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Numero novantuno – Novembre 2013
Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra
L’EDITORIALE
Un’idea
“politica”
di laicità
CESARE ANGELINI - CARLO LINATI
CARTEGGIO
1918-1947
(Continua a pagina 12)
Renzo Cremante
Nicoletta Trotta
DA PAGINA
FONDAZIONE
SARTIRANA
8 A PAGINA 12
IN
QUESTO NUMERO
ARTE
Made in Italy
In Bielorussia
GIOCARE
per prevenire
il declino cognitivo
S. PAZZI - V. FALLERI
C. TASSORELLI
E. CAVALLINI
GIORGIO FORNI
alle pagine 6-7
alle pagine 2-3
Orari:
Lunedì - sabato 9:00-19:30
Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30
Sottoscrizione
per il nostro
giornale
Il contributo potrà essere
versato direttamente
in contanti o al conto corrente
bancario Iban
IT81F0504811302000000044013
intestato a Socrate al Caffè.
In questi primi giorni
hanno aderito al nostro appello
gli amici:
Scarpe
d’artista?
la Feltrinelli a Pavia,
in via XX Settembre 21.
AGLI AMICI
«Amici di Socrate al Caffè, stateci
vicini in un momento di difficoltà
economica». Salvatore Veca e Sisto
Capra, fondatori del ciclo di incontri
che ha compiuto dieci anni di vita e
del giornale, lanciano un appello
per la salvezza del “Giornale di Socrate al caffè”, il mensile a distribuzione gratuita da loro diretto, il cui
primo numero è uscito nel gennaio
del 2003. Nell’incontro di domenica
27 ottobre alla libreria Feltrinelli di
Pavia è stata lanciata una sottoscrizione. Il giornale di Socrate al caffè
mira a coprire il budget per il costo
della stampa nel 2014. Pubblicare i
dieci numeri annui del giornale costa complessivamente 5.000 euro,
per le sole spese di stampa, poiché
collaboratori e direttori non percepiscono alcun compenso.
di Salvatore Veca
uscito in
questi giorni
un mio
libretto che si
chiama
“Un’idea di
laicità”. L’ha
pubblicato il
Mulino. Al
vecchio Socrate ho solo fatto
un cenno alla faccenda,
perché mi ha subito detto che
di questioni come la laicità lui
proprio non se ne intende.
Ha già avuto i suoi bei
problemi con gli déi nella
polis. Ora, come tutte le idee
importanti di valore politico e
morale, l’idea di laicità è vaga
ed è esposta a una essenziale
varietà di interpretazioni.
Un concetto di laicità, più
concezioni della stessa. E la
vaghezza, anche nel caso
dell’idea di laicità, non ne
riduce l’importanza. Ma un
modo per rendere le nostre
idee almeno un po’ più chiare
può essere quello di lavorare
a una singola interpretazione
della nostra idea preziosa ed
elusiva. L’interpretazione che
propongo nel mio libretto è
specificamente politica. Ed è
basata sulla connessione fra
la virtù della laicità e la forma
di vita democratica, le sue
istituzioni e le sue procedure.
Più precisamente, sulla
connessione fra la virtù
pubblica della laicità e la
natura distintiva della eguale
libertà democratica di
cittadinanza. Può essere
interessante ricordare che,
almeno nella mia prospettiva,
APPELLO
Patrie e radici
di
GIANNI BRERA
SILVIO BERETTA
alle pagine 4-5
Amici dei Musei
e dei Monumenti Pavesi,
Silvio Beretta, Paola Bernardi,
Giuseppe Bernuzzi, Luigi Casali,
Giovanni Rodolfo Cassani,
Sandro Coda,
Paolo Corticelli, Luigi De Carli,
Domenico Gorgoglione,
Luisa Lavelli,
Pier Giuseppe Milanesi,
Mario Mocchi, Paolo Piazzardi,
Paolo Ramat, Silvano Riva.
Pagina 2
Numero novantuno - Novembre 2013
ome può un
gioco essere
definito
serio? Noi
tutti alla
parola
“gioco”
tendiamo ad
associare
solo la sua
componente
ludica e di
intrattenimento, tralasciando
l’esistenza di un obiettivo più
generale e importante.
Riuscire ad apprendere
attraverso il gioco non è
soltanto un sogno, ma
l’obiettivo dichiarato dei
Serious Games, altrimenti
noti come giochi seri.
I Serious Games sono giochi
elettronici progettati per scopi
diversi dal puro divertimento,
perché simulano esperienze di
vita reale difficilmente
riproducibili in altro modo. Il
fine è quello di guidare il
giocatore (player)
all’apprendimento di
determinate competenze o
alla modifica dei propri
comportamenti quotidiani
imparando con gli esercizi
(learning by doing). Questa
metodologia fa sì che l’utente
si senta protagonista del
percorso formativo,
aumentandone il
coinvolgimento.
D’altro canto, “Serious game
is a serious business”, come
affermato da Ben Sawyer, cofondatore della Serious Game
Initiative e considerato il
padre di questa tipologia di
giochi. Da una ricerca GFK
commissionata da AESVI
(Associazione Editori
Sviluppatori Videogiochi
Italiani) è emerso che nel
2011 il nostro Paese ha
superato la Spagna,
piazzandosi al quarto posto
tra i mercati europei e
avanzando di una posizione
rispetto all’anno precedente.
Il valore del mercato italiano è
pari a 993 milioni di Euro.
Nel 2006, il valore del
mercato globale dei
videogiochi era pari a 20
miliardi di euro e all’interno
di questo settore i Serious
Games costituivano una
piccola nicchia di valore pari
a 10 milioni di euro. Il
rapporto tra valore dei giochi
seri e mercato totale dei
videogiochi risultava un
esiguo 0,05%. Oggi,
nonostante la crisi, il giro
d’affari è notevolmente
cresciuto e si stima che il
mercato dei Serious Game
valga oltre un miliardo di
euro e costituisca circa il 2%
di tutto il comparto
videogames. L’ipotesi più
verosimile è che questo
rapporto cresca fino al 3% nel
2015, per un ammontare in
valore assoluto che tenderà a
superare i due miliardi e
mezzo di euro.
I campi di applicazione dei
Serious Games sono
moltissimi: il primo, anche a
livello storico, è quello
militare. Questi giochi
nascono, infatti, come
strumento di addestramento
per i soldati prima delle
missioni, per istruirli sui
pericoli in cui avrebbero
potuto incorrere e insegnare
loro come reagire.
Questa particolare tipologia di
giochi può essere usata anche
in ambito scolasticouniversitario, così come in
ambito aziendale. A tal scopo,
i Serious Games vengono
utilizzati come strumento di
formazione dei dipendenti per
le competenze più varie:
dall’aumento delle vendite
incrociate alla gestione delle
obiezioni a una miglior
comprensione delle esigenze
della clientela. La formazione
aziendale affrontata con
questi strumenti presenta
notevoli vantaggi, soprattutto
Il giornale di Socrate al caffè
Direttore Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra
Editore
Associazione “Il giornale di Socrate al caffè”
(iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale)
Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia
0382 571229 - 339 8672071 - 339 8009549 [email protected]
Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia
Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia
Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002
per prevenire
il declino cognitivo
di
Stefania Pazzi, Valentina Falleri - CBIM
Cristina Tassorelli - IRCCS Istituto Mondino
Elena Cavallini - Università di Pavia
in termini di costi (di
assunzione del personale che
eroghi la formazione) e di
tempo (perché i corsi possono
essere seguiti comodamente
alla propria postazione).
Recentemente, i Serious
Games sono stati utilizzati
anche per attività di
marketing: alcune tra le più
famose multinazionali, quali
L’Oréal e Mc Donald’s, li
hanno utilizzati
rispettivamente per
selezionare e inserire nel
proprio organico i migliori
talenti e per migliorare la
propria immagine aziendale
attraverso la comprensione
dei processi produttivi.
Ultimo ma non ultimo, i
giochi seri vengono utilizzati
anche nel settore salute e
benessere. Gli scopi sono
molteplici: dai classici esercizi
di fitness che tutti
I PUNTI SOCRATE
conosciamo grazie alla Wii al
miglioramento delle abitudini
alimentari fino ad arrivare a
tematiche più complesse. Tra
queste vi è sicuramente la
prevenzione del decadimento
cognitivo lieve (conosciuto
anche come Mild Cognitive
Impairment - MCI) e il
trattamento della demenza
nell’anziano.
È proprio in questo contesto
che si inserisce la piattaforma
Smart Aging, sviluppata
nell’ambito di un progetto
finanziato dal MIUR dal
Consorzio di Bioingegneria e
Informatica Medica (CBIM) di
Pavia, in collaborazione con
due partner pavesi, ossia
l’IRCCS Fondazione Istituto
Neurologico Nazionale C.
Mondino e l’Università degli
Studi di Pavia, Dipartimento
di Scienze del Sistema
Nervoso e del
Comportamento, e al CREB Centre de Recerca en
Enginyeria Biomédica Universidad Politécnica de
Catalunya di Barcellona. Il
progetto Smart Aging
contribuisce inoltre alla
European Innovation
Partnership on Active and
Healthy Ageing (VEDI BOX
NELLA PAGINA ACCANTO).
La piattaforma Smart Aging è
stata progettata come un
ambiente di realtà virtuale in
3D basato su Serious Games
per la diagnosi precoce e il
self-training di lievi disturbi
cognitivi, in grado di
implementare test
neuropsicologici di uso
comune, scientificamente
validati. Il vantaggio è che
rispetto a quelli tradizionali
su carta, questi test sono
notevolmente semplificati e
costituiscono uno strumento
di screening più amichevole e
più motivante. In aggiunta,
questo tipo di approccio
terapeutico, accessibile per
via telematica, favorisce il
rapido trasferimento nella vita
reale delle competenze
acquisite, permettendo facilità
di monitoraggio, controllo e
documentazione degli effetti
del trattamento, ripetizioni
infinite di esercizi,
trasferibilità su larga scala,
contribuendo allo sviluppo di
una nuova tipologia di servizi
di e-sanità che rendano
fruibili, via network,
conoscenze ed expertise
cliniche.
Il target del progetto è la
popolazione over 50 che
possa essere considerata a
rischio aumentato di
sviluppare un quadro di
demenza franca.
L’ambiente 3D è composto da
un loft, che racchiude in uno
spazio ridotto gli elementi di
base di interazione di un
ambiente domestico: un
(Continua a pagina 3)
Ecco dove viene distribuito gratuitamente Il giornale di Socrate al caffè
Novembre 2013 - Numero novantuno
(Continua da pagina 2)
angolo cottura, una camera
da letto e un angolo soggiorno
(FOTO NELL’ALTRA PAGINA).
La navigazione avviene in
prima persona, ossia la
posizione del giocatore
all’interno dell’ambiente è
associata a una telecamera,
indirizzata dal mouse.
All’utente viene quindi
richiesto di eseguire compiti
correlati alle attività
quotidiane. I compiti (task)
della piattaforma Smart Aging
sono stati progettati per
valutare diverse funzioni
cognitive: funzioni esecutive
(ragionamento e
pianificazione), attenzione
(selettiva e visiva), memoria (a
breve e lungo termine,
prospettica), orientamento.
Ad oggi, i task realizzati sono
cinque: nel primo gioco
l’utente deve trovare una serie
di oggetti all’interno della
cucina, al fine di valutarne la
memoria, l’orientamento
spaziale e l’attenzione. Gli
stessi oggetti dovranno poi
essere ritrovati in altri due
giochi, per valutarne la
memoria a lungo termine.
Un altro gioco prevede che
l’utente accenda la radio,
innaffi i fiori e schiacci la
barra spaziatrice ogni volta
che alla radio sente la parola
“sole”. L’obiettivo è quello di
valutare la capacità di
pianificazione e l’attenzione
Pagina 3
dell’utente. Infine, all’utente
viene richiesto di comporre
un numero di telefono
cercandolo prima nella
rubrica e successivamente di
accendere la TV: l’obiettivo è
quello di valutarne
l’attenzione e la memoria a
breve e lungo termine.
Un Indice di Valutazione
viene calcolato all’esecuzione
del compito, considerando
come parametri il numero di
azioni corrette, il numero di
errori, le omissioni, il tempo
necessario per
completare il
compito, il numero
di selezioni con il
mouse e infine la
distanza percorsa
con il mouse. Il
punteggio del
Serious Game
viene confrontato
con i test
neuropsicologici
tradizionali al fine
di convalidare la
piattaforma Smart
Aging come
strumento di
screening su larga
scala per la
valutazione presintomatica e la
diagnosi precoce
di disturbi
cognitivi.
La validazione del
sistema è già stata
avviata: 1000
persone di età
compresa tra i 50
e i 60 anni sono in fase di
valutazione per la diagnosi
precoce di un lieve
decadimento cognitivo. I
soggetti con decadimento
cognitivo confermato e/o
demenza neurodegenerativa
rappresenteranno il secondo
gruppo target. Una volta
convalidata, la piattaforma
Smart Aging costituirà un
potente strumento di
screening per la diagnosi
precoce dei disturbi cognitivi
su larga scala.
Del resto, numerosi studi nel
tempo hanno dimostrato che
l’allenamento della memoria
basata sulla realtà virtuale
fornisce risultati promettenti
nella prevenzione del declino
della memoria negli anziani.
In particolare, un training
cognitivo basato sui
videogiochi è efficace nel
ridurre il declino cognitivo nei
pazienti con Malattia di
Alzheimer. In accordo con il
Il Consorzio di Bioingegneria e Informatica Medica (CBIM) è un consorzio noprofit di ricerca fondato nel 1992
dall'Università di Pavia e dagli IRCCS
pavesi Fondazione Policlinico San Matteo, Fondazione S. Maugeri Clinica del
Lavoro e della Riabilitazione, Fondazione “Istituto Neurologico Nazionale C.
Mondino”, cui partecipano l’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di
Roma e l’Istituto Universitario di Studi
Superiori di Pavia. Il CBIM opera dal
recente articolo “Games to do
you good” comparso sulla
famosa rivista Nature, “i
neuro-scienziati dovrebbero
contribuire a sviluppare
videogiochi interessanti che
stimolino le funzioni cerebrali
e migliorino il benessere”.
Suonano perciò quasi
profetiche le parole di George
Il progetto Smart Aging partecipa alla European Innovation Partnership
(EIP) on Active and Healthy Ageing
(AHA), un progetto pilota della Commissione
Europea
che
mira
all’obiettivo ambizioso di aumentare
di due anni
la vita media in buona salute
degli europei entro il
2020.
A tal fine si
propone
di: migliorare la salute e la
qualità della vita (in
particolare
delle persone anziane), garantire la sostenibilità ed efficienza dei sistemi sanitari e
assistenziali nel lungo periodo e migliorare la competitività del comparto europeo con attività economiche e
un'espansione ai nuovi mercati.
La partnership prevede la collaborazione tra la Commissione europea, i
paesi dell'UE, le regioni, le aziende
del settore, gli operatori sanitari e sociali e le organizzazioni che rappre-
PAOLA CASATI MIGLIORINI
Perito della Camera di Commercio di Pavia dal 1988 C.T.U. del Tribunale di Pavia
 Perizie in arte e antiquariato
 Valutazioni e stime per assicurazioni
 Inventari con stima per eredità
 Consulenza per acquisti e collezioni
 Perizie a partire da 100 Euro
TRAVACÒ SICCOMARIO (PAVIA), VIA ROTTA 24 TEL. 0382 559992
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1993 nella progettazione, sperimentazione e validazione di sistemi ICT innovativi in sanità.
CBIM ha partecipato e coordinato Progetti Europei relativamente allo sviluppo di servizi e-health nei FP IV-VI
M2DM, Homey, MyHeart e nel FP VII
COMOESTAS, coordinato dal Mondino.
CBIM è partner del Ministero della Salute e del Consortium Garr per la gestione del Sistema Informativo Nazionale della Ricerca Biomedica.
Bernard Shaw che in tempi
non sospetti affermò: L’uomo
non smette di giocare perché
invecchia ma invecchia perché
smette di giocare”.
sentano gli anziani e i pazienti.
EIP, la prima Alleanza sorta
nell’ambito del programma strategico
comunitario Horizon 2020, non si prefigura come un nuovo programma o
schema di finanziamento e non cerca
di sostituire
o duplicare
la funzione
dei
programmi e
delle iniziative esistenti.
Al contrario, essa intende creare sinergie
invitando i
programmi
esistenti a
tenere in
considerazione la prospettiva della
d o ma n da
svi lup pata
d a ll a
partnership.
Smart Aging è inserito in questo progetto attraverso due gruppi d’azione:
il gruppo d’azione A3 “Prevenzione e
diagnosi precoce della fragilità e del
declino funzionale, sia fisico che cognitivo, nelle persone anziane” e il
gruppo d’azione D4 “Innovazione per
edifici, città e ambienti age-friendly”.
PAVIA START UP
Creazione di nuove imprese femminili e giovanili
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Pagina 4
uando
l’amico e
collega
Angelo Stella
mi ha chiesto
di intervenire
alla
presentazione
di questo bel
volume su Gianni Brera, e per
giunta di prendervi la parola
in apertura dell’incontro, mi
sono domandato se in lui
prevalesse la ben nota
cortesia personale o non,
piuttosto, lo sprezzo del
pericolo. Glielo ho anche
chiesto, seppure in forma
scherzosa. «Ma ti rendi conto
- gli ho domandato - che
chiedere a un (quantomeno)
agnostico dello sport come me
di parlare di un giornalista
sportivo è come chiedere a
Marx di intrattenere il
pubblico sul mistero
dell’Incarnazione?». E poi ho
io sufficiente familiarità con il
Po, le osterie e la cucina della
Bassa, e con la nebbia che
comunque non posso soffrire?
E poi questa mistica delle
radici, simbolismi da
protoleghisti (attribuzione
non del tutto infondata, a
giudicare dal saggio di Sergio
Giuntini contenuto nel
volume, ma un po’ contestata
in quello di Andrea Maietti,
un po’ confermata da Brera
stesso quando dice che “La
patria di un uomo è il posto
dove è nato”, ma parzialmente
sconfermata sempre da lui
quando proclama che “nello
sport non ci sono stranieri”)?
Non abbiamo proprio alcun
rapporto, noi due, e quindi
che posso raccontare? Allo
stadio sono stato due volte in
vita mia cinquanta anni fa, il
ciclismo mi annoia, mi
ricordo a stento di quello che
ho mangiato il giorno prima
(mentre “…si conterebbero
meno luoghi dove dormì
Garibaldi di quelli dove cenò
Brera” si legge a p. 96 del
volume) e, come se non
bastasse, fra i vini preferisco
lo champagne: e poi cosa
sono questi esoterismi
linguistici (l’ “impasto
linguistico di forte impatto
mimetico”, come viene
definita la prosa di Brera a
pag. 262) da Camilleri del
fiume, emulati da schiere di
seguaci, quasi una setta,
comunque una confraternita?
Basta, in conclusione, la
circostanza di provenire dalla
stessa Facoltà, seppure a un
bel po’ di anni di distanza, a
giustificare la mia indebita
intromissione? Mi rispondevo
di no, naturalmente, né
pensavo sarebbe bastata, a
creare qualche consonanza,
la mia passione, sconfinante
nel fanatismo, per Francesco
Guccini, in fondo un Brera di
Bologna e dell’Appennino
emiliano.
Numero novantuno - Novembre 2013
Un convegno
e una mostra
all’Università
Patrie e radici
di GIANNI BRERA
Sabato 28 settembre si è tenuto, nel Salone Teresiano della Biblioteca Universitaria, un breve convegno in ricordo di Gianni Brera, fra l’altro laureatosi nel 1943
nella Facoltà di Scienze politiche
dell’Ateneo pavese. L’incontro aveva lo
scopo di presentare un corposo volume
(quasi 400 pagine) dal titolo Il tempo
sperperato. Nel ricordo di Gianni Brera
curato, per iniziativa della Fondazione
Maria Corti dell’Università di Pavia, da
Angelo Stella con la collaborazione di
Gianfranca Lavezzi e Giuseppe Polimeni.
Con l’occasione è stata inaugurata una
mostra di scritti e documenti, dal titolo
La (dis)informazione sportiva in ricordo di
Gianni Brera (“ritagli cronache immagini
di sport nella storia del Novecento”. La
mostra resterà aperta fino al 31 dicembre.
L’incontro è stato introdotto da Angelo
Stella. Hanno successivamente preso la
parola Silvio Beretta, Claudio Gregori e
Renata Crotti. In finale Paolo Brera ha
salutato il pubblico.
di Silvio Beretta
Naturalmente mi sbagliavo,
non so se per snobismo mal
fondato oppure per ignoranza
dei fatti e ancora più dei testi,
o per entrambi i motivi. Me ne
sono accorto, sempre più
incuriosito, e pentito al
trascorrere delle pagine,
leggendo con attenzione (e per
necessità di tempo solo)
alcuni dei saggi raccolti nel
volume, da quello introduttivo
di Angelo Stella, ricco e
impegnativo, ai contributi di
Sergio Giuntini che ho già
citato, di Renata Crotti, di
Guido Legnante, di Claudia
Bussolino, di Matteo
Grassano e scorrendo tutti gli
altri a cominciare da quello,
piacevolissimo, di Paolo
Brera. Come si intuisce da
questo elenco, non ho
superato, neppure in questa
circostanza, proprio tutte le
mie remore idiosincrastiche.
Lo sport, quello esplicito, l’ho
infatti costeggiato senza
praticarlo, l’ho guardato a
distanza, e così i giornali
sportivi, e la cucina e il
localismo troppo insistito:
d’altra parte, ogni conversione
che si rispetti è, per la
maggior parte dei
convertendi, un processo
graduale e accidentato e solo
a pochi è concessa
l’illuminazione, quando mai la
cercassero.
È nella storia e nella politica,
quindi, che ho potuto
individuare qualche canale di
comunicazione, o almeno
qualche punto di tangenza. E
Brera, da uomo di vasta e
tutt’altro che superficiale
cultura, la pratica la storia
(“uno storico prestato al
calcio” lo definisce infatti
Giulio Signori), ma a modo
suo o, per meglio dire,
seguendo le proprie
inclinazioni, il che gli fa
impastare fatti e personaggi
della storia “ufficiale” con
quelli di qualche sport e di
qualche sportivo, e poi con
vicende e figure dei suoi
luoghi, vere o inventate che
fossero, il tutto per il tramite
del suo speciale linguaggio.
Così accade, ad esempio,
nella Storia critica del calcio
italiano (che è un po’ anche
una storia d’Italia, come nota
Giulia Delogu scrivendo della
Trieste di Brera) dove spicca
la singolare coincidenza fra i
moti di Milano di fine secolo e
il primo campionato italiano
di calcio svoltosi proprio l’8
maggio 1898 al Velodromo
Umberto I di Torino (lo mette
in evidenza Matteo Grassano),
ma anche nell’Avocatt in
bicicletta. Romanzo di
cinquant’anni del ciclismo
italiano del 1952 (lo ricorda
Alberto Brambilla). E, per
quanto ne ho letto (e ne
riferisce con sapiente
diplomazia Renata Crotti, che
si sofferma pure sulle
umanissime pagine di “storia
fantastica” dei Suggerimenti
di Francesco Sforza al figlio
Galeazzo Maria), accade
anche nelle Storie dei
Lombardi, dove Brera si
destreggia per oltre
quattrocento pagine fra il
Nume Po, la grandguignolesca
storia di Rosamunda, del
guerriero Almakild, di re
Alboino e dell’esarca Longino,
e poi Francesco Sforza e
quindi Manzoni (che “nasce
nel 1785 da amplessi ambigui
e quasi turpi, di cui non ha
verosimile colpa” e che
comunque Brera non ama,
come non ama Cesare
Angelini e nemmeno la “forza
arguta e sottilmente maligna”
della sua prosa), e ancora il
“problema storico” della
natura umana dei pavesi con
tanto di lode a Maria Teresa e
al Pollack ricostruttore
dell’Università di Pavia e ai
grandi dell’Ateneo, per
arrivare fino ai Cipolla (Carlo
e Manlio), a Italo Pietra (“il
Nigra di Enrico Mattei”), a
Cassola e ad Arbasino, per
passare poi a Milano (e alla
sua storia definita “maschile”
per contrasto con la “femmina
Italia”) e finire con Carlo
Cattaneo fra gli “altri
lombardi” e con la lunga
carrellata storico-geografica di
“Viaggio nel Nord-est”. Ha ben
ragione quindi Renata Crotti
quando ragiona di Brera
storico qualificandolo
“Cantore della Storia”, a
sottolinearne l’intenzione di
occuparsene, della storia,
come di un’ “occasione…per
dire che il passato ha un
valore e come tale va
considerato”, cioè per
evocarlo e per fissarlo nel
tempo, ma come trasfigurato
in conformità alle sensibilità
dell’autore, non certo a
documenti d’archivio.
Naturalmente di
trasfigurazioni della storia se
ne possono dare tante, e tutte
diverse fra loro per la potenza
evocativa che emanano e per
l’emozione che suscitano. Mi
permetto quindi di proporvi, a
caso, qualche esempio
alternativo di narrazione
storica, del genere al quale
riservo la mia personale
predilezione. Comincio con il
mio poeta del cuore, il greco
alessandrino Constantinos
Kavafis, vissuto a cavallo fra
Otto e Novecento, e lo faccio
richiamando una sua lirica di
ambientazione storica del
1912 intitolata “Re
alessandrini”. Vi si legge fra
l’altro, nella splendida
traduzione di Nelo Risi e
Margherita Dalmàti e con
riferimento alla corte di
Cleopatra, allo sfarzo dei suoi
figli e alla pompa dei loro
titoli regali: “Alessandro fu
detto re di Armenia di Media e
dei Parti. Tolomeo fu detto re
di Cilicia di Siria e di Fenicia.
Cesarione stava più avanti
agghindato di seta rosa…Di
lui dissero più dei cadetti
poiché fu nominato Re dei
Re…Gli alessandrini si
rendevano ben conto ch’era
tutto un frasario da
teatro…Però il giorno era mite
e melodioso, il cielo di un
azzurro stemperato…il lusso
dei cortigiani era
finissimo…con tutto che essi
sapevano di certo in quale
conto tenere un fatto come
questo e com’erano vani di
senso tutti quei nomi di
regni”. Lo scopo di Kavafis,
che pure ha le proprie fonti
dal momento che si rifà a
Plutarco e ad Apollodoro, non
è certo di fare storia
accademica ma di restituire
liricamente la luminosità
esangue di uno spettacolo di
corte, e nel contempo la
sensazione quasi visiva della
sua rassegnata insignificanza,
che si accompagna al
presagio del suo imminente
sfacelo. Né fa storia
accademica Manzoni nel
trentesimo capitolo de “I
promessi sposi”, con la
straordinaria sequenza delle
truppe imperiali che muovono
all’assedio di Casale, infilata
dall’autore fra le ambasce di
(Continua a pagina 5)
Novembre 2013 - Numero novantuno
Pagina 5
(Continua da pagina 4)
don Abbondio e le “piume e
penne delle galline di
Perpetua”: “Passano i cavalli
di Wallenstein, passano i fanti
di Merode, passano i cavalli di
Anhalt, passano i fanti di
Brandeburgo, e poi i cavalli di
Montecuccoli, e poi quelli di
Ferrari; passa Altringer;
passa Fürstenberg, passa
Colloredo; passano i Croati,
passa Torquato Conti,
passano altri e altri; quando
piacque al cielo, passò anche
Galasso, che fu l’ultimo. Lo
squadron volante de’
veneziani finì d’allontanarsi
anche lui; e tutto il paese, a
destra e a sinistra, si trovò
libero”: anche qui
l’accostamento fra quei
risonanti nomi di condottieri
e le umili vicende private di
tre esuli, unitamente
all’iterazione “passano …
passano … passano”, evoca
con qualche ironia, almeno
nella mia percezione, la
potenza livellatrice dei
drammi della storia e, in
fondo, la vanità del potere dei
potenti. Appunto: “passano …
passano … passano”. Non è
certo storia di fatti, infine, la
straordinaria affermazione
autoassolutoria con la quale il
“Gran Ciambellano della
Storia”, il principe di
Benevento Charles-Maurice
de Talleyrand, introduce con
supremo, affascinante
cinismo la Dichiarazione di
apertura del primo dei cinque
tomi di quel monumento alla
dissimulazione che sono le
sue Memorie: “Dichiaro,
innanzitutto, di morire nella
religione cattolica, apostolica
e romana”.
Tanti sono quindi i modi di
filtrare gli eventi (veri o
inventati) per raggiungere uno
scopo che poi non è altro che
la proiezione di sé:
“consolare” con lo sfarzo dei
nomi, dei titoli e degli abiti il
tramonto di una civiltà,
intrecciare con ironica
solennità i destini dei grandi e
quelli degli umili, “aggiustare”
la propria vicenda a uso dei
posteri per captarne la
benevolenza e attenuarne la
severità del giudizio,
impastare infine - come fa
3
2
1
Brera - luoghi e personaggi
per restituirci, idealizzato con
ruvida nostalgica simpatia,
un mondo intero: il suo.
E veniamo brevemente alla
politica, tema affrontato con
completezza da Sergio
Giuntini. Dall’ analisi emerge
un Brera “politico” del tutto
coerente con la narrazione
che il nostro ha sempre fatto
di sé. Vitali, anzi vitalistiche e
un poco futuriste, le sue
successive e solo in
apparenza contraddittorie
appartenenze, così come
alcuni suoi giudizi. Si veda
per tutti l’importante fondo su
“Il popolo repubblicano” del
20 febbraio 1944, nel quale
coesistono nazionalismo,
europeismo à la Mussolini e
scetticismo sulla maturità
politica dei cittadini,
“socialmente attivi” per non
più del 20% e mussoliniani
per il 15%. Ancora in un
articolo del 1968 darà del
“magnifico giornalista” e del
“vir … roboante” allo stesso
Mussolini, per il quale “l’Italia
ha straveduto, così
confermando la sua natura di
femmina”, ma dichiarerà,
come per un pentimento, di
preferire il “frigido ragioniere”
Giolitti. “Salutate l’Impero di
Roma ritornato sui colli fatali
Alta l’aquila forte e mai doma
ancor vola a raggiungere il
sol. Giovinezza di sangue e
pensiero All’Italia ridiè la
vittoria Salutate di Roma
l’Impero La grandezza, la fede,
l’amor”, aveva comunque
scritto nel 1938, lo stesso
anno in cui - 27.10.1938 XVI
- aveva fatto domanda di
iscrizione all’Università di
Pavia, Facoltà di Scienze
Politiche, firmandosi “Giovani
Luigi Brera non appartenente
alla razza ebraica”. Non si
arruola in sussistenza, e
neppure fra gli alpini o gli
artiglieri, ma fra i
paracadutisti della Folgore.
Dopo l’ 8 settembre non
mormora né si nasconde, ma
fugge in Svizzera per tornare
a fare il partigiano in Val
d’Ossola; si avvicinerà ai
massimalisti di Menotti
Serrati e poi ai comunisti,
licenziando il primo numero
non clandestino de “L’Unità”,
organo di quel partito nelle
valli ossolane. Si definirà
“nazionalcomunista”, sarà
nazionalista e nel contempo
internazionalista, il che gli
costerà la direzione de “La
Gazzetta dello Sport”,
collaborerà a lungo con un
quotidiano, “Il Giorno”,
fondato da un ex partigiano
cattolico (Mattei) e poi diretto
da un socialista (Pietra) per
sfiorare nel 1983 il Senato
con i socialisti e candidarsi
poi senza successo con i
radicali. Nel ’68 ammira Che
Guevara che assimila a un
Pisacane “… molto più
fortunato agli esordi, ed
egualmente infelice”. Si è già
detto del Brera protoleghista,
antimeridionalista e inventore
di una supposta Padania,
nonché sostenitore della
“superiorità padana” nel
calcio. In tutto questo tempo,
e malgrado che le occasioni
non gli fossero certo mancate,
non sparerà mai un colpo. Di
Italo Pietra, capo partigiano,
dirà infatti: “Non avere mai
ucciso nessuno di sua mano è
per me un vanto che lo onora
come socialista e come
pavese. Neanch’io, per dir
vero, ho mai sparato a un
uomo, e forse per questo sono
indotto ad ammirare
Pietra…”. Ci si domanda che
peso dare a quelle che hanno
tutta l’apparenza di essere
contraddizioni di Brera nel
contatto con gli eventi della
politica, ma che sono, forse,
soltanto la proiezione esterna
di una prorompente,
vitalissima personalità:
questa, all’occasione (e le
NELLE
FOTO
NELL’ALTRA PAGINA
Istantanee di Gianni Brera
IN QUESTA PAGINA
1. Processo alla tappa
con Sergio Zavoli e Bruno
Raschi
2. Intervista a Fausto Coppi
3. Con Gianni Rivera
4. Con Alberto Lattuada
5.Con Raimondo Vianello e
mar Sivori
O-
6. Con Azeglio Vicini ed Enzo
Bearzot
occasioni sono state diverse, e
fra loro antitetiche) non ha
opposto resistenza alle
tentazioni dell’adesione
entusiastica, mai tuttavia
trasformandosi in
comportamenti che pure
sarebbero stati, e per molti
sono stati, ben giustificati
dalle circostanze. Altri agì
diversamente. Ci si domanda
sempre come ci si sarebbe
comportati al posto di un
altro. Me lo domando anch’io
senza sapermi rispondere.
Tuttavia, quando alzo lo
sguardo dalla mia scrivania,
leggo alla mia sinistra,
incorniciato, il numero dell’
”Avanti!” del 29 aprile 1945. Il
titolo, a caratteri cubitali è
“Mussolini giustiziato” e il
sottotitolo “Anche Pavolini,
Farinacci, Mezzasoma,
Barracu, la Petacci, Zerbino e
Ruggero Romano hanno
pagato con la vita”.
L’editoriale reca il titolo
“Giustizia è fatta”. Leggo il
tutto senza un particolare
compiacimento, ma con
adesione sì.
E vengo infine, anche se
brevemente e forse
contravvenendo a quello che
ci si aspettava da me, al
Brera studente di Scienze
politiche. A questo proposito
il contributo di Claudia
Bussolino è del tutto
esauriente, ben restituendo
anche l’atmosfera di una
Facoltà di recente istituzione
e che si apprestava di lì a
poco (ma Brera ne era già
uscito) ad attraversare
momenti di passeggera
difficoltà, la soppressione con
aggregazione ad altra Facoltà,
documentati anche in questa
mostra. Qui troviamo
testimonianza del fatto che
all’onorevolissimo curriculum
universitario di Gianni Brera
contribuirono nomi ben noti
della vita culturale
dell’Ateneo, la cui notorietà
aveva per altro già valicato (o
lo avrebbe fatto di lì a poco) i
confini di Pavia. Lo vediamo
già dalle tre tesine che Brera
discusse il 27 ottobre 1942XX: quella su “L’Egitto nel
passato e nell’avvenire” con
Franco Borlandi, uno dei
maestri di Carlo Cipolla e poi
4
5
IMPRESA CALISTI
PAVIA
1928-2013
TRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVO
DI EDIFICI E MONUMENTI STORICI
Prefetto della Liberazione,
allora docente di Storia e
politica coloniale prima di
insegnare Storia economica;
quella su “La Turchia nel
Medio Oriente” con Raffaello
Maggi, allora docente di
Politica economica e studioso
non poco eclettico, che a
Pavia si era guadagnato ben
tre lauree, era stato allievo di
Camillo Supino, aveva
conseguito la libera docenza
in Economia marittima, si era
occupato di industria
cinematografica e di industria
cotoniera (era nipote di Luigi
Candiani, pioniere
dell’industria tessile
lombarda) per passare, sotto
l’influsso di Giovanni
Demaria, all’economia teorica
trattando, ad esempio,
dell’indeterminazione in
economia fino a occuparsi di
psicanalisi e scienza
economica, soprattutto nella
successiva sede di Modena e
poi in quella, conclusiva, di
Bologna; quella infine su
“Garibaldi e Cavour nel 1860”
con il grande Franco
Valsecchi, con il quale per
altro non aveva sostenuto
l’esame di Storia moderna,
essendo Valsecchi arrivato a
Pavia nel 1942 da Palermo, e
dopo avere insegnato a Lipsia
e a Vienna, città nella quale
aveva anche diretto l’Istituto
italiano di Cultura. Ma
l’incontro più scoppiettante
deve essere stato senz’altro
quello con Vittorio BeonioBrocchieri, studioso,
giornalista, scrittore e
intrepido viaggiatore che dal
1939 ricopriva la cattedra di
Storia delle Dottrine politiche
e con il quale Brera discusse
una tesi di laurea (orale) su
“L’Utopia di Tommaso Moro”.
Non so quanti di voi sanno
che, a un giovane collega che
rispettosamente gli faceva
osservare che, in fondo, un
po’ fascista lo era pure stato,
Beonio domandò di rimando:
“Ma che colpa ne ho io se il
fascismo si è
‘brocchierizzato’?”. Se la cavò
così. Con chi altri avrebbe
potuto laurearsi uno come
Brera?
Silvio Beretta
6
Pagina 6
Numero novantuno - Novembre 2013
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
ono ad allestire
la nostra
collezione di
accessori di
Moda Italiana
nelle bacheche
della più bella
Biblioteca mai
vista (NELLE
FOTO). Dall’esterno, soprattutto la
sera, quando è illuminata da
migliaia di led che cambiano tinta
(come nel famoso grattacielo di
Barcellona firmato Jean Nouvel)
sembra di vedere un’astronave
atterrata nelle steppe e tra i boschi
bielorussi. L'interno non è da meno,
tutto scale e ballatoi di cristallo,
come le coperture che lasciano
filtrare la grigia luce naturale di
questo Paese. Tavoli di
consultazione, ognuno con un
computer dotato di stampante.
Piante verdi ovunque, a separare
isole per gruppi di lavoro, o pronte
a ospitare incontri e letture o
conferenze. Tanti libri, i luminosi
scaffali. Strana cosa in un tempo
che pronostica la fine della pagina
scritta a favore del libro elettronico.
Quasi una bestemmia. Siamo
lontani dalle atmosfere tipo “Il
nome della rosa”, ma l’effetto è
sempre, diversamente
stupefacente. Ad annoiati custodi
degli accessi si oppone la freschezza
dei giovani e anziani utenti.
Silenziosi si muovono tra i tavoli,
diretti al bar o al ristorante
panoramico al settimo piano. Ai
bagni più puliti e profumati che io
ricordi. O alla sauna/ bagno turco
(che domani voglio provare!).
Corridoi circolari che ospitano
mostre di grafica e di fotografia.
Per un mese, quasi una
provocazione, nelle bacheche del
di Giorgio Forni
terzo piano abiteranno le creazioni
di Ferragamo e Gucci, di Roberta di
Camerino e Prada, di Pfister, Ken
Scott e Sorelle Fontana, Armani,
Ferré e Versace.
Iniziando, a giustificare il titolo
(cento anni di made in Italy) … con
la presentazione dei pezzi di inizio
XX secolo. La trousse in corno di
bue e argento del milanese
Ravasco, con le borsettine da sera
in maglia d' argento e porta
monete/pillole agganciati. Passando
a borse di rettile pregiato
(coccodrillo o lucertola) anni 30/40
di pelletterie ignote, sino ad
arrivare ai pezzi Ferragamo
anteguerra. Subito dopo Venezia e
Udine (molto tratto dal guardaroba
di mia suocera ...), con le piccole
borse in seta o broccato di Rubelli e
tanti piccoli capolavori di quella
donna fantastica che fu Roberta di
Camerino. Velluti stampati con
cinghiette e bottoni, asole e falsi
taschini. Invenzioni di proto-design
pre industriale, che lo anticipavano.
i vivono meno di due milioni di abitanti,
ma la città è ricca di verde e di piccoli
laghi, molto frequentati con la bella stagione. Minsk fu letteralmente rasa al suolo dai nazisti in ritirata dalla Russia e ricostruita mattone su mattone da corvée di
cittadini, moltissime le donne, come documentato da una ricca, un poco agiografica a tinte eroiche, raccolta di manifesti
che vedo al museo di storia, sede di una nostra mostra anni or
sono. Vengo a salutare il direttore e i suoi gentili collaboratori,
prima di andare alla Biblioteca Nazionale, fresca di apertura
(2009). Magnifico edificio di cui pubblichiamo alcune vedute,
lontano dal centro città, cui è ben collegato da mezzi pubblici,
sulla strada per l'aeroporto. Arteria grande e maestra, la vecchia Mosca/Berlino, intorno alla quale la città è stata ricostruita. Con un frullato di stili singolare, in qualche modo disorien-
Con le mitiche “Bagonghi”, care a
Grace Kelly e a Soraya di Persia,
Bottega Veneta d'epoca, siamo
sempre negli anni 50/60. Poi
Pucci e Gucci, con Gherardini e altri
marchi dell'eccellenza fiorentina.
Salendo in Lombardia con le
creazioni di poco successive di
Prada, arrivando alla Vigevano di
Pfister e Cesare Martinoli. Gloriose
fantasie del primo per le dive sue
ospiti, ma pure per tante icone dello
spettacolo quali Elton John o Rudolf
Nureyev, Barbra Streisand e Nancy
Sinatra.
Sino agli anni 80/90 con le Meduse
di Versace, i finti cocco (drillo) di
Ferré animalista, le “gipsy bags”
D&G tutte cernierine e frange
country.
Qualcosa di Armani / Borbonese /
Trussardi e un nucleo importante di
calzature Moreschi, da poco
arrivate in collezione. Esempio
anch’esse del ben fatto italiano, che
riprende l’intreccio prezioso delle
pelli e la loro allegra colorazione,
anche per l’uomo.
Nel poster che presenta
la mostra le icone
dell’architettura e
dell’arte italiane si
sposano con quelle
della nostra moda.
Accoppiamento quanto
mai felice e “azzeccato”
(… direbbe Tonino ...),
sintesi efficace, corretta
e convincente.
Un eccellente invito,
anche turistico, al
nostro Paese, sulla
scorta di quello 1951
del marchese G. B.
Giorgini. Il gentiluomo
inventore della moda
italiana. Che invitava
alle sue sfilate
fiorentine con Alitalia
targata Pucci e Sorelle
Fontana.
In compagnia del David
e della cupola di
Brunelleschi.
MINSK
Ritratto di una città che cresce
tante. Moltissimi edifici mimano al meglio l'architettura neoclassica ottocentesca, con un profluvio di colonne doriche,
ioniche e corinzie, metope e frontoni da tempio
greco/romano, miste a cupole di rame ottomane. Ma pure di
sapore francese, alla Barone Hausmann, tanto per confondere
il visitatore, che apprezza i colori e la pulizia perfetta di strade
e facciate. Viene da pensare, con buona pace di Sgarbi e
“Bollito” Oliva, che i writers siano … in campo di lavoro. A col-
tivare patate e barbabietole, o impegnati in altri lavori socialmente utili. La visione da cartolina si interrompe spesso di
fronte a possenti edifici razionalisti, di stile sovietico puro,
magniloquenti anche quando non celebrativi. Vuoi residenza
popolare o blocchi di uffici pubblici, accademie, centri culturali. Molto di nuovo però si è costruito e si sta facendo.
Molti grattaceli e alberghi, anche lussuosi. A breve si aprirà
una sorta di mercato comune tra paesi ricchi di risorse minerarie e petrolifere, di gas. Con previsione di grande sviluppo e
crescita economica, cui la città si prepara per tempo. Cartina
di tornasole il traffico, intenso ma ben regolato, di automobili
nuove e spesso di lusso. Accanto però agli autobus, spesso
elettrici, con cui si spostano, come in ogni parte del mondo, i
meno ricchi. Dal mio ultimo viaggio molto è cambiato. Il numero di bar/ristoranti/negozi di moda, tutto a segnare una
crescita visibile del tenore di vita dei bielorussi. Di molti di loro,
almeno.
Novembre 2013 - Numero novantuno
Pagina 7
SILVIA LEVENSON
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
on per
feticismo, sia
chiaro, ma il
soggetto mi ha
incuriosito da
tempo. Dagli
anni del pop,
quando Attilio
Forgioli ne
aveva fatto un tema/mantra del
proprio lavoro, forse ispirato da
Iannacci e dalla sua famosa
canzone.
Poi incontro un maestro del vetro
muranese, Angelo Rinaldi, e non
posso evitare di acquistare per la
nostra collezione di sculture
luminose la sua “cinderella”. Un
fascinoso blocco di vetro cristallo
retro illuminato su cui sono incise al
diamante e colorate a smalti …
scarpette da “favola”.
Ma non ho ancora scarpe di Lodola
... Ho la sua Italia/stivale, donataci
per festeggiare insieme i 150 anni
dell'Unità del nostro
disgraziato/straordinario Paese ...
Bene. Proseguiamo. Porto Miss
Italia al Ministero degli Esteri per la
spedizione a Lima/Perù … e un alto
funzionario mi presenta la pittrice
romana Nora Nicoletti, di cui ha la
“stanza” piena di opere
coloratissime. Frutta e verdura e
fiori. Scherzando, mi lascio scappare
la battuta infelice … “chissà se la
signora si dipinge così anche le
calzature …”. Il mese successivo mi
SCARPE D’ARTISTA?
CI TOCCANO ANCH’ESSE, PER BACCO!
PIER GAGLIARDI, RICORDO DI VIAGGI 2012
ATTILIO FORGIOLI
di Giorgio Forni
arriva a Sartirana un pacco.
“Clarabella e nonna papera: due
mie scarpe dipinte come pensavi?”.
Così recitava il simpatico biglietto
dell’autrice/donatrice. Siamo
NORA NICOLETTI,
NONNA PAPERA
E CLARABELLA
MOSCHINO
Sotto: ANDREA PFISTER, SHOE
BAG
(1980. PER IMELDA MARCOS)
diventati amici e le sue scarpe,
anche se un poco sformate, attirano
e divertono i visitatori delle mostre
in cui le esponiamo. In compagnia
dei prototipi “con posate da tavola”
di Franco Moschino e con le
crudelissime creazioni (da morir dal
ridere l’effetto ragionato ...) di Silvia
Levenson.
L’artista italo/argentina usa il vetro
cristallo o satinato. Ma lo riempie di
chiodi e coltelli ...
“Bambina cattiva” si chiama il paio
di scomode pantofoline! Mentre la
bag da autodifesa … porta il titolo
“sono una signora!”. “AMOR”,
invece, si chiama la borsa in tessere
vitree muranesi legate da filo
spinato … Tutto uno zucchero!
Adoro il lavoro dell’amica Levenson!
Devo trovare denari per trasformare
il prestito in acquisto. E non
fermarmi a questi tre pezzi sublimi!
Conosco Silvia a casa
Giandelli/Gagliardi e trovo un’altra
opera impensata di Pilù. Un paio di
suole di corda consumate, ma
consegnate ai posteri da una colata
di vetro, sicura collaborazione dei
“due”! Ricordo di viaggi è il titolo
spiritoso, quasi romantico. È un
attimo … rubarle per la mostra di
Bangkok ..., per la vetrina degli
artisti. Arricchita poi da un paio di
“scarpescultura” di Stefano Bressani
(che veste le sue creazioni di tessuti
tecnici). Un nuovo filone si è aperto.
La famiglia delle collezioni cresce,
con i relativi problemi. Di
mantenimento!
Anche però con un interesse più
vivace e divertito che i visitatori
hanno dimostrato pure a Minsk. Per
quanto gli occhi dei più, splendide
ragazze o bei giovanotti, fosse
polarizzato dalla serie di modelli
Moreschi, alcuni storici, altri attuali,
che chiudevano, su basi bianche, la
balconata concessaci dalla
Biblioteca Nazionale. Nuovissima,
2007, ma fascinoso contenitore di
saperi come … quella in cui si
muoveva l’abate Connery …
ANGELO RINALDI, CINDERELLA
Pagina 8
Numero novantuno - Novembre 2013
Pubblicato da Edizioni
di Storia e Letteratura
il volume Cesare
Angelini - Carlo Linati
Carteggio 1918-1947
Per gentile
concessione
dell’Editore,
pubblichiamo
il testo della
Prefazione di
Renzo Cremante
e, a seguire, la
Nota al Testo di
Nicoletta Trotta
e pagine del
dialogo
epistolare che
vede ora la
luce,
illustrato con
cura pari alla
competenza
da due
provveduti ed
esperti cultori di cose
angeliniane e linatiane quali
Fabio Maggi e Nicoletta
Trotta, hanno, fra altri molti,
il merito di richiamare
l’attenzione su due scrittori
novecenteschi accomunati,
nonché da molteplici affinità e
ragioni e convergenze di
poetica e di stile e, insomma,
da una pur discorde
concordia, anche da questa
circostanza: che il trascorrere
dei decenni, se non sottratti
del tutto alla tenacia della
memoria locale o alla
devozione immobile e
nostalgica delle piccole patrie,
li ha però inesorabilmente
allontanati, come
dall’ordinaria circolazione
libraria, così, fatte salve
numerate eccezioni, dalla
corrente attenzione critica;
ma ai quali è pur doveroso
assegnare un posto, quale
che sia, di autonoma
evidenza, di distinta
riconoscibilità, nella storia e
nella geografia letteraria,
specificamente lombarda,
della prima metà, in
particolare, del secolo che
abbiamo alle spalle. È lecito
attendersi che questo volume
possa fornire al riguardo
qualche utile argomento,
qualche novità documentaria,
magari anche qualche
vantaggiosa indicazione di
ordine più generale.
Per più di due terzi inediti
(parte custoditi nel Fondo
Manoscritti dell’Università
di Pavia, parte felicemente
riesumati, non senza
laboriose indagini,
nell’archivio privato che
tuttavia conserva le carte
linatiane), il corpus dei
documenti superstiti qui
raccolti, cronologicamente
ordinati e commentati
A cura di Fabio Maggi
e Nicoletta Trotta,
con il contributo
dell’Associazione Alunni
Almo Collegio Borromeo
di Renzo Cremante
con puntuale attenzione ma
anche con lodevole misura,
assomma a 66 unità
epistolari, fra lettere, cartoline
postali e cartoline illustrate,
distribuite in ugual numero
fra i due corrispondenti: ma
con una bilancia, occorre
subito aggiungere, soltanto
casualmente in pareggio, dal
momento che la perdita
capricciosa e accidentale o la
indisponibilità di un numero
imprecisato di elementi,
specie di data più alta, spezza
e interrompe in più punti la
continuità e il regolare
contrappunto della trama
epistolare. E se Linati, con la
sua grafia arruffata e
disadorna, «a zampa di
grandi stilisti dei suoi anni, in
ordine cronologico Emilio
Cecchi, Giuseppe De Robertis
(per accidente altro serriano,
che travolse Angelini nel
comune trasporto per Serra),
Roberto Longhi».
Completa opportunamente il
volume una corposa, succosa
appendice che riunisce i saggi
critici, più o meno dimenticati
e dispersi, che i due
corrispondenti, trasferendo, si
può dire, il dialogo dalla
discrezione della
comunicazione privata
all’informazione e alla
circolazione pubblica, si sono
vicendevolmente scambiati
nel corso di quasi mezzo
secolo. Più volte nel carteggio
manifeste contraddizioni e nei
suoi limiti, il lampeggiante
sperimentalismo
frammentistico e l’ardente
apostolato critico della prima
stagione angeliniana. E la
rilettura di saggi che a
distanza anche di molti anni
ripropongono, con eventuali
manipolazioni, integrazioni
e varianti, intere pagine,
paragrafi, porzioni testuali o
formule già usati in
precedenza, illumina, oltre
tutto, su un aspetto non
secondario dell’officina
letteraria di Angelini, non
ignoto, immagino, ai suoi
lettori. La sua lunga fedeltà al
congeniale conterraneo si
afferma, infatti, attraverso
modalità di lavoro
Cesare Angelini (a sinistra) e Carlo Linati (a destra) .
gallina», come è stato detto,
sembra prediligere, come
supporto della
comunicazione, la modesta
‘cartolinetta’ postale (in
ossequio a un costume
generazionale di discrezione,
di frugalità, di parsimonia,
ma anche di celerità e di
fretta, che caratterizza, com’è
noto, tanta parte della
corrispondenza letteraria
novecentesca), la carta da
lettera, quand’anche non si
tratti di «quella bella carta
che schiocca ad ogni voltar di
foglio, con uno sgrigiolio
di melograna acerbetta che si
frange sotto i denti» decantata
nel carteggio, meglio si
direbbe convenire alla
stilizzata eleganza calligrafica
di Angelini, ad una calligrafia
«che definisce - ha osservato
una volta Gianfranco Contini,
fissando così, come di
sfuggita, le coordinate
essenziali di un nitido
paesaggio storico - alcuni
Linati accenna al più giovane
interlocutore come a
«inestimabile, preziosissimo
collaboratore […], così pieno
d’amore, di finezza, di gusto»,
a «giudice raffinato», fino ad
assegnargli, in una lettera del
1921, il titolo di «mio Chirone
letterario». Spicca dunque in
questa sezione, per quantità,
qualità e impegno, la parte di
Angelini, a cominciare dal
saggio più antico e
insolitamente sovrabbondante
e circostanziato, quasi una
compiuta monografia,
pubblicato dapprima, nel
1921, in un fascicolo de «Il
Convegno» e poi raccolto,
due anni dopo, nell’opera
prima di Angelini, Il lettore
provveduto: un testo che
avrebbe dovuto inaugurare
una Conversazione sui
lombardi di respiro più largo e
generale e che bene
rappresenta, con evidenza e
puntiglio persino didascalici
e, beninteso, anche nelle sue
sperimentate con alta
frequenza e che fanno del
riuso uno strumento
peculiare della scrittura
elzeviristica, fra prosa d’arte e
giornalismo. È una tecnica di
‘cannibalizzazione’ che lo
scrittore pavese, del resto,
condivide con altri stilisti e
prosatori d’arte del suo
tempo: penso, fra le altre, alle
prove tanto più spregiudicate
di Bruno Barilli, portate
qualche decennio fa alla luce
dalla inedita testimonianza
dei Taccuini di lavoro. Valga
per tutte, a titolo d’esempio,
questa sola citazione che
estraggo dal «ritratto celere»
pubblicato originariamente,
nel 1943, su «Primato» con il
titolo Linati (e ristampato
l’anno seguente da Garzanti,
con uguale intestazione, nel
volume Carta, penna e
calamaio). A proposito de I
doni della terra scriveva
dunque Angelini:
Il libro contiene,
oltre al trentennale
carteggio,
un’Appendice
dedicata a Scritti
del letterato
pavese Cesare
Angelini e dello
scrittore comasco
Carlo Linati
Pagine monde, battute, tirate a
perfezione con l’istinto e il
controllo proprii dei lombardi,
consapevoli che ogni parola se la
devono conquistare con
patimento. Brevi, linde
costruzioni, in ognuna delle quali
s’agita la nuvola d’una querce,
canta un motivo d’acqua o
indugia un novembre
lumeggiando di kaki. Sensazioni
scontrose, inedite, con un che di
ingrandito da una fantasia
inquieta che lo fa spesso dirupare
verso un ingenuo mito.
Con significative varianti la
pagina sarà incorporata, a
distanza di quasi un quarto di
secolo, nell’articolo Fedeltà
lombarda, apparso sul
«Corriere della Sera» del 24
ottobre 1968 e poi raccolto
nel volume Cronachette di
letteratura contemporanea
(Bologna, Boni, 1971):
Prosette monde, agghindate,
ruminate, tirate a perfezione con
la lima e l’istinto di pulizia proprio
dei lombardi; nelle quali si agita
la nuvola d’una quercia miniata
dall’autunno, o indugia un
novembre lumeggiando di kaki, o
trema un tramonto sospeso in una
lustra aria di colli, o una limaccia
che fa sua strada, dando tempo
al tempo; e, su tutte, che le
impreziosisce, una vaga
malinconia dell’anima.
La corrispondenza abbraccia
l’arco cronologico di un
trentennio. Risale infatti al 10
marzo 1918 la tessera più
antica del mosaico, una
cartolina postale intestata
«Battaglione Intra» - dislocato,
in quegli ultimi mesi del
conflitto, nella Zona di
Guerra, più precisamente
nella Val Braulio, presso le
Cantoniere dello Stelvio - e
indirizzata dal trentunenne
Tenente Cappellano degli
Alpini don Cesare Angelini al
più anziano «Avvocato
Tenente Signor Carlo Linati»,
addetto, come ufficiale del
Genio, alla censura telefonica
presso il centralino della 39ª
Compagnia Telegrafisti, di
stanza a Bassano.
L’occasione, un «commosso
ringraziamento» per il dono –
che è poi una parola chiave,
(Continua a pagina 9)
Novembre 2013 - Numero novantuno
(Continua da pagina 8)
ricca di significati e carica di
sfumature e di armoniche,
per entrambi i corrispondenti
- del penultimo libro di Linati,
I doni della terra («così
saporosi e terrosi. Così
grandi»), pubblicato dallo
Studio Editoriale Lombardo di
Mino Facchi nel 1915.
Mentre a suggellare l’intero
carteggio, essendo ignota
l’esistenza dell’eventuale
responsiva, è un’altra
cartolina postale, spedita da
Rebbio il 9 maggio 1947 e
indirizzata al Rettore
dell’Almo Collegio Borromeo
di Pavia, con la quale Linati
discute il progetto di
un’antologia dei propri scritti
da affidare alle cure
maestrevoli dell’amico e ai tipi
di Mondadori, verosimilmente
per la collana «I prosatori
dello Specchio». Ma anche il
clima editoriale, nel concitato
trapasso di quel secondo
dopoguerra, stava
rapidamente cambiando. Il
progetto, com’è noto, non
Pagina 9
suo fruttuoso apprendistato
letterario nel quinquennio
trascorso a Cesena sotto il
segno luminoso di Serra. Ed è
proprio la memoria del «primo
critico puro», quale egli l’aveva
appunto delineato con
appassionata
immedesimazione nel numero
commemorativo della «Voce»
dell’ottobre 1915, ad orientare
fin dall’inizio, prima ancora
della minuta attenzione
ermeneutica e critica che
seguirà, la sua immediata
apertura di credito, la sua
istintiva simpatia e fiducia nei
confronti di «un artista
purissimo tra i puri» e della
strenua ricerca di stile, «su la
linea della bellezza autentica
e pura», sottesa, nella
fattispecie, a I doni della terra
(quante volte ritornano, in
queste lettere, termini quali
‘purezza’, ‘purità’,
‘purificazione’, ‘mondizia’
ecc., con tutti i relativi
aggettivi):
E penso, con malinconia, alla
gioia consolata con la quale li
spirituali italiani» (lettera del
25 settembre 1918). Ma la
lezione perenne di Serra,
tante volte menzionato sia nel
carteggio sia nei saggi
dell’Appendice, travalica
naturalmente, per Angelini, i
confini dello spazio letterario.
Né in linea di principio, né in
linea di fatto, può già
trattarsi, per lui, di questione
semplicemente di letteratura.
Di là dalle ricognizioni
strettamente formali,
linguistiche, intertestuali,
dalle analisi circostanziate e
incontaminato, libero e
spregiudicato dello stile, cioè
di se stessa, la letteratura
può ritrovare i propri
fondamenti etici, «sciogliendo
dalle parti caduche e
transitorie quelle che sono
parole di vita eterna, bastevoli
alla nostra gioia e alla nostra
salvezza» (per citare una
pagina del saggio Pascoli e
Croce, apparso sulla «Voce»
nel 1915).
Si spiegano, allora, certi
imprevedibili abbandoni
confidenziali, certe
confessioni sfiduciate, certi
disincanti, che non
appartengono agli stereotipi
forse più vulgati di Angelini, e
che egli non esita tuttavia a
consegnare a un amico di
penna ancora pressoché
sconosciuto, al quale
continua a rivolgersi
con il pronome allocutivo di
terza persona (si
incontreranno per la prima
volta a Milano, nelle stanze
del «Convegno», nel 1920,
mentre il Tu non compare nel
carteggio che a partire dal
mai, sotto, qualche spina che mi
spoetizzi sul loro conto. È una
timidezza anche questa, come
tante altre.
In un’altra occasione (lettera
del 21 febbraio 1921), chi si
definisce un «piccolo timido
uomo» (lettera del 17 giugno
1918), un «povero cristiano
che porta la croce di se
stesso», confida all’amico:
Però è vero che a forza di
lasciarcele sfuggir tutte le
occasioni, si invecchia e si
appare quello che si è: creature
disutili.
Alla fine, le dirò anche questo,
Linati: che il mio vero sogno è un
altro: ritirarmi a vivere con spirito
un poco riposato entro un chiostro.
Il mondo è troppo pieno di peccato
e, per un vas figuli quale son io,
troppo pericoloso.
Soltanto che per ora non ho
trovato il modo di staccarmi
delicatamente dal mondo, né
ritirare tutt’e due gli occhi dalle
sue immagini vane. Né vorrei
staccarmene con violenza, ché
porterei le ferite e il sangue chissà
fino a quando. Basta, stiamo a
vedere.
Cartolina postale autografa di Cesare Angelini del 10 marzo 1918 con intestazione “Battaglione Intra”
venne mai realizzato: la
lettera, del resto, precede di
poco più di due anni la morte
che avrebbe colto lo scrittore
lariano, nella solitudine della
fiabesca residenza di famiglia,
a pochi chilometri da Como,
l’11 dicembre 1949. Ma è
bene precisare che la
massima parte della
corrispondenza - più dell’80%
del totale - risulta scambiata
nello spazio di soli otto anni,
fra il 1918 e il 1925, e che
circa un terzo dei documenti,
senza contare quelli andati
perduti, appartiene al triennio
1918-1920. Su quella
stagione, fra le più intense
e felici per entrambi gli
scrittori, converrà soffermarsi
brevemente.
A quarant’anni, Linati ha alle
spalle una carriera letteraria
ventennale e ormai
consolidata, con più volumi
all’attivo già passati al vaglio,
se non ancora di un largo
pubblico, però dei critici
nuovi, da Cecchi a
Bontempelli, da Papini a
Boine; Angelini, da parte sua,
potendo vantare anch’egli, al
pari del corrispondente, una
collaborazione con la «Voce»
bianca che gli aveva
assicurato qualche notorietà
negli ambienti letterari, ha
appena finito di compiere il
avrebbe letti e ne avrebbe
parlato Serra, che guardava a voi
come a custode della poesia;
candido. Serra. Mi sovviene di
alcune parole piene di chiara
fiducia, che un giorno nella
Malatest[iana] di Cesena, egli mi
disse a vostro riguardo. Se un
giorno, dopo la guerra, non mi
crederò del tutto indegno, le
ripiglierò io, quelle sue parole.
Oppure non le ripiglierò mai. Me le
terrò chiuse, con dolce egoismo,
dentro il cuore profondo: perché
mi aiutino a meglio comprendervi
e a meglio amarvi. E sarà meglio.
Così, nei disagi della vita
militare, fra un trasferimento
e una sosta («Siamo in marcia
da quattro giorni; passando
dalla Valtellina alla
Valcamonica, dove ci aspetta
un paesino su l’Oglio», lettera
del 31 agosto 1918),
scorrendo «nella confidenza
d’un manoscritto», che
l’autore gli ha voluto subito
trasmettere per riceverne
suggerimenti e consigli, il
futuro discorso liminare
di Nuvole e paesi, il lettore
provveduto vi ritrova «certi
modi di voltar via la frase e di
sciogliere il proprio sospiro
che fan pensare, con piacere,
a Serra - nell’Esame, che ha
pure, in qualche pagina una
disamina dei nostri malanni
spesso felici esibite nel suo
esercizio critico, sulla prosa
linatiana - ma lo stesso
discorso potrebbe valere
anche per altre applicazioni
critiche angeliniane di quegli
anni, a cominciare da Pascoli
-, sulla «incisività di vocaboli
incorrotti che sorprende e
turba e dà l’intorpidimento di
certe contemplazioni: che è
come la morte del corpo per la
prepotente vita dello spirito»
(lettera del 25 settembre
1918), il sacerdote serriano
sembra proiettare la tensione
irrisolta di un’inquietudine
esistenziale tutta personale e
segreta. L’amicizia con Linati
trova forse il suo primo
impulso, la propria
problematica motivazione, e
insieme i termini degli
sviluppi futuri, nel solco di
una tormentata ricerca
avviata appunto negli anni
cesenati e intesa a realizzare
con salda e ferma
determinazione e ognora più
lucida consapevolezza la
difficile, pericolosa identità di
vocazione e devozione
religiosa e vocazione e
devozione letteraria, a
sperimentare con rischioso
ardimento il paradosso o la
scommessa per cui soltanto
attraverso un esercizio
assolutamente
1942): «perché io sono un
uomo di poche letture e di
molta pigrizia […]. Notizie di
me? Non ho nulla e non faccio
nulla o, per essere sincero,
ben poco […]. D’altra parte, io
vivo solo, oggi: solo, senza
fiducia e senza santità»
(lettera del 24 marzo 1918);
«Ma io, caro Linati, le sarò
sempre amico: purché lei mi
perdoni, una volta per tutte,
questa mia peccaminosa
indolenza, che mi pesa
addosso come un castigo
[…]. Progetti veri non ne ho,
né vere ambizioni […].
M’accorgo d’essere un
uomo finito, pur non avendo
mai cominciato» (lettera del
20 maggio 1919). La
confidenza può riguardare
altri argomenti, come quando
il Cappellano militare, non
ancora smobilitato, in una
lettera del 14 giugno 1919
scrive:
Non c’è altro che m’interessi. Le
donne - francamente - meno di
tutto: in omaggio a un voto in
grazia d’un temperamento quasi
casto. Del resto, non dico che
anch’esse non stiano bene nel
mondo, come le rose: un
ornamento, una fragranza e
basta. Ma le rose io non le colgo
mai: mi piace di guardarle e
lasciarle dove sono. Si sa
Fra la «Voce» di De Robertis,
la fugace esperienza della
«Raccolta» di Raimondi («una
rivistina di buone intenzioni
che esce a Bologna, dove pare
che tutto pigli sapore di
eternità. Questo basta perché
la gente ne possa parlar bene
e con una certa sicurezza di
non sbagliar troppo»), e la più
lunga e riposata sosta
milanese del «Convegno» di
Ferrieri (per non dire de «La
Festa» dell’Opera Cardinal
Ferrari, per la quale Angelini
acquisisce la traduzione
linatiana della Freccia nera di
Stevenson), i percorsi letterari
dei due interlocutori
presentano più punti
d’intersezione e d’incontro.
Uno, sopra tutti, che è tema
in diversa guisa centrale per
tanti protagonisti della
stagione post-bellica (dai
rondisti da una parte - dal
programma classicistico
dei quali sia Angelini sia
Linati prendono però,
comecchessia, le distanze a Montale dall’altra): il
rapporto fra modernità e
tradizione, il proposito di
conciliare, ancora una volta,
antico e moderno. Scrive per
esempio Angelini (lettera del
17 giugno 1918):
(Continua a pagina 10)
Pagina 10
Numero novantuno - Novembre 2013
l presente carteggio consta
di 66 unità epistolari che
testimoniano il sodalizio
culturale tra il letterato
pavese Cesare Angelini
(1886-1976) e lo scrittore
comasco Carlo Linati (18781949). La corrispondenza
comprende un ugual
numero di scambi epistolari (33 unità di
Angelini a Linati, altrettante di Linati ad
Angelini), distribuiti non uniformemente
nell’arco temporale di un trentennio, dal 1918
al 1947, con alcuni periodi di silenzio, di cui il
più lungo dal maggio 1925 al giugno 1936,
interrotto solo da poche missive del 1928.
Come noto (cfr. il linatiano Incontro con
Angelini, qui ristampato in Appendice),
l’esordio del colloquio epistolare tra Linati ed
Angelini risale ai tempi di guerra, quando il
critico pavese, cappellano militare, nel marzo
1918 alle Cantoniere dello Stelvio assaporava i
linatiani Doni della terra (Milano, Studio
Editoriale Lombardo, 1915). Il carteggio si
apre proprio con una cartolina postale di
Angelini del 10 marzo 1918, ma registra
evidenti dispersioni: nutrito è infatti il nucleo
più antico delle missive del letterato pavese,
mentre sono assenti le responsive linatiane,
ad eccezione della lunga e rilevante lettera (n.
7) senza data, posteriore al 25 settembre
1918. Fitta e più omogeneamente ripartita la
corrispondenza risalente ai primi anni Venti,
quando l’amicizia tra Linati e Angelini si
rinsaldò in occasione del loro incontro alla
redazione del «Convegno», la rivista milanese
fondata nel 1920 da Enzo
Ferrieri, della quale Linati fu
colonna portante e Angelini
collaboratore fino al 1927.
Proprio sulle pagine del
«Convegno» uscì nel 1921
l’importante saggio del critico
pavese intitolato
Conversazione sui lombardi.
I - Carlo Linati, (anch’esso qui
riproposto in Appendice),
«penetrante» e dettato da
«amorosa intuizione»,
secondo il parere dello stesso
Linati, manifestato nella
lettera del 27 maggio 1921
(n. 26). Altra circostanza che favorì lo scambio
epistolare fu la collaborazione di entrambi alla
rivista milanese promossa dall’Opera Cardinal
Ferrari, «La Festa», che uscì a partire dal
dicembre 1923 e vide Angelini impegnato
nelle cronache di letteratura, su richiesta di
Papini, direttore letterario.
Dopo un decennio di interruzione, il colloquio
riprende nel 1936 quando Linati, ricordando i
tempi della loro buona amicizia, si rammarica
che gli avvenimenti lo abbiano allontanato dal
suo interlocutore. Nel 1942 un invito di
Angelini, in qualità di Rettore dell’Almo
Collegio Borromeo di Pavia, per una
conferenza linatiana sui lombardi
ottocenteschi, sollecita un rinnovato scambio
epistolare; così come nel 1946, l’occasione
sarà offerta dall’allestimento dell’antologia
scolastica La porta d’oro da parte di Angelini e
Linati per i tipi di Garzanti. Gli ultimi scambi
Fotografia
di Carlo Linati,
in divisa
militare,
con dedica
autografa
a Cesare
Angelini
LE IMMAGINI E LE
RIPRODUZIONI
DEGLI SCRITTI PRESENTATE
Un colloquio
lungo trent’anni
di Nicoletta Trotta
risalgono al 1947 e sono incentrati sul
progetto, non realizzato, di pubblicare presso
Mondadori un volumetto di prose linatiane
per le cure del critico pavese.
Le missive inviate da Cesare Angelini a Carlo
Linati (22 lettere, 3 cartoline postali e 7
cartoline illustrate) provengono da un archivio
privato e sono state gentilmente messe a
disposizione da Vittoria Bonsignore Vecellio,
nipote della moglie di Linati, Anna Silvia
Bonsignore. Quest’ultima è destinataria
di una breve lettera di Angelini datata 5 luglio
1955, pure compresa nel medesimo corpus
epistolare, ma esclusa dal presente carteggio
essendo successiva alla morte dello scrittore
comasco avvenuta l’11 dicembre 1949. In essa
Angelini si rivolge «con antica amicizia» alla
signora Bonsignore a proposito di una
giacenza, presso il magazzino dell’editore
Garzanti, della già citata antologia scolastica
D’Annunzio). In una cartolina
illustrata del 2 luglio 1918,
raffigurante una figura
femminile, scrive per
esempio:
Oggi ho baciata l’Adda! Ho
baciata l’Adda sulla bocca
odorosa di muschio e
spumeggiante di sorriso e di
freschezza. Bella bocca tutta di
macigno. Oggi mi sento così
inzuppato di felicità solare, che
chiamerei lauri anche i sambuchi.
Caro Linati!
IN QUESTE
PAGINE SONO
CONTENUTE
NEL VOLUME CESARE ANGELINI -
CARLO LINATI,
CARTEGGIO 19181947
(A CURA DI
FABIO MAGGI
E NICOLETTA TROTTA, CON PREFAZIONE
DI RENZO
CREMANTE), EDIZIONI
DI STORIA
Ma ancor più che a
D’Annunzio, egli guarda a
Oscar Wilde:
Perché la bellezza, è peccato di
oscenità volerla dispiegare per via
di discorso letterario. Si sente chi la sente - così; come si guarda
la luce, come si beve un profumo
[…]. Badi, Linati, che in arte io ho
molta simpatia per Oscar Wilde –
l’Eletto - e credo che nessuno non
l’abbia, che sia, nell’animo,
artista: e ciò non per estetismo
vano, ma per compiuta
aristocrazia,
E LETTERATURA,
ROMA 2013
(Continua da pagina 9)
Le dico solo che lei ha ereditato
dai nostri antichi una gola d’oro,
che lei non deve, in nessun modo,
cambiare con la voce esasperata
(penso alla Raccolta del Signor
Raimondi) di certi modernisti che
vogliono fare Rimbaud senza
averlo prima, per troppa
impazienza, compreso. Il nuovo è
bello, caro Linati, ma l’antico è
eterno.
Ma perché, a proposito di parole,
ella, caro Angelini, ha quasi l’aria
di scusarsi quando mi nomina i
classici? Ma io li amo, ne derivo, e
me ne nutro continuamente. Che
vi può esser di bello, di eterno in
arte senza l’uso e la coscienza di
quella bellezza antica accumulata
dai nostri grandi morti? Tutto sta
nell’essere modernam[ente]
classici.
In un’altra lettera (25
settembre 1918), l’amico
indugia ad assaporare nella
«mondizia fantastica», nella
«felicità di suoni e di parole»
del proverbialmente ricco e
«bel tesoro» lessicale linatiano
«il sacro e sapido (incantato)
aroma dell’antico e la vivacità
liquida del moderno» (lettera
del 25 settembre 1918). E
Linati, ribattendo su questo
punto (ma la sua lettera è
senza data):
Non può non essere un
programma irto di difficoltà,
di ostacoli, di contraddizioni,
soprattutto per Angelini. Non
è facile, per lui, liberarsi – e
forse non se ne libererà mai –
da un resistente sostrato di
sensualità e di estetismo di
ascendenza, in parte,
dannunziana (anche se in
una lettera del 9 gennaio
1920 egli dichiara di vivere da
tanto tempo lontano, «con la
persona e l’animo», da
si legge nella lettera già citata
del 25 settembre 1918. Ed
ancora, in difesa di un’arte
aristocratica, di un’«arte con
lo stemma», per servirci di un
titolo angeliniano (lettera del
20 maggio 1919):
Anzi, a dir la verità, c’è da
spaventarsi quando attorno a un
nome si fa tanto chiasso.
C’è da pensare che ci siano, in
quel nome, troppi elementi banali;
precisamente quelli che colpiscono
il pubblico, il quale, fin’ora, d’arte
non ha capito un’acca. E io, per
mio conto, son sempre del parere
che, non l’arte al pubblico, ma il
pubblico debba accostarsi all’arte,
se n’ha i mezzi e le possibilità.
Perché il pubblico che cerca
d’accostarsi all’arte, si sublima;
ma l’arte che vuole avvicinarsi al
pubblico, si contamina e
prostituisce. Tra Mazzini e Wilde,
in giudizi d’arte, credo che abbia
sempre più ragione l’ultimo. Non è
così, Linati?
Sarà anche a questo
proposito che via via si
La porta d’oro. Si è inclusa la lettera del 2
gennaio 1947 (n. 65), formalmente indirizzata
alla moglie di Linati, ma destinata da Angelini
ad entrambi.
Di diversa provenienza la cartolina postale del
2 luglio 1923, pure accolta nel presente
carteggio (n. 40), indirizzata da Angelini a
Linati presso la redazione del «Convegno»,
rimasta nell’archivio della rivista milanese,
quindi reperita all’interno del fondo Ferrieri,
acquisito nel 1991 dal Centro di ricerca sulla
tradizione manoscritta di autori moderni e
contemporanei dell’Università di Pavia (la
cartolina si conserva nel corpus delle lettere di
Angelini a Enzo Ferrieri).
Le missive indirizzate da Carlo Linati a Cesare
Angelini (11 lettere, 19 cartoline postali e 3
illustrate) appartengono al fondo Angelini
acquisito nel 1992 dal sopracitato Centro
accentueranno, nelle
discussioni del «Convegno», le
divergenze con Linati,
destinate a sfociare in un
pur temporaneo distacco.
Come non è facile, neppure in
letteratura evitare gli
«sconfinamenti dell’eresia»,
oggi che «la nostra
generazione s’è pervertita
per via del mal francese; e
specialmente rimbaudino»
(per spigolare ancora
una volta dalla capitale
lettera del 25 settembre
1918). In una lettera del 14
giugno 1919 Angelini ricorda
ancora di aver «messo
insieme certe paginette tra
l’Oscar Wilde e il Rimbaud
(pensi che spavento!) le quali
conservano il loro colore
morale di castigo: cioè sono il
frutto di certe mie
discussioncelle
antirimbaudine con un
dottore di qua». Con
Rimbaud, «il quale nella
storia della poesia è
certamente un fatto unico e
grande», i conti li chiuderà
definitivamente proprio nel
saggio su Linati del 1921:
Rimbaud - e il torto fu quello di
averlo più ammirato che capito - è
come uno di quei fili sospesi e
pieni di corrente, presso i quali si
scrive igienicamente: - Pericolo
di morte - e van lasciati isolati. E
in verità coloro che han voluto
accostarsi a quel modello
impraticabile, si son trovati nelle
mani protese, con gran
mortificazione, i frutti della loro
arte inseccoliti; o finivan per
identificare l’arte con l’assurdo.
Pensate ai chimismi lirici che fan
rizzare la pelle. Sicché quelli che
contan la storia del tempo,
arrivati a questo punto, spengono
il lume e, con un sospiro sfiorato
di
tristezza, dicon che l’arte - questo
nostro fragile bene - tacitamente
trasmigra.
Ma il carteggio offre molti altri
spunti e motivi d’interesse, in
particolare intorno a
questioni di lingua e di stile.
(Continua a pagina 11)
Penso, per esempio, a certe
strutture
ritmiche, a certe misure
prosodiche auscultate con
orecchio finissimo e sicura
perizia tecnica nella prosa
linatiana, da avvicinare per
questo riguardo, alle
sperimentazioni di Boine.
Molte delle osservazioni di
Angelini sembrano
accordarsi, insomma, con il
giudizio che sull’arte di Linati
espresse nel
1927 Eugenio Montale,
lodando
il suo senso innato del doigté,
inteso non solo come esatta
granitura del periodo, ma ancora
come sapiente modellatura
ottenuta a rapidi colpi di pollice, e
facoltà di rendere sensibile alle
nocche delle dita ogni punto morto
della sua prosa. Nella quale, per
simile qualità, quelle zone che il
Valéry chiamerebbe le «parti
grigie» sono dissimulate
abilmente, ma non mai truccate a
scapito delle pagine più schiette.
Ed è proprio riguardo a questi
temi che la cooperazione dei
due sodali produce frutti
cospicui. Merita una
segnalazione, in particolare,
la precoce messa a punto,
con dovizia di esempi, di
quella linea lombarda che si
diparte
dal semenzaio dossiano e che
Contini avrebbe poi fatto
confluire nella categoria
dell’espressionismo e nella
«funzione Gadda». Che i due
compagni in «lombarderia»,
per usare la spiritosa
definizione di Boine, possano
essere in qualche modo
annessi a tale funzione, è
argomento che richiederebbe
forse un supplemento di
analisi. Anche a questo
proposito l’accuratissimo
indice dei nomi che chiude il
volume, registrando sotto il
lemma dell’autore anche
i titoli delle opere citate, potrà
fornire informazioni preziose.
Novembre 2013 - Numero novantuno
(Continua da pagina 10)
Manoscritti dell’Università di Pavia. Allegata al
corpus epistolare si conserva inoltre una
fotografia formato cartolina di Linati in
uniforme militare con dedica autografa
all’amico (qui riprodotta nella sezione
iconografica).
I documenti presentati sono inediti tranne:
– Due lettere di Carlo Linati a Cesare Angelini
pubblicate a cura di N. Trotta in «Autografo»,
XIII , n. 34, gennaio-giugno 1997, pp. 97-106.
Si tratta della lettera senza data, ma del 1918
(n. 7), e di quella del 17 novembre 1923 (n.
43);
– 17 unità indirizzate da Cesare Angelini a
Carlo Linati pubblicate in C. Angelini, I doni
della vita. Lettere 1913-1976, a cura di A.
Stella e A. Modena, Milano, Rusconi, 1985. Si
tratta delle missive datate: 10 marzo 1918 (n.
1); 24 marzo 1918 (n. 2); 31 agosto 1918 (n.
5); 25 settembre 1918 (n. 6); 20 maggio 1919
(n. 8); 14 giugno 1919 (n. 9); 6 luglio 1919 (n.
10); 4 settembre 1919 (n. 13); 20 settembre
1919 (n. 14); 9 gennaio 1920 (n. 17); 21
febbraio 1921 (n. 22); 21 luglio 1921 (n. 28);
28 ottobre 1921 (n. 31); 8 novembre 1923 (n.
42); 2 marzo 1925 (n. 52); 20 dicembre 1928
Pagina 11
lombarde nell’epistolario
linatiano. Lettere indirizzate a
Ferrieri e ad Angelini,
pubblicato nel volume Carlo
Linati a 50 anni dalla morte.
Atti del Convegno tenutosi a
Como 1999, Comune di
Como, 2001, pp. 48-58.
Si deve a Nicoletta Trotta la
trascrizione delle missive di
Linati e di quella di Angelini
datata 2 luglio 1923, reperita
nel fondo Ferrieri; a Fabio
Maggi la trascrizione delle
restanti missive di Angelini.
Le lettere, presentate
secondo l’ordine cronologico, sono state
numerate progressivamente. Nella
trascrizione si sono rispettati fedelmente gli
originali, anche nell’uso oscillante di
maiuscole / minuscole (ad esempio nei giorni
della settimana o nei mesi). Ci si è limitati a
correggere casi rari di evidenti sviste grafiche.
Sono state rese in corsivo le parole
sottolineate dai due corrispondenti, come
pure le parole straniere anche quando non
sottolineate. Sono altresì stati trascritti in
corsivo i titoli di testi e di volumi, così come le
entro parentesi quadre,
tranne le abbreviazioni
canoniche (come es., vol.,
pag., ms.).
Ogni missiva è fornita, in
nota, di una sintetica
indicazione archivistica nella
quale sono segnalati oltre
alla consistenza, l’eventuale
presenza di intestazioni della
carta, l’indirizzo delle
cartoline postali e di quelle
illustrate e l’indicazione di
mittente e destinatario
vergata sulle buste. Le
missive sono tutte
manoscritte autografe (indicate con ‘ms.’)
tranne una lettera (n. 64) e una cartolina
postale (n. 66), entrambe di Linati,
dattiloscritte (indicate con ‘ds.’).
Ogni missiva è inoltre corredata di
annotazioni illustrative dedotte, in
primo luogo, da scritti degli autori o da altri
carteggi, sia editi sia inediti.
Si è cercato di fornire informazioni utili a
chiarire il contesto nel quale si sviluppa il
dialogo epistolare, evidenziandone i nuclei
tematici più rilevanti. Si sono date notizie su
Zerboni, 1909; Duccio da Bontà, Varese, A.
Nicola & C., 1912; I doni della terra, Milano,
Studio Editoriale Lombardo, 1915; Nuvole e
paesi, Firenze, Vallecchi, 1919; A vento e sole.
Pagine di vagabondaggio, Torino, Società
Subalpina Editrice, 1939; Passeggiate lariane,
Milano, Garzanti, 1939. Non è stato possibile
reperire i libri donati da Cesare Angelini a
Carlo Linati.
A completamento, è parso utile raccogliere in
Appendice gli scritti di Angelini su Linati e di
Linati su Angelini, in buona parte richiamati
da singoli passi delle lettere, come si è
segnalato di volta in volta in nota. Le citazioni
dei testi linatiani variamente prodotte da
Angelini sono state sempre controllate sulle
stampe originali. Si forniscono qui di seguito
le indicazioni bibliografiche relative ai testi
raccolti nell’Appendice.
personalità meno note citate nei testi, mentre
per i personaggi maggiori ci si è limitati a
precisare i loro rapporti con i due
corrispondenti. Per le citazioni di volumi, di
articoli, di testate di giornali e riviste, si sono
seguite le norme tipografiche dell’Editore. Si
sono segnalati pure in nota gli sporadici
interventi correttorî presenti negli autografi.
Nell’ambito di un progetto comune si devono
a Nicoletta Trotta le note relative alle missive
di Linati (e ad alcune di Angelini), a Fabio
Maggi le note relative alla gran parte delle
missive angeliniane.
In riferimento ai volumi sui quali sono state
apposte, si sono riportate in nota anche le
dediche autografe vergate da Linati sui libri
donati ad Angelini, i quali si conservano nel
fondo intestato ad Angelini presso la
Biblioteca del Seminario Vescovile di Pavia.
Sono rimaste escluse le seguenti dediche,
relative a due testi non citati nel carteggio:
«All’amico Angelini | fraternamente | Linati |
Rebbio | Agosto del ’42» in Aprilante. Soste e
cammini, Roma, Tumminelli, 1942 e
«All’indimenticabile | Amico | Linati» in Due
tempi in provincia. Cupido fra gli alambicchi.
Barbogeria, Milano, Ultra, 1944. Per
completezza si segnala la presenza nel fondo
Angelini di altri volumi di Linati, privi di
dedica, ma per lo più postillati dal letterato
pavese: Cristabella, Milano, Tipografia Enrico
– Il Proverbio della Lombardia, «Il Convegno»,
III (1922), 11-12, pp. 674-679. La parte iniziale
del testo (fino ai primi asterischi) fu poi
riportata da Angelini, con minime varianti,
anche nella rivista «La Festa», III (1925), 16, p.
3;
– “Le tre pievi” di Carlo Linati, «Il Popolo
Veneto», 1° novembre 1922. Questo testo è
ricavato dall’articolo precedente, Il Proverbio
della Lombardia, sensibilmente modificato
nella seconda parte;
– A Carlo Linati Cesare Angelini dice salute,
«La Festa», III (1925), 18, pp.
7-8;
– Linati in Carta, penna e calamaio, Milano,
Garzanti, 1944, pp. 293-297. Col titolo Ritratti
celeri. Linati il testo aveva già visto la luce in
rivista, «Primato», IV (1943), 13, p. 242;
– Nuvole e paesi in Vivere coi poeti, Milano,
Fabbri, 1956, pp. 72-75. Il testo aveva già visto
la luce in rivista, «Saggi di umanismo cristiano.
Quaderni dell’Almo Collegio Borromeo», VI
(1951), 4, pp. 85-87;
– Poeta in Brianza in Quattro lombardi (e la
Brianza), Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro,
1961, pp. 47-58. Il testo aveva già visto la luce
nel quotidiano «Il Corriere della Sera» del 4
ottobre 1957. Raccolto poi anche in C.
Angelini, Uomini della «Voce», a cura di V.
Alla prima sezione appartengono gli scritti di
Angelini su Linati:
– Carlo Linati in Il lettore provveduto, Milano,
Il Convegno Editoriale, 1923, pp. 101-143. Col
titolo Conversazione sui lombardi.
I - Carlo Linati il testo aveva già visto la luce in
rivista, «Il Convegno», II (1921), 4-5, pp. 162188;
Cartolina postale autografa di Carlo Linati del 31 luglio 1919
(n. 56); 5 ottobre 1946 (n. 63). Si fa presente
che, per quanto riguarda le lettere a Linati, i
curatori non poterono disporre degli originali
bensì di trascrizioni effettuate dalla vedova
dello scrittore: ciò spiega alcune difformità di
lezione e qualche discrepanza nella datazione.
L e lettere di Angelini del 24 marzo 1918 (n. 2)
e del 25 settembre 1918 (n. 6) erano state
precedentemente pubblicate in C. Angelini,
Trenta lettere, con una nota di A. Comini e A.
Stella, Pavia, Almo Collegio Borromeo, 1981.
Tre lettere di Linati - senza data ma del 1918
(n. 7), 29 settembre 1920 (n. 20) e 18 giugno
1936 (n. 60) - sono state esposte nella mostra
che il Centro Manoscritti dell’Università di
Pavia dedicò nel 1996 a Cesare Angelini (cfr. la
sezione linatiana del catalogo curata da A.
Modena in Cesare Angelini nel ‘tempo’ delle
amicizie, Pavia, Edizioni Tipografia
Commerciale Pavese, 1996, pp. 193-195). Si
segnala inoltre che il presente carteggio è
stato oggetto dell’intervento di N. Trotta dal
titolo Un maestro a nome Chirone. Il carteggio
Angelini-Linati, presentato alla sessione
dedicata a Cesare Angelini e la cultura del
Novecento in occasione del convegno
Umanesimo ecumenico: percorsi interiori della
convivenza, Pavia, Almo Collegio Borromeo,
13-14 ottobre 2006. Notizie in merito erano
state anticipate nell’articolo di N. Trotta, Voci
testate di riviste e di giornali, sottolineati
sempre da Angelini e in buona parte da Linati
(che però talvolta fa uso di virgolette alte e di
trattini). Si è pure uniformato l’uso delle
virgolette caporali nelle citazioni all’interno
delle missive, rispettando nelle lettere di
Linati l’utilizzo delle virgolette alte per le
citazioni di due parole. Si sono mantenuti gli a
capo degli autografi. Le posizioni della data e
della firma sono standardizzate, l’una in alto a
destra, l’altra in basso a destra, seguendo i
criteri della collana. Si è rispettata la forma
della data. In mancanza di datazione
autografa, si è ricorsi al timbro postale
(dandone segnalazione: «t. p.» entro
parentesi quadre) per le cartoline postali o
illustrate e per le lettere di
cui si conservi la busta (le missive di Linati ne
sono totalmente prive, mentre quelle di
Angelini ne contano dieci); si è racchiusa tra
parentesi quadre la datazione ricostruita
attraverso riferimenti interni. Le parentesi
uncinate sono state introdotte in due soli casi
per indicare un’integrazione congetturale di
parole che mancano nel testo o per svista
dell’autore (‹preso›: lettera n. 17) o per
lacuna dovuta a un’abrasione del supporto
cartaceo (‹mio›: lettera n. 54).
Le abbreviazioni presenti negli autografi
(relative a nomi di persona, di luogo, titoli di
libri) sono state sciolte ed integrate nel testo
(Continua a pagina 12)
Pagina 12
Numero novantuno - Novembre 2013
NELLE FOTO
Cesare Angelini alpino, terzo da sinistra.
A destra: lettera autografa di Carlo Linati del gennaio 1924
(Continua da pagina 11)
Scheiwiller, Milano, Libri Scheiwiller, 1986, pp.
71-77;
– Fedeltà lombarda in Cronachette di
letteratura contemporanea (1919-1971),
Bologna, Boni Editore, 1971, pp. 191-199. Il
testo aveva già visto la luce nel quotidiano «Il
Corriere della Sera» del 24 ottobre 1968.
Alla seconda sezione appartengono gli scritti
di Linati su Angelini:
– Il dono del Manzoni di Cesare Angelini e Il
lettore provveduto di Cesare Angelini, «Il
Convegno», V (1924), 3, pp. 134-136;
– Incontro con Angelini, «Settegiorni», 26
giugno 1943, p. 9, poi raccolto in Il bel Guido e
altri ritratti, a cura di G. Lavezzi e A. Modena,
Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1982, pp.
97-105.
Si segnala infine che Linati è presente nelle
antologie scolastiche curate da Angelini, con
brani, relativi ‘cappelli’ introduttivi e note.
Sessantasei unità
epistolari
testimoniano
il sodalizio culturale
Riportiamo di seguito i riferimenti bibliografici
(non presenti nelle antologie):
C. Angelini, La vite e i tralci, antologia per le
scuole medie, Milano, Casa Editrice Alba,
varie edizioni dal 1931 al 1938:
– volume classe III , L’airone bianco, pp. 254261 (da Storie di bestie e di
fantasmi, Milano, Treves, 1925, pp. 1-12);
– volume classe IV, I doni della terra, pp. 332334 (Spoglie, Limaccia, da I doni della terra,
Milano, Studio Editoriale Lombardo, 1915, pp.
32-33, p. 89).
C. Angelini-C. Linati, La porta d’oro, Antologia
italiana per la scuola media inferiore, Milano,
Garzanti, 1946; 2ª edizione riveduta e
largamente accresciuta, ivi, 1949:
– Immagini lombarde, pp. 117-119 (Spoglie,
Limaccia [ma nell’antologia con titolo
Lumaca], da I doni della terra, pp. 32-33, p.
89);
– L’airone bianco, pp. 264-269 (da Storie di
bestie e di fantasmi, pp. 1-12).
Entrambi riportati
anche nella 2ª
edizione.
C. Angelini,
L’allegra
vendemmia,
Antologia per il
Ginnasio superiore
e per il primo
biennio del Liceo scientifico, Brescia, La Scuola
Editrice, 1949:
– Autunno pittore, pp. 9-10 (da Aprilante.
Soste e cammini, Roma, Tumminelli, 1942, pp.
69-72);
– Pagine lombarde, pp. 138-141 (Luglio, da
Nuvole e paesi, Firenze, Vallecchi, 1919, pp.
113-114; Orietur Stella, La siesta sulla vasca,
da Amori erranti. Figure ed episodi, Milano,
Facchi, 1921, pp. 9-10, pp. 123-129;
L’esodo, da «Il Resto del Carlino» del 22
novembre 1921);
– Studi di mesi e di paesi, pp. 160-164 (Studi
d’ulivi, Marzo, Aprile, Maggio,
Novembre, L’Inquieto, Visitazioni da Nuvole e
paesi, pp. 25-26, pp. 103104, pp. 105-107, pp. 109-110, p. 121, pp. 7579, pp. 83-85);
– Le pianelle del Signore, pp. 203-215 (da Le
pianelle del Signore. Racconti e paesi,
Lanciano, Carabba, 1932, pp. 329-358).
Nicoletta Trotta
Dedico questo lavoro a mio marito,
Franco Mirabelli, troppo presto strappato
alla vita e a tutti noi.
L’EDITORIALE
UN’IDEA “POLITICA”
(Continua da pagina 1)
la libertà democratica è
debitrice nei confronti
della mamma di tutte le
libertà moderne, quella
di credenza religiosa. È
l’esperienza della
pluralità delle fedi e
delle credenze religiose,
etiche o culturali che
chiede sin dall’origine la
risposta della laicità. In
due parole, il mio
teorema sulla laicità
deriva dall’assioma
dell’eguale libertà
democratica di
cittadinanza. Sono
consapevole del fatto
che il mio teorema non
esaurisce i molti volti
della vaga e preziosa
idea di laicità. E so
anche quanto
importanti possano
essere altri approcci alla
difficile questione. Ma
credo che quando
nell’analisi si può
distinguere, allora è
buona cosa distinguere.
Se fosse possibile
raggiungere un accordo
ragionevole sulla
connessione intrinseca
fra l’idea di laicità e la
natura della libertà
democratica di
cittadinanza e sulle sue
implicazioni, avremmo
DI LAICITÀ
almeno guadagnato
un’area condivisa di
accordo per metterci alla
prova nelle circostanze
persistenti e durevoli del
disaccordo, anche nei
casi estremi. Del resto,
come ho più volte
saggezza quale Carlo
Maria Martini, noi
dobbiamo imparare a
convivere nella
diversità. Impresa certo
non facile per i figli della
fragilità di Voltaire. Ma,
al tempo stesso,
A sinistra: la copertina del libro di Veca
A destra: Carlo Maria Martini (1927-2012)
sostenuto nei miei lavori
sulla libertà
democratica, la
persistenza del
disaccordo e della
diversità non è un male
congiunturale quanto
piuttosto un tratto
strutturale che
contraddistingue le
forme di vita
democratica. Come ci
ha suggerito nel suo
insegnamento un
autorevole maestro di
impresa sicuramente
resa impossibile e
impraticabile, se il
nesso fra laicità e
democrazia fosse
esposto a un destino di
perdita e dissipazione.
Il vecchio Socrate ha
ascoltato perplesso e
incuriosito e, alla fine,
mi ha ricordato che in
ogni caso un gallo ad
Esculapio vale la pena
di offrirlo.
Salvatore Veca
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