edito da
Associazione Culturale
www.quintaparete.it
Anno III - n. 1 - Gennaio 2012
Intervista
Giovanni Allevi
Abbiamo incontrato il
pianista e compositore
marchigiano al Teatro
Salieri di Legnago
Arte
La Tour a Milano
Viaggi
Tutti in Cambogia
Ancora pochi giorni
per visitare la
mostra dedicata al
“Caravaggio francese”
Esploriamo il poco
noto paese indocinese,
ricchissimo di cultura
storica e culinaria
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A
Anno III - n. 1 - Gennaio 2012
in questo numero
www.quintaparete.it
Edito da
Associazione Culturale
Quinta Parete - Verona
Via Vasco de Gama 13
37024 Arbizzano di Negrar, Verona
Intervista
pag. 6
Eventi/musica
pag. 8
Teatro/agenda
pag. 12
Arte
pag. 16
Cinema
pag. 24
Libri/giochi di ruolo
pag. 26
Società
pag. 30
Viaggi/animali
pag. 32
Cucina
pag. 40
Sport
pag. 42
Direttore responsabile
Federico Martinelli
Coordinatore editoriale
Silvano Tommasoli
Assistente di redazione
Stefano Campostrini
Hanno collaborato
Daniele Adami
Paolo Antonelli
Valentina Bazzani
Anna Chiara Bozza
Stefano Campostrini
Francesco Fontana
Michele Fontana
Valeria Giarola
Agnese Ligossi
Lorenzo Magnabosco
Federico Martinelli
Ernesto Pavan
Alice Perini
Silvano Tommasoli
Realizzazione grafica
Stefano Campostrini
Autorizzazione del Tribunale di Verona
del 26 novembre 2008
Registro stampa n° 1821
contatti
[email protected]
[email protected]
Tel. direzione: 349 61 71 250
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Magico
Teatro
Il Piccolo
18 Febbraio 2012 - ore 16.00
12 Novembre 2011 - ore 16.00
Teatro Stabile di Verona
Tutti insieme
con Romeo e Giulietta
con Roberto Petruzzelli
3-10 anni
26 Novembre 2011 - ore 16.00
Linda Di Giacomo
Tirami sù!
Storia tragicomica di fanciulle, trecce,
streghe, principi torri e ortaggi
3-10 anni
21 Gennaio 2012 - ore 16.00
Viva Opera Circus
Il giro del mondo
in tante fiabe
con Gianni Franceschini
5-10 anni
4 Febbraio 2012 - ore 16.00
Teatro Stabile di Verona
Il Ponte dei colori
con Andrea De Manincor
e Sabrina Modenini
6-12 anni
Piccolo Teatro di Giulietta
(Foyer del Teatro Nuovo)
Ingresso dal Teatro Nuovo - Piazza Viviani 10 - Verona
Biglietti € 5 in vendita presso:
Teatro Nuovo - Piazza Viviani 10 - Verona
dal lunedì al venerdì ore 15.30-20.00
Per informazioni:
Teatro Stabile di Verona - Tel. 045.8006100
[email protected]
www.teatrostabileverona.it
C’era due volte
il barone Lamberto
con F. Botti e M. Segalina
6-10 anni
10 Marzo 2012 - ore 16.00
IΩ` Teatro - Ass. Armilla
Baci azzurri e giocattoli
di forme poderose
di Rosanna Sfragara
e Jutta Wernicke-Sazunkewitsch
6-10 anni
In ricordo di...
Gennaio 2012
È la stampa, bellezza
di Silvano Tommasoli
Addio a Giorgio Bocca, una delle più grandi firme del Novecento
Era la stampa, bellezza!
Impossibile misurare la “statura” di
un giornalista. Se ci riferissimo alla
fluidità della prosa, alla perfezione
grammaticale e sintattica del linguaggio, al crescendo della tensione
narrativa, alla forza immaginativa
del racconto e alla capacità di emozionare il lettore, allora, ragazzi,
dopo la morte di Dino Buzzati potremmo starcene tutti a casa. Senza
togliere niente a nessuno, si capisce.
Ma Buzzati è stato davvero il più
grande.
Già li sento, i miei dodici lettori: ma
ti sembra l’attacco giusto per il coccodrillo di un grande del giornalismo italiano? Vuoi celebrare Giorgio
Bocca, ed esalti Buzzati?
brava già di farlo perché lo desideravo moltissimo e la faccia di bronzo
non mi difettava, e sono rimasto ad
ascoltarlo. Qualcuno, quella domanda che avrei voluto fargli io, gliel’ha
rivolta davvero. Non ricordo le parole esatte, ma rispose – rivendicando
la sua assoluta correttezza – di aver
scritto di quelle automobili le cose
che pensava realmente. In fondo non
era importante chi le producesse,
quelle automobili. Ma che fossero
raccontate onestamente. Per campare, tutti ci vendiamo ogni giorno
al “padrone” di turno. Basta farlo
coerentemente, con onestà morale
e intellettuale. Uscii pensando che
Bocca aveva proprio ragione.
Lui avrebbe fatto così. Per
quella onestà morale e intellettuale che è sempre stata la
sua cifra.
L’ho incontrato una volta sola
– nel senso che io ho incontrato lui, mentre lui non si è
nemmeno accorto di aver incontrato me – nei primissimi
Anni Settanta. All’inaugurazione di un Salone dell’Automobile a Torino, fu presentato un volume della Pininfarina
con alcuni testi di Giorgio Bocca.
Ma come, proprio lui si è venduto
al Padrone? (Vorrei solo ricordarvi
che, in quell’ultimo terzo di secolo,
Torino era una città di frontiera.
Dominava la FIAT, Agnelli era “il
Padrone”, e tutti noi giovani eravamo “contro”. Contro, e basta. Anzi,
contro tout court, che era proprio una
locuzione avverbiale squisitamente
di sinistra, allora). Mi sono intrufolato a quella presentazione stampa,
che ancora non scrivevo ma mi sem-
Era di estrazione popolare, e gli piaceva ricordarlo. Come cronista, ha
raccontato una realtà cruda senza
ricorrere a toni poetici per mascherare, per nascondere qualche verità
scomoda, come quelle in cui ci s’imbatteva troppo spesso, nella prima
Italia del dopo Mussolini. Era stato
orgogliosamente partigiano, e questo gli dava la forza di affrontare
le storie dei potenti, politici o industriali che fossero, senza il più piccolo tentennamento. Ha partecipato
alla grande epopea del giornalismo
d’inchiesta del “Giorno”, raccontando da par suo «le grandi migrazioni,
la corsa al benessere, l’incontro tra
cattolici e socialisti, la riforma nella
Chiesa Cattolica». Sempre con i suoi
modi bruschi, ma leali. Come quando, al ritorno da uno dei suoi viaggi
da inviato di guerra nel Vietnam,
durante un dibattito alla Statale di
Milano raccontò quello che aveva
veramente visto, la guerra com’era
senza fronzoli e senza orpelli. Onesto. Dovette intervenire Mario Capanna per evitargli problemi con gli
studenti, che volevano vedere «come
una guerra di classe, dei poveri contro i ricchi, quella che era una guerra
tra grandi potenze, l’Unione Sovietica e la Cina contro l’America
capitalista».
Allo stesso modo, Giorgio
Bocca non ha mai nascosto
la sua delusione per il ’68 e
seguenti, che gli sembravano
«anni di risacca e delusione,
dopo la guerra partigiana».
E anche qui, a forza di essere
onesto, ci ha visto giusto. Lucidissimo e pungente, scrisse
che «i giovani del movimento
[vanno] in giro vestiti da rivoluzionari, cosa che un rivoluzionario vero non fa mai per non
essere riconosciuto dai carabinieri».
Dopo Buzzati e Montanelli, e dopo
Biagi, perdiamo anche quest’altro
gigante del nostro giornalismo. Ma
sembra che adesso, per giornalisti
che dicono pane al pane e vino al
vino, con coraggio e onest������������
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(e, a volte, con una scrittura spigolosa e per
niente accondiscendente) non ci sia
più posto. Come se non servissero
più, con il loro rigore morale professionale. Ma ne siamo davvero sicuri?
5
6
Intervista
Gennaio 2012
Ho cercato di diventare qualcuno
di Valentina Bazzani
Intervista al Maestro, musicista e uomo
Una chiacchierata con Giovanni Allevi
Venerdì 25 novembre abbiamo incontrato e intervistato Giovanni
Allevi al Teatro Salieri di Legnago
(VR). Riconosciuto e apprezzato
a livello internazionale, il maestro
Allevi spicca nel panorama musicale anche per la sua sensibilità, per la
purezza con cui si rapporta al mondo
e per l’originalità della sua persona,
espresse sia nelle sue composizioni che nei suoi libri. Attualmente
sta presentando l’Alien World Tour
nei maggiori teatri del mondo con
grande successo. Il nome “ALIEN”
è tratto dal suo ultimo cd che ripropone il suo sentirsi Alieno in questa
società.
Chi è Giovanni Allevi nella vita di tutti i
giorni?
è esattamente quello che vedi sul
palco: una specie di giovane, un po’
esaurito e ansioso che ha passato tutta la vita sui libri e che attraverso la
musica riesce, forse, a liberare tutto
un mondo compresso che ha dentro. Cosa rappresenta per te il successo?
Il successo mi ha portato quest’ansia.
Suonare è quello che più mi piace
fare nella vita; se poi ci sono poche
persone non importa, sono felice di
scrivere e far ascoltare la mia musica ugualmente. Tutti possiamo avere
successo facendo quello che ci fa stare bene. Prima di salire sul palco, per
combattere la mia preoccupazione mi
ripeto: «Evviva l’errore, evviva la fragilità!». Dobbiamo difendere l’essere
umano così com’è.
Come sei veramente?
E’ poco romantica la spiegazione. Stavo studiando la “Scolastica” di Tom-
maso D’Aquino: “Dio crea il mondo
e proprio perché lo crea lo conosce.
Mettendolo in scena mette in atto il
più grande gesto d’amore che esista”.
Quindi sono giunto alla riflessione
che Amare coincide con il conoscere.
Chi ama vede l’altro così com’è veramente; Dio lo ha fatto con il mondo.
Più conosci una cosa e la accetti con i
suoi limiti, più ne sei innamorato.
La musica è passione, è amore… e quindi
è inevitabile un legame con la sofferenza.
Che rapporto lega pathos, musica e sofferenza secondo te?
Più siamo vicini alla sofferenza, più
siamo in contatto con le nostre lacerazioni profonde e le nostre paranoie
e più siamo in grado di creare qualcosa di comunicativo. Negli ultimi
tempi ci siamo avvicinati al nocciolo
dell’essere umano, che non è perfetto.
Se noi riuscissimo a comunicare questa imperfezione allora riusciremmo
a toccare veramente il cuore dell’altra
persona, ad avvicinarci in modo autentico all’altro.
Quali sono i valori più importanti che vuoi
condividere con i giovani?
Inseguire il proprio sogno. Viviamo
in un mondo dove tutti ci mettono
ansia ma quando fai le cose con il
cuore, l’universo inizia a tramare in
tuo favore. Prima di tutto devi capire
qual è il tuo desiderio, devi guardarti
dentro.
La trascendenza è un legame intimo verso
un altro infinito. Secondo te, la musica può
rappresentare un ponte per fare un salto
verso questo “altro”?
Deve! La Musica deve ricordarci che
siamo tutti schegge di Paradiso cadute sulla terra, e lì dobbiamo tornare!
L’Arte ha questa capacità, portarci
su un baratro, sublime, oltre il quale
si estende una trascendenza. In una società di Swarovski che classifica
le persone in base a schemi definiti in cui,
chi non appartiene a questi canoni viene
spesso emarginato, cos’ è secondo te la diversità?
Evviva chi è emarginato! La nostra
fragilità è molto spesso la nostra forza. In una società dove tutte le pecore
vanno tutte in una direzione chi è in
Intervista
Gennaio 2012
Ho cercato di diventare qualcuno
grado di indicare un’altra direzione?
Una delle tante pecore che seguono
la massa? Non penso proprio! Solo
chi sta da una parte, che si sente inadeguato e percorre un’altra strada
rispetto alla massa. Questa pecorella
secondo me è già predisposta a vedere le cose in
un’altra prospettiva.
Cosa ha rappresentato per te
la partecipazione alla maratona televisiva di Telethon lo
scorso anno? Credi nella ricerca? Secondo te cosa possiamo
aspettarci dalla scienza?
Mi piacerebbe maggiore collaborazione tra gli
scienziati perché sono
convinto che la scienza
rappresenti una potenza
sovranazionale. Pensa che
bello se tutte queste menti geniali potessero incontrarsi per superare tutti i
voyeurismi e i particolarismi. Si verificherebbe sicuramente un balzo di
qualità e un passo in avanti per la conoscenza. Io sono fiducioso, secondo
me questo momento è vicino.
Il tuo sogno più grande in questo momento.
E’ essere qui vicino a te. In questi
anni ho cercato di liberarmi del peso
del passato e del futuro, per vivere
fino in fondo il presente che ci viene
regalato.
7
8
Eventi
Gennaio 2012
Verso l’infinito e oltre
di Francesco Fontana
Attesi Raphael Gualazzi, Remo Anzovino Trio, Rocco Papaleo e Roberto Cacciapaglia
Musica e comicità con Eventi Verona
Pietropaoli e Francesco Bearzatti.
Il Remo Anzovino Trio, che punta
molto sull’impatto delle proprie esibizioni dal vivo, ha tra le sue caratteristiche l’incontro tra generi diversi,
dal classico al rock, dal jazz al popolare, sfuggendo a ognuna di queste
etichettature.
Raphael Gualazzi prosegue il suo
tour ricco di grandi successi. Dopo
aver toccato varie mete europee, con
concerti in Francia, Svizzera e Germania, torna in Italia, precisamente
al Teatro Filarmonico di Verona, la
sera del 23 gennaio. Il live è una sorta di anticipazione del nuovo spettacolo con il quale il cantante e pianista approderà, tra i mesi di gennaio
e febbraio, nei più importanti teatri
italiani. Raphael Gualazzi sul palco
sarà accompagnato da: Christian
Chicco Marini (batteria e percussioni), Alex Gorbi (contrabbasso),
Luigi Faggi Grigioni (tromba e flicorno), Max Valentini (sax baritono
e contralto), Enrico Benvenuti (sax
tenore) e Giuseppe Conte (chitarra).
Nei negozi è inoltre disponibile “Reality and Fantasy Special Edition”,
l’album ispirato al precedente “Reality and Fantasy”, con l’aggiunta di
cinque inediti e un dvd.
Al Teatro Camploy di Verona, invece, il 27 gennaio arriva il Remo
Anzovino Trio, gruppo strumentale
italiano rivelazione che ad oggi van-
Sempre al Teatro Camploy cambia
decisamente lo scenario lunedì 30
gennaio con l’appuntamento con il
celebre attore comico di cinema e
teatro Rocco Papaleo. Lo spettacolo, dal curioso titolo “Una piccola
impresa meridionale”, è una sorta di
esperimento teatrale caratterizzato
dall’incontro tra canzone, narrazione, presentazione di personaggi e
racconto di storielle divertenti.
ta svariate partecipazioni a
prestigiosi festival nazionali ed europei. Composto da
Remo Anzovino (pianoforte),
Marco Anzovino (chitarre) e
Gianni Fassetta (fisarmonica), il trio proporrà sul palco una selezione dei migliori
brani tratti dai tre album
prodotti: “Dispari” (2006),
“Tabù” (2008) e l’ultimo spettacolare “Igloo”, nel quale si
possono apprezzare collaborazioni
con grandissimi artisti italiani di livello internazionale come Franz Di
Cioccio, Gabriele Mirabassi, Enzo
Mercoledì 1 febbraio è invece atteso
al Teatro Camploy Roberto Cacciapaglia. Il pianista, dopo la pubblicazione di “Live From Milan”, un doppio cd con dvd in vendita nei negozi
dallo scorso 15 novembre, torna sul
palcoscenico riproponendo alcune
delle sue composizioni più apprezzate, accompagnato da Gianpiero
Dionigi alla postazione elettronica e
Yuriko Mikami al violoncello.
In alto Raphael Gualazzi, al centro Rocco
Papaleo e qui sopra Roberto Cacciapaglia
Eventi
Gennaio 2012
Verso l’infinito e oltre
di Francesco Fontana
Grandi appuntamenti con il teatro, il musical, la musica leggera e la danza
Gennaio con Zed Live
Al Gran Teatro Geox di Padova il
15 gennaio andrà in scena il musical Heidi. La vicenda, conosciuta al
grande pubblico soprattutto per i
cartoni animati e la serie televisiva,
è qui riadattata al contesto teatrale, mantenendo a tratti una certa
fedeltà al romanzo e distaccandosi
quando necessario. Nel cast saranno presenti dieci attori, cantanti
e ballerini. Interessante appuntamento, sempre nello splendido contesto del Gran Teatro Geox, la sera
del 20 gennaio con Sogno di una notte
di mezza estate. La celebre opera di
William Shakespeare è proposta
nell’originale e suggestiva rilettura effettuata da parte del comico
Gioele Dix, regista dello spettacolo. Protagonisti sul palco saranno
infatti attori comici emergenti e
già affermati, con l’accompagnamento della musica. Il 21 gennaio
al Gran Teatro Geox sarà la volta
del musical intitolato L’Arca di Giada. Quella raccontata sul palcoscenico è una storia d’amore carica di
mistero, ambientata nel medioevo.
Ad arricchire lo scenario
ci saranno le proiezioni
tridimensionali che renderanno possibile una suggestiva interazione tra attori
e animazioni. Saranno sul
palco circa trenta elementi
tra attori, cantanti, ballerini e acrobati. Il 22 gennaio
sarà invece protagonista il
comico Enrico Brignano
che, alla Zoppas Arena di
Conegliano, si esibirà in
uno spettacolo che racconta con comicità la nostra
attualità. Il 24 e 25 gennaio saranno sul palco del
Gran Teatro Geox i Tap
Dogs. La Compagnia australiana, che ha nel suo
curriculum molti premi
internazionali, sarà protagonista di un’esibizione,
che tra danza e acrobazie,
si prospetta unica nel suo
genere. Sempre nello stesso contesto, serata musicale il 27 gennaio, data nella
quale è atteso il cantante
Michele Zarrillo. Appuntamento da non perdere
al Gran Teatro Geox il 28
gennaio con The Musical
Box plays Genesis. La band
The Musical Box
mette in scena “The
Lamb Lies Down On
Broadway”, uno dei
capolavori assoluti
del gruppo dei Genesis. A cercare di riprodurre sul palco le
ambientazioni tipiche
del gruppo britannico saranno i protagonisti del progetto
Musical Box: Denis
Gagne, Mark Laflamme, Sebastien Lamothe, Francois Gagnon e
Dave Myers. Nello stesso contesto,
la sera successiva, ad intrattenere
il pubblico sarà lo show Sonics in
Meraviglia. Il gruppo dei Sonics,
fondato da Alessandro Pietrolini e
Ileana Prudente, arriva quindi anche a teatro, con uno spettacolo che
tra danza e giochi di luci è capace
di suggerire immagini da sogno e
di trasportare lo spettatore in una
suggestiva favola.
In alto Gioele Dix, a sx Enrico Brignano e in
basso una scena dello spettacolo dei Tap Dogs
9
10
Musica
Gennaio 2012
Verso l’infinito e oltre
di Agnese Ligossi
Nuovo disco e nuovi suoni per la caleidoscopica musicista inglese
50 Words for Snow:
l’inverno misterioso e magico di Kate Bush
Kate Bush è Kate Bush. Non è
un’ovvietà tautologica ma l’assioma di partenza per riuscire a capire un’artista funambolica, una fata
della musica imprevedibile che non
si adagia mai in suoni comodi. Nel
bene e nel male. Perché, com’è già
stato scritto in un autorevole sito di
musica, la cantante inglese da sem-
pre passeggia sul filo del rasoio tra
il sublime e il ridicolo, ondeggiando pericolosamente da una parte
all’altra senza soluzione di continuità. Ecco quindi che perle preziose
come Wuthering Heights, The Kick
Inside e England My Lionheart si ritrovano a convivere con pezzi dal
gusto discutibile come Oh To Be In
Love o l’arrangiamento pop anni ‘80
di Running Up That Hill; per non parlare dell’aspetto video, che da solo
meriterebbe un articolo intero. La
sensazione che questo oscillare tra
genio e grottesco dà è di un’artista
che non si rende pienamente conto
del suo talento – riesce ad intuirlo
ma non sa di preciso che forma dargli e spesso prende strade che le fanno perdere la tramontana invece che
portarla vicino alla soluzione, come
quella della ricerca estenuante di
un’arte totale in cui unire musica, teatro, danza e arte visiva. Certo, ora
Kate Bush non è più la ventenne pop
appena scoperta da David Gilmour
ma una vera lady della musica, le
sue scelte artistiche si sono fatte più
mature e varie; eppure il suo fiuto
tuttora la inganna, sviando a tratti
la sua voglia di sperimentazione su
terreni scivolosi.
Non fa eccezione neanche un concept album così magico e intimo
come “50 Words for Snow”, uscito
lo scorso novembre appena in tempo per fare da colonna sonora al
nostro inverno. Il titolo proviene
dalla leggenda (falsa ma comunque
affascinante) delle cinquanta parole
diverse che gli eschimesi usano per
indicare la neve e Kate Bush usa altrettanti espedienti per descriverla,
mescolando pianismo classico, minimalismo, jazz e, soprattutto, vocalità inusuali. Come la voce del giovanissimo figlio Bertie nel pezzo di
apertura, Snowflake, in cui il ragazzo
interpreta il ruolo di un fiocco di
neve che cade danzando e si augura che qualcuno riesca a sentirlo in
mezzo al frastuono del mondo. Un
pianoforte costante e sommesso mescolato a percussioni ovattate fa da
sfondo a questa voce bianca ancora
incerta che oscilla tra parlato e acuti di cristallo, con il sempre uguale
intercalare tranquillo della voce qui
morbidissima della musicista inglese. Anche il brano immediatamente
successivo, Lake Tahoe, inizia con un
duetto classico tra le voci da tenore e
contraltista di Michael Wood e Stefan Roberts, in contrasto con la parte quasi jazz che Kate Bush riserva
per sé e per il suo timbro vocale
lontano dalle altezze vertiginose dei
primi anni di carriera ma più caldo
e umano. La nuova vocalità matura della Bush continua in Misty, una
storia d’amore tra una donna e un
pupazzo di neve che è destinato a
morire in una miriade di gocce d’acqua dopo una notte passata assieme
– un testo decisamente bizzarro, che
lo struggente arrangiamento stru-
Musica
Gennaio 2012
Verso l’infinito e oltre
mentale e melodico rende davvero
tragicomico. Altrettanto strano è il
primo singolo estratto dall’album,
Wild Man: la sonorità elettronica della Bush degli anni Ottanta di questo
brano, la vocalità parlata della can-
tante nelle strofe e quella corale un
po’ anni Settanta di Andy Fairweather Low nei ritornelli stridono un
po’ con l’argomento del pezzo, tutto
incentrato su un gruppo di esploratori che, sull’Himalaya, trovano
tracce del leggendario uomo delle
nevi ma le cancellano, per preservarlo dall’attenzione ossessiva del
mondo. Snowed in at Wheeler Street,
invece, è un lungo dialogo tra due
amanti costretti a non incontrarsi
mai, impersonati da Kate Bush e
nientemeno che Elton John. Neppure le due voci si mescolano mai:
in otto minuti, i due si danno botta
e risposta di continuo, sopra un tappeto sonoro sempre uguale e un po’
monotono che solo sporadicamente
si apre in esplosioni musicali e testuali mentre i due cantano di non
volersi perdere mai più di vista. Si
arriva così al brano che dà il titolo
all’album, dove l’attore Stephen Fry
elenca cinquanta diverse parole (per
la maggior parte inventate dalla
stessa Bush) che indicano la neve,
incalzato dalla cantante che, oltre a
spronarlo qua e là a proseguire cantandogli quanti termini deve ancora
elencare, indica in modo maniacale
il numero corrispondente ad ogni
parola. Il tutto si adagia su un tessuto ritmico incalzante dal sapore
decisamente jazz che si
estende senza variazioni
apprezzabili per più di
otto minuti, nei quali si
susseguono lontani echi
di tastiere e tremoli di
chitarra. Among Angels,
infine, chiude il cerchio
tornando alle sonorità
classiche e alla poesia
evanescente dei primi
due brani: Kate Bush
riprende la sua voce cristallina per cantare di
speranza, di come siamo
tutti circondati da un
alone di angeli ai quali
affidare la nostra vita
stanca e in caduta libera per comprendere che non importa chi siamo,
al mondo, c’è sempre
qualcuno che ci ama anche se non ce ne rendiamo neanche conto.
Snowflake, Lake Tahoe
e Among Angels: ecco la
triade di brani che rende “50 Words for Snow”
degno di essere stato
scritto. Ed è un peccato
che tutta questa poesia
e ricerca sonora sia stata vanificata da qualche
delirio pop o pseudoprogressive dei brani
centrali, come l’elenco
infinito della title track,
la noia di Misty o il duetto tutt’altro
che appassionante con Elton John.
Senza contare la lunghezza dei brani: che questo non volesse essere un
disco pop da radio lo si era intuito
però una condensazione migliore
delle idee sarebbe stata più efficace
e spettacolare del loro annacquamento in pezzi che non finiscono
mai (un’eredità a metà tra il jazz e
la classica). Così facendo, l’album si
trasforma spesso in una colonna sonora, di qualità molto elevata sicuramente ma pur sempre una colonna
sonora, di cui ci possiamo tranquillamente dimenticare mentre pensiamo ad altro.
Ma Kate Bush è Kate Bush: una miscela testarda di ossimori. Prendere
o lasciare. In questo caso è molto
meglio sorvolare sui difetti per potersi immergere nell’atmosfera rarefatta e bianca della sopracitata triade di brani che profumano davvero
come l’aria prima della neve e sono
gelati come il freddo che pizzica le
guance. Anche i video di animazione che accompagnano Mistraldespair
(un estratto di Misty) e Wild Man
sono grigi e luminosi come una giornata di neve. E se proprio non nevica e neanche fa così tanto freddo,
non fa niente: chiudete gli occhi e
costruitevi un inverno perfetto tornando un po’ bambini e ascoltando
queste storie di ghiaccio, magia e
strane creature che si sciolgono nella nebbia.
Nella pagina precedente la copertina del nuovo
disco e un’ immagine che accompagna la sua
pubblicazione. In questa alcune foto di repertorio
11
12
Agenda
Gennaio 2012
Appuntamenti culturali
di Federico Martinelli
Ha inaugurato con successo la rassegna di incontri dell’associazione culturale Idem
In Gran Guardia cultura a 360°
Idem come radice etimologica della
parola identità.
Come riconoscimento di
una presenza significativa, che assume
valore. Che rende il concetto di identità un
concetto relazionale. Un’ idea di identità
che si forma e si evolve attraverso percorsi
di relazione.
IDEM – percorsi di relazione è
un’associazione culturale che intende promuovere riflessioni sulle
dinamiche in atto nella nostra società, con un’ottica particolare sulle
proiezioni future; formulare analisi
e proposte di sviluppo; favorire relazioni, contatti, connessioni, occasioni di incontro e di confronto,
soprattutto tra i giovani; realizzare
progetti e iniziative che favoriscano
l’apertura, il dialogo e l’innovazione.
In linea con le sue prerogative statutarie, anche quest’anno, IDEM organizza “Oltre confine – le metafore
del cambiamento 11|12”. La rassegna
ha inaugurato il 12 dicembre con
l’incontro-conferenza di Vittorio
Sgarbi. Il celebre critico d’arte
ha presentato “Piene di grazia.
Il volto della donna nell’arte”,
sua nuova opera edita da Bompiani. La rassegna culturale
riprenderà il 12 gennaio con
l’opinionista Giampiero Mughini per poi proseguire con
l’attesissimo incontro/concerto
di Ornella Vanoni (26 gennaio). Il mese di febbraio si
aprirà con Alberto Arbasino
(2 febbraio). Il 1 marzo sarà
la volta del filosofo Umberto
Galimberti; Lucio Caracciolo
sarà protagonista invece il 9 marzo. Di nuovo arte
l’11 aprile con Philippe Daverio. Appuntamento con il
celebre regista emiliano Pupi
Avati il 24 aprile. La rassegna
chiuderà i battenti con Alessandro Baricco il 29 maggio e
Amos Oz l’8 giugno. Tutti gli
eventi si terranno presso l’auditorium della Gran Guar-
dia, con ingresso gratuito per i soci
a partire dalle ore 20.00 e per i non
soci dalle 20.45.
Per maggiori informazioni consultare http://idem-on.net
A sx Ornella Vanoni, qui sotto Pupi Avati e in
basso Giampiero Mughini
Argomento
Gennaio 2012
il GRANDE
Appuntamenti culturali
GIOVEDÌ
GIOVEDÌ
vi propone sedici incontri
GIOVEDÌ
GIOVEDÌ
GIOVEDÌ
GIOVEDÌ
17 1 15 12 26 9 23 22
E
NOVEMBR DICEMBRE
GIOVEDÌ
DICEMBRE
GENNAIO
GENNAIO
FEBBRAIO
GIOVEDÌ
FEBBRAIO
MARZO
ore 16.45, foyer del Teatro Nuovo: INVITO ALLA VISIONE
Otto “aperitivi” per introdurre alla visone degli spettacoli. Otto appuntamenti per dare brevi
spunti di lettura critica della messa in scena. Otto piccoli punti di vista per approfondire
una visione più partecipata del meraviglioso spettacolo teatrale. A cura di Simone Azzoni.
a seguire, ore 17.00: INCONTRO CON I PROTAGONISTI
Otto incontri con gli attori per parlare dello spettacolo ma anche del “dietro le quinte”
e dell’affascinante mondo teatrale. Un’occasione imperdibile per conoscere da vicino
i protagonisti di questa edizione . Conducono, a turno, Lorenzo Reggiani e Giovanna Zofrea.
ingresso libero
BIGLIETTERIA
Vendita biglietti al Teatro Nuovo, piazza Viviani 10, tel. 0458006100.
Biglietti anche tramite circuito GETICKET (numero verde sportelli Unicredit Banca
abilitati 800323285) e CALL CENTER (tel. 848002008).
Biglietti on line su www.geticket.it.
Servizio biglietteria anche presso BOX OFFICE, via Pallone12/a, tel. 0458011154
parcheggio coperto Saba Abertis di piazza Isolo:
€ 1,00 / ora (o frazione d’ora) mostrando il biglietto
o l’abbonamento al GRANDE TEATRO
ampio parcheggio di fronte al teatro
il GRAN
GRANDE
NDE
direzione artistica Gian Paolo Savorelli
ufficio stampa Enrico Pieruccini
pagine web Maria Pia Tenuti, Gabriella Fassina
social network Federica Clemente
stampa CIERRE Grafica
biglietteria Box Office
il GRANDE
www.ilgrandeteatro.comune.verona.it
www.teatrostabileverona.it
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Teatro
Gennaio 2012
Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve
di Francesco Fontana
Appuntamenti con Quello che prende gli schiaffi e Le bugie con le gambe lunghe
Il Grande Teatro: gli spettacoli di gennaio
«Nel teatro si vive sul serio quello che gli
altri recitano male nella vita»
Eduardo De Filippo
Dal 10 al 15 gennaio sul palco del Teatro Nuovo di Verona si potrà assistere
a Quello che prende gli schiaffi, opera scritta nei primi del Novecento da Leonid
Nikolaevic Andreev, uno dei maggiori
esponenti dell’espressionismo letterario
russo, e inscenata dalla Compagnia
Mauri Sturno. Il protagonista è un
uomo che, deluso dall’aridità dei sentimenti umani e dai rapporti corrotti
tra gli uomini, decide di diventare un
clown, raccontando così sul palco la gioia e il dolore, con il sogno di migliorare
il mondo. Il suo ideale, seppur bruscamente interrotto nel finale, è capace di
generare nel pubblico grande commozione e benevolenza. Nello spettacolo i
generi si mescolano: il dramma incontra
la commedia, nella narrazione della vita
in tutti i suoi aspetti. Oltre ai protagonisti Roberto Sturno e Glauco Mauri,
regista dell’opera, saranno presenti sul
palco molti altri interpreti come, tra gli
altri, Barbara Begala, nel ruolo di Mara,
e Lucia Nicolini, nel ruolo di Leda, con
le musiche di Germano Mazzocchetti.
Dal 24 al 29 gennaio andrà invece in
scena Le bugie con le gambe lunghe. L’opera, scritta da Eduardo De Filippo nel
1946, poco dopo il successo di Filumena
Marturano, racconta la vicenda di Libero Incoronato, uomo innamorato di
Graziella, una ex prostituta che intende
sposare. Il matrimonio però non è conveniente, soprattutto a causa dei vincoli
sociali che ricoprirebbero di vergogna
la famiglia di Libero, impedendo inoltre il matrimonio programmato dalla
sorella del protagonista con un uomo
benestante. A questa trama principale
se ne sovrappongono altre, con l’intervento di molti personaggi. Dopo una
serie di avvenimenti, di equivoci e di
menzogne da parte degli interpreti che
fanno irruzione sul palcoscenico, Libero decide di fingere, per una volta, egli
stesso, dichiarando a tutti, in modo inaspettato, una ricchezza che in realtà non
possiede e presentando Graziella come
una ricca ereditiera arrivata dall’estero,
rendendo così assolutamente accettabile
il matrimonio. L’opera, che vuole essere
una riflessione sull’ipocrisia che regola i
rapporti sociali, è inscenata dalla Compagnia Luca De Filippo. Libero Incoronato è interpretato dallo stesso Luca De
Filippo, anche regista dell’opera, mentre nei panni di Graziella ci sarà Gioia
Miale. Tra gli altri interpreti Fulvia Carotenuto, nelle vesti della sorella di Libero Costanza, Chiara De Crescenzo, nei
panni di Carmela, Carolina Rosi, che
sarà Olga, e Massimo De Matteo nel
ruolo di Benedetto Cigolella.
Teatro
Gennaio 2012
Non vado mai al cinema, la vita è troppo breve
di Michele Fontana
Divertenti rappresentazioni per i più piccoli al Foyer del Teatro Nuovo
Il Piccolo Teatro Magico
Prosegue, presso il Foyer del Teatro
Nuovo, la rassegna dedicata ai bambini “Il Piccolo Teatro Magico”, con
uno spettacolo in programma il 21
gennaio. Le rappresentazioni hanno
avuto inizio il 12 novembre con “Tutti
insieme con Romeo e Giulietta”, dove
i vari personaggi della vicenda sono
stati interpretati dall’attore Roberto
Petruzzelli. Il 26 novembre è andato
in scena “Tiramisù”, la storia della fanciulla dai capelli lunghi rinchiusa nella
torre, con protagonista l’attrice Linda
Di Giacomo.
Il 21 gennaio sarà la volta di Gianni
Franceschini con “Il giro del mondo in
tante fiabe”. Lo spettacolo è un insieme di racconti attraverso i cinque continenti, in un viaggio fantastico, dove
il protagonista principale Giovannino
si imbatte nelle varie culture che arricchiscono la terra, dai Pellerossa del
Nord America sino ad arrivare alle
nostre tradizioni popolari, vivendo avventure entusiasmanti.
La rassegna prevede in seguito altri
tre appuntamenti. In programma il 4
febbraio “Il ponte dei colori”, con Andrea De Manincor e Sabrina Modenini. Il 18 febbraio andrà in scena “C’era
due volte il barone Lamberto”, con F.
Botti e M. Segalina. Una narrazione
divertente e umoristica dove tutto viene raddoppiato: i protagonisti, le voci,
creando così uno spettacolo ricco di situazioni esilaranti.
A chiudere la serie degli spettacoli sarà
“Baci azzurri e giocattoli di forme poderose”, in programma per il 10 marzo.
Nuove e giovani compagnie incontrano i grandi autori del teatro europeo.
“Sulle spalle dei giganti”
Con il nuovo anno si apre la seconda serie di eventi al Teatro Camploy:
da gennaio ad aprile le compagnie
teatrali veronesi ripresenteranno gli
spettacoli in cartellone durante la
stagione estiva. Nonostante il clima
freddo, l’inverno teatrale veronese si
presenta già caldo di nuove emozioni.
“La bella e la Bestia” di Valerio Bufacchi e Gilberto Lamacchi con la Compagnia dell’Arca, è solo un assaggio;
nelle serate di sabato 7 e domenica 8
gennaio, la Compagnia Teatrale La
Pajeta, presenterà “Hotel-ma”, opera
di scrittura collettiva dell’intera formazione che adotta lo pseudonimo di
Paul Putcho. L’esilarante spettacolo
vede i protagonisti delle tragedie shakespeariane ritrovarsi nella hall di un
albergo veneziano che sarà teatro di
un delitto. Nonostante le premesse,
della compostezza dell’autore rimane
ben poco; ad animare la scena sarà
ancora una volta la capacità della
compagnia di affrontare temi classici
con spirito d’ironia.
Il grande drammaturgo inglese
sarà con noi anche nel week-end
successivo quando la giovane compagnia teatrale Soledarte presenterà lo spettacolo di teatro-danza:
“Shakespeare+Queen Rock Hamlet”,
musical rivoluzionario in cui la trage-
di Caterina Caffi
dia shakespeariana è metafora della
vita e del mondo. Ad impersonare
Hamlet una donna, ad accompagnare le frasi e i gesti dei personaggi la musica dei Queen. Nell’ultimo
week-end del mese, 29 e 30 Gennaio,
la Compagnia Teatrale La maschera
metterà in scena la commedia di Molière “Le furbarìe de Scapin”, spettacolo diretto da William Jean Bertozzo. La vicenda, intricata storia d’amore, come nelle migliori commedie
si risolverà con un capovolgimento
dei ruoli e il coup de theatre tipico del
commediografo francese. Ad inaugurare il mese di febbraio, il 4 e 5, sarà il
vero successo dell’estate: “Balera Paradiso”, eccellente messa in scena ad
opera dell’Estravagario Teatro per la
regia di Alberto Bronzato e Riccardo
Pippa.
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Arte
Gennaio 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
di Valeria Giarola
Ancora pochi giorni per visitare la mostra a Palazzo Reale
De La Tour: il Caravaggio francese a Milano
In un periodo in cui l’offerta culturale va diminuendo disattendendo la crescente domanda, anche
quest’anno Eni rinnova il consueto appuntamento con l’arte presentando l’esposizione “Georges
de La Tour a Milano” puntando
all’individuazione di contenuti ar-
chitetto Galeazzo Alessi nel Cinquecento. L’esposizione, curata da
Valeria Merlini e Daniela Storti,
propone al pubblico un artista, che
nonostante non sia stato annoverato tra i “big” del Seicento, è uno
tra i più suggestivi che la Francia
barocca abbia avuto.
tistici e culturali che incrementino
la fruizione artistica sul panorama
nazionale.
La caratteristica delle opere dei
de La Tour è il luminismo fievole e misterioso che abbraccia le
tele, accendendo le scene a lume
di candela e portando il fruitore
ad incentrare la propria attenzione
nel punto di maggior luce, per accompagnarlo poi nel trapasso alla
penombra, che va inspessendosi
sempre più verso le estremità delle
opere. La luce richiama moltissimo la tecnica del Caravaggio, milanese, protagonista assoluto del
primo barocco italiano, a cui de La
Tour si ispira.
Questo è l’anno di Georges de
La Tour, pittore non molto noto
in Italia, rivalutato solo all’inizio
del Novecento, che per l’occasione presenta due opere prestate dal
Museè du Louvre: “L’Adorazione
dei pastori” e “San Giovanni falegname”. La mostra, realizzata
con la collaborazione del Comune
di Milano, che omaggia il grande pittore con due delle sue opere
più famose, sarà aperta fino all’8
gennaio 2012 presso la Sala Alessi
di Palazzo Marino, creato dall’ar-
E proprio nella Lombardia di Michelangelo Merisi, detto il Ca-
ravaggio, trovano spazio le due
opere del pittore lorenese. “San
Giuseppe falegname” (1640 circa),
è ambientato in una scena notturna dove le due figure che si confrontano sono illuminate solo da
una candela. Il fanciullo e il vecchio chinato a lavorare, sono la
trasposizione del Gesù bambino
e di Giuseppe falegname. La luce
emanata dal cero, ha una potenza
incredibile che esalta alcuni particolari come il ricciolo di legno
a terra accrescendo la veridicità
della raffigurazione e dettagliando tratti di pittura, soprattutto
quelli del volto di Giuseppe, la cui
espressione del viso parla da sé:
nella fronte corrugata del padre,
si scopre il presagio della morte
del figlio. Le due figure dialogano
contrastandosi nei ruoli: se Giuseppe accetta la sua condizione di
lavoratore, nel volto di Gesù Cristo è racchiusa tutta la purezza e
l’innocenza dell’infanzia, che osserva il padre con lo stupore e la
curiosità di chi vuole imparare. La
sensibilità cromatica fiamminga,
fusa alla spiritualità francescana
si ispirano a uno dei temi più amati
da Leonardo.
“L’Adorazione dei magi”, 1644 (?),
entrata a far parte delle collezioni
del Louvre nel 1926, grazie al lavoro di Hermann Voss, è un’opera
che fu probabilmente commissionata dai cittadini di Lunéville per
dare il benvenuto al Marchese de
la Ferté. Nei personaggi si scorgono i volti dei cittadini, che seguendo la tradizione vengono inseriti in
ritratti di gruppo di scene sacre
come autocelebrazione della propria potenza tra la classe borghese. La luce, che come di consueto
Arte
Gennaio 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
proviene dal lume della candela
tenuta da S. Giuseppe, si riflette
miracolosamente anche dal piccolo Gesù, che dorme beatamente
sprigionando un bagliore divino.
L’atmosfera è sospesa e immutabile
tanto da sfociare in irrealtà.
All’umile naturalità si ispira anche
l’allestimento della mostra, che articola l’ambiente espositivo su una
grande parete a onda intonacata
con calce e argilla e da una pavimentazione in legno vecchio. Le
opere, collocate in apposite teche,
possono essere viste da vicino per
poter godere appieno dei particolari, supportate da video e dalla presenza di storici e restauratori che
potranno rispondere alle curiosità
del pubblico. Tutto gioca sulla disposizione di superfici povere che
consentono di aumentare la plasticità attraverso giochi di luce, ben
lungi da una pretesa decorativa,
bensì alla ricerca della neutralità
che possa dare il maggior risalto
possibile alle tele.
In queste pagine alcune delle opere di De La
Tour. Ben visibile è la somiglianza
con lo stile di Caravaggio
per metterti in contatto con noi:
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Arte
Gennaio 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
di Valeria Giarola
Il fascino di due culture contrapposte, insieme per una mostra imperdibile
Venezia e l’Egitto. Il crocevia con l’Oriente
Da sempre Venezia è stata un crocevia di popoli, stili e soprattutto
un tramite da e per l’Oriente. Lo si
nota negli influssi arabeggianti di
San Marco, nelle guglie delle chiese,
guardando alle finestre ogivali delle
case, alle dorature e alle decorazioni
dei palazzi che si snodano sulle calli.
Cosa c’entra dunque una mostra che
lega Venezia e l’Egitto? Indubbiamente il collante è il fascino che le
due città continuano ad esercitare
da oltre due millenni, che è stato
sviluppato presso Sala dello Scrutinio a Palazzo Ducale, dal 1 ottobre
al 22 gennaio con la mostra intitolata “Venezia e l’Egitto”.
Le nove sezioni in cui si sviluppa la
mostra, intrecciano rapporti e opere
di due mondi che sebbene così diversi per lingua, cultura, tradizione e
religione, diedero vita a ciò che oggi
noi definiamo la civiltà mediterranea. Solo per sottolineare quanto la
Serenissima fosse stimata dall’ Egitto, essa fu l’unica città europea che
dal Mille mantenne un nome arabo
distinto da quello originale: al-bunduqiyya. La mostra analizza tutte le
connessioni che le due città presentano, dalla traslazione del corpo di
San Marco da Alessandria nell’828,
alle avventure di Giambattista Belzoni e Giovanni Miani, esploratori
e archeologi italiani; dalle peripezie
di mercanti e diplomatici alla ricerca
di merci, tesori e terre, agli studi dei
misteriosi geroglifici, delle piramidi
e della scienza dei faraoni.
Queste testimonianze parlano attraverso i reperti preziosi presenti
nell’esposizione come statue, manufatti, monete, mappe e mummie
come quella di Nehmeket (1069525 a. C.).
Ad approfondire la sezione cartacea
vengono esposti i testi di medicina
e di botanica egizia di Prospero Alpini di Marostica, che importò notizie di varie piante tra cui quella del
caffè; o il primo corano, stampato in
arabo a Venezia (1537-38).
C’è inoltre una sezione dedicata a
testi inediti e opere d’arte che spiegano come i grandi maestri d’arte
della laguna da Giorgione a Tiziano, da Tintoretto con “Giuseppe e la
moglie di Putifarre”, a Tiepolo, da
Bonifacio Veronese con “il Ritrovamento di mosè” a Paolo Fiammingo
immaginarono l’Egitto. E’ presente anche la “Morte dei primogeniti
d’Egitto” realizzata da Pietro Paoletti, prestata dopo un lungo restau-
Arte
Gennaio 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
ro dalla Pinacoteca di Brera, dove la
minuziosità e perfezione dei dettagli
archeologici ipotizzano un suo contatto con il decifratore di geroglifici
Champillion; per concludere i disegni del Terzo Libro di Serlio, che
raffigurano la piramide di Cheope,
misurata dal patriarca di Aquileia
Marco Grimani.
Tra le 300 opere , le documentazioni
che testimoniano le relazioni dall’età
classica al 1869 in merito al progetto
del Canale di Suez, proposto dal governo marciano a inizio del Cinquecento e realizzato solo alla fine del
XIX secolo dall’architetto Negrelli.
Tra i pezzi più importanti sono esposti i reperti di provenienza egiziana
presenti sul territorio veneto come il
tesoretto tolemico di Montebelluna,
la testa di sfinge del Museo archeologico di Verona, la Statuetta di
Iside conservata ad Aquileia, come
pure la testa di sacerdote isiaco dal
Museo Civico di Trieste o la piccola
statuetta bronzea di Anubi, del I-II
secolo d.C., rinvenuta a Costabissara vicino a Vicenza; il reliquiario di
San Marco, prestato dai Musei Vaticani; i dipinti di Lorenzo Veneziano
e Jacobello dal Fiore e la straordinaria Pala Feriale di Paolo Veneziano, prestata eccezionalmente, e mai
prima d’ora, dal Museo Marciano.
Oltre ai reperti, mappe e astrolabi;
vedute del Cairo ed Alessandria,
come quelle di Georg Braun e Frans
Hogenberg. Una panoramica sull’
Egitto che prosegue con tessuti
copti originali, frammenti di antichissime ceramiche mammeluche e
un enorme tappeto cairota prestato
dalla Scuola Grande di San Rocco.
Un’infinita gamma di curiosità e misteri che si chiudono con 11 dipinti e
4 disegni del vedutista bellunese Ippolito Caffi che raffigurano l’Egitto
e il Canale di Suez.
Il progetto scientifico curato da
Enrico Maria Dal Pozzolo, Rosella
Dorigo e Maria Pia Pedani, allestita
da Michelangelo Lupo, ha coinvolto
quasi settanta specialisti per le varie indagini scientifiche. L’evento,
promosso dal Comune di Venezia, la
Fondazione Musei Civici e Autorità Portuale di Venezia ha coinvolto
anche il Precariato di Venezia, la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero degli Affari Esteri
e il Ministero per i Bene e le Attività Culturali, nonché la Regione del
Veneto e la Provincia di Venezia,
l’Università Ca’ Foscari di Venezia,
lo Iuav, l’Università degli Studi di
Padova, l’Università degli Studi di
Verona e Skira per la pubblicazione
del catalogo.
Nella pagina a fianco un paio di opere visibili
in mostra, che dimostrano i diversi rapporti del
mondo occidentale con l’Egitto
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Arte
Gennaio 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
di Valeria Giarola
I colori e i soggetti di un artista ancora da approfondire
Lorenzo Lotto, un outsider del Rinascimento
Se vi trovate in “Laguna”, fino al 26
febbraio, vale sicuramente la pena
fare tappa alle Gallerie dell’Accademia per ammirare le opere di Lorenzo Lotto inserite nell’omonima
mostra “Lorenzo Lotto, i dipinti
dell’Ermitage alle Gallerie dell’Accademia”.
vent’anni più tarda, ha un carattere
sommesso e domestico, tipico dell’
attività avanzata di Lotto, è una rielaborazione della pala che fu rubata
all’inizio del secolo passato ad Osimo (Marche) ed è posta accanto al
Vesperbild proveniente dalla Pinacoteca di Brera.
L’esposizione, realizzata e promossa
dalla Soprintendenza speciale per il
Patrimonio storico e dal Museo statale Ermitage, gode del patrocinio
del Comune di Venezia e della collaborazione della Fondazione Ermitage Italia.
Straordinario anche il Cristo in gloria, opera risalente al’ultimo soggiorno veneziano del Lotto, prestato
dal Kunsthistorisches Museum di
Vienna, che per la prima volta viene esposto assieme alle tre versioni
bronzee che ispirarono Sansovino,
giunte dalla Basilica di San Marco,
dal Museo del Bargello di Firenze
e dai musei statali di Berlino. Sono
Perfetta contestualizzazione per l’esibizione di uno dei veneti più importanti del Cinquecento, il museo
della laguna, che ha sede presso la
Scuola Grande di Santa Maria della Carità è infatti un concentrato di
pittura veneziana e veneta che va dal
trecento bizantino e gotico, ai grandi del Rinascimento tra cui Bellini,
Carpaccio, Giorgione, Veronese,
Tintoretto e Tiziano, passando per
il Tiepolo e i vedutisti settecenteschi
Canaletto, Guardi, Bellotto e Longhi.
L’eccezionale prestito concesso dal
museo di San Pietroburgo de “Il doppio ritratto di coniugi” e “La Madonna
delle Grazie”; due opere eccezionali,
rispettivamente degli anni ’20 e ’40,
raramente viste in Italia ha reso possibile metterle a dialogare con altri
dipinti dell’artista provenienti da diversi musei europei.
La mostra, curata da Matteo Ceriana, colloca attorno alla prima opera
altri due capolavori del primo Lotto:
Giuditta Aldobrandini e la predella
della Pala di San Bartolomeo (Bergamo). La seconda opera invece, di
presenti anche la Natività con Domenico Tassi, restaurata di recente, in
mostra con una copia più integra
conservata agli Uffizi e prima d’ora
mai esposta e il Giovane malinconico di
casa Rovero.
Assieme ai dipinti l’utente avrà la
straordinaria possibilità di leggere
il testamento che Lotto lasciò alla
confraternita veneziana dell’Ospitaletto, cui aveva aderito negli ultimi
anni di vita. L’artista infatti è noto
per aver lasciato una cospicua quantità di carte e documenti che attestano la sua vita privata e di artista, per
esempio è grazie al suo libro di spese
se gli storici sono riusciti a ricostruire la sua vita quasi interamente dal
1540 in avanti.
Lotto, privilegiatissimo artista ed
anticipatore del manierismo tardo
cinquecentesco, è stato considerato
per anni pittore provinciale poiché
escluso dai grandi centri artistici rinascimentali quali Roma, Firenze e
Venezia. Letteralmente ignorato per
oltre tre secoli, il suo riscatto avvenne con la rivalutazione dello storico
dell’arte Bernard Berenson verso la
fine dell’800; anche se ci volle un altro secolo prima che gli fosse dedicata interamente una mostra: nel 1998
la National Gallery di Washington
inaugura Lorenzo Lotto: Rediscovered
Master of the Reinassance.
Arte
Gennaio 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
Nato nel 1480, dopo la formazione presso la bottega dei Vivarini e i
contatti con l’amico Giovanni Bellini, ben presto inizia a viaggiare tra
Treviso, la Lombardia e le Marche,
afflitto da eterne irrequietudini e incomprensioni. Nel 1503 è a Treviso
a servizio del vescovo Bernardo de’
Rossi da Parma, per cui realizza la
sua prima opera: Madonna col bambino, San Pietro e Giovanni (1503) . Dal
1506 lo ritroviamo a Recanati per il
suo primo grande incarico: la com-
missione del polittico per la chiesa di
San Domenico (1506). Trasferitosi
poi nei dintorni di Loreto, entra in
contatto con Bramante che gli offre
una posizione presso la corte pontificia. Nel 1508 scende a Roma per
la decorazione dei nuovi appartamenti vaticani e anche se non riesce
a colpire papa Giulio II ha comunque l’occasione di partecipare a uno
degli ambienti più importanti per il
Rinascimento pittorico e architettonico italiano dove collaboravano
Bramantino, Beccafumi, Sodoma
e Cesare da Sesto, riuscendo forse
anche a vedere le prime pennellate di Michelangelo, che proprio in
quell’anno iniziava a dipingere la
Cappella Sistina. Tuttavia del suo
periodo romano non si conosce nulla
perché nessuna opera è sopravvissuta. Nel 1510 risale a Recanati per la
realizzazione della Trasfigurazione,
l’affresco di san Vincenzo Ferreri in gloria per la chiesa di San Domenico e
la pala della Deposizione per San Floriano (Jesi), ispirandosi direttamente al realismo psicologico di Antonello da Messina.
Nel 1513 è a Bergamo per la realizzazione della pala nella chiesa di
Santo Stefano commissionata dal nipote del condottiero Bartolomeo
Colleoni, Alessandro Martinengo. L’opera, terminata nel 1516,
è la sintesi perfetta di vari stili
acquisiti con i viaggi nonché un
omaggio a Bramante e Giorgione.
Tornato a Venezia nel 1525, è
contrastato dalla fama di Tiziano e inaspettatamente entra
in conflitto anche con l’ordine
dei domenicani; riesce ad aprire una piccola bottega, dove
dipinge molte tele per chiese
bergamasche e marchigiane, realizzando anche un ritratto di S.
Nicola di Bari per la chiesa veneziana di Santa Maria dei Carmini. In questo periodo riceve anche
numerose commissioni provate per
ritratti, tra cui il famoso ritratto di
Andrea Odori (1527).
Dopo il periodo bergamasco si susseguono spostamenti tra la Lombardia e le Marche, ma solo dal 1540
ricompaiono notizie più dettagliate
dell’artista, certificate dal suo “Libro
di spese diverse”, dove annotava le
uscite e le entrate derivanti dal lavoro e dalla vita privata; ed è sempre
tra queste pagine che è possibile dedurre i suoi rapporti di amicizia con
il Serio e il Sansovino, nonché delle
difficoltà economiche in cui il Lotto
spesso si trovava.
Nonostante tutti questi trasferimenti l’artista resta un personaggio tor-
mentato a cui in vita non è mai stata
resa la giusta grazia: scontò duramente la sua posizione di pittore indipendente tantoché per sopravvivere negli ultimi anni di vita fu costretto a mettere all’asta quarantasei
dei suoi dipinti e vendere gli oggetti
personali, per ritirarsi poi nella comunità religiosa della Santa Casa di
Loreto.
Lorenzo Lotto resta un outsider del
Rinascimento, pieno di capacità creativa, vibrante e imbevuto di misticismo, influenzato da Mantegna, Giovanni Bellini, Antonello da Messina,
Albrecht Dürer, Piero della Francesca e Tiziano, si ritagliò comunque
un suo carattere distintivo, allontanandosi dal classicismo per assumere espressioni antiaccademiche e
popolari.
La sua pittura si carica di emblemi
che egli stesso sviluppa partendo
dalle molteplici osservazioni in svariati luoghi che la “sfortuna” del suo
eterno peregrinare gli concede.
Anche se Lotto non si affermerà mai
in grandi città, restando sempre confinato in uno scenario “provinciale”,
non riuscirà a trovare largo consenso nei centri artistici più importanti
come nella Firenze medicea, perché
i suoi insuccessi sono conseguenti al suo temperamento: per natura
egli espresse sempre apertamente il
proprio pensiero, condannando le
distorsioni culturali che aleggiavano
nella Penisola, le quali cominciavano ad essere messe in pericolo dalla
contestazione protestante tedesca.
Relegato nella propria rivoluzione
personale, che non andrà oltre il carattere personale, viene ghettizzato
senza mai riuscire ad essere incanalato in una corrente. Questa marginalità è tutt’ora viva, infatti, seppure
la sua produzione artistica sia stata
molto vasta e varia al punto da essere considerata anticipatrice delle
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Arte
Gennaio 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
correnti future, gli è sempre stata
dedicata poca attenzione. Al contrario della classicità e della razionalità a cui giunse la scuola fiorentina
di Marsilio Ficino, che pose le basi
per il pensiero scientifico e antropocentrico, Lotto resta provincializzato in una cultura popolare fondata
sul rispetto della persona e la ribellione contro la cultura ecclesiastica
corrotta, una concezione la sua che
è sicuramente più quotidiana, dove
i bambini giocano, gli animali scorrazzano tra la natura e i personaggi
comunicano empaticamente.
naggi che si mantengono isolati gli
uni dagli altri, prediligendo e dando
maggiore rilevanza all’individualismo; rompendo la rigida architettura
optando per soluzioni più popolari e
meno “imbalsamate” proponendo un
carattere quotidiano e partecipativo.
Nelle pagine precedenti i due dipinti trattati
nella prima parte dell’articolo.
Qui sotto il celebre “Ritratto di Andrea Odoni”
Sicuramente egli fu innovatore e
precursore stilistico e tematico: abilissimo camuffatore di tematiche
gnostico-esoteriche all’interno dei
suoi lavori; utilizza in modo sapiente e rivoluzionario il colore prediligendo le dissonanze cromatiche;
optando per una certa dissociazione
della struttura compositiva per prediligere un accostamento di perso-
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Arte
Gennaio 2012
La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione
di Alberto Avesani
Il Comune indice un concorso dedicato alla street art e alla creatività giovanile
Coloriamo Verona legalmente
«Disegnare sui muri è una delle più
antiche occupazioni dell’essere umano sin
dai tempi dell’uomo primitivo»
Girando per le strade di Verona,
come in qualsiasi altra città, non è
raro imbattersi in strane e improbabili scritte sui muri delle case o
anche alla notevole varietà di soggetti dipinti.
Il concorso prevede quattro tematiche: Luoghi e scenari di Verona, Verona e il suo fiume, Natura e paesaggio
e Immaginando la mia città. I partecipanti, dopo l’iscrizione, devono
realizzare un bozzetto cartaceo
del lavoro che intendono proporre
sulle superfici messe a disposizio-
ne dal Comune, indicando sul retro tutti i riferimenti. L’elaborato,
per essere accettato, deve giungere
al Comune di Verona entro e non
oltre il 30 gennaio 2012. Per il vincitore di ogni categoria, che sarà
designato da una giuria entro il 15
febbraio 2012, è previsto un premio di € 825,00 successivamente
alla realizzazione dell’opera vincitrice. Grazie al Don Calabria, tutti
i materiali necessari alla realizzazione della composizione saranno
messi a disposizione dal Comune.
L’iniziativa permette ai giovani di
età compresa tra i 16 e i 32 anni
di esprimersi liberamente e “autorizzati” in un’arte spesso criticata
e malvista, dando spazio alla loro
creatività, al loro bisogno di comunicare e alle loro passioni.
Nelle immagini due differenti stili di street art,
a sx più astratta, qui sotto invece una bellissima
citazione cinematografica con il volto di Jack
Nicholson in “Shining”
ancor peggio sui monumenti. Per
sensibilizzare i giovani al rispetto
e all’abbandono di questa pratica
incivile, alla tutela e alla salvaguardia del patrimonio storicoartistico-monumentale cittadino,
ma anche per divulgare la cultura
della libera espressione artistica,
il Comune di Verona in collaborazione con l’Istituto Don Calabria - Comunità San Benedetto
di Verona ha istituito un bando di
concorso intitolato “Writers Street-art. Coloriamo Verona”, finalizzato all’utilizzo di alcuni muri
di recinzione comunali per la realizzazione di opere di street art.
Spesso, quest’ultima, a differenza
dei graffiti, produce vere e proprie
opere d’arte a cielo aperto, grazie
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Cinema
Gennaio 2012
Visto abbastanza?
di Francesco Fontana
I film di Steven Spielberg, Roberto Benigni e Roman Polanski sulla Shoah
Tre sguardi sull’orrore
«Chi salva una vita salva il mondo intero»
Talmud
Affrontare dal punto di vista cinematografico il genocidio degli ebrei,
la realtà dei ghetti e dei campi di
sterminio, senza cadere nella retorica, diventa quasi un’impresa. Ci
sono tre film che emergono, tra i
molti, per intelligenza e passione nel
trattare l’argomento.
Schindler’s List (1993), ispirato al romanzo di Thomas Keneally, è probabilmente il capolavoro di Steven
Spielberg. Il regista mette in scena
la storia vera di Oskar Schindler,
l’industriale tedesco membro del
Partito Nazista capace di salvare le
vite di oltre 1100 ebrei. Nelle prime
sequenze del film ci viene mostrato
uno Schindler (Liam Neeson) intento a sfruttare la grande massa di
ebrei, costretti nel ghetto di Cracovia, per avviare una nuova fabbrica
di pentole e tegami, con l’unico fine
di trarne profitti. Poi la situazione
cambia. Di fronte alle continue deportazioni nei campi di sterminio
comincia a temere per la sorte dei
“suoi” ebrei e organizza un piano per
salvarli. Modifica la produzione, dai
tegami passa alle munizioni, e acquista con il proprio denaro le persone
che vuole condurre nella nuova fabbrica in Moravia, strappandole dalla
morte certa nei campi di sterminio.
In una delle ultime scene del film,
Oskar Schindler, costretto a fuggire
prima dell’arrivo delle truppe sovietiche, riceve dagli ebrei da lui salvati
un anello d’oro, con all’interno incisa
una frase del Talmud che recita: “Chi
salva una vita salva il mondo intero”.
La reazione di fronte all’orrore proposta da La vita è bella (1997) di Roberto Benigni prende le forme della
bugia. Guido Orefice (Roberto Beni-
gni) è un ebreo italiano,
condotto con la moglie
Dora (Nicoletta Braschi) e il figlio Giosuè
(Giorgio Cantarini) in
un campo di sterminio.
Quando il comandante
tedesco detta le regole del campo, Guido si
improvvisa interprete
e falsifica la traduzione per nascondere al
figlio la tremenda verità, facendo sembrare la
permanenza nel campo una sorta di
gioco a punti con in premio un carro
armato. Il nascondino è l’ultimo dei
giochi per Giosuè prima dell’arrivo
degli americani, che lo conducono
fuori dal campo di concentramento
a bordo del suo premio.
Il pianista (2002) è un film tratto dal
romanzo autobiografico del musicista polacco Wladyslaw Szpilman.
La contrapposizione arte/distruzione, ci è proposta in modo esplicito
nella prima sequenza del film: Szpilman (Adrien Brody) è all’interno di
Cinema
Gennaio 2012
Visto abbastanza?
Radio Varsavia, dove sta eseguendo
un concerto al piano. Il soffitto inizia a sgretolarsi, esplode una bomba
che fa saltare le vetrate della stanza
accanto e lui, imperturbabile, continua a suonare. È l’inizio della seconda guerra mondiale. Viene condotto poi con la famiglia nel ghetto
di Varsavia tra le violenze, fisiche e
psicologiche, che subisce dalle SS.
Riesce a evitare la deportazione nei
campi di sterminio grazie all’aiuto di
un amico. Vaga per il ghetto in condizioni disperate, si rifugia a casa di
un’amica e, successivamente, viene
protetto e sfamato da un ufficiale tedesco, incantato dal suo talento, che
contribuirà in modo fondamentale
alla sua salvezza.
In tutti film considerati
emergono in modo evidente le forti motivazioni per la sopravvivenza,
propria o di altri, e il
grande valore che viene
assegnato a ogni singola vita. In La vita è bella, seppur con qualche
momento di comicità, è
un racconto, inevitabilmente, molto intenso e
commovente. Il pianista
è senz’altro il più crudo,
assolutamente fuori da
qualsiasi forma di retorica. Alcuni dei particolari che Polanski mette in scena
diventano difficili da sopportare (il
bambino che muore nel tentativo di
rientrare nel ghetto e l’uomo in sedia a rotelle gettato dal balcone dalle
SS). Schindler’s List merita una menzione particolare per un dettaglio:
l’uso poetico e simbolico del colore,
in un film è girato quasi interamente in bianco e nero. Due candele si
spengono all’inizio per poi riaccendersi nel finale, quando la vita, purtroppo solo per pochi, prevale sulla
morte. L’ultima sequenza del film,
dove i superstiti accompagnati dagli
attori che li interpretano posano una
pietra sulla tomba di Schindler. Poi
il dettaglio più doloroso e geniale:
durante i rastrellamenti nel ghetto
la cinepresa segue dall’alto una bambina che, indossando un cappotto
rosso, cammina da sola, quasi indifferente allo scempio che si sta consumando. Più tardi riconosceremo
lo stesso cappotto rosso su un carro
che trasporta i cadaveri. La morte,
che si consuma in grande quantità
nei campi di sterminio, è riportata, in modo sconfortante e incisivo,
all’individualità.
Nella pagina a fianco: in alto e al centro due
fotogrammi di “Schindler’s List”, in basso
Adrien Brody, che interpreta un musicista ebreo.
In questa pagina, in alto e al centro due
immagini tratte da “La vita è bella” e in basso
ancora Brody protagonista de “Il pianista”
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Libri/Tecnologia
Gennaio 2012
È la stampa, bellezza
di Ernesto Pavan
Attivo da dicembre il Kindle Store di Amazon, ma i prezzi non convincono
Così gli ebook arrivarono anche in Italia
Nonostante l’ormai famigerata
“legge Levi” promettesse di tagliargli le gambe, Amazon.it non si
è arresa e dal mese scorso ha cominciato a vendere libri elettronici.
Per chi si avesse perso il filo del discorso fra un numero e l’altro, riepiloghiamo: Amazon è la più grossa
catena di vendite online al mondo
e gli ebook non sono altro che file
contenenti libri, leggibili con marchingegni appropriati (i cosiddetti
lettori di ebook o e-reader). Gli ebook a onor del vero, erano già disponibili su diversi siti, ma Amazon li
ha messi in commercio assieme al
suo già famoso lettore di ebook, il
Kindle, a un prezzo davvero concorrenziale (99 euro); purtroppo,
i prezzi “di copertina” degli ebook
non lo sono altrettanto.
Eh sì, perché gli editori italiani non
sembrano aver compreso che non si
può far pagare qualcosa che non ha
spese di stampa, trasporto, distribuzione e magazzino alla stregua
di una cosa che li ha: è una presa
in giro e i lettori se ne accorgono. A
quanto sembra, il concetto è troppo
difficile per le menti affaticate degli editori, troppo concentrati sullo
scovare nuovi talenti (che puntualmente deludono, ma questo è un altro discorso) per rivolgere l’attenzione all’aspetto meramente commerciale del loro mestiere. Ecco,
dunque, la biografia di Steve Jobs
(edita da Arnoldo Mondadori) a
16 euro, mentre il cartaceo ne costa 17 (ci riferiamo, naturalmente,
al prezzo offerto da Amazon); Il silenzio dell’ombra di Gianrico Carofiglio, edito da Rizzoli, a 14 euro con
il cartaceo a 16; e persino la Divina
Commedia a 0,99 euro che sarà anche poco, ma è un vero furto per un
testo che è da millenni nel dominio
pubblico. Prezzi ingiustificati, che
sarebbero perfetti come spaventapasseri se i lettori fossero corvi.
Per fortuna (e con nostro stupore),
non tutti gli editori hanno impulsi
autolesionistici: in diversi hanno
capito di dover scegliere fra il miraggio dell’arricchimento e il guadagno reale. Avessero fatto così an-
che i grandi capitalisti e le banche,
oggi non saremmo in mezzo a una
crisi. Ma comunque. Sono una sorpresa piacevole gli ebook a 4 euro
di Piemme e Einaudi, soprattutto
L’uomo di neve, che “nel concreto”
è un cartonato da 16,5 euro; bene
anche, ma si poteva fare di meglio,
Il mercante di libri maledetti di Marcello Simoni (pubblicato da Newton), venduto a cinque euro, ma con
il cartaceo a dieci. C’è poi qualche
perla rara, come il Pan di Francesco
Dimitri, a un prezzo più che onesto
(autopubblicazione a 0,99 euro).
Parlando in generale, il mercato
italiano degli ebook è ancora al di
sotto della sufficienza: pochi titoli
e spesso a prezzi incredibili.
Ma qual è il prezzo ideale di un
ebook? Fra 0,99 e 5 euro, a seconda
della lunghezza e dell’investimento
che ci sta dietro (diritti di traduzione, royalties, ecc), con una forte
preferenza da attribuire alla fascia
più bassa. Perlomeno, negli Stati
Libri/Tecnologia
Gennaio 2012
È la stampa, bellezza
Uniti (dove il 10% delle vendite dell’editoria sono digitali) funziona così. Ovviamente
in Italia, per non conformarsi, bisogna fare diversamente, anche se questo vuol dire
darsi la zappa sui piedi. Cosa
spingerà gli editori a una politica commerciale tanto suicida? Forse la “necessità” di
evitare che il digitale danneggi le vendite del cartaceo? E
che scopo, visto che il digitale ha
un sacco di costi fissi in meno e ci si
può guadagnare sopra tranquillamente? Forse – forse, badate bene,
non stiamo assolutamente dicendo
che sia così – alcuni editori con la
queste domande, ma crediamo
che questo fatto costituisca
già di per sé una risposta sufficiente.
coda di paglia, che per lungo tempo
hanno messo in commercio prodotti scadenti (editing scarso o assente, poca pubblicità, cura grafica e
tipografica che è meglio lasciar perdere), temono che l’avvento dell’editoria digitale sancisca la loro fine,
perché, dopotutto, cosa impedisce
a un autore di pubblicarsi da sé,
quando i servizi che riceve dall’editore lasciano tanto a desiderare?
E a quel punto, a che servirebbero
gli editori? Non abbiamo risposta a
Vale la pena segnalare che, per
chi legge in inglese, l’offerta è
molto più variegata: Amazon
stessa vende una gran quantità di ebook in tale lingua,
spesso a prezzi concorrenziali.
Chi si tiene ben lontano dalla lingua della perfida Albione e
dei porci capitalisti americani ha
comunque uno strumento per far
sentire il proprio parere: le scelte
di acquisto. Chissà che, dopo aver
constatato il successo dei concorrenti che fanno buoni prezzi, qualche editore non si renda conto di
cosa gli conviene.
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Giochi di ruolo
Gennaio 2012
Nessun uomo è un fallito se ha degli amici
di Ernesto Pavan
Riflettori puntati su Psi*Run, un gioco di azione e introspezione
Azione e poteri mentali scatenati!
Non è ancora uscito “ufficialmente” nel momento in cui scriviamo
(è disponibile il preordine, che include un manuale elettronico “preliminare” di 61 pagine), ma Psi*Run
(di Meguey Baker, prezzo variabile
da 10$ per la sola versione in .pdf
a 25 per file e manuale cartaceo,
spese di spedizione incluse) promette di essere un ottimo prodotto.
La premessa mescola azione fantascientifica e indagine psicologica: i
protagonisti del gioco sono persone
dotate di poteri psionici, in fuga da
una misteriosa organizzazione che
vuole tenerli prigionieri (considerato che i “poteri psionici” vanno
dalla telecinesi alla facoltà di far
esplodere le cose con il pensiero,
si può capire il perché). Ciascun
giocatore assume il ruolo di un
personaggio, tranne uno che sarà
il Game Master e gestirà l’ambiente e i comprimari; a differenza di
quanto accade spesso, tuttavia, i
personaggi non nascono “completi”, perché soffrono tutti di amnesia
e parte del gioco consisterà proprio
nel recupero dei loro ricordi perduti. E nella fuga, naturalmente.
Il sistema di gioco deve molto ad
Apocalypse World (del resto, Meguey
Baker è la moglie dell’autore): anche qui abbiamo tre risultati possibili per ogni
tiro di dado, di cui uno
positivo, uno così così e
uno negativo. La differenza sta nel fatto che,
invece di due dadi, in
Psi-run se ne tirano da
quattro a sei e ciascuno
di essi non va sommato
a un valore, ma assegnato a una delle possibili “sfumature” dell’esito dell’azione. Ci sono
infatti cinque poste in
gioco ogni volta che si
tirano i dadi: il personaggio può raggiungere
inseguitori, mantenere il controllo
dei propri poteri psionici ed evitare
di subire ferite. È il giocatore che
sceglie quale dado assegnare a ciascun elemento; più alto il risultato
del dado assegnato, meglio andrà al
personaggio in quell’ambito. È evi-
dente, a questo punto,
come i giocatori si trovino a essere veri e propri sceneggiatori e registi delle storie dei loro
personaggi, pur conservando il gioco una
certa dose di suspense
dovuta all’uso dei dadi:
non si possono scegliere
i risultati, ma perlomeno si può decidere cosa
andrà bene e cosa male.
Un sistema semplice,
ma sorprendente.
o meno il suo obiettivo, può rivelare elementi del suo passato (fino a
quel momento ignoti anche personaggio stesso), sfuggire o meno agli
Per chi fosse interessato
all’acquisto di Psi*Run,
il sito è http://theunstore.com/index.php/unstore/game/129. Noi lo
consigliamo caldamente.
Gennaio 2012
Teatro Nuovo
Giochi di ruolo
stagione 2011 2012
Questo è il nome della rubrica
14ª edizione
www.teatrostabileverona.it
Partecipato da:
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Società
Gennaio 2012
Storie di ordinaria follia
di Ernesto Pavan
La seconda, attesissima parte
Breve vocabolario lavorativo - Parte 2
In questa puntata ci soffermeremo
sulla forma delle inserzioni lavorative, in particolare su alcuni elementi
che non dovrebbero assolutamente mancare (ma spesso mancano) o
sono intesi in modo diverso da come
dovrebbero. Di nuovo, vogliamo
sottolineare come questa serie
di articoli non abbia lo scopo di
offendere o prendere in giro, ma
quello di aiutare i responsabili
delle risorse umane a produrre
annunci funzionali alle esigenze
della azienda. Perché l’annuncio
giusto può essere un buon primo passo per trovare la persona
giusta.
Cominciamo con l’età, che è
l’intervallo all’interno del quale deve ricadere la somma degli
anni del candidato ideale. È anche illegale da indicare, perché
la legge parla chiaro: i lavoratori
non possono essere discriminati
per età, sesso o abilità nel giocare a calcetto, a meno che non
si tratti di requisiti essenziali e
intrinseci nella posizione offerta (per quanto aitante sia nonno
Renzo, è probabile che il mestiere di modello fitness non faccia
per lui). Allo stesso modo, essendo l’italiano una lingua sessuata, il maschile va inteso (nel
contesto delle inserzioni) come
maschile e femminile: se scrivete che
cercate un “impiegato”, vuol dire che
la vostra offerta è valida sia per gli
uomini che per le donne. Viceversa,
se scrivete “impiegata” commettete
un reato (che poi nessuno persegua
nessuno per questo è un altro discorso, simile a quello sull’evasione
fiscale). Questo significa forse che
voi, poveri imprenditori che cercano solo di sopravvivere, non avete
il diritto di assumere chi pare a voi?
Certo che l’avete. Però siete costretti a esaminare le candidature di tutti
(anche se questo non implica necessariamente un colloquio), il che non
è necessariamente un male: magari
la persona che fa per voi è una di
quelle che, a fronte di un’inserzione
discriminatoria, non vi avrebbe mai
contattato. Perché diminuire le possibilità di essere soddisfatti?
In un buon annuncio, l’azienda si
presenta ai candidati. Par capire
se una presentazione è sufficiente o
meno, basta chiedersi: “Userei questa definizione della mia azienda
per spiegare a un potenziale cliente
quello che facciamo?” Se la risposta
è “no”, non usate quella definizione.
Per fare un esempio, chi di voi è in
grado di dire che cosa faccia una
azienda commerciale? Sì, commercia,
ma in cosa? È facile immaginare
quanto tempo rischiereste di perdere se, cercando un responsabile
delle relazioni pubbliche per un
distributore di armi leggere, vi
arrivassero centinaia di curriculum di gente che ha lavorato
in un ruolo analogo... nella filiera distributiva dei giocattoli. Qui non vogliamo sminuire
la versatilità di professionisti
con anni di esperienza, ma una
buona conoscenza dei prodotti
e del pubblico di riferimento è
fondamentale in questo genere
di lavoro; pertanto, definire di
cosa si occupa la vostra azienda è il modo migliore per ottenere una risposta adeguata
dai candidati. Sono sufficienti
poche righe, in cui descriverete
in modo succinto l’attività: “importiamo e distribuiamo all’ingrosso trespoli per pappagalli”.
Non cadete nell’errore opposto,
quello di vantarvi dei successi
da voi ottenuti senza dire esattamente che cosa fate: se il nome
della vostra azienda non è abbastanza noto per parlare da sé, le
vanterie hanno il solo effetto di
suonare fasulle. E, se siete i titolari,
evitare per amor del cielo di elencare
i vostri titoli e le vostre esperienza
nella descrizione dell’azienda. State
cercando persone che vi inviino curriculum, non state inviando il vostro.
Il che ci porta all’argomento del
“candidato ideale”, quello che vorreste si presentasse alla vostra porta.
Il trucco per attirarlo è semplice: descrivetelo. Non facendo un elenco di
Società
Gennaio 2012
Storie di ordinaria follia
titoli e requisiti, ma indicando le sue
caratteristiche e il tipo di lavoro che
sarà chiamato a svolgere. Non scrivete “cercasi impiegata commerciale”:
oltre a essere terribilmente vago (e,
ricordiamolo, illegale), è anche falso.
Voi non state cercando un’impiegata
commerciale, ma una persona “intraprendente, dal carattere paziente
e disponibile, con un forte interesse
nel mondo dell’ottica. La persona si
occuperà di verificare gli ordini in
entrata e in uscita, curerà i rapporti
con il reparto produttivo e fornirà
un’assistenza di base ai clienti.” Semplice, sintetico e funzionale. Vi farà
risparmiare molte ore che sarebbero
andate perse esaminando curriculum che non vi interessano o intervistando candidati che, al colloquio,
si sarebbero resi conto che questo
non è il lavoro che stavano cercando.
Alla fine, tutti ci avranno guadagnato. Voi compresi.
Concludiamo la puntata con un richiamo all’ovvio che tanto ovvio
non è: il contenuto dell’inserzione
deve corrispondere alla realtà. Alcuni, alla ricerca di personale per occupare posizioni sgradevoli o poco
prestigiose, potrebbero essere tentati di sperare nella legge dei grandi
numeri e, volendo attirare il maggior
numero di candidati possibili, mentire nella descrizione dei compiti da
svolgere o addirittura fare un elenco variegato di posizioni libere che
non esistono (per esempio scrivendo “cerchiamo promoter, impiegati
commerciali e addetti al back-office”
quando servono solo promoter). Di
sicuro questa tecnica produce una
buona affluenza di curriculum; quello che invece distrugge è la reputazione dell’azienda, che dopo qualche
centinaio di messaggi pubblicati e
rimbalzati da persone infuriate sarà
stata inevitabilmente compromessa.
Tutto ciò, naturalmente, senza considerare le implicazioni etiche e legali
insite nella pubblicazione di un annuncio fasullo.
Così parlò Eatwood
Continuava a sostenere che quell’artista era coprofago fino a quando non mi
stancai delle sue esternazioni e lo cacciai di casa. Era diventato insopportabile. Ne io, ne tutti gli altri, compreso
il fratellino raccomandato, potevamo
più farci carico di una personalità, la
sua, che ogni giorno diventava sempre
più molesta. Tutto ciò che di più putrido aveva caratterizzato la poca conoscenza che avevamo di lui ci era rimbalzato addosso quando, con le suole
sporche di feci canine, rovinò il nostro
Nain appena acquistato grazie al benessere economico del nuovo governo.
La presenza vicina della cattedrale
non aveva frenato il suo impeto che si
fece sentire per tutta la piazza. Aveva
davvero superato il limite e nemmeno
l’anziano e panzone fotografo, con la
sua flemma da bradipo in pensione,
era riuscito ad arginarlo. Noi, per
nulla sbigottiti, seppur infastiditi,
tornammo a fare quello che stavamo
facendo…domandarci che diavolo di
posizione prenderà il governo sulla
questione pubblicisti. Ma di questo ne
parleremo in un’altra puntata. Come
diceva la voce fuori campo nel celebre
cartone Heidi.
Narrativa, poesia, vita vissuta, storia locale, didattica scolastica,
cultura nel senso più ampio del termine.
Spazio agli autori emergenti, giornalisti e ricercatori.
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economie emergenti (marmo, vino, enogastronomia, percorsi
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Viaggi
Gennaio 2012
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
di Alice Perini
Il calderone multietnico dello stivale d’Italia: la comunità arbërëshe e altre storie
Melting pot d’altri tempi:
perché la Calabria sa di Albania
«La Calabria sembra essere stata creata
da un Dio capriccioso che, dopo aver creato
diversi mondi, si è divertito a mescolarli
insieme»
Guido Piovene
Se c’è qualcuno che potrebbe insegnarci qualcosa sull’arte del viaggiare, questi è senz’altro Guido Piovene,
lo scrittore italiano che con il suo libro
Viaggio in Italia ci ha raccontato il Bel
Paese degli anni ‘50, da Bolzano a Siracusa, attraversando ogni angolo di
un’Italia impegnata a gettarsi dietro
le spalle momenti davvero bui. E tra
le tante realtà, la Calabria deve averlo
proprio colpito, tanto da elogiare la
gente di questa terra per il tatto e per
quella cortesia discreta che può avere,
per Piovene, una sola chiave di lettura: «qui una volta la civiltà era greca».
Il bello è che non di sola Grecia si
tratta: la Calabria è, assieme alla Basilicata, la regione non di confine in
cui si registra il maggior numero di
stanziamenti alloglotti, cioè di centri
in cui si parla una lingua diversa da
quella riconosciuta come ufficiale.
Se il grecanico, il dialetto greco, è diffuso in nove comunità,
l’influenza della cultura e della parlata franco-piemontese
(o gallo-italica) è limitata a un
unico centro, il piccolo paese di
Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza, dove, intorno al
XIII secolo, si rifugiò un gruppo di valdesi provenienti dal
Piemonte. Ancora, ogni anno,
tra luglio e agosto, le località di
Diamante e Bova Marina ospitano numerosi rabbini che giungono da queste parti per acquistare, dopo un’attenta selezione,
i cedri da utilizzare durante la
Sukkoth, la festa delle capanne
in cui si ricordano le precarie
abitazioni degli ebrei durante i
quarant’anni vissuti nel deserto.
Ma nel calderone etnico della
Calabria, la minoranza più consistente rimane quella albanese:
la comunità arbërëshe conta più
di 58 mila persone, sparse in almeno
30 comuni della regione, in particolare nella provincia di Cosenza.
Preso atto che il mondo multiculturale non è esclusiva dei giorni nostri e
che siamo molto più bastardi di quanto non crediamo (o non vogliamo credere?) di essere, perché una comunità
arbërëshe proprio qui?
Tutto ebbe inizio verso la fine del XIV
secolo, quando arrivarono in Calabria, ormai sconvolta da duri scontri
tra i feudatari e il governo angioino,
molti soldati albanesi pronti a prestare il loro servizio ora a difesa dell’uno
ora dell’altro. Qualche anno più tardi, dato che anche Alfonso d’Aragona
aveva il suo bel da fare, impegnato
com’era nella lotta di successione al
In basso a sx i cartelli bilingue in italiano e
albanese. Sopra la punta dello “stivale”
trono di Napoli, si ricorse al nobile
condottiero albanese Demetrio Reres, che sbarcò in Italia accompagnato dai figli e da tre squadre di guerrieri. Distintosi per il valore militare
e per il prezioso aiuto fornito, Alfonso
d’Aragona decise di ricompensare il
combattente con la concessione di alcuni territori della Calabria.
Questo non è che l’inizio dell’emigrazione albanese verso l’Italia: infatti, è
solo a partire dal 1460 che tale fenomeno conosce un brusco incremento. Sono gli anni dell’eroe nazionale
Gjergji Kastrioti, altrimenti conosciuto come Skanderbeg, un uomo
che nella sua patria, l’Albania, riuscì
a organizzare un movimento di resi-
Viaggi
Gennaio 2012
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
stenza contro l’invasione da parte dei
Turchi. Soldati abili e coraggiosi, gli
uomini albanesi erano considerati tra
i migliori mercenari disponibili sulla piazza, contesi da Serbi, Franchi,
Aragonesi, dagli stessi Bizantini e,
perché no, anche dai numerosi regni
e ducati sparsi per tutta l’Italia. E
visto che di mercenari si tratta, la ricompensa non doveva mancare: altre
terre, questa volta nella provincia di
Catanzaro, sicuramente un luogo più
sicuro rispetto alla vicina Albania,
alle prese con la pericolosa avanzata
degli Ottomani.
Gli studiosi calcolano che le ondate
migratorie verso l’Italia siano state in
totale nove, otto delle quali concentrate in un arco di tempo di circa 3
secoli. Trecento anni vissuti in zone
e villaggi spesso isolati, con la conseguenza (positiva) di aver conservato
un bagaglio di tradizioni
unico, se solo si pensa, per
esempio, che coloro che
rimasero in Patria, al di
là dell’Adriatico, dovettero convertirsi forzatamente alla religione islamica. Un’ulteriore prova
di quanto sia stato rigido
l’isolamento culturale di
queste persone sta nella
lingua parlata ancor’oggi
in alcuni centri della Calabria: dopo
oltre cinque secoli di pressoché totale separazione dalla terra d’origine,
l’arbërisht rimane non solo la lingua
madre delle minoranze stanziate in
Italia, ma condivide l’85% delle paro-
Sopra a sx il ballo di una manifestazione
arbereshe, a dx l’eroe albanese Skanderbeg.
Qui sotto il museo del costume
le con la lingua attualmente parlata in
Albania.
Qualcuno ha detto che il mare unisce
i paesi che separa. Gli Arbëreshë ne
sono la prova.
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Viaggi
Gennaio 2012
Houston, abbiamo un problema
di Alice Perini
Un paesaggio culturale di curiosa bellezza: Matera e i suoi Sassi
Fatta di tutta un’altra materia
«Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove
la strada e il treno abbandonano la costa
di Salerno e il mare, e si addentrano nelle
desolate terre di Lucania»
Carlo Levi
Che Cristo si sia fermato a Eboli,
non fa più notizia. Che la Basilicata,
regione in cui Cristo non è riuscito
a metter piede, sia stata scelta come
location di alcuni film religiosi tra
i più famosi è, più che una notizia,
un’ironia della sorte: Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini e The Passion di
Mel Gibson sono ambientati proprio
qui, nella Murgia materana, una terra aspra, desolata, anche se non del
tutto dimenticata da Dio.
Colline argillose e un altopiano brullo che s’immerge d’improvviso in
un canyon profondo. È la gravina di
Matera, un burrone che sembra disegnato nell’arrendevole roccia delle
murge: una gola che conserva molte testimonianze del passato, come
se queste fauci di sassi avessero inghiottito millenni di storia, civiltà e
uomini. Giù negli abissi della terra o
su, aggrappati alle pareti delle montagne, i paesini della Lucania, l’altro
nome con cui è conosciuta la Basilicata, assomigliano a quei puntini
che, uniti tra loro con una matita,
creano una figura. E in questa regione, spesso trascurata dai tradizionali
circuiti di viaggio, sarà richiesto, a
ciascuno di voi, lo sforzo di disegnare il vostro percorso: potete seguire
le vie della storia, che qui ha stabilito
le sue radici millenni di anni or sono,
o dell’arte, con un patrimonio unico in cui si condensano le influenze
d’Oriente e d’Occidente.
Con un po’ di fortuna, ci si potrebbe far guidare da un esemplare di
Falco Grillaio, il più piccolo rapace
d’Europa. Nella bella stagione, il
Falco Grillaio migra dal Nord Africa
nei territori della Puglia e della Basilicata e stabilisce il suo nido sotto
le tegole dei vecchi tetti o nei fori
delle case abbandonate. Ecco perché il centro storico di Matera è un
riparo perfetto: un intricato sistema
urbano, unico nel suo genere, in cui
le esigenze dell’uomo e della natura
hanno convissuto in equilibrio per
secoli. Un ecosistema capace di tramandare, fino agli anni ‘50 del secolo
scorso, il modo di abitare nelle caverne, un’ulteriore prova dell’abilità
dei nostri antenati del saper vivere
in armonia con l’ambiente naturale:
queste le ragioni che hanno valso
Viaggi
Gennaio 2012
Houston, abbiamo un problema
ai Sassi il titolo di sito Patrimonio
dell’Unesco già nel 1993 (il primo
nell’Italia meridionale).
La città della pietra, detta anche troglodita (dal greco trō’glē, caverna), è
un alternarsi di case, scavate nella
friabile roccia calcarea e di stradine che spesso si appoggiano sui tetti
delle dimore sottostanti, così che nelle vie tortuose si vedono spuntare i
comignoli delle abitazioni poco più
in basso. Un disordine tanto proporzionato quanto scenografico, quasi
un allestimento teatrale: il Sasso Caveoso, la parte più primitiva del centro storico di Matera, ricorda, per la
disposizione delle case-caverna, un
anfiteatro romano. Vista dall’alto,
come la può osservare il Falco Grillaio che ci guida in questo viaggio,
la pianta dell’antica Matera assomiglia all’omega greca, con il nucleo
originario della città, il colle Civita,
che sembra ergersi in armonia tra il
Sasso Caveoso e il Sasso Barisano,
l’altra metà di Matera.
Un equilibrio disarmante, dove si
possono ammirare il cielo e le stelle
sotto i piedi degli uomini, come racconta Verricelli nella sua Cronica de la
città di Matera verso la fine del 1500,
o dove «li morti stanno sopra li vivi»
(pare che, a volte, i tetti delle case
servissero da cimiteri)…
Un presepio perenne con il pozzo,
centro della vita sociale, e con il for-
nel ‘900, negli anni in cui lo scrittore
Carlo Levi fu spedito al confino in
Lucania dal regime fascista. Il cuore della città, già in parte degradato
da anni di incuria, venne evacuato
forzatamente dal governo italiano
per le precarie condizioni igienicosanitarie.
no, simbolo dell’organizzazione di
tutta la comunità. Dimore essenziali, formate da un unico vano in cui
vivevano assieme uomini e animali.
Niente finestre: la luce entra dall’alto,
come nelle abitazioni del Nord Africa. Arredamento minimo, funzionale
alla conservazione del cibo; temperatura costante di 15 gradi, grazie al
tufo che funziona da climatizzatore.
Perché se tutto sembra così invitante, Cristo si è fermato a Eboli? Anche i Sassi hanno avuto, in passato,
momenti di crisi, l’ultimo dei quali
Grazie a un programma di risanamento varato nel 1967 per il recupero della zona, possiamo dire, per una
volta, di essere stati bravi, noi italiani. Bravi, per l’impresa riuscita. Fortunati, per aver viaggiato seguendo
il volo di un rarissimo Falco. Chissà,
dunque, che qualcuno di voi, invece
di fermarsi a Eboli, non prosegua fin
qui…
www.amicidellacattolica.com
Nella pagina precedente: il bellissimo contrasto
tra la città di giorno e di sera, sopra a sx il falco
grillaio e a dx l’ interno di un “sasso”
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Viaggi
Gennaio 2012
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
di Stefano Campostrini
Continua la passione per un viaggio indimenticabile
Oman pt. 2, incontri ravvicinati del terzo tipo
Il racconto di un viaggio è proprio
questo, un racconto. Fatto di appunti, impressioni, dettagli. Le piccole
cose che rendono grande un’esperienza. Nel nostro caso quella nel paese
arabo ormai tanto amato e desiderato. Il mattino e la sua luce sono ancora di là da venire e la ripartenza
per la destinazione finale si avvicina. L’aereo della notte è trepidante
e quasi ansioso di mettersi in moto,
conducendoci verso il nuovo giorno
e la nostra trasferta lavorativa, particolare sempre e comunque da non
dimenticare come obiettivo principale. L’arrivo nel nostro ultimo scalo è
altrettanto particolare quanto
il primo, l’accoglienza è già da
subito calorosa ma l’interno del
terminal appare invece quasi freddo e inospitale, saranno
le luci al neon o il silenzio che
in un primo momento la fa da
padrone. Non dura molto comunque perché il gruppo è
numeroso e gentilmente chiassoso e perché poco lontano, in
procinto di superare i controlli
di rito, ci sono tanti immigrati da un
Oriente un po’ più estremo. Più silenziosi e apparentemente più spaventati di noi, almeno dagli sguardi e dai
gesti. La sensazione è quella di sentirsi osservati, nella propria essenza e
apparenza turistica; siamo entrambi
lì per lavoro sicuramente, le opzioni
sono differenti ma la voglia di farcela
è almeno la stessa. Superata la prima
barriera burocratica, fatta di richieste in lingua, discorsi locali e ricerca
della novità desiderata, oltrepassata
anche la seconda del controllo dei bagagli si aprono al forestiero le porte
scorrevoli della ultima hall prima di
uscire dall’aeroporto. La sorpresa è
che dietro quelle ante ci trovi almeno un centinaio di altri stranieri in
terra straniera sempre di quell’Oriente un po’ più in là, che guardano
tutti te. Sguardi magnetici, che quasi imbarazzano, occhi forse stanchi
ma potenti e attenti. Quelle orbite
bianche su quei volti dalla pelle più
scura sono stati un colpo alla mente
e al cuore. Aspettano di vedere sicuramente qualcun’altro ma sei passato
tu e quindi non ti riconoscono, non
vogliono probabilmente niente da
te ma per il colore della tua pelle o
per il modo in cui sei vestito o solo
perché sei uscito quasi per ultimo ti
fissano e ti viene voglia di salutarli e
di sorridere loro. Solo dopo qualche
secondo arrivi alla fine della coda al
di là delle transenne e non ci sei riuscito ma sei già sicuro che ci saranno
tante occasioni più avanti. È stato un
primo impatto molto forte, solo, con
la tua valigia di fronte a tutte quelle
persone, per qualche metro a piedi ha
riservato alcuni degli istanti più incredibili del viaggio. Ed era solo l’inizio. Un altro autobus era infatti fuori
che aspettava, gli ultimi del gruppo.
Il giorno era decisamente iniziato stavolta, l’alba aveva lasciato spazio ad
una meravigliosa luce delicata, per
gli occhi e per lo spirito. Subito quegli occhi in cerca di scatti fotografici,
proprio per immortalare e conservare, per rivelare e scoprire. Si prende
la via dell’hotel lungo queste am-
pie strade a scorrimento veloce tra i
quartieri dell’area urbana. Una fascia
costiera densamente abitata lungo la
quale si concentra gran parte della
popolazione e delle attività umane
del Paese. Abitazioni tradizionali,
cantieri a perdita d’occhio, viadotti,
palazzi moderni, insegne colorate,
parcheggi, palme, moschee, incroci, traffico, negozi e uffici. In realtà
poco tempo per intraprendere qualche chiacchiera con l’autista del mezzo, una persona caratteristica, per
abbigliamento e mole fisica, un primo
contatto verbale con una persona del
posto, il primo di una lunga serie. Gli
elementi di interesse cominciavano a sprecarsi, gli occhi non
sapevano più dove guardare per
poter vedere veramente il possibile o almeno l’indispensabile.
Prima lo sguardo da una parte,
poi dall’altra, avanti, indietro,
negli specchietti, e intanto il
tempo e il paesaggio scorrevano. È bastato in ogni caso così
relativamente poco per rendere
subito incredibile questa primissima parte di esperienza. Il fatto
di trovarsi così lontani dalle proprie
abitudini e così vicini a quelle di altri,
immaginate e desiderate fortemente
ha suscitato profonda e immediata
passione e attenzione verso ogni particolare; dalle scritte in arabo, alla
marca delle varie vetture circostanti,
al numero di persone per strada, al
paesaggio sullo sfondo. In quei pochi minuti di viaggio si era già accumulata una grandissima quantità di
informazioni e paradossalmente una
sorta di frustrazioni per non riuscire
come ad afferrare psicofisicamente il
più possibile di stimoli esterni. Niente paura, ci sarebbe stato tempo sufficiente per approfondire il tutto. La
prossima volta.
Animali
Gennaio 2012
Amici miei
di Alice Perini
Strategie dal mondo animale: l’impresa di andare in letargo
Meglio dormirci su, aspettando tempi migliori
«Non c’ è che una sola cosa al mondo che
possa dormire veramente bene – è un
cadavere»
Xavier Forneret
C’è freddo. Il cibo scarseggia. Emigrare verso climi più miti non è da
tutti… Anzi, ci vuole proprio un
fisico bestiale per sopportare lunghi inverni, temperature rigide, per
fronteggiare la mancanza di acqua e
di qualcosa da mettere sotto i denti.
Chi può, va a svernare in ambienti
più sopportabili; chi non può mettersi in viaggio dovrà semplicemente
adattarsi a condizioni di vita tutt’altro che favorevoli. Una soluzione c’è
e sta nel letargo: dopo aver fatto il
pieno di energie durante l’autunno,
alcuni animali preferiscono dormirci
un po’ su e aspettare che il peggio
passi.
Pigrizia? Saggezza? Di certo, andare in letargo (dal greco lethē, oblio,
argós, inoperoso) non è così semplice:
bisogna prepararsi per essere sicuri
di superare il freddo e risvegliarsi
nella bella stagione, anche dopo sei
mesi di sonno profondo.
La tana in cui ripararsi non è un
pensiero da poco: trovare un posto
sicuro in cui schiacciare questo “pisolino” è davvero importante. Del
resto, se qualche predatore dovesse
individuare il rifugio di un
animale in letargo, questi
avrebbe poche possibilità
di salvarsi, addormentato
com’è.
Da non trascurare la ricerca di cibo prima di
prender sonno, dato che
mai come in questo caso
è vitale immagazzinare
energia prima che arrivino i grandi freddi: se le riserve di
grasso presenti nel corpo dell’animale non sono sufficienti per tutta
l’ibernazione, c’è il rischio di non
sopravvivere fino alla primavera.
Sì, ibernazione, perché è di questo
che si tratta, scientificamente parlando. La pressione del sangue cala
notevolmente, la frequenza cardiaca
si riduce molto (3-15 pulsazioni al
minuto), la respirazione si fa lenta,
la temperatura del corpo si abbassa
fino quasi al congelamento. Un eccezionale rallentamento delle funzioni vitali, una morte apparente e
passeggera per evitare di incappare,
prima del tempo, nella morte vera e
duratura.
Ma chi sono gli animali “da
letargo”? Per alcuni studiosi è corretto parlare di
letargo facendo riferimento esclusivamen-
te ai mammiferi; in realtà, esistono alcune specie
di pesci che, nonostante
rimangano imprigionati per tutta la stagione
fredda in un ghiacciaio,
riescono a riprendere la
vita normale con il sopraggiungere dei primi
caldi. E se parlando di letargo vi viene spontaneo
pensare a un orso, sap-
piate che il sonno di questo animale
non può definirsi propriamente tale,
dal momento che sono sospese solo
alcune attività fisiologiche (durante
l’inverno gli orsi possono partorire
e allattare).
A quanto pare, per dormire veramente bene (e a lungo), non serve
essere un cadavere…
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Viaggi
Gennaio 2012
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
di Anna Chiara Bozza
Zaino in spalla tra Siem Reap, Phnom Phen e Sihanoukville
Ma cosa andate a fare in Cambogia?
La reazione di amici e parenti verso
coloro che partono per la Cambogia
è più o meno sempre la stessa: Ma
cosa ci vai a fare in Cambogia?
La domanda è più che legittima visto che questo paese così misterioso
e affascinante è poco conosciuto dal
turismo di massa. Fino a qualche
tempo fa era una destinazione offlimits, guerriglia e mine anti-uomo
erano uno dei motivi principali che
tenevano lontani viaggiatori e turisti. Oggi la situazione è cambiata e
viaggiare in Cambogia è di nuovo
sicuro.
La meta più conosciuta è Angkor
Wat, sede dei meravigliosi templi,
dove si cominciano a notare le prime
avvisaglie dell’ondata di visitatori,
che sta rovinando la tranquillità e la
spiritualità del luogo. Hotel a cinque
stelle, campi da golf e centri benessere ormai cominciano ad affollare la
vicina città di Siem Reap.
Fortunatamente altre parti del paese sono meno gremite, e si trovano
viaggiatori solitari alla scoperta di
luoghi poco conosciuti. La nostra
idea di viaggio era più o meno quella, anche se partendo con un gruppo organizzato si rischia sempre di
“ritrovarsi” nei luoghi più turistici.
Il nostro itinerario è cominciato da
Bangkok, dove un bus ci ha portato
al confine con la Cambogia. Una volta arrivati e sbrigate le formalità del
visto, abbiamo attraversato a piedi
la frontiera, per raggiungere un al-
e tetti di foglie delle case a palafitta
danno l’idea di un’Asia che ormai sta
scomparendo, dove le vaste strade di
terra battuta lasciano il posto a giganti di cemento. Prima di dedicarci alla visita del
grande sito archeologico di Angkor,
tro autobus che ci avrebbe portati
finalmente a Siem Reap. Il paesaggio che riusciamo a scorgere prima
del tramonto ci lascia senza parole.
Immense risaie dalle quali emergono solo ciuffi di palme da zucchero
abbiamo deciso di recarci sul lago
Tonlè Sap per un giro in barca tra
i villaggi galleggianti. Scuole, bar e
case situati in piccole palafitte rendo
questo scenario unico. Si vede subito che la popolazione è abituata alle
visite dei turisti, infatti si affiancano
continuamente piccole imbarcazioni,
dove bambini con al collo dei pitoni
chiedono 1$ per farsi fotografare. Nei giorni successivi ci siamo dedicati all’esplorazione del maestoso
sito di Angkor. I luoghi che abbiamo
visitato erano in cuore di un’enorme
città dove ai tempi del massimo fulgore vivevano centinaia di migliaia
di persone nelle abitazioni situate
attorno ai templi e ai canali d’irrigazione. Da questo capolavoro di ingegneria idraulica emergono, come
pietre preziose incastonate in un
grosso gioiello, templi, santuari, ter-
Viaggi
Gennaio 2012
Giro giro tondo, io giro intorno al mondo
razze, mura, portali, ponti e grandi
viali di accesso alla città. Abbiamo
visto migliaia di immagini in video
o sulle riviste, patinate, ma nessuna ripresa digitale può eguagliare
lo stupefacente effetto della visione
tridimensionale di queste gigantesche opere di pietra, che passo dopo
passo sorgono dalla vegetazione. La
fatica di arrampicarsi fino in cima
viene cancellata dal panorama della giungla sconfinata che si ammira
dall’alto. Rovine avvolte dalla vegetazione, alberi che avvolgono e sembrano voler proteggere con le loro
enormi radici gli edifici sacri, creano
una meravigliosa simbiosi tra l’opera
dell’uomo e l’inarrestabile potenza
creatrice della natura. Dopo tre giorni abbastanza impegnativi di visita ai templi e shopping
nella città di Siem Reap ci siamo diretti a Kratie, un paese sul Mekong,
dove è possibile vedere i delfini Irrawaddy. La specie, che vive solo in
questo fiume, è seriamente in pericolo d’estinzione e al giorno d’oggi ne
rimangono solo sessanta esemplari.
Kratie di per sè non è un posto memorabile, se non fosse per lo strepitoso tramonto sul Mekong, possibil-
mente visto sulle barche.
Zaino in spalla, o per meglio dire
zaino in bus, il giorno seguente siamo partiti alla volta di Phnom Phen.
Passare dalla tranquillità e il silenzio, alla confusione della
capitale è stato abbastanza sconvolgente. Motorini, automobili, carretti,
rickshaw zigzagano in
modo caotico per le strade.
Anche qui, come in altre
zone della Cambogia, le
cose stanno cambiando in
fretta: nel centro si trovano
molti “american bar” con tv
al plasma che trasmettono
canali occidentali. Dopo la
visita al palazzo reale abbiamo deciso di recarci in
uno dei luoghi più significativi del genocidio operato dal regime di Pol Pot.
Nel centro della città sorge un edificio all’apparenza “normale”. Il
vecchio ginnasio francese
di Tuol Sleng, ora adibita
a museo delle vittime del
governo Khmer, fu trasformata durante gli anni
della dittatura in un luogo di tortura e prigionia.
La visione delle celle, dei
letti di tortura, il sangue
ancora sulle pareti, le centinaia di foto delle vittime
sono un’esperienza molto dura, che
di certo non lascia indifferenti alla
storia di questo paese così poco conosciuta e così recente. Dopo i due giorni passati nella capitale, tra shopping e visite ai principali monumenti, ci siamo messi in
marcia per la destinazione finale:
Sihanoukville, dove trascorrere gli
ultimi quattro giorni di relax sulle coste cambogiane. Dimenticato il sapore dell’Asia, ci troviamo
catapultati in un mondo parallelo.
Australia, Stati Uniti e Thailandia
hanno ormai invaso la tranquillità e
la semplicità del luogo. Bancarelle e
guest house lasciano il posto a bar,
ristoranti e hotel di lusso. Per sfuggire all’occidentalizzazione basta però
uscire dal centro dove parchi naturali e spiagge offrono l’occasione per
diverse escursioni. Passeggiate nella
giungla, villaggi francesi abbandonati e magnifiche isole tropicali semi-deserte, rendono il soggiorno più
interessante rispetto alla solita vacanza al mare. Chi si aspetta però di
effettuare camminate in stile safari
alla ricerca di animali esotici rimarrà deluso. L’unico esemplare tropicale che siamo riusciti a vedere sono
state delle formiche rosse giganti che
ci hanno pizzicato ovunque. Dopo
questi giorni passati tra barche, ristorantini sulla spiaggia e camminate è giunto il “doloroso” momento del
ritorno.
Una breve tappa a Phnom Phen,
dove un aereo ci ha trasportato a
Bangkok, e da lì in Italia.
Dopo 35 ore di aereo, 25 di pulmino, e altrettante di camminata arriviamo a Malpensa, e lì, come sempre restano soltanto le riflessioni e i
ricordi di un paese che tanto ci ha
affascinato e ammaliato. Lungo il
cammino ci siamo scontrati con realtà molto diverse, sicuramente lontane dal nostro modo di vivere, che
ci fanno riflette e chiedere se le persone “povere” sono loro oppure noi.
Nella pagina precedente: al centro il tempio
maggiore di Angkor, nelle altre immagini
paesaggi e luoghi simbolo che si possono
incontrare sulla propria strada
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Cucina
Gennaio 2012
Serviti il pasto, cowboy
di Anna Chiara Bozza
Un viaggio alla scoperta dei sapori della Cambogia
Amok, lok lak e noodles
Influenze thai, indiane, giavanesi, cinesi, malesi, vietnamite e pure
francesi rendono sicuramente unico il panorama gastronomico della
Cambogia. La cucina Khmer, meno
conosciuta rispetto a quella dei paesi
vicini, si sta rapidamente ritagliando un posto nello scenario culinario
mondiale. Le tradizioni, a livello culturale e gastronomico, sono state influenzata dalla posizione geografica
della Cambogia, considerata
da sempre un punto di passaggio tra le grandi civiltà
dell’India e della Cina. Curry, involtini primavera e salse
piccanti sono ormai parte integrante del menù. Gli ingredienti vengono scelti freschi
e zenzero, citronella e altre
erbe selvatiche arricchiscono
il sapore delle pietanze.
Buona parte delle ricette tradizionali essendo di epoca
antica, non adottano come
elemento principale il peperoncino, introdotto solo successivamente dai Portoghesi .
Questo è sicuramente uno dei
motivi per cui la cucina cambogiana
risulta meno piccante e più equilibrata delle altre della zona.
Le lussureggianti risaie rendono il
riso il contorno più utilizzato, anche
se le baguettes, lasciate in dotazione della dominazione francese, sono
sempre a portata di mano.
Altro elemento fondamentale della
cucina cambogiana è sicuramente
il pesce: d’acqua dolce o salata esso
proviene dal lago Tonlè Sap, dal
Mekong o dall’oceano. Barbeque di
barracuda, seppie e gamberi si possono gustare nei numerosi ristoranti
della costa alla modica cifra di 4 $.
L’Amok è sicuramente il piatto più
conosciuto della cucina Khmer. Si
tratta di pesce o pollo cotto al vapore
in crema di cocco, con citronella e peperoncino. Può essere servito dentro
foglie di banano, oppure in una noce
di cocco utilizzata come pentola. Tra
i diversi aromatizzanti presenti nel
piatto viene utilizzato il prahoc, una
salsa salata di pesce fermentato dal
sapore molto forte. Se invece si vuole andare sul sicuro, scegliendo un
piatto vicino ai gusti europei, meglio
optare per il Lok Lak: bocconcini di
carne in salsa serviti su un letto di
pomodori e uovo fritto.
La scelta è molto vasta, e in un menù
ben fornito non può mancar uno dei
classici della cucina orientale: i noodle, tagliolini di riso serviti in tutte
le salse, con verdure, pollo o manzo.
Per i palati più avventurosi è obbligatoria una visita alle bancarelle dei
mercati dove, oltre a normali spuntini fritti, si possono trovare
diverse “prelibatezze” che la
maggioranza dei turisti non
si sognerebbe mai di provare.
Tarantole, cavallette e scarafaggi fritti, conditi con zucchero e aglio, sono esposti in
bella mostra per attirare gli
sguardi dei curiosi.
Una volta esaudito il desiderio di provare i piatti tipici
della cucina khmer ci si può
dilettare nell’assaggio di altre tipologie di vivande. Nei
grandi centri, non mancano i
ristoranti etnici dove è possibile gustare cibi thailandesi,
indiani, vietnamiti, cinesi,
Cucina
Gennaio 2012
Serviti il pasto, cowboy
coreani e addirittura piatti europei.
L’unico punto dolente della cucina
Khmer è rappresentato dalla scarsità di pietanze dolci.
Per la conclusione del pasto, infatti, è meglio optare per una buona
porzione di frutta, visto che l’unica
alternativa per i più golosi è rappre-
sentata da porridge di riso e latte di
cocco. Ananas, mango, jackfruit e
dragon fruit si trovano in ogni angolo del paese e sicuramente non vi
faranno alzare da tavola scontenti.
Ottimi sono anche gli shakes che si
accompagnano alle portate principali oppure offrono uno spuntino
alternativo per coloro che sono più
attenti alla linea.
I viaggiatori con budget limitato
saranno contenti di sapere che in
Cambogia si può consumare un vero
pasto con solo 2$. I numerosi ristoranti di strada cucinano ottimi piatti
a prezzi bassissimi, ma anche andando in un ristorante il costo di una
portata difficilmente supera i 4$.
Prezzi bassi e particolarità del cibo
danno l’opportunità ai viaggiatori di sbizzarrirsi nell’assaggio delle
varie pietanze rendendo il viaggio
in Cambogia un’esperienza unica,
che non soltanto darà l’opportunità
di immergersi in una cultura totalmente diversa da quella occidentale,
ma anche di provare accostamenti
di vivande che non ci si sarebbe mai
aspettati nella vita.
Nella pagina precedente: al centro una porzione
di amok, in basso le “prelibatezze” a base di
insetti e qui a fianco un piatto di lok lak
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Sport
Gennaio 2012
Quando il gioco si fa duro
di Daniele Adami
La Champions League ha una nuova voce: si chiama Giulia Mizzoni
Se la telecronaca è femmina
“Persone che forniscono un contributo
obiettivo e raramente fuori luogo, che si
sentono a proprio agio, che desiderano che
vi sia rispetto nei loro confronti”
Iniziamo dal cinema. Da un film
del 1998: Patch Adams. In un dialogo fra Robin Williams e Monica
Potter (che interpreta Carin Fisher), quest’ultima evidenzia il fatto che nel corso di medicina che sta
frequentando vi sono pochissime
donne. Sottolinea di aver “sgobbato” (termine usato nel doppiaggio
italiano della pellicola) molto per
entrare all’università, e che dovrà
continuare a farlo per rimanervi.
Una ragazza che, meritatamente, ha
ottenuto quel posto.
Passiamo allo sport, e non a quello giocato sul campo. Vogliamo
parlare di quel mondo che, spesso
rinchiuso in una piccola stanza, o
in uno studio televisivo, descrive
e commenta le azioni che si stanno
svolgendo. Parole dette a un microfono che in brevissimi istanti raggiungono le televisioni e le radio di
migliaia di tifosi.
E le voci di queste particolari cronache? Esclusivamente maschili. O
meglio, lo sono state fino a poco tempo fa. Il 6 dicembre scorso, durante
una partita di Champions League,
il suono che ha rimbalzato sui divani dei telespettatori apparteneva a
una donna. Giulia Mizzoni, giovane
giornalista di un’emittente privata,
ha narrato i goal, i falli, le sostituzioni dell’incontro fra il Genk e il
Bayer Leverkusen. La prima volta
in questa competizione sportiva.
Lo confesso, non ho seguito i commenti di tale sfida calcistica. Pertanto, non posso fornire un giudizio,
non posso nemmeno dire “se è stato
strano” ascoltare una voce femminile. Ho affrontato la questione nei
giorni successivi, leggendo qualche
opinione sulla carta stampata e sul
web. Ho letto della forte passione di
Giulia Mizzoni per lo sport, della
gavetta vissuta in radio e televisione, della sua vasta competenza. Una
Qui sopra la giornalista Giulia Mizzoni e sotto la partita che ha commentato. Nella pagina a fianco
il confronto con una tipica esultanza “maschile” dopo un goal
Sport
Gennaio 2012
Quando il gioco si fa duro
di difficoltà, che guidano agevolmente una trasmissione, che fanno interagire gli ospiti dando
loro il giusto spazio. Le
emozioni vengono spesso
lasciate a casa, e mai mi è
capitato di udire un urlo.
Mai.
persona, insomma, meritevole, che
si muove in un universo prettamente maschile (o maschilista?).
Donne che lavorano nel settore dello sport giornalistico sono oramai
molte. Persone che forniscono un
contributo obiettivo e raramente
fuori luogo, che si sentono a proprio agio, che desiderano che vi sia
rispetto nei loro confronti. Professioniste che sanno gestire i momenti
Queste ultime parole
non si riferiscono a quei
“giornalisti” e “opinionisti” esaltati che quando
segna la squadra del cuore si mettono a ululare il
nome (o il nomignolo) del
giocatore che ha realizzato il goal, che non accettano un’idea
diversa dalla propria, e che non lasciano parlare gli altri. Programmi
frequentati solo da uomini. Lasciamoli lì.
appleproducts.tk
Apple Products
è un gruppo
di persone che
condividono la
passione per i
prodotti Apple.
Visitateci sul sito
internet dove
potrete trovare
guide, aiuti e
molto altro sul
mondo Apple.
Per una totale accessibilità al sito è necessaria l’iscrizione gratuita al forum.
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R I S TO R A N T E
Casale Spighetta
... dove la cucina tradizionale italiana
viene rivisitata con un sapore d'Oriente ...
Casale Spighetta, un nuovo spazio, un sorprendente gioco
architettonico di salette che si intersecano pur rimanendo raccolte
nella loro intimità. L'atrio Nafura, il Lounge panoramico Gioia
& Gaia, la cantina del Trabucco, il Coffee Lounge tutti con arredi
eleganti, diversi, con un tocco d'oriente legati da toni materiali ed
effetti di luce e colore che rispecchiano alla logica di mirabili equilibri.
Le sale esprimono un’atmosfera ariosa ed elegante perfettamente in
linea con la cucina dello Chef Patron. Un’esigenza per chi, come lo
Chef Angelo Zantedeschi va al di la dell’arte culinaria, un grande
amore per la tradizione e l’arte moderma.
Il Casale la Spighetta è un ristorante collocato nelle colline della
Valpolicella a Verona, i suoi ambienti eleganti sono indicati per cene
romantiche, banchetti e cene aziendali. Dal giardino estivo si può
godere di un meraviglioso panorama.
Via Spighetta 15
37020 Torbe di Negrar, Verona
Tel/fax: +39 045 750 21 88
www.casalespighetta.it
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La vita non imita l`arte, imita la cattiva televisione