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A S T O R A L E
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2012 - 03 - Luglio - Settembre
U
Il nuovo anno Pastorale
LA FRATERNITÀ CRISTIANA
1
In copertina: l’icona del
Nuovo Anno Pastorale
indetto dal Vescovo Francesco
Tema del nuovo anno pastorale indetto dal nostro
vescovo Francesco nel contesto dell’anno della Fede
voluto da papa Benedetto XVI, è la fraternità
cristiana. Ecco come introduce e motiva la scelta nelle
prime pagine della sua lettera pastorale che abbiamo
avuto la possibilità di reperire in parrocchia (e che
possiamo trovare anche in internet sul sito della
Diocesi www.diocesibg.it):
l’Anno della Fede l’11 ottobre prossimo, con una
particolare Celebrazione nella chiesa parrocchiale di
Sotto il Monte, nella memoria liturgica del Beato Papa
Giovanni XXIII, a noi carissimo. Il ricordo e la
venerazione di Papa Giovanni, uniti a una rinnovata
consapevolezza del suo magistero, della sua
testimonianza e del profetico coraggio con cui diede
inizio al Concilio ecumenico Vaticano II,
caratterizzeranno il nostro modo di celebrare l’Anno
della Fede per giungere a una significativa
celebrazione del cinquantesimo anniversario della sua
morte avvenuta il 3 giugno 1963. In questo senso, la
Diocesi, la Fondazione Papa Giovanni XXIII, la
Parrocchia di Sotto il Monte unitamente alla Comunità
del PIME, proporranno alcune iniziative di particolare
significato. Tra queste, sin da ora, mi permetto di
sottolineare il Pellegrinaggio diocesano a Roma e i
pellegrinaggi parrocchiali a Sotto il Monte. Inoltre
propongo a tutti i giovani un pellegrinaggio a piedi da
Assisi a Roma lungo la Via Francigena, che si terrà nel
mese di agosto.
“Cari fratelli e sorelle,
con questo saluto apriamo spesso i nostri incontri. Che
significato assumono queste parole, normalmente
usate nelle relazioni familiari? Perché i cristiani
definiscono le relazioni tra loro con questi termini? Si
tratta di un modo di dire per indicare come devono
atteggiarsi gli uni verso gli altri o indica qualcosa di
reale? E se fosse reale, quale consistenza assume una
definizione di questo genere nella nostra vita?
Vi chiedo scusa, se inizio questa lettera con una serie
di domande; mi sembra un modo per entrare
velocemente nel tema che intendo condividere con
voi: “La fraternità nella comunità cristiana”.
Nell’incontro con la Diocesi di Bergamo, in occasione
del cinquantesimo anniversario dell’elezione di Papa
Giovanni, Benedetto XVI così si rivolgeva ai
pellegrini bergamaschi: “La diocesi di Bergamo è in
festa e non poteva mancare all’incontro spirituale col
suo figlio più illustre, “un fratello divenuto padre per
volontà di Nostro Signore”, come egli stesso ebbe a
dire. Accanto alla Confessione dell’Apostolo Pietro
riposano le sue venerate spoglie mortali. Da questo
luogo caro a tutti i battezzati, egli vi ripete: “Sono
Giuseppe, vostro fratello”… È nella parrocchia che
s’impara a vivere concretamente la propria fede…
Con molta fiducia Papa Roncalli affidava alla
parrocchia, famiglia di famiglie, il compito di
alimentare tra i fedeli i sentimenti di comunione e di
fraternità. Plasmata dall’Eucaristia, la parrocchia
potrà diventare - egli pensava - fermento di salutare
inquietudine nel diffuso consumismo e individualismo
del nostro tempo, risvegliando la solidarietà ed
aprendo nella fede l’occhio del cuore a riconoscere il
Padre, che è amore gratuito, desideroso di
condividere con i suoi figli la sua stessa gioia”.[...] “
Perché questo tema?
Il Sinodo diocesano ha indicato la Parrocchia come
una “comunità fraterna” (n. 72), “una comunità di
amore fraterno” (n. 272): questa descrizione delinea il
volto della comunità parrocchiale e nello stesso tempo
prospetta un’esigenza da perseguire.
È questa esigenza, il motivo della scelta del tema di
quest’anno: le nostre parrocchie e la nostra Chiesa
diocesana crescano nella fraternità e diventino più
consapevoli che questa caratteristica è decisiva per
essere veramente discepoli del Signore Risorto e
collaboratori della sua Missione. È questa la strada da
percorrere per rinnovare la vita delle nostre comunità,
per incarnare maggiormente la nostra fedeltà al
Vangelo, per alimentare lo slancio missionario, per
favorire le forme di collaborazione a tutti i livelli. In
particolare, è in questa prospettiva che si collocano la
riflessione e l’attuazione delle Unità pastorali avviate
dal Sinodo diocesano.
La scelta di questo tema s’intreccia fortemente con
l’indizione dell’Anno della Fede da parte del Santo
Padre, in occasione del cinquantesimo anniversario
dell’apertura del Concilio Vaticano II e del ventesimo
anniversario della pubblicazione del Catechismo della
Chiesa Cattolica.[...]
Dalla lettera del Vescovo Francesco Beschi
Ed ecco il brano biblico cui fa riferimento l’icona
dell’Anno Pastorale che compare in copertina:
DAGLI ATTI DEGLI APOSTOLICAPITOLO 15
Anche la nostra Diocesi aprirà comunitariamente
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve
2
bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad
Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato
Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i
fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: “Gli
apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di
Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai
pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai
quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a
turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri
animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di
scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai
nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno
rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore
Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila,
che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose.
È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non
imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose
necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal
sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni
illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste
cose. State bene!”. Quelli allora si congedarono e
scesero ad Antiòchia; riunita l’assemblea,
consegnarono la lettera. Quando l’ebbero letta, si
rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva.
sottomissione, sottomessi al vescovo...nella concordia di
Dio, ...sotto la presidenza del vescovo che tiene il posto
di Dio” (sant’Ignazio di Antiochia). I loro volti, disposti
frontalmente o a tre quarti, manifestano una luminosa
limpidezza che lascia intuire la presenza dominante
dello Spirito, accentuata dalla ieraticità dei corpi
allungati, talora ricurvi verso il centro spirituale
dell’icona, nel nostro caso, su Pietro, attorno a cui si
concentra l’azione dello Spirito, come ribadisce il testo
scritturistico: “È parso bene, infatti, allo Spinto Santo
e a noi...” (At 15,28). E come esige l’icona, che
rappresenta lo slancio dell’uomo divinizzato, i loro visi
non sono colti nell’atto, ancora umano, del discutere,
ma nell’atteggiamento pacato dell’unanime assenso: è
il linguaggio del mondo a venire. Anche la carnagione, di
una tonalità bruna molto dolce, simile al colore della
terra baciata dal sole, esprime l’afflato del cuore:
“L’amore del Cristo ci possiede” (2Cor 5,14). Tra loro,
scrive Nicola Cabasilas, teologo laico del secolo XIV,
“nessuno ha da sé la santità, ed essa non è opera di virtù
umana, ma tutti la ricevono da Cristo e mediante lui;
come se molti specchi fossero posti sotto il sole: tutti
brillano e mandano raggi, così che crederesti di vedere
molti soli, ma in realtà è unico il sole che brilla in tutti”.
Su una predella, segno di riconosciuta autorità, si erge
Pietro, celebrato nel primato spirituale conferitogli da
Gesù: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa” (Mt 16,18). Le insegne episcopali lo ribadiscono,
così come la lettera, indirizzata ai fratelli convertiti dal
paganesimo, che lui regge con la mano sinistra, mentre
con la destra accenna al gesto della benedizione. La sua
fisionomia iconografica corrisponde alle caratteristiche
canoniche della tradizione: tratti marcati, capelli e barba
grigi e un po’ ricciuti. Le vesti, che cadono sul santo con
solenne gravità, non fanno emergere la sinuosità del corpo,
ma esprimono la sua vocazione ed esaltano il carattere
spirituale del ‘somigliantissimo’: non è più l’uomo
impastato di terra, ma è terra redenta, impregnata di cielo.
Accanto a lui, a sinistra, l’apostolo Paolo, che umilmente,
chinato il capo, sta in devoto ascolto. L’icona lo mostra
come un virgulto fremente di vita che s’inarca flessuoso su
Pietro per obbedire allo Spinto. Il suo sguardo è fisso sul
rotolo dispiegato e preannuncia lo zelo con cui percorrerà
le città per trasmettere ai credenti “le decisioni prese dagli
apostoli e dagli anziani di Gerusalemme” perché le
osservino (At 16,4). A destra, l’apostolo Giacomo indica il
contenuto del cartiglio: nell’assemblea conciliare è lui che
con acutezza dirime il dibattito. Ma, al contempo, ostende
verso di noi la palma aperta dell’accoglienza. Anch’egli
accetta come ispirata dallo Spirito la risoluzione definitiva
dell’assemblea raccolta attorno a colui che - ribadisce
sant’Ignazio d’Antiochia - “presiede alla carità”, Pietro.
Giacomo, e con lui Paolo e tutti gli altri, sembrano ribadire
con forza: “Dove è Pietro, lì è la Chiesa” (s. Ambrogio).
ICONA DEL CONCILIO DI GERUSALEMME
Laboratorio di spiritualità e tecnica dell’icona “la
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Ecco l’icona della collegialità apostolica. Essa raffigura il
Concilio di Gerusalemme del 49-50, durante il quale si
risolve definitivamente la questione dei rapporti tra
cristianesimo e legge mosaica. Un accenno al dibattito: i
pagani possono diventare cristiani senza prima farsi ebrei
devoti? Ossia: la legge data da Mosè continua ad essere
normativa per il cristiano? È ancora necessaria la
circoncisione? Ad Antiochia ferve la polemica. Paolo e
Barnaba condividono il dissenso dei pagani neoconvertiti che rifiutano la circoncisione. La questione è
improcrastinabile: bisogna interpellare “gli apostoli e
gli anziani”, depositali del messaggio autentico del
Risorto, e giungere ad un accordo. L’assemblea conciliare,
presenti Paolo e Barnaba, pone fine alla spinosa vicenda.
“Dopo una lunga discussione” (At 15,7) si arriva ad un
accordo e all’unanimità si mette nero su bianco: “Gli
Apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di
Antiochia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai
pagani, salute! [...] È parso bene, infatti, allo Spirito Santo
e a noi, di non imporvi altro obbligo ai di fuori di queste
cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal
sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime.
Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State
bene!” (At 15,23.28-29). Nell’icona, Gerusalemme, sede
geografica del concilio e luogo spirituale di unità, è visibile
dalla volta di un edificio che fa da sfondo ai convenuti.
Tutti i presenti, santificati da Dio e da Lui scelti, sono
circonfusi da nimbi dorati, e tra loro vicinissimi, quasi a
dire: tante sono le membra, diverse le opinioni, “ma uno
solo è il corpo” (1Cor 12,12) e noi siamo uno in Cristo
Gesù (cfr. Gal 3,28), “ricompaginati in un’unica
Sr R. Bozzetto, sr R. Leone
3
PROGRAMMI E INIZIATIVE DIOCESANE NEL
NUOVO ANNO PASTORALE
Dio e dell’uomo, e rinnovata forza per il cammino.
A modo di prolusione (anche se nel tempo
posticipata) Padre Ermes Ronchi, noto teologo e
letterato, proporrà una riflessione sul tema del dubbio,
della paura e della vittoria della fede, a partire da
Matteo 14,22-34. Per il Nuovo Testamento si
leggeranno dapprima i testi marciani dell’attività di
Gesù a Gerusalemme, ma soprattutto della sua
Passione, che culminano nella pro-fessione di fede
del centurione. Seguirà poi l’incontro con alcune
grandi figure della fede nel “libro dei segni” di
Giovanni 1-12.
E poiché nella Diocesi di Bergamo si celebra
contemporaneamente l’Anno giovanneo, Ezio Bolis,
docente di teologia spirituale, ripercorrerà la figura
di Giovanni XXIII, per cogliere i tratti più stimolanti
della testimonianza di una fede che è insieme
obbedienza e profezia.
SCUOLA DI PREGHIERA
PER GIOVANI
19
16
14
18
15
15
19
Ottobre
Novembre
Dicembre
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
17 Maggio
DEL NOSTRO ESSERCI…
DELLE NOSTRE PAURE…
DEI NOSTRI SOGNI…
DELLA NOSTRA RICERCA…
DEI NOSTRI ERRORI…
DEL NOSTRO DOLORE…
DELLA NOSTRA GIOIA…
Che ne sa lui?
ORA I MIEI OCCHI TI VEDONO
Chiesa Ipogea del Seminario ore 20:30
SCUOLA DIOCESANA
DELLA PAROLA
Sede degli incontri:
Casa del Giovane Via M. Gavazzeni, 11 - Bergamo
Orario: Ore 20:30-22:15
La Scuola della Parola si tiene al mercoledì. È aperta a
tutti, anche a coloro che non l’hanno frequentata negli
anni scorsi. Non è richiesta alcuna iscrizione.
Per informazioni e chiarimenti:
Maria Elena Bergamaschi (tel. 0363 902565)
Maria Antonietta Gusmini (tel. 035 290127)
Mariella Tajocchi (tel. 035 256699)
“Il Figlio dell’uomo, quando verrà,
troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8)
La fede appare oggi messa alla prova su molti versanti.
Vi è quello del confronto tra fede e ragione, quando
questa riduce il proprio ambito al pensiero scientifico
e alle conquiste tecnologiche. Su altri versanti la fede
viene dichiarata irrilevante, incapace di trasformare la
vita, o vista come una debolezza per mascherare la
tragicità dell’esistenza. Si giunge perfino ad imputare
alla fede una natura violenta e intollerante per cui il
futuro che assicura all’umanità è il buio delle guerre
di religione. Per questo, rivisitare i testi biblici,
interrogandoli circa il modo in cui essi concepiscono
la fede, può essere uno sforzo fecondo e rilevante per
l’oggi. Così la parola di Dio si rivela davvero quale
“lampada per i miei passi, luce sul mio cammino”.
La Scuola della Parola, in questo suo ventesimo anno,
vuole allora offrire un contributo in coincidenza
con l’Anno della fede, proclamato da Benedetto XVI.
Lo farà nella modalità propria, di una lettura di libri
del Primo e del Nuovo Testamento (o, meglio, di
parte di essi), in cui comunque la priorità viene data
al dettato del testo scritturistico.
Sarà proposto innanzitutto il Deuteronomio, con
un’at­tenzione specificamente accordata alla
tematica della memoria che riscopre la Legge quale
dono, più che im-posizione, memoria suscitante un
senso di umile gratitudine, presupposto necessario
alla fede. Si incontreranno poi le pagine del
cosiddetto Secondo Isaia, dove la fede consiste nel
riconoscere il Signore come il Dio che può e vuole
salvare, percorrendo anche vie lontane da quelle
umane. È allora ricerca appassionata della verità di
PROGRAMMA
10-17-24 ottobre 2012 “Ascolta, Israele!” Il
Deuteronomio: la Legge, la memoria, la fede
Giacomo Facchinetti, biblista
7-14-21 novembre 2012 “Mettono ali come
aquile” II Secondo Isaia: la forza della fede
Patrizio Rota Scalabrini, biblista
28 novembre 2012 “Signore, salvami!” Pietro:
il dubbio, la paura, la fede Ermes Ronchi, teologo e
letterato
5- 1 2 -19 dicembre 2012 “Davvero quest’uomo
era Figlio di Dio!” Marco 12-15: Passione di
Gesù a Gerusalemme Alberto Maffeis, biblista
9 gennaio 2013 Fede, obbedienza e profezia
La testimonianza di Papa Giovanni XXIII Ezio Bolis,
direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII
16-30 gennaio 6 febbraio 2013 ”Se credi, vedrai
la gloria di Dio” Giovanni 1-12: figure della fede
Lorenzo Flori, biblista
4
Attività Vocazionali del Seminario di Bergamo
2012/2013
www.seminariobergamo.it
5
V IC AR IATO N ° 2 4 S ELVIN O - S ER IN A
Ecco le iniziative pastorali che si terranno nel nostro
Vicariato nell’Anno 2012/2013.
GRUPPO FAMIGLIE.
È un’occasione di incontro, confronto, catechesi per
chi sta vivendo il matrimonio cristiano. Gli incontri
saranno ogni terzo sabato del mese, ore 20:30-22:30,
presso l’oratorio di Serina a partire da ottobre.
SCUOLA DI PREGHIERA.
Itinerario di preghiera e riflessione condotto da don
Davide Rota, un martedì al mese (quasi sempre il 2°)
ore 20.30. Quest’anno leggeremo l’Apocalisse di
Giovanni.
Date e luoghi:
16 ottobre
Selvino
13 novembre
Oltre il Colle
11 dicembre
Ambriola
8 gennaio
Bracca
19 febbraio
Bagnella
13 marzo
Amora
9 aprile
Trafficanti
14 maggio
Perello - S. Messa
ACCOMPAGNAMENTO PER PERSONE SEPARATE O
DIVORZIATE.
La Diocesi, attraverso il gruppo La casa, segue le
persone separate o divorziate con un cammino di
accompagnamento spirituale e di consulenza canonica.
Gli incontri si tengono ogni terzo giovedì del mese a
Bergamo (comunità del Paradiso, via Cattaneo 7 - don
Eugenio Zanetti, tel 035.278224) oppure ogni primo
martedì del mese a S. Pellegrino (Giardino d’infanzia,
p.zza S. Francesco 14 - don Giacomo Locatelli, tel
0345 21105).
INCONTRI FORMATIVI PER CATECHISTI.
È desiderio del Vescovo incontrare in quest’anno
pastorale i catechisti della Diocesi. Ci sarà l’incontro
con i catechisti del Vicariato il giorno 20 Marzo.
Prima di quell’incontro i sacerdoti del Vicariato
incontreranno i catechisti divisi per gruppi per
preparare una riflessione comune da presentare al
Vescovo. Questi incontri sostituiscono gli incontri
formativi che normalmente si tengono nel Vicariato.
CARITAS VICARIALE.
La CARITAS vicariale si incontra quattro volte l’anno,
il lunedì sera, presso il centro parrocchiale di Serina.
Per informazioni contattare don Gianluca (parroco di
Bracca) al numero 0345.97029.
CAT, CLUB ALCOLISTI IN TRATTAMENTO.
Per coloro che nella propria famiglia non chiudono gli
occhi di fronte ai problemi legati all’alcool.
Referente: sig. Abeni Ettore (cell. 347.9230730).
CORSO PER FIDANZATI IN VISTA DEL MATRIMONIO
CRISTIANO.
Gli incontri si terranno a Serina a partire dal 2
Febbraio. Iscrizioni entro il 31 Dicembre 2012.
ADOLESCENTI E PREGHIERA.
Sono incontri di preghiera per gli adolescenti delle
superiori, una volta al mese, dalle 19.30 alle 21.30 con
la condivisione della cena. Sarà guidato da don
Gianluca.
6
Pellegrinaggio Vicariale
in Terra Santa
nell’Anno della Fede.
Per celebrare l’ANNO DELLA FEDE, il Vicariato Selvino-Serina organizza un
Pellegrinaggio in Terra Santa,
aperto a tutti
dall’ 11 al 18 aprile 2013.
Una visita ai luoghi in cui è nata la nostra FEDE, a Nazareth, dove Maria ha pronunciato il
suo sì, a Cana di Galilea, sul lago di Tiberiade, a Gerico, a Gerusalemme, per sostare
nell’orto degli Olivi e al Santo Sepolcro.
Tutti luoghi di cui abbiamo tanto sentito parlare e che ora abbiamo la possibilità di
vedere, per sperimentare la presenza di Dio nella nostra vita, per ravvivare la speranza,
per riprendere coraggio!
Le iscrizioni e le informazioni:
presso Mariangela Tiraboschi e Carlo Carrara
(035.763916 - 329.2190016)
TERMINE per ISCRIZIONI:
31 ottobre 2012
Quota di partecipazione
€. 1.245,00
Supplemento camera singola
€ 340,00
Acconto
€ 500,00 (entro il 31.10.2012)
Saldo
entro il 01.03.2013.
7
DIOCESI E CHIESA UNIVERSALE
Responsabilità e promessa per tutti
Traduzione italiana della lettera che Benedetto XVI ha inviato a monsignor Robert Zollitsch, arcivescovo di
Friburgo e presidente della Conferenza episcopale tedesca, a proposito della traduzione in tedesco delle parole
“pro multis” nelle preghiere eucaristiche della messa.
evidenzia una cosa molto importante: la resa di “pro
multis” con “per tutti” non era affatto una semplice
traduzione, bensì un’interpretazione, che sicuramente
era e rimane fondata, ma tuttavia è già
un’interpretazione ed è più di una traduzione.
Questa fusione di traduzione e interpretazione
appartiene, in un certo senso, ai principi che, subito
dopo il Concilio, guidarono la traduzione dei libri
liturgici nelle lingue moderne. Si era consapevoli di
quanto la Bibbia ed i testi liturgici fossero lontani dal
mondo del parlare e del pensare dell’uomo d’oggi,
così che anche tradotti essi sarebbero rimasti
ampiamente incomprensibili ai partecipanti alla
liturgia. Era un’impresa nuova che i testi sacri fossero
resi
accessibili,
in
traduzione, ai partecipanti
alla
liturgia,
pur
rimanendo, tuttavia, a una
grande distanza dal loro
mondo; anzi, in questo
modo, i testi sacri
apparivano proprio nella
loro grande distanza.
Così, ci si sentì non solo
autorizzati, ma addirittura
in obbligo di fondere già
nella
traduzione
l’interpretazione, e di
accorciare in questo modo
la strada verso gli uomini,
il cui cuore ed intelletto si
voleva fossero raggiunti
appunto da queste parole.
Fino ad un certo punto, il principio di una traduzione
contenutistica e non necessariamente letterale del testo
di base rimane giustificato. Dal momento che devo
recitare le preghiere liturgiche continuamente in lingue
diverse, noto che, talora, tra le diverse traduzioni, non
è possibile trovare quasi niente in comune e che il
testo unico che ne è alla base, spesso è riconoscibile
soltanto da lontano. Vi sono state poi delle
banalizzazioni che rappresentano delle vere perdite.
Così, nel corso degli anni, anche a me personalmente,
è diventato sempre più chiaro che il principio della
corrispondenza non letterale, ma strutturale, come
linea guida nella traduzione, ha i suoi limiti. Seguendo
considerazioni di questo genere, l’Istruzione sulle
traduzioni “Liturgiam authenticam”, emanata dalla
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti il 28 marzo 2001, ha posto di nuovo in
primo piano il principio della corrispondenza letterale,
senza ovviamente prescrivere un verbalismo
Dal Vaticano, 14 aprile 2012.
Eccellenza,
Venerato, caro Arcivescovo,
In occasione della Sua visita del 15 marzo 2012, Lei
mi ha fatto sapere che per quanto riguarda la
traduzione delle parole “pro multis” nelle Preghiere
Eucaristiche della Santa Messa ancora non c’è unità
tra i Vescovi dell’area di lingua tedesca. Incombe, a
quanto pare, il pericolo che per la pubblicazione della
nuova edizione del “Gotteslob” [libro dei canti e
preghiere], attesa in tempi brevi, alcune parti dell’area
di lingua tedesca vogliano mantenere la traduzione
“per tutti”, anche qualora la Conferenza episcopale
tedesca convenisse a
scrivere “per molti”, così
come richiesto dalla
Santa Sede. Le avevo
promesso che mi sarei
espresso per iscritto
riguardo
a
questa
importante questione, al
fine di prevenire una tale
divisione nel luogo più
intimo
della
nostra
preghiera. La lettera che
qui, per Suo tramite,
indirizzo ai membri della
Conferenza Episcopale
Tedesca, sarà inviata
anche agli altri Vescovi
dell’area
di
lingua
tedesca.
Anzitutto, mi lasci spendere brevemente una parola
sulle origini del problema. Negli anni sessanta, quando
bisognava tradurre in tedesco, sotto la responsabilità
dei Vescovi, il Messale Romano, esisteva un consenso
esegetico sul fatto che la parola “i molti”, “molti” in
Isaia 53, 11s, fosse una forma di espressione ebraica
per indicare la totalità, “tutti”. La parola “molti” nei
racconti dell’istituzione di Matteo e di Marco, sarebbe
stata quindi un “semitismo” e avrebbe dovuto essere
tradotta con “tutti”. Questo concetto si applicò anche
al testo latino direttamente da tradurre, in cui il “pro
multis” avrebbe rimandato, attraverso i racconti
evangelici, a Isaia 53 e perciò sarebbe stato da tradurre
con “per tutti”. Questo consenso esegetico, nel
frattempo, si è sgretolato; esso non esiste più. Nella
traduzione ecumenica tedesca della Sacra Scrittura, nel
racconto dell’Ultima Cena, si legge: “Questo è il mio
sangue, il sangue dell’alleanza, che è versato per
molti” (Mc 14, 24; cfr. Mt 26, 28). Con questo si
8
unilaterale. L’acquisizione importante che è alla base
di questa Istruzione consiste nella distinzione, a cui ho
già accennato all’inizio, fra traduzione e
interpretazione. Essa è necessaria sia nei confronti
della parola della Scrittura, sia nei confronti dei testi
liturgici. Da un lato, la parola sacra deve presentarsi il
più possibile come essa è, anche nella sua estraneità e
con le domande che porta in sé; dall’altro lato, è alla
Chiesa che è affidato il compito dell’interpretazione,
affinché — nei limiti della nostra attuale
comprensione — ci raggiunga quel messaggio che il
Signore ci ha destinato. Neppure la traduzione più
accurata può sostituire l’interpretazione: rientra nella
struttura della rivelazione il fatto che la Parola di Dio
sia letta nella comunità interpretante della Chiesa, e
che fedeltà e attualizzazione siano legate
reciprocamente. La Parola deve essere presente quale
essa è, nella sua propria forma, forse a noi estranea;
l’interpretazione deve misurarsi con la fedeltà alla
Parola stessa, ma al tempo stesso deve renderla
accessibile all’ascoltatore di oggi.
In questo contesto, è stato deciso dalla Santa Sede che,
nella nuova traduzione del Messale, l’espressione “pro
multis” debba essere tradotta come tale e non insieme
già interpretata. Al posto della versione interpretativa
“per tutti” deve andare la semplice traduzione “per
molti”. Vorrei qui far notare che né in Matteo, né in
Marco c’è l’articolo, quindi non “per i molti”, ma “per
molti”. Se questa decisione è, come spero,
assolutamente comprensibile alla luce della
fondamentale correlazione tra traduzione e
interpretazione, sono tuttavia consapevole che essa
rappresenta una sfida enorme per tutti coloro che
hanno il compito di esporre la Parola di Dio nella
Chiesa. Infatti, per coloro che abitualmente
partecipano alla Santa Messa questo appare quasi
inevitabilmente come una rottura proprio nel cuore del
Sacro. Essi chiederanno: ma Cristo non è morto per
tutti? La Chiesa ha modificato la sua dottrina? Può ed
è autorizzata a farlo? È qui in atto una reazione che
vuole distruggere l’eredità del Concilio? Per
l’esperienza degli ultimi 50 anni, tutti sappiamo
quanto profondamente i cambiamenti di forme e testi
liturgici colpiscono le persone nell’animo; quanto
fortemente possa inquietare le persone una modifica
del testo in un punto così centrale. Per questo motivo,
nel momento in cui, in base alla differenza tra
traduzione e interpretazione, si scelse la traduzione
“molti”, si decise, al tempo stesso, che questa
traduzione dovesse essere preceduta, nelle singole aree
linguistiche, da una catechesi accurata, per mezzo
della quale i Vescovi avrebbero dovuto far
comprendere concretamente ai loro sacerdoti e,
attraverso di loro, a tutti i fedeli, di che cosa si
trattasse. Il far precedere la catechesi è la condizione
essenziale per l’entrata in vigore della nuova
traduzione. Per quanto ne so, una tale catechesi finora
non è stata fatta nell’area linguistica tedesca. L’intento
della mia lettera è chiedere con la più grande urgenza
a Voi tutti, cari confratelli, di elaborare ora una tale
catechesi, per parlarne poi con i sacerdoti e renderla
contemporaneamente accessibile ai fedeli.
In una tale CATECHESI si dovrà forse, in primo
luogo, spiegare brevemente perché nella traduzione
del Messale dopo il Concilio, la parola “molti” venne
resa con “tutti”: per esprimere in modo inequivocabile,
nel senso voluto da Gesù, l’universalità della salvezza
che proviene da Lui. Ma poi sorge subito la domanda:
se Gesù è morto per tutti, perché nelle parole
dell’Ultima Cena Egli ha detto “per molti”? E perché
allora noi ci atteniamo a queste parole di istituzione di
Gesù? A questo punto bisogna anzitutto aggiungere
ancora che, secondo Matteo e Marco, Gesù ha detto
“per molti”, mentre secondo Luca e Paolo ha detto
“per voi”. Così il cerchio, apparentemente, si stringe
ancora di più. Invece, proprio partendo da questo si
può andare verso la soluzione. I discepoli sanno che la
missione di Gesù va oltre loro e la loro cerchia; che
Egli era venuto per riunire da tutto il mondo i figli di
Dio che erano dispersi (Gv 11, 52). Il “per voi”, rende,
però, la missione di Gesù assolutamente concreta per i
presenti. Essi non sono degli elementi anonimi
qualsiasi di un’enorme totalità, bensì ogni singolo sa
che il Signore è morto proprio “per me”, “per noi”.
“Per voi” si estende al passato e al futuro, si riferisce a
me del tutto personalmente; noi, che siamo qui riuniti,
siamo conosciuti ed amati da Gesù in quanto tali.
Quindi questo “per voi” non è una restrizione, bensì
una concretizzazione, che vale per ogni comunità che
celebra l’Eucaristia e che la unisce concretamente
all’amore di Gesù. Il Canone Romano ha unito tra
loro, nelle parole della consacrazione, le due letture
bibliche e, conformemente a ciò, dice: “per voi e per
molti”. Questa formula è stata poi ripresa, nella
riforma liturgica, in tutte le Preghiere Eucaristiche.
Ma, ancora una volta: perché “per molti”? Il Signore
non è forse morto per tutti? Il fatto che Gesù Cristo, in
quanto Figlio di Dio fatto uomo, sia l’uomo per tutti
gli uomini, sia il nuovo Adamo, fa parte delle certezze
fondamentali della nostra fede. Su questo punto vorrei
solamente ricordare tre testi della Scrittura: Dio ha
consegnato suo Figlio “per tutti”, afferma Paolo nella
Lettera ai Romani (Rm 8, 32). “Uno è morto per tutti”,
dice nella Seconda Lettera ai Corinzi, parlando della
morte di Gesù (2 Cor 5, 14). Gesù “ha dato se stesso in
riscatto per tutti”, è scritto nella Prima Lettera a
Timoteo (1 Tm 2, 6). Ma allora, a maggior ragione ci
si deve chiedere, ancora una volta: se questo è così
chiaro, perché nella Preghiera Eucaristica è scritto
“per molti”? Ora, la Chiesa ha ripreso questa
formulazione dai racconti dell’istituzione nel Nuovo
Testamento. Essa dice così per rispetto verso la parola
di Gesù, per mantenersi fedele a Lui fin dentro la
parola. Il rispetto reverenziale per la parola stessa di
Gesù è la ragione della formulazione della Preghiera
Eucaristica. Ma allora noi ci chiediamo: perché mai
Gesù stesso ha detto così? La ragione vera e propria
consiste nel fatto che, con questo, Gesù si è fatto
riconoscere come il Servo di Dio di Isaia 53, ha
dimostrato di essere quella figura che la parola del
profeta stava aspettando. Rispetto reverenziale della
Chiesa per la parola di Gesù, fedeltà di Gesù alla
9
parola della “Scrittura”: questa doppia fedeltà è la
ragione concreta della formulazione “per molti”. In
questa catena di fedeltà reverenziale, noi ci inseriamo
con la traduzione letterale delle parole della Scrittura.
Come abbiamo visto anteriormente che il “per voi”
della traduzione lucano-paolina non restringe, ma
concretizza; così ora possiamo riconoscere che la
dialettica “molti” — “tutti” ha il suo proprio
significato. “Tutti” si muove sul piano ontologico —
l’essere ed operare di Gesù comprende tutta l’umanità,
il passato, il presente e il futuro. Ma di fatto,
storicamente, nella comunità concreta di coloro che
celebrano l’Eucaristia, Egli giunge solo a “molti”.
Allora è possibile riconoscere un triplice significato
della correlazione di “molti” e “tutti”. Innanzitutto, per
noi, che possiamo sedere alla sua mensa, dovrebbe
significare sorpresa, gioia e gratitudine perché Egli mi
ha chiamato, perché posso stare con Lui e posso
conoscerlo. “Sono grato al Signore, che per grazia mi
ha chiamato nella sua Chiesa ...” [canto religioso “Fest
soll mein Taufbund immer stehen”, strofa 1]. Poi,
però, in secondo luogo questo significa anche
responsabilità. Come il Signore, a modo suo,
raggiunga gli altri — “tutti” — resta, alla fine, un
mistero suo. Senza dubbio, però, costituisce una
responsabilità il fatto di essere chiamato da Lui
direttamente alla sua mensa, così che posso udire: “per
voi”, “per me”, Egli ha patito. I molti portano
responsabilità per tutti. La comunità dei molti deve
essere luce sul candelabro, città sul monte, lievito per
tutti. Questa è una vocazione che riguarda ciascuno, in
modo del tutto personale. I molti, che siamo noi,
devono sostenere la responsabilità per il tutto,
consapevoli della propria missione. Infine, si può
aggiungere un terzo aspetto. Nella società attuale
abbiamo la sensazione di non essere affatto “molti”,
ma molto pochi — una piccola schiera, che
continuamente si riduce. Invece no — noi siamo
“molti”: “Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine
immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione,
tribù, popolo e lingua”, dice l’Apocalisse di Giovanni
(Ap 7, 9). Noi siamo molti e rappresentiamo tutti. Così
ambedue le parole “molti” e “tutti” vanno insieme e si
relazionano l’una all’altra nella responsabilità e nella
promessa.
Eccellenza, cari confratelli nell’Episcopato! Con tutto
questo, ho voluto indicare le linee fondamentali di
contenuto della catechesi per mezzo della quale
sacerdoti e laici dovranno essere preparati il più presto
possibile alla nuova traduzione. Auspico che tutto
questo possa servire, allo stesso tempo, ad una più
profonda partecipazione alla Santa Eucaristia,
inserendosi così nel grande compito che ci aspetta con
“l’Anno della fede”. Posso sperare che la catechesi
venga presentata presto e diventi così parte di quel
rinnovamento liturgico, per il quale il Concilio si è
impegnato fin dalla sua prima sessione.
Con la benedizione e i saluti pasquali,
Mi confermo Suo nel Signore
Intervista al Vescovo Francesco in occasione dei
50 anni di missione in Bolivia
In queste due settimane, da La Paz a Santa Cruz,
ha incontrato molti missionari, laici e religiose:
tante storie di vita al servizio della Bolivia. Vede
nei loro percorsi un filo conduttore?
“Io penso che sia riconoscibile una passione capace di
animare dal di dentro il servizio che queste persone
stanno offrendo. Persone che sono venute qui con una
ricchezza di motivazione ma che, per rimanere qui,
hanno continuamente rinnovato la scelta iniziale. Si
tratta dunque di una passione non estemporanea, ma di
un sentimento e una convinzione profonda,
esistenziale e cristiana. Le modalità di questa passione
si manifestano poi in modi diversi, nell’impegno
ecclesiale e sociale con una serie di sfaccettature:
dall’educazione alla salute, dall’emarginazione
all’impegno per la giustizia e a una democrazia più
diffusa”.
Tante storie di vita che sono riuscite a dare
continuità a 50 anni di storia: cosa ci dice questa
esperienza?
“Vuole dire qualcosa che non è estemporaneo, che
assume il valore di una continuità e di una
responsabilità costruttiva e non di un’esperienza fine a
“I missionari e laici in Bolivia hanno dimostrato in
questi 50 anni che la logica del dono è capace di
costruire la storia, il mondo o addirittura di costruire
quei meccanismi che ci sembrano indisponibili al dono
come l’economia e il lavoro o persino la finanza”. È
questa la riflessione che lascia monsignor Francesco
Beschi come bilancio del lungo viaggio in Bolivia.
10
se stessa. È quindi un’esperienza inevitabilmente
proiettata al futuro: 50 anni non si buttano via. Dice
anche della capacità della nostra Chiesa di Bergamo,
delle persone che sono venute qui e delle Chiese che ci
hanno accolto, di dare continuità e di far passare
questa passione di generazione in generazione, da chi
è arrivato a chi ancora deve arrivare. È un elemento di
grande valore a fronte di una tentazione oggi diffusa di
fare solo una somma di esperienze limitate,
estemporanee e superficiali”.
Nella relazione al Gruppo Bergamo, Lei ha
indicato tra le prospettive future del missionario
quella di farsi testimone della logica del dono
contro quella dell’interesse: cosa significa?
“La logica del dono appartiene all’esperienza cristiana
e non solo. La novità sta in questo passaggio epocale
indicato da Papa Benedetto XVI di renderla paradigma
di interpretazione e trasformazione del mondo. Nella
mentalità diffusa il dono appartiene alla sfera della
relazioni personali. Qui invece si sta dimostrando che
la logica del dono è capace di costruire la storia, il
mondo o addirittura di costruire quei meccanismi che
ci sembrano indisponibili al dono come l’economia e
il lavoro o persino la finanza”.
Parlando della logica del dono ha anche introdotto
l’importanza del predisporsi a ricevere…
“All’interno della lettura della logica del dono in
termini nuovi va sottolineato anche l’aspetto
dell’imparare a ricevere. È una prospettiva biblica e
cristiana che nasce dall’esperienza di un dono. La
figura di Maria è grandissima a partire dal sì non
passivo allo Spirito Santo. Non è solo una prospettiva
spirituale o relazionale ma si tratta di entrare in
qualcosa di molto nuovo in cui la necessità di imparare
a ricevere s’impone. Noi non siamo abituati a questo:
noi prendiamo, meritiamo, siamo disposti a donare ma
per noi imparare a ricevere è più difficile”.
La logica del dono può essere una via nuova nella
crisi strutturale che ci coinvolge in Europa?
“Mi sembra che sia molto diffusa nella nostra terra la
cultura del dono, che si esprime in termini di
generosità gratuita, a volte veramente impressionante
dal profilo quantitativo. Dobbiamo però imparare a
metterci insieme nelle difficoltà e nella costruzione di
prospettive nuove. La logica del dono è disinteressata
e il ricevere è tanto importante quanto il dare. Tutto
questo non lo vedo evidente nella società: è un
cambiamento di stile e di approccio. Dire queste cose
può suggestionare qualcuno e lasciare perplessi molti,
tanto più diventa difficile tradurlo nella realtà. Non mi
sembra però che le alternative siano più chiare di
quello che sto dicendo. Anche ascoltando tante
persone competenti nei loro campi vedo una grande
incertezza e fatica. Si continua a percorrere la strada
conosciuta sottovalutando le cause che hanno portato a
questa situazione perché le prospettive sono oscure e
incerte. La semplice spiegazione di un’onda che
scende e sale nell’economia mi sembra molto
semplicistica”.
Diciannove giovani della nostra diocesi sono in
Bolivia per un’esperienza missionaria: cosa li
attrae?
“Non sono i soli a scegliere un’esperienza di questo
tipo: credo che la novità sia proprio questa rispetto al
passato. Partono in molti, motivati dal desiderio di un
incontro e di comprendere lasciandosi coinvolgere e
non osservando come semplici spettatori. In passato,
invece, i giovani che partivano erano pochi, anche se
pronti a giocarsi un tempo molto più significativo
della loro vita in missione. Ora invece queste
esperienze incidono di più in un cambio di mentalità in
Europa che in uno spirito di servizio in Bolivia o in
altri Paesi”.
Perché, a proposito dei 50 anni di presenza in
Bolivia, Lei parla di cooperazione?
“Oggi la necessità di camminare insieme è molto più
forte rispetto al passato: avvertiamo la bellezza di una
storia scritta nei decenni scorsi in cui la risposta ai
bisogni fondamentali e l’aiuto alle chiese più povere si
è manifestato in modo sorprendente e capace di
suscitare meraviglia. Oggi mi sembra che, in un clima
di rapporti consolidati, pur essendoci necessità ancora
evidenti, lo scambio e la riflessione comune siano da
non sottovalutare. Noi abbiamo una bellissima storia
che sta continuando ma in Italia ci sono più preti
provenienti da Paesi stranieri in servizio pastorale di
quanti l’Italia non ne invii all’estero. La situazione è
capovolta. Immaginiamo il missionario in un Paese
lontano ma quale è in quest’ottica il Paese lontano?
Nella nostra diocesi siamo in una posizione
privilegiata ma dobbiamo utilizzare questo privilegio
in termini di crescita. Avere anche noi dei sacerdoti
stranieri, non per necessità, è un modo serio di
raccogliere l’eredità di questa storia”.
Quale è il futuro della missione bergamasca in
Bolivia?
“Vorremmo metterci sempre più a disposizione di una
soggettività locale: il vescovo, il clero locale e le
autorità. Vogliamo essere al servizio. Vedo che la
presenza dei bergamaschi, penso ai laici che hanno
realizzato opere significative, è talmente apprezzata
che tendenzialmente la richiesta è di mantenere ciò
che abbiamo costruito in questi 50 anni con il timore
che, con il calo di vocazioni e risorse, tutto questo non
venga sostenuto. La seconda domanda, molto
interessante, che ci viene fatta riguarda un bisogno di
formazione permanente per il clero”.
Elena Catalfamo su “L’eco di Bergamo”,
8 gosto 2012
11
Ricordo di don Giuseppe Rizzi
“Don Rizzi, tanto bene
nascosto: la sua vita parla”.
santuario della Madonna del Pianto che ha servito
fino all’ultimo dei suoi giorni.
E morto, a 77 anni, don Giuseppe Rizzi. Anni fa
era stato colpito da un ictus, che gli aveva causato
fatica nella deambulazione e due settimane fa
aveva avuto un infortunio.
Don Rizzi era nato il 10 ottobre 1934 tra le amate
montagne di Zambla, che avevano forgiato il suo
carattere forte e una volontà di ferro. Dopo
l’ordinazione sacerdotale (il 31 maggio 1958) era
stato coadiutore parrocchiale di Parzanica (1958’60) e di Vallalta (1960-’68), quindi parroco di
Santa Croce di San Pellegrino (1968-71). Nel 1971
era partito per la Bolivia come sacerdote
missionario, portando avanti per 18 anni un intenso
impegno di evangelizzazione e promozione umana.
Giuseppe Carrara.
Da “L’Eco di Bergamo”, Mercoledì 11 Luglio 2012
La comunità di Albino ha salutato con riconoscenza
don Giuseppe Rizzi, vicario parrocchiale e cappellano
del Santuario della Madonna del Pianto, che si è
spento sabato a 77 anni. Ad accompagnarlo, 70
sacerdoti che hanno preso parte ai funerali presieduti
dal vicario generale monsignor Davide Pelucchi e
concelebrati dal parroco don Giuseppe Locatelli e da
don Massimo Rizzi, nipote del sacerdote e superiore
della comunità dei preti del Sacro Cuore. Unite nella
preghiera la missione in Bolivia dove don Giuseppe
aveva operato per 18 anni e i seminaristi di Romania e
Croazia che il sacerdote sosteneva. “Ringraziamo don
Giuseppe per tutti gli anni in cui si è preso cura degli
uomini nelle parrocchie che ha guidato, in missione e
con tanti gesti nascosti” ha detto monsignor Pelucchi.
“Era un uomo di compagnia – ha ricordato don
Locatelli –, ma di poche parole, capace di ascolto. Lui
ora tace, ma la sua vita parla”. Come segno della sua
vicinanza alle persone è stato letto un biglietto scritto
da una donna che ricorda come “i miei genitori
ricevessero grande conforto dalla visite di don
Giuseppe che, ammalato nel fisico, comprendeva le
sofferenze degli anziani. Con una carezza, una parola
sapeva consolare”. Monsignor Mario Balicco,
compagno di ordinazione, ha ricordato che “se don
Giuseppe sembrava talvolta burbero, rivelava un
animo aperto all’accoglienza. Lo immaginiamo
nell’incontro con Dio sorridente e sereno”. La bara,
portata fuori dalla chiesa in spalla dagli amici
sacerdoti, è stata salutata da un applauso prima di
raggiungere Zambla, paese natale di don Giuseppe.
L. Ar.
“Aveva scelto i più poveri”
Da “L’Eco di Bergamo”, Martedì 10 Luglio 2012.
“È stato un prete missionario convinto, obbediente,
disponibile, con una tempra schietta da montanaro
bergamasco - ricorda don Santino Nicoli, arciprete di
Nembro, già missionario in Bolivia -. A La Paz aveva
scelto di fare il prete nei luoghi più poveri,
condividendo la vita della gente, facendo anche il
muratore e il falegname. Ogni domenica sera, quando
tutti i preti bergamaschi si riunivano, trasmetteva
allegria, ricorrendo anche al gioco delle carte”. Il
suo amore alla montagna si cementò in terra
boliviana con le scalate sulle Ande e sull’Illimani,
nei pressi di La Paz. Proprio su questa montagna
don Rizzi, che faceva parte della cordata per
recuperare il corpo di un alpinista francese, vide
Grazie don Rizzi!
Dal Bollettino parrocchiale di
Albino.
Lo scorso 8 luglio il nostro caro
don Giuseppe Rizzi è tornato alla
casa del Padre.
La sua vita viene ricordata come
quella di un prete montanaro sia
per il luogo di nascita in Valserina,
sia per la grande passione
all’alpinismo. Come sacerdote, ha
marciato per lunghe distanze e
tanti luoghi, dalle valli
bergamasche ai monti della
Bolivia. Con i piedi ormai stanchi,
la sua marcia si è conclusa nel
12
Caro don Giuseppe
‘ncö I’ s’è fenìt chèl grand caminà de la tò éta
de Scalfarètt de la Strécia
Da zùen ta edìe töce dé passà sóta la mé cà
per gnì che a Oltra ‘I Còl a stödià
e dòpo en seminare püdì ‘ndà
Deentàt prét, to gh’é dàcc a caminà söi mucc con
chèl invìs
de sétes piö apröf al paradìs
Al Sücù de la Plàssa to sé stàcc ol prim a troà
chi zùegn che sö a la crus de l’Arerà ü fùlmen l’ìa
portàt vià
Lüghìt comè ü camóss quando a Santa Crus la strada
i èra dré a fà
dòpo ì décc méssa, tacàt a öna còrda to séret zó a
desgagià
Töt ol tò caminà I’ t’à portàt söi mucc bolivià
to é mai dementegàt i tò raìs de contadi e ‘n Bolivia
to ìet fàcc rià
öna coldéra per ensegnà a chèla zét a cagià
Apéna to riàet a cà to curìet fò per i pracc e ai
fradèi aidà
Co la rànza o la biciesse inàcc e ‘ndré a segà ol fé
‘Nda tò età de prét ol piö bèl predicà
l’è stàcc chèl de fà ‘mparà a ölega bé al laurà
Óm franch e sincér per té la paròla décia
la alìa de piö d’öna carta scrécia
To séret ü di nòs-cc, fàcc zó a la bùna
L’ ta piasìa fa la batìda ‘n prima persùna
Ü di tò invìs:
fà la partìda a carte coi amìs
Adèss en ta edera piö söi sentér
de la Menacóna o dol Felghér,
ma la tò memòria la sarà sémper che
töcc quancc i dé
Dio del cél, Signùr dol paradìs
laghi ‘ndà sö per i mucc ol nòst amìs
ol Vòst servidùr che l’ V’à
servìt töcc dé con amùr
Ciao don Giuseppe söi mucc
adèss el gh’è öna stèla
en mèss ai ótre le la piö bèla
Sergio Fezzoli
11 luglio 2012
morire l’amico alpinista nembrese Carlo Nembrini.
Nel 1989 era tornato in diocesi, diventando parroco
di Capizzone e Bedulita, facendo la spola fra le due
comunità. Per motivi di salute, nel 1999 aveva
rinunciato alla parrocchia. Albino è stata la sua
ultima destinazione come vicario e cappellano del
santuario del Pianto. “È stato un prete dalla volontà
di ferro, capace di superare i momenti più difficili
per la sua salute - ricorda il parroco don Giuseppe
Locatelli -. Con grande generosità, si è preso cura del
santuario. La povertà della Bolivia gli aveva
conferito un cuore ricco di carità.
Con i suoi mezzi, aiutava negli studi i seminaristi
boliviani e quelli dell’Est europeo”.
Carmelo Epis
Il 21 Agosto il Vescovo Francesco ha celebrato una
Messa in suffragio presso la parrocchiale di Zambla
Bassa. Ha parlato di don Giuseppe come di un
instancabile uomo di fede, non conosciuto di persona,
ma nel contesto della Chiesa di Bergamo dove si è
potuto respirare la testimonianza di una vita vissuta ad
maiorem dei gloria.
d. A.
Oltre il Colle, via Roma 560
Si riceve su appuntamento al tel 331/47.07.801
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U N I T À P A S TO R A L E A LTA V A L L E S E R I N A
CRE 2012 Passpartù
Il tema del CRE 2012 gira intorno all’intenzione
educativa di dare valore alla parola. Siamo in mezzo
alle parole e per certi versi abbiamo a disposizione
molti strumenti che potrebbero favorire la
comunicazione e il dialogo tra le persone. Ma – come
dicono i Vescovi negli orientamenti pastorali per
questo decennio – c’è un’emergenza educativa che
riguarda anche il tema della comunicazione. Ci piace
pensare che i bambini e i ragazzi nei nostri oratori
quest’estate hanno avuto la possibilità di riflettere
sull’importanza della parola.
Per qualcuno la parola è obsoleta: è una forma
comunicativa largamente superata dalle immagini e
dalla tecnologia. Ne siamo così sicuri? I linguaggi per
comunicare sono molti. È però attraverso la parola che
possiamo dare corpo a pensieri e immaginazione;
esplicitare e comunicare quello che ciascuno ha
vissuto o porta nel cuore. Gli animali comunicano, ma
solo gli uomini parlano.
È con la parola che possiamo entrare dappertutto
(passepartout, appunto): nel nostro cuore per dare un
nome ai sentimenti e consistenza ai pensieri, nel cuore
delle cose per usare le parole giuste e adatte, nel cuore
degli altri per costruire relazioni buone e positive, nel
cuore di Dio se impariamo a capire quando e come ci
fa arrivare la sua parola.
Non funziona automaticamente. Occorre averne cura,
altrimenti non si entra da nessuna parte e riempiamo il
mondo di tanti bla bla che creano disordine, rumore,
confusione (come era già successo, a suo tempo,
intorno a una certa torre che poi non stava in piedi).
Una parola (anche soltanto una parola) al posto giusto
rende la vita più bella e stiamo tutti molto meglio.
La possibilità di parlare è forse la più importante
caratteristica che distingue l’uomo dagli animali: le
parole permettono la comunicazione di pensieri e
sentimenti, di idee e progetti. Con le parole gli uomini
possono determinare gli umori e creare un clima:
quando le parole sono buone, si creano dei legami;
quando non lo sono, ci si scontra e ci si combatte.
Noi esistiamo grazie alle parole: abbiamo capito di
esserci proprio quando qualcuno ha cominciato a
rivolgersi a noi, a chiamarci, a dire qualcosa di noi e
del mondo.
Trent’anni fa, il cardinal Martini scriveva la sua prima
lettera pastorale intitolata “In principio la parola” e
nell’introduzione diceva: “È stata la Parola per prima
a rompere il silenzio, a dire il nostro nome, a dare un
progetto alla nostra vita. È in questa parola che il
nascere e il morire, l’amare e il donarsi, il lavoro e la
società hanno un senso ultimo e una speranza. È
grazie a questa Parola che io sono qui e tento di
esprimermi. “Nella tua luce vediamo la luce” (Sal 35,
10)”.
Non è una riflessione nata a caso: il cristianesimo
presenta la figura di Gesù come Parola di Dio offerta
agli uomini; essi non sono semplicemente di fronte
alla novità di Dio che offre parole al suo popolo. La
novità vera è nella sua figura: in lui Dio è anche voce
e presenza in prima persona.
Parole buone non sono solo quelle eleganti. Parole
buone sono quelle che sanno raccontare il bene
ricevuto, il sogno di una vita buona per tutti. Non si è
trattato, quindi, di insegnare ai ragazzi a “non dire le
parolacce”, ma di aiutarli a trovare quelle parole che
permettono di costruire il mondo. Per questo l’estate è
stata una grande occasione educativa.
Dice Italo Calvino alla fine delle Città invisibili:
“l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce
14
n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo
tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi
ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a
molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al
punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed
esige attenzione e apprendimento continui: cercare e
saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non
è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Cominciando dalle parole, usando le parole.
liturgia viene ripetuta, questa frase, prima di ricevere
la comunione. È un passaggio molto bello: la fede
permette di riconoscere a Gesù la capacità di dire
parole di salvezza. E Gesù non ha bisogno di dire
molte parole o di perdersi in chiacchiere inutili: la sua
è una parola così efficace che realizza prontamente ciò
che dice. Per questo da Lui aspettiamo una parola sola,
quella che porti salvezza al nostro cuore. Perché, una
volta incontrata questa salvezza, troviamo il coraggio
di scegliere solo parole buone: quelle che fanno bene
al mondo e alle relazioni tra gli uomini. Insomma, di
portare salvezza.
Passpartù
Perché passpartù? Passe-partout è quell’aggeggio che
apre tutte le porte. Quando bisogna entrare in molti
posti, bisognerebbe possedere ogni chiave. Il passepartout è quell’unico oggetto che apre luoghi diversi.
La parola ha questa capacità: quella di permetterci di
entrare nel cuore di chiunque, di aprire qualunque
porta chiusa. Una delle canzoni del Cd di quest’anno
dice proprio questo: esistono le parole magiche, ma
non sono quelle che ci hanno insegnato nelle favole da
bambini. Sono le parole più semplici e più belle che da
sempre sono legate a quella che chiamiamo la “buona
educazione”. Se esercitata bene, ci può portare a
parole raffinate: quelle che, magicamente, aprono il
cuore e permettono di costruire buone relazioni.
Come lo scriviamo?, ci siamo chiesti. L’originale è
piuttosto difficile da leggere. L’abbiamo scritto in
modo scorretto: ma quel “tu” in finale di parola dice
bene la possibilità, che la parola ci offre, di creare
legami con l’altro.
Il logo
Attorno a una certa torre, collocata a Babele, dice il
libro della Genesi, gli uomini si sono persi perché non
trovavano più le parole per comunicare. Le lingue si
erano confuse: il loro progetto non era buono e Dio
non l’aveva favorito. Bisognerà aspettare un altro
momento, la discesa dello Spirito Santo, perché gli
uomini trovino la capacità di capirsi in fretta: quel
giorno lo Spirito permetterà a tutti di capire il
linguaggio dell’amore.
Alcuni bambini sono all’opera attorno a una parola
che ha la forma di una torre. Perché le parole buone
puliscono il cuore e gli permettono di puntare alle cose
importanti, quelle che sono buone e servono a tutti.
Allora la torre cresce, perché le parole fanno crescere
la possibilità che gli uomini costruiscano legami e
relazioni.
Di’ soltanto una parola
Il CRE a Oltre il Colle...
Lo dice un centurione romano a Gesù che si sta
avviando a casa sua perché la figlia sta male (il
racconto è al capitolo 8 di Matteo). È diventata una
delle invocazioni più ripetute nella nostra vita: nella
… è iniziato il 2 Luglio ed è durato 4 settimane, fino al
27 Luglio, tutti i giorni da Lunedì a Venerdì.
Le attività:
La prima settimana ci siamo divisi in squadre:
Rossi, Arancioni, Gialli e Blu. Ogni squadra ha
pensato ad un nome, ha creato un inno da cantare e ha
realizzato la propria bandiera. Ecco i nomi delle
squadre:
Rossi: Tempeste di fuoco;
Arancioni: i dragoni arancioni;
Gialli: i Cipster;
Blu: i PassParBlù.
Le gite: il 3 Luglio siamo andati al Frassino, il 4
Luglio in piscina all’Acquaplanet di Darfo-Boario.
Venerdì sera c’è stata la gita per animatori:
Acquasplash by night!
I giochi: abbiamo giocato a “Las Vegas”, “Bomba” e
“Doganieri e Contrabbandieri” al pian della Palla:
quest’ultimo è stato il grande gioco della prima
settimana.
La seconda settimana abbiamo cominciato l’attività
dei laboratori: lavoretti, dove abbiamo realizzato
scooby doo e creato decorazioni con le parole; danze,
dove abbiamo imparato i balli del CRE (ma non solo)
e teatro, dove si è preparato la struttura della festa
finale. Poi ci sono stati i giochi: le mini olimpiadi e la
grande caccia al tesoro, che quest’anno è stata
decisamente più impegnativa del solito!!! Siamo stati
in piscina all’Acquadream di Rovato e abbiamo
15
partecipato allo SportGiovane di Almenno S.
Salvatore, grazie al quale siamo anche finiti sulla
trasmissione “Granita Mix” di Bergamo TV.
Nella terza settimana abbiamo continuato i
laboratori iniziati la settimana precedente. Siamo
andati in gita a piedi ai “Grömei” di Zorzone, dove
abbiamo giocato al gioco “La spada nella roccia”, e al
Centro Sportivo Valle. Siamo saliti al Pian della Palla
per il grande gioco della settimana: Battaglia Navale.
Negli altri giorni abbiamo giocato a scalpo, bandiera
genovese e battaglia di Londra.
La quarta settimana è quella che ci vede impegnati
nella preparazione della festa finale. Sono stati
conclusi i lavoretti e tutti preparano una scenetta, un
ballo, un canto da presentare ai genitori il venerdì sera.
È anche la settimana della “gita lunga” in piscina:
Acquasplash fino alle 5 e mezza del pomeriggio!
Naturalmente non sono mancati i giochi. Quest’anno,
visto il caldo eccezionale, ci siamo avventurati in
nuovi “giochi con l’acqua” (che laàda!). Dodgeball e
palla10 sono stati i giochi con cui abbiamo completato
i nostri tornei. Eh gia! Perché ad ogni gioco c’è un
punteggio e alla fine del mese “salta fuori” chi ha
vinto il grande torneo del CRE! Questa la classifica
finale:
Primi i Gialli con 210 punti; secondi i Rossi con 195
punti; terzi gli Arancioni con 185 punti e quarti i Blu
con 180 punti.
Giovedì sera abbiamo vissuto la Messa di
ringraziamento di fine CRE e venerdì sera la festa
finale al Cinema. Ogni giornata di CRE è stata aperta e
chiusa da un momento di preghiera: apertura in
Chiesa, chiusura in Oratorio con il canto “Ma cos’è
l’uomo”, per ricordare che tutto il nostro tempo è nelle
mani del Signore che con la sua Parola ha creato tutto.
Diamo i numeri:
Hanno partecipato al CRE 2012 Passpartù 11 bambini
dell’ultimo anno della scuola materna, 17 di prima
Elementare, 7 di seconda elementare, 9 di terza
elementare, 10 di quarta elementare, 11 di quinta
elementare, 8 di Prima Media, 10 di Seconda Media,
11 di Terza Media (aiuto animatori), 28 animatori, 8
mamme che hanno guidato i laboratori, una
coordinatrice, una guida alpina per le gite in montagna
(e qualche volta anche in piscina) un segretario e un
don.
E subito dopo il CRE...
… un gruppo di animatori ed ex animatori, ma non
solo (c’era anche il Gino e un paio di seconda media,
una maestra, alcuni villeggianti…) hanno pensato di
dare un volto nuovo al salone dell’Oratorio. Ben due
settimane di impegno, da lunedì a sabato, mattino e
pomeriggio. Rullo, pennellessa, spatola e stucco alla
mano hanno dato una bella imbiancata a muri che non
vedevano pittura fresca da anni, poi sono passati a
matita, gomma, pennelli più fini, colori sgargianti ed
hanno realizzato sui muri disegni bellissimi che hanno
dato un volto nuovo al salone.
Chissà che non sia l’occasione di riscoprire l’oratorio
come luogo da tenere aperto un po’ più spesso anche
in inverno (magari il sabato e/o la domenica
pomeriggio) per offrire ai ragazzi un luogo di
aggregazione.
Nella pagina a fianco alcune fasi della lavorazione.
d. A.
16
17
con saluto a padre Marco Ceroni che si è fermato
nella nostra comunità per due mesi e mezzo.
Arrivederci a presto, p. Marco!
Brevissime
Durante l’Assemblea Diocesana del 14 settembre il
Vescovo Francesco ha annunciato
di aver
ufficialmente invitato, insieme al Comune e alla
Provincia di Bergamo, il Papa Benedetto XVI a
visitare la nostra diocesi in coincidenza con il
cinquantesimo anniversario dell’inizio del Concilio,
aperto dal Papa Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962, e
della morte del Beato il successivo 3 giugno 1963.
La Santa Sede non ha ancora dato risposta. Visti i
molti e complessi impegni del Santo Padre è quindi
comprensibile la necessità di un certo periodo di
tempo per una comunicazione ufficiale.
7-8 Luglio: a Zorzone il Gruppo Alpini ha celebrato
il 60° di fondazione. Grazie Alpini!
15 Luglio: a causa del maltempo è stata annullata la
tradizionale S. Messa in ca’ Pasì;
22 Luglio Festa patronale di S. Maria Maddalena a
Zambla Bassa. Preceduta Venerdì sera da un momento
di Adorazione Eucaristica, Sabato pomeriggio dalla
Confessione e sabato sera da un concerto a cura della
pro loco, la festa è stata coronata dalla processione per
le vie della frazione. Maria Maddalena proteggici e
aiutaci ad essere sempre più fedeli a Cristo Gesù.
29 Luglio S. Messa in S. Rocco al Mulino.
5 Agosto S. Messa in Menna (vedi articolo qui a
fianco).
Sagra del Menna,
7 Agosto a Zambla Alta camminata pro missioni. La
manifestazione si è svolta regolarmente con la
consueta partecipazione di tante persone che hanno
contribuito a creare un fondo per le missioni di
Adriana, suor Valentina e suor Eugenia.
Prima Domenica di Agosto.
Un piccolo rifugio - grande festa la prima domenica
di agosto, ricordo di tanti amici appassionati di
montagna.
11 Agosto: Tra le tante iniziative organizzate
quest’estate dalla Pro Loco, pubblicate sulla locandina
dell’estate, ricordiamo la riuscitissima prima edizione
della “marcia dei nonni”. Grazie a chi ha proposto e
realizzato questa bella iniziativa.
(dall’Annuario del CAI 2011-2012, pp127-128)
Ogni anno, alla prima domenica di Agosto, i soci ed
amici del Gruppo MAGA di Zorzone e Oltre il Colle
fanno festa sul Menna. Una cima amica, a 2.200 m,
che fa da contorno assieme all’Alben, al Grem e
all’Arera alla splendida conca del Comune di Oltre il
Colle. Non è una salita difficile, ma abbastanza
impegnativa. A quota 2.000 c’è un rifugio costruito e
gestito dagli amici di Zorzone. La cima della
montagna è a quota 2.200. Il panorama è interessante,
lo sguardo va oltre il passo S. Marco e sui monti della
Valtellina. La partenza tradizionale è dal centro di
Zorzone. 2 ore di buon cammino. Altri amici salgono
da Roncobello, altri da Camerata Cornello, altri ancora
dal Passo Branchino e dal Sentiero dei Fiori. Qui però
necessita essere più attrezzati e sicuri; vi sono alcuni
passaggi sullo spartiacque verso Lenna che richiedono
attenzione e piedi sicuri. L’amico Stefano Torriani ha
infatti preparato la sua precisa ed interessante cartina
con gli itinerari. Io, da amico affezionato e meno
giovane, seguo il classico, la salita da Zorzone,
partendo alle ore 8 circa. Il primo tratto, sino alla
cascina “Matuida”, sia che si segua il sentiero più
breve o la strada Carrozzabile recentemente realizzata,
è tutto tra i boschi di faggio. Lasciata però la cascina,
si deve uscire allo scoperto e al sole. Il sentiero si
inerpica, e per un’ora e mezzo ci si deve impegnare. I
più giovani e veloci sorpassano, ti salutano
cordialmente e vanno. Per un poco li segui con lo
sguardo, ma poi devi mollare e guardare i tuoi passi e
non cedere. Dopo un un’ora intravedi il rifugio; che
sospiro profondo ... Al rifugio ti accolgono gli Amici,
15 Agosto processione dell’Assunta con la Madonna
della Cintura a Zorzone.
16 Agosto S. Messa in S. Rocco a Zorzone e in Alben.
A causa del tempo incerto la processione a Zorzone è
arrivata solo fino al monumento ai caduti; in Alben la
pioggia ha “fatto scappare” tante persone… Poco dopo
è spuntato il sole tra le nubi e si è potuta celebrare la
S. Messa, pregando in comunione spirituale con tutti
coloro che hanno affrontato la salita.
Il 21 Agosto il Vescovo Francesco è tornato nella
nostra valle per celebrare una messa a suffragio di
don Giuseppe Rizzi nella Chiesa di S. Maria
Maddalena in Zambla Bassa. Mons. Francesco ha
ricordato la figura di don Giuseppe: un uomo, un prete
appassionato a Cristo e alla missione che Gesù gli ha
affidato. Dopo la messa si è soffermato a salutare
quanti desideravano anche solo stringergli la mano.
L’accoglienza da parte delle comunità è stata come
sempre calorosa, segno di una fede ancora radicata
nella nostra terra.
24 Agosto festa patronale di S. Bartolomeo Apostolo a
Oltre il Colle. Ogni festa nella nostra valle è preparata
con cura, ed anche in occasione della festa patronale di
Oltre il Colle non sono mancati (e ci vogliono) i bei
segni esteriori della nostra fede, ai quali vogliamo far
seguire anche una degna spiritualità e fraternità
evangelica.
8 Settembre festa della Natività di Maria in Grimoldo,
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i bravi custodi del Rifugio, il Presidente Epis per
primo. Un bel tè caldo rifocilla tutti. Fuori dal rifugio
gli Amici del Gruppo Maga e tanti di Zorzone sono
tutti presi ad accendere i fuochi, a piazzare le pentole
per le polente, a predisporre le griglie per le costine e i
cotechini. Il Corrado, vecchio cacciatore, ogni tanto
abbandona gli amici preparatori e si porta in un posto
strategico per osservare quanti stanno salendo a
Zorzone. Dalla base dei suoi calcoli e previsioni
bisogna preparare le polente e tutto il resto per il
rancio di mezzogiorno, non sbaglia mai i calcoli. In
attesa della Santa Messa, alcuni si dirigono sulla cima,
altri fanno uno spuntino, altri aspettano l’arrivo
dell’elicottero che porterà lassù altri amici e parenti.
Alle 11,15, la Santa Messa sotto la vicina prima croce.
Momento toccante la riflessione la preghiera per gli
Amici defunti e il canto “Signore delle cime ... “. A
mezzogiorno il rancio. Gli amici di Zorzone, in questi
ultimi anni, al menù classico hanno aggiunto anche la
specialità della “Polenta cunsada”, con panna e
salame, roba leggera .... Poi canti e musica. Il
complesso tradizionale delle 3 Fisarmoniche Carrara
(Padre e 2 figli); il più simpatico e geniale è il figlio
sacerdote, nativo di Zorzone. A questi si aggiunge un
amico di Roncobello col banjo, un amico fabbro e
voce solista di Zorzone con la chitarra classica, un
bravo giovane di Oltre il Colle con il sassofono. A tutti
questi si aggiungono e associano voci in coro, più o
meno intonate, e qualche originale solista. Tutto,
comunque, ben si disperde tra queste amiche cime.
Ogni tanto qualche amico vicino ti sgomita e ti passa
la bottiglia di vino rosso, altri insistono per riempirti il
bicchiere, comunque tutto in armonia e con tanta
allegria. L’amico abituale, Guido Coppetti, scatta foto
in quantità e cerca di cogliere le figure e le pose più
originali e simpatiche; “Al prossimo incontro ti
mostrerà la tua simpatica foto”. Quando il sole
comincia a calare, o qualche cumolo di nebbia si
avvicina, è l’ora di raccogliere lo zaino e prepararsi
per la discesa. I più verso Zorzone, altri su Camerata e
Roncobello. È stato bello. Ne è valsa la pena di salire
sul Menna. Agli amici di Zorzone un sincero grazie.
Giuseppe Gentili.
Inizia l’Anno della Fede
Ecco il vantaggio di essere cristiani
Il libretto appena pubblicato dal Cardinal Biffi “La fortuna di appartenergli. Lettera confidenziale ai credenti”, ci
ricorda alcune verità essenziali (da “Avvenire”, 2 Settembre 2012,di Giacomo Biffi)
Vi dò una notizia un po’ riservata. Vi rivelo un
segreto; ma, mi raccomando, resti tra noi. La notizia è
questa: grande è la fortuna di noi credenti. Grande è la
fortuna di chi è “cristiano”; cioè appartiene, sa di
appartenere, vuole appartenere a Cristo. Grande è la
fortuna dei credenti in Cristo. Però non andate a dirlo
agli altri: non la capirebbero. E potrebbero anche
aversela a male: potrebbero magari scambiare per
presunzione il nostro buon umore per la felice
consapevolezza di quello che siamo; potrebbero
addirittura giudicare arroganza la nostra riconoscenza
verso Dio Padre che ci ha colmati di regali. C’è
perfino il rischio di essere giudicati intolleranti:
intolleranti solo perché non ci riesce di omologarci –
disciplinatamente e possibilmente con cuore contrito –
alla cultura imperante; intolleranti solo perché non ci
riesce di smarrirci, come sarebbe “politicamente
corretto”, nella generale confusione delle idee e dei
comportamenti.
festa dei credenti erano meglio motivate. Noi non ci
sentivamo emozionati e in festa soltanto per la
rotondità della cifra (duemila!); eravamo presi e
allietati dal forte ricordo di un evento che è centrale e
anzi unico nella storia: il ricordo del bimillenario
dall’ingresso sostanziale e definitivo di Dio nella
vicenda umana. Quell’anno appunto ci veniva più
intensamente richiamata la memoria dell’Unigenito
del Padre che è divenuto nostro fratello e si ravvivava
in noi con vigore singolare la grande speranza che
duemila anni fa ha incominciato ad attraversare la
terra. Come si vede, tutta l’umanità festeggiava il
Duemila; ma la nostra festa era innegabilmente più
consistente e più razionalmente fondata.
CREDENTI E CREDULONI
Coloro che si affidano a Cristo – che è “Luce da
Luce”, cioè il Logos sostanziale ed eterno di Dio –
sono inoltre abbastanza difesi dalla tentazione di
affidarsi a ciò che è inaffidabile. Anche questa è una
fortuna non da poco. È stato giustamente notato come
il mondo che ha smarrito la fede non è che poi non
creda più a niente; al contrario, è indotto a credere a
tutto: crede agli oroscopi, che perciò non mancano mai
nelle pagine dei giornali e delle riviste; crede ai gesti
scaramantici, alla pubblicità, alle creme di bellezza;
crede all’esistenza degli extraterrestri, al new age, alla
metempsicosi; crede alle promesse elettorali, ai
programmi politici, alle catechesi ideologiche che ogni
giorno ci vengono inflitte dalla televisione. Crede a
tutto, appunto. Perciò la distinzione più adeguata tra
gli uomini del nostro tempo parrebbe non tanto tra
CONOSCERE IL SENSO DI CIÒ CHE SI FA
È già una fortuna non piccola e non occasionale – che
ci viene dalla nostra professione di fede – quella di
conoscere il senso di alcune piccole consuetudini e di
alcune circostanze occasionali. Per esempio, tutti
mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti
sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone
sia necessariamente più buono di quello dei non
credenti: è semplicemente più ragionevole. Un altro
esempio: un po’ d’anni fa eravamo tutti eccitati e in
tripudio per il suggestivo traguardo del Duemila che ci
sarebbe stato dato di raggiungere: ma l’emozione e la
19
credenti e non credenti, quanto tra credenti e
creduloni.
concorra al bene per quelli che sono stati chiamati
secondo il suo disegno” (cf. Rm 8,28); tutto concorre
al nostro bene anche quando noi sul momento non ce
ne avvediamo. È la verità consolante ed entusiasmante
che Gesù ci confida, quasi suprema sua eredità, nei
discorsi dell’ultima cena: “Il Padre vi ama” (Gv
16,27). Il Padre ci ama: con questa certezza nel cuore
ogni difficoltà, ogni tristezza, ogni pessimismo diventa
per noi superabile.
LA CONOSCENZA DEL PADRE
Chi è “di Cristo” riceve in dotazione anche la certezza
dell’esistenza di Dio. Ma non di un Dio filosofico, che
all’uomo in quanto uomo non interessa granché; non
di un Dio che viene chiamato in causa solo per dare un
cominciamento e un impulso alla macchina
dell’universo, e poi lo si può frettolosamente
congedare perché non interferisca e non disturbi; non
di un Dio che, dopo il misfatto della creazione,
parrebbe essersi reso latitante. Questa è, press’a poco,
la concezione “deistica”, e non ha niente a che vedere
né con l’insegnamento del Signore né con la nostra
vita. C’è anzi da dire che tra il deismo e l’ateismo, per
quel che personalmente ci riguarda, la differenza non è
poi molta. Il nostro Dio è “il Padre del Signore nostro
Gesù Cristo “, come amava ripetere san Paolo. E lo si
incontra, incontrando Gesù di Nazaret e il suo
Vangelo: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio –
lo ha detto lui esplicitamente – e colui al quale il
Figlio vorrà rivelarlo” (Mt 11,27).
CHI È L’UOMO
Facendoci conoscere il Padre, Gesù ci porta anche alla
miglior comprensione di noi stessi: ci fa conoscere chi
siamo in realtà, quale sia lo scopo del nostro penare
sulla terra, quale ultima sorte ci attenda. “Cristo – dice
il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero
del Padre e del suo amore, svela anche pienamente
l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima
vocazione” (Gaudium et spes 22). Così veniamo a
sapere – e nessuna notizia è per noi più interessante e
risolutiva di questa – che siamo stati chiamati ad
esistere non da una casualità anonima e cieca, ma da
un progetto sapiente e benevolo. Veniamo a sapere che
l’uomo non è un viandante smarrito che ignora donde
venga e dove vada né perché mai si sia posto in
viaggio, ma un pellegrino motivato, in cammino verso
il Regno di Dio (che è diventato anche suo) e verso
una vita senza fine. Il dilemma tra l’essere increduli e
l’essere credenti è in realtà il dilemma tra il ritenersi
collocati entro un guazzabuglio insensato e il
conoscere di essere parte di un organico e rasserenante
disegno d’amore. L’alternativa, a ben considerare, sta
fra un assurdo che ci vanifica e un mistero che ci
trascende; alternativa che esistenzialmente diventa
quella tra un fatale avvìo alla disperazione e una
vocazione alla speranza. Perciò san Paolo può
ammonire i cristiani di Tessalonica a non essere
malinconici e sfiduciati come gli altri; “come gli altri –
egli dice – che non hanno speranza” (1Ts 4,13).
Questa è dunque la sorte invidiabile di coloro che sono
“di Cristo”: dal momento che “conoscono le cose
come stanno”, non sono costretti ad appendere ai punti
interrogativi la loro unica vita.
LA SFORTUNA DELL’ATEO
Si può intuire quanto sia grande a questo proposito la
nostra fortuna, soprattutto se ci si rende conto davvero
della poco invidiabile condizione degli atei. I quali,
messi di fronte ai guai inevitabili in ogni percorso
umano, non hanno nessuno con cui prendersela. Un
ateo – che sia veramente tale – non trova interlocutori
competenti e responsabili con cui possa discutere dei
mali esistenziali, e lamentarsene. Non c’è nessuno
contro cui ribellarsi, e ogni sua contestazione, a ben
pensarci, risulta un po’ comica. Di solito, in mancanza
di meglio, finisce coll’aggredire i credenti; ma è un
bersaglio che non è molto appagante, perché i credenti
(se sono saggi) se ne infischiano di lui e non gli
prestano molta attenzione. Un ateo, se non vuol
clamorosamente rinunciare a ogni logica e a ogni
coerenza, è privato perfino della soddisfazione di
bestemmiare. E questa è la più comica delle
disavventure. Clave Staples Lewis (l’autore delle
famose Lettere di Berlicche), ricordando il tempo della
sua incredulità, confessava: “Negavo l’esistenza di
Dio ed ero arrabbiato con lui perché non esisteva”.
“DOVE C’È LA FEDE, LÌ C’È LA LIBERTÀ”
Un’altra grande fortuna di coloro che sono “di Cristo”
è quella di essere liberi. Abbiamo ricevuto a questo
riguardo una precisa promessa: “Se rimanete nella mia
parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la
verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32). Il
principio di questa prerogativa inalienabile del
cristiano è la presenza in noi dello Spirito Santo:
“Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà” (2Cor
3,17); quello Spirito che, secondo la parola di Gesù, ci
guida alla verità tutta intera (cf. Gv 16,13). Vale a
dire, come abbiamo appena visto, ci chiarifica “le cose
come stanno”. Sant’Ambrogio enuncia icasticamente
questo caposaldo dell’antropologia cristiana, scrivendo
in una sua lettera: “Dove c’è la fede, lì c’è la libertà”.
UN DIO CHE AMA
Gesù poi – rivelandoci, attraverso il mistero della sua
passione e della sua gloria, che anche l’umiliazione, la
sofferenza, la morte trovano posto in un disegno
d’amore che tutto riscatta e alla fine conduce alla gioia
– ci preserva anche dalla follìa di chi arriva a
ipotizzare, fondandosi sulla sua stessa personale
esperienza, che un Dio probabilmente esiste; ma, se
esiste, è malvagio e causa di ogni malvagità. È il
sentimento espresso, per esempio, nella spaventosa
professione di fede di Jago nell’Otello di Verdi all’atto
secondo: “Credo in un Dio crudel che m’ha creato
simile a sé”. Il Dio che ci è fatto conoscere dal
Redentore crocifisso e risorto, è un Dio che ci vuol
bene e, come dice san Paolo, fa in modo che “tutto
20
ANAGRAFE PARROCCHIALE
B
A T T E S I M I
RYAN EPIS
di Lino e Loredana Maurizio
nato il 30 Maggio 2012
Battezzato il 29 Luglio 2012
(Oltre il Colle - Zambla)
DAMIANO DOLCI
di Paolo e Piera Palazzi
nato il 28 Aprile 2012
Battezzato il 24 Giugno 2012
(Zorzone)
LUCA ROBALDO
di Luigi e Sara Carrara
nato il 4 Ottobre 2011
Battezzato il 30 Settembre 2012
(Oltre il Colle)
N
DON GIUSEPPE RIZZI
di anni 77
defunto l’08/07/2012
(Albino - Zambla Bassa)
E L L A
V I T A
E T E R N A
PAOLA CANIATO
di anni 85
defunta il 14/07/2012
(Milano - Zambla Bassa)
21
LUISA TIRABOSCHI
di anni 60
defunta il 20/07/2012
(Seriate - Zambla Alta)
PIETRO VALLE
di anni 88
defunto il 02/06/2012
(Milano - Zambla Bassa)
BRUNO RIZZI
di anni 81
defunto il 01/09/2012
(Trescore - Zambla Bassa)
ELINA GIULIA RIZZI
di anni 89
defunta il 07/09/2012
(Zambla Bassa)
CAMILLA PALAZZI IN COLOMBO
di anni 69
defunta il 22/07/2012
(Zorzone)
ELISABETTA RIZZI
di anni 72
defunta il 01/10/2012
(Varese - Zambla Bassa)
MICHELE COLOMBO
di anni 68
defunto il 21/08/2012
(Zorzone)
MARIA PALAZZI VED. SCOLARI
di anni 85
defunta il 13/08/2012
(Zorzone)
22
CINZIA TIRABOSCHI IN BUGATTI
di anni 48
defunta il 6/08/2012
(Oneta - Zambla Bassa)
LUIGI TIRABOSCHI
di anni 75
defunto il 24/07/2012
(Zambla Alta)
Caro Luigi dopo tàt laurà
‘nc ö to sé riàt a chèla cà
‘ndo töcc ü de en riérà
da ché to ardéré ai baite di mucc
che i éra la tò passiù
de bergamì, ma dé chi bù
La tò l’è stacia öna éta de inemuràt
De besciam, de mucc e de pràcc
Da bù montagnér
L’tà piasìa i noscc séntér
E Samla Olta e la tò cà
To è mai ülit bandunà
I tò ültem tép i è stàcc ‘mpo dulurus
Dét e fò di ospedài
Per sircà de guarì i tò mài
‘Ncö de sigür to sé riat en paradis
perché ü décc el dis
chi che mör a l’ospedàl
i’à facc la peniténsa de ogné màl
Dio del Cielo, Signur del paradis
Laghì ‘ndà sö per i mùcc ol nost amis
Ciao Luigi che la tèra la ta sies dulsa.
Sergio Fezzoli
Cara cüsina Cinsia
To séret amó zuena e avrès mai pensàt
de gni ché en Cèsa a salüdat.
La tò età de Spùsa to l’è passada che,
al Santüare del Frassen töcc i tò de.
Al Santüare to è lauràt assé,
Cà, Césa e cancelleria töt ol dé
e la nóce de la Madóna de la nif
la Madóna del Frassen la t’à ülit en paradis
Come fìur noél,
la t’à portàt sö ndi giardì dol Cél.
El mör zùen chel che al Cél l’gha piàs,
e noter ngh’à da mét ol cör en pàs.
L’è stacia cürta Cinsia la tò età
e asse maldorleta.
Ma sö la facia to gh’iet sémper ol soris,
per la tò zét e i amis.
To séret öna de noter, facia zó ala bùna,
l’ta piasia fà la batida en prima persùna.
Sémpèr ben vesta en Val Serina, ma à en Val del Ris
tocc i èra tò amis.
E ‘ncö i è che ‘ntance a prega e salüdat
per ol bù èsempé chè to è lagàt.
Ades to manchéré a la tò famèa,
al Santüare, al pais, ma la tò memoria
che l’è zamò ‘nda Stòria
la sarà sémper che töce dé.
Da stassira söi noscc mùcc l’gh’è ‘npiö öna stèla,
‘nmess ai ótre l’è la piö bela.
Ciao Cinsia da fò de là
regorda la tò zét, ol tò Papà
e à de noter che ‘nresta che a trebülà.
Sergio Fezzoli.
Periodico dell’Unità Pastorale Alta Valle Serina.
È distribuito gratuitamente a tutte le famiglie dell’Unità
Pastorale Alta Valle Serina (parrocchie di Oltre il Colle,
Zambla e Zorzone), a preti, religiose e religiosi nativi o che
hanno prestato servizio in parrocchia.
Per chi desidera riceverlo via posta chiediamo un contributo
SPESE DI SPEDIZIONE PER 4 NUMERI :
Italia: 8,00 Euro
Europa: 10,00 Euro
Africa - Asia - Americhe: 16,80 Euro
Oceania: 18,80 Euro
23
UN MIRACOLO NELLA STORIA DI ZAMBLA ALTA
Entrando per la porta principale della Chiesa di
S. Maria Immacolata in Zambla Alta si nota, in
alto a sinistra, un quadro che rappresenta un
episodio accaduto proprio a Zambla più di un
secolo e mezzo fa...
Il giorno 11 settembre 1857 uno straordinario
furiosissimo e terribilissimo temporale,
minacciava ai Malghesi di Zambla l’intera
distruzione della loro mandria, quando veduti
tornare ormai vani ogni loro sforzo per salvarla,
anzi vedendo in pericolo la loro stessa vita, si
rivolsero devotamente, e con viva fede d’essere
esauditi chi alla Santa Vergine Immacolata e chi
alle Anime Sante del Purgatorio affidando se
stessi e i loro bestiami all’invocata protezione;
quand’ecco, oh Miracolo! Videro tutti, sebbene
tramortiti dallo spavento e sbattuti qui e là per
terra dalla bufera e quasi intirizziti dalla gelida
tempesta rinforzata dal soffiar dei venti
settentrionali e videro improvvisamente di mezzo
ai lampi che rompevano l’oscurità della tenebrosa
burrasca, uno sconosciuto vestito da mandriano, il
quale postosi a camminare come guida innanzi
alle bestie tenendo alzato in aria il bastone fra
quelle tutte che prima erano abbandonate a se
stesse altre ogni dire spaventate correvano a certa
mina in un profondo vicinissimo vallone, cosa
meravigliosa! Come se nulla fosse, in tanta
disastrosa procella, neppure una vi fu che nol
seguisse e così poste fora d’ogni pericolo, e
fermatele in luogo sicuro, non essendone perita
neppure una sola, disparve.
Cessato il temporale e non essendone risultato
danno o lesione alcuno né per parte delle persone
che erano circa 20, né per parte delle bestie che
sommavano a più di 200, a perpetua memoria e
gratitudine della grazia ricevuta quei malghesi
devotamente e concordemente vollero che quel
fatto da tutti riconosciuto per visibile Miracolo
fosse dipinto e tramandato alla memoria dei
posteri per comune conforto ed edificazione, e qui
davanti all’altare di Maria Vergine Immacolata,
sempiternamente collocato.
Don Giuseppe Rota, Cappellano di Zambla
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www.webalice.it/gerolamopalazzi
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Luglio Settembre