edito da Associazione Culturale www.quintaparete.it Anno III - n. 1 - Gennaio 2012 Intervista Giovanni Allevi Abbiamo incontrato il pianista e compositore marchigiano al Teatro Salieri di Legnago Arte La Tour a Milano Viaggi Tutti in Cambogia Ancora pochi giorni per visitare la mostra dedicata al “Caravaggio francese” Esploriamo il poco noto paese indocinese, ricchissimo di cultura storica e culinaria Progettazione e realizzazione web Realizzazione software aziendali Web mail - Account di posta Via Leida, 8 37135 - Verona - Tel. 045 8213 434 www.ewakesolutions.it G R A F I C la tua immagine realizzazioni grafiche | fotoritocco | stampa su gadget (penne - magliette - borse) stampa digitale | cartelloni | calendari | pieghevoli (qualsiasi forma - dimensione e supporto) biglietti da visita | buste | carta intestata | etichette | adesivi interni ed esterni idee regalo | impaginazione e stampa libri | brochure | listini - Emme2Grafica di Martina Maiutto Via della Cooperazione, 12/d | 37024 Arbizzano di Negrar (VR) 045 8065044 - 327 3285075 emme2grafica.com | [email protected] A Anno III - n. 1 - Gennaio 2012 in questo numero www.quintaparete.it Edito da Associazione Culturale Quinta Parete - Verona Via Vasco de Gama 13 37024 Arbizzano di Negrar, Verona Intervista pag. 6 Eventi/musica pag. 8 Teatro/agenda pag. 12 Arte pag. 16 Cinema pag. 24 Libri/giochi di ruolo pag. 26 Società pag. 30 Viaggi/animali pag. 32 Cucina pag. 40 Sport pag. 42 Direttore responsabile Federico Martinelli Coordinatore editoriale Silvano Tommasoli Assistente di redazione Stefano Campostrini Hanno collaborato Daniele Adami Paolo Antonelli Valentina Bazzani Anna Chiara Bozza Stefano Campostrini Francesco Fontana Michele Fontana Valeria Giarola Agnese Ligossi Lorenzo Magnabosco Federico Martinelli Ernesto Pavan Alice Perini Silvano Tommasoli Realizzazione grafica Stefano Campostrini Autorizzazione del Tribunale di Verona del 26 novembre 2008 Registro stampa n° 1821 contatti [email protected] [email protected] Tel. direzione: 349 61 71 250 www.quintaparete.it Magico Teatro Il Piccolo 18 Febbraio 2012 - ore 16.00 12 Novembre 2011 - ore 16.00 Teatro Stabile di Verona Tutti insieme con Romeo e Giulietta con Roberto Petruzzelli 3-10 anni 26 Novembre 2011 - ore 16.00 Linda Di Giacomo Tirami sù! Storia tragicomica di fanciulle, trecce, streghe, principi torri e ortaggi 3-10 anni 21 Gennaio 2012 - ore 16.00 Viva Opera Circus Il giro del mondo in tante fiabe con Gianni Franceschini 5-10 anni 4 Febbraio 2012 - ore 16.00 Teatro Stabile di Verona Il Ponte dei colori con Andrea De Manincor e Sabrina Modenini 6-12 anni Piccolo Teatro di Giulietta (Foyer del Teatro Nuovo) Ingresso dal Teatro Nuovo - Piazza Viviani 10 - Verona Biglietti € 5 in vendita presso: Teatro Nuovo - Piazza Viviani 10 - Verona dal lunedì al venerdì ore 15.30-20.00 Per informazioni: Teatro Stabile di Verona - Tel. 045.8006100 [email protected] www.teatrostabileverona.it C’era due volte il barone Lamberto con F. Botti e M. Segalina 6-10 anni 10 Marzo 2012 - ore 16.00 IΩ` Teatro - Ass. Armilla Baci azzurri e giocattoli di forme poderose di Rosanna Sfragara e Jutta Wernicke-Sazunkewitsch 6-10 anni In ricordo di... Gennaio 2012 È la stampa, bellezza di Silvano Tommasoli Addio a Giorgio Bocca, una delle più grandi firme del Novecento Era la stampa, bellezza! Impossibile misurare la “statura” di un giornalista. Se ci riferissimo alla fluidità della prosa, alla perfezione grammaticale e sintattica del linguaggio, al crescendo della tensione narrativa, alla forza immaginativa del racconto e alla capacità di emozionare il lettore, allora, ragazzi, dopo la morte di Dino Buzzati potremmo starcene tutti a casa. Senza togliere niente a nessuno, si capisce. Ma Buzzati è stato davvero il più grande. Già li sento, i miei dodici lettori: ma ti sembra l’attacco giusto per il coccodrillo di un grande del giornalismo italiano? Vuoi celebrare Giorgio Bocca, ed esalti Buzzati? brava già di farlo perché lo desideravo moltissimo e la faccia di bronzo non mi difettava, e sono rimasto ad ascoltarlo. Qualcuno, quella domanda che avrei voluto fargli io, gliel’ha rivolta davvero. Non ricordo le parole esatte, ma rispose – rivendicando la sua assoluta correttezza – di aver scritto di quelle automobili le cose che pensava realmente. In fondo non era importante chi le producesse, quelle automobili. Ma che fossero raccontate onestamente. Per campare, tutti ci vendiamo ogni giorno al “padrone” di turno. Basta farlo coerentemente, con onestà morale e intellettuale. Uscii pensando che Bocca aveva proprio ragione. Lui avrebbe fatto così. Per quella onestà morale e intellettuale che è sempre stata la sua cifra. L’ho incontrato una volta sola – nel senso che io ho incontrato lui, mentre lui non si è nemmeno accorto di aver incontrato me – nei primissimi Anni Settanta. All’inaugurazione di un Salone dell’Automobile a Torino, fu presentato un volume della Pininfarina con alcuni testi di Giorgio Bocca. Ma come, proprio lui si è venduto al Padrone? (Vorrei solo ricordarvi che, in quell’ultimo terzo di secolo, Torino era una città di frontiera. Dominava la FIAT, Agnelli era “il Padrone”, e tutti noi giovani eravamo “contro”. Contro, e basta. Anzi, contro tout court, che era proprio una locuzione avverbiale squisitamente di sinistra, allora). Mi sono intrufolato a quella presentazione stampa, che ancora non scrivevo ma mi sem- Era di estrazione popolare, e gli piaceva ricordarlo. Come cronista, ha raccontato una realtà cruda senza ricorrere a toni poetici per mascherare, per nascondere qualche verità scomoda, come quelle in cui ci s’imbatteva troppo spesso, nella prima Italia del dopo Mussolini. Era stato orgogliosamente partigiano, e questo gli dava la forza di affrontare le storie dei potenti, politici o industriali che fossero, senza il più piccolo tentennamento. Ha partecipato alla grande epopea del giornalismo d’inchiesta del “Giorno”, raccontando da par suo «le grandi migrazioni, la corsa al benessere, l’incontro tra cattolici e socialisti, la riforma nella Chiesa Cattolica». Sempre con i suoi modi bruschi, ma leali. Come quando, al ritorno da uno dei suoi viaggi da inviato di guerra nel Vietnam, durante un dibattito alla Statale di Milano raccontò quello che aveva veramente visto, la guerra com’era senza fronzoli e senza orpelli. Onesto. Dovette intervenire Mario Capanna per evitargli problemi con gli studenti, che volevano vedere «come una guerra di classe, dei poveri contro i ricchi, quella che era una guerra tra grandi potenze, l’Unione Sovietica e la Cina contro l’America capitalista». Allo stesso modo, Giorgio Bocca non ha mai nascosto la sua delusione per il ’68 e seguenti, che gli sembravano «anni di risacca e delusione, dopo la guerra partigiana». E anche qui, a forza di essere onesto, ci ha visto giusto. Lucidissimo e pungente, scrisse che «i giovani del movimento [vanno] in giro vestiti da rivoluzionari, cosa che un rivoluzionario vero non fa mai per non essere riconosciuto dai carabinieri». Dopo Buzzati e Montanelli, e dopo Biagi, perdiamo anche quest’altro gigante del nostro giornalismo. Ma sembra che adesso, per giornalisti che dicono pane al pane e vino al vino, con coraggio e onest������������ à����������� (e, a volte, con una scrittura spigolosa e per niente accondiscendente) non ci sia più posto. Come se non servissero più, con il loro rigore morale professionale. Ma ne siamo davvero sicuri? 5 6 Intervista Gennaio 2012 Ho cercato di diventare qualcuno di Valentina Bazzani Intervista al Maestro, musicista e uomo Una chiacchierata con Giovanni Allevi Venerdì 25 novembre abbiamo incontrato e intervistato Giovanni Allevi al Teatro Salieri di Legnago (VR). Riconosciuto e apprezzato a livello internazionale, il maestro Allevi spicca nel panorama musicale anche per la sua sensibilità, per la purezza con cui si rapporta al mondo e per l’originalità della sua persona, espresse sia nelle sue composizioni che nei suoi libri. Attualmente sta presentando l’Alien World Tour nei maggiori teatri del mondo con grande successo. Il nome “ALIEN” è tratto dal suo ultimo cd che ripropone il suo sentirsi Alieno in questa società. Chi è Giovanni Allevi nella vita di tutti i giorni? è esattamente quello che vedi sul palco: una specie di giovane, un po’ esaurito e ansioso che ha passato tutta la vita sui libri e che attraverso la musica riesce, forse, a liberare tutto un mondo compresso che ha dentro. Cosa rappresenta per te il successo? Il successo mi ha portato quest’ansia. Suonare è quello che più mi piace fare nella vita; se poi ci sono poche persone non importa, sono felice di scrivere e far ascoltare la mia musica ugualmente. Tutti possiamo avere successo facendo quello che ci fa stare bene. Prima di salire sul palco, per combattere la mia preoccupazione mi ripeto: «Evviva l’errore, evviva la fragilità!». Dobbiamo difendere l’essere umano così com’è. Come sei veramente? E’ poco romantica la spiegazione. Stavo studiando la “Scolastica” di Tom- maso D’Aquino: “Dio crea il mondo e proprio perché lo crea lo conosce. Mettendolo in scena mette in atto il più grande gesto d’amore che esista”. Quindi sono giunto alla riflessione che Amare coincide con il conoscere. Chi ama vede l’altro così com’è veramente; Dio lo ha fatto con il mondo. Più conosci una cosa e la accetti con i suoi limiti, più ne sei innamorato. La musica è passione, è amore… e quindi è inevitabile un legame con la sofferenza. Che rapporto lega pathos, musica e sofferenza secondo te? Più siamo vicini alla sofferenza, più siamo in contatto con le nostre lacerazioni profonde e le nostre paranoie e più siamo in grado di creare qualcosa di comunicativo. Negli ultimi tempi ci siamo avvicinati al nocciolo dell’essere umano, che non è perfetto. Se noi riuscissimo a comunicare questa imperfezione allora riusciremmo a toccare veramente il cuore dell’altra persona, ad avvicinarci in modo autentico all’altro. Quali sono i valori più importanti che vuoi condividere con i giovani? Inseguire il proprio sogno. Viviamo in un mondo dove tutti ci mettono ansia ma quando fai le cose con il cuore, l’universo inizia a tramare in tuo favore. Prima di tutto devi capire qual è il tuo desiderio, devi guardarti dentro. La trascendenza è un legame intimo verso un altro infinito. Secondo te, la musica può rappresentare un ponte per fare un salto verso questo “altro”? Deve! La Musica deve ricordarci che siamo tutti schegge di Paradiso cadute sulla terra, e lì dobbiamo tornare! L’Arte ha questa capacità, portarci su un baratro, sublime, oltre il quale si estende una trascendenza. In una società di Swarovski che classifica le persone in base a schemi definiti in cui, chi non appartiene a questi canoni viene spesso emarginato, cos’ è secondo te la diversità? Evviva chi è emarginato! La nostra fragilità è molto spesso la nostra forza. In una società dove tutte le pecore vanno tutte in una direzione chi è in Intervista Gennaio 2012 Ho cercato di diventare qualcuno grado di indicare un’altra direzione? Una delle tante pecore che seguono la massa? Non penso proprio! Solo chi sta da una parte, che si sente inadeguato e percorre un’altra strada rispetto alla massa. Questa pecorella secondo me è già predisposta a vedere le cose in un’altra prospettiva. Cosa ha rappresentato per te la partecipazione alla maratona televisiva di Telethon lo scorso anno? Credi nella ricerca? Secondo te cosa possiamo aspettarci dalla scienza? Mi piacerebbe maggiore collaborazione tra gli scienziati perché sono convinto che la scienza rappresenti una potenza sovranazionale. Pensa che bello se tutte queste menti geniali potessero incontrarsi per superare tutti i voyeurismi e i particolarismi. Si verificherebbe sicuramente un balzo di qualità e un passo in avanti per la conoscenza. Io sono fiducioso, secondo me questo momento è vicino. Il tuo sogno più grande in questo momento. E’ essere qui vicino a te. In questi anni ho cercato di liberarmi del peso del passato e del futuro, per vivere fino in fondo il presente che ci viene regalato. 7 8 Eventi Gennaio 2012 Verso l’infinito e oltre di Francesco Fontana Attesi Raphael Gualazzi, Remo Anzovino Trio, Rocco Papaleo e Roberto Cacciapaglia Musica e comicità con Eventi Verona Pietropaoli e Francesco Bearzatti. Il Remo Anzovino Trio, che punta molto sull’impatto delle proprie esibizioni dal vivo, ha tra le sue caratteristiche l’incontro tra generi diversi, dal classico al rock, dal jazz al popolare, sfuggendo a ognuna di queste etichettature. Raphael Gualazzi prosegue il suo tour ricco di grandi successi. Dopo aver toccato varie mete europee, con concerti in Francia, Svizzera e Germania, torna in Italia, precisamente al Teatro Filarmonico di Verona, la sera del 23 gennaio. Il live è una sorta di anticipazione del nuovo spettacolo con il quale il cantante e pianista approderà, tra i mesi di gennaio e febbraio, nei più importanti teatri italiani. Raphael Gualazzi sul palco sarà accompagnato da: Christian Chicco Marini (batteria e percussioni), Alex Gorbi (contrabbasso), Luigi Faggi Grigioni (tromba e flicorno), Max Valentini (sax baritono e contralto), Enrico Benvenuti (sax tenore) e Giuseppe Conte (chitarra). Nei negozi è inoltre disponibile “Reality and Fantasy Special Edition”, l’album ispirato al precedente “Reality and Fantasy”, con l’aggiunta di cinque inediti e un dvd. Al Teatro Camploy di Verona, invece, il 27 gennaio arriva il Remo Anzovino Trio, gruppo strumentale italiano rivelazione che ad oggi van- Sempre al Teatro Camploy cambia decisamente lo scenario lunedì 30 gennaio con l’appuntamento con il celebre attore comico di cinema e teatro Rocco Papaleo. Lo spettacolo, dal curioso titolo “Una piccola impresa meridionale”, è una sorta di esperimento teatrale caratterizzato dall’incontro tra canzone, narrazione, presentazione di personaggi e racconto di storielle divertenti. ta svariate partecipazioni a prestigiosi festival nazionali ed europei. Composto da Remo Anzovino (pianoforte), Marco Anzovino (chitarre) e Gianni Fassetta (fisarmonica), il trio proporrà sul palco una selezione dei migliori brani tratti dai tre album prodotti: “Dispari” (2006), “Tabù” (2008) e l’ultimo spettacolare “Igloo”, nel quale si possono apprezzare collaborazioni con grandissimi artisti italiani di livello internazionale come Franz Di Cioccio, Gabriele Mirabassi, Enzo Mercoledì 1 febbraio è invece atteso al Teatro Camploy Roberto Cacciapaglia. Il pianista, dopo la pubblicazione di “Live From Milan”, un doppio cd con dvd in vendita nei negozi dallo scorso 15 novembre, torna sul palcoscenico riproponendo alcune delle sue composizioni più apprezzate, accompagnato da Gianpiero Dionigi alla postazione elettronica e Yuriko Mikami al violoncello. In alto Raphael Gualazzi, al centro Rocco Papaleo e qui sopra Roberto Cacciapaglia Eventi Gennaio 2012 Verso l’infinito e oltre di Francesco Fontana Grandi appuntamenti con il teatro, il musical, la musica leggera e la danza Gennaio con Zed Live Al Gran Teatro Geox di Padova il 15 gennaio andrà in scena il musical Heidi. La vicenda, conosciuta al grande pubblico soprattutto per i cartoni animati e la serie televisiva, è qui riadattata al contesto teatrale, mantenendo a tratti una certa fedeltà al romanzo e distaccandosi quando necessario. Nel cast saranno presenti dieci attori, cantanti e ballerini. Interessante appuntamento, sempre nello splendido contesto del Gran Teatro Geox, la sera del 20 gennaio con Sogno di una notte di mezza estate. La celebre opera di William Shakespeare è proposta nell’originale e suggestiva rilettura effettuata da parte del comico Gioele Dix, regista dello spettacolo. Protagonisti sul palco saranno infatti attori comici emergenti e già affermati, con l’accompagnamento della musica. Il 21 gennaio al Gran Teatro Geox sarà la volta del musical intitolato L’Arca di Giada. Quella raccontata sul palcoscenico è una storia d’amore carica di mistero, ambientata nel medioevo. Ad arricchire lo scenario ci saranno le proiezioni tridimensionali che renderanno possibile una suggestiva interazione tra attori e animazioni. Saranno sul palco circa trenta elementi tra attori, cantanti, ballerini e acrobati. Il 22 gennaio sarà invece protagonista il comico Enrico Brignano che, alla Zoppas Arena di Conegliano, si esibirà in uno spettacolo che racconta con comicità la nostra attualità. Il 24 e 25 gennaio saranno sul palco del Gran Teatro Geox i Tap Dogs. La Compagnia australiana, che ha nel suo curriculum molti premi internazionali, sarà protagonista di un’esibizione, che tra danza e acrobazie, si prospetta unica nel suo genere. Sempre nello stesso contesto, serata musicale il 27 gennaio, data nella quale è atteso il cantante Michele Zarrillo. Appuntamento da non perdere al Gran Teatro Geox il 28 gennaio con The Musical Box plays Genesis. La band The Musical Box mette in scena “The Lamb Lies Down On Broadway”, uno dei capolavori assoluti del gruppo dei Genesis. A cercare di riprodurre sul palco le ambientazioni tipiche del gruppo britannico saranno i protagonisti del progetto Musical Box: Denis Gagne, Mark Laflamme, Sebastien Lamothe, Francois Gagnon e Dave Myers. Nello stesso contesto, la sera successiva, ad intrattenere il pubblico sarà lo show Sonics in Meraviglia. Il gruppo dei Sonics, fondato da Alessandro Pietrolini e Ileana Prudente, arriva quindi anche a teatro, con uno spettacolo che tra danza e giochi di luci è capace di suggerire immagini da sogno e di trasportare lo spettatore in una suggestiva favola. In alto Gioele Dix, a sx Enrico Brignano e in basso una scena dello spettacolo dei Tap Dogs 9 10 Musica Gennaio 2012 Verso l’infinito e oltre di Agnese Ligossi Nuovo disco e nuovi suoni per la caleidoscopica musicista inglese 50 Words for Snow: l’inverno misterioso e magico di Kate Bush Kate Bush è Kate Bush. Non è un’ovvietà tautologica ma l’assioma di partenza per riuscire a capire un’artista funambolica, una fata della musica imprevedibile che non si adagia mai in suoni comodi. Nel bene e nel male. Perché, com’è già stato scritto in un autorevole sito di musica, la cantante inglese da sem- pre passeggia sul filo del rasoio tra il sublime e il ridicolo, ondeggiando pericolosamente da una parte all’altra senza soluzione di continuità. Ecco quindi che perle preziose come Wuthering Heights, The Kick Inside e England My Lionheart si ritrovano a convivere con pezzi dal gusto discutibile come Oh To Be In Love o l’arrangiamento pop anni ‘80 di Running Up That Hill; per non parlare dell’aspetto video, che da solo meriterebbe un articolo intero. La sensazione che questo oscillare tra genio e grottesco dà è di un’artista che non si rende pienamente conto del suo talento – riesce ad intuirlo ma non sa di preciso che forma dargli e spesso prende strade che le fanno perdere la tramontana invece che portarla vicino alla soluzione, come quella della ricerca estenuante di un’arte totale in cui unire musica, teatro, danza e arte visiva. Certo, ora Kate Bush non è più la ventenne pop appena scoperta da David Gilmour ma una vera lady della musica, le sue scelte artistiche si sono fatte più mature e varie; eppure il suo fiuto tuttora la inganna, sviando a tratti la sua voglia di sperimentazione su terreni scivolosi. Non fa eccezione neanche un concept album così magico e intimo come “50 Words for Snow”, uscito lo scorso novembre appena in tempo per fare da colonna sonora al nostro inverno. Il titolo proviene dalla leggenda (falsa ma comunque affascinante) delle cinquanta parole diverse che gli eschimesi usano per indicare la neve e Kate Bush usa altrettanti espedienti per descriverla, mescolando pianismo classico, minimalismo, jazz e, soprattutto, vocalità inusuali. Come la voce del giovanissimo figlio Bertie nel pezzo di apertura, Snowflake, in cui il ragazzo interpreta il ruolo di un fiocco di neve che cade danzando e si augura che qualcuno riesca a sentirlo in mezzo al frastuono del mondo. Un pianoforte costante e sommesso mescolato a percussioni ovattate fa da sfondo a questa voce bianca ancora incerta che oscilla tra parlato e acuti di cristallo, con il sempre uguale intercalare tranquillo della voce qui morbidissima della musicista inglese. Anche il brano immediatamente successivo, Lake Tahoe, inizia con un duetto classico tra le voci da tenore e contraltista di Michael Wood e Stefan Roberts, in contrasto con la parte quasi jazz che Kate Bush riserva per sé e per il suo timbro vocale lontano dalle altezze vertiginose dei primi anni di carriera ma più caldo e umano. La nuova vocalità matura della Bush continua in Misty, una storia d’amore tra una donna e un pupazzo di neve che è destinato a morire in una miriade di gocce d’acqua dopo una notte passata assieme – un testo decisamente bizzarro, che lo struggente arrangiamento stru- Musica Gennaio 2012 Verso l’infinito e oltre mentale e melodico rende davvero tragicomico. Altrettanto strano è il primo singolo estratto dall’album, Wild Man: la sonorità elettronica della Bush degli anni Ottanta di questo brano, la vocalità parlata della can- tante nelle strofe e quella corale un po’ anni Settanta di Andy Fairweather Low nei ritornelli stridono un po’ con l’argomento del pezzo, tutto incentrato su un gruppo di esploratori che, sull’Himalaya, trovano tracce del leggendario uomo delle nevi ma le cancellano, per preservarlo dall’attenzione ossessiva del mondo. Snowed in at Wheeler Street, invece, è un lungo dialogo tra due amanti costretti a non incontrarsi mai, impersonati da Kate Bush e nientemeno che Elton John. Neppure le due voci si mescolano mai: in otto minuti, i due si danno botta e risposta di continuo, sopra un tappeto sonoro sempre uguale e un po’ monotono che solo sporadicamente si apre in esplosioni musicali e testuali mentre i due cantano di non volersi perdere mai più di vista. Si arriva così al brano che dà il titolo all’album, dove l’attore Stephen Fry elenca cinquanta diverse parole (per la maggior parte inventate dalla stessa Bush) che indicano la neve, incalzato dalla cantante che, oltre a spronarlo qua e là a proseguire cantandogli quanti termini deve ancora elencare, indica in modo maniacale il numero corrispondente ad ogni parola. Il tutto si adagia su un tessuto ritmico incalzante dal sapore decisamente jazz che si estende senza variazioni apprezzabili per più di otto minuti, nei quali si susseguono lontani echi di tastiere e tremoli di chitarra. Among Angels, infine, chiude il cerchio tornando alle sonorità classiche e alla poesia evanescente dei primi due brani: Kate Bush riprende la sua voce cristallina per cantare di speranza, di come siamo tutti circondati da un alone di angeli ai quali affidare la nostra vita stanca e in caduta libera per comprendere che non importa chi siamo, al mondo, c’è sempre qualcuno che ci ama anche se non ce ne rendiamo neanche conto. Snowflake, Lake Tahoe e Among Angels: ecco la triade di brani che rende “50 Words for Snow” degno di essere stato scritto. Ed è un peccato che tutta questa poesia e ricerca sonora sia stata vanificata da qualche delirio pop o pseudoprogressive dei brani centrali, come l’elenco infinito della title track, la noia di Misty o il duetto tutt’altro che appassionante con Elton John. Senza contare la lunghezza dei brani: che questo non volesse essere un disco pop da radio lo si era intuito però una condensazione migliore delle idee sarebbe stata più efficace e spettacolare del loro annacquamento in pezzi che non finiscono mai (un’eredità a metà tra il jazz e la classica). Così facendo, l’album si trasforma spesso in una colonna sonora, di qualità molto elevata sicuramente ma pur sempre una colonna sonora, di cui ci possiamo tranquillamente dimenticare mentre pensiamo ad altro. Ma Kate Bush è Kate Bush: una miscela testarda di ossimori. Prendere o lasciare. In questo caso è molto meglio sorvolare sui difetti per potersi immergere nell’atmosfera rarefatta e bianca della sopracitata triade di brani che profumano davvero come l’aria prima della neve e sono gelati come il freddo che pizzica le guance. Anche i video di animazione che accompagnano Mistraldespair (un estratto di Misty) e Wild Man sono grigi e luminosi come una giornata di neve. E se proprio non nevica e neanche fa così tanto freddo, non fa niente: chiudete gli occhi e costruitevi un inverno perfetto tornando un po’ bambini e ascoltando queste storie di ghiaccio, magia e strane creature che si sciolgono nella nebbia. Nella pagina precedente la copertina del nuovo disco e un’ immagine che accompagna la sua pubblicazione. In questa alcune foto di repertorio 11 12 Agenda Gennaio 2012 Appuntamenti culturali di Federico Martinelli Ha inaugurato con successo la rassegna di incontri dell’associazione culturale Idem In Gran Guardia cultura a 360° Idem come radice etimologica della parola identità. Come riconoscimento di una presenza significativa, che assume valore. Che rende il concetto di identità un concetto relazionale. Un’ idea di identità che si forma e si evolve attraverso percorsi di relazione. IDEM – percorsi di relazione è un’associazione culturale che intende promuovere riflessioni sulle dinamiche in atto nella nostra società, con un’ottica particolare sulle proiezioni future; formulare analisi e proposte di sviluppo; favorire relazioni, contatti, connessioni, occasioni di incontro e di confronto, soprattutto tra i giovani; realizzare progetti e iniziative che favoriscano l’apertura, il dialogo e l’innovazione. In linea con le sue prerogative statutarie, anche quest’anno, IDEM organizza “Oltre confine – le metafore del cambiamento 11|12”. La rassegna ha inaugurato il 12 dicembre con l’incontro-conferenza di Vittorio Sgarbi. Il celebre critico d’arte ha presentato “Piene di grazia. Il volto della donna nell’arte”, sua nuova opera edita da Bompiani. La rassegna culturale riprenderà il 12 gennaio con l’opinionista Giampiero Mughini per poi proseguire con l’attesissimo incontro/concerto di Ornella Vanoni (26 gennaio). Il mese di febbraio si aprirà con Alberto Arbasino (2 febbraio). Il 1 marzo sarà la volta del filosofo Umberto Galimberti; Lucio Caracciolo sarà protagonista invece il 9 marzo. Di nuovo arte l’11 aprile con Philippe Daverio. Appuntamento con il celebre regista emiliano Pupi Avati il 24 aprile. La rassegna chiuderà i battenti con Alessandro Baricco il 29 maggio e Amos Oz l’8 giugno. Tutti gli eventi si terranno presso l’auditorium della Gran Guar- dia, con ingresso gratuito per i soci a partire dalle ore 20.00 e per i non soci dalle 20.45. Per maggiori informazioni consultare http://idem-on.net A sx Ornella Vanoni, qui sotto Pupi Avati e in basso Giampiero Mughini Argomento Gennaio 2012 il GRANDE Appuntamenti culturali GIOVEDÌ GIOVEDÌ vi propone sedici incontri GIOVEDÌ GIOVEDÌ GIOVEDÌ GIOVEDÌ 17 1 15 12 26 9 23 22 E NOVEMBR DICEMBRE GIOVEDÌ DICEMBRE GENNAIO GENNAIO FEBBRAIO GIOVEDÌ FEBBRAIO MARZO ore 16.45, foyer del Teatro Nuovo: INVITO ALLA VISIONE Otto “aperitivi” per introdurre alla visone degli spettacoli. Otto appuntamenti per dare brevi spunti di lettura critica della messa in scena. Otto piccoli punti di vista per approfondire una visione più partecipata del meraviglioso spettacolo teatrale. A cura di Simone Azzoni. a seguire, ore 17.00: INCONTRO CON I PROTAGONISTI Otto incontri con gli attori per parlare dello spettacolo ma anche del “dietro le quinte” e dell’affascinante mondo teatrale. Un’occasione imperdibile per conoscere da vicino i protagonisti di questa edizione . Conducono, a turno, Lorenzo Reggiani e Giovanna Zofrea. ingresso libero BIGLIETTERIA Vendita biglietti al Teatro Nuovo, piazza Viviani 10, tel. 0458006100. Biglietti anche tramite circuito GETICKET (numero verde sportelli Unicredit Banca abilitati 800323285) e CALL CENTER (tel. 848002008). Biglietti on line su www.geticket.it. Servizio biglietteria anche presso BOX OFFICE, via Pallone12/a, tel. 0458011154 parcheggio coperto Saba Abertis di piazza Isolo: € 1,00 / ora (o frazione d’ora) mostrando il biglietto o l’abbonamento al GRANDE TEATRO ampio parcheggio di fronte al teatro il GRAN GRANDE NDE direzione artistica Gian Paolo Savorelli ufficio stampa Enrico Pieruccini pagine web Maria Pia Tenuti, Gabriella Fassina social network Federica Clemente stampa CIERRE Grafica biglietteria Box Office il GRANDE www.ilgrandeteatro.comune.verona.it www.teatrostabileverona.it 13 14 Teatro Gennaio 2012 Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve di Francesco Fontana Appuntamenti con Quello che prende gli schiaffi e Le bugie con le gambe lunghe Il Grande Teatro: gli spettacoli di gennaio «Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita» Eduardo De Filippo Dal 10 al 15 gennaio sul palco del Teatro Nuovo di Verona si potrà assistere a Quello che prende gli schiaffi, opera scritta nei primi del Novecento da Leonid Nikolaevic Andreev, uno dei maggiori esponenti dell’espressionismo letterario russo, e inscenata dalla Compagnia Mauri Sturno. Il protagonista è un uomo che, deluso dall’aridità dei sentimenti umani e dai rapporti corrotti tra gli uomini, decide di diventare un clown, raccontando così sul palco la gioia e il dolore, con il sogno di migliorare il mondo. Il suo ideale, seppur bruscamente interrotto nel finale, è capace di generare nel pubblico grande commozione e benevolenza. Nello spettacolo i generi si mescolano: il dramma incontra la commedia, nella narrazione della vita in tutti i suoi aspetti. Oltre ai protagonisti Roberto Sturno e Glauco Mauri, regista dell’opera, saranno presenti sul palco molti altri interpreti come, tra gli altri, Barbara Begala, nel ruolo di Mara, e Lucia Nicolini, nel ruolo di Leda, con le musiche di Germano Mazzocchetti. Dal 24 al 29 gennaio andrà invece in scena Le bugie con le gambe lunghe. L’opera, scritta da Eduardo De Filippo nel 1946, poco dopo il successo di Filumena Marturano, racconta la vicenda di Libero Incoronato, uomo innamorato di Graziella, una ex prostituta che intende sposare. Il matrimonio però non è conveniente, soprattutto a causa dei vincoli sociali che ricoprirebbero di vergogna la famiglia di Libero, impedendo inoltre il matrimonio programmato dalla sorella del protagonista con un uomo benestante. A questa trama principale se ne sovrappongono altre, con l’intervento di molti personaggi. Dopo una serie di avvenimenti, di equivoci e di menzogne da parte degli interpreti che fanno irruzione sul palcoscenico, Libero decide di fingere, per una volta, egli stesso, dichiarando a tutti, in modo inaspettato, una ricchezza che in realtà non possiede e presentando Graziella come una ricca ereditiera arrivata dall’estero, rendendo così assolutamente accettabile il matrimonio. L’opera, che vuole essere una riflessione sull’ipocrisia che regola i rapporti sociali, è inscenata dalla Compagnia Luca De Filippo. Libero Incoronato è interpretato dallo stesso Luca De Filippo, anche regista dell’opera, mentre nei panni di Graziella ci sarà Gioia Miale. Tra gli altri interpreti Fulvia Carotenuto, nelle vesti della sorella di Libero Costanza, Chiara De Crescenzo, nei panni di Carmela, Carolina Rosi, che sarà Olga, e Massimo De Matteo nel ruolo di Benedetto Cigolella. Teatro Gennaio 2012 Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve di Michele Fontana Divertenti rappresentazioni per i più piccoli al Foyer del Teatro Nuovo Il Piccolo Teatro Magico Prosegue, presso il Foyer del Teatro Nuovo, la rassegna dedicata ai bambini “Il Piccolo Teatro Magico”, con uno spettacolo in programma il 21 gennaio. Le rappresentazioni hanno avuto inizio il 12 novembre con “Tutti insieme con Romeo e Giulietta”, dove i vari personaggi della vicenda sono stati interpretati dall’attore Roberto Petruzzelli. Il 26 novembre è andato in scena “Tiramisù”, la storia della fanciulla dai capelli lunghi rinchiusa nella torre, con protagonista l’attrice Linda Di Giacomo. Il 21 gennaio sarà la volta di Gianni Franceschini con “Il giro del mondo in tante fiabe”. Lo spettacolo è un insieme di racconti attraverso i cinque continenti, in un viaggio fantastico, dove il protagonista principale Giovannino si imbatte nelle varie culture che arricchiscono la terra, dai Pellerossa del Nord America sino ad arrivare alle nostre tradizioni popolari, vivendo avventure entusiasmanti. La rassegna prevede in seguito altri tre appuntamenti. In programma il 4 febbraio “Il ponte dei colori”, con Andrea De Manincor e Sabrina Modenini. Il 18 febbraio andrà in scena “C’era due volte il barone Lamberto”, con F. Botti e M. Segalina. Una narrazione divertente e umoristica dove tutto viene raddoppiato: i protagonisti, le voci, creando così uno spettacolo ricco di situazioni esilaranti. A chiudere la serie degli spettacoli sarà “Baci azzurri e giocattoli di forme poderose”, in programma per il 10 marzo. Nuove e giovani compagnie incontrano i grandi autori del teatro europeo. “Sulle spalle dei giganti” Con il nuovo anno si apre la seconda serie di eventi al Teatro Camploy: da gennaio ad aprile le compagnie teatrali veronesi ripresenteranno gli spettacoli in cartellone durante la stagione estiva. Nonostante il clima freddo, l’inverno teatrale veronese si presenta già caldo di nuove emozioni. “La bella e la Bestia” di Valerio Bufacchi e Gilberto Lamacchi con la Compagnia dell’Arca, è solo un assaggio; nelle serate di sabato 7 e domenica 8 gennaio, la Compagnia Teatrale La Pajeta, presenterà “Hotel-ma”, opera di scrittura collettiva dell’intera formazione che adotta lo pseudonimo di Paul Putcho. L’esilarante spettacolo vede i protagonisti delle tragedie shakespeariane ritrovarsi nella hall di un albergo veneziano che sarà teatro di un delitto. Nonostante le premesse, della compostezza dell’autore rimane ben poco; ad animare la scena sarà ancora una volta la capacità della compagnia di affrontare temi classici con spirito d’ironia. Il grande drammaturgo inglese sarà con noi anche nel week-end successivo quando la giovane compagnia teatrale Soledarte presenterà lo spettacolo di teatro-danza: “Shakespeare+Queen Rock Hamlet”, musical rivoluzionario in cui la trage- di Caterina Caffi dia shakespeariana è metafora della vita e del mondo. Ad impersonare Hamlet una donna, ad accompagnare le frasi e i gesti dei personaggi la musica dei Queen. Nell’ultimo week-end del mese, 29 e 30 Gennaio, la Compagnia Teatrale La maschera metterà in scena la commedia di Molière “Le furbarìe de Scapin”, spettacolo diretto da William Jean Bertozzo. La vicenda, intricata storia d’amore, come nelle migliori commedie si risolverà con un capovolgimento dei ruoli e il coup de theatre tipico del commediografo francese. Ad inaugurare il mese di febbraio, il 4 e 5, sarà il vero successo dell’estate: “Balera Paradiso”, eccellente messa in scena ad opera dell’Estravagario Teatro per la regia di Alberto Bronzato e Riccardo Pippa. 15 16 Arte Gennaio 2012 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Valeria Giarola Ancora pochi giorni per visitare la mostra a Palazzo Reale De La Tour: il Caravaggio francese a Milano In un periodo in cui l’offerta culturale va diminuendo disattendendo la crescente domanda, anche quest’anno Eni rinnova il consueto appuntamento con l’arte presentando l’esposizione “Georges de La Tour a Milano” puntando all’individuazione di contenuti ar- chitetto Galeazzo Alessi nel Cinquecento. L’esposizione, curata da Valeria Merlini e Daniela Storti, propone al pubblico un artista, che nonostante non sia stato annoverato tra i “big” del Seicento, è uno tra i più suggestivi che la Francia barocca abbia avuto. tistici e culturali che incrementino la fruizione artistica sul panorama nazionale. La caratteristica delle opere dei de La Tour è il luminismo fievole e misterioso che abbraccia le tele, accendendo le scene a lume di candela e portando il fruitore ad incentrare la propria attenzione nel punto di maggior luce, per accompagnarlo poi nel trapasso alla penombra, che va inspessendosi sempre più verso le estremità delle opere. La luce richiama moltissimo la tecnica del Caravaggio, milanese, protagonista assoluto del primo barocco italiano, a cui de La Tour si ispira. Questo è l’anno di Georges de La Tour, pittore non molto noto in Italia, rivalutato solo all’inizio del Novecento, che per l’occasione presenta due opere prestate dal Museè du Louvre: “L’Adorazione dei pastori” e “San Giovanni falegname”. La mostra, realizzata con la collaborazione del Comune di Milano, che omaggia il grande pittore con due delle sue opere più famose, sarà aperta fino all’8 gennaio 2012 presso la Sala Alessi di Palazzo Marino, creato dall’ar- E proprio nella Lombardia di Michelangelo Merisi, detto il Ca- ravaggio, trovano spazio le due opere del pittore lorenese. “San Giuseppe falegname” (1640 circa), è ambientato in una scena notturna dove le due figure che si confrontano sono illuminate solo da una candela. Il fanciullo e il vecchio chinato a lavorare, sono la trasposizione del Gesù bambino e di Giuseppe falegname. La luce emanata dal cero, ha una potenza incredibile che esalta alcuni particolari come il ricciolo di legno a terra accrescendo la veridicità della raffigurazione e dettagliando tratti di pittura, soprattutto quelli del volto di Giuseppe, la cui espressione del viso parla da sé: nella fronte corrugata del padre, si scopre il presagio della morte del figlio. Le due figure dialogano contrastandosi nei ruoli: se Giuseppe accetta la sua condizione di lavoratore, nel volto di Gesù Cristo è racchiusa tutta la purezza e l’innocenza dell’infanzia, che osserva il padre con lo stupore e la curiosità di chi vuole imparare. La sensibilità cromatica fiamminga, fusa alla spiritualità francescana si ispirano a uno dei temi più amati da Leonardo. “L’Adorazione dei magi”, 1644 (?), entrata a far parte delle collezioni del Louvre nel 1926, grazie al lavoro di Hermann Voss, è un’opera che fu probabilmente commissionata dai cittadini di Lunéville per dare il benvenuto al Marchese de la Ferté. Nei personaggi si scorgono i volti dei cittadini, che seguendo la tradizione vengono inseriti in ritratti di gruppo di scene sacre come autocelebrazione della propria potenza tra la classe borghese. La luce, che come di consueto Arte Gennaio 2012 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione proviene dal lume della candela tenuta da S. Giuseppe, si riflette miracolosamente anche dal piccolo Gesù, che dorme beatamente sprigionando un bagliore divino. L’atmosfera è sospesa e immutabile tanto da sfociare in irrealtà. All’umile naturalità si ispira anche l’allestimento della mostra, che articola l’ambiente espositivo su una grande parete a onda intonacata con calce e argilla e da una pavimentazione in legno vecchio. Le opere, collocate in apposite teche, possono essere viste da vicino per poter godere appieno dei particolari, supportate da video e dalla presenza di storici e restauratori che potranno rispondere alle curiosità del pubblico. Tutto gioca sulla disposizione di superfici povere che consentono di aumentare la plasticità attraverso giochi di luce, ben lungi da una pretesa decorativa, bensì alla ricerca della neutralità che possa dare il maggior risalto possibile alle tele. In queste pagine alcune delle opere di De La Tour. Ben visibile è la somiglianza con lo stile di Caravaggio per metterti in contatto con noi: [email protected] 17 18 Arte Gennaio 2012 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Valeria Giarola Il fascino di due culture contrapposte, insieme per una mostra imperdibile Venezia e l’Egitto. Il crocevia con l’Oriente Da sempre Venezia è stata un crocevia di popoli, stili e soprattutto un tramite da e per l’Oriente. Lo si nota negli influssi arabeggianti di San Marco, nelle guglie delle chiese, guardando alle finestre ogivali delle case, alle dorature e alle decorazioni dei palazzi che si snodano sulle calli. Cosa c’entra dunque una mostra che lega Venezia e l’Egitto? Indubbiamente il collante è il fascino che le due città continuano ad esercitare da oltre due millenni, che è stato sviluppato presso Sala dello Scrutinio a Palazzo Ducale, dal 1 ottobre al 22 gennaio con la mostra intitolata “Venezia e l’Egitto”. Le nove sezioni in cui si sviluppa la mostra, intrecciano rapporti e opere di due mondi che sebbene così diversi per lingua, cultura, tradizione e religione, diedero vita a ciò che oggi noi definiamo la civiltà mediterranea. Solo per sottolineare quanto la Serenissima fosse stimata dall’ Egitto, essa fu l’unica città europea che dal Mille mantenne un nome arabo distinto da quello originale: al-bunduqiyya. La mostra analizza tutte le connessioni che le due città presentano, dalla traslazione del corpo di San Marco da Alessandria nell’828, alle avventure di Giambattista Belzoni e Giovanni Miani, esploratori e archeologi italiani; dalle peripezie di mercanti e diplomatici alla ricerca di merci, tesori e terre, agli studi dei misteriosi geroglifici, delle piramidi e della scienza dei faraoni. Queste testimonianze parlano attraverso i reperti preziosi presenti nell’esposizione come statue, manufatti, monete, mappe e mummie come quella di Nehmeket (1069525 a. C.). Ad approfondire la sezione cartacea vengono esposti i testi di medicina e di botanica egizia di Prospero Alpini di Marostica, che importò notizie di varie piante tra cui quella del caffè; o il primo corano, stampato in arabo a Venezia (1537-38). C’è inoltre una sezione dedicata a testi inediti e opere d’arte che spiegano come i grandi maestri d’arte della laguna da Giorgione a Tiziano, da Tintoretto con “Giuseppe e la moglie di Putifarre”, a Tiepolo, da Bonifacio Veronese con “il Ritrovamento di mosè” a Paolo Fiammingo immaginarono l’Egitto. E’ presente anche la “Morte dei primogeniti d’Egitto” realizzata da Pietro Paoletti, prestata dopo un lungo restau- Arte Gennaio 2012 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione ro dalla Pinacoteca di Brera, dove la minuziosità e perfezione dei dettagli archeologici ipotizzano un suo contatto con il decifratore di geroglifici Champillion; per concludere i disegni del Terzo Libro di Serlio, che raffigurano la piramide di Cheope, misurata dal patriarca di Aquileia Marco Grimani. Tra le 300 opere , le documentazioni che testimoniano le relazioni dall’età classica al 1869 in merito al progetto del Canale di Suez, proposto dal governo marciano a inizio del Cinquecento e realizzato solo alla fine del XIX secolo dall’architetto Negrelli. Tra i pezzi più importanti sono esposti i reperti di provenienza egiziana presenti sul territorio veneto come il tesoretto tolemico di Montebelluna, la testa di sfinge del Museo archeologico di Verona, la Statuetta di Iside conservata ad Aquileia, come pure la testa di sacerdote isiaco dal Museo Civico di Trieste o la piccola statuetta bronzea di Anubi, del I-II secolo d.C., rinvenuta a Costabissara vicino a Vicenza; il reliquiario di San Marco, prestato dai Musei Vaticani; i dipinti di Lorenzo Veneziano e Jacobello dal Fiore e la straordinaria Pala Feriale di Paolo Veneziano, prestata eccezionalmente, e mai prima d’ora, dal Museo Marciano. Oltre ai reperti, mappe e astrolabi; vedute del Cairo ed Alessandria, come quelle di Georg Braun e Frans Hogenberg. Una panoramica sull’ Egitto che prosegue con tessuti copti originali, frammenti di antichissime ceramiche mammeluche e un enorme tappeto cairota prestato dalla Scuola Grande di San Rocco. Un’infinita gamma di curiosità e misteri che si chiudono con 11 dipinti e 4 disegni del vedutista bellunese Ippolito Caffi che raffigurano l’Egitto e il Canale di Suez. Il progetto scientifico curato da Enrico Maria Dal Pozzolo, Rosella Dorigo e Maria Pia Pedani, allestita da Michelangelo Lupo, ha coinvolto quasi settanta specialisti per le varie indagini scientifiche. L’evento, promosso dal Comune di Venezia, la Fondazione Musei Civici e Autorità Portuale di Venezia ha coinvolto anche il Precariato di Venezia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Affari Esteri e il Ministero per i Bene e le Attività Culturali, nonché la Regione del Veneto e la Provincia di Venezia, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, lo Iuav, l’Università degli Studi di Padova, l’Università degli Studi di Verona e Skira per la pubblicazione del catalogo. Nella pagina a fianco un paio di opere visibili in mostra, che dimostrano i diversi rapporti del mondo occidentale con l’Egitto Vuoi pubblicizzare la tua attività sul nostro giornale o sul sito internet? Contattaci! [email protected] cell. 349 6171250 19 20 Arte Gennaio 2012 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Valeria Giarola I colori e i soggetti di un artista ancora da approfondire Lorenzo Lotto, un outsider del Rinascimento Se vi trovate in “Laguna”, fino al 26 febbraio, vale sicuramente la pena fare tappa alle Gallerie dell’Accademia per ammirare le opere di Lorenzo Lotto inserite nell’omonima mostra “Lorenzo Lotto, i dipinti dell’Ermitage alle Gallerie dell’Accademia”. vent’anni più tarda, ha un carattere sommesso e domestico, tipico dell’ attività avanzata di Lotto, è una rielaborazione della pala che fu rubata all’inizio del secolo passato ad Osimo (Marche) ed è posta accanto al Vesperbild proveniente dalla Pinacoteca di Brera. L’esposizione, realizzata e promossa dalla Soprintendenza speciale per il Patrimonio storico e dal Museo statale Ermitage, gode del patrocinio del Comune di Venezia e della collaborazione della Fondazione Ermitage Italia. Straordinario anche il Cristo in gloria, opera risalente al’ultimo soggiorno veneziano del Lotto, prestato dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, che per la prima volta viene esposto assieme alle tre versioni bronzee che ispirarono Sansovino, giunte dalla Basilica di San Marco, dal Museo del Bargello di Firenze e dai musei statali di Berlino. Sono Perfetta contestualizzazione per l’esibizione di uno dei veneti più importanti del Cinquecento, il museo della laguna, che ha sede presso la Scuola Grande di Santa Maria della Carità è infatti un concentrato di pittura veneziana e veneta che va dal trecento bizantino e gotico, ai grandi del Rinascimento tra cui Bellini, Carpaccio, Giorgione, Veronese, Tintoretto e Tiziano, passando per il Tiepolo e i vedutisti settecenteschi Canaletto, Guardi, Bellotto e Longhi. L’eccezionale prestito concesso dal museo di San Pietroburgo de “Il doppio ritratto di coniugi” e “La Madonna delle Grazie”; due opere eccezionali, rispettivamente degli anni ’20 e ’40, raramente viste in Italia ha reso possibile metterle a dialogare con altri dipinti dell’artista provenienti da diversi musei europei. La mostra, curata da Matteo Ceriana, colloca attorno alla prima opera altri due capolavori del primo Lotto: Giuditta Aldobrandini e la predella della Pala di San Bartolomeo (Bergamo). La seconda opera invece, di presenti anche la Natività con Domenico Tassi, restaurata di recente, in mostra con una copia più integra conservata agli Uffizi e prima d’ora mai esposta e il Giovane malinconico di casa Rovero. Assieme ai dipinti l’utente avrà la straordinaria possibilità di leggere il testamento che Lotto lasciò alla confraternita veneziana dell’Ospitaletto, cui aveva aderito negli ultimi anni di vita. L’artista infatti è noto per aver lasciato una cospicua quantità di carte e documenti che attestano la sua vita privata e di artista, per esempio è grazie al suo libro di spese se gli storici sono riusciti a ricostruire la sua vita quasi interamente dal 1540 in avanti. Lotto, privilegiatissimo artista ed anticipatore del manierismo tardo cinquecentesco, è stato considerato per anni pittore provinciale poiché escluso dai grandi centri artistici rinascimentali quali Roma, Firenze e Venezia. Letteralmente ignorato per oltre tre secoli, il suo riscatto avvenne con la rivalutazione dello storico dell’arte Bernard Berenson verso la fine dell’800; anche se ci volle un altro secolo prima che gli fosse dedicata interamente una mostra: nel 1998 la National Gallery di Washington inaugura Lorenzo Lotto: Rediscovered Master of the Reinassance. Arte Gennaio 2012 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione Nato nel 1480, dopo la formazione presso la bottega dei Vivarini e i contatti con l’amico Giovanni Bellini, ben presto inizia a viaggiare tra Treviso, la Lombardia e le Marche, afflitto da eterne irrequietudini e incomprensioni. Nel 1503 è a Treviso a servizio del vescovo Bernardo de’ Rossi da Parma, per cui realizza la sua prima opera: Madonna col bambino, San Pietro e Giovanni (1503) . Dal 1506 lo ritroviamo a Recanati per il suo primo grande incarico: la com- missione del polittico per la chiesa di San Domenico (1506). Trasferitosi poi nei dintorni di Loreto, entra in contatto con Bramante che gli offre una posizione presso la corte pontificia. Nel 1508 scende a Roma per la decorazione dei nuovi appartamenti vaticani e anche se non riesce a colpire papa Giulio II ha comunque l’occasione di partecipare a uno degli ambienti più importanti per il Rinascimento pittorico e architettonico italiano dove collaboravano Bramantino, Beccafumi, Sodoma e Cesare da Sesto, riuscendo forse anche a vedere le prime pennellate di Michelangelo, che proprio in quell’anno iniziava a dipingere la Cappella Sistina. Tuttavia del suo periodo romano non si conosce nulla perché nessuna opera è sopravvissuta. Nel 1510 risale a Recanati per la realizzazione della Trasfigurazione, l’affresco di san Vincenzo Ferreri in gloria per la chiesa di San Domenico e la pala della Deposizione per San Floriano (Jesi), ispirandosi direttamente al realismo psicologico di Antonello da Messina. Nel 1513 è a Bergamo per la realizzazione della pala nella chiesa di Santo Stefano commissionata dal nipote del condottiero Bartolomeo Colleoni, Alessandro Martinengo. L’opera, terminata nel 1516, è la sintesi perfetta di vari stili acquisiti con i viaggi nonché un omaggio a Bramante e Giorgione. Tornato a Venezia nel 1525, è contrastato dalla fama di Tiziano e inaspettatamente entra in conflitto anche con l’ordine dei domenicani; riesce ad aprire una piccola bottega, dove dipinge molte tele per chiese bergamasche e marchigiane, realizzando anche un ritratto di S. Nicola di Bari per la chiesa veneziana di Santa Maria dei Carmini. In questo periodo riceve anche numerose commissioni provate per ritratti, tra cui il famoso ritratto di Andrea Odori (1527). Dopo il periodo bergamasco si susseguono spostamenti tra la Lombardia e le Marche, ma solo dal 1540 ricompaiono notizie più dettagliate dell’artista, certificate dal suo “Libro di spese diverse”, dove annotava le uscite e le entrate derivanti dal lavoro e dalla vita privata; ed è sempre tra queste pagine che è possibile dedurre i suoi rapporti di amicizia con il Serio e il Sansovino, nonché delle difficoltà economiche in cui il Lotto spesso si trovava. Nonostante tutti questi trasferimenti l’artista resta un personaggio tor- mentato a cui in vita non è mai stata resa la giusta grazia: scontò duramente la sua posizione di pittore indipendente tantoché per sopravvivere negli ultimi anni di vita fu costretto a mettere all’asta quarantasei dei suoi dipinti e vendere gli oggetti personali, per ritirarsi poi nella comunità religiosa della Santa Casa di Loreto. Lorenzo Lotto resta un outsider del Rinascimento, pieno di capacità creativa, vibrante e imbevuto di misticismo, influenzato da Mantegna, Giovanni Bellini, Antonello da Messina, Albrecht Dürer, Piero della Francesca e Tiziano, si ritagliò comunque un suo carattere distintivo, allontanandosi dal classicismo per assumere espressioni antiaccademiche e popolari. La sua pittura si carica di emblemi che egli stesso sviluppa partendo dalle molteplici osservazioni in svariati luoghi che la “sfortuna” del suo eterno peregrinare gli concede. Anche se Lotto non si affermerà mai in grandi città, restando sempre confinato in uno scenario “provinciale”, non riuscirà a trovare largo consenso nei centri artistici più importanti come nella Firenze medicea, perché i suoi insuccessi sono conseguenti al suo temperamento: per natura egli espresse sempre apertamente il proprio pensiero, condannando le distorsioni culturali che aleggiavano nella Penisola, le quali cominciavano ad essere messe in pericolo dalla contestazione protestante tedesca. Relegato nella propria rivoluzione personale, che non andrà oltre il carattere personale, viene ghettizzato senza mai riuscire ad essere incanalato in una corrente. Questa marginalità è tutt’ora viva, infatti, seppure la sua produzione artistica sia stata molto vasta e varia al punto da essere considerata anticipatrice delle 21 22 Arte Gennaio 2012 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione correnti future, gli è sempre stata dedicata poca attenzione. Al contrario della classicità e della razionalità a cui giunse la scuola fiorentina di Marsilio Ficino, che pose le basi per il pensiero scientifico e antropocentrico, Lotto resta provincializzato in una cultura popolare fondata sul rispetto della persona e la ribellione contro la cultura ecclesiastica corrotta, una concezione la sua che è sicuramente più quotidiana, dove i bambini giocano, gli animali scorrazzano tra la natura e i personaggi comunicano empaticamente. naggi che si mantengono isolati gli uni dagli altri, prediligendo e dando maggiore rilevanza all’individualismo; rompendo la rigida architettura optando per soluzioni più popolari e meno “imbalsamate” proponendo un carattere quotidiano e partecipativo. Nelle pagine precedenti i due dipinti trattati nella prima parte dell’articolo. Qui sotto il celebre “Ritratto di Andrea Odoni” Sicuramente egli fu innovatore e precursore stilistico e tematico: abilissimo camuffatore di tematiche gnostico-esoteriche all’interno dei suoi lavori; utilizza in modo sapiente e rivoluzionario il colore prediligendo le dissonanze cromatiche; optando per una certa dissociazione della struttura compositiva per prediligere un accostamento di perso- Vuoi pubblicizzare la tua attività sul nostro giornale o sul sito internet? Contattaci! [email protected] cell. 349 6171250 Arte Gennaio 2012 La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione di Alberto Avesani Il Comune indice un concorso dedicato alla street art e alla creatività giovanile Coloriamo Verona legalmente «Disegnare sui muri è una delle più antiche occupazioni dell’essere umano sin dai tempi dell’uomo primitivo» Girando per le strade di Verona, come in qualsiasi altra città, non è raro imbattersi in strane e improbabili scritte sui muri delle case o anche alla notevole varietà di soggetti dipinti. Il concorso prevede quattro tematiche: Luoghi e scenari di Verona, Verona e il suo fiume, Natura e paesaggio e Immaginando la mia città. I partecipanti, dopo l’iscrizione, devono realizzare un bozzetto cartaceo del lavoro che intendono proporre sulle superfici messe a disposizio- ne dal Comune, indicando sul retro tutti i riferimenti. L’elaborato, per essere accettato, deve giungere al Comune di Verona entro e non oltre il 30 gennaio 2012. Per il vincitore di ogni categoria, che sarà designato da una giuria entro il 15 febbraio 2012, è previsto un premio di € 825,00 successivamente alla realizzazione dell’opera vincitrice. Grazie al Don Calabria, tutti i materiali necessari alla realizzazione della composizione saranno messi a disposizione dal Comune. L’iniziativa permette ai giovani di età compresa tra i 16 e i 32 anni di esprimersi liberamente e “autorizzati” in un’arte spesso criticata e malvista, dando spazio alla loro creatività, al loro bisogno di comunicare e alle loro passioni. Nelle immagini due differenti stili di street art, a sx più astratta, qui sotto invece una bellissima citazione cinematografica con il volto di Jack Nicholson in “Shining” ancor peggio sui monumenti. Per sensibilizzare i giovani al rispetto e all’abbandono di questa pratica incivile, alla tutela e alla salvaguardia del patrimonio storicoartistico-monumentale cittadino, ma anche per divulgare la cultura della libera espressione artistica, il Comune di Verona in collaborazione con l’Istituto Don Calabria - Comunità San Benedetto di Verona ha istituito un bando di concorso intitolato “Writers Street-art. Coloriamo Verona”, finalizzato all’utilizzo di alcuni muri di recinzione comunali per la realizzazione di opere di street art. Spesso, quest’ultima, a differenza dei graffiti, produce vere e proprie opere d’arte a cielo aperto, grazie 23 24 Cinema Gennaio 2012 Visto abbastanza? di Francesco Fontana I film di Steven Spielberg, Roberto Benigni e Roman Polanski sulla Shoah Tre sguardi sull’orrore «Chi salva una vita salva il mondo intero» Talmud Affrontare dal punto di vista cinematografico il genocidio degli ebrei, la realtà dei ghetti e dei campi di sterminio, senza cadere nella retorica, diventa quasi un’impresa. Ci sono tre film che emergono, tra i molti, per intelligenza e passione nel trattare l’argomento. Schindler’s List (1993), ispirato al romanzo di Thomas Keneally, è probabilmente il capolavoro di Steven Spielberg. Il regista mette in scena la storia vera di Oskar Schindler, l’industriale tedesco membro del Partito Nazista capace di salvare le vite di oltre 1100 ebrei. Nelle prime sequenze del film ci viene mostrato uno Schindler (Liam Neeson) intento a sfruttare la grande massa di ebrei, costretti nel ghetto di Cracovia, per avviare una nuova fabbrica di pentole e tegami, con l’unico fine di trarne profitti. Poi la situazione cambia. Di fronte alle continue deportazioni nei campi di sterminio comincia a temere per la sorte dei “suoi” ebrei e organizza un piano per salvarli. Modifica la produzione, dai tegami passa alle munizioni, e acquista con il proprio denaro le persone che vuole condurre nella nuova fabbrica in Moravia, strappandole dalla morte certa nei campi di sterminio. In una delle ultime scene del film, Oskar Schindler, costretto a fuggire prima dell’arrivo delle truppe sovietiche, riceve dagli ebrei da lui salvati un anello d’oro, con all’interno incisa una frase del Talmud che recita: “Chi salva una vita salva il mondo intero”. La reazione di fronte all’orrore proposta da La vita è bella (1997) di Roberto Benigni prende le forme della bugia. Guido Orefice (Roberto Beni- gni) è un ebreo italiano, condotto con la moglie Dora (Nicoletta Braschi) e il figlio Giosuè (Giorgio Cantarini) in un campo di sterminio. Quando il comandante tedesco detta le regole del campo, Guido si improvvisa interprete e falsifica la traduzione per nascondere al figlio la tremenda verità, facendo sembrare la permanenza nel campo una sorta di gioco a punti con in premio un carro armato. Il nascondino è l’ultimo dei giochi per Giosuè prima dell’arrivo degli americani, che lo conducono fuori dal campo di concentramento a bordo del suo premio. Il pianista (2002) è un film tratto dal romanzo autobiografico del musicista polacco Wladyslaw Szpilman. La contrapposizione arte/distruzione, ci è proposta in modo esplicito nella prima sequenza del film: Szpilman (Adrien Brody) è all’interno di Cinema Gennaio 2012 Visto abbastanza? Radio Varsavia, dove sta eseguendo un concerto al piano. Il soffitto inizia a sgretolarsi, esplode una bomba che fa saltare le vetrate della stanza accanto e lui, imperturbabile, continua a suonare. È l’inizio della seconda guerra mondiale. Viene condotto poi con la famiglia nel ghetto di Varsavia tra le violenze, fisiche e psicologiche, che subisce dalle SS. Riesce a evitare la deportazione nei campi di sterminio grazie all’aiuto di un amico. Vaga per il ghetto in condizioni disperate, si rifugia a casa di un’amica e, successivamente, viene protetto e sfamato da un ufficiale tedesco, incantato dal suo talento, che contribuirà in modo fondamentale alla sua salvezza. In tutti film considerati emergono in modo evidente le forti motivazioni per la sopravvivenza, propria o di altri, e il grande valore che viene assegnato a ogni singola vita. In La vita è bella, seppur con qualche momento di comicità, è un racconto, inevitabilmente, molto intenso e commovente. Il pianista è senz’altro il più crudo, assolutamente fuori da qualsiasi forma di retorica. Alcuni dei particolari che Polanski mette in scena diventano difficili da sopportare (il bambino che muore nel tentativo di rientrare nel ghetto e l’uomo in sedia a rotelle gettato dal balcone dalle SS). Schindler’s List merita una menzione particolare per un dettaglio: l’uso poetico e simbolico del colore, in un film è girato quasi interamente in bianco e nero. Due candele si spengono all’inizio per poi riaccendersi nel finale, quando la vita, purtroppo solo per pochi, prevale sulla morte. L’ultima sequenza del film, dove i superstiti accompagnati dagli attori che li interpretano posano una pietra sulla tomba di Schindler. Poi il dettaglio più doloroso e geniale: durante i rastrellamenti nel ghetto la cinepresa segue dall’alto una bambina che, indossando un cappotto rosso, cammina da sola, quasi indifferente allo scempio che si sta consumando. Più tardi riconosceremo lo stesso cappotto rosso su un carro che trasporta i cadaveri. La morte, che si consuma in grande quantità nei campi di sterminio, è riportata, in modo sconfortante e incisivo, all’individualità. Nella pagina a fianco: in alto e al centro due fotogrammi di “Schindler’s List”, in basso Adrien Brody, che interpreta un musicista ebreo. In questa pagina, in alto e al centro due immagini tratte da “La vita è bella” e in basso ancora Brody protagonista de “Il pianista” 25 26 Libri/Tecnologia Gennaio 2012 È la stampa, bellezza di Ernesto Pavan Attivo da dicembre il Kindle Store di Amazon, ma i prezzi non convincono Così gli ebook arrivarono anche in Italia Nonostante l’ormai famigerata “legge Levi” promettesse di tagliargli le gambe, Amazon.it non si è arresa e dal mese scorso ha cominciato a vendere libri elettronici. Per chi si avesse perso il filo del discorso fra un numero e l’altro, riepiloghiamo: Amazon è la più grossa catena di vendite online al mondo e gli ebook non sono altro che file contenenti libri, leggibili con marchingegni appropriati (i cosiddetti lettori di ebook o e-reader). Gli ebook a onor del vero, erano già disponibili su diversi siti, ma Amazon li ha messi in commercio assieme al suo già famoso lettore di ebook, il Kindle, a un prezzo davvero concorrenziale (99 euro); purtroppo, i prezzi “di copertina” degli ebook non lo sono altrettanto. Eh sì, perché gli editori italiani non sembrano aver compreso che non si può far pagare qualcosa che non ha spese di stampa, trasporto, distribuzione e magazzino alla stregua di una cosa che li ha: è una presa in giro e i lettori se ne accorgono. A quanto sembra, il concetto è troppo difficile per le menti affaticate degli editori, troppo concentrati sullo scovare nuovi talenti (che puntualmente deludono, ma questo è un altro discorso) per rivolgere l’attenzione all’aspetto meramente commerciale del loro mestiere. Ecco, dunque, la biografia di Steve Jobs (edita da Arnoldo Mondadori) a 16 euro, mentre il cartaceo ne costa 17 (ci riferiamo, naturalmente, al prezzo offerto da Amazon); Il silenzio dell’ombra di Gianrico Carofiglio, edito da Rizzoli, a 14 euro con il cartaceo a 16; e persino la Divina Commedia a 0,99 euro che sarà anche poco, ma è un vero furto per un testo che è da millenni nel dominio pubblico. Prezzi ingiustificati, che sarebbero perfetti come spaventapasseri se i lettori fossero corvi. Per fortuna (e con nostro stupore), non tutti gli editori hanno impulsi autolesionistici: in diversi hanno capito di dover scegliere fra il miraggio dell’arricchimento e il guadagno reale. Avessero fatto così an- che i grandi capitalisti e le banche, oggi non saremmo in mezzo a una crisi. Ma comunque. Sono una sorpresa piacevole gli ebook a 4 euro di Piemme e Einaudi, soprattutto L’uomo di neve, che “nel concreto” è un cartonato da 16,5 euro; bene anche, ma si poteva fare di meglio, Il mercante di libri maledetti di Marcello Simoni (pubblicato da Newton), venduto a cinque euro, ma con il cartaceo a dieci. C’è poi qualche perla rara, come il Pan di Francesco Dimitri, a un prezzo più che onesto (autopubblicazione a 0,99 euro). Parlando in generale, il mercato italiano degli ebook è ancora al di sotto della sufficienza: pochi titoli e spesso a prezzi incredibili. Ma qual è il prezzo ideale di un ebook? Fra 0,99 e 5 euro, a seconda della lunghezza e dell’investimento che ci sta dietro (diritti di traduzione, royalties, ecc), con una forte preferenza da attribuire alla fascia più bassa. Perlomeno, negli Stati Libri/Tecnologia Gennaio 2012 È la stampa, bellezza Uniti (dove il 10% delle vendite dell’editoria sono digitali) funziona così. Ovviamente in Italia, per non conformarsi, bisogna fare diversamente, anche se questo vuol dire darsi la zappa sui piedi. Cosa spingerà gli editori a una politica commerciale tanto suicida? Forse la “necessità” di evitare che il digitale danneggi le vendite del cartaceo? E che scopo, visto che il digitale ha un sacco di costi fissi in meno e ci si può guadagnare sopra tranquillamente? Forse – forse, badate bene, non stiamo assolutamente dicendo che sia così – alcuni editori con la queste domande, ma crediamo che questo fatto costituisca già di per sé una risposta sufficiente. coda di paglia, che per lungo tempo hanno messo in commercio prodotti scadenti (editing scarso o assente, poca pubblicità, cura grafica e tipografica che è meglio lasciar perdere), temono che l’avvento dell’editoria digitale sancisca la loro fine, perché, dopotutto, cosa impedisce a un autore di pubblicarsi da sé, quando i servizi che riceve dall’editore lasciano tanto a desiderare? E a quel punto, a che servirebbero gli editori? Non abbiamo risposta a Vale la pena segnalare che, per chi legge in inglese, l’offerta è molto più variegata: Amazon stessa vende una gran quantità di ebook in tale lingua, spesso a prezzi concorrenziali. Chi si tiene ben lontano dalla lingua della perfida Albione e dei porci capitalisti americani ha comunque uno strumento per far sentire il proprio parere: le scelte di acquisto. Chissà che, dopo aver constatato il successo dei concorrenti che fanno buoni prezzi, qualche editore non si renda conto di cosa gli conviene. Vuoi pubblicizzare la tua attività sul nostro giornale o sul sito internet? Contattaci! [email protected] cell. 349 6171250 27 28 Giochi di ruolo Gennaio 2012 Nessun uomo è un fallito se ha degli amici di Ernesto Pavan Riflettori puntati su Psi*Run, un gioco di azione e introspezione Azione e poteri mentali scatenati! Non è ancora uscito “ufficialmente” nel momento in cui scriviamo (è disponibile il preordine, che include un manuale elettronico “preliminare” di 61 pagine), ma Psi*Run (di Meguey Baker, prezzo variabile da 10$ per la sola versione in .pdf a 25 per file e manuale cartaceo, spese di spedizione incluse) promette di essere un ottimo prodotto. La premessa mescola azione fantascientifica e indagine psicologica: i protagonisti del gioco sono persone dotate di poteri psionici, in fuga da una misteriosa organizzazione che vuole tenerli prigionieri (considerato che i “poteri psionici” vanno dalla telecinesi alla facoltà di far esplodere le cose con il pensiero, si può capire il perché). Ciascun giocatore assume il ruolo di un personaggio, tranne uno che sarà il Game Master e gestirà l’ambiente e i comprimari; a differenza di quanto accade spesso, tuttavia, i personaggi non nascono “completi”, perché soffrono tutti di amnesia e parte del gioco consisterà proprio nel recupero dei loro ricordi perduti. E nella fuga, naturalmente. Il sistema di gioco deve molto ad Apocalypse World (del resto, Meguey Baker è la moglie dell’autore): anche qui abbiamo tre risultati possibili per ogni tiro di dado, di cui uno positivo, uno così così e uno negativo. La differenza sta nel fatto che, invece di due dadi, in Psi-run se ne tirano da quattro a sei e ciascuno di essi non va sommato a un valore, ma assegnato a una delle possibili “sfumature” dell’esito dell’azione. Ci sono infatti cinque poste in gioco ogni volta che si tirano i dadi: il personaggio può raggiungere inseguitori, mantenere il controllo dei propri poteri psionici ed evitare di subire ferite. È il giocatore che sceglie quale dado assegnare a ciascun elemento; più alto il risultato del dado assegnato, meglio andrà al personaggio in quell’ambito. È evi- dente, a questo punto, come i giocatori si trovino a essere veri e propri sceneggiatori e registi delle storie dei loro personaggi, pur conservando il gioco una certa dose di suspense dovuta all’uso dei dadi: non si possono scegliere i risultati, ma perlomeno si può decidere cosa andrà bene e cosa male. Un sistema semplice, ma sorprendente. o meno il suo obiettivo, può rivelare elementi del suo passato (fino a quel momento ignoti anche personaggio stesso), sfuggire o meno agli Per chi fosse interessato all’acquisto di Psi*Run, il sito è http://theunstore.com/index.php/unstore/game/129. Noi lo consigliamo caldamente. Gennaio 2012 Teatro Nuovo Giochi di ruolo stagione 2011 2012 Questo è il nome della rubrica 14ª edizione www.teatrostabileverona.it Partecipato da: 29 30 Società Gennaio 2012 Storie di ordinaria follia di Ernesto Pavan La seconda, attesissima parte Breve vocabolario lavorativo - Parte 2 In questa puntata ci soffermeremo sulla forma delle inserzioni lavorative, in particolare su alcuni elementi che non dovrebbero assolutamente mancare (ma spesso mancano) o sono intesi in modo diverso da come dovrebbero. Di nuovo, vogliamo sottolineare come questa serie di articoli non abbia lo scopo di offendere o prendere in giro, ma quello di aiutare i responsabili delle risorse umane a produrre annunci funzionali alle esigenze della azienda. Perché l’annuncio giusto può essere un buon primo passo per trovare la persona giusta. Cominciamo con l’età, che è l’intervallo all’interno del quale deve ricadere la somma degli anni del candidato ideale. È anche illegale da indicare, perché la legge parla chiaro: i lavoratori non possono essere discriminati per età, sesso o abilità nel giocare a calcetto, a meno che non si tratti di requisiti essenziali e intrinseci nella posizione offerta (per quanto aitante sia nonno Renzo, è probabile che il mestiere di modello fitness non faccia per lui). Allo stesso modo, essendo l’italiano una lingua sessuata, il maschile va inteso (nel contesto delle inserzioni) come maschile e femminile: se scrivete che cercate un “impiegato”, vuol dire che la vostra offerta è valida sia per gli uomini che per le donne. Viceversa, se scrivete “impiegata” commettete un reato (che poi nessuno persegua nessuno per questo è un altro discorso, simile a quello sull’evasione fiscale). Questo significa forse che voi, poveri imprenditori che cercano solo di sopravvivere, non avete il diritto di assumere chi pare a voi? Certo che l’avete. Però siete costretti a esaminare le candidature di tutti (anche se questo non implica necessariamente un colloquio), il che non è necessariamente un male: magari la persona che fa per voi è una di quelle che, a fronte di un’inserzione discriminatoria, non vi avrebbe mai contattato. Perché diminuire le possibilità di essere soddisfatti? In un buon annuncio, l’azienda si presenta ai candidati. Par capire se una presentazione è sufficiente o meno, basta chiedersi: “Userei questa definizione della mia azienda per spiegare a un potenziale cliente quello che facciamo?” Se la risposta è “no”, non usate quella definizione. Per fare un esempio, chi di voi è in grado di dire che cosa faccia una azienda commerciale? Sì, commercia, ma in cosa? È facile immaginare quanto tempo rischiereste di perdere se, cercando un responsabile delle relazioni pubbliche per un distributore di armi leggere, vi arrivassero centinaia di curriculum di gente che ha lavorato in un ruolo analogo... nella filiera distributiva dei giocattoli. Qui non vogliamo sminuire la versatilità di professionisti con anni di esperienza, ma una buona conoscenza dei prodotti e del pubblico di riferimento è fondamentale in questo genere di lavoro; pertanto, definire di cosa si occupa la vostra azienda è il modo migliore per ottenere una risposta adeguata dai candidati. Sono sufficienti poche righe, in cui descriverete in modo succinto l’attività: “importiamo e distribuiamo all’ingrosso trespoli per pappagalli”. Non cadete nell’errore opposto, quello di vantarvi dei successi da voi ottenuti senza dire esattamente che cosa fate: se il nome della vostra azienda non è abbastanza noto per parlare da sé, le vanterie hanno il solo effetto di suonare fasulle. E, se siete i titolari, evitare per amor del cielo di elencare i vostri titoli e le vostre esperienza nella descrizione dell’azienda. State cercando persone che vi inviino curriculum, non state inviando il vostro. Il che ci porta all’argomento del “candidato ideale”, quello che vorreste si presentasse alla vostra porta. Il trucco per attirarlo è semplice: descrivetelo. Non facendo un elenco di Società Gennaio 2012 Storie di ordinaria follia titoli e requisiti, ma indicando le sue caratteristiche e il tipo di lavoro che sarà chiamato a svolgere. Non scrivete “cercasi impiegata commerciale”: oltre a essere terribilmente vago (e, ricordiamolo, illegale), è anche falso. Voi non state cercando un’impiegata commerciale, ma una persona “intraprendente, dal carattere paziente e disponibile, con un forte interesse nel mondo dell’ottica. La persona si occuperà di verificare gli ordini in entrata e in uscita, curerà i rapporti con il reparto produttivo e fornirà un’assistenza di base ai clienti.” Semplice, sintetico e funzionale. Vi farà risparmiare molte ore che sarebbero andate perse esaminando curriculum che non vi interessano o intervistando candidati che, al colloquio, si sarebbero resi conto che questo non è il lavoro che stavano cercando. Alla fine, tutti ci avranno guadagnato. Voi compresi. Concludiamo la puntata con un richiamo all’ovvio che tanto ovvio non è: il contenuto dell’inserzione deve corrispondere alla realtà. Alcuni, alla ricerca di personale per occupare posizioni sgradevoli o poco prestigiose, potrebbero essere tentati di sperare nella legge dei grandi numeri e, volendo attirare il maggior numero di candidati possibili, mentire nella descrizione dei compiti da svolgere o addirittura fare un elenco variegato di posizioni libere che non esistono (per esempio scrivendo “cerchiamo promoter, impiegati commerciali e addetti al back-office” quando servono solo promoter). Di sicuro questa tecnica produce una buona affluenza di curriculum; quello che invece distrugge è la reputazione dell’azienda, che dopo qualche centinaio di messaggi pubblicati e rimbalzati da persone infuriate sarà stata inevitabilmente compromessa. Tutto ciò, naturalmente, senza considerare le implicazioni etiche e legali insite nella pubblicazione di un annuncio fasullo. Così parlò Eatwood Continuava a sostenere che quell’artista era coprofago fino a quando non mi stancai delle sue esternazioni e lo cacciai di casa. Era diventato insopportabile. Ne io, ne tutti gli altri, compreso il fratellino raccomandato, potevamo più farci carico di una personalità, la sua, che ogni giorno diventava sempre più molesta. Tutto ciò che di più putrido aveva caratterizzato la poca conoscenza che avevamo di lui ci era rimbalzato addosso quando, con le suole sporche di feci canine, rovinò il nostro Nain appena acquistato grazie al benessere economico del nuovo governo. La presenza vicina della cattedrale non aveva frenato il suo impeto che si fece sentire per tutta la piazza. Aveva davvero superato il limite e nemmeno l’anziano e panzone fotografo, con la sua flemma da bradipo in pensione, era riuscito ad arginarlo. Noi, per nulla sbigottiti, seppur infastiditi, tornammo a fare quello che stavamo facendo…domandarci che diavolo di posizione prenderà il governo sulla questione pubblicisti. Ma di questo ne parleremo in un’altra puntata. Come diceva la voce fuori campo nel celebre cartone Heidi. Narrativa, poesia, vita vissuta, storia locale, didattica scolastica, cultura nel senso più ampio del termine. Spazio agli autori emergenti, giornalisti e ricercatori. Particolare attenzione alla promozione del territorio, delle economie emergenti (marmo, vino, enogastronomia, percorsi turistici alternativi) e a indagini psico-sociologiche. Via Jago di Mezzo, 6 - 37024 Negrar Tel. e Fax 045 8031248 31 32 Viaggi Gennaio 2012 Giro giro tondo, io giro intorno al mondo di Alice Perini Il calderone multietnico dello stivale d’Italia: la comunità arbërëshe e altre storie Melting pot d’altri tempi: perché la Calabria sa di Albania «La Calabria sembra essere stata creata da un Dio capriccioso che, dopo aver creato diversi mondi, si è divertito a mescolarli insieme» Guido Piovene Se c’è qualcuno che potrebbe insegnarci qualcosa sull’arte del viaggiare, questi è senz’altro Guido Piovene, lo scrittore italiano che con il suo libro Viaggio in Italia ci ha raccontato il Bel Paese degli anni ‘50, da Bolzano a Siracusa, attraversando ogni angolo di un’Italia impegnata a gettarsi dietro le spalle momenti davvero bui. E tra le tante realtà, la Calabria deve averlo proprio colpito, tanto da elogiare la gente di questa terra per il tatto e per quella cortesia discreta che può avere, per Piovene, una sola chiave di lettura: «qui una volta la civiltà era greca». Il bello è che non di sola Grecia si tratta: la Calabria è, assieme alla Basilicata, la regione non di confine in cui si registra il maggior numero di stanziamenti alloglotti, cioè di centri in cui si parla una lingua diversa da quella riconosciuta come ufficiale. Se il grecanico, il dialetto greco, è diffuso in nove comunità, l’influenza della cultura e della parlata franco-piemontese (o gallo-italica) è limitata a un unico centro, il piccolo paese di Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza, dove, intorno al XIII secolo, si rifugiò un gruppo di valdesi provenienti dal Piemonte. Ancora, ogni anno, tra luglio e agosto, le località di Diamante e Bova Marina ospitano numerosi rabbini che giungono da queste parti per acquistare, dopo un’attenta selezione, i cedri da utilizzare durante la Sukkoth, la festa delle capanne in cui si ricordano le precarie abitazioni degli ebrei durante i quarant’anni vissuti nel deserto. Ma nel calderone etnico della Calabria, la minoranza più consistente rimane quella albanese: la comunità arbërëshe conta più di 58 mila persone, sparse in almeno 30 comuni della regione, in particolare nella provincia di Cosenza. Preso atto che il mondo multiculturale non è esclusiva dei giorni nostri e che siamo molto più bastardi di quanto non crediamo (o non vogliamo credere?) di essere, perché una comunità arbërëshe proprio qui? Tutto ebbe inizio verso la fine del XIV secolo, quando arrivarono in Calabria, ormai sconvolta da duri scontri tra i feudatari e il governo angioino, molti soldati albanesi pronti a prestare il loro servizio ora a difesa dell’uno ora dell’altro. Qualche anno più tardi, dato che anche Alfonso d’Aragona aveva il suo bel da fare, impegnato com’era nella lotta di successione al In basso a sx i cartelli bilingue in italiano e albanese. Sopra la punta dello “stivale” trono di Napoli, si ricorse al nobile condottiero albanese Demetrio Reres, che sbarcò in Italia accompagnato dai figli e da tre squadre di guerrieri. Distintosi per il valore militare e per il prezioso aiuto fornito, Alfonso d’Aragona decise di ricompensare il combattente con la concessione di alcuni territori della Calabria. Questo non è che l’inizio dell’emigrazione albanese verso l’Italia: infatti, è solo a partire dal 1460 che tale fenomeno conosce un brusco incremento. Sono gli anni dell’eroe nazionale Gjergji Kastrioti, altrimenti conosciuto come Skanderbeg, un uomo che nella sua patria, l’Albania, riuscì a organizzare un movimento di resi- Viaggi Gennaio 2012 Giro giro tondo, io giro intorno al mondo stenza contro l’invasione da parte dei Turchi. Soldati abili e coraggiosi, gli uomini albanesi erano considerati tra i migliori mercenari disponibili sulla piazza, contesi da Serbi, Franchi, Aragonesi, dagli stessi Bizantini e, perché no, anche dai numerosi regni e ducati sparsi per tutta l’Italia. E visto che di mercenari si tratta, la ricompensa non doveva mancare: altre terre, questa volta nella provincia di Catanzaro, sicuramente un luogo più sicuro rispetto alla vicina Albania, alle prese con la pericolosa avanzata degli Ottomani. Gli studiosi calcolano che le ondate migratorie verso l’Italia siano state in totale nove, otto delle quali concentrate in un arco di tempo di circa 3 secoli. Trecento anni vissuti in zone e villaggi spesso isolati, con la conseguenza (positiva) di aver conservato un bagaglio di tradizioni unico, se solo si pensa, per esempio, che coloro che rimasero in Patria, al di là dell’Adriatico, dovettero convertirsi forzatamente alla religione islamica. Un’ulteriore prova di quanto sia stato rigido l’isolamento culturale di queste persone sta nella lingua parlata ancor’oggi in alcuni centri della Calabria: dopo oltre cinque secoli di pressoché totale separazione dalla terra d’origine, l’arbërisht rimane non solo la lingua madre delle minoranze stanziate in Italia, ma condivide l’85% delle paro- Sopra a sx il ballo di una manifestazione arbereshe, a dx l’eroe albanese Skanderbeg. Qui sotto il museo del costume le con la lingua attualmente parlata in Albania. Qualcuno ha detto che il mare unisce i paesi che separa. Gli Arbëreshë ne sono la prova. I Nostri servizi: Cartoleria - Cartoline - Poster Assortimento Libri nuovi ed usati in inglese e spagnolo. Libri e giochi didattici per bambini e ragazzi. Angolo bambini. Siamo in Vicolo Pomodoro, 10 - Verona (Traversa corso Cavour - vicino Castelvecchio) Telefono: 045.8031248 33 34 Viaggi Gennaio 2012 Houston, abbiamo un problema di Alice Perini Un paesaggio culturale di curiosa bellezza: Matera e i suoi Sassi Fatta di tutta un’altra materia «Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania» Carlo Levi Che Cristo si sia fermato a Eboli, non fa più notizia. Che la Basilicata, regione in cui Cristo non è riuscito a metter piede, sia stata scelta come location di alcuni film religiosi tra i più famosi è, più che una notizia, un’ironia della sorte: Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini e The Passion di Mel Gibson sono ambientati proprio qui, nella Murgia materana, una terra aspra, desolata, anche se non del tutto dimenticata da Dio. Colline argillose e un altopiano brullo che s’immerge d’improvviso in un canyon profondo. È la gravina di Matera, un burrone che sembra disegnato nell’arrendevole roccia delle murge: una gola che conserva molte testimonianze del passato, come se queste fauci di sassi avessero inghiottito millenni di storia, civiltà e uomini. Giù negli abissi della terra o su, aggrappati alle pareti delle montagne, i paesini della Lucania, l’altro nome con cui è conosciuta la Basilicata, assomigliano a quei puntini che, uniti tra loro con una matita, creano una figura. E in questa regione, spesso trascurata dai tradizionali circuiti di viaggio, sarà richiesto, a ciascuno di voi, lo sforzo di disegnare il vostro percorso: potete seguire le vie della storia, che qui ha stabilito le sue radici millenni di anni or sono, o dell’arte, con un patrimonio unico in cui si condensano le influenze d’Oriente e d’Occidente. Con un po’ di fortuna, ci si potrebbe far guidare da un esemplare di Falco Grillaio, il più piccolo rapace d’Europa. Nella bella stagione, il Falco Grillaio migra dal Nord Africa nei territori della Puglia e della Basilicata e stabilisce il suo nido sotto le tegole dei vecchi tetti o nei fori delle case abbandonate. Ecco perché il centro storico di Matera è un riparo perfetto: un intricato sistema urbano, unico nel suo genere, in cui le esigenze dell’uomo e della natura hanno convissuto in equilibrio per secoli. Un ecosistema capace di tramandare, fino agli anni ‘50 del secolo scorso, il modo di abitare nelle caverne, un’ulteriore prova dell’abilità dei nostri antenati del saper vivere in armonia con l’ambiente naturale: queste le ragioni che hanno valso Viaggi Gennaio 2012 Houston, abbiamo un problema ai Sassi il titolo di sito Patrimonio dell’Unesco già nel 1993 (il primo nell’Italia meridionale). La città della pietra, detta anche troglodita (dal greco trō’glē, caverna), è un alternarsi di case, scavate nella friabile roccia calcarea e di stradine che spesso si appoggiano sui tetti delle dimore sottostanti, così che nelle vie tortuose si vedono spuntare i comignoli delle abitazioni poco più in basso. Un disordine tanto proporzionato quanto scenografico, quasi un allestimento teatrale: il Sasso Caveoso, la parte più primitiva del centro storico di Matera, ricorda, per la disposizione delle case-caverna, un anfiteatro romano. Vista dall’alto, come la può osservare il Falco Grillaio che ci guida in questo viaggio, la pianta dell’antica Matera assomiglia all’omega greca, con il nucleo originario della città, il colle Civita, che sembra ergersi in armonia tra il Sasso Caveoso e il Sasso Barisano, l’altra metà di Matera. Un equilibrio disarmante, dove si possono ammirare il cielo e le stelle sotto i piedi degli uomini, come racconta Verricelli nella sua Cronica de la città di Matera verso la fine del 1500, o dove «li morti stanno sopra li vivi» (pare che, a volte, i tetti delle case servissero da cimiteri)… Un presepio perenne con il pozzo, centro della vita sociale, e con il for- nel ‘900, negli anni in cui lo scrittore Carlo Levi fu spedito al confino in Lucania dal regime fascista. Il cuore della città, già in parte degradato da anni di incuria, venne evacuato forzatamente dal governo italiano per le precarie condizioni igienicosanitarie. no, simbolo dell’organizzazione di tutta la comunità. Dimore essenziali, formate da un unico vano in cui vivevano assieme uomini e animali. Niente finestre: la luce entra dall’alto, come nelle abitazioni del Nord Africa. Arredamento minimo, funzionale alla conservazione del cibo; temperatura costante di 15 gradi, grazie al tufo che funziona da climatizzatore. Perché se tutto sembra così invitante, Cristo si è fermato a Eboli? Anche i Sassi hanno avuto, in passato, momenti di crisi, l’ultimo dei quali Grazie a un programma di risanamento varato nel 1967 per il recupero della zona, possiamo dire, per una volta, di essere stati bravi, noi italiani. Bravi, per l’impresa riuscita. Fortunati, per aver viaggiato seguendo il volo di un rarissimo Falco. Chissà, dunque, che qualcuno di voi, invece di fermarsi a Eboli, non prosegua fin qui… www.amicidellacattolica.com Nella pagina precedente: il bellissimo contrasto tra la città di giorno e di sera, sopra a sx il falco grillaio e a dx l’ interno di un “sasso” 35 36 Viaggi Gennaio 2012 Giro giro tondo, io giro intorno al mondo di Stefano Campostrini Continua la passione per un viaggio indimenticabile Oman pt. 2, incontri ravvicinati del terzo tipo Il racconto di un viaggio è proprio questo, un racconto. Fatto di appunti, impressioni, dettagli. Le piccole cose che rendono grande un’esperienza. Nel nostro caso quella nel paese arabo ormai tanto amato e desiderato. Il mattino e la sua luce sono ancora di là da venire e la ripartenza per la destinazione finale si avvicina. L’aereo della notte è trepidante e quasi ansioso di mettersi in moto, conducendoci verso il nuovo giorno e la nostra trasferta lavorativa, particolare sempre e comunque da non dimenticare come obiettivo principale. L’arrivo nel nostro ultimo scalo è altrettanto particolare quanto il primo, l’accoglienza è già da subito calorosa ma l’interno del terminal appare invece quasi freddo e inospitale, saranno le luci al neon o il silenzio che in un primo momento la fa da padrone. Non dura molto comunque perché il gruppo è numeroso e gentilmente chiassoso e perché poco lontano, in procinto di superare i controlli di rito, ci sono tanti immigrati da un Oriente un po’ più estremo. Più silenziosi e apparentemente più spaventati di noi, almeno dagli sguardi e dai gesti. La sensazione è quella di sentirsi osservati, nella propria essenza e apparenza turistica; siamo entrambi lì per lavoro sicuramente, le opzioni sono differenti ma la voglia di farcela è almeno la stessa. Superata la prima barriera burocratica, fatta di richieste in lingua, discorsi locali e ricerca della novità desiderata, oltrepassata anche la seconda del controllo dei bagagli si aprono al forestiero le porte scorrevoli della ultima hall prima di uscire dall’aeroporto. La sorpresa è che dietro quelle ante ci trovi almeno un centinaio di altri stranieri in terra straniera sempre di quell’Oriente un po’ più in là, che guardano tutti te. Sguardi magnetici, che quasi imbarazzano, occhi forse stanchi ma potenti e attenti. Quelle orbite bianche su quei volti dalla pelle più scura sono stati un colpo alla mente e al cuore. Aspettano di vedere sicuramente qualcun’altro ma sei passato tu e quindi non ti riconoscono, non vogliono probabilmente niente da te ma per il colore della tua pelle o per il modo in cui sei vestito o solo perché sei uscito quasi per ultimo ti fissano e ti viene voglia di salutarli e di sorridere loro. Solo dopo qualche secondo arrivi alla fine della coda al di là delle transenne e non ci sei riuscito ma sei già sicuro che ci saranno tante occasioni più avanti. È stato un primo impatto molto forte, solo, con la tua valigia di fronte a tutte quelle persone, per qualche metro a piedi ha riservato alcuni degli istanti più incredibili del viaggio. Ed era solo l’inizio. Un altro autobus era infatti fuori che aspettava, gli ultimi del gruppo. Il giorno era decisamente iniziato stavolta, l’alba aveva lasciato spazio ad una meravigliosa luce delicata, per gli occhi e per lo spirito. Subito quegli occhi in cerca di scatti fotografici, proprio per immortalare e conservare, per rivelare e scoprire. Si prende la via dell’hotel lungo queste am- pie strade a scorrimento veloce tra i quartieri dell’area urbana. Una fascia costiera densamente abitata lungo la quale si concentra gran parte della popolazione e delle attività umane del Paese. Abitazioni tradizionali, cantieri a perdita d’occhio, viadotti, palazzi moderni, insegne colorate, parcheggi, palme, moschee, incroci, traffico, negozi e uffici. In realtà poco tempo per intraprendere qualche chiacchiera con l’autista del mezzo, una persona caratteristica, per abbigliamento e mole fisica, un primo contatto verbale con una persona del posto, il primo di una lunga serie. Gli elementi di interesse cominciavano a sprecarsi, gli occhi non sapevano più dove guardare per poter vedere veramente il possibile o almeno l’indispensabile. Prima lo sguardo da una parte, poi dall’altra, avanti, indietro, negli specchietti, e intanto il tempo e il paesaggio scorrevano. È bastato in ogni caso così relativamente poco per rendere subito incredibile questa primissima parte di esperienza. Il fatto di trovarsi così lontani dalle proprie abitudini e così vicini a quelle di altri, immaginate e desiderate fortemente ha suscitato profonda e immediata passione e attenzione verso ogni particolare; dalle scritte in arabo, alla marca delle varie vetture circostanti, al numero di persone per strada, al paesaggio sullo sfondo. In quei pochi minuti di viaggio si era già accumulata una grandissima quantità di informazioni e paradossalmente una sorta di frustrazioni per non riuscire come ad afferrare psicofisicamente il più possibile di stimoli esterni. Niente paura, ci sarebbe stato tempo sufficiente per approfondire il tutto. La prossima volta. Animali Gennaio 2012 Amici miei di Alice Perini Strategie dal mondo animale: l’impresa di andare in letargo Meglio dormirci su, aspettando tempi migliori «Non c’ è che una sola cosa al mondo che possa dormire veramente bene – è un cadavere» Xavier Forneret C’è freddo. Il cibo scarseggia. Emigrare verso climi più miti non è da tutti… Anzi, ci vuole proprio un fisico bestiale per sopportare lunghi inverni, temperature rigide, per fronteggiare la mancanza di acqua e di qualcosa da mettere sotto i denti. Chi può, va a svernare in ambienti più sopportabili; chi non può mettersi in viaggio dovrà semplicemente adattarsi a condizioni di vita tutt’altro che favorevoli. Una soluzione c’è e sta nel letargo: dopo aver fatto il pieno di energie durante l’autunno, alcuni animali preferiscono dormirci un po’ su e aspettare che il peggio passi. Pigrizia? Saggezza? Di certo, andare in letargo (dal greco lethē, oblio, argós, inoperoso) non è così semplice: bisogna prepararsi per essere sicuri di superare il freddo e risvegliarsi nella bella stagione, anche dopo sei mesi di sonno profondo. La tana in cui ripararsi non è un pensiero da poco: trovare un posto sicuro in cui schiacciare questo “pisolino” è davvero importante. Del resto, se qualche predatore dovesse individuare il rifugio di un animale in letargo, questi avrebbe poche possibilità di salvarsi, addormentato com’è. Da non trascurare la ricerca di cibo prima di prender sonno, dato che mai come in questo caso è vitale immagazzinare energia prima che arrivino i grandi freddi: se le riserve di grasso presenti nel corpo dell’animale non sono sufficienti per tutta l’ibernazione, c’è il rischio di non sopravvivere fino alla primavera. Sì, ibernazione, perché è di questo che si tratta, scientificamente parlando. La pressione del sangue cala notevolmente, la frequenza cardiaca si riduce molto (3-15 pulsazioni al minuto), la respirazione si fa lenta, la temperatura del corpo si abbassa fino quasi al congelamento. Un eccezionale rallentamento delle funzioni vitali, una morte apparente e passeggera per evitare di incappare, prima del tempo, nella morte vera e duratura. Ma chi sono gli animali “da letargo”? Per alcuni studiosi è corretto parlare di letargo facendo riferimento esclusivamen- te ai mammiferi; in realtà, esistono alcune specie di pesci che, nonostante rimangano imprigionati per tutta la stagione fredda in un ghiacciaio, riescono a riprendere la vita normale con il sopraggiungere dei primi caldi. E se parlando di letargo vi viene spontaneo pensare a un orso, sap- piate che il sonno di questo animale non può definirsi propriamente tale, dal momento che sono sospese solo alcune attività fisiologiche (durante l’inverno gli orsi possono partorire e allattare). A quanto pare, per dormire veramente bene (e a lungo), non serve essere un cadavere… 37 38 Viaggi Gennaio 2012 Giro giro tondo, io giro intorno al mondo di Anna Chiara Bozza Zaino in spalla tra Siem Reap, Phnom Phen e Sihanoukville Ma cosa andate a fare in Cambogia? La reazione di amici e parenti verso coloro che partono per la Cambogia è più o meno sempre la stessa: Ma cosa ci vai a fare in Cambogia? La domanda è più che legittima visto che questo paese così misterioso e affascinante è poco conosciuto dal turismo di massa. Fino a qualche tempo fa era una destinazione offlimits, guerriglia e mine anti-uomo erano uno dei motivi principali che tenevano lontani viaggiatori e turisti. Oggi la situazione è cambiata e viaggiare in Cambogia è di nuovo sicuro. La meta più conosciuta è Angkor Wat, sede dei meravigliosi templi, dove si cominciano a notare le prime avvisaglie dell’ondata di visitatori, che sta rovinando la tranquillità e la spiritualità del luogo. Hotel a cinque stelle, campi da golf e centri benessere ormai cominciano ad affollare la vicina città di Siem Reap. Fortunatamente altre parti del paese sono meno gremite, e si trovano viaggiatori solitari alla scoperta di luoghi poco conosciuti. La nostra idea di viaggio era più o meno quella, anche se partendo con un gruppo organizzato si rischia sempre di “ritrovarsi” nei luoghi più turistici. Il nostro itinerario è cominciato da Bangkok, dove un bus ci ha portato al confine con la Cambogia. Una volta arrivati e sbrigate le formalità del visto, abbiamo attraversato a piedi la frontiera, per raggiungere un al- e tetti di foglie delle case a palafitta danno l’idea di un’Asia che ormai sta scomparendo, dove le vaste strade di terra battuta lasciano il posto a giganti di cemento. Prima di dedicarci alla visita del grande sito archeologico di Angkor, tro autobus che ci avrebbe portati finalmente a Siem Reap. Il paesaggio che riusciamo a scorgere prima del tramonto ci lascia senza parole. Immense risaie dalle quali emergono solo ciuffi di palme da zucchero abbiamo deciso di recarci sul lago Tonlè Sap per un giro in barca tra i villaggi galleggianti. Scuole, bar e case situati in piccole palafitte rendo questo scenario unico. Si vede subito che la popolazione è abituata alle visite dei turisti, infatti si affiancano continuamente piccole imbarcazioni, dove bambini con al collo dei pitoni chiedono 1$ per farsi fotografare. Nei giorni successivi ci siamo dedicati all’esplorazione del maestoso sito di Angkor. I luoghi che abbiamo visitato erano in cuore di un’enorme città dove ai tempi del massimo fulgore vivevano centinaia di migliaia di persone nelle abitazioni situate attorno ai templi e ai canali d’irrigazione. Da questo capolavoro di ingegneria idraulica emergono, come pietre preziose incastonate in un grosso gioiello, templi, santuari, ter- Viaggi Gennaio 2012 Giro giro tondo, io giro intorno al mondo razze, mura, portali, ponti e grandi viali di accesso alla città. Abbiamo visto migliaia di immagini in video o sulle riviste, patinate, ma nessuna ripresa digitale può eguagliare lo stupefacente effetto della visione tridimensionale di queste gigantesche opere di pietra, che passo dopo passo sorgono dalla vegetazione. La fatica di arrampicarsi fino in cima viene cancellata dal panorama della giungla sconfinata che si ammira dall’alto. Rovine avvolte dalla vegetazione, alberi che avvolgono e sembrano voler proteggere con le loro enormi radici gli edifici sacri, creano una meravigliosa simbiosi tra l’opera dell’uomo e l’inarrestabile potenza creatrice della natura. Dopo tre giorni abbastanza impegnativi di visita ai templi e shopping nella città di Siem Reap ci siamo diretti a Kratie, un paese sul Mekong, dove è possibile vedere i delfini Irrawaddy. La specie, che vive solo in questo fiume, è seriamente in pericolo d’estinzione e al giorno d’oggi ne rimangono solo sessanta esemplari. Kratie di per sè non è un posto memorabile, se non fosse per lo strepitoso tramonto sul Mekong, possibil- mente visto sulle barche. Zaino in spalla, o per meglio dire zaino in bus, il giorno seguente siamo partiti alla volta di Phnom Phen. Passare dalla tranquillità e il silenzio, alla confusione della capitale è stato abbastanza sconvolgente. Motorini, automobili, carretti, rickshaw zigzagano in modo caotico per le strade. Anche qui, come in altre zone della Cambogia, le cose stanno cambiando in fretta: nel centro si trovano molti “american bar” con tv al plasma che trasmettono canali occidentali. Dopo la visita al palazzo reale abbiamo deciso di recarci in uno dei luoghi più significativi del genocidio operato dal regime di Pol Pot. Nel centro della città sorge un edificio all’apparenza “normale”. Il vecchio ginnasio francese di Tuol Sleng, ora adibita a museo delle vittime del governo Khmer, fu trasformata durante gli anni della dittatura in un luogo di tortura e prigionia. La visione delle celle, dei letti di tortura, il sangue ancora sulle pareti, le centinaia di foto delle vittime sono un’esperienza molto dura, che di certo non lascia indifferenti alla storia di questo paese così poco conosciuta e così recente. Dopo i due giorni passati nella capitale, tra shopping e visite ai principali monumenti, ci siamo messi in marcia per la destinazione finale: Sihanoukville, dove trascorrere gli ultimi quattro giorni di relax sulle coste cambogiane. Dimenticato il sapore dell’Asia, ci troviamo catapultati in un mondo parallelo. Australia, Stati Uniti e Thailandia hanno ormai invaso la tranquillità e la semplicità del luogo. Bancarelle e guest house lasciano il posto a bar, ristoranti e hotel di lusso. Per sfuggire all’occidentalizzazione basta però uscire dal centro dove parchi naturali e spiagge offrono l’occasione per diverse escursioni. Passeggiate nella giungla, villaggi francesi abbandonati e magnifiche isole tropicali semi-deserte, rendono il soggiorno più interessante rispetto alla solita vacanza al mare. Chi si aspetta però di effettuare camminate in stile safari alla ricerca di animali esotici rimarrà deluso. L’unico esemplare tropicale che siamo riusciti a vedere sono state delle formiche rosse giganti che ci hanno pizzicato ovunque. Dopo questi giorni passati tra barche, ristorantini sulla spiaggia e camminate è giunto il “doloroso” momento del ritorno. Una breve tappa a Phnom Phen, dove un aereo ci ha trasportato a Bangkok, e da lì in Italia. Dopo 35 ore di aereo, 25 di pulmino, e altrettante di camminata arriviamo a Malpensa, e lì, come sempre restano soltanto le riflessioni e i ricordi di un paese che tanto ci ha affascinato e ammaliato. Lungo il cammino ci siamo scontrati con realtà molto diverse, sicuramente lontane dal nostro modo di vivere, che ci fanno riflette e chiedere se le persone “povere” sono loro oppure noi. Nella pagina precedente: al centro il tempio maggiore di Angkor, nelle altre immagini paesaggi e luoghi simbolo che si possono incontrare sulla propria strada 39 40 Cucina Gennaio 2012 Serviti il pasto, cowboy di Anna Chiara Bozza Un viaggio alla scoperta dei sapori della Cambogia Amok, lok lak e noodles Influenze thai, indiane, giavanesi, cinesi, malesi, vietnamite e pure francesi rendono sicuramente unico il panorama gastronomico della Cambogia. La cucina Khmer, meno conosciuta rispetto a quella dei paesi vicini, si sta rapidamente ritagliando un posto nello scenario culinario mondiale. Le tradizioni, a livello culturale e gastronomico, sono state influenzata dalla posizione geografica della Cambogia, considerata da sempre un punto di passaggio tra le grandi civiltà dell’India e della Cina. Curry, involtini primavera e salse piccanti sono ormai parte integrante del menù. Gli ingredienti vengono scelti freschi e zenzero, citronella e altre erbe selvatiche arricchiscono il sapore delle pietanze. Buona parte delle ricette tradizionali essendo di epoca antica, non adottano come elemento principale il peperoncino, introdotto solo successivamente dai Portoghesi . Questo è sicuramente uno dei motivi per cui la cucina cambogiana risulta meno piccante e più equilibrata delle altre della zona. Le lussureggianti risaie rendono il riso il contorno più utilizzato, anche se le baguettes, lasciate in dotazione della dominazione francese, sono sempre a portata di mano. Altro elemento fondamentale della cucina cambogiana è sicuramente il pesce: d’acqua dolce o salata esso proviene dal lago Tonlè Sap, dal Mekong o dall’oceano. Barbeque di barracuda, seppie e gamberi si possono gustare nei numerosi ristoranti della costa alla modica cifra di 4 $. L’Amok è sicuramente il piatto più conosciuto della cucina Khmer. Si tratta di pesce o pollo cotto al vapore in crema di cocco, con citronella e peperoncino. Può essere servito dentro foglie di banano, oppure in una noce di cocco utilizzata come pentola. Tra i diversi aromatizzanti presenti nel piatto viene utilizzato il prahoc, una salsa salata di pesce fermentato dal sapore molto forte. Se invece si vuole andare sul sicuro, scegliendo un piatto vicino ai gusti europei, meglio optare per il Lok Lak: bocconcini di carne in salsa serviti su un letto di pomodori e uovo fritto. La scelta è molto vasta, e in un menù ben fornito non può mancar uno dei classici della cucina orientale: i noodle, tagliolini di riso serviti in tutte le salse, con verdure, pollo o manzo. Per i palati più avventurosi è obbligatoria una visita alle bancarelle dei mercati dove, oltre a normali spuntini fritti, si possono trovare diverse “prelibatezze” che la maggioranza dei turisti non si sognerebbe mai di provare. Tarantole, cavallette e scarafaggi fritti, conditi con zucchero e aglio, sono esposti in bella mostra per attirare gli sguardi dei curiosi. Una volta esaudito il desiderio di provare i piatti tipici della cucina khmer ci si può dilettare nell’assaggio di altre tipologie di vivande. Nei grandi centri, non mancano i ristoranti etnici dove è possibile gustare cibi thailandesi, indiani, vietnamiti, cinesi, Cucina Gennaio 2012 Serviti il pasto, cowboy coreani e addirittura piatti europei. L’unico punto dolente della cucina Khmer è rappresentato dalla scarsità di pietanze dolci. Per la conclusione del pasto, infatti, è meglio optare per una buona porzione di frutta, visto che l’unica alternativa per i più golosi è rappre- sentata da porridge di riso e latte di cocco. Ananas, mango, jackfruit e dragon fruit si trovano in ogni angolo del paese e sicuramente non vi faranno alzare da tavola scontenti. Ottimi sono anche gli shakes che si accompagnano alle portate principali oppure offrono uno spuntino alternativo per coloro che sono più attenti alla linea. I viaggiatori con budget limitato saranno contenti di sapere che in Cambogia si può consumare un vero pasto con solo 2$. I numerosi ristoranti di strada cucinano ottimi piatti a prezzi bassissimi, ma anche andando in un ristorante il costo di una portata difficilmente supera i 4$. Prezzi bassi e particolarità del cibo danno l’opportunità ai viaggiatori di sbizzarrirsi nell’assaggio delle varie pietanze rendendo il viaggio in Cambogia un’esperienza unica, che non soltanto darà l’opportunità di immergersi in una cultura totalmente diversa da quella occidentale, ma anche di provare accostamenti di vivande che non ci si sarebbe mai aspettati nella vita. Nella pagina precedente: al centro una porzione di amok, in basso le “prelibatezze” a base di insetti e qui a fianco un piatto di lok lak Vuoi pubblicizzare la tua attività sul nostro giornale o sul sito internet? Contattaci! [email protected] cell. 349 6171250 41 42 Sport Gennaio 2012 Quando il gioco si fa duro di Daniele Adami La Champions League ha una nuova voce: si chiama Giulia Mizzoni Se la telecronaca è femmina “Persone che forniscono un contributo obiettivo e raramente fuori luogo, che si sentono a proprio agio, che desiderano che vi sia rispetto nei loro confronti” Iniziamo dal cinema. Da un film del 1998: Patch Adams. In un dialogo fra Robin Williams e Monica Potter (che interpreta Carin Fisher), quest’ultima evidenzia il fatto che nel corso di medicina che sta frequentando vi sono pochissime donne. Sottolinea di aver “sgobbato” (termine usato nel doppiaggio italiano della pellicola) molto per entrare all’università, e che dovrà continuare a farlo per rimanervi. Una ragazza che, meritatamente, ha ottenuto quel posto. Passiamo allo sport, e non a quello giocato sul campo. Vogliamo parlare di quel mondo che, spesso rinchiuso in una piccola stanza, o in uno studio televisivo, descrive e commenta le azioni che si stanno svolgendo. Parole dette a un microfono che in brevissimi istanti raggiungono le televisioni e le radio di migliaia di tifosi. E le voci di queste particolari cronache? Esclusivamente maschili. O meglio, lo sono state fino a poco tempo fa. Il 6 dicembre scorso, durante una partita di Champions League, il suono che ha rimbalzato sui divani dei telespettatori apparteneva a una donna. Giulia Mizzoni, giovane giornalista di un’emittente privata, ha narrato i goal, i falli, le sostituzioni dell’incontro fra il Genk e il Bayer Leverkusen. La prima volta in questa competizione sportiva. Lo confesso, non ho seguito i commenti di tale sfida calcistica. Pertanto, non posso fornire un giudizio, non posso nemmeno dire “se è stato strano” ascoltare una voce femminile. Ho affrontato la questione nei giorni successivi, leggendo qualche opinione sulla carta stampata e sul web. Ho letto della forte passione di Giulia Mizzoni per lo sport, della gavetta vissuta in radio e televisione, della sua vasta competenza. Una Qui sopra la giornalista Giulia Mizzoni e sotto la partita che ha commentato. Nella pagina a fianco il confronto con una tipica esultanza “maschile” dopo un goal Sport Gennaio 2012 Quando il gioco si fa duro di difficoltà, che guidano agevolmente una trasmissione, che fanno interagire gli ospiti dando loro il giusto spazio. Le emozioni vengono spesso lasciate a casa, e mai mi è capitato di udire un urlo. Mai. persona, insomma, meritevole, che si muove in un universo prettamente maschile (o maschilista?). Donne che lavorano nel settore dello sport giornalistico sono oramai molte. Persone che forniscono un contributo obiettivo e raramente fuori luogo, che si sentono a proprio agio, che desiderano che vi sia rispetto nei loro confronti. Professioniste che sanno gestire i momenti Queste ultime parole non si riferiscono a quei “giornalisti” e “opinionisti” esaltati che quando segna la squadra del cuore si mettono a ululare il nome (o il nomignolo) del giocatore che ha realizzato il goal, che non accettano un’idea diversa dalla propria, e che non lasciano parlare gli altri. Programmi frequentati solo da uomini. Lasciamoli lì. appleproducts.tk Apple Products è un gruppo di persone che condividono la passione per i prodotti Apple. Visitateci sul sito internet dove potrete trovare guide, aiuti e molto altro sul mondo Apple. Per una totale accessibilità al sito è necessaria l’iscrizione gratuita al forum. 43 R I S TO R A N T E Casale Spighetta ... dove la cucina tradizionale italiana viene rivisitata con un sapore d'Oriente ... Casale Spighetta, un nuovo spazio, un sorprendente gioco architettonico di salette che si intersecano pur rimanendo raccolte nella loro intimità. L'atrio Nafura, il Lounge panoramico Gioia & Gaia, la cantina del Trabucco, il Coffee Lounge tutti con arredi eleganti, diversi, con un tocco d'oriente legati da toni materiali ed effetti di luce e colore che rispecchiano alla logica di mirabili equilibri. Le sale esprimono un’atmosfera ariosa ed elegante perfettamente in linea con la cucina dello Chef Patron. Un’esigenza per chi, come lo Chef Angelo Zantedeschi va al di la dell’arte culinaria, un grande amore per la tradizione e l’arte moderma. Il Casale la Spighetta è un ristorante collocato nelle colline della Valpolicella a Verona, i suoi ambienti eleganti sono indicati per cene romantiche, banchetti e cene aziendali. Dal giardino estivo si può godere di un meraviglioso panorama. Via Spighetta 15 37020 Torbe di Negrar, Verona Tel/fax: +39 045 750 21 88 www.casalespighetta.it