SiEME IN N I T À P A A S T O R A L E L T A V A L S E R I N A 2012 - 03 - Luglio - Settembre U Il nuovo anno Pastorale LA FRATERNITÀ CRISTIANA 1 In copertina: l’icona del Nuovo Anno Pastorale indetto dal Vescovo Francesco Tema del nuovo anno pastorale indetto dal nostro vescovo Francesco nel contesto dell’anno della Fede voluto da papa Benedetto XVI, è la fraternità cristiana. Ecco come introduce e motiva la scelta nelle prime pagine della sua lettera pastorale che abbiamo avuto la possibilità di reperire in parrocchia (e che possiamo trovare anche in internet sul sito della Diocesi www.diocesibg.it): l’Anno della Fede l’11 ottobre prossimo, con una particolare Celebrazione nella chiesa parrocchiale di Sotto il Monte, nella memoria liturgica del Beato Papa Giovanni XXIII, a noi carissimo. Il ricordo e la venerazione di Papa Giovanni, uniti a una rinnovata consapevolezza del suo magistero, della sua testimonianza e del profetico coraggio con cui diede inizio al Concilio ecumenico Vaticano II, caratterizzeranno il nostro modo di celebrare l’Anno della Fede per giungere a una significativa celebrazione del cinquantesimo anniversario della sua morte avvenuta il 3 giugno 1963. In questo senso, la Diocesi, la Fondazione Papa Giovanni XXIII, la Parrocchia di Sotto il Monte unitamente alla Comunità del PIME, proporranno alcune iniziative di particolare significato. Tra queste, sin da ora, mi permetto di sottolineare il Pellegrinaggio diocesano a Roma e i pellegrinaggi parrocchiali a Sotto il Monte. Inoltre propongo a tutti i giovani un pellegrinaggio a piedi da Assisi a Roma lungo la Via Francigena, che si terrà nel mese di agosto. “Cari fratelli e sorelle, con questo saluto apriamo spesso i nostri incontri. Che significato assumono queste parole, normalmente usate nelle relazioni familiari? Perché i cristiani definiscono le relazioni tra loro con questi termini? Si tratta di un modo di dire per indicare come devono atteggiarsi gli uni verso gli altri o indica qualcosa di reale? E se fosse reale, quale consistenza assume una definizione di questo genere nella nostra vita? Vi chiedo scusa, se inizio questa lettera con una serie di domande; mi sembra un modo per entrare velocemente nel tema che intendo condividere con voi: “La fraternità nella comunità cristiana”. Nell’incontro con la Diocesi di Bergamo, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’elezione di Papa Giovanni, Benedetto XVI così si rivolgeva ai pellegrini bergamaschi: “La diocesi di Bergamo è in festa e non poteva mancare all’incontro spirituale col suo figlio più illustre, “un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore”, come egli stesso ebbe a dire. Accanto alla Confessione dell’Apostolo Pietro riposano le sue venerate spoglie mortali. Da questo luogo caro a tutti i battezzati, egli vi ripete: “Sono Giuseppe, vostro fratello”… È nella parrocchia che s’impara a vivere concretamente la propria fede… Con molta fiducia Papa Roncalli affidava alla parrocchia, famiglia di famiglie, il compito di alimentare tra i fedeli i sentimenti di comunione e di fraternità. Plasmata dall’Eucaristia, la parrocchia potrà diventare - egli pensava - fermento di salutare inquietudine nel diffuso consumismo e individualismo del nostro tempo, risvegliando la solidarietà ed aprendo nella fede l’occhio del cuore a riconoscere il Padre, che è amore gratuito, desideroso di condividere con i suoi figli la sua stessa gioia”.[...] “ Perché questo tema? Il Sinodo diocesano ha indicato la Parrocchia come una “comunità fraterna” (n. 72), “una comunità di amore fraterno” (n. 272): questa descrizione delinea il volto della comunità parrocchiale e nello stesso tempo prospetta un’esigenza da perseguire. È questa esigenza, il motivo della scelta del tema di quest’anno: le nostre parrocchie e la nostra Chiesa diocesana crescano nella fraternità e diventino più consapevoli che questa caratteristica è decisiva per essere veramente discepoli del Signore Risorto e collaboratori della sua Missione. È questa la strada da percorrere per rinnovare la vita delle nostre comunità, per incarnare maggiormente la nostra fedeltà al Vangelo, per alimentare lo slancio missionario, per favorire le forme di collaborazione a tutti i livelli. In particolare, è in questa prospettiva che si collocano la riflessione e l’attuazione delle Unità pastorali avviate dal Sinodo diocesano. La scelta di questo tema s’intreccia fortemente con l’indizione dell’Anno della Fede da parte del Santo Padre, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II e del ventesimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.[...] Dalla lettera del Vescovo Francesco Beschi Ed ecco il brano biblico cui fa riferimento l’icona dell’Anno Pastorale che compare in copertina: DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLICAPITOLO 15 Anche la nostra Diocesi aprirà comunitariamente Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve 2 bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: “Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!”. Quelli allora si congedarono e scesero ad Antiòchia; riunita l’assemblea, consegnarono la lettera. Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva. sottomissione, sottomessi al vescovo...nella concordia di Dio, ...sotto la presidenza del vescovo che tiene il posto di Dio” (sant’Ignazio di Antiochia). I loro volti, disposti frontalmente o a tre quarti, manifestano una luminosa limpidezza che lascia intuire la presenza dominante dello Spirito, accentuata dalla ieraticità dei corpi allungati, talora ricurvi verso il centro spirituale dell’icona, nel nostro caso, su Pietro, attorno a cui si concentra l’azione dello Spirito, come ribadisce il testo scritturistico: “È parso bene, infatti, allo Spinto Santo e a noi...” (At 15,28). E come esige l’icona, che rappresenta lo slancio dell’uomo divinizzato, i loro visi non sono colti nell’atto, ancora umano, del discutere, ma nell’atteggiamento pacato dell’unanime assenso: è il linguaggio del mondo a venire. Anche la carnagione, di una tonalità bruna molto dolce, simile al colore della terra baciata dal sole, esprime l’afflato del cuore: “L’amore del Cristo ci possiede” (2Cor 5,14). Tra loro, scrive Nicola Cabasilas, teologo laico del secolo XIV, “nessuno ha da sé la santità, ed essa non è opera di virtù umana, ma tutti la ricevono da Cristo e mediante lui; come se molti specchi fossero posti sotto il sole: tutti brillano e mandano raggi, così che crederesti di vedere molti soli, ma in realtà è unico il sole che brilla in tutti”. Su una predella, segno di riconosciuta autorità, si erge Pietro, celebrato nel primato spirituale conferitogli da Gesù: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). Le insegne episcopali lo ribadiscono, così come la lettera, indirizzata ai fratelli convertiti dal paganesimo, che lui regge con la mano sinistra, mentre con la destra accenna al gesto della benedizione. La sua fisionomia iconografica corrisponde alle caratteristiche canoniche della tradizione: tratti marcati, capelli e barba grigi e un po’ ricciuti. Le vesti, che cadono sul santo con solenne gravità, non fanno emergere la sinuosità del corpo, ma esprimono la sua vocazione ed esaltano il carattere spirituale del ‘somigliantissimo’: non è più l’uomo impastato di terra, ma è terra redenta, impregnata di cielo. Accanto a lui, a sinistra, l’apostolo Paolo, che umilmente, chinato il capo, sta in devoto ascolto. L’icona lo mostra come un virgulto fremente di vita che s’inarca flessuoso su Pietro per obbedire allo Spinto. Il suo sguardo è fisso sul rotolo dispiegato e preannuncia lo zelo con cui percorrerà le città per trasmettere ai credenti “le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme” perché le osservino (At 16,4). A destra, l’apostolo Giacomo indica il contenuto del cartiglio: nell’assemblea conciliare è lui che con acutezza dirime il dibattito. Ma, al contempo, ostende verso di noi la palma aperta dell’accoglienza. Anch’egli accetta come ispirata dallo Spirito la risoluzione definitiva dell’assemblea raccolta attorno a colui che - ribadisce sant’Ignazio d’Antiochia - “presiede alla carità”, Pietro. Giacomo, e con lui Paolo e tutti gli altri, sembrano ribadire con forza: “Dove è Pietro, lì è la Chiesa” (s. Ambrogio). ICONA DEL CONCILIO DI GERUSALEMME Laboratorio di spiritualità e tecnica dell’icona “la Glikophilousa” www.piccoloeremodellequerce.it Ecco l’icona della collegialità apostolica. Essa raffigura il Concilio di Gerusalemme del 49-50, durante il quale si risolve definitivamente la questione dei rapporti tra cristianesimo e legge mosaica. Un accenno al dibattito: i pagani possono diventare cristiani senza prima farsi ebrei devoti? Ossia: la legge data da Mosè continua ad essere normativa per il cristiano? È ancora necessaria la circoncisione? Ad Antiochia ferve la polemica. Paolo e Barnaba condividono il dissenso dei pagani neoconvertiti che rifiutano la circoncisione. La questione è improcrastinabile: bisogna interpellare “gli apostoli e gli anziani”, depositali del messaggio autentico del Risorto, e giungere ad un accordo. L’assemblea conciliare, presenti Paolo e Barnaba, pone fine alla spinosa vicenda. “Dopo una lunga discussione” (At 15,7) si arriva ad un accordo e all’unanimità si mette nero su bianco: “Gli Apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! [...] È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo ai di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!” (At 15,23.28-29). Nell’icona, Gerusalemme, sede geografica del concilio e luogo spirituale di unità, è visibile dalla volta di un edificio che fa da sfondo ai convenuti. Tutti i presenti, santificati da Dio e da Lui scelti, sono circonfusi da nimbi dorati, e tra loro vicinissimi, quasi a dire: tante sono le membra, diverse le opinioni, “ma uno solo è il corpo” (1Cor 12,12) e noi siamo uno in Cristo Gesù (cfr. Gal 3,28), “ricompaginati in un’unica Sr R. Bozzetto, sr R. Leone 3 PROGRAMMI E INIZIATIVE DIOCESANE NEL NUOVO ANNO PASTORALE Dio e dell’uomo, e rinnovata forza per il cammino. A modo di prolusione (anche se nel tempo posticipata) Padre Ermes Ronchi, noto teologo e letterato, proporrà una riflessione sul tema del dubbio, della paura e della vittoria della fede, a partire da Matteo 14,22-34. Per il Nuovo Testamento si leggeranno dapprima i testi marciani dell’attività di Gesù a Gerusalemme, ma soprattutto della sua Passione, che culminano nella pro-fessione di fede del centurione. Seguirà poi l’incontro con alcune grandi figure della fede nel “libro dei segni” di Giovanni 1-12. E poiché nella Diocesi di Bergamo si celebra contemporaneamente l’Anno giovanneo, Ezio Bolis, docente di teologia spirituale, ripercorrerà la figura di Giovanni XXIII, per cogliere i tratti più stimolanti della testimonianza di una fede che è insieme obbedienza e profezia. SCUOLA DI PREGHIERA PER GIOVANI 19 16 14 18 15 15 19 Ottobre Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Marzo Aprile 17 Maggio DEL NOSTRO ESSERCI… DELLE NOSTRE PAURE… DEI NOSTRI SOGNI… DELLA NOSTRA RICERCA… DEI NOSTRI ERRORI… DEL NOSTRO DOLORE… DELLA NOSTRA GIOIA… Che ne sa lui? ORA I MIEI OCCHI TI VEDONO Chiesa Ipogea del Seminario ore 20:30 SCUOLA DIOCESANA DELLA PAROLA Sede degli incontri: Casa del Giovane Via M. Gavazzeni, 11 - Bergamo Orario: Ore 20:30-22:15 La Scuola della Parola si tiene al mercoledì. È aperta a tutti, anche a coloro che non l’hanno frequentata negli anni scorsi. Non è richiesta alcuna iscrizione. Per informazioni e chiarimenti: Maria Elena Bergamaschi (tel. 0363 902565) Maria Antonietta Gusmini (tel. 035 290127) Mariella Tajocchi (tel. 035 256699) “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8) La fede appare oggi messa alla prova su molti versanti. Vi è quello del confronto tra fede e ragione, quando questa riduce il proprio ambito al pensiero scientifico e alle conquiste tecnologiche. Su altri versanti la fede viene dichiarata irrilevante, incapace di trasformare la vita, o vista come una debolezza per mascherare la tragicità dell’esistenza. Si giunge perfino ad imputare alla fede una natura violenta e intollerante per cui il futuro che assicura all’umanità è il buio delle guerre di religione. Per questo, rivisitare i testi biblici, interrogandoli circa il modo in cui essi concepiscono la fede, può essere uno sforzo fecondo e rilevante per l’oggi. Così la parola di Dio si rivela davvero quale “lampada per i miei passi, luce sul mio cammino”. La Scuola della Parola, in questo suo ventesimo anno, vuole allora offrire un contributo in coincidenza con l’Anno della fede, proclamato da Benedetto XVI. Lo farà nella modalità propria, di una lettura di libri del Primo e del Nuovo Testamento (o, meglio, di parte di essi), in cui comunque la priorità viene data al dettato del testo scritturistico. Sarà proposto innanzitutto il Deuteronomio, con un’attenzione specificamente accordata alla tematica della memoria che riscopre la Legge quale dono, più che im-posizione, memoria suscitante un senso di umile gratitudine, presupposto necessario alla fede. Si incontreranno poi le pagine del cosiddetto Secondo Isaia, dove la fede consiste nel riconoscere il Signore come il Dio che può e vuole salvare, percorrendo anche vie lontane da quelle umane. È allora ricerca appassionata della verità di PROGRAMMA 10-17-24 ottobre 2012 “Ascolta, Israele!” Il Deuteronomio: la Legge, la memoria, la fede Giacomo Facchinetti, biblista 7-14-21 novembre 2012 “Mettono ali come aquile” II Secondo Isaia: la forza della fede Patrizio Rota Scalabrini, biblista 28 novembre 2012 “Signore, salvami!” Pietro: il dubbio, la paura, la fede Ermes Ronchi, teologo e letterato 5- 1 2 -19 dicembre 2012 “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!” Marco 12-15: Passione di Gesù a Gerusalemme Alberto Maffeis, biblista 9 gennaio 2013 Fede, obbedienza e profezia La testimonianza di Papa Giovanni XXIII Ezio Bolis, direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII 16-30 gennaio 6 febbraio 2013 ”Se credi, vedrai la gloria di Dio” Giovanni 1-12: figure della fede Lorenzo Flori, biblista 4 Attività Vocazionali del Seminario di Bergamo 2012/2013 www.seminariobergamo.it 5 V IC AR IATO N ° 2 4 S ELVIN O - S ER IN A Ecco le iniziative pastorali che si terranno nel nostro Vicariato nell’Anno 2012/2013. GRUPPO FAMIGLIE. È un’occasione di incontro, confronto, catechesi per chi sta vivendo il matrimonio cristiano. Gli incontri saranno ogni terzo sabato del mese, ore 20:30-22:30, presso l’oratorio di Serina a partire da ottobre. SCUOLA DI PREGHIERA. Itinerario di preghiera e riflessione condotto da don Davide Rota, un martedì al mese (quasi sempre il 2°) ore 20.30. Quest’anno leggeremo l’Apocalisse di Giovanni. Date e luoghi: 16 ottobre Selvino 13 novembre Oltre il Colle 11 dicembre Ambriola 8 gennaio Bracca 19 febbraio Bagnella 13 marzo Amora 9 aprile Trafficanti 14 maggio Perello - S. Messa ACCOMPAGNAMENTO PER PERSONE SEPARATE O DIVORZIATE. La Diocesi, attraverso il gruppo La casa, segue le persone separate o divorziate con un cammino di accompagnamento spirituale e di consulenza canonica. Gli incontri si tengono ogni terzo giovedì del mese a Bergamo (comunità del Paradiso, via Cattaneo 7 - don Eugenio Zanetti, tel 035.278224) oppure ogni primo martedì del mese a S. Pellegrino (Giardino d’infanzia, p.zza S. Francesco 14 - don Giacomo Locatelli, tel 0345 21105). INCONTRI FORMATIVI PER CATECHISTI. È desiderio del Vescovo incontrare in quest’anno pastorale i catechisti della Diocesi. Ci sarà l’incontro con i catechisti del Vicariato il giorno 20 Marzo. Prima di quell’incontro i sacerdoti del Vicariato incontreranno i catechisti divisi per gruppi per preparare una riflessione comune da presentare al Vescovo. Questi incontri sostituiscono gli incontri formativi che normalmente si tengono nel Vicariato. CARITAS VICARIALE. La CARITAS vicariale si incontra quattro volte l’anno, il lunedì sera, presso il centro parrocchiale di Serina. Per informazioni contattare don Gianluca (parroco di Bracca) al numero 0345.97029. CAT, CLUB ALCOLISTI IN TRATTAMENTO. Per coloro che nella propria famiglia non chiudono gli occhi di fronte ai problemi legati all’alcool. Referente: sig. Abeni Ettore (cell. 347.9230730). CORSO PER FIDANZATI IN VISTA DEL MATRIMONIO CRISTIANO. Gli incontri si terranno a Serina a partire dal 2 Febbraio. Iscrizioni entro il 31 Dicembre 2012. ADOLESCENTI E PREGHIERA. Sono incontri di preghiera per gli adolescenti delle superiori, una volta al mese, dalle 19.30 alle 21.30 con la condivisione della cena. Sarà guidato da don Gianluca. 6 Pellegrinaggio Vicariale in Terra Santa nell’Anno della Fede. Per celebrare l’ANNO DELLA FEDE, il Vicariato Selvino-Serina organizza un Pellegrinaggio in Terra Santa, aperto a tutti dall’ 11 al 18 aprile 2013. Una visita ai luoghi in cui è nata la nostra FEDE, a Nazareth, dove Maria ha pronunciato il suo sì, a Cana di Galilea, sul lago di Tiberiade, a Gerico, a Gerusalemme, per sostare nell’orto degli Olivi e al Santo Sepolcro. Tutti luoghi di cui abbiamo tanto sentito parlare e che ora abbiamo la possibilità di vedere, per sperimentare la presenza di Dio nella nostra vita, per ravvivare la speranza, per riprendere coraggio! Le iscrizioni e le informazioni: presso Mariangela Tiraboschi e Carlo Carrara (035.763916 - 329.2190016) TERMINE per ISCRIZIONI: 31 ottobre 2012 Quota di partecipazione €. 1.245,00 Supplemento camera singola € 340,00 Acconto € 500,00 (entro il 31.10.2012) Saldo entro il 01.03.2013. 7 DIOCESI E CHIESA UNIVERSALE Responsabilità e promessa per tutti Traduzione italiana della lettera che Benedetto XVI ha inviato a monsignor Robert Zollitsch, arcivescovo di Friburgo e presidente della Conferenza episcopale tedesca, a proposito della traduzione in tedesco delle parole “pro multis” nelle preghiere eucaristiche della messa. evidenzia una cosa molto importante: la resa di “pro multis” con “per tutti” non era affatto una semplice traduzione, bensì un’interpretazione, che sicuramente era e rimane fondata, ma tuttavia è già un’interpretazione ed è più di una traduzione. Questa fusione di traduzione e interpretazione appartiene, in un certo senso, ai principi che, subito dopo il Concilio, guidarono la traduzione dei libri liturgici nelle lingue moderne. Si era consapevoli di quanto la Bibbia ed i testi liturgici fossero lontani dal mondo del parlare e del pensare dell’uomo d’oggi, così che anche tradotti essi sarebbero rimasti ampiamente incomprensibili ai partecipanti alla liturgia. Era un’impresa nuova che i testi sacri fossero resi accessibili, in traduzione, ai partecipanti alla liturgia, pur rimanendo, tuttavia, a una grande distanza dal loro mondo; anzi, in questo modo, i testi sacri apparivano proprio nella loro grande distanza. Così, ci si sentì non solo autorizzati, ma addirittura in obbligo di fondere già nella traduzione l’interpretazione, e di accorciare in questo modo la strada verso gli uomini, il cui cuore ed intelletto si voleva fossero raggiunti appunto da queste parole. Fino ad un certo punto, il principio di una traduzione contenutistica e non necessariamente letterale del testo di base rimane giustificato. Dal momento che devo recitare le preghiere liturgiche continuamente in lingue diverse, noto che, talora, tra le diverse traduzioni, non è possibile trovare quasi niente in comune e che il testo unico che ne è alla base, spesso è riconoscibile soltanto da lontano. Vi sono state poi delle banalizzazioni che rappresentano delle vere perdite. Così, nel corso degli anni, anche a me personalmente, è diventato sempre più chiaro che il principio della corrispondenza non letterale, ma strutturale, come linea guida nella traduzione, ha i suoi limiti. Seguendo considerazioni di questo genere, l’Istruzione sulle traduzioni “Liturgiam authenticam”, emanata dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il 28 marzo 2001, ha posto di nuovo in primo piano il principio della corrispondenza letterale, senza ovviamente prescrivere un verbalismo Dal Vaticano, 14 aprile 2012. Eccellenza, Venerato, caro Arcivescovo, In occasione della Sua visita del 15 marzo 2012, Lei mi ha fatto sapere che per quanto riguarda la traduzione delle parole “pro multis” nelle Preghiere Eucaristiche della Santa Messa ancora non c’è unità tra i Vescovi dell’area di lingua tedesca. Incombe, a quanto pare, il pericolo che per la pubblicazione della nuova edizione del “Gotteslob” [libro dei canti e preghiere], attesa in tempi brevi, alcune parti dell’area di lingua tedesca vogliano mantenere la traduzione “per tutti”, anche qualora la Conferenza episcopale tedesca convenisse a scrivere “per molti”, così come richiesto dalla Santa Sede. Le avevo promesso che mi sarei espresso per iscritto riguardo a questa importante questione, al fine di prevenire una tale divisione nel luogo più intimo della nostra preghiera. La lettera che qui, per Suo tramite, indirizzo ai membri della Conferenza Episcopale Tedesca, sarà inviata anche agli altri Vescovi dell’area di lingua tedesca. Anzitutto, mi lasci spendere brevemente una parola sulle origini del problema. Negli anni sessanta, quando bisognava tradurre in tedesco, sotto la responsabilità dei Vescovi, il Messale Romano, esisteva un consenso esegetico sul fatto che la parola “i molti”, “molti” in Isaia 53, 11s, fosse una forma di espressione ebraica per indicare la totalità, “tutti”. La parola “molti” nei racconti dell’istituzione di Matteo e di Marco, sarebbe stata quindi un “semitismo” e avrebbe dovuto essere tradotta con “tutti”. Questo concetto si applicò anche al testo latino direttamente da tradurre, in cui il “pro multis” avrebbe rimandato, attraverso i racconti evangelici, a Isaia 53 e perciò sarebbe stato da tradurre con “per tutti”. Questo consenso esegetico, nel frattempo, si è sgretolato; esso non esiste più. Nella traduzione ecumenica tedesca della Sacra Scrittura, nel racconto dell’Ultima Cena, si legge: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, che è versato per molti” (Mc 14, 24; cfr. Mt 26, 28). Con questo si 8 unilaterale. L’acquisizione importante che è alla base di questa Istruzione consiste nella distinzione, a cui ho già accennato all’inizio, fra traduzione e interpretazione. Essa è necessaria sia nei confronti della parola della Scrittura, sia nei confronti dei testi liturgici. Da un lato, la parola sacra deve presentarsi il più possibile come essa è, anche nella sua estraneità e con le domande che porta in sé; dall’altro lato, è alla Chiesa che è affidato il compito dell’interpretazione, affinché — nei limiti della nostra attuale comprensione — ci raggiunga quel messaggio che il Signore ci ha destinato. Neppure la traduzione più accurata può sostituire l’interpretazione: rientra nella struttura della rivelazione il fatto che la Parola di Dio sia letta nella comunità interpretante della Chiesa, e che fedeltà e attualizzazione siano legate reciprocamente. La Parola deve essere presente quale essa è, nella sua propria forma, forse a noi estranea; l’interpretazione deve misurarsi con la fedeltà alla Parola stessa, ma al tempo stesso deve renderla accessibile all’ascoltatore di oggi. In questo contesto, è stato deciso dalla Santa Sede che, nella nuova traduzione del Messale, l’espressione “pro multis” debba essere tradotta come tale e non insieme già interpretata. Al posto della versione interpretativa “per tutti” deve andare la semplice traduzione “per molti”. Vorrei qui far notare che né in Matteo, né in Marco c’è l’articolo, quindi non “per i molti”, ma “per molti”. Se questa decisione è, come spero, assolutamente comprensibile alla luce della fondamentale correlazione tra traduzione e interpretazione, sono tuttavia consapevole che essa rappresenta una sfida enorme per tutti coloro che hanno il compito di esporre la Parola di Dio nella Chiesa. Infatti, per coloro che abitualmente partecipano alla Santa Messa questo appare quasi inevitabilmente come una rottura proprio nel cuore del Sacro. Essi chiederanno: ma Cristo non è morto per tutti? La Chiesa ha modificato la sua dottrina? Può ed è autorizzata a farlo? È qui in atto una reazione che vuole distruggere l’eredità del Concilio? Per l’esperienza degli ultimi 50 anni, tutti sappiamo quanto profondamente i cambiamenti di forme e testi liturgici colpiscono le persone nell’animo; quanto fortemente possa inquietare le persone una modifica del testo in un punto così centrale. Per questo motivo, nel momento in cui, in base alla differenza tra traduzione e interpretazione, si scelse la traduzione “molti”, si decise, al tempo stesso, che questa traduzione dovesse essere preceduta, nelle singole aree linguistiche, da una catechesi accurata, per mezzo della quale i Vescovi avrebbero dovuto far comprendere concretamente ai loro sacerdoti e, attraverso di loro, a tutti i fedeli, di che cosa si trattasse. Il far precedere la catechesi è la condizione essenziale per l’entrata in vigore della nuova traduzione. Per quanto ne so, una tale catechesi finora non è stata fatta nell’area linguistica tedesca. L’intento della mia lettera è chiedere con la più grande urgenza a Voi tutti, cari confratelli, di elaborare ora una tale catechesi, per parlarne poi con i sacerdoti e renderla contemporaneamente accessibile ai fedeli. In una tale CATECHESI si dovrà forse, in primo luogo, spiegare brevemente perché nella traduzione del Messale dopo il Concilio, la parola “molti” venne resa con “tutti”: per esprimere in modo inequivocabile, nel senso voluto da Gesù, l’universalità della salvezza che proviene da Lui. Ma poi sorge subito la domanda: se Gesù è morto per tutti, perché nelle parole dell’Ultima Cena Egli ha detto “per molti”? E perché allora noi ci atteniamo a queste parole di istituzione di Gesù? A questo punto bisogna anzitutto aggiungere ancora che, secondo Matteo e Marco, Gesù ha detto “per molti”, mentre secondo Luca e Paolo ha detto “per voi”. Così il cerchio, apparentemente, si stringe ancora di più. Invece, proprio partendo da questo si può andare verso la soluzione. I discepoli sanno che la missione di Gesù va oltre loro e la loro cerchia; che Egli era venuto per riunire da tutto il mondo i figli di Dio che erano dispersi (Gv 11, 52). Il “per voi”, rende, però, la missione di Gesù assolutamente concreta per i presenti. Essi non sono degli elementi anonimi qualsiasi di un’enorme totalità, bensì ogni singolo sa che il Signore è morto proprio “per me”, “per noi”. “Per voi” si estende al passato e al futuro, si riferisce a me del tutto personalmente; noi, che siamo qui riuniti, siamo conosciuti ed amati da Gesù in quanto tali. Quindi questo “per voi” non è una restrizione, bensì una concretizzazione, che vale per ogni comunità che celebra l’Eucaristia e che la unisce concretamente all’amore di Gesù. Il Canone Romano ha unito tra loro, nelle parole della consacrazione, le due letture bibliche e, conformemente a ciò, dice: “per voi e per molti”. Questa formula è stata poi ripresa, nella riforma liturgica, in tutte le Preghiere Eucaristiche. Ma, ancora una volta: perché “per molti”? Il Signore non è forse morto per tutti? Il fatto che Gesù Cristo, in quanto Figlio di Dio fatto uomo, sia l’uomo per tutti gli uomini, sia il nuovo Adamo, fa parte delle certezze fondamentali della nostra fede. Su questo punto vorrei solamente ricordare tre testi della Scrittura: Dio ha consegnato suo Figlio “per tutti”, afferma Paolo nella Lettera ai Romani (Rm 8, 32). “Uno è morto per tutti”, dice nella Seconda Lettera ai Corinzi, parlando della morte di Gesù (2 Cor 5, 14). Gesù “ha dato se stesso in riscatto per tutti”, è scritto nella Prima Lettera a Timoteo (1 Tm 2, 6). Ma allora, a maggior ragione ci si deve chiedere, ancora una volta: se questo è così chiaro, perché nella Preghiera Eucaristica è scritto “per molti”? Ora, la Chiesa ha ripreso questa formulazione dai racconti dell’istituzione nel Nuovo Testamento. Essa dice così per rispetto verso la parola di Gesù, per mantenersi fedele a Lui fin dentro la parola. Il rispetto reverenziale per la parola stessa di Gesù è la ragione della formulazione della Preghiera Eucaristica. Ma allora noi ci chiediamo: perché mai Gesù stesso ha detto così? La ragione vera e propria consiste nel fatto che, con questo, Gesù si è fatto riconoscere come il Servo di Dio di Isaia 53, ha dimostrato di essere quella figura che la parola del profeta stava aspettando. Rispetto reverenziale della Chiesa per la parola di Gesù, fedeltà di Gesù alla 9 parola della “Scrittura”: questa doppia fedeltà è la ragione concreta della formulazione “per molti”. In questa catena di fedeltà reverenziale, noi ci inseriamo con la traduzione letterale delle parole della Scrittura. Come abbiamo visto anteriormente che il “per voi” della traduzione lucano-paolina non restringe, ma concretizza; così ora possiamo riconoscere che la dialettica “molti” — “tutti” ha il suo proprio significato. “Tutti” si muove sul piano ontologico — l’essere ed operare di Gesù comprende tutta l’umanità, il passato, il presente e il futuro. Ma di fatto, storicamente, nella comunità concreta di coloro che celebrano l’Eucaristia, Egli giunge solo a “molti”. Allora è possibile riconoscere un triplice significato della correlazione di “molti” e “tutti”. Innanzitutto, per noi, che possiamo sedere alla sua mensa, dovrebbe significare sorpresa, gioia e gratitudine perché Egli mi ha chiamato, perché posso stare con Lui e posso conoscerlo. “Sono grato al Signore, che per grazia mi ha chiamato nella sua Chiesa ...” [canto religioso “Fest soll mein Taufbund immer stehen”, strofa 1]. Poi, però, in secondo luogo questo significa anche responsabilità. Come il Signore, a modo suo, raggiunga gli altri — “tutti” — resta, alla fine, un mistero suo. Senza dubbio, però, costituisce una responsabilità il fatto di essere chiamato da Lui direttamente alla sua mensa, così che posso udire: “per voi”, “per me”, Egli ha patito. I molti portano responsabilità per tutti. La comunità dei molti deve essere luce sul candelabro, città sul monte, lievito per tutti. Questa è una vocazione che riguarda ciascuno, in modo del tutto personale. I molti, che siamo noi, devono sostenere la responsabilità per il tutto, consapevoli della propria missione. Infine, si può aggiungere un terzo aspetto. Nella società attuale abbiamo la sensazione di non essere affatto “molti”, ma molto pochi — una piccola schiera, che continuamente si riduce. Invece no — noi siamo “molti”: “Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”, dice l’Apocalisse di Giovanni (Ap 7, 9). Noi siamo molti e rappresentiamo tutti. Così ambedue le parole “molti” e “tutti” vanno insieme e si relazionano l’una all’altra nella responsabilità e nella promessa. Eccellenza, cari confratelli nell’Episcopato! Con tutto questo, ho voluto indicare le linee fondamentali di contenuto della catechesi per mezzo della quale sacerdoti e laici dovranno essere preparati il più presto possibile alla nuova traduzione. Auspico che tutto questo possa servire, allo stesso tempo, ad una più profonda partecipazione alla Santa Eucaristia, inserendosi così nel grande compito che ci aspetta con “l’Anno della fede”. Posso sperare che la catechesi venga presentata presto e diventi così parte di quel rinnovamento liturgico, per il quale il Concilio si è impegnato fin dalla sua prima sessione. Con la benedizione e i saluti pasquali, Mi confermo Suo nel Signore Intervista al Vescovo Francesco in occasione dei 50 anni di missione in Bolivia In queste due settimane, da La Paz a Santa Cruz, ha incontrato molti missionari, laici e religiose: tante storie di vita al servizio della Bolivia. Vede nei loro percorsi un filo conduttore? “Io penso che sia riconoscibile una passione capace di animare dal di dentro il servizio che queste persone stanno offrendo. Persone che sono venute qui con una ricchezza di motivazione ma che, per rimanere qui, hanno continuamente rinnovato la scelta iniziale. Si tratta dunque di una passione non estemporanea, ma di un sentimento e una convinzione profonda, esistenziale e cristiana. Le modalità di questa passione si manifestano poi in modi diversi, nell’impegno ecclesiale e sociale con una serie di sfaccettature: dall’educazione alla salute, dall’emarginazione all’impegno per la giustizia e a una democrazia più diffusa”. Tante storie di vita che sono riuscite a dare continuità a 50 anni di storia: cosa ci dice questa esperienza? “Vuole dire qualcosa che non è estemporaneo, che assume il valore di una continuità e di una responsabilità costruttiva e non di un’esperienza fine a “I missionari e laici in Bolivia hanno dimostrato in questi 50 anni che la logica del dono è capace di costruire la storia, il mondo o addirittura di costruire quei meccanismi che ci sembrano indisponibili al dono come l’economia e il lavoro o persino la finanza”. È questa la riflessione che lascia monsignor Francesco Beschi come bilancio del lungo viaggio in Bolivia. 10 se stessa. È quindi un’esperienza inevitabilmente proiettata al futuro: 50 anni non si buttano via. Dice anche della capacità della nostra Chiesa di Bergamo, delle persone che sono venute qui e delle Chiese che ci hanno accolto, di dare continuità e di far passare questa passione di generazione in generazione, da chi è arrivato a chi ancora deve arrivare. È un elemento di grande valore a fronte di una tentazione oggi diffusa di fare solo una somma di esperienze limitate, estemporanee e superficiali”. Nella relazione al Gruppo Bergamo, Lei ha indicato tra le prospettive future del missionario quella di farsi testimone della logica del dono contro quella dell’interesse: cosa significa? “La logica del dono appartiene all’esperienza cristiana e non solo. La novità sta in questo passaggio epocale indicato da Papa Benedetto XVI di renderla paradigma di interpretazione e trasformazione del mondo. Nella mentalità diffusa il dono appartiene alla sfera della relazioni personali. Qui invece si sta dimostrando che la logica del dono è capace di costruire la storia, il mondo o addirittura di costruire quei meccanismi che ci sembrano indisponibili al dono come l’economia e il lavoro o persino la finanza”. Parlando della logica del dono ha anche introdotto l’importanza del predisporsi a ricevere… “All’interno della lettura della logica del dono in termini nuovi va sottolineato anche l’aspetto dell’imparare a ricevere. È una prospettiva biblica e cristiana che nasce dall’esperienza di un dono. La figura di Maria è grandissima a partire dal sì non passivo allo Spirito Santo. Non è solo una prospettiva spirituale o relazionale ma si tratta di entrare in qualcosa di molto nuovo in cui la necessità di imparare a ricevere s’impone. Noi non siamo abituati a questo: noi prendiamo, meritiamo, siamo disposti a donare ma per noi imparare a ricevere è più difficile”. La logica del dono può essere una via nuova nella crisi strutturale che ci coinvolge in Europa? “Mi sembra che sia molto diffusa nella nostra terra la cultura del dono, che si esprime in termini di generosità gratuita, a volte veramente impressionante dal profilo quantitativo. Dobbiamo però imparare a metterci insieme nelle difficoltà e nella costruzione di prospettive nuove. La logica del dono è disinteressata e il ricevere è tanto importante quanto il dare. Tutto questo non lo vedo evidente nella società: è un cambiamento di stile e di approccio. Dire queste cose può suggestionare qualcuno e lasciare perplessi molti, tanto più diventa difficile tradurlo nella realtà. Non mi sembra però che le alternative siano più chiare di quello che sto dicendo. Anche ascoltando tante persone competenti nei loro campi vedo una grande incertezza e fatica. Si continua a percorrere la strada conosciuta sottovalutando le cause che hanno portato a questa situazione perché le prospettive sono oscure e incerte. La semplice spiegazione di un’onda che scende e sale nell’economia mi sembra molto semplicistica”. Diciannove giovani della nostra diocesi sono in Bolivia per un’esperienza missionaria: cosa li attrae? “Non sono i soli a scegliere un’esperienza di questo tipo: credo che la novità sia proprio questa rispetto al passato. Partono in molti, motivati dal desiderio di un incontro e di comprendere lasciandosi coinvolgere e non osservando come semplici spettatori. In passato, invece, i giovani che partivano erano pochi, anche se pronti a giocarsi un tempo molto più significativo della loro vita in missione. Ora invece queste esperienze incidono di più in un cambio di mentalità in Europa che in uno spirito di servizio in Bolivia o in altri Paesi”. Perché, a proposito dei 50 anni di presenza in Bolivia, Lei parla di cooperazione? “Oggi la necessità di camminare insieme è molto più forte rispetto al passato: avvertiamo la bellezza di una storia scritta nei decenni scorsi in cui la risposta ai bisogni fondamentali e l’aiuto alle chiese più povere si è manifestato in modo sorprendente e capace di suscitare meraviglia. Oggi mi sembra che, in un clima di rapporti consolidati, pur essendoci necessità ancora evidenti, lo scambio e la riflessione comune siano da non sottovalutare. Noi abbiamo una bellissima storia che sta continuando ma in Italia ci sono più preti provenienti da Paesi stranieri in servizio pastorale di quanti l’Italia non ne invii all’estero. La situazione è capovolta. Immaginiamo il missionario in un Paese lontano ma quale è in quest’ottica il Paese lontano? Nella nostra diocesi siamo in una posizione privilegiata ma dobbiamo utilizzare questo privilegio in termini di crescita. Avere anche noi dei sacerdoti stranieri, non per necessità, è un modo serio di raccogliere l’eredità di questa storia”. Quale è il futuro della missione bergamasca in Bolivia? “Vorremmo metterci sempre più a disposizione di una soggettività locale: il vescovo, il clero locale e le autorità. Vogliamo essere al servizio. Vedo che la presenza dei bergamaschi, penso ai laici che hanno realizzato opere significative, è talmente apprezzata che tendenzialmente la richiesta è di mantenere ciò che abbiamo costruito in questi 50 anni con il timore che, con il calo di vocazioni e risorse, tutto questo non venga sostenuto. La seconda domanda, molto interessante, che ci viene fatta riguarda un bisogno di formazione permanente per il clero”. Elena Catalfamo su “L’eco di Bergamo”, 8 gosto 2012 11 Ricordo di don Giuseppe Rizzi “Don Rizzi, tanto bene nascosto: la sua vita parla”. santuario della Madonna del Pianto che ha servito fino all’ultimo dei suoi giorni. E morto, a 77 anni, don Giuseppe Rizzi. Anni fa era stato colpito da un ictus, che gli aveva causato fatica nella deambulazione e due settimane fa aveva avuto un infortunio. Don Rizzi era nato il 10 ottobre 1934 tra le amate montagne di Zambla, che avevano forgiato il suo carattere forte e una volontà di ferro. Dopo l’ordinazione sacerdotale (il 31 maggio 1958) era stato coadiutore parrocchiale di Parzanica (1958’60) e di Vallalta (1960-’68), quindi parroco di Santa Croce di San Pellegrino (1968-71). Nel 1971 era partito per la Bolivia come sacerdote missionario, portando avanti per 18 anni un intenso impegno di evangelizzazione e promozione umana. Giuseppe Carrara. Da “L’Eco di Bergamo”, Mercoledì 11 Luglio 2012 La comunità di Albino ha salutato con riconoscenza don Giuseppe Rizzi, vicario parrocchiale e cappellano del Santuario della Madonna del Pianto, che si è spento sabato a 77 anni. Ad accompagnarlo, 70 sacerdoti che hanno preso parte ai funerali presieduti dal vicario generale monsignor Davide Pelucchi e concelebrati dal parroco don Giuseppe Locatelli e da don Massimo Rizzi, nipote del sacerdote e superiore della comunità dei preti del Sacro Cuore. Unite nella preghiera la missione in Bolivia dove don Giuseppe aveva operato per 18 anni e i seminaristi di Romania e Croazia che il sacerdote sosteneva. “Ringraziamo don Giuseppe per tutti gli anni in cui si è preso cura degli uomini nelle parrocchie che ha guidato, in missione e con tanti gesti nascosti” ha detto monsignor Pelucchi. “Era un uomo di compagnia – ha ricordato don Locatelli –, ma di poche parole, capace di ascolto. Lui ora tace, ma la sua vita parla”. Come segno della sua vicinanza alle persone è stato letto un biglietto scritto da una donna che ricorda come “i miei genitori ricevessero grande conforto dalla visite di don Giuseppe che, ammalato nel fisico, comprendeva le sofferenze degli anziani. Con una carezza, una parola sapeva consolare”. Monsignor Mario Balicco, compagno di ordinazione, ha ricordato che “se don Giuseppe sembrava talvolta burbero, rivelava un animo aperto all’accoglienza. Lo immaginiamo nell’incontro con Dio sorridente e sereno”. La bara, portata fuori dalla chiesa in spalla dagli amici sacerdoti, è stata salutata da un applauso prima di raggiungere Zambla, paese natale di don Giuseppe. L. Ar. “Aveva scelto i più poveri” Da “L’Eco di Bergamo”, Martedì 10 Luglio 2012. “È stato un prete missionario convinto, obbediente, disponibile, con una tempra schietta da montanaro bergamasco - ricorda don Santino Nicoli, arciprete di Nembro, già missionario in Bolivia -. A La Paz aveva scelto di fare il prete nei luoghi più poveri, condividendo la vita della gente, facendo anche il muratore e il falegname. Ogni domenica sera, quando tutti i preti bergamaschi si riunivano, trasmetteva allegria, ricorrendo anche al gioco delle carte”. Il suo amore alla montagna si cementò in terra boliviana con le scalate sulle Ande e sull’Illimani, nei pressi di La Paz. Proprio su questa montagna don Rizzi, che faceva parte della cordata per recuperare il corpo di un alpinista francese, vide Grazie don Rizzi! Dal Bollettino parrocchiale di Albino. Lo scorso 8 luglio il nostro caro don Giuseppe Rizzi è tornato alla casa del Padre. La sua vita viene ricordata come quella di un prete montanaro sia per il luogo di nascita in Valserina, sia per la grande passione all’alpinismo. Come sacerdote, ha marciato per lunghe distanze e tanti luoghi, dalle valli bergamasche ai monti della Bolivia. Con i piedi ormai stanchi, la sua marcia si è conclusa nel 12 Caro don Giuseppe ‘ncö I’ s’è fenìt chèl grand caminà de la tò éta de Scalfarètt de la Strécia Da zùen ta edìe töce dé passà sóta la mé cà per gnì che a Oltra ‘I Còl a stödià e dòpo en seminare püdì ‘ndà Deentàt prét, to gh’é dàcc a caminà söi mucc con chèl invìs de sétes piö apröf al paradìs Al Sücù de la Plàssa to sé stàcc ol prim a troà chi zùegn che sö a la crus de l’Arerà ü fùlmen l’ìa portàt vià Lüghìt comè ü camóss quando a Santa Crus la strada i èra dré a fà dòpo ì décc méssa, tacàt a öna còrda to séret zó a desgagià Töt ol tò caminà I’ t’à portàt söi mucc bolivià to é mai dementegàt i tò raìs de contadi e ‘n Bolivia to ìet fàcc rià öna coldéra per ensegnà a chèla zét a cagià Apéna to riàet a cà to curìet fò per i pracc e ai fradèi aidà Co la rànza o la biciesse inàcc e ‘ndré a segà ol fé ‘Nda tò età de prét ol piö bèl predicà l’è stàcc chèl de fà ‘mparà a ölega bé al laurà Óm franch e sincér per té la paròla décia la alìa de piö d’öna carta scrécia To séret ü di nòs-cc, fàcc zó a la bùna L’ ta piasìa fa la batìda ‘n prima persùna Ü di tò invìs: fà la partìda a carte coi amìs Adèss en ta edera piö söi sentér de la Menacóna o dol Felghér, ma la tò memòria la sarà sémper che töcc quancc i dé Dio del cél, Signùr dol paradìs laghi ‘ndà sö per i mucc ol nòst amìs ol Vòst servidùr che l’ V’à servìt töcc dé con amùr Ciao don Giuseppe söi mucc adèss el gh’è öna stèla en mèss ai ótre le la piö bèla Sergio Fezzoli 11 luglio 2012 morire l’amico alpinista nembrese Carlo Nembrini. Nel 1989 era tornato in diocesi, diventando parroco di Capizzone e Bedulita, facendo la spola fra le due comunità. Per motivi di salute, nel 1999 aveva rinunciato alla parrocchia. Albino è stata la sua ultima destinazione come vicario e cappellano del santuario del Pianto. “È stato un prete dalla volontà di ferro, capace di superare i momenti più difficili per la sua salute - ricorda il parroco don Giuseppe Locatelli -. Con grande generosità, si è preso cura del santuario. La povertà della Bolivia gli aveva conferito un cuore ricco di carità. Con i suoi mezzi, aiutava negli studi i seminaristi boliviani e quelli dell’Est europeo”. Carmelo Epis Il 21 Agosto il Vescovo Francesco ha celebrato una Messa in suffragio presso la parrocchiale di Zambla Bassa. Ha parlato di don Giuseppe come di un instancabile uomo di fede, non conosciuto di persona, ma nel contesto della Chiesa di Bergamo dove si è potuto respirare la testimonianza di una vita vissuta ad maiorem dei gloria. d. A. Oltre il Colle, via Roma 560 Si riceve su appuntamento al tel 331/47.07.801 13 U N I T À P A S TO R A L E A LTA V A L L E S E R I N A CRE 2012 Passpartù Il tema del CRE 2012 gira intorno all’intenzione educativa di dare valore alla parola. Siamo in mezzo alle parole e per certi versi abbiamo a disposizione molti strumenti che potrebbero favorire la comunicazione e il dialogo tra le persone. Ma – come dicono i Vescovi negli orientamenti pastorali per questo decennio – c’è un’emergenza educativa che riguarda anche il tema della comunicazione. Ci piace pensare che i bambini e i ragazzi nei nostri oratori quest’estate hanno avuto la possibilità di riflettere sull’importanza della parola. Per qualcuno la parola è obsoleta: è una forma comunicativa largamente superata dalle immagini e dalla tecnologia. Ne siamo così sicuri? I linguaggi per comunicare sono molti. È però attraverso la parola che possiamo dare corpo a pensieri e immaginazione; esplicitare e comunicare quello che ciascuno ha vissuto o porta nel cuore. Gli animali comunicano, ma solo gli uomini parlano. È con la parola che possiamo entrare dappertutto (passepartout, appunto): nel nostro cuore per dare un nome ai sentimenti e consistenza ai pensieri, nel cuore delle cose per usare le parole giuste e adatte, nel cuore degli altri per costruire relazioni buone e positive, nel cuore di Dio se impariamo a capire quando e come ci fa arrivare la sua parola. Non funziona automaticamente. Occorre averne cura, altrimenti non si entra da nessuna parte e riempiamo il mondo di tanti bla bla che creano disordine, rumore, confusione (come era già successo, a suo tempo, intorno a una certa torre che poi non stava in piedi). Una parola (anche soltanto una parola) al posto giusto rende la vita più bella e stiamo tutti molto meglio. La possibilità di parlare è forse la più importante caratteristica che distingue l’uomo dagli animali: le parole permettono la comunicazione di pensieri e sentimenti, di idee e progetti. Con le parole gli uomini possono determinare gli umori e creare un clima: quando le parole sono buone, si creano dei legami; quando non lo sono, ci si scontra e ci si combatte. Noi esistiamo grazie alle parole: abbiamo capito di esserci proprio quando qualcuno ha cominciato a rivolgersi a noi, a chiamarci, a dire qualcosa di noi e del mondo. Trent’anni fa, il cardinal Martini scriveva la sua prima lettera pastorale intitolata “In principio la parola” e nell’introduzione diceva: “È stata la Parola per prima a rompere il silenzio, a dire il nostro nome, a dare un progetto alla nostra vita. È in questa parola che il nascere e il morire, l’amare e il donarsi, il lavoro e la società hanno un senso ultimo e una speranza. È grazie a questa Parola che io sono qui e tento di esprimermi. “Nella tua luce vediamo la luce” (Sal 35, 10)”. Non è una riflessione nata a caso: il cristianesimo presenta la figura di Gesù come Parola di Dio offerta agli uomini; essi non sono semplicemente di fronte alla novità di Dio che offre parole al suo popolo. La novità vera è nella sua figura: in lui Dio è anche voce e presenza in prima persona. Parole buone non sono solo quelle eleganti. Parole buone sono quelle che sanno raccontare il bene ricevuto, il sogno di una vita buona per tutti. Non si è trattato, quindi, di insegnare ai ragazzi a “non dire le parolacce”, ma di aiutarli a trovare quelle parole che permettono di costruire il mondo. Per questo l’estate è stata una grande occasione educativa. Dice Italo Calvino alla fine delle Città invisibili: “l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce 14 n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. Cominciando dalle parole, usando le parole. liturgia viene ripetuta, questa frase, prima di ricevere la comunione. È un passaggio molto bello: la fede permette di riconoscere a Gesù la capacità di dire parole di salvezza. E Gesù non ha bisogno di dire molte parole o di perdersi in chiacchiere inutili: la sua è una parola così efficace che realizza prontamente ciò che dice. Per questo da Lui aspettiamo una parola sola, quella che porti salvezza al nostro cuore. Perché, una volta incontrata questa salvezza, troviamo il coraggio di scegliere solo parole buone: quelle che fanno bene al mondo e alle relazioni tra gli uomini. Insomma, di portare salvezza. Passpartù Perché passpartù? Passe-partout è quell’aggeggio che apre tutte le porte. Quando bisogna entrare in molti posti, bisognerebbe possedere ogni chiave. Il passepartout è quell’unico oggetto che apre luoghi diversi. La parola ha questa capacità: quella di permetterci di entrare nel cuore di chiunque, di aprire qualunque porta chiusa. Una delle canzoni del Cd di quest’anno dice proprio questo: esistono le parole magiche, ma non sono quelle che ci hanno insegnato nelle favole da bambini. Sono le parole più semplici e più belle che da sempre sono legate a quella che chiamiamo la “buona educazione”. Se esercitata bene, ci può portare a parole raffinate: quelle che, magicamente, aprono il cuore e permettono di costruire buone relazioni. Come lo scriviamo?, ci siamo chiesti. L’originale è piuttosto difficile da leggere. L’abbiamo scritto in modo scorretto: ma quel “tu” in finale di parola dice bene la possibilità, che la parola ci offre, di creare legami con l’altro. Il logo Attorno a una certa torre, collocata a Babele, dice il libro della Genesi, gli uomini si sono persi perché non trovavano più le parole per comunicare. Le lingue si erano confuse: il loro progetto non era buono e Dio non l’aveva favorito. Bisognerà aspettare un altro momento, la discesa dello Spirito Santo, perché gli uomini trovino la capacità di capirsi in fretta: quel giorno lo Spirito permetterà a tutti di capire il linguaggio dell’amore. Alcuni bambini sono all’opera attorno a una parola che ha la forma di una torre. Perché le parole buone puliscono il cuore e gli permettono di puntare alle cose importanti, quelle che sono buone e servono a tutti. Allora la torre cresce, perché le parole fanno crescere la possibilità che gli uomini costruiscano legami e relazioni. Di’ soltanto una parola Il CRE a Oltre il Colle... Lo dice un centurione romano a Gesù che si sta avviando a casa sua perché la figlia sta male (il racconto è al capitolo 8 di Matteo). È diventata una delle invocazioni più ripetute nella nostra vita: nella … è iniziato il 2 Luglio ed è durato 4 settimane, fino al 27 Luglio, tutti i giorni da Lunedì a Venerdì. Le attività: La prima settimana ci siamo divisi in squadre: Rossi, Arancioni, Gialli e Blu. Ogni squadra ha pensato ad un nome, ha creato un inno da cantare e ha realizzato la propria bandiera. Ecco i nomi delle squadre: Rossi: Tempeste di fuoco; Arancioni: i dragoni arancioni; Gialli: i Cipster; Blu: i PassParBlù. Le gite: il 3 Luglio siamo andati al Frassino, il 4 Luglio in piscina all’Acquaplanet di Darfo-Boario. Venerdì sera c’è stata la gita per animatori: Acquasplash by night! I giochi: abbiamo giocato a “Las Vegas”, “Bomba” e “Doganieri e Contrabbandieri” al pian della Palla: quest’ultimo è stato il grande gioco della prima settimana. La seconda settimana abbiamo cominciato l’attività dei laboratori: lavoretti, dove abbiamo realizzato scooby doo e creato decorazioni con le parole; danze, dove abbiamo imparato i balli del CRE (ma non solo) e teatro, dove si è preparato la struttura della festa finale. Poi ci sono stati i giochi: le mini olimpiadi e la grande caccia al tesoro, che quest’anno è stata decisamente più impegnativa del solito!!! Siamo stati in piscina all’Acquadream di Rovato e abbiamo 15 partecipato allo SportGiovane di Almenno S. Salvatore, grazie al quale siamo anche finiti sulla trasmissione “Granita Mix” di Bergamo TV. Nella terza settimana abbiamo continuato i laboratori iniziati la settimana precedente. Siamo andati in gita a piedi ai “Grömei” di Zorzone, dove abbiamo giocato al gioco “La spada nella roccia”, e al Centro Sportivo Valle. Siamo saliti al Pian della Palla per il grande gioco della settimana: Battaglia Navale. Negli altri giorni abbiamo giocato a scalpo, bandiera genovese e battaglia di Londra. La quarta settimana è quella che ci vede impegnati nella preparazione della festa finale. Sono stati conclusi i lavoretti e tutti preparano una scenetta, un ballo, un canto da presentare ai genitori il venerdì sera. È anche la settimana della “gita lunga” in piscina: Acquasplash fino alle 5 e mezza del pomeriggio! Naturalmente non sono mancati i giochi. Quest’anno, visto il caldo eccezionale, ci siamo avventurati in nuovi “giochi con l’acqua” (che laàda!). Dodgeball e palla10 sono stati i giochi con cui abbiamo completato i nostri tornei. Eh gia! Perché ad ogni gioco c’è un punteggio e alla fine del mese “salta fuori” chi ha vinto il grande torneo del CRE! Questa la classifica finale: Primi i Gialli con 210 punti; secondi i Rossi con 195 punti; terzi gli Arancioni con 185 punti e quarti i Blu con 180 punti. Giovedì sera abbiamo vissuto la Messa di ringraziamento di fine CRE e venerdì sera la festa finale al Cinema. Ogni giornata di CRE è stata aperta e chiusa da un momento di preghiera: apertura in Chiesa, chiusura in Oratorio con il canto “Ma cos’è l’uomo”, per ricordare che tutto il nostro tempo è nelle mani del Signore che con la sua Parola ha creato tutto. Diamo i numeri: Hanno partecipato al CRE 2012 Passpartù 11 bambini dell’ultimo anno della scuola materna, 17 di prima Elementare, 7 di seconda elementare, 9 di terza elementare, 10 di quarta elementare, 11 di quinta elementare, 8 di Prima Media, 10 di Seconda Media, 11 di Terza Media (aiuto animatori), 28 animatori, 8 mamme che hanno guidato i laboratori, una coordinatrice, una guida alpina per le gite in montagna (e qualche volta anche in piscina) un segretario e un don. E subito dopo il CRE... … un gruppo di animatori ed ex animatori, ma non solo (c’era anche il Gino e un paio di seconda media, una maestra, alcuni villeggianti…) hanno pensato di dare un volto nuovo al salone dell’Oratorio. Ben due settimane di impegno, da lunedì a sabato, mattino e pomeriggio. Rullo, pennellessa, spatola e stucco alla mano hanno dato una bella imbiancata a muri che non vedevano pittura fresca da anni, poi sono passati a matita, gomma, pennelli più fini, colori sgargianti ed hanno realizzato sui muri disegni bellissimi che hanno dato un volto nuovo al salone. Chissà che non sia l’occasione di riscoprire l’oratorio come luogo da tenere aperto un po’ più spesso anche in inverno (magari il sabato e/o la domenica pomeriggio) per offrire ai ragazzi un luogo di aggregazione. Nella pagina a fianco alcune fasi della lavorazione. d. A. 16 17 con saluto a padre Marco Ceroni che si è fermato nella nostra comunità per due mesi e mezzo. Arrivederci a presto, p. Marco! Brevissime Durante l’Assemblea Diocesana del 14 settembre il Vescovo Francesco ha annunciato di aver ufficialmente invitato, insieme al Comune e alla Provincia di Bergamo, il Papa Benedetto XVI a visitare la nostra diocesi in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio, aperto dal Papa Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962, e della morte del Beato il successivo 3 giugno 1963. La Santa Sede non ha ancora dato risposta. Visti i molti e complessi impegni del Santo Padre è quindi comprensibile la necessità di un certo periodo di tempo per una comunicazione ufficiale. 7-8 Luglio: a Zorzone il Gruppo Alpini ha celebrato il 60° di fondazione. Grazie Alpini! 15 Luglio: a causa del maltempo è stata annullata la tradizionale S. Messa in ca’ Pasì; 22 Luglio Festa patronale di S. Maria Maddalena a Zambla Bassa. Preceduta Venerdì sera da un momento di Adorazione Eucaristica, Sabato pomeriggio dalla Confessione e sabato sera da un concerto a cura della pro loco, la festa è stata coronata dalla processione per le vie della frazione. Maria Maddalena proteggici e aiutaci ad essere sempre più fedeli a Cristo Gesù. 29 Luglio S. Messa in S. Rocco al Mulino. 5 Agosto S. Messa in Menna (vedi articolo qui a fianco). Sagra del Menna, 7 Agosto a Zambla Alta camminata pro missioni. La manifestazione si è svolta regolarmente con la consueta partecipazione di tante persone che hanno contribuito a creare un fondo per le missioni di Adriana, suor Valentina e suor Eugenia. Prima Domenica di Agosto. Un piccolo rifugio - grande festa la prima domenica di agosto, ricordo di tanti amici appassionati di montagna. 11 Agosto: Tra le tante iniziative organizzate quest’estate dalla Pro Loco, pubblicate sulla locandina dell’estate, ricordiamo la riuscitissima prima edizione della “marcia dei nonni”. Grazie a chi ha proposto e realizzato questa bella iniziativa. (dall’Annuario del CAI 2011-2012, pp127-128) Ogni anno, alla prima domenica di Agosto, i soci ed amici del Gruppo MAGA di Zorzone e Oltre il Colle fanno festa sul Menna. Una cima amica, a 2.200 m, che fa da contorno assieme all’Alben, al Grem e all’Arera alla splendida conca del Comune di Oltre il Colle. Non è una salita difficile, ma abbastanza impegnativa. A quota 2.000 c’è un rifugio costruito e gestito dagli amici di Zorzone. La cima della montagna è a quota 2.200. Il panorama è interessante, lo sguardo va oltre il passo S. Marco e sui monti della Valtellina. La partenza tradizionale è dal centro di Zorzone. 2 ore di buon cammino. Altri amici salgono da Roncobello, altri da Camerata Cornello, altri ancora dal Passo Branchino e dal Sentiero dei Fiori. Qui però necessita essere più attrezzati e sicuri; vi sono alcuni passaggi sullo spartiacque verso Lenna che richiedono attenzione e piedi sicuri. L’amico Stefano Torriani ha infatti preparato la sua precisa ed interessante cartina con gli itinerari. Io, da amico affezionato e meno giovane, seguo il classico, la salita da Zorzone, partendo alle ore 8 circa. Il primo tratto, sino alla cascina “Matuida”, sia che si segua il sentiero più breve o la strada Carrozzabile recentemente realizzata, è tutto tra i boschi di faggio. Lasciata però la cascina, si deve uscire allo scoperto e al sole. Il sentiero si inerpica, e per un’ora e mezzo ci si deve impegnare. I più giovani e veloci sorpassano, ti salutano cordialmente e vanno. Per un poco li segui con lo sguardo, ma poi devi mollare e guardare i tuoi passi e non cedere. Dopo un un’ora intravedi il rifugio; che sospiro profondo ... Al rifugio ti accolgono gli Amici, 15 Agosto processione dell’Assunta con la Madonna della Cintura a Zorzone. 16 Agosto S. Messa in S. Rocco a Zorzone e in Alben. A causa del tempo incerto la processione a Zorzone è arrivata solo fino al monumento ai caduti; in Alben la pioggia ha “fatto scappare” tante persone… Poco dopo è spuntato il sole tra le nubi e si è potuta celebrare la S. Messa, pregando in comunione spirituale con tutti coloro che hanno affrontato la salita. Il 21 Agosto il Vescovo Francesco è tornato nella nostra valle per celebrare una messa a suffragio di don Giuseppe Rizzi nella Chiesa di S. Maria Maddalena in Zambla Bassa. Mons. Francesco ha ricordato la figura di don Giuseppe: un uomo, un prete appassionato a Cristo e alla missione che Gesù gli ha affidato. Dopo la messa si è soffermato a salutare quanti desideravano anche solo stringergli la mano. L’accoglienza da parte delle comunità è stata come sempre calorosa, segno di una fede ancora radicata nella nostra terra. 24 Agosto festa patronale di S. Bartolomeo Apostolo a Oltre il Colle. Ogni festa nella nostra valle è preparata con cura, ed anche in occasione della festa patronale di Oltre il Colle non sono mancati (e ci vogliono) i bei segni esteriori della nostra fede, ai quali vogliamo far seguire anche una degna spiritualità e fraternità evangelica. 8 Settembre festa della Natività di Maria in Grimoldo, 18 i bravi custodi del Rifugio, il Presidente Epis per primo. Un bel tè caldo rifocilla tutti. Fuori dal rifugio gli Amici del Gruppo Maga e tanti di Zorzone sono tutti presi ad accendere i fuochi, a piazzare le pentole per le polente, a predisporre le griglie per le costine e i cotechini. Il Corrado, vecchio cacciatore, ogni tanto abbandona gli amici preparatori e si porta in un posto strategico per osservare quanti stanno salendo a Zorzone. Dalla base dei suoi calcoli e previsioni bisogna preparare le polente e tutto il resto per il rancio di mezzogiorno, non sbaglia mai i calcoli. In attesa della Santa Messa, alcuni si dirigono sulla cima, altri fanno uno spuntino, altri aspettano l’arrivo dell’elicottero che porterà lassù altri amici e parenti. Alle 11,15, la Santa Messa sotto la vicina prima croce. Momento toccante la riflessione la preghiera per gli Amici defunti e il canto “Signore delle cime ... “. A mezzogiorno il rancio. Gli amici di Zorzone, in questi ultimi anni, al menù classico hanno aggiunto anche la specialità della “Polenta cunsada”, con panna e salame, roba leggera .... Poi canti e musica. Il complesso tradizionale delle 3 Fisarmoniche Carrara (Padre e 2 figli); il più simpatico e geniale è il figlio sacerdote, nativo di Zorzone. A questi si aggiunge un amico di Roncobello col banjo, un amico fabbro e voce solista di Zorzone con la chitarra classica, un bravo giovane di Oltre il Colle con il sassofono. A tutti questi si aggiungono e associano voci in coro, più o meno intonate, e qualche originale solista. Tutto, comunque, ben si disperde tra queste amiche cime. Ogni tanto qualche amico vicino ti sgomita e ti passa la bottiglia di vino rosso, altri insistono per riempirti il bicchiere, comunque tutto in armonia e con tanta allegria. L’amico abituale, Guido Coppetti, scatta foto in quantità e cerca di cogliere le figure e le pose più originali e simpatiche; “Al prossimo incontro ti mostrerà la tua simpatica foto”. Quando il sole comincia a calare, o qualche cumolo di nebbia si avvicina, è l’ora di raccogliere lo zaino e prepararsi per la discesa. I più verso Zorzone, altri su Camerata e Roncobello. È stato bello. Ne è valsa la pena di salire sul Menna. Agli amici di Zorzone un sincero grazie. Giuseppe Gentili. Inizia l’Anno della Fede Ecco il vantaggio di essere cristiani Il libretto appena pubblicato dal Cardinal Biffi “La fortuna di appartenergli. Lettera confidenziale ai credenti”, ci ricorda alcune verità essenziali (da “Avvenire”, 2 Settembre 2012,di Giacomo Biffi) Vi dò una notizia un po’ riservata. Vi rivelo un segreto; ma, mi raccomando, resti tra noi. La notizia è questa: grande è la fortuna di noi credenti. Grande è la fortuna di chi è “cristiano”; cioè appartiene, sa di appartenere, vuole appartenere a Cristo. Grande è la fortuna dei credenti in Cristo. Però non andate a dirlo agli altri: non la capirebbero. E potrebbero anche aversela a male: potrebbero magari scambiare per presunzione il nostro buon umore per la felice consapevolezza di quello che siamo; potrebbero addirittura giudicare arroganza la nostra riconoscenza verso Dio Padre che ci ha colmati di regali. C’è perfino il rischio di essere giudicati intolleranti: intolleranti solo perché non ci riesce di omologarci – disciplinatamente e possibilmente con cuore contrito – alla cultura imperante; intolleranti solo perché non ci riesce di smarrirci, come sarebbe “politicamente corretto”, nella generale confusione delle idee e dei comportamenti. festa dei credenti erano meglio motivate. Noi non ci sentivamo emozionati e in festa soltanto per la rotondità della cifra (duemila!); eravamo presi e allietati dal forte ricordo di un evento che è centrale e anzi unico nella storia: il ricordo del bimillenario dall’ingresso sostanziale e definitivo di Dio nella vicenda umana. Quell’anno appunto ci veniva più intensamente richiamata la memoria dell’Unigenito del Padre che è divenuto nostro fratello e si ravvivava in noi con vigore singolare la grande speranza che duemila anni fa ha incominciato ad attraversare la terra. Come si vede, tutta l’umanità festeggiava il Duemila; ma la nostra festa era innegabilmente più consistente e più razionalmente fondata. CREDENTI E CREDULONI Coloro che si affidano a Cristo – che è “Luce da Luce”, cioè il Logos sostanziale ed eterno di Dio – sono inoltre abbastanza difesi dalla tentazione di affidarsi a ciò che è inaffidabile. Anche questa è una fortuna non da poco. È stato giustamente notato come il mondo che ha smarrito la fede non è che poi non creda più a niente; al contrario, è indotto a credere a tutto: crede agli oroscopi, che perciò non mancano mai nelle pagine dei giornali e delle riviste; crede ai gesti scaramantici, alla pubblicità, alle creme di bellezza; crede all’esistenza degli extraterrestri, al new age, alla metempsicosi; crede alle promesse elettorali, ai programmi politici, alle catechesi ideologiche che ogni giorno ci vengono inflitte dalla televisione. Crede a tutto, appunto. Perciò la distinzione più adeguata tra gli uomini del nostro tempo parrebbe non tanto tra CONOSCERE IL SENSO DI CIÒ CHE SI FA È già una fortuna non piccola e non occasionale – che ci viene dalla nostra professione di fede – quella di conoscere il senso di alcune piccole consuetudini e di alcune circostanze occasionali. Per esempio, tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente più buono di quello dei non credenti: è semplicemente più ragionevole. Un altro esempio: un po’ d’anni fa eravamo tutti eccitati e in tripudio per il suggestivo traguardo del Duemila che ci sarebbe stato dato di raggiungere: ma l’emozione e la 19 credenti e non credenti, quanto tra credenti e creduloni. concorra al bene per quelli che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (cf. Rm 8,28); tutto concorre al nostro bene anche quando noi sul momento non ce ne avvediamo. È la verità consolante ed entusiasmante che Gesù ci confida, quasi suprema sua eredità, nei discorsi dell’ultima cena: “Il Padre vi ama” (Gv 16,27). Il Padre ci ama: con questa certezza nel cuore ogni difficoltà, ogni tristezza, ogni pessimismo diventa per noi superabile. LA CONOSCENZA DEL PADRE Chi è “di Cristo” riceve in dotazione anche la certezza dell’esistenza di Dio. Ma non di un Dio filosofico, che all’uomo in quanto uomo non interessa granché; non di un Dio che viene chiamato in causa solo per dare un cominciamento e un impulso alla macchina dell’universo, e poi lo si può frettolosamente congedare perché non interferisca e non disturbi; non di un Dio che, dopo il misfatto della creazione, parrebbe essersi reso latitante. Questa è, press’a poco, la concezione “deistica”, e non ha niente a che vedere né con l’insegnamento del Signore né con la nostra vita. C’è anzi da dire che tra il deismo e l’ateismo, per quel che personalmente ci riguarda, la differenza non è poi molta. Il nostro Dio è “il Padre del Signore nostro Gesù Cristo “, come amava ripetere san Paolo. E lo si incontra, incontrando Gesù di Nazaret e il suo Vangelo: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio – lo ha detto lui esplicitamente – e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” (Mt 11,27). CHI È L’UOMO Facendoci conoscere il Padre, Gesù ci porta anche alla miglior comprensione di noi stessi: ci fa conoscere chi siamo in realtà, quale sia lo scopo del nostro penare sulla terra, quale ultima sorte ci attenda. “Cristo – dice il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Gaudium et spes 22). Così veniamo a sapere – e nessuna notizia è per noi più interessante e risolutiva di questa – che siamo stati chiamati ad esistere non da una casualità anonima e cieca, ma da un progetto sapiente e benevolo. Veniamo a sapere che l’uomo non è un viandante smarrito che ignora donde venga e dove vada né perché mai si sia posto in viaggio, ma un pellegrino motivato, in cammino verso il Regno di Dio (che è diventato anche suo) e verso una vita senza fine. Il dilemma tra l’essere increduli e l’essere credenti è in realtà il dilemma tra il ritenersi collocati entro un guazzabuglio insensato e il conoscere di essere parte di un organico e rasserenante disegno d’amore. L’alternativa, a ben considerare, sta fra un assurdo che ci vanifica e un mistero che ci trascende; alternativa che esistenzialmente diventa quella tra un fatale avvìo alla disperazione e una vocazione alla speranza. Perciò san Paolo può ammonire i cristiani di Tessalonica a non essere malinconici e sfiduciati come gli altri; “come gli altri – egli dice – che non hanno speranza” (1Ts 4,13). Questa è dunque la sorte invidiabile di coloro che sono “di Cristo”: dal momento che “conoscono le cose come stanno”, non sono costretti ad appendere ai punti interrogativi la loro unica vita. LA SFORTUNA DELL’ATEO Si può intuire quanto sia grande a questo proposito la nostra fortuna, soprattutto se ci si rende conto davvero della poco invidiabile condizione degli atei. I quali, messi di fronte ai guai inevitabili in ogni percorso umano, non hanno nessuno con cui prendersela. Un ateo – che sia veramente tale – non trova interlocutori competenti e responsabili con cui possa discutere dei mali esistenziali, e lamentarsene. Non c’è nessuno contro cui ribellarsi, e ogni sua contestazione, a ben pensarci, risulta un po’ comica. Di solito, in mancanza di meglio, finisce coll’aggredire i credenti; ma è un bersaglio che non è molto appagante, perché i credenti (se sono saggi) se ne infischiano di lui e non gli prestano molta attenzione. Un ateo, se non vuol clamorosamente rinunciare a ogni logica e a ogni coerenza, è privato perfino della soddisfazione di bestemmiare. E questa è la più comica delle disavventure. Clave Staples Lewis (l’autore delle famose Lettere di Berlicche), ricordando il tempo della sua incredulità, confessava: “Negavo l’esistenza di Dio ed ero arrabbiato con lui perché non esisteva”. “DOVE C’È LA FEDE, LÌ C’È LA LIBERTÀ” Un’altra grande fortuna di coloro che sono “di Cristo” è quella di essere liberi. Abbiamo ricevuto a questo riguardo una precisa promessa: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Il principio di questa prerogativa inalienabile del cristiano è la presenza in noi dello Spirito Santo: “Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà” (2Cor 3,17); quello Spirito che, secondo la parola di Gesù, ci guida alla verità tutta intera (cf. Gv 16,13). Vale a dire, come abbiamo appena visto, ci chiarifica “le cose come stanno”. Sant’Ambrogio enuncia icasticamente questo caposaldo dell’antropologia cristiana, scrivendo in una sua lettera: “Dove c’è la fede, lì c’è la libertà”. UN DIO CHE AMA Gesù poi – rivelandoci, attraverso il mistero della sua passione e della sua gloria, che anche l’umiliazione, la sofferenza, la morte trovano posto in un disegno d’amore che tutto riscatta e alla fine conduce alla gioia – ci preserva anche dalla follìa di chi arriva a ipotizzare, fondandosi sulla sua stessa personale esperienza, che un Dio probabilmente esiste; ma, se esiste, è malvagio e causa di ogni malvagità. È il sentimento espresso, per esempio, nella spaventosa professione di fede di Jago nell’Otello di Verdi all’atto secondo: “Credo in un Dio crudel che m’ha creato simile a sé”. Il Dio che ci è fatto conoscere dal Redentore crocifisso e risorto, è un Dio che ci vuol bene e, come dice san Paolo, fa in modo che “tutto 20 ANAGRAFE PARROCCHIALE B A T T E S I M I RYAN EPIS di Lino e Loredana Maurizio nato il 30 Maggio 2012 Battezzato il 29 Luglio 2012 (Oltre il Colle - Zambla) DAMIANO DOLCI di Paolo e Piera Palazzi nato il 28 Aprile 2012 Battezzato il 24 Giugno 2012 (Zorzone) LUCA ROBALDO di Luigi e Sara Carrara nato il 4 Ottobre 2011 Battezzato il 30 Settembre 2012 (Oltre il Colle) N DON GIUSEPPE RIZZI di anni 77 defunto l’08/07/2012 (Albino - Zambla Bassa) E L L A V I T A E T E R N A PAOLA CANIATO di anni 85 defunta il 14/07/2012 (Milano - Zambla Bassa) 21 LUISA TIRABOSCHI di anni 60 defunta il 20/07/2012 (Seriate - Zambla Alta) PIETRO VALLE di anni 88 defunto il 02/06/2012 (Milano - Zambla Bassa) BRUNO RIZZI di anni 81 defunto il 01/09/2012 (Trescore - Zambla Bassa) ELINA GIULIA RIZZI di anni 89 defunta il 07/09/2012 (Zambla Bassa) CAMILLA PALAZZI IN COLOMBO di anni 69 defunta il 22/07/2012 (Zorzone) ELISABETTA RIZZI di anni 72 defunta il 01/10/2012 (Varese - Zambla Bassa) MICHELE COLOMBO di anni 68 defunto il 21/08/2012 (Zorzone) MARIA PALAZZI VED. SCOLARI di anni 85 defunta il 13/08/2012 (Zorzone) 22 CINZIA TIRABOSCHI IN BUGATTI di anni 48 defunta il 6/08/2012 (Oneta - Zambla Bassa) LUIGI TIRABOSCHI di anni 75 defunto il 24/07/2012 (Zambla Alta) Caro Luigi dopo tàt laurà ‘nc ö to sé riàt a chèla cà ‘ndo töcc ü de en riérà da ché to ardéré ai baite di mucc che i éra la tò passiù de bergamì, ma dé chi bù La tò l’è stacia öna éta de inemuràt De besciam, de mucc e de pràcc Da bù montagnér L’tà piasìa i noscc séntér E Samla Olta e la tò cà To è mai ülit bandunà I tò ültem tép i è stàcc ‘mpo dulurus Dét e fò di ospedài Per sircà de guarì i tò mài ‘Ncö de sigür to sé riat en paradis perché ü décc el dis chi che mör a l’ospedàl i’à facc la peniténsa de ogné màl Dio del Cielo, Signur del paradis Laghì ‘ndà sö per i mùcc ol nost amis Ciao Luigi che la tèra la ta sies dulsa. Sergio Fezzoli Cara cüsina Cinsia To séret amó zuena e avrès mai pensàt de gni ché en Cèsa a salüdat. La tò età de Spùsa to l’è passada che, al Santüare del Frassen töcc i tò de. Al Santüare to è lauràt assé, Cà, Césa e cancelleria töt ol dé e la nóce de la Madóna de la nif la Madóna del Frassen la t’à ülit en paradis Come fìur noél, la t’à portàt sö ndi giardì dol Cél. El mör zùen chel che al Cél l’gha piàs, e noter ngh’à da mét ol cör en pàs. L’è stacia cürta Cinsia la tò età e asse maldorleta. Ma sö la facia to gh’iet sémper ol soris, per la tò zét e i amis. To séret öna de noter, facia zó ala bùna, l’ta piasia fà la batida en prima persùna. Sémpèr ben vesta en Val Serina, ma à en Val del Ris tocc i èra tò amis. E ‘ncö i è che ‘ntance a prega e salüdat per ol bù èsempé chè to è lagàt. Ades to manchéré a la tò famèa, al Santüare, al pais, ma la tò memoria che l’è zamò ‘nda Stòria la sarà sémper che töce dé. Da stassira söi noscc mùcc l’gh’è ‘npiö öna stèla, ‘nmess ai ótre l’è la piö bela. Ciao Cinsia da fò de là regorda la tò zét, ol tò Papà e à de noter che ‘nresta che a trebülà. Sergio Fezzoli. Periodico dell’Unità Pastorale Alta Valle Serina. È distribuito gratuitamente a tutte le famiglie dell’Unità Pastorale Alta Valle Serina (parrocchie di Oltre il Colle, Zambla e Zorzone), a preti, religiose e religiosi nativi o che hanno prestato servizio in parrocchia. Per chi desidera riceverlo via posta chiediamo un contributo SPESE DI SPEDIZIONE PER 4 NUMERI : Italia: 8,00 Euro Europa: 10,00 Euro Africa - Asia - Americhe: 16,80 Euro Oceania: 18,80 Euro 23 UN MIRACOLO NELLA STORIA DI ZAMBLA ALTA Entrando per la porta principale della Chiesa di S. Maria Immacolata in Zambla Alta si nota, in alto a sinistra, un quadro che rappresenta un episodio accaduto proprio a Zambla più di un secolo e mezzo fa... Il giorno 11 settembre 1857 uno straordinario furiosissimo e terribilissimo temporale, minacciava ai Malghesi di Zambla l’intera distruzione della loro mandria, quando veduti tornare ormai vani ogni loro sforzo per salvarla, anzi vedendo in pericolo la loro stessa vita, si rivolsero devotamente, e con viva fede d’essere esauditi chi alla Santa Vergine Immacolata e chi alle Anime Sante del Purgatorio affidando se stessi e i loro bestiami all’invocata protezione; quand’ecco, oh Miracolo! Videro tutti, sebbene tramortiti dallo spavento e sbattuti qui e là per terra dalla bufera e quasi intirizziti dalla gelida tempesta rinforzata dal soffiar dei venti settentrionali e videro improvvisamente di mezzo ai lampi che rompevano l’oscurità della tenebrosa burrasca, uno sconosciuto vestito da mandriano, il quale postosi a camminare come guida innanzi alle bestie tenendo alzato in aria il bastone fra quelle tutte che prima erano abbandonate a se stesse altre ogni dire spaventate correvano a certa mina in un profondo vicinissimo vallone, cosa meravigliosa! Come se nulla fosse, in tanta disastrosa procella, neppure una vi fu che nol seguisse e così poste fora d’ogni pericolo, e fermatele in luogo sicuro, non essendone perita neppure una sola, disparve. Cessato il temporale e non essendone risultato danno o lesione alcuno né per parte delle persone che erano circa 20, né per parte delle bestie che sommavano a più di 200, a perpetua memoria e gratitudine della grazia ricevuta quei malghesi devotamente e concordemente vollero che quel fatto da tutti riconosciuto per visibile Miracolo fosse dipinto e tramandato alla memoria dei posteri per comune conforto ed edificazione, e qui davanti all’altare di Maria Vergine Immacolata, sempiternamente collocato. Don Giuseppe Rota, Cappellano di Zambla 24 www.webalice.it/gerolamopalazzi