P.B., (2002), T helper 1, T helper 2 and immunosuppressive cytokines in canine atopic dermatitis, Vet Immunol Immunopathol, 87, 379-384. Rich R.R., (1996), Clinical immunology: principles and practice, Mosby, St. Louis, 449-477. Scott D.W., Miller Jr W.H., Griffin C.E., (2001), Muller and Kirk’s Small Animal Dermatology, 6th ed., WB Sanders Co., Philadelphia, 543-666. Tizard I.R., (2004), Veterinary Immunology, 7th ed., Sauders, Philadelphia, 308-340. Indirizzo per la corrispondenza: Luca Mechelli - Facoltà di Medicina Veterinaria Università degli Studi di Perugia - E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC Parassiti interni ed esterni nel coniglio Massimo Millefanti Med Vet, Gaggiano, Milano ATTI NON PERVENUTI 186 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC • Cardiopatie valvolari: diagnosi e trattamento • Approccio ragionato alla valutazione e al trattamento delle più comuni aritmie • Chiusura del dotto arterioso persistente: tecniche e risultati clinici • Dilatazione con catetere a pallone delle disfunzioni stenotiche Matthew W. Miller DVM, MS, Dipl ACVIM (Cardiology), College Station, Texas, USA Atti non pervenuti. Saranno disponibili sul sito SCIVAC: www.scivac.it 187 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 188 Pericardial disease: etiology, diagnosis and therapy Pericardiopatie: eziologia, diagnosi e trattamento Matthew W. Miller DVM, MS, Dipl ACVIM (Cardiology), College Station, Texas, USA CONGENITAL DISEASES Diseases causing pericardial effusion are the most common causes of clinically significant pericardial disease in the dog. Idiopathic intrapericardial hemorrhage (Golden retrievers are overrepresented) with or without pericardial reaction and neoplasia of the heart, heart base, or pericardium are the most common causes of hemorrhagic effusion in dogs. Clinically important tumor types in dogs include hemangiosarcoma of the right atrium (especially common in German Shepherds and Golden Retrievers). Aortic body tumors (chemodectoma, nonchromaffin paraganglioma) with invasion of the heart base is most commonly seen in aged brachycephalic breed dogs, ectopic (heart base) thyroid carcinoma, mesothelioma of the pericardium, and metastatic carcinoma. A well recognized but uncommon cause of intrapericardial hemorrhage in small breed dogs is left atrial tear secondary to severe chronic endocardiosis of the mitral valve. Although there are no pathognomonic electrocardiographic findings for pericardial disease, there are several electrocardiographic abnormalities that are commonly seen. Electrical alternans is a beat-to-beat voltage variation of the QRS or ST-T complexes. It may be recorded in as many as 50% of patients with pericardial effusion. Elevation of the ST segment is commonly recorded in patients with pericardial disease. This represents an epicardial injury current. Reductions in QRS voltage (R < 1 mV in Lead II) are commonly recorded in dogs with pericardial effusion. Echocardiography is the most sensitive and specific noninvasive method of detecting pericardial effusion currently available. The hemodynamic consequences of pericardial effusion depend not only on the amount of pericardial effusion present, but also on the rapidity with which the effusion has accumulated. A small or moderate amount of fluid accumulating rapidly (left atrial rupture) may produce significant hemodynamic compromise, while a large amount of effusion accumulating over months may have little hemodynamic effect. These principles should be remembered when assessing the significance of an echocardiographically-detected pericardial effusion. Echocardiography can detect as little as 15 ml of intrapericardial fluid. An anechoic space between the epicardium and pericardium is the classic echocardiographic finding in pericardial effusion. Cardiac motion is commonly abnormal often with dramatic side-to-side movement and diastolic compression. Overall cardiac chamber size is usually diminished due to impaired cardiac filling. Intrapericardiac or cardiac mass lesions may be visualized. Diagnosis THERAPY AND PROGNOSIS Thoracic radiography usually demonstrates abnormalities when there is significant accumulation of pericardial fluid. The cardiac silhouette loses its angles and waists and becomes globe-shaped. Most cases are not “classic” and require integration with the other data. Pulmonary vascularity is often reduced from low cardiac output in contrast to CHF from cardiomyopathy or valvular disease in which the pulmonary vascularity may be increased (especially the pulmonary veins). If CHF has developed, distension of the caudal vena cava hepatomegaly and pleural effusion are usually evident. Less commonly, distension of the pulmonary veins and increased pulmonary interstitial densities (edema) may be detected. Heart base tumors may deviate the trachea and produce a mass effect. Pericardiocentesis There are several congenital diseases of the pericardium recognized in small animal species. While peritoneopericardial diaphragmatic hernias (PPDH) are the most common type of congenital abnormality encountered, sporadic reports of partial pericardial defects and intrapericardiac cysts 4have been published. Congenital complete absence of the pericardium is quite rare. ACQUIRED PERICARDIAL DISEASES Pericardiocentesis is the treatment of choice for initial stabilization of dogs and cats with pericardial effusion and cardiac tamponade. When performed properly, pericardiocentesis is associated with minimal complications. Prior to performing pericardiocentesis, it is necessary to shave and surgically prepare a large area of the right hemithorax (sternum to mid thorax, third to eighth rib). Local anesthesia is usually adequate; however, mild sedation is sometimes necessary. It is important to insure that the pleura has been infiltrated, as pleural penetration seems to cause significant discomfort. The patient is placed in sternal or lateral recumbency, depending on demeanor. Occasionally, pericardio- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC centesis can be accomplished in the standing animal, but adequate restraint is essential to prevent cardiac puncture or pulmonary laceration. Electrocardiographic monitoring during the procedure is helpful since epicardial contact often causes ventricular arrhythmias. The puncture site is usually determined based on the location of the heart on thoracic radiographs. This is most commonly between the fourth and sixth rib spaces at the costochondral junction. Ultrasound guidance is infrequently necessary unless the volume of effusion is very small or the effusion is compartmentalized. The size of the needle or catheter used is dependent on the size of the animal. In cats, a 19 to 21 gauge butterfly catheter may be adequate, while in large dogs, a 16 gauge over-the-needle catheter (usually with additional side holes) may be needed. The needle or catheter should be attached to a 3-way stopcock, extension tubing, and a syringe, to allow constant negative pressure to be applied during insertion and drainage. Care should be taken to avoid the large vessels that run along the caudal border of the ribs. Once the catheter has been inserted through the skin, negative pressure should be applied. If pleural effusion is present, it will be obtained immediately upon entering the thoracic cavity. It is most commonly a clear to pale yellow color. As the catheter is advanced and contacts the pericardium, a scratching sensation will be noticed. Minimal advancement will result in penetration of the pericardium. Most pericardial effusions are hemorrhagic and have a “port wine” appearance. Once effusion of this character is obtained, the catheter should be advanced over the needle, and the needle removed. The remainder of the drainage should be performed using the catheter. Advancing the needle too far will result in contact with the epicardium. This is often felt as a tapping or more intense scratching sensation and commonly results in ventricular arrhythmias. These arrhythmias are usually self-limiting following retraction of the needle or catheter. Pericardial effusion can be differentiated from peripheral blood in that it rarely clots unless it is from very recent hemorrhage and the PCV is significantly lower than that of peripheral blood. Every attempt should be made to drain the pericardial space as completely as possible. Drainage of the pericardium is often associated with an increase in the complex size on the ECG, a reduction in heart rate, and an improvement in arterial pulse quality. Potential complications include cardiac puncture (with resultant hemorrhage or arrhythmias), coronary artery laceration, lung puncture or laceration, and dissemination of infection or neoplasia throughout the thoracic cavity. Diagnostic evaluations of fluid obtained should include PCV and cytologic evaluation. Bacterial culture and sensitivity should be performed if indicated by cytologic evaluation. Caution should be exercised when evaluating the cellular component of peri- 189 cardial effusion. Clinically important neoplasia of the heart and pericardium (hemangiosarcoma, chemodectoma) commonly do not exfoliate, resulting in frequent false negative evaluations. Reactive mesothelial cells within the pericardial sac are commonly over interpreted as being neoplastic, causing false positive results. The long-term prognosis for dogs with hemorrhagic effusion is dependent on the underlying etiology. With idiopathic hemorrhagic pericardial effusion, pericardiocentesis is curative in approximately 50% of the cases. In the remainder, repeat centesis is necessary to control clinical signs. Fluid may reaccumulate rapidly (within several days) or may not recur for months to years. In patients requiring more than 2 centeses, the author recommends subtotal pericardiectomy. Following the initial pericardial tap, administration of oral prednisolone (starting at a dose of 1 mg/kg orally every 12 hours, then gradually tapering off over a two to three week period) may be beneficial. Although antiinflammatory doses of prednisolone are commonly administered to dogs with idiopathic pericardial effusion, there are no controlled studies to confirm the efficacy of this therapy. Subtotal pericardiectomy is usually curative in dogs with idiopathic pericardial effusion. If cardiac or pericardial neoplasia is the cause of the pericardial effusion, the recommended therapy is subtotal pericardiectomy. The prognosis is again dependent on the nature of the underlying etiology. Aortic body tumors are commonly associated with slow growth and are late to metastasize. Subtotal pericardiectomy may afford palliation for up to three years. Hemangiosarcoma of the right atrium is associated with a poor long-term prognosis. Most mass lesions involving the right atrium or right ventricle are not amenable to surgical removal. The tumor has commonly spread to the lungs at the time of diagnosis and these patients may have neoplastic lesions in the spleen or liver as well. In those patients, subtotal pericardiectomy should be considered palliative. Indirizzo per la corrispondenza: Matthew W. Miller Charter Fellow - Michael E. DeBakey Institute Professor of Cardiology Dept. of Small Animal Clinical Sciences College of Veterinary Medicine and Biomedical Sciences Phone 979-845-2351 Fax 979-845-6978 La traduzione italiana sarà disponibile sul sito SCIVAC: www.scivac.it 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 190 Introductory echocardiography: a case based approach Introduzione all’esame ecocardiografico: un approccio basato su casi clinici Matthew W. Miller DVM, MS, Dipl ACVIM (Cardiology), College Station, Texas, USA Common 2-D echocardiographic views Most standard views are obtained from either the right or left chest wall, over the heart and close to the sternum (parasternal) with the animal gently restrained in lateral recumbency. Occasionally, images are obtained from subxiphoid (subcostal) or thoracic inlet (suprasternal) positions. Images of better quality can usually be obtained with the transducer applied to the recumbent side of the animal, using a table with a cut-out to allow imaging from underneath the patient. Some animals can be adequately imaged from above. Long axis views are those obtained with the imaging plane parallel to the long axis of the heart, while short axis views are perpendicular to this plane. Images are described by the location of the transducer and the imaging plane used, e.g., right parasternal short axis view. The figure below illustrates commonly used 2-D imaging planes. The Use of Ultrasound in the Diagnosis of Acquired Heart Diseases Myocardial Diseases Echocardiography allows for rapid, non-invasive identification of myocardial disease and differentiation between hypertrophic and dilated cardiomyopathies. Image quality and resolution are important for identifying cardiac wall edges, so that septal and ventricular measurements can be accurately made. This is especially important in cats because of their small size. In general, it is easier to measure wall thickness and chamber dimensions using M-mode images; however, the location and level of the M-mode beam is optimally determined using 2-D echocardiography.Hypertrophic cardiomyopathy is characterized by increased septal and left ventricular freewall thickness. In cats, a diastolic thickness of these structures greater than 5 to 5.6 mm indicates hypertrophy. Thickened papillary muscles and reduced left ventricular lumen size are also com- 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC mon. In patients with hypertrophic cardiomyopathy, the fractional shortening is normal to increased and the left atrium is often markedly enlarged. With hypertrophic obstructive cardiomyopathy, septal thickness may be greater than the freewall thickness (asymmetric septal hypertrophy) and systolic narrowing of the left ventricular outflow region from the bulging, hypertrophied septum and SAM may be seen on 2-D imaging. A thrombus is occasionally visualized within the left atrium or auricle in cats with cardiomyopathy. Dilated cardiomyopathy is characterized by dilation (eccentric hypertrophy) of the left and, typically the right heart chambers. Systolic wall and septal motion is poor, causing the left ventricular systolic as well as diastolic dimensions to be increased; thus, fractional shortening and other indices of myocardial function are reduced. Increased mitral valve E point to septal separation and reduced aortic root motion are common, while left ventricular freewall and septal thicknesses are normal to decreased. Other forms of cardiomyopathy also occur in cats. Endomyocardial fibrosis and restriction enhances the brightness of endocardial surface. Excess moderator bands may be visualized as extra echoes toward the left ventricular apex. Left atrial size tends to be greatly increased in cases of restrictive cardiomyopathy. Valvular insufficiency Mitral or tricuspid valve insufficiency results in progressive dilation of the affected side of the heart. Massive atrial enlargement may develop in patients with chronic valvular regurgitation. Ventricular motion throughout the cardiac cycle is accentuated, especially in mitral insufficiency. The diastolic left (and/or right) ventricular dimension is increased but systolic dimension is normal until the myocardium itself begins to fail. Therefore, prior to myocardial failure, there is exaggerated septal motion, normal E point-septal separation, and high fractional shortening. Calculation of the end systolic volume index may also be helpful in assessing myocardial function. With severe tricuspid regurgitation, paradoxical septal motion may occur. The affected valve cusps are thicker than normal and may take on a knobby appearance at their edges. With good image resolution, smooth thickening is seen with degenerative disease (endocardiosis); bacterial endocarditis tends to cause rough and irregular vegetative valve lesions. It is often difficult to distinguish between these valve lesions with ultrasound alone, however. Rupture of a chorda tendineae causes part of the valve leaflet to have a flailed or paradoxic motion. Sometimes the broken chordae itself can be seen. Aortic insufficiency, whether resulting from infectious endocarditis or congenital malformation, also leads to left ventricular and possibly, left atrial dilation. Evidence of a 191 vegetative lesion or rapid diastolic fluttering (as blood leaks back into the ventricle) may be seen while imaging the aortic valve. A flailed aortic leaflet will prolapse into the ventricular outflow tract during diastole. Also, the regurgitant jet of blood during diastole may cause the open anterior mitral leaflet to flutter. Pericardial diseases Pericardial effusion can be readily detected using echocardiography. Since fluid is sonolucent, pericardial effusion appears as an echo-free space between the bright parietal pericardium and the epicardium. Pericardial effusion must be differentiated from pleural effusion on the echocardiogram. The following guidelines are helpful in this differentiation. Since the pericardium is more tightly adhered to the heart at its base, the majority of fluid will surround the heart near the apex; thus, very little fluid is seen behind the left atrium. Also, the parietal pericardium is a relatively strong reflector of ultrasound; as recorded echoes are progressively rejected by the operator (i.e., “dialed away”), the last echoes to disappear should originate from the pericardium. Noting where the fluid is located relative to the pericardium helps differentiate pleural from pericardial effusion. Evidence of collapsed lung lobes or pleural folds may appear in patients with pleural effusion. Very large amounts of pericardial fluid allow the heart to swing wildly within the pericardial sac. In addition, pericardial effusion of sufficient volume (pressure) to cause cardiac tamponade results in diastolic compression or collapse of the cardiac chambers, especially the right atrium and ventricle. A soft tissue density mass may be identified in cases of neoplastic pericardial effusion. The usual locations are the right auricle (hemangiosarcoma) and around the ascending aorta (chemodectoma). Tumors of the pericardium itself or the myocardium may also be a cause of pericardial effusion. Sometimes, intracardiac masses occur and are not associated with pericardial effusion. Indirizzo per la corrispondenza: Matthew W. Miller Charter Fellow - Michael E. DeBakey Institute Professor of Cardiology Dept. of Small Animal Clinical Sciences College of Veterinary Medicine and Biomedical Sciences Phone 979-845-2351 Fax 979-845-6978 La traduzione italiana sarà disponibile sul sito SCIVAC: www.scivac.it 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 192 Canine Cardiomyopathy: Dobermans, Boxers and More Cardiomiopatia canina: Doberman, Boxer e altro… Matthew W. Miller DVM, MS, Dipl ACVIM (Cardiology), College Station, Texas, USA Arrhythmogenic Cardiomyopathy The term “arrhythmogenic cardiomyopathy (ACM) is a useful term that refers to recurrent or persistent arrhythmia in the setting of a normal left ventricular ejection fraction. While some dogs affected with ACM clearly go on to develop classic DCM, many do not, and in some, the key to clinical management is control of the cardiac arrhythmia. ACM is particularly common in the Boxer (and some English Bulldogs) where the term arrhythmogenic right ventricular dysplasia (ARVD) is sometimes used to indicate the presumed origin of arrhythmia. The Doberman Pinscher is another breed that often manifests ventricular ectopics prior to the development of overt myocardial failure (DCM). Another common example is the Irish Wolfhound (and other giant breeds); these dogs are prone to atrial fibrillation (AF) without obvious impairment of LV contractility, a condition sometimes referred to as lone AF. Other atrial arrhythmias may be recognized in ACM including ectopic atrial tachycardia and atrial flutter. In dogs with lone AF, the Holter data provide insight about the daily heart rate and the exercise heart rate. Average daily heart rates that exceed 90–95/min or moderate-level exercise heart rates that exceed 250/min are reasonable grounds for slowing the heart rate response to AF. This can be done with a beta-blocker such as atenolol (6.25 to 25 mg PO q12h) or metoprolol (12.5 mg PO q12h in giant breeds). The initial dose of the beta-blocker should be low to prevent lethargy, but it can be titrated up over two to four weeks to achieve an appropriate average daily rate (generally in the range of 70 to 80/min). Digoxin can be prescribed for lone AF, but cardiac glycosides are less effective for controlling excessive exercise-related rates and are not recommended by the author unless there is congestive heart failure. Diltiazem (0.5 to 1.5 mg/kg PO q8h) is very effective in controlling heart rate, but does not confer the “cardioprotection” of betablockers should the arrhythmia represent occult DCM. Grading the severity of ventricular arrhythmias in terms of relative risk for sudden death is more difficult. Clearly, the presence of clinical signs (collapse, syncope) is an indication to control ventricular tachycardia if the clinician is certain that a tachyarrhythmia is the basis for the spells. If uncertain, an event monitor (client activated ECG) should be prescribed and worn by the dog. The more common problem is when there are no overt clinical signs but frequent ventricular ectopic beats. Here the clinician must attempt to judge the seriousness of the arrhythmia. If the Holter ECG shows rapid runs of ventricular tachycardia (exceeding 225/min), frequent ectopics (such as more than 7,000 per 24 hour period), or “warning” arrhythmias (such as short-coupled PVC’s, or flutter-like runs of ventricular tachycardia), antiarrhythmic therapy is recommended. Dilated Cardiomyopathy Dilated cardiomyopathy (DCM) is an idiopathic, genetic, or familial myocardial disease characterized by cardiac dilatation and reduced myocardial contractility. Histologic lesions include absence of inflammation, attenuated wavy fibers, loss of myocytes, and the presence of increased myocardial fibrosis. Coronary arteries are normal and the valves unremarkable, except in older dogs with concurrent mitral or tricuspid valve endocardiosis. Deficiency of metabolic substrates (such as L-carnitine or taurine) is found in a minority of dogs, but the exact cause and effect relationship between these substrates and DCM is incompletely understood. Occult DCM indicates an overtly healthy dog with echocardiographic evidence of systolic dysfunction by echocardiography. Most diagnoses are made when a breeder requests screening of an important dog or after a veterinary examination uncovers a murmur or arrhythmia. In most cases the “diagnosis” of occult DCM is based on a minor axis measure of LV systolic function (the shortening fraction). Values below 25% are considered suspicious in most laboratories, but there is no unanimity about one specific figure that indicates myocardial failure. This single linear approach can be questioned because larger dogs shorten relatively more in the apical to basilar direction and this motion is not assessed by the shortening fraction measure. Before rendering a diagnosis of occult DCM, the clinician should request more detailed echocardiographic measures of systolic function including LV short-axis shortening area, apical-to-basilar mitral annular motion, and volumetric estimates of LV ejection fraction using the method of discs or a prolate ellipsoid model. Serial examinations also can be helpful in establishing a downward trend in LV function. Holter ECG is a useful adjunct for establishing the diagnosis in breeds prone to DCM with cardiac arrhythmias. Most would consider >50 VPC/PVC’s per day abnormal. When the diagnosis of occult DCM is certain, cardioprotection should be considered. This can be initiated with an angiotensin converting enzyme inhibitor (ACEI) such as enalapril, benazepril, ramapril 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC (ramipril), or quinapril given once daily. If persistent arrhythmias are evident, a beta-blocker or sotalol should also be considered (see above for doses). Advanced cases of DCM are presented with exercise intolerance and clinical signs of CHF. There can be marked weight loss and cachexia. Clinical signs of left-sided CHF include tachypnea, respiratory distress, and coughing related to pulmonary edema. Right-sided CHF is characterized by jugular pulses and jugular venous distension, hepatomegaly, and ascites. Biventricular failure includes the above findings along with pleural effusion. Auscultation may reveal atrial and ventricular gallops, systolic murmurs, or arrhythmias. The arterial blood pressure usually is normal owing to vasoconstriction and neurohormonal activation, but will be decreased in profound DCM with cardiogenic shock Laboratory studies support the diagnosis in advanced cases of DCM. The EKG may demonstrate abnormalities typical of cardiomegaly (wide or tall P-waves; wide or increased amplitude QRS complexes) or myocardial disease (wide QRS, slurred R-wave descent, and ST-segment coving). One or more of the aforementioned cardiac arrhythmias may be evident, though an ambulatory EKG is needed to assess the frequency of ventricular ectopic rhythms. The signal averaged EKG may demonstrate late potentials indicating increased risk for ventricular fibrillation. Thoracic radiography reveals cardiomegaly and may demonstrate typical radiographic features of heart failure. The echocardiogram shows ventricular dilation, reduced left ventricular shortening fraction, increased E-point to septal separation, decreased wall excursion, left atrial dilation and variably right-sided cardiomegaly. Doppler evidence of mitral regurgitation and tricuspid regurgitation, pulmonary hypertension, and diastolic ventricular dysfunction are common. Routine laboratory tests are usually normal or reflect intercurrent disease, consequences of CHF, or complications of CHF therapy. Specialized blood tests for L-carnitine or taurine may be performed in selected cases. Initial hospital therapy of CHF caused by DCM includes diuresis with furosemide (2–4 mg/kg IV, IM q6-8h), supplemental oxygen, nitroglycerin ointment (1–1.5 inches for a large breed dog q12h), and rest. Life-threatening pulmonary edema can be managed with furosemide and infusion of sodium nitroprusside (0.5–2.5 mcg/kg/min) with careful attention paid to arterial blood pressure (titrate the infusion to a systolic value of 85 to 90 mm Hg). Thoracocentesis is indicated for moderate to large pleural effusions. When there is CHF with systemic hypotension, the treatment should be furosemide, oxygen, and dobutamine (2.5 to 10 mcg/kg/ min). Dobutamine can have relatively long-term benefits and is continued for at least two days, at which point the drug is tapered over a 6–12 hour period while assessing blood pressure. In the setting of hypotension, vasodilators are avoided 193 until the pressure is stabilized by dobutamine for at least two hours after which therapy with either sodium nitroprusside or an ACEI can be initiated (see below). In dogs with atrial fibrillation, digoxin (0.005 mg/kg PO q12h) is prescribed to control the ventricular rate response. Home therapy for CHF caused by DCM includes furosemide, an ACE-inhibitor, digoxin, and sodium-restricted diet. Fluid retention is controlled with furosemide (2–4 mg/kg PO q8-12h) and sodium restriction if possible. Digoxin therapy is initiated unless there is a contraindication (moderate renal failure, complicated ventricular ectopics). An ACEI is prescribed for once daily use (with a typical dose of 0.5 mg/kg PO for enalapril or benazepril), and the dose increased to twice daily after one or two weeks of home care. Where available, pimobendan (a phosphodiesterase inhibitor-calcium sensitizing inotropic drug with vasodilating properties) should be considered based on limited but promising clinical studies. Spironolactone (12.5 to 25 mg PO q12h in a large dog) may be added to block the cardiotoxic effects of aldosterone and impede sodium retention in the distal nephron. A beta-blocker may be considered to blunt the cardiotoxic effects of the sympathetic nervous system; however, heart failure must be well controlled first. The beta-blocker of choice in human patients is carvedilol. This drug is both a beta-blocker and alpha-adrenergic blocker (which helps to reduce the afterload on the left ventricle). Carvedilol also had anti-oxidant properties that may benefit the myocardium. Unfortunately, the prescription drug (Coreg) is expensive. Dosing can be difficult even in large dogs that may not tolerate the negative inotropy of any betablocker. Thus, low initial dosages are mandatory (start with _ to _ of a 3.125 mg carvedilol tablet q12h). While there are clear theoretical benefits of beta-blockers in canine DCM, one’s practical ability to initiate and maintain treatment may be very limited and CHF can worsen (often with pleural effusion). Certainly, when AF complicates CHF, either a beta-blocker or diltiazem (0.25 to 1.0 mg/kg PO q8h) is prescribed to control ventricular rate. Indirizzo per la corrispondenza: Matthew W. Miller Charter Fellow - Michael E. DeBakey Institute Professor of Cardiology Dept. of Small Animal Clinical Sciences College of Veterinary Medicine and Biomedical Sciences Phone 979-845-2351 Fax 979-845-6978 La traduzione italiana sarà disponibile sul sito SCIVAC: www.scivac.it 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 194 Come migliorare le capacità di apprendimento dei cuccioli attraverso la loro alimentazione David Morgan BSc, MA, VetMB, CertVR, MRCVS, Lewisburg, OH, USA Russ Kelley, Allan Lepine, Med Vet, Lewisburg, OH, USA BACKGROUND È risaputo che gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga (LCPUFA), l’acido arachidonico (AA) e, in particolare, l’acido docosahexaenoico (DHA) favoriscono il corretto sviluppo del sistema nervoso e dell’apparato visivo dei mammiferi. Nel corso della gestazione, la ridotta produzione di DHA da parte del feto rende necessario l’intervento della madre, inizialmente attraverso la placenta ed in modo particolare dopo il parto, attraverso il latte. Il livello di DHA nel latte riflette le concentrazioni di DHA della madre. Negli esseri umani, l’integrazione di DHA e AA anche solo nei primi 4 mesi di vita ha accresciuto la percentuale di successo di risoluzione dei problemi a 10 mesi d’età ed ha permesso di registrare valori di pressione arteriosa più bassi a 6 anni d’età, in comparazione con bambini cui non venga fornita alcuna integrazione di LCPUFA. Inoltre, i figli di madri con alti livelli di DHA evidenziano nei primi 2 giorni di vita modelli di comportamento inclini al sonno, indizio questo di una accentuata maturazione del sistema nervoso centrale, rispetto ai figli di madri caratterizzate da bassi livelli di DHA. I dati acquisiti evidenziano che, nella specie canina, il livello di acidi grassi (FA) dei cuccioli riflette il livello di FA della madre. OBIETTIVO In merito al ruolo del DHA sullo sviluppo cerebrale ed alla evidenziazione dei vantaggi prodotti sui bambini e sui neonati dagli acidi polinsaturi a catena lunga (LCPUFA), è stato condotto uno studio per esaminare l’effetto dell’acido docosahexaenoico (DHA) nelle specie canina. Il nostro obiettivo è stato quello di valutare l’effetto dell’olio di pesce nell’alimentazione delle cagne, in gestazione e dopo lo svezzamento, sulle capacità di apprendimento di cuccioli Beagle, nonché il loro livello di DHA. METODI UTILIZZATI A gruppi selezionati di cagne di razza Beagle (al 2-3 parto) sono state assegnate in maniera casuale 2 diete, utilizzate durante i periodi di allattamento e di svezzamento. Gli elementi selezionati dalle cucciolate in questione (39 cuccioli in totale) sono stati alimentati con le diete delle loro madri dallo svezzamento fino a 16 settimane d’età e sottoposti alle valutazioni delle rispettive capacità di apprendimento attraverso il metodo di valutazione per la risoluzione del compito assegnato, ricorrendo allo specifico labirinto a T con doppia alternativa. In vista del test valutativo sulle capacità di apprendimento, al raggiungimento della 9^ settimana d’età, ogni cucciolo è stato sottoposto giornalmente ad un periodo di socializzazione e di ambientamento, conclusosi con un ciclo di addestramento nei 5 giorni antecedenti la prova di valutazione con labirinto a T. Quest’ultima, che tende a valutare la predisposizione all’apprendimento, è stata condotta dalle 10 alle 16 settimane d’età con i cuccioli che partecipavano in 2 sessioni al giorno a 7-10 prove valutative, 5 giorni alla settimana per 30 giorni. L’esito veniva definito positivo allorché il cucciolo acquisiva un punteggio favorevole in almeno l’80% dei tentativi nel corso di 2 sessioni consecutive. Inoltre, a tutti i cuccioli è stato valutato il livello di acidi grassi (FA) a 7, 11 e 15 settimane d’età, sulla base dei profili FA delle membrane cellulari dei globuli rossi (RBC). Le diete, a base di pollo e cereali, sono state formulate ricorrendo ad una matrice base che prevedeva il 31,5% di proteine ed il 20,75% di grassi con una differenziazione sul contenuto di olio di pesce: 0% per il gruppo con bassi livelli di DHA = 20 cuccioli) o l’1,10% per il gruppo alimentato con la dieta con alti livelli di DHA = 19 cuccioli). RISULTATI I profili degli acidi grassi (sia della madre che dei cuccioli) sono stati alterati in maniera considerevole, in particolare per quanto si riferisce agli acidi grassi omega-3. Le membrane dei globuli rossi dei cuccioli alimentati con alti livelli di DHA (1,10% di olio di pesce) contenevano circa il quadruplo della quantità di DHA presente nei cuccioli alimentati con la dieta a basso contenuto di DHA (0% di olio di pesce). È stato anche rilevato che i punteggi relativi alla capacità di apprendimento dei cuccioli sono stati condizionati dalla dieta, con una maggiore percentuale (P < 0,05) di cuccioli compresi nel gruppo con alto livello di DHA (n=19) raggiungendo almeno 1 positivo risultato rispetto al gruppo di cuccioli con basso livello di DHA (n=20). Infatti, più del doppio dei cuccioli (68%) compresi nel gruppo con alto livello di DHA ha superato il test, mentre nel gruppo di cuccioli con basso livello di DHA la percentuale rilevata è stata soltanto del 30%. In conclusione, i dati precedentemente riportati dimostrano l’importanza nella dieta delle fonti di lipidi, in particolare del DHA, sulla funzione neurologica (predisposizione all’apprendimento) e sul livello dei nutrienti nelle specie canina durante i critici periodi dello sviluppo. Indirizzo per la corrispondenza: David Morgan E-mail: [email protected] 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 195 Malattie cutanee immunomediate Ralf S. Mueller Dr Med Vet, Dipl ACVD, FACVSc, Monaco, Germania Le malattie cutanee autoimmuni sono affezioni caratterizzate da una specifica risposta immunitaria umorale o cellulomediata nei confronti dei tessuti dell’organismo stesso. Esistono numerose malattie autoimmuni riscontrabili in dermatologia veterinaria, ma la maggior parte di esse è estremamente rara. Tuttavia, nel corso dell’attività professionale svolta sui piccoli animali si osservano regolarmente cani e gatti che vengono portati alla visita perché presentano un lupus eritematoso discoide o un pemfigo foliaceo e, quindi, verranno prese in considerazione principalmente queste due malattie. LUPUS ERITEMATOSO DISCOIDE Il lupus eritematoso discoide (LED) è una delle malattie cutanee autoimmuni di più frequente riscontro nel cane e nell’uomo ed è stata descritta nel gatto. Nell’uomo, il 10% della totalità dei pazienti colpiti va incontro ad un’evoluzione della malattia, arrivando a sviluppare un lupus eritematoso sistemico (LES). Fortunatamente, non sembra che ciò accada nei piccoli animali, nei quali solo raramente un paziente con LED sviluppa segni clinici sistemici. Tuttavia, occasionalmente è possibile e quindi bisogna tenerne conto. Il LES è un disordine immunitario non comune e multisistemico del cane, del gatto e dell’uomo (ed è stato segnalato anche nel cavallo). Patogenesi L’esatta patogenesi del LED nel cane e nel gatto non è stata chiarita. Tuttavia, un sottogruppo di cani con segni clinici mostra un netto peggioramento in seguito all’esposizione alla luce UV e migliora quando viene protetta da questo tipo di radiazioni luminose, per cui si può presumere con sicurezza che i raggi UV svolgano un ruolo almeno in alcuni dei pazienti con LED. Un altro sottogruppo di animali non sembra essere influenzato affatto dalle variazioni dell’esposizione agli UV. Esistono delle predisposizioni di razza per collie, pastore delle Shetland, pointer tedesco a pelo corto, Siberian husky e Britanny spaniel. Quindi, anche i fattori genetici sembrano avere un certo ruolo nella malattia. Dal punto di vista istopatologico si osserva una gamma di alterazioni, ma nel cane le plasmacellule sono più eviden- ti che nell’uomo (dove i principali elementi infiammatori sono i linfociti). Segni clinici Negli stadi iniziali il lupus eritematoso discoide è caratterizzato da depigmentazione, eritema e desquamazione del naso. La grossolana architettura ad acciottolato del tartufo si trasforma in una superficie liscia. Meno comunemente si osserva una depigmentazione della cute intorno agli occhi ed alle labbra. In seguito si riscontrano erosioni, ulcerazioni e formazioni di croste che si possono estendere dal tartufo e dalle narici fino alle parti laterali del muso coperte di peli. Queste modificazioni si possono incontrare intorno agli occhi nonché a livello dei padiglioni auricolari. Nei casi gravi e cronici si possono osservare delle cicatrizzazioni. Diagnosi La procedura diagnostica d’elezione è la biopsia delle lesioni cutanee. È necessario scegliere le lesioni non ulcerate, perché i prelievi effettuati a livello di un’ulcera risultano di scarsa utilità dal momento che insieme all’epidermide va perduta anche la specifica sede di azione del processo patologico, la giunzione fra derma ed epidermide. L’ideale è scegliere un’area che si sta ingrigendo perché la depigmentazione è in atto e i riscontri istopatologici hanno maggior valore diagnostico, mentre le aree depigmentate sono già “bruciate”. Per il lupus eritematoso discoide si effettuano 2 o 3 prelievi bioptici mediante punch. L’autore sceglie tipicamente punch da 6 mm per il naso e da 8 mm per la parte dorsale del muso nella maggior parte dei cani e da 4 mm per il naso e 6 mm per la parte dorsale del muso nei gatti e nelle razze toy. Per le alterazioni cutanee del tronco e degli arti impiega sempre punch da 8 mm o ricorre alla biopsia per escissione. Un riscontro tipico nei campioni fissati in formalina è la dermatite dell’interfaccia (infiammazione a livello della giunzione fra derma ed epidermide). I campioni fissati nella soluzione di Michel rivelano classicamente dei depositi di immunoglobuline a livello della membrana basale (linea del lupus). Tuttavia, questi riscontri sono stati segnalati anche in campioni prelevati dal naso e dai cuscinetti plantari di cani normali e non sono necessariamente specifici per il lupus eritematoso. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC PEMFIGO Il complesso del pemfigo comprende 4 sottotipi riconosciuti in medicina umana, il pemfigo volgare, vegetante, eritematoso e foliaceo. In tutti questi sottotipi, il sistema immunitario, per varie e spesso sconosciute ragioni, inizia a produrre anticorpi contro alcune parti dei desmosomi, le piccole connessioni che tengono uniti i cheratinociti adiacenti. Questi (auto-)anticorpi sono detti anticorpi del pemfigo. Gli anticorpi dei diversi sottotipi sono diretti contro differenti antigeni dei desmosomi espressi in vari piani dell’epidermide. Quindi, la localizzazione delle vescicole che si formano all’interno dell’epidermide stessa ed i segni clinici che ne derivano variano. Una volta che l’anticorpo si è legato alla parte del desmosoma che forma l’antigene, il complesso viene “inghiottito” dalle cellule e suscita delle reazioni intracellulari che portano al rilascio dell’attivatore del plasminogeno. La successiva attivazione di quest’ultimo esita nella produzione della plasmina, una proteasi che distrugge i desmosomi e porta all’acantolisi (il processo in cui i cheratinociti perdono i propri ponti intercellulari e “si arrotondano”). Queste cellule acantolitiche si trovano sotto forma di singoli elementi nelle vescicole formate dalla distruzione delle connessioni intercellulari. Segni clinici Le lesioni del pemfigo volgare si osservano caratteristicamente nella cavità orale (l’80% dei casi presenta ulcere o vescicole della bocca al momento della diagnosi), di altre mucose, dell’inguine e delle ascelle. I cani di razza pastore tedesco possono presentare unicamente lesioni delle orecchie e del naso. Sono frequentemente presenti linfoadenopatia, anoressia e febbre, nonché piodermite secondaria (e sepsi). Questi animali sono malati, di aspetto disgustoso e miserabili. Non sono note predisposizioni di età, sesso e razza. Se le lesioni sembrano mostrare delle vegetazioni papillomatose, può essere presente un pemfigo vegetante. Tuttavia, molti dermatologi veterinari non credono a questa entità. Il pemfigo foliaceo è la più comune malattia cutanea immunomediata (insieme al lupus eritematoso discoide). Può colpire i cani adulti di qualsiasi età, l’età media in uno studio basato su un gran numero di casi è stata di 4,2 anni. Alcune delle razze più comunemente colpite sono gli akita, i chow chow ed i Dobermann. La malattia di solito inizia a livello delle orecchie e del muso. I primi segni sono rappresentati da depigmentazione del tartufo e/o lesioni crostose della parte dorsale del muso, delle aree perioculari e dei padiglioni auricolari. Sono comunemente colpiti, zampe, cuscinetti plantari ed inguine. In alcuni cani, l’unica manifestazione clinica è l’ipercheratosi dei cuscinetti plantari (con occasionale distacco degli strati superficiali). Nell’arco di settimane o mesi si può avere una generalizzazione. In alcuni casi si possono osservare prurito, dolore e letargia. Può essere presente il segno di Nikolsky (sfregando lateralmente l’estremità smussa di una matita sulla cute si ottiene la formazione di una vescicola dovuta alle forze di taglio così generate). Nel 196 gatto sono frequenti la paronichia (che spesso determina la comparsa di un materiale caseoso e brunastro che si accumula nella piega ungueale) ed il coinvolgimento dei capezzoli. Uno dei classici indizi clinici del pemfigo foliaceo (soprattutto nei felini) è la formazione di croste sulla zona centrale glabra della faccia interna dei padiglioni auricolari. Il pemfigo eritematoso è clinicamente indistinguibile dalle fasi iniziali del pemfigo foliaceo con il solo coinvolgimento facciale. Viene considerato come un “incrocio” fra lupus eritematoso e pemfigo foliaceo. Il pemfigo eritematoso è caratterizzato da titolo positivo degli anticorpi antinucleari, talvolta da infiltrati lichenoidi nelle biopsie (vedi oltre) ed è tipicamente limitato al muso. Diagnosi La biopsia è il test diagnostico d’elezione. Di solito viene effettuata dopo che i raschiati cutanei hanno dato esito negativo, non si sono riscontrati miceti o batteri negli esami citologici o la terapia antibiotica ha determinato un miglioramento del paziente, ma nel corso di un successivo esame sono ancora evidenti pustole e croste senza microrganismi. È necessario prelevare molteplici biopsie (l’autore di solito effettua 4 o 5 campioni) e bisogna scegliere attentamente le sedi di prelievo. L’ideale è riuscire a prelevare delle pustole intere. Se sono presenti pustole di piccole dimensioni (meno della metà di quelle dello strumento utilizzato) si può impiegare un punch da biopsia nuovo(!) ed affilato. Se la pustola è un po’ più grande, probabilmente andrà incontro ad una rottura mentre cercate di effettuare un prelievo diagnostico così difficile. In questi casi l’autore impiega una lama da bisturi ed esegue una biopsia per escissione. In molti casi è difficile riuscire a prelevare una pustola integra. Non rinunciate troppo presto, l’autore impiega fino a 10 minuti per ricercare sull’intero corpo dell’animale una lesione di valore diagnostico. Al secondo posto nella classifica delle lesioni da sottoporre a biopsia si trovano le papule, una piccola tumefazione rossa non ancora crostificata. Infine, è possibile prelevare alcune lesioni effettivamente crostose con una spessa crosta ancora adesa alla biopsia. Dovete indicare all’istopatologo la vostra lista delle possibili diagnosi differenziali e chiedere al laboratorio di “tagliare le croste” perché potrebbero contenere importanti indizi. In alcuni casi è necessario ripetere le biopsie perché i campioni iniziali possono non avere alcun valore diagnostico nonostante tutti gli sforzi del clinico. In una biopsia classica le pustole intraepidermiche o sottocorneali sono piene di neutrofili, cellule acantolitiche ed occasionali eosinofili. Il derma sottostante è caratterizzato da una dermatite perivascolare superficiale lieve o moderata. Le pustole si possono anche trovare nelle pareti follicolari. Nella maggior parte dei casi, l’unica indicazione diagnostica è rappresentata da numerose cellule acantolitiche nelle croste. In alcune pubblicazioni potrete leggere dell’impiego dell’immunofluorescenza diretta ed indiretta. Quest’ultima permette di effettuare uno screening sul siero del paziente per identificare gli anticorpi del pemfigo precedentemente 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC citati; si tratta di un test importante in medicina umana, ma non così utile nel cane e nel gatto. L’immunofluorescenza diretta evidenzia gli anticorpi legati allo spazio intercellulare nell’epidermide (determinando la comparsa di un quadro che sembra simile ad una rete verde fluorescente in un mare nero) di un campione istopatologico. Il prelievo deve essere congelato o conservato nella soluzione di Michel, non si possono utilizzare quelli semplicemente fissati in formalina. Recentemente, per la colorazione di questi anticorpi nei tessuti fissati in formalina presso alcuni laboratori sono stati utilizzati metodi immunoistochimici. L’immunofluorescenza diretta e l’immunoistochimica sono abbastanza controverse, sono stati segnalati esiti falsi negativi e falsi positivi (ad es., casi di danno cutaneo solare cronico sono risultati positivi al test). Io ho utilizzato questi test molto raramente in passato ed attualmente non me ne servo affatto. Ne raccomando l’impiego solitamente se avete familiarità con il laboratorio e sapete quanto possano essere diagnostici ed attendibili se effettuati presso quello specifico laboratorio. 197 Prognosi La prognosi del pemfigo foliaceo e quella del pemfigo eritematoso è discreta, anche se nella maggior parte dei casi è necessario un trattamento immunosoppressore per tutta la vita dell’animale. Ciò vale anche per il pemfigo eritematoso. Talvolta si ottiene una parziale remissione con solo poche croste residue utilizzando dosaggi proporzionalmente bassi di farmaci immunosoppressori e la remissione completa richiede dosi di mantenimento molto più elevate. In questi particolari casi, può essere ragionevole e molto più sicuro per il paziente mantenere la malattia in uno stato di remissione parziale. La prognosi del pemfigo volgare varia da riservata a sfavorevole. Indirizzo per la corrispondenza: Ralf S. Mueller Medizinische Tierklinik - Veterinaerstr. 13 80539 Muenchen - Germany - Ph: (49) 89 - 2180 2654 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 198 Diagnosi delle principali malattie immunomediate nel cane e nel gatto Ralf S. Mueller Dr Med Vet, Dipl ACVD, FACVSc, Monaco, Germania Le malattie cutanee immunomediate si presentano in molte varietà e con differenti segni clinici. Tuttavia, esistono alcune indicazioni cliniche o anamnestiche che le rendono più probabili e devono indirizzare verso un’indagine diagnostica più aggressiva nelle fasi iniziali del loro decorso. Tali indicazioni sono: • Dal punto di vista dell’anamnesi, la malattia ha un’insorgenza acuta e le condizioni del paziente si deteriorano rapidamente. • Sono colpite le mucose o le giunzioni mucocutanee, si deve prendere in considerazione una malattia immunomediata. • Le lesioni cutanee sono solo una parte della malattia e sembrano essere coinvolti anche altri apparati (articolazioni, reni, ecc…). • È colpito il tartufo. Per la diagnosi delle malattie del complesso del pemfigo può essere utile l’esame citologico. Nella maggior parte dei casi, si ricorre agli strisci per impronta. Il vetrino viene delicatamente compresso sopra un’area erosa, essudativa o ulcerata (se non è presente, si può delicatamente rimuovere una crosta ed effettuare il campionamento della superficie erosa sottostante) e colorato con Diff-Quick. In molti pazienti con pemfigo, si identificano le cosiddette cellule acantolitiche. Si tratta di cheratinociti che si colorano di blu o di porpora, appaiono tondeggianti e presentano un nucleo centrale. Non hanno valore diagnostico per il pemfigo (dal momento che occasionalmente si possono riscontrare anche nelle piodermiti), ma indicano la necessità di una biopsia e la probabilità che si tratti di pemfigo. Quando dobbiamo effettuare una biopsia cutanea perché sospettiamo una malattia immunomediata? • Qualsiasi lesione cutanea che appaia inusuale al clinico deve essere sottoposta a biopsia. • Se nell’elenco delle possibili diagnosi differenziali si trova una malattia immunomediata, è indicata una biopsia. • Il ricorso alla biopsia va anche preso in considerazione nei casi in cui le lesioni non rispondono alla terapia empirica. Una delle principali ragioni per effettuare una biopsia cutanea è quella di escludere altre diagnosi. “Penso che sia un’allergia, ma …”. In questa situazione, il referto bioptico di “dermatite iperplastica cronica, con infiltrati perivascolari mononucleari” – pur non confermando l’allergia – ha almeno escluso i comuni agenti infettivi e le dermatosi inusuali. Una diagnosi istopatologica a sostegno, interpretata in associazione con le impressioni cliniche, può essere utile tanto quanto una diagnosi di conferma. SCELTA DELLA SEDE DA SOTTOPORRE A BIOPSIA La scelta della sede dove effettuare il prelievo richiede un accurato esame dell’intero corpo del cane per ottenere i campioni più rappresentativi, identificare le lesioni primarie e secondarie presenti e stilare un elenco delle possibili diagnosi differenziali prima della biopsia. Fatta eccezione per il caso dei noduli isolati, si consiglia di prelevare molteplici campioni tissutali. Questi devono comprendere le lesioni primarie se presenti, contenere una gamma rappresentativa di lesioni e soprattutto devono essere prelevati e manipolati con cautela. Le lesioni depigmentanti vanno sottoposte a campionamento in un’area di attiva depigmentazione, cioè di colore grigio piuttosto che nello stadio finale, bianco. L’alopecia va sottoposta a biopsia al centro dell’area di maggiore gravità nonché in corrispondenza dei margini e delle aree normali. Non aspettatevi che un istopatologo sia in grado di descrivere qualcosa di più di un’ulcera se il prelievo è stato effettuato a livello di una zona ulcerata o di un’erosione crostosa se si è scelta un’area escoriata. PREPARAZIONE DEL SITO DELLA BIOPSIA Fatta eccezione per la biopsia mediante escissione dei noduli, non si deve utilizzare nessuna forma di preparazione chirurgica della sede da campionare. Anche la semplice applicazione topica di alcool lasciato asciugare all’aria può alterare l’epidermide. Se sono presenti delle croste, vanno lasciate sulla cute. Se vengono accidentalmente staccate, devono comunque essere poste in formalina chiedendo esplicitamente di “tagliare le croste”, nel modulo di richiesta dell’analisi. Le croste possono contenere microrganismi o cellule acantolitiche che contribuiscono alla formulazione della diagnosi. Questa mancanza di preparazione chirurgica non è quasi mai seguita dalla comparsa di un’infezione. BIOPSIA A CUNEO O MEDIANTE PUNCH In medicina veterinaria, si utilizzano comunemente due tecniche di biopsia, quella mediante punch e quella a cuneo. Quest’ultima viene comunemente impiegata come tecnica di escissione quando si asportano noduli isolati. È anche indicata in caso di vescicole, casi sospetti di pannicolite e prelievo bioptico dei margini di una lesione – ad esempio – a carattere ulcerativo (le lesioni vecchie del pemfigoide o del pemfigo 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC volgare sono frequentemente ulcerate). Ciò consente di orientare correttamente la lesione. La biopsia mediante punch è rapida, relativamente atraumatica e di solito impiegata nelle dermatosi di sospetta origine infettiva, infiammatoria ed endocrina. Si trovano comunemente in commercio dei punch da biopsia monouso del diametro di 4,6 ed 8 mm. Questi strumenti possono venire sterilizzati in autoclave e riutilizzati senza che ciò influisca in modo particolare sul loro filo. PROCEDURA Si tosano e si rimuovono delicatamente i peli sovrastanti. Se sono presenti delle croste, può essere meno traumatico utilizzare delle forbici piuttosto che le tosatrici elettriche. Se si ricorre agli anestetici generali per il prelievo di campioni bioptici dal naso o dai cuscinetti plantari, non è necessaria alcuna ulteriore preparazione. Se la biopsia deve essere effettuata con il contenimento manuale o sotto sedazione (noi utilizziamo xilazina alla dose di 0,4 mg/kg IV), l’iniezione sottocutanea di 1 o 2 mg di xilocaina (o prilocaina che non “brucia” molto quando viene iniettata) con adrenalina di solito assicura un’adeguata anestesia locale. Se viene somministrata per via sottocutanea facendo penetrare l’ago in un punto al di fuori dell’area destinata alla biopsia non si verifica una distruzione della biopsia stessa. Bisogna lasciare il tempo all’anestetico locale di fare effetto. Il punch viene quindi tenuto perpendicolarmente alla superficie cutanea e delicatamente appoggiato sulla lesione prescelta. Si applica una pressione energica e costante e si ruota il punch in una direzione (!) fino a che non si sia raggiunta una profondità sufficiente a liberare il derma dalle sue inserzioni sottostanti. Il punch viene rimosso e si arresta delicatamente mediante compressione ogni eventuale sanguinamento. La sezione del tessuto viene afferrata alla base – che dovrebbe corrispondere al pannicolo – e le inserzioni sottocutanee vengono recise. In nessun caso si deve afferrare il derma o l’epidermide con delle pinze, perché ciò determinerebbe un “artefatto da schiacciamento”. Il tessuto schiacciato può venire erroneamente interpretato come una cicatrizzazione nella migliore delle ipotesi e rendere del tutto inutile il campione nella peggiore. Il tessuto viene fatto rotolare su una garza per assorbire delicatamente il sangue presente sulla sua superficie. Se si tratta di un campione sottile, va collocato – con il pannicolo in basso – su di un pezzo di cartone rigido o un abbassalingua spezzato. Ciò impedisce che il tessuto si arricci quando viene immerso in formalina, ottimizzando l’interpretazione dell’istopatologo. L’“unità formata dal tessuto e dal cartone viene quindi posta in formalina al 10% (con la parte del tessuto in basso) e lasciata in fissazione per un periodo minimo di 8 ore prima di essere sezionata. Il volume di formalina necessario è pari a circa 10 volte quello del campione. INVIO DEI CAMPIONI BIOPTICI AL LABORATORIO Poiché la cute può reagire soltanto in un limitato numero di modi, le informazioni inviate insieme al campione bioptico costituiscono un aiuto inestimabile per l’istopatologo. Se l’elenco delle possibili diagnosi differenziali formulato sulla 199 base dei riscontri clinici non coincide con il quadro istopatologico, è necessario riesaminare i vari passaggi. Se la principale diagnosi differenziale è una dermatosi immunomediata e nella prima sezione non si osservano prove convincenti a sostegno di questa ipotesi, la conferma si può avere con sezioni successive. Molte dermatosi vengono diagnosticate sulla base dell’impiego combinato del segnalamento (età, razza, sesso), della presentazione clinica (distribuzione, tipo di lesione primaria se presente), dell’anamnesi (in particolare della precedente risposta alla terapia) e delle indagini istopatologiche a sostegno. I classici quadri dei trattati di istopatologia si osservano occasionalmente, ma – come in ambito clinico – non sempre sono presenti tutte le caratteristiche indicate nei libri. L’accurata compilazione di un’appropriata scheda di richiesta di esame bioptico della cute migliora notevolmente le probabilità che l’istopatologo risulti utile per la formulazione della diagnosi nei casi poco chiari, da “zona grigia”. L’ELENCO DELLE DIAGNOSI DIFFERENZIALI L’elenco delle possibili diagnosi differenziali è importante in qualsiasi caso clinico, ma risulta essenziale in quelli dermatologici. La seborrea o i tragitti fistolosi possono essere la conseguenza di un’ampia gamma di processi patologici. Questo elenco è importante perché consente al clinico di assicurarsi di aver preso in considerazione tutte le opzioni ed aver ottenuto dall’animale e dal proprietario il maggior numero di informazioni possibili e necessarie prima del prelievo della biopsia. È anche importante per l’istopatologo (come illustrato più sopra). IMMUNOFLUORESCENZA ED IMMUNOISTOCHIMICA • L’immunofluorescenza indiretta esamina il siero dei pazienti alla ricerca degli anticorpi del pemfigo precedentemente citati; si tratta di un test importante in medicina umana, ma non altrettanto utile nel cane e nel gatto. L’immunofluorescenza diretta dimostra gli anticorpi legati allo spazio intercellulare dell’epidermide (sembrano una rete fluorescente verde in un mare nero) di un campione istopatologico. Il campione deve essere congelato o conservato nella soluzione di Michel, perché non si possono utilizzare quelli fissati in formalina. • Recentemente, presso alcuni laboratori sono stati utilizzati metodi immunoistochimici per la colorazione di questi anticorpi presenti nei tessuti fissati in formalina. L’immunofluorescenza diretta e l’immunoistochimica sono argomenti abbastanza controversi, perché sono stati segnalati esiti falsi negativi e falsi positivi (ad esempio, sono risultati positivi casi di danno cutaneo solare cronico). Io ne raccomando l’impiego soltanto se avete familiarità con i laboratori e sapete quanto questi test possano essere considerati diagnostici ed affidabili per lo specifico laboratorio in questione. Indirizzo per la corrispondenza: Ralf S. Mueller - Medizinische Tierklinik - Veterinaerstr. 13 80539 Muenchen - Germany - Ph: (49) 89 - 2180 2654 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 200 Terapia immunosoppressiva: arte o scienza? Ralf S. Mueller Dr Med Vet, Dipl ACVD, FACVSc, Monaco, Germania Per prima cosa è necessario trattare le modalità meno aggressive per ridurre la sensibilità del sistema immunitario: • La vitamina E è un antiossidante e, poiché si ritiene che i radicali liberi giochino un ruolo in tanti tipi di infiammazione immunomediata e questa vitamina li contrasti efficacemente, la si è utilizzata in un certo numero di affezioni infiammatorie. Viene somministrata in quantità variabili da 400 a 800 U/die. • Scott e Miller hanno rilevato che l’integrazione con acidi grassi essenziali omega 3/omega 6 rappresenta un’alternativa alla vitamina E per cani con LED. L’autore ha riscontrato soltanto pochi casi di animali affetti da malattia della cute di tipo immunomediato che abbiano tratto beneficio da un’integrazione con acidi grassi. • È stata individuata una combinazione di tetraciclina e niacinamide (vitamina B3) alla dose di 250 mg (se il paziente ha un peso inferiore a 15 kg) – 500 mg (se il cane supera i 15 kg) ogni 8 ore per trattare un certa quantità di affezioni immunomediate come il lupus eritematoso, il pemfigoide bolloso o le affezioni granulomatose sterili. Noi utilizziamo una terapia di prova con questa combinazione per 6-8 settimane. Abbiamo riscosso un ragionevole successo con questo protocollo in circa metà dei nostri pazienti affetti da lupus eritematoso e discoide, mentre cani affetti da pemfigo foliaceo presentano una frequenza di successo molto inferiore (approssimativamente il 30%). Se questa combinazione funziona, di solito noi proviamo a sostituirla con la doxiciclina alla dose di 5 mg/kg da una a due volte al giorno, per motivi di convenienza economica. • Gli steroidi topici (tipicamente sotto forma di preparazioni roll-on contenenti uno steroide e DMSO) sono utilizzati nei cani con affezione cutanea non ulcerata o focale. Questi farmaci vengono assorbiti molto velocemente e, se il cane non si lecca l’area per 5-10 minuti, si verifica un assorbimento sufficiente. Può essere utile dar da mangiare all’animale o portarlo a passeggio subito dopo l’applicazione del roll-on. Gli svantaggi degli steroidi topici sono rappresentati da un assottigliamento della cute riscontrato dopo un uso cronico. In questi pazienti, il trauma arriva rapidamente al sanguinamento e nelle aree interessate si ha una soppressione della guarigione della ferita. • Il tacrolimus è un nuovo farmaco assorbito attraverso l’epitelio intatto. Nei cani, noi lo utilizziamo più comunemente per il trattamento delle affezioni immunomediate localizzate, in particolare il lupus discoide o quello eritematoso cutaneo, e per il trattamento del- le fistole anali e perianali. La terapia topica è molto costosa, ma va applicata in dosi molto piccole e soltanto una o due volte al giorno. Passiamo ora a trattare la soppressione più drastica del sistema immunitario: • Prima di pensare ad una terapia immunosoppressiva, dovete essere sicuri della sua diagnosi. Può essere molto pericoloso per il vostro paziente partire con farmaci immunosoppressori soltanto perché l’anamnesi e la visita clinica portano alla diagnosi di pemfigo. Se presenta una malattia infettiva (micotica, batterica o parassitaria), l’animale può peggiorare rapidamente ed anche morire. Nelle affezioni immunomediate non c’è posto per le prove terapeutiche (!) (si può far eccezione nel caso di un paziente che altrimenti sarebbe sottoposto ad eutanasia). • La seconda trappola è l’esistenza di una possibile infezione secondaria. Io ho regolarmente incontrato pazienti con diagnosi di pemfigo foliaceo e concomitanti infezioni batteriche o persino micotiche. Questi animali devono essere riconosciuti e trattati per entrambe le condizioni. • Un altro problema dato dalla terapia immunosoppressiva è il fatto che è impossibile offrirvi una buona regola di valore generale. Ogni cane o gatto reagisce in modo diverso a ciascuno dei farmaci menzionati più oltre. L’immunosoppressione è un’arte che richiede istinto, sensibilità ed esperienza oltre che una buona conoscenza teorica. Glucocorticoidi • In tutti i miei pazienti affetti da pemfigo non complicato, il primo agente utilizzato è il prednisolone. Questo farmaco è poco costoso, relativamente sicuro, ha una rapida insorgenza d’azione ed è facile da monitorare. Di conseguenza, di solito non è necessaria per il monitoraggio un’analisi di laboratorio costosa. • La dose di induzione è di 1-2 mg/kg due volte al giorno. Dopo due settimane, il paziente necessita di un riesame. Se entro quella data non si è raggiunta una remissione significativa o totale, è improbabile che si riescano ad ottenere buoni risultati con i soli glucocorticoidi e sarà necessario aggiungere altri farmaci. Circa il 30-40% dei pazienti con pemfigo risponderà al trattamento con glucocorticoidi. 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC • Una volta ottenuta la remissione, la posologia viene ridotta lentamente (in circa 10-20 settimane) sino ad una dose minima di mantenimento. Tanto più la dose è bassa, tanto più lenta dovrà essere la riduzione graduale. • Ogni 6 mesi-1 anno bisogna effettuare un monitoraggio con prelievi di sangue e urocolture così come, occasionalmente, dei test di risposta all’ACTH per monitorare gli effetti collaterali come le infezioni del tratto urinario (in uno studio condotto in America, UTI subcliniche erano presenti nel 40% dei cani trattati con corticosteroidi a lungo termine, indipendentemente dalla dose), la soppressione corticosurrenalica, ecc… Azatioprina • L’azatioprina compete con la purina nella sintesi degli acidi nucleici, portando alla formazione di filamenti di acidi nucleici non funzionali che prevengono la proliferazione delle popolazioni cellulari in corso di divisione. È anche un inibitore della sintesi di anticorpi linfociti-T dipendenti come pure della ciclossigenasi (e quindi della produzione di prostaglandine di tipo proinfiammatorio). • Nel gatto l’uso dell’azatioprina è sconsigliato. • La dose nel cane è di 50 mg/m2 o 2 mg/kg inizialmente una volta al giorno. Una volta ottenuta la remissione, si può passare alla terapia a giorni alterni per 46 settimane e quindi ridurre gradualmente la posologia per piccoli decrementi, tenendo il paziente su ciascuna dose per 1-2 mesi. Come con tutti i farmaci citotossici frequentemente in uso in dermatologia veterinaria, esiste un periodo di latenza (il periodo che intercorre fra l’inizio della terapia e il primo segno di miglioramento) che può arrivare anche a parecchie settimane. Per questa ragione l’azatioprina viene comunemente utilizzata in associazione con il prednisolone per le prime settimane o mesi. • Gli effetti collaterali più comuni sono quelli ematologici e gastroenterici. Spesso, il vomito e la diarrea possono essere evitati somministrando il farmaco con il cibo o a dosaggi più bassi. Nei singoli pazienti, l’epatotossicosi può essere grave e ad insorgenza acuta (entro i primi dieci giorni di trattamento). Prima dell’inizio della terapia e dopo 1, 2 e 4 settimane si può effettuare uno screening biochimico iniziale. La depressione midollare che si verifica in alcuni pazienti sotto trattamento è più facile da sottovalutare, ma altrettanto grave. Io effettuo la valutazione di un esame emocromocitometrico completo (compresa la conta piastrinica) per leucopenia, anemia e trombocitopenia prima del trattamento, dopo 1, 2, 4, 8, 12 settimane e poi ogni 3 mesi. • Un altro effetto collaterale possibile è l’aumento della suscettibilità alle infezioni dovuto all’immunosoppressione. Se un paziente, prima in fase di remissione, improvvisamente mostra segni clinici di malattia, valutate la possibilità di una demodicosi (raschiati cutanei), di infezioni batteriche o micotiche (campionamento per esami citologici, esame con la lampada 201 di Wood, colture). Non sempre è una ricaduta dovuta ad un’immunosoppressione insufficiente! Talvolta, possono essere necessarie delle biopsie addizionali. Clorambucil • Il clorambucil è un agente alchilante, che forma dei legami covalenti con gli acidi nucleici e quindi dà origine a legami crociati o spezza i filamenti del DNA. Questo farmaco sopprime la produzione di anticorpi. • Il clorambucil viene utilizzato da solo o, più comunemente, in associazione con altri farmaci. È uno degli agenti citotossici più sicuri, ma il suo periodo di latenza è più lungo di quello dell’azatioprina (fino a 8 settimane). • Viene somministrato alla dose di 0,1-0,2 mg/kg/die fino alla remissione del paziente. Poi viene impiegato a giorni alterni e ridotto gradualmente con modalità simili a quelle dell’azatioprina. • Gli effetti collaterali sono rappresentati da problemi gastroenterici e soppressione del midollo osseo. Il monitoraggio è simile a quello che si effettua per l’azatioprina. L’epatotossicosi non rappresenta una preoccupazione rilevante. Di rado possono comparire crisi convulsive dovute alla terapia con clorambucil. Aurotioglucoso • I composti aurei paraenterali sono assorbiti rapidamente e raggiungono livelli di picco dopo 4-6 ore. L’aumento dei valori sierici viene rilevato anche per 12 settimane, l’emivita è di circa 6 giorni. • L’oro somministrato per via paraenterale si accumula in elevate concentrazioni nel sistema reticoloendoteliale (midollo osseo, fegato, milza), nei reni e nelle surreni. Viene escreto dai reni. • L’aurotioglucoso riduce il rilascio di mediatori infiammatori (enzimi lisosomiali, prostaglandine, istamina) e inibisce un certo numero di enzimi (specialmente quelli lisosomiali). Interferisce con le cellule che sintetizzano anticorpi. L’oro esercita anche un effetto inibitorio sulla sintesi di DNA, RNA e proteine in vitro. Tuttavia, gli esatti meccanismi d’azione nella terapia immunosoppressiva non sono chiari. • Diarrea, soppressione del midollo osseo e insufficienza renale sono i più comuni effetti collaterali. • Alcuni specialisti raccomandano una dose di prova di 1-5 mg IM, seguita da 1 mg/kg alla settimana fino a remissione. In seguito, si possono effettuare delle inoculazioni con cadenza quindicinale e più tardi mensile. L’effetto di latenza può arrivare sino a 12-15 settimane. • Alcuni cani con pemfigo possono presentare delle recidive stagionali (indotte dal sole?, indotte da allergia?). Indirizzo per la corrispondenza: Ralf S. Mueller Medizinische Tierklinik - Veterinaerstr. 13 80539 Muenchen - Germany - Ph: (49) 89 - 2180 2654 50° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC 202 Acari di superficie nella dermatologia dei piccoli animali Ralf S. Mueller Dr Med Vet, Dipl ACVD, FACVSc, Monaco, Germania Rogna sarcoptica La rogna sarcoptica è una malattia contagiosa causata da Sarcoptes scabiei var. canis nel cane e da Notoedres cati nel gatto. Secondo la nostra esperienza, è molto più comune nel cane. La trasmissione avviene solitamente per contatto diretto con animali colpiti, in rari casi gli animali possono infestarsi a partire da un ambiente contaminato di recente. Si riscontrano anche portatori clinicamente non colpiti. L’acaro non sopravvive lontano dall’ospite per periodi di tempo molto lunghi. Il suo ciclo vitale si compie in circa 21 giorni. Clinicamente, questa rogn