Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto
ANNO L II
maggio 2015
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ISSN 0544-7763
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106
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Santa Cecilia
CAV & PAG a Salisburgo
La danza a Roma
Aida
al
Costanzi
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Rassegna internazionale
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ANNO L I
ottobre 2014
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DJ sul palcoscenico e discoteca nel golfo mistico
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Concerti - Opera - Balletto
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rivista n.105
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Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto
ANNO L I
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Ma la musica non è solo un hobby
Domenico Carboni, prezioso collaboratore della nostra rivista, che dal 1983 al 2014
ha diretto la storica Biblioteca del Conservatorio di Santa Cecilia, ci illustra in un
interessante articolo di questo numero, la prima parte della storia del Conservatorio
di musica romano, ricordando l’abnegazione, lo spirito di sacrificio e la generosità
dei grandi maestri che l’hanno fondato con l’intento di creare una scuola esemplare
per i futuri professionisti della musica.
E’ una storia che pare interessi solo gli addetti ai lavori e resta sicuramente sconosciuta a molti nostri contemporanei, altrimenti non avrebbero rottamato con tanta
disinvoltura i nostri prestigiosi Conservatori di musica, ora Istituti di Alta Cultura,
dove si può accedere a qualunque età come all’Università, e da cui si uscirà con una
laurea che però dal punto di vista artistico, non ha più niente a che vedere con il sostanzioso diploma che si poteva ottenere prima dei venti anni. Oggi non è più così.
E ci sarebbe da riflettere sulle proposte che docenti d’esperienza fecero a suo tempo
(purtroppo non sostenute dai più giovani!..) durante i numerosi incontri organizzati
per mettere a fuoco le proposte per una nuova legge che potesse dare al musicista
professionista l’opportunità di conseguire una laurea in musica. Per la sottoscritta,
in quegli anni docente di pianoforte principale a Santa Cecilia, la proposta più saggia sarebbe stata quella di creare alcune Accademie dove poter proseguire gli studi
professionali perfezionandosi fino al raggiungimento della laurea in musica: Accademie al livello delle Hochschule für musik tedesche, dove i docenti sono grandi
professionisti.e gli allievi tutti selezionati. Aver trasformato i Conservatori, nostro
secolare orgoglio nazionale, apprezzati e imitati in tutto il mondo, in 58 Istituti di
Alta Cultura con tante materie, (alcune solo una perdita di tempo… ) è stato considerato da molti un grande errore.
C’è d’augurarsi che, superato questo difficilissimo periodo di dolorose rinunce, si
possa riproporre la riorganizzazione dei nostri gloriosi Conservatori, aggiornandoli
e ridando loro quel prestigio conquistato attraverso i grandi geni da loro prodotti
che hanno riempito le pagine della nostra storia della musica apprezzata e tuttora
studiata in tutto il mondo.
3
Sommario
All’Opera di Roma
AIDA
MA SENZA TRIONFO
di Lorenzo Tozzi
5
Nascono a Latina
il DMI e l’ARCHIVIO
DEI MUSICISTI
di Claudio Paradiso
I cento anni dalla nascita di
SVIATOSLAV RICHTER
di Ivana Musiani
CORREVA
L’ANNO 1915
di Domenico Carboni
A Lipsia e ad Halle
la Germania festeggia
BACH E HÄNDEL
di Lorenzo Tozzi
CAV & PAG trionfano
con Thielemann
di Luigi Bellingardi
6
10
11
GIORGIO NAPOLITANO
sensibile anche ai problemi
della musica
di Giorgio Girelli
Impera la danza nei
TEATRI ROMANI
14
musica con Brahms e Mahler
di Luigi Bellingardi
16
22
23
BON TON
28
LIBRI E CD
a cura di Luigi Bellingardi
29
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AIDA MA SENZA TRIONFO
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DOMENICO CARBONI
LORENZO TOZZI
Direzione -Redazione -Amministrazione
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Tel. -Fax 06 3297736
Grafica: Eurolit srl
Stampa: Pignani Printing srl
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26
di Ivanhoe
MANFRED HONECK
20
a cura di Angela Funaro
NOTIZIE
di Ivana Musiani
20
FONDATRICE
Lydia Boni
All’opera di Roma
Unione Stampa Periodica Italiana
di Alberto Cervi
MA TOSCA,
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DI VITA MUSICALE -CONCERTI
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Un momento delle prove dell’Aida - A.Rachvelishvili(Amneris), R.Tagliavini(Ramfis) ©Yasuko Kageyama - Opera Roma
I
n una lettera al Presidente del
Teatro Comunale di Trieste nel
1872 a proposito di Aida il Don
Peppino nazionale raccomandava
che venisse eseguita “con cuore e
intelligenza” e soprattutto secondo
le sue intenzioni.
E si sa che tra queste ultime c’era
anche una messinscena degna della tradizione grand-operistica francese proprio per dare per contrasto
risalto alle scene intimistiche e alla
dimensione umana dei personaggi.
E’ anzi proprio questa dimensione
titanica a conferire più incisività a
quel triangolo amoroso che vigeva
nel melodramma almeno dall’età
dell’Interregno di Bellini e Donizetti. E di quella grandiosità testimoniavano le scenografie disegnate
dall’egittologo Mariette e la celeberrima quanto irrinunciabile marcia trionfale.
A Roma invece, riprendendo il
sobrio ed essenziale allestimento
del coreografo Micha Van Hoecke
concepito per le Terme di Caracalla nel 2011, l’Aida è sembrata
“povera”, scarna, priva di sfondo
storico ( poteva essere anche Guerre stellari). Tutto si riduce in fondo
solo a due rampe di scale disposte
in tutti i modi possibili ed immaginabili ( anche come minipiramide
o come avello finale). Manca insomma il colore e il calore infuocato dell’Egitto ed anche le belle
luci (l’azzurro idealizzato del Nilo)
sembrano più congeniali ai fiordi
di un Ibsen o a Grieg che al Verdi
egizio.
L’azione scenica vaca a lungo, nonostante gli spazi ampiamente disponibili in scena, e il balletto, con
le ballerine in bikini da mosaico di
Villa Armerina, mette in luce solo
le doti della brava Alessandra Amato, ma si svolge sugli stessi modi
astratti e extratemporali con al centro un incomprensibile derviscio
ruotante.
Non giovava poi la direzione musi-
cale di Bignamini, scolastica e professionale, ma priva di colpo d’ali e
di senso dell’assieme drammatico,
mentre nella terna dei protagonisti
si distinguevano, ma solo alla distanza, la carismatica Amneris di
Anita Rachvelishvili ed il Radames, invero più avvezzo alle gozzoviglie e alle taverne che alle giberne e alle palestre, del corpulento
Fabio Sartori. Non sempre a fuoco
soprattutto in tessitura acuta invece
l’Aida della magiara Csilla Boros,
neppure coadiuvata registicamente
a dovere. Ne risultava così una esecuzione piatta, noiosetta e di routine. Insomma, tanto per dirla con
Verdi, “per Aida non basta avere
due o tre cantanti buoni!” (lettera a
Torelli, 22 agosto 1872), ma il buon
Verdi non poteva contemplare in
quella’alba dell’Italia postunitaria
crisi e tagli di finanziamenti.
Lorenzo Tozzi
5
CORREVA L’ANNO 1915
Visione; Oblìo; Baci;
per canto e pianoforte
Andante cantabile;
Serenata napoletana;
per violino e pianoforte.
Concerto in sol minore,
op. 10, per pianoforte e
orchestra
Andante solenne
sul tema del “Te Deum”;
Direttore
Bernardino
Molinari, soprano Bice
Mililotti Reyna, pianista
Francesco Bajardi, violinista Oscar Zuccarini, al
pianoforte e all’Organo
Antonio Traversi.
(Il titolo preciso della Sinfonia n.2 era in Mi bem.
senza precisare il tono
poiché toccava entrambi
i toni maggiore e minore.
Composta nel 1883 fu
eseguita a Roma e a Colonia e mai più eseguita.
Il compositore, nonoSala Accademica primi 900
stante le insistenze degli editori, non volle mai
pubblicarla
preferendo
tenerla nel cassetto. Molinari quindi la poté eseguire poiché il Maestro non
poteva più negare l’autorizzazione.
Fu ripresa, sempre da Molinari
esposto il manifesto della Regia
e sempre all’Augusteo nel 1917
Accademia di S. Cecilia – “Cone poi la partitura scomparve micerti all’Augusteo. Domenica 17
steriosamente. Fu ricostruita dal
gennaio 1915”
sottoscritto nel 2014 dalle parti
d’orchestra, per fortuna complete,
Concerto commemorativo di
e pubblicata da Ars Musica.)
Giovanni Sgambati.
Bajardi, titolare di una delle cattedre di pianoforte era uno degli alG. SGAMBATI lievi prediletti di Sgambati. Oscar
Zuccarini, ventottenne, allievo di
Sinfonia n.2 in Mi bemolle maggiore
Oreste Pinelli, era primo violino
Berceuse-rêverie ,
e violino solista dell’Orchestra
trascrizione orchestrale di J.Massenet
Via dei Greci 18:
Un anno particolare
per la scuola di musica romana
S
iamo a gennaio 1915.
Il Liceo Musicale di
S.Cecilia con sede in via dei
Greci 18 nell’ex convento delle
Suore Orsoline, è in lutto per la
morte di Giovanni Sgambati, titolare del corso di perfezionamento
di Pianoforte.
La morte, inaspettata, avvenne il
14 dicembre ma, per via delle festività natalizie, si decise di rinviare la solenne commemorazione a gennaio. Nella bacheca era
6
dell’Accademia; Bernardino Molinari, diplomato in pianoforte,
organo e composizione, nel 1912,
a soli 32 anni, era diventato direttore artistico e stabile dell’Orchestra, (chiamato a ricoprire questo
incarico dal Conte di San Martino,
presidente dell’ Accademia), incarico che tenne ininterrottamente
fino al 1944.
La Bice Mililotti si era diplomata
brillantemente al Liceo nel 1888:
molto apprezzata nell’ambiente
musicale romano si dedicò principalmente alla musica da camera.
Ma un altro concerto in onore di
Sgambati, che forse il maestro
avrebbe preferito alla solenne
commemorazione ufficiale, fu
questo che compare nel libretto
dei Saggi scolastici:
DODICESIMO
SAGGIO DI CLASSE
Venerdi 30 aprile 1915
DATO DAGLI ALUNNI
DI GIOVANNI SGAMBATI
IN MEMORIA DEL LORO
MAESTRO SGAMBATI
Preludio e fuga op.6
Federici Fernanda (anno 2°)
Vecchio Minuetto, op.18 –
Studio melodico, op. 21
Picchetto Vera (anno 2°)
Rappelle-toi! – Laender –Vox populi
(Pièces Lyriques op.23)
Tordi Adalgisa, (anno2°)
Notturno in re bem. Op.31 –
Toccata, op.18
Zaniboni Xenia (anno 2°)
Studio da Concerto
in fa diesis min., op.10
Jacopini Argentina
Notturno, op.20; Gavotta op.14;
Studio da Concerto in re bem
(op.10)
Panni Anita (anno 3°)
Concerto per pianoforte e orche-
stra op.15
Moderato maestoso. Romanza.
Allegro animato
Spizzichino Giovanna (anno 2°)
Classe d’orchestra
Prof. Alessandro Bustini.
Oreste
Pinelli,
docente di pianoforte, fratello
di Ettore, è nominato reggente
della ex classe di
Sgambati. Ma la
morte di Sgambati fu solo uno degli eventi luttuosi
che fra il ’14 e il
’15 ebbero come
conseguenza un
significativo rinnovamento del
corpo
docente
del Liceo. Il direttore Stanislao
Falchi è malato e lo supplisce
Raffaele Terziani,
professore
di Canto corale
e vice direttore.
Falchi non ce la
fa a tornare e dà
le
dimissioni.
Terziani è confermato quindi
direttore reggente fino alla nomina del nuovo direttore. Anche Ettore Pinelli non
sta bene e lascia la Classe d’Orchestra tenendo solo quella di
Violino. Sgambati, Ettore Pinelli
e Falchi appartengono al primo
impianto del Liceo, formato nel
1877 da 29 docenti. Hanno tutti
38 anni di servizio a cui si devono
aggiungere altri 7 di insegnamento a titolo gratuito nella precedente scuola sperimentale da cui nacque il Liceo.
Non c’erano limiti di età perché
non erano previsti dal Regolamento per cui si poteva restare
tranquillamente in servizio finché
si era in grado di farlo, anche perché fino a tre anni prima non esi-
stevano neanche le pensioni, solo
un’indennità per assenza causa
malattia e quindi non si parlava
mai di collocamento a riposo.
Il primo fortunato pensionato fu
Cesare De Sanctis, docente di
Composizione, aveva 88 anni e
poté godere quindi di ben 4 anni
di pensione poiché morì a 92 anni.
Giovanni Sgambati
Dall’Ottocento
al Novecento
Non tutti sanno che il Conservatorio S. Cecilia di Roma ha una storia diversa dagli altri conservatori
storici italiani: non nasce infatti
alla stregua degli altri come istituto caritatevole (conservatorio è
sinonimo di orfanotrofio) come
a Napoli, Venezia, Palermo, ma
dall’ iniziativa di due giovani provetti musicisti: Giovanni Sgambati, pianista e compositore allievo
di Franz Liszt, e Ettore Pinelli,
violinista perfezionatosi con Joachim che, ottenuti due locali nella
sede dell’Accademia di S. Ceci-
7
lia si misero ad insegnare gratis.
Il loro esempio fu seguito da altri
colleghi come i sopra citati Falchi,
Monachesi, De Sanctis, Zuliani, e
altri. Era il 1870/77. Ora dopo 45
anni, e un cammino molto faticoso, il Liceo Musicale è diventato
ormai pari ai più prestigiosi conservatori, riconosciuto dallo Stato come Ente morale autonomo e
non più dipendente dall’Accademia nel cui seno nacque.
In questo fatidico anno scolastico
dunque i giovani pionieri, diventati anziani, uno dopo l’altro, venivano a mancare dopo un’intera
vita d’insegnamento cedendo il
testimone alle nuove generazioni: a Sgambati successe Alfredo
Casella, a De Sanctis e a Falchi
Ottorino Respighi.
Per la scuola di Violino Arrigo
Serato subentrò a Pinelli e Mario
Corti a Monachesi. Alessandro
Bustini fu il successore di Pinelli
per la Classe d’Orchestra e Domenico Alaleona sostituì Zuliani
in Storia ed estetica musicale. Ci
fu quindi un’infornata di nuovi
docenti assunti per concorso, tutti
poco più che trentenni. Nel 1915
si passava così, culturalmente e
artisticamente, dall’Ottocento al
Novecento.
Dati statistici
La fotografia del Liceo del 1915
è la seguente: 38 docenti, 21 corsi
principali, 11 corsi complementari. 224 alunni di cui 129 maschi
e 95 femmine. Ritiratisi durante
l’anno 14, non confermati 5, diplomati 18. Rimasti in corso alla
fine dell’anno scolastico 187. Le
domande di ammissione furono
179 e ne vennero accolte 55. Si
effettuarono 20 saggi scolastici
pubblici.
La guerra
Il 23 maggio il governo italiano
dichiarò guerra all’Austria. Terziani provvide a indire immedia-
8
El violinista Pinelli - quadro dipinto da Eduardo Rosales Gallinas
tamente la sessione degli esami
finali per far conseguire il titolo a
coloro che dovevano essere chiamati alle armi: «Uno speciale riguardo credetti doveroso di usare
agli alunni chiamati in servizio
per la Patria, accordando loro
una immediata sessione di licenza e concedendo, previo assenso
dell’On. Commissione Amministrativa, il passaggio senza esame
per i non licenziandi che avessero
riportato la media annua di 6/10».
Purtroppo i 4 Saggi Finali con
l’orchestra dovettero saltare sempre a causa della guerra; così
scrive Terziani: «Restavano a effettuarsi i consueti saggi finali,
stabiliti dal vigente Regolamento,
ed io mi accingevo alla loro preparazione quando il momento critico che agitava la vita nazionale
si determinò con la dichiarazione
della guerra; onde la scolaresca
del Liceo venne improvvisamente
diminuita di ben 45 giovani, chiamati alle armi, i quali appunto costituivano il nucleo più forte della
classe orchestrale e delle scuole
di canto. Di conseguenza, sia per
la generale disposizione degli animi preoccupati da altre più gravi
cure, sia soprattutto per le serie
difficoltà materiali che non rendevano oramai più possibile formare
la massa orchestrale e corale, indispensabile alla decorosa esecuzione dei nostri maggiori esperi-
menti pubblici e più specialmente
richiesta per eseguire i lavori
delle scuole di composizione, mi
resi persuaso della opportunità di
rinunziare ai saggi finali».
Fra gli allievi che dovettero indossare la divisa vi fu Giacomo
Volpi, tenore, allievo di 2° anno
di Cotogni, che venne arruolato, essendo anche studente universitario in
Giurisprudenza, come
sottotenente di fanteria. Si distinse al fronte
guadagnandosi un encomio solenne e tre croci
di guerra. Nel 1919 si
presentò con la divisa
di capitano del 12° Fanteria per riprendere le
lezioni e apprese della
morte del suo maestro
avvenuta nel frattempo.
Continuò nella classe
di Enrico Rosati fino al
suo debutto diventando
subito celebre col cognome Lauri-Volpi. Nel
1914 un altro allievo del
Liceo, Beniamino Gigli,
classe di canto di Rosati, vestì la divisa di fante
in un tranquillo posto di
telefonista al Comando
territoriale di Roma ed
ebbe modo così di concludere gli studi.
Saranno famosi
Sfogliando l’annuario
dei Saggi scolastici del 1915:
Classe di Canto di Antonio Cotogni. Sabato 27 marzo 1915: VERDI. La forza del destino. Duetto
per tenore e baritono atto II Volpi
Giacomo (anno 2°) Basiola Mario
(anno 1°). Quando si dice: prendere due piccioni con una fava.
Oltre a colui che diventerà il grande tenore Giacomo Lauri Volpi c’è
anche Mario Basiola che diventerà uno dei più famosi baritoni del
suo tempo! Basiola poi canterà la
romanza Vorrei… di Bleihmann
e Volpi una romanza da L’amico
Fritz e in un duetto dal Don Carlos. Quando Volpi tornerà dalla
guerra sarà l’amico Basiola, già
in carriera, ad aiutarlo per avere
una scrittura al Teatro di Viterbo
(I Puritani e poi Rigoletto) ed è in
quell’occasione che, appreso che
vi era in carriera un altro tenore
di nome Volpi (Guido), Giacomo
a una bella carriera: specialista
nel repertorio verdiano, cantò
quasi ad ogni stagione al Teatro
dell’Opera di Roma dal 1928 al
1949, e alla Scala dal ‘23 al ‘36
poi a Londra, Parigi, Berlino, Sud
America ecc…
Il Saggio della classe di Organo
complementare di Remigio Renzi inizia con una Toccata di Dubois eseguita
dall’allievo Somma Bonaventura (anno 1°) che
poi si presterà anche ad
accompagnare al pianoforte i saggi di violino.
Bonaventura Somma si
diplomerà in composizione con Respighi.
Diventerà dal 1926 direttore del Coro dell’Accademia di S. Cecilia portandolo a un tale grado di
perfezione da diventare
fra i più ammirati complessi corali del mondo.
Dal 1939 insegnò Composizione
polifonica
vocale al Conservatorio
S.Cecilia.E per finire un
pizzico di gossip. Nella
classe di Respighi era
stata da poco ammessa
la signorina ventunenne
Elsa Olivieri Sangiacomo innamoratissima del
suo docente. L’amore fu
corrisposto e nel gennaio del 1919 i due conSala Accademica di Santa Cecilia volarono felicemente a
nozze.
Tutto questo succedeva
volle precedere il suo cognome
nel Liceo Musicale S. Cecilia nel
da “Lauri”, e Lauri-Volpi divenne
1915. Finita la guerra, nel 1919 il
poi il suo vero cognome con R.
Liceo sarà statalizzato e nel 1923
Decreto del 1934. Giacomo Laupotrà chiamarsi Conservatorio di
ri-Volpi e Mario Basiola s’inconMusica. Nella Sala Accademica
trarono spesso sui palcoscenici
dell’Istituto nelle pareti laterali
specie negli anni 1924-31.
vi sono due nicchie che contengoMa vediamo che succede nell’altra
no due busti: guardando il grande
classe di Canto tenuta da Rosati:
organo quello a destra raffiguvedo l’allievo Franci Benvenuto,
ra Giovanni Sgambati e quello a
baritono (anno 2°), darsi da fare
sinistra Ettore Pinelli che, anche
in duetti terzetti e quartetti e poi
dopo cento anni, vegliano sulla
cantare la romanza Sei vendicata
Scuola da loro fondata.
assai dalla Dynorah di Meyerbe
Domenico Carboni
er. Anche Franci sarà destinato
9
A LIPSIA E AD HALLE LA GERMANIA FESTEGGIA
BACH E HÄNDEL
I
Thomaskirche dove
era impegnatissimo
Kantor, la seconda
certo meno celebre
ha dato i natali al
cosmopolita Händel.
Ogni anno le due città
sorelle quasi rivaleggiano per sontuosità
della programmazione musicale e il Festival di Bach a Lipsia e quello gemello
di Händel ad Halle
sono ormai seguiti
non solo dal pubblico tedesco ma ormai
da un uditorio internazionale. Bach
è celebrato a Lipsia, che festeggia
quest’anno il suo millennio di vita,
dal 12 al 21 giugno. Protagonista
sarà la Gewandhaus ( che fu diretta
anche da Mendelssohn e vide molte
prime importanti come
il Deutsches Requiem
di Brahms) per la serata
inaugurale diretta da Riccardo Chailly (musiche
sacre di Verdi e Rossini).
Alla Chiesa di S. Nicola e
alla Thomaskirche risuoneranno le note di alcune
Cantate sacre bachiane
col Coro da camera di
Colonia ed il Collegium
Cartusianum. Non mancheranno all’appello le
Variazioni
Goldberg,
alcuni Concerti brandeburghesi e altre musiche
strumentali d’assieme, la
celebre Messa in si minore, la Passione secondo
Giovanni con il Collegium Vocale Gent diretto
Georg Friedrich Händel da Herreweghe, mottetti e
Bach Reflections in jazz.
L’occasione è anche ghiotta per vistata protagonista degli ultimi tre
sitare gli archivi di Lipsia con i loro
decenni di vita di Johann Sebastian
libri rari, manoscritti, documenti e il
Bach, che è sepolto in una semplice
Museo Bach interattivo e multimetomba di basalto rosso nella gotica
l barocco in Germania tira eccome. E ai due Dioscuri del
barocco teutonico, i coetanei
Bach e Händel, nati entrambi nel
fatidico 1685 (come anche il napoletano Domenico Scarlatti), il Paese
di Goethe, Schiller e della Merkel
dedica da tempo due splendidi Festival, da cui abbiamo tutto da imparare noi che apriamo i Conservatori al pop e i Teatri lirici al rock. Se
un popolo si vede dalla cura che ha
del suo passato, non c’è dubbio che
quello tedesco è tra i più civilizzati
in Europa, perché è vera la convinzione che chi non ha cura del suo
passato, non ha neanche un grande
futuro.
Nel cuore della Germania a un’ora
di treno dalla stimolante Berlino,
Lipsia ed Halle (Saale) hanno avuto un ruolo importante nella storia
della musica europea. La prima è
10
CAV & PAG TRIONFANO
CON THIELEMANN A SALISBURGO
S
Johann Sebastian Bach
diale. Un’ esplosione di musica: oltre
cento manifestazioni in dieci giorni.
Forse ancora più stimolante, visto
che conosciamo molto meno in percentuale di Händel che del genio di
Eisenach, il Festival di Halle dal 30
maggio al 14 giugno, ove si possono
intercettare rarità assolute e primizie
come opere o oratori oltre a visitare
la casa museo del musicista arricchita
da strumenti d’epoca. Il concerto di
gala inaugurale è affidato alle doti del
grande controtenore francese Philippe Jaroussky, ma a farla da padroni
sono tre impegnativi titoli di melodrammi anche in versione scenica:
l’Alessandro (6-8 giugno) nel Teatro
storico di Goethe a Bad Lauchstädt
per la direzione di George Petrou,
l’Imeneo (7 giugno) diretto da Fabio
Biondi sul podio dell’Europa Galante
e la Semele (12 giugno) col Concerto
Kӧln e il Collegium Vocale Gent diretti da Ivor Bolton. E c’è anche uno
spettacolo pirotecnico finale a suon
di musica ( händeliana naturalmente) nella Galgenbergschlucht. Allora
Zum whol. Che l’estate arrivi, ma
a suon di musica e di che musica!
Tanto per dimenticare le tristezze
nostrane, musicali e non.
Lorenzo Tozzi
in dal primo annuncio,oltre
un anno fa, dell’interpretazione di Christian Thielemann
per “Cavalleria rusticana” e per
“Pagliacci” al Festival di Pasqua
2015 quest’idea aveva suscitato sui
giornali e tra i melomani a nord delle Alpi un grandissimo clamore. E
non poche voci dell’opinione pubblica austriaca e tedesca si erano
affrettate a rievocare quanto Gustav
Mahler avesse amato la partitura di “Cavalleria rusticana”, il suo
innato “senso del folclore italiano”, contribuendone alla notorietà
e alla diffusione rappresentativa in
tutto il mondo, oltre che illustrandone il valore musicale nelle lettere
come nei giudizi a voce. Quanto a
“Pagliacci” è noto a tutti che è storicamente considerata l’opera del
nostro repertorio che ha conosciuto
in assoluto il maggior numero e le
più frequenti rappresentazioni, anche negli anni del Terzo Reich. Questi due pilastri del verismo italiano
tra 800 e 900 non si erano finora
mai allestiti a Salisburgo non solo
agli Osterfestspiele. Di qui inevitabili le premesse del trionfo arriso
a questi due spettacoli (dal 1926 si
danno appaiati e oltre oceano si intitolano Cav & Pag) nelle serate del
28 marzo e del 6 aprile al Grosses
Festspielhaus di Salisburgo con un
esito artistico ed economico quale
non s’era più verificato dai tempi di
Herbert von Karajan.
Secondo la mia consueta pratica
ho frequentato il secondo ciclo del
Festival di Pasqua, cominciando
con l’assistere la sera di Venerdì
Santo all’esecuzione della verdiana
“Messa da requiem” condotta dal
maestro berlinese con tenace e capillare concertazione, imponendo
ai bravissimi strumentisti della Staatskapelle Dresden, al grande Coro
della Radio Bavarese e ai solisti di
canto dei tempi nervosi e stringenti, che hanno richiamato alla mente
Pagliacci: Dimitri Platanias, Jonas Kaufmann, Tansel Akzeybek, Maria Agresta.
© Andreas J. Hirsch
una certa suggestione delle performances di De Sabata. Sono apparsi
quindi sottolineati con marcata autorevolezza gli aspetti morfologicamente caratterizzanti di questa partitura concepita da Verdi nel segno di
una voluta maestosità di accenti non
soltanto negli episodi di severa scrittura contrappuntistica come il Kyrie
(sulle parole “quam olim”), l’Offertorio “Domine Jesu”, il Sanctus, la
sezione centrale del “Libera me”.
Thielemann non ha lesinato il risalto
al cupo incedere della parte mediana
del Lux aeterna e soprattutto ha impresso un peculiare vigore propulsivo al Dies Irae intendendolo il vero
e proprio fulcro dell’intera opera,
così come l’aveva concepita l’autore stesso, al centro della messa per i
defunti. Non meno illuminati a dovere il senso di terrore del Mors stupebit, l’ampiezza di respiro del Res
tremendae majestatis, l’invocazione
accorata del Qui Mariam absolvisti,
e del finale Pie Jesu Domine. Sugli
scudi, oltre alla Staatskapelle Dresden (che alla Semperoper suona
300 sere per stagione), il sicuro ren-
dimento del Coro della Radio Bavarese, addestrato ottimamente da
Peter Dijkstra, anche nell’evocare in
certi momenti l’intensità meditativa
di un complesso luterano, nonché il
quartetto dei solisti di canto: il soprano drammatico Liudmyla Monastyrska (qua e là qualche eccesso
di vibrato), il mezzosoprano Anita
Rachvelishvili, il tenore Jonas Kaufmann, il basso Ildar Abdrazakoy.
La sera di Sabato Santo ancora sul
podio della Staatskapelle Dresden
c’era Christian Thielemann con un
programma orchestrale di grande
impegno musicale, tra Sciostakovic
e Čajkovskij. In apertura si è ascoltata l’esecuzione del Concerto per
violino e orchestra n° 1 in la minore
op. 77 di Sciostakovic, composto nel
1947 con dedica a David Oistrach
che poté suonarlo in pubblico soltanto nel 1955 assieme alla Filarmonica di Leningrado condotta da Evgenij Mravinskij, cioè dopo la morte
di Stalin. Infatti questo gigantesco
lavoro contempla varie peculiarità a
cominciare da un intenso, cupo sottofondo, intriso di turbamenti e tor-
11
menti psicologici. Nel rapporto tra il
solista e l’orchestra risulta assente il
tradizionale principio di competizione in luogo del quale, come si verifica in alcune composizioni di Bartok,
si staglia una sostanziale affinità di
intenti drammatici ed espressivi. Il
lavoro si articola in quattro movimenti, il primo dei quali,intitolato
Notturno, è un Moderato di carattere
introverso e comprende alcune singolari citazioni, attorno alle quali il
solista fa intendere i suoi arabeschi
significativi: all’inizio un inciso
wagneriano, poi una successione di
sonorità in pianissimo, infine uno
spunto di corale bachiano simile a
quello inserito da Alban Berg nel
suo Concerto per violino e orchestra.
Il secondo tempo è uno Scherzo (Allegro) di spettacolare virtuosismo
all’arco, quasi nel susseguirsi di passaggi di bravura. In terza posizione
vi è una Passacaglia di carattere meditativo, intesa a ribadire l’iniziale
pensosità drammatica, sfociando in
una lunga e impervia Cadenza che
conduce all’ultimo movimento, denominato Burlesque, in cui l’autore
ritrova e mescola assieme tristezza e
ironia grottesca, accenti drammatici
e accelerazioni brucianti. Il solista
Nikolaj Znaider, nato a Copenhagen
nel 1975, suonava un Guarneri del
Gesù del 1741 d’intensa cantabilità.
Alle insistenti richieste d’un fuori
programma ha offerto l’esecuzione d’una suggestiva Sarabanda ba-
12
tato il successivo ascolto, dedicato
all’interpretazione di una delle sinfonie più affascinanti e coinvolgenti
di Sciostakovic, la Decima in mi minore op.93, composta nell’estate-autunno del 1953, all’affacciarsi della
cosiddetta stagione del disgelo, della
parziale sospensione dell’ideologia
conformista dopo la scomparsa di
Stalin.
Al carattere mahleriano del tempo
iniziale, improntato a una disperata
atmosfera di trenodia (Moderato),
si è ascoltato in seconda posizione
un selvaggio, fulminante Allegro,
ormai conosciuto
con il sottotitolo
Scherzo-Stalin. Infatti è ormai notoria
la ricostruzione della genesi di questa
Decima Sinfonia in
base alla testimonianza di Volkov e
alle dichiarazioni
del musicista medesimo, dal momento che l’esplicita,
contrapposizione di
Sciostakovic alla
tirannia stalinista è
individuabile, nel
secondo movimenApplauso finale a Pagliacci
to, con l’inserzione
d’un motto costituito dalla figurazione musicale “Re
del Festival salisburghese, e questa
bemolle-Mi bemolle-Do-Si”, in cui
volta l’ospite era Daniele Gatti con
si celano le iniziali del nome del
Arcadi Volodos solista alla tastiera
musicista secondo la grafìa dell’alper l’interpretazione del popolarisfabeto tedesco “D.Sch”: in termisimo Concerto N° 1 in si bemolle
ni sonori colpisce, ad ogni ascolto,
minore op. 23 di Čajkovskij. Artista
una violenza brutale d’estrema indi grande temperamento ed anche di
cisività. Nel terzo movimento, Alnotevole variabilità d’umori, Vololegretto, un tempo di valzer si fa
dos ha fatto chiaramente intendere
progressivamente aggressivo per la
di avere al suo arco nell’occasione
ricomparsa, come un’idea fissa, di
tutti i dardi giusti e infallibili per
quel motto personale. E nel Finale ,
vincere e dominare qualsiasi avverAndante-Allegro, il frequente ritorsario. E così è stato, specialmente
no di quello stesso motto conduce la
nelle pagine intimistiche del seconDecima Sinfonia ad un esito clamodo tempo,‘Andantino semplice’, tra
roso, quasi Sciostakovic avesse vocantilene notturne e sonorità trasoluto affidare alla musica il riscatto di
gnate. Naturalmente Volodos aveva
un compositore stanco e stufo oltre
padroneggiato tutte le difficoltà del
ogni dire di aver patito tanti tormenmovimento iniziale e con analoga
ti. Daniele Gatti, musicista d’indedeterminazione ha poi affrontato e
fettibile caratura artistica, ha firmato
domato l’andamento incalzante e
nell’occasione una delle sue prove
vorticoso del conclusivo Allegro con
più ammirevoli.
fuoco. Di spiccato interesse è risul-
chiana. Per un direttore del calibro
e della maturità espressiva come
Thielemann la successiva interpretazione della Patetica di Čajkovskij
si è tradotta in una imperiosa affermazione di turgore sinfonico e
di sofferta partecipazione emotiva,
coinvolgendo tutto il vasto pubblico
nell’evocazione del dramma esistenziale del musicista russo riproposto
dal canto dei meravigliosi strumentisti sassoni.
La sera di Pasqua sul podio della
Staatskapelle Dresden è salito il maestro ospite, secondo la tradizione
La sera del Lunedì dell’Angelo è
stata la volta di assistere alla rappresentazione delle due opere “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci” e, nella
circostanza, ho appreso che la guida
dell’esecuzione del capolavoro mascagnano costituiva un esordio per
Thielemann, mentre “Pagliacci” li
aveva già condotti quando, in avvio
di carriera, era stato maestro stabile
a Norimberga. In termini essenziali
ho verificato che il disegno interpretativo del direttore berlinese era
improntato ad una visuale d’insieme rigorosa e ad un tempo raffinata, senza mai rinnegare o attenuare
certi turgori nel rendimento vocale
della distribuzione. A monte doveva esserci stata una concertazione
attenta e scrupolosa con la conseguenza di far risaltare, nell’esecuzione orchestrale, una pronunciata
intensità drammatica, talvolta anche
qualche violenta accensione, senza
cedere mai alle tentazioni di sonorità volgarmente estroverse e plateali.
Efficacemente chiaro mi è apparso
il ventaglio dei piani sonori, delle
dinamiche e dei chiaroscuri espressivi. Jonas Kaufmann è risultato un
protagonista esemplare e felicissimo
quindi il suo debutto come Turiddu.
Al vertice della carriera, a 45 anni
d’età, il tenore monacense si è fatto
apprezzare per stile d’altissima classe e per la vibratile luminosità del
fraseggio, calandosi alla perfezione
nel personaggio. Da ricordare inoltre le convincenti prove di Liudmyla
Monastyrska come Santuzza, Ambrogio Maestri come Alfio, Stefania
Toczyska come Mamma Lucia ed anche di Annalisa Stroppa come Lola.
Giudizio analogo per la successiva
rappresentazione di “Pagliacci”, sia
per quanto atteneva all’esecuzione
musicale sia per la performance di
Kaufmann all’esordio come Canio.
In quest’opera il cast comprendeva
Maria Agresta come Nedda, Dimitri
Platanias come Tonio, Tansei Akzeybek come Beppe e Alessio Arduini come Silvio. Da lodare assieme
all’impegno esecutivo del Coro e
dell’Orchestra della Staatskapelle di
Dresda, anche la partecipazione del
Salzburger Bachchor e dello Salzburger Theater Kinderchor. Qualche
considerazione meno sommaria esige la realizzazione rappresentativa
dei due spettacoli nella concezione
del regista Philipp Stoelzl d’intesa
con la scenografa Heike Vollmer e
la costumista Ursula Kudrna con le
luci di Heinz Ilsanker e la
drammaturgia di Jan Dvorak.
L’impianto registico ideato
da Philipp Stoelzl si giova
delle precedenti sue esperienze di ambito pubblicitario e realistico, nonché nel
teatro di prosa e d’avanguardia. in quello cioè che suole definire come “teatro di
sintesi” L’opera lirica come
genere l’aveva praticata solo
una volta, anni fa a Salisburgo per il “Benvenuto Cellini” di Berlioz con la direzione di Gergyev ed era stato un
allestimento assai originale.
Per lui l’opera lirica equivale al cinema e l’affronta
con mezzi cinematografici,
utili, secondo lui, a definire
il senso visivo di sentimenti
ed emozioni. Sia per “Cavalleria rusticana” sia per “Pagliacci”, dove al centro della
vicenda vi sono avvenimenti
di cronaca, ora in Sicilia ora in Calabria realmente avvenuti, Stoelzl si è
rifatto al cinema del neorealismo degli anni Quaranta, in bianco e nero,
alternando il campo lungo al primo
piano. Secondo il suo collaboratore
Jan Dvorak a monte delle soluzioni
adottate dalla regìa vi sono i drammi
raccontati con i disegni del miniaturista fiammingo Frans Masereel e
del bavarese Otto Noeckel che negli
anni Venti sul periodico “Simplicissimus” in termini grotteschi ha
raffigurato fatti di cronaca. Deliberatamente Stoelzl ha ricusato la tradizionale unità di tempo e spazio per
privilegiare la simultaneità di diversi episodi nell’intento di accrescerne la funzione espositiva. In pratica
nel buio completo del Grosses Festspielhaus sulla superficie verticale
di una sorta di sipario si aprivano via
via nel corso della rappresentazione
delle finestre su due distinti livelli,
alcune finestre si identificavano in
scenari per l’azione rappresentativa
mentre su altre c’erano le proiezioni di alcuni particolari come i volti,
le espressioni degli stessi cantanti. Più che un saggio di Verismo si
è avuto un saggio di teatro espres-
Jonas Kaufmann in Cavalleria Rusticana
© Gregor Hohenberg
sionistico. Una Sicilia pietrosa, una
Calabria desolata, in bianco e nero
con vivacità di movimenti per i personaggi man mano in scena o sullo
schermo. Tutti convinti? Per Paolo
Baratta, presidente della Biennale,
“soluzioni meravigliose, che valorizzano l’essenzialità del cinema al
giorno d’oggi, Indubbio comunque
il trionfo nell’immenso pubblico con
mezz’ora di standing ovation al termine e reiterate passerelle di cantanti
e musicisti. Il consuntivo finanziario
ha registrato un considerevole aumento del numero dei Foerderer cioè
dei sottoscrittori e degli sponsor e 4
milioni di euro d’incasso al botteghino. Il nuovo sovrintendente Peter Ruzicka ha annunciato il programma del
2016 con “Otello” di Verdi diretto da
Thielemann e tra i concerti la “Missa
Solemnis” di Beethoven e l’Ottava
Sinfonia di Henze.
Luigi Bellingardi
13
Tutte le leggende metropolitane sull’opera
MA TOSCA, DA DOVE SI BUTTA?
C
he Tosca si sia servita della
piattaforma di Castel Santangelo come trampolino di
lancio per finire annegata nel Tevere, è una leggenda metropolitana che ancora oggi il melodramma
pucciniano non è riuscito a scrollarsi di dosso. Tant’è che il noto
critico musicale d’un quotidiano
milanese l’ha tranquillamente asseverata recensendo l’edizione che
il Teatro dell’Opera ha allestito di
recente con la ricostruzione delle
scene disegnate da Adolfo Hohenstein per quella Tosca che ebbe il
suo battesimo proprio nel teatro lirico capitolino il 14 gennaio 1900.
Nato a San Pietroburgo ma di formazione tedesca, Hohenstein fu un
geniale pittore-grafico, autore di
scenografie, costumi, manifesti per
i teatri e per l’industria. Nel 1860
si stabilì a Milano lavorando per la
Scala, per poi passare come direttore artistico alle Officine Grafiche
Ricordi. Per l’opera di Puccini –
oltre al famoso manifesto dove, su
sfondo rosso sangue, è raffigurata
la cantante, biancovestita, mentre
depone il crocifisso su Scarpia
morente – Hohenstein riprodusse
fedelmente per il primo atto l’interno della chiesa di Sant’Andrea
della Valle; per il secondo atto un
sobrio locale di Palazzo Farnese,
quale si addice allo studio, con annessa camera di tortura, di un capo
della polizia; nel terzo atto si attenne alla didascalia del dramma di
Sardou (ispiratore, com’è noto del
lavoro pucciniano), che collocava
la vista di San Pietro dalla piattaforma di Castel Sant’Angelo dove
viene fucilato Cavaradossi. Tralasciando giustamente le madornali invenzioni toponomastiche del
commediografo francese, il quale
pretendeva che la Mole Adriana
si trovasse allineata al Colosseo, e
addirittura che Roma si erigesse da
quella parte e non alle spalle! Infatti, la didascalia così enuncia: “La
piattaforma di Castel Sant’Angelo
(...), in prospettiva la città, fra il
Colosseo e San Pietro”. Altro che
tuffo nel Tevere, dal momento che
pure lui si trova dall’altra parte!
Al contrario, il volo di Tosca non
poteva che concludersi in quelli
che gli attuali romani chiamano i
giardinetti di Castel Sant’Angelo,
così pieni di buche insidiose da risultare, a detta di chi li frequenta,
non meno pericolosi che arrivarci
dall’alto come Tosca.
Scriveva Puccini all’editore Ricordi, a proposito delle disinvolture
toponomastiche di Sardou: “Nel
farmi lo schizzo del panorama,
voleva che si vedesse il corso del
Tevere passare fra San Pietro e il
Castello!!! Io gli ho detto che il
flumen passava dall’altra parte,
e lui tranquillo come un pesce ha
detto: Oh, questo è niente!”.
Teatro dell’Opera, Tosca. (da sin) Oksana Dyka (Tosca) e Stefano La Colla (Cavaradossi) ©Teatro dell’Opera-Kageyama
14
guito a puntino,
non c’è che dire.
Eppure, eppure...
Per esempio, nel
secondo
atto,
avendo Spoletta
espletato i suoi
incarichi,
che
fa? Si mette seduto! E senza il
permesso del suo
capo, che mai e
poi mai glielo
avrebbe accordato. E Tosca,
cosa fa anche lei
appena entra in
chiesa nel primo atto? Si toglie il cappello!
Eppure, sino a
quando la Chiesa
Teatro dell’Opera di Roma, Oksana Dyka (Tosca) e Stefano La Colla (Cavaradossi) non abolì tutte le
© Opera di Roma-Yasuko Kageyama osservanze provenienti da traL’altra leggenda metropolitana,
done acquisiti i diritti, per passarli
dizioni o consuetudini consolidate,
dura a morire – tant’è che c’è caal fremente Puccini, il principale
le donne non potevano entrare in
scato, insieme al Tevere, il noto
argomento addotto fu quello dei
chiesa a capo scoperto fino a tempi
critico accennato sopra – è che
numerosi eventi storici, di difficile
relativamente recenti. Figuriamoci
Scarpia sia il capo della polizia pacomprensione da parte di un pubnei secoli passati! A consigliare per
palina.
blico moderno.
primo le donne a coprirsi il capo
Eppure, qualche dubbio lo dovrebNello stendere il libretto, Illica e
durante le funzioni religiose, con
be insinuare il fatto che alloggi a
Giacosa passarono disinvoltamente
una certa perentorietà e ripetitività,
Palazzo Farnese, dov’è di casa ansopra queste difficoltà. Non così il
fu San Paolo, in diverse lettere ai
che la Regina Carolina di Napofilm del 1941, dove si vede il conCorinzi, dalle quali stralciamo: “...
li, che ne è proprietaria in quanto
te Palmieri scrupolosamente deponé l’uomo fu creato per la donna,
l’ultima Farnese aveva sposato un
sto nella bara. Regista designato
ma la donna per l’uomo. Per questo
Borbone re di Spagna, di cui uno
era Jean Renoir, che essendo stato
la donna deve portare sul capo un
dei figli era divenuto re delle Due
provocato da un gruppo di fascisti
segno della sua dipendenza”.
Sicilie. Sardou è molto esplicimentre sedeva a un caffè romano,
Però c’è da dire che anche l’evolto sulle mansioni di Scarpia: “...
preferì tornarsene in Francia, laversi del costume ha favorito la
la corte di Napoli ha spedito qui,
sciando la stupenda sequenza inidismissione dell’antica pratica.
poco fa, come reggente di polizia
ziale della cavalcata di un gruppo
Cominciò durante la guerra, quanun siciliano che si è fatto laggiù la
di guardie con i mantelli svolazdo le ristrettezze economiche e le
reputazione di uomo spietato”…
zanti, diretti a Castel Sant’Angelo
corse ai rifugi antiaerei misero i
I librettisti di Puccini se la cavarocon, al passaggio del ponte con le
cappellini nel dimenticatoio. Dopo,
no, senza andar in fondo al ruolo
statue degli angeli, i volti di questi
per fortuna, in ogni borsetta femdi Scarpia, con un generico “capo
in primo piano, ripresi da inedite
minile non mancava mai un fazzodella polizia”, così come non si
sconvolgenti angolazioni.
letto, spesso ricamato o orlato col
curarono di dar spiegazioni a proOltre alle scenografie della pripizzo, soccorrevole alla bisogna.
posito dell’ambigua fucilazione sima esecuzione del 1900, il recenMa quando i fazzoletti di lino o comulata del conte Palmieri, che Spote allestimento di Tosca al Teatro
tone vennero sostituti da quelli più
letta capisce al volo essere tutto il
dell’Opera vantava l’osservanza
igienici di carta, coprirsi il capo in
contrario per quanto riguardava la
puntigliosa da parte del giovane
certe occasioni diventò per molte
fucilazione vera di Cavaradossi. Il
regista italo-sudafricano Alessanun autentico problema.
bello è che quando Ricordi volle
dro Talevi (da qualche critico già
scoraggiare Alberto Franchetti dal
definito genio), delle didascalie
comporre un’opera su Tosca, avencontenute nel libretto. Tutto eseIvana Musiani
15
MANFRED HONECK
IL FAR MUSICA CON BRAHMS E CON MAHLER
”In famiglia c’è sempre
stata una marcata tradizione di canto popolare, nella pratica corale
non solo legata ai riti
della religione cattolica. Sono nato a Nenzing, una famiglia patriarcale, ho otto fratelli
e sorelle. A mia volta,
quando non sono in
giro per il mondo a far
musica, vivo ad Altach,
nel Voralberg, Austria
Occidentale, e ho sei figli. Il mio fratello Rainer, più giovane di due
anni, suona nei Wiener
Philharmoniker. In casa
si è sempre respirata
musica ...”
Johannes-Brahms
D
alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso
ho avuto l’opportunità
di assistere varie volte alla performance del Requiem Tedesco
di Brahms: alla Sagra Musicale
Umbra come al Festival di Pasqua a Salisburgo, all’Auditorio
del Foro Italico come al Maggio Musicale Fiorentino, principalmente alle stagioni di Santa
Cecilia, dall’Auditorio Conciliazione a quello del Parco della Musica, con la partecipazione
dei più celebri maestri del podio.
Il 14 marzo ho ascoltato Brahms
eseguito a Santa Cecilia sotto la
guida di Manfred Honeck, con il
quale due giorni dopo ho avuto
un colloquio diretto.
Maestro Honeck nella famiglia c’è
qualche antenato distintosi in particolare nella musica?
16
L’avvio della carriera
musicale, dopo gli studi,
a Vienna?
“Da ragazzo ho studiato il violino, frequentando i corsi
della Wiener Akademie, poi mi
sono diplomato anche in viola.
Per otto anni ho fatto parte dei
Wiener Philharmoniker come violista, avendo quindi la possibilità
di conoscere i più celebri direttori
d’orchestra e le loro interpretazioni. Ho cominciato questa carriera come assistente di Claudio
Abbado all’Orchestra giovanile
viennese e poi all’Opera e alla Filarmonica.
Poi
sono
stato
scritturato
dall’Opera di Zurigo come Primo
Kapellmeister, per passare in seguito a Lipsia come uno dei Direttori principali della MDR (MittelDeutsch-Rundfunk) Sinfonica”.
Leggo sulla brochure, inviatami
da PR2 Classic di Colonia, l’incalzare delle tappe di una prestigiosa
carriera internazionale: Direttore
musicale all’Opera di Oslo, quindi
della Filarmonica di Oslo, dell’Orchestra della Radio di Stoccolma,
Direttore ospite della Filarmonica
Ceca di Praga eccetera. Tantissimi impegni nella programmazione
d’ambito sinfonico. E d’opera?
“Dal 2007 al 2011 sono stato Generalmusikdirektor dell’Opera di
Stato di Stoccarda ove, tra l’altro,
ho diretto titoli come Les Troyens,
Idomeneo, Aida, Dialogues des
carmélites, Il cavaliere della rosa,
Il pipistrello, Lohengrin, Parsifal.
Senza confronti però predomina
la musica sinfonica”.
Nel maggio 2006 un programma
al debutto sul podio dell’Orchestra
Sinfonica di Pittsburgh ha dato
l’avvio ad un amore a prima vista,
vero?
“Davvero, sì! E tenga presente
che l’Orchestra di Pittsburgh ha
alle spalle tante esperienze musicali con importanti direttori, di cui
mi limito a ricordare solo i nomi,
Frederic Archer, Victor Herbert,
Emil Paur, Elias Breeskin, Antonio Modarelli, Otto Klemperer,
Fritz Reiner, William Steinberg,
André Previn, Lorin Maazel, Mariss Jansons, Andrew Davis. Una
storia di grande musica per 117
anni”.
Leggo anche che l’Orchestra Sinfonica di Pittsburgh ha fatto oltre
35 tournées internazionali e che
con lei, dal 2007 direttore stabile
sino alla stagione 2019-2020, continuerà, vero?
“Nel gennaio 2004 la Pittsburgh è
stata la prima orchestra statunitense
ad esibirsi in Vaticano alla presenza
di Papa Giovanni Paolo II.
Intensificheremo anche le registrazioni”.
Soffermiamoci ora sul “Requiem
Tedesco” di Brahms. Ho osservato
con una certa sorpresa, all’ascolto
della performance da lei condotta,
che nell’esecuzione musicale si è
avvertito il soffio di aria fresca, nella trama stessa di questo oratorio:
un’impressione a ragion veduta?
Quanto autentica?
“L’aspetto principale nell’interpretazione della musica sta nel testo
del Requiem Tedesco di Brahms.
Cos’è il senso della parola “Tedesco”? Brahms dalla scelta dei versetti espunti dalla Bibbia “tedesca”,
nella versione di Martin Lutero, ha
fatto discendere tutta una determinata prospettiva artistica e un fondamento spirituale del tutto autonomo,
innovativo. A differenza dal requiem
“latino”, del requiem del rito cattolico, che è una preghiera per la pace
dei defunti, oppressi dal terrore del
giudizio universale, il “Requiem” di
Brahms è intessuto di una tematica
consolatrice, orientata a conciliare
i vivi con l’idea della sofferenza e
della morte. Ed è per questa ragione
che ogni episodio, per cupo e sofferto che possa apparire all’inizio, si
conclude in una atmosfera di fiduciosa serenità”.
Ho notato che l’organico orchestrale l’altra sera a Santa Cecilia è
quello consueto, prescritto dall’autore. Perché in sala si percepiva un
insieme sonoro più “aereo”, quasi
più sottile. È vero? Perché e come?
“Impiegare un organico orchestrale più folto da quello prescritto da
Brahms non è affatto essenziale per
trasmettere a chi ascolta il senso voluto da Brahms.
Il musicista quando ha scritto questa partitura intendeva sottolineare il
senso della parola “Trost” (consolazione). Dal Vangelo di Matteo “Beati coloro che sono afflitti / perché
saranno consolati”.
Nel gioco strumentale, nell’esecuzione della sezione degli archi c’è
anche il senso della leggerezza:
nell’attacco, nel suono globale. Questa è la ragione”.
Manfred Honeck
Perché il solista ha cantato, nel
quinto episodio, stando dietro
all’orchestra? Un caso o no?
“Come è noto, Brahms aveva cominciato a comporre questa partitura
dopo il primo Concerto per pianoforte e orchestra. Allora Schumann era
scomparso da poco tempo, nel 1856.
Nove anni più tardi, nel febbraio
del 1865, morì la madre di Brahms,
da lui amatissima. Fu quest’ultimo,
luttuoso avvenimento ad indurre
il compositore ad inserire nel Requiem Tedesco, di cui già si conoscevano sei movimenti (nell’aprile
1868 nel Duomo di Brema sotto la
guida dell’autore stesso) un altro
movimento, ponendolo al centro,
in quinta posizione: “Ihr Habt nun
Traurigkeit” (Ora siete nella tristezza) per soprano e coro. Il pensiero
della madre, la figura della madre
s’identifica nella voce del soprano e
proprio per questa ragione ho dispo-
sto che il soprano stesse sullo sfondo della ribalta, dietro l’orchestra.
Il desiderio di rivederla – “Ich will
euch wiedersehen ... Ich will euch
trösten, wie einen seine Mutter tröstet” (Ma io vi rivedrò ancora ... Io
vi consolerò come una madre consola il figlio) – viene ribadito tre volte
nel canto. La parola “Muttergefühl”
è significativa: si riferisce al rapporto d’affetto che c’era con la madre.
Nell’esecuzione è importante l’incidenza del colore strumentale: non
bisogna assolutamente forzare il volume. Ricordo che quando suonavo
la viola nei Wiener Philharmoniker,
questo particolare Herbert von Karajan lo sottolineava sempre”.
Un altro momento assai interessante c’era stato nel quarto episodio:
in corrispondenza della parola “lieblich” (amabile) si avverte qualche
eco dei “Liebesliederwalzer”, non è
strano?
17
Brahms: a sinistra davanti i primi violini, a
destra i secondi violini,
le viole al centrosinistra con i violoncelli
vicini ai primi violini,
a destra i contrabbassi. Questa disposizione
è utile per assicurare
la maggior trasparenza del suono, come
Brahms appunto voleva”.
neanche la viola o il violino. Al
mattino sfoglio nuove partiture e
le studio. In linea generale dedico molto tempo allo studio. Dedico una particolare attenzione alle
mie partiture, sulle quali integro
osservazioni, colori, sfumature.
Preciso il senso delle arcate che
contraddistinguono la mia visione
dell’interpretazione musicale”.
Leggo nella biografia che dirige a Praga:
com’è la situazione?
“In genere si hanno a disposizione
soltanto quattro prove, quando se
ne vorrebbero fare trenta! Per trasmettere all’orchestra tutto quello che si ha pensato per rendere
l’autentico spirito della musica.
Tornando sul Requiem Tedesco
di Brahms: il senso del “vibrato”.
Quando c’è un’allusione alla morte, niente vibrato. Le mani d’un
direttore hanno la specifica funzione di trasmettere all’orchestra
il senso del fraseggio. Nell’attacco iniziale dei contrabbassi, il
senso del legato. All’inizio della
musica di Brahms bisogna far capire come il suono nasce dal silenzio. E quindi nell’interpretazione
vi sono tre stadi successivi: lo studio, il gesto, il senso dell’autentico spirito della musica”.
“Praga è una delle sedi
dove sono direttore
ospite per periodi di tre
settimane. È una buona
orchestra, la Filarmonica di Praga. Quando
Gustav Mahler acquaforte di Emil Orlik ho diretto delle Sinfonie di Dvořák ho sem“Questo punto si attiene alla forpre raccomandato agli strumentima del Lied e, nel dirigere io batsti: “ Dvořák è sinonimo del senso
to il tempo in uno invece che in
ritmico derivato dal folclore poquattro: c’è un effetto di colore,
polare, è la vostra tradizione, non
un effetto timbrico da sottolinedimenticatelo mai!”
are, un effetto tipico della musica da camera, un certo profumo
Però Pittsburgh?
di “Schwindigkeit” (vertigine da
svenire). La scelta brahmsiana
“Pittsburgh è un’altra cosa, sono
delle parole si ritrova in varie sfudirettore stabile! Non solo per la
mature, varie nuances della mulunga sua storia ma perché è anche
sica. Quasi suggerendo un certo
un’ottima orchestra, con prime
profumo schubertiano. Nella mia
parti che suonano con il virtuoattività artistica ho suonato molsismo dei solisti. E con l’insieme
ta musica da camera, varie volte
sonoro sempre molto trasparente.
i Quartetti di Haydn, di BeethoSono sempre concentrato sull’atven, di Schubert. E, rivolgendomi
tività musicale a Pittsburgh. E non
all’orchestra, dico spesso loro:
di rado devo darmi da fare per tro“Suonate come fosse musica da
vare nuovi finanziamenti privati,
camera, ascoltandovi l’un l’ala seconda dei programmi e dei catro”. Egualmente questo consiglio
lendari”.
veniva sottolineato sempre da Karajan, come tutti i rapporti tra la
Ha dei “sogni nel taschino” o nel
musica e i significati del testo”.
“cassetto”?
C’è una ragione per cambiare la
disposizione sulla ribalta delle sezioni dell’orchestra?
“Certamente. Ho proceduto a disporle come si usava ai tempi di
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“Io sogno sempre quando faccio
musica. Si trova sempre qualcosa di nuovo da sognare e poi da
realizzare. Se al mattino suono il
pianoforte, come fanno vari direttori? Non suono il pianoforte,
Ho notato una vivacità particolare
della sua mano sinistra, vero?
Vi è una nota frase di Claudio Abbado: “Meglio la musica nella testa
che la testa nella musica” durante
il concerto, alludendo al dirigere a
memoria d’ascendenza toscaniniana. E per lei?
“Vi è anche una nota frase di
Riccardo Muti: “Si è più liberi
quando si sa che sul leggìo c’è la
musica”. La cosa essenziale, individuale, è prodigarsi per far bene
la musica”.
Come si trova sul podio di Santa
Cecilia, anche se le prove sono limitate?
“Torno sempre volentieri a dirigere a Santa Cecilia: trovo che nella
resa dell’orchestra come del coro
c’è molta cantabilità, molta varietà di colori. Si avverte, dirigendoli, la ricchezza delle sfumature,
la ricchezza timbrica del suono,
dell’orchestra come del coro. La
disponibilità a cogliere, a rendere
le emozioni della musica”.
Nell’altro programma in questa
stagione di Santa Cecilia lei dirige
la “Jupiter” di Mozart e la “Prima Sinfonia” di Mahler. Com’è il
suo rapporto con il sinfonismo di
Mahler?
“Negli otto anni in cui ho suonato
la viola nei Wiener Philharmoniker ho studiato a lungo la musica di Mahler in corrispondenza
dell’impegno esecutivo nei concerti e nei dischi. Mi ha sempre
colpito l’attitudine di Mahler a
trasferire nella propria musica tutto quanto aveva assimilato durante l’esistenza, specialmente nella
giovinezza, dalla tradizione, dalla
propria biografia, in rapporto al
folclore, al lungo retaggio delle
sofferenze popolari nel medioevo
e sino all’età asburgica. Ora, un secolo dopo la scomparsa di Mahler,
quella tradizione, quel retaggio
popolare di sofferenze e sconfitte, non c’è più. Ritroviamo però
quell’eco nella musica di Mahler
e nel dirigere le sue sinfonie abbiamo tutti l’urgenza di ritrovare
l’atmosfera espressiva originaria,
trasmetterla alle orchestre che di
volta in volta io dirigo, in modo
da far rivivere con la maggior
autenticità possibile lo spirito, le
emozioni, i palpiti, i sentimenti dell’autore come li ritroviamo all’ascolto e nell’eseguire la
sua musica. Il senso della natura
come l’ironia, la tensione come il
grottesco, tutto quanto sta a monte
della musica della Prima Sinfonia
che dirigo nel programma di maggio a Santa Cecilia. La attualità
di Mahler, come viene percepita,
nei suoi travagli esistenziali, dagli ascoltatori d’oggi. I rapporti
del sinfonismo mahleriano con il
mondo del Lied austro-danubiano,
nonché con Schubert e con Bruckner. Nell’andamento di danza del
Ländler dello Scherzo della Prima
Sinfonia si può cogliere l’eco del
Wienerwald di Josef Strauss: mai
meccanicità, sempre profumo delle sfumature. Ritmi naturali, non
troppo accentati”.
A Pittsburgh intende procedere a
nuove registrazioni?
“Senz’altro. Ho intenzione di realizzare una nuova incisione delle Sinfonie Prima, Terza, Quarta,
Quinta di Mahler. E
di Bruckner, dopo la
Quarta, registreremo
l’Ottava e la Nona”.
sin dal suo apparire, era il “Chef”:
molto serio ma con il culto della
responsabilità nei confronti della
musica, degli autori delle partiture sul leggìo. Aveva un grandissimo rispetto dell’orchestra, noi
strumentisti lo sentivamo come
un padre. Tutto concentrato nella
ricerca del suono giusto. Leonard
Bernstein a volte sembrava uno
capitato lì per caso, nelle prove
era naturale e immediato. Claudio
Abbado, di cui sono stato assi-
Dai ricordi viennesi,
rammenta
qualche
connotazione particolare dei maestri del podio con i quali, assieme
ai Wiener Philharmoniker, ha fatto musica
per varie stagioni?
“Ho suonato la viola nell’esecuzione di
vari allestimenti, per
esempio, di Carmen:
con Claudio Abbado sul podio, con
Lorin Maazel, con
Carlos Kleiber. Tre
emozioni
differenti. Di Carlos Kleiber
rammenterò sempre
l’elettricità che si instaurava quando cominciava a trasmettere all’orchestra il senso, lo spirito
della musica che aveva studiato.
Sapevo che Carlos era molto pedante, scrupoloso, rigorosissimo
nello studio delle partiture, per
esser poi libero nel realizzare nel
suono il proprio disegno dell’interpretazione. Prendendosi dei
rischi, ma nulla in definitiva gli
scappava di mano. Maazel batteva
il tempo in due, Abbado in uno,
Carlos Kleiber non ci badava perché mirava al senso della lunga
frase, al respiro della grande arcata espressiva. Di altri maestri
ho egualmente dei ricordi precisi,
esaurienti. Herbert von Karajan,
Manfred Honeck © Felix Broede
stente, parlava poco: se c’era un
problema di intonazione lasciava
che l’orchestra lo risolvesse. Si
scatenava nel concerto e trasmetteva all’orchestra, specialmente
con Mahler, tutta la sua tensione.
Lorin Maazel aveva una chiarezza comunicativa esemplare nel
gesto. Da tutti loro ho imparato
qualcosa. E, prima di tutto, molto studio. Il far musica è assolutamente personale. Ciascuno deve
trovare la sua strada, la sua libertà
d’espressione”.
Luigi Bellingardi
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