ITA TU RA G E it ION Z ffe. U a c B l I tea TR ocra DIS s . w ww Numero novantuno – Novembre 2013 Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca Direttore responsabile Sisto Capra L’EDITORIALE Un’idea “politica” di laicità CESARE ANGELINI - CARLO LINATI CARTEGGIO 1918-1947 (Continua a pagina 12) Renzo Cremante Nicoletta Trotta DA PAGINA FONDAZIONE SARTIRANA 8 A PAGINA 12 IN QUESTO NUMERO ARTE Made in Italy In Bielorussia GIOCARE per prevenire il declino cognitivo S. PAZZI - V. FALLERI C. TASSORELLI E. CAVALLINI GIORGIO FORNI alle pagine 6-7 alle pagine 2-3 Orari: Lunedì - sabato 9:00-19:30 Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30 Sottoscrizione per il nostro giornale Il contributo potrà essere versato direttamente in contanti o al conto corrente bancario Iban IT81F0504811302000000044013 intestato a Socrate al Caffè. In questi primi giorni hanno aderito al nostro appello gli amici: Scarpe d’artista? la Feltrinelli a Pavia, in via XX Settembre 21. AGLI AMICI «Amici di Socrate al Caffè, stateci vicini in un momento di difficoltà economica». Salvatore Veca e Sisto Capra, fondatori del ciclo di incontri che ha compiuto dieci anni di vita e del giornale, lanciano un appello per la salvezza del “Giornale di Socrate al caffè”, il mensile a distribuzione gratuita da loro diretto, il cui primo numero è uscito nel gennaio del 2003. Nell’incontro di domenica 27 ottobre alla libreria Feltrinelli di Pavia è stata lanciata una sottoscrizione. Il giornale di Socrate al caffè mira a coprire il budget per il costo della stampa nel 2014. Pubblicare i dieci numeri annui del giornale costa complessivamente 5.000 euro, per le sole spese di stampa, poiché collaboratori e direttori non percepiscono alcun compenso. di Salvatore Veca uscito in questi giorni un mio libretto che si chiama “Un’idea di laicità”. L’ha pubblicato il Mulino. Al vecchio Socrate ho solo fatto un cenno alla faccenda, perché mi ha subito detto che di questioni come la laicità lui proprio non se ne intende. Ha già avuto i suoi bei problemi con gli déi nella polis. Ora, come tutte le idee importanti di valore politico e morale, l’idea di laicità è vaga ed è esposta a una essenziale varietà di interpretazioni. Un concetto di laicità, più concezioni della stessa. E la vaghezza, anche nel caso dell’idea di laicità, non ne riduce l’importanza. Ma un modo per rendere le nostre idee almeno un po’ più chiare può essere quello di lavorare a una singola interpretazione della nostra idea preziosa ed elusiva. L’interpretazione che propongo nel mio libretto è specificamente politica. Ed è basata sulla connessione fra la virtù della laicità e la forma di vita democratica, le sue istituzioni e le sue procedure. Più precisamente, sulla connessione fra la virtù pubblica della laicità e la natura distintiva della eguale libertà democratica di cittadinanza. Può essere interessante ricordare che, almeno nella mia prospettiva, APPELLO Patrie e radici di GIANNI BRERA SILVIO BERETTA alle pagine 4-5 Amici dei Musei e dei Monumenti Pavesi, Silvio Beretta, Paola Bernardi, Giuseppe Bernuzzi, Luigi Casali, Giovanni Rodolfo Cassani, Sandro Coda, Paolo Corticelli, Luigi De Carli, Domenico Gorgoglione, Luisa Lavelli, Pier Giuseppe Milanesi, Mario Mocchi, Paolo Piazzardi, Paolo Ramat, Silvano Riva. Pagina 2 Numero novantuno - Novembre 2013 ome può un gioco essere definito serio? Noi tutti alla parola “gioco” tendiamo ad associare solo la sua componente ludica e di intrattenimento, tralasciando l’esistenza di un obiettivo più generale e importante. Riuscire ad apprendere attraverso il gioco non è soltanto un sogno, ma l’obiettivo dichiarato dei Serious Games, altrimenti noti come giochi seri. I Serious Games sono giochi elettronici progettati per scopi diversi dal puro divertimento, perché simulano esperienze di vita reale difficilmente riproducibili in altro modo. Il fine è quello di guidare il giocatore (player) all’apprendimento di determinate competenze o alla modifica dei propri comportamenti quotidiani imparando con gli esercizi (learning by doing). Questa metodologia fa sì che l’utente si senta protagonista del percorso formativo, aumentandone il coinvolgimento. D’altro canto, “Serious game is a serious business”, come affermato da Ben Sawyer, cofondatore della Serious Game Initiative e considerato il padre di questa tipologia di giochi. Da una ricerca GFK commissionata da AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani) è emerso che nel 2011 il nostro Paese ha superato la Spagna, piazzandosi al quarto posto tra i mercati europei e avanzando di una posizione rispetto all’anno precedente. Il valore del mercato italiano è pari a 993 milioni di Euro. Nel 2006, il valore del mercato globale dei videogiochi era pari a 20 miliardi di euro e all’interno di questo settore i Serious Games costituivano una piccola nicchia di valore pari a 10 milioni di euro. Il rapporto tra valore dei giochi seri e mercato totale dei videogiochi risultava un esiguo 0,05%. Oggi, nonostante la crisi, il giro d’affari è notevolmente cresciuto e si stima che il mercato dei Serious Game valga oltre un miliardo di euro e costituisca circa il 2% di tutto il comparto videogames. L’ipotesi più verosimile è che questo rapporto cresca fino al 3% nel 2015, per un ammontare in valore assoluto che tenderà a superare i due miliardi e mezzo di euro. I campi di applicazione dei Serious Games sono moltissimi: il primo, anche a livello storico, è quello militare. Questi giochi nascono, infatti, come strumento di addestramento per i soldati prima delle missioni, per istruirli sui pericoli in cui avrebbero potuto incorrere e insegnare loro come reagire. Questa particolare tipologia di giochi può essere usata anche in ambito scolasticouniversitario, così come in ambito aziendale. A tal scopo, i Serious Games vengono utilizzati come strumento di formazione dei dipendenti per le competenze più varie: dall’aumento delle vendite incrociate alla gestione delle obiezioni a una miglior comprensione delle esigenze della clientela. La formazione aziendale affrontata con questi strumenti presenta notevoli vantaggi, soprattutto Il giornale di Socrate al caffè Direttore Salvatore Veca Direttore responsabile Sisto Capra Editore Associazione “Il giornale di Socrate al caffè” (iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale) Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia 0382 571229 - 339 8672071 - 339 8009549 [email protected] Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002 per prevenire il declino cognitivo di Stefania Pazzi, Valentina Falleri - CBIM Cristina Tassorelli - IRCCS Istituto Mondino Elena Cavallini - Università di Pavia in termini di costi (di assunzione del personale che eroghi la formazione) e di tempo (perché i corsi possono essere seguiti comodamente alla propria postazione). Recentemente, i Serious Games sono stati utilizzati anche per attività di marketing: alcune tra le più famose multinazionali, quali L’Oréal e Mc Donald’s, li hanno utilizzati rispettivamente per selezionare e inserire nel proprio organico i migliori talenti e per migliorare la propria immagine aziendale attraverso la comprensione dei processi produttivi. Ultimo ma non ultimo, i giochi seri vengono utilizzati anche nel settore salute e benessere. Gli scopi sono molteplici: dai classici esercizi di fitness che tutti I PUNTI SOCRATE conosciamo grazie alla Wii al miglioramento delle abitudini alimentari fino ad arrivare a tematiche più complesse. Tra queste vi è sicuramente la prevenzione del decadimento cognitivo lieve (conosciuto anche come Mild Cognitive Impairment - MCI) e il trattamento della demenza nell’anziano. È proprio in questo contesto che si inserisce la piattaforma Smart Aging, sviluppata nell’ambito di un progetto finanziato dal MIUR dal Consorzio di Bioingegneria e Informatica Medica (CBIM) di Pavia, in collaborazione con due partner pavesi, ossia l’IRCCS Fondazione Istituto Neurologico Nazionale C. Mondino e l’Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento, e al CREB Centre de Recerca en Enginyeria Biomédica Universidad Politécnica de Catalunya di Barcellona. Il progetto Smart Aging contribuisce inoltre alla European Innovation Partnership on Active and Healthy Ageing (VEDI BOX NELLA PAGINA ACCANTO). La piattaforma Smart Aging è stata progettata come un ambiente di realtà virtuale in 3D basato su Serious Games per la diagnosi precoce e il self-training di lievi disturbi cognitivi, in grado di implementare test neuropsicologici di uso comune, scientificamente validati. Il vantaggio è che rispetto a quelli tradizionali su carta, questi test sono notevolmente semplificati e costituiscono uno strumento di screening più amichevole e più motivante. In aggiunta, questo tipo di approccio terapeutico, accessibile per via telematica, favorisce il rapido trasferimento nella vita reale delle competenze acquisite, permettendo facilità di monitoraggio, controllo e documentazione degli effetti del trattamento, ripetizioni infinite di esercizi, trasferibilità su larga scala, contribuendo allo sviluppo di una nuova tipologia di servizi di e-sanità che rendano fruibili, via network, conoscenze ed expertise cliniche. Il target del progetto è la popolazione over 50 che possa essere considerata a rischio aumentato di sviluppare un quadro di demenza franca. L’ambiente 3D è composto da un loft, che racchiude in uno spazio ridotto gli elementi di base di interazione di un ambiente domestico: un (Continua a pagina 3) Ecco dove viene distribuito gratuitamente Il giornale di Socrate al caffè Novembre 2013 - Numero novantuno (Continua da pagina 2) angolo cottura, una camera da letto e un angolo soggiorno (FOTO NELL’ALTRA PAGINA). La navigazione avviene in prima persona, ossia la posizione del giocatore all’interno dell’ambiente è associata a una telecamera, indirizzata dal mouse. All’utente viene quindi richiesto di eseguire compiti correlati alle attività quotidiane. I compiti (task) della piattaforma Smart Aging sono stati progettati per valutare diverse funzioni cognitive: funzioni esecutive (ragionamento e pianificazione), attenzione (selettiva e visiva), memoria (a breve e lungo termine, prospettica), orientamento. Ad oggi, i task realizzati sono cinque: nel primo gioco l’utente deve trovare una serie di oggetti all’interno della cucina, al fine di valutarne la memoria, l’orientamento spaziale e l’attenzione. Gli stessi oggetti dovranno poi essere ritrovati in altri due giochi, per valutarne la memoria a lungo termine. Un altro gioco prevede che l’utente accenda la radio, innaffi i fiori e schiacci la barra spaziatrice ogni volta che alla radio sente la parola “sole”. L’obiettivo è quello di valutare la capacità di pianificazione e l’attenzione Pagina 3 dell’utente. Infine, all’utente viene richiesto di comporre un numero di telefono cercandolo prima nella rubrica e successivamente di accendere la TV: l’obiettivo è quello di valutarne l’attenzione e la memoria a breve e lungo termine. Un Indice di Valutazione viene calcolato all’esecuzione del compito, considerando come parametri il numero di azioni corrette, il numero di errori, le omissioni, il tempo necessario per completare il compito, il numero di selezioni con il mouse e infine la distanza percorsa con il mouse. Il punteggio del Serious Game viene confrontato con i test neuropsicologici tradizionali al fine di convalidare la piattaforma Smart Aging come strumento di screening su larga scala per la valutazione presintomatica e la diagnosi precoce di disturbi cognitivi. La validazione del sistema è già stata avviata: 1000 persone di età compresa tra i 50 e i 60 anni sono in fase di valutazione per la diagnosi precoce di un lieve decadimento cognitivo. I soggetti con decadimento cognitivo confermato e/o demenza neurodegenerativa rappresenteranno il secondo gruppo target. Una volta convalidata, la piattaforma Smart Aging costituirà un potente strumento di screening per la diagnosi precoce dei disturbi cognitivi su larga scala. Del resto, numerosi studi nel tempo hanno dimostrato che l’allenamento della memoria basata sulla realtà virtuale fornisce risultati promettenti nella prevenzione del declino della memoria negli anziani. In particolare, un training cognitivo basato sui videogiochi è efficace nel ridurre il declino cognitivo nei pazienti con Malattia di Alzheimer. In accordo con il Il Consorzio di Bioingegneria e Informatica Medica (CBIM) è un consorzio noprofit di ricerca fondato nel 1992 dall'Università di Pavia e dagli IRCCS pavesi Fondazione Policlinico San Matteo, Fondazione S. Maugeri Clinica del Lavoro e della Riabilitazione, Fondazione “Istituto Neurologico Nazionale C. Mondino”, cui partecipano l’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e l’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Il CBIM opera dal recente articolo “Games to do you good” comparso sulla famosa rivista Nature, “i neuro-scienziati dovrebbero contribuire a sviluppare videogiochi interessanti che stimolino le funzioni cerebrali e migliorino il benessere”. Suonano perciò quasi profetiche le parole di George Il progetto Smart Aging partecipa alla European Innovation Partnership (EIP) on Active and Healthy Ageing (AHA), un progetto pilota della Commissione Europea che mira all’obiettivo ambizioso di aumentare di due anni la vita media in buona salute degli europei entro il 2020. A tal fine si propone di: migliorare la salute e la qualità della vita (in particolare delle persone anziane), garantire la sostenibilità ed efficienza dei sistemi sanitari e assistenziali nel lungo periodo e migliorare la competitività del comparto europeo con attività economiche e un'espansione ai nuovi mercati. La partnership prevede la collaborazione tra la Commissione europea, i paesi dell'UE, le regioni, le aziende del settore, gli operatori sanitari e sociali e le organizzazioni che rappre- PAOLA CASATI MIGLIORINI Perito della Camera di Commercio di Pavia dal 1988 C.T.U. del Tribunale di Pavia Perizie in arte e antiquariato Valutazioni e stime per assicurazioni Inventari con stima per eredità Consulenza per acquisti e collezioni Perizie a partire da 100 Euro TRAVACÒ SICCOMARIO (PAVIA), VIA ROTTA 24 TEL. 0382 559992 CELL. 337 353881 / 347 9797907 www.agenziadarte.it - email: [email protected] 1993 nella progettazione, sperimentazione e validazione di sistemi ICT innovativi in sanità. CBIM ha partecipato e coordinato Progetti Europei relativamente allo sviluppo di servizi e-health nei FP IV-VI M2DM, Homey, MyHeart e nel FP VII COMOESTAS, coordinato dal Mondino. CBIM è partner del Ministero della Salute e del Consortium Garr per la gestione del Sistema Informativo Nazionale della Ricerca Biomedica. Bernard Shaw che in tempi non sospetti affermò: L’uomo non smette di giocare perché invecchia ma invecchia perché smette di giocare”. sentano gli anziani e i pazienti. EIP, la prima Alleanza sorta nell’ambito del programma strategico comunitario Horizon 2020, non si prefigura come un nuovo programma o schema di finanziamento e non cerca di sostituire o duplicare la funzione dei programmi e delle iniziative esistenti. Al contrario, essa intende creare sinergie invitando i programmi esistenti a tenere in considerazione la prospettiva della d o ma n da svi lup pata d a ll a partnership. Smart Aging è inserito in questo progetto attraverso due gruppi d’azione: il gruppo d’azione A3 “Prevenzione e diagnosi precoce della fragilità e del declino funzionale, sia fisico che cognitivo, nelle persone anziane” e il gruppo d’azione D4 “Innovazione per edifici, città e ambienti age-friendly”. PAVIA START UP Creazione di nuove imprese femminili e giovanili INNOVAZIONE & CREATIVITÀ presso Incubatore di Sportello Donna - Business Innovation Center PAVIA, via Mentana 51 - VIGEVANO, via Pisani 1 Mobile 366 2554736 Seguici su FB https://www.facebook.com/groups/151531031688450/ Pagina 4 uando l’amico e collega Angelo Stella mi ha chiesto di intervenire alla presentazione di questo bel volume su Gianni Brera, e per giunta di prendervi la parola in apertura dell’incontro, mi sono domandato se in lui prevalesse la ben nota cortesia personale o non, piuttosto, lo sprezzo del pericolo. Glielo ho anche chiesto, seppure in forma scherzosa. «Ma ti rendi conto - gli ho domandato - che chiedere a un (quantomeno) agnostico dello sport come me di parlare di un giornalista sportivo è come chiedere a Marx di intrattenere il pubblico sul mistero dell’Incarnazione?». E poi ho io sufficiente familiarità con il Po, le osterie e la cucina della Bassa, e con la nebbia che comunque non posso soffrire? E poi questa mistica delle radici, simbolismi da protoleghisti (attribuzione non del tutto infondata, a giudicare dal saggio di Sergio Giuntini contenuto nel volume, ma un po’ contestata in quello di Andrea Maietti, un po’ confermata da Brera stesso quando dice che “La patria di un uomo è il posto dove è nato”, ma parzialmente sconfermata sempre da lui quando proclama che “nello sport non ci sono stranieri”)? Non abbiamo proprio alcun rapporto, noi due, e quindi che posso raccontare? Allo stadio sono stato due volte in vita mia cinquanta anni fa, il ciclismo mi annoia, mi ricordo a stento di quello che ho mangiato il giorno prima (mentre “…si conterebbero meno luoghi dove dormì Garibaldi di quelli dove cenò Brera” si legge a p. 96 del volume) e, come se non bastasse, fra i vini preferisco lo champagne: e poi cosa sono questi esoterismi linguistici (l’ “impasto linguistico di forte impatto mimetico”, come viene definita la prosa di Brera a pag. 262) da Camilleri del fiume, emulati da schiere di seguaci, quasi una setta, comunque una confraternita? Basta, in conclusione, la circostanza di provenire dalla stessa Facoltà, seppure a un bel po’ di anni di distanza, a giustificare la mia indebita intromissione? Mi rispondevo di no, naturalmente, né pensavo sarebbe bastata, a creare qualche consonanza, la mia passione, sconfinante nel fanatismo, per Francesco Guccini, in fondo un Brera di Bologna e dell’Appennino emiliano. Numero novantuno - Novembre 2013 Un convegno e una mostra all’Università Patrie e radici di GIANNI BRERA Sabato 28 settembre si è tenuto, nel Salone Teresiano della Biblioteca Universitaria, un breve convegno in ricordo di Gianni Brera, fra l’altro laureatosi nel 1943 nella Facoltà di Scienze politiche dell’Ateneo pavese. L’incontro aveva lo scopo di presentare un corposo volume (quasi 400 pagine) dal titolo Il tempo sperperato. Nel ricordo di Gianni Brera curato, per iniziativa della Fondazione Maria Corti dell’Università di Pavia, da Angelo Stella con la collaborazione di Gianfranca Lavezzi e Giuseppe Polimeni. Con l’occasione è stata inaugurata una mostra di scritti e documenti, dal titolo La (dis)informazione sportiva in ricordo di Gianni Brera (“ritagli cronache immagini di sport nella storia del Novecento”. La mostra resterà aperta fino al 31 dicembre. L’incontro è stato introdotto da Angelo Stella. Hanno successivamente preso la parola Silvio Beretta, Claudio Gregori e Renata Crotti. In finale Paolo Brera ha salutato il pubblico. di Silvio Beretta Naturalmente mi sbagliavo, non so se per snobismo mal fondato oppure per ignoranza dei fatti e ancora più dei testi, o per entrambi i motivi. Me ne sono accorto, sempre più incuriosito, e pentito al trascorrere delle pagine, leggendo con attenzione (e per necessità di tempo solo) alcuni dei saggi raccolti nel volume, da quello introduttivo di Angelo Stella, ricco e impegnativo, ai contributi di Sergio Giuntini che ho già citato, di Renata Crotti, di Guido Legnante, di Claudia Bussolino, di Matteo Grassano e scorrendo tutti gli altri a cominciare da quello, piacevolissimo, di Paolo Brera. Come si intuisce da questo elenco, non ho superato, neppure in questa circostanza, proprio tutte le mie remore idiosincrastiche. Lo sport, quello esplicito, l’ho infatti costeggiato senza praticarlo, l’ho guardato a distanza, e così i giornali sportivi, e la cucina e il localismo troppo insistito: d’altra parte, ogni conversione che si rispetti è, per la maggior parte dei convertendi, un processo graduale e accidentato e solo a pochi è concessa l’illuminazione, quando mai la cercassero. È nella storia e nella politica, quindi, che ho potuto individuare qualche canale di comunicazione, o almeno qualche punto di tangenza. E Brera, da uomo di vasta e tutt’altro che superficiale cultura, la pratica la storia (“uno storico prestato al calcio” lo definisce infatti Giulio Signori), ma a modo suo o, per meglio dire, seguendo le proprie inclinazioni, il che gli fa impastare fatti e personaggi della storia “ufficiale” con quelli di qualche sport e di qualche sportivo, e poi con vicende e figure dei suoi luoghi, vere o inventate che fossero, il tutto per il tramite del suo speciale linguaggio. Così accade, ad esempio, nella Storia critica del calcio italiano (che è un po’ anche una storia d’Italia, come nota Giulia Delogu scrivendo della Trieste di Brera) dove spicca la singolare coincidenza fra i moti di Milano di fine secolo e il primo campionato italiano di calcio svoltosi proprio l’8 maggio 1898 al Velodromo Umberto I di Torino (lo mette in evidenza Matteo Grassano), ma anche nell’Avocatt in bicicletta. Romanzo di cinquant’anni del ciclismo italiano del 1952 (lo ricorda Alberto Brambilla). E, per quanto ne ho letto (e ne riferisce con sapiente diplomazia Renata Crotti, che si sofferma pure sulle umanissime pagine di “storia fantastica” dei Suggerimenti di Francesco Sforza al figlio Galeazzo Maria), accade anche nelle Storie dei Lombardi, dove Brera si destreggia per oltre quattrocento pagine fra il Nume Po, la grandguignolesca storia di Rosamunda, del guerriero Almakild, di re Alboino e dell’esarca Longino, e poi Francesco Sforza e quindi Manzoni (che “nasce nel 1785 da amplessi ambigui e quasi turpi, di cui non ha verosimile colpa” e che comunque Brera non ama, come non ama Cesare Angelini e nemmeno la “forza arguta e sottilmente maligna” della sua prosa), e ancora il “problema storico” della natura umana dei pavesi con tanto di lode a Maria Teresa e al Pollack ricostruttore dell’Università di Pavia e ai grandi dell’Ateneo, per arrivare fino ai Cipolla (Carlo e Manlio), a Italo Pietra (“il Nigra di Enrico Mattei”), a Cassola e ad Arbasino, per passare poi a Milano (e alla sua storia definita “maschile” per contrasto con la “femmina Italia”) e finire con Carlo Cattaneo fra gli “altri lombardi” e con la lunga carrellata storico-geografica di “Viaggio nel Nord-est”. Ha ben ragione quindi Renata Crotti quando ragiona di Brera storico qualificandolo “Cantore della Storia”, a sottolinearne l’intenzione di occuparsene, della storia, come di un’ “occasione…per dire che il passato ha un valore e come tale va considerato”, cioè per evocarlo e per fissarlo nel tempo, ma come trasfigurato in conformità alle sensibilità dell’autore, non certo a documenti d’archivio. Naturalmente di trasfigurazioni della storia se ne possono dare tante, e tutte diverse fra loro per la potenza evocativa che emanano e per l’emozione che suscitano. Mi permetto quindi di proporvi, a caso, qualche esempio alternativo di narrazione storica, del genere al quale riservo la mia personale predilezione. Comincio con il mio poeta del cuore, il greco alessandrino Constantinos Kavafis, vissuto a cavallo fra Otto e Novecento, e lo faccio richiamando una sua lirica di ambientazione storica del 1912 intitolata “Re alessandrini”. Vi si legge fra l’altro, nella splendida traduzione di Nelo Risi e Margherita Dalmàti e con riferimento alla corte di Cleopatra, allo sfarzo dei suoi figli e alla pompa dei loro titoli regali: “Alessandro fu detto re di Armenia di Media e dei Parti. Tolomeo fu detto re di Cilicia di Siria e di Fenicia. Cesarione stava più avanti agghindato di seta rosa…Di lui dissero più dei cadetti poiché fu nominato Re dei Re…Gli alessandrini si rendevano ben conto ch’era tutto un frasario da teatro…Però il giorno era mite e melodioso, il cielo di un azzurro stemperato…il lusso dei cortigiani era finissimo…con tutto che essi sapevano di certo in quale conto tenere un fatto come questo e com’erano vani di senso tutti quei nomi di regni”. Lo scopo di Kavafis, che pure ha le proprie fonti dal momento che si rifà a Plutarco e ad Apollodoro, non è certo di fare storia accademica ma di restituire liricamente la luminosità esangue di uno spettacolo di corte, e nel contempo la sensazione quasi visiva della sua rassegnata insignificanza, che si accompagna al presagio del suo imminente sfacelo. Né fa storia accademica Manzoni nel trentesimo capitolo de “I promessi sposi”, con la straordinaria sequenza delle truppe imperiali che muovono all’assedio di Casale, infilata dall’autore fra le ambasce di (Continua a pagina 5) Novembre 2013 - Numero novantuno Pagina 5 (Continua da pagina 4) don Abbondio e le “piume e penne delle galline di Perpetua”: “Passano i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt, passano i fanti di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli, e poi quelli di Ferrari; passa Altringer; passa Fürstenberg, passa Colloredo; passano i Croati, passa Torquato Conti, passano altri e altri; quando piacque al cielo, passò anche Galasso, che fu l’ultimo. Lo squadron volante de’ veneziani finì d’allontanarsi anche lui; e tutto il paese, a destra e a sinistra, si trovò libero”: anche qui l’accostamento fra quei risonanti nomi di condottieri e le umili vicende private di tre esuli, unitamente all’iterazione “passano … passano … passano”, evoca con qualche ironia, almeno nella mia percezione, la potenza livellatrice dei drammi della storia e, in fondo, la vanità del potere dei potenti. Appunto: “passano … passano … passano”. Non è certo storia di fatti, infine, la straordinaria affermazione autoassolutoria con la quale il “Gran Ciambellano della Storia”, il principe di Benevento Charles-Maurice de Talleyrand, introduce con supremo, affascinante cinismo la Dichiarazione di apertura del primo dei cinque tomi di quel monumento alla dissimulazione che sono le sue Memorie: “Dichiaro, innanzitutto, di morire nella religione cattolica, apostolica e romana”. Tanti sono quindi i modi di filtrare gli eventi (veri o inventati) per raggiungere uno scopo che poi non è altro che la proiezione di sé: “consolare” con lo sfarzo dei nomi, dei titoli e degli abiti il tramonto di una civiltà, intrecciare con ironica solennità i destini dei grandi e quelli degli umili, “aggiustare” la propria vicenda a uso dei posteri per captarne la benevolenza e attenuarne la severità del giudizio, impastare infine - come fa 3 2 1 Brera - luoghi e personaggi per restituirci, idealizzato con ruvida nostalgica simpatia, un mondo intero: il suo. E veniamo brevemente alla politica, tema affrontato con completezza da Sergio Giuntini. Dall’ analisi emerge un Brera “politico” del tutto coerente con la narrazione che il nostro ha sempre fatto di sé. Vitali, anzi vitalistiche e un poco futuriste, le sue successive e solo in apparenza contraddittorie appartenenze, così come alcuni suoi giudizi. Si veda per tutti l’importante fondo su “Il popolo repubblicano” del 20 febbraio 1944, nel quale coesistono nazionalismo, europeismo à la Mussolini e scetticismo sulla maturità politica dei cittadini, “socialmente attivi” per non più del 20% e mussoliniani per il 15%. Ancora in un articolo del 1968 darà del “magnifico giornalista” e del “vir … roboante” allo stesso Mussolini, per il quale “l’Italia ha straveduto, così confermando la sua natura di femmina”, ma dichiarerà, come per un pentimento, di preferire il “frigido ragioniere” Giolitti. “Salutate l’Impero di Roma ritornato sui colli fatali Alta l’aquila forte e mai doma ancor vola a raggiungere il sol. Giovinezza di sangue e pensiero All’Italia ridiè la vittoria Salutate di Roma l’Impero La grandezza, la fede, l’amor”, aveva comunque scritto nel 1938, lo stesso anno in cui - 27.10.1938 XVI - aveva fatto domanda di iscrizione all’Università di Pavia, Facoltà di Scienze Politiche, firmandosi “Giovani Luigi Brera non appartenente alla razza ebraica”. Non si arruola in sussistenza, e neppure fra gli alpini o gli artiglieri, ma fra i paracadutisti della Folgore. Dopo l’ 8 settembre non mormora né si nasconde, ma fugge in Svizzera per tornare a fare il partigiano in Val d’Ossola; si avvicinerà ai massimalisti di Menotti Serrati e poi ai comunisti, licenziando il primo numero non clandestino de “L’Unità”, organo di quel partito nelle valli ossolane. Si definirà “nazionalcomunista”, sarà nazionalista e nel contempo internazionalista, il che gli costerà la direzione de “La Gazzetta dello Sport”, collaborerà a lungo con un quotidiano, “Il Giorno”, fondato da un ex partigiano cattolico (Mattei) e poi diretto da un socialista (Pietra) per sfiorare nel 1983 il Senato con i socialisti e candidarsi poi senza successo con i radicali. Nel ’68 ammira Che Guevara che assimila a un Pisacane “… molto più fortunato agli esordi, ed egualmente infelice”. Si è già detto del Brera protoleghista, antimeridionalista e inventore di una supposta Padania, nonché sostenitore della “superiorità padana” nel calcio. In tutto questo tempo, e malgrado che le occasioni non gli fossero certo mancate, non sparerà mai un colpo. Di Italo Pietra, capo partigiano, dirà infatti: “Non avere mai ucciso nessuno di sua mano è per me un vanto che lo onora come socialista e come pavese. Neanch’io, per dir vero, ho mai sparato a un uomo, e forse per questo sono indotto ad ammirare Pietra…”. Ci si domanda che peso dare a quelle che hanno tutta l’apparenza di essere contraddizioni di Brera nel contatto con gli eventi della politica, ma che sono, forse, soltanto la proiezione esterna di una prorompente, vitalissima personalità: questa, all’occasione (e le NELLE FOTO NELL’ALTRA PAGINA Istantanee di Gianni Brera IN QUESTA PAGINA 1. Processo alla tappa con Sergio Zavoli e Bruno Raschi 2. Intervista a Fausto Coppi 3. Con Gianni Rivera 4. Con Alberto Lattuada 5.Con Raimondo Vianello e mar Sivori O- 6. Con Azeglio Vicini ed Enzo Bearzot occasioni sono state diverse, e fra loro antitetiche) non ha opposto resistenza alle tentazioni dell’adesione entusiastica, mai tuttavia trasformandosi in comportamenti che pure sarebbero stati, e per molti sono stati, ben giustificati dalle circostanze. Altri agì diversamente. Ci si domanda sempre come ci si sarebbe comportati al posto di un altro. Me lo domando anch’io senza sapermi rispondere. Tuttavia, quando alzo lo sguardo dalla mia scrivania, leggo alla mia sinistra, incorniciato, il numero dell’ ”Avanti!” del 29 aprile 1945. Il titolo, a caratteri cubitali è “Mussolini giustiziato” e il sottotitolo “Anche Pavolini, Farinacci, Mezzasoma, Barracu, la Petacci, Zerbino e Ruggero Romano hanno pagato con la vita”. L’editoriale reca il titolo “Giustizia è fatta”. Leggo il tutto senza un particolare compiacimento, ma con adesione sì. E vengo infine, anche se brevemente e forse contravvenendo a quello che ci si aspettava da me, al Brera studente di Scienze politiche. A questo proposito il contributo di Claudia Bussolino è del tutto esauriente, ben restituendo anche l’atmosfera di una Facoltà di recente istituzione e che si apprestava di lì a poco (ma Brera ne era già uscito) ad attraversare momenti di passeggera difficoltà, la soppressione con aggregazione ad altra Facoltà, documentati anche in questa mostra. Qui troviamo testimonianza del fatto che all’onorevolissimo curriculum universitario di Gianni Brera contribuirono nomi ben noti della vita culturale dell’Ateneo, la cui notorietà aveva per altro già valicato (o lo avrebbe fatto di lì a poco) i confini di Pavia. Lo vediamo già dalle tre tesine che Brera discusse il 27 ottobre 1942XX: quella su “L’Egitto nel passato e nell’avvenire” con Franco Borlandi, uno dei maestri di Carlo Cipolla e poi 4 5 IMPRESA CALISTI PAVIA 1928-2013 TRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVO DI EDIFICI E MONUMENTI STORICI Prefetto della Liberazione, allora docente di Storia e politica coloniale prima di insegnare Storia economica; quella su “La Turchia nel Medio Oriente” con Raffaello Maggi, allora docente di Politica economica e studioso non poco eclettico, che a Pavia si era guadagnato ben tre lauree, era stato allievo di Camillo Supino, aveva conseguito la libera docenza in Economia marittima, si era occupato di industria cinematografica e di industria cotoniera (era nipote di Luigi Candiani, pioniere dell’industria tessile lombarda) per passare, sotto l’influsso di Giovanni Demaria, all’economia teorica trattando, ad esempio, dell’indeterminazione in economia fino a occuparsi di psicanalisi e scienza economica, soprattutto nella successiva sede di Modena e poi in quella, conclusiva, di Bologna; quella infine su “Garibaldi e Cavour nel 1860” con il grande Franco Valsecchi, con il quale per altro non aveva sostenuto l’esame di Storia moderna, essendo Valsecchi arrivato a Pavia nel 1942 da Palermo, e dopo avere insegnato a Lipsia e a Vienna, città nella quale aveva anche diretto l’Istituto italiano di Cultura. Ma l’incontro più scoppiettante deve essere stato senz’altro quello con Vittorio BeonioBrocchieri, studioso, giornalista, scrittore e intrepido viaggiatore che dal 1939 ricopriva la cattedra di Storia delle Dottrine politiche e con il quale Brera discusse una tesi di laurea (orale) su “L’Utopia di Tommaso Moro”. Non so quanti di voi sanno che, a un giovane collega che rispettosamente gli faceva osservare che, in fondo, un po’ fascista lo era pure stato, Beonio domandò di rimando: “Ma che colpa ne ho io se il fascismo si è ‘brocchierizzato’?”. Se la cavò così. Con chi altri avrebbe potuto laurearsi uno come Brera? Silvio Beretta 6 Pagina 6 Numero novantuno - Novembre 2013 FONDAZIONE SARTIRANA ARTE ono ad allestire la nostra collezione di accessori di Moda Italiana nelle bacheche della più bella Biblioteca mai vista (NELLE FOTO). Dall’esterno, soprattutto la sera, quando è illuminata da migliaia di led che cambiano tinta (come nel famoso grattacielo di Barcellona firmato Jean Nouvel) sembra di vedere un’astronave atterrata nelle steppe e tra i boschi bielorussi. L'interno non è da meno, tutto scale e ballatoi di cristallo, come le coperture che lasciano filtrare la grigia luce naturale di questo Paese. Tavoli di consultazione, ognuno con un computer dotato di stampante. Piante verdi ovunque, a separare isole per gruppi di lavoro, o pronte a ospitare incontri e letture o conferenze. Tanti libri, i luminosi scaffali. Strana cosa in un tempo che pronostica la fine della pagina scritta a favore del libro elettronico. Quasi una bestemmia. Siamo lontani dalle atmosfere tipo “Il nome della rosa”, ma l’effetto è sempre, diversamente stupefacente. Ad annoiati custodi degli accessi si oppone la freschezza dei giovani e anziani utenti. Silenziosi si muovono tra i tavoli, diretti al bar o al ristorante panoramico al settimo piano. Ai bagni più puliti e profumati che io ricordi. O alla sauna/ bagno turco (che domani voglio provare!). Corridoi circolari che ospitano mostre di grafica e di fotografia. Per un mese, quasi una provocazione, nelle bacheche del di Giorgio Forni terzo piano abiteranno le creazioni di Ferragamo e Gucci, di Roberta di Camerino e Prada, di Pfister, Ken Scott e Sorelle Fontana, Armani, Ferré e Versace. Iniziando, a giustificare il titolo (cento anni di made in Italy) … con la presentazione dei pezzi di inizio XX secolo. La trousse in corno di bue e argento del milanese Ravasco, con le borsettine da sera in maglia d' argento e porta monete/pillole agganciati. Passando a borse di rettile pregiato (coccodrillo o lucertola) anni 30/40 di pelletterie ignote, sino ad arrivare ai pezzi Ferragamo anteguerra. Subito dopo Venezia e Udine (molto tratto dal guardaroba di mia suocera ...), con le piccole borse in seta o broccato di Rubelli e tanti piccoli capolavori di quella donna fantastica che fu Roberta di Camerino. Velluti stampati con cinghiette e bottoni, asole e falsi taschini. Invenzioni di proto-design pre industriale, che lo anticipavano. i vivono meno di due milioni di abitanti, ma la città è ricca di verde e di piccoli laghi, molto frequentati con la bella stagione. Minsk fu letteralmente rasa al suolo dai nazisti in ritirata dalla Russia e ricostruita mattone su mattone da corvée di cittadini, moltissime le donne, come documentato da una ricca, un poco agiografica a tinte eroiche, raccolta di manifesti che vedo al museo di storia, sede di una nostra mostra anni or sono. Vengo a salutare il direttore e i suoi gentili collaboratori, prima di andare alla Biblioteca Nazionale, fresca di apertura (2009). Magnifico edificio di cui pubblichiamo alcune vedute, lontano dal centro città, cui è ben collegato da mezzi pubblici, sulla strada per l'aeroporto. Arteria grande e maestra, la vecchia Mosca/Berlino, intorno alla quale la città è stata ricostruita. Con un frullato di stili singolare, in qualche modo disorien- Con le mitiche “Bagonghi”, care a Grace Kelly e a Soraya di Persia, Bottega Veneta d'epoca, siamo sempre negli anni 50/60. Poi Pucci e Gucci, con Gherardini e altri marchi dell'eccellenza fiorentina. Salendo in Lombardia con le creazioni di poco successive di Prada, arrivando alla Vigevano di Pfister e Cesare Martinoli. Gloriose fantasie del primo per le dive sue ospiti, ma pure per tante icone dello spettacolo quali Elton John o Rudolf Nureyev, Barbra Streisand e Nancy Sinatra. Sino agli anni 80/90 con le Meduse di Versace, i finti cocco (drillo) di Ferré animalista, le “gipsy bags” D&G tutte cernierine e frange country. Qualcosa di Armani / Borbonese / Trussardi e un nucleo importante di calzature Moreschi, da poco arrivate in collezione. Esempio anch’esse del ben fatto italiano, che riprende l’intreccio prezioso delle pelli e la loro allegra colorazione, anche per l’uomo. Nel poster che presenta la mostra le icone dell’architettura e dell’arte italiane si sposano con quelle della nostra moda. Accoppiamento quanto mai felice e “azzeccato” (… direbbe Tonino ...), sintesi efficace, corretta e convincente. Un eccellente invito, anche turistico, al nostro Paese, sulla scorta di quello 1951 del marchese G. B. Giorgini. Il gentiluomo inventore della moda italiana. Che invitava alle sue sfilate fiorentine con Alitalia targata Pucci e Sorelle Fontana. In compagnia del David e della cupola di Brunelleschi. MINSK Ritratto di una città che cresce tante. Moltissimi edifici mimano al meglio l'architettura neoclassica ottocentesca, con un profluvio di colonne doriche, ioniche e corinzie, metope e frontoni da tempio greco/romano, miste a cupole di rame ottomane. Ma pure di sapore francese, alla Barone Hausmann, tanto per confondere il visitatore, che apprezza i colori e la pulizia perfetta di strade e facciate. Viene da pensare, con buona pace di Sgarbi e “Bollito” Oliva, che i writers siano … in campo di lavoro. A col- tivare patate e barbabietole, o impegnati in altri lavori socialmente utili. La visione da cartolina si interrompe spesso di fronte a possenti edifici razionalisti, di stile sovietico puro, magniloquenti anche quando non celebrativi. Vuoi residenza popolare o blocchi di uffici pubblici, accademie, centri culturali. Molto di nuovo però si è costruito e si sta facendo. Molti grattaceli e alberghi, anche lussuosi. A breve si aprirà una sorta di mercato comune tra paesi ricchi di risorse minerarie e petrolifere, di gas. Con previsione di grande sviluppo e crescita economica, cui la città si prepara per tempo. Cartina di tornasole il traffico, intenso ma ben regolato, di automobili nuove e spesso di lusso. Accanto però agli autobus, spesso elettrici, con cui si spostano, come in ogni parte del mondo, i meno ricchi. Dal mio ultimo viaggio molto è cambiato. Il numero di bar/ristoranti/negozi di moda, tutto a segnare una crescita visibile del tenore di vita dei bielorussi. Di molti di loro, almeno. Novembre 2013 - Numero novantuno Pagina 7 SILVIA LEVENSON FONDAZIONE SARTIRANA ARTE on per feticismo, sia chiaro, ma il soggetto mi ha incuriosito da tempo. Dagli anni del pop, quando Attilio Forgioli ne aveva fatto un tema/mantra del proprio lavoro, forse ispirato da Iannacci e dalla sua famosa canzone. Poi incontro un maestro del vetro muranese, Angelo Rinaldi, e non posso evitare di acquistare per la nostra collezione di sculture luminose la sua “cinderella”. Un fascinoso blocco di vetro cristallo retro illuminato su cui sono incise al diamante e colorate a smalti … scarpette da “favola”. Ma non ho ancora scarpe di Lodola ... Ho la sua Italia/stivale, donataci per festeggiare insieme i 150 anni dell'Unità del nostro disgraziato/straordinario Paese ... Bene. Proseguiamo. Porto Miss Italia al Ministero degli Esteri per la spedizione a Lima/Perù … e un alto funzionario mi presenta la pittrice romana Nora Nicoletti, di cui ha la “stanza” piena di opere coloratissime. Frutta e verdura e fiori. Scherzando, mi lascio scappare la battuta infelice … “chissà se la signora si dipinge così anche le calzature …”. Il mese successivo mi SCARPE D’ARTISTA? CI TOCCANO ANCH’ESSE, PER BACCO! PIER GAGLIARDI, RICORDO DI VIAGGI 2012 ATTILIO FORGIOLI di Giorgio Forni arriva a Sartirana un pacco. “Clarabella e nonna papera: due mie scarpe dipinte come pensavi?”. Così recitava il simpatico biglietto dell’autrice/donatrice. Siamo NORA NICOLETTI, NONNA PAPERA E CLARABELLA MOSCHINO Sotto: ANDREA PFISTER, SHOE BAG (1980. PER IMELDA MARCOS) diventati amici e le sue scarpe, anche se un poco sformate, attirano e divertono i visitatori delle mostre in cui le esponiamo. In compagnia dei prototipi “con posate da tavola” di Franco Moschino e con le crudelissime creazioni (da morir dal ridere l’effetto ragionato ...) di Silvia Levenson. L’artista italo/argentina usa il vetro cristallo o satinato. Ma lo riempie di chiodi e coltelli ... “Bambina cattiva” si chiama il paio di scomode pantofoline! Mentre la bag da autodifesa … porta il titolo “sono una signora!”. “AMOR”, invece, si chiama la borsa in tessere vitree muranesi legate da filo spinato … Tutto uno zucchero! Adoro il lavoro dell’amica Levenson! Devo trovare denari per trasformare il prestito in acquisto. E non fermarmi a questi tre pezzi sublimi! Conosco Silvia a casa Giandelli/Gagliardi e trovo un’altra opera impensata di Pilù. Un paio di suole di corda consumate, ma consegnate ai posteri da una colata di vetro, sicura collaborazione dei “due”! Ricordo di viaggi è il titolo spiritoso, quasi romantico. È un attimo … rubarle per la mostra di Bangkok ..., per la vetrina degli artisti. Arricchita poi da un paio di “scarpescultura” di Stefano Bressani (che veste le sue creazioni di tessuti tecnici). Un nuovo filone si è aperto. La famiglia delle collezioni cresce, con i relativi problemi. Di mantenimento! Anche però con un interesse più vivace e divertito che i visitatori hanno dimostrato pure a Minsk. Per quanto gli occhi dei più, splendide ragazze o bei giovanotti, fosse polarizzato dalla serie di modelli Moreschi, alcuni storici, altri attuali, che chiudevano, su basi bianche, la balconata concessaci dalla Biblioteca Nazionale. Nuovissima, 2007, ma fascinoso contenitore di saperi come … quella in cui si muoveva l’abate Connery … ANGELO RINALDI, CINDERELLA Pagina 8 Numero novantuno - Novembre 2013 Pubblicato da Edizioni di Storia e Letteratura il volume Cesare Angelini - Carlo Linati Carteggio 1918-1947 Per gentile concessione dell’Editore, pubblichiamo il testo della Prefazione di Renzo Cremante e, a seguire, la Nota al Testo di Nicoletta Trotta e pagine del dialogo epistolare che vede ora la luce, illustrato con cura pari alla competenza da due provveduti ed esperti cultori di cose angeliniane e linatiane quali Fabio Maggi e Nicoletta Trotta, hanno, fra altri molti, il merito di richiamare l’attenzione su due scrittori novecenteschi accomunati, nonché da molteplici affinità e ragioni e convergenze di poetica e di stile e, insomma, da una pur discorde concordia, anche da questa circostanza: che il trascorrere dei decenni, se non sottratti del tutto alla tenacia della memoria locale o alla devozione immobile e nostalgica delle piccole patrie, li ha però inesorabilmente allontanati, come dall’ordinaria circolazione libraria, così, fatte salve numerate eccezioni, dalla corrente attenzione critica; ma ai quali è pur doveroso assegnare un posto, quale che sia, di autonoma evidenza, di distinta riconoscibilità, nella storia e nella geografia letteraria, specificamente lombarda, della prima metà, in particolare, del secolo che abbiamo alle spalle. È lecito attendersi che questo volume possa fornire al riguardo qualche utile argomento, qualche novità documentaria, magari anche qualche vantaggiosa indicazione di ordine più generale. Per più di due terzi inediti (parte custoditi nel Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, parte felicemente riesumati, non senza laboriose indagini, nell’archivio privato che tuttavia conserva le carte linatiane), il corpus dei documenti superstiti qui raccolti, cronologicamente ordinati e commentati A cura di Fabio Maggi e Nicoletta Trotta, con il contributo dell’Associazione Alunni Almo Collegio Borromeo di Renzo Cremante con puntuale attenzione ma anche con lodevole misura, assomma a 66 unità epistolari, fra lettere, cartoline postali e cartoline illustrate, distribuite in ugual numero fra i due corrispondenti: ma con una bilancia, occorre subito aggiungere, soltanto casualmente in pareggio, dal momento che la perdita capricciosa e accidentale o la indisponibilità di un numero imprecisato di elementi, specie di data più alta, spezza e interrompe in più punti la continuità e il regolare contrappunto della trama epistolare. E se Linati, con la sua grafia arruffata e disadorna, «a zampa di grandi stilisti dei suoi anni, in ordine cronologico Emilio Cecchi, Giuseppe De Robertis (per accidente altro serriano, che travolse Angelini nel comune trasporto per Serra), Roberto Longhi». Completa opportunamente il volume una corposa, succosa appendice che riunisce i saggi critici, più o meno dimenticati e dispersi, che i due corrispondenti, trasferendo, si può dire, il dialogo dalla discrezione della comunicazione privata all’informazione e alla circolazione pubblica, si sono vicendevolmente scambiati nel corso di quasi mezzo secolo. Più volte nel carteggio manifeste contraddizioni e nei suoi limiti, il lampeggiante sperimentalismo frammentistico e l’ardente apostolato critico della prima stagione angeliniana. E la rilettura di saggi che a distanza anche di molti anni ripropongono, con eventuali manipolazioni, integrazioni e varianti, intere pagine, paragrafi, porzioni testuali o formule già usati in precedenza, illumina, oltre tutto, su un aspetto non secondario dell’officina letteraria di Angelini, non ignoto, immagino, ai suoi lettori. La sua lunga fedeltà al congeniale conterraneo si afferma, infatti, attraverso modalità di lavoro Cesare Angelini (a sinistra) e Carlo Linati (a destra) . gallina», come è stato detto, sembra prediligere, come supporto della comunicazione, la modesta ‘cartolinetta’ postale (in ossequio a un costume generazionale di discrezione, di frugalità, di parsimonia, ma anche di celerità e di fretta, che caratterizza, com’è noto, tanta parte della corrispondenza letteraria novecentesca), la carta da lettera, quand’anche non si tratti di «quella bella carta che schiocca ad ogni voltar di foglio, con uno sgrigiolio di melograna acerbetta che si frange sotto i denti» decantata nel carteggio, meglio si direbbe convenire alla stilizzata eleganza calligrafica di Angelini, ad una calligrafia «che definisce - ha osservato una volta Gianfranco Contini, fissando così, come di sfuggita, le coordinate essenziali di un nitido paesaggio storico - alcuni Linati accenna al più giovane interlocutore come a «inestimabile, preziosissimo collaboratore […], così pieno d’amore, di finezza, di gusto», a «giudice raffinato», fino ad assegnargli, in una lettera del 1921, il titolo di «mio Chirone letterario». Spicca dunque in questa sezione, per quantità, qualità e impegno, la parte di Angelini, a cominciare dal saggio più antico e insolitamente sovrabbondante e circostanziato, quasi una compiuta monografia, pubblicato dapprima, nel 1921, in un fascicolo de «Il Convegno» e poi raccolto, due anni dopo, nell’opera prima di Angelini, Il lettore provveduto: un testo che avrebbe dovuto inaugurare una Conversazione sui lombardi di respiro più largo e generale e che bene rappresenta, con evidenza e puntiglio persino didascalici e, beninteso, anche nelle sue sperimentate con alta frequenza e che fanno del riuso uno strumento peculiare della scrittura elzeviristica, fra prosa d’arte e giornalismo. È una tecnica di ‘cannibalizzazione’ che lo scrittore pavese, del resto, condivide con altri stilisti e prosatori d’arte del suo tempo: penso, fra le altre, alle prove tanto più spregiudicate di Bruno Barilli, portate qualche decennio fa alla luce dalla inedita testimonianza dei Taccuini di lavoro. Valga per tutte, a titolo d’esempio, questa sola citazione che estraggo dal «ritratto celere» pubblicato originariamente, nel 1943, su «Primato» con il titolo Linati (e ristampato l’anno seguente da Garzanti, con uguale intestazione, nel volume Carta, penna e calamaio). A proposito de I doni della terra scriveva dunque Angelini: Il libro contiene, oltre al trentennale carteggio, un’Appendice dedicata a Scritti del letterato pavese Cesare Angelini e dello scrittore comasco Carlo Linati Pagine monde, battute, tirate a perfezione con l’istinto e il controllo proprii dei lombardi, consapevoli che ogni parola se la devono conquistare con patimento. Brevi, linde costruzioni, in ognuna delle quali s’agita la nuvola d’una querce, canta un motivo d’acqua o indugia un novembre lumeggiando di kaki. Sensazioni scontrose, inedite, con un che di ingrandito da una fantasia inquieta che lo fa spesso dirupare verso un ingenuo mito. Con significative varianti la pagina sarà incorporata, a distanza di quasi un quarto di secolo, nell’articolo Fedeltà lombarda, apparso sul «Corriere della Sera» del 24 ottobre 1968 e poi raccolto nel volume Cronachette di letteratura contemporanea (Bologna, Boni, 1971): Prosette monde, agghindate, ruminate, tirate a perfezione con la lima e l’istinto di pulizia proprio dei lombardi; nelle quali si agita la nuvola d’una quercia miniata dall’autunno, o indugia un novembre lumeggiando di kaki, o trema un tramonto sospeso in una lustra aria di colli, o una limaccia che fa sua strada, dando tempo al tempo; e, su tutte, che le impreziosisce, una vaga malinconia dell’anima. La corrispondenza abbraccia l’arco cronologico di un trentennio. Risale infatti al 10 marzo 1918 la tessera più antica del mosaico, una cartolina postale intestata «Battaglione Intra» - dislocato, in quegli ultimi mesi del conflitto, nella Zona di Guerra, più precisamente nella Val Braulio, presso le Cantoniere dello Stelvio - e indirizzata dal trentunenne Tenente Cappellano degli Alpini don Cesare Angelini al più anziano «Avvocato Tenente Signor Carlo Linati», addetto, come ufficiale del Genio, alla censura telefonica presso il centralino della 39ª Compagnia Telegrafisti, di stanza a Bassano. L’occasione, un «commosso ringraziamento» per il dono – che è poi una parola chiave, (Continua a pagina 9) Novembre 2013 - Numero novantuno (Continua da pagina 8) ricca di significati e carica di sfumature e di armoniche, per entrambi i corrispondenti - del penultimo libro di Linati, I doni della terra («così saporosi e terrosi. Così grandi»), pubblicato dallo Studio Editoriale Lombardo di Mino Facchi nel 1915. Mentre a suggellare l’intero carteggio, essendo ignota l’esistenza dell’eventuale responsiva, è un’altra cartolina postale, spedita da Rebbio il 9 maggio 1947 e indirizzata al Rettore dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia, con la quale Linati discute il progetto di un’antologia dei propri scritti da affidare alle cure maestrevoli dell’amico e ai tipi di Mondadori, verosimilmente per la collana «I prosatori dello Specchio». Ma anche il clima editoriale, nel concitato trapasso di quel secondo dopoguerra, stava rapidamente cambiando. Il progetto, com’è noto, non Pagina 9 suo fruttuoso apprendistato letterario nel quinquennio trascorso a Cesena sotto il segno luminoso di Serra. Ed è proprio la memoria del «primo critico puro», quale egli l’aveva appunto delineato con appassionata immedesimazione nel numero commemorativo della «Voce» dell’ottobre 1915, ad orientare fin dall’inizio, prima ancora della minuta attenzione ermeneutica e critica che seguirà, la sua immediata apertura di credito, la sua istintiva simpatia e fiducia nei confronti di «un artista purissimo tra i puri» e della strenua ricerca di stile, «su la linea della bellezza autentica e pura», sottesa, nella fattispecie, a I doni della terra (quante volte ritornano, in queste lettere, termini quali ‘purezza’, ‘purità’, ‘purificazione’, ‘mondizia’ ecc., con tutti i relativi aggettivi): E penso, con malinconia, alla gioia consolata con la quale li spirituali italiani» (lettera del 25 settembre 1918). Ma la lezione perenne di Serra, tante volte menzionato sia nel carteggio sia nei saggi dell’Appendice, travalica naturalmente, per Angelini, i confini dello spazio letterario. Né in linea di principio, né in linea di fatto, può già trattarsi, per lui, di questione semplicemente di letteratura. Di là dalle ricognizioni strettamente formali, linguistiche, intertestuali, dalle analisi circostanziate e incontaminato, libero e spregiudicato dello stile, cioè di se stessa, la letteratura può ritrovare i propri fondamenti etici, «sciogliendo dalle parti caduche e transitorie quelle che sono parole di vita eterna, bastevoli alla nostra gioia e alla nostra salvezza» (per citare una pagina del saggio Pascoli e Croce, apparso sulla «Voce» nel 1915). Si spiegano, allora, certi imprevedibili abbandoni confidenziali, certe confessioni sfiduciate, certi disincanti, che non appartengono agli stereotipi forse più vulgati di Angelini, e che egli non esita tuttavia a consegnare a un amico di penna ancora pressoché sconosciuto, al quale continua a rivolgersi con il pronome allocutivo di terza persona (si incontreranno per la prima volta a Milano, nelle stanze del «Convegno», nel 1920, mentre il Tu non compare nel carteggio che a partire dal mai, sotto, qualche spina che mi spoetizzi sul loro conto. È una timidezza anche questa, come tante altre. In un’altra occasione (lettera del 21 febbraio 1921), chi si definisce un «piccolo timido uomo» (lettera del 17 giugno 1918), un «povero cristiano che porta la croce di se stesso», confida all’amico: Però è vero che a forza di lasciarcele sfuggir tutte le occasioni, si invecchia e si appare quello che si è: creature disutili. Alla fine, le dirò anche questo, Linati: che il mio vero sogno è un altro: ritirarmi a vivere con spirito un poco riposato entro un chiostro. Il mondo è troppo pieno di peccato e, per un vas figuli quale son io, troppo pericoloso. Soltanto che per ora non ho trovato il modo di staccarmi delicatamente dal mondo, né ritirare tutt’e due gli occhi dalle sue immagini vane. Né vorrei staccarmene con violenza, ché porterei le ferite e il sangue chissà fino a quando. Basta, stiamo a vedere. Cartolina postale autografa di Cesare Angelini del 10 marzo 1918 con intestazione “Battaglione Intra” venne mai realizzato: la lettera, del resto, precede di poco più di due anni la morte che avrebbe colto lo scrittore lariano, nella solitudine della fiabesca residenza di famiglia, a pochi chilometri da Como, l’11 dicembre 1949. Ma è bene precisare che la massima parte della corrispondenza - più dell’80% del totale - risulta scambiata nello spazio di soli otto anni, fra il 1918 e il 1925, e che circa un terzo dei documenti, senza contare quelli andati perduti, appartiene al triennio 1918-1920. Su quella stagione, fra le più intense e felici per entrambi gli scrittori, converrà soffermarsi brevemente. A quarant’anni, Linati ha alle spalle una carriera letteraria ventennale e ormai consolidata, con più volumi all’attivo già passati al vaglio, se non ancora di un largo pubblico, però dei critici nuovi, da Cecchi a Bontempelli, da Papini a Boine; Angelini, da parte sua, potendo vantare anch’egli, al pari del corrispondente, una collaborazione con la «Voce» bianca che gli aveva assicurato qualche notorietà negli ambienti letterari, ha appena finito di compiere il avrebbe letti e ne avrebbe parlato Serra, che guardava a voi come a custode della poesia; candido. Serra. Mi sovviene di alcune parole piene di chiara fiducia, che un giorno nella Malatest[iana] di Cesena, egli mi disse a vostro riguardo. Se un giorno, dopo la guerra, non mi crederò del tutto indegno, le ripiglierò io, quelle sue parole. Oppure non le ripiglierò mai. Me le terrò chiuse, con dolce egoismo, dentro il cuore profondo: perché mi aiutino a meglio comprendervi e a meglio amarvi. E sarà meglio. Così, nei disagi della vita militare, fra un trasferimento e una sosta («Siamo in marcia da quattro giorni; passando dalla Valtellina alla Valcamonica, dove ci aspetta un paesino su l’Oglio», lettera del 31 agosto 1918), scorrendo «nella confidenza d’un manoscritto», che l’autore gli ha voluto subito trasmettere per riceverne suggerimenti e consigli, il futuro discorso liminare di Nuvole e paesi, il lettore provveduto vi ritrova «certi modi di voltar via la frase e di sciogliere il proprio sospiro che fan pensare, con piacere, a Serra - nell’Esame, che ha pure, in qualche pagina una disamina dei nostri malanni spesso felici esibite nel suo esercizio critico, sulla prosa linatiana - ma lo stesso discorso potrebbe valere anche per altre applicazioni critiche angeliniane di quegli anni, a cominciare da Pascoli -, sulla «incisività di vocaboli incorrotti che sorprende e turba e dà l’intorpidimento di certe contemplazioni: che è come la morte del corpo per la prepotente vita dello spirito» (lettera del 25 settembre 1918), il sacerdote serriano sembra proiettare la tensione irrisolta di un’inquietudine esistenziale tutta personale e segreta. L’amicizia con Linati trova forse il suo primo impulso, la propria problematica motivazione, e insieme i termini degli sviluppi futuri, nel solco di una tormentata ricerca avviata appunto negli anni cesenati e intesa a realizzare con salda e ferma determinazione e ognora più lucida consapevolezza la difficile, pericolosa identità di vocazione e devozione religiosa e vocazione e devozione letteraria, a sperimentare con rischioso ardimento il paradosso o la scommessa per cui soltanto attraverso un esercizio assolutamente 1942): «perché io sono un uomo di poche letture e di molta pigrizia […]. Notizie di me? Non ho nulla e non faccio nulla o, per essere sincero, ben poco […]. D’altra parte, io vivo solo, oggi: solo, senza fiducia e senza santità» (lettera del 24 marzo 1918); «Ma io, caro Linati, le sarò sempre amico: purché lei mi perdoni, una volta per tutte, questa mia peccaminosa indolenza, che mi pesa addosso come un castigo […]. Progetti veri non ne ho, né vere ambizioni […]. M’accorgo d’essere un uomo finito, pur non avendo mai cominciato» (lettera del 20 maggio 1919). La confidenza può riguardare altri argomenti, come quando il Cappellano militare, non ancora smobilitato, in una lettera del 14 giugno 1919 scrive: Non c’è altro che m’interessi. Le donne - francamente - meno di tutto: in omaggio a un voto in grazia d’un temperamento quasi casto. Del resto, non dico che anch’esse non stiano bene nel mondo, come le rose: un ornamento, una fragranza e basta. Ma le rose io non le colgo mai: mi piace di guardarle e lasciarle dove sono. Si sa Fra la «Voce» di De Robertis, la fugace esperienza della «Raccolta» di Raimondi («una rivistina di buone intenzioni che esce a Bologna, dove pare che tutto pigli sapore di eternità. Questo basta perché la gente ne possa parlar bene e con una certa sicurezza di non sbagliar troppo»), e la più lunga e riposata sosta milanese del «Convegno» di Ferrieri (per non dire de «La Festa» dell’Opera Cardinal Ferrari, per la quale Angelini acquisisce la traduzione linatiana della Freccia nera di Stevenson), i percorsi letterari dei due interlocutori presentano più punti d’intersezione e d’incontro. Uno, sopra tutti, che è tema in diversa guisa centrale per tanti protagonisti della stagione post-bellica (dai rondisti da una parte - dal programma classicistico dei quali sia Angelini sia Linati prendono però, comecchessia, le distanze a Montale dall’altra): il rapporto fra modernità e tradizione, il proposito di conciliare, ancora una volta, antico e moderno. Scrive per esempio Angelini (lettera del 17 giugno 1918): (Continua a pagina 10) Pagina 10 Numero novantuno - Novembre 2013 l presente carteggio consta di 66 unità epistolari che testimoniano il sodalizio culturale tra il letterato pavese Cesare Angelini (1886-1976) e lo scrittore comasco Carlo Linati (18781949). La corrispondenza comprende un ugual numero di scambi epistolari (33 unità di Angelini a Linati, altrettante di Linati ad Angelini), distribuiti non uniformemente nell’arco temporale di un trentennio, dal 1918 al 1947, con alcuni periodi di silenzio, di cui il più lungo dal maggio 1925 al giugno 1936, interrotto solo da poche missive del 1928. Come noto (cfr. il linatiano Incontro con Angelini, qui ristampato in Appendice), l’esordio del colloquio epistolare tra Linati ed Angelini risale ai tempi di guerra, quando il critico pavese, cappellano militare, nel marzo 1918 alle Cantoniere dello Stelvio assaporava i linatiani Doni della terra (Milano, Studio Editoriale Lombardo, 1915). Il carteggio si apre proprio con una cartolina postale di Angelini del 10 marzo 1918, ma registra evidenti dispersioni: nutrito è infatti il nucleo più antico delle missive del letterato pavese, mentre sono assenti le responsive linatiane, ad eccezione della lunga e rilevante lettera (n. 7) senza data, posteriore al 25 settembre 1918. Fitta e più omogeneamente ripartita la corrispondenza risalente ai primi anni Venti, quando l’amicizia tra Linati e Angelini si rinsaldò in occasione del loro incontro alla redazione del «Convegno», la rivista milanese fondata nel 1920 da Enzo Ferrieri, della quale Linati fu colonna portante e Angelini collaboratore fino al 1927. Proprio sulle pagine del «Convegno» uscì nel 1921 l’importante saggio del critico pavese intitolato Conversazione sui lombardi. I - Carlo Linati, (anch’esso qui riproposto in Appendice), «penetrante» e dettato da «amorosa intuizione», secondo il parere dello stesso Linati, manifestato nella lettera del 27 maggio 1921 (n. 26). Altra circostanza che favorì lo scambio epistolare fu la collaborazione di entrambi alla rivista milanese promossa dall’Opera Cardinal Ferrari, «La Festa», che uscì a partire dal dicembre 1923 e vide Angelini impegnato nelle cronache di letteratura, su richiesta di Papini, direttore letterario. Dopo un decennio di interruzione, il colloquio riprende nel 1936 quando Linati, ricordando i tempi della loro buona amicizia, si rammarica che gli avvenimenti lo abbiano allontanato dal suo interlocutore. Nel 1942 un invito di Angelini, in qualità di Rettore dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia, per una conferenza linatiana sui lombardi ottocenteschi, sollecita un rinnovato scambio epistolare; così come nel 1946, l’occasione sarà offerta dall’allestimento dell’antologia scolastica La porta d’oro da parte di Angelini e Linati per i tipi di Garzanti. Gli ultimi scambi Fotografia di Carlo Linati, in divisa militare, con dedica autografa a Cesare Angelini LE IMMAGINI E LE RIPRODUZIONI DEGLI SCRITTI PRESENTATE Un colloquio lungo trent’anni di Nicoletta Trotta risalgono al 1947 e sono incentrati sul progetto, non realizzato, di pubblicare presso Mondadori un volumetto di prose linatiane per le cure del critico pavese. Le missive inviate da Cesare Angelini a Carlo Linati (22 lettere, 3 cartoline postali e 7 cartoline illustrate) provengono da un archivio privato e sono state gentilmente messe a disposizione da Vittoria Bonsignore Vecellio, nipote della moglie di Linati, Anna Silvia Bonsignore. Quest’ultima è destinataria di una breve lettera di Angelini datata 5 luglio 1955, pure compresa nel medesimo corpus epistolare, ma esclusa dal presente carteggio essendo successiva alla morte dello scrittore comasco avvenuta l’11 dicembre 1949. In essa Angelini si rivolge «con antica amicizia» alla signora Bonsignore a proposito di una giacenza, presso il magazzino dell’editore Garzanti, della già citata antologia scolastica D’Annunzio). In una cartolina illustrata del 2 luglio 1918, raffigurante una figura femminile, scrive per esempio: Oggi ho baciata l’Adda! Ho baciata l’Adda sulla bocca odorosa di muschio e spumeggiante di sorriso e di freschezza. Bella bocca tutta di macigno. Oggi mi sento così inzuppato di felicità solare, che chiamerei lauri anche i sambuchi. Caro Linati! IN QUESTE PAGINE SONO CONTENUTE NEL VOLUME CESARE ANGELINI - CARLO LINATI, CARTEGGIO 19181947 (A CURA DI FABIO MAGGI E NICOLETTA TROTTA, CON PREFAZIONE DI RENZO CREMANTE), EDIZIONI DI STORIA Ma ancor più che a D’Annunzio, egli guarda a Oscar Wilde: Perché la bellezza, è peccato di oscenità volerla dispiegare per via di discorso letterario. Si sente chi la sente - così; come si guarda la luce, come si beve un profumo […]. Badi, Linati, che in arte io ho molta simpatia per Oscar Wilde – l’Eletto - e credo che nessuno non l’abbia, che sia, nell’animo, artista: e ciò non per estetismo vano, ma per compiuta aristocrazia, E LETTERATURA, ROMA 2013 (Continua da pagina 9) Le dico solo che lei ha ereditato dai nostri antichi una gola d’oro, che lei non deve, in nessun modo, cambiare con la voce esasperata (penso alla Raccolta del Signor Raimondi) di certi modernisti che vogliono fare Rimbaud senza averlo prima, per troppa impazienza, compreso. Il nuovo è bello, caro Linati, ma l’antico è eterno. Ma perché, a proposito di parole, ella, caro Angelini, ha quasi l’aria di scusarsi quando mi nomina i classici? Ma io li amo, ne derivo, e me ne nutro continuamente. Che vi può esser di bello, di eterno in arte senza l’uso e la coscienza di quella bellezza antica accumulata dai nostri grandi morti? Tutto sta nell’essere modernam[ente] classici. In un’altra lettera (25 settembre 1918), l’amico indugia ad assaporare nella «mondizia fantastica», nella «felicità di suoni e di parole» del proverbialmente ricco e «bel tesoro» lessicale linatiano «il sacro e sapido (incantato) aroma dell’antico e la vivacità liquida del moderno» (lettera del 25 settembre 1918). E Linati, ribattendo su questo punto (ma la sua lettera è senza data): Non può non essere un programma irto di difficoltà, di ostacoli, di contraddizioni, soprattutto per Angelini. Non è facile, per lui, liberarsi – e forse non se ne libererà mai – da un resistente sostrato di sensualità e di estetismo di ascendenza, in parte, dannunziana (anche se in una lettera del 9 gennaio 1920 egli dichiara di vivere da tanto tempo lontano, «con la persona e l’animo», da si legge nella lettera già citata del 25 settembre 1918. Ed ancora, in difesa di un’arte aristocratica, di un’«arte con lo stemma», per servirci di un titolo angeliniano (lettera del 20 maggio 1919): Anzi, a dir la verità, c’è da spaventarsi quando attorno a un nome si fa tanto chiasso. C’è da pensare che ci siano, in quel nome, troppi elementi banali; precisamente quelli che colpiscono il pubblico, il quale, fin’ora, d’arte non ha capito un’acca. E io, per mio conto, son sempre del parere che, non l’arte al pubblico, ma il pubblico debba accostarsi all’arte, se n’ha i mezzi e le possibilità. Perché il pubblico che cerca d’accostarsi all’arte, si sublima; ma l’arte che vuole avvicinarsi al pubblico, si contamina e prostituisce. Tra Mazzini e Wilde, in giudizi d’arte, credo che abbia sempre più ragione l’ultimo. Non è così, Linati? Sarà anche a questo proposito che via via si La porta d’oro. Si è inclusa la lettera del 2 gennaio 1947 (n. 65), formalmente indirizzata alla moglie di Linati, ma destinata da Angelini ad entrambi. Di diversa provenienza la cartolina postale del 2 luglio 1923, pure accolta nel presente carteggio (n. 40), indirizzata da Angelini a Linati presso la redazione del «Convegno», rimasta nell’archivio della rivista milanese, quindi reperita all’interno del fondo Ferrieri, acquisito nel 1991 dal Centro di ricerca sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia (la cartolina si conserva nel corpus delle lettere di Angelini a Enzo Ferrieri). Le missive indirizzate da Carlo Linati a Cesare Angelini (11 lettere, 19 cartoline postali e 3 illustrate) appartengono al fondo Angelini acquisito nel 1992 dal sopracitato Centro accentueranno, nelle discussioni del «Convegno», le divergenze con Linati, destinate a sfociare in un pur temporaneo distacco. Come non è facile, neppure in letteratura evitare gli «sconfinamenti dell’eresia», oggi che «la nostra generazione s’è pervertita per via del mal francese; e specialmente rimbaudino» (per spigolare ancora una volta dalla capitale lettera del 25 settembre 1918). In una lettera del 14 giugno 1919 Angelini ricorda ancora di aver «messo insieme certe paginette tra l’Oscar Wilde e il Rimbaud (pensi che spavento!) le quali conservano il loro colore morale di castigo: cioè sono il frutto di certe mie discussioncelle antirimbaudine con un dottore di qua». Con Rimbaud, «il quale nella storia della poesia è certamente un fatto unico e grande», i conti li chiuderà definitivamente proprio nel saggio su Linati del 1921: Rimbaud - e il torto fu quello di averlo più ammirato che capito - è come uno di quei fili sospesi e pieni di corrente, presso i quali si scrive igienicamente: - Pericolo di morte - e van lasciati isolati. E in verità coloro che han voluto accostarsi a quel modello impraticabile, si son trovati nelle mani protese, con gran mortificazione, i frutti della loro arte inseccoliti; o finivan per identificare l’arte con l’assurdo. Pensate ai chimismi lirici che fan rizzare la pelle. Sicché quelli che contan la storia del tempo, arrivati a questo punto, spengono il lume e, con un sospiro sfiorato di tristezza, dicon che l’arte - questo nostro fragile bene - tacitamente trasmigra. Ma il carteggio offre molti altri spunti e motivi d’interesse, in particolare intorno a questioni di lingua e di stile. (Continua a pagina 11) Penso, per esempio, a certe strutture ritmiche, a certe misure prosodiche auscultate con orecchio finissimo e sicura perizia tecnica nella prosa linatiana, da avvicinare per questo riguardo, alle sperimentazioni di Boine. Molte delle osservazioni di Angelini sembrano accordarsi, insomma, con il giudizio che sull’arte di Linati espresse nel 1927 Eugenio Montale, lodando il suo senso innato del doigté, inteso non solo come esatta granitura del periodo, ma ancora come sapiente modellatura ottenuta a rapidi colpi di pollice, e facoltà di rendere sensibile alle nocche delle dita ogni punto morto della sua prosa. Nella quale, per simile qualità, quelle zone che il Valéry chiamerebbe le «parti grigie» sono dissimulate abilmente, ma non mai truccate a scapito delle pagine più schiette. Ed è proprio riguardo a questi temi che la cooperazione dei due sodali produce frutti cospicui. Merita una segnalazione, in particolare, la precoce messa a punto, con dovizia di esempi, di quella linea lombarda che si diparte dal semenzaio dossiano e che Contini avrebbe poi fatto confluire nella categoria dell’espressionismo e nella «funzione Gadda». Che i due compagni in «lombarderia», per usare la spiritosa definizione di Boine, possano essere in qualche modo annessi a tale funzione, è argomento che richiederebbe forse un supplemento di analisi. Anche a questo proposito l’accuratissimo indice dei nomi che chiude il volume, registrando sotto il lemma dell’autore anche i titoli delle opere citate, potrà fornire informazioni preziose. Novembre 2013 - Numero novantuno (Continua da pagina 10) Manoscritti dell’Università di Pavia. Allegata al corpus epistolare si conserva inoltre una fotografia formato cartolina di Linati in uniforme militare con dedica autografa all’amico (qui riprodotta nella sezione iconografica). I documenti presentati sono inediti tranne: – Due lettere di Carlo Linati a Cesare Angelini pubblicate a cura di N. Trotta in «Autografo», XIII , n. 34, gennaio-giugno 1997, pp. 97-106. Si tratta della lettera senza data, ma del 1918 (n. 7), e di quella del 17 novembre 1923 (n. 43); – 17 unità indirizzate da Cesare Angelini a Carlo Linati pubblicate in C. Angelini, I doni della vita. Lettere 1913-1976, a cura di A. Stella e A. Modena, Milano, Rusconi, 1985. Si tratta delle missive datate: 10 marzo 1918 (n. 1); 24 marzo 1918 (n. 2); 31 agosto 1918 (n. 5); 25 settembre 1918 (n. 6); 20 maggio 1919 (n. 8); 14 giugno 1919 (n. 9); 6 luglio 1919 (n. 10); 4 settembre 1919 (n. 13); 20 settembre 1919 (n. 14); 9 gennaio 1920 (n. 17); 21 febbraio 1921 (n. 22); 21 luglio 1921 (n. 28); 28 ottobre 1921 (n. 31); 8 novembre 1923 (n. 42); 2 marzo 1925 (n. 52); 20 dicembre 1928 Pagina 11 lombarde nell’epistolario linatiano. Lettere indirizzate a Ferrieri e ad Angelini, pubblicato nel volume Carlo Linati a 50 anni dalla morte. Atti del Convegno tenutosi a Como 1999, Comune di Como, 2001, pp. 48-58. Si deve a Nicoletta Trotta la trascrizione delle missive di Linati e di quella di Angelini datata 2 luglio 1923, reperita nel fondo Ferrieri; a Fabio Maggi la trascrizione delle restanti missive di Angelini. Le lettere, presentate secondo l’ordine cronologico, sono state numerate progressivamente. Nella trascrizione si sono rispettati fedelmente gli originali, anche nell’uso oscillante di maiuscole / minuscole (ad esempio nei giorni della settimana o nei mesi). Ci si è limitati a correggere casi rari di evidenti sviste grafiche. Sono state rese in corsivo le parole sottolineate dai due corrispondenti, come pure le parole straniere anche quando non sottolineate. Sono altresì stati trascritti in corsivo i titoli di testi e di volumi, così come le entro parentesi quadre, tranne le abbreviazioni canoniche (come es., vol., pag., ms.). Ogni missiva è fornita, in nota, di una sintetica indicazione archivistica nella quale sono segnalati oltre alla consistenza, l’eventuale presenza di intestazioni della carta, l’indirizzo delle cartoline postali e di quelle illustrate e l’indicazione di mittente e destinatario vergata sulle buste. Le missive sono tutte manoscritte autografe (indicate con ‘ms.’) tranne una lettera (n. 64) e una cartolina postale (n. 66), entrambe di Linati, dattiloscritte (indicate con ‘ds.’). Ogni missiva è inoltre corredata di annotazioni illustrative dedotte, in primo luogo, da scritti degli autori o da altri carteggi, sia editi sia inediti. Si è cercato di fornire informazioni utili a chiarire il contesto nel quale si sviluppa il dialogo epistolare, evidenziandone i nuclei tematici più rilevanti. Si sono date notizie su Zerboni, 1909; Duccio da Bontà, Varese, A. Nicola & C., 1912; I doni della terra, Milano, Studio Editoriale Lombardo, 1915; Nuvole e paesi, Firenze, Vallecchi, 1919; A vento e sole. Pagine di vagabondaggio, Torino, Società Subalpina Editrice, 1939; Passeggiate lariane, Milano, Garzanti, 1939. Non è stato possibile reperire i libri donati da Cesare Angelini a Carlo Linati. A completamento, è parso utile raccogliere in Appendice gli scritti di Angelini su Linati e di Linati su Angelini, in buona parte richiamati da singoli passi delle lettere, come si è segnalato di volta in volta in nota. Le citazioni dei testi linatiani variamente prodotte da Angelini sono state sempre controllate sulle stampe originali. Si forniscono qui di seguito le indicazioni bibliografiche relative ai testi raccolti nell’Appendice. personalità meno note citate nei testi, mentre per i personaggi maggiori ci si è limitati a precisare i loro rapporti con i due corrispondenti. Per le citazioni di volumi, di articoli, di testate di giornali e riviste, si sono seguite le norme tipografiche dell’Editore. Si sono segnalati pure in nota gli sporadici interventi correttorî presenti negli autografi. Nell’ambito di un progetto comune si devono a Nicoletta Trotta le note relative alle missive di Linati (e ad alcune di Angelini), a Fabio Maggi le note relative alla gran parte delle missive angeliniane. In riferimento ai volumi sui quali sono state apposte, si sono riportate in nota anche le dediche autografe vergate da Linati sui libri donati ad Angelini, i quali si conservano nel fondo intestato ad Angelini presso la Biblioteca del Seminario Vescovile di Pavia. Sono rimaste escluse le seguenti dediche, relative a due testi non citati nel carteggio: «All’amico Angelini | fraternamente | Linati | Rebbio | Agosto del ’42» in Aprilante. Soste e cammini, Roma, Tumminelli, 1942 e «All’indimenticabile | Amico | Linati» in Due tempi in provincia. Cupido fra gli alambicchi. Barbogeria, Milano, Ultra, 1944. Per completezza si segnala la presenza nel fondo Angelini di altri volumi di Linati, privi di dedica, ma per lo più postillati dal letterato pavese: Cristabella, Milano, Tipografia Enrico – Il Proverbio della Lombardia, «Il Convegno», III (1922), 11-12, pp. 674-679. La parte iniziale del testo (fino ai primi asterischi) fu poi riportata da Angelini, con minime varianti, anche nella rivista «La Festa», III (1925), 16, p. 3; – “Le tre pievi” di Carlo Linati, «Il Popolo Veneto», 1° novembre 1922. Questo testo è ricavato dall’articolo precedente, Il Proverbio della Lombardia, sensibilmente modificato nella seconda parte; – A Carlo Linati Cesare Angelini dice salute, «La Festa», III (1925), 18, pp. 7-8; – Linati in Carta, penna e calamaio, Milano, Garzanti, 1944, pp. 293-297. Col titolo Ritratti celeri. Linati il testo aveva già visto la luce in rivista, «Primato», IV (1943), 13, p. 242; – Nuvole e paesi in Vivere coi poeti, Milano, Fabbri, 1956, pp. 72-75. Il testo aveva già visto la luce in rivista, «Saggi di umanismo cristiano. Quaderni dell’Almo Collegio Borromeo», VI (1951), 4, pp. 85-87; – Poeta in Brianza in Quattro lombardi (e la Brianza), Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1961, pp. 47-58. Il testo aveva già visto la luce nel quotidiano «Il Corriere della Sera» del 4 ottobre 1957. Raccolto poi anche in C. Angelini, Uomini della «Voce», a cura di V. Alla prima sezione appartengono gli scritti di Angelini su Linati: – Carlo Linati in Il lettore provveduto, Milano, Il Convegno Editoriale, 1923, pp. 101-143. Col titolo Conversazione sui lombardi. I - Carlo Linati il testo aveva già visto la luce in rivista, «Il Convegno», II (1921), 4-5, pp. 162188; Cartolina postale autografa di Carlo Linati del 31 luglio 1919 (n. 56); 5 ottobre 1946 (n. 63). Si fa presente che, per quanto riguarda le lettere a Linati, i curatori non poterono disporre degli originali bensì di trascrizioni effettuate dalla vedova dello scrittore: ciò spiega alcune difformità di lezione e qualche discrepanza nella datazione. L e lettere di Angelini del 24 marzo 1918 (n. 2) e del 25 settembre 1918 (n. 6) erano state precedentemente pubblicate in C. Angelini, Trenta lettere, con una nota di A. Comini e A. Stella, Pavia, Almo Collegio Borromeo, 1981. Tre lettere di Linati - senza data ma del 1918 (n. 7), 29 settembre 1920 (n. 20) e 18 giugno 1936 (n. 60) - sono state esposte nella mostra che il Centro Manoscritti dell’Università di Pavia dedicò nel 1996 a Cesare Angelini (cfr. la sezione linatiana del catalogo curata da A. Modena in Cesare Angelini nel ‘tempo’ delle amicizie, Pavia, Edizioni Tipografia Commerciale Pavese, 1996, pp. 193-195). Si segnala inoltre che il presente carteggio è stato oggetto dell’intervento di N. Trotta dal titolo Un maestro a nome Chirone. Il carteggio Angelini-Linati, presentato alla sessione dedicata a Cesare Angelini e la cultura del Novecento in occasione del convegno Umanesimo ecumenico: percorsi interiori della convivenza, Pavia, Almo Collegio Borromeo, 13-14 ottobre 2006. Notizie in merito erano state anticipate nell’articolo di N. Trotta, Voci testate di riviste e di giornali, sottolineati sempre da Angelini e in buona parte da Linati (che però talvolta fa uso di virgolette alte e di trattini). Si è pure uniformato l’uso delle virgolette caporali nelle citazioni all’interno delle missive, rispettando nelle lettere di Linati l’utilizzo delle virgolette alte per le citazioni di due parole. Si sono mantenuti gli a capo degli autografi. Le posizioni della data e della firma sono standardizzate, l’una in alto a destra, l’altra in basso a destra, seguendo i criteri della collana. Si è rispettata la forma della data. In mancanza di datazione autografa, si è ricorsi al timbro postale (dandone segnalazione: «t. p.» entro parentesi quadre) per le cartoline postali o illustrate e per le lettere di cui si conservi la busta (le missive di Linati ne sono totalmente prive, mentre quelle di Angelini ne contano dieci); si è racchiusa tra parentesi quadre la datazione ricostruita attraverso riferimenti interni. Le parentesi uncinate sono state introdotte in due soli casi per indicare un’integrazione congetturale di parole che mancano nel testo o per svista dell’autore (‹preso›: lettera n. 17) o per lacuna dovuta a un’abrasione del supporto cartaceo (‹mio›: lettera n. 54). Le abbreviazioni presenti negli autografi (relative a nomi di persona, di luogo, titoli di libri) sono state sciolte ed integrate nel testo (Continua a pagina 12) Pagina 12 Numero novantuno - Novembre 2013 NELLE FOTO Cesare Angelini alpino, terzo da sinistra. A destra: lettera autografa di Carlo Linati del gennaio 1924 (Continua da pagina 11) Scheiwiller, Milano, Libri Scheiwiller, 1986, pp. 71-77; – Fedeltà lombarda in Cronachette di letteratura contemporanea (1919-1971), Bologna, Boni Editore, 1971, pp. 191-199. Il testo aveva già visto la luce nel quotidiano «Il Corriere della Sera» del 24 ottobre 1968. Alla seconda sezione appartengono gli scritti di Linati su Angelini: – Il dono del Manzoni di Cesare Angelini e Il lettore provveduto di Cesare Angelini, «Il Convegno», V (1924), 3, pp. 134-136; – Incontro con Angelini, «Settegiorni», 26 giugno 1943, p. 9, poi raccolto in Il bel Guido e altri ritratti, a cura di G. Lavezzi e A. Modena, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1982, pp. 97-105. Si segnala infine che Linati è presente nelle antologie scolastiche curate da Angelini, con brani, relativi ‘cappelli’ introduttivi e note. Sessantasei unità epistolari testimoniano il sodalizio culturale Riportiamo di seguito i riferimenti bibliografici (non presenti nelle antologie): C. Angelini, La vite e i tralci, antologia per le scuole medie, Milano, Casa Editrice Alba, varie edizioni dal 1931 al 1938: – volume classe III , L’airone bianco, pp. 254261 (da Storie di bestie e di fantasmi, Milano, Treves, 1925, pp. 1-12); – volume classe IV, I doni della terra, pp. 332334 (Spoglie, Limaccia, da I doni della terra, Milano, Studio Editoriale Lombardo, 1915, pp. 32-33, p. 89). C. Angelini-C. Linati, La porta d’oro, Antologia italiana per la scuola media inferiore, Milano, Garzanti, 1946; 2ª edizione riveduta e largamente accresciuta, ivi, 1949: – Immagini lombarde, pp. 117-119 (Spoglie, Limaccia [ma nell’antologia con titolo Lumaca], da I doni della terra, pp. 32-33, p. 89); – L’airone bianco, pp. 264-269 (da Storie di bestie e di fantasmi, pp. 1-12). Entrambi riportati anche nella 2ª edizione. C. Angelini, L’allegra vendemmia, Antologia per il Ginnasio superiore e per il primo biennio del Liceo scientifico, Brescia, La Scuola Editrice, 1949: – Autunno pittore, pp. 9-10 (da Aprilante. Soste e cammini, Roma, Tumminelli, 1942, pp. 69-72); – Pagine lombarde, pp. 138-141 (Luglio, da Nuvole e paesi, Firenze, Vallecchi, 1919, pp. 113-114; Orietur Stella, La siesta sulla vasca, da Amori erranti. Figure ed episodi, Milano, Facchi, 1921, pp. 9-10, pp. 123-129; L’esodo, da «Il Resto del Carlino» del 22 novembre 1921); – Studi di mesi e di paesi, pp. 160-164 (Studi d’ulivi, Marzo, Aprile, Maggio, Novembre, L’Inquieto, Visitazioni da Nuvole e paesi, pp. 25-26, pp. 103104, pp. 105-107, pp. 109-110, p. 121, pp. 7579, pp. 83-85); – Le pianelle del Signore, pp. 203-215 (da Le pianelle del Signore. Racconti e paesi, Lanciano, Carabba, 1932, pp. 329-358). Nicoletta Trotta Dedico questo lavoro a mio marito, Franco Mirabelli, troppo presto strappato alla vita e a tutti noi. L’EDITORIALE UN’IDEA “POLITICA” (Continua da pagina 1) la libertà democratica è debitrice nei confronti della mamma di tutte le libertà moderne, quella di credenza religiosa. È l’esperienza della pluralità delle fedi e delle credenze religiose, etiche o culturali che chiede sin dall’origine la risposta della laicità. In due parole, il mio teorema sulla laicità deriva dall’assioma dell’eguale libertà democratica di cittadinanza. Sono consapevole del fatto che il mio teorema non esaurisce i molti volti della vaga e preziosa idea di laicità. E so anche quanto importanti possano essere altri approcci alla difficile questione. Ma credo che quando nell’analisi si può distinguere, allora è buona cosa distinguere. Se fosse possibile raggiungere un accordo ragionevole sulla connessione intrinseca fra l’idea di laicità e la natura della libertà democratica di cittadinanza e sulle sue implicazioni, avremmo DI LAICITÀ almeno guadagnato un’area condivisa di accordo per metterci alla prova nelle circostanze persistenti e durevoli del disaccordo, anche nei casi estremi. Del resto, come ho più volte saggezza quale Carlo Maria Martini, noi dobbiamo imparare a convivere nella diversità. Impresa certo non facile per i figli della fragilità di Voltaire. Ma, al tempo stesso, A sinistra: la copertina del libro di Veca A destra: Carlo Maria Martini (1927-2012) sostenuto nei miei lavori sulla libertà democratica, la persistenza del disaccordo e della diversità non è un male congiunturale quanto piuttosto un tratto strutturale che contraddistingue le forme di vita democratica. Come ci ha suggerito nel suo insegnamento un autorevole maestro di impresa sicuramente resa impossibile e impraticabile, se il nesso fra laicità e democrazia fosse esposto a un destino di perdita e dissipazione. Il vecchio Socrate ha ascoltato perplesso e incuriosito e, alla fine, mi ha ricordato che in ogni caso un gallo ad Esculapio vale la pena di offrirlo. Salvatore Veca