— 2998 — CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1 8 6 7 TORNATA DEL 9 DICEMBRE 1867 PRESIDENZA DEL PRESIDENTE COMMENDATORE LANZA SOMMARIO. Congedi. = Discorso del nuovo presidente, deputato Lama. = Annunzio d?interpellanza del deputato Semenza sul passaggio della valigia delle Indie in Italia. = Prima delle interpellanze politiche che sono all'ordine del giorno, il deputato Sella propone con altri un voto motivato per la conferma della proclamazione di Roma capitale — Voto proposto dai deputati Fambri e Tenani — Opposizioni del deputato Cortese — Questioni di precedenza e di merito — Opinioni dei deputati Ferrari e Crispi — Dichiarazioni del presidente del Consiglio, e suo appoggio alla precedenza per le interpellanze — Questa precedenza è approvata a sguittinio nominale — Osservazione del deputato Sella il quale ritira il voto da lui proposto — Replica del presidente del Consiglio — 1 deputati Miceli e La Porta svolgono le loro interpellanze sulla politica estera ed interna. La seduta è aperta alle ore 11/2 pomeridiane. CALVINO, segretario, legge il processo verbale della precedente seduta, il quale è approvato; e quindi espone il seguente sunto di petizioni, ed omaggi : 11.829. Il presidente della Camera de' notai di Parma chiede in nome del corpo notarile la proroga de' termini stabiliti per la rinnovazione delle iscrizioni ipotecarie giusta le leggi transitorie del vigente Codice civile. 11.830. Calogerà Antonio, di Padova, ex-ufficiale austriaco, chiede venga pubblicato nelle provincie venete il regio decreto 4 marzo 1860, n° 4001, ond'esso qual militare dimissionario, indi impiegato civile, possa fruire del disposto dall'articolo 4 del medesimo. 11.831. 11 sindaco del municipio di Ponza rassegna alla Camera copia di verbale di quel Consiglio, col quale, esposta la triste condizione de'suoi amministrati, domanda che sia a quel comune continuato l'antico sussidio e fornito di sufficiente presidio. * Dal prefetto di Ravenna — 2 copie degli atti di quel Consiglio provinciale, Sessione straordinaria 1867. Dal signor professore Melotti Giuseppe — A Menotti Ciro, Carme, dedicato alla patria e famiglia del martire illustre. EISTELLI, vice-presidente. L'onorevole Asselta domanda un congedo di quindici giorni per motivi di salute. L'onorevole Leonardo Raffaele chiede un congedo di quaranta giorni per urgenti motivi di famiglia. (Sono accordati.) (11 deputato Merzario presta giuramento.) Invito l'onorevole Lanza ad assumere il seggio presidenziale. {Il nuovo presidente, commendatore Lanza Giovanni, va ad occupare il Seggio — I membri delVuffizio di Presidenza gli porgono le loro congratulazioni,) LANZA, presidente. Onorevoli colleghi ! L'inaspettato onore al quale mi avete chiamato, di presiedere ai vostri lavori parlamentari, mi commosse profondamente, riflettendo da una parte all'arduo compito che voleste affidarmi, e dall'altra parte alla tenuità delle mie forze ; e questa impressione è stata da prima sì forte in me che rimasi qualche tempo perplesso se dovessi assumere l'onorevolissimo quanto arduo ufficio. Ma il pensiero della grave responsabilità a cui sarei andato incontro, non ottemperando ad un vostro solenne e spontaneo voto ; le difficoltà che avrebbe forse suscitate una nuova elezione, e più di ogni cosa il sentimento che nei gravi momenti a nessun cittadino è lecito di sottrarsi ad un incarico che il paese stima affidargli, e qui, o signori, voi rappresentate appunto il paese, vinsero ogni mia esitanza, e dissi tra me e me : sia fatta la volontà vostra. Però a rendere meno disagevole il mio compito, io faccio grande assegnamento sulla vostra benevolenza, non che sull'esperienza e sul consiglio degli egregi colleghi che siedono con me al banco della Presidenza, mentre per parte mia confido che non mi verrà meno, nel dirigere le vostre discussioni, nè la diligenza, nè l'imparzialità, nè la fermezza; qualità sulle quali ognuno di voi, da qualunque parte esso segga, può fare sicuro affidamento. Le questioni che si dovranno agitare in questo augusto Recinto saranno più che mai importanti, gravi ed anche delicate; esse richiederanno di essere discusse con altrettanta calma, dignità e temperanza. TORNATA DEL 9 DICEMBRE 1 8 6 7 acciocché riescano di maggiore autorità e sieno feDESANCTIS. Domando la parola per una dichiaraconde di buoni risultameli. zione. Ci sia sempre presente alla mente che solo colla PRESIDENTE. Venne trasmesso al banco della Presiconcordia e colla sagacia abbiamo potuto superare denza un ordine del giorno proposto dall'onorevole immense difficoltà, e raggiungere infine la sospirata Sella. Il medesimo, secondo l'intendimento del propoindipendenza della diletta nostra patria ; non dimenti- nente, dovrebbe essere votato prima che si svolgesse chiamo che per'causa d'intestini dissidi molte nazio- l'interpellanza testé accennata, e consisterebbe nei senalità perirono, e divennero schiave di stranieri po- guenti termini : tentati. (Bravo! Bene!) « La Camera, immutabile nel suo concetto sul proCi conforti infine il pensiero, ed esso valga a ren- gramma nazionale, confida che col progresso, e mederci più concilievoli, che se esiste fra noi dissenso di diante l'ordinamento interno, Roma, acclamata capiopportunità e di mezzi, tutti però siamo unanimi a tale dall'opinione nazionale, sarà congiunta all'Italia, volere il compimento della unità nazionale , e Roma e passa all'ordine del giorno. » tardi o tosto per la necessità delle cose e per la ra(I deputati Crispi, Fambri ed altri chieggono di gione dei tempi dovrà essere la capitale d'Italia. parlare.) (Bravo ! Benissimo !) Mi permettano un'avvertenza. Ma per conseguire questo supremo fine irto di tante Quest'ordine del giorno, secondo l'intendimento deldifficoltà è necessario di rivolgere anzitutto le nostre l'onorevole proponente, dovrebbe essere quasi consicure al riordinamento interno, al ristauro della finanza, derato come una questione pregiudiziale che dovesse a costituire un Governo rispettato e forte, che sappia precedere ed essere decisa prima dell'interpellanza e voglia mantenere fermo ed inviolato l'impero della dei deputati La Porta, Villa e Miceli. legge sopra tutti. (Bravo! Bene!) Seguendo questa Siffatta proposta, a parer mio, il carattere di quevia noi acquisteremo credito e potenza nell'interno ed stione pregiudiziale non l'ha, ma parmi debba trovar all'estero ; e potremo quindi far trionfare il nostro|di- sede nell'occasione dell'interpellanza stessa. ritto ove venisse conculcato, e l'opera nostra sarà coCiò posto, se mi è permesso di esporre, come presironata dal plauso e dalla gratitudine della nazione. dente, un avviso a questo riguardo, io pregherei l'ono(Vivi segni di approvazione) revole proponente di lasciare che l'interpellanza si PRESIDIATE. L'onorevole deputato Semenza chiede svolgesse prima... muovere un'interpellanza all'onorevole ministro dei Alcune voci. Sì ! sì ! lavori pubblici riguardo al passaggio della valigia Altre voci. No ! no ! delle Indie per l'Italia. PRESIDENTE. Questo è un parere che io manifesto Pregherei il signor ministro, se è presente, a dichia- unicamente nell' intento di dare un indirizzo meno rare quando intenda che si svolga questa interpel- complicato alla discussione. Ad ogni modo io mi rilanza. metto alla decisione della Camera. CANTELLI, ministro pei lavori pubblici. Se la CaSELLA. Domando di parlare sull'ordine della discusmera lo crede, si potrebbe fissare lo svolgimento di sione. questa interpellanza subito dopo quelle che sono alPRESIDENTE. Ha facoltà di parlare. l'ordine del giorno ; del resto io sono agli ordini della SELLA. Signori, un doloroso sentimento, che credo Camera. abbia del pari provato ogni italiano, mi indusse nella PRESIDENTE. Se non vi è opposizione, s'intenderà tornata dello scorso venerdì a presentare, per mia che questa interpellanza sia fatta e svolta dopo quelle spontanea e individuale iniziativa, l'ordine del giorno che sono all'ordine del giorno. di cui avete testé udito lettura. (La Camera acconsente.) Io confesso che in quell'istante non mi soffermai a U V, considerare se dovesse avere o no la precedenza sulle interpellanze degli onorevoli La Porta, Villa e MiDISCISSIONE DELLA PROPOSTA DEL DEPUTATO SELLA, E DI celi. Un solo pensiero, un unico sentimento fu in me, ALTRI PER LA CONFERMA DELLA PROCLAMAZIONE DI cioè che tornasse opportuno che la Camera con un ROMA CAPATALE ; QUESTIONI DI PRECEDENZA, B INTER- solenne suo voto affermasse che l'Italia, malgrado gli PELLANZE DEI DEPUTATI MICELI E LA PORTA SULLA PO- ultimi eventi politici, rimane immutabile nei suoi propositi, e disingannasse coloro i quali per avventura stiLITICA ESTERA ED INTERNA. massero che essa non fosse ferma nel riconoscere in • Roma la sua capitale, e nel ritenere che essa sia indiPRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'interpellanza spensabile al compimento non solo, ma anche al mandei deputati Miceli, La Porta e Villa Tommaso sopra tenimento della sua unità. Questo mio sentimento fu condotta tenuta dal Governo negli ultimi avveni- diviso spontaneamente da molti dei nostri colleghi, menti politici. indipendentemente dalle opinioni politiche che profes- — 8QQ0 - CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1867 savano. Ond'è che contemporaneamente, o quasi, seguivano domande di interpellanze, si concertavano o preparavano altri ordini del giorno. Indi nacque in molti questo convincimento, cioè che indipendentemente, al di sopra di ogni questione di persone, indipendentemente e al disopra di ogni giudizio che ciascun partito possa emettere intorno agli ultimi avvenimenti, indipendentemente ancora, dirò perfino, dagli apprezzamenti che ciascuno possa fare intorno ai mezzi valevoli a indurci al conseguimento dei nostri destini (Bene! a sinistra) non fosse inopportuno il chiarire "che vi ha uno scopo che è nel cuore di tutti, che vi ha un proposito che tenacemente serbano tutti coloro i quali non hanno rinnegato il programma nazionale. (Bravo ! Benissimo !) Quindi nacque, o signori, che i partiti in cui la Camera si divise nell'elezione del presidente tennero varie adunanze, ed i delegati di queste, se così lice chiamarli, si riunirono.in comune, e mi fecero l'onore d'invitarmi ad una loro riunione, onde vedere se si potesse trovare una formola che esprimesse questo generale concetto indipendentemente da qualsivoglia altra questione che chiamerei secondaria. Vi possono essere, o signori, e vi saranno certamente divergenze profonde, e, starei per dire, radicali, intorno ai giudizi che noi proferiremo circa i dolorosi fatti che si sono avverati ; vi saranno apprezzamenti essenzialmente disformi che noi faremo intorno alle persone che vi ebbero parte ed ai mezzi che furono adoperati. Vi saranno differenze (e qui lasciatemi dire una mia opinione personale che parrà stranaj, vi saranno differenze che io reputo non saranno tanto grandi intorno ai mezzi a cui si debba ricorrere in avvenire per conseguire il nostro supremo intento; ma, o signori, vi ha al di sopra di tutto ciò un pensiero comune a tutti coloro i quali rimasero fedeli al nostro programma nazionale. Ho detto che forse le divergenze intorno ai mezzi non saranno quind'innanzi tanto grandi. Veramente riandando il passato si dovrebbe essere inchinevoli a dire che le differenze saranno invece irreconciliabili, e può essere che per taluno lo siano ; ma, o signori, io tengo per fermo che per la grandissima maggioranza del paese queste discrepanze potranno appianarsi. {Movimenti a sinistra) Io credo che in quest'Aula stessa ben pochi (seppure ve n'ha alcuno) non riconoscano la necessità ineluttabile di restaurare la finanza, di riordinare l'amministrazione e l'assetto interno, non solo nell'intento di conseguire il finale nostro scopo, ma ancora per mantenere ciò che fu di già ottenuto. Io credo, o signori, che sieno ben pochi quelli i quali non vedano che causa principalissima della nostra debolezza, non solo materiale ma soprattutto morale, che, speranza principalissima de' nostri nemici sia essenzialmente la mancanza d'assetto nelle nostre finanze e nel nostro ordinamento interno. (Bene ! a destra) » Una voce a sinistra. È giusto. SELLA. Di più io credo, signori, che sono pochi quelli i quali non sentano la gravità della questione romana e il divario che corre fra il pontefice ed i regnanti che vennero espulsi dal suolo italiano. Credo che siano pochi quelli i quali non capiscano che per giungere a Roma, e soprattutto per mantenervisi, è indispensabile una politica leale e pacifica, la quale tranquillizzi le potenze estere , imperocché, giova rammentarlo, la questione romana non riguarda soltanto l'Italia. (.Mormorio a sinistra— Bene! a destra) Queste, lo ripeto, sono opinioni mie personali. Però, non ostante ogni possibile discrepanza di giudizio sui fatti, sulle cause, sulle persone, sul Ministero caduto e sul Gabinetto presente; non ostante le divergenze d'estimazione dei mezzi a cui s'intende ricorrere, è egli opportuno che si manifesti quello che è nel cuore di tutti coloro i quali non vennero meno al programma nazionale, cioè che l'Italia ha il proposito di avere Roma a capitale ? È egli opportuno il manifestare un proposito cosiffatto indipendentemente da ogni opinione o giudizio che ciascuno di noi possa formolare intorno agli accessorii della questione principale ? A molti dei nostri colleghi parve di sì, epperciò si venne in divisamento di compilare un ordine del giorno che non avrebbe più gl'inconvenienti che giustamente trovava l'onorevole presidente nella formula, dapprima da me presentato. Basterà io credo la lettura dei nomi dei deputati che concorsero a formulare ed a firmare questa proposta, per dimostrare meglio di quello che io potrò fare a parole, che con essa non si vuol portare verun giudizio , nè fare apprezzamento alcuno intorno alle persone, ai partiti, ai fatti avvenuti, od ai mezzi avvenire, ma si vuole semplicemente manifestare un programma che è nel cuore di tutti coloro i quali non hanno rinnegato il programma nazionale. Quanto all'opportunità di dare questo voto prima che si aprano le nostre discussioni, può essere che vi sieno divergenze, ma per me, signori, io penso che se si potesse a tal uopo consultare il paese, esso risponderebbe che una manifestazione di simile natura, che una manifestazione della saldezza dei propositi d'Italia nel compimento dei suoi destini, e ciò indipendentemente da tutte le questioni di mezzi, di partiti, di persone e di non so quante altre questioni che ci dividevano, il paese risponderebbe che somigliante manifestazione è indispensabile. Io credo, o signori, che cosiffatta manifestazione porterebbe quiete negli spiriti dentro e fuori di quest'Aula, contribuirebbe alla calma nelle discussioni che verranno agitate. Ad ogni modo, o signori, io noiì dubito di asserire tornare giovevole che, prima che ci lanciamo in dibattimenti , il risultato dei quali saranno dei voti che ci divideranno, e profondamente, da noi tutti si manifesti e si affermi altamente il concetto della nazione sulla invariabilità del programma nazionale. (Bravo ! Bene ! a destra) ì 3001 — TORNATA DEL 9 DICEMBRE 1 8 6 7 Quanto all'ordine del giorno, o signori, che io sto per leggere, è mutile che io spenda lunghe parole per jsYolgerlo, imperocché vi sono certi sentimenti i quali si provano ma non si discutono. {Bravo. Bene!) L'ordine del giorno è così concepito : « La Camera, ferma nel proposito di serbare inviolato il programma nazionale con Roma capitale d'Ita1 lia, passa alla discussione delle interpellanze. » Sono firmati Bargoni, Biancheri, Depretis, Torrigiani, Ferraris, Ferracciù, Guerzoni, Mantegazza, Meilana, Nicotera, Sella. PRESIDENTE. Dunque l'onorevole Sella sostituisce al suo primo ordine del giorno quello che ha letto testé. Voci. Ai voti ! ai voti ! CORTESE. Domando la parola. PRESIDENTE. Venne presentato al banco della Presidenza un altro ordine del giorno degli onorevoli Fambri e Tenani, concepito in questi termini : « La Camera, acclamando le parole del suo presidente sul programma nazionale, passa all'ordine del giorno. « (Rumori) Sull'ordine del giorno proposto dal deputato Sella, e firmato da parecchi altri, di cui si sono testé intesi i nomi, è iscritto pel primo a parlare l'onorevole Cortese. CRISPI. Chiesi io pure di parlare. PRESIDENTE. Perdoni, è iscritto prima l'onorevole o. Cortese. CORTESE. Io lodo il sentimento che ha mosso l'onorevole Sella a proporre che la Camera concordemente riaffermi il diritto della nazione su Roma capitale d'Italia. Sarebbe questo al certo un grande spettacolo di concordia ; ma, per verità, io temo che noi, adottando tutti quell'ordine del giorno, non saremmo concordi che in una sola cosa, cioè di non abbandonare per anco la disastrosa via degli equivoci che ci ha condotti ; a questo punto. Voci. No ! no ! (,Rumori a sinistra) PRESIDENTE. Prego i deputati a far silenzio, altrimenti l'oratore non potrà continuare; consumeremo il tempo inutilmente. CORTESE. Invoco la pazienza della Camera ; dirò forse cose che non potranno tornare a tutti gradite; domando scusa a coloro cui potessero dispiacere, ma ne invoco per ora la benevolenza ; mi risponderanno dopo. Dunque io credo che noi saremmo concordi solo nel non abbandonare la via degli equivoci, votando unanimi l'affermazione del nostro diritto su Roma capitale d'Italia. Questo è un voto che da sette anni è conosciuto da tutta l'Europa, né fu mai ritrattato. Coloro che ci contrastano Roma, certamente non negano la nostra I aspirazione, non negano l'esistenza del nostro voto ; essi non dicono : l'Italia si è pentita, l'Italia non vuole andare a Roma ; essi dicono : l'Italia yuole andare a ! Roma, ma non l'avrà. = Se noi oggi fossimo in grado di rispondere che an1 L dremo a prenderla, oh ! allora io comprenderei la nostra concordia nel dire : andiamo a Roma. Questa concordia sarebbe mirabile alla vigilia di grandi fatti ; ma l'indomani di fatti dolorosi, per verità questa concordia nel ripetere un voto che nessuno può mettere in dubbio, che è nel cuore di tutti, mi sembra una concordia pericolosa... (Rumori a sinistra) (.I deputati Crispí, Ferrari e Berti domandano la parola.) Poiché, o signori, il programma di Roma capitale d'Italia non si compone solamente della parte astratta, ma eziandio della parte concreta. Noi volevamo Roma capitale d'Italia, ma la volevamo coi mezzi pacifici (Rumori), ma la volevamo col progresso... (Nuovi rumori) Voci a sinistra. Alla questione ! alla questione ! PRESIDENTE. Prego il deputato Cortese di' considerare che ora non si tratta del merito dell'ordine del giorno del deputato Sella (Bene ! à sinistra) ; si tratta unicamente di vedere se esso debba avere la precedenza sull'interpellanza. degli onorevoli La Porta e Miceli. Prego pertanto l'oratore di non volere entrare nelle viscere della questione. CORTESE. Mi pare di essere nella questione, perchè si vuole da noi un voto concorde, méntre disgraziatamente non siamo concordi, Ora io voglio per parte mia allontanare ogni equivoco.... (Rumori) Voci a sinistra. Vogliamo Roma! vogliamo Roma! PRESIDENTE. Prego i deputati a far silenzio. Se cominciamo in questo modo la discussione, essa sarà interminabile o non finirà bene. Gli oratori che sono disturbati dalle interruzioni si crederanno poi in diritto di rappresaglia quando l'oratore avversario prenderà a parlare. Quindi li prego caldamente di avere un po' di reciproca condiscendenza, di rimanere in silenzio e di ascoltare tranquillamente il proseguimento di questo discorso. Molte voci. Sì ! sì ! Parli ! parli ! CORTESE. Dunque, come io diceva, il programma di Roma capitale d'Italia è un programma complesso che non si può dividere. Non è solamente il fine a cui bisogna mirare, ma dobbiamo mirare anche ai mezzi. Ora, quando io vedo un ordine del giorno sottoscritto dall'onorevole mio dilettissimo amico, il deputato Sella, ed eziandio da parecchi, i quali certamente non possono concordare con lui intorno alla seconda parte, i quali certamente non possono avere con lui un programma comune, io per verità non oso associarmi a quest'ordine del giorno. Anzi che far mostra di una finta- e fallace concordia, ora ne incombe opera molto più seria. Dal grande scompiglio, dall'immensa confusione di uomini e di cose a cui abbiamo or ora assistito, debbe uscirne un frutto fecondo e duraturo, la ricostituzione cioè di serii, fermi e ben definiti partiti politici, che abbiano ciascuno il suo programma, senza ombre, senza veli, v — 3002 — CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1 8 6 7 senza equivoci, senza vane e pericolose condiscendenze. {Beneì) Così il paese saprà chi sono coloro che vogliono che il programma nazionale stia nelle mani del Governo, e coloro che invece credono che il Governo debba essere trascinato sopra una via che non conviene percorrere... (Rumori a sinistra — Bene ! a destra) Questa è la questione seria, questo noi dobbiamo far vedere all'Italia, all'Europa, perchè l'Europa sappia davvero quello che vogliamo. Manifestiamo francamente quello che vogliamo, e poco monta se dovremo essere divisi. A che dare questo spettacolo... {Oh ! oh ! — Nuove interruzioni a sinistra) PRESIDENTE. Onorevole Cortese, le ripeto che la discussione sull'ordine del giorno Sella no a è ancora aperta. Orasi tratta unicamente di vedere se il dibattimento sulla proposta Sella debba avere la precedenza sull'interpellanza La Porta, Miceli e Villa Tommaso. {Bene!) Ecco la vera questione : se la Camera deciderà che la proposta Sella debba avere la priorità, allora si aprirà la discussione, ed ella potrà addentrarsi nel merito della proposta stessa, appoggiarla o combatterla. La prego quindi di stare puramente nella questione di precedenza, e di non entrare nel merito dell'ordine del giorno. CORTESE. Signor presidente, la quistione è così grave che io prego la Camera di non attenersi a certi procedimenti troppo stretti ; a me pare di essere perfettamente nella questione ; del resto, ora verrò alla conclusione. Noi fra poco dovremo indubitatamente discutere le interpellanze La Porta-Miceli ; su queste interpellanze noi dovremo pronunciarci indubbiamente così sulla questione di Roma capitale d'Italia, come sui mezzi da usare per raggiungere questa meta. Voci a sinistra. No ! no ! Voci a destra. Sì I sì ! CORTESE. Allora, o signori, si alzeranno le insegne dei partiti, allora si vedrà chi vuole Roma, e chi non la vuole ; e quando si sarà maturamente discusso, quando ci saremo illuminati a vicenda, allora noi diremo : vogliamo Roma capitale d'Italia, ma co'mezzi morali, co' mezzi pacifici, ma col Governo alla testa ; altri diranno in che modo essi la vogliano. Così ci saremo chiaramente spiegati e conosciuti, ed avremo una volta per sempre chiusa la via degli equivoci. Io quindi pregherei i miei onorevoli colleghi che con Un inesplicabile connubio hanno sottoscritto l'ordine del giorno Sella-Nicotera, a voler rientrare ciascuno nelle proprie file per ivi combattere al fianco degli amici. Onde propongo che si proceda senz'altro alla discussione delle interpellanze La Porta-Miceli. (Bene ! a destra) PRESIDENTE. La parola spetta all'onorevole Crispi sulla questione della precedenza. CRISPI. Io applaudo ai sentimenti manifestati dal deputato Cortese. In verità, o signori, gli equivoci sono stati il verme roditore d'Italia nei sette anni del nuovo regno. Fu davvero un equivoco il voto del 27 marzo 1861. {Rumori a destra) E vi dirò perchè sia stato un equivoco. Il Parlamento votò che si doveva andare a Roma dopo esserci fatta amica la cattolicità, e d'accordo colla Francia. {Si ride) >• La cattolicità vi ha risposto collo sterminato numero di zuavi che ha mandati nella penisola per mantenere il potere temporale del papa. La Francia vi ha risposto per bocca del ministro Rouher vietandovi d'impossessarvi della città eterna. La contraddizione tra quello che la Camera disse di volere e quello che han manifestato di volere coloro da cui essa attendeva l'ausilio, vi prova che il voto del 27 marzo 1861 non fu che un equivoco. Io desidero, o signori, che realmente si formino nella Camera due partiti netti, distinti, come lo chiede il deputato Cortese. Io vorrei che in questa Camera ci fosse un partito cattolico sinceros{Interruzioni), sinceramente devoto alla Santa Sede, coraggioso come lo è il deputato D'Ondes, partito il fyuale difenda la potestà civile del pontefice; ma mi ripugna l'esistenza di un partito il quale, nel mentre dichiara di volere Roma capitale del regno, fa tutto il possibile perchè Roma non appartenga all'Italia. {Bravo! Bene! — Applausi dalle tribune pubbliche) PRESIDENTE. Avverto le tribune che i segni di approvazione 0 disapprovazione sono assolutamente vietati. Le prego di non mettermi nella condizione di dovere applicare rigorosamente il regolamento. CRISPI. Il deputato Cortese era in errore quando dichiarava alla Camera che coloro i quali ci contrastano Roma, non combattono le nostre aspirazioni. Ma che cosa sono, signori, le aspirazioni se esse non hanno uno scopo da attuare, se non hanno una meta da raggiungere ? Saremo noi dunque eternamente il paese dei poeti, il paese degli artisti, un popolo che si alimenta di tutto ciò che èimmaginario e non sa essere positivo ? Lasciamo le aspirazioni, perchè ci esauriscono, ci rodono, mantenendoci continuamente nell'equivoco. Confermiamo un fatto, e questo fatto confermiamolo tutti noi che facciamo parte del vero partito nazionale, che vogliamo veramente l'unità e l ' i n d i v i s i b i l i t à della patria italiana dalle Alpi ai due mari, che vogliamo veramente che Roma sia la nostra capitale. Or bene, se questo partito è nella Camera, se realmente esiste ed è in gran maggioranza, accetti l'ordine TORNATA 3003 — DEL del giorno dell'onorevole Sella, e lo accetti come preliminare alla interpellanza di cui va ad incominciare la discussione. Coloro i quali non sono di questo partito, i francamente cattolici votino contro. Io applaudirò il voto negativo di coloro che hanno il coraggio di contrastarci il trionfo del diritto nazionale; respingerò il voto menzognero di coloro i quali con simulazioni, con finzioni, nascondono il preconcetto pensiero che Roma non debba mai appartenere alla nazione. (Bene! a sinistra) Il deputato Sella vi diceva che Roma è necessaria all'Italia non solo pel compimento dell'unità, ma parimente pel mantenimento della stessa. Mi permetta l'onorevole Sella, mi permetta la Camera che io non sia completamente di cotesto avviso. Roma appartiene all'Italia, e deve essere la nostra capitale. Ma il pensiero che si è fatto penetrare negl'Italiani, che, finché Roma non è nostra, l'unità non possa mantenersi, cotesto è un pensiero colpevole. (Bene! Bravo !) L'unità si deve mantenere anche prima che Roma sia resa al''Italia; l'unità deve restare intatta anche prima che Roma sia nostra capitale. (Benissimo !) Il timore che nazione possa dissolversi, perchè noi siamo ancora a Firenze, ha prodotto danni incommensurabili nella nostra amministrazione. No, signori, noi avremo Roma, e l'avremo, se il partito nazionale, concorde, fermo, direi anche, coraggioso, affretterà con audacia e prudenza che si compia il voto nazionale. Ma, finché non avremo Roma, l'unità non deve perire. E noi faremo tutto quello che è necessario perchè ogni pericolo sia tolto, perchè il lavoro di tanti anni si consolidi, perchè ai nostri posteri sia trasmessa una patria libera e forte, rispettata e non disprezzata dallo straniero. (Bene! Bravo!) Vi saranno delle differenze nei mezzi onde ottenere Roma, diceva il deputato Sella, e supponeva che queste differenze fossero irreconciliabili. Io non lo credo : se il partito nazionale saprà costituirsi e saprà avere la coscienza della foiza che gli viene dal popolo, cotesta conciliazione non sarà impossibile. Nessuno, o signori, è dolente più di me degli avvenimenti di quest'anno. (Movimenti a destra) Nessuno ! Nessuno ebbe più di me l'anima straziata per quello che l'Italia ebbe a patire in questi ultimi due mesi. Io non ho altro da dire. Accenno un fatto, manifesto un sentimento del mio cuore. Ma, signori, gli avvenimenti di quest'anno distrussero un equivoco; essi hanno rischiarata la nostra posizione. Ci sarà stato errore per parte di quelli che s'impegnarono in una lotta, il cui fine poteva essere incerto, ma il cui scopo era sicuro ; cotesto però fa un errore generoso , il quale ha maturato lo scioglimento della questione romana. (Bene! bene! a sinistra) La Francia, signori, sin dal marzo 1861, quando l'imperatore scriveva a Re Vittorio Emanuele di ricoSESSIONE 1 8 6 7 — CAMEKÀ DEI DEPUTATI — Discussioni. 376 9 DICEMBRE 1867 noscerlo come Re d'Italia, dichiarò che non avrebbe mai permesso che Roma appartenesse al nuovo regno. Ci furono di coloro che s'ingannarono, che vollero ingannarsi, che ingannarono gli altri, volendo ritenere che quelle parole siano mistiche e che debbano realmente interpretarsi nel senso che l'imperatore ci avrebbe di buon grado consegnata Roma. Lo stesso linguaggio voi trovate nella lettera scritta nel tempo stesso dal ministro Thouvenel. Lo stesso linguaggio è stato ripetuto ogni anno alla tribuna francese dai ministri dell'imperatore. Il linguaggio quest'anno fu più aspro, più ruvido, ma non è diverso di quello degli anni precedenti. La frase soltanto è mutata, ma non fu mutato il pensiero. Il pensiero è sempre quello del 1861. Ricordatevi, signori, quello che diceva l'imperatore al Re: Io vi riconosco come Re d'Italia, ma avvertite che io non approvo ciò che avete fatto in passato. Io non vi garantisco quello che è stato fatto in Italia ; io voglio lasciarmi la libertà di apprezzamento nell'avvenire. Ah! signori, queste parole scritte da Napoleone III, il quale non è l'ultimo degli uomini in un tempo in cui è tanta penuria d'uomini in Europa, questo avvertimento vi dà la chiave della soluzione. Roma, signori, per una fatale persuasione del sovrano di Francia, del successore di Carlo Magno, si ritiene come il centro del mondo latino, la sede degli imperatori d'Occidente. L'imperatore non vorrà mai, finché sarà sul trono di Francia, che Roma gli sfugga di mano. Egli che ha studiato sempre la vita di suo zio, non ha dimenticato i disegni di colui che fu il fondatore della sua dinastia, e, se non gli riuscirà di possederla, vorrà fare di Roma il quartier generale, affinchè possa dominare la penisola, e dividerla in due, ove il popolo italiano sia ribelle agi' interessi francesi. Napoleone vorrebbe ancor og^i quell'embrione del regno d'Italia che altra volta comprendeva le sole Provincie che sono al nord della penisola e che aveva Milano per capitale. Signori, Roma è la fucina delle cospirazioni, e questa è la vera ragione per cui vi si trovano i Borboni, i quali, combattendo^ a Mentana, furono decorati da Napoleone con la croce della Legione d'onore. I Borboni sono una minaccia continua per noi, e i ministri . d'Italia non hanno potuto ottenere giammai che i Borboni siano espulsi da Roma. (Bene ! a sinistra) I Borboni a Roma sono una speranza per i reazionari del Mezzogiorno; essi, e solamente essi, hanno suscitato i briganti i quali hanno desolato le provincie meridionali. Voi (Indicando la Destra) non avete mai potuto ottenere coi vostri mezzi morali che sia spento quel focolare di cospirazioni, e non avete potuto tranquillare le provincie del sud. PRESIDENTE. Onorevole Crispi.sono obbligato a farle - ! - 3004 - CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1867 la stessa osservazione che ho fatto al deputato Cortese, si consideri quale è la nostra situazione in questo moaltrimenti si pregiudica la: Questione. mento ! Le nostre parole, o signori, echeggieranno in Europa, CRISPI. Ho terminato; non ho fatto che rispondere alle cose dette dai due onorevoli oratori che mi hanno le nostre deliberazioni saranno la risposta alle parole preceduto. Or concludo : io per un momento ho creduto di una grande nazione; questa grande nazione ironica e che l'ordine del giorno stato proposto potesse essere vanitosa, forse (almeno tale l'hanno qualificata i nostri un equivoco : i miei amici, con una deliberazione presa poeti) cerca prenderci in difetto, sarebbe forse felice se in una privata riunione, lo accettarono, ed io mi pie- potesse subire lo scherno della superiorità vedendoci gai. Con la disciplina d'un uomo che non deve abban- pregiudicare le importantissime questioni annunciate donare mai il suo partito, un partito che non è degli nell'interpellanza con una proclamazione, al certo steultimi in Italia, che ha fatto i suoi sacrifìcii, ed a cui rile, se vuol essere laconica e abbracciare i più oppoqualche cosa si deve anche dai partiti -avversari, mi sti partiti, grazie all'equivoco delle sue frasi. Nell'atto son rassegnato, e voterò con l'onorevole Sella. Ma io in cui vorremmo stabilire una concordia fittizia, il intendo che cotesto ordine del giorno sia la vera espres- fondo della questione ci sfuggirebbe e noi ci trovesione del partito nazionale, e che votino contro di esso remmo in presenza delle nazioni estere coll'unica arme quelli che francamente vogliono che Roma resti al di una millanteria. Noi abbiamo bisogno di un risultato : trattasi di sospendere le nostre relazioni con la papa. (Bravo ! Bene I a ^sinistra) Francia, o di rinunziare alla Convenzione ; e per giunVóci. Ai voti ! ai voti ! PRESIDENTE. L'onorevole Ferrari parla sulla prece- gere ad una conclusione seria e solenne, io insisto dunque perchè si trattino prima le quistioni ; dopo trattate denza a darsi o no all'ardine del giorno ? le quistioni, sarà agevole il proporre una proclama- ' Voci. Parli ! parli ! FERRARI. Io ho chiesta la parola sulla questione zione. pregiudiziale e non altro. Avvi un pregiudizio in Italia, avvi il pregiudizio di Io ho preveduto, dal niomento che furono pronun- voler sempre procedere all'unanimità, od almeno con ciate le prime parole e fu proposto un ordine del numerosissime maggioranze. (Bene ! Bravo !) giorno, che la discussione sarebbe stata sviata... Ma, signori, le nazioni create da secoli, come la Voci. Ha ragione ! Francia, come l'Inghilterra, cómela Russia, non hanno FERRARI. Secondo l'ordine del giorno della Camera, mai proceduto con simili unanimità. Si lasci sussistere la questione verte sulle interpellanze, non trattasi di la minoranza, se vuol prodursi come un punto interrofare una proclamazione di Roma capitale d'Italia, non gativo sulla natura effimera del presente o sulle possitrattasi di fare una protesta, ma noi ci siamo tutti bilità dell'avvenire. Procedete risolutamente ; combatpreparati e siamo venuti in quest'Aula per discutere tete con coraggio ; imitate anche i volontari di Menun'interpellanza... tana ; ma, o signori, date una risposta positiva alle paVoci. È vero ! role della Francia sulla nostra condizione. FERRARI. Questa interpellanza non saprebbe essere Un'ultima considerazione, e sarà personale. più importante, perchè cade su tutti i punti i più vitali Io mi sono opposto solo o quasi solo all'ordine del della nostra politica, cade su Roma capitale futura del giorno, proclamato dal conte di Cavour, sei anni sono, regno, cade sulle condizioni dell'unità italiana, cade su Roma capitale d'Italia ; io ne ho svelati allora tutti sul principio primo della nostra religione, cade sulla gli equivoci; ho mostrato come fosse inconsistente, e dolorosa e recente sconfitta di Mentana, cade sui rap- come all'amara realtà sostituisse molte pericolose ilporti colla Francia, rapporti intimi e rapporti sui quali lusioni. E benché fossi solo, benché impopolari fossero siamo tutti impazienti di sapere come si svolgeranno le mie parole e grandi gli applausi dati al conte di nell'avvenire. Cavour, non esitai a parlare subito, e non attesi l'inQuando una interpellanza abbraccia questioni sì domani , prevedendo che quella proclamazione darebbe - gravi e di tanto avvenire, mi pareva che lo sviarla, il grandi conseguenze prima all'estero e poi all'interno: trattare della proclamazione proposta dall'onorevole poiché infine ogni proclamazione fatta da una grande Sella valesse quanto mutare completamente il soggetto Assemblea diventa simbolo, diventa legge, e cammina dèlia nostra seduta. Dal momento che fosse accettata poi da se, astrazione fatta dall'intenzione dei legisla' la proposta dall'onorevole Sella converrebbe discu- tori. Se oggi noi proclamiamo un ordine del giorno terla, se le opporrebbero altre proposte, e si vedreb- domani sarà in piazza, dopo domani sarà nelle cam pagne ; e, fatto lex animata, determinerà un'azione, ui bero affratellarsi i partiti prima di riconoscersi... moto, e forse importantissimi avvenimenti di cui sa Voci. È verissimo ! Bravo ! FERRARI. Mi pareva che per lo meno l'accettare remmo tutti accusati se fossero infelici. Non precipi l'ordine del giorno Sella fosse una imprudenza. (Segni tiamo adunque la nostra deliberazione. Ma, signori, se io mi opposi all'ordine del giorno di di adesione) Questa imprudenza, o signori, si aumenta, quando conte di Cavour prevedendolo prima sterile e poi rov: ! v - 8005 - TORNATA DEL 9 DICEMBRE 1 8 6 7 noso; se io voleva risparmiare del sangue, voleva distruggere anticipatamente le pericolose illusioni che generava. Oggi che la nazione è insultata, oggi che siamo sfidati di rinunciare a Roma, non intenderete dame un consiglio di viltà. Restate sul vostro passato, non abbiate paura, Se non saremo col Governo francese saremo colla rivoluzione di Francia. {Bravo !) State sul vostro ordine passato, stateci almeno per 24 ore, per 48 ore ; lasciate esaurire la discussione, e se dalla discussione emergerà nuova luce, allora, con ponderazione, voi procederete ad un altro ordine del giorno {Bravo!) e allora imiterete, e questa volta saviamente, il conte di Cavour, il quale punto non precipitò il suo proclama, ma gli diede due o tre giorni di discussione, di amplissima discussione. (Bravo ! a destra) Io desidero quindi che si proceda direttamente all'interpellanza. PRESIDENTE. Yi sono parecchi altri iscritti per parlare sulla precedenza da darsi all'ordine del giorno; ma pare che questa discussione dovrebbe essere già abbastanza matura,.. Voci. Sì ! sì ! PRESIDENTE.. sono già quattro o cinque quelli che hanno parlato. Proporrei di venire subito ai voti per sapere se la Camera intenda di dare la precedenza all'ordine del giorno presentato dal deputato Sella. ' MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro per gli affari esteri. Domando la parola. PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare. MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. {Vivi segni d'attenzione) Véramente, o signori, per la prima volta che prendo la parola in una discussione di questa Camera è cosa singolare che io mi debba trovare perfettamente d'accordo con un illustre deputato che appartiene ai banchi di sinistra, coll'onorevole Ferrari {Si ride a sinistra) ; ed in vero mi pare, o signor^ che le ragioni che egli ha svolte con tanta lucidità e con tanéa eloquenza debbano fare qualche impressione sull'animo vostro, onde distrarvi dal|votare un ordine del giorno qual è quello proposto dal deputato Sella, il quale farebbe nascere un nuovo equivoco, e non sarebbe che una dimostrazione puerile. No, ritiro questa parola, dico vana, perchè non condurrebbe a nessun risultato pratico... SELLA. Domando la parola. MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Ora il paese domanda e dal Parlamento e dal Governo dei risultati pratici e non solamente delle aspirazioni ; queste aspirazioni è il paese che le ha ; il paese, prima del conte di Cavour, aveva già proclamato che Roma doveva essere la capitale d'Italia. {Bravo! Bene!) Non sono i vostri voti che faranno mutare l'indirizzo della nazione, siamo noi Governo e Parlamento che dobbiamo secondare questi voti della nazione ; e le dichiarazioni a questo riguardo sono inutili {Bene /), ma ciò che appartiene al Governo ed al Parlamento sono i mezzi per raggiungere lo scopo. Ora, o signori, quando io veggo da una parte l'onorevole Sella, che suppongo appartenere ai banchi della destra, dove siede, quando da un'altra parte vedo l'onorevole Crispi accogliere il medesimo ordine del giorno, io mi domando dove sono i mezzi che ognuno di loro vuole impiegare per raggiungere la meta. (Bene! Bravo! a destra) Saranno gli stessi? È quello che domando, o signori. Ora è tempo d'uscire dagli equivoci; gli equivoci hanno trascinato il paese sull'orlo dell'abisso, il paese non ne vuole più, vuole sapere dove va, e con chi va. (Bravo ! Benissimo ! a destra) Per conseguenza un ordine del giorno che proclama Roma capitale d'Italia, deve dire come si voglia, come vi si debba andare. Volete andarvi colla violenza, oppure coi mezzi morali? {Bisbiglio a sinistra) Una voce a sinistra. Che cosa sono questi mezzi morali ? MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Io ritengo fermamente che la violenza abbia fatto del male ; che la soluzione della questione di Roma sia stata grandemente ritardate dagli ultimi tentativi armati. Se la questione romana non camminò céleremente, non accusate i banchi della Destra ; si accusino coloro che hanno trascinato il paese in queste tristi condizioni... (Bravo! Benissimo! a destra) V'è ancora un'altra questione, sulla quale dobbiamo intenderci, e chiaramente : è la questione del pontefice. Domando alla Sinistra che-cosa vuol fare del pontefice. {Esclamazioni e prolungata agitazione a sinistra — Sì! sì! a destra) PRESIDENTE. Prego i signori deputati di far silenzio, affinchè il presidente del Consiglio possa svolgere il suo discorso. MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Signori, ci ricordiamo delle dichiarazioni di Ginevra ; esse non sono antiche, datano da pochi mesi ; ed hanno fatto profonda impressione negli animi di tutti i cattolici non solo, ma di tutti gli Onesti. {Volgendosi a sinistra con calore) Sì, lo ripeto, che posizione volete fare al pontefice? Volete conservare la sua dignità, la sua indipendenza, il rispetto che gli è dovuto, oppure volete che sia uno schiavo delle passioni ? Molte voci a sinistra. No ! no ! {Rumori) PRESIDENTE. Si lasci all'onorevole presidente del Consiglio la libertà di svolgere i suoi pensieri. MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Signori, quelle medesime interruzioni che nascono dai vari banchi, e specialmente da questi {Accennando a sinistra) mi dimostrano che una discussione seria e profonda è necessaria prima che si venga a votare un ordine del giorno ; CAMERA DEI DEPUTATI — perchè, io lo ripeto, un ordine del giorno che è una vaga espressione, non è cosa degna di un Parlamento. {Interruzioni a sinistra) La parola è troppo forte ? Non è una cosa che convenga ad un Parlamento, giacché un Parlamento non deve pronunziare mai un voto che non abbia la sua sanzione ; e siccome la sanzione vi deve essere, se vota, deve sapere con quali mezzi intende di applicare, di sostenere il suo voto. Ora, signori, per questi motivi il Ministero si associa alla proposta dell'onorevole Ferrari, pregando la Camera di volere rimandare, al fine della discussione sulle interpellanze che sono proposte quest'oggi, la votazione dell'ordine del giorno dell'onorevole Sella. Bisogna essere chiari, espliciti ; bisogna che non vi sieno più sottintesi od equivoci; bisogna sapere dove si va ; così vuole il paese a cui dobbiamo ubbidire. (Bene! a destra) PRESIDENTE. La parola spetterebbe per ordine d'iscrizione al deputato... N Voci. Ai voti ! ai voti ! PRESIDENTE. Gli oratori che dovrebbero parlare dopo l'onorevole presidente del Consiglio, intendono entrare nel merito ? LA PORTA. Domando la parola per una questione di ordine. PRESIDENTE. L'onorevole L a Porta ha la parola sopra una questione d'ordine. (Conversazioni) LA PORTA. Aspetto che si faccia silenzio. PRESIDENTE. Cominci dal pregare coloro che sono a lei d'attorno a tacere, così mi aiuterà a ristabilire il silenzio. LA PORTA. Io ho proposto una mozione d'ordine perchè la Camera non voglia chiudere la discussione sull'ordine di precedenza. Dopo le parole del presidente del Consiglio, la mozione dell'onorevole Sella sorta come manifestazione di un sentimento, sorta come una protesta, e colla fisonomía di raccogliere gli individui che potevano differire sui mezzi di rendere efficace questa protesta, questa mozione oggi, dopo la discussione che vi è stata, dopo le parole del presidente del Consiglio, acquista un'altra importanza, acquista un'altra fisonomia, acquista un'altra condizione. Se voi volete discutere l'ordine del giorno Sella, noi entreremo nella discussione generale, non solo del fine del programma nazionale, ma anche dei mezzi, ed io debbo dichiarare, a nome dei miei onorevoli amici Miceli e Villa Tommaso, che noi, i quali abbiamo proposto le interpellanze, non ci opponiamo a che la mozione proposta dall'onorevole Sella abbia la precedenza, sebbene dichiariamo che le nostre interpellanze, volendo discutere la politica del Ministero passato e del Ministero attuale, volendo discutere gli avvenimenti compiutisi, e le relazioni nostre colla Francia, certo miravano a venire a proporre una risoluzione, un ordine del giorno che cadesse sulla questione di SESSIONE DEL 1867 Roma, sulla questione del diritto e dell'onore nazionale. Eravamo quindi d'accordo, e lo siamo perchè questa questione la quale era il fine delle nostre interpellanze sia presa al rovescio, e cominci di là dove noi volevamo arrivare. Prego quindi la Camera che voglia far rispondere al presidente del Consiglio sopra alcune domande categoriche che egli ha rivolte particolarmente alla Sinistra... (Mormorio) PRESIDENTE. Si attenga alla questione d'ordine. Voci. Ai voti! ai voti ! PRESIDENTE. Sulla stessa questiona ,di precedenza venne chiesto lo squittinio nominale. La proposta è firmata dai deputati Pissavini, Cesarmi, Lazzaro, Marolda, De Boni, Accolla, Petrone, Golia, Catucci, e Brunetti. Ora dunque si procederà all'appello nominale per stabilire se debba avere la precedenza la deliberazione sulla proposta fatta dall'onorevole Sella e firmata da parecchi altri deputati. Coloro che intendono che esìga debba avere la precedenza sulla discussione delle interpellanze del deputato Miceli, risponderanno sì ; coloro i quali crederanno che questa deliberazione sulla proposta Sella non debba avere la precedenza sulle interpellanze, diranno no. • (Si procede all'appello nominale.) Votarono contro : Acquaviva — Acton — Adami — Alfieri — Alippi — Amabile — Andreucci — Annoni — Araldi — Arrivabene Carlo — Assanti Damiano — Atenolfi — Barracco — Bandini — Barazzuoli — Bartolini — Bartolucci-Godolini — Bassi — Bellelli — Bembo — Bernardi — Berti — Bertolami — Bertolè Viale — Biancheri, ingegnere.— Bianchi — Boncompagni — Bonfadini — Bonomi — Borgatti — Bortolucci— Bosi — Bracci —-Breda* — Brenna — Briganti-Bellini Bellino — Briganti-Bellini Giuseppe — Broglio — Bullo — Cadorna — Cafici — Cagnola — Camuzzoni — Cappellari — Carazzolo — Carleschi — Castelli — Cavalli — Cedrelli — Civinini — Collotta — Conti — Cordova — Correnti — Corsi — Corsini — Cortese — Cosenz — Costamezzana — Crotti — Cugia — D'Amico — Damis — D'Ancona — Danzetta — D'Aste — De Blasiis — De Capitani — De Filippo — Del Re — De Luca Giuseppe — Del Zio — De Martino — Deodato — De Pasquali — De Vincenzi — Dina — Di San Tommaso — Donati — D'Ondes-Reggio Vito — Ellero — Fabris — Fabrizi Giovanni — Fambri — Fenzi — Ferrara — Ferrari — Ferri — Fiastri — Finzi — Fogazzaro — Fonseca — Fossombroni — Frascara — Galati — Galeotti — Gaola-Antinori — Gangitano — Garzoni — Ghezzi — Gibellini — Gigante — Gigliucci — Giorgini — Giusino — Gonzales — Coretti — Grattoni — Grella — Griffmi — — 3007 - TORNATA DEL 9 DICEMBRE Grossi — Guerrieri-Gonzaga — Guiccioli — La Marmora — Lampertico — Lanza Giovanni — Leonii — Maggi — Malenchini — Manni — Marcello — Marchetti — Mari — Marietti — Martelli-Bolognini — Martinelli — Marzi — Masci — Massari Giuseppe — Massari Stefano — M&ttei — Maurogònato — Mazziotti — Merzario — Messedaglia — Minghetti — Monti Coriolano — Morelli Carlo — Morelli Donato — Moretti Andrea — Moretti Giovanni — Morosoli — Morpurgo — Mosti — Napoli — Nisco — Nori — Paini — Panattoni — Pasqualigo — Popoli — Peruzzi — Pianell — Piccoli — Pieri — Piroli — Possenti — Puccioni — Quattrini — Ranaili — Rasponi — Restelli — Ricasoli Bettino — Ricasoli Vincenzo — Ricci Vincenzo — Righi — Robecchi — Rossi Alessandro — Ruggero Francesco — Salvagnoli — Salvago — Salvoni — Sandonnini — Schininà — Sebastiani — Serafini — Serra-Cassano — Serristori — Serpi — Servadio — Sgariglia — Silvani — Sirtori — Sormani-Moretti — Spaventa — Speroni — Stocco — Teziani — Tenca — Tornielli — Torre — Torrigiani — Toscanelli — Trigona Domenico — Valva sori — Viacava — Villano — Villa Pernice — Visconti-Venosta — Zanini — Zorzi. • Votarono in favore Abignenti — Accolla — Acerbi — Al visi — Amaduri — Angeloni — Antona-Tra versi — Ara — Arrigossi — Audinot — Avitabile — Baino — Bargoni — Bersezio— Bertani — Bertea — Berti-Pichat —Biancheri, avvocato —Bixio — Botta —Bottero — Botticelli — Brunetti.— Cadolini — Calandra — Calvino — Calvo — Camerata-Scovazzo — Camozzi — Cannella — Capozzi — Carbonelli — Carcani — Carcassi — Carini — Casarini — Castagnola — Cattaui-Cavalcanti — Catucci — Ciliberti — Cimino — Comin — Concini — Consiglio — Coppino — Corrado — Corte — Cosentini — Costa Luigi — Crispi — Cucchi — Curti — Curzio — Damiani — De Boni — Del Giudice — De Luca Francesco — Depretis — De Ruggero —• De Sanctis — Di Biasio — Di Monale — Di San Donato — Emiliani Giudici — Fabrizi Nicolò — Fanelli — Farina — Farini — Ferracciù — Ferraris — Fincati — Frapolli — Frisari — Giacomelli — Golia — Grassi — Gravina — Greco Antonio — Gritti — Guerrazzi — Guerzoni — Gùttierez — La Porta — Lazzaro — Leardi — Leonetti — Lobbia — Lorenzoni — Lovito — Lualdi — Macchi — Maldini — Mancini Pasquale — Mannetti — Mantegazza — Marazio — Marolda-Petilli — Marsico — Martinengo — Mathis — Mauro — Mazzarella — Mazzucchi — Melchiorre — Mellana — Merialdi — Merìzzi — Mezzanotte — Miceli — Michelini — Minervini — Molinari — Mongenet — Mongini — Monti Frai »esco — Monzani — Morelli Salvatore — Morini — Musolino — Mussi — Muzi —• Nicolai — Nicotera 1867 — Oliva— Olivieri — Origlia—Palasciano — Pecile — Pelagalli — Pera — Pescetto—Pessina — Petrone — Pianciani — Piolti de'Bianchi — Pissavini — Plutino Agostino — Plutino Antonino — Polsinelli — Polti — Praus — Ranco — Ranieri — Rega — Regnoli —Ricci Giovanni — Righetti — Ripandelli — Rizzari — Rogadeo — Romano — Romeo — Rorà» — Rossi Michele — Salaris — Salomone — Sandri — Seismit-Doda — Sella — Semenza — Serra Luigi — Siccardi — Sole — Solida ti — Sprovieri— Tamaio — Tofano — Tommasini — Valerio — Valussi — Villa Tommaso — Zarone — Zizzi — Zuradeìli — Zuzzi. Si astennero : Checchetelli — De Cardenas. Assenti : Aliprandi (in congedo) — Amari — Andreotti —• Antonini (in congedo) — Arrivabene Antonio — Asproni — Assanti Pepe — Asselta — Bellinzaghi — Bertini — Binard — Borromeo — Bove — Brignone — Bruno — Cairoli — Campisi — Cancellieri — Capone — Carganico — Carrara — Casaretto — Castellani v— Castiglia — Cattaneo — Chiaves — Chidichimo — Cicarelli — Colesanti — Corapi — Costa Antonio — Cumbo-Borgia — D' Ayala — Delitala — Di Camp elio — Di Revel — Di Roccaforte — D'Ondes-Reggio Giovanni — Facchi — Faro — Ferrantelii — Fossa — Friscia — Garau — Garibaldi — Genero — Geranzani — Giunti — Greco Luigi — Lanza-Scalea — Legnazzi — Lo Monaco — Maiorana Calatabiano — - Maiorana Cucuzzella — Maiorana Fiamingo — Mancini Girolamo — Marcone — Marincola — Martini (in congedo) — Martire — Massa — Matina — Molfino — Montecchi — Mordici — Moschetti — Muti (in congedo) — Nervo — Pandola (in congedo) — Papa — Paris — Parisi — Pellatis — Pescatore — Pisanelli — Podestà — Protasi (in congedo) — Raffaele — Rattazzi — Riberi — Ricciardi (in congedo) —Ronchetti—Sabelli—Sangiorgi— Sanguinetti— San Martino —Sanminiatelli (in congedo) —Sineo — Sipio — Speciale — Testa (in congedo) —• Toscano — Tozzoli — Trevisani — Trigona Vincenzo — Ungaro - - Valitutti — Valmarana — Vigo-Fuccio — Villa Vittorio — Vinci — Visone (in congedo) — Vollaro —Volpe —Zaccagnino — Zanardelli —Zauli. Risultamento della votazione : Presenti Votanti Voti contrari ... Voti favorevoli Si astennero 379 377 201 176 2 La Camera non accorda la precedenza al voto motivato del deputato Sella. \ ~~ 3 0 0 8 — CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1 8 6 7 L'onorevole Sella ha facoltà di parlare. SELLA. L'ordine del giorno da me proposto aveva uno scopo, se esso fosse stato votato prima delle interpellanze che stanno per aprirsi; ma se si tratta di un ordine del giorno il quale si riferisca alle interpellanze che stanno per incominciare, evidentemente sarebbe poco men che assurda cosa di premettere alle discussioni la deliberazione che deve ad esse susseguire. Quindi è che io ritiro, anche a nome dei colleghi che l'hanno firmata, la proposta da me presentata. Aggiungerò una parola sola. Io capisco e convengo che per molti e molti membri di quest'Assemblea potesse parer superflua la dichiarazione che io proponeva alla Camera. Ma dirò che vi è una persona... PRESIDENTE. Ma scusi, si è votato. SELLA. Non farò che un'osservazione. Vi è però in quest'Assemblea una persona la quale non avrebbe dovuto chiamare vana e puerile la dichiarazione che io chiedevo, e questa persona è l'onorevole conte Menabrea. (Viva approvazione a sinistra e su altri lancili) MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Domando la parola per un fatto personale. (Rumori — Agitazione) PRESIDENTE. Prego i signori deputati di riprendere i loro posti e di fare silenzio. Il presidente del Consiglio ha la parola per un fatto personale. MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affnri esteri. Innanzitutto io debbo rettificare una parte del mio discorso, parte che ho già rettificata di fatto. È vero che mi è sfuggita la parola ^Mente, ma l'ho ritirata immediatamente, e vi ho surrogata un' altra parola ; in conseguenza io credo che l'onorevole Sella non doveva prendere argomento da questa parola improvvisa, per indirizzarmi quella personalità. Ma intanto (Con impeto, vòlto al deputato Sella) io rispondo altamente all'onorevole Sella... Molte voci a sinistra. Parli alla Camera! Voci a destra. Silenzio ! B1XI0. Sia più rispettoso ! SALARIS ed altri. Parli alla Camera ! MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Io parlo alla Camera. PRESIDENTE. Prego nuovamente i signori deputati di fare silenzio e di rispettare la parola, qualunque sia l'oratore che l'abbia, principalmente quando è l'organo del Governo. MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Io credo che, se vi fosse qualche dubbio sui miei sentimenti, le dichiarazioni che ho fatte al Parlamento, dappoiché ho l'onore di far parte del Gabinetto, dovrebbero essere sufficienti. Ma, signori, se questo a voi non basta (Con molta forza) vi è la mia ?ita. Io ho rinunziato al mio suolo nativo per seguire le sorti d'Italia. (Bravo ! Bene ! a destra) E credete voi che un tal sacrifizio non valga tutte le dichiarazioni che domanda il deputato Sella? (Applausi a destra — Rumori a sinistra) PRESIDENTE. L'incidente è terminato. Veniamo alla questione principale, alla interpellanza dei deputati Miceli, La Porta e Tommaso Villa. Secondo l'ordine del giorno, la parola per svolgere questa interpellanza toccherebbe al primo iscritto, cioè al deputato Miceli ; ma mi si è fatto osservare che queste interpellanze consistono in tre punti distinti, e che i tre oratori firmati alla domanda d'interpellanza si sono messi d'accordo per isvolgere ciascuno uno di questi tre punti. Q uantunque ciò non siasi praticato per lo innanzi, giacché non avvenne mai il caso, parmi però che non sia inconciliabile col prescritto del regolamento, purché ognuno dei tre deputati firmati alla domanda voglia tenersi strettamente al tema che ha scelto di svolgere. Chè altrimenti si farebbero tre discorsi insieme sulla stessa interpellanza, e si verrebbe a preoccupare il posto ad altri oratori che sono iscritti prima. DESANCTIS. Domando la parola per una dichiarazione. PRESIDENTE. Con questa spiegazione io non ho difcoltà di dare la parola, successivamente, ai tre firmatari dell'interpellanza. L'onorevole Desanctis ha facoltà di parlare per una dichiarazione. DESANCTIS. L'altro giorno, d'accordo con alcuni miei colleghi, ho annunziato un'interpellanza al signor ministro sul contegno .che egli intendeva di assumere dirimpetto alle ultime dichiarazioni fatte dal Governo francese al Corpo legislativo. Avendo il signor ministro degli esteri risposto che attendeva schiarimenti ed informazioni, e non essendoci ancora questa mattina messi d'accordo, si restò intesi che la mia interpellanza avrebbe avuto luogo prima che fosse chiusa la discussione generale sulle interpellanze messe all'ordine del giorno di quest' oggi. Domando perciò al signor presidente che mi voglia riservare la parola in questa occasione. PRESIDENTE. Essendo una cosa già intesa, l'onorevole Desanctis potrà svolgere la sua interpellanza prima che finisca la discussione generale. Come diceva, le interpellanze si aggirano sopra tre punti distinti, cioè: primo, sulla condotta del Governo tanto rimpetto alle potenze straniere, come all'interno, in occasione degli ultimi avvenimenti compiutisi nelle Provincie italiane soggette al Governo pontificio ; secondo, sull'arresto e detenzione del generale Garibaldi; terzo, sull'indirizzo seguito, o che intende seguire in ordine alla quistione italiana in Roma, specialmente riguardo alla conferenza, col Governo francese. Io concederò prima facoltà di parlare all'onorevole - 3009 - TORNATA DEL 9 DICEMBRE 1 8 6 7 Miceli, pregandolo di dire quali di questi tre punti egli imprende a svolgere. MICELI. Io parlerò sul primo punto, ma ben comprende l'onorevole presidente che le materie s'intrecciano talmente l'una coll'altra, che io non potrò a meno di fare anche qualche escursione negli altri due campi. PRESIDENTE. Come ho già osservato, se tutti gl'interpellanti intendono di svolgere tutte e tre le interpellanze, allora sono tre discorsi che si fanno sul complesso della questione, e si viene ad usurpare il posto di altri oratori che si sono iscritti prima. Se l'onorevole Miceli si limita a toccare solo delle altre questioni, senza fermarsi a lungo sopra di esse, ed allontanarsi troppo dalla questione che imprende specialmente a trattare, io non ci ho difficoltà alcuna. L'onorevole Miceli ha facoltà di parlare. MICELI. Onorevoli signori : gli ultimi avvenimenti seguiti nelle provincie pontificie, la cui memoria accendeva di tanto sdegno l'onorevole presidente del Consiglio, a mio credere sono la conferma più evidente del principio che la forza delle cose prevale sempre alla più risoluta volontà di un uomo, alla maggiore docilità e rassegnazione di un popolo. La politica italiana, che s'ispirava alle condizioni con cui nel voto del marzo 1861 era circondata la proclamazione di Roma a capitale d'Italia, ed ai dettami della Convenzione del settembre 1864, aveva creato un antagonismo, una lotta tra il sentimento nazionale e il programma che governava il paese; aveva creato una contraddizione tra il sistema con cui si conduce la cosa pubblica all'interno ed all'estero, coi sentimenti degli stessi ministri, stando almeno alle loro unanimi dichiarazioni. La Convenzione infatti era chiamata un gran sacrifizio, ma si diceva che in vista dello sgombero dei Francesi, bisognava eseguirla. Quando un sistema poggia sopra una simile base ; quando l'indirizzo politico, da cui dipendono le sorti di una nazione,, ingenera così grave antagonismo fra i cittadini ed il Governo, è inevitabile che, o presto o tardi, sorgano degli eventi che bruscamente mettono Governo e paese in tale scompiglio, da avvertire anco i meno perspicaci che si è fuori del giusto sentiero, e che si va al precipizio, se non si muti cammino. La logica è sempre inesorabile ; e la gran massima di Vico, che le cose umane fuori del loro stato naturale non vi si adagiano nè vi durano, non può essere obliata dai reggitori di un popolo, senza che ne vengano grandissimi danni e da loro si assuma la più grave responsabilità. Ebbene, gli uomini politici che reggevano l'Italia allorquando si conchiuse la" Convenzione del settembre 1864 sfidarono questa legge suprema, e quando meno si aspettava, quando pareva che la quiete più profonda regnasse in Italia, dopo la guerra del 1866, al semplice invito dei Romani che volevano liberarsi dal dominio papale, un'ansietà, un entusiasmo irresistibile invase il cuore dei più animosi, i quali sotto gli auspicii del generale Garibaldi, capo invocato alla riscossa, volano in soccorso dei fratelli, ed ecco in un istante tutto cambiarsi 1' aspetto del paese. Di chi è la colpa, o signori? Pria di rispondervi, ditemi voi: di chi è la colpa, quando gli elementi per equilibrarsi scuotono la terra? Come la natura tìsica, così la morale segue fatalmente le sue leggi, e folle chi sorge ad accusare o a maledire ! Una politica fondata su basi false, sulla contraddizione, sull'errore, è inevitabile che produca convulsioni e tempeste. La vera origine dei fatti deplorati dal signor presidente del Consiglio sta nella Convenzione del settembre alla quale egli stesso ebbe tanta parte. Con quella Convenzione si mistificò l'Italia e si pretese che il popolo italiano si rassegnasse per sempre a questa mistificazione, che comprimesse per sempre i bisogni potenti del suo cuore e non pensasse giammai al suo avvenire. La Convenzione di settembre, o signori, mise l'Italia nella dura condizione di rendere inevitabili i più lagrimevoli disastri. Essa, come i suoi autori confessavano, aveva per iscopo la conciliazione col pontefice ed una transazione con lui. Questo scopo fu una chimera rispetto al papa, ed una colpa rispetto al Governo italiano. Come transigere sul diritto che non subisce diminuzione o dubbio alcuno ? I fatti di tre anni che cosa ci hanno provato ? Durante i primi due anni, che i Francesi non avevano abbandonato il suolo pontificio, voi avete visto perenne e sempre fiero il brigantaggio ; la sicurezza pubblica resa impossibile, le spese enormi, le speranze parricide dei tristi sempre salde e crescenti. Roma era il covo delle congiure contro di noi. Partiti i Francesi, lo stato delle cose fu peggiore : si volle iniziare la transazione : il papa ottenne il richiamo dei vescovi a dispetto delle popolazioni e degl'interessi dello Stato , ed era sul punto di ottenere altre importanti concessioni, senza che mai desse segno di cedere in nulla. Ottenne senza dare in contraccambio neppure una promessa. Lo scopo delle transazioni propostosi da'suoi autori era pienamente fallito. Altro scopo era quello di fare cessare in Italia, secondo il concetto dell'onorevole Visconti-Venosta, che fu il ministro che firmò quella Convenzione, di far cessare lo spettacolo del contrasto tra l'alleanza francese coll'Italia e la protezione che la Francia somministrava al principale nemico di essa, e ciò affinchè all'estero non si dubitasse della indipendenza della nostra politica, ed all'interno non si minassero le basi del sistema naturale delle nostre alleanze. Gli autori della Convenzione non badarono che a togliere l'apparenza del contrasto, restandone intera la sostanza. La Francia dovea restarci avversa, ciò era - - 3010 — CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1867 inevitabile, ma bisognava che la realtà del fatto fosse coverta da una maschera. L'esercito francese dovea partire, ma vi restava la Francia con una solenne promessa, e materialmente con una legione di soldati francesi in divisa pontificia. Così il®Governo di Napoleone III manteneva la protezione antica, senza l'antica responsabilità. La Convenzione aveva un altro nuovo e più grave risultato : essa dava alla Francia una base di diritto di cui prima mancava. Prima l'Europa vedeva in Roma un Governo che l'aveva invasa e che vi stava contro il diritto delle genti. Fra poco avrebbe dovuto uscirne, poiché ormai è noto ufficialmente che l'ambasciatore francese in Roma e Napoleone stesso ritenevano insostenibile la posizione. Dopo la Convenzione, l'invasore acquista il titolo di protettore legale e riconosciuto. ~Da quell'epoca voi vedete in tutti gli affari del Papa le mani del Governo di Francia ; voi vedete le sue armi, le quali, mutata divisa, mantengono colà tutta l'influenza di quella forte nazione. Il Governo francese, poiché cambiò per lui così felicemente la posizione in Roma, non fece che abusarne ad ogni incontro, deciso come era di non soddisfare giammai ai bisogni dell' Italia, la quale era cullata negli inganni orditigli da chi aveva il sacro dovere di tutelarne gl'interessi. Pensò a rafforzarvisi, ed offrì al Papa una legione francese. Il Governo romano prima ricusò l'offerta per difficoltà finanziaria, poi la prospettiva dei milioni che Napoleone faceva pagargli dall' Italia lo indusse ad accettare. Ed ecco, per maggiore garanzia dei suoi disegni, Napoleone spedisce a Roma una legione, che prese il nome da Antibo, luogo ove era stata reclutata. I fatti posteriori relativi a questo corpo composto di soldati ed ufficiali francesi in servizio, provarono con tutta evidenza all'Italia quanto ella s'ingannasse nelle speranze che la Francia, ritirando le sue truppe, avesse ritirato il suo intervento ! Di questa questione si trattò ampiamente nella Camera sotto il Ministero La Marmora e poi sotto il Ministero Rattazzi. Il primo promise di chiedere e dare informazioni alla Camera, ma non le diede mai. Risulta dai documenti diplomatici che agì molto fiaccamente ; talché i ministri francesi giunsero a sostenere che la Legione erasi organizzata in quel modo col consenso del Governo italiano. E qui è da notarsi con quanta mala fede questa vertenza fosse trattata da vari ministri di Francia. Saputosi che il [reclutamento della legione si faceva in mezzo alle truppe francesi, e pubblicatasi in Francia una circolare a questo scopo del comandante le truppe d'Algeri, il nostro ministro a Parigi interrogò il ministro Drouyn de Lhuys dell'autenticità di quella circolare. Quel ministro dichiarò che egli ne aveva dimandato il ministro della guerra, il quale non sapeva con certezza se la circolare del comandante militare di Algeri fosse vera o no, ma che non la teneva per vera, perchè la circolare era diretta ai soldati in servizio, mentre la legione d'Antibo non poteva formarsi se non se di soldati liberati. Vennero indi a poco dei fatti, i quali smentirono quelle assicurazioni, e si vide il ministro degli affari esteri di Francia, per negare la colpa di cui il suo Governo si rendeva responsabile in faccia all'Italia, indotto alla condizione di mendicare i più miseri pretesti, che dimostravano ìa colpa e l'impenitenza. Adduceva che gli ufficiali e sott'ufficiali appartenevano e restavano ai quadri. dello esercito per un semplice fine di regolarità 'Amministrazione, ma dichiarava solennemerite che i soldati erano sempre presi tra coloro che erano intieramente liberi da qualunque obbligo verso il Governo, dimodoché il Governo francese non aveva alcuna ingerenza su quella legione, la quale restava perfettamente come una qualunque legione straniera al servizio del papa. La visita e l'ispezione del generale Dumont fece replicare le proteste presso il Governo francese. Le risposte furono più ingannevoli ancora. Il Monitew negò recisamente che il generale francese avesse tenuto alle truppe pontificie ed alla legione d'Antibo un discorso di cui potesse lagnarsi il Governo italiano, e negò che avesse ricevuto alcuna missione. Ma non passò lungo tempo ed anche queste assicurazioni, furono smentite da una lettera del ministro della guerra, al colonnello D'Argy in Roma, pubblicata dai giornali di Parigi. E qui è da notarsi come, nel mentre da una parte il ministro negava, dall'altra i giornali ufficiosi dell'impero si prendevano la cura di affermare. Essi non intendevano di smentire i ministri, ma solo a render pubblico che, a dispetto delle proteste dell'Italia, il Governo francese tirava diritto nella sua via, e continuava a mantenere lo statu quo nella legione d'Antibo. Era farsi le beffe del nostro Governo e del paese ! Incalzavano i fatti e si rendeva tanto più chiara la violazione che il Governo francese faceva della Convenzione del 1864, ed il ministro degli esteri, non potendo più negare, si limitò a sostenere che la missione del generale Dumont era officiosa, non già officiale, ma confermava del resto quanto prima aveva assicurato riguardo alle relazioni deg- Antiboini con la Francia. Più tardi sorgevano notizie ancora più certe e caratteristiche, e si sostenne che l'incarico conferito al generale Dumont non era,governativo, bensì conferitogli per partecipazione ministeriale ! Voi vedete dalla storia della legione d'Antibo, come l'articolo 3 della Convenzione venisse audacemente violato. La Francia era in Roma, col suo esercito, e il deputato Jules Simon a ragione disse al Corpo legislativo, che la Francia tiene in Roma una divisione col nome di Legione d'Antibo. Quale era il dovere del Governo italiano in faccia ad f; ; 3011 — TORNATA DEL 9 DICEMBRE 1867 un simile avvenimento, in faccia a così flagrante violazione ? Con la solita deferenza che il nostro Governo ha avuta sempre pel Governo francese, esso si contentò di esprimere meschine lagnanze, di chiedere che il male venisse riparato alla meglio, e non volle approfittare della opportunità di denunziare alla Francia che la Convenzione di settembre aveva cessato di esistere. Sotto il Ministero Rattazzi se ne discusse due volte in questa Camera. Io fra gli altri feci le più vive istanze al Ministero perchè si guardasse di chiedere riparazione, ma usasse del suo diritto per liberare l'Italia dalle catene appostegli da quel trattato e scongiurasse i mali di cui esso era fecondo. La cessazione della Convenzione, o signori, in che posizione ci avrebbe messi ? Un giorno Napoleone tornava invasore, tornava violatore del diritto delle genti ; e tanto più sarebbe stata diffìcile la sua condizione, inquantochè vi si aggiungeva la colpa dell'ultimo attentato ai diritti acquistati dall'Italia. Ma per nostra sventura la Convenzione del settembre- 1864 era tutta a beneficio di Napoleone, tutta a danno degli interessi e dell'onore italiano, ed il nostro Governo non aveva l'abitudine di un contegno ardito e vigoroso ! Essendo ministro degli affari esteri interinalmente in Francia il marchese De La Yalette, il ministro italiano Di Campello continuò con lui le trattative in corso. Il signor De La Valette non oppugnò la giustizia dei nostri reclami ; li ammise anzi tutti e promise di far cessare l'ingiustizia. Il marchese De La Yalette colla sua dichiarazione, coi provvedimenti che promise ai Governo italiano, dava una solenne smentita a tutte le dichiarazioni del signo» Urouyn de Lhnys e dei marchese De Moustier, che, parlando del fatto del generale Dumont, osava dire: io non lo sconfesso, ma lo nego. Vedete, o signori, in questa condotta del Governo francese verso l'Italia, che l'una dichiarazione ufficiale contraddice l'altra ; che i ministri si smentiscono tra di loro ; che la parola data non è mantenuta ; che quando si scoprono le insidie tese ad un paese amico si trovano buone le più frivole scuse, i più miseri sotterfugi. Infine con un'evidenza che opprime emerge quanto poco conto tenessero verso di noi i ministri francesi della fede data , dei patti sanciti. E che cosa dobbiamo noi inferire dalla pretesa amicizia ed alleanza del Governo francese ? Signori, quando il Governo italiano impigliato alla rete di quella malaugurata Convenzione, non sa sostenere i propri diritti protestando altamente, e rescindendo il contratto tostochè la Francia lo calpesta, egli vien meno a' suoi doveri e merita la più alta riprovazione. Ed il Governo frailease, convinto sempre di violaSESSIONE 1867 - • CAMBRA PBI »SPUTATI — Discussioni. 377 zione e di doppiezza durante la lunga contesa sulla legione di Antibo, egli che attenta così audacemente ai diritti altrui consacrati in un atto internazionale, che nome merita quando, durante gli avvenimenti dello Stato pontificio, proclama se stesso scrupoloso osservatore dei patti e gitta l'insulto di slealtà sul Governo italiano, la cui colpa era la biasimevole condiscendenza avuta per la Francia, che lo aveva fatto venir meno alla energia ed alla forza con cui gli era imposto di agire ? È veramente meraviglioso .come i signori ministri Moustier e Kouher dopo le cose da noi narrate e dimostrate da note diplomatiche inoppugnabili, pretendano di porsi sul tripode ed emettere oracoli di giustizia, di sincerità e di leale condotta. Fa un senso della più profonda tristezza il rilevare la superbia dei ministri di un paese civile dal complesso delle note presentate dal nostro Ministero, e dai discorsi proferiti nelle Camere francesi. Il marchese di Moustier, parlando della conferenza, confessa di dubitare dell'adesione dell'Italia, perchè essa non avrebbe che guadagnarvi. Ma soggiunge che nondimeno egli è certo che ad ogni modo il progetto dell'imperatore avrà compimento ! Vi potrebbe essere un attestato più eloquente della sicurezza di quei signori d'imporre all'Italia ogni loro capriccio? Hanno contratto pessime abitudini, e bisogna assolutamente emendarle. Si continua anche oggi a discutere le vertenze della legione d'Antibo e si dichiara in Parlamento non essere vero che la Convenzione di settembre fosse stata violata. Se non che, a dare la più vittoriosa smentita anche alle ultime dichiarazioni dei ministri francesi Moustier e Kouher, ha provveduto la morte, la quale sui campi di Mentana raggiungendo alcuni degli antiboli, lasciava la prova di quanto il Governo francese si era reso colpevole verso l'Italia in quel rin contro. Ho fra le mani, o signori, due libretti di massa di soldati della legione d'Antibo, i quali somministrano il miglior documento che essi erano nello stesso tempo soldati del papa e soldati dell'esercito francese. Il giuramento che uno di quei soldati prestava al papa manca, e nel libretto intestato Légion romaine vi è il giuramento come soldato francese, concepito nei seguenti termini : « lo giuro obbedienza alla Costituzione e fedeltà all'Imperatore. » Ecco i soldati del papa, i quali giurano fedeltà all'imperatore dei Francesi e scontano a Roma il servizio che debbono all'esercito francese, sono notati nei reggimenti francesi d'onde uscirono, e dove, all'uopo, ritorneranno. (.Sensazione) E poi si presterà fede alla parola di due ministri, i quali assicurano, scrivono e fanno stampare che il Governo di Francia non ha veruna ingerenza nella le- CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1867 gione d'AntibOj e che essa è composta eli soldati liberi dal servizio ? Provata la vera origine delle perturbazioni italiane nella Convenzione del settembre 1864 e nel sistema che la creava ; provata la condotta della Francia verso l'Italia, vediamo quale è stata, a fronte di questi fatti, la condotta del Ministero che siede su quei banchi, dacché prese le redini dell'amministrazione del paese. Il Governo francese aveva chiesto al Ministero Rattazzi un proclama reale col quale avesse sconfessato il movimento delle provincie romane, lo scioglimento dei comitati, l'arresto dei volontari ed altre misure repressive su tutta la linea. Siccome sul territorio del pontefice il Governo italiano non aveva giurisdizione, ed i fatti che si compivano dal generale Garibaldi e dai volontari nell'interno dello Stato non erano incriminabili, il Ministero non aderì a quella proposta. Nasce il Ministero del 27 ottobre : egli non esita, ed assume l'incarico di obbedire a tutti gli ordini che vengono da Parigi, e fa di questi atti base del suo sistema. Infatti è strano il vedere come la sua comparsa in iscena si compia proprio con la esecuzione di ciò che dalla Francia si voleva che fosse fatto dal Ministero precedente. Ecco in primo luogo il proclama reale in cui le idee, 10 stile oltrepassano senza dubbio l'aspettativa di ognuno. Che cosa contiene questo proclama? Comincia a dichiarare che i volontari comandati dal generale Garibaldi erano mossi non già dall'idea nazionale, non già dal bisogno di porgere una mano soccorrevole ai Romani, i quali il 22 ottobre in gran parte inermi, e quindi con un eroico combattimento a Trastevere provarono che erano stanchi del dominio papale, ma che erano strumenti d'un partito demagogico il quale aveva per iscopo di abbattere la religione cattolica, di rovesciare 11 potere spirituale del Pontefice, di proclamare in Roma e in Italia un Governo diverso dall'esistente, non si sa se la repubblica o il comunismo!... Io non so come il Ministero non prevedesi in quel momento quali dovessero essere le tristi conseguenze di una simile dichiarazione, la quale ha già il primo vizio di non essere fondata in alcun modo sul vero. Pare che il presidente del Consiglio ed i suoi colleghi volessero con quel proclama dare al mondo un'indiscutibile prova che essi erano i precursori di Moustier e di Rouher, i quali avant'ieri al Corpo legislativo e nel Senato di Francia dichiaravano che un partito raccolto in tutte le parti d'Europa aveva trovato il suo campo di operazione in Italia, che esso aveva fini immensi, che non si limitava a voler togliere il governo temporale al Papa, ma aveva per iscopo d'andare a Roma come a prima sua tappa, poi a Firenze, come seconda tappa, per piantarvi l'albero della repubblica rossa, poi come terza a Parigi, e chi sa come quarta e quinta a quali altre capitali d'Europa. Le esagerazioni, le falsità dette nel Corpo legislativo e nel Senato francese dovevano avere per loro antesignani i ministri d'Italia. Prima che parlassero Moustier e Rouher della nuova religione minacciata da Garibaldi, aveva dichiarato il Ministero Menabrea Gualterio che bisognava guardare i pericoli che correva la potestà spirituale del pontefice. Si cominciò a creare questo spauracchio, ad inventare questa bandiera che nessuno aveva giammai sognato d'innalzare. Troppo, troppo zelo, troppa fantasia, signori ministri. Non ha riflettuto l'onorevole presidente del Consiglio che, col fare questa dichiarazione, riguardo al partito rivoluzionario d'Italia, egli poteva creare all'Italia nemici, laddove erano amici? Perchè gettare in mezzo all'Europa così strani sospetti ? Immaginiamo che l'Inghilterra avesse creduto a tali dichiarazioni, l'Inghilterra che ci ha dimostrato e ci dimostra sempre non dubbie simpatie, e che aspetta la caduta del potere temporale del papa, l'effetto immediato di tale credenza sarebbe stato quello di alienarci quella libera nazione, e rendercela indifferente o avversa. Immaginiamo che il nostro Governo fosse stato creduto dalla Prussia, dalla Russia, potenze che non possono avere tenerezza pel papa, e che vogliono vedere Roma sede del Governo italiano, noi le avremmo viste volgerci le spalle e diventare ostili, prese entrambe dalla diffidenza che una insurrezione anticattolica e repubblicana in Italia potesse sconvolgere la società e destare delle guerre e delle sciagure interminabili. $íel proclama reale, quasi non fosse bastevole questo sogno, cui piacque dar corpo all'onorevole Ministero, si volle colmare la misura facendo credere come oggi in Italia la questione romana sia riguardata da un partito in modo diverso da quello voluto dalla nazione, diverso da quello che esigono i principii sui quali poggia l'edificio della unità della nostra patria. Il signor ministro per la prima volta, trattando la questione romana, usò una frase che recò al paese la più sinistra impressione : esso chiamò la questione di Roma, questione dei Romani : e con ciò volle dare una altra prova di obbedienza al Governo francese il quale fino dal 1864 con la famosa Convenzione rovesciò interamente le basi del nostro diritto nella questione romana per gittarvi la confusione e darci una sconfitta. Per noi la rivendica di Roma era ed è una questione di diritto nazionale ; è l'Italia che reclama la sua integrazione con l'acquisto della gloriosa capitale in nome del principio di nazionalità. In Francia non piacque questa teoria che ci avea guidato così bene fino al 1860 e si volle porre innanzi il diritto dei Romani come negazione dell'italiano, si volle farlo accettare dall'Italia, affinchè essa più pox TORNATA DEL 9 tente di Roma, non avesse più avuto un titolo per esperimentare i suoi diritti e spodestare il pontefice. Non ha capito il presidente del Consiglio e gli altri suoi colleglli, che attribuire questo, diritto ai soli Romani è lo stesso che gittare in mezzo all'Italia il più pericoloso germe dell'anarchia, il quale un giorno potrebbe portare la dissoluzione dello Stato ? Infatti, se voi ammettete, anziché il diritto dell'Italia, della nazione, il diritto della provincia, oggi avrete annunziato nel proclama reale il diritto dei Romani, un altro giorno voi potrete essere costretti a trovarvi di fronte, armato dell'argomento da voi addotto, il diritto dei Siciliani, dei Napoletani, dei Torinesi, dei Fiorentini, ed ecco dall'anarchia nelle idee, passare all'anarchia nel campo dei fatti. E non vi parve mo- 9 struoso che questo grido di guerra si desse dal Ministero della monarchia unitaria, i di cui antecessori sempre protestarono, in nome dell'ordine e dei principii su cui fondasi lo stato attuale in cui viriamo, contro tutto ciò che tenderebbe a dividere il paese, ad incoraggiare l'autonomia delle regioni, senza neppure sottometterle ad un sistema federale ? L'ossequio cieco alla teoria di chi comanda dalla Senna pose un velo alla intelligenza dei ministri autori del proclama, e non si accorsero che, accettando la teorica ultramontana, rinnegarono l'unità e la monarchia. Si direbbe che fossero consigliati da un repubblicano federalista di bassa estrazione, ed invece hanno seguito i voleri dell'Imperatore di una nazione centralizzata fino all'eccesso, il quale in Italia vuole la divisione per dominarla. Altro atto importantissimo del Ministero, è la dichiarazione all'Italia ed all'Europa, che l'esercito nazionale avea passato i confini non appena si seppe lo sbarco dei Francesi a Civitavecchia. Nella dichiarazione inserita nella Gazzetta Ufficiale il Ministero disse che, fedele ai principii su di cui fondava il nostro diritto, siccome i Francesi, ad onta della Convenzione del 1864, erano sbarcati a Civitavecchia, il Governo d'Italia non aveva indugiato a mettersi nella stessa posizione militare, e l'esercito quindi aveva passato i confini pontifìcii. Si pretese di dare un significato ed una importanza grandissima a quest'atto ; giungevasi a farlo annunziare per telegrafo, da un augusto personaggio, alle popolazioni, affinchè queste si rassicurassero sugli intendimenti del Governo di mantenere illesa la dignità ed i diritti della nazione. L'Italia ne esultò da un estremo aft'altro e preparavasi all'appello del Governo. Ma invece che cosa vedemmo ? Come risulta dalle note diplomatiche, il Governo francese si allarmò a questo atto e parlò il linguaggio suo solito. Forse vi furono intimazioni più perentorie, ed ecco che il Governo italiano fa ritirare le truppe umiliando l'esercito in faccia allo straniero, umiliando se stesso, l'esercito ed il paese in faccia al mondo.^E come giustifica questo fatto? Dice che i motivi per cui si erano fatti oltrepassare i confini dello Stato pontificio eran cessati, e che la presenza delle nostre truppe nelle terre soggette al papa non era più necessaria ! Era forse cessata l'occupazione francese, unica ragione da voi data per giustificare un atto così importante e così pericoloso, inquantochè poteva compromettere il paese ad una guerra colla Francia? Se voi, signori ministri, credevate di non potervi opporre alla invasione francese per mancanza di forze, perchè dare 1' ordine all' esercito di passare la frontiera, ed esser quindi costretti a contromandarlo raddoppiando il sacrificio che dovea costare l'invasione straniera? In questo fatto il Ministero non ha curato, nè saputo tutelare l'onore dell'esercito e del paese, la dignità della Corona, già tanto compromessa nel malaugurato proclama del 27 ottobre. Il Governo del Re intanto aveva spedito una circolare ai nostri agenti diplomatici in Europa, annunziando il movimento delle truppe ed adducendone le ragioni, e si spedì più tardi una nota al nostro ministro a Parigi, che si fece immediatamente pubblicare. In quest'atto il Governo dichiara che la Convenzione di settembre ha cessato di esistere. Dopo la seconda invasione francese, l'Italia non era nell'obbligo di tenersi legata al contratto che si stipulò per far cessare la prima. In verità, ci vuol poco a comprendere che, dopo l'invasione francese, il sostenere ancora la Convenzione fosse, più che un errore, una follia ed una colpa. Ma anche in questo il Ministero Menabrea doveva contraddirsi, il paese doveva essere novellamente ingannato. Dopo pochi giorni la Convenzione che si denunziava caduta risorge, e si dice al paese che il Governo attendeva perchè le cose d'Italia tornassero ben presto nella condizione in cui erano prima dell'invasione francese!... Signori, non è a mia conoscenza che un Governo siasi giammai in affari così gravi ed in così breve tempo contraddetto in faccia al mondo quanto ora il Governo italiano. Nessuno comprenderà come la Convenzione, lacerata dalla Francia pria con la legione d'Àntibo, poi col nuovo intervento e con la strage dei volontari a Mentana, possa ancora sussistere e continui ad incatenare la nostra azione e sia sorgente di altre calamità per l'Italia. Quale autorità potrà mai esercitare un Ministero colpevole delle debolezze, delle contraddizioni narrate? Come vorrà pretendere di governare un Gabinetto il quale ha avuto l'infortunio di compiere simili atti, ed è stato costretto a contraddire in una nota ciò che aveva detto in un'altra; il quale per servire le esigenze straniere, e seguendo le vertigini di una politica dispettosa e partigiana si è spinto ad attribuire all'ultimo movimento un carattere così diverso da quello che ebbe, confermando ed ispirando a nostro danno ogni specie CAMERA PEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 3 887 ài diffidenza presso i Governi e le nazioni di Europa? La conseguenza di questa inqualificabile condotta non tarda egli stesso a sperimentarla. Il marchese di Moustier in una nota agli agenti diplomatici francesi parla in tal modo dell'Italia, esagera e travisa le di lei condizioni morali in maniera che finalmente il signor conte Menabrea si riscuote e protesta contro i tetri colori con cui il Governo francese tenta di rappresentarci. Una nota del signor Menabrea al cavaliere Nigra del 19 novembre ne è la prova. Essa smentisce il signor di Moustier ed acerbamente se ne lagna! Dopo di ciò, o signori, v'ingannereste ancora credendo emendato il nostro presidente del Consiglio, l'onorevole Menabrea. Ricordate il primo discorso che egli fece a questa Camera il 5 dicembre. In quel discorso egli arditamente ripete ciò che aveva fatto dire al Re riguardo alla bandiera dei volontari come nemica al potere spirituale del pontefice. Ripresenta francamente lo spettro rosso, e si mostra sicuro di quel che dice ! Uno squarcio merita particolare attenzione. Vuol persuadere la Camera che l'abnegazione del Gabinetto è stata grande, e si accinge a descrivere il momento in cui entrò al potere. Fa la rassegna dei partiti in agitazione, e dice che uno voleva innalzare una nuova bandiera, che altri partiti volevano disseppellire i Governi già sepolti. « Altri spinti da odii, altri partiti ancora agognando nuovi Governi. Intanto l'esercito scomposto, ecc. ecc. » Io, o signori, ho stentato a concepire quali potessero essere questi nuovi Governi oltre alla nuova bandiera già dichiarata dall'Onorevole Menabrea. La bandiera era forse quella della repubblica , e sia; ma che saran mai gli altri nuovi Governi? Sarà la teocrazia, sarà il socialismo!.. No, quei due misteriosi Governi non possono essere che un parto dell'immaginazione potentissima dell'onorevole ministro, che appena arrivato al timone dello Stato, per giustificare tutti gli atti di compressione, di repressione e di persecuzione che durano sempre ; per giustificare i suoi enormi errori e la furia del suo collega dell'interno, volle far comparire innanzi all'Europa questa povera Italia come sospesa sull'orlo del precipizio, dal quale egli era chiamato a salvarla. Debbo far osservare al signor ministro che una politica, la quale ha bisogno di creare delle visioni, di evocare degli spettri per sostenersi, ispirando terrore, oltre al discredito che procura a quei che la praticano, abbassa il decoro della nazione, e provoca il disprezzo di tutti. Non impunemente, o signori, si usa un sistema così strano, quando si vuol giustificare il proprio operato. Chi ha la coscienza di aver ragione, non sente il bisogno di tutto esagerare, non ha bisogno d'inventare cospirazioni di tutti i colori, di creare befane di cento specie. Chi è sincero, ed ha giusti propositi non sente giammai il bisogno di dir cose che non hanno il minimo fondamento nella verità! L'onorevole ministro, parlando di Roma, ha detto francamente che l'Italia non può mai rinunziare alla sua capitale, e che nessuno potrà contendergliela ; senonchè egli ritorna al vecchio ed incadaverito programma dei mezzi morali, degli accordi con la Francia, del contentamento della cattolicità. L'onorevole presidente del Consiglio ci ha voluto ricordare, parola per parola, ciò che il conte di Cavour disse, allorché fu proclamata Roma capitale d'Italia. Mi fa meraviglia come egli, che poco fa protestava tanto e con tanta energia contro gli equivoci, si studi! adesso a mettere novellamente in campo un enigma, voglia galvanizzare il sistema delle cabale e degli inganni, dal quale il paese ha tratto tanti guai, e la cui durata dovrebbe condurlo a rovina. Signori, quel sistema è caduto. I fucili Chassepot oltre le meraviglie che fecero sui petti dei nostri giovani volontari, hanno fatto quella di squarciare i veli che coprivano la politica del Governo italiano dal 1860 in qua, hanno dissipato le tenebre in cui tentò di avvolgersi la politica che ispirò la Convenzione e ci condusse alle attuali miserie. Il fucile Chassepot ci ha reso l'inestimabile benefìzio di provare all' Italia che cosa sia l'alleanza francese cui tanto decantano i nostri moderati. Quando noi reclamiamo i nostri diritti, ci si risponde collo scherno. Essi violano i patti sanciti in una Convenzione stabilita a grande loro beneficio, e ci si risponde con sotterfugi e con inganni. Taluno promette di riparare tornando all'applicazione della legge, e nulla si tiene. Gli Italiani protestano a mano armata contro un Governo che è centro di corruzione, che è sorgente d'immoralità, che cospira in permanenza contro l'Italia, ed ecco subito la bandiera francese associarsi sul campo di battaglia alla bianco-gialla del papa; i fucili Chassepot dei .cacciatori di Yincennes associarsi alle carabine dei zuavi pontifici. Da parte del Governo italiano deferenza ed ossequio al Governo francése, mentre i ministri di Francia in Parlamento oltraggiano l'Italia il Governo, la Corona, Noi, o signori, abbiamo subito e subiamo ancora una grande calamità. Non chiamo calamità la caduta dei volontari a Mentana ; Mentana, o signori, addita ciò che avrebbero dovuto fare l'intero paese, ed il Governo ; Mentana è l'espressione dello sdegno di un popolo che si vede contesi i suoi più indiscutibili diritti, che si vede manomesso nelle sue più legittime aspirazioni. Dacché ij Governo italiano volle conchiuclere la Convenzione del 1864, io ho sempre creduto che l'epoca del martirio non era ancora finita per l'Italia. I valorosi caduti a Mentana protestano contro un sistema che ci vieta il compimento del programma nazionale. Sì, l'epoca del martirio non è ancora finita pel nostro paese : ieri furono i Cairoli, i De Benedetto, i Bolis, gli Uziel, i Cantoni, i Martinelli, domani saranno altri, saremo noi. Gloria ai generosi che ci pre- TORNATA DEL 9 DICEMBRE 1867 cedettero : essi stanno ad esempio ed avranno imitatori a migliaia. La loro morte sarà feconda di bene all'Italia, 10 non ne dubito. La calamità che ci opprime è il vedere novellamente profanato il suolo italiano da un esercito straniero, senza che da parte dell'Italia si facesse nessuna resistenza. I bravi di Mentana non bastano a redimerci dal gran vitupero. Io non credo, o signori, di venir qui ad esagerare le nostre forze militari, non credo di sfidare alcuno con impotenti parole. Io dico soltanto*che è la prima volta nella storia dei popoli, che una nazione di 25 milioni", in qualunque stato di finanza, in qualunque ristrettezza di esercito, non abbia sentito irresistibile 11 bisogno di respingere ad ogni costo la forza con la forza. Il fenomeno è unico, e doveva apparire in Italia!... I volontari, signor presidente del Consiglio, morendo fecero il loro dovere ; dite voi se avete fatto il vostro. I volontari erano pochi, e Garibaldi non riuscì a dare Roma all'Italia. Voi ci avete parlato del poderoso esercito dei nostri assalitori e della piccolezza del nostro, cui rappresentaste debole e scomposto ; ci diceste che la flotta non era tale da poter combattere il nemico. Ma la Danimarca, Stato tanto più piccolo dell'Italia, come potè avere il coraggio di affrontare la Prussia e l'Austria per sostenere il proprio decoro ? Non esistono dei casi per un popolo, come per un individuo, in cui iì solo dovere è di resistere senza avere diritto di contare le forze nemiche? E poi eravamo noi veramente così deboli, così scomposti da dovere rassegnarci a così fiero oltraggio ? Vi è chi dice di no, anche dal punto di vista meramente militare ed effettivo. Ma comunque sia, questo è problema da discutersi da uomini di guerra. Io ritengo, o signori, che quando vengono certi momenti gravi, terribili per un paese, allora, non è permesso di mettere in rigorosa bilancia le forze che si hanno ; ma deve sentirsi solamente il forte ed irresistibile impulso del dovere, che impone di resistere. Quando si lascia invadere il suolo della patria, senza neppure alzare la mano, senza almeno dichiararsi offeso, rompendo col Governo invasore ogni specie di rapporto, voi abdicate la vostra posizione, voi vi annientate denigrando un popolo che ha i mezzi e sente il diritto di essere rispettato. Giacche i signori ministri non hanno creduto che l'Italia potesse e dovesse dare al mondo le prove che tante altre nazioni, in circostanze anche meno deplorevoli della nostra, hanno dato ; giacché essi non hanno creduto che l'Italia potesse imitare la Spagna di un tempo che con soli 25 mila uomini di esercito regolare, seppe sfidare l'onnipotenza di Napoleone, fu tutta in armi e vinse, si pensi almeno all'avvenire. Io mi rivolgo alla Camera, non già al Gabinetto Menabrea, da cui nulla mi attendo ; mi volgo ai deputati di tutti i banchi, perchè risolutamente si attenda a rivendicare l'oltraggio che ci è stato inflitto da una potenza, dalla quale avevamo diritto di aspettarci ben altro. L'Italia ormai è trascinata ad essere nemica della Francia. Signori, quando parlo della Francia con tali parole, 10 lo fo con profondo dolore. Io ricordo che sin dalla mia più verde età ho amato, ho fortemente amato il popolo che diede al mondo la rivoluzione più potente e gloriosa. Io appartengo ad una generazione d'uomini, i quali credono di dovere in parte la loro educazione patriottica alle sublimi lezioni date dalla Francia dell'89. Potei ammirare Goethe, non meno illustre patriotta che grande poeta, il quale, anziché respingere i Francesi dalla Germania, esclamava: « Siate i ben veti nuti, o stranieri, che ci siete apportatori di libertà « e di diritti finora ignorati. » Rammento che io giovanetto udii un mio concittadino, che salì sul patibolo 11 1844, dichiarare che egli era mandato a morte non già da Ferdinando Borbone, ma... da chi credereste voi ? Da Adolfo Thiers, per l'entusiasmo di libertà ispiratogli dalla Storia della rivoluzione ! Il discepolo lasciò la vita per quei principii che non trovarono più posto nell'animo del maestro ! Insomma, o signori, io ho amato la Francia, e malgrado le sue mutazioni, non si svellerà giammai la gratitudine per il bene che con la bandiera della rivoluzione essa ha recato all'Europa. Ma ormai in Francia domina Napoleone, che può ripetere il superbo motto di Luigi XIV : La Francia son io. Il Governo francese nato dalla violenza e dalla corruzione, e che vive della corruzione e della violenza, per me non è la Francia. Io odio quel Governo che ci oltraggia e ci opprime. Così potesse dal mio cuore divampare quest'odio nel petto di tutti voi, di tutti gl'Italiani, poiché l'amore del paese non ha altra forma più efficace e più potente dell'odio contro i suoi nemici; e Napoleone, o signori, il quale per la bocca dei suoi ministri fieramente c'insulta e ci interdice la nostra capitale Roma, ci dichiara la guerra, e non possiamo che accettarla. Già il signor De Moustier pare che financo si diverta a creare una nuova Italia. Ha scoperto una maggioranza d'Italiani, che chiama vera maggioranza, la quale dovrà inchinarsi al papa-re. Non vuole l'Italia di Mazzini e di Garibaldi, e ciò s'intende. Ma neppure quella di Ratlazzi, la costituzionale moderata. Quale sarà la nuova Italia ? Questo che pare uno scherzo di cattivo gusto, è una grave minaccia, avvalorata dalle aspre parole del ministro Rouher. Prepariamoci con fede e con risolutezza: è dovere dell'Italia di guardare in viso gli eventi, di non farsi più illusione, di ritenere che noi nel Governo francese abbiamo un possente ed inesorabile nemico. Dobbiamo accettare la posizione quale ci è creata ed uniformarvi la nostra condotta. Non ci è permesso altro contegno in faccia al Governo francese se non che la resistenza; e perchè una nazione di fresca data, in istato ancora di formazione, come l'Italia, si accinga a resistere ad una for- CAMERA DEI DEPUTATI imitabile potenza militare, bisogna che sparisca dalla politica italiana ciò che io diceva nel principio del mio discorso, la contraddizione tra il sistema del Governo coi sentimenti, colle aspirazioni, coi prepotenti bisogni del paese. Signori, il Ministero Menabrea non è e non può essere l'interprete di questi bisogni, specialmente nella guerra cui fossimo trascinati con la Francia, per compiere a Roma il programma nazionale. Non è il generale Menabrea il quale può condurre i destini dell'Italia, (.Movimenti) Sventuratamente abbiamo visto sinora che il senno politico si era così pervertito nei vari Ministeri che ressero la cosa pubblica in Italia : si pretese che dovessero debellare il papa, uomini nati ad altre missioni. Si mostrava di voler demolire il trono pontificio per mezzo di gente devota e santa, cui sarebbe parso un delitto non udire la messa in. un giorno festivo ! Si è voluto pretendere che dovessero compiere l'unità italiana uomini, i quali non solo non hanno mai avuto il concetto che sarebbero stati chiamati ad incarnare, ma che sempre avevano deriso come sogno di infermo il programma dell'unità italiana, e non vi credono ancora. Signori, noi dobbiamo uscire da questa annosa antitesi tra il programma dei ministri ed i bisogni del paese ; altrimenti saranno inevitabili quelle impreviste esplosioni, che di tratto in tratto mettono sossopra l'Italia, e che potranno essere stimmatizzate dai signori Moustier e Menabrea, ma che non cessano di essere una legittima protesta imposta dalla necessità, cui non si comanda. Dunque è per noi inevitabile che si stabilisca una volta l'armonia tra il programma del Governo e il cuore dei cittadini ; si uniscano in un sol proposito per opera di un Gabinetto degno della pubblica fiducia le varie classi dei cittadini, le varie fazioni liberali che al partito preferiscono il b^ne universale, che sentono l'oltraggio del veto di Napoleone, e si vergognano che i Francesi siano ancora a Roma. L'onorevole Menabrea, il quale crede che le nostre condizioni verso il papa potrebbero rendersi tollerabili se le comunicazioni tra l'Italia e Roma fossero rese più agevoli ; l'onorevole Menabrea il quale veniva poco fa, quasi invaso da sacro furore, a domandarci : ma che cosa si farebbe del papa, se il Parlamento andasse a Roma ? L'onorevole Menabrea colle sue idee cattoliche, profondamente cattoliche, col suo timore delle pene eterne, co'suoi scrupoli religiosi, ah ! non è l'uomo che possa intimare la guerra al potere temporale del papa, non è l'uomo che possa dire alla Francia : noi resisteremo ad ogni costo. (Mormorio a destra — Movimenti d'approvazione a sinistra e nelle tribune) Nè io sono ingiusto ed esagerato nei concetto espresso riguardo all'inettitudine dell'onorevole Menabrea. SESSIONE DEL 1867 Io, sostenitore della libertà di coscienza, rispetto le sue opinioni; ma, vedendolo ministro in questo momento, rimango stupefatto, ricordando che avantieri lessi il resoconto di una tornata della Camera subalpina, e vidi che l'onorevole presidente del Consiglio, l'uomo che dovrebbe parlare alto all'Europa ; che, occorrendo, dovrebbe chiamare il popolo all'armi, perchè sappia difendere i suoi diritti ; l'uomo che sarebbe costretto (ed è questa la nostra questione vitale) di dire al papa che lasci lo scettro e tenga le chiavi ; che quello stesso onorevole Menabrea, dovendo dare il voto sul matrimonio civile, ebbe la franchezza, per me certo poco invidiabile, ma ebbe la gran franchezza di dichiarare ad un dipresso : « Io non entro in simile questione, io mi dichiaro 7incompetente, l'unico competente nella materia è il supremo gerarca che sta a Roma (.Movimenti a sinistra) ; io non intendo di dire o di fare cosa alcuna che possa offendere la religione cattolica. » L'onorevole Menabrea, conseguente a questi principii, votò contro un'istituzione, la quale, se è maledetta dal Sillabo, pure vive nella più gran parte d'Europa. In un'altra circostanza l'onorevole Menabrea, chiamato a dare un altro voto che riguardava la Chiesa, non già un voto per far discendere il papa dal suo trono, che è cosa molto grave, bensì sull'abolizione del fóro ecclesiastico, abolizione avvenuta già da generazioni in tutta Europa, l'onorevole Menabrea, l'attuale presidente del Consiglio, il quale, come Atlante, vorrebbe mettersi sulle spalle l'enorme peso di redimere l'Italia dal papato e dall'impero, disse : « Io non posso votare questa legge, la quale sarebbe buona in sè, perchè mi pare che gioverebbe a l l a r m a religione;i però, siccome ho dei timori, degli scrupoli (des crain•» ' tes, des serupules), io voto contro la legge. » 0 signori, ministro del regno d'Italia, presidente del Consiglio, un uomo che non deve nutrire nè scrupoli, nè timori per detronizzare il papa, non può essere l'onorevole Menabrea, (Segni d*appr ovazione a sinistra) VÀMBRI. È stato ad Ancona. PRESIDENTE. Ora la parola spetterebbe al deputato La Porta. Lo prego di dichiarare se intende di svolgere il secondo punto, quello cioè che riguarda l'arresto del generale Garibaldi. LA PORTA. Prima di tutto, guardando all'orologio, domanderei al signor presidente se non abbiasi a rimandare alla seduta di domani... PRESIDENTE. Mi pare che l'ora permetta ancora di udire un discorso. Voci. Parli ! parli ! PRESIDENTE. L'onorevole La Porta ha la parola per isvolgere uno dei due punti che succedono a quello svolto dall'onorevole Miceli. LA PORTA. Parlo sul terzo. PRESIDENTE. Ha dunque la parola per isvolgere il terzo punto, quello cioè che riguarda la politica che il • — 3017 TORNATA DEL 9 DICEMBRE 1 8 6 7 Governo intende seguire intorno alla questione italiana ironiche a sinistra); questo fu da lui detto in un banin Roma, e specialmente riguardo alla conferenza pro- chetto, credo che molti il ricorderanno (Sì ! sì !); ed io noi rammento certo perchè l'onorevole Pepoli si taposta dal Governo francese. LA PORTA. L'onorevole Miceli ha dimostrato, mi pare, gliasse le braccia (Si ride), ma perchè finalmente egli come la condizione attuale del nostro paese non è un confessasse quanti errori, quanti inganni, quante svenfatto accidentale, non è cosa che deve sorprenderci, ture ha prodotto quella malaugurata Convenzione al poiché fu prevista. Essa è il risultato di sette anni di nostro paese ! (Bravo ! a sinistra) indirizzo che gli uomini i quali hanno governato l'ItaMa questa Convenzione, o signori, scritta, voi lo rilia, sempre e costantemente seguirono. cordate pur troppo, questa Convenzione scritta col Egli vi ha dimostrato come la politica francese è sangue di Torino, fu cancellata dal sangue di Menstata conseguente rispetto al papa e all'Italia, sia che tana. Due plebisciti di sangue salvano l'unità della nafosse annunziata nelle note o nei discorsi imperiali, zione. (Bravo ! Bene ! a sinistra) sia che si fosse rivelata nella potenza dei fatti ; la L'onorevole Miceli non vi asseriva, ma vi provava Francia ha conteso sempre Roma all'Italia. Egli vi ha all'appoggio dei documenti diplomatici, vi dimostrava altresì dimostrato : che se equivoco, se contraddizione, come i frutti maturati della Convenzione, da noi semse assurdo c'è stato, è nell'interpretazione che di que- pre previsti e segnalati, da quella parte (Accennando a sta politica faceva la parte moderata d'Italia, che ha destra) e da coloro che sedevano al Governo sempre tenuto sempre il governo del nostro paese, ed all'om- negati, essi maturaronsi, ma a nostro danno. bra di quest'interpretazione, sempre benevola per l'ItaE voglio rilevare con lui la censura che egli fece allia, essa ha governato, e, se non m'inganno, essa pre- l'indirizzo del passato Ministero, il quale avendo in tende ancora di governare... mano una seria questione diplomatica colla Francia, avendo in mano le prove della violazione della ConUna voce a sinistra. È al governo. LA PORTA. È al governo, ma pretende ancora di go- venzione, non seppe farle valere, non seppe denunf vernare. Dì maniera che l'onorevole Miceli ben con- ciare quella Convenzione come era suo diritto, come chiudeva dicendo che dobbiamo essere grati ai di- era interesse nazionale : egli si contentò della nota al scorsi dei ministri francesi, i quali, vedendo tanta osti- La Valette, la quale confessava la violazione della nazione negli interpreti della politica imperiale, han Convenzione, confessava che la legione d'Antibo era creduto bene di dichiarare crudamente, senza o r p e l l i , "formata di soldati francesi: e che cosa prometteva, siquale essa fosse, esclamando ancora: est-ceclair ? hanno gnori? Egli diceva che quando finiva il loro tempo sadetto : mi volete capire ? e non l'hanno detto solo al- rebbero liberati i soldati, e gli ufficiali restavano perl'indirizzo dell'opposizione in Francia, ma anche al- chè così si è praticato, ecc. ' l'indirizzo degli amici e degli interpreti della politica Ma, signori, il servizio dei soldati per la legione di 'imperiale in Italia. (Bene! a sinistra) Antibo non si liberava molto presto dagli obblighi e Egli vi ha accennato i frutti della Convenzione del dalla solidarietà coll'esercito francese. I libretti di il5 settembre, quei frutti che nel discorso imperiale, massa esibitivi testé dal mio amico lo attestano altaLibro" Azzurro, sono tanto proclamati e decantati : mente. Quando la Convenzione stava per maturare i suoi L'Italia non ebbe soddisfazione di quel risultato difrutti, ecco che è sopravvenuta un'invasione da parte plomatico ; doveva esserne facilmente soddisfatto l'odegl'Italiani nella frontiera pontificia. norevole Rattazzi ? E meritava egli in verità, per I frutti della Convenzione del 15 settembre, previsti questa politica, di essere messo in linea con Mazzini sin da quando su di essa si discusse, e ricordati ora e Garibaldi? (Movimenti) Io non lo credo. dall'onorevole Miceli, sono ben noti all'Italia : l'interPerò l'onorevole Miceli, ed io lo approvo, vi disse vento mascherato, il debito pontificio pagato col da- come il monopolio della lealtà non è nelle mani del naro dell'Italia per servire all'intervento mascherato, Governo francese. la Francia dietro la legione d'Antibo. pronta a soccorLe trattative, le confessioni, le sconfessioni tante rerla in ogni bisogna, trasporto della capitale, la ri- volte ripetute a proposito di quella legione mostrano nunzia a Roma, la missione Yegezzi-Tonello, i con- la poca buona fede del Governo francese. Ma vi è tratti Dumonceau-Borgatti, Erlanger-Ferrara, le prati- un'altra prova di più. Leggendo il discorso del miniche per la riconciliazione col papato. stro imperiale De Moustier, io ho trovato delle parole gravi, delle parole che io non posso credere non siano PIPOLI. Domando la parola. LA PORTA. E godo domandi la parola l'onorevole Pe- state rilevate dal presidente del Consiglio. Un minipoli il quale, quando quella Convenzione si discusse in stro di Stato in Francia ha detto nientedimeno che un Torino, la domandò parimente per proclamare che, se ministro italiano proponeva l'intervento misto, cioè la Convenzione del 15 settembre, alla quale egli aveva proponeva al Governo francese non la parte dell'inavuto parte, avesse imporrato rinuncia dell'Italia a gannato , ma la parte del traditore. Io domando : Roma, egli si sarebbe fatte tagliare le braccia (Risa questo ministro italiano è ancora a Parigi ? Sì, questo — 3018 — CAMERA DEI DEPUTATI ministro che dovette dalla tribuna diplomatica del Corpo legislativo di Francia assistere a questo grande elogio indirizzato a lui, al Governo che egli rappresentava, trovasi ancora rappresentante del Governo italiano a Parigi ! (Bene ! Benissimo ! a sinistra) Ma io soggiungo, signori : era egli nel diritto il signor De Moustier? Le note diplomatiche italiane che ieri ci sono state distribuite depongono contro di lui e dimostrano qual fosse la linea di condotta del Ministero italiano. L'intervento nel territorio pontificio fu proposto da Rattazzi, fu proposto per le sole armi italiane, la Francia negò. Io non so elogiare questo permesso che il ministro Rattazzi domandava alla Francia per intervenire, mentre, o non doveva intervenire, o doveva giustificarsi dopo essere intervenuto. Questa è la politica che nell'interesse d'Italia sarebbe stata conveniente per il Governo italiano. Ma egli noi fece ! Però il ministro d'Italia a Parigi in un suo telegramma del 15 ottobre propone al ministro italiano, se lo credeva, di avanzare una proposta per un intervento italiano onde ristabilire la quiete, e poscia ritirarsi, proponendo altresì per risolvere la questione anche un Congresso. Risponde con un altro telegramma del 16 ottobre il presidente del Consiglio: no, io sono contrario all'intervento con tali condizioni; e dichiara non volerne prendere l'iniziativa, anzi voler evitare un Congresso. Il 17 ottobre sopravviene un telegramma di Nigra che dice che il ministro Rouher voleva, ma non ardiva proporre Vintervento doppio. Un altro telegramma del cav. Nigra in data del 17 ottobre dichiara che il ministro Rouher propone di regolare di comune accordo un doppio intervento, e propone un Congresso o qualche altro mezzo. E colla stessa data risponde il ministro Rattazzi negandosi a regolare anticipatamente il doppio intervento, dichiarando che il consenso del Governo italiano ferirebbe il sentimento nazionale, e insistendo pel solo intervento italiano, e contro l'intervento francese. La proposta adunque di un intervento misto procede da un ministro di Stato francese, non dal ministro italiano. Ècco, o signori, su qual fondamento si basano degli insulti diretti non ad individui, ma diretti al Governo, diretti alla nazione italiana; si travisano i fatti diplomatici, per imputare al Governo italiano le proprie proposte, e battezzarle colla qualifica non solo d'inganno, ma di tradimento ; così fu chiamata la proposta del ministro italiano a Parigi, una proposta da traditori. Io sono di accordo coll'onorevole Miceli ; io non credeva che noi oggi avessimo dovuto discutere in questa condizione la questione di Roma e l'indirizzo politico del Governo ; io mi credeva che a principio di seduta il presidente del Consiglio avesse annunziato che il ministro italiano a Parigi era stato richiamato. È questo il primo atto di una politica, che senza essere provocante e spavalda, sarebbe stata la più s SESSIONE DEL 1867 conforme alla dignità della nazione. (Bene ! a sinistra) L'onorevole Miceli definiva l'attuale Ministero sorto da una nota francese, eia un ordine, da un'intimazione della Francia ; egli ha tenuto una politica la più conforme alla sua origine, al suo battesimo, e gli elogi che sono piovuti sopra la sua fronte vengono dal Governo francese; è il Governo francese che lo chiama patriota^ franco, energico. (Si ride a sinistra) Lo ha meritato ! (Bravo ! Bene ! a sinistra) Il Ministero, costituitosi, eseguiva, come diceva l'onorevole Miceli, gli ordini della Francia, faceva il suo proclama del 27 ottobre, ed in verità sorpassava forse le speranze di coloro che l'esigevano. Il Ministero però faceva un solo atto di resistenza. Sapendo che la bandiera francese sventolava a Civitavecchia, egli interveniva, dava l'ordine alle truppe di varcare i confini pontificii. Or bene, io domando quante truppe stavano ai confini pontificii dal 20 al 30 ottobre, quante truppe erano disponibili nello Stato? È un fatto, signori, su cui debbono esserci delle spiegazioni categoriche, la Camera legislativa dee sapere come il Ministero precedente, come 11 Ministero attuale (poiché dal 14 ottobre, ed anzi dal 12 settembre si conosceva che, appena un volontario italiano, appena Garibaldi avesse messo il piede sul territorio pontificio, la Francia minacciava il suo intervento), la Camera dee sapere come il Governo italiano si disponeva a tutelare il diritto e la dignità nazionale. Da una nota francese del 21 agosto, diretta dal signor Yillestreux al Ministero francese appare che la polizia francese, informata anche al di là del vero, e che esagerava quello che vedeva a nostro danno, constatava che 40,000 uomini dell'esercito italiano circuivano la frontiera' pontificia, e che non si sapeva rendere conto come con 40,000 uomini non si potessero custodire i confini. Ora, se il Governo francese avesse saputo che non vi erano che 12,000 uomini ai confini, avrebbe rimproverato l'insufficienza delle forze che si mandavano e non si sarebbe maravigliato che non si potessero custodire i confini, e non avrebbe accertato che vi erano colà 40,000 uomini. Questa nota è del mese di agosto: se alcuno ne mettesse in dubbio l'esistenza, sono pronto a darne lettura. Come può adunque sussistere che, allorquando il Ministero Menabrea prese il governo dello Stato, 12 mila combattenti soltanto si trovarono disponibili? . Voglio per un momento concedere che vi erano soltanto 12 mila uomini. Una delle due : o voi, vedendo il numero scarso delle forze, vedendo l'esèrcito scomposto, avendo ceduto a tutte le intimazioni francesi, dovevate rassegnarvi sino all'ultimo e non intervenire ; oppure, se ciò nonostante volevate intervenire, non eravate più padroni di voi stessi, non potevate più ritirarvi, poiché allora sorgeva una questione di dignità — 3019 - TORNATA DEL .9 DICEMBRE nazionale, una questione di bandiera militare. Voi vi ritiraste^e vi ritiraste confessando che non v'era più bisogno del vostro intervento. Ora, come avevate dimenticato che pochi giorni prima la Gazzetta Ufficiale, le vostre note diplomatiche, ed anche un dispaccio del capo dello Stato diretto al sindaco di Torino aveano detto che motivo dell'intervento italiano era la bandiera francese che sventolava in Civitavecchia? Come dimenticaste di aver proclamato che il sentimento del diritto vi spingeva ai confini pontifici ? Come avevate dimenticato che la Convenzione, essendo un contratto bilaterale, allorquando una parte contraente (sono le vostre parole), si teneva in diritto di intervenire, anche voi dovevate entrare per tutelare il vostro diritto ? Era esso dunque difeso il vostro diritto, era assicurato dalla giornata di Mentana? Oh sì, l'esercito italiano passò i confini, e dopo di essere stato costretto ad un mestiere che ripugna all'esercito italiano/ al mestiere del gendarme pontificio, l'esercito fu obbligato ad assistere, coll'arme al braccio, alle meraviglie del fucile Chassepot! a vedere squarciare da palle francesi il petto dei volontari italiani! E il Ministero non ebbe una parola per quel fatto ; egli che nel proclama del 27 ottobre chiamò fratricida una guerra tra la Francia e l'Italia, egli non ebbe che insulti per i combattenti, per i morti di Mentana! (Bene! Bravo! a sinistra) . ' •" La Gazzetta Ufficiale che riporta il fatto di Mentana non ha che calunnie ed jpWhazioni ! Essa dice : Attaccati e sconfìtti i volontari, ' mentre i nemici dei volontari, mentre il ministro£?féÌla guerra del papa, mentre il generale francese, nei loro rapporti, parlano e rivelano la resistenza che vi fu in quella giornata ; parlano e rivelano che, se non accorrevano le truppe francesi, le truppe pontificie erano sbaragliate, erano vinte. Il Ministero d'Italia che doveva curare nei volontari anche l'onore delle armi italiane, non ebbe altre parole che attaccati e sconfitti! (Segni d'approvazione a sinistra e dalle gallerie) E, qualche cosa di più, egli insinua, imputando a carico del generale Garibaldi un deplorabile spargimento di sangue, come che il sangue fosse stato sparso per effetto di un capriccio, e non già speso per tutela del diritto nazionale, per difesa di quell'onore delle armi italiane, che il Governo non avéva saputo tutelare. (Bene! a sinistra) Ma l'onorevole Menabrea aveva ancora qualche altro ordine da eseguire. Gli era stato intimato dal Governo francese da tanto tempo l'arresto dei volontari, non si pronunziava ancora il nome di Garibaldi; almeno dalle note fatte pubbliche nelle Camere legislative questo nome non appariva nell'intimazione d'arresto. Ma egli arrestò il generale Garibaldi, dicendo che ciò faceva in ossequio alla legge, e per tutelare l'ordine pubblico. 1 v SESSIONE 1867 — CAMERA DEI DEPUTATI —- Discussioni. 378 1867 Signori, io lascierò che altri sviluppi l'incostituzionalità di quest*arresto, incostituzionalità ©he non è amnistiata. No, il Parlamento non vi può amnistiare come voi cercaste di regalare l'amnistia ai volontari della giornata di Mentana, ai volontari che nel territo-* rio pontificio volevano attuare il plebiscito nazionale. Io credo che l'amnistia dovrebbe chiederla il presidente del Consìglio alla Camera, e che la Camera non dovrebbe accordarla.... {Segni d?approvazione a sinistra), non per lui, ma per la difesa dello Statuto nazionale. È la seconda volta che si arrestano deputati, è la seconda volta che la Camera non si pronunzia su questo fatto. Guai se si scivola! Lo Statuto non è più guarentigia per alcuno. Ma di queir arresto e del ritiro delle truppe italiane 1' onorevole Menabrea ne ebbe un gran premio; Leggete nei documenti diplomatici francesi, vi troverete uh telegramma di Antonelli il quale felicita il Governo italiano, per l'arresto del generale Garibaldi e pel ritiro delle truppe italiane. (Movimenti) Leggendo quel dispaccio io arrossiva; ma il presidente del Consiglio ha meritato quegli elogi! (Risa d'approvazione a sinistra). Egli è venuto l'altro giorno alla Camera a dichiarare come, oltre ad essere ispirato dal concetto di rassicurare 3a Francia, mediante l'obbedienza e l'arrendevolezza della sua politica estera, egli voglia assicurare anche l'Italia, la Francia e l'Europa tutta, come intenda mantenere inviolato il principio d'autorità. E in nome di questo principio d'autorità noi vediamo attualmente cosa avviene nello Stato italiano. • Mi spiace che non sia al suo posto l'onorevole Gualterio che è degno esecutore, anzi forse sorpassa gli stessi disegni, lo stesso programma dell'onorevole Menabrea in fatto di repressione, di reazione e di arbitrio. Io, o signori, lo caratterizzo con una parola: quello è ministro provocatore. (Bravo! Bene! a sinistra) Avendo annunziato il Ministero nel proclama del 27 ottobre, e nelle note diplomatiche, e siccome queste frasi si riverberano colia frase del Governo imperiale, che in Italia c'è un partito, non la grande maggioranza nazionale, ma un partito il quale non vuole già Roma per darla all'Italia come sua capitale, ma vuole romperla colle istituzioni monarchiche,, era ben naturale crearlo questo partito, e se n'è incaricato l'onorevolje marchese Gualterio. (Bravo! a sinistra) Quindi egli vede dappertutto cospiratori e cospirazioni, mazziniani e repubblicani. Io dunque non esito a caratterizzarlo ministro provocatore, poiché io sono avvezzo un pochino a questa politica: io l'ho veduta questa politica sotto i Governi passati ; l'ho sperimentata in Sicilia ; ed io, che allora lavorava quanto poteva per la caduta del Governo borbonico, io mi felicitava quando vedeva questa politica portata alle ultime sue conseguenze, poiché era — SESSIONE DEL 1867 quella che accelerava la caduta ài quel Governo, era quella ch¿3 accelerava la vittoria de' miei principii. (Segni di approvazione a sinistra) A Bologna, signori, si trasportava il corpo di un ¿maggiore morto a Mentana, del valoroso Martinelli ; quella città era a lutto e si preparava ad accogliere le spoglie del cittadino illustre, che aveva speso la sua vita per la patria. Ebbene ; questo fatto, riferito al marchese Gualterio, gli fece vedere non so che cosa, qualche grande cospirazione, un pericolo per l'ordine pubblico. I soldati furono consegnati ; battaglioni intieri furono schierati, e l'indomani fu perquisita la società di mutuo soccorso degli operai, società che conta moltissimi membri e che ha meritato un premio dalla Cassa di risparmio, una delle più distinte società operaie d'Italia. Ebbene in essa si trovò un pericolo di cospirazione, e si perquisì; il mandato non era in regola, fu protestato, si ritornò al potere giudiziario, ma il mandato non era in regola ancora; ciò non ostante l'autorità di pubblica sicurezza insistette in onta alla legge (di queste miserie non si sorprende l'onorevole Gualterio): e che cosa si trovò ? Niente. Che cosa si poteva trovare? Altri arresti furono fatti. 10 non mi dilungo, poiché, in Napoli, Genova, Milano, Parma, tutti sanno chi sia il marchese Gualterio. Il Consiglio municipale di Napoli fu sciolto perchè era in odio al marchese Gualterio. (Bisaironiche a sinistra) Le autorità le quali non si credono di piena condiscendenza nell'eseguire questa sua politica, questa sua febbrile politica, sono subito destituite. Il marchese Gualterio vuole una macchina, la quale sia riverbero delle sue tendenze; cioè la provocazione, l'arbitrio e la violenza. Signori, si è con questo sistema che l'onorevole marchese Gualterio crede di tenere alta la bandiera del principio di autorità. La storia dei Governi caduti è fatale, e avrebbe dovuto servire come d'esperienza, poiché l'arbitrio, la provócázione e la violenza furono quelli che aiutarono il risorgimento nazionale, quelli che affrettarono la caduta dei passati Governi. - L'onorevole Menabrea conchiudeva il suo discorso l'altro giorno con un altro appello, appello a stringerci tutti attorno alla bandiera della monarchia. Ma che ? Forse che i deputati che siedono in quest'Aula, prima di esercitare il loro mandato, non giurarono fedeltà al Re ed alle leggi ? Trova del pericolo per la monarchia in quest'Aula o accenna di trovarlo fuori ? Ma io dirò delle verità all'onorevole Menabrea : secondo la mia opinione, io credo di dover essere franco pubblicamente : la monarchia italiana è sorta dai plebisciti, dal suffragio universale. 11 capo dello Stato lo rammentò nel celebre proclama del 3 agosto 1862, quando, sconfessando il movimento nazionale verso Roma che finì in Aspromonte, disse: « Allorché l'ora pel compimento della grande opera sarà suonata, la voce del vostro Re si farà sentire da voi. Re per la volontà della nazione, io saprò conservare nella sua integrità la dignità della Corona e del Parlamento, per avere il diritto di domandare all'Europa completa giustizia per l'Italia. » Se per avventura continuasse quella politica, la quale oggi, in una maniera più chiara, fa temere alle popolazioni che il plebiscito nazionale non è sempre costantemente, come deve essere, la legge del Governo e della monarchia ; se il compimento del plebiscito in Roma possa non essere sostenuto, come è dovere del Governo e della monarchia, allora, o signori, è questa politica, sono i ministri che la personificano quelli che potrebbero mettere in pericolo la monarchia italiana. E badate che, parlando di monarchia italiana io parlo della Corona e della dinastia, perchè, èbene che si sappia, dinastia e Corona, si identificano in Italia, non c'è differenza, il plebiscito lega il padre ed il figlio alle leggi dello Stato, lega la dinastia di Savoia. Ora, con questi precedenti, conchiudeva il mio amico Miceli, con quale sicurezza può l'onorevole Menabrea presumere che noi possiamo affidargli il governo ed i destini della patria? Qual è l'indirizzo imprescindibile per l'Ital:a? L'onorevole Miceli mi ha preceduto, ed io sarò breve e franco. Spieghiamoci. Crede, l'onorevole Menabrea, che noi dobbiamo continuare d'accordo colla Francia a trattare la questione di Roma? Fino a ieri lo credeva; egli inviò il generale La Marmora a Parigi, perchè cercasse con Napoleone III di mettersi nella via di un accordo diretto, anziché andarvi per la conferenza. La Gazzetta Ufficiale non risparmiò elogi all'efficacia di tal missione. Io non so, né dalle note diplomatiche si rivela quale fu la missione precisamente data all'onorevole La Marmora; se però devo arguire dai risultati, la missione del generale La Marmora la troviamo nei discorsi dei ministri francesi al Senato, ed al Corpo legislativo. Diceva Thiers a Rouher ed a Moustier : togliete gli equivoci, dite all'Italia che voi non volete intaccare l'unità italiana, ma che Roma non l'avrà mai. E Rouher ripetè quasi la stessa frase di Thiers, del nemico dell'unità italiana. (Sensazione) Signori, se questo è il risultato della missione affidata al generale La Marmora, io me ne congratulo con voi, è un bel risultato ! Volete persistere nella speranza, nell'accordo, nell'alleanza francese, malgrado che essa vi offra questi risultati? Voi domandavate : che cosa si fa ? Con chi si va ? Dove si va ? , Questa domanda in verità non è il presidente del Consiglio che deve rivolgerla a noi, è una domanda che noi rivolgiamo a lui, e con più ragione, perchè noi sappiamo d'onde egli viene, come è venuto (Bene ! a 8021 — TORNATA DEL 9 DICEMBRE sinistra) e possiamo temere dove ci porterà. (Benissimo ! a sinistra) Io ho già fatto sentire quale è il mio concetto sull'indirizzo che convenga all'Italia nelle attuali condizioni. Se dopo la giornata di Mentana avessi frovato un Governo che, ligio al diritto e all'onore nazionale, avesse compreso come spesso anche le sconfitte salvano un paese, attestano l'esistenza nazionale, come gli eserciti non si formano pei regolamenti di disciplina, per le monture, per le caserme, ma per un principio morale che sostengono, per quell'onore di bandiera che sta scritto in tutti i cuori dei soldati; se egli fosse venuto alla risoluzione di una resistenza immediata alla Francia, io sarei stato con lui. Oggi, dopo quello che ha fatto, io non posso proporgli che domani faccia la guerra alla Francia ; ma ho detto, e sostengo, che con un Governo, il quale ci tratta come il Governo francese, non è possibile, o signori, che vi sia accordo, alleanza, amicizia, non è possibile che si mantengano delle relazioni diplomatiche. Ritirate l'ambasciatore da Parigi. Ma l'onorevole Menabrea questo non può farlo. Dovrei cominciare da qualche altro consiglio, ma questo consiglio l'onorevole Menabrea non lo accetta da me; io spero lo accetterà da un ordine del giorno della Camera; quello di lasciare il suo posto ad altri i quali non abbiano precedenti che possano far diffidare della fermezza, della energia italiana (di quella elogiata in Italia, non di quella che si elogia in Francia) per difendere l'onore nazionale quandochessia, per rivendicare l'Italia dagl'insulti che oggi subisce, per difenderla dai pericoli che la minacciano, e ! acquistarle quella capitale per la quale non occorrono altri voti. Sta sempre il plebiscito, e quella parte di voto del Parlamento, il quale è inalterabile, non si può revocare ; ne certo vi sarà un Parlamento italiano che revocherà il voto di Roma capitale d'Italia. Vedete, signor presidente del Consiglio, che questo non è un consiglio che voi possiate accettare. MENABREA, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri. Lo diriga alla Camera. LA PORTA. Io mi dirigo alla Camera ed al Governo. Io spero che anche gli uomini che seggono dall'altra parte non avranno difficoltà di accettare questo indirizzo. Essi hanno avute della serie e recenti lezioni ; essi, che tanto hanno fatto per la politica francese, per interpretarla sempre benevolmente, oggi cesseranno dalla loro ostinazione, ed oggi anche penseranno alle parole di De Moustier, che sono al loro indirizzo : Il Governo d'Italia non è nelle mani della vera maggioranza. No, o signori ; vi è una maggioranza vera, nuova di cui il nucleo, la base attualmente è il signor presidente del Consiglio. Voi che tanto avete fatto per la politica 1867 francese, ora non siete più utili, perchè la politica francese non ha più bisogno dell'equivoco ; essa chiaramente e solennemente vi rinnega. È un'altra maggioranza, signori, quella che essa vuole. Seguirete questo indirizzo quando nell'Assemblea legislativa i ministri imperiali hanno detto: L'unità d'Italia con Roma capitale la maggioratila del paese non la vuole? E questa è una conseguenza della prima premessa, essendoché noi non siamo la vera maggioranza del paese, dacché abbiamo voluto Roma capitale d'Italia, e vogliamo mantenere quel voto. Io credo che coteste parole saranno ben ricordate, senza che io le legga nel testo officiale. È la nuova Italia che preconizza il Governo imperiale, la nuova Italia senza Roma, è la nuova maggioranza d'Italia che prende il governo dello Stato, una maggioranza vera, più illuminata. Questo è il pensiero di Moustier, chiaro talmente che non vi può essere dubbio. (.Movimenti) Ma, si dirà, volete voi fare una guerra immediata alla Francia? No,io non domando questo, ma dico : rompete le relazioni diplomatiche ed ordinate il paese e l'esercito. Io spero bene che non avremo bisogno di fare guerra alla Francia ; ma se un giórno questo bisogno ci fosse, ebbene fa d'uopo che il paese sia preparato a farla come deve un paese che si rispetta, che si ricorda, che ha un diritto da difendere ed una bandiera da tenere alta e rispettata. Ora chi si oppone a questo indirizzo ? Siamo franchi, o signori. Io desidero spiegazioni chiare, specialmente da' miei colleghi che siedono di fronte a noi. Questa mattina si^ preludiò alla questione, non si ebbe premura di risolverla in un senso che potesse proprio tagliarne il nodo, cioè rompere gli accordi colla Francia, poiché nell'ordine? del giorno Sella implicitamente ciò v'era. È vero ciré la parola esplicita fu tolta, ma le logiche conseguenze di quell'ordine del giorno erano quelle : quando voi proclamate il diritto nazionale su Roma, mentre il Governo di Francia nega ciò, voi non potete più parlare d'accordi colla Francia, la politica dei sette anni, la politica che s'è fondata sull'alleanza, sull'obbedienza, sull'arrendevolezza verso la Francia ha fatto il suo tempo. Se poi volete rinunziare a Roma, se volete mistificare nuovamente il paese con un altro accordo colla Francia, come ha sperato di fare l'onorevole presidente del Consiglio per mezzo della missione del generale La Marmora, allora ditelo chiaramente ; è tempo di parlare chiaro in politica, senza misteri. Nella politica dell'attuai Ministero non c ; è contraddizione, essa è chiara, e la mia opinione essendo opposta a quella del Ministero, non posso che desiderare che seggano su quei banchi altre persone le quali possano attuare in faccia alla Francia un altro indirizzo. Io non aggiungo altre parole : forse ho detto troppo, poiché in argomenti come questi sanguina il cuore 8022 CAMERA DEI DEPUTATI — SESSIONE DEL 1 8 6 7 al do ver v. si soffermar sopra, e più che parole ci vorDiscussione dei progetti di legge : rebbero al potere nomini i quali ci dispensassero dal dirne, quando occorrono dei fatti, e fatti degni di una 1° Disposizioni relative ai detenuti nelle carceri di grande nazione come l'Italia. (Bravo ! Bene ! a sini- Palermo ; stra) 2° Convalidazione di decreto relativo ai militari La seduta è levata alle ore 5 40. delle pro^incie venete, privati dell'impiego per motivi politici ; 3° Disposizioni a favore dei militari ed assimilati Ordine del giorno per la tornata di domani : della già marina austriaca, privati d'impiego per moSeguito della interpellanza dei deputati Miceli, La tivi politici; Porta e Villa Tommaso sopra la condotta tenuta dal 4° Nuova circoscrizione della provincia di ManGoverno negli ultimi avvenimenti politici. tova.