VocaZione
la parola
Luca 5, 4 – 15
4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca».
5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte
e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le
reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci
e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai
compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi
vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi
affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle
ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me,
perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso
lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano
fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che
erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere;
d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche
a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
12Mentre Gesù si trovava in una città, ecco, un uomo coperto
di lebbra lo vide e gli si gettò dinanzi, pregandolo: «Signore,
se vuoi, puoi purificarmi». 13Gesù tese la mano e lo toccò
dicendo: «Lo voglio, sii purificato!». E immediatamente la
lebbra scomparve da lui. 14Gli ordinò di non dirlo a nessuno:
«Va’ invece a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua
purificazione, come Mosè ha prescritto, a testimonianza
per loro». 15Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose
venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie.
2
L’antefatto
Vv. 4-5
La prima scena (vv. 4-11)
Quante volte avevano calato le reti inutilmente!
Quella stessa notte non avevano preso nulla. Per un pescatore non
pescare è il fallimento. Ne va della sua identità. È come per l’uomo non
essere uomo. L’ordine di Gesù, rivolto a dei pescatori di professione,
appare un po’ offensivo, oltre che insensato: non conoscono bene
il loro mestiere e non è forse di notte che si pesca? Dovranno
comprendere che non è per forza e per volontà propria che agiscono
e che l’azione è fruttuosa proprio di giorno, perché obbediscono al
sole che è sorto per rischiarare coloro che prima erano nelle tenebre
e nell’ombra di morte (cfr. 1,78-79).
V. 6
Ma ogni volta che obbedisce alla parola del Signore, l’uomo sperimenta la realtà della sua promessa. Solo nell’obbedienza
di fede la Parola è efficace e la promessa di Dio si realizza. Per
questo l’essenziale è giungere a quest’obbedienza di fede. Essa
porta il frutto infallibile e traboccante di questa pesca, che eccede
ogni aspettativa e capacità umana: le reti quasi si rompono perché
incapaci di contenere la realizzazione della promessa che è superiore
a ogni fama (cfr. Sal 138,2). E nulla va perso!
V7
La barca di Pietro, che ha pescato dando fiducia alla parola
di Gesù, contiene non solo Pietro stesso, ma probabilmente anche
Andrea (i verbi sono al plurale). Ma, oltre la sua, c’è anche un’altra
barca associata alla pesca, che ne condivide le fatiche; ambedue
sono «riempite», simbolo della benedizione di Dio, fino ad affondare;
ma non affondano!
V. 8-9
Gesù si trova presso il lago di Genèsaret e la folla gli fa ressa intorno per ascoltarlo. Il numero degli ascoltatori crea un certo disagio.
Il Maestro vede due barche ormeggiate alla sponda; i pescatori
sono scesi e lavano le reti. Egli chiede allora di salire sulla barca,
quella di Simone, e lo prega di scostarsi da terra. Sedutosi su quella
cattedra improvvisata, si mette ad ammaestrare le folle dalla barca
(cfr. 5,1-3). E così la barca di Pietro diventa la cattedra di Gesù. A
questo punto Gesù, in modo inaspettato, esce con l’ordine perentorio: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca», che introduce alla
prima scena della pesca miracolosa, cui segue, come il secondo
sportello di un dittico, la straordinaria guarigione del lebbroso.
A questo punto, nell’obbedienza Pietro scopre la potenza effettiva di colui che opera ciò che dice: cade alle ginocchia di Gesù,
il Signore e si scopre «uomo peccatore». Luca sa che si scoprirà
ancora più peccatore in futuro (cfr. 22,33s.; 54-62), ma che la fedeltà
del suo Signore lo convertirà (cfr. 22,32.61s). Sarà per grazia che lui
confermerà nella fede i fratelli. Ma il recipiente di questa grazia è la
scoperta che fa qui: il proprio peccato. Davanti alla verità di Dio e al
suo dono di misericordia, l’uomo scopre la propria verità. Si sente
lontano e per questo gli dice di allontanarsi da lui e si vede perduto:
3
Vv. 10-11
sa di non essere quello che deve essere e si sente indegno. Non c’è
rivelazione di Dio senza coscienza del proprio peccato: la sua infinita
altezza si conosce contemporaneamente alla nostra infinita bassezza,
e solo da questa! Nel cuore di Pietro nasce un sentimento di timore/
stupore; del resto dove non c’è timore, stupore e senso del peccato,
non si sta alla presenza di Dio, ma solo di un idolo, maneggevole, a
propria immagine e somiglianza.
Finalmente vengono nominati anche Giacomo e Giovanni, che in questo stupore, da semplici soci della pesca, diventano
compagni, che hanno in comune la stessa esperienza del Signore e
del suo dono. Formano un unico corpo con un unico Signore, generati
come fratelli dalla stessa Parola cui obbediscono. Allo loro presenza
Gesù dice a Simone «Non temere», come l’angelo a Zaccaria (cfr.
1,13) e a Maria (cfr. 1,30), cioè «abbi fede». Sono le parole con le quali
Dio si rivolge all’uomo sconvolto dalla sua presenza. Pietro riceve la
sua missione mentre si riconosce peccatore e viene chiamato ancora
Simone (cfr. Gv 21,15-19): la sua missione non decadrà neanche
per il suo peccato e Simone diventerà Pietro e riceverà l’incarico di
confermare nella fede i suoi fratelli proprio quando avrà consumato
fino in fondo la propria esperienza di debolezza. La missione di
Pietro, che ha fatto esperienza della misericordia del Signore che
lo ha pescato dal peccato, consisterà nel «pescare uomini». Ciò che
Gesù ha fatto e farà con tutti, cioè l’azione di salvare dall’abisso
del peccato, sarà la «pesca» alla quale i discepoli stessi saranno
associati, in favore di tutti gli uomini. Saranno infatti suoi testimoni
fino agli estremi confini della terra (cfr. At 1,8), continuando la stessa
sua missione di inviati del Padre «a salvare ciò che era perduto» (cfr.
19,10).
Davanti a questa vocazione di Gesù, lasciano tutto (la barca per la
pesca dei pesci) e lo seguono, obbedendo alla divina chiamata.
V. 12
La seconda scena (Vv. 12-15)
L’uomo che si presenta a Gesù è pieno di impurità e di morte; infatti l’unica legge che il lebbroso è tenuto ad osservare
è quella di escludersi dal consorzio umano e da ogni legge (cfr.
Lv 13,45). Ma il lebbroso vede Gesù come Gesù, che significa «il
Signore salva». Per questo si prostra e lo supplica. Se Levi / Matteo
il Pubblicano sarà il primo che Gesù vede (cfr. 5,27), il lebbroso è il
primo che vede lui! Ciò che ci abilita a vedere il Salvatore e il Signore
non è la nostra giustizia o santità, non la legge osservata, ma la
nostra lebbra e il nostro male, che la legge non fa che evidenziare.
Non ci accostiamo a Dio perché giusti e mondi, ma perché ingiusti e
immondi, bisognosi di giustizia e di santità.. Il lebbroso, come Pietro
(v. 8), si prostra davanti a Gesù ed elevare il suo grido di supplica,
riconoscendone il mistero di «Signore» e Salvatore. Il lebbroso può
incontrare Gesù perché lui per primo gli è venuto incontro, gli si è
fatto talmente vicino da prendere su di sé la sua lebbra.
Gesù allora «stende la mano» verso di lui.
4
V. 13 -14
V. 15
È il segno dell’intervento salvifico di Dio (cfr. Es 4,4; 7,19). Se
il lebbroso lo vede e va a lui con l’occhio, Gesù viene a lui con la sua
misericordia e stende la mano; quegli si prostra, lui lo tocca; quegli lo
supplica, lui esaudisce. È importante il fatto che lo «toccò». In Gesù
l’uomo è realmente toccato da Dio salvatore. Questo contatto non
avviene sulla base della bontà o dei meriti secondo la Legge. Gesù
insomma tocca l’intoccabile: sfonda barriere e leggi, e raggiunge
l’uomo nella sua debolezza e dichiara al lebbroso la sua volontà di
salvarlo. È la stessa di Dio in cielo, che lui esegue sulla terra (cfr. 5,32;
19,10), perché tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della
verità (cfr. 1Tm 2,4). Solo Dio può salvare e lo vuole; per questo ci è
venuto incontro in Gesù. Gesù infine impone al salvato il silenzio.
È una traccia del segreto messianico, tipica di Marco, che Luca
conserva. Questo rivela, sul piano storico, che Gesù non ricerca la
pubblicità (questo distingue l’uomo religioso da quello mondano!).
Gesù poi invia l’ex-lebbroso ai sacerdoti, tutori della legge, perché
costatino, secondo la legge, che ciò che la legge non può fare è
avvenuto: mondare l’uomo dalla morte. In breve, nel racconto del
lebbroso è cancellato il sospetto di Adamo che Dio sia geloso e si
contrapponga a lui nella sua santità. È presentato un Dio che tocca
l’uomo nella sua miseria, un Dio la cui tenerezza si espande su tutte
le creature (cfr. Sal 103,8; 145,8s) nella misura del loro bisogno.
L’unica misura dell’amore è il bisogno dell’amato; la grandezza della
misericordia è quella della stessa miseria.
La Parola si diffonde da quella città tutt’intorno; di orecchio
in bocca e di bocca in orecchio, giunge fino agli uditori più lontani
che sono i lettori del Vangelo di Luca, che siamo noi, ora! Tutti
da ogni città, noi compresi, sono invitati ad accorrere a lui per la
forza centrifuga di questa parola su di lui che si diffonde. Nelle
molte persone che accorrono «per ascoltare ed essere curate dai
loro mali», è da vedere tutta la folla di coloro che, udito il racconto,
riconoscono, con la propria lebbra, il potere e la volontà che Gesù
ha di liberarli e accorrono a lui per fare la stessa esperienza del
lebbroso. È interessante l’accostamento tra «ascoltare» la parola di
Gesù ed «essere curati». L’ascolto della sua parola, il racconto del
Vangelo, è la potenza stessa di Gesù che guarisce chi accorre a lui
con la coscienza e la fede del lebbroso.
ee
In sintesi…
L’elemento che collega queste due scene, l’una ambientata
sul Lago di Tiberiade, l’altra in una città, l’una che narra di un
miracolo sulla natura, l’altra di un miracolo su una uomo malato,
è il riconoscimento della nostra miseria, che ci apre all’incontro
con Cristo, Figlio di Dio mandato sulla terra a rivelarci la divina
misericordia.
Nella prima scena Gesù entra quasi con “prepotenza” nella vita di
Simone e lo “costringe” a riconoscersi bisognoso di salvezza; nella
seconda invece è il lebbroso che per primo vede in Gesù l’unica
speranza per liberarsi dal peccato e dalla morte.
5
Al centro c’è la “proposta vocazionale” di Gesù (“Sarete pescatori di
uomini”) e la Risposta di Simone , Andrea e Giovanni, che lasciano
tutto e lo seguono.
Per riflettere…
Sulla tua parola getterò le reti
La fiducia piena di speranza nella Parola di Dio e nella Sua volontà
è per Simone la “partenza con il piede giusto” nel suo cammino
vocazionale. Hai il coraggio di buttarti e di fidarti di Dio e delle
mediazioni che ti mette accanto?
Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore
Il senso del proprio peccato e della propria indegnità non è altro che
la scoperta della verità di se stessi. Davanti al tuo limite che cosa
provi? Scoraggiamento o abbandono fiducioso in Cristo che salva?
Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini. Simone accoglie Gesù che ha voluto salire sulla sua barca e condividere
con lui il lavoro della pesca, trasformandolo e trasfigurandolo in
qualcosa di diverso. E’ stato questo per lui il “segno vocazionale”
per eccellenza, che all’inizio ha faticato a decodificare. Ti fai aiutare
a decodificare i segni vocazionali presenti nella tua vita? Ti sforzi di
leggerli alla luce di Dio?
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Simone, Giovanni ed Andrea non possono “stare fermi” dopo che
hanno incontrato Gesù e con il suo aiuto hanno riletto la loro vita.
Sei capace di concretizzare alcune scelte della tua vita oppure, dopo
lunghe riflessioni, ti trovi sempre bloccato dalla paura?
6
meditatio
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7
oratio
Actio
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8
GIOVANNI 1,35-42
LA PAROLA
35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due
dei suoi discepoli
36 e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse:
«Ecco l’agnello di Dio!». 37 E i suoi due discepoli,
sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora
si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro:
«Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto,
significa Maestro –, dove dimori?». 39 Disse loro: «Venite
e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava
e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del
pomeriggio.
40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e
lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.
41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse:
«Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42 e
lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù
disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato
Cefa» – che significa Pietro.
9
v.35
v.36
v.37
v.38
v.39
Siamo al terzo giorno del racconto del Vangelo (cf. vv. 19.29).
Il Battista, che da sempre attende, in un giorno imprecisato incontra
l’atteso che viene a farsi battezzare, ma non lo riconosce. Solo più
tardi, dopo aver risposto all’interrogatorio e aver confessato la
propria identità (vv. 19-28), lo incontra nuovamente il giorno dopo
e lo riconosce (vv. 29ss). Il giorno dopo ancora (v. 35), avendolo
incontralo di nuovo, lo indica a due suoi discepoli, dei quali uno è
Andrea, l’altro probabilmente Giovanni (alcuni dicono Filippo). Come
sempre capita nel IV Vangelo, ogni lettore può identificarsi con i
diversi personaggi che rappresentano i vari livelli del suo incontro
con il Signore.
A questo antefatto seguono due scene: l’incontro all’ora decima tra
Gesù e i due discepoli (vv. 35-39) e il successivo incontro tra Gesù e
Pietro, condotto da Andrea (vv. 40-42)
La prima scena (vv. 36-39)
Gesù comincia il suo cammino che, da oltre il Giordano,
porta a Gerusalemme e in questo cammino si rivela: la verità si fa via
per condurci alla vita. Il Battista, uomo dell’attesa, è il solo in grado
di vederla e indicarla ad altri, per questo prende parola e la indica
anche agli altri.
La parola di Giovanni dice lo stupore della scoperta, già fatta e
proclamata il giorno prima in modo assoluto, senza nominare uditori
(vv. 29ss), e che ora si esprime davanti ai discepoli, invitati a guardare
l’agnello inviato da Dio: è l’uomo Gesù, che cammina.
Nessuno giunge alla Parola se non mediante l’ascolto di una
voce che la testimonia. Inizia così l’avventura dei discepoli : seguire
Gesù, fare il suo stesso cammino di Figlio, è la sintesi dell’esperienza
cristiana. Il cristianesimo non è infatti un insieme di belle teorie o
imperativi morali; è la realtà di una persona, l’uomo Gesù, che si
segue perché lo si ama. Chi segue lui non cammina nelle tenebre,
ma ottiene la luce della vita (cf. 8,12). Con questi due, che seguono
l’agnello, sorge il giorno del nuovo popolo: è l’inizio della Chiesa.
A sua volta Gesù si volge a chiunque lo segue e gli rivolge
la parola. Non può non dirsi e manifestarsi, perché è la Parola, che
esiste in quanto detta. È però necessario che trovi chi ascolta. Alla
nostra iniziativa di cercarlo, Gesù si volta; non attendeva altro poiché
è venuto per farsi cercare e trovare.
Per la prima volta allora Gesù apre la bocca e il lettore lo ascolta.
La sua prima parola è una domanda, che attende risposta. La
sua domanda è: «Che cercate?». Gesù si rivolge a noi non con
affermazioni o comandi, ma con un interrogativo che ciascuno deve
porsi: «Cosa veramente cerco nella mia vita, nel mio lavoro, nelle
mie relazioni?». A questa domanda di Gesù i discepoli rispondono
con un’altra domanda, per sapere dove egli abita. La casa infatti non
è il covile o la tana, dove l’animale si ripara e nasconde; è luogo
di relazioni e affetti, che rendono umana la vita. Altrove l’uomo è
estraneo a sé e a tutti. «Dove abiti?» significa insomma: «Chi sei
Gesù, colui che viene, dice: «Venite». Venire a Gesù significa
10
v.42
vv.40-41
aderire a lui, facendo il suo stesso cammino. Chi viene a lui non sarà
respinto: vedrà il Figlio e avrà la vita eterna (cf. 6,37-40); egli ci invita
ad andare a lui per essere anche noi là dove luì da sempre è, presso
il Padre. Gesù infatti tiene che i propri fratelli ritornino a casa.
Solo dopo averlo seguito, si vedrà dove porta il cammino. «Vedere»
inGiovanni è carico di significato; è l’illuminazione di chi «conosce»
il Figlio dell’uomo, mistero di Dio e dell’uomo (cf. v. 51), dove Dio è di
casa con l’uomo e l’uomo con Dio.
Andando infatti dietro a lui, appagano il loro desiderio dì vedere ciò
che cercano. Il lettore si chiede: «Cosa videro?», ma il Vangelo non
lo dice subito: suscita la curiosità, per stimolare la voglia di cercare.
Il Vangelo piuttosto ci dice che dimorarono presso di lui La loro
esperienza è descritta con queste parole semplici e dense; dimorare
insieme è avere la stessa casa; anzi, farsi l’uno casa dell’altro. I
discepoli sperimentano allora la gioia iniziale di una vita fruttuosa e
realizzata, propria del tralcio unito alla vite.
Quel giorno (cf. 14,20), in cui dimorano presso di lui, è il «giorno
lungamente atteso» in cui trovano ciò che da sempre hanno cercato.
Non sono più «orfani»: sono finalmente a casa, di casa con il Padre
ed il Figlio. L’ora indimenticabile di quel giorno segna il passaggio
decisivo: l’ansia di chi cerca si muta nella gioia di chi trova. Sono
infatti le quattro del pomeriggio, quando la fatica del lavoro lascia
posto al riposo.
La seconda scena (Vv. 40-42)
Stando al testo, Andrea incontra il fratello il giorno stesso in
cui dimora presso il Figlio; chi infatti dimora presso il Figlio, incontra
il fratello che è colui al quale comunica la sua esperienza. In Andrea
vediamo la sorpresa di chi ha scoperto il tesoro per cui comunica la
sua gioia al fratello, perché gli interessa sia Gesù che il fratello, al
quale pure interessa il Messia. Il Messia (- unto, in greco Cristo) è il re
che avrebbe realizzato ogni promessa di Dio e attesa dell’uomo.
È il fratello che conduce al Figlio. Ognuno giunge a
incontrare l’Altro per la mediazione di un altro che glielo testimonia.
A questo punto l’incontro tra Gesù e Pietro è un gioco di sguardi che
penetrano il cuore. Gesù poi gli dice il suo nome senza che alcuno in
precedenza glielo abbia comunicato. Lui stesso è la Parola, che per
prima ha detto il suo nome e lo fa esistere. Ma c’è anche un nome
segreto, che nessuno conosce e solo il Signore rivela (cf. Ap 2,17; Is
62,2): è l’identità di una persona, la sua «vocazione», che sarà la sua
«missione». E’ Kefas, che significa «pietra» per cui da allora il suo
nome sarà «roccia», attributo di Dio.
In sintesi…
Il passo evangelico su cui abbiamo meditato si potrebbe
riassumere in alcuni verbi: vedere Gesù; seguire Gesù; rispondere a
Gesù; rimanere con Gesù.Attraverso cioè l’esperienza di Andrea e di
Giovanni l’Evangelista ci dice che la conoscenza di Gesù non passa
attraverso uno studio intellettuale di quanto egli ha detto o fatto,
ma piuttosto attraverso l’esperienza diretta della sequela e della
11
condivisione della vita con lui. E’ l’unica condizione possibile per
capire noi stessi (cioè cosa cerchiamo nella vita) e per comprendere
chi sia egli realmente.Non sappiamo che cosa si siano detti in quel
giorno, all’ora decima; di certo sappiamo che qualcosa di sconvolgente
è accaduto nella vita di Andrea, tanto che può con certezza dire al
fratello Pietro “Abbiamo trovato il Messia” e condurlo da lui.
meditatio
Per riflettere…
Ecco l’Agnello di Dio
Giovanni Battista manifesta la vera identità di Gesù: colui che viene
da Dio e si fa carico del mio peccato e del mio dolore. Gesù insomma
non è un supereroe (che quindi potrebbe rimanermi estraneo) ma
colui che si fa vicino a me nella mia miseria. Chi è veramente per
me Gesù? E’ una persona viva e vicina alla mia vita, oppure è solo
un’idea lontana? Un concetto da studiare, o una persona amata con
cui costruire intimità?
Che cosa cercate?
Ponendo questa domanda a Giovanni ed Andrea, Gesù li costringe
a “guardarsi dentro”. Conoscendo Gesù, mi conosco e mi accetto
sempre più? Oppure il mio cammino spirituale è così superficiale che
non riesco mai andare in profondità di me stesso?
Venite e vedrete.
Gesù invita i due discepoli a stare un poco con lui a casa sua. Nella tua
vita hai un “luogo stabile” (cioè una situazione, un impegno, una scelta
fatta) dove puoi essere “di casa” con Gesù, cioè dove lo conosci ogni
giorno standovi con fedeltà? Oppure passi da un esperienza (anche
bella) all’altra senza senza crescere nella conoscenza di Gesù?
Rimasero con lui.
Per conoscere Gesù bisogna essere fedeli all’intimità con lui e alla
forma di vita che egli ci fa vivere. Sei capace di fedeltà nella preghiera,
nella direzione spirituale, nelle scelte del tuo cammino vocazionale,
oppure alla prima difficoltà lasci? Ti verifichi su questo aspetto con
la tua guidi, o vivi sull’onda delle emozioni?
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12
oratio
actio
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13
L’angoscia inconcludente del puzzle
provocazione
oggi
La vita è una cosa troppo seria per essere disciolta
nel gioco mai concluso di un puzzle da comporre.
Il Vangelo ci dice che alla vita si addice il linguaggio della
roccia: lì si fonda la casa, la propria casa, progettata per
resistere, per resistere per sempre. Questa è la vita.
Il cammino vocazionale è la ricerca di questa roccia:
tu sei il Signore della vita. Il linguaggio della definitività,
dell’unicità, della serietà, tipico del vangelo, diventa un
severo avvertimento per il nostro mondo. Non possiamo
illuderci che la vita sia un gioco; dobbiamo guardarci da
una mentalità che riduce ogni scelta a tassello d’un puzzle
che non si deve preoccupare della sua coerenza con altri
tasselli. Qualcuno sa molto bene chi siamo, custodisce
nel suo cuore il nostro volto, conosce la via per la quale
possiamo realizzare il nostro vero bene, salvare la nostra
anima e aiutare gli altri a salvare la propria. Camminare
vocazionalmente significa vincere la tentazione del puzzle
affidato ai pasticci della nostra disorientata fantasie e
cercare la bellezza tanto antica e tanto nuova del disegno
di Dio su di noi.
L’ideale si compone la propria identità (o le proprie
identità?) come si compone un disegno partendo
dai pezzi di un puzzle, ma la biografia può essere paragonata
solamente a un puzzle difettoso, in cui mancano alcuni pezzi
(e non si può mai sapere esattamente quanti). Un puzzle
comprato in negozio è tutto contenuto in una scatola, ha
l’immagine finale già chiaramente stampata sul coperchio
e la garanzia, con promessa di rimborso in caso contrario,
che tutti i pezzi necessari per riprodurre quell’immagine si
trovano all’interno della scatola e che con questi pezzi si
può formare quell’immagine e quella soltanto; ciò permette
di consultare l’immagine riprodotta sul coperchio dopo
ogni mossa per assicurarsi di essere effettivamente sulla
strada giusta (l’unica strada corretta) verso la destinazione
già nota, e quanto lavoro rimane da fare per raggiungerla.
Nessuna di queste agevolazioni è disponibile nel momento
in cui tu componi la tua identità… È vero, sul tavolo sono a
disposizione tanti piccoli pezzi che speri di poter incastrare
l’uno con l’altro fino a ottenere un insieme dotato di
senso, ma l’immagine che dovrebbe emergere al termine
del lavoro non è fornita in anticipo, e pertanto non puoi
sapere per certo se possiedi tutti i pezzi necessari per
comporla, se i pezzi scelti fra quelli sparsi sul tavolo siano
quelli giusti, se li hai messi al posto giusto e se servono a
comporre il disegno finale. Potremmo dire che la soluzione
14
prospettiva
dei puzzle comperati in negozio è orientata all’obiettivo:
parti per così dire dal punto d’arrivo, dall’immagine finale,
nota già in precedenza, e poi tirata fuori dalla scatola un
pezzo dopo l’altro, cercando di incastrarli insieme. Hai la
sicurezza che alla fine, con l’impegno necessario, troverai il
posto giusto per ogni pezzo. La completezza dei pezzi e il
loro reciproco incastro sono garantiti prima che tu cominci.
Nel caso dell’identità non è affatto così: l’intera impresa è
orientata ai mezzi. Tu non parti dall’immagine finale ma da
una certa quantità di pezzi di cui sei già entrato in possesso
o che ti sembra valga la pena di possedere, e quindi cerchi
di scoprire come ordinarli e riordinarli per ottenere un certo
numero (quante?) di immagini soddisfacenti. Fai esperimenti
con ciò che hai
(Z. BAUMAN [B. Vecchi ed.], Intervista sull’identità, Laterza,
Bari- Roma 20077, pp. 55 57).
Come la santità è per tutti i battezzati in Cristo, così
esiste una vocazione specifica per ogni vivente; e
come la prima è radicata nel Battesimo, così la seconda
è connessa al semplice fatto d’esistere. La vocazione è il
pensiero provvidente del Creatore sulla singola creatura, è
la sua idea-progetto, come un sogno che sta a cuore a Dio
perché gli sta a cuore la creatura. Dio Padre lo vuole diverso
e specifico per ogni vivente. L’essere umano, infatti, è
«chiamato» alla vita e, come viene alla vita, porta e ritrova
in sé l’immagine di Colui che l’ha chiamato. Vocazione è la
proposta divina di realizzarsi secondo quest’immagine, ed
è unica, singola, irripetibile, proprio perché tale immagine è
inesauribile. Ogni creatura dice ed è chiamata a esprimere
un aspetto particolare del pensiero di Dio. Lì trova il suo
nome e la sua identità; afferma e mette al sicuro la sua
libertà e originalità. Se dunque ogni essere umano ha la
propria vocazione fin dal momento della nascita, esistono
nella Chiesa e nel mondo varie vocazioni che, mentre su un
piano teologico esprimono la somiglianza divina impressa
nell’uomo, a livello pastorale-ecclesiale rispondono alle
varie esigenze della nuova evangelizzazione, arricchendo la
dinamica e la comunione ecclesiale.
(PONTIFICIA OPERA PER LEVOCAZIONI ECCLESIASTICHE,
Nuove vocazioni
per una nuova Europa, In verbo tuo...,
Roma 1997, 13)
15
PREPARAZIONE - scelta delo stato
Quali hanno vocazione!
tre passi
un libro
per il discernimento
Estratto
delle “Memorie
dell’Oratorio
di
S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855”., Cap. XIV,
prima decade: 1825-1835
Intanto si avvicinava la fine dell’anno di Retorica, epoca
in cui gli studenti sogliono deliberare intorno alla loro
vocazione. Il sogno di Murialdo mi stava sempre impresso;
anzi mi si era altre volte rinnovato in modo assai più chiaro,
per cui, volendoci prestar fede, doveva scegliere lo stato
ecclesiastico; cui appunto mi sentiva propensione: ma non
volendo credere ai sogni, e la mia maniera di vivere, certe
abitudini del mio cuore, e la mancanza assoluta delle virtù
necessarie a questo stato, rendevano dubbiosa e assai
difficile quella deliberazione. Oh se allora avessi avuto
una guida, che si fosse presa cura della mia vocazione!
Sarebbe stato per me un gran tesoro, ma questo tesoro mi
mancava! Aveva un buon confessore, che pensava a farmi
buon cristiano, ma di vocazione non si volle mai mischiare.
(per il commento vedi “Non volevo credere ai sogni”)
La Cronistoria è esplicita: «Sappiamo che quando
don Bosco ebbe terminato d’esporre il suo progetto, dalle
labbra tremanti di don Pestarino non uscì che una domanda:
“Come farò a conoscere quali tra le Figlie hanno vocazione?”.
“Quelle che sono ubbidienti anche nelle più piccole cose,
che non si offendono per le correzioni ricevute e mostrano
spirito di mortificazione”» (GIUDICI M. P., “Una donna di ieri
e di oggi. Santa Maria Domenica Mazzarello (1837-1881),
ELLE DI CI Torino 1980, p. 124).
Rivedi la tua vita1-Che idea mi sono fatto della vocazione?
2-C’è stata per te una dinamica che puoi delineare
come “emozione privilegiata”.
3-Quali sono le tue paure, insicurezze, timori?
Per l’approfondimento ti suggeriamo come testo
per il mese: CASTANO L., Augusto Czartoryski, un
principe sulla croce = Testimoni 21, LDC, Torino-Leumann 2004.
16
appunti
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18
segni e
discernimento
VocaZionale
la parola
MATTEO 16,13-20
13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice
che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono
Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno
dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?».
16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio
di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato,
ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro
e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze
degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi
del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà
legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà
sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad
alcuno che egli era il Cristo.
20
Il contesto
V. 14
V. 13
La scena è ambientata nelle parti di Cesarea di Filippo, cioè
all’estremo nord della Palestina, ai piedi dell’Hermon, nel punto più
lontano da Gerusalemme, in zona pagana.
Ci troviamo nella seconda sezione del vangelo Matteano (capp.
14-28); se nella prima (capp. 1-13) Gesù è stato sempre in Galilea,
si è presentato in parole ed in opere al suo popolo, ma è stato
rifiutato, ora, nella seconda sezione, Gesù prende le mosse dalle
regioni limitrofe alla Galilea, lontane da Gerusalemme e abitate
da pagani, e percorre la strada verso la città santa, che sarà anche
il suo cammino di manifestazione attraverso la passione, morte e
resurrezione. Non a caso nei versetti immediatamente successivi
al nostro passo leggiamo il primo annuncio che Gesù fa della sua
morte e resurrezione (cfr. 16, 21-23), cui fanno seguito altre due (cfr.
17,22-23; 20,17-19), che introducono il suo ingresso nella città santa
(cfr. 21,1-11).
La nostra scena è un dialogo serrato tra Gesù ed i suoi, costruito
da due coppie domanda / risposta (vv. 13-14; 15-16), cui segue una
promessa di Gesù (vv. 17-19) e la chiusa dell’azione (v. 20).
La prima coppia domanda / risposta
Fin qui erano stati gli altri a interrogarsi su Gesù. Ora è Lui
che interroga. La fede inizia dove noi smettiamo di mettere in
questione il Signore e accettiamo di essere messi in questione da
lui. L’interrogato si fa interrogante e viceversa. Il problema non è
interrogarci su Dio o interrogarlo, ma lasciarci interrogare da lui.
Lasciarsi interrogare da lui e rispondergli secondo lo Spirito è parte
dell’avventura di essere uomo. Dio è eterna domanda; l’uomo ne è
la risposta, nella misura in cui ne ascolta la Parola e la incarna nella
propria vita.
Infatti anche su Gesù c’è un «si dice», un parlare generico e
irresponsabile che non corrisponde mai a verità. In esso ciò che è
già noto, o si presume tale, diventa in realtà motivo di confusione. Le
nostre convinzioni ci velano la realtà del Figlio dell’uomo e dell’uomo
stesso, che è sempre più grande di quanto possiamo già sapere. Gesù
con questa domanda fa uscire allo scoperto le risposte scontate che
spontaneamente diamo.
Le opinioni della gente, riportate nella risposta dei discepoli
sono le figure religiose più eminenti del passato, con una storia di
azione e di passione per la Parola. Hanno in comune il non essere
state capite in vita e l’essere già morte. Riducono insomma Gesù ad
un grande passato che non c’è più, ad un monumento funebre che
non scomoda più che tanto; richiede solo un po’ di venerazione.
21
V. 15
V. 16
V. 17
V. 18
V .19
La seconda coppia domanda / risposta, Gesù riprende parola
con una particella avversativa (ma) giacchè la risposta dei discepoli
è un «ma» rispetto a quella della gente, come il pensiero di Dio è un
«ma» rispetto a quello dell’uomo: «I miei pensieri non sono i vostri
pensieri; le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8).
Non rispondono tutti, ma Pietro per primo risponde
personalmente alla domanda. Lo riconosce come il Cristo e il Figlio
del Dio vivente: è il salvatore atteso che compie ogni promessa del
cielo e desiderio della terra, è l’inatteso Figlio di Dio, che in ogni
promessa si compromette, dono oltre ogni desiderio.
Quella di Pietro è la professione di fede cristiana: Gesù è il Cristo,
l’unico Cristo, è il Figlio, il Figlio unigenito del Padre della vita (cfr.
14,33; 26,63; 27,40.43.54; cfr. 28,18s). Vedere nella carne di Gesù
il Cristo il Figlio di Dio è il centro della rivelazione: è entrare nella
conoscenza del mistero del rapporto Padre/Figlio, rivelato ai piccoli
(cfr. 11,25-27).
Da questa risposta Pietro è generato uomo nuovo, partecipe del
segreto di Dio. Con ulteriore sorpresa, negli annunci della morte e
risurrezione di Gesù, dovrà capire in seguito che il Cristo non è quello
che lui pensa, ma un Cristo che lui non si aspetta; scoprirà anche che
il Figlio di Dio è un Figlio che lui neanche sospetta e che il Dio vivente
è altro da quello che lui immagina.
La promessa di Gesù,A chi gli dice «Tu sei», Gesù risponde
«Beato te», e comincia il dialogo tra i due.Pietro infatti vede quanto
occhio umano mai non vide; vede ciò che Dio ha preparato per coloro
che lo amano nella carne del Figlio (cfr. 1Cor 2,9). Il figlio di Giona
legge nel Figlio dell’uomo il segno di Giona, la rivelazione di Dio. Il
cristianesimo è conoscere e amare la persona di Gesù. Credere al suo
messaggio non è apprezzare o adottare la sua dottrina: è conoscere e
amare lui come il Figlio di Dio, che si è fatto mio fratello per darmi il
suo stesso rapporto col Padre.
Pietro allora diventa «pietra», attributo di Dio (cfr. Dt 32,4;Is
17,10), come lo fu anche di Abramo, padre dei credenti (cfr. Is 51,Is).
La fede nel Figlio gli dona la prerogativa di Dio stesso. La Chiesa si
costruisce su questa pietra come la casa di coloro che sono ormai
familiari di Dio (cfr. Ef 2.19-22). Ogni potere di morte si infrangerà
contro il Dio vivente e quelli di casa sua. La sua fedeltà ha l’ultima
parola su ogni nostra infedeltà, al di là di ogni nostra fragilità e
peccato, che pure Pietro sperimenterà (cfr. 14,29-31; 26,32-35.69-75;
28,7.10).
In conclusione la fede di Pietro è la chiave che apre il Regno.
«Darò» è al futuro: la promessa vale per il tempo che segue. La fedeltà
di Dio garantisce la fede di Pietro, nella quale poi egli confermerà i
fratelli Legare e sciogliere (i due verbi applicati da Gesù a Pietro)
significa proibire e permettere, interpretando autenticamente la
Parola. Inoltre significa ammettere ed escludere dalla comunità.
22
V. 20
In base al dono della fede, a Pietro è dato il pegno/impegno di dire
ciò che è conforme o meno ad essa e, di conseguenza, dichiarare chi
appartiene o meno al Regno.
Chiusura
Gesù ordina di non dire ad alcuno la sua vera identità poichè
il Figlio dell’uomo non è il Cristo che pensa Pietro, ma quello che si
rivelerà subito dopo, e che Pietro non vorrà accettare.
La persona di Gesù interpella i discepoli ( e quindi anche noi) a riconoscerlo nella sua vera identità; da questo riconoscimento
nasce la professione di fede, cioè il rapporto con lui per quello che
egli realmente è; da questa relazione si sviluppa la possibilità di una
chiamata ad una vocazione che eccede ogni nostra attesa e ci lancia
in una missione per il bene dei fratelli
Per riflettere
“Ma voi, chi dite che io sia?”
Chi è Gesù per te? Una bella idea del passato od una persona
viva con cui relazionarsi?
Tu sei il Messia, Colui che salva e che stavamo aspettando.
E’ l’atto di fede che determina una vita; è così anche per me?
E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa.”
La vocazione nasce dal rapporto vero con Gesù. Coltivi il
rapporto con Cristo per capire la tua vocazione o pensi che sia un tuo
“affare privato”?
”A te darò le chiavi del regno dei cieli”.
La vocazione ci è data per il bene dei fratelli e la si scopre
solo coltivando la generosità nella vita quotidiana. Vivi nella logica
della gratuità o sei tutto centrato su di te?
23
meditatio
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24
oratio
actio
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25
matteo 20,20-28
LA PAROLA
20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo
con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa.
21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che
questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla
tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non
sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto
per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli disse
loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e
alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per
i quali il Padre mio lo ha preparato».
24 Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due
fratelli. 25 Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete
che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i
capi le opprimono. 26 Tra voi non sarà così; ma chi vuole
diventare grande tra voi, sarà vostro servitore 27 e chi
vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. 28 Come
il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma
per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
26
Il contesto
v.23
v.22
v.21
v.20
Ci troviamo nella seconda sezione del vangelo matteano (capp. 1428); se nella prima (capp. 1-13) Gesù è stato sempre in Galilea, si è
presentato in parole ed in opere al suo popolo, ma è stato rifiutato,
ora, nella seconda sezione, Gesù prende le mosse dalle regioni
limitrofe alla Galilea, lontane da Gerusalemme e abitate da pagani, e
percorre la strada verso la città santa, che sarà anche il suo cammino
di manifestazione attraverso la passione, morte e resurrezione.
Siamo in prossimità al suo ingresso nella città santa (cfr. 21,1-11) e
nei versetti immediatamente precedenti (20,17-19) al nostro passo
leggiamo il terzo annuncio che Gesù fa della sua morte e resurrezione,
cui fa seguito, in modo paradossale, la curiosa richiesta della madre
dei figli di Zebedeo. La nostra scena, che si svolge a Gerico, si divide
in due parti: il dialogo tra Gesù e la madre di Giacomo e Giovanni (vv.
20-23) e il rimprovero di Gesù agli altri discepoli che discutevano tra
loro (vv. 24-28)
Il dialogo tra Gesù e la madre dei figli di Zebedeo
Una domanda viene a Gesù dalla madre di Giacomo e
Giovanni. Questa donna adora e chiede; tuttavia anche una preghiera
devota e ossequiosa nella forma può essere perversa nel contenuto.
L’involucro della religiosità può nascondere qualcosa di poco divino
e molto umano, addirittura diabolico (cfr. 16,23): un tentativo di
ridurre Dio a mediatore dei nostri fini egoistici.
Il Signore però non si sottrae alle richieste di quella donna;
egli vuole che esprimiamo i nostri desideri, anche sbagliati, in
modo che possiamo confrontarli con i suoi. La madre infatti si sente
libera e chiede un “posto speciale” per i suoi due figli. È cosa buona
desiderare e chiedere di essere vicini al Signore nel suo regno;
tuttavia questa donna ignora, come tutti, qual è il «suo» regno. che
si realizzerà sulla croce. Lì sarà intronizzato; ma con altri due suoi
fratelli, uno a destra e l’altro a sinistra.
La risposta di Gesù è allora netta poiché sia la donna che
gli altri ignorano che il suo regno è quello del Figlio perfetto come il
Padre, che ama e serve i fratelli, e sa dare loro la vita. Chi vuole stare
accanto a lui deve bere il calice della passione, che Gesù stesso sarà
tentato di non bere. Nel momento decisivo chiederà al Padre: «Non
ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (26,39). Gesù è il primo uomo
che chiede a Dio di non fare ciò che la sua volontà umana desidera,
ma ciò che la volontà del Padre nel suo amore desidera per lui.
I due discepoli danno una risposta positiva anche se non sanno
ancora che calice sia; lo berranno, ricevendo il suo stesso battesimo
(cf. Mc 10,39). Di fatto Giacomo sederà alla sua destra poiché sarà il
primo tra gli apostoli a bere il calice di Gesù, martirizzato nell’anno
42 (At 12,2); Giovanni, a sua volta, sederà alla sua sinistra poiché
secondo la tradizione, sarà l’ultimo a testimoniare il suo Signore.
Essere associato alla gloria del Figlio è dono del Padre, preparato
fin dalla fondazione del mondo (25,34) per tutti gli uomini, creati
appunto nel Figlio per essere figli.
27
v.24
v.25
v.26
vv..27-28
Il rimprovero di Gesù (vv. 24-28)
Gli altri dieci discepoli discutono animatamente; infatti
quando si litiga, è perché si desidera la stessa cosa. Anche loro
intendono la gloria in modo umano e sono mossi da rivalità contro i
due, perché vogliono la stessa cosa.
Gesù allora li chiama e li rimprovera. Anche i discepoli infatti
conoscono e vogliono la stessa gloria dei capi delle nazioni. Il potere
dei polenti non è servizio e liberazione, ma dominio e schiavitù; il loro
modello di gloria, che tutti invidiano, è il contrario di quello di Dio.
Per questo Gesù rivolge un severo monito a quanti salgono
con lui a Gerusalemme. Il vero potere, che sviluppa le possibilità
dell’uomo e lo rende simile a Dio, è l’amore, che serve tutti e non
opprime nessuno. È importante che l’autorità nella Chiesa non sia
esercitata secondo i criteri, evangelicamente stupidi, della vanagloria.
La vera grandezza è quella di Dio, la cui gloria è servire (cfr. Gv 13.1ss);
al contrario asservire gli altri è proprio dell’uomo fallito.
Quindi non solo dobbiamo essere grandi, ma anche primi,
secondo però il criterio del Signore Gesù. Il primo è colui che si è fatto
ultimo per amore. Servo è uno il cui lavoro appartiene all’altro; schiavo
è uno che appartiene lui stesso all’altro. La perfezione dell’amore
consiste nell’«essere dell’altro», come Dio. È il capovolgimento
della vanagloria dell’uomo, che destina tutto al vuoto del nulla. La
gloria non è servirsi dell’altro, ma servirlo; non è possederlo, ma
appartenere a lui per amore. La libertà è essere nell’amore «schiavi»
gli uni degli altri (Gal 5,13), così come iI Figlio dell’uomo, il Signore
stesso, sta in mezzo a noi come colui che serve (Le 22,27; cf. Gv 13,117). Egli dà la vita: fa vivere l’altro, realizzando così pienamente se
stesso a immagine di Dio, datore di vita. La dà in riscatto per tutti: :
dal dono del Figlio dell’uomo viene il riscatto di ogni figlio d’uomo,
che torna ad essere figlio di Dio.
In sintesi…
I
l filo rosso che collega la richiesta della madre dei figli di
Zebedeo e lo sdegno degli altri dieci è il completo fraintendimento
della missione di Gesù. La sua gloria di Messia mandato dal Padre
consiste nel pieno dono di sé fino alla morte. Uno dono offerto
perché i fratelli abbiano la vita; un dono che si concretizza nel servizio
di colui che lava i piedi ai suoi discepoli.
Bere il calice di Gesù, partecipare alla sua gloria, sedere alla sua
destra ed alla sua sinistra significa fare le sue stesse scelte, mettersi
al servizio dei fratelli, essere disposti a morire per dare la vita.
28
Per riflettere…
meditatio
Egli le disse: «Che cosa vuoi?».
Gesù vuole che la madre dei due fratelli chiarifichi i propri desideri alla
luce del Vangelo. Ti stai abilitando a vivere secondo questo criterio
di discernimento? Ti confronti con qualcuno per verificare la natura
dei tuoi desideri? Nella preghiera chiedi luce per essere illuminato,
oppure vivi sull’onda di voglie momentanee e sregolate?
Potete bere il calice che io sto per bere?
La domanda di Gesù è un invito ai discepoli a mettersi nella logica
della piena obbedienza. Obbedisci a qualcuno? Sei disposto a
recedere dalle tue posizioni, anche se ti costa sacrificio? Sai che
morire a noi stessi è l’unico modo per dare la vita, anche se può
essere molto amaro?
Tra voi non sarà così.
Gesù ci ricorda che nella sua comunità la logica è quella del dono
di sé, dell’amore che è carità. Sei capace di servizio generoso e
disinteressato? Perseveri nel tuo impegno di servizio anche quando
costa, non è gratificante, non si vien ringraziati? Oppure cerchi
sempre di essere il protagonista, di essere approvato e ringraziato,
di mietere successi?
Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire,
ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.
Solo chi si dona completamente, senza trattenere nulla per sé, come
ha fatto Gesù, può essere causa di salvezza per altri. Ti stai abilitando
a donarti sempre più,ogni giorno? Verifichi con la tua guida spirituale
il tuo cammino nell’amore? Sei attaccato a qualcuno/qualcosa che ti
blocca nel donarti completamente?
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29
oratio
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30
actio
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31
LA TRAPPOLA MORTALE DEL FITNESS
provocazione
oggi
Non sappiamo più riconoscere lo stato di
salute del nostro cuore e della nostra anima, anche se
siamo meticolosi ascoltatori dei segnali di benessere e
di malessere con i quali parla il nostro corpo. Senza una
geografia del cuore e dell’anima, senza la capacità di
intenderne i linguaggi e i lamenti, siamo privi di una bussola
nella vita. Se non conosciamo il cuore che deve essere
riempito di gioia, l’anima che deve essere salvata, come
potremmo scegliere i mari nei quali gettare le reti della
nostra vita? Come potremo distinguere le acque della vera
gioia da quelle insidiose della tristezza e dell’inganno?.
Formarsi al discernimento significa abbandonare il culto
fuorviante del corpo, del benessere superficiale, del fitness
apparente e farsi attenti ascoltatori delle attese del cuore,
delle indigenze dell’anima. Solo quelle attese e quelle
indigenze ci portano ad ascoltare la voce di Dio, che del
cuore è pienezza e dell’anima salvezza.
L’ideale-della fitness cerca di cogliere le funzioni
del corpo innanzitutto, e soprattutto, come ricevitore/
trasmettitore di sensazioni. Si riferisce alla sua capacità
di assorbimento; al modo in cui il corpo si sintonizza con
le delizio che sono, o che potrebbero essere, offerte: a
piaceri noti, o anche ignoti, non ancora inventati, nemmeno
immaginati, inimmaginabili allo stato attuale, ma destinati
prima o poi a essere escogitati. Come tale la fitness non ha
un limite massimo: essa è anzi definita proprio dall’assenza
di limite, o più precisamente dall’inammissibilità del limite.
Per quanto fit sia il tuo corpo, potresti renderlo ancor più ‘fit’.
Per quanto fit possa essere al momento, a tale condizione
si mescola sempre , fastidiosamente, una parziale assenza
di fitness, che affiora o si intuisce ogni volta che confronti
ciò che hai già sperimentato ai piaceri suggeriti dal sentire
e dal vedere le gioie altrui che finora non hai potuto provare
e che puoi solo immaginare e sognare di vivere in te stesso
(Z. BAUMAN, Vita liquida [Economica Laterza 455], Laterza,
Roma Bari 2008, 101).
32
SOPRA LA SCELTA DELLO STATO1
per il discernimento
Ne’ suoi esterni consiglI Dio ha destinato a
cischeduno una condizione di vita e le grazie relative. Come
in ogni altra circostanza, il cristiano deve anche in questa,
che è capitalissima, cercare della divina volontà, imitando
Gesù Cristo che protestava di essere venuto a compiere
i voleri dell’eterno Padre. Importa adunque moltissimo,
o giovane, accertar questo passo per non impegnati in
obbligazioni, a cui il Signore non ti elesse. A qualche anima
che Dio volle favorire in modo singolare, manifestò per via
straordinaria lo stato a cui la chiamava. Tu non pretendere
tanto; ma consolati colla sicurezza che il Signore ti dirigerà
sul retto cammino nei modi consueti alla sua provvidenza,
purché tu non trascuri i mezzi opportuni per una prudente
determinazione. Uno di questi è passare illibata la fanciullezza
e la gioventù, o riparare con una sincera penitenza gli anni
sgraziatamente trascorsi nel peccato. Altro mezzo è la
preghiera umile e perseverante. Ti gioverà ripetere con
s. Paolo: Signore, che volete che io faccia? Oppure con
Samuele: parlate, o Signore, che il vostro servo vi ascolta.
O col Salmista: Insegnatemi a fare la vostra volontà, perché
siete il mio Dio. O altra consimile affettuosa aspirazione.
Allorché dovrai venire alla risoluzione, rivolgiti a Dio con
più speciali e frequenti orazioni, indirizza a quest’intento
le preghiere nella santa Messa; applica a questo scopo
qualche comunione. Puoi anche praticare qualche novena,
qualche triduo, qualche astinenza, visitare qualche insigne
santuario. Ricorri anche a Maria, che è la madre del buon
consiglio, a s. Giuseppe suo sposo, fedelissimo ai divini
comandamenti, all’Angelo custode e a tutti i santi avvocati
Sarebbe ottima cosa, potendo, il premettere a decisione
sì rilevante gli esercizi spirituali o qualche giorno di ritiro.
Proponiti di seguire i voleri di Dio che che te ne possa
avvenire, e malgrado la disapprovazione di chi giudicasse
secondo le viste del secolo. Ove i genitori o altre persone
autorevoli ti volessero disviare dal cammino a cui Dio ti
invita, ricordati che è quello il caso di mettere in pratica
il grande avviso di ubbidire a Dio e non agli uomini. Non
dimenticare, no, il rispetto e l’amore dovuto agli oppositori;
rispondi e trattali sempre con umiltà e mansuetudine, ma
senza pregiudicare al supremo interesse dell’anima tua.
Chiedi parere sul tuo contegno da osservare e confida in
Chi tutto può. Consulta persone timorate del Signore e
sagge, specialmente il confessore, dichiarando con piena
schiettezza il caso e le tue disposizioni.
33
Il giovane fedele alla sua vocazione
Quando s. Francesco di Sales ebbe palesato
in casa che Iddio lo chiamava al sacerdozio, i genitori gli
osservarono che come primogenito della famiglia doveva
esserne l’appoggio ed il sostegno; che l’inclinazione allo
stato ecclesiastico derivava da una divozione indiscreta, e
che avria ben potuto santificarsi anche vivendo al secolo.
E per meglio impegnarlo a secondare le loro intenzioni gli
proposero un matrimonio onorevole e vantaggioso. Ma
nulla valse a smuoverlo dal santo proponimento. Antepose
costantemente la volontà di Dio a quella del padre e della
madre, che pur teneramente amava e profondamente
rispettava, e preferì di rinunciare a tutti i vantaggi temporali,
anzi che di venir meno alla grazia della sua vocazione. I
genitori che, non ostante qualche men retta idea originata
da viste mondane, erano persone di pietà, ebbero in seguito
a chiamarsi contenti della risoluzione del figlio.
Preghiera per conoscere la propria vocazione
Eccomi ai vostri piedi, o Vergine pietosa, per
impetrare da voi la grazia importantissima della scelta del
mio stato. Io non cerco altro che di fare perfettamente la
volontà del vostro divin Figlio in tutto il tempo della mia vita.
Desidero ardentemente di scegliere quello stato che vie
più mi renderà consolato quando mi troverò in punto della
morte. Deh! Madre del buon Consiglio, fatemi risuonare
agli orecchi una voce che allontani ogni dubbiezza della
mente mia. A voi si aspetta, che siete la Madre del mio
Salvatore, essere altresì la madre della mia salvezza; perché
se voi, o Maria, non mi partecipate un raggio del divin sole,
qual luce mi rischiarerà? Se voi non m’istruite, o Madre
dell’increata Sapienza, chi mi ammaestrerà? Udite dunque,
o Maria, le mie umili preghiere. Indirizzatemi dubbioso e
vacillante, reggetemi nella retta via, che conduce all’eterna
vita, giacché voi siete unica speranza di virtù e di vita, i cui
frutti non sono altro che frutti di onore e di onestà.
Tre Pater, Ave e Gloria
34
note
corro verso la meta
tre passi
un libro
Il giovane provveduto per la pratica de’ suoi doveri negli esercizi di cristiana pietà per
la recita dell’Uffizio della B. Vergine, dei Vespri di tutto l’anno
e dell’Uffizio dei morti coll’aggiunta di una scelta di laudi
sacre, Torino, Tipografia e Libreria Salesiana 1880, pp. 7578.
Traduzione contemporanea del testo “Il giovane
fedele alla sua vocazione” in “Il giovane provveduto”
(allegato).
Prova ad attuare quanto don Bosco nella concretezza
suggerisce per la quotidianità nei 5 passi che sono
stati tracciati.
Può essere utile tradurli per la tua vita in ulteriori 5 elementi
concreti.
Per l’approfondimento ti suggeriamo come
testo per il mese: DE VANNA U., Filippo Rinaldi =
Con don Bosco, LDC, Torino-Leumann 1997.
Oppure Bosco T., Don Filippo Rinaldi = Eroi 12, LDC, Torino
Leoman 1990.
35
appunti
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36
pregHiera e
sacramenti
37
LA parola
GIOVANNI 13, 1 – 11
1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al
Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò
fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già
messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo,
3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani
e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola,
depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno
alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare
i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di
cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi
gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù:
«Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo».
8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli
rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me».
9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma
anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto
il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto
puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo
tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
38
VV. 4-5
V. 3
V. 2
V. 1
Il contesto
La celebrazione della Pasqua per Giovanni, a differenza che negli altri Vangeli, inizia non il giovedì, ma il venerdì sera, quando sulla
croce sarà immolato l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo
(cfr. 1,29). La scena che stiamo leggendo ne anticipa il significato.
Siamo nell’ora di Gesù, la «sua ora», preannunciata all’inizio (cfr. 2,4)
e richiamata alla fine del libro dei segni (cfr. 12,23); è quella del ritorno
al Padre, l’ora della Gloria. Tutto «il giorno» di Gesù punta a questo
momento. È l’ora della croce, dove Creatore e creatura finalmente si
incontrano. E’ l’ora in cui Gesù ci manifesta l’insondabile ricchezza
dell’amore del Padre.
Ma è anche l’ora del tradimento, quando già il diavolo aveva
messo nel cuore un pensiero maligno Giuda.. Gettare o mettere nel
cuore significa deliberare. Il cuore è il centro delle decisioni. Per quanto
sembri strano, anche il diavolo ha un cuore: una volontà menzognera
e omicida sin dall’inizio (cfr. 8,44). L’evangelista sottolinea che è lui,
con il suo inganno, il primo responsabile del male (cfr. Gen 3); per
sua invidia entrò la morte nel mondo (cfr. Sap 2,23s). Giuda allora è
attore, non autore del male. La consegna di Gesù da parte di Giuda
è opera di un suggeritore, che al momento decisivo entra in lui e
agisce mediante lui (cfr. v. 27). Il male nasce sempre da una parola
ingannatrice (cfr. Gen 3,4ss), Giuda, come Adamo e ogni uomo, ha
prestato orecchio alla parola del nemico invece che a quella del
Padre.
Gesù sa che quanto sta per compiere nasce dalla sua coscienza
di Figlio: egli sa che «il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano
ogni cosa» (cfr. 3,35;17,2). Con questa consapevolezza affronta
la passione. Il suo gesto di lavare i piedi a chi rinnega e tradisce
realizza la possibilità ultima del potere di Dio: la libertà di amare fino
all’estremo. La misura dell’amore infatti è il non avere misura. Gesù
inoltre sa di essere il Figlio venuto in questo mondo per portare agli
uomini perduti l’amore incredibile del Padre, che li ama come ama lui
(cfr. 17,23), ancor prima della fondazione del mondo (cfr. 17,24). Non
si vergogna di farsi loro fratello
Le azioni di Gesù
L’evangelista ci parla di 7 azioni compiute da Gesù durante quella cena. Vediamole una per una.
1 Si alzò da tavola. Gesù lava i piedi non prima, ma durante la cena.
Non è quindi una purificazione per il pasto: è il centro del «suo»
pasto. Questo conferisce al gesto un significato specifico, di anticipo
della «sua» Pasqua.
2 Depose le vesti. Non si spoglia solo della veste (= mantello), ma
delle vesti; rimane nudo, come sulla croce, dove ci dona se stesso.
3 Prese un asciugamano. Questo telo, insieme al grembiule e
all’asciugatoio, diventa la sua veste definitiva: quella del servo.
4 Se lo cinse attorno alla vita. La sua nudità è rivestita di servizio. In
39
esso consiste la gloria del Dio amore; è la sua vera veste.
5 Versa l’acqua nel catino. Come l’acqua delle purificazioni divenne
vino per le nozze di Cana, così quest’acqua sarà tra poche ore il
sangue e l’acqua che egli effonderà per noi, perché abbiamo parte
con lui (cfr. v. 8b). Dio nel Mar Rosso rivelò «la sua gloria» affogando
i nemici e salvando il suo popolo (cfr. Es 14,4.17-18); ora rivela la sua
gloria dando la vita per i nemici.
6 Lava i piedi. Lavare i piedi è gesto di ospitalità e di accoglienza,
riservato allo schiavo non giudeo. Ma è anche gesto di intimità
della sposa verso lo sposo e di riverenza del figlio verso il padre.
Questa ospitalità e accoglienza, questa intimità e riverenza nei nostri
confronti, sono le caratteristiche proprie del «Signore e Maestro»
(cfr. vv. 13s). Qui il Maestro rivela chi è il Signore: non è un padrone,
ma un servo. La qualità più profonda dell’amore è l’umiltà di essere
a servizio dell’altro.
7 Li asciuga con il telo di cui era cinto. I piedi dei discepoli, immersi
nell’acqua di colui che dà la vita per loro, sono ora asciugati e rivestiti
della sua veste di servo per amore.
La reazione di Pietro e le risposte di Gesù
Quando Gesù si avvicina a Pietro questi ha tre obiezioni, cui Gesù
risponde.
V 6-7
La prima obiezione
Pietro chiama Gesù col nome di «Signore» ma ha una reazione di rifiuto: non vuole che il Signore gli lavi i piedi. Lo vuole
diverso da quello che è, perché è diverso da quello che pensa lui.
La contrapposizione «tu/me» indica la distanza tra Gesù e Pietro. In
realtà non Gesù è lontano da Pietro, ma Pietro da Gesù. Lavare i piedi
è il modo più proprio nel quale il Signore si rivela, mettendo in crisi
la concezione che abbiamo di lui e di noi. A questa obbiezione Gesù
risponde che solo dopo la Pasqua Pietro comprenderà il mistero della
donazione totale di Gesù
V. 8
Pietro reagisce perché non capisce. Pietro non accetta che Gesù lo serva, come non accetta che il Signore dia la vita per lui;
preferisce darla lui per il Signore . Gesù risponde che non accettare il
suo servizio è rifiutare lui e non conoscere la gloria che lui ha prima
della fondazione del mondo: l’amore stesso del Padre (cfr. 17,24).
Accettare lui che «lava i piedi» ci dona la capacità di amare come lui
ci ha amati, di aver parte alla sua vita di Figlio.
V. 9-11
La seconda obiezione
La terza obiezione
Pietro vuol essere con Gesù. Anche se non lo capisce, aderisce a lui. Senza saperlo, dice una verità: il Signore, lavandogli
i piedi, gli sanerà la radice del suo camminare. L’uomo è il cammino
40
che fa: il nuovo modo di camminare gli laverà anche le mani e il capo.
Gli darà infatti un nuovo modo di agire (mani) e di pensare (capo),
perché gli donerà un cuore nuovo, quello di figlio a immagine del
Padre. Gesù risponde con una frase misteriosa. Forse significa che,
pur avendo fatto il bagno, con ogni possibile abluzione e purificazione,
battesimo compreso, se non accettiamo il Signore che ci lava i piedi,
non siamo «puri», non abbiamo parte con lui alla vita di Dio.
NB: durante la cena si pensa a Giuda fin dall’inizio (cfr. v. 2). Il gesto di
lavare i piedi è volutamente incluso nella duplice menzione di Giuda.
I brani del Vangelo che seguono evidenziano il rapporto tra Gesù e
Giuda, qui messo sullo sfondo per dare il vero significato al tutto.
In sintesi…
Gesù, compiendo il gesto della lavanda dei piedi, ci avvolge tutti con la sua carità, una carità che raccoglie tutti, anche
Giuda il traditore, la cui presenza include questo racconto all’inizio (v.
2) e alla fine (v. 11). Anche a lui Gesù ha lavato i piedi; e solo a lui darà
il boccone, segno di affetto particolare (cfr. Mt 26,23). Gesù infatti
come conosce l’amore del Padre, conosce anche quanto i fratelli ne
siano privi. Essi sono nella morte; per questo viene a dare loro la sua
vita.
Per riflettere…
Durante la cena cominciò a lavare i piedi dei discepoli .
Gesù cerca l’intimità con i suoi discepoli. Sei cosciente che Gesù
desidera sedere a me sa con te, vivere nell’intimità con te, farti sapere
la ricchezza del suo amore? Coltivi il rapporto personale con lui nella
preghiera? La tua preghiera personale è dialogo profondo di amicizia
o un susseguirsi di parole vuote, di formule ripetute a memoria, di
distrazioni?
Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo.
Pietro non comprende che la verità del suo Signore e maestro è quella
di amare sino a farsi servo, sino a dare la vita. Coltivi la preghiera
profonda, l’ascolto regolare della Parola di Dio per conoscere chi è
veramente Gesù? Oppure lo conosci solo a livello di testa, come una
nozione appresa sui libri?
Se non ti laverò, non avrai parte con me.
La conoscenza di Gesù, l’intimità con lui si costruisce non a partire da
una nostra iniziativa, ma dalla Grazia che lui ci dona nei Sacramenti:
Battesimo, Eucaristia, Confessione. Sei fedele alla confessione
regolare? Partecipi con fede all’Eucaristia domenicale? La vivi come
un momento importante per crescere nell’intimità con Gesù oppure
come un dovere, come una tassa da pagare settimanalmente?
41
meditatio
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oratio
actio
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43
LA Parola
GIOVANNI 19,25-27
25Stavano presso la croce di Gesù sua madre,
la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di
Màgdala. 26Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il
discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco
tuo figlio!». 27Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E
da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
44
V. 25
V. 26
Il contesto
Siamo al culmine dell’”ora” di Gesù, dopo che i soldati si
sono spartiti le sue vesti (vv. 23-24) ed immediatamente prima che
egli “consegni” lo Spirito (vv. 28-30).
In questa scena riconosciamo 12 personaggi, tutti focalizzati sulla
croce, da cui parla Gesù con tono sovrano (mentre tutti tacciono):
in alto sta appunto Gesù con i suoi due compagni di pena, in basso
quattro soldati da una parte e quattro donne dall’altra, più il discepolo
che egli amava (gli altri discepoli sono fuggiti , mentre rimangono
le donne, «che stanno in piedi», segno di fedeltà e attesa). Come
nell’ultima cena riconosciamo chi è fedele a Gesù (il discepolo, le
donne) e chi è contro Gesù (i quattro soldati che si spartiscono le
sue vesti); ai piedi della croce insomma tutti sono uno, lontani e
vicini, nemici e amici «Del resto fin dall’inizio il Vangelo puntava a
farci stare presso la croce di Gesù: «Come Mosè innalzò il serpente
nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché
chiunque crede in lui abbia vita eterna» (3,14). Qui vediamo che «Dio
ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (3,16); qui
conosciamo lo-Sono (8,28) e, vinto il capo di questo mondo, siamo
attirati a lui (cfr. 12,31s). Queste donne vedono e ascoltano quelle
cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore
d’uomo; queste cose ha preparato Dio per coloro che lo amano
(1Cor2,9).
Particolare rilievo ha la figura della madre, che evoca numerosi
echi biblici. Era infatti presente alle nozze di Cana, quando l’acqua
diventata vino anticipò l’ora della Gloria. L’episodio delle nozze non è
solamente principio dei segni, ma chiude la prima rivelazione di Gesù
come agnello di Dio (cfr. 1,29.36), Figlio di Dio (cfr. 1,34.49), Messia (cfr.
1,41), re d’Israele (cfr. 1,49), Figlio dell’uomo (cfr. 1,51). A Cana Gesù è
lo Sposo: anticipa simbolicamente le nozze, che qui si compiono. La
madre di Gesù rappresenta l’Israele che attende, la sposa fedele che
dice: «Fate ciò che vi dirà» (2,5). È quanto fa lei stessa, accettando la
«sua gloria», la croce. Maria, donna/sposa e madre, è la convergenza
dell’antico e del nuovo popolo, il fine dell’antica e l’inizio della nuova
alleanza. Perciò Gesù si rivolge anzitutto a lei, che racchiude nella
sua figura tutti coloro che amano il Signore.
Le parole di Gesù alla madre.
Giovanni non dice che le donne guardano Gesù. È lui che
«vede» poiché nella sua morte il Signore è sovranamente attivo.
In quell’«ora», turbato per il loro dramma, Gesù non si preoccupa
per se stesso, ma per loro. Chi lo ama e chi è amato si sentono
abbandonali e soli, perso ognuno dietro le cose sue (cf. v. 27). Il loro
vivere resta senza senso, più tragico del morire. Questa è la vera
morte, non quella di chi da la vita per amore. Accanto alla madre
vede il discepolo che egli amava, altra figura che suscita numerosi
echi scritturistici. Questi ha fatto la sua prima comparsa in 13,23-25,
mentre posava sul grembo e sul petto del Signore, depositario del
suo segreto; nominato come «l’altro» rispetto a Pietro, riappare nel
processo davanti a Caifa (cfr. 18,15s). Ora, stando presso la madre
che sta presso la croce, vede ciò che aveva intuito quando poggiava
45
V .27
il capo sul cuore del Maestro. Questo discepolo, testimone di ciò
che ha visto sulla croce (cfr. 19,35), giungerà per primo al sepolcro
e crederà (cfr. 20,8), riconoscerà dalla barca il Risorto (cfr. 21,7) e
resterà con noi fino al suo ritorno (cfr. 21,20-24); egli che, attraverso il
suo Vangelo, canta l’amore del Figlio, è l’uomo nuovo. Anche questo
discepolo assurge a figura universale, complementare a quella della
madre: rappresenta chiunque è amato dal Figlio di Dio.
Con la morte di Gesù, la madre che ama e il discepolo amato
resterebbero ambedue privati dell’amore, rispettivamente dato e
ricevuto. Ma Gesù, affidandoli reciprocamente l’uno all’altro, realizza
sulla terra l’amore compiuto. Tra madre e discepolo inizia a circolare
l’amore corrisposto, gloria di Dio e vita dell’uomo.
Per questo è bene che lui se ne vada, e in questo modo, altrimenti
non viene a noi lo Spirito (16,7). Le parole di Gesù alla madre non
sono un atto di adozione una rivelazione: Gesù le apre gli occhi
sulla nuova realtà che nasce ai piedi della croce. Gesù dice alla
madre di guardare il discepolo come suo figlio, uguale a lui, che
egli riconosce fratello. Da lei nasce l’uomo nuovo, rappresentato
appunto dal discepolo prediletto, primo dell’innumerevole schiera
di coloro che seguiranno. Infatti «il piccolo diventerà un migliaio, il
minimo un immenso popolo; io sono il Signore: a suo tempo farò ciò
speditamente» (Is 60,22).
Le parole di Gesù al discepolo
A sua volta la Chiesa, popolo messianico, raffigurata nel
discepolo amato, è chiamata a guardare Israele, la donna/sposa del
suo Signore. Come ha detto alla madre: «Vedi il tuo figlio», così dice
al discepolo: «Vedi la tua madre». Con i possessivi «tuo» e «tua», il
Signore trasmette ciò che più è intimamente «suo»; il discepolo alla
madre e la madre al discepolo.
Questo avviene in quell’ “ora”. Nel Vangelo c’era un prima, che era
l’attesa di quest’ora (cfr. 2,4; 12,27: 13,1; 16,4.21.32; 17,1). Adesso, con
l’affidamento del figlio alla madre e della madre al figlio, tutto è già
compiuto (v. 28). «Da quell’ora» c’è un «dopo» che da essa scaturisce.
«L’ora» della croce sta al centro della storia comune tra Dio e uomo:
tutto porta ad essa e da essa parte.; è il cuore del tempo, l’incrocio di
passato e futuro con Colui che è, eterno presente.
E’ l’ora in cui il discepolo accoglie la madre di Gesù “tra le sue cose”,
come sua madre, casa e bene supremo, da cui deriva la propria
esistenza. L’«ora» dell’afflizione, in cui si nasce e si muore, allora
non è più solitudine e separazione, dove ciascuno si perde dietro le
proprie cose (cf. 16,32): è ora in cui diventa nostro ciò che è proprio
del Figlio, l’ora della gioia in cui la «donna» diventa «madre» e dà alla
luce «il figlio» (16,21). È l’«ora» in cui tutto è compiuto (cf. v. 30): chi
ama e chi è amato sono «uno» nell’unico amore. Accade finalmente
in terra, tra gli uomini, ciò che avviene in ciclo, tra Padre e Figlio. La
madre e il discepolo sono il seme della Presenza, che abbraccerà tutti
gli uomini. Attraverso di loro il mondo conosce Gesù come mandato
dal Padre e sa di essere amato come il Figlio unigenito (17,22s).
E’l’ora dell’intimità!
46
In sintesi…
La croce di Cristo potrebbe apparire come un momento di
strappo, di lacerazione, di solitudine; in realtà è l’ora della massima
comunione poiché Gesù morendo dona la vita e stabilisce una
comunione nuova tra Dio e l’uomo, tra la madre ed il discepolo che
la prende tra le sue cose, tra l’antico popolo ed il nuovo popolo;
nasce l’uomo nuovo poiché da quell’ora decisiva, cui converge tutta
la storia, la sua presenza non verrà mai meno e abbraccerà ogni
persona.
Anche tra gli uomini nasce una comunione intima e nuova, resa
possibile dalla croce di Cristo e concretizzata in modo eminente dal
rapporto tra la Madre ed il discepolo.
Per riflettere…
Stavano presso la croce.
Maria e le altre donne stanno in piedi presso la croce, vivendo a pieno
la fedeltà dell’amore. Sei fedele nell’ora della croce e della prova?
Oppure fuggi, quando bisogna pazientare e resistere? Qual è la tua
prima reazione quando si presenta la croce nella tua vita?
Da quell’ora
L’ora della morte è anche l’ora della Signoria di Gesù; da quel
momento la presenza del Signore sarà così forte che egli riempie
tutta la nostra storia. Come vivi il tuo presente? Sei cosciente che
esso è sempre –quando è sereno ma anche quando è tormentatoabitato dalla sua presenza? Ti sforzi di vivere sempre alla presenza di
Dio ed in unione con lui?
Donna, ecco tuo figlio.
Maria, in cui si raccoglie tutta l’antica e la nuova alleanza, è una
presenza ineludibile per chi vuol essere intimo del suo figlio Gesù.
Qual è il tuo rapporto con lei? La preghi ogni giorno? La senti vicina?
Ti affidi a lei come maestra della tua vita spirituale? Chiedi il suo
aiuto nel momento della croce e della tentazione?
Il discepolo l’accolse con sé.
L’ora della croce non è ora di afflizione, ma, paradossalmente, di
gioia, in cui diventa nostro ciò che è proprio del Figlio, in cui tutto è
compiuto. La costante letizia del cuore, anche nei momenti di prova,
è segno che siamo in unione a Dio. Ti verifichi su questo aspetto?
Sei costante nei tuoi sentimenti oppure sei in preda ad abbattimenti
e scoraggiamenti? Hai mai provato a vedere se un tuo sentimento
negativo, che ti toglie la letizia e la pace, non nasce forse da una tua
lontananza da Dio, dalla mancanza di intimità con lui?
47
meditatio
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oratio
actio
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L’APPARISCENTE INSIGNIFICANZA
DEI GADGETS
provocazione
oggi
Non c’è azienda ormai che non ricorra ai gadgets
per promozionare i propri prodotti. La bellezza dei
gadgets risplende nelle pubblicità, nelle offerte d’acquisto,
sotto i riflettori. Ma alla ruvidità del tatto, all’usura quotidiana,
alle severe esigenze della vita i gadgets rispondono con
la precaria inservibilità di un’appariscenza inaffidabile. Il
gadgets non è un dono: seduce, colpisce, ingolosisce, per
poi tradire. Il Vangelo è proprio tutt’altro: è la storia di un
Dio che quando ha voluto farci un dono non ci ha dato le
briciole, ma se stesso, la sua vita; all’appuntamento con
Lui non ci si può presentare con un gadget. Mettersi in
gioco con Lui significa giocarsi la vita, lasciarsi donare da
Lui la sua Vita, per nascere a una nuova vita, capace di
dono totale, a Lui, agli altri. Vivere di preghiera e sacramenti
significa aprirsi alla sua Vita, lasciarlo dilagare nella nostra,
fino ad esserne trasfigurati.
Lo stile della narrazione debole, della vita umana
come commedia, a cui nessun Dio presiede e
dalla quale nessun Dio è visibile, non comprende, invece,
la felicità, che è un’esperienza non debole ma forte. Per
questo la cultura debolista non parla di dono, o ne parla
riducendolo a gesto “buono”, conveniente per tutti,
produttore di armonia sociale.
Mentre […] il dono è tutt’altro: un evento catastrofico, nel
senso etimologico, sufficientemente violento da abbattere
mura forti e consolidate, e proprio per questo in grado di
cambiare in profondità la situazione in cui avviene, e le
persone che vi sono coinvolte
(C. RISÈ, Felicità è donarsi, contro la cultura del narcisismo
e per la scoperta dell’altro, Sperling Paperback, Milano
2004, p. 23).
50
preparazione - scelta dello stato
tre passi
Esso mi diede per consiglio di fare una novena, durante la
quale egli avrebbe scritto al suo zio prevosto. L’ultimo giorno
della novena in compagnia dell’incomparabile amico ho
fatto la confessione e la comunione, di poi udii una messa,
e ne servii un’altra in duomo all’altare della Madonna delle
Grazie. Andati poscia a casa trovammo di fatto una lettera
di D. Comollo concepita in questi termini: Considerate
attentamente le cose esposte, io consiglierei il tuo
compagno di soprassedere di entrare in un convento. Vesta
egli l’abito chericale, e mentre farà i suoi studi conoscerà
viemeglio quello che Dio vuole da lui. Non abbia alcun
timore di perdere la vocazione, perciocché colla ritiratezza,
e colle pratiche di pietà egli supererà tutti gli ostacoli.
(per il commento vedi “Non volevo credere ai sogni”)
1 Cura il cammino di fedeltà al sacramento della
riconciliazione.
2 L’Eucaristia sta diventando per te crescente
esigenza quotidiana?
3 Oltre ad una frequentazione è necessario anche
entrare sempre più nel mistero dei sacramenti
attraverso lo studio, la lettura, la riflessione: in
questo mese scegli come compagno di viaggio
per introdurti nella preghiera personale un testo
sull’Eucaristia o sulla riconciliazione.
un libro
per il discernimento
Estratto e commento dalle Memorie dell’Oratorio
di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855”., Cap. XIV,
prima decade: 1825-1835
Per l’approfondimento ti suggeriamo come
testo per il mese:
BOSCO T., Domenico Savio = Testimoni, LDC 4,
Torino- Leumann 2007
COLLINO M., Suor Eusebia Palomino = Testimoni 23,
LDC, Torino- Leumann 2007
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appunti
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la gUida
spiritUale
LA parola
MATTEO 14, 22 – 33
22Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse
congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in
disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù,
da solo. 24La barca intanto distava già molte miglia da terra
ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul
finire della notte egli andò verso di loro camminando sul
mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono
sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla
paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio,
sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose:
«Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle
acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca,
si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma,
vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad
affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese
la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché
hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò.
33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui,
dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
56
V. 22-23
L’antefatto
Ci troviamo all’inizio della seconda sezione del Vangelo di Matteo, quando Gesù, dopo il martirio del Battista (cfr. vv. 1-12),
prende le mosse dalle regioni limitrofe alla Galilea, lontane da Gerusalemme (siamo infatti sul lago di Genesaret), e percorre la strada
verso la Città Santa, che sarà anche il suo cammino di manifestazione attraverso la passione, morte e resurrezione.
Gesù ha moltiplicato cinque pani e due pesci, dando da mangiare a
cinquemila persone (cfr. vv. 13-21); quindi, mentre i discepoli vorrebbero trattenere la folla, Gesù la conceda poiché egli non si serve del
pane per trattenerla e dominarla, ma si fa servo del pane per farla
camminare.
Siamo di notte; lui è lassù sul monte da solo a pregare, avvolto dalla
presenza del Padre suo, i discepoli nella notte, qui, giù nel mare, da
soli a remare. È la condizione normale di noi uomini, che dobbiamo
attraversare la notte (giacchè la vita è piena di oscurità) ed il mare
(cioè dobbiamo combattere le forze del male, le forze ostili a Dio).
Vv. 26-27
vV. 25-26
V. 24
La scena notturna
Nella scena notturna riconosciamo l’epifania di Gesù nella tempesta (vv. 24-27), la prova della fede di Pietro (vv. 28-31),
la professione di fede dei discepoli (vv. 32-33).
L’epifania di Gesù nella tempesta. Avvolti dal buio, sospesi
tra cielo e abisso, i discepoli sono lontani dal punto di partenza e da
quello di arrivo (“la barca distava da terra molti stadi” dice letteralmente il testo greco). Il vento solleva il mare: lo spirito contrario (cioè
le potenze del male) agita contro l’uomo lo spettro della morte. La
situazione è angosciante.
Siamo alla quarta veglia della notte. È la veglia dalle tre alle sei del mattino, carica del buio di tutta la notte - la luce sembra
lontanissima! -, piena di fatica e di angoscia. È notte fonda; eppure
preludio del nuovo sole. In quest’ora Dio interviene a salvare (cfr.
Es 14,24; Sai 46,6; Is 17,14). Sarà l’ora della risurrezione di Gesù (cfr.
28,1). Infatti Gesù compare come risorto, cammina sulle acque: la
morte non ha più potere su di lui. Non essere inghiottiti dall’abisso
è il sogno impossibile di ogni uomo, superamento della realtà che
ben conosce, fatta di notte, solitudine, lontananza, fatica, tormento,
angoscia, terrore e sprofondamento. Camminare sul mare è di fatto
il tema del brano, ripetuto quattro volte (vv. 25.26.28.29). Davanti a
questa scena il discepolo è colto da terrore: camminare sulle acque
è eccessivo, impossibile, divino! Pertanto chi è giocato dalla paura
scambia le proprie fantasie per realtà e la realtà per fantasia. I discepoli pensano che il Vivente in mezzo a loro sia un fantasma, un morto
(cfr. Lc 24,37) e gridano dalla paura.
La paura è pochezza di fede (cfr. 8,26; 9,22). La fede invece è il coraggio di credere e osare l’impossibile - impossibile all’uomo,
ma non a Dio. Colui che cammina sulle acque non è un fantasma, ma
Io-Sono, Gesù in persona che si manifesta richiamando la rivelazione
del Dio dell’Esodo. La salvezza attraverso l’acqua non è un’illusione:
57
V. 28
A questo dubbio Gesù risponde con una parola di vocazione (vieni), che è la vocazione definitiva: sulla sua parola, siamo
chiamati da lui a camminare come lui e con lui sull’abisso. In obbedienza a lui, Pietro riesce a fare come lui ha fatto.
vV. 32-33
V. 30-31
La prova che davvero è Gesù, il Signore-che-salva, è che io stesso sia salvo: che sulla sua parola vada da lui camminando come lui sull’abisso. La prova è chiesta dal dubbio: «Se sei tu!».
V. 29
è la paura che fa loro ritenere illusione la realtà di Dio.
La prova della fede di Pietro
Tuttavia lo spirito contrario spaventa Pietro. Se guarda Gesù, cammina; se guarda le sue paure, sprofonda. La paura che fa sprofondare è il luogo stesso nel quale il Signore ci chiama a una fede
maggiore; diversamente siamo colti da angoscia e disperazione. A
questo punto, mentre affoga nel mare, Pietro grida a Gesù, che significa “il Signore-salva” (cfr. 8,25); Gesù offre il suo aiuto stendendo il
suo braccio, che indica l’intervento di Dio, che afferra e salva dalle
grandi acque chi lo invoca. Nel contempo però Gesù rimprovera Pietro come uomo “di poca fede”. Infatti la fede c’è, ma è poca, insufficiente davanti a prove dure come questa; il cammino di affidamento
e di riconoscimento dura tutta la vita.
La professione di fede dei discepoli
La calma viene sulla barca solo dopo che ciascuno ha fatto in prima persona l’esperienza dell’ascoltare il Signore, camminare sulle
acque, andare a fondo, invocare il suo nome ed essere salvati. Solo
allora nella barca riconosciamo il Signore e sperimentiamo la salvezza che porta all’adorazione e alla professione di fede. È l’anticipo della professione di 16,16. Ciò tuttavia non impedisce che Pietro, anche
più avanti, non lo capisca e lo rinneghi, sperimentando sempre più a
fondo la salvezza.
In sintesi…
In questo passo evangelico troviamo tratteggiate sia la si
tuazione dell’uomo, sia l’identità di Gesù rispetto a noi.
La situazione di noi uomini è quella di un cammino che va fatto di
notte, quando non si vede, attraverso il mare, che è infido, e combattendo contro le forze ostili a Dio (la tempesta).
In tale condizione Gesù si manifesta a noi come “Dio che salva” e
porta il suo aiuto a chi grida a lui.
La nostra fede è sempre debole, inadeguata, rispetto alla lotta che
dobbiamo affrontare nella storia, ma tenendo lo sguado fisso su
Gesù Risorto, che sconfigge tutte le potenze del male, superiamo
ogni difficoltà.
58
Per riflettere…
Era agitata dalle onde.
Quali sono le difficoltà maggiori che tormentano la tua vita
cristiana? Quali sono i combattimenti interiori più difficili?
Sul finire della notte.
Quali sono le “zone oscure” della tua vita, cioè le situazioni più
complesse, in cui non riesci a trovare un senso od una via d’uscita?
È un fantasma.
L’inganno è sempre in agguato nella nostra vita spirituale. Quali sono
nella tua vita, le situazioni in cui ti trovi ad essere vittima di questi
pensieri ingannevoli, che fanno vedere le cose in modo confuso (se
non addirittura completamente errato)?
V. 24
S’impaurì e, cominciando ad affondare...
Quando ti trovi nella difficoltà, chiedi aiuto a qualcuno? Hai una persona di fiducia, una guida che ti possa aiutare a ritrovare la presenza
di Gesù, oppure fai tutto da solo?
E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di
poca fede, perché hai dubitato?».
Tenendo lo sguardo fisso su Gesù, la fede rimane salda anche nelle
situazioni più dure e non “affondiamo”. Com’è il tuo rapporto con
Gesù? Occasionale o intenso e vero, per cui sai di poterti sempre
affidare a lui, anche nelle situazioni più difficili? Hai qualcuno che ti
aiuti a crescere nel tuo rapporto personale con Cristo?
59
meditatio
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61
giovanni 13,21-27
LA PAROLA
21 Dette queste cose, Gesù fu profondamente
turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno
di voi mi tradirà». 22 I discepoli si guardavano l’un l’altro,
non sapendo bene di chi parlasse. 23 Ora uno dei discepoli,
quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.
24 Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello
di cui parlava. 25 Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù,
gli disse: «Signore, chi è?». 26 Rispose Gesù: «È colui
per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto
il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone
Iscariota. 27 Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli
disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto».
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v.21
v.22
v.23
vv.24-25
Il contesto
Ci troviamo all’inizio della seconda sezione del IV Vangelo,
il cosiddetto “Libro dell’ora” (capp. 13-21). Gesù, dopo aver lavato i
piedi ai suoi ed aver spiegato il senso di ciò che ha fatto (cfr. vv. 1-17),
preannuncia, profondamente turbato, che uno dei dodici tradirà
(cfr. vv. 18-20). Il suo turbamento non è per la propria morte, ormai
imminente e già accettata (cf. 12,27); è piuttosto come quello davanti
a Lazzaro morto, l’amico che amava (11,33).. Gesù sente il male che
si fa colui che gli fa male, prova pena per il male del mondo che lo
rifiuta.
La dichiarazione di Gesù e la reazione dei discepoli.
Secondo la lettera del testo greco, Gesù ”testimoniò e disse”,
cioè usa un linguaggio giuridico. Si sta infatti istruendo il processo
contro il capo di questo mondo, che verrà espulso (cfr. 12,31). E’ la
penultima volta che Gesù testimonia; l’ultima sarà davanti a Pilato.
quando dice di essere venuto nel mondo per rendere testimonianza
alla verità (cfr. 18,37), quella verità che vince la menzogna e ci fa
liberi.
Nel nostro passo il tradimento è previsto e affermato con autorità
divina (Amen, amen). Il peccato, nostra parte di Vangelo, è il luogo in
cui si rivela il perdono, la tenebra in cui brilla la luce, la disgrazia che
manifesta la grazia. Il tradimento è di «uno di voi», uno dei Dodici
giacché il nemico non è l’altro, l’estraneo, è l’amico intimo, amato e
scelto dal Signore, che in anticipo ne conosce la defezione.
I discepoli si guardano in faccia, per vedere chi è il traditore. Ognuno
pensa che possa essere chiunque altro al di fuori di lui. Tranne Giuda,
l’unico che sa; egli fa da specchio a tutti, chiamati a riconoscersi in
lui, al quale è rivelato l’amore incondizionato con cui è amato.
Giovanni, Pietro e Gesù
Nel gruppo dei dodici che circondano Gesù emergono
Pietro e Giovanni, il discepolo che Gesù amava; come il Figlio è
verso il grembo del Padre (1,18), così questo discepolo sta adagiato
nel grembo di Gesù, figlio nel Figlio (è il senso letterale del testo
greco del versetto). Egli segue il Signore nel processo (18,15s), sta
ai piedi della croce (19,26), testimonia ciò che ha visto (19.35). riceve
l’annuncio della tomba vuota (20,2), giunge per primo al sepolcro
e crede (20.8), riconosce il Risorto sulla riva del lago (21,7), rimane
fino al ritorno del Signore (21,20ss) e sta all’origine del racconto
evangelico (21,24). (11,5). In questo passo è colui che, invece di
guardare se stesso che ha rinnegato o tradito –come fa Giuda-,
guarda il Signore che lo ama.
Perciò Pietro ritiene che questo discepolo sia in grado
di sapere da Gesù chi è il traditore.Il discepolo, che prima era nel
grembo, ora è sul petto (cfr. testo originale in greco): passa dal
grembo che lo genera al cuore che lo ama. È quel petto il cui fianco
sarà aperto dalla lancia (cfr. 19,34). La sua intimità con il Figlio è
risposta all’intimità del Figlio verso i fratelli, che si manifesterà
pienamente nel boccone dato a chi Io tradisce.
63
v.27
v.26
Questo discepolo perciò chiede chi sia il traditore. II Signore glielo
rivelerà attraverso il segno massimo di amore che si possa dare; nel
tradimento infatti si manifesta il trionfo dell’amore (cf. vv. 31-32),
come solo nell’amore si coglie il vero senso del tradimento.
La reazione “eucaristica” di Gesù
Gesù risponde intingendo un boccone nel piatto e offrendolo
a Giuda. Questo boccone è Gesù stesso, battezzato nella morte per
dare a noi la sua carne e il suo sangue. Il gesto di Gesù non è finzione
per svelare il traditore, ma segno supremo del suo amore per lui: chi
tradisce è colui per il quale il Signore immerge se stesso nella morte,
dando per lui la vita. II boccone, dato a Giuda dopo la lavanda dei
piedi, mostra il compimento dell’amore: l’amore non è solo servizio,
ma, innanzi tutto, dono di se all’altro. Questo boccone, ricordato
quattro volle (vv. 26bis.27.30), è Gesù stesso che si dona a colui che
lo tradisce. Proprio così Gesù «ama a compimento» (v. 1): ci mostra
come tutti siamo amati, perché anche noi possiamo amarci a vicenda
(vv. 34s).
Se poi andiamo più a fondo nel testo ne scopriamo un senso
ulteriore.«Accogliere (= prendere) e dare» sono parole eucaristiche
(cf. Mc 14,22; Mt 26,26; Le 22,19; cf. 1 Cor 11,23). Poco prima il
traditore è stato indicato come «colui che mastica il mio pane» (v.
18); ora Gesù si consegna a chi lo consegna, si affida alla sua bocca
come suo pane. A chi leva il calcagno contro di lui, il Figlio unigenito
dona se stesso e la sua benedizione (cf. v. 18). Così si rivela la gloria
di Dio ed è sbugiardato il satana che aveva mentito su di lui. Colui che
ha fatto cadere Eva e insidierà il calcagno della sua discendenza, è
schiacciato con questo gesto (cfr. Gen 3,15).
L’esito è sorprendente. Come all’inizio della storia, dopo il
dono di Dio all’uomo subentra satana che vuole rovinarlo (cf. Gen
1-3). Ma il dono, che sta al principio, sta anche alla fine di tutto,
come perdono. Satana entrò nei nostri progenitori con il boccone
che Eva mangiò e diede ad Adamo (Gen 3,6). Ma ora l’ingannatore è
ingannato. In Giuda non trova il boccone che l’uomo prese,mangiò e
diede, ma il Signore stesso, che non mangia, perché è la vita, e si dà
da mangiare. Proprio così satana, mentre credeva di aver trionfato,
verrà sconfitto da questo boccone.
Con le sue ultime parole Gesù «accelera la salvezza». Vuole e ordina
ciò che l’amico sta compiendo, prendendo su di sé la morte dell’amato.
Gesù non vuole il tradimento dell’amico o la propria croce: il male
non è necessario per il bene. Se non ci fosse, sarebbe meglio. Però,
siccome c’è, Dio ne fa un bene maggiore: lo vince portandolo su di
sé per amore.
64
Per riflettere…
Fu profondamente turbato
Il cuore di Gesù è inquieto perché un fratello, Giuda, si sta smarrendo.
Come vivi la debolezza ed il peccato dei tuoi fratelli? E’ motivo per
scandalizzarti e fare pettegolezzi, oppure per soffrire ed aiutare chi
sbaglia? Preghi per un fratello quando è nell’errore?
Intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda
La reazione di Gesù davanti al tradimento è eucaristica: risponde a chi
lo vuol consegnare ai peccatori consegnandosi a sua volta come cibo
che dà vita. Come reagisci davanti all’ingratitudine d all’egoismo del
fratello? Sei capace di dono gratuito ed incondizionato anche verso
chi ti fa soffrire? Che cosa fai per dare la vita alle persone che ti sono
accanto?
Chinatosi sul petto di Gesù
Giovanni ha un ruolo singolare nella comunità apostolica non per dei
meriti “acquisiti sul campo”, ma perché è intimo di Gesù. Pensi mai
che la comunità si edifica a partire dalla nostra intimità con Cristo?
Quando ci sono difficoltà nella tua famiglia o nella tua comunità
preghi?
E dichiarò: «In verità, in verità io vi dico.
Gesù ha una parola autorevole e definitiva sulla comunità apostolica.
Nel costruire le tue relazioni in famiglia od in comunità quali criteri
segui? Il vangelo oppure il tuo interesse, le tue opinioni, i tuoi gusti?
65
meditatio
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oratio
actio
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L’AFASIA LOGORROICA DEGLI SMS
provocazione
oggi
Si dice che il nostro è il mondo della comunicazione;
i mezzi che oggi vanno per la maggiore sono quelli,
appunto, di comunicazione, quelli che ci avvicinano gli uni
agli altri, si dice… In realtà i nostri contatti sanno abilmente
conservare distanze, marcare solitudini, connettere
sconosciuti. Il Vangelo ci parla di un Dio che si mette in
comunicazione con l’uomo, che si racconta nella sua verità
all’uomo, e accoglie l’uomo che gli rivela la sua povertà,
la sua paura, la sua sfiducia, il suo peccato. Vocazione è
consegnarsi, fidarsi di chi ci può guidare attraverso i tornanti
della nostra vita e del nostro mondo interiore a riconoscerci
e a riconoscere il disegno di Dio.
Gli sms da mania di adolescenti o mezzo per
scambiarsi notizie di lavoro sono diventati il surrogato
delle lettere e delle parole, e vengono usati anche là dove si
vorrebbe toccare una carta o sentire una voce: per gli inviti,
le condoglianze, i corteggiamenti. I messaggi non hanno
tono, non implicano impegni; consentono retromarce,
offrono scappatoie. E gli sms non sono che l’avanguardia di
una vita virtuale che ha cancellato i centralinisti sostituendoli
con numeri verdi e tasti da pigiare, e che costruisce mondi
paralleli con le chat, nella Second Life, su You Tube
(A. CAZZULLO, Outlet Italia. Viaggio nel paese in svendita,
Mondadori, Milano 2007, p. 202).
68
nota preparazione - scelta dello stato
per il discernimento
Estratto e commento dalle “ Mermorie dell’
Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855”.,
Cap. XIV, prima decade: 1825-1835
Consigliandomi con me stesso, dopo avere letto qualche
libro, che trattava della scelta dello stato, mi sono deciso
di entrare nell’Ordine Francescano. Se io mi fo cherico nel
secolo, diceva tra me, la mia vocazione corre gran pericolo
di naufragio. Abbraccierò lo stato ecclesiastico, rinuncierò
al mondo, andrò in un chiostro, mi darò allo studio, alla
meditazione, e così nella solitudine potrò combattere le
passioni, specialmente la superbia, che nel mio cuore
aveva messe profonde radici. Feci pertanto dimanda ai con
ventuali riformati, ne subii l’esame, fui accettato e tutto era
preparato per entrare nel convento della Pace in Chieri. Pochi
giorni prima del tempo stabilito per la mia entrata ho fatto
un sogno dei più strani. Mi parve di vedere una moltitudine
di que’ religiosi colle vesti sdruscite indosso e correre in
senso opposto l’uno dall’altro. Uno di loro vennemi a dire: Tu
cerchi la pace e qui pace non troverai. Vedi l’atteggiamento
de’ tuoi fratelli. Altro luogo, altra messe Dio ti prepara.
Voleva fare qualche dimanda a quel religioso, ma un rumore
mi svegliò e non vidi più cosa alcuna. Esposi tutto al mio
confessore, che non volle udire a parlare né di sogno né di
frati. In questo affare, rispondevami, bisogna che ciascuno
segua le sue propensioni e non i consigli altrui.
In quel tempo succedette un caso, che mi pose nella
impossibilità di effettuare il mio progetto. E siccome gli
ostacoli erano molti e duraturi, così io ho deliberato di
esporre tutto all’amico Comollo. […]
Ho seguito quel savio suggerimento, mi sono seriamente
applicato in cose che potessero giovare a prepararmi alla
vestizione chericale.
per il commento vedi “Non volevo credere ai sogni”
69
uomo senza vocazione
Questo gioco di contrasti si riflette inevitabilmente
sul piano della progettazione del futuro, che è visto - da parte
dei giovani - in un’ottica conseguente, limitata alle proprie
vedute, in funzione d’interessi strettamente personali
(l’autorealizzazione). È una logica che riduce il futuro alla
scelta d’una professione, alla sistemazione economica,
o all’appagamento sentimentale-emotivo, entro orizzonti
che di fatto riducono la voglia di libertà e le possibilità del
soggetto a progetti limitati, con l’illusione d’esser liberi. Sono
scelte senza alcun’apertura al mistero e al trascendente, e
fors’anche con scarsa responsabilità nei confronti della vita,
propria e altrui, della vita ricevuta in dono e da generare negli
altri. È, in altre parole, una sensibilità e mentalità che rischia
di delineare una sorta di cultura antivocazionale. Come dire
che nell’Europa culturalmente complessa e priva di precisi
punti di riferimento, simile a un grande pantheon, il modello
antropologico prevalente sembra esser quello dell’”uomo
senza vocazione”. Eccone una possibile descrizione. “Una
cultura pluralista e complessa tende a generare dei giovani
con un’identità incompiuta e debole con la conseguente
indecisione cronica di fronte alla scelta vocazionale. Molti
giovani non hanno neppure la “grammatica elementare”
dell’esistenza, sono dei nomadi: circolano senza fermarsi
a livello geografico, affettivo, culturale, religioso, essi
“tentano”! In mezzo alla grande quantità e diversità delle
informazioni, ma con povertà di formazione, appaiono
dispersi, con poche referenze e pochi referenti. Per questo
hanno paura del loro avvenire, hanno ansia davanti ad
impegni definitivi e si interrogano circa il loro essere. Se da
una parte cercano autonomia e indipendenza ad ogni costo,
dall’altra, come rifugio, tendono a essere molto dipendenti
dall’ambiente socioculturale ed a cercare la gratificazione
immediata dei sensi: di ciò che “mi va”, di ciò che “mi fa
sentire bene” in un mondo affettivo fatto su misura”.
Fa un’immensa tristezza incontrare giovani, pur intelligenti e
dotati, in cui sembra spenta la voglia di vivere, di credere in
qualcosa, di tendere verso obiettivi grandi, di sperare in un
mondo che può diventare migliore anche grazie ai loro sforzi.
Sono giovani che sembrano sentirsi superflui nel gioco o nel
dramma della vita, quasi dimissionari nei confronti d’essa,
smarriti lungo sentieri interrotti e appiattiti sui livelli minimi
della tensione vitale. Senza vocazione, ma anche senza
futuro, o con un futuro che, tutt’al più, sarà una fotocopia
del presente. NVNE 11 c
70
“Il giovane Ferrari, che diceva di voler abbracciare lo stato
ecclesiastico, non andò mai a chiedere quello che lo
riguardava del sogno; anzi se ne burlava, quantunque stato
da molti a ciò sollecitato. Finalmente si trovò in tal caso che non
potè sfuggire D. Bosco, il quale gli narrò come l’avesse visto nel
campo di grano e che a dispetto di coloro che lo volevano mandare
a raccogliere ancora qualche fiore, si mise a tagliare forte, ma che
giunto al fine si rivolse indietro e non trovò niente di fatto.
- Che vuol dir ciò? domandò allora il giovane.
- Ecco; vuol dire, rispose D. Bosco, che se tu non cangi metodo,
cioè se seguiti a fare secondo il tuo capriccio, senza voler essere
guidato, diventerai un prete spretato, o un frate sfratato ”.
MB IV, 924
Trascriviamo questo foglio: “Sono frequenti i fatti che ci danno a
conoscere come D. Bosco sia dotato di spirito profetico, massime
per ciò che riflette le cose spirituali, o veramente affari temporali
che vanno collegati cogli spirituali. Il 19 dicembre 1862 eravamo a
tavola e gli dissi:
- Abbiamo il Ch. Da….. che è ben servito.
- Non ne so nulla! rispose D. Bosco.
- Mi disse il dottore che lo visita a Bra, dove trovasi in Seminario,
essere egli minacciato di una fistola in bocca, ed essere perciò
venuto ora a Torino per consultarsi con qualche esperto dentista,
poichè la sede del male sarebbe in un dente cariato.
- Il medico disse niente altro?
- Mi disse solamente che lo aveva diretto ai Cappuccini del Monte.
Crede ella che questo male peggiorerà?
- Certamente: Da… vuol fare a modo suo, ma non riuscirà
nell’intento.
- La pregherei a spiegarmi queste parole.
- Sa già i precedenti?
- Assai confusamente.
- Veda; egli volle entrare in Congregazione e lo ammisi; vi stette
infino a che vestito l’abito clericale, gli ebbi trovata una persona
che lo prese a proteggere, nel fornirlo di quanto gli occorreva in
vestiti, libri ecc., oltre alla buona volontà di fargli a suo tempo il
patrimonio ecclesiastico. Quando si credette sicuro di essere
temporalmente provveduto, volle uscire dalla Congregazione.
Io conobbi l’errore del giovane; lo avvertii, e lo feci avvertire da
varii suoi compagni e particolarmente da D. Cagliero che gli era
amicissimo, come il Signore lo avrebbe punito nel temporale,
ove egli persistesse nel suo errore. Ma egli stette fermo nel suo
proposito ed il Signore lo ammonì con una enfiagione alle glandole,
con suporazione lunghissima e dolorosa. Ebbe a soffrire per tutto
l’autunno del 1861 e continuò nell’inverno del 1862. Replicai gli
avvisi, e finalmente vedendosi così tormentato, mi chiese se lo
avrei guarito interamente, ove si fosse arreso alle mie parole. Lo
invitai a provare la bontà del Signore con questo consiglio:
- Mettiti sulla strada per la quale il Signore ti chiama ed io ti
prometto in otto giorni l’intera guarigione di tutti i tuoi mali.
Cedette e si arrese pronto a seguire i miei consigli e fu
71
tre passi
Rivedi la tua vita1-Hai scelto e stai camminando con fedeltà con una guida
spirituale?
2-Ti stai consegnando con sincerità su tutte le dinamiche
che abitano il tuo cuore e che sono dentro la tua storia?
3-Quali sono le resistenze nell’obbedienza?
un libro
effettivamente guarito entro gli otto giorni. Dopo aver continuato
sano e nel nuovo proponimento per qualche tempo, forse il vedersi
così prosperoso, gli fece scordare le sue promesse e nuovamente
si ritirò dai suoi impegni. Ed ecco una seconda volta gli ritornò il
male alla gola, che poi continuò sempre anche quando fu a casa
e quando andò in Seminario a Bra, fino ad oggi che sento essere
minacciato da una fistola.
- Poveretto, dissi io, Dio voglia che non abbia a finir male.
- Tolto il suo errore, per tutto il resto è un buon giovane.
- Ma chi sa, se poi il Signore non si stancherà e abbandonandolo
non abbia a riuscire un cattivo prete!
- Oh! questo non accadrà mai. - Deporrà l’abito ecclesiastico?
- No. - Morirà? - Morirà prima di deporlo. - E pronunciando queste
parole fece un segno affermativo col capo.
MB VII, 342-344.
Per l’approfondimento ti suggeriamo come testo
per il mese: RUSSO C., Magone Michele. Il santo monello
= Testimoni 37, LDC, Torino- Leumann 2006.
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appunti
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74
serViZio ai
gioVani
la parola
LUCA 22, 31 - 34
31Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; 32ma io ho pregato
per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta
convertito, conferma i tuoi fratelli». 33E Pietro gli disse:
«Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione
e alla morte». 34Gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo
non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di
conoscermi».
76
Il contesto
Al cap. 22 di Luca, tra la conclusione dell’Ultima Cena (cfr.
22,20) e la partenza per il Monte degli Ulivi (cfr. 22,39), leggiamo il
Discorso che Gesù tiene con i suoi discepoli, toccando diversi
temi: l’annuncio del tradimento, la discussione sul più grande, la
promessa del Regno e –sono i versetti su cui vogliamo rifletterel’annuncio del rinnegamento e del ravvedimento di Pietro. Il passo
che stiamo meditando è costruito come un brevissimo dialogo di
tre battute: la vocazione da parte di Gesù (vv. 31-32); la dichiarazione
entusiasta di Pietro (v. 33); la risposta definitiva di Gesù (v. 34).
V. 33
V. 32
V. 31
La vocazione da parte di Gesù
Qui leggiamo la vera chiamata di Pietro. In Luca è la prima volta che Gesù lo chiama per nome (NB: il suo “vecchio” nome,
Simone) e per ben due volte. È una vocazione solenne, come quella
di Abramo, di Mosè, di Samuele, di Maria e di Saulo (cfr. Gn 22,1;
Es 3,4; 1 Sam 3,10; Lc 10,41; At 9,4). Gesù subito gli annuncia che il
nemico, Satana, si oppone al progetto di salvezza. Il suo intento è
quello di togliere la fiducia nella Parola di Gesù, che chiama e manda;
vuol rubarla dal cuore dell’uomo (8,12), come ha fatto con Adamo e
ha tentato di fare con Gesù. La sua azione non sarà che un’azione
di vaglio, come quella del contadino che separa il grano dalla pula,
ma Dio se ne serve per il bene. Separando il frumento dallo scarto
il Diavolo purificherà la fede dei discepoli, conducendoli a quella
infedeltà che offrirà loro la possibilità di ritornare a Dio ed a una fede
più pura.
In forza della sua preghiera Gesù garantisce a Pietro non l’impec
cabilità, ma l’indefettibilità della fede. Questa consiste nel fondare la
propria vita nella sua misericordia. Pietro sbaglierà, ma «ritornerà»,
ossia si convertirà. La sua esperienza di infedeltà gli farà conoscere
meglio se stesso e il suo Signore, la propria debolezza e la forza
di colui che lo ama, la propria miseria e la sua misericordia. Così
confermerà (letteralmente «indurirà») la fede dei suoi fratelli che
attraverseranno le sue medesime difficoltà. La sua funzione, dirà lui
stesso, non è quella di spadroneggiare sul gregge a lui affidato, ma di
essere modello di umiltà e di confidenza nel Signore (cfr. 1Pt 5,lss).
La dichiarazione di Pietro
Pietro è uomo dai grandi desideri. Vuole stare «con» Gesù, disposto a sfidare ceppi e spade poiché ha capito che il suo bene
è stare vicino al suo Signore, che solo ha parole di vita eterna. Tali
desideri, come non vengono dalla carne, così non possono essere
compiuti da essa. La carne è debole. Va riconosciuta come tale, perché non si ponga la fiducia in essa, ma in colui che «ha potere di fare
molto più di quanto possiamo domandare o pensare» (cfr. Ef 3,20).
Egli, nella nostra debolezza, manifesta pienamente la sua forza ( cfr.
2Cor 12,9),
77
V. 34
La risposta definitiva di Gesù
Ora Gesù chiama Simone col nome nuovo, Kefa/Pietro, che significa «roccia», attributo di Dio nella sua sicurezza e fedeltà. Lo
chiama così proprio mentre gli predice la sua sicura infedeltà, che si
concretizzerà prima del canto del gallo.
Questo ha un forte valore evocativo: il gallo preannuncia il sorgere
del sole, simbolo di Cristo che viene a visitare il suo popolo (cfr. 1,78).
Il rinnegamento di Pietro sarà, paradossalmente, l’annuncio della
bontà misericordiosa del nostro Dio, che viene a visitarci dall’alto
come sole che sorge. Infatti colui che deve confermare nella fede
i fratelli, prima rinnegherà tre volte di conoscere il Signore e solo
dopo lo conoscerà come «Gesù», che significa «Dio salva». Al suo
tradimento non farà seguito l’abbandono definitivo del maestro, ma,
in virtù della misericordia divina, il pentimento ed il rafforzamento
della fede.
La sua esperienza è per tutti i credenti paradigmatica per giungere
alla fede nel Salvatore.
In sintesi…
Il passo evangelico che abbiamo letto ci delinea la figura di Pietro a tre livelli.
Egli è un chiamato: la sua missione non nasce da iniziativa umana,
ma da Gesù, che, nel momento cruciale della propria vicenda umana,
lo chiama per confermare i suoi fratelli.
Egli è un “lottatore”: alla chiamata di Gesù per realizzare il progetto
della salvezza si oppone sempre ed instancabilmente Satana, che
vaglia e purifica la fede dei discepoli.
Egli è un peccatore perdonato: chi confida solo nelle proprie forze
esce sconfitto da questa lotta , mentre chi si abbandona con fiducia
alla misericordia di Dio alla fine esce rafforzato nella fede, poiché ha
sperimentato la bontà di Gesù; pertanto può a sua volta confermare
nella fede i propri fratelli.
Per riflettere…
Simone, Simone
Pietro sperimenta anzitutto di essere un “ c h i a m a t o ” a d u n a
missione per il bene dei fratelli. Sei cosciente che il servizio che
svolgi nel tuo oratorio/parrocchia nasce da una missione ricevuta
da Gesù? Preghi per essere aiutato in questa missione o confidi
solo nelle tue forze? Ti sei mai interrogato se questa missione
potrebbe diventare per te una specifica e definitiva vocazione?
Satana vi ha cercati per vagliarvi
Chi vive una missione per il bene dei fratelli deve prepararsi a lottare
contro le potenze del peccato. Come si concretizza per te questa
lotta? La vivi confidando solo in te stesso o attaccandoti al Signore
Gesù?
78
Una volta convertito, conferma i tuoi fratelli
Pietro sperimenta l’amarezza della caduta, ma anche la gioia
della misericordia e della conversione; proprio per questo può
efficacemente “confermare” la fede dei suoi fratelli. Quanto sento
la responsabilità nei confronti di coloro che in vario modo mi sono
affidati? Cerchi essere per loro immagine di Gesù, ricco di amore e di
misericordia per tutti i suoi fratelli?
Con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte
Pietro sperimenta un facile entusiasmo che poi verrà meno nel
momento della prova. Come vivi la fatica del quotidiano, “luogo”
della lotta? La facilità con cui ci diciamo disponibili a seguire Gesù
si concretizza nella fedeltà quotidiana alla preghiera, all’impegno nel
tuo oratorio/parrocchia, al dovere?
79
meditatio
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80
oratio
actio
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81
giovanni 20,1-9
LA PAROLA
1 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala
si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora
buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo,
quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il
Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
3 Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono
al sepolcro. 4 Correvano insieme tutti e due, ma l’altro
discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al
sepolcro.
5 Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6 Giunse
intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel
sepolcro e osservò i teli posati là, 7 e il sudario – che era
stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in
un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l’altro discepolo, che
era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9 Infatti
non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli
doveva risorgere dai morti.
82
v.1
L’antefatto
Prima della sepoltura si era parlato della preparazione
di «quel sabato, che era un giorno solenne», cioè la Pasqua (cfr.
19,31.42). Di questo giorno, apparentemente vuoto, non si dice nulla;
sappiamo solo che il corpo dì Gesù è nel vuoto del sepolcro. Dicendo
nulla, l’evangelista suggerisce molto: infatti il Verbo creatore,
entrato negli inferi, si è inabissato nel caos; accogliendo la carne del
Figlio dell’uomo, la terra e ogni carne accoglie il Figlio di Dio per cui
creatore e creatura finalmente si incontrano e inizia la gioia senza
fine dell’ottavo giorno.
Ma ora siamo nel primo giorno dopo il sabato, proprio nell’ottavo
giorno: è la «domenica», il giorno del Signore, in cui si compiono
tutte le promesse di Dio; in esso vive la creazione nuova, riscattata
dal male e abitata dallo Spirito di Dio.
I personaggi
In questa scena compaiono 3 personaggi.
Maria la Maddalena.
Mentre gli altri Vangeli ricordano anche altre donne (cfr. Mc 16,l),
Giovanni nomina solo Maria Maddalena, facendone la figura tipica
del discepolo. Infatti è stata ai piedi della croce (cfr. 19,25; Mc 15,40)
e il suo nome richiama Maria di Betania, che vide la gloria di Dio
nella risurrezione di Lazzaro (cfr. 11,4.40) e profumò il Signore (cfr.
11,2; 12,1-8); è pertanto come la sposa, conquistata dall’amore
estremo dello Sposo e che ora, dopo averlo visto elevato sulla croce,
lo cerca dove l’hanno posto. Luca poi dice che da lei erano usciti
sette demoni (cfr. Lc 8,2): purificata dall’amore, è la prima che ha
occhi per vedere il Signore.
Simon Pietro.
Pietro, che ha rinnegato (cfr 13,36-38; 18,12-27), è nominato per
primo. È posto come primo dei discepoli perché ha sperimentato ciò
che ci fa discepoli: la fedeltà del Signore alla nostra infedeltà.
L’altro discepolo.
Questo discepolo appare insieme a Pietro nell’ultima cena (cfr. 13,2325) e nel processo (cfr. 18.15ss) per poi riapparire insieme nell’ultimo
capitolo. L’«altro discepolo» non è semplicemente l’altro tra due,
ma l’altro, il diverso; infatti ha appoggiato il capo nel grembo e sul
petto di Gesù (cfr. 13,23-25), che ha poi visto trafitto (cfr. 19,34s).
Normalmente è chiamalo «il discepolo che Gesù amava», ma adesso,
che l’ha visto sulla croce, è chiamato amico. L’amicizia è infatti
amore reciproco e Gesù chiama i discepoli «amici» se compiono il
suo comando (cfr. 15,14), che è amarci l’un l’altro come lui ci ama (cfr.
13,34; 15,12.17); chi ama allora può incontrare e credere nel Risorto,
perché lui stesso è passato dalla morte alla vita (cfr. 1 Gv 3,14).
83
v. 9
v. 8
v. 7
v. 5-6
v. 3-4
v.2
Il tempo ed il luogo
La nostra scena è ambienta all’alba, mentre era ancora tenebra. L’alba,
ultima veglia della notte, è l’ora in cui c’è insieme luce e tenebra:
il sole già illumina il cielo, ma ancora non appare sulla terra; è la
condizione interiore di Maria, che cerca lo Sposo giacché in lei c’è la
luce dell’amore, ma anche lo smarrimento di non vedere l’amato.
Il fulcro spaziale di tutta l’azione è il sepolcro vuoto di Gesù. Nei
vv. 1-10 si menziona il sepolcro per ben sette volte per cui esso è,
ossessivamente, il protagonista del brano. La memoria di morte
che, incutendoci terrore, ci tiene schiavi per tutta la vita (cfr. Eb 2,15),
diventa il luogo in cui incontriamo il Risorto. Infatti Gesù, che aveva
fatto levare la pietra dal sepolcro di Lazzaro (cfr. 11,39.41), ora come
l’agnello di Dio che leva il peccato del mondo (cfr. 1,29), è entrato
lui stesso nel sepolcro per levare definitivamente la pietra che ci
separa dalla vita; la gloria del Crocifisso ha insomma fatto esplodere
l’inferno.
La corsa di Maria e dei due discepoli.
Il nostro passo è costruito su dei corse: quella di Maria dal sepolcro
vuoto verso i discepoli e quella dei discepoli stessi verso il medesimo
sepolcro.
Ciò che Maria vede è segno dell’inconcepibile. Questa
pietra, levata, leva all’uomo l’unica certezza, la morte. Maria non può
capire per cui corre ad annunciare la scomparsa di Gesù. Pensa che
l’abbiano rubato poiché non ha ancora compreso che l’amore vince
la morte. Perciò corre dai discepoli.
Dopo l’annuncio di Maria, Pietro e l’altro discepolo escono
per andare al sepolcro e corrono insieme. Ma il secondo è più veloce
e arriva prima al sepolcro, come giunge per primo a credere (cfr. v.
8) e a vedere il Risorto (cfr. 21,7). L’amico, che ama come è amato,
precede colui che è il primo dei discepoli poiché il primato è sempre
dell’amore, come si vedrà nel capitolo successivo.
Il discepolo amico non entra; attende Pietro, come segno di
stima per lui. Guarda però dentro e vede i lini stesi, che non sono
abbandonati in disordine, come se il cadavere fosse stato sottratto.
Infine Pietro viene al sepolcro seguendo l’altro discepolo, che già
l’aveva preceduto nella casa di Caifa (cfr. 18,15s) poiché, seguendo
chi ama, si è introdotti nel mistero di Gesù, nella sua passione per
noi; entra e vede ciò che anche l’altro ha visto stando fuori.
Pietro vede poi anche il sudario, che è il velo della morte, che
copre il volto del defunto. Per Gesù, invece, si dice che era sulla sua
testa, come il lembo del mantello di uno che dorma per cui ora, che si
è svegliato, se lo è tolto. Non è però con i lini stesi, ma messo a parte,
avvolto in un luogo determinato.
Dopo la constatazione di Pietro, anche l’altro discepolo entra
nel sepolcro e vede e crede.
I lini stesi, con il sudario a parte, sono i segni che il Signore non è lì
e non è stato rubato e, vedendo questo, il discepolo amato crede in
Gesù, Signore della vita, pur senza averlo visto.
84
L’osservazione finale sembrerebbe in dissonanza con il «vide
e credette» che precede.
Se si considera il testo nel suo insieme, sembra meglio ritenere
che il discepolo amico, con l’anticipazione tipica dell’amore, ha
sempre sufficienti segni per credere all’amato. Egli «vide» (i segni) e
«credette» (nel Risorto): è il primo che, senza aver visto il Signore, ha
in lui quella fede che propone ai suoi lettori (cf. vv. 29-31). Uno infatti
non può proporre un’esperienza che lui non ha fatto. La Scrittura del
resto non riporta speculazioni o deduzioni, ma il vissuto personale
di chi scrive.
Probabilmente nel v. 9 l’autore vuol dire -ovviamente al lettoreche solo dopo la risurrezione di Gesù, accertata dai testi oculari,
è possibile capire la Scrittura, che tutta parla di lui (cfr. 5,39). La
promessa del Signore è comprensibile solo dopo il suo compimento
e alla luce del suo Spirito d’amore (cfr. 14,26). Per questo i discepoli
possono credere alla Scrittura e alla parola di Gesù solo dopo la sua
risurrezione (cfr. 2,22; 12,16). Rimane sempre un velo sul volto di chi
legge la Scrittura, che viene eliminato dalla conversione a Cristo
Signore (cf. 2Cor 3,12-16) la quale è donata a chi ha contemplato il
suo amore e lo ama.
I primi discepoli, che hanno incontrato il Risorto, lo testimoniano a
noi nel Vangelo, che racconta e rende presente la carne del Verbo,
realizzazione di ogni promessa di Dio. Per noi, che veniamo dopo
i primi che l’hanno visto e toccato, i Vangeli e l’intera Scrittura
diventano come il corpo di Cristo; sono il segno in cui lo incontriamo
e vediamo Risorto.
In sintesi
Il discepolo amico di Gesù è il prototipo di quelli che, dopo
dì lui, crederanno in Gesù senza vederlo (cfr. v. 29), attraverso i segni
raccontati dall’evangelista stesso (cfr. vv 30-31 ). Questo discepolo
«altro» vede con il cuore. L’amore è il principio della fede, che dà
vita. La connessione tra vedere e credere vuoi dire che la fede, lungi
dall’essere cieca, è occhio ben aperto sulla realtà.
Di Pietro non si dice niente. Si può supporre, senza far violenza al
testo, che l’autore voglia mostrare in lui l’aspetto oggettivo della fede:
il sepolcro è vuoto e il corpo non fu trafugato. Nel discepolo amato
invece evidenzia l’aspetto soggettivo della fede: l’amore «vede» i
segni e «crede» in Gesù risorto, senza averlo visto.
In Maria, infine, seguita dagli altri discepoli e da Tommaso, è riferita
l’esperienza fondante riservata a coloro che ci trasmettono l’annuncio
della risurrezione: essi vedono e toccano il Risorto.
85
Per riflettere…
Si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio.
Maria va al sepolcro perché desidera onorare Gesù, l’amato. Non si
dà vita e cristiana né, tantomeno, missione cristiana se prima non c’è
il desiderio di Gesù. Le tue s celte quotidiane, lo spazio che assegni
ogni giorno alla preghiera dicono che desideri stare con Gesù?
Quanto è intenso questo desiderio?
Vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
La potenza della risurrezione di Cristo fa esplodere gli inferi e sconfigge
la morte. Dai questa testimonianza? Chi ti incontra percepisce che sei
animato da questa speranza che rinnova la vita?
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo
Maria corre dai discepoli per raccontare loro quello che ha visto. Ha
il desiderio e l’entusiasmo di testimoniare la tua esperienza cristiana?
Lo fai nel tuo ambiente? Il servizio apostolico che svolgi nel tuo
oratorio/parrocchia ha la forma della testimonianza di un incontro
con Cristo o è solo un modo per fare qualcosa che ti gratifica?
L’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo
al sepolcro.
l discepolo amato corre più veloce e giunge per primo al sepolcro
vuoto. Sai che l’entusiasmo nella missione e nell’annuncio è
direttamente proporzionale al tuo amore per Cristo? Ti verifichi su
questo aspetto con la tua guida spirituale?
86
MEDITATIO
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oratio
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ACTIO
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LA FRENESIA DELL’APOSTOLO MULTITASKING
provocazione
oggi
La personalità plasmata dalla cultura digitalizzata
dell’informazione funziona secondo la logica
multitasking; l’ideale antico di un uomo capace di
concentrarsi su un compito, di riservare attenzione ad
un interlocutore, di compiere con dedizione un servizio
sembra tramontato. Oggi siamo provocati da una cultura
che ci invita a lavorare contemporaneamente su diversi
fronti, a considerare gli impieghi alla stregua di windows
che si aprono nella nostra giornata e che non hanno mai
il diritto di assorbire l’intero della nostra attenzione o
della nostra dedizione. Ogni dove del nostro impegno
è in realtà l’occasione per rendere presente un altrove;
windows e sportelli squarciano il nostro orizzonte trafitto
da connessioni e ridotto ad utenze. Dio con noi non ha
aperto uno sportello, onde dedicarci qualche frammento
di planning caotico; non siamo per lui un’icona, ingombro
intermittente di un dektop affollato. Per Dio ciascuno di
noi è unico, destinatario di un amore senza limiti, senza
esclusioni, senza ripensamenti, senza orari e distrazioni.
Vocazione è essere icone reali, non virtuali della
tenerezza sollecita di Dio, che conosce il solo linguaggio
dell’attenzione piena, della dedizione totale, della pazienza
infinita
È la cosiddetta generazione multitasking, connotata
con una parola di gergo ovviamente informatico,
che all’origine indica la capacità di un computer di svolgere
contemporaneamente appunto una molteplicità di
compiti. Per slittamento, ora il termine non allude più al
mondo dei programmi elettronici, ai cosiddetti software:
ma alle teste, e ai comportamenti abituali, d’un’intera
generazione allevata a pane e telecomunicazioni. Ragazzi,
come i nostri, che è facile trovare seduti al computer, con
due o tre finestre aperte nelle varie comunità virtuali, una
ricerca scolastica fatta con Google, magari con a portata
di mano due telefonini con cui “smessaggiare”, la cornetta
del telefono fisso incastrata tra una spalla e una guancia,
e ovviamente con la musica, o la tv video musicale,
perennemente in sottofondo
(P. MARTINI, Reality shock [Yahoopolis], Aliberti, 2007,
pp. 63-64).
90
UN SOGNO CHE INSEGNA UNA MISSIONE
per il discernimento
Estratto e commento del sogno dei nove anni.
“A quell’età ho fatto un sogno. Sarebbe rimasto
profondamente impresso nella mia mente per
tutta la vita. Mi pareva di essere vicino a casa, in
un cortile molto vasto, dove si divertiva una grande
quantità di ragazzi.”
La chiamata di Dio, come per i grandi personaggi
biblici, si inserisce dentro la vita quotidiana, come un
cuneo, come una lampada in un luogo che conosciamo,
ma di cui ci possono sfuggire i particolari. Mosè
viene chiamato mentre porta al pascolo il gregge
del suocero; Samuele durante il sonno nel tempio;
Pietro, Giacomo e Giovanni mentre riassettano le reti
sul lago di Tiberiade e Matteo al banco delle imposte.
Don Bosco, appena arriva a Torino, si guarda attorno,
vede… e si lascia chiamare.
Egli cominciò a condurmi a visitare i carcerati. Nelle prigioni
imparai a conoscere quanto è grande la malignità e la miseria
degli uomini. Vedere un numero grande di ragazzi tra i 12 e i 18
anni, sani, robusti, intelligenti, vederli là oziosi, tormentati dalle
cimici e dai pidocchi, senza pane e senza una parola buona, mi
fece inorridire. Quei giovani infelici erano una macchia per la
nostra patria, un disonore per le famiglie. Erano umiliati fino alla
perdita della propria dignità. Quello che più mi impressionava era
che molti, quando riacquistavano la libertà, erano decisi a vivere
in maniera diversa, migliore. Ma dopo poco tempo finivano di
nuovo dietro le sbarre. Cercai di capire la causa, e conclusi che
molti erano di nuovo arrestati perché si trovavano abbandonati a
se stessi. Pensavo: «Questi ragazzi dovrebbero trovare fuori un
amico che si prende cura di loro, li assiste, li istruisce, li conduce
in Chiesa nei giorni di festa. Allora forse non tornerebbero a
rovinarsi, o almeno sarebbero ben pochi a tornare in prigione».
Comunicai questo pensiero a don Cafasso, e col suo aiuto cercai
il modo di tradurlo in realtà.
91
La nostra vita di tutti i giorni è il luogo dove Dio ci
interpella.
1-Il mio quotidiano che cosa mi sta dicendo, come mi
interpella? Provo a tracciare con sincerità le situazioni che
mi chiedono una mano… le situazioni in cui percepisco delle
povertà anche se faccio fatica a gettarmi nel servizio.
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“Alcuni ridevano,
bestemmiavano.”
altri
giocavano,
non
pochi
2-Provo a fare un’analisi della situazione dei ragazzi che vedo
attorno a me, cerco di essere il più analitico possibile…
Quando ho terminato questa radiografia, provo a chiedermi:
che cosa c’entra Gesù con loro?
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“Al sentire le bestemmie, mi slanciai in mezzo a loro.
Cercai di farli tacere usando pugni e parole”.
Giovanni ha talmente alta la sensibilità sui valori
importanti, quali la buona educazione e l’atteggiamento
di fede che non può starsene fermo, non può accettare
che questi ragazzi si buttino via in una umanità che va
a pezzi e che continuamente offende Dio.
92
3-Di fronte all’analisi della situazione dei ragazzi che cosa
ho fatto? Ho mai provato ad intervenire?
Provo a delineare cosa ho pensato e come ho agito.
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“In quel momento apparve un uomo maestoso,
vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta
la persona. La sua faccia era così luminosa che non
riuscivo a fissarla. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò
di mettermi a capo di quei ragazzi. Aggiunse: «Dovrai
farteli amici con bontà e carità, non picchiandoli. Su,
parla, spiegagli che il peccato è una cosa cattiva, e che
l’amicizia con il Signore è un bene prezioso.»”
Il Signore dentro questa realtà si rende presente, Lui
è lì, non altrove, ed ha una Parola precisa, per colui
che chiama, un’indicazione di percorso. Chiama per
nome, perché il chiamato è unico ed irrepetibile ai
Suoi occhi, di lui ha bisogno. Ordina, la Sua Parola
risulta imperativa, decisa, forte.
Chiede di porsi a capo di quei ragazzi, una chiamata
alla leadership. Non gente smidollata, la Sua chiamata
è per uomini forti che sanno assumersi responsabilità
di guida dei più piccoli, per il loro bene. Come è stato
per Giovannino nella “società dell’allegria”, come
per Domenico nella “compagnia dell’Immacolata”.
Mettersi a capo significa diventare modello, punto di
riferimento significativo.
Gesù indica anche il metodo di lavoro:
• farseli amici: solo con l’amicizia si fanno crescere le
persone;
• con la bontà e la carità: solo con il sorriso, la dolcezza,
la bellezza nel tratto, volendo loro veramente bene le
persone crescono;
• introducendoli nelle realtà profonde fra cui: peccato
– tristezza, grazia – gioia: questo è il fine di ogni cosa,
il sogno di Dio su ciascuno, la felicità. Tutto ciò che è
contro la gioia vera deve essere combattuto perché
contro il sogno di Dio e la realizzazione dell’uomo.
Oggi molti ragazzi non sono consapevoli di ciò, ma chi
ha incontrato il Signore della gioia non può tenere per
sé questo grande tesoro.
93
4-Che impressione mi fa sentire che questa Parola del
Signore è rivolta direttamente a me?
Provo a descrivere quanto sento in cuore.
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“Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo
povero e ignorante, che non ero capace a parlare di
religione a quei monelli”.
È normale la reazione di Giovanni, come quella di
Geremia che afferma di non saper parlare “perché
giovane”, come quella di Maria che “rimase turbata”,
come quella di tutti i chiamati. La paura, la confusione
che proviamo è il frutto del fatto che Dio sogna in
grande, che il Suo progetto è enorme e noi ci sentiamo
così piccoli, fragili, incapaci, ma LUI è DIO e, se LUI
chiama un piccolo, o sbaglia, oppure vuole anche
attraverso la piccolezza operare i miracoli del Suo
amore. Ed il Suo mandato sarà da Lui supportato.
5-Quali sono le paura che provo nel pormi al servizio dei
ragazzi?
Che relazione colgo fra i miei timori e la chiamata di Dio?
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94
“In quel momento i ragazzi cessarono le risse, gli
schiamazzi e le bestemmie, e si raccolsero tutti intorno
a colui che parlava. Quasi senza sapere cosa dicessi gli
domandai:
- Chi siete voi, che mi comandate cose impossibili?-”
Questo è il punto ed il salto di qualità. Come quando
il Signore ha fatto la domanda ai discepoli: “Voi chi
dite che io sia?” e dalla risposta di Pietro è scaturita
la sua vocazione a pietra della Chiesa, così ora dal
riconoscere chi è Colui che ci ordina, che ci chiede
queste cose, tutto cambierà. Allora queste cose
impossibili diventeranno possibili se crediamo che LUI
è Dio, che LUI può TUTTO, che LUI fa TUTTO. Senza
questa fede non esiste vocazione, senza questa fede
non diremo mai di sì al progetto che Lui ha pensato
e che noi non avremmo mai ipotizzato PER NOI. Se
invece LUI è il SIGNORE, allora non possiamo che
dirgli: FA’ di ME ciò che VUOI. Mandami a chi vuoi!
6-Chi è per me Gesù e quale disponibilità Gli ho donato?
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“ - Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili
- rispose - dovrai renderle possibili con l’obbedienza e
acquistando la scienza.”
La via per questo cammino sono l’obbedienza e la
scienza.
• Obbedienza che è atteggiamento di umiltà nei
confronti di coloro che il Signore ha posto sul nostro
cammino come guida, come segno del Suo perdono
(confessore) ecc.
• Scienza che significa uno sviluppo dei doni che
il Signore ci ha dato, un esatto compimento dei
doveri quotidiani (studio non solo per un tornaconto
immediato, ma per una autentica formazione di tutta
la persona che poi potrà essere ridonata agli altri).
95
7-Una verifica dopo questi mesi di GrIGio: è aumentato il
mio impegno di studio, lavoro, obbedienza, continuità con
un confessore…?
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“- Come potrò acquistare la scienza?
- Io ti darò la maestra. Sotto la sua guida si diventa
sapienti, ma senza di lei anche chi è sapiente diventa
un povero ignorante.”
C’è una scuola che non ha eguali per don Bosco:
la scuola di Maria. È una scuola contrassegnata da
alcuni elementi che nella vita di don Bosco saranno
poi costantemente presenti:
• lo stile della fiducia, frutto d’ascolto: primato di Dio;
• lo stile dell’umiltà e dell’obbedienza: il sì di Maria;
• lo stile del servizio: verso Elisabetta e a Cana;
• lo stile della gioia e della riconoscenza: il suo
magnificat;
• lo stile dell’impegno quotidiano: la vita a Nazareth;
• lo stile della preghiera: Maria che conserva tutto e
medita;
• lo stile della fedeltà: sotto la croce;
• lo stile della potenza: l’Assunta vicino a Dio;
• lo stile della purezza: l’Immacolata.
È una scuola a cui don Bosco ha educato i suoi ragazzi,
con una fiducia forte nella Vergine: “Ha fatto tutto
Lei”, con le tre “Ave Maria” dette con fede alla sera,
con la preghiera del Rosario quotidiano.
96
“- Ma chi siete voi?
- Io sono il figlio di Colei che tua madre ti insegnò a
salutare tre volte al giorno.
- La mamma mi dice sempre di non stare con quelli che
non conosco, senza il suo permesso. Perciò ditemi il
vostro nome. - Il mio nome domandalo a mia madre.
In quel momento ho visto vicino a lui una donna
maestosa, vestita di un manto che risplendeva da
tutte le parti, come se in ogni punto ci fosse una stella
luminosissima. Vedendomi sempre più confuso, mi
fece cenno di andarle vicino, mi prese con bontà per
mano e mi disse:
- Guarda.”
Maria, secondo il pensiero di don Bosco, ha condotto
e custodisce coloro che sono entrati in una casa
salesiana. Maria non fa “miracoli”, ma ci aiuta a
guardare con occhi diversi la realtà. Ma lo stile di
Maria diviene metodologia per incontrare i ragazzi:
• la sua Verginità
• la sua accoglienza
• il suo fare il primo passo
• il suo porsi al servizio
• la sua povertà
• la sua flessibilità e docilità per il bene del piccolo
Gesù
• la sua vita fedelmente quotidiana
• il suo sguardo attento ai bisogni dell’altro, alle sue
ferite nascoste
• il suo intercedere per la felicità di tutti
• il suo stile d’ascolto e di riflessione
• la sua capacità di andare appresso nel suo crescere
• il suo stare anche quando le tenebre e le offese
sono struggenti
• la sua custodia del figlio amato
• il suo sperare oltre la speranza eccc…???
97
“Guardai, e mi accorsi che quei ragazzi erano tutti
scomparsi. Al loro posto c’era una moltitudine di
capretti, cani, gatti, orsi e parecchi altri animali. La
donna maestosa mi disse:
- Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi
umile, forte e robusto, e ciò che adesso vedrai
succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei
figli.”
Maria indica il luogo dell’impegno, il luogo del servizio,
il luogo della vocazione.
Don Bosco raccomandava una devozione filiale e forte
nei confronti di Maria come via per la scoperta e la
realizzazione della propria vocazione.
Questo non basta, Maria dà anche a Giovannino le
linee di formazione e di risposta alla sua chiamata:
• Renditi: vuol dire che non lo sei già. La tentazione
nel cammino di discernimento vocazionale è quella
di scoraggiarsi scoprendo che il compito è grande
e noi siamo deboli. Non siamo nati perfetti. Siamo
chiamati a crescere. Il nostro compito è non fermarci,
non smettere di porre in atto tutte quelle dinamiche di
sviluppo di tutto ciò che siamo.
• Umile: lo abbiamo già ribadito, umiltà è sentirsi non
arrivati, umiltà è farsi correggere, non offendersi delle
correzioni, imparare da tutti, è essere consapevoli
che solo Lui è perfetto, che noi abbiamo bisogno
di essere perdonati e salvati. Umiltà è non agire da
supereroi che pensano di salvare il mondo. Umiltà è
porre a disposizione i propri doni senza permalosità
né vanità.
• Forte: della fortezza fisica e di quella spirituale.
Essere uomini veri, capaci di sopportare anche fatica
e disagio per un bene scoperto o per gli altri, uomini
coraggiosi, che sanno sostenere la causa della verità,
uomini forti, capaci di dialogo con tutti, anche con chi
non condivide, uomini della fortezza di Dio.
• Robusto: perché anche il nostro corpo è importante,
perché con esso ci doniamo, perché con esso
comunichiamo, educhiamo e annunciamo il Vangelo.
98
“Guardai ancora, ed ecco che al posto di animali
feroci comparvero altrettanti agnelli mansueti, che
saltellavano, correvano, belavano, facevano festa
attorno a quell’uomo e a quella signora.”
Il miracolo della trasformazione, della trasformazione
educativa a cui il Signore ci manda. Lui la opera. Ha
però bisogno delle nostre mani, del nostro sorriso,
della nostra parola, della nostra presenza.
“A quel punto, nel sogno, mi misi a piangere. Dissi a
quella signora che non capivo tutte quelle cose. Allora
mi pose una mano sul capo e mi disse:
- A suo tempo, tutto comprenderai.”
Anche alcune cose del nostro cammino vocazionale
non sono immediatamente comprensibili. Necessitano
di pazienza, di fiducia. Si dipanano lentamente. È
come andare di notte in bicicletta con la dinamo: per
accendere la luce,
• è necessaria la nostra prima pedalata, se no la luce
non si accende.
• la luce non illumina tutto, ma solo quanto necessario
per vedere nel momento presente.
• bisogna continuare a pedalare con pazienza
e costanza, allora percorreremo tutta la strada
giungendo alla meta.
“Aveva appena detto queste parole che un rumore mi
svegliò. Ogni cosa era scomparsa.
Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che
facevano male per i pugni che avevo dato, che la faccia
mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti.
Al mattino ho subito raccontato il sogno, prima ai
fratelli che si misero a ridere, poi alla mamma e alla
nonna. Ognuno diede la sua interpretazione. Giuseppe
disse: «Diventerai un pecoraio». Mia madre: «Chissà
che non abbia a diventare prete». Antonio malignò:
99
«Sarai un capo di briganti». L’ultima parola la disse
la nonna, che non sapeva niente di teologia, che non
sapeva né leggere né scrivere: «Non bisogna credere
ai sogni».
Io ero del parere della nonna. Tuttavia quel sogno non
riuscii più a togliermelo dalla mente. Ciò che esporrò
in queste pagine dirà il perché.”
Come nella famiglia Bosco, di fronte alla nostra
vocazione al servizio molti daranno le letture più
diverse: follia, illusione, lavaggio del cervello di
qualcuno, condizionamento, vero percorso di vita….
La verità di quel sogno di Dio è che ci rimarrà nel cuore
e segnerà per sempre la nostra vita.
8-Quali sono le mie reazioni alle critiche, alle incomprensioni,
alle solitudini per il servizio ai ragazzi?
Colgo che il mio servizio ai ragazzi è determinante passaggio
per la comprensione della volontà di Dio?
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100
tre passi
Rivedi la tua vita
1-Qual è il tuo servizio costante ai più piccoli?
2-Ti stai confrontando con un salesiano nel tuo
impegno apostolico per crescere nel servizio??
appunti
un libro
3-Sta crescendo in te l’attenzione ai più poveri e
l’annuncio di Gesù?
Per l’approfondimento ti suggeriamo come
testo per il mese: BOSCO T., Don Cimatti. Il
don Bosco del Giappone = Santi e figure della famiglia
salesiana, LDC, Torino- Leumann 2009.
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101
102
gli stati
di Vita
La parola
GIOVANNI 21, 1-19
1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo
ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò
così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto
Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e
altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a
pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora
uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero
nulla. 4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i
discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse
loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero:
«No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte
destra della barca e troverete». La gettarono e non
riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci.
7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È
il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore,
si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e
si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la
barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti
lontani da terra se non un centinaio di metri. 9Appena scesi
a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e
del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce
che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca
e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi
pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò.
12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei
discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano
bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane
e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta
che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto
dai morti. 15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon
Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?».
Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene».
Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per
la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli
rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli
disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta:
«Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase
addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi
bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti
voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In
verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da
solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai
le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi».
19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe
glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
104
V. 1a
vV. 1b-3
L’antefatto
Dopo la prima apparizione alla sera di Pasqua e la seconda
otto giorni a seguire (dopo questi fatti), per la terza e definitiva volta si
manifesta il Signore ai discepoli riuniti insieme. Le tre manifestazioni
«graduali» indicano il passaggio da quella riservata ai primi, che
«credono perché vedono», a quella rivolta a noi che «non vediamo e
crediamo». In mezzo c’è l’esperienza di Tommaso, che sta tra il primo
e questo terzo modo di presenza del Risorto.
In questo episodio evangelico possiamo riconoscere due parti: la
vera e propria manifestazione del Risorto (vv. 1b-14), incorniciata
dall’espressione ripetuto a 1b e 14 (manifestarsi ai discepoli) ; il
serrato dialogo di 10 battute tra Gesù e Pietro (v. 15-19).
La manifestazione di Gesù Risorto
L’azione del manifestare (in greco phaneróo) significa rendere
chiaro. Suggerisce un uscire dall’oscurità per venire alla luce: Gesù
è ormai sempre presente e «si manifesta così». Questo sarà d’ora
innanzi il suo modo di essere con i suoi discepoli. Mentre noi siamo
nel mare del mondo a compiere l’opera che ci ha affidato, luì è già a
riva, sulla «terra». Da li ci assiste e si manifesta nella Parola che rende
fruttuosa la nostra pesca e nel banchetto che condivide con noi.
Ricostruiamo lo “sfondo” di questa manifestazione, per poi seguire
lo sviluppo delle azioni.
LO “SFONDO” DELLA SCENA.
Dove?
Tale azione di Gesù si compie sul «mare di Tìberiade» ( il nome
pagano della capitale della Galilea, costruita in nome dell’imperatore
Tiberio). Questo incontro con il Risorto non è dunque nel cenacolo,
dove i discepoli hanno ricevuto il pane, lo Spirito e la missione.
Avviene all’aperto, tra i pagani.
A chi?
Ai discepoli che, dopo il dono di Pasqua, sono «insieme». Si parla in
particolare di sette discepoli.
Simon Pietro. Dopo che discepolo e maestro si sono incontrati in
tutti momenti salienti della vicenda terrena di Gesù, l’intreccio del
loro cammino continua anche in questo racconto (cfr. vv. 1-14) e trova
nel finale - come sintesi di tutto il Vangelo - la sua spiegazione (cfr.
vv. 15-24).
Tommaso, detto Didimo. Tommaso si era dichiarato disposto a morire
accanto a Gesù (cfr. 11,16). Nell’ultima cena gli chiede inoltre dove va;
e ottiene la risposta; «lo-Sono la via, la verità e la vita» (cfr. 14,5s).
Riappare nel racconto precedente come l’incredulo che raggiunge la
piena fede, esclamando: «II mio Signore e il mio Dio» (cfr. 20,28).
Natanaele, quello di Cana di Galilea. È il vero israelita che, superando
i suoi dubbi (cfr. 1,46), per primo riconosce Gesù come Figlio di Dio e
re d’Israele (cfr. 1,49).
Quelli dì Zebedeo. Sappiamo dagli altri Vangeli che sono Giacomo
105
V. 7
V. 6
V. 5
V. 4
V. 3
e Giovanni (cfr. Mc 1,1), «l’altro discepolo», quello che Gesù amava,
autore del quarto Vangelo.
Altri due dei suoi discepoli. Chi sono questi due altri discepoli? Inutile
chiederselo, perché sono anonimi. Sappiamo che sono due, principio
di molti. Rappresentano i discepoli che verranno in seguito, chiamati
«altri», come l’altro discepolo, quello che Gesù amava.
Quando?
Di notte, poiché qualunque giorno rimane notte fino a che non si
manifesta la luce del mondo; infatti la notte finisce e viene l’alba
con la presenza di Gesù. Con lui inizia il giorno nuovo (cfr. 20,1), che
dissolve la tenebra in cui si trovano i discepoli
LO SVILUPPO DELLE AZIONI.
Simon Pietro ha un ruolo di preminenza: prende l’iniziativa della pesca (v. 3), si butta nel mare (v. 7b) e tira a riva la rete piena di
pesci, senza che si rompa (v. 11)., Simon Pietro non ordina agli altri
di pescare, per cui gli altri decidono spontaneamente dì andare con
lui. Non sono dei subordinati, ma persone in comunione, per libera
decisione dello Spirito. Questa comunione tra di loro resta però
sterile fino a quando non è comunione con Gesù, L’iniziativa comune
di Pietro e degli altri è infatti senza risultato poichè «il tralcio non può
portare frutto da se stesso se non dimora nella vite, così anche voi,
se non dimorate in me [...]. Chi dimora in me e io in lui fa molto fruito»
(cfr. 15,4s). Lui dimora in noi come noi in lui, se ascoltiamo la sua
parola: «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio
lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di lui» (cfr. 14,23).
Ogni iniziativa apostolica, con tutte le reti e le perizie del mondo, se
non scaturisce dalla comunione con il Signore resta infruttuosa.
Gesù ritto in piedi sulla riva, risorto e vivo, ha compiuto la sua missione, è già arrivato a riva. Da lì è presente ai discepoli che
continuano la sua missione. Ma questa presenza rimane sterile e lui
non è riconosciuto, fino a quando non osservano la sua parola.
Egli si rivolge a loro con un appellativo affettuoso (figlioli) e
li interroga sulla fatica notturna; chiede poi loro del «companatico». Il
«pane» c’è già: è lui, che ha dato se stesso per la vita del mondo. Gesù
aveva promesso ai discepoli che avrebbero compiuto le sue opere e
anche di più grandi (cfr. 14,12), ma alla sua domanda sul risultato
della pesca la loro risposta è un secco «no», pieno di delusione.
Gesù allora ordina di gettare la rete da una parte precisa,
l’unica che può essere feconda di vita. Per questo ci ha dato
un preciso comando, il «suo», offrendoci il potere divino (richiamato
dall’espressione «la parte destra»). Solo l’obbedienza a questo
comando fa dimorare lui in noi e ci dona la sua vita.
Pertanto in obbedienza al «comando» del Signore la loro pesca è
abbondante. Nella rete tirata a terra c’è una «moltitudine» di uomini
salvati dalle acque, una «pienezza» che abbraccia l’umanità intera. È
il molto frutto del tralcio unito alla vite (cfr. 15, 5).
Il discepolo che Gesù amava, colui che conosce l’amore di
Gesù appare ora esplicitamente, sempre vicino e in
106
V. 8
V. 9
VV. 10-11
V. 12
V. 13
V. 15
contrappunto a Pietro. È lui che notifica a Pietro la presenza del
Signore poiché solo l’amore vede. La descrizione della reazione di
Pietro contiene vocaboli altamente evocativi che saranno ripresi nei
vv. 18-19, quando sì dirà che anche Pietro, finalmente, può seguire
Gesù e diventare come lui. Simon Pietro si cinge la veste e si butta
nel mare, come prima era entrato nel sepolcro (cfr. 20,6). Gettarsi in
acqua e risalire, nudità e veste, sono allusioni al battesimo. Simon
Pietro seppellisce il suo passato, affogando presunzioni e colpe,
per risalire a riva e incontrare Gesù. La parola «cingersi» esce nella
lavanda dei piedi, quando Gesù si cinge il panno del servo (cfr.
13,4s).
Mentre Simon Pietro scompare nell’acqua, gli altri vengono con la barca, portando la moltitudine di pesci a terra, la terra
promessa, dove Gesù è già arrivato e i discepoli approdano con il
frutto della loro missione.
Non si dice che essi vedono Gesù, ma brace con pesce e
pane. La brace, evocando il rinnegamento di Pietro (cfr. 18,18), prepara
il seguito della scena. Pesce e pane - c’è una sovrimpressione tra Gesù
e i doni eucaristici -- richiamano il fatto dei pani e dei pesci, quando
Gesù anticipò la sua Pasqua (cfr. 6,9-11). Ora i discepoli capiscono
il suo discorso fatto nella sinagoga di Cafarnao sul pane di vita (cfr.
6,26-59): Gesù è il pane offerto.
La nostra pesca «adesso» è feconda perché abbiamo
ascolato il comando di Gesù. Pietro ora sale dall’acqua dove si è
immerso, come Gesù nel suo battesimo (cfr. Mc 1,10) e tira verso la
vita la grande moltitudine di uomini, simbolizzati dal gran numero di
pesci (153) che riempiono la rete.
Come il discepolo amato (v. 7), ora finalmente anche gli
altri riconoscono il Signore. È il banchetto della nuova alleanza,
che ci salva dal mare dei nostri fallimenti, offrendoci il perdono dei
peccati. Lo riconoscono dall’abbondante frutto dell’obbedienza al
suo comando, che ci fa partecipare attivamente al dono che lui fa di
sé nel suo pasto (cfr. v. 13).
Prima Gesù stava ritto a riva: è il Risorto, già arrivato sulla «terra», tornato al Padre e presente ai fratelli. Ora si dice che viene;
infatti il Risorto viene a noi nell’eucaristia. Egli è «il Veniente», che
di continuo viene a noi nel memoriale del suo amore. L’espressione
richiama il dono dei pani e dei pesci (cfr. 6,11 ). «Prendere il pane e
dare» sono le parole dell’eucaristia, dove riceviamo il pane del cielo
che da vita eterna: chi lo mangia entra in comunione con lui e vive di
lui, come lui del Padre (cfr. 6,48-58). È il compimento in noi del dono
del Figlio.
Il dialogo con Pietro
Terminato il pasto consumato insieme, inizia la seconda parte
del racconto che, dopo la missione e il banchetto eucaristico, tocca il
nodo dei rapporti all’interno della comunità. In questa nuova sezione
si esplicita il rapporto di Pietro con Gesù e con i fratelli (vv. 15-19),
in particolare con l’altro discepolo (vv. 20-23). Si tratta del servizio di
Pietro, della sua sequela e del suo martirio. Il suo ministero è visto in
107
V. 16
stretta regione con l’altro discepolo, quello che Gesù amava.
Abbiamo un dialogo serrato, di dieci battute: tre scambi di tre battute
ciascuno, cui segue l’invito conclusivo di Gesù. Tema è il suo ruolo
di guida e custode dell’unità, già emerso durante la pesca. Dopo
il dialogo, centrato sull’amore, c’è la chiamala a seguire il Pastore
bello che dà la vita per le pecore. Rimane ancora aperta la ferita del
suo triplice rinnegamento, che Gesù aveva predetto (cfr. 13,38); ma
questa non è la parola definitiva poiché i1 suo peccato lo apre a una
storia nuova; lo rende capace di capire il mistero del Signore come
perdono e della debolezza, propria e altrui, come luogo di maggior
amore.
Il primo scambio
Gesù lo chiama con il nome suo e di suo padre, come all’inizio ;
colpiscono queste parole rivolte a Pietro e a ciascuno di noi che le
ascoltiamo poiché fa tenerezza un Dio che si espone e mi chiede: «Mi
ami tu?». Gesù usa la parola agapào, che indica l’amore originario e
gratuito con il quale Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio
(cfr. 3,16), l’amore estremo con il quale Gesù ci ha amati (cfr. 13,1),
che è lo stesso con il quale il Padre ama noi (cfr. 15,9). La risposta
affermativa di Pietro non si fonda sulla sua sicurezza di dare la vita per
Gesù (cfr. 13,37). Si fonda su quanto il Signore sa: gli aveva predetto
la sua defezione (cfr. 13,38), ma pure che lo avrebbe seguito più tardi
(cfr. 13,36b). Pietro non usa la parola di Gesù (agapào), bensì philéo,
che significa essere amico. Non è una semplice variazione stilistica.
Il verbo agapào, come già detto, indica l’amore che dà la vita: origine
di questo amore è solo lui, il Signore. Quando accettiamo che lui
ci lavi i piedi, allora anche noi possiamo amare come lui. Il verbo
philéo aggiunge sfumature di amicizia e reciprocità affettiva, ormai
possibile perché abbiamo accolto il suo amore assoluto.
Pertanto grazie all’esperienza di amore ricevuto, Pietro è associato
alla missione del Pastore bello. Per questo il suo ministero sarà
contrassegnato da perdono e riconciliazione. La sua preminenza non
è nel dominio, ma nel servizio di misericordia e perdono (cfr. 20,2123).
Il secondo scambio
Non basta una volta: la domanda di Gesù sarà ripetuta sem
pre un’altra volta. Gesù infatti ripropone la stessa domanda, tralasciando il «più di costoro». Pietro, nella sua esperienza di tradimento,
è già sufficientemente guarito dalla pretesa di essere meglio degli
altri. Però non è ancora guarito dalla sfiducia che gli impedisce di
amare. Le parole tra Gesù e Simone di Giovanni sono allora un dialogo di guarigione. Il vecchio Simone, tanto generoso e volenteroso
quanto fragile e presuntuoso, viene alla luce come Pietro; diventa
stabile come la Roccia da cui è tratto (cfr. Is 51,1), fratello di colui che
è la Pietra (cfr. 1 Cor 10,4), scartata dai costruttori e diventata pietra
angolare (cfr. Mc 12,10; At 4,11).
Anche la seconda risposta di Pietro è identica alla prima per cui
Gesù ribadisce la sua fiducia in lui. Rispetto al v. 15 c’è «pascola»
invece di «pasci» e «pecore» invece di «agnelli». Pascolare, termine
più ampio di pascere, indica l’azione del pastore che guida il gregge
(cfr. Sal 23). Gesù affida a Pietro piccoli e grandi, agnelli e pecore,
108
V. 17
V. 18
V. 19
perché provveda loro il cibo, guidandoli ai pascoli. Pietro è associato
al servizio di Gesù, senza però sostituirsi a lui. Non gli dice che è
pastore: unico è il Pastore, l’Agnello che ha dato la vita per tutti e a
tutti. Pietro deve condurre il gregge a quel pascolo dove il Signore è
pastore e pastura.
Il terzo scambio
Questa terza volta è sottolineata nella sua diversità dalle
altre e richiama il triplice rinnegamento.Gesù ora lo interroga su ciò
che due volte Pietro ha affermato: è sicuro di essergli amico (philèo)
? Grazie ad esso ha sperimentato il perdono di colui che lo conosce
meglio di quanto lui conosca se stesso, perché lo ama più di se stesso.
Solo allora è sicuro che nulla lo può ormai separare dall’amore di
Dio.
Pietro si contrista al ricordo della sua infedeltà. Eppure proprio questa
è il fondamento del suo «amare di più», come Gesù gli ha chiesto
all’inizio. E’ nella sua infedeltà che sperimenta chi è il Signore, fedele
e misericordioso. Alla fine amplia , rispetto alle due precedenti, la
propria risposta affermativa. Tu, Signore, sai tutto di me (cfr. Sal
139); e io so che sei tu a dare la vita per me, non io per te; tu sai che io
ti rinnego e sai che, nella tua fedeltà a me, anch’io saprò riconoscerti
e amarti.
Per la terza volta allora gli è confermata la fiducia.
Gesù quindi predice a Pietro che ora sarà in grado di seguir
lo e andare dove lui stesso è andato (cfr. 13,36). Il testo è
un contrappunto giovane/vecchio, cingersi/essere cinto, andare/
essere portalo, volere/non volere. C’è una differenza tra il precedente
Simone, che da giovane si cingeva la veste credendo di andare dove
voleva, e il nuovo Simone, che da vecchio sarà cinto della veste da
un altro e sarà portalo dove non vuole. È proprio quello il luogo dove
prima voleva, ma non poteva andare (cfr. 13,36): è lo stesso dove il
suo Signore e Maestro è andato, ponendo la propria vita a servizio
dei fratelli.
L’invito finale di Gesù
Anzitutto interviene il redattore con un suo commento: Gesù ha predetto il martirio del suo discepolo. Come era stato promesso,
la Gloria che il Padre ha dato al Figlio, questi l’ha data ai discepoli
(cfr. 17,22). Ora anche per Pietro l’andarsene dal mondo non sarà più
un morire, ma un glorificare Dio (cfr. 11,4), manifestando in sé il suo
amore (cfr. 12,26-33).
Quindi, come Filippo all’inizio (cfr. 1,43), ora anche Pietro è chiamato
dal Signore a seguirlo. Se prima non poteva (cfr. 13,36), adesso può,
perché nel perdono conosce il suo amore. Pietro non è il pastore
da seguire, ma l’agnello che segue l’Agnello, fino al martirio. Con
la sua testimonianza offrirà ai fratelli il cibo di cui lui stesso si è
nutrito. Seguire Gesù è un’espressione che dice in sintesi tutta la vita
cristiana: si segue chi si ama, per essere con lui e come lui.
109
In sintesi…
Il passo che abbiamo letto ci parla anzitutto della presenza
del Risorto, che è vivo ed operante in mezzo a noi nel segno
eucaristico del pane offerto e spezzato. Egli è la garanzia che la
vocazione e la missione della Chiesa nel mare del mondo non nasce
da une mera iniziativa umana, ma dall’obbedienza alla sua parola che
salva; si tratta di una missione che ha come unico scopo di condurre
gli uomini là dove li vuole l’Agnello-Pastore. Questa sua presenza
tuttavia non può essere riconosciuta da tutti, ma solo dal cuore che
ama e che cerca il Signore; nel contempo ci provoca all’amore poiché
solo chi ama può seguire , come Pietro,l’Agnello-Pastore ovunque
egli vuole.
Per riflettere…
Quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il
Signore!».
Solo l’amore ci rende capaci di riconoscere la presenza di Gesù
Risorto e ci fa attenti alla sua parola. Ne sei convinto? Hai mai
verificato questa verità nelle varie situazioni della tua vita? Quando
hai incontrato qualche momento di prova, percepivi il Signore sempre
presente nella tua vita?
Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il
pesce .
L’Eucarestia è la presenza certa e reale del Signore Risorto in mezzo
a noi. Come vivi la messa domenicale o quotidiana? La prepari o
ti ci accosti con superficialità? Hai con regolarità un momento di
preghiera davanti all’Eucarestia?
Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?
La vocazione e la missione che ciascuno di noi ha nella Chiesa ha
come necessaria premessa questa domanda di Gesù. Senti di essere
anzitutto amato e perdonato e, per questo, chiamato? Oppure pensi
che la vocazione nasca da una tua scelta, dalla presenza di alcune
qualità, dalla ricchezza dei doni che ritrovi nella tua vita?
Per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio.
La disponibilità alla fatica, al sacrificio, a morire a se stessi è necessaria
per chi vuol andare con Gesù e mettersi con lui in un serio cammino
vocazionale. Quanta fatica sei -realisticamente- disposto a fare per
compiere questo percorso?
Seguimi.
L’imperativo di Gesù è di andare con lui ovunque egli voglia condurci.
Sei disposto, nel tuo cammino vocazionale, a lasciarti condurre dove
egli vuole? Le tue scelte quotidiane che cosa dicono?
110
MEDITATIO
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111
oratio
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112
MATTEO 17,1-9
LA PAROLA
1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e
Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto
monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò
come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano
con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore,
è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne,
una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora
parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua
ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è
il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento.
Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a
terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò,
li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi
non videro nessuno, se non Gesù solo.
9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non
parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio
dell’uomo non sia risorto dai morti».
113
Il contesto
V. 5
V. 4
V. 3
V. 2
V. 1
Ci troviamo nella seconda sezione del vangelo matteano (capp. 1428), quando Gesù prende le mosse dalle regioni limitrofe alla Galilea e
percorre la strada verso la città santa, che sarà anche il suo cammino di
manifestazione attraverso la morte e resurrezione.
La scena su cui stiamo meditando è incastonata tra il primo annuncio della
passione (cfr. 16 ,21-23) ed il secondo annuncio (cfr. 17,22-23); entrambi
si concludono con la non comprensione –da parte rispettivamente di
Pietro e dei discepoli- della logica pasquale dell’offerta e della passione
di Gesù. L’episodio richiama poi l’epifania divina che apre la prima
sezione del Vangelo di Matteo, il Battesimo nel fiume Giordano (cfr.
3,13-17), quando i cieli si aprono ed una voce riconosce l’identità filiale
del nazareno.
I personaggi
Gesù (non trsfigurato) prende con sé Pietro e Giacomo e Giovanni
e li porta sul monte. Questi tre discepoli, che ora sentono il Padre che
chiama il Figlio, nel Getsemani sentiranno il Figlio che chiama il Padre
(cfr. 26,37.39). Monte degli Ulivi e Tabor si richiamano a vicenda: qui
l’umanità di Gesù rivela la sua divinità, là la divinità mostra la sua umanità.
Le azioni di Gesù
Secondo il testo greco Gesù compie una «metamorfosi», che
significa cambiar forma, trasformarsi: qui l’umanità assume forma e
splendore divino; lascia trasparire la Gloria del Figlio poiché questa è
la destinazione di ogni uomo nel Figlio dell’uomo che ora brilla come
il sole. La luce è infatti il simbolo più appropriato di Dio; principio di
creazione e conoscenza, fa essere ogni cosa quello che è e la fa vedere
per quello che è. Ma è anche sorgente di gioia, segno dell’amore che
rende luminosi. II Figlio brilla della luce stessa di Dio, primizia della
creazione nuova: come tutto è fatto attraverso lui, in lui e per lui, così
tutto partecipa della sua medesima sorte nella luce (cfr. Col 1,16.12).
Pertanto non solo il nostro spirito, ma anche il nostro corpo e per il
Signore, destinato alla risurrezione (cfr. 1 Cor 6,13s).
Accanto a Gesù (trasfigurato) compaiono Mosè ed Elia che
conversavano con lui. Il mediatore della legge e il padre dei profeti
conversavano con lui. Inoltre Mosè ed Elia non gustarono la morte:
l’uno fu trasportato in ciclo su un carro di fuoco (cfr. 2Re 2,lss); l’altro,
che parlò con Dio faccia a faccia, secondo la tradizione fu rapito da un
suo bacio sulla bocca.
Nell’esclamazione di Pietro, che vuole fermarsi sul monte e fare
tre tende, vediamo come egli abbia colto la bellezza originaria che si
diffonde da Gesù trasfigurato. La legge, data tramite Mosè, è la prima
tenda di Dio tra gli uomini; la profezia, iniziata con Elia, è la seconda
tenda di Dio tra gli uomini; la carne di Gesù e la tenda definitiva di Dio
in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14).
Le azioni del cielo
Di Dio non conosciamo il volto, ma la Parola. La nube luminosa
114
VV. 6-8
V. 9
richiama Dio stesso che guidò Israele nel deserto (cfr. Es 14,20) ed è
segno della sua presenza (cfr. Es 19,16; 24,15s;). La manifestazione
di Dio è sempre oscura per eccesso di luce accecante -quasi che
rivelandosi Dio sì veli, e velandosi si riveli, come sulla croce. La nube
inoltre è principio di vita: la pioggia è benedizione e fecondità.
Da questa nube esce una voce eloquente.
Questi. È l’uomo Gesù, che Pietro ha riconosciuto come
il Cristo e il Figlio di Dio, ma non ancora come il Figlio dell’uomo
sofferente.
E’ il Figlio mio. Richiama il salmo 2,7, che parla
dell’intronizzazione regale. Gesù, che va a Gerusalemme e sarà
crocifisso, è il Messia, il Figlio del Dio vivente.
L’amato. Richiama il sacrificio di Isacco (cfr. Gen 22,2.12.16).
Gesù è il Figlio in quanto sarà sacrificato: conoscendo l’amore del
Padre, darà la vita per i fratelli.
In cui mi compiacqui . Richiama il Servo di JHWH (cfr. Is
42,1). Il Padre riconosce Gesù come Figlio, proprio perché si fa servo
dei fratelli.
Ascoltate lui! Gesù è lui stesso la Parola fatta carne, volto
del Padre rivolto ai fratelli; chi ascolta lui diventa come lui, figlio.
Epilogo
Cosa sia la trasfigurazione, è difficile descriverlo, anche per
i discepoli che l’hanno vista e che, storditi dall’eccesso del divino,
cadono a terra e devono essere risvegliati da Gesù. Due cose però
sono chiare: il fine e il principio. Il fine è dire: «È bello per noi essere
qui!». Il principio è: «Ascoltate lui». Chi ascolta Gesù, diventa come
lui, l’albero buono che fa il frutto buono (cfr. 7,18). L’ascolto della sua
parola è l’accoglienza del seme, che cresce in noi e ci genera secondo
la sua specie; la trasfigurazione pertanto comincia quando, invece
di pensare e ascoltare noi stessi, ascoltiamo lui e pensiamo a lui.
È la morte dell’uomo vecchio e la nascita dell’uomo nuovo; questo
ascolto fa passare dalle opere della carne al frutto dello Spirito.
Una cosa però è certa: prima che Gesù sia «risvegliato dai
morti», i discepoli non possono parlare della trasfigurazione. La
Gloria infatti resta segreta prima della croce (cfr. 16,28), che a sua
volta è incomprensibile prima della risurrezione.
In sintesi
Il Mistero della trasfigurazione del Signore, collegato
alla divina manifestazione del Battesimo ed alla Pasqua di morte
e risurrezione, ci dice due verità; da un lato il destino della nostra
esistenza è partecipare con la totalità della nostra persona (il nostro
corpo, la nostra storia) alla vita luminosa e senza fine che Gesù risorto
ha preparato per noi in Paradiso; dall’altro questo destino di gloria,
che pure si intravede nella storia, per fiorire deve passare attraverso
l’oscurità della croce.
115
Per riflettere…
Li condusse in disparte, su un alto monte.
Gesù ci invita all’intimità con lui per rivelare chi egli sia realmente
e quale destino ci attende. Coltivi una vera intimità con Gesù, in cui
egli ti parla e ti fa scoprire i doni che ha preparato per te? Oppure la
tua preghiera e la tua frequentazione eucaristica è superficiale e non
dà un vero contatto con Cristo?
Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio
compiacimento.
Ascoltatelo Il Padre vuole che ascoltiamo Gesù poiché il suo corpo,
la sua storia, sono la manifestazione di Dio nella vicenda umana. A
che punto sei nell’ascolto della Parola di Dio? E’ per te una pratica
regolare? Ti fai aiutare da qualcuno per impararla lectio divina?
Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio
dell’uomo non sia risorto dai morti.
Il mistero di Cristo si comprende solo a partire dall’oscurità della
sua morte in cui brilla la luce della risurrezione. Sei disponibile a
prendere la tua croce quotidiana? Nei momenti di fatica (o addirittura
di oscurità) perseveri nella fede o vacilli? Hai mai sperimentato
nella tua vita come la croce sia sempre seguita da un momento di
risurrezione, di pace, di comprensione maggiore dell’amore di Dio
per te?
Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre
capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia.
Nella Chiesa esiste una forma di vita (quella consacrata secondo
i voti di obbedienza, povertà e castità) che è testimonianza qui ed
ora della luce della Pasqua: una vita crocifissa con Cristo (nel dono
totale di sé) per far vedere ai fratelli la bellezza dell’appartenere a
lui e dell’essere in intimità con lui. Come senti questo forma di vita
rispetto alla tua persona? E’ una cosa del tutto estranea o pensi che
potrebbe corrisponderti?
116
MEDITATIO
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117
oratio
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118
L’ARROGANTE IPOCONDRIA DEI SUV
provocazione
oggi
Riservarsi degli spazi, rilassanti, ma anche
emozionanti, rassicuranti, ma anche elettrizzanti:
così si vive. Vivere è attraversare il proprio spazio e il proprio
tempo a bordo di un SUV che non debba mai fare strada,
ma sappia piuttosto farsi largo, con sicura arroganza.
Il vangelo proprio non ci sta, con un simile modello di vita:
il Figlio di Dio non ha cercato emozioni, e non ha fuggito il
pericolo; ha fatto con ferma mitezza la volontà del Padre, e
ci ha salvati, abbassando il capo nella più nera umiliazione
e alzando imperiosamente la voce in favore degli ultimi, a
prezzo della sua reputazione e della sua vita.
La vocazione non è un mezzo con il quale sfrecciare nella
vita per soddisfare le proprie ambizioni o placare le proprie
paure; vocazione è abitare con semplicità l’amore di Dio,
che nel suo dono ci rende capaci di donare con umile
coraggio la nostra vita agli altri.
[I SUV] questi mostri paramilitari assetati di benzina impropriamente definiti sport utility vehicles hanno
raggiunto il 45 per cento delle vendite di automobili negli
Stati Uniti e sono stati arruolati nella vita urbana quotidiana
come “capsule difensive”. Il SUV è un significante di incolumità che viene presentato nella pubblicità (al pari delle
comunità recintate dove più facilmente lo si vede circolare)
come un veicolo inattaccabile dalla vita urbana, rischiosa e
imprevedibile, là fuori […]. Veicoli come questi sembrano
placare la paura che avvertono le classi medie urbane quando si spostano - o stanno in coda nel traffico - nelle “loro”
città. […] [Il SUV] presuppone e insinua, nemmeno troppo
velatamente, che la città è un campo di battaglia e una giungla da conquistare e da cui, al tempo stesso, fuggire (Z.
BAUMAN, Paura liquida, Laterza, Roma-Bari 2008, 179).
119
Introduzione metodologica
La sicurezza vocazionale
per il discernimento
Nel cammino di discernimento della volontà di Dio
vi è un momento in cui c’è bisogno di orientarsi,
di scegliere, di aderire. In questa tappa il rischio
è duplice: quello degli “assaggi”, provo questo o
quello sino a quando mi pare di “stare bene”, o
quello di “rimandare” cercando continue sicurezze per il
viaggio della vita. Don Bosco sposta la nostra attenzione
ulteriormente chiedendo di strare dentro la sua casa ma
cercando solo nel progetto di Dio la nostra sicurezza.
A D. Rua ed agli altri miei amati figli di S. Francesco
abitanti in Torino.
La nostra Società sarà forse tra non molto definitivamente
approvata e perciò io avrei bisogno di parlare ai miei amati
figli con frequenza. La qual cosa non potendo fare sempre
di persona procurerò almeno di farlo per lettera. Comincerò
adunque dal dire qualche cosa intorno allo scopo generale
della Società e poi passeremo a parlare altra volta delle
osservanze particolari della medesima. Primo oggetto della
nostra Società è la santificazione dei suoi membri. Perciò
ognuno nella sua entrata si spogli di ogni altro pensiero,
di ogni altra sollecitudine. Chi ci entrasse per godere una
vita tranquilla, aver comodità a proseguir gli studii, liberarsi
dai comandi dei genitori, od esimersi dall’obbedienza di
qualche Superiore, egli avrebbe un fine storto e non sarebbe
più quel sequere me del Salvatore, giacchè seguirebbe la
propria utilità temporale, non il bene dell’anima. Gli Apostoli
furono lodati dal Salvatore e venne loro promesso un regno
eterno, non perchè abbandonarono il mondo, ma perchè
abbandonandolo si professavano pronti a seguirlo nelle
tribolazioni; come avvenne di fatto, consumando la loro vita
nelle fatiche, nella penitenza e nei patimenti, sostenendo in
fine il martirio per la fede. Nemmeno con buon fine entra
o rimane nella Società chi è persuaso di essere necessario
alla medesima. Ognuno se lo imprima bene in mente e nel
cuore: cominciando dal Superiore Generale fino all’ultimo
dei socii, niuno è necessario nella Società. Dio solo ne deve
essere il capo, il padrone assolutamente necessario. Perciò
i membri di essa devono rivolgersi al loro capo, al loro vero
padrone, al rimuneratore, a Dio, e per amor di lui ognuno
deve farsi inscrivere nella Società, per amor di Lui lavorare,
ubbidire, abbandonare quanto si possedeva al mondo per
poter dire in fine della vita al Salvatore, che abbiamo scelto
per modello: Ecce nos reliquimus omnia et secuti sumus
te; quid ergo erit nobis? Mentre poi diciamo che ognuno
deve entrare in Società guidato dal solo desiderio di servire
120
a Dio con maggior perfezione e di fare del bene a se stesso,
s’intende fare a se stesso il vero bene, bene spirituale ed
eterno. Chi si cerca una vita comoda, una vita agiata, non
entra con buon fine nella nostra Società. Noi mettiamo per
base la parola del Salvatore che dice: “ Chi vuole essere mio
discepolo, vada a vendere quanto possiede nel mondo, lo
dia ai poveri e mi segua. ” Ma dove andare, dove seguirlo, se
non aveva un palmo di terra ove riporre lo stanco suo capo?
“ Chi vuol farsi mio discepolo, dice il Salvatore, mi segua
colla preghiera, colla penitenza e specialmente rinneghi
se stesso, tolga la croce delle quotidiane tribolazioni e mi
segua. Abneget semetipsum tollat crucem suam quotidie,
et sequatur me. ” Ma fino a quando seguirlo? Fino alla
morte e, se fosse mestieri, anche ad una morte di croce.
Ciò è quanto nella nostra Società fa colui che logora le
sue forze nel sacro ministero, nell’insegnamento od altro
esercizio sacerdotale, fino ad una morte eziandio violenta
di carcere, di esiglio, di ferro, di acqua, di fuoco, fino a tanto
che dopo aver patito, ed esser morto con Gesù Cristo sopra
la terra, possa andare a godere con Lui in Cielo.
Questo sembrami il senso di quelle parole di S. Paolo che
dice a tutti i cristiani: Qui vult gaudere cum Christo, oportet
pati cum Christo. Entrato un socio con queste buone disposizioni deve mostrarsi senza pretese ed accogliere con
piacere qualsiasi ufficio gli possa essere affidato. Insegnamento, studio, lavoro, predicazione, confessione in chiesa,
fuori di chiesa, le più basse occupazioni devono assumersi
con ilarità e prontezza d’animo, perché Dio non guarda la
qualità dell’impiego, ma guarda il fine di chi lo copre. Quindi
tutti gli uffizii sono egualmente nobili, perché egualmente
meritorii agli occhi di Dio. Miei cari figliuoli, abbiate fiducia
nei vostri superiori: essi devono rendere stretto conto a Dio
delle vostre opere; perciò essi studiano la vostra capacità,
le vostre propensioni e ne dispongono in modo compatibile
colle vostre forze, ma sempre come loro sembra tornare
di maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime. Oh! se i
nostri fratelli entreranno in Società con queste disposizioni,
le nostre Case diventeranno certamente un paradiso terrestre. Regnerà la pace e la concordia tra gli individui di ogni
famiglia, e la carità sarà la veste quotidiana di chi comanda,
l’ubbidienza ed il rispetto precederanno i passi, le opere e
perfino i pensieri dei Superiori. Si avrà insomma una famiglia di fratelli intorno al loro padre, per promuovere la gloria
di Dio sopra la terra, per andare poi un giorno ad amarlo e
lodarlo nell’immensa gloria dei beati in Cielo.
Dio ricolmi voi e le vostre fatiche di benedizioni e la Grazia
del Signore santifichi le vostre azioni e vi aiuti a perseverare
nel bene.
Torino, 9 giugno 1867, giorno di Pentecoste.
Aff.mo in G. C. Sac. Bosco GIOVANNI.
(MB VIII, 829-831)
121
un libro
tre passi
Il giovedì 21, D. Bosco, dopo che i chierici ebbero recitati
alcuni versicoli del nuovo testamento disse loro:
- Se vuoi essere vero figlio di D. Bosco, bisogna che ricordi
tu non essere più per la famiglia e per gli interessi materiali,
ma di Dio e per Iddio: bisogna che lasci tua, tuos et te, i beni
di questa terra, i parenti e quindi te stesso. Chi si sente di
far questo è il più felice in questo mondo; egli sarà discepolo di Gesù Cristo, vero figlio di Dio. Iddio sopra di lui verserà
le sue grazie, e gli riempirà il cuore del suo divino amore.
Quindi in conferma di ciò raccontava la visione che ebbe S.
Teresa, la quale aveva lungamente pregato il Signore che
la riempisse del suo amore. Ella vide un sacco, che conteneva metà terra, e metà oro. La Santa corse subito per
vedere se poteva prendere dell’oro, ma non trovava modo
se non coll’aprire la bocca del sacco e toglier prima la terra.
Si mette adunque a togliervi la terra e di mano in mano che
la terra se n’andava, l’oro veniva ad occupare il posto. Allora
comprese che se voleva avere il suo cuore pieno dell’amor
di Dio, doveva bandirne ogni terreno pensiero ed affetto.
- Così, soggiunse, devono fare tutti i cristiani e specialmente quelli, e diciamolo noi che siamo chiamati ad uno stato
tanto sublime.
(MB VI, 1060)
1 Fai una attenta verifica del cammino dell’anno
fra progettazione – formazione e incidenza sul tuo
quotidiano?
2 Quali sono le dinamiche che ti legano ancora al tuo io e
quali sicurezze ancora cerchi?
3 Quale salto di qualità pensi di mettere in atto come scelta
al termine di questo percorso?
Per l’approfondimento ti suggeriamo come
testo per il mese: Alberto Marvelli. “Diario e
lettere”. Edizione S. Paolo
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