Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto ANNO L II maggio 2015 euro 6, 50 ISSN 0544-7763 179 106 (nuova edizione) Poste Italiane S.p.A. -Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv.in L.27/02/04 n. 46) art. 1 comma 1/DCB Roma Santa Cecilia CAV & PAG a Salisburgo La danza a Roma Aida al Costanzi 1 rivista n.103 Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto Hai rinnovato l’abbonamento a “IL MONDO DELLA MUSICA” editoriale di Maria Elisa Tozzi Rassegna internazionale di vita musicale 1 rivista n.104 Poste Italiane S.p.A. -Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv.in L.27/02/04 n. 46) art. 1 comma 1/DCB Roma ISSN 0544-7763 Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto Questo è il futuro del TEATRO DELL’OPERA? * Gli abbonamenti non disdetti entro il 20 gennaio si considerano tacitamente rinnovati. Nessun dorma!!! ANNO L I ottobre 2014 euro 6, 50 177 104 (nuova edizione) ? AFFRETTATI!!! DJ sul palcoscenico e discoteca nel golfo mistico (foto diTerry O’Neil) Concerti - Opera - Balletto 1 rivista n.105 La rivista si può ricevere solo per posta con un abbonamento* ordinario di euro 20,00 Abbonamento sostenitore minimo euro 60,00 Abbonamento benemerito oltre euro 100,00 Rassegna Internazionale di vita musicale - Concerti - Opera - Balletto ANNO L I gennaio 2015 euro 6, 50 ISSN 0544-7763 (nuova edizione) Cenerentola Poste Italiane S.p.A. -Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv.in L.27/02/04 n. 46) art. 1 comma 1/DCB Roma Le rimesse si effettuano sul c/c postale 14644009 178 105 Romabarocca Rusalka La leggenda GHO¿RUHGL/LQR IBAN del c/c postale IT 14Z0760103200000014644009 1 2 indirizzate a IL MONDO DELLA MUSICA Via Flaminia Nuova, 241 - 00191 ROMA Ma la musica non è solo un hobby Domenico Carboni, prezioso collaboratore della nostra rivista, che dal 1983 al 2014 ha diretto la storica Biblioteca del Conservatorio di Santa Cecilia, ci illustra in un interessante articolo di questo numero, la prima parte della storia del Conservatorio di musica romano, ricordando l’abnegazione, lo spirito di sacrificio e la generosità dei grandi maestri che l’hanno fondato con l’intento di creare una scuola esemplare per i futuri professionisti della musica. E’ una storia che pare interessi solo gli addetti ai lavori e resta sicuramente sconosciuta a molti nostri contemporanei, altrimenti non avrebbero rottamato con tanta disinvoltura i nostri prestigiosi Conservatori di musica, ora Istituti di Alta Cultura, dove si può accedere a qualunque età come all’Università, e da cui si uscirà con una laurea che però dal punto di vista artistico, non ha più niente a che vedere con il sostanzioso diploma che si poteva ottenere prima dei venti anni. Oggi non è più così. E ci sarebbe da riflettere sulle proposte che docenti d’esperienza fecero a suo tempo (purtroppo non sostenute dai più giovani!..) durante i numerosi incontri organizzati per mettere a fuoco le proposte per una nuova legge che potesse dare al musicista professionista l’opportunità di conseguire una laurea in musica. Per la sottoscritta, in quegli anni docente di pianoforte principale a Santa Cecilia, la proposta più saggia sarebbe stata quella di creare alcune Accademie dove poter proseguire gli studi professionali perfezionandosi fino al raggiungimento della laurea in musica: Accademie al livello delle Hochschule für musik tedesche, dove i docenti sono grandi professionisti.e gli allievi tutti selezionati. Aver trasformato i Conservatori, nostro secolare orgoglio nazionale, apprezzati e imitati in tutto il mondo, in 58 Istituti di Alta Cultura con tante materie, (alcune solo una perdita di tempo… ) è stato considerato da molti un grande errore. C’è d’augurarsi che, superato questo difficilissimo periodo di dolorose rinunce, si possa riproporre la riorganizzazione dei nostri gloriosi Conservatori, aggiornandoli e ridando loro quel prestigio conquistato attraverso i grandi geni da loro prodotti che hanno riempito le pagine della nostra storia della musica apprezzata e tuttora studiata in tutto il mondo. 3 Sommario All’Opera di Roma AIDA MA SENZA TRIONFO di Lorenzo Tozzi 5 Nascono a Latina il DMI e l’ARCHIVIO DEI MUSICISTI di Claudio Paradiso I cento anni dalla nascita di SVIATOSLAV RICHTER di Ivana Musiani CORREVA L’ANNO 1915 di Domenico Carboni A Lipsia e ad Halle la Germania festeggia BACH E HÄNDEL di Lorenzo Tozzi CAV & PAG trionfano con Thielemann di Luigi Bellingardi 6 10 11 GIORGIO NAPOLITANO sensibile anche ai problemi della musica di Giorgio Girelli Impera la danza nei TEATRI ROMANI 14 musica con Brahms e Mahler di Luigi Bellingardi 16 22 23 BON TON 28 LIBRI E CD a cura di Luigi Bellingardi 29 La rivista si può ricevere solo per posta con un abbonamento* ordinario di euro 20,00 (per l’estero euro 25,00) Abbonamento sostenitore minimo euro 60,00 Abbonamento benemerito oltre euro 100,00 Le rimesse si effettuano sul c/c postale 14644009 indirizzate a IL MONDO DELLA MUSICA Via Flaminia Nuova, 241 -00191 ROMA 4 AIDA MA SENZA TRIONFO EDITORE DIRETTORE RESPONSABILE MARIA ELISA TOZZI Comitato di Redazione LUIGI BELLINGARDI DOMENICO CARBONI LORENZO TOZZI Direzione -Redazione -Amministrazione Via Flaminia Nuova, 241 -00191 Roma Tel. -Fax 06 3297736 Grafica: Eurolit srl Stampa: Pignani Printing srl Associato all’USPI 26 di Ivanhoe MANFRED HONECK 20 a cura di Angela Funaro NOTIZIE di Ivana Musiani 20 FONDATRICE Lydia Boni All’opera di Roma Unione Stampa Periodica Italiana di Alberto Cervi MA TOSCA, DA DOVE SI BUTTA? RASSEGNA INTERNAZIONALE DI VITA MUSICALE -CONCERTI OPERA -BALLETTO Anno 2015 Abbon. to in Italia euro 20, 00 Abbon. Sostenitore euro 60, 00 Abbon. Benemerito da euro 100, 00 e oltre Le rimesse si effettuano sul C/C postalen. 14644009 IBAN del c/c postale IT 14Z0760103200000014644009 intestato a “Il Mondo della Musica” Via Flaminia Nuova 241-00191 Roma Periodico trimestrale . Registraz. Tribunale di Roma n. 10195 del 8 febbraio 1965. A norma dell’art. 74 del DPR 26/X/1972 n. 633 e del D.M. 28/12/1972, l’I.V.A. pagata dall’editore sugli abbonamenti è condensata nel prezzo di vendita intendendosi che il cessionario non è tenuto ad alcuna registrazione. Pertanto in nessun caso vengono rilasciate fatture. La ricevuta del versamento in c/c postale costituisce documento idoneo ad ogni effetto contabile. Qualora si desideri una ricevuta dell’importo pagato, occorre aggiungere al versamento euro 1, 00 per rimborso imposta di bollo e spese postali. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. Manoscritti e fotografie non si restituiscono in nessun caso. La riproduzione dei testi anche parziale è vietata.(c) MET-Roma. P, IVA 03616910588 www.ilmondodellamusica.com [email protected] Gli articoli firmati riflettono le opinioni dei loro autori. Non necessariamente queste coincidono con le opinioni della direzione e della redazione. Gli abbonamenti non disdetti entro il 20 gennaio si considerano tacitamente rinnovati Un momento delle prove dell’Aida - A.Rachvelishvili(Amneris), R.Tagliavini(Ramfis) ©Yasuko Kageyama - Opera Roma I n una lettera al Presidente del Teatro Comunale di Trieste nel 1872 a proposito di Aida il Don Peppino nazionale raccomandava che venisse eseguita “con cuore e intelligenza” e soprattutto secondo le sue intenzioni. E si sa che tra queste ultime c’era anche una messinscena degna della tradizione grand-operistica francese proprio per dare per contrasto risalto alle scene intimistiche e alla dimensione umana dei personaggi. E’ anzi proprio questa dimensione titanica a conferire più incisività a quel triangolo amoroso che vigeva nel melodramma almeno dall’età dell’Interregno di Bellini e Donizetti. E di quella grandiosità testimoniavano le scenografie disegnate dall’egittologo Mariette e la celeberrima quanto irrinunciabile marcia trionfale. A Roma invece, riprendendo il sobrio ed essenziale allestimento del coreografo Micha Van Hoecke concepito per le Terme di Caracalla nel 2011, l’Aida è sembrata “povera”, scarna, priva di sfondo storico ( poteva essere anche Guerre stellari). Tutto si riduce in fondo solo a due rampe di scale disposte in tutti i modi possibili ed immaginabili ( anche come minipiramide o come avello finale). Manca insomma il colore e il calore infuocato dell’Egitto ed anche le belle luci (l’azzurro idealizzato del Nilo) sembrano più congeniali ai fiordi di un Ibsen o a Grieg che al Verdi egizio. L’azione scenica vaca a lungo, nonostante gli spazi ampiamente disponibili in scena, e il balletto, con le ballerine in bikini da mosaico di Villa Armerina, mette in luce solo le doti della brava Alessandra Amato, ma si svolge sugli stessi modi astratti e extratemporali con al centro un incomprensibile derviscio ruotante. Non giovava poi la direzione musi- cale di Bignamini, scolastica e professionale, ma priva di colpo d’ali e di senso dell’assieme drammatico, mentre nella terna dei protagonisti si distinguevano, ma solo alla distanza, la carismatica Amneris di Anita Rachvelishvili ed il Radames, invero più avvezzo alle gozzoviglie e alle taverne che alle giberne e alle palestre, del corpulento Fabio Sartori. Non sempre a fuoco soprattutto in tessitura acuta invece l’Aida della magiara Csilla Boros, neppure coadiuvata registicamente a dovere. Ne risultava così una esecuzione piatta, noiosetta e di routine. Insomma, tanto per dirla con Verdi, “per Aida non basta avere due o tre cantanti buoni!” (lettera a Torelli, 22 agosto 1872), ma il buon Verdi non poteva contemplare in quella’alba dell’Italia postunitaria crisi e tagli di finanziamenti. Lorenzo Tozzi 5 CORREVA L’ANNO 1915 Visione; Oblìo; Baci; per canto e pianoforte Andante cantabile; Serenata napoletana; per violino e pianoforte. Concerto in sol minore, op. 10, per pianoforte e orchestra Andante solenne sul tema del “Te Deum”; Direttore Bernardino Molinari, soprano Bice Mililotti Reyna, pianista Francesco Bajardi, violinista Oscar Zuccarini, al pianoforte e all’Organo Antonio Traversi. (Il titolo preciso della Sinfonia n.2 era in Mi bem. senza precisare il tono poiché toccava entrambi i toni maggiore e minore. Composta nel 1883 fu eseguita a Roma e a Colonia e mai più eseguita. Il compositore, nonoSala Accademica primi 900 stante le insistenze degli editori, non volle mai pubblicarla preferendo tenerla nel cassetto. Molinari quindi la poté eseguire poiché il Maestro non poteva più negare l’autorizzazione. Fu ripresa, sempre da Molinari esposto il manifesto della Regia e sempre all’Augusteo nel 1917 Accademia di S. Cecilia – “Cone poi la partitura scomparve micerti all’Augusteo. Domenica 17 steriosamente. Fu ricostruita dal gennaio 1915” sottoscritto nel 2014 dalle parti d’orchestra, per fortuna complete, Concerto commemorativo di e pubblicata da Ars Musica.) Giovanni Sgambati. Bajardi, titolare di una delle cattedre di pianoforte era uno degli alG. SGAMBATI lievi prediletti di Sgambati. Oscar Zuccarini, ventottenne, allievo di Sinfonia n.2 in Mi bemolle maggiore Oreste Pinelli, era primo violino Berceuse-rêverie , e violino solista dell’Orchestra trascrizione orchestrale di J.Massenet Via dei Greci 18: Un anno particolare per la scuola di musica romana S iamo a gennaio 1915. Il Liceo Musicale di S.Cecilia con sede in via dei Greci 18 nell’ex convento delle Suore Orsoline, è in lutto per la morte di Giovanni Sgambati, titolare del corso di perfezionamento di Pianoforte. La morte, inaspettata, avvenne il 14 dicembre ma, per via delle festività natalizie, si decise di rinviare la solenne commemorazione a gennaio. Nella bacheca era 6 dell’Accademia; Bernardino Molinari, diplomato in pianoforte, organo e composizione, nel 1912, a soli 32 anni, era diventato direttore artistico e stabile dell’Orchestra, (chiamato a ricoprire questo incarico dal Conte di San Martino, presidente dell’ Accademia), incarico che tenne ininterrottamente fino al 1944. La Bice Mililotti si era diplomata brillantemente al Liceo nel 1888: molto apprezzata nell’ambiente musicale romano si dedicò principalmente alla musica da camera. Ma un altro concerto in onore di Sgambati, che forse il maestro avrebbe preferito alla solenne commemorazione ufficiale, fu questo che compare nel libretto dei Saggi scolastici: DODICESIMO SAGGIO DI CLASSE Venerdi 30 aprile 1915 DATO DAGLI ALUNNI DI GIOVANNI SGAMBATI IN MEMORIA DEL LORO MAESTRO SGAMBATI Preludio e fuga op.6 Federici Fernanda (anno 2°) Vecchio Minuetto, op.18 – Studio melodico, op. 21 Picchetto Vera (anno 2°) Rappelle-toi! – Laender –Vox populi (Pièces Lyriques op.23) Tordi Adalgisa, (anno2°) Notturno in re bem. Op.31 – Toccata, op.18 Zaniboni Xenia (anno 2°) Studio da Concerto in fa diesis min., op.10 Jacopini Argentina Notturno, op.20; Gavotta op.14; Studio da Concerto in re bem (op.10) Panni Anita (anno 3°) Concerto per pianoforte e orche- stra op.15 Moderato maestoso. Romanza. Allegro animato Spizzichino Giovanna (anno 2°) Classe d’orchestra Prof. Alessandro Bustini. Oreste Pinelli, docente di pianoforte, fratello di Ettore, è nominato reggente della ex classe di Sgambati. Ma la morte di Sgambati fu solo uno degli eventi luttuosi che fra il ’14 e il ’15 ebbero come conseguenza un significativo rinnovamento del corpo docente del Liceo. Il direttore Stanislao Falchi è malato e lo supplisce Raffaele Terziani, professore di Canto corale e vice direttore. Falchi non ce la fa a tornare e dà le dimissioni. Terziani è confermato quindi direttore reggente fino alla nomina del nuovo direttore. Anche Ettore Pinelli non sta bene e lascia la Classe d’Orchestra tenendo solo quella di Violino. Sgambati, Ettore Pinelli e Falchi appartengono al primo impianto del Liceo, formato nel 1877 da 29 docenti. Hanno tutti 38 anni di servizio a cui si devono aggiungere altri 7 di insegnamento a titolo gratuito nella precedente scuola sperimentale da cui nacque il Liceo. Non c’erano limiti di età perché non erano previsti dal Regolamento per cui si poteva restare tranquillamente in servizio finché si era in grado di farlo, anche perché fino a tre anni prima non esi- stevano neanche le pensioni, solo un’indennità per assenza causa malattia e quindi non si parlava mai di collocamento a riposo. Il primo fortunato pensionato fu Cesare De Sanctis, docente di Composizione, aveva 88 anni e poté godere quindi di ben 4 anni di pensione poiché morì a 92 anni. Giovanni Sgambati Dall’Ottocento al Novecento Non tutti sanno che il Conservatorio S. Cecilia di Roma ha una storia diversa dagli altri conservatori storici italiani: non nasce infatti alla stregua degli altri come istituto caritatevole (conservatorio è sinonimo di orfanotrofio) come a Napoli, Venezia, Palermo, ma dall’ iniziativa di due giovani provetti musicisti: Giovanni Sgambati, pianista e compositore allievo di Franz Liszt, e Ettore Pinelli, violinista perfezionatosi con Joachim che, ottenuti due locali nella sede dell’Accademia di S. Ceci- 7 lia si misero ad insegnare gratis. Il loro esempio fu seguito da altri colleghi come i sopra citati Falchi, Monachesi, De Sanctis, Zuliani, e altri. Era il 1870/77. Ora dopo 45 anni, e un cammino molto faticoso, il Liceo Musicale è diventato ormai pari ai più prestigiosi conservatori, riconosciuto dallo Stato come Ente morale autonomo e non più dipendente dall’Accademia nel cui seno nacque. In questo fatidico anno scolastico dunque i giovani pionieri, diventati anziani, uno dopo l’altro, venivano a mancare dopo un’intera vita d’insegnamento cedendo il testimone alle nuove generazioni: a Sgambati successe Alfredo Casella, a De Sanctis e a Falchi Ottorino Respighi. Per la scuola di Violino Arrigo Serato subentrò a Pinelli e Mario Corti a Monachesi. Alessandro Bustini fu il successore di Pinelli per la Classe d’Orchestra e Domenico Alaleona sostituì Zuliani in Storia ed estetica musicale. Ci fu quindi un’infornata di nuovi docenti assunti per concorso, tutti poco più che trentenni. Nel 1915 si passava così, culturalmente e artisticamente, dall’Ottocento al Novecento. Dati statistici La fotografia del Liceo del 1915 è la seguente: 38 docenti, 21 corsi principali, 11 corsi complementari. 224 alunni di cui 129 maschi e 95 femmine. Ritiratisi durante l’anno 14, non confermati 5, diplomati 18. Rimasti in corso alla fine dell’anno scolastico 187. Le domande di ammissione furono 179 e ne vennero accolte 55. Si effettuarono 20 saggi scolastici pubblici. La guerra Il 23 maggio il governo italiano dichiarò guerra all’Austria. Terziani provvide a indire immedia- 8 El violinista Pinelli - quadro dipinto da Eduardo Rosales Gallinas tamente la sessione degli esami finali per far conseguire il titolo a coloro che dovevano essere chiamati alle armi: «Uno speciale riguardo credetti doveroso di usare agli alunni chiamati in servizio per la Patria, accordando loro una immediata sessione di licenza e concedendo, previo assenso dell’On. Commissione Amministrativa, il passaggio senza esame per i non licenziandi che avessero riportato la media annua di 6/10». Purtroppo i 4 Saggi Finali con l’orchestra dovettero saltare sempre a causa della guerra; così scrive Terziani: «Restavano a effettuarsi i consueti saggi finali, stabiliti dal vigente Regolamento, ed io mi accingevo alla loro preparazione quando il momento critico che agitava la vita nazionale si determinò con la dichiarazione della guerra; onde la scolaresca del Liceo venne improvvisamente diminuita di ben 45 giovani, chiamati alle armi, i quali appunto costituivano il nucleo più forte della classe orchestrale e delle scuole di canto. Di conseguenza, sia per la generale disposizione degli animi preoccupati da altre più gravi cure, sia soprattutto per le serie difficoltà materiali che non rendevano oramai più possibile formare la massa orchestrale e corale, indispensabile alla decorosa esecuzione dei nostri maggiori esperi- menti pubblici e più specialmente richiesta per eseguire i lavori delle scuole di composizione, mi resi persuaso della opportunità di rinunziare ai saggi finali». Fra gli allievi che dovettero indossare la divisa vi fu Giacomo Volpi, tenore, allievo di 2° anno di Cotogni, che venne arruolato, essendo anche studente universitario in Giurisprudenza, come sottotenente di fanteria. Si distinse al fronte guadagnandosi un encomio solenne e tre croci di guerra. Nel 1919 si presentò con la divisa di capitano del 12° Fanteria per riprendere le lezioni e apprese della morte del suo maestro avvenuta nel frattempo. Continuò nella classe di Enrico Rosati fino al suo debutto diventando subito celebre col cognome Lauri-Volpi. Nel 1914 un altro allievo del Liceo, Beniamino Gigli, classe di canto di Rosati, vestì la divisa di fante in un tranquillo posto di telefonista al Comando territoriale di Roma ed ebbe modo così di concludere gli studi. Saranno famosi Sfogliando l’annuario dei Saggi scolastici del 1915: Classe di Canto di Antonio Cotogni. Sabato 27 marzo 1915: VERDI. La forza del destino. Duetto per tenore e baritono atto II Volpi Giacomo (anno 2°) Basiola Mario (anno 1°). Quando si dice: prendere due piccioni con una fava. Oltre a colui che diventerà il grande tenore Giacomo Lauri Volpi c’è anche Mario Basiola che diventerà uno dei più famosi baritoni del suo tempo! Basiola poi canterà la romanza Vorrei… di Bleihmann e Volpi una romanza da L’amico Fritz e in un duetto dal Don Carlos. Quando Volpi tornerà dalla guerra sarà l’amico Basiola, già in carriera, ad aiutarlo per avere una scrittura al Teatro di Viterbo (I Puritani e poi Rigoletto) ed è in quell’occasione che, appreso che vi era in carriera un altro tenore di nome Volpi (Guido), Giacomo a una bella carriera: specialista nel repertorio verdiano, cantò quasi ad ogni stagione al Teatro dell’Opera di Roma dal 1928 al 1949, e alla Scala dal ‘23 al ‘36 poi a Londra, Parigi, Berlino, Sud America ecc… Il Saggio della classe di Organo complementare di Remigio Renzi inizia con una Toccata di Dubois eseguita dall’allievo Somma Bonaventura (anno 1°) che poi si presterà anche ad accompagnare al pianoforte i saggi di violino. Bonaventura Somma si diplomerà in composizione con Respighi. Diventerà dal 1926 direttore del Coro dell’Accademia di S. Cecilia portandolo a un tale grado di perfezione da diventare fra i più ammirati complessi corali del mondo. Dal 1939 insegnò Composizione polifonica vocale al Conservatorio S.Cecilia.E per finire un pizzico di gossip. Nella classe di Respighi era stata da poco ammessa la signorina ventunenne Elsa Olivieri Sangiacomo innamoratissima del suo docente. L’amore fu corrisposto e nel gennaio del 1919 i due conSala Accademica di Santa Cecilia volarono felicemente a nozze. Tutto questo succedeva volle precedere il suo cognome nel Liceo Musicale S. Cecilia nel da “Lauri”, e Lauri-Volpi divenne 1915. Finita la guerra, nel 1919 il poi il suo vero cognome con R. Liceo sarà statalizzato e nel 1923 Decreto del 1934. Giacomo Laupotrà chiamarsi Conservatorio di ri-Volpi e Mario Basiola s’inconMusica. Nella Sala Accademica trarono spesso sui palcoscenici dell’Istituto nelle pareti laterali specie negli anni 1924-31. vi sono due nicchie che contengoMa vediamo che succede nell’altra no due busti: guardando il grande classe di Canto tenuta da Rosati: organo quello a destra raffiguvedo l’allievo Franci Benvenuto, ra Giovanni Sgambati e quello a baritono (anno 2°), darsi da fare sinistra Ettore Pinelli che, anche in duetti terzetti e quartetti e poi dopo cento anni, vegliano sulla cantare la romanza Sei vendicata Scuola da loro fondata. assai dalla Dynorah di Meyerbe Domenico Carboni er. Anche Franci sarà destinato 9 A LIPSIA E AD HALLE LA GERMANIA FESTEGGIA BACH E HÄNDEL I Thomaskirche dove era impegnatissimo Kantor, la seconda certo meno celebre ha dato i natali al cosmopolita Händel. Ogni anno le due città sorelle quasi rivaleggiano per sontuosità della programmazione musicale e il Festival di Bach a Lipsia e quello gemello di Händel ad Halle sono ormai seguiti non solo dal pubblico tedesco ma ormai da un uditorio internazionale. Bach è celebrato a Lipsia, che festeggia quest’anno il suo millennio di vita, dal 12 al 21 giugno. Protagonista sarà la Gewandhaus ( che fu diretta anche da Mendelssohn e vide molte prime importanti come il Deutsches Requiem di Brahms) per la serata inaugurale diretta da Riccardo Chailly (musiche sacre di Verdi e Rossini). Alla Chiesa di S. Nicola e alla Thomaskirche risuoneranno le note di alcune Cantate sacre bachiane col Coro da camera di Colonia ed il Collegium Cartusianum. Non mancheranno all’appello le Variazioni Goldberg, alcuni Concerti brandeburghesi e altre musiche strumentali d’assieme, la celebre Messa in si minore, la Passione secondo Giovanni con il Collegium Vocale Gent diretto Georg Friedrich Händel da Herreweghe, mottetti e Bach Reflections in jazz. L’occasione è anche ghiotta per vistata protagonista degli ultimi tre sitare gli archivi di Lipsia con i loro decenni di vita di Johann Sebastian libri rari, manoscritti, documenti e il Bach, che è sepolto in una semplice Museo Bach interattivo e multimetomba di basalto rosso nella gotica l barocco in Germania tira eccome. E ai due Dioscuri del barocco teutonico, i coetanei Bach e Händel, nati entrambi nel fatidico 1685 (come anche il napoletano Domenico Scarlatti), il Paese di Goethe, Schiller e della Merkel dedica da tempo due splendidi Festival, da cui abbiamo tutto da imparare noi che apriamo i Conservatori al pop e i Teatri lirici al rock. Se un popolo si vede dalla cura che ha del suo passato, non c’è dubbio che quello tedesco è tra i più civilizzati in Europa, perché è vera la convinzione che chi non ha cura del suo passato, non ha neanche un grande futuro. Nel cuore della Germania a un’ora di treno dalla stimolante Berlino, Lipsia ed Halle (Saale) hanno avuto un ruolo importante nella storia della musica europea. La prima è 10 CAV & PAG TRIONFANO CON THIELEMANN A SALISBURGO S Johann Sebastian Bach diale. Un’ esplosione di musica: oltre cento manifestazioni in dieci giorni. Forse ancora più stimolante, visto che conosciamo molto meno in percentuale di Händel che del genio di Eisenach, il Festival di Halle dal 30 maggio al 14 giugno, ove si possono intercettare rarità assolute e primizie come opere o oratori oltre a visitare la casa museo del musicista arricchita da strumenti d’epoca. Il concerto di gala inaugurale è affidato alle doti del grande controtenore francese Philippe Jaroussky, ma a farla da padroni sono tre impegnativi titoli di melodrammi anche in versione scenica: l’Alessandro (6-8 giugno) nel Teatro storico di Goethe a Bad Lauchstädt per la direzione di George Petrou, l’Imeneo (7 giugno) diretto da Fabio Biondi sul podio dell’Europa Galante e la Semele (12 giugno) col Concerto Kӧln e il Collegium Vocale Gent diretti da Ivor Bolton. E c’è anche uno spettacolo pirotecnico finale a suon di musica ( händeliana naturalmente) nella Galgenbergschlucht. Allora Zum whol. Che l’estate arrivi, ma a suon di musica e di che musica! Tanto per dimenticare le tristezze nostrane, musicali e non. Lorenzo Tozzi in dal primo annuncio,oltre un anno fa, dell’interpretazione di Christian Thielemann per “Cavalleria rusticana” e per “Pagliacci” al Festival di Pasqua 2015 quest’idea aveva suscitato sui giornali e tra i melomani a nord delle Alpi un grandissimo clamore. E non poche voci dell’opinione pubblica austriaca e tedesca si erano affrettate a rievocare quanto Gustav Mahler avesse amato la partitura di “Cavalleria rusticana”, il suo innato “senso del folclore italiano”, contribuendone alla notorietà e alla diffusione rappresentativa in tutto il mondo, oltre che illustrandone il valore musicale nelle lettere come nei giudizi a voce. Quanto a “Pagliacci” è noto a tutti che è storicamente considerata l’opera del nostro repertorio che ha conosciuto in assoluto il maggior numero e le più frequenti rappresentazioni, anche negli anni del Terzo Reich. Questi due pilastri del verismo italiano tra 800 e 900 non si erano finora mai allestiti a Salisburgo non solo agli Osterfestspiele. Di qui inevitabili le premesse del trionfo arriso a questi due spettacoli (dal 1926 si danno appaiati e oltre oceano si intitolano Cav & Pag) nelle serate del 28 marzo e del 6 aprile al Grosses Festspielhaus di Salisburgo con un esito artistico ed economico quale non s’era più verificato dai tempi di Herbert von Karajan. Secondo la mia consueta pratica ho frequentato il secondo ciclo del Festival di Pasqua, cominciando con l’assistere la sera di Venerdì Santo all’esecuzione della verdiana “Messa da requiem” condotta dal maestro berlinese con tenace e capillare concertazione, imponendo ai bravissimi strumentisti della Staatskapelle Dresden, al grande Coro della Radio Bavarese e ai solisti di canto dei tempi nervosi e stringenti, che hanno richiamato alla mente Pagliacci: Dimitri Platanias, Jonas Kaufmann, Tansel Akzeybek, Maria Agresta. © Andreas J. Hirsch una certa suggestione delle performances di De Sabata. Sono apparsi quindi sottolineati con marcata autorevolezza gli aspetti morfologicamente caratterizzanti di questa partitura concepita da Verdi nel segno di una voluta maestosità di accenti non soltanto negli episodi di severa scrittura contrappuntistica come il Kyrie (sulle parole “quam olim”), l’Offertorio “Domine Jesu”, il Sanctus, la sezione centrale del “Libera me”. Thielemann non ha lesinato il risalto al cupo incedere della parte mediana del Lux aeterna e soprattutto ha impresso un peculiare vigore propulsivo al Dies Irae intendendolo il vero e proprio fulcro dell’intera opera, così come l’aveva concepita l’autore stesso, al centro della messa per i defunti. Non meno illuminati a dovere il senso di terrore del Mors stupebit, l’ampiezza di respiro del Res tremendae majestatis, l’invocazione accorata del Qui Mariam absolvisti, e del finale Pie Jesu Domine. Sugli scudi, oltre alla Staatskapelle Dresden (che alla Semperoper suona 300 sere per stagione), il sicuro ren- dimento del Coro della Radio Bavarese, addestrato ottimamente da Peter Dijkstra, anche nell’evocare in certi momenti l’intensità meditativa di un complesso luterano, nonché il quartetto dei solisti di canto: il soprano drammatico Liudmyla Monastyrska (qua e là qualche eccesso di vibrato), il mezzosoprano Anita Rachvelishvili, il tenore Jonas Kaufmann, il basso Ildar Abdrazakoy. La sera di Sabato Santo ancora sul podio della Staatskapelle Dresden c’era Christian Thielemann con un programma orchestrale di grande impegno musicale, tra Sciostakovic e Čajkovskij. In apertura si è ascoltata l’esecuzione del Concerto per violino e orchestra n° 1 in la minore op. 77 di Sciostakovic, composto nel 1947 con dedica a David Oistrach che poté suonarlo in pubblico soltanto nel 1955 assieme alla Filarmonica di Leningrado condotta da Evgenij Mravinskij, cioè dopo la morte di Stalin. Infatti questo gigantesco lavoro contempla varie peculiarità a cominciare da un intenso, cupo sottofondo, intriso di turbamenti e tor- 11 menti psicologici. Nel rapporto tra il solista e l’orchestra risulta assente il tradizionale principio di competizione in luogo del quale, come si verifica in alcune composizioni di Bartok, si staglia una sostanziale affinità di intenti drammatici ed espressivi. Il lavoro si articola in quattro movimenti, il primo dei quali,intitolato Notturno, è un Moderato di carattere introverso e comprende alcune singolari citazioni, attorno alle quali il solista fa intendere i suoi arabeschi significativi: all’inizio un inciso wagneriano, poi una successione di sonorità in pianissimo, infine uno spunto di corale bachiano simile a quello inserito da Alban Berg nel suo Concerto per violino e orchestra. Il secondo tempo è uno Scherzo (Allegro) di spettacolare virtuosismo all’arco, quasi nel susseguirsi di passaggi di bravura. In terza posizione vi è una Passacaglia di carattere meditativo, intesa a ribadire l’iniziale pensosità drammatica, sfociando in una lunga e impervia Cadenza che conduce all’ultimo movimento, denominato Burlesque, in cui l’autore ritrova e mescola assieme tristezza e ironia grottesca, accenti drammatici e accelerazioni brucianti. Il solista Nikolaj Znaider, nato a Copenhagen nel 1975, suonava un Guarneri del Gesù del 1741 d’intensa cantabilità. Alle insistenti richieste d’un fuori programma ha offerto l’esecuzione d’una suggestiva Sarabanda ba- 12 tato il successivo ascolto, dedicato all’interpretazione di una delle sinfonie più affascinanti e coinvolgenti di Sciostakovic, la Decima in mi minore op.93, composta nell’estate-autunno del 1953, all’affacciarsi della cosiddetta stagione del disgelo, della parziale sospensione dell’ideologia conformista dopo la scomparsa di Stalin. Al carattere mahleriano del tempo iniziale, improntato a una disperata atmosfera di trenodia (Moderato), si è ascoltato in seconda posizione un selvaggio, fulminante Allegro, ormai conosciuto con il sottotitolo Scherzo-Stalin. Infatti è ormai notoria la ricostruzione della genesi di questa Decima Sinfonia in base alla testimonianza di Volkov e alle dichiarazioni del musicista medesimo, dal momento che l’esplicita, contrapposizione di Sciostakovic alla tirannia stalinista è individuabile, nel secondo movimenApplauso finale a Pagliacci to, con l’inserzione d’un motto costituito dalla figurazione musicale “Re del Festival salisburghese, e questa bemolle-Mi bemolle-Do-Si”, in cui volta l’ospite era Daniele Gatti con si celano le iniziali del nome del Arcadi Volodos solista alla tastiera musicista secondo la grafìa dell’alper l’interpretazione del popolarisfabeto tedesco “D.Sch”: in termisimo Concerto N° 1 in si bemolle ni sonori colpisce, ad ogni ascolto, minore op. 23 di Čajkovskij. Artista una violenza brutale d’estrema indi grande temperamento ed anche di cisività. Nel terzo movimento, Alnotevole variabilità d’umori, Vololegretto, un tempo di valzer si fa dos ha fatto chiaramente intendere progressivamente aggressivo per la di avere al suo arco nell’occasione ricomparsa, come un’idea fissa, di tutti i dardi giusti e infallibili per quel motto personale. E nel Finale , vincere e dominare qualsiasi avverAndante-Allegro, il frequente ritorsario. E così è stato, specialmente no di quello stesso motto conduce la nelle pagine intimistiche del seconDecima Sinfonia ad un esito clamodo tempo,‘Andantino semplice’, tra roso, quasi Sciostakovic avesse vocantilene notturne e sonorità trasoluto affidare alla musica il riscatto di gnate. Naturalmente Volodos aveva un compositore stanco e stufo oltre padroneggiato tutte le difficoltà del ogni dire di aver patito tanti tormenmovimento iniziale e con analoga ti. Daniele Gatti, musicista d’indedeterminazione ha poi affrontato e fettibile caratura artistica, ha firmato domato l’andamento incalzante e nell’occasione una delle sue prove vorticoso del conclusivo Allegro con più ammirevoli. fuoco. Di spiccato interesse è risul- chiana. Per un direttore del calibro e della maturità espressiva come Thielemann la successiva interpretazione della Patetica di Čajkovskij si è tradotta in una imperiosa affermazione di turgore sinfonico e di sofferta partecipazione emotiva, coinvolgendo tutto il vasto pubblico nell’evocazione del dramma esistenziale del musicista russo riproposto dal canto dei meravigliosi strumentisti sassoni. La sera di Pasqua sul podio della Staatskapelle Dresden è salito il maestro ospite, secondo la tradizione La sera del Lunedì dell’Angelo è stata la volta di assistere alla rappresentazione delle due opere “Cavalleria rusticana” e “Pagliacci” e, nella circostanza, ho appreso che la guida dell’esecuzione del capolavoro mascagnano costituiva un esordio per Thielemann, mentre “Pagliacci” li aveva già condotti quando, in avvio di carriera, era stato maestro stabile a Norimberga. In termini essenziali ho verificato che il disegno interpretativo del direttore berlinese era improntato ad una visuale d’insieme rigorosa e ad un tempo raffinata, senza mai rinnegare o attenuare certi turgori nel rendimento vocale della distribuzione. A monte doveva esserci stata una concertazione attenta e scrupolosa con la conseguenza di far risaltare, nell’esecuzione orchestrale, una pronunciata intensità drammatica, talvolta anche qualche violenta accensione, senza cedere mai alle tentazioni di sonorità volgarmente estroverse e plateali. Efficacemente chiaro mi è apparso il ventaglio dei piani sonori, delle dinamiche e dei chiaroscuri espressivi. Jonas Kaufmann è risultato un protagonista esemplare e felicissimo quindi il suo debutto come Turiddu. Al vertice della carriera, a 45 anni d’età, il tenore monacense si è fatto apprezzare per stile d’altissima classe e per la vibratile luminosità del fraseggio, calandosi alla perfezione nel personaggio. Da ricordare inoltre le convincenti prove di Liudmyla Monastyrska come Santuzza, Ambrogio Maestri come Alfio, Stefania Toczyska come Mamma Lucia ed anche di Annalisa Stroppa come Lola. Giudizio analogo per la successiva rappresentazione di “Pagliacci”, sia per quanto atteneva all’esecuzione musicale sia per la performance di Kaufmann all’esordio come Canio. In quest’opera il cast comprendeva Maria Agresta come Nedda, Dimitri Platanias come Tonio, Tansei Akzeybek come Beppe e Alessio Arduini come Silvio. Da lodare assieme all’impegno esecutivo del Coro e dell’Orchestra della Staatskapelle di Dresda, anche la partecipazione del Salzburger Bachchor e dello Salzburger Theater Kinderchor. Qualche considerazione meno sommaria esige la realizzazione rappresentativa dei due spettacoli nella concezione del regista Philipp Stoelzl d’intesa con la scenografa Heike Vollmer e la costumista Ursula Kudrna con le luci di Heinz Ilsanker e la drammaturgia di Jan Dvorak. L’impianto registico ideato da Philipp Stoelzl si giova delle precedenti sue esperienze di ambito pubblicitario e realistico, nonché nel teatro di prosa e d’avanguardia. in quello cioè che suole definire come “teatro di sintesi” L’opera lirica come genere l’aveva praticata solo una volta, anni fa a Salisburgo per il “Benvenuto Cellini” di Berlioz con la direzione di Gergyev ed era stato un allestimento assai originale. Per lui l’opera lirica equivale al cinema e l’affronta con mezzi cinematografici, utili, secondo lui, a definire il senso visivo di sentimenti ed emozioni. Sia per “Cavalleria rusticana” sia per “Pagliacci”, dove al centro della vicenda vi sono avvenimenti di cronaca, ora in Sicilia ora in Calabria realmente avvenuti, Stoelzl si è rifatto al cinema del neorealismo degli anni Quaranta, in bianco e nero, alternando il campo lungo al primo piano. Secondo il suo collaboratore Jan Dvorak a monte delle soluzioni adottate dalla regìa vi sono i drammi raccontati con i disegni del miniaturista fiammingo Frans Masereel e del bavarese Otto Noeckel che negli anni Venti sul periodico “Simplicissimus” in termini grotteschi ha raffigurato fatti di cronaca. Deliberatamente Stoelzl ha ricusato la tradizionale unità di tempo e spazio per privilegiare la simultaneità di diversi episodi nell’intento di accrescerne la funzione espositiva. In pratica nel buio completo del Grosses Festspielhaus sulla superficie verticale di una sorta di sipario si aprivano via via nel corso della rappresentazione delle finestre su due distinti livelli, alcune finestre si identificavano in scenari per l’azione rappresentativa mentre su altre c’erano le proiezioni di alcuni particolari come i volti, le espressioni degli stessi cantanti. Più che un saggio di Verismo si è avuto un saggio di teatro espres- Jonas Kaufmann in Cavalleria Rusticana © Gregor Hohenberg sionistico. Una Sicilia pietrosa, una Calabria desolata, in bianco e nero con vivacità di movimenti per i personaggi man mano in scena o sullo schermo. Tutti convinti? Per Paolo Baratta, presidente della Biennale, “soluzioni meravigliose, che valorizzano l’essenzialità del cinema al giorno d’oggi, Indubbio comunque il trionfo nell’immenso pubblico con mezz’ora di standing ovation al termine e reiterate passerelle di cantanti e musicisti. Il consuntivo finanziario ha registrato un considerevole aumento del numero dei Foerderer cioè dei sottoscrittori e degli sponsor e 4 milioni di euro d’incasso al botteghino. Il nuovo sovrintendente Peter Ruzicka ha annunciato il programma del 2016 con “Otello” di Verdi diretto da Thielemann e tra i concerti la “Missa Solemnis” di Beethoven e l’Ottava Sinfonia di Henze. Luigi Bellingardi 13 Tutte le leggende metropolitane sull’opera MA TOSCA, DA DOVE SI BUTTA? C he Tosca si sia servita della piattaforma di Castel Santangelo come trampolino di lancio per finire annegata nel Tevere, è una leggenda metropolitana che ancora oggi il melodramma pucciniano non è riuscito a scrollarsi di dosso. Tant’è che il noto critico musicale d’un quotidiano milanese l’ha tranquillamente asseverata recensendo l’edizione che il Teatro dell’Opera ha allestito di recente con la ricostruzione delle scene disegnate da Adolfo Hohenstein per quella Tosca che ebbe il suo battesimo proprio nel teatro lirico capitolino il 14 gennaio 1900. Nato a San Pietroburgo ma di formazione tedesca, Hohenstein fu un geniale pittore-grafico, autore di scenografie, costumi, manifesti per i teatri e per l’industria. Nel 1860 si stabilì a Milano lavorando per la Scala, per poi passare come direttore artistico alle Officine Grafiche Ricordi. Per l’opera di Puccini – oltre al famoso manifesto dove, su sfondo rosso sangue, è raffigurata la cantante, biancovestita, mentre depone il crocifisso su Scarpia morente – Hohenstein riprodusse fedelmente per il primo atto l’interno della chiesa di Sant’Andrea della Valle; per il secondo atto un sobrio locale di Palazzo Farnese, quale si addice allo studio, con annessa camera di tortura, di un capo della polizia; nel terzo atto si attenne alla didascalia del dramma di Sardou (ispiratore, com’è noto del lavoro pucciniano), che collocava la vista di San Pietro dalla piattaforma di Castel Sant’Angelo dove viene fucilato Cavaradossi. Tralasciando giustamente le madornali invenzioni toponomastiche del commediografo francese, il quale pretendeva che la Mole Adriana si trovasse allineata al Colosseo, e addirittura che Roma si erigesse da quella parte e non alle spalle! Infatti, la didascalia così enuncia: “La piattaforma di Castel Sant’Angelo (...), in prospettiva la città, fra il Colosseo e San Pietro”. Altro che tuffo nel Tevere, dal momento che pure lui si trova dall’altra parte! Al contrario, il volo di Tosca non poteva che concludersi in quelli che gli attuali romani chiamano i giardinetti di Castel Sant’Angelo, così pieni di buche insidiose da risultare, a detta di chi li frequenta, non meno pericolosi che arrivarci dall’alto come Tosca. Scriveva Puccini all’editore Ricordi, a proposito delle disinvolture toponomastiche di Sardou: “Nel farmi lo schizzo del panorama, voleva che si vedesse il corso del Tevere passare fra San Pietro e il Castello!!! Io gli ho detto che il flumen passava dall’altra parte, e lui tranquillo come un pesce ha detto: Oh, questo è niente!”. Teatro dell’Opera, Tosca. (da sin) Oksana Dyka (Tosca) e Stefano La Colla (Cavaradossi) ©Teatro dell’Opera-Kageyama 14 guito a puntino, non c’è che dire. Eppure, eppure... Per esempio, nel secondo atto, avendo Spoletta espletato i suoi incarichi, che fa? Si mette seduto! E senza il permesso del suo capo, che mai e poi mai glielo avrebbe accordato. E Tosca, cosa fa anche lei appena entra in chiesa nel primo atto? Si toglie il cappello! Eppure, sino a quando la Chiesa Teatro dell’Opera di Roma, Oksana Dyka (Tosca) e Stefano La Colla (Cavaradossi) non abolì tutte le © Opera di Roma-Yasuko Kageyama osservanze provenienti da traL’altra leggenda metropolitana, done acquisiti i diritti, per passarli dizioni o consuetudini consolidate, dura a morire – tant’è che c’è caal fremente Puccini, il principale le donne non potevano entrare in scato, insieme al Tevere, il noto argomento addotto fu quello dei chiesa a capo scoperto fino a tempi critico accennato sopra – è che numerosi eventi storici, di difficile relativamente recenti. Figuriamoci Scarpia sia il capo della polizia pacomprensione da parte di un pubnei secoli passati! A consigliare per palina. blico moderno. primo le donne a coprirsi il capo Eppure, qualche dubbio lo dovrebNello stendere il libretto, Illica e durante le funzioni religiose, con be insinuare il fatto che alloggi a Giacosa passarono disinvoltamente una certa perentorietà e ripetitività, Palazzo Farnese, dov’è di casa ansopra queste difficoltà. Non così il fu San Paolo, in diverse lettere ai che la Regina Carolina di Napofilm del 1941, dove si vede il conCorinzi, dalle quali stralciamo: “... li, che ne è proprietaria in quanto te Palmieri scrupolosamente deponé l’uomo fu creato per la donna, l’ultima Farnese aveva sposato un sto nella bara. Regista designato ma la donna per l’uomo. Per questo Borbone re di Spagna, di cui uno era Jean Renoir, che essendo stato la donna deve portare sul capo un dei figli era divenuto re delle Due provocato da un gruppo di fascisti segno della sua dipendenza”. Sicilie. Sardou è molto esplicimentre sedeva a un caffè romano, Però c’è da dire che anche l’evolto sulle mansioni di Scarpia: “... preferì tornarsene in Francia, laversi del costume ha favorito la la corte di Napoli ha spedito qui, sciando la stupenda sequenza inidismissione dell’antica pratica. poco fa, come reggente di polizia ziale della cavalcata di un gruppo Cominciò durante la guerra, quanun siciliano che si è fatto laggiù la di guardie con i mantelli svolazdo le ristrettezze economiche e le reputazione di uomo spietato”… zanti, diretti a Castel Sant’Angelo corse ai rifugi antiaerei misero i I librettisti di Puccini se la cavarocon, al passaggio del ponte con le cappellini nel dimenticatoio. Dopo, no, senza andar in fondo al ruolo statue degli angeli, i volti di questi per fortuna, in ogni borsetta femdi Scarpia, con un generico “capo in primo piano, ripresi da inedite minile non mancava mai un fazzodella polizia”, così come non si sconvolgenti angolazioni. letto, spesso ricamato o orlato col curarono di dar spiegazioni a proOltre alle scenografie della pripizzo, soccorrevole alla bisogna. posito dell’ambigua fucilazione sima esecuzione del 1900, il recenMa quando i fazzoletti di lino o comulata del conte Palmieri, che Spote allestimento di Tosca al Teatro tone vennero sostituti da quelli più letta capisce al volo essere tutto il dell’Opera vantava l’osservanza igienici di carta, coprirsi il capo in contrario per quanto riguardava la puntigliosa da parte del giovane certe occasioni diventò per molte fucilazione vera di Cavaradossi. Il regista italo-sudafricano Alessanun autentico problema. bello è che quando Ricordi volle dro Talevi (da qualche critico già scoraggiare Alberto Franchetti dal definito genio), delle didascalie comporre un’opera su Tosca, avencontenute nel libretto. Tutto eseIvana Musiani 15 MANFRED HONECK IL FAR MUSICA CON BRAHMS E CON MAHLER ”In famiglia c’è sempre stata una marcata tradizione di canto popolare, nella pratica corale non solo legata ai riti della religione cattolica. Sono nato a Nenzing, una famiglia patriarcale, ho otto fratelli e sorelle. A mia volta, quando non sono in giro per il mondo a far musica, vivo ad Altach, nel Voralberg, Austria Occidentale, e ho sei figli. Il mio fratello Rainer, più giovane di due anni, suona nei Wiener Philharmoniker. In casa si è sempre respirata musica ...” Johannes-Brahms D alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso ho avuto l’opportunità di assistere varie volte alla performance del Requiem Tedesco di Brahms: alla Sagra Musicale Umbra come al Festival di Pasqua a Salisburgo, all’Auditorio del Foro Italico come al Maggio Musicale Fiorentino, principalmente alle stagioni di Santa Cecilia, dall’Auditorio Conciliazione a quello del Parco della Musica, con la partecipazione dei più celebri maestri del podio. Il 14 marzo ho ascoltato Brahms eseguito a Santa Cecilia sotto la guida di Manfred Honeck, con il quale due giorni dopo ho avuto un colloquio diretto. Maestro Honeck nella famiglia c’è qualche antenato distintosi in particolare nella musica? 16 L’avvio della carriera musicale, dopo gli studi, a Vienna? “Da ragazzo ho studiato il violino, frequentando i corsi della Wiener Akademie, poi mi sono diplomato anche in viola. Per otto anni ho fatto parte dei Wiener Philharmoniker come violista, avendo quindi la possibilità di conoscere i più celebri direttori d’orchestra e le loro interpretazioni. Ho cominciato questa carriera come assistente di Claudio Abbado all’Orchestra giovanile viennese e poi all’Opera e alla Filarmonica. Poi sono stato scritturato dall’Opera di Zurigo come Primo Kapellmeister, per passare in seguito a Lipsia come uno dei Direttori principali della MDR (MittelDeutsch-Rundfunk) Sinfonica”. Leggo sulla brochure, inviatami da PR2 Classic di Colonia, l’incalzare delle tappe di una prestigiosa carriera internazionale: Direttore musicale all’Opera di Oslo, quindi della Filarmonica di Oslo, dell’Orchestra della Radio di Stoccolma, Direttore ospite della Filarmonica Ceca di Praga eccetera. Tantissimi impegni nella programmazione d’ambito sinfonico. E d’opera? “Dal 2007 al 2011 sono stato Generalmusikdirektor dell’Opera di Stato di Stoccarda ove, tra l’altro, ho diretto titoli come Les Troyens, Idomeneo, Aida, Dialogues des carmélites, Il cavaliere della rosa, Il pipistrello, Lohengrin, Parsifal. Senza confronti però predomina la musica sinfonica”. Nel maggio 2006 un programma al debutto sul podio dell’Orchestra Sinfonica di Pittsburgh ha dato l’avvio ad un amore a prima vista, vero? “Davvero, sì! E tenga presente che l’Orchestra di Pittsburgh ha alle spalle tante esperienze musicali con importanti direttori, di cui mi limito a ricordare solo i nomi, Frederic Archer, Victor Herbert, Emil Paur, Elias Breeskin, Antonio Modarelli, Otto Klemperer, Fritz Reiner, William Steinberg, André Previn, Lorin Maazel, Mariss Jansons, Andrew Davis. Una storia di grande musica per 117 anni”. Leggo anche che l’Orchestra Sinfonica di Pittsburgh ha fatto oltre 35 tournées internazionali e che con lei, dal 2007 direttore stabile sino alla stagione 2019-2020, continuerà, vero? “Nel gennaio 2004 la Pittsburgh è stata la prima orchestra statunitense ad esibirsi in Vaticano alla presenza di Papa Giovanni Paolo II. Intensificheremo anche le registrazioni”. Soffermiamoci ora sul “Requiem Tedesco” di Brahms. Ho osservato con una certa sorpresa, all’ascolto della performance da lei condotta, che nell’esecuzione musicale si è avvertito il soffio di aria fresca, nella trama stessa di questo oratorio: un’impressione a ragion veduta? Quanto autentica? “L’aspetto principale nell’interpretazione della musica sta nel testo del Requiem Tedesco di Brahms. Cos’è il senso della parola “Tedesco”? Brahms dalla scelta dei versetti espunti dalla Bibbia “tedesca”, nella versione di Martin Lutero, ha fatto discendere tutta una determinata prospettiva artistica e un fondamento spirituale del tutto autonomo, innovativo. A differenza dal requiem “latino”, del requiem del rito cattolico, che è una preghiera per la pace dei defunti, oppressi dal terrore del giudizio universale, il “Requiem” di Brahms è intessuto di una tematica consolatrice, orientata a conciliare i vivi con l’idea della sofferenza e della morte. Ed è per questa ragione che ogni episodio, per cupo e sofferto che possa apparire all’inizio, si conclude in una atmosfera di fiduciosa serenità”. Ho notato che l’organico orchestrale l’altra sera a Santa Cecilia è quello consueto, prescritto dall’autore. Perché in sala si percepiva un insieme sonoro più “aereo”, quasi più sottile. È vero? Perché e come? “Impiegare un organico orchestrale più folto da quello prescritto da Brahms non è affatto essenziale per trasmettere a chi ascolta il senso voluto da Brahms. Il musicista quando ha scritto questa partitura intendeva sottolineare il senso della parola “Trost” (consolazione). Dal Vangelo di Matteo “Beati coloro che sono afflitti / perché saranno consolati”. Nel gioco strumentale, nell’esecuzione della sezione degli archi c’è anche il senso della leggerezza: nell’attacco, nel suono globale. Questa è la ragione”. Manfred Honeck Perché il solista ha cantato, nel quinto episodio, stando dietro all’orchestra? Un caso o no? “Come è noto, Brahms aveva cominciato a comporre questa partitura dopo il primo Concerto per pianoforte e orchestra. Allora Schumann era scomparso da poco tempo, nel 1856. Nove anni più tardi, nel febbraio del 1865, morì la madre di Brahms, da lui amatissima. Fu quest’ultimo, luttuoso avvenimento ad indurre il compositore ad inserire nel Requiem Tedesco, di cui già si conoscevano sei movimenti (nell’aprile 1868 nel Duomo di Brema sotto la guida dell’autore stesso) un altro movimento, ponendolo al centro, in quinta posizione: “Ihr Habt nun Traurigkeit” (Ora siete nella tristezza) per soprano e coro. Il pensiero della madre, la figura della madre s’identifica nella voce del soprano e proprio per questa ragione ho dispo- sto che il soprano stesse sullo sfondo della ribalta, dietro l’orchestra. Il desiderio di rivederla – “Ich will euch wiedersehen ... Ich will euch trösten, wie einen seine Mutter tröstet” (Ma io vi rivedrò ancora ... Io vi consolerò come una madre consola il figlio) – viene ribadito tre volte nel canto. La parola “Muttergefühl” è significativa: si riferisce al rapporto d’affetto che c’era con la madre. Nell’esecuzione è importante l’incidenza del colore strumentale: non bisogna assolutamente forzare il volume. Ricordo che quando suonavo la viola nei Wiener Philharmoniker, questo particolare Herbert von Karajan lo sottolineava sempre”. Un altro momento assai interessante c’era stato nel quarto episodio: in corrispondenza della parola “lieblich” (amabile) si avverte qualche eco dei “Liebesliederwalzer”, non è strano? 17 Brahms: a sinistra davanti i primi violini, a destra i secondi violini, le viole al centrosinistra con i violoncelli vicini ai primi violini, a destra i contrabbassi. Questa disposizione è utile per assicurare la maggior trasparenza del suono, come Brahms appunto voleva”. neanche la viola o il violino. Al mattino sfoglio nuove partiture e le studio. In linea generale dedico molto tempo allo studio. Dedico una particolare attenzione alle mie partiture, sulle quali integro osservazioni, colori, sfumature. Preciso il senso delle arcate che contraddistinguono la mia visione dell’interpretazione musicale”. Leggo nella biografia che dirige a Praga: com’è la situazione? “In genere si hanno a disposizione soltanto quattro prove, quando se ne vorrebbero fare trenta! Per trasmettere all’orchestra tutto quello che si ha pensato per rendere l’autentico spirito della musica. Tornando sul Requiem Tedesco di Brahms: il senso del “vibrato”. Quando c’è un’allusione alla morte, niente vibrato. Le mani d’un direttore hanno la specifica funzione di trasmettere all’orchestra il senso del fraseggio. Nell’attacco iniziale dei contrabbassi, il senso del legato. All’inizio della musica di Brahms bisogna far capire come il suono nasce dal silenzio. E quindi nell’interpretazione vi sono tre stadi successivi: lo studio, il gesto, il senso dell’autentico spirito della musica”. “Praga è una delle sedi dove sono direttore ospite per periodi di tre settimane. È una buona orchestra, la Filarmonica di Praga. Quando Gustav Mahler acquaforte di Emil Orlik ho diretto delle Sinfonie di Dvořák ho sem“Questo punto si attiene alla forpre raccomandato agli strumentima del Lied e, nel dirigere io batsti: “ Dvořák è sinonimo del senso to il tempo in uno invece che in ritmico derivato dal folclore poquattro: c’è un effetto di colore, polare, è la vostra tradizione, non un effetto timbrico da sottolinedimenticatelo mai!” are, un effetto tipico della musica da camera, un certo profumo Però Pittsburgh? di “Schwindigkeit” (vertigine da svenire). La scelta brahmsiana “Pittsburgh è un’altra cosa, sono delle parole si ritrova in varie sfudirettore stabile! Non solo per la mature, varie nuances della mulunga sua storia ma perché è anche sica. Quasi suggerendo un certo un’ottima orchestra, con prime profumo schubertiano. Nella mia parti che suonano con il virtuoattività artistica ho suonato molsismo dei solisti. E con l’insieme ta musica da camera, varie volte sonoro sempre molto trasparente. i Quartetti di Haydn, di BeethoSono sempre concentrato sull’atven, di Schubert. E, rivolgendomi tività musicale a Pittsburgh. E non all’orchestra, dico spesso loro: di rado devo darmi da fare per tro“Suonate come fosse musica da vare nuovi finanziamenti privati, camera, ascoltandovi l’un l’ala seconda dei programmi e dei catro”. Egualmente questo consiglio lendari”. veniva sottolineato sempre da Karajan, come tutti i rapporti tra la Ha dei “sogni nel taschino” o nel musica e i significati del testo”. “cassetto”? C’è una ragione per cambiare la disposizione sulla ribalta delle sezioni dell’orchestra? “Certamente. Ho proceduto a disporle come si usava ai tempi di 18 “Io sogno sempre quando faccio musica. Si trova sempre qualcosa di nuovo da sognare e poi da realizzare. Se al mattino suono il pianoforte, come fanno vari direttori? Non suono il pianoforte, Ho notato una vivacità particolare della sua mano sinistra, vero? Vi è una nota frase di Claudio Abbado: “Meglio la musica nella testa che la testa nella musica” durante il concerto, alludendo al dirigere a memoria d’ascendenza toscaniniana. E per lei? “Vi è anche una nota frase di Riccardo Muti: “Si è più liberi quando si sa che sul leggìo c’è la musica”. La cosa essenziale, individuale, è prodigarsi per far bene la musica”. Come si trova sul podio di Santa Cecilia, anche se le prove sono limitate? “Torno sempre volentieri a dirigere a Santa Cecilia: trovo che nella resa dell’orchestra come del coro c’è molta cantabilità, molta varietà di colori. Si avverte, dirigendoli, la ricchezza delle sfumature, la ricchezza timbrica del suono, dell’orchestra come del coro. La disponibilità a cogliere, a rendere le emozioni della musica”. Nell’altro programma in questa stagione di Santa Cecilia lei dirige la “Jupiter” di Mozart e la “Prima Sinfonia” di Mahler. Com’è il suo rapporto con il sinfonismo di Mahler? “Negli otto anni in cui ho suonato la viola nei Wiener Philharmoniker ho studiato a lungo la musica di Mahler in corrispondenza dell’impegno esecutivo nei concerti e nei dischi. Mi ha sempre colpito l’attitudine di Mahler a trasferire nella propria musica tutto quanto aveva assimilato durante l’esistenza, specialmente nella giovinezza, dalla tradizione, dalla propria biografia, in rapporto al folclore, al lungo retaggio delle sofferenze popolari nel medioevo e sino all’età asburgica. Ora, un secolo dopo la scomparsa di Mahler, quella tradizione, quel retaggio popolare di sofferenze e sconfitte, non c’è più. Ritroviamo però quell’eco nella musica di Mahler e nel dirigere le sue sinfonie abbiamo tutti l’urgenza di ritrovare l’atmosfera espressiva originaria, trasmetterla alle orchestre che di volta in volta io dirigo, in modo da far rivivere con la maggior autenticità possibile lo spirito, le emozioni, i palpiti, i sentimenti dell’autore come li ritroviamo all’ascolto e nell’eseguire la sua musica. Il senso della natura come l’ironia, la tensione come il grottesco, tutto quanto sta a monte della musica della Prima Sinfonia che dirigo nel programma di maggio a Santa Cecilia. La attualità di Mahler, come viene percepita, nei suoi travagli esistenziali, dagli ascoltatori d’oggi. I rapporti del sinfonismo mahleriano con il mondo del Lied austro-danubiano, nonché con Schubert e con Bruckner. Nell’andamento di danza del Ländler dello Scherzo della Prima Sinfonia si può cogliere l’eco del Wienerwald di Josef Strauss: mai meccanicità, sempre profumo delle sfumature. Ritmi naturali, non troppo accentati”. A Pittsburgh intende procedere a nuove registrazioni? “Senz’altro. Ho intenzione di realizzare una nuova incisione delle Sinfonie Prima, Terza, Quarta, Quinta di Mahler. E di Bruckner, dopo la Quarta, registreremo l’Ottava e la Nona”. sin dal suo apparire, era il “Chef”: molto serio ma con il culto della responsabilità nei confronti della musica, degli autori delle partiture sul leggìo. Aveva un grandissimo rispetto dell’orchestra, noi strumentisti lo sentivamo come un padre. Tutto concentrato nella ricerca del suono giusto. Leonard Bernstein a volte sembrava uno capitato lì per caso, nelle prove era naturale e immediato. Claudio Abbado, di cui sono stato assi- Dai ricordi viennesi, rammenta qualche connotazione particolare dei maestri del podio con i quali, assieme ai Wiener Philharmoniker, ha fatto musica per varie stagioni? “Ho suonato la viola nell’esecuzione di vari allestimenti, per esempio, di Carmen: con Claudio Abbado sul podio, con Lorin Maazel, con Carlos Kleiber. Tre emozioni differenti. Di Carlos Kleiber rammenterò sempre l’elettricità che si instaurava quando cominciava a trasmettere all’orchestra il senso, lo spirito della musica che aveva studiato. Sapevo che Carlos era molto pedante, scrupoloso, rigorosissimo nello studio delle partiture, per esser poi libero nel realizzare nel suono il proprio disegno dell’interpretazione. Prendendosi dei rischi, ma nulla in definitiva gli scappava di mano. Maazel batteva il tempo in due, Abbado in uno, Carlos Kleiber non ci badava perché mirava al senso della lunga frase, al respiro della grande arcata espressiva. Di altri maestri ho egualmente dei ricordi precisi, esaurienti. Herbert von Karajan, Manfred Honeck © Felix Broede stente, parlava poco: se c’era un problema di intonazione lasciava che l’orchestra lo risolvesse. Si scatenava nel concerto e trasmetteva all’orchestra, specialmente con Mahler, tutta la sua tensione. Lorin Maazel aveva una chiarezza comunicativa esemplare nel gesto. Da tutti loro ho imparato qualcosa. E, prima di tutto, molto studio. Il far musica è assolutamente personale. Ciascuno deve trovare la sua strada, la sua libertà d’espressione”. Luigi Bellingardi 19