Esonerato dal Consiglio dei Vampiri e dalla sua posizione di Sacerdote nella Casa della Notte, Neferet ha giurato vendetta a Zoey. Con Awakened, l’affiatata coppia di scrittori P.C. e Kristin Cast, torna con un altro affascinante episodio sui vampiri della Casa della Notte. Umani e esseri soprannaturali convivono in questa saga che è diventata in poco tempo un vero e proprio fenomeno editoriale. Heath, il fidanzato di Zoey, muore lasciando la ragazza in preda alla disperazione e imprigionata nell’Aldilà. La sua anima è stata divisa in mille pezzettini e il ritorno nel mondo normale sembra impossibile. Neferet ha il totale dominio su Kalona e questa è solo una delle armi che ha intenzione di usare contro Zoey, per vendicarsi e torturarla fino all’ultimo spasmo. Ma Zoey trova rifugio sull’isola di Skye e viene curata dalla regina Sgiach che le propone di rimanere lì e di “lavorare” per lei. In fondo perché dovrebbe tornare a Tulsa? Dopo aver perso il suo consorte Heath, lei e la sua vita non saranno più le stesse e il suo rapporto con il suo super guerriero, Stark, non potrà mai consolarla per un vero e unico amore perduto. La scelta per Zoey sembra difficile e non tornare sembra la soluzione più facile e quella meno dolorosa: abbandonare tutto e tutti, senza creare più problemi e dimenticando il dolore in cui è sprofondata. E che dire di Steve Rae e Refaim? Nell’ottavo libro della serie della Casa della Notte, genialmente creato da padre e figlia, P.C. e Kristin Cast, ogni scelta è vissuta fino al cardiopalmo e ogni personaggio è attanagliato da dubbi atroci. Fino a che punto si estendono i vincoli di amicizia che legano tutti i ragazzi della Casa? E quanto sono forti i legami che vincolano il cuore della nostra Zoey? La ragazza, se decide di tornare, dovrà affrontare una delle prove più difficili della sua vita: convivere con il fantasma del suo fidanzato morto, riportato in vita da Neferet per usarlo contro di lei. Il suo scopo è uno solo: uccidere la giovane vampira. Awakened è la disfatta di Zoey Redbird, ma anche la sua rinascita e una nuova luce per tutta la Casa della Notte. Lo ammetto: da quando Heath è morto, mi sento come svuotata. Stavamo insieme da sempre, da prima che io ricevessi il Marchio e diventassi la famosa Zoey Redbird, la novizia vampira più dotata della Storia. È per questo che volevo accettare la proposta di Sgiach – la regina dei Guerrieri – di restare per sempre sull’isola di Skye. Credevo infatti che solo in quel posto sperduto sarei riuscita a dimenticare il dolore. Poi, però, Stevie Rae mi ha contattato per riferirmi una notizia sconvolgente: uno dei nostri migliori amici è morto. Sebbene non possa dimostrarlo, lei è certa che sia stato ucciso da Neferet. Purtroppo nessuno le crede: in effetti, chi sospetterebbe della Somma Sacerdotessa della Casa della Notte di Tulsa? Tuttavia io so di cosa è capace quella vampira: è talmente malvagia da essersi perfino alleata col Male personificato! Devo farmi forza. Ho già perso le due persone che più mi stavano a cuore, non posso permettere che accada di nuovo. Tornerò a casa e combatterò. Perché, altrimenti, tutti i vampiri cadranno vittima di Neferet e il mondo sprofonderà nel caos… P.C. Cast è nata a Watseka, Illinois, ma ha trascorso parte della sua giovinezza in Oklahoma, imparando ad amare i cavalli da corsa e la mitologia. Dopo il liceo, si è arruolata nell’Aeronautica ma, nel frattempo, ha continuato a nutrire la sua passione per la narrativa, alla quale adesso si dedica quasi interamente, alternandola al lavoro di insegnante. Kristin Cast è sua figlia e frequenta l’University of Tulsa, dove studia Comunicazione. La parola scritta l’ha sempre affascinata: al liceo, era direttore del giornale della scuola e adesso è un’autrice a tutti gli effetti. I romanzi con protagonisti Zoey e i vampiri della Casa della Notte hanno ottenuto un enorme successo in tutto il mondo e la serie è diventata un fenomeno di culto. In copertina: foto © Herman Estevez Grafica: Rumore Bianco Titolo originale: Awakened Traduttore: Elisa Villa ISBN 978-88-429-1890-5 © 2010 by P.C. Cast and Kristin Cast Originally published by St. Martin Press, LLC © 2011 Casa Editrice Nord s.u.r.l Gruppo editoriale Mauri Spagnol Prima edizione ottobre 2011 VOLUME DLB 197 Kristin e io vogliamo dedicare questo libro a tutti gli adolescenti omosessuali, bisessuali e transessuali. Le preferenze sessuali non contano, è la vostra anima che definisce quello che siete. Col tempo va meglio. We you. RINGRAZIAMENTI Come sempre, vogliamo ringraziare la nostra famiglia della St Martin’s Press. È magnifico poter dire sinceramente che amiamo e stimiamo la nostra casa editrice! Grazie alla nostra agente, Meredith Bernstein: senza di lei la Casa della Notte non esisterebbe. We you! Grazie ai nostri fan, che sono i lettori più intelligenti, strafighi e favolosi dell’intero universo! Un ringraziamento speciale ai nostri sostenitori e concittadini che hanno reso divertente da matti il tour della Casa della Notte di Tulsa. Grazie anche a Stephen Schwartz, per averci consentito di usare il testo della sua magica canzone. We you! (Anche Jack you, Stephen!) P.S. A Joshua Dean da Phyllis: grazie per le citazioni... Heeheeheehees! CAPITOLO 1 NEFERET Neferet si svegliò con un preoccupante senso di ansia. Prima di lasciare del tutto quella zona neutra tra i sogni e la realtà, allungò le eleganti dita affusolate verso Kalona. Il braccio che sfiorò era muscoloso, la pelle liscia, tesa e morbida sotto la sua mano. Bastò quella carezza leggera come il tocco di una piuma: lui si mosse e si voltò verso di lei. «Mia Dea?» Aveva la voce impastata di sonno e rinnovato desiderio. La infastidiva. Tutti la infastidivano perché non erano lui. «Vattene...» Fece una pausa, cercando nella memoria quel nome ridicolo ed eccessivamente ambizioso. «Kronos.» «Dea, ho fatto qualcosa che ti ha contrariata?» Neferet alzò lo sguardo verso di lui. Il giovane Figlio di Erebo era sdraiato accanto a lei e la fissava con espressione adorante. I suoi occhi color acquamarina erano straordinari alla fioca luce delle candele, almeno quanto le erano sembrati in precedenza, mentre lo osservava allenarsi nel cortile del castello. Erano stati quegli occhi a far nascere il desiderio in lei, ed era bastato un cenno d’invito perché lui la raggiungesse e tentasse, inutilmente anche se con grande entusiasmo, di dimostrare di essere un dio non solo di nome ma anche di fatto. Il problema era che Neferet aveva diviso il letto con un immortale, quindi sapeva benissimo che quel ragazzo non sarebbe mai stato all’altezza. «Respirare», rispose in tono annoiato. «Respirare, mia Dea?» Kronos aggrottò la fronte. Il suo tatuaggio, che in teoria rappresentava delle armi antiche, a Neferet sembrava piuttosto un frivolo scoppio di fuochi d’artificio. «Mi hai chiesto cos’hai fatto per contrariarmi e io ti ho risposto: stai respirando. Troppo vicino a me. Questo mi ha contrariata. È ora che lasci il mio letto.» Neferet sospirò e gli fece cenno di andarsene. «Vattene. Subito.» Vedendo l’espressione ferita e sconvolta sul viso del giovane, si mise quasi a ridere. Che quel ragazzo avesse davvero creduto di poter sostituire il suo divino Consorte? L’impertinenza di quel pensiero la fece infuriare. Negli angoli della stanza presero ad agitarsi ombre nelle ombre. Neferet non le chiamò a sé, ma ne percepì compiaciuta il fremito. «Kronos, tu sei stato una distrazione e, per un breve istante, mi hai anche dato un certo piacere.» Lo toccò di nuovo, stavolta però con molta meno gentilezza, e le sue unghie gli lasciarono due graffi paralleli sull’avambraccio muscoloso. Il giovane guerriero non trasalì e non si allontanò, mettendosi invece a tremare, mentre il respiro si faceva più profondo. Neferet sorrise. Aveva capito che il dolore gli procurava piacere nell’attimo in cui i loro sguardi si erano incrociati. «Potrei distrarti ancora, se me lo permettessi», le disse. Neferet si inumidì le labbra, muovendo la lingua molto lentamente, senza mai staccare gli occhi da lui. «Forse in futuro. Forse. Per ora ti chiedo solo di andartene e di continuare a venerarmi.» «Mi auguro di poterti dimostrare presto quanto sia ardente il mio desiderio di venerarti.» Kronos allungò la mano verso di lei. Grave errore. Come se avesse avuto il diritto di toccarla. Come se i desideri di lei fossero subordinati alle necessità e alle voglie di lui. Una piccola eco dal lontano passato di Neferet, quello che lei credeva di avere sepolto assieme alla propria umanità, s’infiltrò nella sua mente. Riprovò la sensazione del tocco di suo padre e sentì persino l’odore rancido del suo fiato intriso di alcol, e la sua infanzia invase il presente. La reazione di Neferet fu immediata. Con estrema naturalezza, sollevò una mano, palmo in fuori, in direzione dell’ombra più vicina. La Tenebra reagì al suo tocco ancora più rapidamente di Kronos. Neferet ne percepì il gelo mortale e si crogiolò in quella sensazione, soprattutto perché aveva il potere di scacciare i ricordi indesiderati. Quasi con indifferenza, spinse le ombre verso Kronos. «Se desideri tanto il dolore, allora prova il mio fuoco di ghiaccio.» I fili di oscurità che Neferet scagliò contro Kronos penetrarono con foga la liscia pelle del giovane, incidendo nastri scarlatti sull’avambraccio che lei aveva appena accarezzato. Lui gemette, stavolta per la paura. «Adesso fa’ ciò che ti ordino. Vattene. E ricorda, giovane Guerriero, che una dea sceglie da sé quando, dove e come essere toccata. Non osare mai più prenderti simili libertà.» Stringendosi il braccio sanguinante, Kronos le fece un inchino. «Sì, mia Dea.» «Quale dea? Sii preciso, Guerriero! Non desidero affatto essere chiamata in modo così generico.» La risposta fu immediata: «Nyx incarnata. È questo il tuo titolo, mia Dea». L’espressione di Neferet si addolcì, il volto tornò una maschera di bellezza e calore. «Molto bene, Kronos, molto bene. Vedi com’è facile compiacermi?» Stregato dallo sguardo di smeraldo della vampira, il giovane annuì, poi si portò il pugno destro sul cuore e disse: «Sì, mia Dea, mia Nyx». Dopo di che uscì dalla stanza da letto indietreggiando in maniera molto rispettosa. A Neferet sfuggì un altro sorriso. Lei non era affatto Nyx incarnata, tuttavia non aveva importanza. Quello che contava era il potere e, se quel titolo l’aiutava a ottenerlo, soprattutto coi Figli di Erebo, allora che la chiamassero pure in quel modo. «Io non voglio essere certo inferiore a una dea. Aspiro a molto, molto di più che restarmene all’ombra del suo nome», disse all’oscurità riunita intorno a lei. Presto sarebbe stata pronta al passo successivo: sapeva di poter manovrare alcuni Figli di Erebo in modo che stessero al suo fianco, non in numero sufficiente da sperare di poter vincere una battaglia, ma abbastanza per mettere i Guerrieri l’uno contro l’altro, distruggendone il morale. Uomini, così facili da ingannare con la maschera della bellezza e del titolo, e così facili da usare a mio vantaggio, pensò sprezzante. Irrequieta, decise che era arrivato il momento di alzarsi. Indossò una vestaglia di seta e uscì in corridoio. Prima di avere riflettuto sulle proprie azioni, era già diretta alla scala che l’avrebbe portata nelle viscere del castello. Le ombre tra le ombre la seguirono, magneti oscuri attirati dalla sua crescente agitazione. Neferet sapeva che si muovevano con lei. Sapeva che erano pericolose e che si nutrivano del suo disagio, della sua rabbia, della sua insoddisfazione. Mentre scendeva, si fermò. Perché torno ancora da lui? Perché stasera gli consento d’invadere la mia mente? Neferet scosse la testa, come a scacciare quel pensiero indesiderato, e parlò rivolta alla scala stretta e vuota, alla Tenebra che le indugiava intorno, premurosa: «Vado perché è ciò che desidero fare. Kalona è il mio Consorte. È stato ferito mentre era al mio servizio. È naturale che pensi a lui». Con un sorriso soddisfatto, Neferet proseguì, cancellando senza fatica la verità, ossia che Kalona era stato ferito perché lei l’aveva intrappolato con l’inganno, costringendolo a servirla. Raggiunse i sotterranei, scavati secoli prima nella roccia dell’isola di Capri, e camminò in silenzio nel corridoio illuminato dalle torce. Il Figlio di Erebo di guardia fuori della cella non riuscì a nascondere la sorpresa e il sorriso di Neferet si allargò: a giudicare dall’espressione sconvolta e un po’ impaurita del guerriero, stava diventando sempre più brava ad apparire all’improvviso, come se si materializzasse dal nulla, o meglio da ombre e notte. L a cosa la rallegrò, ma non abbastanza da ingentilire il tono crudele del suo ordine: «Vattene. Desidero rimanere sola col mio Consorte». Il Figlio di Erebo esitò appena un istante, che però fu sufficiente perché Neferet prendesse mentalmente nota di assicurarsi che, nei giorni successivi, quel guerriero venisse richiamato a Venezia. Magari per un’emergenza riguardante qualcuno che gli era vicino... «Sacerdotessa, ti lascio alla tua intimità. Sappi però che rimango nelle vicinanze e risponderò subito alla tua chiamata, in caso dovessi avere bisogno di me.» Senza incrociare lo sguardo di lei, il guerriero si portò il pugno sul cuore e fece l’inchino, non abbastanza profondo per i gusti di Neferet. «Sì, ho la sensazione che alla sua compagna stia per accadere una disgrazia», mormorò alle ombre mentre lo guardava allontanarsi. Poi Neferet si voltò verso la porta chiusa, lisciando la seta della vestaglia. Prese un profondo respiro nell’aria umida del sotterraneo e si scostò dal viso una ciocca di capelli ramati, come se stesse preparando la sua arma migliore per un combattimento. Le bastò sollevare una mano e la porta si aprì da sola. Entrò nella stanza. Kalona giaceva sul pavimento di terra battuta. Neferet avrebbe voluto creargli un letto, ma il buon senso aveva avuto la meglio: lui non era suo prigioniero, tuttavia aveva una missione da compiere, una missione che doveva portare a termine per il suo stesso bene e, se il corpo avesse recuperato troppa forza immortale, per Kalona sarebbe stata una distrazione davvero inopportuna. Soprattutto dato che aveva giurato di agire come la spada di lei nell’Aldilà, liberando entrambi dei disagi che Zoey Redbird aveva creato loro. Neferet si avvicinò. Il suo Consorte era sdraiato sulla schiena, nudo, coperto solo dalle ali nere come onice. Lei s’inginocchiò con grazia, poi si adagiò sulla pelliccia che aveva ordinato gli venisse posta accanto in modo da poter stare comoda. Sospirò e sfiorò la guancia di Kalona. La pelle era fredda, come sempre peraltro, ma senza vita. L’immortale non reagì al suo tocco. «Cos’è che ti trattiene così a lungo, amore mio? Non potevi liberarti più in fretta di una seccante ragazzina?» Lo accarezzò di nuovo e stavolta la sua mano scivolò dal collo al petto, per andarsi a fermare sugli addominali perfettamente scolpiti. «Ricorda il giuramento e fai il tuo dovere, cosicché io possa accoglierti nel mio letto a braccia aperte. Su sangue e Tenebra hai giurato d’impedire a Zoey Redbird di tornare nel suo corpo, in modo che io possa dominare questo magico mondo moderno... Oh, ovviamente tu sarai al mio fianco.» Invisibili a quegli sciocchi dei Figli di Erebo che avrebbero dovuto essere le spie del Consiglio Supremo, i neri tentacoli che bloccavano a terra Kalona rabbrividirono e si mossero, strofinandosi contro la mano di Neferet. Distratta da quel gelo seducente, la Somma Sacerdotessa aprì il palmo alla Tenebra, consentendole di afferrarle il polso e d’inciderle leggermente la pelle, non tanto da procurarle un dolore insopportabile, ma solo quanto bastava per dare un attimo di tregua all’inestinguibile brama di sangue. Ricorda il tuo giuramento... Quelle parole le solleticarono l’orecchio come un vento d’inverno tra rami spogli. Neferet aggrottò la fronte: era ovvio che non avesse dimenticato. Perché i fili di Tenebra bloccassero il corpo di Kalona e costringessero la sua anima a raggiungere l’Aldilà, Neferet aveva accettato di sacrificare la vita di un innocente che la Tenebra non fosse stata in grado di corrompere. La promessa rimane, Tsi Sgili. Il patto regge anche se Kalona dovesse fallire... «Kalona non fallirà!» gridò Neferet, inferocita. «E, se così fosse, ho legato il suo spirito al mio in modo da tenerlo ai miei ordini finché non resta immortale, quindi persino in caso di fallimento per me c’è una vittoria. Ma comunque non succederà.» Lo ripeté con lentezza, scandendo le parole, per recuperare una calma che ormai perdeva con facilità sempre maggiore. La Tenebra le leccò il palmo. Il dolore, per quanto lieve, le fece piacere e lei fissò con affetto i tentacoli, quasi fossero semplicemente dei gattini irruenti che rivaleggiavano per ottenere la sua attenzione. «Siate pazienti, tesorini. La sua ricerca non è stata completata. Il mio Kalona è ancora soltanto un guscio vuoto. Perciò posso supporre che Zoey languisca nell’Aldilà, non del tutto viva e, purtroppo, non ancora morta.» I fili che le stringevano il polso tremarono e, per un istante, a Neferet parve di udire in lontananza il rombo di una profonda risata di scherno. Ma non ebbe il tempo di comprendere che cosa significasse quel suono, né se fosse reale o solo un aspetto del mondo di Tenebra e potere che a poco a poco stava prendendo il posto di ciò che un tempo lei chiamava realtà, perché in quell’istante il corpo di Kalona ebbe un violento spasmo e lui trasse un profondo respiro molto simile a un rantolo. L’immortale aprì gli occhi, che in quel momento non erano altro che orbite insanguinate e vuote, sconvolte dall’orrore. «Kalona! Amore mio!» Neferet si mise in ginocchio, china su di lui, agitando le braccia davanti al suo viso. La Tenebra che le aveva accarezzato i polsi prese a pulsare con forza improvvisa, e con un sussulto schizzò via da lei per andare a unirsi alla miriade di tentacoli vischiosi che, simili a una ragnatela, incombevano palpitando dal soffitto di pietra del sotterraneo. Prima che Neferet riuscisse a formulare un ordine per richiamare a sé un tentacolo, per chiedere spiegazioni di quello strano comportamento, dall’alto esplose un lampo accecante, luminoso al punto che lei dovette proteggersi gli occhi. La rete di Tenebra afferrò la luce e la intrappolò con incredibile rapidità. Kalona aprì la bocca in un grido silenzioso. «Cosa c’è? Chiedo di sapere cosa sta succedendo!» urlò Neferet. Il tuo Consorte è tornato, Tsi Sgili. Neferet fissò il globo di luce imprigionata e, con un sibilo tremendo, la Tenebra gettò l’anima di Kalona nelle orbite vuote degli occhi, restituendola così al suo corpo. Accecato dal dolore, l’immortale alato si coprì il volto con le mani, mentre il corpo si contorceva e ansimava, cercando di riprendere il controllo della respirazione. «Kalona! Mio Consorte!» Neferet reagì d’istinto, con la rapidità acquisita negli anni in cui era stata la guaritrice della Casa della Notte. Premette i palmi sulle mani di Kalona e disse: «Allevia il suo dolore... cancellalo... rendi la sua agonia simile al rosso sole che tramonta all’orizzonte, lasciando il cielo alla notte». I brividi che scuotevano il corpo di Kalona iniziarono quasi immediatamente ad attenuarsi. L’immortale alato trasse un profondo respiro. Anche se gli tremavano le mani, afferrò strette quelle di Neferet e se le tolse dal viso. Poi aprì gli occhi. Erano dell’intenso colore ambrato di un buon whisky, limpidi e presenti. Era di nuovo se stesso. «Sei tornato da me!» Per un attimo Neferet si sentì così sollevata vedendolo sveglio e lucido da mettersi quasi a piangere. «Hai portato a termine la tua missione.» Allontanò i tentacoli che si ostinavano ad avvilupparsi intorno al corpo di Kalona, fissandoli corrucciata perché parevano riluttanti a lasciare la presa sul suo amante. «Portami via dalla terra... Al cielo. Devo vedere il cielo», disse Kalona con voce roca. «Ma sì, certo, amore mio.» Neferet sollevò una mano e la porta si aprì di nuovo. «Guerriero! Il mio Consorte si è svegliato. Aiutalo a raggiungere la cima del castello!» Il Figlio di Erebo che qualche minuto prima l’aveva seccata obbedì all’ordine senza fare domande, ma Neferet notò che sembrava sconvolto dalla presenza di Kalona. Neferet gli rivolse un ghigno sprezzante. E il meglio deve ancora venire. Presto tu e gli altri Guerrieri prenderete ordini soltanto da me. Altrimenti morirete, pensò soddisfatta mentre seguiva i due uomini fuori delle viscere dell’antica fortezza di Capri, su per l’infinità di gradini di pietra che la condussero alla sommità dell’edificio. Era passata mezzanotte. La luna era sospesa sopra l’orizzonte, gialla e pesante anche se non ancora piena. «Accompagnalo alla panchina e poi lasciaci soli», ordinò Neferet indicando la panca di marmo scolpito da cui si godeva una splendida vista del Mediterraneo. Ma a lei non interessavano le bellezze che aveva intorno. Allontanò il guerriero con un gesto stizzito, pur sapendo che il giovane avrebbe comunicato al Consiglio Supremo che l’anima del suo Consorte aveva fatto ritorno nel corpo. In quel momento non aveva importanza. Avrebbe potuto affrontare la questione in seguito. In quel momento contavano soltanto due cose: Kalona era tornato da lei e Zoey Redbird era morta. CAPITOLO 2 NEFERET «Dimmi. Raccontami tutto, lentamente e in modo chiaro, perché voglio assaporare ogni parola.» Neferet s’inginocchiò davanti a Kalona e accarezzò le sue morbide ali scure, cercando di non tremare pregustando il tocco di lui, il ritorno della sua fredda passione, del suo calore di ghiaccio. «Cosa vuoi che ti dica?» Kalona, seduto sulla panchina, teneva il viso rivolto al cielo, abbracciando la notte con le ali spiegate, come se potesse nutrirsi di quella scura immensità. La domanda colse Neferet di sorpresa. Il desiderio passò di colpo e la sua mano smise di accarezzarlo. «Vorrei che mi raccontassi i particolari della nostra vittoria in modo da poterla rivivere e assaporare assieme.» Gli parlò con lentezza, pensando che forse il suo cervello era ancora un po’ disorientato. «La nostra vittoria?» sbottò Kalona. Neferet strinse le palpebre. «Certo. Tu sei il mio Consorte, quindi la tua vittoria è mia, proprio come la mia è anche tua.» «La tua gentilezza è quasi divina. Sei diventata una dea durante la mia assenza?» Neferet lo studiò con attenzione. Continuava a non guardarla. Il tono di voce era quasi piatto. Che fosse insolenza? Rispose alla domanda con un’alzata di spalle. «Cos’è successo nell’Aldilà? Com’è morta Zoey?» Non appena gli occhi d’ambra dell’immortale la fissarono, la vampira capì e, con un gesto infantile, si coprì le orecchie e prese a scuotere la testa mentre lui pronunciava le parole che le trafissero l’anima come un colpo di spada: «Zoey Redbird non è morta». Neferet si alzò e s’impose di abbassare le mani, quindi si allontanò da Kalona, tenendo gli occhi fissi sul liquido zaffiro del mare di notte. Prese dei respiri lenti, tentando di controllare le emozioni che minacciavano di travolgerla. Quando infine fu certa che non avrebbe urlato furiosa contro il cielo, replicò: «Perché? Perché non hai portato a termine la tua missione?» «La missione era tua, Neferet. Non è mai stata mia. Sei stata tu a costringermi a tornare in un regno da cui ero stato bandito. Ciò che è accaduto era prevedibile: gli amici di Zoey le hanno fatto scudo e, col loro aiuto, lei è riuscita a guarire la sua anima in pezzi e a ritrovare se stessa.» «Perché non hai impedito che succedesse?» La voce di Neferet era gelida. Non lo guardava nemmeno. «Nyx», sussurrò Kalona, in tono basso e rispettoso, neanche fosse una preghiera. Neferet fu accecata dalla gelosia. «Cosa c’entra la Dea?» chiese quasi con disprezzo. «È intervenuta.» «Come? Ti aspetti che creda che Nyx si sia davvero intromessa nella scelta di un mortale?» «No, non si è intromessa, è intervenuta. E solo dopo che Zoey si era già curata da sé. Per questo Nyx le ha dato la sua benedizione, che l’ha aiutata a salvare il suo Guerriero.» «Zoey è viva.» La voce di Neferet era piatta, fredda, inerte. «Sì.» «Allora sei in debito con me e la tua anima immortale continuerà a essere sottomessa al mio volere.» Fece per allontanarsi da lui, dirigendosi verso le scale. «Dove stai andando? Cos’accadrà adesso?» Disgustata dalla debolezza che aveva colto nella voce dell’immortale, Neferet si girò verso di lui, orgogliosa, con le braccia alzate, di modo che i tentacoli che le pulsavano intorno potessero accarezzarle la pelle. «Cos’accadrà adesso? Molto semplice: mi assicurerò che Zoey torni in Oklahoma e lì porterò a termine il compito in cui tu hai fallito. A modo mio.» «Quanto a me?» domandò l’immortale. «Tornerai a Tulsa anche tu, da solo. Non possiamo farci vedere in pubblico. Non ricordi, amore mio, che ora tu sei un assassino? La morte di Heath Luck è stata opera tua.» «Opera nostra», replicò Kalona. Lei gli rivolse un sorriso viscido. «Non secondo il Consiglio Supremo. Ascoltami bene: ho bisogno che recuperi in fretta le forze. Domani, all’imbrunire, dovrò riferire al Consiglio che la tua anima ha fatto ritorno e che mi hai confessato di avere ucciso il ragazzo umano perché ritenevi che lui costituisse una minaccia per la mia incolumità. Dirò che, siccome lo hai fatto per proteggermi, ho deciso di essere clemente nell’assegnarti una punizione: ti ho fatto dare cento frustate e ti ho bandito dal mio fianco per un secolo.» Kalona faticava a rimanere seduto e Neferet fu felice di vedere nei suoi occhi d’ambra un lampo di rabbia. «Intendi restare lontana da me per un secolo?» «Ovviamente no. Dopo che le ferite saranno guarite, ti concederò di tornare al mio fianco. E da quel momento torneremo... vicini come un tempo, solo lontani da occhi indiscreti.» «E per quanto ti aspetti che mi aggiri nell’ombra fingendo di guarire da ferite inesistenti?» Kalona inarcò le sopracciglia: sebbene fosse debole e sconfitto, sembrava non aver perso la sua arroganza. «Mi aspetto che tu non mi stia più accanto finché le ferite non saranno guarite. Per davvero.» Con un gesto rapido e preciso, Neferet si morse un polso, creando subito un cerchio di sangue. Poi iniziò a camminare in circolo col braccio sollevato, mentre vischiosi tentacoli di Tenebra le scivolavano avidi intorno al polso, attirati dal sangue come sanguisughe. Neferet strinse i denti, obbligandosi a non arretrare neanche nel momento in cui i fili taglienti presero a colpirla come coltellate. Quando finalmente sembrarono essersi nutriti abbastanza, lei si rivolse dolcemente ai tentacoli. «Avete avuto la vostra ricompensa, ora eseguite i miei ordini.» Spostò lo sguardo sul suo amante immortale. «Frustatelo con forza. Cento volte.» Poi scagliò la Tenebra contro Kalona. L’immortale ebbe appena il tempo di spiegare le ali e sollevarsi un poco dalla terrazza del castello, che i tentacoli affilati come rasoi si avvolsero intorno all’attaccatura delle ali, nel punto più sensibile. Invece di volare via, Kalona si ritrovò in trappola, inchiodato contro l’antica balaustra di pietra mentre la Tenebra, lenta e metodica, cominciava a incidergli la schiena nuda. Neferet restò a guardare finché la splendida testa orgogliosa di lui non si chinò sconfitta e il suo corpo prese a contorcersi sotto ogni colpo. «Non lasciategli segni permanenti. Ho tutte le intenzioni di godermi di nuovo la bellezza della sua pelle», disse prima di dare le spalle all’immortale e allontanarsi con aria risoluta dalla sommità insanguinata del castello. «A quanto pare devo fare tutto da sola, e di cose da fare ce ne sono così tante... così tante...» mormorò alla Tenebra che le si agitava intorno alle caviglie. Tra le ombre nelle ombre, le sembrò di intravedere la sagoma di un immenso toro che la osservava compiaciuta. Neferet sorrise. CAPITOLO 3 ZOEY Per la milionesima volta, pensai che la sala del trono di Sgiach fosse davvero incredibile. E lo era pure lei: detta anche «Grande Collezionista di Teste», era un’antica regina vampira strapotente e, cavolo, tanto tempo prima aveva persino osato sfidare – con successo – il Consiglio Supremo dei Vampiri. Il suo castello però non era una disgustosa versione medievale di un campeggio coi bagni all’aperto. Certo, si trattava di una fortezza, ma era quello che qui in Scozia definivano posh, ossia molto raffinata e snob. Tutte le finestre davano sul mare, e la vista, soprattutto quella che si godeva dalla sala del trono, era talmente splendida che sembrava uscita da un televisore full HD. «È bellissimo qui.» Okay, parlare da sola, per di più poco dopo essere be’, sì, tipo impazzita nell’Aldilà, poteva non essere proprio una grande idea. Sospirai e mi strinsi nelle spalle. «Che cavolo, Nala non c’è, Stark è praticamente fuori combattimento, Afrodite sta facendo cose cui preferisco non pensare assieme a Dario, Sgiach è in giro a fare magie o ad allenarsi con Seoras a prendere a calci nel sedere i cattivi in stile supereroe... non è che mi siano rimaste molte altre persone con cui parlare.» «Stavo solo controllando le e-mail. Niente a che vedere con magie e calci nel sedere.» Immagino che avrebbe dovuto farmi sobbalzare. Insomma, sembrava che la regina si fosse materializzata dal nulla accanto a me, ma suppongo che essere stata una pazza a pezzi nell’altro mondo mi avesse dato una soglia di sopportazione delle stranezze-chemettono-paura davvero molto alta. Inoltre sentivo uno strano legame con quella regina vampira. Sì, Sgiach metteva soggezione e aveva dei poteri incredibili ma, nella settimana trascorsa da quando Stark e io eravamo tornati, lei era stata una presenza fissa al mio fianco. Mentre Afrodite e Dario si dedicavano a schifosissimi sbaciucchiamenti e camminavano sulla spiaggia mano nella mano, e Stark dormiva, dormiva e dormiva, Sgiach e io avevamo passato parecchio tempo insieme. A volte parlando, a volte no. Da diversi giorni avevo deciso che lei era la donna più favolosa che avessi mai incontrato, tra vampire e non. «Stai scherzando, giusto? Sei un’antica guerriera vampira che vive in un castello su un’isola dove nessuno può arrivare se tu non glielo permetti, e stavi controllando le e-mail? A me sembra una magia.» Sgiach rise. «Spesso la scienza sembra ancora più misteriosa della magia, o almeno è quello che ho sempre pensato. Il che mi ricorda... stavo riflettendo sulla stranezza degli effetti della luce del sole sul tuo Guardiano. È davvero insolito che ne venga colpito in modo così serio e debilitante.» «Non vale solo per Stark. Cioè, per lui adesso è persino peggio perché, be’, perché è ferito.» M’interruppi, inciampando nelle parole e non volendo ammettere quanto fosse dura vedere il mio Guerriero e Guardiano così malridotto. «Questo non è normale per lui. Di solito di giorno riesce a rimanere sveglio, anche se non sopporta la luce diretta del sole. È lo stesso per tutti i vampiri e i novizi rossi. Il sole li stende.» «Be’, giovane regina, il fatto che il tuo Guardiano non sia in grado di proteggerti durante il giorno potrebbe essere uno svantaggio notevole.» Alzai le spalle, anche se le sue parole mi avevano fatto correre lungo la schiena un brivido che somigliava in modo preoccupante a un brutto presentimento. «Sì, be’, però ultimamente ho imparato a badare a me stessa. Penso di saper gestire da sola qualche ora al giorno», replicai con un’asprezza che stupì anche me. Gli occhi verde ambra di Sgiach dimostravano che mi aveva capita alla perfezione. «Non lasciare che ciò t’indurisca.» «Cosa?» «La lotta contro la Tenebra.» «Ma non devo essere dura per combattere?» Mi ricordai di come avevo infilzato Kalona contro il muro di un’arena nell’Aldilà usando la sua stessa lancia, e mi si annodò lo stomaco. Lei scosse la testa e la luce calante colpì le sfumature argentee dei suoi capelli, facendoli scintillare come un misto di oro e cannella. «No, devi essere forte. Devi essere saggia. Devi conoscere te stessa e fidarti soltanto di chi se lo merita. Se permetti alla lotta contro la Tenebra di renderti dura e insensibile, perderai la giusta prospettiva sulla realtà.» Fissai le acque grigio azzurro intorno all’isola di Skye, che il sole del tramonto aveva tinto di un delicato rosa corallo. Era tutto così bello e pieno di pace e assolutamente normale. Da lì era difficile immaginare che nel mondo si aggirassero male, Tenebra e morte. Eppure là fuori la Tenebra c’era eccome, e probabilmente ce n’era molta più di prima: Kalona non mi aveva uccisa, il che avrebbe fatto uscire di testa Neferet. Presto avrei di nuovo dovuto affrontare lei, Kalona e tutte le orribili scempiate che si tiravano dietro. Cavolo, solo pensarci mi faceva sentire stanchissima. Mi allontanai dalla finestra, raddrizzai le spalle e affrontai Sgiach. «E se non volessi più combattere? Se volessi rimanere qui, almeno per un po’? Stark non si è ancora ripreso e, se vuole davvero stare meglio, avrà bisogno di molto riposo. Riguardo a Kalona, ho già mandato un messaggio al Consiglio Supremo: ora sanno che è stato lui a uccidere Heath, e che Neferet si è alleata con la Tenebra. Tocca al Consiglio Supremo occuparsi di lei. Cavolo, tocca agli adulti occuparsi di lei e dello schifoso e malvagio casino che ha messo in piedi.» Sgiach non commentò, quindi presi fiato e continuai a blaterare: «Sono solo una ragazzina. Ho diciassette anni. Appena. Sono negata in geometria. Faccio schifo in spagnolo. Non posso ancora nemmeno votare. Combattere contro il male non è una mia responsabilità. Prendere il diploma e, si spera, Trasformarmi, questo sì. La mia anima è andata in pezzi e il mio ragazzo è stato ucciso. Non merito una pausa? Almeno una piccola?» Stupendomi molto, Sgiach sorrise e disse: «Sì, Zoey, credo proprio di sì». «Intendi dire che posso restare qui?» «Tutto il tempo che vuoi. So cosa significa sentirsi schiacciati dal mondo. Qui, come hai sottolineato tu, il mondo può entrare solo su mio ordine. E, in linea di massima, io gli ordino di tenersi a distanza.» «E la lotta contro la Tenebra e tutto il resto?» «Saranno ancora lì quando tornerai.» «Wow. Sul serio?» «Sul serio. Rimani sulla mia isola finché la tua anima non sarà davvero guarita e riposata, e finché la coscienza non ti dirà che è il momento di tornare al tuo mondo e alla tua vita là fuori.» Ignorai la fitta al cuore che mi fece provare la parola coscienza. «E può rimanere anche Stark, giusto?» «Ma certo. Una regina deve sempre avere al fianco il suo Guardiano.» «Restando in argomento... da quanto tempo Seoras è il tuo Guardiano?» domandai in fretta, felice di allontanare il discorso dai rimorsi di coscienza e dalle lotte contro il male. Lo sguardo della regina si addolcì e il suo sorriso si fece più caldo e addirittura più bello. «Seoras è diventato il mio Guardiano per Giuramento più di cinquecento anni fa.» «Cazzarola! Cinquecento anni? Ma tu quanti anni hai?» Sgiach rise. «Dopo un certo punto, non credi che l’età sia irrilevante?» «Aye, e non è educato chiedere l’età a una fanciulla.» Mi sarei accorta che Seoras era entrato nella stanza anche se non avesse detto niente. Quando c’era lui, il volto di Sgiach si trasformava. Era come se il Guardiano accendesse un interruttore dentro di lei che la faceva splendere di una luce calda e morbida. E, quando Seoras rispose al suo sguardo, per un breve istante non sembrò più così burbero e provato da mille battaglie e piuttosto-cheparlare-con-te-ti-prendo-a-calci-neldidietro. La regina rise e sfiorò il braccio del suo Guardiano con un’intimità che le invidiai: chissà se Stark e io avremmo mai avuto almeno un briciolo di quanto condividevano quei due. E sarebbe stato anche un sacco carino se pure lui dopo cinquecento anni insieme mi avesse chiamata «fanciulla». Heath mi avrebbe chiamata fanciulla. Be’, più probabilmente ragazza. O magari solo Zo... per sempre solo la sua Zo. Ma Heath era morto e non mi avrebbe più chiamata in nessun modo. «Ti sta aspettando, giovane regina.» Sconvolta, fissai Seoras. «Heath?» Lo sguardo del Guerriero era saggio e comprensivo, la voce gentile. «Aye, probabilmente il tuo Heath ti aspetta da qualche parte nel futuro, ma io parlo del tuo Guardiano.» «Stark! Oh, bene, è sveglio.» Mi sentivo in colpa da morire. Non era mia intenzione pensare sempre a Heath, ma era difficile evitarlo. Lui era stato parte della mia vita fin da quando avevo nove anni, ed era morto soltanto da qualche settimana. Mi diedi una scossa mentale, feci un rapido inchino a Sgiach e andai verso la porta. «Non è in camera vostra, il giovane è vicino al boschetto. Chiede di raggiungerlo lì», spiegò Seoras. «È fuori?» Ero sorpresa: da quando era tornato dall’Aldilà, Stark si era sentito troppo stanco e scombussolato per fare qualcosa di più che mangiare, dormire e giocare al computer con Seoras, che peraltro era buffissimo da vedere perché sembrava una specie di sfida Braveheart contro Call of Duty. «Aye, ha finito di preoccuparsi del trucco e adesso si comporta di nuovo da Guardiano.» Strinsi i pugni e guardai il vecchio Guerriero con le palpebre strette. «È quasi morto. L’hai fatto a fettine. Ha combattuto nell’Aldilà. Cavolo, dagli un attimo di tregua.» «Aye, wumman, ma non è morto sul serio, no?» Alzai gli occhi al cielo. «Allora è al boschetto?» «Aye.» «Okay.» La voce di Sgiach mi raggiunse mentre camminavo in fretta in corridoio: «Portati quella bella sciarpa che hai comprato in paese. Fa freddo, stasera». La trovai una raccomandazione molto strana: insomma, sì, a Skye faceva molto freddo (e di solito era anche umido), ma novizi e vampiri non soffrivano i cambiamenti di temperatura come gli umani. Comunque, quando una regina guerriera ti dice di fare una cosa, normalmente è meglio obbedire. Quindi deviai verso l’immensa stanza che dividevo con Stark e presi la sciarpa che avevo appoggiato in fondo al letto a baldacchino. Era di cachemire color crema con dei fili d’oro, e pensai che probabilmente stava meglio lì su un fondo rosso vivo che intorno al mio collo. Mi fermai un attimo a osservare il letto che nelle ultime settimane avevo diviso con Stark. Mi ero rannicchiata contro di lui, gli avevo tenuto la mano e appoggiato la testa sulla spalla mentre lo guardavo dormire. Ma questo era tutto. Non aveva nemmeno provato a convincermi a fare sesso con lui. Cacchio! Sta proprio male! Mi feci mentalmente piccola piccola, contando le volte in cui Stark aveva sofferto a causa mia: era stato quasi ucciso da una freccia diretta verso di me; era stato fatto a fettine e poi aveva distrutto una parte di sé per raggiungermi nell’Aldilà; era stato ferito a morte da Kalona perché credeva che quello fosse l’unico modo di entrare in contatto con ciò che dentro di me era andato in pezzi. Però l’ho anche salvato, ricordai a me stessa. Stark aveva visto giusto: il fatto che Kalona lo stesse massacrando mi aveva dato la forza di rimettermi in sesto e, per questo, Nyx aveva costretto Kalona a soffiare nel corpo di Stark un frammento d’immortalità, restituendogli la vita e pagando il debito che aveva con me per avere ucciso Heath. Attraversai il castello con le sue splendide decorazioni, facendo cenni di saluto ai Guerrieri che s’inchinavano con rispetto. Allungai il passo: cosa era venuto in mente a Stark per trascinarsi fuori dopo tutto quello che aveva passato? Diavolo, io non lo sapevo proprio cosa gli era venuto in mente. Lui era così diverso da quando eravamo tornati. Be’, sarebbe strano se non lo fosse, mi sgridai, sentendomi una carogna sleale: il mio Guerriero aveva fatto un viaggio nell’Aldilà, era morto, era stato resuscitato da un immortale e poi risbattuto in un corpo debole e ferito. Ma, anche prima di quel momento, prima che rientrassimo nel mondo reale, tra noi era successo qualcosa. Per noi era cambiato qualcosa. O almeno a me pareva così. Nell’Aldilà il nostro rapporto era stato profondo, strettissimo. Quando aveva bevuto da me era stata un’esperienza incredibile. Era stato molto più del sesso. Già, era stato davvero bello. Bellissimo. Il mio sangue l’aveva guarito, gli aveva dato forza e, non so come, ciò aveva pure rimesso a posto quello che in me era ancora spezzato, facendo sì che mi tornassero i tatuaggi. E questa nuova vicinanza a Stark aveva reso sopportabile la perdita di Heath. Ma allora perché mi sentivo così depressa? Cosa c’era in me che non andava? Cacchio. Non sapevo neanche questo. Una mamma l’avrebbe saputo. Pensai alla mia mamma e provai un inatteso e terribile senso di solitudine. Certo, lei aveva fatto un immenso casino e fondamentalmente preferito il suo nuovo marito a me, ma era sempre mia mamma. Mi manca, ammise una vocina nella mia testa. Poi mi diedi una scossa. No. Io una «mamma» ce l’avevo ancora. «È la nonna che mi manca.» E poi, ovviamente, mi sentii in colpa perché, dopo essere tornata, non le avevo ancora telefonato. Okay, certo, sapevo che la nonna avrebbe percepito il ritorno della mia anima, e dunque sapeva già che era sana e salva. Però avrei dovuto chiamarla. Sentendomi davvero delusa di me stessa e triste, mi mordicchiai il labbro e mi sistemai meglio la sciarpa, per proteggermi dal vento gelido che soffiava sul ponte sopra il fossato. I Guerrieri che accendevano le torce s’inchinarono per salutarmi, e io risposi cercando di non guardare quelle schifezze di teschi impalati tra una luce e l’altra. Sul serio. Teschi. Di persone vere. D’accordo, erano vecchi e rinsecchiti, ma erano disgustosi comunque. Tenendo gli occhi puntati da un’altra parte, seguii il sentiero che attraversava la zona paludosa, per poi girare a sinistra verso il Bosco Sacro, che sembrava estendersi all’infinito. Sapevo dov’era perché, nelle ultime settimane, mentre Stark recuperava le forze, quel luogo aveva esercitato una particolare attrazione su di me, al punto che, quando non stavo con la regina o con Afrodite o non tenevo d’occhio Stark, facevo lunghe passeggiate al suo interno. Mi ricordava l’Aldilà, cosa che riusciva a confortarmi e allo stesso tempo a mettermi addosso una paura incredibile. Tuttavia ero venuta spesso nel Bosco Sacro o, come diceva Seoras, nel Craobh, ma sempre di giorno. Mai dopo il tramonto. Mai di notte. Le torce lungo il sentiero illuminavano appena i margini del bosco, creando ombre guizzanti tra i rami degli alberi senza tempo. Il sottobosco sembrava diverso adesso, senza i raggi del sole che riscaldavano l’intrico di rami. La pelle iniziò a pizzicarmi, come se i miei sensi fossero in massima allerta. Non riuscivo a staccare lo sguardo dalle ombre: erano forse più scure del normale? C’era forse qualcosa là fuori, in agguato, qualcosa di... non del tutto giusto? Rabbrividii. Subito dopo, con la coda dell’occhio colsi un movimento in fondo alla strada. Avevo il cuore a mille, mi aspettavo che da un momento all’altro comparissero ali e gelo, male e follia... Invece ciò che vidi mi fece battere il cuore a mille per altri motivi. Stark era davanti a due alberi intrecciati assieme a formarne uno solo, i rami decorati con strisce di stoffa annodate, alcune di colori brillanti, altre consumate, scolorite e sbrindellate: la versione mortale dell’albero dei desideri che si trovava davanti al boschetto di Nyx nell’Aldilà, ma il fatto che questo fosse nel mondo «reale» non lo rendeva meno straordinario. Soprattutto perché il ragazzo che fissava i rami in alto indossava kilt e plaid coi colori della terra del clan MacUallis nel tradizionale modo dei Guerrieri, completo di dirk e sporran – il pugnale e il borsello di pelo – oltre a tutto un armamentario sexy (come l’avrebbe definito Damien) in cuoio con borchie di metallo. L’osservai come se non lo vedessi da anni. Stark sembrava forte e in salute, oltre che assolutamente splendido. Mi stavo giusto domandando cosa i ragazzi scozzesi indossassero – o meglio non indossassero – sotto il kilt, quando lui si voltò verso di me e mi sorrise. «Riesco ad ascoltare i tuoi pensieri.» Le guance mi si scaldarono di botto, soprattutto visto che Stark aveva davvero la capacità di percepire le mie emozioni. «In teoria dovresti ascoltare solo se io sono in pericolo.» «Allora non pensare così ad alta voce!» replicò con una punta d’ironia. «Comunque hai ragione. Non avrei dovuto ascoltare perché le sensazioni che mi arrivavano da te erano l’opposto di quello che definisco pericolo.» «Ma sentilo, come se la tira», lo sgridai, senza però riuscire a non sorridere a mia volta. «Già, però ti piaccio così.» Mi tese la mano. Era così calda, forte e sicura. Lui aveva ancora delle brutte occhiaie, ma non era più pallido in modo inquietante. «Sei di nuovo te stesso!» «Sì, mi ci è voluto un po’. Era strano, non riuscivo mai a riposare come avrei dovuto, ma oggi è come se fosse scattato qualcosa e finalmente mi fossi ricaricato del tutto.» «Sono felice. Ero così preoccupata.» Solo dopo averlo detto mi resi conto di quanto fosse vero. «E mi sei anche mancato tanto!» Mi strinse la mano e mi tirò più vicino. Le prese in giro da sbruffone erano evaporate completamente. «Lo so. Ti sentivo distante e spaventata. Che succede?» Avrei tanto voluto dirgli che si sbagliava, che gli avevo solo lasciato un po’ di spazio per riprendersi, ma alla fine decisi di essere sincera con lui. «Sei stato ferito tantissimo per colpa mia.» «Non per colpa tua, Zy. Sono stato ferito per colpa della Tenebra, che cerca di distruggere quanti di noi combattono per la Luce.» «Sì, be’, però vorrei che la Tenebra se la prendesse con qualcun altro e ti lasciasse in pace almeno per un po’.» Mi diede un colpetto con la spalla. «Sapevo in cosa mi stavo andando a cacciare quando ti ho fatto il mio Giuramento. Mi stava bene allora e mi sta bene adesso. E mi starà bene anche tra cinquant’anni. E sai, Zy, quando dici che la Tenebra ‘se la prende con me’ non mi fai sentire un Guardiano degno di questo nome.» «Senti, sto parlando sul serio. Vuoi sapere cos’ho che non va, ecco: mi sono preoccupata che stavolta tu fossi stato ferito in modo troppo grave...» Esitai, sforzandomi di ricacciare indietro delle lacrime inattese. «Tanto grave da non poter guarire. E a quel punto mi avresti lasciata anche tu.» Tra noi, la presenza di Heath era così tangibile che quasi mi aspettavo di vederlo uscire dal bosco dicendo: Ehi, Zo, sono qui. Piantala di piangere che poi ti viene la candela. E ovviamente quel pensiero mi rese ancora più difficile non scoppiare in singhiozzi. «Ascoltami, Zoey. Io sono il tuo Guardiano. Tu sei la mia regina, che è più di una Somma Sacerdotessa, perciò il legame tra noi è più forte di quello che si crea tramite il Giuramento di Guerriero.» Sbattei le palpebre con forza. «Questo è un bene, perché sembra che qualche robaccia continui a cercare di strapparmi a tutti quelli che amo.» «Niente mi porterà mai via da te, Zy. L’ho giurato.» Sorrise, e nei suoi occhi c’era così tanta sicurezza e fiducia e amore che il respiro mi si bloccò in gola. «Non ti libererai mai di me, mo ban-rìgh.» «Bene, perché sono proprio stanca di tutta questa storia dell’andarsene», replicai sottovoce appoggiandogli la testa sulla spalla. Mi strinse tra le braccia e mi diede un bacio sulla fronte. «Già, anch’io.» «Credo che la verità sia che sono stanca. Punto. Ho bisogno di ricaricare le batterie.» Alzai lo sguardo verso di lui. «Per te sarebbe okay se rimanessimo un po’ qui? È che io... io non ho voglia di andare via e tornare a... a...» Esitai, non sapendo bene come descrivere ciò che provavo. «A tutto quello che ci aspetta, alle cose buone e a quelle cattive. So cosa vuoi dire. Sgiach è d’accordo?» ribatté il mio Guardiano. «Ha detto che possiamo restare finché me lo consente la coscienza. E in questo momento la coscienza me lo consente eccome», risposi con un sorriso un po’ ironico. «Per me va bene. Non ho fretta di tornare a tutti quei casini con Neferet.» «Allora restiamo un po’?» Stark mi strinse forte. «Restiamo finché tu non decidi di andare.» Chiusi gli occhi e mi abbandonai nel suo abbraccio con la sensazione che mi fosse stato tolto un enorme peso dalle spalle. Quando mi chiese se avrei fatto una cosa con lui, la risposta mi venne facile e spontanea: «Come no, tutto». Ridacchiò. «Questa risposta mi fa venire voglia di cambiare la domanda.» «Non quel tutto.» Gli diedi una piccola spinta anche se provavo un gran sollievo vedendo che Stark si stava decisamente comportando di nuovo da Stark. «No?» Il suo sguardo si spostò dai miei occhi alle labbra e di colpo sembrò meno sbruffone e più appassionato. Si chinò a baciarmi, a lungo e con passione, togliendomi il fiato. «Sei proprio sicura che non intendevi quel tutto?» chiese, la voce più bassa e roca del solito. «No. Sì.» Sogghignò. «Quale delle due?» «Non lo so. Quando mi baci così non riesco a pensare.» «Allora dovrò farlo più spesso.» «Okay», replicai sentendomi la testa vuota e le gambe stranamente molli. «Dopo, però. Adesso voglio farti vedere che razza di Guardiano forte sono e mi limito a farti la domanda che volevo fare in origine.» Frugò nella borsa che portava a tracolla e ne trasse una striscia lunga e sottile del tartan dei MacUallis, sollevandola in modo che si agitasse dolcemente nel vento. «Zoey Redbird, vuoi legare con me i tuoi desideri e i tuoi sogni per il futuro in un nodo da appendere all’Hanging tree?» Esitai appena un secondo, giusto il tempo di riprendermi dalla fitta di dolore causata dalla mancanza di Heath, dalla consapevolezza che con lui non ci sarebbe più stato nessun sogno futuro, poi ricacciai indietro le lacrime e risposi: «Sì, Stark, legherò con te i miei desideri e i miei sogni per il futuro». CAPITOLO 4 ZOEY «Cosa dovrei fare con la mia sciarpa di cachemire?» «Strapparne una striscia», ripeté Stark. «Sei sicuro?» «Sì, le istruzioni me le ha date direttamente Seoras. Assieme a un sacco di commenti da saputello sulle tremende lacune della mia istruzione e qualcos’altro sul non saper distinguere il culo dall’orecchio o dal gomito, e pure sul fatto che sarei un ‘fanny’, anche se non ho idea di cosa diavolo significhi.» «Fanny? Come un nome da donna?» «Mi sa di no...» Scuotemmo entrambi la testa, a muto commento delle stranezze di Seoras. «Comunque lui dice che dobbiamo usare un pezzo di stoffa preso da qualcosa di molto speciale per noi.» Stark sorrise e diede uno strattone alla mia sciarpa luccicante, costosa e bellissima. «E questa ti piace un sacco, vero?» «Già, abbastanza da non volerla strappare.» Stark rise, si tolse il dirk dal fodero e me lo tese. «Bene, allora è perfetta per formare un nodo col mio tartan. Creerà un legame molto forte tra noi.» «Sicuro, quel plaid non ti è costato ottanta euro, che è più di cento dollari. Credo», brontolai allungando la mano verso il dirk. Invece di lasciarmelo prendere, Stark esitò e incrociò il mio sguardo. «Hai ragione. Non mi è costato soldi. Mi è costato sangue.» M’ingobbii per la vergogna. «Scusami. Mi dispiace, non volevo mettermi a piagnucolare per una stupida sciarpa. Ah, cavolo! Comincio a sembrare Afrodite.» Stark si puntò il dirk al cuore. «Se ti trasformi in Afrodite mi accoltello.» «Se mi trasformo in Afrodite, prima accoltella me.» Allungai la mano verso il pugnale e stavolta me lo lasciò. «D’accordo.» Sorrise. «D’accordo», ripetei, quindi feci un buco nel bordo frangiato della mia sciarpa nuova e con un gesto rapido ne strappai un pezzo lungo e stretto. «E adesso?» «Scegli un ramo. Secondo Seoras dobbiamo prendere ognuno il nostro pezzo di stoffa e annodarli assieme. Così i desideri che esprimiamo saranno legati.» «Veramente? È superomantico.» «Già, lo so. Mi fa desiderare di averlo inventato io. Solo per te.» Si allungò per seguire con un dito la mia guancia. «Sei il miglior Guardiano del mondo.» E lo pensavo davvero. Lui scosse la testa, il volto tirato. «Non è vero. Non lo dire.» Come aveva appena fatto lui con me, segui con un dito la linea della sua guancia. «Per me sì, Stark. Per me sei il miglior Guardiano del mondo.» Si rilassò un po’. «Per te, cercherò di esserlo.» Spostai lo sguardo da lui al vecchio albero. «Quello.» Indicai un ramo basso che si biforcava, creando con foglie e rametti la forma perfetta di un cuore. «Quello è il punto che fa per noi.» Raggiungemmo assieme la pianta poi, come aveva spiegato il Guardiano di Sgiach, Stark e io annodammo la striscia coi colori della terra del tartan MacUallis al pezzo crema e oro della mia sciarpa. Le nostre dita si sfiorarono mentre stringevamo il nodo. «Il mio desiderio per noi è di essere sempre forti, proprio come questo nodo», esordì Stark. «Il mio desiderio è di essere sempre assieme, proprio come la stoffa di questo nodo», aggiunsi. Suggellammo i nostri desideri con un bacio che mi lasciò senza fiato. Mi stavo chinando verso Stark per baciarlo ancora, quando lui mi prese la mano e disse: «Ti va se ti faccio vedere una cosa?» «Okay, certo», risposi, pensando che in quel momento avrei detto di sì a qualunque cosa. Iniziò a dirigersi nel bosco, ma dovette accorgersi che io esitavo, perché mi strinse la mano e mi sorrise. «Tranquilla, qui non c’è niente che possa farti del male e, anche se ci fosse, ti proteggerei io. Te l’assicuro.» «Lo so. Scusami.» Deglutii, cercando di ricacciare giù il piccolo groppo di paura che mi si era formato in gola, ed entrammo nel bosco. «Ormai sei tornata, Zy. Sei tornata sul serio. E sei al sicuro.» «Ma non ricorda l’Aldilà anche a te?» Avevo parlato talmente piano che Stark dovette chinarsi per sentire. «Sì, ma in un modo positivo.» «Anche a me, in linea generale. Qui percepisco delle cose che mi fanno pensare a Nyx e al suo regno.» «Io credo abbia a che vedere col fatto che questo posto è vecchissimo, e che è stato separato dal mondo per un sacco di tempo. Okay, ci siamo. Seoras me ne aveva parlato, e poco prima che arrivassi mi è sembrato di averlo visto. Eccolo.» Restai senza fiato: davanti a noi, leggermente spostato sulla destra, c’era un albero che brillava. Sul serio. Dalle linee grinzose della spessa corteccia splendeva una delicata luce blu, come se la pianta avesse avuto delle vene luminose. «Incredibile! Cos’è?» «Ci sarà senz’altro una spiegazione scientifica, probabilmente è una speciale pianta fosforescente o chissà che, ma preferisco pensare a una magia, una magia scozzese», rispose Stark. Sorrisi e diedi un piccolo strattone al suo plaid. «Anche a me piace di più chiamarla magia. E, per restare in argomento di cose scozzesi, sai che mi piaci proprio vestito così?» Abbassò lo sguardo sul suo kilt. «Già. Strano come una specie di grossa gonna di lana riesca a conferire un’aria tanto virile.» Ridacchiai. «Mi piacerebbe proprio sentirti dire a Seoras e agli altri Guerrieri che indossano ’una specie di grossa gonna di lana’.» «Ah, no! Sono appena stato nell’Aldilà e non ho nessuna fretta di tornarci!» Poi ci pensò su un attimo e aggiunse: «Quindi ti piaccio vestito così, eh?» Incrociai le braccia e gli girai intorno, squadrandolo dalla testa ai piedi. I colori del tartan dei MacUallis mi ricordavano sempre la terra e, per quanto strano possa sembrare, a essere più precisi mi ricordavano l’Oklahoma: marrone ruggine del terreno rossiccio unito alla più delicata tonalità delle foglie e a un grigio che faceva pensare alla corteccia degli alberi. Stark l’indossava alla vecchia maniera, come gli aveva insegnato Seoras: metri di stoffa piegati a mano avvolti intorno al corpo e fermati con cinture e splendide spille antiche (anche se non penso che i Guerrieri le chiamassero «spille»). Una parte del plaid gli copriva le spalle, ed era un bene perché escludendo quelle specie di cinture di cuoio incrociate sul petto, portava soltanto una T-shirt senza maniche. Si schiarì la voce, nervoso, e fece un mezzo sorriso che lo fece sembrare un ragazzino. «Allora, mia regina? Ho superato l’ispezione?» «Oh, sì. E a pieni voti, anche!» Che buffo, anche se era un Guardiano grande, grosso e pericoloso, si sentì sollevato. «Mi fa piacere. E guarda quant’è utile tutta questa stoffa.» Mi prese per mano e mi portò più vicino all’albero luccicante, quindi si sedette allargando sul muschio parte del suo plaid. «Vieni, Zy, siediti.» «Volentieri», replicai rannicchiandomi accanto a lui. Stark mi prese tra le braccia e mi coprì col plaid, in modo che mi ritrovassi a fare la parte del prosciutto in un caldo, accogliente e amorevole panino di Guerriero e tartan. Restammo così per quello che sembrò parecchio tempo, senza parlare, preferendo sprofondare in un bellissimo silenzio complice. Stare abbracciata a Stark mi faceva sentire bene e al sicuro. E, quando le sue mani cominciarono a muoversi, seguendo i miei tatuaggi prima sul viso e poi sul collo, anche questo mi fece sentire bene. «Sono felice che siamo tornati», disse piano Stark. «È stato merito tuo. Per come mi hai fatto sentire nell’Aldilà», mormorai. Sorrise e mi baciò la fronte. «Vuoi dire spaventata e fuori di testa?» «No. Mi hai fatto sentire di nuovo viva», replicai sfiorandogli il volto. Le sue labbra si spostarono dalla mia fronte alla bocca. Mi baciò a lungo, poi disse: «È bello saperlo, perché tutta la storia di Heath e dell’averti quasi persa mi ha fatto capire una cosa di cui non mi ero ancora reso conto del tutto. Zoey, io non posso vivere senza di te. Magari sarò soltanto il tuo Guardiano e tu avrai un altro consorte o persino un compagno, ma chiunque altro entri a fare parte della tua vita non cambierà quello che sono per te. Non m’incazzerò più e non sarò più egoista e non ti lascerò mai. Per nessun motivo. Affronterò la questione degli altri ragazzi e questo non cambierà quanto c’è tra noi. Te lo giuro». A quel punto sospirò e appoggiò la fronte contro la mia. «Grazie. Anche se suona un po’ come se mi stessi cedendo ad altri ragazzi», gli dissi. Si tirò indietro, mi guardò aggrottando la fronte e sbottò: «Zy, questa è un’emerita stronzata». «Be’, hai appena detto che ti sta benissimo se io sto con...» «No!» Mi scosse leggermente. «Non ho detto che mi sta benissimo che tu stia con altri. Ho detto che non lascerei che questo distruggesse ciò che abbiamo.» «E cos’è che abbiamo?» «Noi. Per sempre.» Gli strinsi le braccia intorno alle spalle. «Stark, a me questo basta. Faresti una cosa con me?» «Come no, tutto», replicò copiando la mia risposta e facendo sorridere entrambi. «Baciami ancora come prima in modo che non possa pensare.» «Senz’altro.» Il bacio di Stark cominciò lento e dolce, ma non rimase così a lungo. E, mentre si faceva più profondo, le sue mani iniziarono a esplorare il mio corpo. Quando incontrò l’orlo della mia maglietta esitò, e in quel breve istante io presi la mia decisione. Volevo Stark. Volevo tutto di lui. Mi staccai quanto bastava per guardarlo negli occhi. Avevamo entrambi il fiato corto e lui si chinò automaticamente verso di me, come se non sopportasse di non starmi appiccicato. «Aspetta.» Gli appoggiai le mani sul petto. «Scusami. Non volevo esagerare.» «No, non è questo. Non stavi esagerando. È solo che volevo... be’...» Esitai, cercando di far funzionare il cervello in quella nebbia di desiderio che provavo per lui. «Ah, cavolo. Meglio se te lo faccio vedere cosa voglio.» Prima di poter fare la timida o di sentirmi in imbarazzo, mi alzai. Stark mi fissava incuriosito ma, quando mi levai la maglietta e i jeans, la curiosità sparì e i suoi occhi sembrarono diventare neri di passione. Tornai a sdraiarmi nella sicurezza del suo abbraccio, gustando la ruvidezza del plaid contro la pelle nuda e liscia. «Sei bellissima», disse Stark, seguendo col dito il tatuaggio che mi girava intorno ai fianchi. Quel tocco mi fece tremare. «Hai paura?» chiese, tirandomi più vicino. «Non sto tremando di paura. Ma dalla voglia che ho di te», spiegai tra un bacio e l’altro. «Sei sicura?» «Più che sicura. Stark, io ti amo.» «Anch’io ti amo, Zoey.» Allora Stark mi prese tra le braccia e le sue mani e le sue labbra cancellarono il mondo, facendomi pensare soltanto a lui, desiderare soltanto lui. Le sue carezze cacciarono tra le nebbie del passato l’orribile ricordo di Loren e dello sbaglio che avevo fatto dandomi a lui. E, allo stesso tempo, Stark alleviò il dolore lasciato in me dalla perdita di Heath. Avrei sempre sentito la mancanza di Heath ma, mentre facevo l’amore con Stark, capii che, dato che lui era umano, a un certo punto avrei comunque dovuto dirgli addio. Stark era il mio futuro, il mio Guerriero, il mio Guardiano, il mio amore. Lui si tolse di dosso il plaid e si sdraiò nudo accanto a me, quindi si chinò e mi sfiorò il collo con la lingua. Poi fu il turno dei denti, un tocco rapido e interrogativo. «Sì», dissi, stupita dal tono roco e poco familiare della mia voce. Feci anch’io una domanda senza parole, sfiorandogli la pelle coi denti. «Oh, Dea, sì! Fallo, Zoey. Fallo.» Non riuscii ad aspettare ancora. Gli graffiai la pelle nello stesso istante in cui lui mi mordeva delicatamente il collo, e il sapore caldo e dolce del suo sangue riempì il mio corpo dei nostri sentimenti condivisi. Il legame tra noi era come fuoco, che bruciava e si consumava con un’intensità quasi dolorosa. Quasi insopportabile da tanto era piacevole. Ci aggrappammo l’uno all’altra, bocche sulla pelle, corpo contro corpo. Riuscivo a sentire soltanto Stark. Udivo soltanto i nostri cuori che battevano all’unisono. Non avrei saputo dire dove finivo io e iniziava lui. Non avrei saputo dire se il piacere che provavamo fosse mio o suo. Dopo, sdraiata tra le sue braccia, le nostre gambe intrecciate, i corpi ancora lucidi di sudore, inviai una preghiera silenziosa alla mia Dea: Grazie, Nyx, di avermi dato Stark. Grazie di aver fatto sì che mi ami. Restammo nel boschetto per ore. In seguito avrei ricordato quella sera come una delle più felici della mia vita. Nel caos del futuro, il ricordo dell’abbraccio di Stark, la condivisione di sogni e carezze, e quell’attimo di appagamento totale e assoluto sarebbero stati qualcosa da tenere caro, come la calda luce di una candela nel buio della notte. Molto più tardi, tornammo lentamente al castello. Tenevamo le dita intrecciate e le nostre braccia si sfioravano con grande intimità. Ero così presa da lui che, quando attraversammo il ponte, non notai nemmeno le teste impalate sulle picche. A dire il vero, non mi ero accorta più o meno di niente finché la voce di Afrodite non ruppe l’incantesimo. «Ma per favore! Perché non vi mettete un cartello in fronte e stampate dei manifesti?» Ancora sognante, sollevai la testa dalla spalla di Stark e vidi Afrodite all’ingresso del castello in una zona illuminata dalle torce, che pestava il piede con aria scocciata. «Mia cara, lasciali in pace. Hanno pagato a caro prezzo la loro felicità.» La voce profonda di Dario provenne dalle ombre accanto a lei. Afrodite inarcò un sopracciglio con aria di scherno. «Non direi che quello che ha appena dato a Stark fosse un pezzo di felicità.» «Guarda, in questo momento le tue volgarità non mi sfiorano neanche», replicai. «Però sfiorano me», intervenne Stark. «Non dovresti passare il tempo a strappare le ali ai gabbiani o le chele ai granchi?» Afrodite si comportò come se Stark non avesse aperto bocca e si rivolse a me. «È vero?» «Cosa è vero? Che sei una gran rompiscatole?» replicai. Stark sbuffò. «Questo è vero senz’altro.» «Se è vero, allora glielo devi dire. Non ho intenzione di ascoltare i suoi piagnistei.» Afrodite mi sventolò l’iPhone davanti alla faccia. «Cavolo, ti comporti da pazza totale persino per i tuoi livelli. Ti serve una terapia d’urto a base di shopping? Cosa. È. Vero?» domandai lentamente, scandendo le parole come se fosse una straniera che sta imparando la lingua. «È vero quello che mi ha appena detto la regina-di-tutto-quelloche-sta-a-Skye, cioè che tu domani non parti con noi? Che rimani qui?» «Oh. Sì, è vero.» Strusciai il piede, chiedendomi come mai mi sentissi in colpa. «Grandioso. Non c’è altro da dire. Allora, come dicevo prima, glielo spieghi tu.» «A chi?» «A Jack. Tieni. Scoppierà a piangere a singhiozzoni e si rovinerà il trucco, cosa che lo farà piagnucolare ancora di più. E io non voglio avere niente a che fare con quel pianto gay. Proprio niente.» Afrodite toccò lo schermo del suo telefono. Che stava suonando quando me lo passò. Quando rispose, Jack era dolce ma un po’ sulla difensiva. «Afrodite, se stai per dire qualche altra cattiveria sul Rituale, allora credo che faresti meglio a tacere. E poi non ti ascolterei comunque perché sono impegnato a sfidare la gravità. Perciò ti saluto.» «Uh, ciao, Jack», feci. Riuscii quasi a vedere il lampo del suo sorriso attraverso il telefono. «Zoey! Ciao! Oooh, è così fantastico che tu non sia morta e nemmeno, cioè, semimorta. Ehi, Afrodite ti ha spiegato cos’abbiamo intenzione di fare domani quando torni? Ohmiadea, sarà fighissimo!» «No, Jack, Afrodite non me l’ha spiegato perché...» «Perfetto, te lo spiego io. Allora, faremo un Rito di Festeggiamento speciale per le Figlie e i Figli Oscuri, perché il fatto che tu non sia più a pezzi è davvero favoloso.» «Jack, io devo...» «No, no, no, tu non devi fare niente. Ho già pensato a tutto io. Ho persino deciso il rinfresco, be’, naturalmente con l’aiuto di Damien, ovvio...» Sospirai e attesi che prendesse fiato. «Visto, cosa ti avevo detto?» intervenne sottovoce Afrodite. «Si metterà a frignare quando farai scoppiare la sua piccola bolla rosa.» «... e la parte che preferisco è quando tu entri nel cerchio e io inizio a cantare Defying Gravity. Sai, come ha fatto Kurt di Glee, solo che io a quella nota alta ci arrivo. Allora, cosa ne pensi?» Chiusi gli occhi, presi un bel respiro e dissi: «Penso che sei davvero un buon amico». «Oooh! Grazie!» «Ma dobbiamo spostare il Rituale.» «Spostarlo? E perché?» Già aveva cominciato a tremargli la voce. «Perché...» esitai. Cacchio. Aveva ragione Afrodite: probabilmente si sarebbe davvero messo a piangere. Stark mi tolse di mano il telefono e mise in vivavoce. «Ehi, Jack, ciao», esordì. «Ciao, Stark!» «Senti, mi potresti fare un piacere?» «Ohmiadea! Ma certo!» «Sai, io sono ancora un po’ fuori fase per tutta la storia dell’Aldilà. Afrodite e Dario rientrano domani, ma Zoey resta qui a Skye con me finché non mi rimetto in forze. Quindi potresti far sapere tu agli altri che non torniamo a Tulsa ancora per un paio di settimane?» Trattenni il fiato aspettandomi le lacrime, invece Jack si comportò in modo davvero adulto e maturo. «Assolutamente. Non preoccuparti di niente. Lo spiego io a Lenobia e a Damien e agli altri. E, Zy, tranquilla. Possiamo spostare tutto senza problemi. Così avrò anche più tempo per provare la mia canzone e preparare delle decorazioni con gli origami a forma di spade. Pensavo di appenderli con una lenza da pesca, di quelle trasparenti, così, sai, sembrerà che stiano davvero sfidando la gravità.» Sorrisi e mimai a Stark un grazie. «Sembra perfetto, Jack. Non avrò niente di cui preoccuparmi sapendo che ti occupi tu delle decorazioni e della musica.» L’allegra risata di Jack gorgogliò fuori dell’iPhone. «Sarà un Rituale splendido! Aspetta e vedrai. Stark, tu pensa solo a rimetterti. Oh, Afrodite, non dovresti presumere che io scoppi a piangere al primo sospetto di un cambiamento di piani per una festa.» Afrodite lanciò un’occhiataccia al telefono. «Come diavolo facevi a sapere che era quello che pensavo?» «Sono gay. Le cose le so.» «Se lo dici tu. Adesso però di’ ciao, Jack, o questa telefonata mi costerà miliardi», saltò su Afrodite «Ciao, Jack!» ribatté lui mentre Afrodite prendeva il telefonino a Stark e interrompeva la comunicazione. «È andata molto meglio di quanto pensassi», dissi. «Già, ‘la ragazza’ l’ha presa bene. Chissà come la prenderà l’altra, dato che è peggio di Miss Jack all’ennesima potenza.» «Oh, senti, Afrodite, Damien non è un gay tutto moine, anche se non c’è niente di male a esserlo. Comunque vorrei proprio che tu fossi più carina con loro due.» «Ma per favore! Non sto parlando dei tuoi gay. Sto parlando di Neferet.» «Neferet! Cos’hai saputo di lei?» domandai con voce tagliente. Odiavo persino pronunciare il suo nome. «Niente, ed è proprio questo che mi preoccupa. Ma senti, Zy, non perderci il sonno. Dopotutto, tu resti qui a Skye, con una vagonata di ragazzoni grandi e grossi, oltre a Stark, a proteggerti, mentre il resto di noi semplici mortali continua fino alla nausea con l’epica battaglia del bene contro il male, della Luce contro la Tenebra, bla bla bla...» Afrodite si voltò e salì a grandi passi la scalinata che portava al castello. «Afrodite una semplice mortale? Credevo che il suo livello di rottura di scatole andasse ben oltre il ‘semplice’», commentò Stark. «Guarda che ho sentito!» gridò Afrodite senza girarsi del tutto. «Oh, Zy, per tua informazione, ho un’emergenza bagagli, come se di emergenze non ne avessi già abbastanza, quindi ti confisco la valigia che ti sei comprata l’altro giorno. Vado a preparare le mie cose. A dopo, villici.» E sbatté il pesante portone di legno, cosa peraltro davvero notevole. «Assolutamente splendida», commentò Dario con un sorriso pieno di orgoglio mentre saliva i gradini a due a due e seguiva la sua ragazza. «Riesco a pensare a un sacco di aggettivi con la S adatti ad Afrodite, ma splendida non è nell’elenco», brontolò Stark. «Mi vengono in mente ’stordita’ e ’sgarbata’», dissi. «A me invece viene in mente ’stallatico’», riprese Stark. «Stallatico?» «Trovo che sia piena di merda, ma definirla stronza è troppo facile, quindi un sinonimo di letame che inizia con la S per il momento è il meglio cui sia riuscito a pensare», spiegò. «Mamma mia!» commentai. Poi lo presi sottobraccio. «Stai solo cercando di distrarmi dalla questione Neferet, vero?» «E funziona?» «Mica tanto.» Il braccio di Stark mi scivolò intorno ai fianchi. «Allora dovrò migliorare le mie tattiche di distrazione.» Raggiungemmo l’ingresso del castello e lasciai che Stark mi divertisse con la sua lista di parole con la S che si adattavano ad Afrodite più di «splendida», cercando di recuperare la sensazione di gioia soddisfatta che avevo appena provato. Continuavo a ripetermi che Neferet era in tutto un altro mondo, e che gli adulti di quel mondo potevano tenerla a bada. Mentre Stark mi apriva il portone, qualcosa attirò il mio sguardo verso l’alto e vidi la bandiera che sventolava orgogliosa sul piccolo regno di Sgiach. Mi fermai a studiare la bellezza del possente toro nero con la sagoma della Dea dipinta sul corpo e, in quel momento, dall’acqua che fiancheggiava il castello si levò un filo di nebbia che andò ad alterare la scena, trasformando il toro nero in un bianco spettrale e nascondendo completamente l’immagine della Dea. Mi venne un brivido di paura. «Cosa c’è?» Stark scattò subito al mio fianco. Sbattei le palpebre. La nebbia si dissolse e la bandiera tornò come prima. «Niente. Sono solo un po’ paranoica», mi affrettai a replicare. «Ehi, ci sono io qui. Non devi essere paranoica; non devi preoccuparti. Ti so proteggere.» Stark mi abbracciò stretta, sbarrando la strada al mondo esterno e a quello che stava cercando di dirmi lo stomaco. CAPITOLO 5 STEVIE RAE «Non è da te. Lo sai?» Stevie Rae alzò gli occhi verso Kramisha. «Sto soltanto seduta qui a farmi i fatti miei.» S’interruppe per lasciare che venisse capito bene l’implicito: a differenza di te. «Com’è che non sarebbe da me?» «Tesoro, ti sei scelta l’angolo più buio e sinistro dell’universo e, per migliorare la situazione, hai persino spento le candele. E te ne stai qui avvilita a rimuginare talmente forte che quasi posso sentire i tuoi pensieri.» «Non puoi sentire i miei pensieri.» Il tono brusco di Stevie Rae fece sgranare gli occhi a Kramisha. «Ovvio che non posso, tesoro, non c’è bisogno che t’incavoli. Ho detto quasi. Mica sono Sookie Stackhouse. E comunque anche se lo fossi non ti leggerei nel cervello. Sarebbe da cafoni e mia mamma non mi ha cresciuta così.» Kramisha si sedette accanto a Stevie Rae sulla panchina di legno. «Tanto per restare in argomento... sono l’unica a pensare che quel lupo mannaro sia più figo di Bill ed Eric messi assieme?» «Kramisha, non mi rovinare la terza stagione di True Blood. Non ho ancora finito di vedere i DVD della seconda.» «Be’, ti sto solo avvisando di prepararti a una strafigaggine a quattro zampe.» «Dico sul serio. Non osare raccontarmi altro!» «Okay, okay, ma un giorno dobbiamo assolutamente riparlare di tutta la storia lupo-mostro-ragazzofigaccione.» «Ascolta, questa panca è di legno, quindi è parte della terra. Il che significa che posso trovare il sistema di farti un mazzo tanto se mi rovini True Blood.» «Tesoro, vuoi rilassarti per favore? Quella questione l’ho già archiviata. C’è un’altra cosa di cui dobbiamo discutere prima di andare ad annoiarci alla riunione del Consiglio.» «È uno dei nostri compiti. Io sono una Somma Sacerdotessa. Tu sei un Poeta Laureato. Noi dobbiamo andare alle riunioni del Consiglio.» Stevie Rae sbuffò. «Cavolaccio schifoso, non vedo l’ora che torni Zoey.» «Già, già, questo lo capisco. Invece non capisco cosa ti ha incasinato il cervello al punto da non sembrare nemmeno più tu.» «Be’, il mio ragazzo ha perso quella sua testaccia di cavolo ed è sparito dalla faccia della terra. La mia migliore amica è quasi morta nell’Aldilà. I novizi rossi – gli altri – sono ancora là fuori a fare dio solo sa cosa, che tradotto sono quasi certa significhi mangiare le persone. E, tanto per non farsi mancare niente, si presume che io sia una Somma Sacerdotessa, anche se non sono nemmeno sicura di sapere cosa voglia dire. Secondo me ce n’è abbastanza da incasinare il cervello di chiunque.» «Sì, certo, ma non è abbastanza da ispirarmi in continuazione quelle strane poesie che sono tutte sullo stesso argomento da mettere i brividi. Riguardano te e delle bestie, tesoro, e voglio sapere perché.» «Kramisha, non so di cosa stai parlando.» Stevie Rae fece per alzarsi, ma Kramisha frugò nella sua immensa borsetta ed estrasse un foglietto viola con sopra scritto qualcosa nella sua inconfondibile calligrafia. Con un altro sospirone, Stevie Rae si risedette e allungò una mano. «D’accordo. Fammi vedere.» «Le ho scritte tutt’e due su questo foglio. La vecchia e la nuova. Qualcosa mi dice che ti potrebbe servire una rinfrescatina alla memoria.» Stevie Rae non commentò. Spostò lo sguardo sulla prima poesia e la lesse con attenzione. Non che le servisse una rinfrescata alla memoria: ogni verso le era rimasto impresso a fuoco nella mente. La Rossa entra nella Luce, pronta alla sua parte nell’apocalittica battaglia. La Tenebra si cela sotto forme diverse, guarda oltre aspetto, colore, menzogne e tempeste emozionali. Alléati con lui; paga col tuo cuore, anche se fiducia non si può dare senza aver prima diviso la Tenebra. Guarda con l’anima e non con gli occhi, perché per danzare con le bestie devi penetrare oltre il loro travestimento. Stevie Rae s’impose di non piangere, ma si sentiva il cuore ferito e lacerato. La poesia diceva la verità. Aveva visto Rephaim con l’anima, non con gli occhi. Aveva diviso la Tenebra, fidandosi di lui e accettandolo e, per essersi alleata con una bestia, aveva pagato col suo cuore. Stava ancora pagando col suo cuore. Riluttante, Stevie Rae guardò la seconda poesia, quella nuova. Ricordando a se stessa di non reagire, di non lasciare che il suo viso facesse trapelare qualcosa, iniziò a leggere. Le bestie possono essere belle, i sogni diventare desideri, e la realtà cambiare grazie alla ragione. Fidati della tua verità uomo... mostro... mistero... magia... Ascolta col cuore, guarda senza disprezzo. L’amore non perderà. Fidati della sua verità, la sua promessa è prova assoluta, la verifica è il tempo. La fiducia libera se c’è il coraggio di cambiare. Stevie Rae si sentiva la bocca asciutta. «Mi spiace, non ti posso aiutare. Non so di cosa parlino questi versi.» Tentò di restituire il foglietto a Kramisha, ma la poetessa teneva le mani incrociate sul petto. «Stevie Rae, come bugiarda non vali una cicca.» «Non mi sembra un’ideona dare della bugiarda alla tua Somma Sacerdotessa», ribatté Stevie Rae con un’ombra di cattiveria Kramisha scosse la testa. «Cosa ti sta succedendo? Qualsiasi cosa sia ti sta lacerando dentro. Fossi in te, mi racconterei tutto. Cercherei un aiuto per capire come stanno le cose.» «Quello che non riesco a capire è ’sta roba delle poesie! Sono metafore e simbolismi e predizioni strane e confuse.» «Che grandissima balla! Siamo sempre riusciti a interpretarle, le mie poesie. Zoey ce l’ha fatta. Tu e io ce l’abbiamo fatta, almeno quanto bastava a comunicare con Zy nell’Aldilà. Ed è servito. L’ha detto Stark che è servito.» Kramisha indicò la prima poesia. «Una parte di questa si è realizzata. Hai incontrato le bestie. Quei due tori. Da quel momento sei diventata un’altra. Adesso ti porto una nuova poesia sulle bestie. Lo so che riguardano tutte te. E so pure che c’è qualcosa che non vuoi dirmi in proposito.» «Senti, Kramisha, fatti i fatti tuoi, okay? Ho chiuso con ’sta menata delle bestie!» Stevie Rae si alzò, lasciò il suo angoletto buio e andò dritta a sbattere contro Dragone Lankford. «Ehi, piano, di che si tratta? Ho sentito bene? Parlavi di bestie?» domandò il professore mentre la sorreggeva. «Proprio così.» Kramisha indicò la pagina del blocchetto viola che aveva in mano Stevie Rae. «Ho scritto due poesie, una il giorno in cui Stevie Rae si era andata a impegolare con quei due tori, e la seconda poco fa. Lei però non pensa che siano importanti.» «Non ho detto che non sono importanti. È solo che voglio badare ai fatti miei da sola, senza sentirmi pressare da tutti i ficcanaso dell’intero universo.» «Mi consideri un ficcanaso?» domandò Dragone. Stevie Rae si costrinse a incrociare lo sguardo del maestro di scherma. «No, no di certo.» «E sei d’accordo con me che le poesie di Kramisha sono importanti.» «Be’... sì.» «Allora non puoi ignorarle e basta.» Dragone posò la mano sulla spalla di Stevie Rae. «So cosa significa voler tenere privata la propria vita, ma ora sei una Somma Sacerdotessa, ci sono cose più importanti della privacy.» «Questo lo so, ma posso occuparmi della situazione da sola.» «Così come ti sei ’occupata’ dei tori?» commentò Kramisha. «Se ne sono andati, giusto? Allora vuol dire che me ne sono occupata benissimo.» «Mi ricordo come stavi dopo lo scontro col toro. Eri gravemente ferita. Se tu avessi compreso la poesia di Kramisha, probabilmente il prezzo che avresti pagato non sarebbe stato così alto. E poi c’è il fatto che è comparso un Raven Mocker, che potrebbe addirittura essere quel mostro di Rephaim. Lui è ancora là fuori ed è un pericolo per tutti noi. Perciò, giovane sacerdotessa, devi capire che un avvertimento diretto a te non può essere mantenuto privato in quanto coinvolge la vita di altri.» Stevie Rae fissò Dragone negli occhi, cercando di decifrare la sua espressione: era di sospetto e rabbia o rifletteva soltanto il dolore che l’avvolgeva dalla morte della moglie? Mentre lei esitava, Dragone riprese: «Una bestia ha ucciso Anastasia. Non possiamo permettere che altri innocenti siano toccati da queste creature di Tenebra, se riusciamo a evitarlo. Stevie Rae, lo sai che sto dicendo la verità». «Io... io, sì, lo so», balbettò, cercando di riordinare i pensieri. Rephaim ha ucciso Anastasia la sera in cui Dario gli ha sparato. Nessuno potrà mai dimenticarselo... io non lo dimenticherò mai, soprattutto adesso che le cose sono cambiate. Non lo vedo da settimane. Il nostro Imprinting esiste ancora, lo sento, eppure non ho ricevuto nessuna sensazione da lui. E fu proprio quel vuoto, quella mancanza di emozioni a far decidere Stevie Rae. «Okay, ha ragione. Ho bisogno di aiuto con questa storia.» Porse le poesie al professore. Forse è così che deve andare. Se Dragone scoprirà il mio segreto, sarà tutto distrutto, Rephaim, il nostro Imprinting e il mio cuore... Ma almeno sarà finita. Mentre leggeva la nuova poesia, l’espressione di Dragone si fece sempre più cupa. Quando infine il vampiro alzò lo sguardo dal foglietto, non c’erano dubbi su quanto fosse preoccupato. «Il secondo toro che hai evocato, quello nero che ha fatto sparire il cattivo... che tipo di legame avevi con lui?» «Non so se si possa definirlo un legame, ma ho pensato che fosse molto bello. Era nero, però in lui non c’era traccia di Tenebra. Era incredibile... bello come il cielo di notte, bello come la terra.» «La terra... Se il toro ti ricorda il tuo elemento, forse vuol dire che hai una sorta di legame con lui.» «Ma noi sappiamo che è buono. Non c’è dubbio su questo. La poesia non può parlare di lui», intervenne Kramisha. «E allora?» Stevie Rae non riusciva a nascondere l’irritazione. Kramisha sembrava un dannatissimo cane: non voleva proprio mollare l’osso. «Allora le poesie, e soprattutto l’ultima, parlano di fidarsi della verità. Che lui è buono e che ti puoi fidare lo sappiamo già, quindi perché dovrebbe servirti una poesia per spiegartelo?» «Kramisha, ho già cercato di dirtelo prima: non ne ho la minima idea.» «Tesoro, io penso solo che non parlino del toro nero», insistette la poetessa. «E di cos’altro potrebbero parlare? Io di altre bestie non ne conosco», disse in fretta Stevie Rae, come se la velocità potesse far sparire la bugia. «Hai detto che Dallas ha un’insolita nuova affinità, e che sembrava impazzito. È così?» chiese Dragone. «Più o meno», replicò Stevie Rae. «Il riferimento alla bestia potrebbe riguardare simbolicamente Dallas. La poesia potrebbe voler dire che devi fidarti dell’umanità che ancora c’è in lui», continuò Dragone. «Ah, non lo so... L’ultima volta che l’ho visto era incasinato e fuori di testa. Insomma, diceva delle cose stranissime sul Raven Mocker che aveva visto», replicò Stevie Rae. «La Riunione del Consiglio sta per iniziare!» li avvisò Lenobia. Mentre si dirigevano verso la Camera del Consiglio, Dragone sollevò il foglietto. «Vi spiace se lo tengo io? Solo il tempo di copiare le poesie e poi ve lo rendo. Vorrei poterle studiare meglio.» «A me sta bene», rispose Stevie Rae. «Be’, Dragone, sono felice che ci sia anche il suo cervello a lavorarci sopra», fece Kramisha. «Pure io», aggiunse Stevie Rae, cercando di fare in modo di sembrare sincera. Dragone si fermò un attimo. «Lo mostrerò soltanto a quei vampiri che penso ci possano aiutare a scoprire il significato di queste parole. Capisco benissimo il tuo desiderio di privacy.» «Domani ne parlerò con Zoey», disse Stevie Rae. Dragone aggrottò la fronte. «Sono convinto che tu debba condividere con lei la poesia, ma purtroppo domani non rientrerà alla Casa della Notte.» «Come? Perché no?» «Pare che Stark non sia in condizioni di poter viaggiare, perciò Sgiach ha dato loro il permesso di rimanere a Skye finché lo desiderano.» «Gliel’ha detto Zoey?» Stevie Rae non riusciva a credere che la sua migliore amica avesse chiamato Dragone e non lei. Cos’aveva in testa Zy? «No, lei e Stark hanno parlato con Jack.» «Oh, il Rituale di Festeggiamento.» Stevie Rae annuì. Zy non le aveva tenuto nascosto niente: Jack era così gasato per il Rituale da autoproclamarsi addetto alla musica, al cibo e alle decorazioni, quindi era più che probabile che le avesse telefonato con una serie di domande fondamentali tipo: Qual è il tuo colore preferito? oppure Doritos o patatine Ruffles? «Il ragazzino è ossessionato. Scommetto che ha perso la testa quando ha scoperto che domani Zoey non torna a casa.» «A dire il vero sta sfruttando il tempo in più per provare la canzone. E per preparare le decorazioni», spiegò Dragone. «Che la Dea ci aiuti», commentò Kramisha. «Se solo prova ad appendere arcobaleni e unicorni e a farci indossare boa di struzzo – di nuovo –, stavolta mi sente!» «Origami a forma di spada», disse Dragone. «Mi scusi?» Stevie Rae era certa di avere capito male. Dragone ridacchiò. «Jack è venuto in palestra a prendere in prestito una claymore per avere un campione da copiare. In onore di Stark, ha intenzione di appendere origami a forma di spada a una lenza da pesca. Dice che saranno perfetti con la canzone.» «Già, perché sfideranno la gravità!» Stevie Rae non riuscì a non sogghignare. Le piaceva proprio Jack. Quel ragazzo era troppo carino per descriverlo a parole. «Spero almeno che non le faccia con la carta rosa. Non sarebbe adatto per niente.» Erano arrivati alla Camera del Consiglio e, prima di entrare nella stanza già piena, Stevie Rae udì Dragone dire: «Non rosa. Viola. L’ho visto con una montagna di carta di quel colore». Stevie Rae stava ancora sorridendo quando Lenobia dichiarò aperta la riunione. Nei giorni successivi, avrebbe ricordato quel sorriso, desiderando di potersi aggrappare all’immagine di Jack che realizzava spade di carta viola cantando Defying Gravity, sempre pronto a vedere il lato bello della vita, sempre dolce, sempre felice e, cosa più importante, sempre al sicuro. CAPITOLO 6 JACK «Duc, bella ragazza, cosa c’è? Perché sei così schizzata oggi?» Jack tolse la pila di carta da origami viola da sotto il sedere della labrador bionda e la spostò fuori della sua portata, sullo sgabello di legno che usava come tavolino. La cagnolona sbuffò, scodinzolò e si avvicinò ancora di più al ragazzo. Lui sospirò e la guardò con tanto affetto ma anche un po’ esasperato. «Non devi starmi sempre attaccata. Va tutto bene. Sto soltanto preparando le decorazioni.» «Oggi è particolarmente appiccicosa», commentò Damien sedendosi a gambe incrociate sull’erba. Jack smise di dedicarsi alla spada di carta che aveva appena realizzato e accarezzò la testa morbida di Duchessa. «Secondo te riesce a percepire che S-T-A-R-K non si sente al cento per cento? Pensi che sappia che domani non tornerà?» «Be’, forse. È molto intelligente. Ma a mio parere è più preoccupata di vederti salire là sopra che del fatto che Stark sia stanco e in ritardo sui tempi.» Jack agitò le dita in direzione della scala da due metri e mezzo pronta poco lontano. «Ah, ma non c’è niente di cui tu e Duc dobbiate preoccuparvi. Quella scala è sicurissima. Ha persino un fermo che la tiene aperta.» «Non lo so. È così alta...» Damien lanciò un’occhiata circospetta agli ultimi pioli. «Ma no, non è così terribile. E poi non devo salire fino in cima. Questo povero albero ha i rami che vanno verso il basso. Sì, insomma, da quando lui è saltato fuori da sotto le radici.» Jack pronunciò l’ultima frase in un sussurro degno di un attore sul palco. Damien si schiarì la voce e diede alla grande quercia sotto cui erano seduti la stessa occhiata circospetta che aveva riservato alla scala. «Okay, non ti arrabbiare, ma devo proprio parlarti della tua idea di scegliere questo posto per il Rituale di Festeggiamento di Zoey.» Jack sollevò una mano col palmo rivolto all’esterno, nel segnale universale di stop. «Lo so già che qualcuno avrà dei problemi con questa location, ma ho deciso che i pro battono i contro.» Damien gli prese la mano e la tenne tra le sue. «Tesoro, tu hai sempre le migliori intenzioni. Ma penso che stavolta dovresti prendere in considerazione la possibilità di essere l’unico a trovare qualcosa di positivo in questo posto. La professoressa Nolan e Loren Blake sono stati uccisi qui. Kalona si è liberato spaccando questo albero. A me non sembra tanto adatto a dei festeggiamenti.» Jack coprì la mano libera di Damien con la propria. «È un luogo di potere, giusto?» «Esatto.» «E il potere non è né negativo né positivo. Assume queste caratteristiche solo quando delle forze esterne prendono il sopravvento e l’influenzano. Giusto?» Damien esitò, rifletté e poi, un po’ riluttante, annuì. «Sì, immagino che sia di nuovo esatto.» «Be’, io sento che il potere che c’è in questo luogo, in quest’albero spezzato e nella zona vicino al confine est del parco, è stato usato male. Ha bisogno di un’occasione per tornare a essere uno strumento della Luce e del bene. Devo farlo. Qualcosa dentro di me mi dice che devo essere qui, a preparare il Rituale per il ritorno di Zoey, anche se lei e Stark arriveranno con un po’ di ritardo.» Damien sospirò. «Sai che non ti chiederei mai d’ignorare le tue sensazioni.» «Allora mi sosterrai? Anche se dicono tutti che il tuo ragazzo è matto da legare?» Damien gli sorrise. «Non dicono che sei matto da legare. Dicono che il tuo impegno nel decorare e organizzare ha offuscato il tuo metro di giudizio.» Jack ridacchiò. «Scommetto che non hanno detto impegno e neanche offuscato.» «I loro termini erano sinonimi, ma di livello inferiore.» «Ecco il mio Damien: il mago delle parole!» «Ed ecco il mio Jack: il genio dell’ottimismo.» Damien lo baciò delicatamente sulle labbra. «Fai quello che devi fare. So che Zoey l’apprezzerà molto quando tornerà a casa.» S’interruppe, fece un sorriso triste e aggiunse: «Tesoro, lo sai vero che Zoey potrebbe stare via ancora per un bel po’? So cosa ti ha detto Stark e con Zy non ho ancora parlato, ma Afrodite dice che non è più la stessa. Che in realtà non rimane a Skye per Stark. Ci rimane perché vuole stare lontana dal mondo». «Scusami, Damien, ma proprio non riesco a crederci», ribatté deciso Jack. «Nemmeno io, ma il fatto è che Zoey non rientra con Afrodite e Dario e non ha nemmeno detto quando avrebbe intenzione di tornare. E c’è anche tutta la faccenda di Heath. Sai bene quanto me che, quando Zoey tornerà a Tulsa, dovrà affrontare il fatto che Heath non c’è, che non ci sarà più.» «Che cosa orribile, vero?» Ai due ragazzi bastò uno sguardo per comprendersi. «Dev’essere tremendo perdere qualcuno che si ama così tanto. Deve aver cambiato Zoey.» «Di sicuro, però, lei è sempre la nostra Zy. Ho la sensazione che tornerà a casa prima di quanto credi», disse Jack. Damien sospirò. «Speriamo che tu abbia ragione.» «Ehi, devi ammettere che ho ragione un sacco di volte. E avrò ragione anche su Zoey che torna presto. So che andrà così.» «Okay, d’accordo, ti credo. Soprattutto perché adoro questo tuo atteggiamento positivo.» Jack gli sorrise e gli diede un rapido bacio. «Grazie!» «E, in ogni caso, che Zy torni tra una settimana o tra un mese, continuo a non essere convinto al cento per cento che sia una buona idea appendere delle spade di carta all’esterno non sapendo quando serviranno. E se domani piove?» «Oh, ma non ho intenzione di appenderle tutte, sciocco! Sto soltanto facendo una prova per essere certo che le piegature siano perfette.» «È per questo che ti sei portato la claymore? Sembra così affilata e, be’, pericolosa appoggiata al tavolino in quel modo. La punta non dovrebbe essere rivolta verso il basso?» L’elsa della spada era posta sul terreno e la lama era rivolta verso l’alto, illuminata dalla luce guizzante delle lampade a olio che di sera illuminavano la scuola. «Be’, Dragone mi ha dato istruzioni molto precise. E ho ascoltato quasi tutto, anche se continuavo a distrarmi vedendo la sua aria triste. Sai, non mi sembra che si stia riprendendo.» Jack pronunciò l’ultima parte della frase sottovoce, quasi non volesse farsi sentire da Duchessa. Damien sospirò e intrecciò le dita a quelle di Jack. «Non sembra neanche a me.» «Già, lui mi spiegava di non infilare la punta della spada nel terreno perché se no va via il filo o qualcosa di simile, e io riuscivo a pensare soltanto a quanto fossero profonde le sue occhiaie.» «Tesoro, non credo che riesca a dormire molto», commentò triste Damien. «Forse non avrei dovuto disturbarlo chiedendo in prestito una spada, ma volevo usare una cosa vera e non solo una foto per creare i miei origami.» «Non credo che tu l’abbia disturbato. La morte di Anastasia è una cosa che deve elaborare col tempo. Mi dispiace dirlo, ma noi non possiamo fare niente per cambiare la situazione. E in ogni caso hai avuto un’ottima idea. Il tuo origami è molto realistico.» Jack si agitò compiaciuto. «Oooh! Lo pensi sul serio?» Damien gli mise un braccio intorno alle spalle e lo strinse a sé. «Assolutamente. Hai un vero dono per le decorazioni.» Jack si rannicchiò contro di lui. «Grazie. Sei il miglior fidanzato dell’universo.» Damien rise. «Non è difficile stando con te. Ehi, ti serve aiuto per piegare le spade?» A quel punto fu Jack a ridere. «No, grazie. Sei negato persino a fare pacchetti, quindi posso immaginare che l’origami non sia uno dei tuoi molti talenti. Però mi puoi aiutare con qualcos’altro.» Jack guardò Duchessa con intenzione, quindi si avvicinò a Damien per mormorargli all’orecchio: «Potresti portare Duc a fare una passeggiata. Non mi si stacca di dosso e continua a incasinarmi i fogli di carta». «Okay, nessun problema. Stavo per fare una corsetta. Sai com’è il detto: un gay cicciottello non è né felice né bello. Duc può fare qualche giro assieme a me. Dopo di che sarà troppo stanca per starti addosso.» «È una gran figata che tu faccia jogging.» «Lo dici adesso, aspetta di vedermi tornare tutto rosso e sudato», replicò Damien alzandosi e prendendo il guinzaglio di Duchessa nell’erba. «Però ci sono delle volte in cui mi piaci rosso e sudato», ribatté Jack con un sorriso. «Allora forse dopo non mi faccio la doccia», disse Damien. «Allora forse è proprio una buona idea», convenne Jack. «O forse potresti fare la doccia con me.» Il sorriso di Jack diventò ancora più grande. «Ah, questa sì che è proprio una buona idea.» «Sfacciato», fece Damien prima di baciarlo. «Linguista», replicò Jack. Duchessa s’intromise scodinzolando tra i due, sbuffando e dando leccatine a entrambi. «Ma sì, bella ragazza! Anche noi ti vogliamo bene!» disse Jack. «Dai, vieni con me. Andiamo a correre un po’, per tenerci belli e in forma per Jack.» Damien tirò il guinzaglio del grosso cane, che lo seguì con evidente esitazione. «Va tutto bene, Duc. Ti riporta qui presto», disse Jack. «Sì, bionda, torniamo subito da Jack.» «Ehi, vi voglio bene, ragazzi!» gridò Jack mentre si allontanavano. Damien si voltò, sollevò una zampa di Duchessa e la mosse in segno di saluto, quindi strillò: «Anche noi!» Dopo di che corricchiarono via, con Duchessa che abbaiava eccitata mentre Damien fingeva d’inseguirla. «Loro sono il meglio in assoluto», commentò Jack sottovoce e si rimise al lavoro sull’ultima spada, la quinta. Una per ciascun elemento. Ora le appendo, così faccio una prova. Mentre tagliava la lenza da pesca, Jack continuava a guardare in su, cercando il punto giusto dove appendere le decorazioni. Non ci mise molto. Il massiccio tronco della quercia era stato spezzato in due e piegato tanto che i grossi rami sfioravano quasi il terreno. Prima che Kalona uscisse dalla terra, non sarebbe stato possibile raggiungere i rami più bassi senza una scala di almeno sei metri, invece adesso quella di due e mezzo era più che sufficiente. «Là. Ecco dove dovrebbe stare la prima.» Proprio sopra al punto in cui Jack aveva sistemato il tavolino da lavoro si allungava un grande ramo che faceva pensare a un braccio. «È perfetto.» Trascinò la scala più vicino e sollevò la spada di carta tenendola per la lenza che aveva fissato all’elsa. «Oh, ooops! Me ne stavo dimenticando. Mi devo esercitare!» esclamò, fermandosi a sfiorare i tasti del suo iPhone dock portatile. Something has changed within me Something is not the same I’m through with playing by the rules Of someone else’s game... La voce di Rachel iniziò la canzone, limpida e forte. Jack aspettò con un piede sul piolo più basso della scala e, quando fu il turno di Kurt, cantò anche lui, seguendo il tono tenorile nota dopo nota. Too late for second-guessing Too late to go back to sleep... Jack salì sulla scala cantando con Kurt, fingendo di salire i gradini del Radio City Music Hall, dove il cast di Glee aveva fatto tappa nel tour musicale della primavera precedente. Arrivò all’ultimo piolo, si fermò, e iniziò il primo ritornello con Rachel e Kurt mentre si allungava per far passare il filo da pesca tra i rami spogli della quercia. It’s time to trust my instincts Close my eyes: and leap! Stava canticchiando l’ultima parte di Rachel, in attesa che riprendesse Kurt, quando un movimento alla base dell’albero spezzato attirò la sua attenzione. Jack rimase senza fiato: era sicuro di aver visto l’immagine di una donna bellissima. All’inizio si trattava solo di una sagoma scura e indistinta ma, mentre Kurt cantava di un amore che aveva capito di avere perso, la figura era diventata più chiara, grande e definita. «Nyx?» mormorò intimidito Jack. Quasi si fosse sollevato un velo, all’improvviso la donna fu completamente visibile. Sollevò la testa e sorrise a Jack, splendida e malvagia allo stesso tempo. «Sì, piccolo Jack, puoi chiamarmi Nyx.» «Neferet! Che ci fa qui?» La domanda gli uscì di bocca prima che potesse riflettere. «A dire il vero, in questo momento sono qui perché ci sei tu.» «I-io?» «Sì. Vedi, ho bisogno del tuo aiuto. So quanto ti piace aiutare gli altri ed è per questo che sono venuta da te, Jack. Faresti una cosa per me? Ti posso assicurare che ne varrà la pena.» «Ne varrà la pena? Cosa intende?» domandò Jack. «Intendo dire che, se fai una cosuccia per me, io poi farò una cosuccia per te. Sono stata lontana dai novizi della Casa della Notte per troppo tempo. È possibile che abbia perso contatto con ciò che fa loro battere il cuore e tu potresti aiutarmi, guidarmi. In cambio ti darei un premio. Pensa ai tuoi sogni, a quello che vorresti fare nella lunga vita che ti aspetta dopo la Trasformazione. Io potrei fare in modo che quei sogni diventino realtà.» Jack sorrise e allargò le braccia. «Ma i miei desideri si sono già realizzati. Sono qui, in questo bel posto, con tanti amici che sono diventati la mia famiglia. Cosa si potrebbe volere di più?» L’espressione di Neferet s’indurì, e la sua voce si fece pietra. «Cosa potresti volere di più? Che ne diresti del controllo assoluto su ‘questo bel posto’? La bellezza non dura. Amicizia e famiglia si deteriorano. L’unica cosa che dura in eterno è il potere.» «No, è l’amore che dura in eterno», replicò Jack dal profondo del cuore. Neferet rise di gusto. «Non essere così infantile. Io ti sto offrendo molto più dell’amore.» Jack guardò Neferet con attenzione. Probabilmente, in fondo al cuore lo aveva sempre saputo, ma solo ora riuscì a comprenderlo in modo razionale: lei aveva accolto in sé il male, nel modo più totale e assoluto. Ormai in lei non c’è più niente della Luce o di me. La voce nella mente di Jack era dolce e amorevole, e gli diede il coraggio di ricacciare giù il groppo che gli si era formato in gola e guardare Neferet dritto in quei gelidi occhi di smeraldo. «Non vorrei sembrarle maleducato, Neferet, ma quello che lei mi offre non m’interessa. Non la posso aiutare. Lei e io, be’, non stiamo dalla stessa parte.» Detto questo, iniziò a scendere dalla scala. «Resta dove sei!» Jack non riusciva a spiegarsi come fosse possibile, eppure Neferet aveva preso il controllo del suo corpo: all’improvviso, lui si sentiva come se fosse stato circondato da un’invisibile gabbia di ghiaccio che gli impediva di muoversi. «Impudente che non sei altro! Pensi davvero di potermi sfidare?» Kiss me goodbye I’m defying gravity... «Sì», replicò Jack mentre intorno a lui la voce di Kurt lo incitava a sfidare la gravità. «Perché io sto dalla parte di Nyx, non dalla sua. Perciò, Neferet, mi lasci andare e basta, tanto io non l’aiuterò.» «È qui che ti sbagli, mio giovane innocente che non sono riuscita a corrompere. Hai appena dimostrato di potermi aiutare moltissimo.» Neferet sollevò le mani. «Come ho promesso, eccolo qui.» Jack non capiva a chi si stesse rivolgendo Neferet, ma le sue parole gli fecero venire la pelle d’oca. Impotente, la vide allontanarsi dall’ombra dell’albero e scivolare via da lui per raggiungere il sentiero che l’avrebbe condotta all’edificio principale della Casa della Notte. Con uno strano distacco, il ragazzo si accorse che i movimenti di lei erano più da rettile che da umano. Per un istante, credette che se ne stesse davvero andando, credette di essere salvo. Ma, quando la vampira raggiunse il vialetto, si voltò a guardarlo, scosse la testa e rise piano. «Me l’hai reso anche troppo facile, ragazzino, col tuo onorevole rifiuto della mia offerta.» Poi fece un gesto in direzione della spada, come se stesse lanciando qualcosa, e Jack fu certo di aver scorto un’ombra scura avvolgersi intorno all’elsa. La spada girò e girò e girò, fino a che la punta non fu rivolta verso di lui. «Ecco il tuo sacrificio. Lui è quello che non ho potuto corrompere. Prendilo, e il mio debito col tuo padrone sarà pagato, ma aspetta fino a che l’orologio non batterà dodici colpi. Trattienilo fino ad allora.» Detto ciò, Neferet entrò nell’edificio. La mezzanotte sembrava non arrivare mai e, per non pensare alle invisibili catene di ghiaccio che lo trattenevano, Jack si rifugiò nella musica, felice che il suo iPhone continuasse a suonare Defying Gravity. Gli era di conforto ascoltare Kurt e Rachel che gli insegnavano come superare la paura. Quando l’orologio cominciò a scandire i colpi, Jack ormai sapeva cosa sarebbe successo. Sapeva di non poterlo impedire, che il suo destino non poteva essere cambiato. Al posto di un inutile tentativo di combattere, di rimpianti dell’ultimo minuto, di lacrime prive di senso, Jack chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e, con gioia, si unì a Rachel e a Kurt nel ritornello: I’d sooner buy Defying gravity Kiss me goodbye I’m defying gravity I think I’ll try Defying gravity And you won’t bring me down! La melodiosa voce di Jack risuonava tra i rami della quercia spezzata, quando la magia di Neferet scagliò il ragazzo giù dalla scala. Cadde sulla claymore ma, nell’istante in cui la lama gli trafiggeva il collo, prima che il dolore e la morte e la Tenebra potessero sfiorarlo, il suo spirito esplose fuori del corpo. Jack aprì gli occhi e scoprì di essere in un prato meraviglioso, ai piedi di un albero che pareva la copia esatta di quello spezzato da Kalona, solo che questo era intatto e verde, e aveva accanto una donna che indossava delle scintillanti vesti d’argento. Era così stupenda che Jack avrebbe potuto rimanere a fissarla per sempre. La riconobbe subito. L’avrebbe riconosciuta sempre. «Salve, Nyx», esordì. La Dea sorrise. «Salve, Jack.» «Sono morto, giusto?» Il sorriso di Nyx non si affievolì. «Sì, mio splendido figlio, amorevole e incorruttibile.» Jack esitò, poi disse: «Non sembra tanto male, questa storia dell’essere morti». «Scoprirai che non lo è.» «Mi mancherà Damien.» «Starai di nuovo con lui. Alcune anime si ritrovano e per le vostre sarà così. Hai la mia parola.» «Mi sono comportato come dovevo, prima?» «Sei stato perfetto, figlio mio.» Poi Nyx, Dea della Notte, spalancò le braccia e strinse Jack a sé. Al contatto con lei, le ultime tracce di sofferenza mortale, di tristezza e di senso di perdita si dissolsero dallo spirito del novizio, lasciandoci amore, sempre e soltanto amore. E allora Jack conobbe la gioia assoluta. CAPITOLO 7 REPHAIM L’istante prima che suo padre comparisse, la consistenza dell’aria cambiò. Lui aveva capito subito che Kalona era tornato dall’Aldilà, nell’attimo stesso in cui era accaduto. Come avrebbe potuto non accorgersene? Si trovava assieme a Stevie Rae, quando lei aveva avvertito che Zoey era di nuovo completa, proprio come lui aveva percepito il ritorno del padre. Stevie Rae... erano passati meno di quindici giorni dall’ultima volta in cui era stato con lei, dall’ultima volta in cui le aveva parlato, l’aveva sfiorata, ma sembrava fosse trascorsa un’eternità. Anche se Rephaim fosse vissuto un altro secolo, non avrebbe potuto dimenticare quanto era successo tra loro. Era lui il ragazzo umano che avevano guardato insieme nella fontana. La cosa non aveva molto senso a livello razionale, ma ciò non la rendeva meno reale: Rephaim aveva toccato Stevie Rae e immaginato, per un brevissimo istante, come avrebbe potuto essere. Avrebbe potuto amarla. Avrebbe potuto proteggerla. Avrebbe potuto scegliere la Luce invece della Tenebra. Ma ciò che avrebbe potuto essere non era la realtà, non si sarebbe mai realizzato. Lui era nato da odio e lussuria, dolore e Tenebra. Era un mostro. Non umano. Non immortale. Non bestia. Mostro. I mostri non sognano. I mostri non desiderano altro che sangue e distruzione. I mostri non conoscono amore o felicità: non possono, perché non sono stati creati per quello scopo. Ma allora com’era possibile che sentisse la mancanza della Rossa? Perché, da quanto Stevie Rae se n’era andata, provava quel terribile vuoto nell’anima? Perché senza di lei non si sentiva del tutto vivo? E perché desiderava tanto essere migliore, più forte, più saggio e buono, realmente buono per lei? Che fosse impazzito? Rephaim camminava avanti e indietro sulla balconata del Gilcrease Museum. Era passata mezzanotte e il parco era tranquillo ma, una volta terminate le grandi pulizie dopo la tempesta di ghiaccio, durante il giorno quel posto si faceva sempre più affollato. Dovrò cercare un altro nascondiglio, più sicuro. Farei bene ad andarmene da Tulsa e a crearmi una roccaforte in una zona disabitata di questo immenso Paese. Sapeva che era quella la cosa più saggia da fare, la cosa più logica, tuttavia c’era qualcosa che lo obbligava a restare. Rephaim cercava di convincersi che la ragione fosse molto semplice: presto suo padre sarebbe tornato a Tulsa, e quindi doveva aspettarlo, perché gli desse uno scopo e una guida. Ma, nel più profondo del cuore, sapeva che la verità era un’altra: non voleva andarsene perché lì c’era Stevie Rae e, anche se non poteva permettersi di contattarla, lei era comunque vicina, raggiungibile, se solo avesse osato farlo. Poi, mentre lui era ancora immerso in quel calderone di sensi di colpa e recriminazioni, l’aria intorno si fece pesante, densa di un potere immortale che Rephaim conosceva fin troppo bene. All’improvviso si sentì strattonare da una forza invisibile, come se l’energia che aleggiava nella notte gli si fosse attaccata addosso e lo stesse usando per issarsi sulla terrazza. Rephaim si preparò, fisicamente e mentalmente, accettando quel legame, senza preoccuparsi che fosse doloroso e spossante e che lo riempisse di una soffocante ondata di claustrofobia. Sopra di lui, il cielo si scurì e il vento crebbe d’intensità. Il Raven Mocker rimase fermo al suo posto. Quando il magnifico immortale alato, suo padre, Kalona, Guerriero deposto di Nyx, piombò giù dai cieli e atterrò davanti a lui, Rephaim cadde automaticamente in ginocchio, in un devoto inchino. «Mi ha stupito apprendere che eri rimasto qui. Perché non mi hai seguito in Italia?» esordì Kalona senza dare al figlio il permesso di rialzarsi. Rephaim rispose, a testa china: «Ero ferito a morte. Mi sono appena ripreso. Ho pensato fosse più saggio aspettarti qui». «Ferito? Ah, sì, ricordo. Un colpo di pistola. Ti puoi alzare, Rephaim.» «Grazie, padre.» Non appena ebbe modo di guardare Kalona, il Raven Mocker trasalì. Per fortuna che il suo volto non tradiva facilmente le emozioni! Sembrava che il padre fosse stato malato: la sua pelle color bronzo aveva una sfumatura giallastra. Intorno ai suoi inusuali occhi ambra si notavano cerchi scuri. Pareva addirittura smagrito. «Padre, stai bene?» «Ma certo che sto bene; sono immortale!» replicò brusco. Poi sospirò e, con un gesto stanco, si passò una mano sul viso. «Lei mi ha trattenuto sottoterra. Già ero ferito, ed essere bloccato in quell’elemento ha reso impossibile la mia guarigione e poi, quando sono stato liberato, è stato comunque un processo lento.» «Quindi Neferet ti ha imprigionato», concluse Rephaim in tono piatto. «Sì, ma non le sarebbe stato tanto facile se Zoey Redbird non avesse aggredito il mio spirito», commentò amareggiato. «Tuttavia la novizia è viva», disse Rephaim. «Sì, è viva!» tuonò Kalona. Ma, rapida com’era scoppiata, la rabbia si esaurì, lasciandolo ancora più stanco. L’immortale sospirò, fissò la notte e, in un tono più tranquillo, ripeté: «Sì, Zoey è ancora viva, anche se credo che l’esperienza nell’Aldilà l’abbia cambiata per sempre. Succede a chiunque trascorra del tempo nel regno di Nyx». «Dunque Nyx ti ha consentito di entrare nell’Aldilà?» Per quanto ci avesse provato, Rephaim non era riuscito a trattenersi dal chiederlo. Si preparò alla sfuriata di suo padre, invece Kalona rispose con voce incredibilmente bassa, quasi gentile. «Sì. E l’ho anche vista. Per un breve attimo. È merito della Dea se quel maledetto Stark ancora respira e cammina sulla terra.» «Stark ha seguito Zoey nell’Aldilà ed è ancora vivo?» «È vivo, anche se non dovrebbe.» Mentre parlava, Kalona si massaggiò distrattamente il petto, appena sopra il cuore. «Sospetto che quei tori impiccioni abbiano a che vedere col fatto che sia sopravvissuto.» «Il toro nero e il toro bianco? Luce e Tenebra?» Rephaim sentì in fondo alla gola il sapore amaro della paura al ricordo del manto lucido e spaventoso del toro bianco, l’infinita malvagità nei suoi occhi e il dolore insopportabile che gli aveva procurato. «Cosa c’è? Perché hai quell’espressione?» domandò Kalona con sguardo indagatore. «Si sono manifestati qui a Tulsa poco più di una settimana fa.» «Cosa li ha portati qui?» Rephaim esitò, col cuore che gli batteva dolorosamente nel petto. Cosa poteva ammettere? Cosa poteva dire? «Rephaim, parla!» «È stata la Rossa, la giovane Somma Sacerdotessa. Ha invocato i tori. È stato quello bianco a dare le conoscenze necessarie a Stark per raggiungere l’Aldilà.» «Come fai a saperlo?» La voce di Kalona era di morte. «Sono stato testimone di parte dell’invocazione. Ero ferito in modo così grave che non pensavo di potermi riprendere, credevo addirittura che non avrei mai più volato. Quando si è manifestato, il toro bianco mi ha dato forza e mi ha attirato nel suo cerchio. È stato lì che ho osservato la Rossa ottenere le informazioni.» «Eri guarito, ma non hai catturato la Rossa? Non l’hai fermata prima che tornasse alla Casa della Notte e aiutasse Stark?» «Non ho potuto. Si è manifestato anche il toro nero e la Luce ha scacciato la Tenebra, proteggendo la Rossa. Da allora, sono rimasto qui a recuperare le forze e, quando ho percepito che eri tornato in questo regno, ti ho aspettato», rispose sincero, sostenendo lo sguardo del padre. Kalona annuì lentamente. «È un bene che tu mi abbia atteso. C’è ancora molto da fare a Tulsa. Presto questa Casa della Notte apparterrà alla Tsi Sgili.» «È tornata anche Neferet? Il Consiglio Supremo non l’ha trattenuta?» Kalona rise. «Il Consiglio Supremo è formato da sciocche ingenue. La Tsi Sgili ha dato la colpa a me degli ultimi eventi e mi ha punito frustandomi pubblicamente, per poi bandirmi dal suo fianco. Il Consiglio si è placato.» Sconvolto, Rephaim scosse la testa. Kalona aveva parlato con tono leggero, quasi divertito, ma non riusciva a nascondere quanto fosse ancora debole e ferito. «Padre, non capisco. Ti ha frustato? Hai consentito a Neferet di...» Con una rapidità incredibile, Kalona strinse una mano intorno al collo del figlio e lo sollevò da terra come se non pesasse più di una singola penna nera. «Non commettere l’errore di credere che, siccome sono stato ferito, io sia anche diventato debole.» I suoi occhi d’ambra splendevano di una luce rabbiosa. «Non lo farò. Padre, non intendevo mancarti di rispetto.» La voce di Rephaim era poco più di un sibilo strozzato. Non appena Kalona lo lasciò andare, lui gli crollò ai piedi, stravolto. L’immortale spalancò le braccia, come se volesse sfidare i cieli. «Mi tiene ancora prigioniero!» gridò. Quelle parole si fecero strada nella confusione che Rephaim aveva in testa e lui, che si stava ancora massaggiando la gola, alzò lo sguardo verso Kalona: il viso dell’immortale era sconvolto dalla sofferenza, e i suoi occhi erano spiritati. Con lentezza, Rephaim si alzò e gli si avvicinò, cauto. «Cos’ha fatto?» Kalona riabbassò le braccia lungo i fianchi, ma lo sguardo rimase rivolto al cielo. «Le ho giurato che avrei eliminato Zoey Redbird. La novizia è ancora viva. Ho infranto il giuramento.» A Rephaim si gelò il sangue nelle vene. «E questo prevedeva una punizione.» Non aveva formulato la frase in tono interrogativo, ma Kalona annuì. «È così.» «Dunque cosa devi a Neferet?» «Finché rimango immortale, lei avrà il controllo assoluto del mio spirito.» «Per tutti gli dei e le dee, allora siamo perduti entrambi!» esclamò Rephaim. La rabbia negli occhi di Kalona fu sostituita da un bagliore d’intesa. «Neferet è immortale da meno di un respiro di questo mondo. Io lo sono da tempo incalcolabile. Se ho imparato una lezione nel corso dei secoli è che non esiste niente che non possa essere spezzato. Niente. Né il cuore più forte né l’anima più pura... e neppure il giuramento più costrittivo.» «Sai come spezzare il vincolo che le permette di comandarti?» «No, ma so che, se le offrirò ciò che più desidera, sarà distratta, e quindi io avrò più possibilità di scoprirlo.» Rephaim si azzardò a replicare: «Padre, quando s’infrange un giuramento ci sono sempre delle conseguenze. Non correrai il rischio di sollevare altri problemi?» «Non riesco a immaginare una conseguenza che non sarei felice di subire per liberarmi del controllo di Neferet.» La rabbia gelida e letale nella voce di Kalona seccò la gola a Rephaim: quando suo padre era così furioso, lui non aveva altra scelta se non dirsi d’accordo, aiutarlo a ottenere qualunque cosa volesse e restare al suo fianco in silenzio e senza obiettare. Ormai ci era abituato. Ciò cui Rephaim non era abituato era provare risentimento per quel modo di agire. Cercò di scrollarsi via di dosso quella sensazione e disse ciò che suo padre si aspettava: «Cosa desidera Neferet e come facciamo a ottenerlo?» L’espressione di Kalona si rilassò un po’. «La Tsi Sgili desidera soprattutto soggiogare gli umani. E noi le offriremo questa possibilità, aiutandola a iniziare una guerra tra vampiri e umani, una guerra che lei userà come scusa per distruggere il Consiglio Supremo. Sparito quello, la società dei vampiri sarà nel caos e Neferet, sfruttando il suo nuovo titolo di Nyx incarnata, ne avrà il comando.» «Ma i vampiri ormai sono troppo razionali, troppo civili per combattere contro gli umani. Io penso che si ritirerebbero lontano dalla società piuttosto di scatenare una guerra.» «Questo è vero per la maggior parte di loro, ma dimentichi la nuova razza assetata di sangue creata dalla Tsi Sgili. Quelli non sembrano avere i medesimi scrupoli.» «I novizi rossi», fece Rephaim. «Ah, ma non sono solo novizi. Ho saputo che si è Trasformato un altro ragazzo. E poi c’è la nuova Somma Sacerdotessa, la Rossa. Non sono sicuro che sia votata alla Luce quanto la sua amica Zoey.» Rephaim si sentì come se fosse stato colpito da un pugno in pieno stomaco. «La Rossa ha evocato il toro nero, la manifestazione della Luce. Non credo possa venire allontanata dalla via della Dea.» «Però hai detto che ha evocato anche il toro della Tenebra.» «È vero ma, da quanto ho potuto vedere, non si è appellata alla Tenebra in modo intenzionale.» Kalona rise. «Neferet mi ha detto che Stevie Rae era molto diversa quand’era appena risorta. La Rossa godeva della Tenebra!» «Poi però si è Trasformata, come Stark. Adesso sono entrambi devoti a Nyx.» «No, Stark è devoto a Zoey Redbird. E non credo che la Rossa abbia stretto un legame simile.» Rephaim face bene attenzione a restare zitto. «Più ci penso, più l’idea mi piace. Se la Rossa passasse dalla nostra parte, Neferet aumenterebbe il suo potere e Zoey perderebbe qualcuno che le è molto vicino. Sì, mi soddisfa. Molto.» Rephaim stava cercando di controllare il misto di panico, ansia e caos che aveva invaso la sua mente, per riuscire a formulare una risposta che distogliesse Kalona da Stevie Rae, quando l’aria intorno a loro s’increspò e mutò. Comparvero ombre nelle ombre che per un momento si agitarono estatiche. Lo sguardo interrogativo del Raven Mocker si spostò dalla Tenebra in agguato negli angoli della terrazza a suo padre. Kalona annuì e sorrise torvo. «La Tsi Sgili ha pagato il suo debito: ha sacrificato la vita di un innocente che non poteva essere corrotto.» Rephaim sentiva il sangue pulsargli nelle vene e, per un istante, provò una paura violenta e incredibile per Stevie Rae. Poi capì: No, Neferet non può avere sacrificato Stevie Rae perché lei una volta è stata corrotta dalla Tenebra. Per ora, per questo pericolo, lei è salva. Era così sollevato di saperla al sicuro che si azzardò a domandare: «Chi ha ucciso Neferet?» «E che differenza potrà mai fare per te chi ha sacrificato la Tsi Sgili?» Il Raven Mocker cercò di rimediare a quell’errore di distrazione. «Sono solo curioso.» «Percepisco un cambiamento in te, figlio mio.» Rephaim incrociò con fermezza lo sguardo del padre. «Sono quasi morto. È stata un’esperienza che mi ha dato da pensare. Devi ricordarti che divido con te solamente una parte della tua immortalità.» Kalona annuì. «A volte dimentico che la tua umanità t’indebolisce.» «Mortalità, non umanità. Io non sono umano», replicò amaro. Kalona lo studiò. «Come sei riuscito a sopravvivere alle ferite?» Rephaim distolse lo sguardo e rispose il più sinceramente possibile. «Non sono del tutto certo di come o perché sia sopravvissuto. Gran parte di quei momenti rimangono come sfocati per me.» Non capirò mai perché Stevie Rae mi abbia salvato. «Il come non è importante. Il perché è ovvio: sei sopravvissuto per servirmi, come hai fatto per tutta la vita.» «Sì, padre», replicò Rephaim in modo automatico. Poi, per nascondere la disperazione che persino lui era riuscito a cogliere nella propria voce, aggiunse: «E, proprio perché il mio unico scopo è servirti, devo dirti che tu e io non possiamo rimanere qui». Kalona inarcò un sopracciglio. «Cosa stai dicendo?» «Questo luogo... Sono presenti troppi umani da quando il ghiaccio è scomparso. Non è sicuro restare qui. Forse sarebbe più saggio se tu e io lasciassimo Tulsa per un po’.» «Ma noi non possiamo lasciare Tulsa! Ti ho già spiegato che devo distrarre la Tsi Sgili in modo da potermi liberare delle catene che mi legano a lei. E questo potrà essere fatto meglio qui, usando la Rossa e i suoi novizi. Però hai ragione, questo luogo non è adatto a noi.» «Allora non è meglio lasciare la città finché non avremo trovato una sistemazione migliore?» «Perché continui a insistere quando ti ho chiarito che dobbiamo rimanere?» Rephaim prese fiato e replicò soltanto: «Mi sono stancato della città». «E allora attingi alle riserve di forza che hai in te come retaggio del mio sangue!» ordinò Kalona, chiaramente seccato. «Resteremo a Tulsa per il tempo che servirà a raggiungere l’obiettivo che mi sono posto. Ha già pensato Neferet a dove dovrei stare. Lei richiede che le sia vicino, ma sa pure che nessuno deve vedermi, almeno per il momento, perciò ha acquistato un edificio apposta per noi, e stasera ci trasferiremo lì. Presto inizieremo a dare la caccia ai novizi rossi e alla loro Somma Sacerdotessa.» Lo sguardo di Kalona si spostò sulle ali del figlio. «Sei di nuovo in grado di volare?» «Sì, padre.» «Allora basta con le chiacchiere insulse. Lanciamoci nel cielo e cominciamo la salita verso il nostro futuro e la nostra libertà.» L’immortale spalancò le ali immense e volò via dal tetto della grande villa deserta. Rephaim esitava, tentando di pensare, di respirare, di capire come avrebbe dovuto agire. Da un angolo della terrazza, sbucò il piccolo spirito biondo che non gli aveva dato pace dal momento in cui era giunto lì, mezzo morto e sanguinante. «Non puoi lasciare che tuo padre le faccia del male. Questo lo sai, vero?» «Per l’ultima volta, spettro: vattene», replicò Rephaim allargando le ali e preparandosi a seguire Kalona. «Tu devi aiutare Stevie Rae.» «E perché dovrei? Io sono un mostro... lei non può essere niente per me.» La bambina sorrise. «Troppo tardi, lei significa già qualcosa per te. E poi c’è un altro motivo per cui devi aiutarla.» «E quale sarebbe?» domandò in tono stanco Rephaim. «È ovvio: tu non sei del tutto mostro. Una parte di te è umana e questo significa che un giorno morirai. E, quando succederà, porterai per sempre con te soltanto una cosa.» «Che sarebbe?» Il sorriso di lei era radioso. «L’amore, sciocco! L’unica cosa che puoi portare con te è l’amore. Quindi, vedi, devi salvarla, altrimenti lo rimpiangerai per sempre.» Rephaim fissò la ragazzina. «Grazie», disse sottovoce un attimo prima di lanciarsi nel buio. CAPITOLO 8 STEVIE RAE «Io penso che dovreste dare a Zoey un po’ di tregua. Dopo quello che ha passato, le serve di sicuro una vacanza», disse Stevie Rae. «Sempre ammesso che non ci sia sotto dell’altro», replicò Erik. «E questo cosa vorrebbe dire?» «Corre voce che non abbia intenzione di tornare. Per niente.» «È una cavolata immane.» «Le hai parlato?» chiese Erik. «No, e tu?» ribatté Stevie Rae. «No.» «In verità, Erik solleva una questione importante», intervenne Lenobia. «Nessuno ha parlato con Zoey. Jack ha detto che non sarebbe rientrata, mentre Afrodite e Dario, con cui ho parlato ieri, saranno di nuovo qui molto presto. Zoey non chiama e non risponde al telefono.» «Zoey è stanca. Stark non si è ancora ripreso del tutto. Non è questo che ha riferito Jack?» «Sì, ma la verità è che, da quando è tornata dall’Aldilà, nessuno l’ha sentita direttamente», rispose Dragone Lankford. «Okay, parliamoci chiaro: perché è un problema per voi? Vi comportate come se Zy fosse un ragazzino cattivo che bigia scuola e non una Somma Sacerdotessa strapotente.» «Be’, da un lato siamo preoccupati proprio per questo: il potere conferisce non poche responsabilità, tu questo lo sai benissimo. È poi c’è la questione di Neferet e Kalona», disse Lenobia. «Qui devo intervenire», s’intromise Pentasilea. «Come avrete visto dall’ultimo messaggio del Consiglio Supremo, non si parla più di Neferet e Kalona. Dopo che lo spirito del suo Consorte è rientrato nel corpo, Neferet ha rotto con lui, l’ha fatto frustare pubblicamente e l’ha bandito dal proprio fianco e dalla società dei vampiri per un secolo. Neferet l’ha punito per aver ucciso il ragazzo umano, crimine di cui anche il Consiglio Supremo ha ritenuto responsabile soltanto Kalona.» «Sì, questo lo sappiamo, ma...» iniziò Lenobia. «Di cosa state parlando?» l’interruppe Stevie Rae con la sensazione che stesse per scoppiarle la testa. «Si direbbe che noi non siamo nella loro mailing list», commentò Kramisha, che sembrava scioccata almeno quanto Stevie Rae. Mentre l’orologio all’esterno iniziava a battere la mezzanotte, Neferet fece il suo ingresso dalla porta segreta della Camera del Consiglio di Tulsa, di solito riservata alla Somma Sacerdotessa. «Noto di essere tornata appena in tempo. Qualcuno vorrebbe per favore spiegarmi come mai abbiamo cominciato a consentire ai novizi di presenziare alle riunioni del nostro Consiglio?» domandò con voce simile a una frusta, piena di sicurezza e autocontrollo. Stevie Rae ricacciò indietro la paura e, quandò finalmente si sentì pronta a parlare, rispose in tono fermo e deciso: «Kramisha non è solo una novizia. È un Poeta Laureato e una Profetessa. Se a questo aggiunge il fatto che è stata invitata da me, Somma Sacerdotessa dei vampiri rossi, vedrà che ha tutto il diritto di partecipare alla riunione. E come mai lei non è in galera per l’omicidio di Heath?» La risata di Neferet era crudele. «Galera? Che impudenza! Io sono una Somma Sacerdotessa, e per giunta mi sono guadagnata il titolo e non l’ho ottenuto solo per mancanza di alternative.» «Tuttavia non hai ancora risposto riguardo al tuo coinvolgimento nell’uccisione dell’umano», ribatté Dragone. «E nemmeno io ho ricevuto comunicazioni dal Consiglio Supremo dei Vampiri. Mi piacerebbe proprio che mi spiegassi come mai sei qui e perché non sei stata ritenuta responsabile del comportamento del tuo Consorte.» Stevie Rae si aspettava che Neferet esplodesse di fronte all’interrogatorio di Dragone, invece la sua espressione si addolcì e i suoi occhi verdi si riempirono di compassione. «Suppongo che il Consiglio Supremo abbia aspettato a scriverti perché consapevole del fatto che sei ancora in lutto per la perdita della tua compagna.» Il volto di Dragone impallidì, ma i suoi occhi azzurri si fecero più duri. «Io non ho perso Anastasia. Mi è stata portata via. Uccisa da un mostro creato dal tuo Consorte che agiva ai suoi ordini.» «Capisco che il dolore possa influire sulla tua valutazione dei fatti, ma devi sapere che Rephaim e gli altri Raven Mocker non avevano l’ordine di fare del male a qualcuno. Al contrario, era stato comandato loro di proteggere i vampiri e i novizi della Casa della Notte e, quando Zoey e i suoi amici hanno dato fuoco alle scuderie e rubato i nostri cavalli, loro l’hanno visto come un’aggressione. Hanno agito per il bene della scuola.» Stevie Rae e Lenobia si scambiarono una rapida occhiata: nessuna delle due voleva far conoscere a Neferet i dettagli della fuga di Zoey, perciò la vampira rossa tenne la bocca chiusa, evitando di svelare il ruolo avuto da Lenobia nella «fuga» di Zoey. «Hanno ucciso la mia compagna», ripeté Dragone, attirando su di sé l’attenzione di tutti. «E questo mi rattristerà in eterno. Anastasia era una mia buona amica», disse Neferet. «È stata lei a dare la caccia a Zoey, a Dario e al resto del gruppo. Lei ci ha minacciati. Lei ha ordinato a Stark di tirare una freccia contro Zoey. Come giustifica tutto questo?» domandò Stevie Rae. Il bel viso di Neferet parve raggrinzirsi e lei si appoggiò al tavolo, singhiozzando sommessamente. «Lo so... lo so. Sono stata debole. Mi sono lasciata ammaliare dall’immortale alato. Lui ha detto che Zoey doveva essere eliminata e, dato che ero convinta che fosse Erebo incarnato, io gli ho creduto.» «Che montagna di stronzate!» saltò su Stevie Rae. Lo sguardo di smeraldo di Neferet la trapassò. «Non ti è mai importato di qualcuno che poi si è rivelato un mostro?» Stevie Rae si sentì sbiancare. «Nella mia vita, alla fine i mostri si sono sempre rivelati per quello che sono.» «Giovane Sacerdotessa, non hai risposto alla mia domanda.» Stevie Rae sollevò il mento. «No, non mi è mai importato di qualcuno senza sapere fin dall’inizio chi fosse. E, se si sta riferendo a Dallas, sapevo che poteva avere dei problemi, ma non mi sarei mai aspettata che andasse fuori di testa e passasse dalla parte della Tenebra.» Il sorriso di Neferet era viscido. «Sì, ho saputo di Dallas. Che cosa triste, davvero triste...» «Neferet, io devo ancora capire la decisione del Consiglio Supremo. In quanto Signore delle Spade e capo dei Figli di Erebo di questa Casa della Notte, ho il diritto di venire informato su qualunque cosa possa compromettere la sicurezza della nostra scuola, che sia in lutto o meno», riprese Dragone, pallido ma determinato. «Hai assolutamente ragione, Signore delle Spade. In realtà è molto semplice: quando l’anima dell’immortale è tornata al suo corpo, lui mi ha confessato di avere ucciso il ragazzo umano perché pensava che il suo odio per me rappresentasse un pericolo.» Neferet scosse la testa. «Chissà come, il povero ragazzo si era convinto che la morte della professoressa Nolan e di Loren Blake fosse colpa mia. Giustiziando Heath, Kalona pensava di proteggermi. È stato lontano da questo mondo troppo a lungo e non riusciva davvero a capire che quell’umano non poteva certo costituire una minaccia per me. Quando l’ha ucciso, ha semplicemente agito da Guerriero, disposto a tutto pur di proteggere la sua Somma Sacerdotessa, ed è per questo che il Consiglio Supremo e io siamo stati così indulgenti nello stabilire la sua punizione. Come alcuni di voi già sanno, Kalona ha ricevuto cento frustate e poi è stato bandito dalla società vampira e dal mio fianco per un intero secolo.» Seguì un lungo momento di silenzio, poi Pentasilea disse: «Sembrerebbe che questo tremendo disastro sia stato frutto di una serie di tragici equivoci, ma non c’è dubbio che abbiamo pagato tutti più che a sufficienza per quanto è accaduto nel passato. Ciò che importa ora è che la scuola ricominci e che noi andiamo avanti con la nostra vita». «M’inchino alla tua saggezza e alla tua esperienza, Pentasilea», replicò Neferet piegando la testa in segno di rispetto. Poi si voltò ad affrontare Dragone. «Questo è stato davvero un periodo difficile per molti di noi, ma sei stato tu, Signore delle Spade, a pagare il prezzo più alto. Perciò è a te che mi devo rivolgere per chiedere l’assoluzione dai miei errori, personali e professionali. Ti sarebbe possibile guidare la Casa della Notte in una nuova era, creando una fenice dalle ceneri della nostra infinita tristezza?» Stevie Rae avrebbe voluto urlare a Dragone che Neferet li stava soltanto prendendo in giro, che quanto accaduto alla Casa della Notte non era stato un tragico errore. Ma non ebbe il cuore di farlo, perché in quel momento Dragone chinò la testa, sconfitto. «Vorrei che tutti noi andassimo avanti con la nostra vita, perché altrimenti temo che non sopravviverò alla perdita della mia compagna.» Lenobia parve sul punto d’intervenire ma, quando Dragone iniziò a singhiozzare, rimase in silenzio e gli si avvicinò per confortarlo. Questo significa che tocca a me oppormi a Neferet, pensò Stevie Rae. Un’occhiata a Kramisha, che fissava Neferet con un’aria da che- cazzo-stai-dicendo, la indusse a correggersi: Okay, questo significa che tocca a me e a Kramisha opporci a Neferet. Raddrizzò le spalle e si preparò al confronto epico che era certa ci sarebbe stato non appena avesse chiamato col loro nome le stronzate della Somma Sacerdotessa. In quel momento, uno strano rumore provenne dalla finestra aperta. Era un suono orribile, triste, che fece venire la pelle d’oca a Stevie Rae. «Cos’è stato?» chiese, la testa rivolta all’esterno, come tutti gli altri. «Non ho mai sentito niente di simile... mette i brividi», commentò Kramisha. «È un animale. E sta soffrendo.» Dragone riacquistò subito il controllo di sé, cambiò espressione e tornò a essere un Guerriero, non un marito col cuore a pezzi. Si alzò e raggiunse la finestra. «Un gatto?» chiese Pentasilea con aria angosciata. «Da qui non riesco a vedere. Viene dal lato est del parco», replicò Dragone lasciando la finestra per puntare deciso verso la porta. «Oh, Dea! Credo di avere riconosciuto quel suono. È l’ululato di un cane, e l’unico nel campus è Duchessa, la labrador di Stark. Che gli sia successo qualcosa?» Tragica e spezzata, la voce di Neferet richiamò l’attenzione di tutti, mentre lei si portava alla gola la mano sottile, atterrita al pensiero che potesse essere accaduto qualcosa a Stark. Stevie Rae avrebbe voluto prenderla a schiaffi: Neferet si sarebbe meritata un accidenti di Oscar per la migliore stronza protagonista. Adesso basta! Non avrebbe lasciato che la passasse liscia con tutte quelle balle. Ma Stevie Rae non ebbe la possibilità di affrontare Neferet. Nell’attimo in cui Dragone aprì la porta che dava in corridoio, furono travolti dalle grida dei novizi, che correvano piangendo verso la Camera del Consiglio. E, al di sopra di quella cacofonia di rumori, al di sopra persino del terribile ululato di Duchessa, si cominciò a distinguere distintamente un pianto diverso da tutti gli altri, il pianto disperato di chi deve far fronte a una perdita tremenda. Un pianto che Stevie Rae riconobbe all’istante. «Oh, no. È Damien», disse precipitandosi in corridoio e, non appena uscì nel parco, andò a sbattere contro Drew Partain con tanta forza che caddero entrambi. «Ma per la miseriaccia, Drew! Levati dai...» «Jack è morto!» gridò Drew, aiutandola ad alzarsi. «Là, vicino all’albero spezzato accanto alla recinzione. È orribile, davvero orribile. Corri, Damien ha bisogno di te!» Quando capì appieno il significato di quelle parole, Stevie Rae fu assalita da una violenta ondata di nausea, ma poi fu scossa da un’orda di vampiri e di novizi che la trascinò via insieme con Drew. Arrivata alla quercia, la vampira ebbe un tremendo senso di déjà vu. Il sangue. C’era così tanto sangue in giro! Proprio come la sera in cui, in quello stesso punto, la freccia di Stark le si era conficcata nel petto. Solo che stavolta non si trattava di lei. Stavolta si trattava del caro, dolcissimo Jack, che era morto per davvero, quindi era diecimila volte più terribile. Per un secondo, la scena sembrò non avere senso, perché nessuno si muoveva, nessuno parlava. Non c’erano suoni, a parte l’ululato di Duchessa e i singhiozzi sconnessi di Damien. Jack giaceva a faccia in giù sull’erba zuppa di sangue, con la punta di una spada che gli spuntava dalla nuca. La lama l’aveva attraversato con tale impeto da staccargli quasi la testa dal collo. «Oh, Dea! Cos’è successo qui?» Fu Neferet a scongelare tutti i presenti. Corse da Jack e gli posò delicatamente una mano sul corpo insanguinato. «Il novizio è morto», sentenziò. Nel sentire la voce della Somma Sacerdotessa, Damien impallidì e alzò lo sguardo su Stevie Rae. I suoi occhi erano pieni di sofferenza e di orrore e forse, solo forse, anche di una traccia di follia. In quel momento, la vampira rossa capì che doveva intervenire: Damien non era in condizione di affrontare Neferet da solo. «Credo che dovrebbe lasciarlo in pace», disse frapponendosi tra Neferet e Jack. «Io sono la Somma Sacerdotessa di questa Casa della Notte. Spetta a me affrontare questa tragedia. Per il bene di Damien, devi farti da parte e lasciare che siano gli adulti a sistemare le cose», ribatté Neferet. Il suo ragionamento non faceva una piega eppure, nel profondo di quegli occhi di smeraldo, Stevie Rae vide agitarsi un’ombra che le fece accapponare la pelle. Tuttavia non sapeva proprio cosa fare: si sentiva addosso gli occhi di tutti, che come lei avevano trovato più che sensato il discorso di Neferet. In fondo, Stevie Rae era Somma Sacerdotessa da troppo poco tempo per sapere come affrontare un evento terribile come quello... Cavolaccio, in realtà era Somma Sacerdotessa soltanto perché nessun’altra novizia rossa si era ancora Trasformata. E quindi che diritto aveva d’intervenire come «Somma Sacerdotessa» di Damien? Neferet approfittò del silenzio della vampira rossa e si accovacciò accanto a Damien, prendendogli la mano e obbligandolo a guardarla. «Damien, so che sei sconvolto, ma devi riprendere il controllo di te stesso e spiegarci com’è andata.» Damien sbatté le palpebre, confuso, tuttavia, non appena mise a fuoco l’immagine di Neferet, tirò via la mano di scatto e ricominciò a singhiozzare, scuotendo frenetico la testa. «No! No! No!» A quel punto, Stevie Rae ne aveva proprio avuto abbastanza. Non le importava se l’intero universo non riusciva a vedere oltre le stronzate di Neferet. Non le avrebbe consentito di terrorizzare il povero Damien. «Com’è andata? Lei ha il coraggio di chiedere com’è andata? Come se fosse una coincidenza che Jack sia stato ucciso nello stesso momento in cui è ricomparsa qui a scuola?» Prese una mano di Damien. «Con le sue belle parole sarà anche riuscita a fare fesso un Consiglio Supremo cieco quanto una talpa, così come potrà pure convincere qualcuna delle brave persone che sono qui a credere che stia ancora dalla nostra parte, ma Damien, Zoey, Shaunee, Erin, Stark e io non ci crederemo mai che sta dalla parte dei buoni. Quindi perché non ce lo spiega lei com’è andata?» Neferet scosse la testa, rattristata. «Mi dispiace per te, Stevie Rae. Una volta eri una novizia così dolce e piena di amore. Non so cosa ti sia successo.» Stevie Rae si sentì travolgere da una rabbia così intensa da farla tremare. «Lei sa meglio di chiunque altro sulla terra cosa mi è successo.» Non riuscì a frenarsi. Era talmente furiosa che si avvicinò a Neferet con una voglia matta di metterle le mani intorno al collo e stringere, stringere, stringere finché non avesse smesso di respirare, finché non avesse più costituito un pericolo per i suoi amici. Ma Damien la trattenne. «Non è stata lei. Ho visto com’è successo e non è stata lei.» Stevie Rae esitò. «Cosa vuoi dire?» «Ero laggiù, appena fuori della porta del maneggio. Duchessa non mi lasciava fare jogging. Continuava a tirarmi per tornare qui e alla fine l’ho accontentata... Mi aveva fatto preoccupare, e stavo cercando di capire perché avesse tanta fretta di raggiungere Jack. E quindi... ho visto.» Riprese a singhiozzare. «... ho visto Jack che cadeva dalla scala e precipitava sulla spada. Non c’era nessuno con lui. Proprio nessuno.» Stevie Rae abbracciò Damien e, all’istante, altre due paia di braccia si unirono a loro: Shaunee ed Erin, appena arrivate sul posto, tennero stretti entrambi. «Neferet era con noi nella Camera del Consiglio quando si è verificato questo terribile incidente. Non può essere responsabile di questa morte», sentenziò solennemente Dragone, sfiorando con delicatezza i capelli di Jack. Stevie Rae non ce la faceva proprio a guardare quel povero corpo senza vita, perciò tenne lo sguardo fisso su Neferet. Ecco perché solo lei notò il lampo compiaciuto che le passò sul viso, subito sostituito da un’esperta espressione triste e preoccupata. L’ha ucciso lei. Non so come e non lo posso dimostrare in questo momento, ma l’ha fatto. Zoey mi crederebbe. Mi aiuterebbe a trovare il modo di smascherare Neferet. Zoey deve tornare. CAPITOLO 9 ZOEY Ecco, Stark e io l’avevamo fatto. «Non mi sento diversa. Insomma, a parte sentirmi più vicina a Stark e un po’ dolorante in posti innominabili», dissi all’albero. Poi raggiunsi un piccolo torrente che gorgogliava allegro nel boschetto e guardai in basso. Il sole stava per tramontare, ma nel cielo c’era ancora abbastanza luce da permettermi di vedere il mio riflesso. Mi osservai. Sembravo, be’, me. «Okay, tecnicamente l’avevo già fatto una volta, però era stata una cosa del tutto diversa.» Sospirai. Loren Blake era stato un immenso errore. James Stark era un’altra storia. «Allora, non dovrei sembrare diversa adesso che ho un vero legame?» Guardai la mia immagine con le palpebre strette. Non sembravo più grande? Più esperta? Più saggia? A dire il vero, no. E quelle palpebre strizzate mi facevano soltanto sembrare miope. «E, con ogni probabilità, Afrodite direbbe che mi fanno pure venire le rughe.» Ripensai alla sera prima, quando avevo salutato lei e Dario. Come prevedibile, Afrodite era stata sarcastica e molto più che stronza commentando il fatto che non rientravo a Tulsa assieme a lei, ma il nostro abbraccio era stato forte e sincero, e sapevo che avrei sentito la sua mancanza. Anzi, la sentivo già. E anche quella di Stevie Rae, Damien, Jack e delle gemelle. «E di Nala», dissi al mio riflesso. Ma mi mancavano abbastanza da farmi tornare nel mondo reale? Da farmi affrontare tutto ciò che mi aspettava, riprendere la scuola e probabilmente combattere la Tenebra e Neferet? «No, non abbastanza.» Dirlo ad alta voce lo rese più vero e, all’improvviso, la sensazione di vuoto si affievolì, sostituita dalla serenità che mi trasmetteva l’isola di Sgiach. «Qui è magico. Se potessi farmi mandare la mia gatta, giuro che ci resterei per sempre.» La risata di Sgiach fu delicata e musicale. «Come mai tendiamo a sentire la mancanza dei nostri animali da compagnia più di quella delle persone?» «Credo sia perché con loro non possiamo usare Skype. Cioè, so che posso tornare al castello e parlare con Stevie Rae, ma ho provato qualcosa col video e il computer con Nala e lei sembrava confusa e ancora più brontolona del solito, il che è tutto dire!» «Se i gatti capissero la tecnologia e avessero il pollice opponibile, dominerebbero il mondo», replicò la regina. Risi. «Non farti sentire da Nala. Lei già lo domina, il suo mondo.» «Hai ragione. Anche Mab è convinta di governare il suo.» Mab era la gigantesca miciona bianca e nera di Sgiach. Avevo cominciato a farci amicizia e penso dovesse avere tipo un migliaio di anni, visto che era quasi sempre semi incosciente e più o meno immobile ai piedi del letto della regina. Stark e io avevamo iniziato a chiamarla Gatta Morta, ovviamente mai in presenza di Sgiach. «Per mondo intendi la tua camera da letto?» «Esatto», confermò Sgiach con un sorriso. Si sedette su un grande masso coperto di muschio poco lontano dal ruscello e fece un cenno per invitarmi a prendere posto accanto a lei. La raggiunsi, chiedendomi per l’ennesima volta se i miei movimenti sarebbero mai stati aggraziati e regali quanto i suoi. Ne dubitavo fortemente. «Se vuoi, puoi far mandare qui la tua Nala. I famigli dei vampiri viaggiano come animali da compagnia. Basterà mostrare la sua tessera delle vaccinazioni per farla arrivare a Skye.» «Wow, sul serio?» «Sul serio. Be’, ciò significa che dovresti impegnarti a rimanere qui almeno per qualche mese. Ai gatti non piace molto viaggiare, e dover sopportare la differenza di fuso orario è un grande peso per loro.» «Più rimango qui, meno avrò voglia di andarmene, anche se so che probabilmente è irresponsabile da parte mia nascondermi così dal mondo reale. Insomma, non è che Skye non sia reale e tutto il resto. E so di aver affrontato un sacco di cose brutte negli ultimi tempi, quindi va bene se mi prendo una pausa. Ma io vado ancora a scuola. Immagino di doverci proprio tornare. Prima o poi.» «Ti sentiresti così anche se fosse la scuola a venire da te?» «Cosa vuoi dire?» «Da quando sei entrata nella mia vita, ho cominciato a riflettere sul mondo, o meglio su quanto io me ne sia separata. Sì, ho Internet, ho la TV satellitare, ma non ho apprendisti Guerrieri né giovani Guardiani. O almeno non ne avevo finché non siete arrivati tu e Stark. Ho scoperto che mi mancavano l’energia e lo stimolo che danno le menti giovani.» Sgiach distolse lo sguardo da me per fissare il fitto del bosco. «Il vostro arrivo ha risvegliato qualcosa che stava dormendo. Percepisco un cambiamento nel mondo, più grande dell’influenza della scienza moderna o della tecnologia. Non posso ignorarlo e lasciare che la mia isola sprofondi di nuovo nel sonno, magari finendo per separarsi del tutto dalla realtà esterna e dai suoi problemi, magari finendo addirittura per perdersi tra le nebbie del tempo, come Avalon e le amazzoni. Ho deciso di aprirmi al mondo, affrontando le sfide che ciò potrebbe portare.» La regina incrociò di nuovo il mio sguardo. «Scelgo di lasciare che la mia isola si risvegli. È ora che la Casa della Notte di Skye accetti sangue nuovo.» «Hai intenzione di togliere l’incantesimo protettivo?» «No. Finché vivrò e, mi auguro, finché vivrà colei che mi succederà e chi succederà a lei, Skye continuerà a essere protetta e separata dal mondo moderno. Ma ho pensato che potrei emettere un bando per Guerrieri. Un tempo, a Skye venivano addestrati i migliori e i più brillanti tra i Figli di Erebo.» «Ma poi hai rotto col Consiglio Supremo dei Vampiri, giusto?» «Giusto. Forse potrei iniziare, lentamente, a riparare quella frattura, soprattutto ora che tra i miei apprendisti c’è una giovane Somma Sacerdotessa.» Provai un brivido di eccitazione. «Io? Parli di me?» «Sì, certo. Tu e il tuo Guardiano avete un legame con quest’isola.» «Wow, sono davvero onorata. Grazie, grazie tante.» Il cervello mi girava come un matto! Se Skye fosse diventata una Casa della Notte attiva, restare lì non sarebbe stato come nascondersi da tutti. Sarebbe stato piuttosto come avessi cambiato scuola. Pensai a Damien e al resto del gruppo, e mi chiesi se avrebbero preso in considerazione l’idea di trasferirsi lì anche loro. «Ci potrebbe essere un posto per dei novizi che non sono Guerrieri?» chiesi. «Ne potremmo parlare.» Sgiach esitò, poi aggiunse: «Lo sai, vero, che quest’isola è ricca di tradizioni magiche che vanno ben oltre l’addestramento dei Guerrieri e dei Guardiani?» «No. Cioè, sì. Perché è ovvio che tu sia magica, e fondamentalmente tu sei l’isola.» «Mi trovo qui da così tanto tempo che molti mi vedono come l’isola, ma io sono una custode della sua magia, non la sua proprietaria.» «Cosa vorrebbe dire?» «Scoprilo da te, giovane regina. Tu hai un’affinità con ciascuno dei cinque elementi. Entra in contatto con loro e prova a scoprire cos’ha da insegnarti l’isola.» Intuendo che esitavo, Sgiach mi spronò: «Prova con l’aria, il primo elemento. Chiamala a te e osserva». «Okay, va bene. Cominciamo.» Mi alzai e raggiunsi una zona priva di rocce. Presi tre profondi respiri purificatori e, d’istinto, mi voltai verso est. «Aria, vieni a me.» Ormai ero abituata ad avvertire la presenza dell’elemento. Ero abituata alla brezza che si agitava come un cucciolo esuberante, ma tutta l’esperienza con le mie affinità non mi aveva preparata a ciò che accadde. L’aria non si limitò a rispondere: mi avvolse e mi vorticò intorno con forza, dandomi la sensazione che fosse quasi tangibile, il che è proprio un po’ strano dato che l’aria non lo è affatto. Non la si vede, eppure è ovunque. Poi restai senza fiato perché mi resi conto che l’aria era davvero diventata tangibile! Intorno a me, nel vento impetuoso che si era sollevato al mio richiamo, fluttuavano degli esseri stupendi, luminosi ed eterei. E, mentre li guardavo a bocca aperta, quelli cambiavano forma, sembrando ora delle donne incantevoli, ora delle farfalle, per poi mutare in splendide foglie d’autunno e quindi in coloratissimi colibrì che andarono a posarsi sul mio palmo aperto. «Cosa sono?» chiesi sottovoce. «Spiriti dell’aria. Un tempo erano ovunque, ma hanno abbandonato il mondo moderno. Preferiscono i boschi antichi e lo stile di vita di una volta. E in quest’isola ci sono entrambi.» Sgiach sorrise e aprì una mano per accogliere uno spiritello che assunse la forma di una minuscola fata con ali da libellula e prese a danzarle tra le dita. «È bello vedere che rispondono al tuo richiamo. Non capita spesso di osservarne così tanti riuniti in un unico luogo, neppure qui nel boschetto. Prova un altro elemento.» Stavolta non mi feci pregare, mi girai verso sud e gridai: «Fuoco, vieni a me!» Simili a splendenti fuochi d’artificio, tutt’intorno esplosero degli spiritelli che mi fecero il solletico col delizioso calore delle loro fiamme. «Mi ricordano le stelline che si accendono per la festa del Quattro luglio!» Sgiach sorrise. «Vedo di rado gli spiriti del fuoco. Sono molto più vicina ad acqua e aria... il fuoco non si manifesta quasi mai per me.» «Vergognatevi! Dovreste farvi vedere da Sgiach. Lei è dei buoni!» li sgridai. Subito, gli spiritelli che mi circondavano presero a svolazzare all’impazzata, angosciati. «Oh, no! Di’ loro che li stavi prendendo in giro. La fiamma è terribilmente sensibile e imprevedibile. Non vorrei che provocassero qualche incidente», esclamò Sgiach. «Ehi, ragazzi, scusate! Stavo solo scherzando. Va tutto bene, sul serio.» Quando gli spiriti del fuoco smisero di agitarsi tanto, tirai un sospiro di sollievo. Guardai Sgiach. «Ci sono rischi se chiamo gli altri elementi?» «No, nessuno. Basta che tu stia attenta a quello che dici. La tua affinità è potente, persino quando non ti trovi in un luogo denso di antica magia come questo bosco.» «D’accordo.» Presi altri tre respiri purificatori, poi mi voltai in senso orario in direzione ovest. «Acqua, vieni a me.» E mi ritrovai immersa nell’elemento. Spiritelli freschi e lisci mi scivolarono sulla pelle, luccicanti di un’acquosa iridescenza. Giocavano spensierati, facendomi venire in mente sirene e delfini, meduse e cavallucci marini. «Questo è davvero fighissimo!» «Gli spiriti dell’acqua sono particolarmente forti a Skye», spiegò Sgiach accarezzando una piccola creatura a forma di stella marina che le nuotava intorno. Mi voltai verso nord. «Terra, vieni a me!» Il bosco prese vita. Gli alberi splendevano di gioia, e dai loro vecchi tronchi nodosi emersero degli esseri delle foreste che mi ricordarono cose che potevano trovarsi a Rivendell con gli elfi di Tolkien, o magari persino nella giungla in 3D di Avatar. Spostai l’attenzione al centro del mio cerchio improvvisato e chiamai l’elemento finale: «Spirito, vieni a me anche tu». Stavolta fu Sgiach a rimanere senza fiato. «Non avevo mai visto tutti assieme i cinque gruppi di spiritelli. È magnifico.» «Oh mia Dea! È incredibile!» Intorno a me, l’aria già brulicante di esseri diafani si era colmata di una tale luminosità da far subito pensare a Nyx e alla brillantezza del suo sorriso. «Vuoi approfondire questa esperienza?» mi chiese Sgiach. «Certo», risposi senza esitazioni. «Allora dammi la mano.» Circondata dagli antichi spiritelli elementali, mi avvicinai a Sgiach tendendole la destra. «Ti fidi di me?» domandò dopo aver rivolto il mio palmo verso l’alto. «Sì», replicai. «Bene. Farà male solo per un istante.» Con un gesto talmente rapido da risultare invisibile, passò l’unghia dura e tagliente dell’indice destro sul mio palmo. Non arretrai. Non mi mossi, inspirai solo un bel po’ d’aria di botto. In ogni caso aveva ragione: fece male solo per un istante. Sgiach mi prese la mano e raccolse le gocce di sangue nel proprio palmo; poi, pronunciando alcune parole che non compresi, formò un cerchio scarlatto intorno a noi e, non appena fu completo, la ferita mi si rimarginò all’istante. A quel punto accadde una cosa davvero incredibile. Ogni spiritello toccato dal mio sangue per un attimo divenne di carne. Non si trattava più di eteree rappresentazioni degli elementi, di semplici tracce di aria, fuoco, acqua, terra e spirito. Ciò che il mio sangue toccava, diventava realtà: fate e uccellini, sirene e ninfe della foresta che vivevano, respiravano. E che danzavano e festeggiavano. Le loro risate dipinsero di gioia e di magia il cielo del crepuscolo. «È la magia antica. Hai sfiorato cose che dormivano da secoli. Nessuno era mai riuscito a risvegliare le fate. Nessun altro ne aveva la capacità», disse Sgiach, poi con lentezza e regalità chinò la testa verso di me in segno di rispetto. Travolta dalla meraviglia dei cinque elementi, presi la mano della regina di Skye. «Posso condividere tutto questo con altri novizi? Se li lascerai venire qui, potrò insegnare alla nuova generazione come arrivare alla vecchia magia?» Lei mi sorrise tra lacrime che mi auguravo fossero di gioia. «Sì, Zoey. Perché, se non puoi colmare tu la distanza tra il mondo antico e quello moderno, non so chi altri potrebbe riuscirci. Ora, però, goditi questo momento. La realtà creata dal tuo sangue svanirà presto. Danza con loro, giovane regina. Di’ loro che c’è la speranza che il mondo di oggi non abbia completamente dimenticato il passato.» Le sue parole mi spronarono e, seguendo il suono di campane, cornamuse e cembanelle comparso all’improvviso, iniziai a ballare con le creature cui il mio sangue aveva ridato la vita. Ripensandoci, avrei dovuto prestare maggiore attenzione alla sagoma di corna acuminate che colsi con la coda dell’occhio mentre piroettavo e saltavo a braccetto con le fate. Avrei dovuto notare il colore del manto del toro e il lampo che gli scintillava negli occhi. Avrei dovuto accennare alla sua presenza con Sgiach. Se fossi stata più saggia, si sarebbero potute evitare, o quantomeno prevedere, molte cose. Ma, quella sera, danzai in tutta innocenza, felice di scoprire la novità di un’antica magia, ignara che questa mia leggerezza avrebbe avuto conseguenze ben più gravi di una stanchezza infinita e del bisogno di una bella cena e di otto ore filate di sonno. «Avevi ragione. Non è durato molto», commentai a corto di fiato lasciandomi cadere accanto a Sgiach sul sasso coperto di muschio. «Non possiamo fare qualcosa perché rimangano di più? Sembravano così contenti di essere reali!» «Le fate sono esseri sfuggenti. Sono fedeli soltanto al loro elemento, o a chi lo domina.» Sbattei le palpebre, stupita. «Vuoi dire che sarebbero leali a me?» «Credo che lo siano, anche se non te lo posso assicurare; essendo la regina di quest’isola, sono legata ad aria e vento, tuttavia non ho nessuna affinità con gli elementi.» «Ah. Quindi io posso chiamarli anche se vado via da Skye?» «E perché mai dovresti volerlo fare?» Risi: in effetti, perché mai avrei dovuto voler lasciare quell’isola magica e mistica? «Aye, wummen, lo sapevo che seguendo il chiacchiericcio avrei trovato voi due!» Seoras ci raggiunse e si sedette al fianco della sua regina. Lei sfiorò per un attimo il suo avambraccio muscoloso, un semplice tocco pieno di vita e di amore, di fiducia e d’intimità. «Benvenuto, mio Guardiano. Le hai portato arco e frecce?» «Aye, certo che glieli ho portati», rispose il Guerriero mostrandomi un arco di legno scuro con intagli complessi e una faretra di cuoio piena di frecce dall’impennatura rossa. «Bene. Zoey, oggi hai imparato molto. Anche al tuo Guardiano serve una lezione riguardo al credere nella magia e nei doni della Dea.» Sgiach prese arco e frecce e me li tese. «Portali a Stark. È rimasto senza per troppo tempo.» «Pensi davvero che sia una buona idea?» chiesi guardandoli con sospetto. «Quello che penso è che il tuo Stark non sarà realmente completo se non accetterà i doni della Dea.» «Nell’Aldilà aveva una claymore. Non potrebbe essere la sua arma anche qui?» Sgiach si limitò a fissarmi, con tracce della magia che avevamo appena sperimentato ancora riflesse negli occhi verdi. Sospirai. E, seppur riluttante, allungai la mano per prendere l’arco. «Non si sente tanto a suo agio con questo», dissi. «Aye, ma dovrebbe», intervenne Seoras. «Non lo diresti se sapessi cosa ci sta dietro», ribattei. «Se intendi che non può mancare il bersaglio allora, aye, lo so, e anche del senso di colpa che avverte per la morte del suo mentore», replicò Seoras. «Allora ti ha raccontato tutto.» «Sì.» «E sei ancora convinto che dovrebbe riprendere a usare l’arco?» «Non si tratta di una semplice convinzione, piuttosto del fatto che, dopo secoli di esperienza, Seoras ormai sa cosa succede quando i doni della Dea fatti a un Guardiano vengono ignorati», spiegò Sgiach. «E che succede?» «La stessa cosa che capita quando una Somma Sacerdotessa cerca di allontanarsi dalla via che la Dea ha posto davanti a lei», rispose Seoras. «Come Neferet», mormorai. «Aye, come la Somma Sacerdotessa caduta che ha corrotto la vostra Casa della Notte e provocato la morte del tuo Consorte.» «Anche se, in tutta sincerità, devi sapere che non si verifica sempre una scelta così netta tra bene e male quando un Guardiano, o un Guerriero, ignora i doni della Dea e si allontana dal suo sentiero. A volte, questo significa soltanto che la sua vita non è piena e risulta quanto più banale e terrena possibile per un vampiro», aggiunse Sgiach. «Ma, se si tratta di un Guerriero con dei doni potenti, oppure se ha affrontato la Tenebra ed è stato toccato dalla lotta contro il male... allora, be’, quel Guerriero non può svanire così facilmente nell’oblio», disse Seoras. «E per Stark valgono entrambe le cose», commentai. «Proprio così. Zoey, fidati di me. Per il tuo Guardiano è meglio seguire la strada decisa per lui dalla Dea piuttosto che lasciare che venga di nuovo preso dalle ombre», fece Sgiach. «Capisco il vostro punto di vista, ma convincerlo a usare di nuovo l’arco non sarà facile.» «Ach, be’, adesso tu puoi fare appello alla magia antica mentre sei qui sulla nostra isola, no?» Spostai lo sguardo da Seoras a Sgiach. Avevano ragione. Me lo sentivo dentro. Stark non poteva nascondersi ai doni che gli aveva concesso Nyx più di quanto io potessi negare il mio legame coi cinque elementi. «Okay, lo convincerò. Ma... dov’è?» «Il giovane è irrequieto. L’ho visto incamminarsi verso la spiaggia», rispose Seoras. Mi si strinse il cuore. Il giorno prima avevamo deciso che saremmo rimasti a Skye per un tempo imprecisato e, dopo quanto era appena successo con Sgiach, non sopportavo neanche l’idea di andarmene. «Ma sembrava che gli andasse bene restare», dissi pensando ad alta voce. «Il suo problema non è tanto dove è ma chi è», ribatté Seoras. «Eh?» feci con grande sfoggio d’intelligenza. «Zoey, Seoras vuole dire che il morale del tuo Guardiano migliorerà decisamente quando tornerà a essere un Guerriero completo», mi tradusse Sgiach. «E un Guerriero completo usa tutti i suoi doni», sentenziò Seoras con un tono che non ammetteva repliche. «Va’ da lui e aiutalo a tornare completo», aggiunse Sgiach. «Ma come faccio?» «Ach, wumman, usa quel cervello che ti ha dato la Dea e prova un po’ a capirlo da sola.» Con una leggera spinta e un gesto che m’indicava la direzione, la regina e il suo Guardiano mi mandarono via dal boschetto. Sospirai, mi grattai mentalmente la testa e mi diressi verso la costa chiedendomi che diavolo di parola fosse ach. CAPITOLO 10 ZOEY Pensai a Stark durante tutto il tragitto, lungo la scivolosa scalinata di pietra che girava intorno al castello e sulle rocce da cui si accedeva alla spiaggia, prendendomi solo un momento per ammirare l’imponente e minacciosa scogliera su cui si ergeva la dimora di Sgiach, che dominava l’isola. Il sole era ormai tramontato, ma per fortuna c’erano diverse file di torce a illuminare la zona. Stark era solo. Mi dava le spalle, perciò, mentre mi avvicinavo, potei osservarlo che si allenava con la claymore in una mano e un grande scudo di cuoio nell’altra, menando affondi e parate contro un nemico insidioso ma invisibile. Camminai in silenzio, piano piano, per godermi lo spettacolo. Che di colpo fosse diventato più alto? E più muscoloso? Così «in assetto da Guerriero», aveva un aspetto forte e molto ma molto pericoloso. Ricordavo bene la sensazione del suo corpo contro il mio la notte precedente, e come avevamo dormito assieme stretti stretti... e lo stomaco mi si annodò un po’, in modo insolito. Lo amo e mi fa sentire al sicuro. Potrei rimanere qui con lui, lontana dal resto del mondo, per sempre. Proprio mentre formulavo quel pensiero, sulla schiena mi passò un brivido. E, in quel momento, Stark abbassò la guardia e si voltò, preoccupato. Io però lo tranquillizzai sorridendo e salutandolo con una mano, solo che, quando lui vide l’arco, il suo sorriso di benvenuto si affievolì, tuttavia mi accolse comunque con un bacio. «Ehi, sei sexy da matti quando fai ’sta cosa con la spada», esordii. «Si chiama ’allenamento’, Zy. E non è previsto che io sembri sexy, ma pericoloso.» «Oh, ma lo sembri eccome. Ero praticamente spaventata a morte!» esclamai col mio migliore finto accento da bellezza del Sud, appoggiandomi il dorso della mano sulla fronte come se fossi sul punto di svenire. «Signora, con accenti e inflessioni non ve la cavate molto bene», replicò lui con un falso accento, a differenza del mio, davvero ottimo. Poi mi prese la mano e se la portò al cuore. «Ma, se volete, Miss Zoey, posso provare a insegnarvi.» Okay, lo so che è stupido, ma quella recita da gentiluomo del Sud mi fece sciogliere. Poi, una volta diradata la nebbia di desiderio che provavo per lui, mi venne un’idea per cominciare a farlo sentire di nuovo a proprio agio con arco e frecce. «Naaa, per gli accenti sono senza speranza, però c’è un’altra cosa che mi potresti insegnare.» «Aye, wumman, di cosucce da insegnarti ne conosco un sacco», replicò con aria da maniaco ma un tono identico a quello di Seoras. Gli assestai un pugno. «Non fare lo scemo. Sto parlando di questo: ho sempre pensato che tirare con l’arco fosse una figata ma in realtà non ne so niente. Mi potresti insegnare? Per favore?» Stark fece un passo indietro, guardando l’arma con circospezione. «Zoey, lo sai che è meglio che io non lo usi.» «No. È meglio che tu non lo usi contro qualcosa di vivo. Sì, be’, a meno che tu non voglia davvero ucciderlo... Ma comunque io non ti sto chiedendo di usarlo: ti sto chiedendo d’insegnare a me.» «E perché di punto in bianco vorresti imparare?» «Be’, mi sembra logico. Noi resteremo qui, giusto?» «Giusto.» «E qui si addestrano Guerrieri da, tipo, milioni di anni. Giusto?» «Giusto, di nuovo.» Gli sorrisi, cercando di alleggerire la situazione. «Mi piace da matti quando ammetti che ho ragione. Di nuovo. Comunque, dato che siamo qui, vorrei imparare un po’ delle cose che sanno fare i Guerrieri. E quella è senz’altro troppo pesante per me.» Indicai la claymore. «Per di più, l’arco è davvero molto bello.» «Sarà anche bello, ma rimane lo stesso un’arma. Un’arma pericolosa e mortale, soprattutto se a impugnarla sono io.» «Solo se miri per uccidere», ribattei. «A volte si possono fare degli errori», replicò sotto il peso dei ricordi. Gli appoggiai una mano sul braccio. «Adesso sei più grande. Più esperto. Non faresti più gli stessi errori. Dai, fammi vedere come funziona.» «Non abbiamo un bersaglio.» «Ma sì che l’abbiamo.» Diedi un colpetto col piede allo scudo di cuoio che Stark aveva appoggiato a terra quando l’avevo raggiunto. «Mettilo tra un paio di sassi un po’ più in là sulla spiaggia. Cercherò di centrarlo... dopo che tu sarai tornato qui, ovviamente.» «Ovviamente.» Con un sospiro rassegnato e tristissimo, Stark posizionò lo scudo tra un paio di grossi massi a pochi metri da noi, quindi tornò indietro. Svogliato, prese l’arco e mise ai nostri piedi la faretra. «Devi tenerlo così. E la freccia va qui», disse appoggiandola contro il lato dell’arco, la punta rivolta verso il basso. «S’incocca in questo modo. Con queste frecce, è facile capire come si fa, perché le penne nere devono essere tutte girate verso il basso, mentre l’unica rossa va verso l’alto... così.» Intanto che parlava, Stark cominciò a rilassarsi e a riprendere confidenza con l’arma: era chiaro che quei movimenti li avrebbe potuti fare anche a occhi chiusi. «Rimani ben salda sulle gambe, i piedi devono rimanere in asse con le anche... così.» Approfittai della dimostrazione pratica per guardargli le gambe, ringraziando una volta di più che avesse iniziato a portare il kilt. «Poi sollevi l’arco e, tenendo la freccia tra indice e medio, tendi la corda tirandola verso di te. Prendi bene la mira, ma alla fine punta un pochino più in basso: ti aiuterà a compensare l’effetto della distanza e del vento. Quando sei pronta, lascia partire la freccia. Ricordati di piegare il braccio sinistro, altrimenti ti ritroverai con un gran livido.» Mi tese l’arco. «Dai, prova.» «Fammi vedere», replicai. «Zoey, non penso che dovrei.» «Ma scusa, il bersaglio è uno scudo di cuoio. Non è vivo e non ha intorno niente di neanche vagamente vivo. Basta che miri al centro dello scudo, così vedo come si fa.» Esitò. Gli appoggiai la mano sul petto e lo baciai, però, per quanto cercasse di abbandonarsi a me, Stark rimase comunque teso. «Ehi, devi avere fiducia in te stesso, almeno quanta ne ho io», dissi sottovoce. «Sei il mio Guerriero, il mio Guardiano. Devi tirare con l’arco perché è il dono che ti ha fatto la Dea. So che l’userai con saggezza. Ti conosco: tu sei buono, hai lottato per essere buono e hai vinto.» «Ma, Zy, io non sono completamente buono. Nell’Aldilà ho visto la parte cattiva di me. Era lì, reale, proprio davanti a me», replicò con aria frustrata. «E l’hai sconfitta.» «Per sempre? Non credo. Non credo che sia possibile.» «Guarda che nessuno è completamente buono. Neanch’io. Voglio dire, se uno bravo lasciasse in giro il compito di geometria, ti assicuro che una sbirciatina la darei.» Fece un sorriso teso. «Tu ci scherzi, ma per me è diverso. Penso lo sia per tutti i novizi rossi e anche per Stevie Rae. Una volta conosciuta la Tenebra, quella vera, sulla tua anima ci sarà sempre un’ombra.» «No. Non un’ombra. È solo un’esperienza diversa. Tu e gli altri novizi rossi avete provato qualcosa che noi non conosciamo. Questo non vi rende parte dell’ombra della Tenebra, vi rende esperti in materia. E può essere un’ottima cosa, se usate questa conoscenza superiore per combattere per il bene. E tu lo fai.» «A volte ho paura che possa essere molto più di così», disse lentamente, fissandomi negli occhi come se cercasse una verità nascosta. «Che vuoi dire?» «La Tenebra è territoriale, possessiva. Una volta che ti ha assaggiato, non molla la presa tanto facilmente.» «La Tenebra non può fare niente se si sceglie la via della Dea come hai fatto tu. Non può sconfiggere la Luce.» «Ma non sono neanche convinto che la Luce potrà mai sconfiggere la Tenebra. Vedi, Zy, c’è un equilibrio in queste cose.» «Ciò non significa che non si possa scegliere da che parte stare. Tu hai scelto. Fidati di te stesso. Io mi fido. Completamente», ripetei. Stark continuò a tenere gli occhi fissi nei miei come si aggrappasse a un salvagente. «Finché tu mi vedrai buono, finché crederai in me, posso avere fiducia in me stesso, perché mi fido di te, Zoey. E ti amo.» «Anch’io ti amo, Guardiano.» Mi baciò e poi, con un movimento allo stesso tempo rapido, aggraziato e letale, Stark tirò indietro l’arco e fece volare la freccia. Che andò a conficcarsi al centro del bersaglio. «Wow, è stato incredibile. Tu sei incredibile», commentai. Lui tirò un lungo respiro di sollievo, che sembrò scacciare via la tensione. Poi sorrise, nel suo solito fighissimo modo da sbruffone. «Visto, Zy? Bersaglio centrato alla perfezione.» «Per forza hai fatto centro, scemo. Non puoi sbagliare!» «Sì, hai ragione. Ed è solo un bersaglio.» «Allora, m’insegni o no? E stavolta non essere così veloce. Va’ piano. Fammi vedere.» «Sì, sì, certo. Okay, guarda.» Mirò e scoccò la freccia più lentamente, dandomi il tempo di seguire i suoi movimenti. E la seconda freccia spaccò in due la prima. «Oh, ooops. Me n’ero dimenticato. Una volta buttavo via un sacco di frecce spaccandole così.» «Dammi, adesso tocca a me. Scommetto che non avrò lo stesso problema.» Cercai d’imitare i movimenti di Stark, ma tirai troppo corto e la freccia finì di piatto sulle rocce lisce e bagnate. «Cavolo, è decisamente più difficile di quello che sembra», dissi. «Guarda, ti faccio vedere. È la posizione che è sbagliata.» Venne dietro di me, mettendo le braccia sopra le mie e sfiorandomi la schiena. «Vediti come un’antica regina guerriera. Sta’ dritta e orgogliosa. Spalle indietro! Mento alto!» Obbedii e, stretta tra le sue braccia, mi sentii trasformare in una donna potente e maestosa. Le sue mani guidarono le mie per tirare la corda. «Resta ferma, forte... concentrati sul bersaglio», mormorò. Insieme, prendemmo la mira e, mentre lasciavamo partire la freccia, percepii la scossa che attraversò il suo corpo e il mio, guidando il dardo di nuovo al centro dello scudo, spezzando i due precedenti. Mi voltai e sorrisi al mio Guardiano. «Ciò che hai tu è magico, speciale. Lo devi sfruttare, Stark, devi proprio farlo.» «Mi è mancato molto», ammise, in un mormorio talmente basso che faticai a udirlo. «Non mi sento a posto del tutto se non sono in contatto col mio arco.» «È perché il tuo arco ti permette di restare in contatto con Nyx. È stata lei a farti questo dono.» «Forse qui posso ricominciare. Questo posto... ha qualcosa di speciale. È come se sentissi di appartenere a quest’isola, come se noi appartenessimo a quest’isola.» «Lo sento anch’io. E mi sembra passata un’eternità dall’ultima volta in cui ho provato questa sensazione di sicurezza e questa gioia.» Lo abbracciai. «Sgiach mi ha appena detto di voler riaprire le porte ai giovani Guerrieri, e anche ad altri novizi con doni speciali.» Gli sorrisi. «Sai, tipo quelli che hanno affinità particolari.» «Oh, intendi affinità con gli elementi?» «Già, proprio quelle.» Lo strinsi forte. «Voglio rimanere qui. Sul serio.» Stark mi accarezzò i capelli e mi diede un bacio sulla testa. «Lo so, Zy, e sono con te. Sarò sempre con te.» «Magari qui potremo liberarci della Tenebra che Neferet e Kalona hanno cercato di portare nel mondo», aggiunsi. «Lo spero, Zy. Lo spero proprio.» «Pensi che potrebbe essere sufficiente avere un piccolo pezzo di mondo libero dalla Tenebra? Rifugiarci qui significa sempre seguire il sentiero della Dea?» «Be’, non sono un esperto, però secondo me devi cercare di fare del tuo meglio per essere fedele a Nyx. Non mi pare che quello che stai facendo sia un grande problema.» «Capisco perché Sgiach non lascia questo posto», commentai. «Anch’io, Zy.» Stark mi strinse forte e sentii che tutto ciò che dentro di me era ferito e si era spezzato cominciava a scaldarsi e, lentamente, a guarire. STARK Mentre stringeva tra le braccia la sua Zoey, Stark ripensò a quant’era andato vicino a perderla, e fu invaso da un terrore tale da fargli venire mal di stomaco. Ce l’ho fatta. L’ho raggiunta nell’Aldilà e sono riuscito a convincerla a tornare da me. Adesso è al sicuro e farò in modo che sia sempre così. «Mamma mia come pensi forte! Riesco a sentire le rotelline che ti girano nella testa.» Raggomitolata con lui nel letto, Zoey gli strofinò il viso sul collo per poi baciargli la guancia. «Veramente dovrei essere io quello con le super capacità psichiche.» Lo disse in tono scherzoso ma, intanto, Stark scivolò nel cervello di lei, senza addentrarsi al punto di farla incavolare spiandone i pensieri, solo quanto bastava ad assicurarsi che lei si sentisse davvero felice e al sicuro. «Vuoi sapere una cosa?» gli chiese in tono un po’ esitante. Stark si sollevò appoggiandosi sul gomito. «Zy, stai scherzando? Io voglio sapere tutto.» «Piantala, sono seria.» «Anch’io!» Lei gli lanciò un’occhiataccia e lui la baciò sulla fronte. «Okay, d’accordo. Sono serio. Cosa?» «Io... mmm, mi piace davvero tanto quando mi tocchi.» Le sopracciglia di Stark schizzarono all’insù e lui dovette mettercela tutta per non farle un sorrisone. «Be’, è una cosa buona. Direi che è una cosa molto buona.» Zoey si mordicchiò il labbro. «A te piace?» A quel punto Stark non poté non ridere. «Stai scherzando, vero?» «No. Sono serissima. Insomma, io come faccio a saperlo? Non sono esattamente esperta... non come te.» Aveva le guance in fiamme: doveva sentirsi a disagio da matti. Accidenti, Stark non intendeva affatto metterla in imbarazzo o farla sentire strana per quello che stava succedendo tra loro. «Ehi... stare con te è molto più che grandioso. E, Zoey, guarda che ti sbagli. Sei più esperta tu di me riguardo all’amore.» Le prese il viso tra le mani e, quando lei fece per parlare, le posò un dito sulle labbra. «No, lasciami finire. Sì, io ho già fatto sesso, ma non ero mai stato innamorato. Tu sei il mio primo amore, e sarai anche l’ultimo.» Lei gli sorrise con tanta passione e fiducia che Stark pensò gli stesse per uscire il cuore dal petto. C’era soltanto Zoey per lui, e sarebbe stato così per sempre. «Vorresti fare di nuovo l’amore con me?» mormorò lei. Per tutta risposta, Stark la tenne ancora più stretta e le diede un bacio lungo e lento. Il suo ultimo pensiero prima che tutto andasse a catafascio fu: Non sono mai stato così felice in vita mia... CAPITOLO 11 KALONA Neferet si stava avvicinando, perciò Kalona si preparò psicologicamente, controllando la propria espressione e nascondendo l’odio che aveva iniziato a provare per lei con un cauto atteggiamento di premurosa attesa. Avrebbe aspettato il momento opportuno: se c’era una cosa che l’immortale aveva imparato benissimo era non sottovalutare la forza della pazienza. «Sta arrivando Neferet», disse a Rephaim. Suo figlio era davanti a una delle grandi portefinestre che si aprivano sul terrazzo dell’attico acquistato dalla Tsi Sgili, all’ultimo piano del lussuosissimo Mayo Building, un perfetto connubio tra le esigenze estetiche di lei e la necessità di lui di avere libero accesso al tetto. «Lei ha un Imprinting con te?» La domanda di Rephaim interruppe i pensieri di Kalona. «Un Imprinting? Tra Neferet e me? Che strana domanda da farmi.» Rephaim spostò lo sguardo dal panorama di Tulsa a suo padre. «Riesci a percepire che sta arrivando. Immagino che lei abbia assaggiato il tuo sangue e che quindi abbiate stabilito l’Imprinting.» «Nessuno assaggia il sangue di un immortale.» L’ascensore annunciò con uno scampanellio l’arrivo di Neferet, che percorse a passi lunghi e decisi lo scintillante pavimento di marmo. Si muoveva con grazia, come se stesse scivolando sul pavimento, coi gesti lenti e armoniosi che i mortali avrebbero considerato tipici dei vampiri. Ma Kalona sapeva come stavano le cose: i suoi movimenti erano cambiati, si erano evoluti... lei era cambiata, si era trasformata in un essere molto superiore a un vampiro. Kalona le fece un rispettoso inchino. «Mia regina.» Il sorriso di Neferet era pericolosamente bello. Con un gesto sinuoso, da serpente, gli mise un braccio intorno alle spalle, esercitando una pressione maggiore del necessario. Obbediente, Kalona si chinò, in modo che lei potesse posare le labbra sulle sue. Svuotò la mente, lasciando che fosse solo il corpo a rispondere, rendendo il bacio più profondo e consentendo alla lingua di lei di scivolare nella sua bocca. Nello stesso modo brusco in cui l’aveva cominciato, Neferet mise fine all’abbraccio. Guardando oltre le spalle di Kalona, disse: «Rephaim, credevo fossi morto». «Ero ferito, non morto. Sono guarito e ho aspettato il ritorno di mio padre.» Kalona pensò che, sebbene le parole del figlio fossero rispettose e corrette, nel tono c’era qualcosa di scortese. Ma era sempre stato difficile comprendere i modi di Rephaim, dato che il suo viso di bestia tendeva a mascherare qualsiasi emozione umana. Sempre ammesso che ne provasse. «Ho saputo che alcuni novizi della Casa della Notte di Tulsa ti hanno visto.» «Ho risposto al richiamo della Tenebra. Che ci fossero dei novizi per me era irrilevante», replicò Rephaim. «Non solo dei novizi... c’era anche Stevie Rae. Anche lei ti ha visto.» «Come ho appena detto, per me quegli esseri sono irrilevanti.» «Comunque è stato un errore da parte tua far sapere che sei qui, e io non tollero errori», sbottò Neferet. Non appena gli occhi della Tsi Sgili assunsero un colore rossastro, Kalona si sentì montare una gran rabbia: era già abbastanza brutto avere quel legame di servitù con Neferet, ma che addirittura il suo figlio prediletto potesse venire rimproverato e castigato da lei era intollerabile. «A dire il vero, mia regina, il fatto che sappiano che Rephaim è rimasto a Tulsa potrebbe giocare a nostro favore. Si presume che io sia stato bandito dal tuo fianco, perciò non posso essere visto qui. Se alla Casa della Notte dovessero arrivare voci relative a un essere alato, penserebbero subito che si tratti di lui.» Neferet inarcò un sopracciglio ambrato. «Hai ragione, mio amore, soprattutto quando voi due mi riporterete i novizi rossi ancora feroci e pericolosi.» «Come desideri, mia regina», disse mieloso Kalona. «Voglio che Zoey ritorni a Tulsa», replicò Neferet, cambiando bruscamente argomento. «Quegli idioti alla Casa della Notte mi hanno detto che si rifiuta di andarsene da Skye. Lì è fuori della mia portata... e io non posso proprio permetterglielo.» «La morte dell’innocente dovrebbe farla tornare», intervenne Rephaim. Neferet strinse le palpebre. «E tu come fai a sapere di quella morte?» «L’abbiamo percepita. La Tenebra ne ha molto goduto», rispose Kalona. «È delizioso che tu l’abbia percepita. La morte di quel ridicolo ragazzetto è stata un vero piacere. Anche se mi preoccupa che possa avere l’effetto opposto su Zoey: invece di farla tornare di corsa dal suo debole e piagnucolante gruppo di amici, potrebbe costituire una ragione in più per restarsene nascosta su quell’isola.» «Forse dovresti colpire qualcuno più vicino a Zoey. Per lei la Rossa è come una sorella», propose Kalona. «Vero, e adesso anche quella maledetta Afrodite le è molto vicina», disse Neferet, picchiettandosi un dito sul mento mentre rifletteva. Uno strano rumore spostò l’attenzione di Kalona su Rephaim. «Figlio mio, hai qualcosa da aggiungere?» «Zoey si nasconde a Skye. È convinta che là non possiate raggiungerla. Ma è vero?» chiese Rephaim. «Sì, purtroppo è così. Nessuno può violare i confini del regno di Sgiach», replicò Neferet, in tono duro e irritato. «Come si presumeva che nessuno fosse in grado di violare i confini del regno di Nyx?» riprese Rephaim. Neferet lo trafisse con un’occhiata di smeraldo. «Come osi essere impertinente?» «Spiegati, Rephaim», intervenne Kalona. «Padre, tu hai appena violato un confine che pareva altrettanto invalicabile. Usa il legame che hai con Zoey. Raggiungila attraverso i sogni. Falle capire che da te non può nascondersi. Questo, unito alla morte del suo amico e al ritorno di Neferet alla sua Casa della Notte, dovrebbe bastare a spingere la giovane Somma Sacerdotessa a lasciare il suo rifugio.» «Lei non è una Somma Sacerdotessa. È una novizia! E la Casa della Notte di Tulsa è mia, non sua!» strillò Neferet, quasi isterica. «No. Ne ho abbastanza del legame di tuo padre con lei. Non è servito a farla morire, quindi voglio che venga tagliato di netto. Se Zoey dev’essere attirata lontano da Sgiach, lo farò usando Stevie Rae o Afrodite... o magari entrambe. Hanno bisogno di una lezione per imparare a portarmi rispetto.» «Come desideri, mia regina», disse Kalona con un’occhiata d’intesa al figlio. Rephaim incrociò il suo sguardo, esitò, poi anche lui chinò la testa e sottovoce disse: «Come desideri...» «Bene, allora questo è tutto. Rephaim, i giornali e i notiziari dicono che vicino alla Will Rogers High sono stati trovati dei cadaveri di gente con la gola squarciata. Secondo i media, è opera di una banda. Credo che, seguendo quella ’banda’, troveremo i nostri novizi rossi. Fallo. Con discrezione.» Rephaim non replicò, ma chinò la testa in segno di assenso. «E adesso vado nell’altra stanza a crogiolarmi in quella splendida vasca da bagno di marmo. Kalona, amore mio, ti raggiungerò presto nel nostro letto.» «Mia regina, non desideri che cerchi i novizi rossi con Rephaim?» «Non stasera. Stasera ho bisogno di un servizio più personale. Siamo stati separati per troppo tempo.» Fece scorrere un’unghia rossa sul petto di Kalona, che dovette farsi forza per non allontanarsi di scatto. Lei però dovette intuire qualcosa, perché si rivolse all’immortale in tono freddo e duro. «Forse t’infastidisco?» «No di certo. Come potresti mai infastidirmi? Sarò pronto per te, come sempre.» «Resterai nel mio letto, aspettando di darmi piacere.» Con un sorriso crudele, Neferet girò sui tacchi e scivolò nell’immensa camera che occupava metà del sontuoso attico, chiudendo la doppia porta della stanza da bagno con un gesto drammatico e un rumore che per Kalona somigliarono molto a quelli di un secondino che sbarra la porta di una prigione. Lui e Rephaim rimasero silenziosi e immobili per quasi un minuto. Quando infine l’immortale parlò, aveva la voce roca per la rabbia repressa. «Non c’è prezzo troppo grande per spezzare il dominio che ha su di me.» Kalona si passò la mano sul petto, quasi potesse cancellare ogni traccia del tocco di lei. «Ti tratta come un servo.» «Ma non durerà a lungo, no di certo», sbottò cupo. «Al momento, però, è così. Ti ordina persino di stare lontano da Zoey, e tu sei stato legato per secoli alla fanciulla cherokee che condivide la sua anima!» «No. La Tsi Sgili può credere di comandare ogni mia mossa tuttavia, anche se si considera una dea, non è onnisciente. Non sa tutto. Non vede tutto.» Kalona continuava a muovere le ali, agitato. «Figlio mio, credo che tu abbia ragione. Zoey potrebbe essere spinta a lasciare l’antica isola di Skye, se capisse di non poter sfuggire al legame con me neppure lì.» «Sembra logico. La ragazza si nasconde per evitarti. Dimostrale che i tuoi poteri sono troppo grandi perché possa riuscirci, che la Tsi Sgili approvi oppure no.» «Non mi serve la sua approvazione.» «Appunto», convenne Rephaim. «Figlio mio, vola nella notte e rintraccia i novizi della Tsi Sgili. Questo la tranquillizzerà. Tuttavia desidero che tu cerchi pure Stevie Rae. Tienila sotto controllo. Guarda dove va e cosa fa, ma non la catturare. Non ancora. Sono convinto che i suoi poteri siano legati alla Tenebra e che possa esserci utile, prima però dobbiamo minare la sua amicizia con Zoey e la sua fedeltà alla Casa della Notte. Deve pur avere un punto debole. Se la osserviamo abbastanza a lungo, lo scopriremo.» Kalona s’interruppe, poi ridacchiò, anche se il suono non fu affatto allegro. «Le debolezze possono essere così allettanti.» «Allettanti, padre?» Kalona fissò il figlio, stupito dalla sua strana espressione. «Sì, allettanti. Forse sei stato separato dal mondo per così tanto tempo da non ricordare la potenza anche di un’unica debolezza umana.» «Padre, io... io non sono umano. Per me è difficile capirti...» «Ma certo... certo, limitati a osservare la Rossa. Io rifletterò su cosa fare con lei. E, mentre aspetto il prossimo ordine, mi muoverò nel regno dei sogni e darò a Zoey, oltre che a Neferet, una lezione su come si gioca a nascondino.» «Sì, padre.» Rephaim aprì la portafinestra, raggiunse la balaustra e spalancò le grandi ali d’ebano. Poi, silenzioso e aggraziato, si lasciò cadere e si librò nella notte di Tulsa. Per un attimo, l’immortale lo invidiò, desiderando di potersi lanciare anche lui dal tetto di quell’edificio maestoso e planare nel cielo nero, come un predatore in caccia. Invece no. La caccia cui si sarebbe dedicato quella sera era diversa. Non l’avrebbe portato tra le nuvole ma, a suo modo, sarebbe comunque stata appagante. Il terrore poteva essere appagante. L’ultima volta che aveva visto Zoey, il suo spirito immortale era stato strappato all’Aldilà e restituito al corpo. In quell’occasione, era stato lui a provare terrore, per non essere riuscito a ucciderla. A quel punto la Tenebra, in virtù del giuramento di Neferet, che lui aveva accettato, era stata in grado di controllarlo, di ghermirgli l’anima. Kalona rabbrividì. Aveva avuto a che fare con la Tenebra per molto tempo, ma non le aveva mai concesso il controllo sulla propria anima immortale. L’esperienza non era stata piacevole. Non tanto per il dolore, che comunque era stato quasi insopportabile, e neppure per il senso d’impotenza che aveva provato quando i tentacoli neri l’avevano ricoperto. No, il suo terrore era stato provocato dal rifiuto di Nyx. Mi perdonerai mai? le aveva chiesto. La risposta della Dea l’aveva ferito in modo molto più profondo della claymore da Guardiano di Stark: Se mai sarai degno di perdono, potrai chiedermelo. Ma non prima di allora. Ma il colpo più terribile era stato un altro. Pagherai a questa mia figlia il debito che hai con lei, poi tornerai nel mondo e alle conseguenze che là ti aspettano, sapendo, mio deposto Guerriero, che al tuo spirito, oltre che al tuo corpo, è proibito l’ingresso nel mio regno. Poi Nyx l’aveva abbandonato nelle grinfie della Tenebra. Era stato peggio della prima volta. Quand’era caduto, era stato per propria scelta, e Nyx non era stata fredda e indifferente. Quella seconda volta era stato diverso. Il terrore provocato dalla cacciata definitiva l’avrebbe ossessionato per l’eternità, proprio come l’ultima visione agrodolce che aveva avuto della sua Dea. «No. Non intendo pensarci. Ho scelto la mia strada molto tempo fa. Nyx non è più la mia Dea da secoli e non vorrei mai più tornare a essere il suo Guerriero, a essere sempre secondo a Erebo.» Kalona parlava rivolto al cielo, lo sguardo fisso nella direzione in cui era andato suo figlio, quindi chiuse la porta alla gelida notte di gennaio e, assieme a essa, di nuovo, chiuse il cuore a Nyx. Con rinnovata risolutezza, l’immortale attraversò l’attico a grandi passi, superando l’angolo bar di legno luccicante e il salotto di velluto, per raggiungere la sontuosa camera da letto. Diede un’occhiata alle porte della stanza da bagno, da cui giungeva lo scroscio dell’acqua che riempiva la vasca dove Neferet amava tanto rilassarsi. Il profumo dell’olio da bagno – un misto di garofano e gelsomino a fioritura notturna realizzato appositamente per lei alla Casa della Notte di Parigi – arrivava fino a Kalona, intrufolandosi sotto la porta e rendendo l’aria soffocante. Disgustato, l’immortale si voltò e tornò sui propri passi, aprì il finestrone che portava al tetto e inspirò a fondo l’aria fredda e pulita. Quando si fosse degnata di cercarlo, Neferet l’avrebbe trovato là, sotto le stelle, e l’avrebbe punito per non essere rimasto a letto come aveva ordinato, in attesa di darle piacere neanche fosse la sua puttana. Kalona grugnì. Non era passato molto da quando, attirata dal suo potere, lei era rimasta vittima del suo fascino immortale. Per un brevissimo istante, si chiese se avrebbe deciso di tenerla in schiavitù, una volta cancellato il controllo che lei aveva sulla sua anima. L’idea gli diede piacere. Più tardi. Ci avrebbe pensato più tardi. Ormai aveva poco tempo e molto da fare prima di soddisfare Neferet. L’immortale andò alla massiccia balaustra di pietra, allargò le immense ali scure ma, invece di lanciarsi giù per assaporare l’aria della notte, si distese a terra, avvolgendosi tra le piume nere come in un bozzolo. Ignorò il freddo della pietra sotto di lui, concentrandosi soltanto sulla forza del cielo senza fine e sull’antica magia che fluttuava libera e allettante nella notte. Chiuse gli occhi e lentamente... lentamente... fece lunghi respiri profondi. E, mentre espirava, si liberò anche di ogni pensiero riguardante Neferet. Quindi trascinò nei polmoni, nel corpo e nello spirito, il potere invisibile che colmava la notte e su cui aveva autorità grazie al sangue immortale. Poi attirò a sé pensieri su Zoey. I suoi occhi... del colore dell’onice. La sua bocca voluttuosa. I lineamenti ereditati dalla nonna cherokee che gli ricordavano tanto l’altra fanciulla che con lei divideva l’anima e il cui corpo un tempo l’aveva catturato e confortato. «Trova Zoey Redbird.» Il fatto che Kalona tenesse bassa la voce non la rese meno imperiosa quando – grazie al potere conferitogli dal proprio sangue e dalla notte – evocò una forza così antica da far sembrare giovane il mondo. «Porta il mio spirito da lei. Segui il nostro legame. Se è nel regno dei sogni, non potrà nascondersi. I nostri spiriti si conoscono troppo bene. Va’, ora!» Ciò non aveva niente a che vedere con quanto gli era accaduto quando la Tenebra, per ordine di Neferet, gli aveva rubato l’anima. Stavolta si trattava di una sensazione piacevole, familiare, simile all’ebrezza che provava durante il volo. Non seguì gli appiccicosi tentacoli della Tenebra, ma la vorticosa energia nascosta tra le pieghe delle correnti del cielo. Lo spirito di Kalona si mosse rapido e deciso verso est, a una velocità inconcepibile dalla mente mortale. Una volta giunto sull’isola di Skye, Kalona esitò, stupito che l’incantesimo di protezione gettato da Sgiach così tanto tempo prima riuscisse a fermare persino lui. Doveva essere una vampira davvero potente, era un peccato che non avesse risposto lei alla sua chiamata invece di Neferet. Poi non sprecò altro tempo in pensieri inutili e il suo spirito abbatté la barriera di Sgiach e si lasciò scendere, lento e risoluto, verso il castello della regina. L’impronta della Dea era ovunque e gli fece tremare l’anima di un dolore che trascendeva il mondo fisico. Il boschetto non lo fermò. Non gli impedì di passare. Semplicemente gli causò un ricordo che era sofferenza pura. È così simile al bosco di Nyx che non rivedrò mai più... Kalona si allontanò dalla verdeggiante dimostrazione della benevolenza di Nyx e lasciò che il proprio spirito venisse trascinato verso il castello di Sgiach. Lì avrebbe trovato Zoey. Se stava dormendo, avrebbe seguito il loro legame per entrare nel mistico mondo dei sogni. Guardò con ammirazione le teste mozzate e l’evidente abilità guerriera degli abitanti di quel luogo antico. Attraversando la spessa pietra grigia tipica dell’isola, Kalona rifletté su quanto avrebbe preferito vivere lì invece che nella gabbia dorata dell’attico di Tulsa. Doveva portare a termine il suo compito e costringere Zoey a tornare alla Casa della Notte. Era come una complessa partita a scacchi, in cui lei non era altro che una regina da catturare per poter essere di nuovo libero. Usando la vista dell’anima – la capacità di rendere visibili gli strati di realtà che si sollevavano e si spostavano, si agitavano e s’impennavano tutto intorno al mondo mortale –, Kalona si concentrò sul regno dei sogni, quel fantastico piano di esistenza che non era né corporeo né spirituale, e tirò i fili del legame che stava seguendo, sapendo che, quando il caos di colori provocato dai movimenti delle diverse realtà si sarebbe dissolto, lui si sarebbe riunito a Zoey. Kalona era rilassato e sicuro di sé, quindi assolutamente impreparato a ciò che accadde dopo. Avvertì uno strattone insolito, come se il suo spirito si fosse frantumato in milioni di granelli di sabbia spinti a forza nello stretto imbuto di una clessidra. A poco a poco, i suoi sensi cominciarono a stabilizzarsi. Il primo a riattivarsi fu la vista, permettendogli di scorgere qualcosa che per poco non gli fece perdere la concentrazione. Zoey gli sorrideva con un’espressione piena di calore e fiducia. Dalla consistenza della realtà che lo circondava, Kalona capì subito di non essere entrato nel mondo dei sogni. Fissò a sua volta Zoey, senza nemmeno osare respirare. Poi gli tornò il senso del tatto e capì che lei era tra le sue braccia, che il suo corpo nudo, caldo e flessuoso era premuto contro il suo. Zoey gli sfiorava il viso, le dita che indugiavano sulle labbra. Automaticamente, i fianchi di lui si sollevarono verso di lei, che emise un piccolo gemito di piacere, chiudendo gli occhi, in attesa del suo bacio. Appena prima che lui sprofondasse in lei, a Kalona tornò l’udito. «Anch’io ti amo, Stark», gli disse Zoey, quindi iniziò a fare l’amore con lui. Il piacere fu così inatteso, lo shock così intenso, che il contatto si spezzò e Kalona si ritrovò sul pavimento della terrazza. Si alzò e andò ad appoggiarsi contro la balaustra. Il suo cuore batteva all’impazzata. Scosse la testa, incredulo. «Stark.» Kalona pronunciò quel nome rivolto alla notte, ragionando ad alta voce. «Il legame che ho seguito non era affatto con Zoey. Era con Stark.» Si sentì uno stupido per non averlo capito prima. «Nell’Aldilà gli ho donato un frammento della mia anima immortale, quindi ora ho accesso al Guardiano e Guerriero per Giuramento di Zoey Redbird!» Kalona allargò le ali, piegò la testa all’indietro e fece risuonare nella notte una risata trionfante. «Cosa c’è di tanto divertente e perché non sei ancora nel mio letto?» domandò seccata Neferet, nuda sulla porta della camera. «Era una risata di gioia. Sono qui perché desidero prenderti sul tetto, con sopra di noi soltanto il cielo.» Raggiunse Neferet a grandi passi, la sollevò e la portò alla balaustra. Poi chiuse gli occhi, immaginando che avesse i capelli e gli occhi scuri, mentre la faceva gridare di piacere, ancora e ancora. STARK La prima volta successe talmente in fretta che Stark non era nemmeno sicuro che fosse accaduto davvero. Ma avrebbe dovuto dare retta all’istinto. Lo stomaco gli diceva che c’era qualcosa di sbagliato, di molto sbagliato, anche se era durato solo pochi attimi. Si trovava a letto con Zoey. Parlavano, ridevano e fondamentalmente si stavano godendo un po’ di tempo da soli. Il castello era uno spettacolo, Sgiach, Seoras e gli altri Guerrieri erano grandiosi, ma Stark era un solitario. Lì a Skye, per quanto strafigo fosse quel posto, c’era sempre intorno qualcuno. Il fatto che fosse fuori del mondo «reale» non significava che non ci fosse niente da fare. Anzi, le sue giornate erano molto piene: allenamenti, manutenzione del castello, commerci con la gente del posto e cose simili. Per non parlare del fatto che era stato affiancato a Seoras, il che voleva dire che in pratica era lo schiavetto – nonché vittima preferita per le battutacce – del vecchio Guardiano. Poi c’erano i garrons, piccoli e forti cavalli da lavoro tipici delle highlands. Lui non era mai stato un patito di cavalli, ma quelli erano incredibili, anche se sembravano produrre una quantità di sterco del tutto sproporzionata alle loro dimensioni. Stark lo sapeva benissimo, dato che aveva passato la maggior parte della serata a spalarlo e, quando aveva fatto un paio di commenti che sì, certo, potevano essere sembrati lamentele, Seoras e un altro vecchio Guerriero con l’accento irlandese, la testa rasata e la barba rossa avevano cominciato a chiamarlo Ach, povera piccola Mary con le sue dolci e tenere manine da fanciulla. Non c’era bisogno di dire che era davvero contento di essere da solo con Zoey. Lei aveva un odore così buono e lo faceva sentire così bene che doveva continuare a ricordare a se stesso che non stava sognando. Non erano più nell’Aldilà. Era tutto reale, e Zoey era sua. Era successo in mezzo a baci intensi, profondi che gli avevano fatto pensare di essere sul punto di esplodere. Le aveva appena detto che l’amava e Zy aveva alzato il viso verso di lui sorridendo. D’improvviso gli era cambiato qualcosa dentro. Si era sentito più pesante, ma stranamente anche più forte. E poi c’era stato un insolito senso di stupore che gli aveva percorso le terminazioni nervose. A quel punto, lei l’aveva baciato e, come accadeva sempre quando Zy lo baciava, gli era diventato difficile pensare, ma aveva intuito comunque che c’era qualcosa che non andava. Si era sentito sconvolto. Il che era stranissimo: insomma, era da un bel po’ che lui e Zoey erano andati oltre i baci, eppure era come se una parte in lui – che però non faceva esattamente parte di lui – fosse stupita da matti per quanto stava succedendo. Poi aveva iniziato a fare l’amore con lei e la sorpresa iniziale era diventata ancora più intensa, bruciante, per poi sparire del tutto, tanto in fretta com’era comparsa, lasciandolo libero di godersi la sua Zy che si scoglieva tra le sue braccia in un modo che gli riempiva il cuore, la testa, il corpo e l’anima. Alla fine c’era soltanto lei. Dopo, Stark cercò di ricordare cosa gli fosse sembrato tanto insolito, cosa lo avesse disturbato tanto. Ma a quel punto stava sorgendo il sole e lui scivolò in un sonno esausto e felice, e la questione non parve più così importante. In fondo, perché avrebbe dovuto preoccuparsi? Zoey era lì, ben protetta dalle sue braccia. CAPITOLO 12 REPHAIM Il Raven Mocker si lasciò cadere dall’ultimo piano del Mayo Building e, reso quasi invisibile dal piumaggio scuro, si librò sopra la città. Come se gli umani guardassero mai in alto... povere creature incapaci di volare. Che strano: anche se Stevie Rae non sapeva volare, non l’aveva mai inclusa in quella patetica orda di senza-ali. Stevie Rae... Il volo si fece esitante. La velocità diminuì. No. Non pensare a lei adesso. Prima devo allontanarmi per bene ed essere sicuro che i miei pensieri siano davvero soltanto miei. Mio padre non deve sospettare che qualcosa non va. E Neferet non lo dovrà mai sapere, mai e poi mai. Rephaim chiuse la mente a tutto tranne che al cielo buio e disegnò nell’aria dei cerchi ampi e lenti, per accertarsi che Kalona non avesse cambiato idea e sfidato Neferet per unirsi a lui. Quando capì di avere la notte tutta per sé, si diresse a nordest seguendo una rotta che l’avrebbe portato prima al vecchio scalo abbandonato di Tulsa e poi alla Will Rogers High, sulla scena dei crimini commessi dalla banda che di recente tormentava quella zona della città. Lui però pensava che avesse ragione Neferet: di sicuro quelle aggressioni erano opera dei suoi novizi rossi. Ma era l’unica cosa su cui era d’accordo con lei. Rephaim volò rapido e silenzioso fino al vecchio scalo ferroviario abbandonato, quindi aguzzò la vista per individuare anche un minimo movimento che potesse tradire la presenza di qualche vampiro o novizio, rosso o blu che fosse. Studiò l’edificio con uno strano misto di aspettativa e riluttanza. Cosa avrebbe fatto se Stevie Rae avesse ripreso possesso del seminterrato e della labirintica serie di tunnel sottostanti? Sarebbe riuscito a rimanere silenzioso e invisibile nel cielo della notte, o le avrebbe rivelato la sua presenza? Prima di poter formulare una risposta, capì che non avrebbe dovuto prendere nessuna decisione perché Stevie Rae non era allo scalo ferroviario. L’avrebbe saputo se lei fosse stata nelle vicinanze. Quella consapevolezza calò su di lui come un sudario e, con un lungo sospiro, Rephaim scese sul tetto dell’edificio abbandonato. Finalmente solo, ripiegò le ali sulla schiena e si mise a camminare avanti e indietro, riflettendo sulla tremenda valanga di eventi che gli era crollata addosso quel giorno. La Tsi Sgili stava intessendo una rete che poteva distruggere il mondo di Rephaim. Suo padre aveva intenzione di usare Stevie Rae per riottenere il controllo del proprio spirito. Mio padre userebbe chiunque per vincere la sua guerra contro Neferet. Rephaim respinse quel pensiero, come avrebbe fatto prima che Stevie Rae entrasse nella sua vita. Scoppiò in una risata amara. «Entrata nella mia vita? Più che altro si è intrufolata nella mia anima e nel mio corpo.» Smise di camminare, ricordando ciò che aveva provato quando la splendida, innocente energia della terra era scivolata in lui, guarendolo. Scosse la testa. «Non fa per me. Il mio posto non è con lei; è impossibile. Il mio posto è dove sono sempre stato, al fianco di mio padre, nella Tenebra.» Si guardò le mani appoggiate sulla grata di metallo arrugginito. Non era né uomo né vampiro, né immortale né umano. Era un mostro. Ma questo significava che poteva starsene a guardare senza fare niente mentre Stevie Rae veniva usata da suo padre e sfruttata dalla Tsi Sgili? O peggio, sarebbe riuscito a prendere parte alla sua cattura? Lei non mi tradirebbe. Neanche se la catturassi, Stevie Rae non svelerebbe il nostro legame. Continuando a fissarsi le mani, Rephaim si rese conto di dove si trovava, di quale fosse la grata cui si era appoggiato, e fece un salto indietro. Era lì che i novizi rossi votati alla Tenebra li avevano intrappolati, era lì che Stevie Rae aveva quasi perso la vita, che era stata ferita a morte... Era lì che lui le aveva permesso di bere il suo sangue... di creare un Imprinting. «Per tutti gli dei, se solo potessi tornare indietro!» urlò verso il cielo. L’eco delle sue parole risuonò nell’aria, come se la notte lo stesse prendendo in giro. Rephaim abbassò le spalle e chinò la testa, mentre le dita sfioravano la superficie della rozza grata di ferro. «Cosa devo fare?» sussurrò. Non ottenne risposta, e d’altronde non l’aspettava. Quindi staccò la mano da quel ferro implacabile e cercò di riprendersi. «Farò quello che ho sempre fatto. Eseguirò gli ordini di mio padre. Se in questo modo riuscirò anche a proteggere almeno in parte Stevie Rae, bene. Se non ci riuscirò, bene lo stesso. La mia strada è stata decisa nel momento in cui sono stato concepito, non posso allontanarmene adesso.» Le parole risuonarono gelide come la sera di gennaio, ma il suo cuore era caldissimo, quasi ciò che aveva detto gli avesse fatto ribollire il sangue. Senza ulteriori esitazioni, Rephaim lasciò il tetto dello scalo ferroviario e proseguì verso est, volando fino alla Will Rogers High, che si trovava su una collinetta, in una zona piuttosto isolata. L’edificio principale era ampio e rettangolare, di mattoni chiari che alla luce della luna parevano sabbia. Il Raven Mocker fu attirato dalla parte centrale della struttura, da cui s’innalzava la prima di due grandi torri quadrate. Fu lì che atterrò, assumendo immediatamente una posizione di difesa. Ne sentiva l’odore. Il tanfo dei novizi rossi era ovunque. Con movimenti furtivi, Rephaim si appostò in modo da poter osservare lo spazio davanti all’edificio: alberi, grandi e piccoli, un vasto prato e nient’altro. Rephaim attese. Non ci volle molto. Sapeva che sarebbe andata così. Mancava davvero poco all’alba, perciò s’immaginava di vederli tornare. Quello che però non si aspettava era di vederli avvicinarsi al portone della scuola, puzzando di sangue fresco e capitanati da Dallas, che si era appena Trasformato, e da Nicole, che gli stava appiccicata addosso. Era evidente che il grosso e insulso Kurtis si considerava una specie di guardia del corpo perché, mentre Dallas appoggiava la mano su una delle porte d’acciaio color ruggine, lui si posizionò a lato dei gradini, guardandosi in giro con la pistola in pugno, convinto di sapere cosa farsene. Rephaim scosse la testa disgustato: erano così sicuri di sé. Kurtis non guardò in alto. Né i novizi né Dallas guardarono in alto, ignari di essere osservati da una creatura ben diversa da quella che avevano catturato: non avevano idea di quanto fossero vulnerabili a un suo attacco. Ma Rephaim non si mosse, limitandosi ad aspettare. Nicole si strusciò ancora di più contro Dallas. «Oh, sì, piccolo! Fa’ la tua magia.» Si udì uno sfrigolio, quindi Dallas spinse il portone, che si aprì senza nemmeno far scattare l’allarme. «Andiamo. Manca poco all’alba e c’è una cosetta di cui ti devi occupare prima che sorga il sole.» Gli altri novizi scoppiarono a ridere, mentre Nicole gli strofinava la mano sul davanti dei calzoni. «Allora andiamo in quei tunnel nel seminterrato così posso darmi da fare.» Dallas attese che fossero entrati tutti, poi li seguì chiudendo la porta. Dopo un istante, Rephaim udì un altro sfrigolio e tutto tornò silenzioso. Poco dopo, la guardia della sicurezza passò in auto davanti all’edificio. Neppure l’uomo alzò gli occhi, perciò non vide l’enorme Raven Mocker accovacciato in cima alla torre della scuola. Quando la guardia si allontanò, Rephaim si librò nella notte, cercando di riordinare i pensieri. Dallas era a capo dei novizi rossi cattivi. Controllava la magia moderna di questo mondo che, in qualche maniera, gli consentiva di entrare negli edifici. La Will Rogers High era il luogo in cui avevano deciso di fare il nido. Stevie Rae avrebbe voluto saperlo. Avrebbe dovuto saperlo. Lei si sentiva ancora responsabile per loro, anche se avevano cercato di ucciderla. E riguardo a Dallas? Chissà se provava ancora qualcosa per lui. Anche solo il ricordo di lei tra le braccia di Dallas lo faceva arrabbiare. Ma Stevie Rae aveva scelto lui, non Dallas. In modo chiaro e assoluto. Non che adesso facesse qualche differenza. Fu in quel momento che Rephaim si rese conto di non essersi diretto verso il Mayo Building. Stava volando più a sud, sopra la sagoma buia dell’abbazia delle suore benedettine, e si stava avvicinando silenzioso a Utica Square e al campus protetto dal muro di pietra. Esitò. I vampiri avrebbero guardato in alto. Rephaim battè freneticamente le ali e puntò verso l’alto, su e ancora più su. Poi, troppo lontano per essere scorto con facilità, fiancheggiò il campus, tuffandosi senza il minimo rumore dietro il muro est, in una chiazza d’ombra tra due lampioni. Prima di raggiungere il muro udì uno strano ululato. Si trattava di un suono così disperato e struggente da spezzare il cuore persino a lui. Cos’è che si lamenta in un modo così terribile? Lo capì quasi subito: il cane. Il cane di Stark. Durante una delle sue chiacchierate non stop, Stevie Rae gli aveva raccontato che un suo amico, un ragazzo che si chiamava Jack, era più o meno diventato padrone del cane quando Stark era diventato un novizio rosso. L’animale si era affezionato molto a Jack, e Stevie Rae pensava fosse una buona cosa, dato che il ragazzo era davvero dolcissimo. Ricordando quel discorso, i tasselli del puzzle andarono al proprio posto. Quando raggiunse il muro di cinta della scuola e udì il pianto che accompagnava quell’ululato tremendo, Rephaim sapeva cosa apettarsi dall’altro lato del muro. Eppure sbirciò comunque. Non poté evitarlo. Voleva vedere Stevie Rae... solo vederla. Dopotutto, non poteva fare altro che guardare: Rephaim non poteva certo andare da lei, ora che era circondata dai vampiri della Casa della Notte. Aveva indovinato: l’innocente il cui sangue aveva ripagato il debito di Neferet con la Tenebra era Jack, l’amico di Stevie Rae. In ginocchio sotto l’albero che Kalona aveva spezzato quand’era fuggito dalla sua prigione sotterranea, un ragazzo singhiozzava ripetendo in continuazione «Jack!» Accanto a lui, un cane ululava in mezzo all’erba. Il corpo non c’era più, ma il sangue sì. Rephaim si chiese se qualcuno si sarebbe accorto che ce n’era molto meno del dovuto. La Tenebra aveva bevuto avidamente l’offerta di Neferet. Il maestro di scherma, Dragone Lankford, cercava di confortare il ragazzo posandogli una mano sulla spalla. I tre erano soli. Stevie Rae non c’era. Rephaim tentò di convincersi che fosse meglio così: era davvero un bene che lei non fosse lì, magari non aveva nemmeno visto il cadavere, ma poi fu travolto da un’ondata di sentimenti: tristezza, preoccupazione e soprattutto dolore. Quindi Stevie Rae raggiunse di corsa il terzetto, tenendo tra le braccia un grosso gatto color grano. Era così bello vederla che Rephaim quasi si dimenticò di respirare. «Duchessa, ora devi smetterla.» La voce di lei, con quel suo forte accento dell’Oklahoma, rinfrancò il Raven Mocker come una pioggia di primavera nel deserto. La osservò accovacciarsi accanto alla grossa cagnolona, depositandole il gatto tra le zampe. Il felino iniziò immediatamente a strusciarsi contro il cane, come se cercasse di consolarlo. Con grande stupore di Rephaim, la labrador si calmò e prese a leccare il gatto. «Brava ragazza. Lasciati aiutare da Cameron.» Stevie Rae alzò lo sguardo verso il maestro di scherma, che assentì in modo quasi impercettibile. Allora lei rivolse la propria attenzione al novizio singhiozzante. Frugando nella tasca dei jeans, prese un pacchetto di fazzoletti di carta e glieli tese. «Damien, tesoro, è ora che smetta anche tu. Finirai per sentirti male.» Damien prese un Kleenex e se lo passò sul viso poi, con voce tremante, disse: «Non... non me ne importa». Stevie Rae gli sfiorò la guancia. «Lo so che non te ne importa, ma il tuo gatto ha bisogno di te, e anche Duchessa. E poi... Jack sarebbe sconvolto di vederti conciato così.» «Jack non mi vedrà mai più.» La voce di Damien era così angosciata che a Rephaim sembrò di sentire l’eco del cuore che andava in pezzi. «Non ci credo neanche ma neanche... E, se ci pensi un attimo, vedrai che non ci credi nemmeno tu», replicò decisa Stevie Rae. Damien la guardò con occhi spiritati. «Stevie Rae, in questo momento io non riesco proprio a pensare...» «Parte della tristezza passerà», intervenne Dragone, con un tono da cuore spezzato uguale a quello di Damien. «Quanto basta da permetterti di ricominciare a riflettere.» «Giusto. Dai ascolto a Dragone. Presto ritroverai dentro di te il filo che ti lega alla Dea. Seguilo. Ricordati che c’è un Aldilà che possiamo condividere tutti. Jack adesso è lì, e un giorno lo incontrerai di nuovo.» Lo sguardo di Damien si spostò da Stevie Rae al Signore delle Spade. «Lei c’è riuscito? Questo le rende più facile sopportare la perdita di Anastasia?» «Niente può rendere le cose più facili. In questo momento sono ancora alla ricerca del filo che porta alla nostra Dea.» Rephaim provò uno shock tremendo rendendosi conto di essere stato lui a causare la sofferenza del maestro di scherma. Lui aveva ucciso la professoressa d’Incantesimi e rituali, Anastasia Lankford, così, a sangue freddo, senza provare nessuna emozione tranne, forse, un po’ d’irritazione per aver impiegato fin troppo tempo ad avere la meglio sulla vampira e squarciarle la gola. L’ho ammazzata senza pensare a niente e a nessuno, spinto dalla necessità di seguire mio padre, di obbedire ai suoi ordini. Sono un mostro. Il Raven Mocker non riusciva a staccare gli occhi dal Signore delle Spade, avvolto nel proprio dolore come in un mantello. Riusciva quasi letteralmente a vedere il vuoto che la perdita della compagna aveva creato nella sua vita. E, per la prima volta in un’esistenza plurisecolare, lui provò rimorso per le proprie azioni. Gli sembrava di non essersi mosso, di non aver fatto rumore, eppure lo sguardo di Stevie Rae lo scovò. Lentamente, lui spostò l’attenzione da Dragone alla vampira e le emozioni di lei lo travolsero come se gliele avesse scagliate contro di proposito. Prima di tutto, Rephaim percepì quanto lei fosse stupita di vederlo, cosa che lo fece arrossire e sentire quasi in imbarazzo. Poi provò una tristezza profonda, tagliente, dolorosa. Lui cercò di farle arrivare il dispiacere che sentiva, sperando che la vampira riuscisse a capire quanto gli mancava e quanto rimorso provasse per essere stato causa di tutta quella sofferenza. La rabbia lo colpì con tanta forza che Rephaim rischiò di perdere l’appiglio sul muro. «Damien, voglio che tu e Duchessa veniate con me. Dovete andarvene tutti e due da questo posto. Qui sono successe delle cose brutte. E non è ancora finita. C’è qualcuno in agguato. Lo sento. Andiamocene. Subito.» Mentre parlava, Stevie Rae non aveva mai staccato gli occhi da quelli di Rephaim. La reazione del maestro di scherma fu rapidissima. Scrutò in giro e Rephaim s’immobilizzò, desiderando che le ombre e la notte lo nascondessero. «Cos’è? Cosa c’è?» domandò Dragone. «Tenebra», affermò Stevie Rae in tono tagliente, come se avesse voluto lanciare un coltello nel cuore di Rephaim. «Tenebra corrotta e che non si può redimere.» Poi gli voltò le spalle con gesto sprezzante. «Lo stomaco mi dice che non è niente che meriti che lei impugni di nuovo la spada, ma è comunque meglio se ce ne andiamo.» «Sono d’accordo», convenne Dragone, seppur riluttante. Lui sarà una forza con cui dovrò fare i conti in futuro, rifletté Rephaim. E Stevie Rae? La sua Stevie Rae? Cosa sarebbe stata lei? Potrebbe davvero odiarmi? Potrebbe respingermi per sempre? Provò ad analizzare i sentimenti di lei mentre la osservava prendere per mano Damien e farlo alzare, per poi accompagnare novizio, cane, gatto e Dragone verso i dormitori. Senza dubbio percepiva rabbia e dolore, e quei sentimenti li comprendeva benissimo. Ma l’odio? Lo odiava sul serio? Rephaim non ne era sicuro, ma in fondo al cuore sentiva che se lo sarebbe meritato eccome, il suo odio. Certo, non era stato lui a uccidere Jack, ma era legato alle forze che l’avevano fatto. Sono figlio di mio padre. Non so essere altro. Non ho alternative. Quando Stevie Rae se ne fu andata, Rephaim si lanciò nel cielo il più rapidamente possibile, girò intorno al campus e tornò verso il tetto del Mayo Building. Mi merito il suo odio... mi merito il suo odio... mi merito il suo odio... La litania gli risuonava nella mente a tempo col battito delle ali. La sua disperazione e il suo dispiacere si unirono all’eco della tristezza e della rabbia di Stevie Rae. L’umidità della notte si mischiò alle lacrime, mentre il viso di Rephaim veniva inondato dalla luce della luna e dal senso di perdita. CAPITOLO 13 STEVIE RAE «Oh, merda! Mi stai dicendo che nessuno ha avvertito Zoey?» saltò su Afrodite. Stevie Rae la prese per il gomito e, con una stretta che tecnicamente poteva anche essere considerata più forte del necessario, la trascinò fuori della stanza di Damien. Davanti alla porta, entrambe si voltarono verso il letto, dove Damien dormiva raggomitolato assieme a Duchessa e a Cameron, tutti e tre stravolti dal dolore e dalla stanchezza. In silenzio, Stevie Rae si richiuse delicatamente la porta alle spalle. «E tieni bassa quella cavolo di voce», mormorò. «Okay, okay, non ti scaldare! Jack è morto e nessuno ha avvertito Zoey?» «No. Non è che abbia avuto tanto tempo. Damien era isterico. Duchessa era isterica. A scuola c’è un delirio. Io sono l’unica Somma Sacerdotessa dell’accidenti che, apparentemente, non è chiusa in stanza a pregare o quello che è, quindi sono stata un po’ presa a gestire l’uragano di merda che si è scatenato qui fuori, oltre al fatto che è appena morto un ragazzo davvero buono e simpatico.» «Sì, lo capisco, e dispiace anche a me, ma Zoey deve tornare subito qui. Se tu eri troppo impegnata, avresti dovuto farle telefonare da uno dei prof. Prima lo sa, prima prenota un cavolo di aereo.» Dario arrivò di corsa e prese la mano di Afrodite. «È stata Neferet, vero? Quella stronza ha ucciso Jack», gli chiese subito lei. «Non è possibile», replicarono in stereo Dario e Stevie Rae, che lanciò ad Afrodite un’occhiata da te l’avevo detto. Dario invece le spiegò tutto per bene. «Quando Jack è caduto dalla scala, Neferet si trovava davvero alla riunione del Consiglio. Non solo Damien ha visto Jack cadere, c’è anche un altro testimone che conferma l’orario: Drew Partain stava attraversando il parco, quando ha sentito Jack che cantava. Ha detto che a un certo punto non lo ha sentito più, ma pensava fosse solo perché, proprio in quel momento, la campana del tempio di Nyx ha cominciato a battere la mezzanotte.» «In realtà è stato allora che Jack è morto», aggiunse Stevie Rae in tono piatto e duro, l’unico che era riuscita a trovare per fare in modo che la voce non le tremasse come stava facendo lei. «Sì, l’orario è quello», confermò Dario. «E voi siete sicuri che in quel momento Neferet fosse alla riunione?» chiese ancora Afrodite. «La campana ha suonato proprio mentre lei parlava», spiegò Stevie Rae. «Io continuo a non credere neanche per un istante che non ci sia lei dietro questa morte», ribatté Afrodite. «Guarda, Afrodite, che non sto dicendo che non sono d’accordo con te. Neferet è più viscida della merda di gallina su un tetto di lamiera, ma i fatti sono fatti: era proprio davanti a tutti noi quando Jack è caduto da quella scala.» «Okay, zucca campagnola, invece di stressarmi con le tue analogie da vecchia fattoria ia-ia-oh, perché non mi spieghi la faccenda della spada? Come diavolo ha potuto tagliargli la testa ’per caso’?» domandò disegnando nell’aria le virgolette. «Dragone ha spiegato a Jack che le spade vanno appoggiate con l’elsa in giù e la punta in su. Quando il ragazzo è caduto sulla lama, l’elsa si è conficcata nel terreno, impalandolo. Tecnicamente, potrebbe essere stato un incidente.» Afrodite si passò sul viso una mano tremante. «È orribile. Davvero orribile. Ma non è stato un incidente.» «Penso che nessuno di noi creda che Neferet non c’entri con la morte di Jack, il problema è che non lo possiamo dimostrare. Già una volta il Consiglio Supremo si è pronunciato a favore di Neferet e, in pratica, contro di noi. Se andiamo da loro con altre supposizioni, riusciremo soltanto a screditarci ulteriormente», disse Dario. «Questo l’ho capito anch’io, ma mi fa incazzare da matti», commentò Afrodite. «Ci fa arrabbiare tutti. E molto anche», aggiunse Stevie Rae. Cogliendo un tono insolitamente acido nella voce di Stevie Rae, Afrodite la fissò inarcando un sopracciglio. «Già, quindi vediamo di usare un po’ d’incazzatura per buttare fuori di qui a calci quella vacca una volta per tutte.» «Qual è la tua idea?» chiese Stevie Rae. «Per prima cosa, costringere Zoey a muovere il culo e tornare qui. Neferet la odia, quindi si scaglierà contro di lei. Lo fa sempre. Solo che stavolta noi saremo pronti e attenti, e ci procureremo delle prove che nemmeno il Consiglio Supremo potrà ignorare.» Senza aspettare una replica, Afrodite prese l’iPhone dalla Clutch Coach metallizzata, digitò il PIN e disse: «Chiamo Zoey». «Stavo per farlo io!» ribatté Stevie Rae. Afrodite alzò gli occhi al soffitto. «Se lo dici tu. Comunque, sei decisamente troppo lenta. E sei anche troppo gentile. A Zy serve una bella dose di ’datti una svegliata e fa’ quello che devi’. Io sono la ragazza giusta per dargliela.» S’interruppe, ascoltò e alzò di nuovo gli occhi al soffitto. «C’è quel suo disgustoso messaggio della segreteria che sembra preso da Disney Channel: Ciao, ragazzi! Lasciatemi un messaggio e passate una giornata super», spiegò Afrodite imitando un tono iperspumeggiante. Prese un bel respiro e aspettò il bip. Stevie Rae le tolse il telefonino di mano, affrettandosi a parlare lei. «Zy, sono io, non Afrodite. Ho bisogno che mi chiami appena puoi. È importante.» Chiuse la chiamata e affrontò Afrodite. «Okay, vediamo di chiarire una cosa: solo perché cerco di comportarmi da essere umano decente non significa che sono troppo gentile. Quello che è successo a Jack è già abbastanza brutto. Venirlo a sapere da un messaggio in segreteria è peggio che pessimo. E poi non credo sia una buona idea far sclerare così Zoey, soprattutto visto che è passato così poco da quando la sua anima è andata in pezzi.» Afrodite si riprese l’iPhone. «Senti, non abbiamo il tempo di camminare sulle uova per non urtare i sentimenti di Zoey: lei deve mettersi nei panni di una Somma Sacerdotessa e affrontare i problemi.» Stevie Rae fece un passo deciso verso Afrodite, cosa che d’istinto spinse Dario ad avvicinarsi. «No, senti tu: Zoey non deve mettersi nei panni di una Somma Sacerdotessa perché lo è e basta. Però ha appena perso qualcuno che amava. È chiaro che tu non ci arrivi a capire una cosa del genere, ma fare attenzione ai suoi sentimenti in questo momento non significa trattarla da bambinetta. Significa essere suoi amici. Può capitare a tutti, qualche volta, di aver bisogno di un po’ di protezione da parte degli amici.» Guardò Dario, scuotendo la testa. «No, questo non vuol dire che devi proteggere Afrodite da me. Cacchio, Dario, cos’hai nel cervello?» Il Guerriero sostenne il suo sguardo. «Per un attimo, nei tuoi occhi c’è stato un lampo rosso.» Stevie Rae stette bene attenta a non cambiare espressione. «Sì, be’, non mi stupisce affatto. Vedere Neferet che se ne andava senza pagare per quello che è successo a Jack è stato piuttosto duro per me. Ti saresti sentito così anche tu se fossi stato presente.» «Immagino di sì, ma nei miei occhi non si sarebbe accesa una luce rossa», replicò Dario. «Prova un po’ a morire e a tornare da non-morto e poi ne riparliamo», saltò su Stevie Rae. Si rivolse ad Afrodite. «Ci sono delle cose che devo fare intanto che Damien dorme. Potreste tenerlo d’occhio tu e Dario? Non credo neanche minimamente che Neferet se ne stia chiusa in camera a pregare Nyx per tutta la notte come vorrebbe farci credere.» «Tranquilla, ci pensiamo noi», replicò Afrodite. «Se si sveglia, sii gentile», aggiunse Stevie Rae. «Ma quanto sei stordita! Certo che sarò gentile.» «Bene. Io torno presto, se vi serve una pausa chiamate le gemelle e vi daranno il cambio loro.» «Se lo dici tu. Ciao.» «Ciao.» Stevie Rae corse via, sentendosi addosso lo sguardo interrogativo di Dario. Devo smettere di lasciare che Dario mi faccia sentire in colpa! Non ho fatto niente di male. Che problema c’è se i miei occhi diventano rossi e luminosi quando sono incazzata? Non ha niente a che fare con l’Imprinting con Rephaim. L’ho lasciato. Stasera l’ho ignorato. Certo, devo assolutamente chiedergli cosa diavolo sa della morte di Jack, ma non perché ne ho voglia. Solo perché devo. Era così presa dal raccontarsi quell’enorme bugia, che per poco non andò a sbattere contro Erik. «Ehi, oh, Stevie Rae. Damien sta bene?» «Secondo te? Il suo ragazzo, che amava tanto, è appena morto in un modo orribile. No che non sta bene! Però dorme. Finalmente.» «Guarda che non devi comportarti così. Sono preoccupato sul serio per lui, ed ero molto affezionato anche a Jack.» Stevie Rae squadrò Erik. Aveva un aspetto di merda, fatto più che insolito per uno che ci teneva tanto a essere il più figo della compagnia. Ed era evidente che avesse pianto. Allora si ricordò che era stato compagno di stanza di Jack, e che lo aveva sempre difeso quando quello stronzo di Thor gli aveva dato addosso solo perché era gay. Gli sfiorò un braccio. «Scusami. È solo che anch’io sono sconvolta per questa storia. Non volevo trattarti male. Okay, ricominciamo daccapo.» Prese un bel respiro e fece un sorriso triste. «Adesso Damien sta dormendo, ma non sta bene. Avrà bisogno di amici come te quando si sveglia. Grazie di aver chiesto di lui e di essere qui per aiutarlo.» Erik annuì e le strinse la mano. «Grazie a te. Lo so che non ti piaccio molto dopo tutto quello che è successo tra Zoey e me, ma sono davvero amico di Damien. Fammi sapere se posso rendermi utile.» S’interruppe, guardò a destra e a sinistra come ad accertarsi che fossero soli, poi abbassò la voce. «C’entra Neferet con la morte di Jack, vero?» Stevie Rae sgranò gli occhi. «Cosa te lo fa credere?» «So che non è quella che sembra. L’ho vista com’è realmente, e non è per niente bella.» «Già, hai ragione. La vera Neferet non è bella. Ma c’eri anche tu alla riunione.» «Però continuo a essere convinto che ci sia lei dietro tutto questo.» Non era una domanda, ma Stevie Rae annuì lo stesso. «Lo sapevo. Questa Casa della Notte fa schifo. Ho fatto bene ad accettare l’offerta di Los Angeles.» Stevie Rae scosse la testa. «Allora è così? È questo che fai quando succede qualcosa di terribile? Scappi?» «Che può fare un solo vampiro contro Neferet? Il Consiglio Supremo l’ha reintegrata; loro stanno dalla sua parte.» «Un solo vampiro non può fare molto, ma un bel gruppo sì.» «Dei novizi e un paio di vampiri? Contro una potente Somma Sacerdotessa e il Consiglio Supremo? È una follia.» «No, la follia è farsi da parte e lasciare vincere i cattivi.» «Ehi, ho tutta la vita davanti. Una bella vita, con una grandiosa carriera di attore, che mi porterà successo, soldi e tutto il resto. Come puoi criticarmi perché non mi voglio immischiare in questo casino di Neferet?» «Sai una cosa, Erik? Ho soltanto una cosa da dirti: il male vince solo se i buoni non fanno niente», ribatté Stevie Rae. «Be’, tecnicamente sto facendo qualcosa. Me ne vado. Ehi, ci hai mai pensato? E se tutti i buoni se ne andassero, magari il male si scoccerebbe di giocare da solo e se ne tornebbe a casa pure lui.» «Sai, una volta pensavo che tu fossi il ragazzo più figo che avessi mai incontrato», replicò la ragazza in tono triste. Negli occhi di Erik passò un lampo divertito e le rivolse uno dei suoi sorrisi a cento watt. «E adesso ne sei più che certa?» «Naaa. Adesso sono più che certa che sei solo un debole egoista che ha ottenuto tutto quello che voleva solo e unicamente grazie al suo aspetto. E questo non è figo per niente.» Davanti alla sua espressione esterrefatta, Stevie Rae scosse la testa e iniziò ad allontanarsi. Senza nemmeno voltarsi, aggiunse: «Magari un giorno troverai qualcosa di cui t’importa abbastanza da decidere d’impegnarti sul serio». «Certo, e magari un giorno tu e Zoey scoprirete che non è compito vostro salvare il mondo!» le gridò lui. Stevie Rae non si sprecò neanche a ribattere. Erik era un babbo. Alla Casa della Notte di Tulsa sarebbero stati tutti meglio senza il suo stupido culo. Il gioco si stava facendo davvero duro, e questo significava che i duri dovevano cominciare a giocare sul serio... e le femminucce dovevano levarsi dai piedi. Come diceva John Wayne, era ora di radunare le truppe. Stevie Rae corse verso il Maggiolino di Zoey. «E che cavolo, sarà anche una roba strana da matti, però tra le mie truppe è incluso un Raven Mocker. Comunque lui non deve proprio mobilitarsi, ho solo bisogno che mi dia qualche informazione. Di nuovo.» Di proposito, evitò di pensare a ciò che era successo tra lei e Rephaim l’ultima volta che aveva avuto «solo bisogno che le desse qualche informazione». «Ehi, Stevie Rae, tu e io dobbiamo...» Senza smettere di correre verso l’auto, Stevie Rae sollevò una mano e interruppe Kramisha. «Non ora. Non ho tempo.» «Sto solo dicendo che...» «No!» urlò Stevie Rae, vomitandole addosso la propria frustrazione. «Qualunque cosa tu mi debba dire può aspettare. Non voglio fare l’antipatica, ma devo fare delle cose e ho esattamente due ore e cinque minuti prima che sorga il sole.» Quindi lasciò Kramisha piantata nel terreno come un paracarro e corse per i pochi metri che la separavano dal Maggiolino. Accese il motore, inserì la marcia e si allontanò sgommando dal parcheggio degli studenti. Le ci vollero esattamente sette minuti per raggiungere il parco del Gilcrease. Non entrò con l’auto perché, una volta riparati i danni causati dalla tempesta di ghiaccio e ripristinata la corrente, il cancello elettrico aveva ripreso a funzionare ed era ben chiuso, quindi parcheggiò dietro un albero sul bordo della strada. Avvolgendosi in modo automatico nel potere che filtrava dalla terra, andò dritta alla villa. La porta non fu un problema, dato che per il momento nessuno si era preoccupato di richiuderla con dei lucchetti e, mentre saliva sul tetto, Stevie Rae notò solo dei cambiamenti minimi dall’ultima volta che era stata lì. «Rephaim?» La voce della ragazza risuonò strana e troppo forte nella notte fredda e vuota. La porta del ripostiglio in cui lui aveva fatto il proprio nido era spalancata, ma il Raven Mocker non c’era. La vampira uscì sulla balconata. Vuota anche quella. Quel posto era completamente deserto, e comunque lei aveva capito che il Raven Mocker non c’era appena messo piede nel parco. Se fosse stato lì, se ne sarebbe accorta subito, così come si era accorta della sua presenza quando l’aveva visto alla Casa della Notte. Finché fosse rimasto il loro Imprinting, loro due sarebbero stati legati. «Rephaim, dove sei adesso?» domandò al cielo silenzioso. Poi i pensieri di Stevie Rae rallentarono e si riposizionarono in ordine, fornendole una risposta che in realtà aveva sempre avuto. Le era bastato togliere di mezzo orgoglio, sofferenza e rabbia ed eccola lì: Finché fosse rimasto il loro Imprinting, loro due sarebbero stati legati. Non doveva cercarlo lei. Sarebbe stato Rephaim a trovarla. Stevie Rae si sedette in mezzo alla terrazza rivolta a nord, trasse un respiro lungo e profondo ed espirò lentamente, cercando d’interiorizzare tutti i profumi della terra che la circondava. Sentiva la fredda umidità dei rami spogli, la compattezza del terreno gelato, l’intensità dell’arenaria tipica dell’Oklahoma che punteggiava i prati. Traendo energia dall’elemento, Stevie Rae disse: «Trova Rephaim. Digli di venire da me. Digli che ho bisogno di lui». Quindi assieme al fiato espirò anche il potere della terra. Se avesse avuto gli occhi aperti, Stevie Rae avrebbe visto la verde luminosità che si librava intorno a lei. E avrebbe visto pure che, quando si allontanò veloce per eseguire i suoi ordini, era seguita da vicino da una luce scarlatta. CAPITOLO 14 REPHAIM Stava volando intorno al Mayo Building, senza la minima voglia di atterrare e affrontare di nuovo Kalona e Neferet, quando percepì il richiamo di Stevie Rae. Capì subito che era lei, non appena l’energia della terra si sollevò in cielo sfruttando le correnti d’aria per cercare lui. Ti sta chiamando... A Rephaim non servivano ulteriori inviti. Per quanto fosse arrabbiata con lui, per quanto lo odiasse, lo stava chiamando. E, se chiamava, lui rispondeva. In fondo al cuore sapeva che, qualunque cosa fosse successa, lui avrebbe sempre risposto al suo richiamo. Ricordava le ultime parole che gli aveva detto Stevie Rae: Quando deciderai che il tuo cuore conta per te quanto conta per me, vieni di nuovo a cercarmi. Dovrebbe essere facile: basta che segui il cuore... Rephaim spense quella parte di cervello che gli diceva che non poteva stare con lei, che non poteva importargliene. Non si vedevano da tanto, e per lui ogni giorno era durato un’eternità. Come aveva potuto pensare di rimanere lontano da lei? Era il suo stesso sangue a gridare di voler stare con lei. Persino affrontare la sua rabbia era meglio di niente. E poi doveva incontrarla. Doveva trovare il modo di avvisarla riguardo a Neferet. E anche riguardo a mio padre. «No!» urlò nel vento. Non poteva tradire suo padre. Ma non posso tradire nemmeno Stevie Rae, rifletté sconvolto. Troverò un equilibrio. Troverò un modo. Devo. Incerto su cosa fare, Rephaim s’impose di non pensare e si concentrò sul nastro di luce verde che lo avrebbe condotto da Stevie Rae, come se fosse un cavo di salvataggio. STEVIE RAE Stevie Rae era così concentrata che percepì subito il suo arrivo. Mentre Rephaim planava sull’erba, lei si alzò, decisa a trattarlo con freddezza. Lui era il nemico, non se ne doveva scordare. Ma, nell’attimo in cui atterrò, lui, trafelato, esordì: «Ti ho sentito chiamare. Eccomi». Non ci volle altro. Bastò il suono familiare della sua splendida voce. Stevie Rae gli corse tra le braccia e nascose il viso tra le penne sulla sua spalla. «Ohsssantocielo quanto mi sei mancato!» «Anche tu mi sei mancata», ribatté stringendola forte. Rimasero lì, tremanti, l’uno tra le braccia dell’altra, per quello che sembrò un tempo lunghissimo. Stevie Rae assorbì l’odore di lui, quell’incredibile mix di sangue mortale e immortale che gli pulsava nelle vene, che li legava in un Imprinting e, per questo, pulsava anche nelle vene di lei. Poi, quasi di colpo, come se a tutti e due fosse venuto in mente nello stesso momento che non avrebbero dovuto abbracciarsi, Stevie Rae e Rephaim si staccarono e fecero un passo indietro. «Allora, be’... stai bene?» gli chiese. Lui annuì. «Sì. E tu? Sei al sicuro? Non sei rimasta ferita oggi quando Jack è stato ucciso?» «Come lo sai che Jack è stato ucciso?» Il tono della ragazza era brusco. «Ho percepito la tua tristezza. Sono venuto alla Casa della Notte per accertarmi che stessi bene. È stato allora che ti ho vista coi tuoi amici. Io... io ho sentito che quel ragazzo piangeva per Jack.» Esitò un attimo, cercando di scegliere le parole con attenzione e sincerità. «Questo e la tua tristezza mi hanno detto che era morto.» «Sai qualcosa sulla sua morte?» «Può darsi. Che tipo di persona era Jack?» «Jack era buono e dolce, il migliore di tutti noi. Che cosa sai, Rephaim?» «So perché è morto.» «Dimmelo.» «Neferet era in debito di una vita con la Tenebra perché lei aveva intrappolato l’anima immortale di mio padre. Per ripagare quel debito, doveva sacrificare qualcuno che fosse innocente e incorruttibile.» «Jack era proprio così; l’ha ucciso lei. È frustrante da matti, perché invece sembra che non sia stata Neferet! Quando Jack è morto, lei stava parlando al Consiglio della scuola, ed era proprio di fronte a me.» «La Tsi Sgili l’ha consegnato alla Tenebra. Non era necessario che fosse presente. Doveva soltanto marchiarlo come suo sacrificio e poi lasciare che fossero i tentacoli di Tenebra a commettere l’omicidio vero e proprio.» «Come faccio a dimostrare la sua responsabilità?» «Non puoi. Ciò che è fatto è fatto. Ha pagato il suo debito.» «Cacchio! Sono così furiosa che potrei sputare chiodi! Neferet continua a farla franca con tutte le sue orrende stronzate. Continua a vincere. E non capisco perché. Rephaim, non è giusto. Proprio non è giusto.» Stevie Rae sbatté con forza le palpebre, ricacciando indietro le lacrime. Quando Rephaim le sfiorò la spalla, lei si appoggiò alla sua mano, abbandonandosi a lui. «Tutta quella rabbia. Tutta quella frustrazione... e tristezza. L’avevo già provata prima, stasera, e ho pensato...» Il Raven Mocker esitò. «Cosa? Cos’è che hai pensato?» gli domandò lei sottovoce. I loro sguardi s’incontrarono ancora. «Ho pensato che mi odiassi. Che fossi così arrabbiata con me. E ti ho sentita, prima: hai detto al Signore delle Spade che là fuori era in agguato un essere corrotto e che non si poteva redimere. E guardavi dritto verso di me.» Stevie Rae annuì. «Sì, lo so, ma dovevo trovare un modo per allontanare di là Dragone e Damien, ti avrebbero visto anche loro.» «Quindi non parlavi di me?» Stevie Rae sospirò. «Ero proprio arrabbiata, e spaventata e sconvolta. Non pensavo a quello che dicevo... Non ce l’avevo con te, Rephaim, ma devo sapere cosa sta succedendo con Kalona e Neferet.» Rephaim si voltò e raggiunse lentamente la balaustra della terrazza. Lei lo seguì e si fermò accanto a lui, per osservare assieme la notte silenziosa. «È quasi l’alba», disse il Raven Mocker. Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Ci vuole ancora mezz’ora prima che sorga il sole. E solo una decina di minuti per rientrare a scuola.» «Dovresti andartene e non correre rischi. Il sole ti può provocare danni troppo gravi, anche se in te scorre il mio sangue.» «Lo so. Me ne andrò presto.» Stevie Rae sospirò. «Allora, non hai intenzione di dirmi cosa sta combinando il tuo paparino, giusto?» «Cosa penseresti di me sapendo che ho tradito mio padre?» «Rephaim, lui non è buono. Non si merita la tua protezione.» «Ma è sempre mio padre!» A Stevie Rae Rephaim sembrava esausto. Avrebbe voluto prendergli una mano e dirgli che sarebbe andato tutto bene. Però non poteva. Come diavolo poteva andare tutto bene se lui restava da una parte e lei dall’altra? «Io con questo non posso combattere. Devi scendere a patti da solo con quello che Kalona è o non è. Però devi anche capire che io ho il dovere di proteggere la mia gente, e so che lui è ancora con Neferet, qualunque cosa dica lei in proposito.» «Mio padre è legato a lei!» sbottò Rephaim. «Che vuoi dire?» «Lui non ha ucciso Zoey, quindi non ha portato a termine quanto le aveva giurato, e adesso la Tsi Sgili ha il controllo della sua anima immortale.» «Oh, splendido! Quindi Kalona è un’arma carica in mano a Neferet.» Rephaim scosse la testa. «Dovrebbe essere così, ma mio padre non è bravo a servire gli altri. È molto indispettito e a disagio per la situazione. Ritengo che la tua analogia sarebbe più precisa dicendo che mio padre è un’arma inceppata in mano a Neferet.» «Dovrai essere più chiaro di così. Fammi un esempio che mi faccia capire bene cosa intendi.» Stevie Rae cercò di nascondere l’emozione ma, dal modo in cui gli occhi di lui si staccarono dai suoi, capì di non esserci riuscita. «Non lo tradirò.» «Okay, d’accordo. Fin qui ci arrivo. Ma questo significa che proprio non mi puoi aiutare?» Rephaim rimase in silenzio tanto a lungo che lei pensò che non le avrebbe risposto. Stava già cercando di formulare mentalmente un’altra domanda, quando, infine, lui disse: «Io ti voglio aiutare, e lo farò fintanto che ciò non implica tradire mio padre». «Somiglia un sacco al primo accordo che abbiamo fatto tu e io, e in fondo non è andata tanto male, ti pare?» gli chiese con un sorriso. «No, non è andata tanto male.» «E poi, non siamo tutti fondamentalmente contro Neferet?» «Io sì», confermò lui deciso. «E tuo padre?» «Vuole liberarsi del controllo che ha su di lui.» «Be’, in pratica è quasi come stare dalla nostra parte.» «Stevie Rae, io non posso stare dalla tua parte. Te lo devi ricordare.» «Quindi combatteresti contro di me?» La ragazza non abbassò lo sguardo. «Non potrei mai farti del male.» «Be’, allora...» «No. Non poterti fare del male è diverso dal lottare per te.» «Tu lotteresti per me. L’hai già fatto.» Rephaim le prese la mano, stringendola come se in quel modo lei potesse comprenderlo meglio. «Io non ho mai affrontato mio padre per te.» «Rephaim, te lo ricordi il ragazzo che abbiamo visto nella fontana?» Lui non disse niente, limitandosi ad annuire. «Lo sai che è dentro di te, vero?» Rephaim annuì di nuovo, ma con lentezza e un po’ di esitazione. «Quel ragazzo dentro di te è il figlio della tua mamma. Non di Kalona. Non la devi dimenticare, tua mamma. E non devi dimenticare neanche quel ragazzo e quello per cui lui combatterebbe. Okay?» Prima che Rephaim potesse replicare, il cellulare di Stevie Rae suonò al ritmo di Only Prettier di Miranda Lambert. La vampira lasciò la mano di Rephaim e si frugò in tasca dicendo: «È Zy! Le devo parlare. Lei non sa ancora di Jack». Rephaim la bloccò prima che lei potesse rispondere. «È necessario che Zoey torni a Tulsa. È un modo per consentirci di combattere Neferet. La Tsi Sgili odia Zoey e la sua presenza qui sarebbe una distrazione.» «Una distrazione da cosa?» chiese Stevie Rae un secondo prima di attaccarsi il cellulare all’orecchio: «Pronto, Zoey? Scusa, resta in linea. Devo dirti una cosa importante ma mi serve un attimo». La voce di Zoey le arrivò come se la sua amica stesse parlando dal fondo di un pozzo. «Nessun problema, però non resto in linea. Richiamami tu, okay? Sto in roaming selvaggio.» «Ti richiamo tra due scodinzolate di un gatto morto», ribatté Stevie Rae. «Lo sai che è un modo di dire schifoso?» Stevie Rae sorrise. «Oh, sì, davvero schifosissimo!» «Okay, a tra poco.» La comunicazione s’interruppe e Stevie Rae guardò Rephaim. «Allora, spiegami di Neferet.» «Mio padre desidera trovare il modo di recidere il legame che lo vincola a lei, e per farlo ha bisogno che sia distratta. L’ossessione di Neferet per Zoey servirà benissimo allo scopo, così come la sua intenzione di usare i novizi rossi cattivi nella guerra contro gli umani.» Stevie Rae inarcò le sopracciglia. «Non c’è nessuna guerra tra vampiri e umani.» «Se accadrà ciò che si augura Neferet, ci sarà.» «Okay, d’accordo, allora dobbiamo assicurarci che non succeda. Si direbbe che Zy debba proprio tornare a casa.» «Vogliono usare anche te», sbottò Rephaim. «Eh? Chi? Me? Per cosa?» «Neferet e mio padre. Non sono sicuri che tu abbia scelto la via della Dea in modo definitivo. Pensano che potresti lasciarti convincere a passare dalla parte della Tenebra.» «Rephaim, quanto a questo non c’è la minima possibilità. Io non sono certo perfetta e ho i miei problemi ma, quando ho riacquistato l’umanità, ho scelto Nyx e la Luce. Non rinnegherò quella scelta.» «Non l’ho mai pensato, Stevie Rae, ma loro non ti conoscono quanto me.» «E Neferet e Kalona non dovranno neanche mai scoprire di noi due, giusto?» «Sarebbe un grosso guaio se accadesse.» «Un grosso guaio per te o per me?» «Per entrambi.» Stevie Rae sospirò. «Okay, allora farò attenzione.» Gli sfiorò un braccio. «E anche tu devi stare attento.» Rephaim annuì. «Dovresti rientrare. Chiama Zoey mentre sei in macchina. L’alba è troppo vicina.» «Sì, sì, lo so», ribatté lei, ma nessuno dei due si mosse. «Anch’io devo andare», aggiunse lui quasi per autoconvincersi. «Aspetta, non stai più qui?» «No. La tempesta è passata e adesso qui intorno girano troppi umani.» «Be’, e allora dove stai?» «Stevie Rae, non te lo posso dire!» «Perché stai col tuo paparino, vero?» Dato che lui non replicava, continuò lei: «Ehi, guarda che l’avevo capito subito che quella storia delle cento frustate e dell’esilio era una baggianata». «L’ha fatto frustare davvero. I tentacoli di Tenebra gli hanno inciso la carne per cento volte.» Stevie Rae rabbrividì, ricordandosi com’era stato terribile essere anche solo sfiorata da quei cosi. «Be’, è una punizione che non augurerei a nessuno.» Incrociò lo sguardo di Rephaim. «Ma la parte riguardo all’essere stato allontanato da Neferet per un secolo è una balla, giusto?» Rephaim annuì in modo quasi impercettibile. «E tu non mi dirai dove abiti perché sta lì anche Kalona?» Altro leggero cenno del capo. Stevie Rae sospirò di nuovo. «Quindi, se ho bisogno di vederti, devo venirti a cercare per vecchi palazzi da brividi?» «No! Devi rimanere al sicuro e in luoghi pubblici. Stevie Rae, se hai bisogno di me vieni qui e chiamami come hai fatto stasera. Promettimi che non andrai in giro a cercarmi», disse, scuotendole dolcemente il braccio. «Okay, okay, te lo prometto. Ma ’sta storia dell’essere preoccupato non vale solo per te. Rephaim, lo so che è tuo padre, ma si è anche cacciato in un gran bel casino. Voglio solo che non ti trascini giù con lui. Perciò stai attento, ’kay?» «Va bene. Stevie Rae, stanotte ho visto i novizi rossi cattivi. Hanno fatto il nido alla Will Rogers High. C’è anche Dallas con loro.» «Ti prego, Rephaim, non lo dire a Kalona e a Neferet.» «Perché così puoi essere ancora gentile con loro e dargli un’altra occasione per ucciderti?» le gridò contro lui. «No! Solo perché cerco di essere gentile non significa che sia stupida o debole. Cacchio, ma che c’avete tu e Afrodite? Mica ho intenzione di precipitarmi a parlare con loro da sola. E neanche di provare a ragionarci. Mi hanno già dimostrato che non funziona. Qualunque cosa decida di fare sarà quantomeno assieme a Lenobia, Dragone e Zy. Fondamentalmente non voglio che si uniscano a Neferet, quindi non voglio che lei sappia di loro.» «È troppo tardi. È stata Neferet a mettermi sulle loro tracce. Stevie Rae, ti sto chiedendo di tenerti lontana da quei novizi rossi. Per te sono solo una disgrazia.» «Farò attenzione. Te l’ho già detto. Però sono una Somma Sacerdotessa e i novizi rossi sono una mia responsabilità.» «Non quelli che hanno scelto la Tenebra. E Dallas non è più un novizio. Nemmeno lui è una tua responsabilità.» Stevie Rae sorrise, maliziosa. «Sei geloso di Dallas?» «Non essere ridicola. Semplicemente non voglio che ti venga fatto di nuovo del male. Smetti di cambiare argomento.» «Ehi, Dallas non è più il mio ragazzo», sentenziò lei. «Lo so.» «Ne sei sicuro?» «Ma sì, certo.» Rephaim si scosse e aprì le ali, lasciando Stevie Rae senza fiato. «Chiama la tua Zoey intanto che torni a scuola. Ci rivediamo presto.» «Non ti cacciare nei guai, ’kay?» Lui si voltò e le prese il viso tra le mani. Stevie Rae chiuse gli occhi, traendo fiducia e forza da quel contatto. Che però sparì troppo presto. Perché lui sparì troppo presto. La giovane vampira riaprì le palpebre giusto in tempo per vedere le ali maestose battere nel vento della sera, sollevando il suo Raven Mocker sempre più in alto, fino a farlo scomparire nella lievissima luminosità che s’intravedeva a est. Rephaim aveva ragione. L’alba era troppo vicina per prendersela comoda. Stevie Rae richiamò Zoey mentre tornava di corsa al Maggiolino. «Ehi, Zy, sono io. Devo dirti una cosa brutta, perciò fatti forza...» CAPITOLO 15 ZOEY «Zy? Ci sei ancora? Stai bene? Di’ qualcosa...» La voce di Stevie Rae era così preoccupata che mi costrinse ad asciugarmi naso e lacrime su una manica della camicia e a riacquistare un po’ di autocontrollo. «Sono qui. Però non... non sto bene», replicai con un piccolo singhiozzo. «Lo so, lo so. È terribile.» «E non è possibile che ci sia stato un errore? È sicuro che Jack sia proprio morto?» In fondo al cuore, sapevo che era ridicolo incrociare le dita e chiudere gli occhi mentre glielo chiedevo, ma dovevo almeno tentare con quella stupidaggine da bambina. Ti prego, ti prego, fa’ che non sia vero... «È proprio morto, Zy, non ci sono errori», confermò Stevie Rae, anche lei tra le lacrime. «È così difficile da credere, e poi non è giusto! Jack era il ragazzo più dolce del mondo. Non si meritava quello che gli è successo!» Arrabbiarmi mi faceva sentire meglio, molto più che mettermi a piangere e tirare su col naso. «No, non se lo meritava. Io... io voglio credere che adesso sia con Nyx e che lei se ne stia prendendo cura nel migliore dei modi. Insomma, tu ci sei stata nell’Aldilà... è vero che è un posto meraviglioso?» chiese Stevie Rae con un tremito nella voce. La sua domanda mi strinse il cuore. «So che non ne abbiamo mai parlato, ma... cioè, tu non ci sei andata prima... sì, hai capito, quando sei...» «No!» saltò su come se volesse impedirmi di continuare. «Non ricordo molto di quel periodo, ma so che di sicuro non ero in un bel posto. E non vedevo Nyx.» Quando le parole mi vennero alle labbra da sole, capii che era la Dea a ispirarmi. «Stevie Rae, Nyx era con te quando sei morta. Tu sei sua figlia. Devi ricordartelo sempre. Non so perché tu e gli altri ragazzi siate morti e poi resuscitati, ma ti posso assicurare al cento per cento che lei non ti ha mai abbandonata. Semplicemente hai preso una strada diversa rispetto a Jack. Lui adesso è nell’Aldilà assieme alla Dea, ed è più felice di quanto sia mai stato in vita sua. Per noi che restiamo qui è difficile capirlo, ma l’ho visto con Heath: per qualche motivo, era arrivato il suo momento e lui doveva stare là con Nyx. E adesso anche Jack deve stare là, è il suo posto. Il cuore mi dice che sono entrambi sereni e in pace.» «Me l’assicuri?» «Certo. Noi qui dobbiamo essere forti per loro, e sono convinta che prima o poi li rivedremo.» «Se lo dici tu, Zy, ci credo. Sai, devi proprio tornare a casa. Non sono solo io ad aver bisogno che la mia Somma Sacerdotessa mi dica che andrà tutto bene.» «Damien sta di schifo, eh?» «Già, sono preoccupata per lui e anche per le gemelle e tutti gli altri. Cacchio, Zy, sono preoccupata persino per Dragone! È come se il mondo stesse sprofondando nella tristezza.» Non sapevo cosa dire. No, non è vero. Lo sapevo benissimo, avrei voluto strillare: Se il mondo sta sprofondando nella tristezza, perché dovrei volerci tornare? Ma era sbagliato e da debole. Perciò, pur se non proprio convintissima, dissi: «Supereremo questo momento, vedrai». «Sì, ce la faremo. Okay, senti, tu e io insieme dovremmo ben riuscire a trovare il modo di smascherare Neferet davanti al Consiglio Supremo e chiudere la questione una volta per tutte.» «Io non riesco ancora a credere che si siano bevute tutte le cavolate che ha raccontato.» «Nemmeno io. Immagino che il punto fosse che si trattava della parola di una Somma Sacerdotessa contro quella di un ragazzo umano morto. E Heath ha perso.» «Neferet non è più una Somma Sacerdotessa! Cavolo quanto mi dà sui nervi! E adesso non è più soltanto per Heath, ma anche per Jack. Stevie Rae, lei pagherà per quello che ha fatto. Ci penserò io.» «Deve essere fermata.» «Sì, giusto.» Sapevo che avevamo ragione, che dovevamo lottare per toglierla di mezzo, ma anche solo il pensiero mi terrorizzava. Persino io mi accorgevo di quanto suonasse stanca la mia voce. Ero esausta, stufa fino alla nausea di combattere contro il male impersonato da Neferet. Sembrava che, per ogni passo avanti che facevo, in qualche modo alla fine venissi sempre spinta indietro di due. «Ehi, non sei sola in tutto questo.» «Grazie, Stevie Rae, lo so. La cosa però non riguarda me: dobbiamo fare ciò che è giusto per Heath, Jack, Anastasia e chiunque altro Neferet e la sua orda malvagia decidano di falciare la prossima volta.» «Già, è vero, ma ultimamente il male se l’è presa davvero un po’ troppo con te.» «Sì, però sono ancora in piedi. Un bel po’ di altre persone, invece, no.» Mi asciugai di nuovo il viso con la manica, desiderando da matti un Kleenex. «A proposito di male e morte e tutto il resto: hai visto Kalona? Di sicuro Neferet non si è sognata neanche di farlo frustare e bandirlo. Kalona c’è dentro fino al collo, il che significa che, se lei è a Tulsa, dev’esserci per forza pure lui.» «Be’, corre voce che l’abbia fatto frustare davvero», replicò Stevie Rae. Sbuffai. «Ti pareva: si presume che lui sia il suo Consorte, quindi lei lo fa frustare. Wow. Avevo più o meno capito che il dolore gli piaceva, ma che abbia accettato una cosa simile stupisce persino me.» «Be’, mmm, in realtà sembra che non avesse proprio accettato.» «Naaa, ti prego! Neferet è spaventosa, ma non può comandare a bacchetta un immortale.» «Si direbbe che in questo caso sia così. Lei può controllarlo, perché lui ha fallito nella sua schifosa missione di distruggerti.» Avevo capito che Stevie Rae aveva cercato di usare un tono scherzoso, perciò accennai a una risatina per farle piacere, ma credo sapessimo entrambe che l’aspetto divertente non riusciva in nessun modo a nascondere l’orrore della faccenda. «Be’, sai, a Kalona non piacerà per niente che Neferet faccia la prepotente con lui! Cavolo, era ora che lui si beccasse una megapunizione», commentai. «Come hai ragione! Probabilmente adesso Kalona si nasconde sotto la gonna di Neferet, anzi proprio in mezzo alle sue gambe!» aggiunse Stevie Rae. «Uh che schifo!» Questo mi fece ridere per davvero. Per un attimo eravamo tornate le migliori amiche dell’universo, che si scompisciavano per ogni stupidaggine. Purtroppo durò poco. Sospirai e dissi: «Allora, durante tutto questo ascoltare voci che corrono non ti è capitato di vedere sul serio Kalona, giusto?» «No, però tengo gli occhi aperti.» «Bene, perché beccare quel bastardo con Neferet dopo che lei ha raccontato al Consiglio Supremo di averlo scacciato per cent’anni sarebbe un deciso passo avanti nel dimostrare che non è quella che sembra. Oh, e intanto che tieni gli occhi aperti, vedi di puntarli verso l’alto: ovunque sta Kalona, prima o poi arrivano anche quei suoi orrendi corvacci. Non ci credo per niente che siano spariti tutti di colpo.» «Okay. Tranquilla, ho capito.» «E Stark mi ha detto che a Tulsa è stato davvero avvistato un Raven Mocker. È così?» «Sì, una notte ne è stato visto uno, poi basta.» La voce di Stevie Rae era strana, tutta tesa, come se avesse dei problemi a parlare. Diavolo, chi poteva criticarla? In pratica l’avevo mollata a gestire la mia Casa della Notte tutta da sola. Soltanto pensare a cos’aveva passato con Jack e Damien mi fece venire la nausea. «Ehi, fa’ attenzione, ’kay? Non sopporterei che ti succedesse qualcosa», le dissi. «Non ti preoccupare. Starò attenta.» «Brava. Allora, qui al tramonto mancano poco più di due ore. Non appena Stark si sveglia, prepariamo le nostre cose e prendiamo il primo aereo verso casa», mi udii dire, anche se lo stomaco mi si annodò in modo violento. «Oh, Zy! Sono così contenta! Oltre ad avere bisogno di te qui, mi sei mancata tanto.» Sorrisi. «Mi sei mancata anche tu. E sarà bello essere di nuovo a casa», mentii. «Allora mandami un SMS per dirmi a che ora arrivate. Se non sono nella mia bara, mi trovate in aeroporto.» «Stevie Rae, tu non dormi in una bara.» «Potrei anche farlo, dato che quando sorge il sole crollo stecchita.» «Già, per Stark è uguale.» «Ehi, come sta il tuo ragazzo? Si sente meglio?» «È di nuovo in forma... In ottima forma, a dire il vero.» Come al solito, il radar da amica del cuore di Stevie Rae lesse tra le righe. «Oh, senti senti. Non è che avete...» «E se ti dicessi che abbiamo...» Mi sentii le guance diventare bollenti. «Non potrei che commentare con un tipico, oklahomico yupppiiii!» «Be’, allora yupppiiii.» «Dettagli. Voglio tutti i dettagli», replicò subito prima di fare uno sbadiglio gigantesco. «Li avrai. È quasi l’alba da te?» «In realtà è passata da un pochino. Scusa, Zy, ma mi sto spegnendo in fretta.» «Non ti preoccupare. Dormi, Stevie Rae, tanto ci vediamo presto.» «Ciao ciao», disse tra uno sbadiglio e l’altro. Conclusi la telefonata e tornai a guardare Stark che dormiva come un sasso nel nostro letto a baldacchino. Che fossi innamorata persa di lui non c’erano dubbi, ma in quel momento avrei proprio tanto tanto tanto voluto poterlo scuotere per farlo svegliare come un ragazzo normale. Però sapevo che era del tutto inutile persino tentare di farlo alzare un po’ prima. Quel giorno era stato insolitamente limpido, cioè super luminoso e senza nemmeno una nuvoletta piccola così. Non era pensabile che Stark riuscisse a comunicare con me in modo decente ancora per... altre due ore e mezzo, secondo il mio orologio. Be’, almeno avevo il tempo di fare i bagagli e trovare la regina per darle la notizia: stavo per andarmene da quel posto in cui mi sentivo così a mio agio, così a casa, quel posto che lei aveva deciso di riportare nel mondo reale, più o meno, solo perché io ero entrata nella sua vita. E adesso stavo per lasciarmi tutto alle spalle perché... Finalmente il cervello fece ordine nel caos blaterante dei miei pensieri e tutte le tessere andarono al proprio posto. «Perché questa non è casa mia. La mia casa è a Tulsa. Appartengo a quel posto.» Rivolsi un sorriso triste al mio Guardiano addormentato. «Apparteniamo a quel posto.» Percepii che ciò che avevo detto era giusto, pur essendo consapevole di tutto quello che mi aspettava là. E di tutto quello che stavo perdendo dove mi trovavo in quel momento. «È ora di tornare a casa», sentenziai. «Dite qualcosa. Qualunque cosa. Per favore.» Mi ero appena sfogata con Sgiach e Seoras. Naturalmente raccontare dell’orribile fine di Jack mi aveva fatta frignare e tirare su col naso. Di nuovo. E poi avevo biascicato che dovevo tornare a casa e comportarmi da vera Somma Sacerdotessa, anche se non ero sicura al cento per cento di cosa significasse, mentre entrambi mi fissavano in silenzio con espressioni allo stesso tempo sagge e imperscrutabili. «È sempre molto difficile sopportare la morte di un amico, ma lo è ancora di più se si verifica troppo presto... quando si è ancora troppo giovani. Mi dispiace tanto per la tua perdita», disse Sgiach. «Grazie. Ancora non mi sembra vero.» «Aye, lass, ci arriverai», commentò con gentilezza Seoras. «Però dovresti ricordare che una regina deve mettere da parte il dolore se vuole compiere il suo dovere: se la mente è piena di sofferenza, non sarà mai lucida.» «Non credo di essere abbastanza grande per affrontare tutto questo», ribattei. «Non lo si è mai, bambina», sentenziò Sgiach. «Prima di lasciarci, vorrei che considerassi una cosa: quando mi hai chiesto se potevi rimanere a Skye, ti ho risposto che potevi farlo finché la coscienza non ti avesse detto di andare. Adesso è la tua coscienza a dirti che è arrivato il momento di lasciare quest’isola, o sono le macchinazioni di altri a...» «Okay, aspetta. Probabilmente Neferet è convinta di avermi indotto lei a tornare, ma la verità è che devo rientrare a Tulsa perché quella è casa mia. Adoro questo posto. Per un sacco di motivi stare qui è giustissimo, talmente giusto che mi sarebbe molto facile rimanere. Ma, come hai detto tu, la via della Dea non è facile. Fare la cosa giusta non è facile. Se rimanessi qui e dimenticassi la mia casa, non starei soltanto ignorando la mia coscienza, le starei voltando le spalle.» Sgiach annuì con aria compiaciuta. «Dunque è un luogo di potere che ti spinge a tornare, non la manipolazione di Neferet, anche se lei non lo sa. Crederà che sia bastata una semplice morte a piegarti al suo volere.» «Quella di Jack non è una semplice morte», replicai rabbiosa. «No, wumman, per te non è semplice, ma una creatura della Tenebra uccide in fretta e con facilità, senza pensare ad altro che al proprio profitto», aggiunse Seoras. «E, per questo motivo, Neferet non capirà che torni a Tulsa perché hai scelto di seguire la via della Luce e di Nyx. E ti sottovaluterà», concluse Sgiach. «Grazie. Me ne ricorderò.» Incrociai lo sguardo limpido e deciso della regina. «Se tu, Seoras o qualunque altro Guardiano volete venire con me, potete farlo. Con voi al mio fianco, Neferet non avrà scampo.» La replica di Sgiach fu immediata: «Se lasciassi la mia isola, il Consiglio Supremo dovrebbe reagire di conseguenza. Abbiamo coesistito per secoli in modo pacifico perché ho deciso di estraniarmi dalle questioni politiche e dalle limitazioni della società vampira. Se entrassi a fare parte del mondo moderno, loro non sarebbero più in grado di continuare a fingere che io non esista». «E se fosse un bene? Insomma, a me sembra ora che al Consiglio Supremo venga data una bella scossa, e anche alla società vampira. Hanno creduto a Neferet, hanno lasciato che la passasse liscia dopo avere ucciso della gente... degli innocenti.» La mia voce risuonò forte e tagliente, e per un attimo pensai di sembrare quasi una vera regina. «Lassie, questa non è la nostra battaglia», disse Seoras. «Perché no? Perché combattere il male non è la vostra battaglia?» aggredii il Guardiano di Sgiach. «Cosa ti fa pensare che qui non combattiamo il male?» mi rispose Sgiach. «Da quando sei arrivata sull’isola, sei stata sfiorata dall’antica magia. Dimmi sinceramente: avevi mai provato qualcosa di simile là fuori nel tuo mondo?» Scossi piano la testa. «No, mai.» «Quello che facciamo noi è lottare per mantenere vive le antiche consuetudini. E non lo si può fare a Tulsa», spiegò Seoras. «Come puoi esserne sicuro?» chiesi. «Perché là non è rimasta traccia della magia antica!» gridò Sgiach, frustrata. Si voltò e raggiunse l’immenso finestrone rivolto a ovest, verso il sole che tramontava nell’acqua grigio azzurra. Aveva la schiena rigida per la tensione, la voce piena di tristezza. «Là fuori, in quel tuo mondo, la mistica, splendida magia d’un tempo, in cui il toro nero veniva venerato assieme alla Dea, in cui l’equilibrio tra le energie maschili e femminili veniva rispettato, e persino le rocce e gli alberi avevano un’anima, un nome, è stata distrutta dalla civiltà, dall’intolleranza e dall’oblio. Le persone di oggi, vampiri e umani allo stesso modo, credono che la terra sia solo un oggetto, che ci sia qualcosa di sbagliato o di malvagio o di barbaro nell’ascoltare la voce delle anime del mondo, e così il cuore e la nobiltà di un intero modo di vivere sono inariditi e avvizziti...» «Per trovare rifugio qui», continuò Seoras quando la voce di Sgiach si spense. Poi la raggiunse e le sfiorò una spalla, le fece scivolare le dita sul braccio e le prese la mano. Il corpo di Sgiach reagì a quel contatto in modo quasi automatico, come se quel semplice gesto gli avesse trasmesso una nuova forza. Quando si girò verso di me, la regina era di nuovo lei, era tornata nobile, forte e calma. «Noi siamo l’ultimo baluardo: per secoli è stato mio compito proteggere la magia di questo luogo. Qui la terra è ancora sacra. Venerando il toro nero e rispettando la sua controparte, il toro bianco, viene mantenuto l’antico equilibrio. Siamo gli unici a ricordare.» «Ricordare?» «Aye, a ricordare un’epoca in cui l’onore significava di più della gloria personale, e la lealtà era considerata la miglior virtù», disse in tono solenne Seoras. «Ma io un po’ di questo a Tulsa lo vedo. Anche lì esistono onore e lealtà, e gran parte del popolo di mia nonna, i cherokee, rispetta ancora la terra.» «Questo può essere vero fino a un certo punto. Prova a pensare al nostro bosco, a come ti sei sentita al suo interno. A come ti parla quest’isola. So che la puoi sentire. Lo vedo. Avevi mai provato qualcosa di realmente simile al di fuori di Skye?» intervenne Sgiach. «Sì. Il boschetto dell’Aldilà somiglia moltissimo a quello di fronte al castello.» Poi capii cosa stavo dicendo e, di colpo, le parole di Sgiach assunsero un significato nuovo. «Allora è di questo che si tratta? Qui hai davvero un pezzo della magia di Nyx.» «In un certo senso. In verità, quello che ho è persino più antico della Dea. Vedi, Zoey, la presenza di Nyx non è stata dimenticata dal mondo. Non ancora. La sua controparte maschile invece sì, e questo mi spaventa, perché significa che è scomparso anche l’equilibrio tra bene e male, tra Luce e Tenebra.» «Aye, noi sappiamo che è così», la corresse con dolcezza Seoras. «Kalona. Sono sicura che lui c’entri parecchio nella scomparsa dell’equilibrio», dissi. «Un tempo è stato Guerriero di Nyx e, non so come, da quando è comparso qui si sono incasinate un sacco di cose, perché lui non appartiene a questo mondo.» Saperlo non mi faceva sentire male o dispiaciuta per l’immortale, ma cominciavo a capire l’atmosfera di disperazione che tante volte avevo percepito intorno a lui. Era una conoscenza in più. E dalla conoscenza deriva il potere. «Vedi perché è importante che io non lasci la mia isola?» fece Sgiach. «Sì», ammisi riluttante. «Però sono ancora convinta che potreste sbagliarvi sul fatto che nel resto del mondo non sia rimasta traccia della magia antica. In fondo a Tulsa si è materializzato il toro nero.» «Aye, ma solo dopo che era apparso quello bianco», ribatté Seoras. «Zoey, vorrei tanto poter credere che il mondo esterno non abbia completamente distrutto la magia di un tempo, e per questo voglio darti una cosa.» Sgiach districò una catenina d’argento dalla massa di collane tintinnanti che portava al collo, se la fece passare sopra la testa e la tenne sollevata proprio davanti a me. C’era appesa una pietra color latte perfettamente rotonda, liscia e morbida, che mi faceva venire in mente una caramellina al cocco Life Saver, e che scintillava per effetto delle torce appena accese dai Guerrieri. E allora la riconobbi. «È un pezzo del marmo di Skye!» «Sì, ma non è un frammento qualunque. Si chiama ‘pietra del veggente’. È stata trovata oltre cinque secoli fa da un Guerriero che scalava il Cuillin Ridge durante la sua ricerca sciamanica», spiegò Sgiach. «Un Guerriero impegnato in una ricerca sciamanica? Non succede tanto spesso», commentai. Sgiach sorrise e il suo sguardo passò dal ciondolo di marmo a Seoras. «Solo una volta ogni cinquecento anni.» «Aye, giusto», disse lui ricambiando il sorriso con un’intimità che mi fece venire voglia di distogliere lo sguardo. «Secondo me, una volta ogni cinquecento anni è più che sufficiente perché un poveraccio di Guerriero debba fare tutta quella menata dello sciamano.» Udendo quella voce, il mio stomaco sobbalzò di piacere: Stark era sotto la porta ad arco, arruffato e con le palpebre strette per difendersi dalla fioca luce del crepuscolo che entrava dal finestrone. Indossava jeans e maglietta e somigliava così tanto allo Stark di sempre da farmi provare una gran nostalgia di casa, la prima vera fitta da quando ero rientrata nel mio corpo. Sto per tornare a casa. Sorrisi e corsi incontro al mio Guardiano. Con un rapido gesto, Sgiach fece richiudere i pesanti tendoni, in modo che Stark potesse avvicinarsi e prendermi tra le braccia. «Ehi, pensavo ti ci volesse ancora un’oretta prima di svegliarti», esordii abbracciandolo stretto. «Eri sconvolta, e questo mi ha svegliato. E poi stavo facendo dei sogni stranissimi», mi mormorò all’orecchio. Mi staccai da lui in modo da poterlo guardare negli occhi. «Jack è morto.» Stark scosse la testa, poi si fermò, mi sfiorò la guancia ed emise un lungo sospiro. «Ecco cos’ho percepito. La tua tristezza. Zy, mi dispiace tanto. Cosa diavolo è successo?» «Ufficialmente un incidente. In realtà è stata Neferet, ma nessuno lo può dimostrare.» «Quando partiamo per Tulsa?» «Stasera. Possiamo fare in modo che lasciate l’isola non appena avrete preparato i bagagli», rispose Sgiach. «Allora, cosa dicevate di questa pietra?» chiese Stark prendendomi per mano. La regina la sollevò di nuovo. Era davvero una pietra stupenda e la stavo ancora ammirando, quando ruotò dolcemente sulla catenina e il mio sguardo venne attirato dal cerchio perfetto che si trovava proprio nel centro e all’improvviso, il mondo intorno a me si restrinse e si scolorì, per riprendere forma nel foro del marmo. La stanza era scomparsa! Lottando contro nausea e capogiri, guardai attraverso la pietra del veggente e scorsi quello che sembrava un mondo sottomarino: figure fluttuavano e si spostavano rapide, tutte nelle sfumature del turchese e del topazio, di cristallo e zaffiro. Mi parve di vedere ali e pinne, e lunghe cascate di capelli ondeggianti. Sirene? Oppure sono scimmie di mare? Ho perso completamente la testa, fu il mio ultimo pensiero prima di finire lunga distesa per terra, vinta dalle vertigini. «Zoey! Guardami! Parla!» Stark, stravolto, era chino sopra di me, mi aveva afferrata per le spalle e al momento mi scuoteva a gran forza. «Ehi, basta», dissi debolmente, cercando senza riuscirci di levarmelo di dosso. «Lasciala respirare. Si riprenderà subito», intervenne la voce ipercalma di Sgiach. «È svenuta. Non è normale», replicò il mio Guardiano, che per fortuna aveva smesso di frullarmi il cervello. «Sono cosciente e sono qui. Aiutami a mettermi seduta», dissi. Sulla fronte corrucciata di Stark si leggeva benissimo che avrebbe preferito evitarlo, ma obbedì comunque. «Tieni, bevi.» Sgiach mi mise sotto il naso un calice di vino ampiamente corretto con sangue, a giudicare dall’odore. Non me lo feci ripetere due volte. «È normale per una Somma Sacerdotessa svenire la prima volta in cui usa il potere della pietra del veggente, soprattutto se è impreparata». Sentendomi molto meglio dopo il vino al sangue (lo so, dirlo fa schifo ma è buonissimo), la guardai inarcando le sopracciglia. «E non potevate prepararmi?» «Aye, ma la pietra del veggente non funziona con tutte le Somme Sacerdotesse e, se non avesse funzionato con te, avremmo potuto urtare i tuoi sentimenti», replicò Seoras. Mi massaggiai il fondoschiena. «Credo che avrei preferito essere ferita nei sentimenti che nel sedere. Okay, cosa diavolo ho visto?» «Cosa sembrava?» s’informò Sgiach. «Una strana boccia per pesci sottomarina che stava tutta in quel buchino.» Indicai la pietra, facendo bene attenzione a non fissarla di nuovo. Sgiach sorrise. «Sì, e dove avevi già visto degli esseri simili?» Sbattei le palpebre. «Il boschetto! Erano spiritelli dell’acqua.» «Proprio così», assentì Sgiach. «Quindi è una specie di cercamagia?» chiese Stark dando un’occhiata sbieca al ciondolo. «Sì, a patto che venga usato da una Somma Sacerdotessa col giusto tipo di potere.» Sgiach sollevò la catenella e me la mise al collo. La pietra del veggente mi si posò sul seno, calda come se fosse viva. La sfiorai, intimorita. «Può davvero trovare la magia?» «Unicamente di un tipo», rispose Sgiach. «La magia dell’acqua?» domandai, confusa. «Non è l’elemento che conta. È la magia in sé», intervenne Seoras. Prima che potessi dare voce all’enorme punto di domanda che mi si era disegnato in faccia, Sgiach spiegò: «Le pietre dei veggenti sono in sintonia soltanto con la magia più antica, il genere che protegge la mia isola. Te la sto donando in modo che tu possa davvero trovare le tracce rimaste nel mondo, ammesso che ce ne siano». «E se dovesse trovarla, come ci si deve comportare?» chiese Stark. «Ti rallegri o scappi, a seconda di cos’hai scoperto», ribatté Sgiach con un sorriso divertito. «Ricorda, wumman, che è stata l’antica magia a inviare il tuo Guerriero nell’Aldilà, e a farlo diventare il tuo Guardiano», aggiunse Seoras. «È una forza molto potente, che non è stata annacquata dalla civiltà.» Chiusi la mano intorno alla pietra, ricordando quando Seoras, quasi in trance, incombeva su Stark, tagliuzzandolo talmente tanto che il suo sangue si era riversato sugli antichi nodi incisi nel Seòl ne Gigh, il Seggio dello Spirito. D’improvviso mi accorsi che stavo tremando. Poi la mano forte e calda di Stark coprì la mia. «Non ti preoccupare, Zy. Ci sarò io con te. Che ci sia da rallegrarsi o da scappare, saremo insieme. Io ti proteggerò sempre.» E, almeno per quell’attimo, mi sentii al sicuro. CAPITOLO 16 STEVIE RAE «Sta davvero tornando a casa?» La voce di Damien era così tremante e sottile che si sentiva a malapena. Il ragazzo aveva lo sguardo fisso e vacuo, non si capiva se fosse perché il cocktail di farmaci e sangue che gli avevano preparato i vampiri in infermeria stava funzionando o se fosse semplicemente ancora sotto shock. «Zy è salita sul primo aereo che ha trovato e dovrebbe essere qui fra, tipo, tre ore. Se vuoi, puoi venire anche tu con me all’aeroporto a prendere lei e Stark.» Stevie Rae, seduta sul bordo del letto, fece una carezza a Duchessa, acciambellata accanto a Damien. Per tutta risposta, lui si limitò a fissare la parete che aveva di fronte. Stevie Rae accarezzò di nuovo la cagnolona che, in cambio, agitò debolmente la coda un paio di volte. «Sei proprio bravissima, e anche di più», le disse. Duchessa aprì gli occhioni, ma la coda non si agitò più e non emise neppure i soliti gioiosi sbuffi canini. La vampira la guardò aggrottando la fronte. Sembrava magra? «Scusa Damien, tesoro, Duc ha mangiato di recente?» Il novizio sbatté le palpebre con aria confusa, spostando lo sguardo da lei al cane raggomitolato contro di lui. Dopo un attimo, sembrò finalmente aver messo a fuoco la situazione, ma non ebbe il tempo di replicare, perché al suo posto lo fece Neferet, che si era materializzata nella stanza senza che lei se ne accorgesse. «Stevie Rae, in questo momento Damien è in uno stato emotivo molto delicato: non dovresti preoccuparlo con questioni da poco come dar da mangiare a un cane, né proporgli di fare da autista a un novizio.» Si chinò su Damien. Stevie Rae si alzò di scatto e arretrò il più possibile: avrebbe potuto giurare che da sotto il lungo abito di seta di Neferet, una specie di ombra aveva cominciato a scivolare verso di lei. Con la stessa rapidità della vampira rossa, anche Duchessa si allontanò dalle gambe di Damien per accucciarsi imbronciata in fondo al letto, vicino al gatto che continuava a dormire. «Da quando andare a prendere un amico all’aeroporto è un lavoro da autista? E, credetemi, io di domestici me ne intendo», sbottò Afrodite, comparsa chissà come sulla soglia. Be’, prendetemi a schiaffi e datemi una svegliata! Sono così fuori da non sentire più niente? pensò Stevie Rae. «Afrodite, ho qualcosa da dirti che riguarda anche gli altri presenti in questa stanza», esordì Neferet in tono regale e da supercapo. La ragazza appoggiò la mano su un fianco sottile e replicò: «Ah, sì? Cosa?» «Ho deciso che il funerale di Jack seguirà il rito dei vampiri Trasformati. La sua pira funebre verrà accesa stasera, non appena Zoey rientrerà alla Casa della Notte.» «Aspetta Zoey? Perché?» chiese Stevie Rae. «Perché era una buona amica di Jack, ovviamente. Ma soprattutto perché, quando Kalona mi aveva traviata e qui regnava una grande confusione, Zoey ha svolto per lui la funzione di Somma Sacerdotessa. Ora, per fortuna, quel deplorevole periodo è finito, ma è comunque giusto che sia lei ad accendere la pira di Jack.» Stevie Rae pensò che era davvero terribile che i bellissimi occhi di smeraldo di Neferet potessero sembrare così innocenti anche mentre lei in realtà stava intessendo una trama di menzogne e d’inganni. Aveva una voglia matta di strillarle che conosceva il suo segreto, che era lei a controllare Kalona, ancora adesso, non il contrario. Non era mai stata sotto l’influenza dell’immortale. Neferet sapeva fin dall’inizio chi e cosa fosse Kalona, e in quel momento stava soltanto sparando balle a raffica. Ma anche Stevie Rae aveva un terribile segreto, che le bloccò in gola le parole. Afrodite inspirò profondamente, come quando si preparava a fare il culo a qualcuno, ma in quel momento Damien attirò su di sé l’attenzione di tutti prendendosi la testa tra le mani e singhiozzando da spezzare il cuore: «Io... io proprio non... non capisco come possa essersene andato!» Stevie Rae girò intorno a Neferet e prese Damien tra le braccia. Fu felice di vedere che Afrodite raggiungeva l’altro lato del letto e gli appoggiava una mano sulla spalla. Le due ragazze fissarono Neferet con le palpebre strette, lanciandole occhiate di sfiducia e disgusto. Il volto della vampira rimase triste ma impassibile, come se il dolore di Damien non la toccasse minimamente. «Damien, ti lascio all’affetto delle tue amiche. L’aereo di Zoey atterra al Tulsa International alle 21.58. Ho predisposto la pira funebre per mezzanotte esatta, dato che è un’ora propizia. Ci vediamo là.» Neferet uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle con un clic quasi impercettibile. «Viscida stronza bugiarda. Perché sta facendo la gentile?» sbottò a mezza voce Afrodite. «Deve avere in mente qualcosa», replicò Stevie Rae mentre Damien le piangeva contro la spalla. «Non ce la posso fare.» All’improvviso, Damien si allontanò da entrambe scuotendo la testa. I singhiozzi erano cessati, ma sulle guance continuavano a scendergli degli enormi lacrimoni. Duchessa strisciò fino a lui e gli si sdraiò sul petto, il naso puntato vicino alla sua guancia, mentre Cammy gli si acciambellò contro il fianco. Damien mise un braccio intorno alla cagnolona bionda e l’altro intorno al gatto. «Non posso dire addio a Jack e nello stesso tempo affrontare la questione Neferet.» Spostò lo sguardo da Stevie Rae ad Afrodite. «Capisco perché l’anima di Zoey è andata in pezzi.» Afrodite puntò il dito sul viso di Damien. «No, no, e poi no! Non ho intenzione di rivivere quello stress. Il fatto che Jack sia morto è brutto. Davvero pessimo. Ma tu devi farti forza.» «Per noi», aggiunse Stevie Rae con un tono decisamente più gentile e dando ad Afrodite la solita occhiata da fa’-la-brava! «Devi farti forza per tutti i tuoi amici. Abbiamo quasi perso Zoey. Abbiamo perso Jack e Heath. Proprio non sopporteremmo di perdere anche te.» «Io non posso più lottare contro di lei. Non mi è rimasto un cuore per farlo», replicò Damien. «Tu ce l’hai ancora il cuore. Solo che è spezzato», lo consolò Stevie Rae. «Ma si aggiusterà», intervenne Afrodite non senza dolcezza. Gli occhi di Damien erano lucidi di pianto quando la guardò. «Come fai a saperlo? Il tuo cuore non si è mai spezzato. E neanche il tuo. Non lasciate che vi si spezzi il cuore: fa troppo male.» Stevie Rae deglutì a fatica. Non glielo poteva dire, non lo poteva dire a nessuno ma, più le importava di Rephaim, più sentiva il suo cuore andare in pezzi. Ogni giorno. «Zoey ce la sta facendo, e lei ha perso il suo Heath. Se ce la fa lei, puoi riuscirci anche tu, Damien», intervenne Afrodite. «E sta davvero tornando a casa?» richiese lui. «Sì», risposero in coro Afrodite e Stevie Rae. «Okay. Bene. Andrà meglio con qui Zoey», sentenziò il novizio. «Ehi, Duchessa e Cammy, credo che sia proprio arrivato il momento della pappa», saltò su Afrodite. Con gran stupore di Stevie Rae, la ragazza si azzardò addirittura a fare una carezza sulla testa del cane. «Però qui non vedo cibo per lei e Cammy ha solo quelle orrende crocchette. A dire il vero, Malefica neanche guarda qualcosa che non sembri freschissimo. Che ne diresti se facessi portare su a Dario un po’ di cibo per loro? A meno che tu non preferisca stare solo. In quel caso, posso portare via Cammy e Duchessa e dare loro da mangiare.» Damien sgranò gli occhi. «No! Non portarli via! Voglio che restino qui con me.» «Okay, okay, tranquillo. Dario può andare a prendere la pappa di Duchessa», intervenne Stevie Rae chiedendosi a cosa cavolo stesse pensando Afrodite. Era impossibile che Damien volesse stare senza quei due animali. «Il cibo e le cose di Duchessa sono in camera di Jack», spiegò Damien, concludendo con un singhiozzo. «Ti fa piacere se ti portiamo qui tutto?» chiese Stevie Rae prendendogli la mano. «Sì», mormorò. Poi sobbalzò e divenne ancora più pallido di quanto non fosse già. «E non lasciate che buttino via la roba di Jack! Devo vederla! Devo controllarla!» «Su questo ti ho preceduto. Ci mancava solo che quei vampiri mettessero le loro manacce sui fighissimi vestiti di Jack. Ho delegato alle gemelle la responsabilità d’inscatolare tutte le sue cose e di portarle fuori di nascosto», disse ipercompiaciuta Afrodite. Damien, dimenticandosi per un istante che il suo mondo era immerso nella tragedia, quasi sorrise. «Tu sei riuscita a far fare qualcosa alle gemelle?» «Eccome.» «Quanto ti è costato?» chiese Stevie Rae. Afrodite le lanciò un’occhiataccia. «Due camicette della nuova collezione di Hale Bob.» «Non credevo che fosse già uscita!» fece Damien. «Allora, A: sono felice che tu lo conosca e B: le collezioni escono sempre prima se sei schifosamente ricco e tua mamma ‘conosce’ qualcuno.» «Chi è Hale Bob?» domandò Stevie Rae. «Oh, cazzo, ma dove vivi?» commentò Afrodite. «Vieni con me, dai. Puoi aiutarmi a trasportare le cose del cane.» «Con questo vuoi dire che le porterò solo io, giusto?» «Giusto.» Afrodite si chinò e, come se fosse una cosa che faceva tutti i giorni, baciò sulla testa Damien. «Torno subito coi rifornimenti per le bestiacce. Oh, vuoi che porti Malefica? Lei...» «No!» sbottarono insieme Damien e Stevie Rae, con stereofonici toni orripilati. Afrodite sollevò il mento, indignata. «Assolutamente tipico che nessuno tranne me capisca quella magnifica creatura.» Stevie Rae baciò Damien su una guancia. «Torno presto», disse. Poi, non appena fu in corridoio, guardò malissimo Afrodite. «Scusa, ma come hai potuto anche solo pensare di portargli via quei due animali?» Afrodite alzò gli occhi al soffitto e si esibì in un gran colpo di ciuffo. «Non l’ho mai pensato, scema. Sapevo che la cosa l’avrebbe sconvolto al punto di scuoterlo almeno un po’ dal suo stato di super-depresso-non-pensante, ed è successo. Dario e io porteremo cibo al suo piccolo zoo e, per puro caso, faremo tappa anche in sala da pranzo a prendere qualcosa per noi, che però basti anche per lui e, visto che Damien è troppo ’signora’ per cacciarci fuori a pedate o farci mangiare da soli... voilà! Ecco che il ragazzo avrà qualcosa nello stomaco prima di affrontare l’orrendo spettacolo della pira funebre.» «Neferet ha in mente qualcosa di veramente terribile», fece Stevie Rae. «Puoi contarci», convenne Afrodite. «Be’, almeno succederà davanti a tutti perciò non potrà, tipo, uccidere Zoey.» Afrodite inarcò un sopracciglio con aria di disprezzo. «Neferet ha liberato Kalona davanti a tutti, ha ucciso Shekinah e cercato di ordinare a Stark di tirare una freccia prima contro di te e poi contro Zy. Zucca campagnola, vedi di darti una svegliatina.» «Be’, nel mio caso c’erano delle circostanze attenuanti, e Neferet non ha ordinato a Stark di centrare Zy davanti a tutta la scuola, eravamo presenti solo noi e un gruppetto di suore. E ovviamente adesso dice che è stato Kalona a farle fare entrambe le cose. Per di più, è sempre la nostra parola contro la sua e nessuno dà ascolto ai ragazzini. E neanche alle suore, se è per questo.» «Quindi mi stai dicendo che dubiti del fatto che Neferet possa fare i suoi porci comodi pur sembrando innocente come un bebè?» Afrodite s’interruppe per fare una smorfia. «Dea, io i marmocchi proprio non li sopporto! Puah, con tutto quel vomitare e mangiare e cagare... E poi ti fanno venire una...» «E allora? Guarda che non mi sogno neanche di parlare di gravidanza e bambini con te.» «Scema, stavo solo facendo un’analogia: tra qualche ora ci ritroveremo nella merda fino alle orecchie, quindi prepara Zy mentre io cerco di sostenere Damien in modo che non si sciolga in una pozzanghera di lacrime, disperazione e schifosissimo soffiamento di naso.» «Guarda che non puoi continuare a fingere che non te ne freghi di Damien. Non dopo che ti ho vista dargli un bacio sulla testa.» «Cosa che negherò per il resto della mia lunga e fantastica vita», ribatté Afrodite. «Ma ci riuscirai mai a essere un po’ meno ossessionata da te stessa?» Kramisha spuntò fuori all’improvviso dall’ombra a lato della veranda del dormitorio femminile. «Ohssantocielo! Bisogna che mi faccia controllare gli occhi. Non vedo un cacchio finché non me lo ritrovo davanti», fece Stevie Rae, che si era fermata di colpo. «Non sei tu. È solo che Kramisha è nera. Le ombre sono nere. Ecco perché non l’abbiamo vista», replicò impassibile Afrodite. Kramisha raddrizzò le spalle e la guardò con sufficienza. «No, tu non hai...» «Oh, ti prego, risparmiami!» Afrodite la superò con aria disinvolta raggiungendo il portone del dormitorio. «Pregiudizi, oppressione, l’uomo bianco, bla, bla, bla... e sbadiglio finale. Qui la principale minoranza sono io, quindi non ci provare neanche a menarmela con ‘sta roba.» Kramisha sbatté le palpebre un paio di volte, stupefatta quanto Stevie Rae. «Mmm, scusa, Afrodite. Tu sembri Barbie. Come cavolo puoi essere una minoranza?» commentò Stevie Rae. Afrodite s’indicò la fronte. «Umana, sono un’umana in una scuola piena di novizi e vampiri, uguale mi-noran-za.» Quindi aprì la porta e sculettò nel dormitorio. «Quella ragazza mica è umana, è più un cane idrofobo, ma non vorrei che si offendessero i cani», fece Kramisha. Stevie Rae sospirò. «Lo so. Hai ragione. Riesce a non essere gentile e carina persino quando è gentile. Per i suoi livelli. Ammesso che questo abbia senso.» «Non ne ha, ma ultimamente non è che quello che dici e fai abbia molto senso in generale.» «La sai una cosa? Al momento proprio non ho bisogno di questo e non so cosa vuoi dire e comunque non me ne importa. Ci vediamo, Kramisha.» Stevie Rae fece per andarsene, ma la novizia rossa le si parò davanti mettendosi dietro l’orecchio una ciocca della parrucca gialla a caschetto e disse: «Non hai motivo di usare quel tono odioso con me». «Il mio tono non è odioso. Il mio tono è stanco e scocciato.» «Naaa. Era odioso e lo sai. E non dovresti nemmeno mentire. Non sei per niente brava.» «Benissimo. Non mentirò.» Stevie Rae si schiarì la voce, si scosse come un gatto sotto un acquazzone primaverile, si disegnò in faccia un sorrisone falso e ricominciò il tutto con un tono ipervivace. «Ma ciao, amica, mi ha fatto davvero piacere vederti, ma adesso devo proprio andare!» Kramisha inarcò le sopracciglia. «Okay, per prima cosa non dire ‘amica’: sembri la protagonista di quel vecchio film, Ragazze a Beverly Hills, quella che la bionda e Stacey Dash rieducano facendola diventare popolare. Non. Mi. Piace. Seconda cosa, non te ne puoi andare così perché devo darti...» Stevie Rae si allontanò dal foglietto viola che la ragazza le stava tendendo. «Kramisha! Io sono una persona sola! In questo momento mi trovo in una gran bella tempesta di merda, se mi scusi l’espressione, e davvero non posso gestire altro. Dovrai tenere per te le tue poesie prevedi-futuro, almeno finché Zy non sarà qui ad aiutarmi a fare in modo che Damien non si butti dal primo palazzo un po’ altino che trova.» Kramisha la guardò con le palpebre strette. «È un vero peccato che tu non sia una sola persona.» «E questo cosa cavolaccio vorrebbe dire? Ma certo che sono una sola. Per la miseriaccia schifa, vorrei tanto che ci fossero più me, così potrei tenere d’occhio Damien, assicurarmi che Dragone non scleri del tutto, andare a prendere Zoey in orario a quell’accidenti di aeroporto e scoprire cosa le sta succedendo, trovare qualcosa da mangiare e iniziare ad affrontare il fatto che Neferet sta architettando qualcosa di proporzioni allucinanti per il funerale di Jack. Oh, e magari una delle me potrebbe anche farsi un bel bagno con un sacco di schiuma ascoltando il mio amato Kenny Chesney e leggere la fine di Titanic: la vera storia.» «Vuoi dire il libro che ho letto al corso di letteratura l’anno scorso?» «Già. L’avevamo appena iniziato quando io sono morta e poi tornata da non-morta, quindi non sono più riuscita a finirlo. E, be’, mi piaceva...» «Okay, ti aiuto io: la nave affonda. Loro muoiono. Fine. Adesso, per favore, possiamo passare a qualcosa di più importante?» Sollevò di nuovo il foglietto viola. «Grazie tante, questo lo sapevo anch’io, ma non vuol dire che non sia una bella storia. Tu dici che non sono brava a raccontare balle, eh? Okay, la verità è questa: mia mamma direbbe che in questo momento ho nel piatto talmente tanta roba che non ci starebbe neanche una forchettata di stress al pollo fritto, quindi vediamo di lasciare stare le poesie per un po’.» Stupendo da matti Stevie Rae, Kramisha fece un gran passo verso di lei e l’afferrò per le spalle. Poi, guardandola dritto negli occhi, disse: «Tu non sei solo una persona, tu sei una Somma Sacerdotessa. Una Somma Sacerdotessa rossa. L’unica che c’è. Perciò farai meglio ad abituartici, allo stress. A un sacco di stress. Soprattutto adesso che Neferet sta creando dei casini da matti». «Lo so, ma...» Kramisha l’interruppe: «Jack è morto. Non possiamo sapere chi sarà il prossimo». Poi sbatté un paio di volte le palpebre, aggrottò la fronte, si chinò in avanti e inspirò rumorosamente proprio vicino al viso di Stevie Rae. Che si liberò della stretta e fece un passo indietro. «Mi stai annusando?» «Sì. Hai uno strano odore. L’avevo già sentito. Quand’eri in infermeria.» «E allora?» «E allora mi ricorda qualcosa.» «Tua mamma?» disse Stevie Rae con una disinvoltura per niente sincera. «Non ci provare neanche. E mentre io ci rifletto su, tu dove vai?» «Si presume che io dia una mano ad Afrodite con la roba da mangiare per Duchessa e per il gatto di Damien. Poi devo andare a recuperare Zy all’aeroporto e farle sapere che Neferet ha deciso di farsi da parte e lasciare che sia lei ad accendere la pira di Jack.» «Già, l’avevo sentito. A me sembra strano.» «Che Zoey accenda il fuoco per Jack?» «No, che Neferet glielo lasci fare.» Kramisha si grattò la testa, facendo ondeggiare la parrucca gialla. «Allora, le cose stanno così: per il momento lascia che di Damien si occupi Afrodite. Tu devi andare là fuori» – indicò gli alberi che circondavano il campus della Casa della Notte – «e fare quella cosa della comunicazione con la terra per cui diventi tutta verde e luminosa. Di nuovo.» «Kramisha, non ho tempo per quello.» «Non ho ancora finito. Hai bisogno di ricaricare le batterie prima che scoppi il finimondo. Ascolta... non sono del tutto sicura che Zoey sarà pronta ad affrontare quello che potrebbe succedere stasera.» Invece di mandare al diavolo Kramisha e il suo atteggiamento da comandina, Stevie Rae pensò sul serio a quanto le stava dicendo. «Potresti avere ragione», commentò infine. «Lei non aveva voglia di tornare. Questo lo sai, vero?» Stevie Rae scrollò le spalle. «Be’, tu ce ne avresti avuta al suo posto? Ne ha passate un sacco.» «Credo che non ne avrei avuta neanche un po’, ed è per questo che te lo sto dicendo, perché la capisco. Però Zoey non è l’unica tra noi ad averne passate un sacco di recente. E qualcuno se la sta ancora passando piuttosto male. Dobbiamo imparare tutti a risolvere i nostri problemi e ad affrontare le nostre responsabilità.» «Ehi, sta tornando, quindi... direi che lo sta facendo eccome», replicò Stevie Rae. «Non stavo parlando solo di Zoey.» Kramisha piegò a metà il foglietto viola e lo tese a Stevie Rae, che lo prese controvoglia. Quando la vampira sospirò e iniziò ad aprirlo, Kramisha scosse la testa. «Non c’è bisogno che tu lo legga con me presente.» Stevie Rae guardò la novizia con un punto di domanda stampato in faccia. «Senti, lascia che ti dica una cosa, da Poeta Laureato a Somma Sacerdotessa, e vedi di ascoltarmi: prendi la poesia e va’ sotto un albero. Leggila lì. Riflettici per bene. Qualunque cosa tu abbia in ballo, devi fare un cambiamento. Questo è il terzo avvertimento che mi arriva per te. Stevie Rae, piantala d’ignorare la verità, perché quello che fai non riguarda solo te. Hai capito bene?» Stevie Rae inspirò a fondo. «Sì.» «Bene. Adesso vai.» Kramisha fece per entrare nel dormitorio. «Ehi, glielo spieghi tu ad Afrodite che ho delle cose da fare e quindi non la raggiungo?» Kramisha si voltò appena. «Sì, ma mi devi una cena al Red Lobster.» «Affare fatto. Mi piace il Lobster.» «Ordinerò tutto quello che mi va.» «Non avevo dubbi», brontolò sottovoce Stevie Rae, poi fece un altro sospiro e si diresse verso gli alberi. CAPITOLO 17 STEVIE RAE Stevie Rae non era sicura di aver capito il significato della poesia, ma era certa che Kramisha avesse ragione: doveva smettere d’ignorare la verità e fare dei cambiamenti. Il problema però era che lei non sapeva se fosse ancora in grado di riconoscerla, la verità, figuriamoci di agire di conseguenza. Fissò la poesia. La sua visione notturna era così buona che non doveva nemmeno spostarsi dall’ombra delle vecchie querce che fiancheggiavano il lato del campus che dava su Utica Street e la stradina laterale che portava all’ingresso della scuola. «La poesia ermetica è sempre un gran casino», mormorò rileggendo i tre versi. Devi svelare il tuo cuore. Il manto dei segreti soffoca la libertà: sta a lui scegliere. Parlava di Rephaim. E di lei. Di nuovo. Stevie Rae si lasciò cadere ai piedi del grande albero, la schiena appoggiata alla corteccia ruvida, traendo conforto dalla sensazione di forza che le trasmetteva la quercia. Si presume che debba svelare il mio cuore, ma a chi? E lo so che tenere i segreti mi soffoca, però non posso raccontare a nessuno di Rephaim. Sta a lui scegliere la libertà? Sì, certo, ma il paparino lo tiene talmente stretto che per lui è quasi impossibile... Che ironia: un antico immortale e un mostro mezzo corvo, mezzo immortale, legati da quella che fondamentalmente era una versione vecchia scuola dello stesso rapporto padre-figlio che una miliardata di altri ragazzi sperimentava coi loro genitori stronzi. Kalona aveva sempre trattato Rephaim come uno schiavo, facendogli credere un sacco di cavolate su se stesso per così tanto tempo che lui ormai non riusciva neanche più a capire quanto tutto ciò fosse sbagliato. Non che il rapporto tra Stevie Rae e il Raven Mocker fosse meno incasinato: erano legati dall’Imprinting e dalla promessa che la vampira aveva fatto al toro nero. «Be’, non proprio solo per quella promessa», mormorò lei tra sé. Si era sentita attratta da lui anche prima. «È che... mi piace», confessò alla notte silenziosa, incespicando sulle parole come se ci fossero altri testimoni oltre agli alberi muti. «Vorrei tanto sapere se è a causa dell’Imprinting o perché dentro di lui c’è qualcuno che merita di essere amato.» Restò seduta a fissare l’intreccio di rami spogli simili a una ragnatela che aveva sopra la testa. Poi, visto che si stava confidando con gli alberi, aggiunse: «Il punto è che io non dovrei rivederlo mai più». Anche solo l’idea di Dragone che scopriva la verità su di lei e sul mostro che aveva ucciso Anastasia le faceva venire voglia di vomitare. «Magari la parte di poesia che parla di libertà significa che, se smetto di vederlo, Rephaim sceglierà di andarsene. Magari, se stiamo lontani, il nostro Imprinting sparirà.» Bastava il pensiero a farle tornare la nausea. «In realtà, vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse cosa devo fare», disse imbronciata, appoggiando il mento sulle mani. Quasi a risponderle, il vento portò fino a lei il suono di un pianto. Stevie Rae aggrottò la fronte e si mise in ascolto: oh, sì, c’era decisamente qualcuno che singhiozzava. Non aveva molta voglia di seguire quel suono – dato che di pianti a dirotto ultimamente ne aveva avuti più che a sufficienza –, ma quello era così disperato, così triste che era impossibile ignorarlo: non sarebbe stato giusto. Perciò Stevie Rae s’incamminò lungo la stradina che portava all’ingresso principale della scuola. Non capì subito chi fosse quella donna che piangeva fuori del grande cancello di ferro battuto. Avvicinandosi, Stevie Rae notò che era inginocchiata e che aveva appoggiato al pilastrino di pietra quella che sembrava una corona funebre realizzata con garofani rosa di plastica e foglie verdi. Davanti a lei era accesa una candela verde e, mentre continuava a piangere, la signora stava tirando fuori della borsetta una foto. Solo quando la donna la portò alle labbra per baciarla, Stevie Rae riuscì a vedere il suo viso. «Mami!» Aveva a malapena bisbigliato, ma sua mamma alzò la testa di colpo e i suoi occhi trovarono immediatamente la figlia. «Stevie Rae? Piccolina?» Udendo quella voce, il nodo che stringeva lo stomaco di Stevie Rae si sciolse e la ragazza corse al cancello. Senza altri pensieri se non il desiderio di raggiungere sua madre, Stevie Rae scavalcò con facilità il muro di cinta, atterrando dall’altra parte. «Stevie Rae?» Trovando impossibile parlare, la vampira annuì e basta, mentre le lacrime iniziavano a scorrerle sulle guance. «Oh, piccolina, sono così felice di rivederti un’ultima volta.» Sua mamma si tamponò il viso col fazzoletto di stoffa che stringeva in mano, cercando di smettere di piangere. «Tesoro, ovunque ti trovi, spero che tu sia felice», disse fissando il volto di Stevie Rae come se cercasse d’imprimerselo nella memoria. «Mi manchi così tanto! Volevo venire prima a lasciare la corona, la candela e questa foto in cui sei così carina, ma la bufera me l’ha impedito. E poi, quando hanno liberato le strade, non riuscivo comunque a decidermi a venire perché lasciare tutto questo avrebbe reso la cosa definitiva. Saresti stata morta sul serio.» «Oh, mami! Anche tu mi sei mancata tanto!» Stevie Rae si gettò tra le sue braccia, nascose il viso nel cappotto fru-fru e, inspirando odore di casa, prese a singhiozzare ancora di più. «Su, su, tesoro. Andrà tutto bene. Vedrai. Andrà tutto a posto.» Infine, dopo quelle che sembrarono ore, Stevie Rae riuscì a guardare sua mamma. Virginia «Ginny» Johnson le sorrise tra le lacrime e la baciò, prima sulla fronte e poi, con delicatezza, sulle labbra. Quindi mise la mano in tasca e prese un secondo fazzoletto, ancora ben stirato e piegato. «Meno male che non ne ho portato uno solo.» «Grazie, mami. Tu sei sempre pronta a tutto.» Stevie Rae fece un sorrisone, si asciugò la faccia e soffiò il naso. «Non è che per caso hai qualcuno dei tuoi biscotti al cioccolato?» La mamma aggrottò la fronte. «Ma come fai a mangiare?» «Be’, con la bocca, come sempre.» «Piccolina, so che tu comunichi attraverso il mondo degli spiriti.» Mamma Johnson pronunciò le ultime parole a bassa voce e facendo gesti approssimativamente mistici. «Sono felice comunque di rivedere la mia bambina, anche se devo ammettere che mi ci vorrà un momento per abituarmi all’idea che sei un fantasma e tutto il resto, soprattutto uno che piange lacrime vere e che mangia. Non è che abbia molto senso.» «Mami, io non sono un fantasma.» «Sei una specie di apparizione? Se è così, piccola, per me non ha importanza. Io ti voglio bene comunque. Verrò qui in continuazione se è qui che vuoi stare. Te lo chiedo solo per saperlo.» «Mami, io non sono morta. Non più.» «Piccolina, hai avuto un’esperienza paranormale?» «Oh, mami, non hai idea...» «E non sei morta? Per niente?» «No, e a dire il vero non so perché. Sembrava che fossi morta, ma poi sono tornata e adesso ho questo.» Stevie Rae indicò il tatuaggio rosso di foglie e rampicanti che le incorniciava il viso. «A quanto sembra, sono la prima Somma Sacerdotessa Rossa.» Mamma Johnson aveva smesso di piangere, ma la spiegazione di Stevie Rae le fece di nuovo venire le lacrime agli occhi. «Non sei morta...» mormorava tra un singhiozzo e l’altro. «Non sei morta...» Stevie Rae l’abbracciò di nuovo, forte. «Mi dispiace tanto di non essere venuta a dirtelo. Volevo farlo, lo volevo davvero. È solo che... be’, all’inizio non ero del tutto in me. E poi a scuola si è scatenato l’inferno. Non potevo andarmene, e come facevo a telefonarti e basta? Cioè, come si fa a chiamare casa e dire: ‘Ciao mami, non riattaccare. Sono proprio io e non sono più morta’. Insomma, è che non sapevo come fare. Mi dispiace tanto», ripeté, chiudendo gli occhi e aggrappandosi alla madre con tutta se stessa. «No, no, va bene così. Va bene. Quello che conta è che sei qui e stai bene.» La mamma di Stevie Rae si staccò dall’abbraccio quanto bastava per guardare in faccia la figlia mentre si asciugava gli occhi. «Perché stai bene, vero?» «Sì, mami, è tutto okay.» Mamma Johnson allungò una mano verso il mento della ragazza, costringendola a incrociare il suo sguardo, poi scosse la testa e, nel suo deciso e familiare tono materno, disse: «Non è bello mentire alla mamma». Non sapendo cosa replicare, Stevie Rae rimase immobile a fissare la madre, mentre dentro di lei cominciava ad andare in pezzi la barriera di segreti, bugie e desideri. «Sono qui con te, piccolina. E ti voglio bene. Dimmi tutto.» «Mi trovo in una brutta situazione. Proprio bruttissima», azzardò Stevie Rae. La voce della madre era calda e piena di amore. «Tesoro, non c’è niente di più brutto del saperti morta.» Fu questo a far decidere Stevie Rae: l’amore incondizionato di sua madre. Prese un bel respiro e confessò: «Ho un Imprinting con un mostro. Un essere mezzo immortale e mezzo corvo. Lui ha fatto delle cose brutte. Ma brutte tanto. Ha persino ucciso delle persone». L’espressione di mamma Johnson non cambiò di una virgola, e lei si limitò a stringere con forza le mani della figlia. «E questo essere è qui? A Tulsa?» Stevie Rae annuì. «Però sta nascosto. Alla Casa della Notte nessuno sa di lui e di me.» «Nemmeno Zoey?» «No, soprattutto Zoey. Lei andrebbe fuori di testa. Cavolo, mami, tutti quelli che conosco andrebbero fuori di testa. Lo so che prima o poi verrò scoperta. Succederà, e io non so cosa fare. È così orribile. Mi odieranno tutti. Non capiranno.» «Non ti odieranno tutti, piccola. Io non ti odio.» Stevie Rae sospirò e poi sorrise. «Ma tu sei la mia mamma. Volermi bene è un tuo dovere.» «È un dovere anche degli amici, se sono veri amici.» Mamma Johnson s’interruppe per un istante, poi chiese: «Piccolina, quella creatura ti ha fatto qualcosa? Ti ha ricattata? Insomma, io non so molto delle abitudini dei vampiri, ma lo sanno tutti che l’Imprinting è una cosa seria. Ti ha costretta in qualche modo? Perché, se è così, possiamo andare a dirlo alla tua scuola. Loro capiranno e di certo troveranno il modo per aiutarti a liberarti di lui». «No, no. Ho l’Imprinting con Rephaim perché lui mi ha salvato la vita.» «Ti ha riportata qui dal mondo dei morti?» Stevie Rae scosse la testa. «Non so con precisione come ho fatto a tornare da non-morta, ma ha a che vedere con Neferet.» «Allora dovrei ringraziarla. Magari potrei...» «No, mami! Devi stare lontana dalla scuola e da Neferet. Lei non è buona. Finge di esserlo ma è tutto il contrario.» «E questo essere che chiami Rephaim?» «Lui è stato dalla parte della Tenebra per un sacco di tempo. Suo padre è molto ma molto cattivo e gli ha incasinato la testa.» «Però ti ha salvato la vita?» «Due volte, e lo rifarebbe. Sono certa che lo rifarebbe.» «Senti, piccola, pensaci bene prima di rispondere a due domande che ho da farti.» «Okay.» «Primo, tu ci vedi del buono in lui?» «Sì. Assolutamente», rispose Stevie Rae senza esitazioni. «Secondo, ti farebbe del male? Sei al sicuro con lui?» «Mami, per salvarmi ha affrontato un mostro così orribile che non lo riesco nemmeno a descrivere, un mostro che si è rivoltato contro di lui e lo ha ferito. Ferito seriamente. E tutto per evitare che venissi ferita io. Credo che morirebbe piuttosto di farmi del male.» «Allora, da cuore di mamma a cuore di figlia, ti dirò una verità: non riesco neanche a immaginare come possa essere un misto di uomo e corvo, ma metterò da parte questa follia perché ti ha salvata e tu sei legata a lui. E tutto questo, tesoro mio, significa che, quando per lui verrà il momento di scegliere tra le cose cattive del passato e un futuro diverso con te, se è abbastanza forte, sceglierà te.» «Ma i miei amici non l’accetteranno mai. E la cosa peggiore è che i vampiri cercheranno di ucciderlo.» «Senti, se il tuo Rephaim ha fatto le cose orribili che dici, e io ti credo, allora qualche conseguenza la dovrà pagare. Ma questo riguarda lui, non te. Devi ricordarti una cosa: le uniche azioni che puoi controllare sono le tue. Piccola, devi solo fare quello che è giusto. Sei sempre stata brava in questo. Proteggi quelli cui vuoi bene. Difendi ciò in cui credi. Ecco, non puoi fare altro. E, se questo Rephaim sarà al tuo fianco, potresti stupirti dei risultati che potrai ottenere.» Stevie Rae sentì gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime. «Mi aveva detto che dovevo venire da te. Non ha mai conosciuto la sua mamma. Lei è stata violentata da suo padre ed è morta quando lui è nato. Però, non molto tempo fa, mi ha detto che dovevo trovare la maniera di vederti.» «Piccola, un mostro non la direbbe una cosa simile.» «Lui però non è nemmeno umano!» Stevie Rae stringeva le mani di sua madre con tanta forza da avere le dita intorpidite, ma non poteva lasciarle. Non l’avrebbe mai lasciata. «Stevie Rae, neanche tu sei umana, non più, e per me non fa la minima differenza. Questo Rephaim ti ha salvato la vita. Due volte. Quindi a me non importa se è metà rinoceronte e ha un corno che gli spunta sulla fronte. Ha salvato la mia bambina e, la prossima volta che lo vedi, devi dirgli da parte mia che si merita un grandissimo abbraccio.» A Stevie Rae scappò una risatina al pensiero di vedere sua madre che abbracciava Rephaim. «Glielo dirò.» Il viso di mamma Johnson si fece molto serio. «Sai, prima dirai a tutti la verità su di lui, meglio sarà. Giusto?» «Lo so. Ci proverò. In questo periodo stanno succedendo un sacco di cose, e non è il momento migliore per scaricare sugli altri anche questo.» «È sempre il momento giusto per dire la verità», sentenziò la donna. «Oh, mami, non so come ho fatto a cacciarmi in questo delirio!» «Ma sì che lo sai, piccola. Io non ero qui, eppure posso dirti che ci dev’essere qualcosa di quella creatura che ti ha colpita, qualcosa che potrebbe finire per aiutarla a redimersi.» «Solo se è abbastanza forte. E io non so se lo è. Per quanto ne so io, non si è mai opposto a suo padre.» «Il padre approverebbe che tu stia con lui?» Stevie Rae sbottò: «Neanche per sogno!» «Però lui ti ha salvato la vita due volte e ha creato un Imprinting con te. Tesoro, a me sembra proprio che sia da un po’ ormai che si oppone a suo padre.» «No, è successo tutto mentre suo padre era, come dire, all’estero. Adesso è tornato, e Rephaim ha ricominciato a fare tutto quello che vuole lui.» «Sul serio? E tu come fai a saperlo?» «Me l’ha detto oggi quand’è...» Stevie Rae non terminò la frase, sgranando gli occhi. Sua mamma sorrise e assentì. «Visto?» «Ohsssantocielo! Potresti avere ragione!» «Ma certo che ho ragione. Sono la tua mamma.» «Ti voglio bene, mami», disse Stevie Rae. «Ti voglio bene anch’io, piccolina.» CAPITOLO 18 REPHAIM «Non posso credere che tu voglia farlo», esclamò Kalona camminando avanti e indietro sul terrazzo del Mayo. «È necessario, è il momento ed è la cosa giusta da fare!» La voce di Neferet era un crescendo, quasi lei stesse per esplodere. «La cosa giusta da fare? Neanche fossi una creatura della Luce!» Rephaim non era riuscito a trattenersi, né a dare un tono meno incredulo alla propria voce. Neferet si voltò verso di lui come una furia. Sollevò una mano e i tentacoli di potere tremolarono nell’aria intorno a lei, per poi scivolare sotto la sua pelle. A quella vista, Rephaim ricordò il dolore terribile provocato dal tocco dei fili di Tenebra e gli si strinse lo stomaco. In modo automatico, arretrò di un passo. «Mi stai forse contestando, mezzo corvo?» Neferet sembrava pronta a scagliare la Tenebra contro di lui. «Rephaim non ti sta contestando, e neppure io. Semplicemente siamo entrambi stupiti», disse Kalona in tono calmo e autorevole, mettendosi tra la Tsi Sgili e il figlio. «È l’unica cosa che Zoey e i suoi alleati non si aspettano. Quindi, anche se mi disgusta, mi sottometterò a lei... e in questo modo la renderò del tutto inoffensiva: se oserà anche solo mormorare qualcosa contro di me, tutti la vedranno per la ragazzetta petulante che è in realtà.» «Pensavo avresti preferito distruggerla invece che umiliarla», riprese Rephaim. Neferet sghignazzò e si rivolse a lui come se fosse un idiota. «Potrei ucciderla anche stanotte tuttavia, comunque io orchestri la cosa, verrei sospettata. Persino quelle bacucche rimbambite del Consiglio Supremo si sentirebbero in dovere di venire qui... a osservarmi, a interferire coi miei piani. No, non sono ancora pronta e, finché non lo sarò, voglio che Zoey Redbird se ne stia a cuccia al posto che le compete. È solo una novizia e, da questo momento in poi, verrà trattata come tale. Inoltre intendo occuparmi anche del suo gruppetto di amici, soprattutto di quella che si definisce prima ’Somma Sacerdotessa Rossa’. Stevie Rae? Una Somma Sacerdotessa? Ho intenzione di rivelare chi è in realtà.» «Chi è?» dovette chiedere Rephaim, pur tenendo la voce bassa e l’espressione più assente che poteva. «È una vampira che ha conosciuto, e persino abbracciato, la Tenebra.» «Ma alla fine ha scelto la Luce», replicò Rephaim, che si accorse di aver parlato troppo in fretta quando Neferet strinse le palpebre. «Il fatto che sia stata toccata dalla Tenebra l’ha cambiata per sempre», intervenne Kalona. Neferet gli rivolse un sorriso dolce. «Hai proprio ragione, mio Consorte.» «L’aver conosciuto la Tenebra non può avere dato più forza alla Rossa?» Rephaim non ce la faceva proprio a non chiedere. «È ovvio che sia così. La Rossa è una vampira potente, anche se giovane e inesperta, per questo è così utile al nostro scopo», spiegò Kalona. «Ritengo che in Stevie Rae ci sia più di quanto ha mostrato ai suoi amichetti. L’ho vista mentre si trovava nella Tenebra. Ci godeva. Dico che dobbiamo osservarla e scoprire cosa c’è sotto quell’aspetto luminoso e innocente», concluse Neferet in tono sarcastico. «Come dessssideri», ribatté Rephaim, disgustato che Neferet l’avesse fatto arrabbiare al punto di sibilare come un animale. Neferet lo fissò. «Percepisco un cambiamento in te.» Rephaim s’impose di continuare a sostenere il suo sguardo. «In assenza di mio padre, sono stato più vicino alla morte e alla Tenebra di quanto non mi fosse mai accaduto. Se percepisci un cambiamento in me, può darsi sia per questo.» «Può darsi», ripeté lentamente Neferet. «Ma può anche darsi di no. Come mai ho il sospetto che tu non sia del tutto felice che tuo padre e io siamo tornati a Tulsa?» Rephaim cercò di nascondere alla Tsi Sgili l’odio e la rabbia che si agitavano in lui. «Sono il figlio prediletto di mio padre. Come sempre, sto al suo fianco. I giorni in cui è stato lontano da me sono stati i più bui della mia esistenza.» «Davvero? Ma che cosa terribile!» commentò sarcastica Neferet. Poi, come a chiudere il dialogo con lui, gli voltò le spalle per rivolgersi a Kalona. «Le parole del tuo prediletto mi ricordano una cosa: dov’è il resto delle creature che chiami figli? Una manciata di novizi e di suore non sarà certo riuscita a ucciderli tutti.» Kalona strinse i denti e i suoi occhi si accesero di una luce ambrata. Accortosi che il padre faticava a controllare la rabbia, Rephaim si affrettò a intervenire: «Alcuni miei fratelli sono sopravvissuti. Li ho visti fuggire quando tu e mio padre siete stati banditi». Le palpebre di Neferet si strinsero a fessura. «Io non sono più bandita.» Non più, ma una manciata di novizi e di suore una volta c’è riuscita, pensò Rephaim sostenendo il suo sguardo senza battere ciglio. Di nuovo, fu Kalona a distogliere da lui l’attenzione della Tsi Sgili. «Gli altri non sono come Rephaim. A loro serve aiuto per nascondersi in una città senza venire individuati. Devono aver trovato dei posti sicuri più lontano dalla civiltà.» Ormai tratteneva a stento la rabbia. Rephaim si chiese quanto fosse diventata cieca Neferet: credeva davvero di essere così potente da poter punzecchiare in continuazione un antico immortale senza pagarne le conseguenze? «Be’, adesso siamo tornati. Dovrebbero essere qui. Sono un’aberrazione della natura, ma sono pure molto utili. Durante il giorno possono stare nell’appartamento, sempre che stiano lontani dalla mia camera da letto. Di sera possono strisciare fuori in attesa dei miei ordini.» «Vorrai dire dei miei ordini.» Kalona non aveva alzato la voce, ma la forza che vi s’intuiva fece venire i brividi a Rephaim. «I miei figli obbediscono solo a me. Sono legati a me dal sangue, dalla magia e dal tempo. Soltanto io posso controllarli.» «Allora presumo tu possa controllarli abbastanza da farli venire qui.» «Certamente.» «Bene, richiamali o falli radunare da Rephaim, come ti pare. Non posso occuparmi io di tutto.» «Come desideri», disse Kalona echeggiando le parole di Rephaim. «Adesso vado a umiliarmi davanti a una scuola piena di esseri inferiori perché tu non hai impedito a Zoey Redbird di tornare in questo mondo.» I suoi occhi sembravano ghiaccio verde. «Ed è per questo che tu adesso obbedisci solo a me. Fatti trovare qui quando torno.» Neferet lasciò il terrazzo. Il suo lungo mantello sembrava sul punto di restare incastrato nella porta che le si stava chiudendo alle spalle, ma all’ultimo momento s’increspò e zampettò vicino alla Tsi Sgili, avvolgendosi attorno alle sue caviglie come un’appiccicosa pozza di catrame. Rephaim affrontò suo padre, l’antico immortale che serviva fedelmente da secoli. «Come puoi permettere che ti parli così? Che ti usi così? Ha definito i miei fratelli aberrazioni della natura, ma è lei il vero mostro!» Sapeva che non si sarebbe dovuto rivolgere a lui in quel modo, tuttavia non era riuscito a trattenersi: vedere l’orgoglioso e potente Kalona comandato a bacchetta come un servitore gli era insopportabile. Rephaim aveva già visto scatenarsi l’ira di suo padre, perciò sapeva cos’aspettarsi quando lui si avvicinò. Kalona spalancò le grandi ali, ma il colpo non arrivò. Lo sguardo dell’immortale era pieno di disperazione, non di rabbia. «Non anche tu. Da lei mi aspetto disprezzo e slealtà: ha tradito una dea per liberarmi. Ma tu... non avrei mai creduto che potessi rivoltarti contro di me.» «Padre, no! Non l’ho fatto!» disse Rephaim, allontanando dalla mente ogni pensiero relativo a Stevie Rae. «Solo non riesco a sopportare il modo in cui ti tratta.» «Ecco perché devo scoprire un sistema per spezzare quel maledetto giuramento.» Kalona sbuffò, frustrato, e si accostò alla balaustra di pietra, fissando la notte. «Se solo Nyx si fosse tenuta fuori dal combattimento con Stark... Lui sarebbe rimasto morto e, nel profondo dell’anima, so che Zoey non avrebbe trovato la forza di tornare in questo regno e al suo corpo, non dopo aver perso anche lui.» Rephaim raggiunse il padre. «Morto? Nell’Aldilà hai ucciso Stark?» «Sì, certo. Lui e io abbiamo lottato e, ovviamente, io l’ho ucciso. Non aveva la minima possibilità di sconfiggermi, anche se era riuscito a diventare un Guardiano e a impugnare la grande claymore.» Rephaim era incredulo. «Nyx ha resuscitato Stark? Ma la Dea non interferisce con le decisioni umane. E quella di difendere Zoey contro di te era stata una decisione di Stark.» «Non è stata Nyx a resuscitare Stark. Sono stato io.» «Tu?» Rephaim era sconvolto. Kalona annuì e continuò a fissare il cielo, evitando d’incrociare lo sguardo del figlio. «Ho ucciso Stark. Pensavo che, a quel punto, Zoey si sarebbe tirata indietro, preferendo rimanere nell’Aldilà insieme con l’anima del suo Guerriero e del suo Consorte. O magari che il suo spirito sarebbe rimasto per sempre in pezzi e lei si sarebbe trasformata in un Caoinic Shi, uno spettro sempre in movimento. Anche se non desideravo si verificasse quest’ultima possibilità. Io non la odio quanto Neferet.» Il suo tono era così teso da sembrare che lui si stesse strappando a forza dalla gola ogni parola. A Rephaim pareva che il padre si rivolgesse più a se stesso che non a lui perciò, quando si zittì, restò pazientemente in silenzio, aspettando che continuasse. «Zoey è più forte di quanto non avessi previsto», disse infine Kalona rivolto alla notte. «Invece di tirarsi indietro o di andare definitivamente in pezzi, ha attaccato.» Al ricordo, l’immortale ridacchiò. «Mi ha infilzato con la mia stessa lancia e poi mi ha ordinato di ridare la vita a Stark, come pagamento per il debito che avevo contratto con lei quando avevo ucciso quel suo ragazzo. Ovviamente mi sono rifiutato.» «Ma, padre, il debito di una vita è una cosa potente!» sbottò Rephaim. «Vero, ma io sono un immortale potente. Le conseguenze che ricadono sui mortali non mi riguardano.» Simili a un vento gelido, i pensieri di Rephaim presero a bisbigliargli nella testa: Forse si sbaglia. Forse quello che gli sta succedendo è parte delle conseguenze che pensava di non dover pagare perché è troppo potente. Ma lui non era tanto ingenuo da contraddire Kalona, perciò si limitò a chiedere: «Quindi ti sei rifiutato di obbedire a Zoey... e poi cos’è successo?» «È arrivata Nyx, ecco cos’è successo», replicò con amarezza Kalona. «Potevo opporre un rifiuto a una Somma Sacerdotessa bambina, ma di certo non alla Dea. Non potrei mai rifiutare qualcosa alla Dea. Ho soffiato in Stark un frammento della mia immortalità. Lui ha ripreso a vivere e Zoey è tornata al suo corpo, riuscendo a salvare dall’Aldilà anche il suo Guerriero. E adesso sono sotto il controllo di una Tsi Sgili completamente pazza, almeno secondo il mio parere.» A quel punto, Kalona guardò Rephaim. «Se non spezzo questo legame, potrebbe trascinarmi con sé nella sua follia. Erano secoli che non percepivo un rapporto così stretto con la Tenebra quanto quello che ha lei. È qualcosa di molto potente, oltre che affascinante e pericoloso.» «Dovresti uccidere Zoey.» Rephaim lo disse lentamente, esitando, odiandosi per ogni sillaba pronunciata, perché sapeva quanto dolore avrebbe provocato a Stevie Rae la morte della sua amica. «Naturalmente ci ho già pensato...» Rephaim trattenne il fiato. «Però sono giunto alla conclusione che uccidere Zoey Redbird sarebbe un palese affronto a Nyx. È da moltissimo tempo che non servo la Dea. Ho fatto cose che lei considererebbe... imperdonabili. Ma non ho mai tolto la vita a una sacerdotessa al suo servizio.» «Temi Nyx?» «Solo uno sciocco non teme una dea. Persino Neferet si tiene al riparo dall’ira di Nyx non uccidendo Zoey, anche se la Tsi Sgili non lo ammetterebbe neanche con se stessa.» «Neferet è così gonfia di Tenebra che non pensa più in modo razionale.» «Vero, ma ciò non significa che non sia furba. Per esempio, sono convinto che possa avere ragione riguardo alla Rossa: potrebbe essere usata da noi o magari addirittura allontanata dalla strada che ha scelto.» Kalona si strinse nelle spalle. «Oppure potrebbe continuare a rimanere al fianco di Zoey e venire distrutta quando Neferet l’attaccherà.» «Padre, io non credo che Stevie Rae stia semplicemente al fianco di Zoey. Penso stia anche con Nyx. Mi pare logico presumere che la prima Somma Sacerdotessa Rossa di Nyx sia speciale agli occhi della Dea. Per questo non sarebbe meglio non coinvolgere neppure lei, oltre a Zoey?» Kalona assentì con aria solenne. «Figlio mio, credo tu abbia ragione. Se la Rossa non si allontanerà dalla via della Dea, io non la toccherò. E, se Neferet distruggerà Stevie Rae, sarà lei a incorrere nell’ira della Dea.» Rephaim mantenne un ferreo controllo su tono di voce ed espressione. «È una decisione saggia, padre.» «Ovviamente ci sono altri modi per ostacolare una Somma Sacerdotessa senza ucciderla.» «Cos’hai intenzione di fare per ostacolare la Rossa?» «Nulla, almeno finché Neferet non sarà riuscita ad allontanarla dalla strada che ha scelto. A quel punto, deciderò se guidare i suoi poteri o farmi da parte quando Neferet la distruggerà.» Kalona accantonò il problema con un gesto della mano. «Pensiamo piuttosto a Zoey. Se si opponesse pubblicamente a Neferet, la Tsi Sgili sarebbe distratta. E tu e io potremmo concentrarci su come spezzare il mio legame con lei.» «Ma, come ha detto Neferet, se dopo stasera Zoey dicesse qualcosa contro di lei, verrebbe rimproverata e screditata. Zoey è abbastanza saggia da capirlo. Non si scontrerà apertamente con Neferet.» Kalona sorrise. «Ah, ma che succederebbe se il suo Guerriero, il suo Guardiano, l’unica persona sulla terra di cui si fida nel modo più assoluto, iniziasse a mormorarle che non dovrebbe consentire alla Tsi Sgili di passarla liscia per tutte le sue malefatte? Che deve ottemperare al proprio ruolo di Somma Sacerdotessa e opporsi a lei, quali che siano le possibili conseguenze?» «Stark non lo farebbe mai.» «Il mio spirito può entrare nel corpo di Stark.» Rephaim restò senza fiato. «Come?» Kalona si strinse nelle ampie spalle. «Non so. Non avevo mai sperimentato una cosa simile.» «Dunque è un legame più forte dell’entrare nel regno dei sogni per trovare uno spirito addormentato?» «Molto di più. Stark era completamente sveglio e io ho seguito una scia che pensavo mi avrebbe portato da A-ya nel regno dei sogni, se Zoey fosse stata addormentata. Invece mi ha portato da Stark. Dentro Stark. Credo abbia percepito qualcosa, ma non ritengo sapesse che ero io.» Kalona inclinò la testa, pensieroso. «È possibile che la mia capacità di unire il mio spirito al suo sia il risultato della scheggia d’immortalità che ho infuso in lui.» ... la scheggia d’immortalità che ho infuso in lui. Le parole del padre si agitavano nella mente di Rephaim. Doveva esserci qualcosa, qualcosa che sfuggiva a entrambi. «Avevi già condiviso con qualcuno la tua immortalità?» «No di certo. La mia immortalità non è un potere che condividerei con altri di mia spontanea volontà.» E, all’improvviso, l’idea che si nascondeva in un angolo del cervello di Rephaim gli divenne chiara: non c’era da stupirsi se Kalona era sembrato diverso da quando era tornato dall’Aldilà! Adesso tutto aveva senso. «Padre! Quali erano i termini esatti del giuramento che hai fatto a Neferet?» Kalona lo guardò perplesso, ma recitò comunque la formula: «Se avessi fallito nel tentativo di distruggere Zoey Redbird, Somma Sacerdotessa novizia di Nyx, Neferet avrebbe avuto il controllo assoluto del mio spirito fintanto che io fossi stato un immortale». Rephaim fu attraversato da un brivido di eccitazione. «E come fai a sapere che Neferet ha realmente il controllo assoluto del tuo spirito?» «Non ho distrutto Zoey, ecco come faccio a saperlo.» «No, padre. Se hai condiviso la tua immortalità con Stark, tu non sei più completamente immortale, proprio come Stark non è più del tutto mortale. Le condizioni perché il giuramento sia valido non esistono, e non sono mai esistite. Dunque tu non sei legato a Neferet.» «Non sono legato a Neferet?» L’espressione di Kalona passò dall’incredulità allo sconcerto e, infine, alla gioia. «Non credo che tu lo sia», affermò Rephaim. «C’è soltanto un modo per esserne sicuri», ribatté Kalona. Rephaim annuì. «Devi disobbedirle apertamente.» «Questo, figlio mio, sarà un vero piacere.» Osservando il padre spalancare le braccia all’indietro e gridare di gioia verso il cielo, Rephaim capì che quella sera sarebbe cambiato tutto e che, qualunque cosa fosse accaduta, doveva trovare il modo di assicurarsi che Stevie Rae ne uscisse sana e salva. CAPITOLO 19 ZOEY «Hai proprio un’aria stanca.» Sfiorai il viso di Stark come se potessi cancellare quelle brutte occhiaie. «Mi pareva che avessi dormito per quasi tutto il viaggio.» Stark mi baciò il palmo della mano e si esibì in un misero tentativo del suo tipico sorrisetto sbruffone. «Sto da dio. È solo il jet lag.» «Come puoi avere il jet lag ancora prima che abbiano tirato su il portellone del jet?» Accennai col mento alla hostess vampira impegnata a fare qualunque cosa sia che dev’essere fatta per poter aprire un aereo dopo l’atterraggio. Si udì un sibilo e l’indicatore luminoso delle cinture di sicurezza prese a fare uno scocciante ding! ding! «Ecco, il portellone è aperto. Adesso posso avere il jet lag», sentenziò Stark slacciandosi la cintura. Sapendo che stava solo facendo lo scemo, gli afferrai il polso costringendolo a rimanere seduto. «Lo vedo che qualcosa non va.» Stark sospirò. «Ho soltanto ricominciato a fare brutti sogni, tutto qui. E, quando mi sveglio, non riesco neanche a ricordarmeli. Non so perché, ma questa per me è la cosa peggiore. Probabilmente è uno strano effetto collaterale dell’essere stato nell’Aldilà.» «Grandioso. Soffri di PTSD. Lo sapevo. Ehi, mi pare di aver letto in una delle newsletter della Casa della Notte che Dragone è uno dei consulenti psicologici della scuola. Forse dovresti andare da lui e...» «No!» m’interruppe, poi, vedendo che lo guardavo male, mi baciò sul naso. «Smettila di preoccuparti. Sto bene. Non ho bisogno di parlare a Dragone dei miei brutti sogni. E poi non ho idea di che diavolo sia ‘sto PTSD ma mi suona un po’ troppo come Patologia Trasmissibile Sessualmente, il che lo rende piuttosto equivoco.» Non potei non ridacchiare. «Equivoco? Sembri Seoras.» «Aye, wumman, allora taci e alza le chiappe dal sedile!» Scossi la testa. «Non mi chiamare wumman! E poi mette i brividi che tu riesca a imitare così bene quell’accento.» Però aveva ragione sul fatto che dovessimo scendere dall’aereo, quindi mi alzai e aspettai che prendesse il mio bagaglio a mano. Mentre scendevamo la scaletta, aggiunsi: «E PTSD sta per Post Traumatic Stress Disorder, cioè disturbo post-traumatico da stress». «Come lo sai?» «Ho inserito in Google i tuoi sintomi ed è saltato fuori questo.» «Cos’è che hai fatto?» chiese a voce talmente alta che una donna col golfino ricamato ci diede un’occhiataccia. «Sstt.» Lo presi sottobraccio per potergli parlare senza far voltare tutti a bocca aperta. «Senti, ti comporti in modo strano: sei stanco, distratto, irascibile... e dimentichi le cose. L’ho messo in Google ed è uscito PTSD. Probabilmente ti serve un aiuto.» Mi guardò con scritto in faccia tu-seipazza. «Zy, io ti amo. Ti proteggerò e ti starò accanto per il resto della mia vita. Ma devi piantarla di cercare in rete roba medica. Soprattutto roba che riguarda me.» «È solo che mi piace essere informata.» «Ti piace metterti strizza da sola leggendo di malattie spaventose.» «E allora?» Mi sorrise, e stavolta sembrò sbruffone e molto figo. «Allora lo ammetti.» «Non necessariamente», replicai dandogli una gomitata. Non riuscii ad aggiungere altro, perché in quel momento fui travolta da una specie di minitornado dell’Oklahoma, che mi abbracciava e piangeva e parlava tutto allo stesso tempo. «Zoey! Ohsssantocielo! Che bello vederti! Mi sei mancata da matti. Stai bene? È terribile la storia di Jack, vero?» «Oh, Stevie Rae, anche tu mi sei mancata!» Ed eccomi a piagnucolare insieme con lei, restandocene lì ad abbracciarci come se in qualche modo il contatto fisico potesse aggiustare tutte le cose sbagliate del nostro mondo. Stark ci osservava sorridendo e, mentre prendeva il pacchetto di Kleenex che si teneva sempre in tasca da quando eravamo tornati dall’Aldilà, pensai che forse – solo forse – il contatto fisico unito ad amore e affetto poteva quasi migliorare le cose nel nostro mondo. «Forza», dissi a Stevie Rae mentre prendevamo i fazzoletti di Stark e tutti e tre attraversavamo tenendoci sottobraccio l’immensa porta girevole che ci catapultò nella fredda sera di Tulsa. «Andiamo a casa, e per strada mi puoi raccontare tutto della gigantesca e puzzolente montagna di cacca che mi aspetta.» «Modera il linguaggio, u-we-tsi-a-ge-utsa.» «Nonna!» Mi sganciai da Stevie Rae e da Stark e corsi tra le sue braccia. La strinsi forte, lasciandomi avvolgere dall’affetto e dal profumo di lavanda. «Oh, nonna, sono così felice che tu sia qui!» «U-we-tsi-a-ge-u-tsa, figlia, fatti guardare.» La nonna mi allontanò, tenendomi le mani sulle spalle, per studiare il mio viso. «È vero, stai di nuovo bene e sei tornata in te.» Poi chiuse gli occhi e mormorò: «Grazie di questo, Grande Madre». Dopo di che ricominciammo ad abbracciarci e a ridere. «Come facevi a sapere che stavo tornando?» le chiesi in una pausa tra un abbraccio e l’altro. «Gliel’hanno detto i suoi super sensi?» s’informò Stevie Rae facendosi avanti per salutare la nonna. Lei sorrise, serafica. «No. Qualcosa di molto più mondano. O forse farei meglio a dire qualcuno di molto più mondano, anche se non sono certa sia l’aggettivo adatto a questo prode Guerriero.» «Stark? Hai chiamato mia nonna?» Mi fece un sorriso da ragazzaccio e ribatté: «Certo, mi piace avere una scusa per telefonare a un’altra bella donna che si chiama Redbird». «Vieni qui, adulatore», disse la nonna. Scossi la testa mentre Stark l’abbracciava con infinita cautela, quasi avesse paura che potesse rompersi. Ha telefonato a mia nonna e le ha detto a che ora atterrava l’aereo. Quando Stark incrociò il mio sguardo, gli mimai un grazie con le labbra, e il suo sorriso divenne ancora più grande. Poi la nonna fu di nuovo al mio fianco, tenendomi per mano. «Ehi, che ne dite se Stevie Rae e io andiamo a prendere la macchina mentre voi parlate un po’?» propose Stark. Ebbi appena il tempo di annuire che i due erano già spariti, lasciando la nonna e me su una panchina. Ci sedemmo e per un secondo restammo in silenzio, tenendoci per mano. Non mi resi conto di stare piangendo finché lei non mi asciugò delicatamente le lacrime. «Lo sapevo che saresti tornata», esordì. «Mi dispiace di averti fatta preoccupare. Mi dispiace di non...» «Sstt, non c’è bisogno di scusarsi. Hai fatto del tuo meglio, e per me è sempre abbastanza.» «Sono stata debole, nonna. Sono ancora debole», confessai con sincerità. Mi sfiorò dolcemente una guancia. «No, gioia, tu sei giovane, tutto qui. Mi dispiace per il tuo Heath. Sentirò la mancanza di quel giovanotto.» «Anch’io», dissi, sbattendo le palpebre come una forsennata per non ricominciare a piangere. «Ma ho la sensazione che voi due vi ritroverete. Magari in questa vita, magari nella prossima.» Annuii. «È quello che ha detto anche lui, prima di passare nel regno successivo dell’Aldilà.» Il sorriso della nonna era sereno. «L’Aldilà... so che le circostanze erano terribili, ma ti è stato fatto un grande dono consentendoti di andarci e di tornare.» Le sue parole mi fecero pensare, pensare sul serio. Da quand’ero tornata nel mondo reale, mi ero sentita stanca, triste e confusa e poi, finalmente, grazie a Stark mi ero sentita contenta e innamorata. «Ma non mi sono sentita riconoscente. Non avevo capito che grande dono mi era stato fatto.» Avrei voluto darmi una martellata in fronte. «Nonna, sono una Somma Sacerdotessa di schifo.» La nonna rise. «Oh, Zoeybird, se fosse vero, non ti metteresti in dubbio né ti rimprovereresti per i tuoi errori.» Sbuffai. «Non credo sia previsto che le Somme Sacerdotesse facciano errori.» «Ma certo, invece. Altrimenti come farebbero a imparare e crescere?» Ero sul punto di ribattere che avevo fatto abbastanza errori da essere cresciuta tipo qualche centinaio di metri, però sapevo che non era quello che intendeva. Quindi sospirai. «Ho un sacco di difetti.» «Ci vuole una donna saggia per ammetterlo.» La tristezza fece svanire il suo sorriso. «È una delle differenze principali tra te e tua madre.» «Mia madre... Ultimamente ho pensato spesso a lei.» «Anch’io. È da diversi giorni che Linda è molto vicina alla mia mente.» Guardai la nonna aggrottando la fronte. Di solito quando qualcuno era «vicino alla sua mente» significava che le stava succedendo qualcosa. «L’hai sentita?» «No, ma sono convinta che la sentirò presto. Mandale pensieri positivi, u-we-tsi-a-ge-u-tsa.» «Lo farò.» In quel momento, il mio Maggiolino si avvicinò scoppiettando, familiare e fighissimo tutto azzurro acquamarina con le cromature scintillanti. «È meglio che rientri a scuola, Zoeybird. Ci sarà bisogno di te stasera», sentenziò la nonna col suo tono più serio. Ci alzammo e ci abbracciammo ancora. Dovetti farmi forza per lasciarla andare. «Nonna, stanotte ti fermi a Tulsa?» «Oh, no, gioia. Ho troppe cose da fare. Domani a Tahlequah ci sarà un grande powwow e io ho preparato dei deliziosi sacchetti di lavanda. Ci ho ricamato sopra degli uccellini rossi con le perline.» Mi sorrise. Le feci un sorrisone e l’abbracciai un’altra volta. «Ne tieni uno per me?» «Sempre. Ti voglio bene, u-we-tsi-a-geu-tsa.» «Anch’io ti voglio bene», replicai. Stark saltò fuori dal Maggiolino e prese sottobraccio la nonna, per aiutarla ad attraversare la strada affollata che separava il terminal dell’aeroporto dal parcheggio. Quindi tornò da me corricchiando. Quando mi aprì la portiera, gli appoggiai le mani sul petto e gli tirai la maglia in modo da farlo chinare e baciarlo. «Sei il miglior Guerriero del mondo», dissi, labbra contro labbra. «Aye», replicò, gli occhi che luccicavano. Infilandomi sul sedile posteriore, nello specchietto incrociai lo sguardo di Stevie Rae che stava al volante. «Siete stati gentili a darmi qualche minuto assieme alla nonna.» «Nessun problema, Zy. Lo sai che le voglio bene.» «Già, anch’io.» Poi raddrizzai le spalle e, sentendomi piena di forza, continuai: «Okay. D’accordo. Raccontami tutte le scempiate in cui andrò a impantanarmi quando rientrerò a scuola». «Trattieni i cavalli perché è un casino colossale», esordì Stevie Rae mettendo la freccia per immettersi sulla strada. «Ma se a te nemmeno piacciono i cavalli», ribattei. «Esatto», disse lei, il che proprio non aveva senso ma mi fece ridere. E già, scempiate colossali o no, ero proprio contenta di essere a casa. «Ancora non riesco a credere che le vampire del Consiglio Supremo siano state così ingenue», dissi all’incirca per la milionesima volta mentre Stevie Rae mi aiutava a scegliere cosa indossare per accendere la pira funebre di Jack. Rabbrividii. Senza bussare, Afrodite entrò volteggiando nella stanza. Diede un’occhiata al maglioncino a collo alto nero e ai jeans dello stesso colore che tenevo in mano e sbottò: «Oh, ma che cazzo! Non puoi metterti quella roba. Devi accendere la pira funebre di un gay. Ma lo sai come si sentirebbe mortificato Jack se ti vedesse vestita in quel modo, per non parlare di Damien? Cos’è, Anita Blake ha messo in svendita il suo guardaroba?» «Chi è Anita Blake?» chiese Stevie Rae. «Un’ammazzavampiri inventata da una ragazza umana che ha un senso della moda peggio che tragico.» Afrodite indossava un vestito aderentissimo color zaffiro un po’ luccicante, ma non tanto da sembrare uno di quei modelli da ballo della scuola scartati da David’s Bridal, lo stilista degli abiti da cerimonia. A dire il vero, lei era splendida e assolutamente di classe, come al solito. Probabilmente perché Victoria, la sua personal shopper del super scicchissimo Miss Jackson’s di Utica Square, aveva messo via per lei quell’accidenti di abito non appena era arrivato in negozio e poi l’aveva addebitato direttamente sulla carta platino della sua mammina. Sigh. Chissà perché, un po’ mi faceva male al cuore. Comunque, Afrodite raggiunse a grandi passi il mio armadio, l’aprì e, dopo un’occhiata piena di disgusto al mio guardaroba, prese il vestito che mi aveva dato lei la sera del mio primo Rituale delle Figlie Oscure. Era nero e a maniche lunghe ma, a differenza di jeans e maglione, mi donava. Intorno alla profonda scollatura rotonda, sulle maniche morbide e sull’orlo era anche decorato con delle perline di vetro che scintillavano a ogni movimento e si accordavano alla perfezione con la tripla luna, il ciondolo di Capo delle Figlie Oscure, che portavo al collo. «Questo vestito non è legato a ricordi tanto belli...» commentai. «Sì, okay, però ti sta bene. È adatto e, cosa più importante, a Jack piacerebbe da pazzi. Per di più, secondo mia madre, i ricordi cambiano come le persone, soprattutto se circola abbastanza alcol.» «Senti, Afrodite, non dirmi che stasera hai intenzione di bere perché questo no che non sarebbe adatto», intervenne Stevie Rae. «No, zucca campagnola. Almeno non subito.» Mi lanciò il vestito. «Adesso mettilo e spicciati. Le gemelle e Dario portano qui Damien, così possiamo andare alla pira tutti insieme in un’aperta dimostrazione di solidarietà tra sfigati e tutto il resto... Il che è davvero una buona idea», aggiunse in fretta quando vide che Stevie Rae stava per interromperla. «Oh... ciao, Stark. Sai Zoey, è bello vedere te e il tuo ragazzo ipocondriaco di nuovo nel mondo reale.» «D’accordo. Metto questo.» M’infilai in bagno, ma sporsi la testa dalla porta e fissai gli occhi azzurri di Afrodite. «Oh... e Stark è prima il mio Guardiano e Guerriero e poi il mio ragazzo. E non è proprio per niente ipocondriaco. E tu lo sai. Hai visto cosa gli è successo.» «Uuuu», mi prese in giro Afrodite sottovoce. Ignorai la cafonaggine e tenni la porta aperta, in modo da poter continuare a parlare mentre mi vestivo. Quando vidi la pietra del veggente, mi bloccai e decisi di nasconderla sotto il vestito: quella sera non mi sognavo neanche di rispondere a domande su Skye e Sgiach. Mi pettinai in fretta e dissi: «Ehi, ragazze, pensate che Neferet mi lasci accendere la pira perché si aspetta che faccia un disastro?» Cavolo, me lo aspettavo io di fare un disastro, figuriamoci lei! «Naaa, io credo che il suo piano sia molto più nefando del lasciarti ingrippare col discorso, nel caso in cui ti mettessi a piangere perché volevi bene a Jack», ribatté Stevie Rae. «Nef cosa?» chiese Shaunee entrando pure lei in camera mia senza neanche un ciao. «Ando chi?» aggiunse Erin. «Che storia è, gemella? Cercano di adeguarsi al vocabolario di Damien?» «Sembrerebbe proprio», convenne Shaunee. «A me le parole piacciono e voi potete anche succhiarvi un limone», le rimbeccò Stevie Rae. Afrodite si mise a ridere, ma soffocò la cosa con un colpo di tosse quando uscii dal bagno guardandole male. «Ci stiamo preparando per un funerale. Trovo che dovremmo mostrare un po’ più di rispetto per Jack, visto che era nostro amico.» Le gemelle sembrarono subito pentite, mi raggiunsero e mi abbracciarono mormorando un: «Ciao, siamo felici che sei tornata». «Zy ha ragione sull’essere più serie, e non solo perché è il funerale di Jack ed è una cosa terribile. Lo sappiamo tutti che proprio non è possibile che di colpo Neferet abbia deciso di fare la cosa giusta e mostrare rispetto per Zoey e i suoi poteri», riprese Stevie Rae. «Dobbiamo stare in guardia. Restatemi vicine e tenetevi pronte. Immagino che, in caso di bisogno, non avremo molto tempo per creare un cerchio protettivo», dissi. «Perché non ne crei uno subito?» propose Afrodite. «Pensavo di farlo, ma ho guardato le regole sui funerali dei vampiri e di solito la Somma Sacerdotessa non crea cerchi. Il suo compito... sì, be’, intendo il mio compito stasera è di presenziare con rispetto per la perdita di un amico vampiro e aiutare il suo spirito a raggiungere l’Aldilà di Nyx. Non è previsto un cerchio, solo preghiere a Nyx e cose simili.» «In questo, Zy, dovresti essere brava, visto che dall’Aldilà ci sei appena tornata», commentò Stevie Rae. «Spero solo di rendere giustizia a Jack.» Le lacrime cominciavano a pungermi gli occhi e sbattei con forza le palpebre per ricacciarle indietro. Ai miei amici mancava solo che quella sera fossi un disastro piagnucoloso. «Quindi nessuno ha idea di cosa stia tramando Neferet?» domandai. Ci fu un gran scuotere di teste, e Afrodite disse: «Tutto quello cui riesco a pensare è che in qualche modo voglia provare a umiliarti, ma non capisco come possa succedere, se tu rimani calma e ti concentri sul perché siamo tutti qui stasera». «Per Jack», saltò su Shaunee. «Per salutarlo», aggiunse Erin con la voce un po’ tremante. «Be’, questo è molto bello, però io credo che i funerali in realtà siano più per chi resta, come Damien», intervenne Stevie Rae. Le sorrisi con gratitudine. «È un pensiero profondo, Stevie Rae. Me ne ricorderò.» Lei si schiarì la gola. «Lo so perché oggi ho visto mami, e lei stava facendo una specie di minifunerale per me. Era il suo modo di dirmi addio.» Per un attimo restai sconvolta, mentre le gemelle esplodevano in uno stereofonico: «Oh mia Dea che cosa terribile!» «È venuta qui?» chiese Afrodite. Mi stupii di quanto fosse dolce la sua voce. Stevie Rae annuì. «Era davanti al cancello dell’ingresso principale per lasciare una corona di fiori per me, ma in realtà stava facendo quello che proverà a fare stasera anche Damien: cercava di dirmi addio.» «Le hai parlato, vero? Insomma, lo sa che non sei più morta, giusto?» chiesi. Stevie Rae sorrise anche se i suoi occhi rimasero super tristi. «Sì, ma mi ha fatto sentire una persona orribile: sarei dovuta andare da lei subito. Era così brutto vederla piangere tanto.» Raggiunsi la mia migliore amica e l’abbracciai. «Be’, almeno adesso lo sa.» «E almeno hai una mamma cui importa abbastanza di te da piangere», commentò Afrodite. Incrociai il suo sguardo, capendo benissimo quello che diceva. «Già, è proprio vero.» «Ragaaazze, su, anche le vostre mamme piangerebbero se vi succedesse qualcosa», disse Stevie Rae. «La mia in pubblico lo farebbe perché è quello che ci si aspetta da lei, e perché sarebbe così imbottita di farmaci che potrebbe inventarsi una lacrima praticamente per qualunque cosa», replicò in tono piatto Afrodite. «Immagino che piangerebbe pure la mia, però sarebbe tutta un: Come ha potuto farmi una cosa simile! Ecco, adesso andrà dritta all’inferno ed è stata tutta colpa sua.» M’interruppi e aggiunsi: «Mia nonna direbbe che è un peccato che mamma non capisca che non c’è sempre una sola risposta giusta per tutto». Sorrisi alle mie amiche. «E, riguardo all’Aldilà, lo so perché ci sono stata ed è meraviglioso. Davvero meraviglioso.» «E Jack è lì, vero? Al sicuro nell’altro mondo assieme alla Dea?» domandò Damien, appoggiato allo stipite della porta che le gemelle avevano lasciato aperta. Aveva un aspetto orribile, anche se sfoggiava un impeccabile completo Armani. Era così pallido che dava l’impressione di potergli vedere sotto la pelle, e le occhiaie erano così scure da sembrare lividi. Andai da lui e lo abbracciai: pareva così magro e fragile e per niente Damien. «Sì. Lui è con Nyx. Su questo ti do la mia parola in quanto sua Somma Sacerdotessa.» Lo strinsi forte e mormorai: «Quanto mi dispiace, Damien!» Lui rispose all’abbraccio e poi, con sforzo, fece un passo indietro. Non stava piangendo. Piuttosto, appariva spossato, svuotato e disperato. «Sono pronto ad andare e sono davvero felice che tu sia qui.» «Lo sono anch’io. Vorrei tanto esserci stata prima. Magari avrei potuto...» Sentii riaffacciarsi le lacrime. «No, non avresti potuto.» Afrodite fu subito al mio fianco. Di nuovo, la sua voce era addolcita dalla comprensione e la faceva sembrare molto più grande dei suoi diciannove anni. «Non hai potuto impedire la morte di Heath. Non saresti stata in grado di evitare quella di Jack.» Incrociai per un attimo lo sguardo di Stark e nei suoi occhi vidi riflesso ciò che stavo pensando io: che la sua morte, invece, l’avevo impedita. Anche se aveva gli incubi e non era ancora al cento per cento, perlomeno lui era vivo. «Sul serio, Zy, piantala. Anzi, tutti voi, non iniziate con la menata dei sensi di colpa. L’unica responsabile della morte di Jack è Neferet. E lo sappiamo benissimo, anche se gli altri non l’hanno capito», sentenziò Afrodite. «Al momento, questo non lo posso affrontare», disse Damien, e per un attimo pensai fosse sul punto di svenire. «Dobbiamo opporci a Neferet già stasera?» «No. Non ho in mente nulla di simile», risposi subito. «Ma non possiamo controllare quello che farà lei», riprese Afrodite. «Stark e io resteremo vicini. E, anche tutte voi, vedete di stare accanto a Zoey e a Damien. Non saremo noi a iniziare tuttavia, se Neferet dovesse tentare di far del male a qualcuno, ci troverà pronti», sentenziò Dario. «L’ho vista davanti al Consiglio. Non penso farà qualcosa di tanto ovvio come attaccare Zy», disse Stevie Rae. «Qualunque cosa abbia in testa, ci troverà pronti», affermò Stark echeggiando le parole di Dario. «Io non sarò pronto. Io non credo sarò mai più in grado di combattere. Contro niente», fece Damien. Lo presi per mano. «Be’, stasera non dovrai farlo. Se ci fosse una battaglia da combattere, ci penseranno i tuoi amici. Adesso andiamo a prenderci cura di Jack.» Damien trasse un profondo respiro, annuì e uscimmo tutti dalla mia stanza. Feci strada al gruppo giù dalla scala e attraverso la sala comune, che era completamente vuota. Inviai mentalmente una preghierina alla Dea: Ti prego, fa’ che siano tutti già là fuori. Ti prego, fa’ che Damien capisca quanto era amato Jack. Seguimmo il sentiero che girava intorno alla facciata della scuola. Sapevo dove dovevamo andare. Ricordavo anche troppo bene che la pira di Anastasia era stata posta al centro del parco, proprio davanti al tempio di Nyx. Mentre camminavamo in silenzio, sentii uno strano suono provenire da una panchina sotto un grande albero. Mi girai e vidi che là c’era seduto Erik, da solo. Teneva il viso tra le mani e il rumore che avevo sentito era il suo pianto. CAPITOLO 20 ZOEY Stavo quasi per non fermarmi, poi mi ricordai che, prima di Trasformarsi, Erik era stato compagno di stanza di Jack. E capii che dovevo mettere da parte quanto era successo tra lui e me: quella sera ero la Somma Sacerdotessa di Jack, ed ero più che certa che lui non avrebbe voluto che lasciassi lì Erik da solo a piangere. Inoltre mi tornò in mente la notte in cui era stato Erik a trovarmi in lacrime dopo il mio primo e disastroso Rituale delle Figlie Oscure. In quell’occasione, era stato dolce e gentile e mi aveva fatto pensare che magari sarei anche riuscita a gestire la follia che era scoppiata in quella scuola. Gli dovevo un favore. Strinsi la mano a Damien e feci fermare tutti. «Tesoro, comincia ad andare alla pira insieme con Stark e gli altri. Devo fermarmi a fare una cosa, ci metto un attimo. E poi, da quanto ho capito leggendo dei funerali dei vampiri, dato che Jack era il tuo Compagno, hai bisogno di passare un po’ di tempo in meditazione prima che la pira venga accesa.» Quantomeno speravo fosse quello di cui aveva bisogno. «Hai assolutamente ragione, Zoey Redbird», esordì una vampira sbucata fuori dall’ombra. Io e i miei amici la fissammo con aria interrogativa. «Oh, sì, dovrei presentarmi.» Mi offrì l’avambraccio nel tradizionale saluto dei vampiri. «Sono Beverly...» S’interruppe, si schiarì la voce e ricominciò: «Sono la professoressa Missal, la nuova insegnante d’Incantesimi e Rituali». «Oh, sono felice di conoscerla.» Ricambiai il saluto stringendole l’avambraccio. Certo, era una vampira fatta e finita con tutti i tatuaggi del caso – un piacevole disegno che mi faceva venire in mente le note musicali – ma posso assicurare che sembrava più giovane di Stevie Rae. «Mmm, professoressa Missal, potrebbe accompagnare alla pira Damien e gli altri? Io devo fare una cosa.» «Certo. Sarà tutto pronto per te.» Si voltò verso Damien e gli parlò in tono gentile: «Per favore, seguimi». Damien sussurrò un debolissimo «Okay», gli occhi fissi e inespressivi. Però si mosse per seguire la nuova prof. Stark indugiò ancora per un attimo. Il suo sguardo si spostò verso la zona in ombra e la panchina su cui era seduto Erik. Poi tornò su di me. «Ti prego, gli devo parlare. Fidati di me, okay?» dissi. Il suo viso si rilassò. «Nessun problema, mo ban-rìgh. Quando avrai finito, mi troverai ad aspettarti», disse nel suo ottimo accento scozzese. «Grazie.» Cercai di fargli capire con gli occhi quanto amavo e apprezzavo la sua lealtà e la sua fiducia. Lui sorrise e raggiunse il gruppo. Cioè, a parte Afrodite. E Dario, che le stava dietro come un’ombra. «Be’?» chiesi. Afrodite alzò gli occhi al cielo. «Pensi davvero che ti lasceremo sola? Ma quanto sei ingenua? Roba da pazzi! Neferet è riuscita a tagliare la testa a Jack senza nemmeno essere presente. Quindi Dario e io non ti molliamo qui a confortare Erik l’Odioso.» Guardai Dario, ma lui scosse la testa. «Mi dispiace, Zoey, Afrodite ha ragione.» «Potreste almeno restarvene qui a distanza senza ascoltare?» chiesi esasperata. «Cosa credi, che mi vada di sentire le stronzate piagnucolose di Erik? Nessun problema. Vai tranquilla ma spicciati. Nessuno merita di aspettare per colpa di uno stronzo odioso.» Non mi sprecai nemmeno a sospirare mentre li lasciavo per raggiungere Erik, che peraltro neanche si era accorto della mia presenza. Gli stavo davanti, ma lui piangeva tenendosi il viso tra le mani. Piangeva sul serio. Sapendo che era un grande attore, mi schiarii la voce preparandomi a essere un po’ sarcastica o quantomeno passiva-aggressiva. Ma, quando alzò lo sguardo verso di me, cambiò tutto. Aveva gli occhi gonfi e rossi e le guance bagnate di lacrime. Tirava persino su col naso. Sbatté le palpebre un paio di volte, quasi facesse fatica a mettermi a fuoco. «Oh, uh, Zoey», disse, sforzandosi di riacquistare il controllo. Si mise a sedere più dritto e si asciugò il naso nella manica. «Mmm, ciao. Sei tornata.» «Già, sono atterrata da poco. Devo andare ad accendere la pira di Jack. Vieni con me?» Erik scoppiò in singhiozzi. Era una scena orribile e proprio non sapevo cosa fare. E giuro di aver sentito Afrodite sbuffare in lontananza. Mi sedetti accanto a Erik e, in modo un po’ goffo, gli diedi qualche pacchetta sulle spalle. «Ehi, lo so che è terribile. Eravate grandi amici.» Erik fece segno di sì con la testa. Capii che ce la stava mettendo tutta per riprendere il controllo, quindi rimasi seduta biascicando qualcosa mentre lui continuava a tirare su col naso e ad asciugarsi il viso sulla manica (okay, lo so, fa schifo). «È proprio una tragedia. Jack era così dolce e carino e giovane... Non doveva succedergli una cosa simile. Mancherà un sacco a tutti.» «È stata Neferet. Non so come e, che cazzo, non so nemmeno perché, ma è stata lei», sentenziò sottovoce, guardandosi in giro come se avesse paura che qualcuno lo sentisse. «Già.» I nostri sguardi s’incrociarono. «Hai intenzione di fare qualcosa in proposito?» chiese. Non esitai un istante. «Assolutamente tutto quello che è in mio potere.» Quasi sorrise. «Bene, per me è sufficiente.» Si asciugò di nuovo il viso e si passò una mano tra i capelli. «Stavo per andarmene, sai?» «Eh?» replicai col solito sfoggio di astuzia. «Sì, stavo per trasferirmi alla Casa della Notte di Los Angeles. Mi volevano a Hollywood. Si presumeva che dovessi diventare il futuro Brad Pitt.» «Si presumeva? Cos’è successo, hanno cambiato idea?» chiesi confusa. «No.» Con lentezza, Erik sollevò la mano destra e mi mostrò il palmo. Sbattei più volte le palpebre, senza capire bene cosa stessi guardando. «Sì, è proprio quello che pensi», fece lui. «È il labirinto di Nyx.» Ovvio che avessi riconosciuto il tatuaggio color zaffiro, ma era come se il mio cervello facesse fatica a mettersi in sincrono con gli occhi. Non capii finché, alle mie spalle, non sentii la voce di Afrodite: «Oh, cazzo! Erik è un Rintracciatore». Erik la fissò. «Contenta, adesso? Dai, forza, ridi. Sai benissimo cosa significa: per quattro anni, non posso lasciare la Casa della Notte di Tulsa, devo rimanere qui a seguire una cazzo di essenza ed essere lo stronzo che sarà presente quando ogni ragazzo nei prossimi quattro anni verrà Segnato e scoprirà che la sua vita è cambiata per sempre.» Ci fu un momento di silenzio, poi Afrodite riprese: «Cos’è che ti disturba esattamente? Il fatto che quello di Rintracciatore sia un compito duro? Oppure che in quattro anni Hollywood troverà di certo un altro ‘futuro Brad Pitt’?» Girai sui tacchi e l’affrontai. «Lui è stato compagno di stanza di Jack! Hai dimenticato cosa vuol dire perdere il proprio compagno di stanza?» L’espressione di Afrodite si addolcì. Scossi la testa. «No. Adesso tu e Dario ve ne andate. Io vi seguo tra poco.» Dato che Afrodite esitava ancora, mi rivolsi direttamente al suo Guerriero. «In quanto tua Somma Sacerdotessa, ti do un ordine: voglio rimanere sola con Erik. Porta con te Afrodite e andate alla pira di Jack.» Dario scattò subito. Mi fece un inchino solenne, quindi prese Afrodite per il gomito e la trascinò via. Letteralmente. Feci un gran sospiro e mi sedetti di nuovo accanto a Erik. «Scusa, mi dispiace. Afrodite ha buone intenzioni ma, come direbbe Stevie Rae, a volte non è molto gentile.» Erik sbuffò. «Non venirlo a spiegare a me. Lei e io uscivamo insieme, te lo ricordi?» «Me lo ricordo», replicai sottovoce. Poi aggiunsi: «Anche tu e io uscivamo insieme». «Già. Pensavo di amarti.» «Anch’io pensavo di amarti.» Mi fissò dritto negli occhi. «Ci sbagliavamo?» Lo guardai. Cioè, lo guardai davvero. Dea, era sempre supersexy in quel modo da Superman/Clark Kent. Alto e bruno, con occhi azzurri e splendidi muscoli. Ma non era solo questo. Certo, era arrogante e prepotente, ma sapevo che dentro di lui c’era un bravo ragazzo. Solo che non ero io la ragazza giusta per lui. «Sì, ci sbagliavamo, però va bene così. Ultimamente mi è stato ricordato che è okay non essere perfetti, soprattutto se dai casini che si combinano s’impara qualcosa. Quindi... che ne dici d’imparare dai nostri? Io credo che potremmo essere comunque ottimi amici.» Le sue labbra favolose si piegarono all’insù. «E io credo che potresti avere ragione.» «E poi non ho abbastanza amici maschi belli e sinceri», aggiunsi dandogli una spallata. «E io sono un maschio bello e sincero. Cioè, un maschio sincero che, come dici tu, è anche bello.» «Già, proprio così», convenni. Poi gli tesi una mano. «Amici?» «Amici.» Erik mi prese la mano e poi, con un sorriso disinvolto, si lasciò cadere con grazia in ginocchio. «Mia signora, saremo amici per sempre.» «Okay», dissi un po’ a corto di fiato perché, be’, per quanto amassi Stark, Erik era davvero strafigo, oltre che un attore grandioso. Mi fece l’inchino e mi baciò la mano. Non in un modo viscido da voglio-infilarmi-sotto-le-tue-mutande, ma da vero gentiluomo di una volta. Sempre con un ginocchio a terra, mi guardò e riprese: «Stasera devi dire qualcosa che ci dia speranza e che aiuti Damien, perché in questo momento un sacco di noi si sta semplicemente facendo portare dalla corrente chiedendosi cosa diavolo succede... e Damien non se la passa bene. Neanche un po’». Mi si strinse il cuore. «Lo so.» «Bene. Comunque vadano le cose, Zoey, ho fiducia in te.» Sospirai. Di nuovo. Lui sorrise e si alzò, tirando in piedi anche me. «Quindi, per favore, lascia che ti accompagni a questo funerale.» Presi Erik sottobraccio e mi avviai verso un futuro che non potevo neanche immaginare. Lo spettacolo era maestoso, triste e incredibile allo stesso tempo. A differenza dell’ultima volta in cui alla Casa della Notte era stata accesa una pira funebre, era presente tutta la scuola. Novizi e vampiri creavano un immenso cerchio intorno a una struttura simile a una panca costruita proprio al centro del parco. Si vedeva ancora l’erba bruciacchiata a indicare che, non molto tempo prima, in quello stesso punto il corpo di Anastasia Lankford era stato consumato dal fuoco della Dea. Solo che allora la scuola non era stata presente per mostrarle rispetto. Allora, in troppi si trovavano sotto il controllo di Kalona o semplicemente avevano una paura tremenda. Quella sera era diverso. L’influenza dell’immortale era scomparsa e Jack stava ricevendo un addio degno di un Guerriero. Ancora prima di guardare la pira, i miei occhi trovarono Dragone Lankford, in piedi dietro Jack, all’ombra della quercia più vicina. Ma l’ombra non nascondeva il suo dolore. Vedevo benissimo le lacrime scendergli silenziose sul viso incavato. Dea, aiuta Dragone. È così un brav’uomo. Aiutalo a trovare la pace, fu la mia prima preghiera di quella sera. Poi guardai Jack. E tra le lacrime mi spuntò un sorriso. Come tradizione nei funerali dei vampiri, era stato avvolto dalla testa ai piedi in un sudario, solo che quello di Jack era viola. Extralucido. Extravivace. Extraviola. «Allora l’ha fatto», esclamò Erik con voce strozzata. «Sapevo che il viola era il suo colore preferito, quindi sono andato da The Dolphin in Utica Square e ho comprato delle lenzuola di raso. Un sacco. Poi ho detto a Sapphire in infermeria di usarle per avvolgerci Jack, ma non ero sicuro che l’avrebbe fatto davvero.» Mi voltai verso Erik, mi misi in punta di piedi e gli diedi un bacio sulla guancia. «Grazie. Jack apprezzerà infinitamente il tuo gesto. Eri proprio suo amico. Un amico vero.» Lui annuì e sorrise, ma non replicò perché aveva ricominciato a piangere. Prima di fare anch’io lo stesso e di singhiozzare così forte da non poter essere scambiata per una Somma Sacerdotessa neanche per sbaglio, spostai lo sguardo su Damien. Era in ginocchio a capo della pira di Jack, con Duchessa al fianco e il suo micio, Cammy, raggomitolato e triste tra le ginocchia. Stark era vicino alla cagnolona e l’accarezzava mormorando qualche parola di conforto per lei e per Damien. Dietro di lui c’era Stevie Rae, aria distrutta e pianto a dirotto. Afrodite e Dario erano accanto a Damien e, alla loro sinistra, c’erano le gemelle. E, tutt’intorno alla pira funebre, l’intera scuola si era disposta in un cerchio silenzioso e pieno di rispetto. Molti novizi e vampiri, inclusi Lenobia e la maggior parte dei professori, tenevano in mano delle candele viola. Sembrava che, a parte Stark, nessuno parlasse, ma udivo moltissimi singhiozzi. Neferet non si vedeva. «Puoi farcela», mormorò Erik. «Non so come...» Mi ci volle una fatica immensa per pronunciare quell’unica frasetta. «Come fai sempre: con l’aiuto di Nyx», ribatté. «Ti prego, Nyx, aiutami. Io da sola non sono capace», dissi ad alta voce. Poi arrivò la professoressa Missal, che mi spinse avanti. Quindi, con quelli che speravo fossero i passi decisi e sicuri di una vera Somma Sacerdotessa, mi diressi verso Damien. Fu Stark a vedermi per primo. Quando incrociai il suo sguardo, non lessi la minima traccia di gelosia o di rabbia, anche se sapevo che Erik mi stava seguendo a poca distanza. Il mio Guerriero, il mio Guardiano, il mio amore, fece un passo di lato e mi fece un inchino formale. «Ben trovata, Somma Sacerdotessa.» La sua voce risuonò per il campus. Si voltarono tutti verso di me e sembrò che, come una persona sola, l’intera Casa della Notte s’inchinasse, riconoscendomi come propria Somma Sacerdotessa. Questo mi diede una sensazione mai provata prima. Professori, vampiri centenari e giovani novizi mi guardavano, credendo in me, fidandosi di me. Era allo stesso tempo terrificante e fantastico. All’improvviso, nella mente mi risuonò la voce della Dea: Non dimenticare mai questa sensazione. Una vera Somma Sacerdotessa è umile oltre che orgogliosa, e non dimentica mai la responsabilità che comporta il fatto di essere un capo. Mi fermai davanti a Damien e m’inchinai, pugno chiuso sul cuore. «Ben trovato, Damien.» Poi, senza preoccuparmi di non seguire le regole di comportamento per i funerali vampiri che avevo letto in aereo, presi le mani del mio amico e lo feci alzare. Quindi lo abbracciai, ripetendo: «Ben trovato, Damien». Singhiozzò una volta. Era rigido e si muoveva con lentezza, come se avesse paura di andare in un miliardo di pezzi, ma rispose al mio abbraccio con forza. Prima di staccarmi da lui, chiusi gli occhi e mormorai: «Aria, vieni dal tuo Damien. Colmalo di leggerezza e di speranza, e aiutalo a superare questa notte». L’aria rispose all’istante, sollevandomi i capelli e avvolgendosi intorno a noi due. Damien inspirò e, quando buttò fuori il fiato, si liberò anche di parte della terribile tensione. Mi allontanai di un passo e fissai i suoi occhi tristi. «Ti voglio bene, Damien.» «Anch’io ti voglio bene, Zoey. Continua pure.» Indicò con la testa il corpo di Jack avvolto nel raso viola. «Fa’ quello che devi. So che Jack non è più lì.» S’interruppe per ricacciare indietro un singhiozzo, quindi riprese: «Però sarebbe contento di sapere che sei tu a farlo». Invece di scoppiare in lacrime e sciogliermi in un ammasso umidiccio come avrei voluto, mi voltai ad affrontare la pira e la Casa della Notte. Presi due respiri profondi poi, al terzo, mormorai: «Spirito, vieni a me. Rendi la mia voce forte abbastanza da essere ascoltata da tutti». L’elemento con cui avevo maggiore affinità mi colmò dandomi forza e, quando iniziai a parlare, la mia voce era come un raggio luminoso della Dea, che echeggiava in suono e spirito per tutta la scuola: «Jack non è qui. Razionalmente lo sappiamo tutti. Damien me l’ha appena detto, ma voglio che stasera tutti voi ne siate davvero convinti». Con gli sguardi dei presenti fissi su di me, pronunciai in modo lento e chiaro le parole che la Dea m’ispirava: «Io ci sono stata nell’Aldilà e vi posso assicurare che è bello, incredibile e reale come desidera credere il vostro cuore. Ora Jack è lì. Non prova dolore. Non è triste né preoccupato e non ha paura. È insieme a Nyx, nei suoi campi e nei suoi boschi». M’interruppi e sorrisi nonostante il velo di lacrime. «Probabilmente in questo momento sta giocando allegro e spensierato in quei campi e in quei boschi.» Udii la risatina stupita di Damien, seguita da quella di altri novizi. «Sta incontrando degli amici, come il mio Heath, e secondo me sta anche decorando tutto il decorabile.» Afrodite nascose la risata sbuffando, ed Erik sogghignò. «Adesso noi non possiamo stare con lui, ed è duro da accettare, lo so.» Guardai Damien. «Ma possiamo essere certi che lo rivedremo, in questa vita o nella prossima. E, quando succederà, non importerà chi saremo o dove saremo, vi posso assicurare che una cosa nel nostro spirito, nella nostra essenza, rimarrà la stessa: l’amore. Il nostro amore non muore mai e durerà in eterno. E questa è una promessa che so venire direttamente dalla Dea.» Stark mi tese un lungo bastone con in cima qualcosa di appiccicoso. Lo presi ma, prima di avvicinarmi alla pira, incrociai lo sguardo di Shaunee. «Mi aiuti?» le chiesi. Lei si asciugò le lacrime, si rivolse a sud, sollevò le braccia e, con voce colma d’amore e di senso di perdita, disse: «Fuoco! Vieni a me!» Le sue mani presero a splendere e, assieme a me, Shaunee raggiunse la gigantesca pila di legna su cui giaceva il corpo di Jack. «Jack Swift, eri un ragazzo dolce e speciale. Ti ho sempre voluto bene come a un fratello. Fino alla prossima volta in cui c’incontreremo... ben trovato, ben lasciato e ben trovato ancora.» Quando posai l’estremità della mia torcia sulla pira, Shaunee vi scagliò contro il suo elemento, accendendola subito di una soprannaturale luminosità gialla e viola. Mi voltai verso la gemella per ringraziare lei e il suo elemento, quando la voce di Neferet si fece strada nella notte: «Zoey Redbird! Somma Sacerdotessa novizia! Ti chiedo di essere testimone!» CAPITOLO 21 ZOEY Non feci fatica a trovarla: Neferet era alla mia sinistra, sulla scalinata che porta al tempio di Nyx. Mentre tutti si voltavano mormorando a guardarla, Stark si mise al mio fianco, in modo che gli sarebbe bastato un passo per piazzarsi tra Neferet e me. Anche Stevie Rae all’improvviso mi comparve accanto e, con la coda dell’occhio, riuscii a vedere pure le gemelle e persino Damien. Ero circondata dai miei amici, che mi facevano capire senza parole che mi proteggevano. Quando Neferet avanzò, pensai: Dev’essere impazzita del tutto per chiedermi di celebrare un funerale e poi attaccarmi davanti all’intera scuola. Ma pazza o no, era malvagia e pericolosa, e veniva dritto verso di me. E io non mi sognavo neanche di scappare. Perciò le sue parole successive mi sconvolsero quasi quanto i suoi gesti. «Ascoltami, Zoey Redbird, Somma Sacerdotessa novizia, e sii testimone. Ho fatto torto a Nyx, a te e a questa Casa della Notte.» La sua voce era forte, chiara e bellissima, e risuonava nell’aria come una musica. E, seguendo il ritmo che stava definendo, Neferet iniziò a spogliarsi. Avrebbe potuto essere imbarazzante o erotico, invece fu semplicemente bello. «Ho mentito a voi e alla mia Dea.» E via la blusa, che svolazzò dietro di lei come un petalo che cade da una rosa. «Ho ingannato voi e la mia Dea riguardo alle mie intenzioni.» Slacciò la gonna di seta nera, che le si arricciò intorno ai piedi, e se ne liberò come se uscisse da una pozza di acqua scura. Poi, completamente nuda, si mosse nella mia direzione. Le fiamme gialle e porpora della pira di Jack guizzavano sulla sua pelle, dando l’impressione che anche lei stesse bruciando senza, però, venire consumata. Quando mi raggiunse, si lasciò cadere in ginocchio, piegò la testa all’indietro e spalancò le braccia, dicendo: «Ma la cosa peggiore è che ho consentito a un uomo di sedurmi e di allontanarmi dalla via della Dea. E, ora, qui, spogliata di tutto davanti a te, davanti alla nostra Casa della Notte e davanti a Nyx, chiedo perdono per le mie cattive azioni, perché so di non poter continuare a vivere in questa terribile menzogna». Abbassò la testa e le braccia, quindi mi fece un profondo e rispettoso inchino formale. Nell’assoluto silenzio che seguì le sue parole, nella mia mente si scatenò un tornado di pensieri contrapposti: Sta fingendo – vorrei che non fosse così –, è a causa sua che Heath e Jack sono morti –, è una manipolatrice pazzesca. Cercando di capire cosa avrei dovuto rispondere e cosa avrei dovuto fare, mi guardai intorno in cerca di suggerimenti. Le gemelle e Damien, stravolti, fissavano Neferet a bocca aperta. Anche Afrodite stava osservando Neferet, ma con un’espressione di totale disgusto. Stevie Rae e Stark, invece, guardavano me. In modo quasi impercettibile, senza parlare, Stark scosse la testa: No. Mentre Stevie Rae mimò due parole: Tutte balle. Quando spostai lo sguardo sul cerchio creato dalla Casa della Notte, faticavo a respirare. Alcuni mi fissavano con aria interrogativa, in attesa, ma la maggior parte teneva gli occhi su Neferet con evidente soggezione e singhiozzava con quello che senza dubbio era un misto di gioia e di sollievo. In quel momento, un pensiero si cristallizzò nella mia mente, facendosi strada fra tutti gli altri come un pugnale affilato: Se non accetto le sue scuse, la scuola mi si rivolterà contro. Sembrerei una ragazzina vendicativa, ed è esattamente quello che vuole Neferet. Non avevo scelta. Potevo soltanto agire di conseguenza e sperare che i miei amici si fidassero abbastanza di me da sapere che ero in grado di riconoscere la verità dagli imbrogli. «Stark, dammi la camicia», dissi in fretta. Lui non esitò. Se la sbottonò e me la tese. Assicurandomi che nella mia voce ci fosse l’intensità dello spirito, esordii: «Neferet, quanto a me, la perdono. Non ho mai voluto essere sua nemica». Alzò verso di me gli occhi verdi, assolutamente sinceri. «Zoey, io...» cominciò. L’interruppi subito, coprendo il dolce suono della sua voce. «Però posso parlare solo per me stessa. Il perdono della Dea dovrà cercarlo da lei: Nyx conosce il suo cuore e la sua anima, quindi è là che troverà la sua risposta.» «Quella già ce l’ho, e mi riempie di gioia cuore e anima. Grazie, Zoey Redbird, e grazie, Casa della Notte.» Intorno al cerchio si propagò un coro di: «Grazie alla Dea!» e «Benedetta sia!» Mi costrinsi a sorridere mentre mi chinavo per metterle sulle spalle la camicia di Stark. «Si alzi, per favore. Non dovrebbe stare in ginocchio davanti a me.» Neferet si sollevò con grazia e indossò la camicia, abbottonandola con cura. Poi si rivolse a Damien. «Ben trovato, Damien. Posso avere il tuo permesso per inviare alla Dea la mia preghiera personale per lo spirito di Jack?» Damien non parlò, limitandosi ad annuire. Il suo viso era una maschera di dolore e tristezza, al punto che non riuscii nemmeno a capire se lui credeva alla messinscena di Neferet oppure no. Lei, intanto, continuò a recitare la propria parte alla perfezione. «Grazie.» Si avvicinò alla pira, piegò la testa all’indietro e sollevò le braccia. A differenza di me, non parlò a voce alta, ma bisbigliò in modo che nessuno potesse udire. Aveva un’espressione serena e sincera, e mi chiesi come fosse possibile che una persona così marcia dentro potesse avere una parte esteriore così stupenda. Forse fu perché la fissavo così intensamente, nel tentativo di scovare una crepa nella sua armatura, che vidi ciò che accadde dopo. L’espressione di Neferet cambiò e fu evidente, almeno per me, che aveva scorto qualcosa nel cielo sopra di noi. Poi lo udii. Era un suono quasi familiare. Non lo riconobbi subito, anche se mi fece venire la pelle d’oca, e comunque non alzai lo sguardo. Continuai a osservare Neferet, che sembrava allo stesso tempo seccata e preoccupata. Non cambiò posizione e non interruppe la «preghiera», ma i suoi occhi presero a guardare in tutte le direzioni, come se lei volesse accertarsi che nessun altro si fosse accorto di quanto aveva visto lei. Chiusi le palpebre di colpo, sperando sembrasse che stessi pregando, meditando, cercando la concentrazione... insomma, tutto tranne che fissare lei. Lasciai passare un paio di secondi, poi riaprii lentamente gli occhi. Neferet non stava guardando me, proprio per niente. Fissava Stevie Rae, che però non se ne rendeva conto. Perché anche lei era troppo occupata a guardare verso l’alto a bocca aperta. Solo che la sua espressione non era né seccata né preoccupata: era raggiante, come se stesse osservando qualcosa che la riempiva di felicità. E di amore. Confusa, tornai a osservare Neferet, che sgranò gli occhi, come se avesse capito una cosa importante; dopo di che sul suo viso si disegnò un’espressione di estremo piacere: quello che aveva scoperto l’aveva resa davvero strafelice. Non riuscii a staccare gli occhi da Neferet ma, con gesto automatico, strinsi la mano di Stark, quasi sapessi che il mio mondo stava per esplodere e, in quel momento, la voce di Dragone Lankford risuonò simile a un richiamo che cambiò tutto: «Raven Mocker sopra di noi! Professori, portate al coperto i novizi! Guerrieri, a me!» A quel punto, il tempo prese a scorrere a velocità supersonica. Stark mi spinse dietro di sé, guardò in alto e imprecò: non aveva arco e frecce. «Vai nel tempio di Nyx!» mi gridò per superare il frastuono che stava esplodendo intorno a noi. Era scoppiato il delirio più totale: ragazzi che urlavano, professori che chiamavano a raccolta gli studenti cercando di rassicurarli, Figli di Erebo che estraevano le armi, pronti alla lotta. Si muovevano tutti, tranne Neferet e Stevie Rae. Neferet era ancora accanto alla pira accesa di Jack, sempre intenta a osservare la mia amica, sorridendo. Stevie Rae sembrava avere messo radici. Guardava in alto e scuoteva la testa, singhiozzando. «No, aspetta», dissi a Stark. «Non me ne posso andare. Stevie Rae è...» «Scendi dal cielo, orrida bestia!» Il grido di Neferet m’interruppe. Lei aveva sollevato le braccia, le dita tese come se stesse cercando di afferrare qualcosa nell’aria. «Non li vedi?» mi chiese Stark in tono pressante guardando il cielo. «Cosa? Cosa dovrei vedere?» «Tentacoli di Tenebra, neri e appiccicosi.» Fece una smorfia piena di orrore. «E Neferet li sta manovrando. Ci ha raccontato soltanto balle. Non c’è dubbio: è ancora alleata con la Tenebra.» Non ci fu tempo di aggiungere altro perché, con un grido terribile, dal cielo cadde un enorme Raven Mocker, che precipitò in mezzo al campus. Lo riconobbi subito. Era Rephaim, il figlio prediletto di Kalona. «Uccidetelo!» ordinò Neferet. Per Dragone Lankford, quell’ordine era superfluo. Si stava già muovendo, con la spada sguainata che scintillava alla luce delle fiamme, calando sul Raven Mocker come un dio vendicatore. «No! Non fategli del male!» Stevie Rae si lanciò tra Dragone e il mostro caduto dal cielo. Aveva le braccia alzate, palmi all’esterno, e splendeva di una luminosità verde, come se all’improvviso sul suo corpo fosse spuntato del muschio iridescente. Dragone andò a sbattere contro quella barriera verde e rimbalzò via, neanche fosse stato una gigantesca palla di gomma. Fu spaventoso e splendido allo stesso tempo. «Ah, cavolo», mormorai andando verso Stevie Rae. Avevo una brutta sensazione riguardo a quanto stava succedendo, proprio brutta brutta. Stark non provò a fermarmi, ma disse: «Resta vicino a me e fuori portata di quell’uccellaccio». «Stevie Rae, perché proteggi questo mostro? Sei forse in combutta con lui?» Neferet era accanto a Dragone, che si era rimesso in piedi e tremava, contenendo a stento l’istinto che gli gridava di precipitarsi di nuovo contro Stevie Rae. Dal tono, Neferet pareva sconcertata, ma i suoi occhi lanciavano lampi che la facevano sembrare un gatto che avesse intrappolato il topo Stevie Rae. Stevie Rae ignorò Neferet, guardò Dragone e spiegò: «Non è qui per fare del male a qualcuno. Gliel’assicuro». «Rossa, liberami», disse il Raven Mocker quando finalmente raggiunsi Dragone e Neferet. Anche lui era di nuovo in piedi, fatto che mi stupì, perché avrei detto che la caduta l’avrebbe ucciso. In realtà l’unica ferita era uno squarcio sanguinante in un bicipite dall’aspetto così umano da risultare inquietante. Cercava di allontanarsi da Stevie Rae, ma intorno a loro si era formata una strana bolla verde che gli impediva di proseguire. «Non serve, Rephaim. Non ho più intenzione di mentire e di fingere.» Stevie Rae guardò Neferet e la folla di novizi e professori che aveva smesso di scappare e adesso la fissava atterrita. «Non sono un’attrice così brava, Rephaim. Non ho mai neanche voluto esserlo, un’attrice così brava.» «Non farlo!» La voce del Raven Mocker mi sconvolse. Non perché sembrava umana. Sapevo che, quando non era così arrabbiato da sibilare, parlava come un ragazzo vero. Quello che mi sconvolse fu il tono. Sembrava impaurito e molto, molto triste. «Ormai è fatta», replicò Stevie Rae. E in quel momento, finalmente, ritrovai la voce anch’io. «Stevie Rae, cosa cavolo sta succedendo?» «Mi dispiace, Zy. Te lo volevo dire. Davvero davvero. È solo che non sapevo come.» Con lo sguardo, Stevie Rae m’implorava di capirla. «Non sapevi come dirmi cosa?» Poi compresi: l’odore del sangue del Raven Mocker. Travolta dall’orrore, mi ricordai di averlo già sentito su Stevie Rae. All’improvviso seppi di cosa stava parlando, cosa stava cercando di dirmi. «Hai un Imprinting con quella creatura.» Io stavo pensando quelle stesse parole, ma fu Neferet a pronunciarle ad alta voce. «Oh, Dea, no, Stevie Rae», dissi, le labbra gelate e intorpidite. Incredula, continuavo a scuotere la testa, come se quel gesto potesse far sparire l’incubo che avevo di fronte. «Come?» Quella domanda sembrò strappata a forza a Dragone. «Non è stata colpa sua. Sono io il responsabile», intervenne il Raven Mocker. «Non osare rivolgermi la parola, mostro!» ribatté Dragone. Lo sguardo rossastro del Raven Mocker si spostò dal Signore delle Spade a me. «Zoey Redbird, non biasimarla.» «Perché parli con me?» gli strillai contro. «Stevie Rae, come hai potuto lasciare che succedesse?» chiesi, poi mi tappai la bocca, accorgendomi di colpo di quanto fossi sembrata mia madre. «Cazzo, Stevie Rae, sapevo che c’era qualcosa che non andava, ma non avevo idea che fossi arrivata a questo punto», saltò su Afrodite, mettendosi accanto a me. «Avrei dovuto dire qualcosa», aggiunse Kramisha, immobile vicino alle gemelle. «Sapevo che le poesie su di te e una bestia erano un brutto segnale. È che non avevo capito che erano da prendere alla lettera.» «A causa del legame tra questi due, la Tenebra ha corrotto la scuola. È senz’altro questa creatura la responsabile della morte di Jack», sentenziò Neferet con aria solenne. «Sono solo un mucchio di cretinate!» ribatté Stevie Rae. «È stata lei a uccidere Jack. Lo ha sacrificato alla Tenebra per ottenere il controllo dell’anima di Kalona. Lei lo sa. Io lo so. E lo sa anche Rephaim. Per questo stava là sopra: voleva essere certo che stasera lei non facesse niente di troppo terribile.» Osservai Stevie Rae opporsi a Neferet e riconobbi in lei la stessa forza e la stessa disperazione che avevo provato anch’io quando mi ero messa contro Neferet, soprattutto quando mi ero ritrovata a sfidarla da sola mentre un’intera scuola piena di vampiri e di novizi neanche immaginava che lei potesse essere meno che perfetta. «Il mostro l’ha cambiata completamente. Dovrebbero venire eliminati entrambi. Subito», riprese Neferet rivolta alla folla che stava tornando a riunirsi. Mi si rovesciò lo stomaco e, con una sicurezza che provavo soltanto quando venivo influenzata dalla Dea, seppi di dover intervenire. «Okay, adesso basta.» Mi avvicinai a Stevie Rae. «Immagino che tu sappia quanto sembra brutta la cosa.» «Sì, lo so.» «E hai davvero un Imprinting con lui?» «Sì», disse, decisa. «Ti ha aggredita o qualcosa di simile?» chiesi, cercando di dare un senso alla situazione. «No, Zy, al contrario. Mi ha salvato la vita. Due volte.» «Ma certo! Sei in combutta col mostro e alleata con la Tenebra!» Neferet si voltò verso i novizi e i vampiri che osservavano la scena. La luminosità verde che circondava Stevie Rae s’intensificò come la sua voce. «Rephaim mi ha salvata dalla Tenebra. È stato grazie a lui che sono sopravvissuta dopo che per sbaglio avevo evocato il toro bianco. E, anche se la maggior parte delle persone qui riunite non può vedere quello che lei sta facendo, Neferet, non dimentichi che io lo vedo benissimo. Li vedo, i tentacoli di Tenebra che obbediscono ai suoi ordini.» «Sembri avere grande familiarità con l’argomento», replicò Neferet. «Per forza. Prima del sacrificio di Afrodite, io ero piena di Tenebra. La riconoscerò sempre, proprio come sceglierò sempre la Luce.» «Sul serio?» Il sorriso di Neferet era ipercompiaciuto. «Ed è questo che hai fatto quando hai stabilito un Imprinting con questo mostro? Hai scelto la Luce? I Raven Mocker sono stati creati da rabbia, violenza e odio. Vivono per la morte e la distruzione. Quello che abbiamo davanti ha ucciso Anastasia Lankford. Come può tutto ciò essere scambiato per la Luce e la via della Dea?» «Era sbagliato.» Rephaim non si era rivolto a Neferet, guardava dritto Stevie Rae. «Ciò che io ero prima di conoscerti era sbagliato. Poi tu mi hai trovato e mi hai trascinato fuori da un luogo oscuro.» Trattenni il fiato mentre il Raven Mocker, con un gesto lento e delicato, sfiorava una guancia della mia migliore amica per asciugarle una lacrima. «Tu mi hai dimostrato gentilezza, e per un po’ ho intravisto la felicità. Per me è sufficiente. Lasciami andare, Stevie Rae, mia Rossa. Consenti loro di avere la vendetta che cercano. Forse Nyx avrà pietà del mio spirito e mi permetterà di entrare nel suo regno, dove un giorno ti rivedrò.» Stevie Rae scosse la testa. «No, non posso. Se io sono tua, allora anche tu sei mio. Non ho intenzione di abbandonarti senza combattere.» «Questo significa che per lui combatteresti contro i tuoi amici?» le gridai con la sensazione che stesse andando tutto fuori controllo. Con calma, Stevie Rae mi guardò. Lessi la risposta nei suoi occhi prima ancora che, con voce triste ma decisa, dicesse: «Se devo, lo farò». E poi pronunciò l’unica frase che finalmente diede senso a quel casino pazzesco e che per me cambiò tutto. «Zoey, quando io ero piena di Tenebra, tu avresti lottato contro chiunque per difendermi, anche se non eri sicura che sarei mai più tornata me stessa. Vedi, Zy, lui si è già Trasformato. Ha voltato le spalle alla Tenebra. Come potrei non fare quanto hai fatto tu?» «Quel mostro ha ucciso la mia compagna!» urlò Dragone. «Per questo, oltre che per un’infinità di altri crimini, deve morire», sentenziò Neferet. «Stevie Rae, se decidi di stare dalla parte del mostro, allora scegli di essere contro la Casa della Notte e meriti di morire con lui.» Dovevo intervenire. «Okay, no. Aspettate. A volte le cose non sono bianche o nere, e non esiste un’unica risposta giusta. Dragone, so che per lei è terribile, ma proviamo a prendere un respiro profondo e a fermarci un attimo. Non può pensare sul serio di uccidere Stevie Rae.» «Se sta dalla parte della Tenebra, merita lo stesso destino del mostro», fece Neferet. «Ma per favore! Ha appena ammesso anche lei di essere stata con la Tenebra e Zoey l’ha perdonata», s’intromise Afrodite. «Non sto dicendo che mi sta bene questa strana cosa tra il ragazzo-corvo e Stevie Rae, ma come può essere giusto perdonare lei e non questi due?» «Perché io non sono più sotto l’influsso della Tenebra, personificata dal padre di questo essere», replicò viscida Neferet. «Non sono più sua alleata. Chiedete al mostro se può affermare la stessa cosa.» Guardò il Raven Mocker. «Rephaim, potresti giurare di non essere più figlio di tuo padre? Di non essere più legato a lui?» Stavolta, Rephaim rispose direttamente a Neferet. «Solo mio padre può esentarmi dall’essere al suo servizio.» Il viso di Neferet era l’immagine del compiacimento. «E hai chiesto a Kalona di esentarti?» Rephaim spostò lo sguardo su Stevie Rae. «No. Ti prego di capirmi.» «Ti capisco. Ti assicuro che è così», gli rispose lei. Poi strillò a Neferet: «Non ha chiesto a Kalona di esentarlo perché non vuole tradire suo padre!» «I motivi per cui si sceglie la Tenebra non sono importanti», affermò Neferet. «A dire il vero, io penso di sì», ribattei. «E un’altra cosa: stiamo parlando di Kalona come se lui fosse qui. Ma non doveva essere stato bandito dal suo fianco?» Neferet spostò su di me gli occhi di ghiaccio. «L’immortale non è più al mio fianco.» «Però sembrerebbe che sia a Tulsa pure lui. Se è stato bandito, che ci fa qui? Uh... Re-Rephaim», m’impappinai sul suo nome. Era così strano parlare a quell’essere spaventoso come se fosse un ragazzo normale. «Tuo padre è a Tulsa?» «Io... io non posso parlare di mio padre», rispose esitante il Raven Mocker. «Non ti sto chiedendo di dire qualcosa di male su di lui e nemmeno di rivelarmi dove sia di preciso», chiarii. Con gli occhi colmi di sofferenza, lui mi rispose: «Mi dispiace. Non posso». «Visto? Non dirà niente contro Kalona; non si opporrà mai a Kalona», gridò Neferet. «E, dato che il Raven Mocker è qui, anche il padre deve già essere a Tulsa o sta per arrivarci. Perciò, quando attaccherà questa scuola, e lo farà, lui sarà di nuovo al suo fianco a combattere contro di noi.» Rephaim spostò lo sguardo scarlatto su Stevie Rae. La voce piena di disperazione, disse: «Non ti farò mai del male, ma lui è mio padre e io...» Neferet non gli lasciò finire la frase. «Dragone Lankford, in quanto Somma Sacerdotessa di questa Casa della Notte, ti ordino di proteggerla. Uccidi questo orribile Raven Mocker e chiunque stia dalla sua parte.» Sollevò la mano e piegò il polso verso Stevie Rae. La bolla verde luccicante che circondava lei e il Raven Mocker tremolò, e Stevie Rae gemette, diventò pallida come gesso e si portò la mano allo stomaco come se stesse per vomitare. «Stevie Rae?» Feci per andare da lei, ma Stark mi afferrò per un braccio, trattenendomi. «Neferet sta usando la Tenebra. Non puoi metterti tra lei e Stevie Rae, ti ucciderebbe.» «La Tenebra?» La voce di Neferet era gonfia di potere. «Io non sto usando la Tenebra. Sto mettendo in atto la giusta vendetta di una dea. Soltanto questo può farmi spezzare la barriera che ho davanti. Dragone, adesso! Mostra a questa creatura le conseguenze dell’agire contro la mia Casa della Notte!» Stevie Rae cadde in ginocchio e la luminosità verde sparì. Rephaim era chino su di lei, con la schiena completamente esposta e vulnerabile alla spada di Dragone. Sollevai la mano che non stringeva Stark, ma cosa potevo fare? Attaccare Dragone? Salvare il Raven Mocker che gli aveva ucciso la compagna? Ero bloccata. Non avrei lasciato che il maestro di scherma facesse del male a Stevie Rae, però lui non stava aggredendo lei: aggrediva il nostro nemico, un nemico con cui la mia migliore amica aveva stabilito un Imprinting. Era come guardare uno di quei film splatter e aspettare l’inizio di una disgustosa carneficina con tagliamento di gole e smembramenti vari, solo che quello era vero. Poi si udì un grande sibilo, come una burrasca controllata, e dal cielo scese Kalona, atterrando tra suo figlio e Dragone. In mano stringeva una terribile lancia nera, quella che aveva fatto materializzare nell’Aldilà, e l’usò per deviare il colpo del Signore delle Spade con tale forza da farlo cadere in ginocchio. I Figli di Erebo scattarono in azione. Oltre una decina corsero a difendere il loro maestro. Kalona era un rapidissimo movimento sfocato e mortale, ma persino lui faticava a tenere a bada così tanti Guerrieri tutti in una volta. «Rephaim! Figlio! A me! Difendimi!» CAPITOLO 22 STEVIE RAE «Non puoi uccidere nessuno!» gridò Stevie Rae mentre Rephaim afferrava la spada di un Figlio di Erebo caduto. Lui la guardò e mormorò: «Obbliga Kalona ad andare contro i desideri di Neferet. È l’unico modo per far finire tutto questo». Poi corse a difendere il padre. Obbliga Kalona ad andare contro i desideri di Neferet? Di cosa cavolo parla Rephaim? Kalona non è sotto il suo controllo? Stevie Rae tentò di rimettersi in piedi, ma quei terribili tentacoli neri non avevano soltanto distrutto il suo scudo di terra, l’avevano anche svuotata. Si sentiva debole, con la testa che girava e una gran voglia di dare di stomaco. Poi Zoey le si accovacciò accanto, mentre Stark si frapponeva tra le ragazze e il sanguinoso scontro tra i Figli di Erebo e Kalona, sfoderando una spada gigantesca. Stevie Rae afferrò il polso di Zoey. «Non lasciare che Stark faccia del male a Rephaim! Ti prego, ti prego. Fidati di me.» Zoey annuì, poi avvertì il suo Guerriero di non colpire Rephaim. «Lo colpisco eccome se ti aggredisce!» ribatté lui, ora spalleggiato anche da Dario, che lo aveva raggiunto con la spada sguainata. «Non lo farà», gli assicurò Stevie Rae. «Io non ci scommetterei», intervenne Afrodite. «Zucca campagnola, stavolta hai combinato un casino da delirio.» «Detesto essere d’accordo con Afrodite», disse Erin. «Lo detesto da pazzi, ma ha ragione lei», convenne Shaunee. Damien, l’aria distrutta, s’inginocchiò accanto a Stevie Rae. «Possiamo pensarci dopo a sgridarla. Adesso sarebbe meglio trovare il modo di tirarla fuori da questo disastro», commentò. Gli occhi della vampira rossa si riempirono di lacrime. «Tu non capisci! Io non voglio tirarmene fuori, e l’unico disastro qui è che voi ragaaazzi abbiate scoperto di Rephaim così, senza che avessi il tempo di dirvelo io.» Damien la fissò per un lunghissimo istante prima di ribattere: «Oh, capisco. E capisco sul serio perché, anche se il mio Compagno non c’è più, in questi mesi ho imparato un sacco sull’amore». Prima che Stevie Rae potesse aggiungere altro, il grido di dolore di un Figlio di Erebo attirò l’attenzione di tutti: Kalona l’aveva appena ferito alla coscia e il giovane era crollato. Ma non aveva ancora toccato terra che già un altro lo trascinava via e un terzo ne prendeva il posto, chiudendo la breccia nel cerchio mortale attorno ai due esseri alati. Rephaim e il padre combattevano schiena contro schiena, e Stevie Rae avrebbe voluto raggomitolarsi su se stessa e morire pur di non assistere al feroce assalto dei Guerrieri. Perfettamente in sintonia, Kalona e il Raven Mocker completavano l’uno i movimenti dell’altro. Una parte di Stevie Rae riusciva a cogliere la bellezza della danza fatale che si stava svolgendo tra loro e i Guerrieri: in quel combattimento c’erano una grazia e una simmetria da mettere i brividi. Ma nella sua mente c’era spazio per un unico pensiero: Scappa, Rephaim! Vola via! Vattene da qui! Salvati! Un Guerriero fece un affondo contro Rephaim, che parò il colpo solo all’ultimo momento. Spaventata, sconvolta e quasi del tutto sopraffatta dalla terribile incertezza riguardo al futuro di entrambi, Stevie Rae impiegò più tempo del dovuto per rendersi realmente conto di ciò che stava facendo il suo Raven Mocker. O meglio, di ciò che I stava facendo. E quando capì, la ragazza provò il dolce fremito della speranza. Senza staccare gli occhi dallo scontro, afferrò la mano della sua migliore amica. «Zoey, guarda Rephaim: non sta attaccando. Non sta facendo male a nessuno. Si sta solo difendendo.» Lei si fermò a osservare, quindi disse: «Hai ragione. Stevie Rae, hai ragione! Non sta attaccando». Stevie Rae era così orgogliosa di Rephaim! Sentiva un dolore al petto, come se il cuore le battesse troppo forte per poter rimanere chiuso nella gabbia toracica. I Guerrieri continuavano ad attaccare, rapidi e mortali, e Kalona restituiva ogni colpo, ferendoli e persino uccidendoli. Rephaim si limitava a difendersi: bloccava affondi, faceva finte e allunghi, senza mai colpire i Guerrieri che stavano cercando di ammazzarlo. «È vero. Il Raven Mocker si sta unicamente difendendo», convenne Dario. «Pressateli! Uccideteli!» gridava Neferet. Pareva gonfia di potere e si crogiolava nella violenza e nella distruzione. Perché nessun altro oltre a Stevie Rae vedeva l’orribile Tenebra che pulsava e strisciava eccitata intorno a lei, avvolgendosi sulle gambe, accarezzandole il corpo, nutrendosi del suo potere come a propria volta Neferet si nutriva di morte e distruzione? Capitanati da Dragone Lankford, desideroso di vendetta, i Figli di Erebo raddoppiarono l’attacco. «Devo fermarli. Prima che la cosa precipiti e lui non possa evitare di uccidere qualcuno. Devo fermarli», disse Stevie Rae. «Non c’è modo di fermarli. Credo che Neferet progettasse fin dall’inizio qualcosa di simile. Probabilmente Kalona è qui perché gliel’ha ordinato lei», intervenne Zoey. «Forse Kalona, ma non Rephaim. Lui è venuto per assicurarsi che stessi bene e io non lo abbandonerò», sentenziò decisa Stevie Rae. Continuando a osservare lo scontro, immaginò di essere un albero, una gigantesca e fortissima quercia, e che le sue gambe affondassero nel terreno, come radici talmente profonde da non poter essere raggiunte dai vischiosi tentacoli di Tenebra di Neferet. Poi immaginò di trarre energia dallo spirito della terra, ricca, fertile e possente e, finalmente rinvigorita dall’elemento, Stevie Rae si alzò. Quando sollevò una mano per allontanare quella che Zoey le aveva teso per aiutarla, la vampira si accorse che splendeva di un verde delicato e familiare. Iniziò a camminare verso Rephaim. «Ehi, dove credi di andare?» chiese Stark, che le si parò davanti insieme con Dario. «A danzare con le bestie in modo da penetrare oltre il loro travestimento», rispose Stevie Rae, citando la poesia di Kramisha. «Okay, sei fuori del tutto? Tieni qui il culo e sta’ lontana da quel casino!» esclamò Afrodite. Stevie Rae la ignorò e affrontò i due Guerrieri. «Ho un Imprinting con lui. Ho preso la mia decisione. Se volete lottare con me, sono pronta, io devo andare da Rephaim.» «Stevie Rae, nessuno vuole lottare con te», disse Zoey. Poi, rivolta a Stark e a Dario, aggiunse: «Lasciatela andare». «Zy, mi serve il tuo aiuto. Se ti fidi di me, seguimi e dammi una mano con lo spirito», riprese la vampira rossa. «No! Non ti puoi immischiare», esclamò Stark. Zoey gli sorrise. «Ma ci siamo già immischiati con Kalona, e abbiamo vinto. Te lo ricordi?» Stark sbuffò. «Già, però io sono morto.» «Non preoccuparti, Guardiano, ti salverò ancora se serve.» Zoey tornò a rivolgersi a Stevie Rae. «Hai detto che Rephaim ti ha salvato la vita?» «Due volte. E per farlo ha dovuto resistere alla Tenebra. Dentro di lui c’è del buono, te l’assicuro. Ti prego, Zy, ti prego, fidati di me.» «Io mi fido di te. Mi fiderò sempre. Stark, io vado con Stevie Rae», disse Zoey. «Anch’io. Se ti servisse l’aria, sarà lì per te. Io nell’amore continuo a credere», intervenne Damien, che finalmente aveva smesso di piangere. «A me quel passero troppo cresciuto non piace per niente, ma di sicuro l’aria non andrà senza il fuoco», aggiunse Shaunee. «Né senza l’acqua, gemella», concluse Erin. «Ragaaazzi, grazie. Non so dirvi quanto ciò significa per me», disse Stevie Rae. «Oh, che cazzo! Andiamo a salvare il disgustoso corvaccio, così la zucca campagnola potrà vivere per sempre infelice e scontenta», intervenne Afrodite. «Sì, facciamolo, però dovresti proprio togliere quell’in e quella s dalla frase», la rimbeccò Stevie Rae mettendosi alla testa del cerchio creato intorno a lei. Sempre incanalando il potere della terra, la ragazza cercò di avvicinarsi a Rephaim quanto più poteva. «No! Sta’ lontana!» strillò il Raven Mocker vedendola. «Col cavolo che sto lontana!» Stevie Rae guardò Damien. «In marcia cowboy, chiama l’aria.» Damien si voltò verso est. «Aria, ho bisogno di te. Vieni!» Il vento prese a turbinargli intorno, sollevando i capelli di tutti. Poi fu il turno di Shaunee, che si voltò verso sud. «Fuoco, vieni a bruciare per me, piccolino!» Mentre l’aria si faceva insolitamente calda, Erin guardò a ovest. «Acqua, vieni a unirti al cerchio!» Il profumo di una pioggia di primavera sfiorò i loro visi. Allora Stevie Rae si rivolse a nord. «Terra, tu sei già con me. Ti prego, unisciti al cerchio.» La sensazione di essere un tutt’uno col terreno s’intensificò e Stevie Rae capì di splendere come un faro di una luce verde muschio. Fu il turno di Zy. «Spirito, per favore, completa il nostro cerchio.» Ci fu una magnifica sensazione di benessere cui Stevie Rae si aggrappò staccandosi dal gruppo come se fosse stata la punta della loro lancia. Forte del proprio elemento, sollevò le braccia, incanalò l’energia saggia e senza tempo degli alberi e disse: «Terra, crea una barriera che metta fine a questa lotta. Per favore». «Aiutala, aria», disse Damien. «Dalle la carica, fuoco», aggiunse Shaunee. «Sostienila, acqua», fece Erin. «Ricolmala, spirito», concluse Zoey. Stevie Rae sentì scorrere nel proprio corpo l’energia della terra, che dai piedi risalì fino alle mani e, all’improvviso, simili a rampicanti, sottili viticci verdi spuntarono dal terreno creando una barriera intorno a Rephaim e a Kalona, interrompendo il combattimento. Si voltarono tutti a guardare la Somma Sacerdotessa Rossa, che sentenziò: «Ecco, così va meglio. Adesso possiamo risolvere la questione». «Dunque, Zoey, tu e il tuo cerchio avete deciso di allearvi con la Tenebra», intervenne Neferet. Prima che la novizia potesse rispondere, Stevie Rae sbottò: «Neferet, questo vuol dire avere più pigne in testa di uno scoiattolo. Zy è appena tornata da un giretto nell’Aldilà in compagnia di Nyx, dove peraltro è riuscita a prendere a calci in culo Kalona e a riportare indietro con lei sano e salvo anche il suo Guerriero, cosa che nessun’altra Somma Sacerdotessa era mai stata in grado di fare. Non mi sembra il candidato ideale per un’alleanza con la Tenebra». Neferet aprì la bocca per parlare, ma Stevie Rae glielo impedì. «No! Ho ancora una cosa da dirle: non m’importa di quanta gente riesce a imbrogliare, voglio che sappia che io non le crederò mai. Lei non è affatto cambiata, è sempre la solita bugiarda e non è una brava persona, neanche un po’. Ho visto il toro bianco e conosco la Tenebra con cui sta giocando. Cacchio, Neferet, la vedo quella roba nera che le striscia intorno anche in questo momento! Quindi. Si. Tolga. Dai. Piedi.» Ora che aveva rimesso al suo posto Neferet, si girò per rivolgersi a Kalona, ma le parole le si seccarono sulle labbra. L’immortale alato pareva un dio vendicatore, con la lancia nera che grondava sangue e il petto pieno di macchie scarlatte. Gli occhi d’ambra scintillavano mentre la fissava con un’espressione che era un misto di divertimento e disprezzo. Come ho potuto anche solo pensare di potermi opporre a lui? È troppo forte, e io sono niente di niente... gridò la mente di Stevie Rae. «Spirito, dalle coraggio», mormorò la voce di Zoey, trasportata fino a lei dal vento evocato da Damien. Per un attimo, la vampira rossa incrociò lo sguardo della sua migliore amica, che le sorrise. «Continua. Finisci quello che hai iniziato. Puoi farcela.» Stevie Rae si sentì travolgere da un’immensa ondata di gratitudine e, quando tornò a guardare Kalona, trasse altra energia dalle radici che immaginava la collegassero al suo elemento e, con quella fonte di potere unita al sostegno dei suoi amici, finì ciò che aveva iniziato. «Okay, lo sanno tutti che una volta eri il Guerriero di Nyx, e che sei qui perché qualcosa ha incasinato la faccenda... o meglio, sei qui perché tu hai incasinato la faccenda. Sarai pure diventato tutto cattivo e cose così, ma una volta dovevi pur conoscere l’onore, la lealtà e magari persino l’amore. Quindi ho qualcosa da dirti su tuo figlio, e voglio che tu mi ascolti. Non so come o perché sia successo, ma io lo amo, e credo che lui ami me.» «Sì, Stevie Rae, ti amo», confermò Rephaim in tono chiaro e distinto in modo che la sua voce arrivasse a tutti i presenti. Lei si concesse un momento per sorridergli, piena di orgoglio e felicità e, soprattutto, amore. Poi tornò a concentrarsi su Kalona. «Sì, è strano. No, non sarà mai una relazione normale, e la Dea sa che dovremo affrontare un sacco di problemi coi miei amici, ma io voglio dare a Rephaim una vita in cui conoscerà dolcezza, pace e felicità. Solo che non lo posso fare se prima non fai tu una cosa: Kalona, lo devi liberare. Devi permettergli di scegliere se stare con te o cambiare il suo destino. Io qui mi sono messa in guai grossi, però credo con tutta me stessa che da qualche parte dentro di te ci sia ancora almeno un pezzettino di Guerriero di Nyx e che quel Kalona, quello che proteggeva la nostra Dea, farebbe la cosa giusta. Perciò ti prego di essere di nuovo quel Kalona, anche se solo per un secondo.» Calò il silenzio. Mentre Kalona fissava Stevie Rae senza battere ciglio, Neferet s’intromise, sdegnosa e arrogante come sempre. «Basta con questa stupida farsa. Mi occuperò della barriera d’erba. Dragone, soddisfa la tua sete di vendetta sul Raven Mocker. Quanto a te, Kalona, ti ordino di starmi lontano. Tu sei stato bandito dal mio fianco per un secolo, non te lo dimenticare.» Stevie Rae si preparò. Prevedeva qualcosa di terribile, ma di sicuro non si sarebbe tirata indietro, anche se ciò significava affrontare di nuovo la Tenebra e i viscidi tentacoli neri che ormai sembravano stare sempre vicino a Neferet. Ma, proprio quando provò la prima fitta di dolore e di gelo, unita alla sofferenza che la Tenebra provocava nel cuore della terra, l’immortale alato sollevò leggermente una mano. «Alt! Sono alleato della Tenebra da tempo immemorabile. Obbedisci al mio comando. Questa non è la tua battaglia. Vattene!» «No!» esclamò Neferet, mentre i tentacoli vischiosi, invisibili a quasi tutti i presenti, cominciavano a scivolare via per essere riassorbiti dall’ombra da cui provenivano. «Stupida creatura! Cosa stai facendo? Ho ordinato a te di andartene. Sei tu che devi obbedire ai miei ordini! Qui sono io la Somma Sacerdotessa!» «Io non sono sotto il tuo controllo! E non lo sono mai stato.» Kalona sorrise, trionfante. Il suo aspetto era così magnifico che per un momento, guardandolo, Stevie Rae rimase senza fiato. Neferet si riprese in fretta. «Non so di cosa tu stia parlando. Ero io sotto il tuo controllo.» Kalona osservò i novizi che lo fissavano con gli occhi sgranati e i vampiri che si erano armati per aggredirlo o che erano incerti se fuggire o adorarlo. «Ah, figli di Nyx, molti di voi, come me, hanno smesso di ascoltare la nostra Dea. Ma quando imparerete?» Quindi si rivolse a Rephaim. «È vero che hai un Imprinting con la Rossa?» «Sì, padre.» «E che le hai salvato la vita? Più di una volta?» «Come lei ha salvato la mia. È stata lei a guarirmi dopo la caduta. E, quando ho affrontato il toro bianco per liberarla, è stata lei a curare la terribile ferita che mi ha inflitto la Tenebra.» Lo sguardo di Rephaim incrociò quello di Stevie Rae. «Per ripagarmi di averla sottratta alla Tenebra, mi ha sfiorato col potere della Luce che le appartiene, quello della terra.» «Non l’ho fatto per ripagarti. L’ho fatto perché non sopportavo di vederti soffrire», ribatté la vampira rossa. Lentamente, come se gli costasse un’enorme fatica, Kalona sollevò una mano e la posò sulla spalla del figlio. «Sai che non potrà mai amarti come una donna ama un uomo? Desidererai per sempre qualcosa che lei non ti può dare.» «Padre, ciò che mi dà è più di quanto abbia mai avuto.» Per un attimo, il volto di Kalona si contorse in una smorfia di dolore. «Io ti ho dato amore in quanto mio figlio, il mio figlio prediletto.» Rephaim esitò ma, quando alla fine si decise, rispose con estrema onestà, nonostante l’immenso dolore che gli costava fare quell’ammissione. «Forse in un altro mondo, in un’altra vita, questo avrebbe potuto anche essere vero. In questa, mi hai dato potere, disciplina e rabbia. Ma non amore. Mai amore.» «Allora, in questo mondo, in questa vita, ti darò un’altra cosa: la possibilità di scegliere. Scegli, Rephaim. Scegli tra il padre che hai servito e seguito fedelmente per secoli e il potere che tutto questo ti ha dato, e l’amore di questa Somma Sacerdotessa vampira, che non sarà mai completamente tua, perché proverà sempre orrore per il mostro che c’è in te.» Negli occhi di Rephaim, Stevie Rae lesse una domanda cui rispose ancor prima che lui potesse pronunciarla ad alta voce: «Quando ti guardo, io non vedo un mostro, né fuori né dentro. Quindi non provo orrore per te. Io ti amo, Rephaim». Chiuse un attimo gli occhi, attraversata da un brivido di disagio. Lui era buono, lei ne era convinta, ma preferirla a suo padre gli avrebbe cambiato per sempre il corso dell’esistenza. E, dato che era in parte immortale, quel «per sempre» poteva essere inteso in senso letterale. Magari non poteva... magari non voleva... magari... «Padre...» Non appena udì la voce di Rephaim, Stevie Rae riaprì gli occhi. «Io scelgo Stevie Rae e la via della Dea.» Sul volto di Kalona si disegnò una smorfia di dolore. «Allora così sia. Da questo momento in poi, tu non sei più mio figlio. Ti offrirei la benedizione di Nyx, ma lei non mi ascolta più. Perciò ti offro invece un avvertimento: se la ami con tutto te stesso, quando ti renderai conto che lei non ti ama allo stesso modo – e non lo farà, perché non può – questo ucciderà tutto ciò che hai dentro.» L’immortale spiegò le immense ali, sollevò le braccia e sentenziò: «Rephaim è libero! Così ho detto. Così sia!» In seguito, Stevie Rae avrebbe ripensato a quel momento e al modo in cui l’aria intorno a Rephaim aveva tremolato quando lui era stato liberato dal vincolo che lo legava al padre. In quell’istante, però, non riuscì a fare altro che fissare a occhi sgranati Rephaim mentre la sfumatura scarlatta scompariva dalle sue iridi, lasciando soltanto i grandi occhi scuri da umano che la fissavano dalla testa di un enorme corvo. Ali ancora spiegate, corpo ancora ingigantito dal potere e, come voleva credere Stevie Rae, dalla sofferenza che doveva provare per la perdita del figlio, Kalona spostò lo sguardo d’ambra su Neferet. Non disse nemmeno una parola. Si lanciò nel cielo della notte, lasciandosi dietro la scia di una risata di scherno, oltre a un’altra cosa: dall’aria, un’unica penna bianca volteggiò atterrando ai piedi di Stevie Rae. Questo la sconvolse al punto che la barriera che aveva eretto intorno a Rephaim svanì. Ma stava fissando la penna con tale intensità da non accorgersi di avere perso la concentrazione. Era china a raccogliere la piuma, quando Neferet urlò: «Dragone, adesso che l’immortale se n’è andato, uccidi suo figlio. Non mi faccio imbrogliare da questa farsa». Stevie Rae gemette quando la Tenebra spezzò il suo contatto con la terra, indebolendola. Non riuscì neppure a gridare vedendo Dragone lanciarsi contro Rephaim. CAPITOLO 23 REPHAIM Rephaim non ebbe neanche il tempo di capire cosa fosse successo, quando Neferet ordinò a Dragone di ucciderlo. Era troppo concentrato su Stevie Rae che fissava qualcosa di bianco nell’erba. Poi si scatenò il caos. La luminosità verde che lo circondava sparì. Stevie Rae diventò pallida come uno spettro e ondeggiò come se avesse i capogiri. E, all’improvviso, ecco che Zoey, l’amica di Stevie Rae, gli stava davanti, piazzata tra lui e i Figli di Erebo in cerca di vendetta. «No. Noi non aggrediamo chi sceglie la strada della Dea.» I Guerrieri si fermarono, incerti, mentre Stark e Dario si precipitavano a fianco di Zoey. Entrambi avevano la spada sguainata, ma l’espressione sul loro viso non lasciava dubbi: era evidente che nessuno dei due voleva colpire i confratelli. È colpa mia. È colpa mia se stanno combattendo tra loro. Mentre correva da Stevie Rae, i pensieri di Rephaim erano un misto di dubbi e disgusto per se stesso. «Vuoi davvero opporti ai nostri Figli di Erebo?» domandò incredula Neferet a Zoey. «Vuole che i nostri Guerrieri uccidano qualcuno al servizio della Dea?» ribatté lei. «Quindi adesso saresti capace di leggere nel cuore degli altri? Neppure le vere Somme Sacerdotesse possono vantare una simile capacità divina», replicò Neferet in tono saggio e compiaciuto. Prima che lei si materializzasse, Rephaim percepì un cambiamento nell’aria, come se stesse per scoppiare un temporale e l’atmosfera fosse carica di elettricità. In mezzo all’ondata di energia, di luce e di suoni, comparve la Dea della Notte, Nyx. «No, Neferet, Zoey non può vantare una simile capacità divina, ma io sì.» Al suono della sua voce celestiale, ogni tentacolo di Tenebra strisciò via a gran velocità. Accanto a Rephaim, Stevie Rae espirò di botto, neanche avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, e cadde in ginocchio, mentre tutt’intorno a loro si udivano mormorii intimiditi: «È Nyx!» «È la Dea!» «Oh, benedetta sia!» E l’attenzione del Raven Mocker fu tutta per lei. Era davvero la notte personificata. I capelli splendevano di una luminescenza argentata, come la luna piena in ottobre. Gli occhi erano come il cielo della luna nuova, neri e sconfinati. Il resto del suo corpo era semitrasparente. A Rephaim sembrò di vedere della seta scura che si agitava come mossa da un leggero vento e una sagoma femminile, e forse persino una mezzaluna tatuata sulla fronte liscia, ma più cercava di metterla a fuoco, più l’immagine della Dea diventava diafana e incandescente. Fu in quel momento che si accorse di essere l’unico rimasto in piedi. Tutti gli altri si erano inginocchiati, quindi lo fece anche lui. Comprese subito di non doversi preoccupare per essersi mosso in ritardo. L’attenzione di Nyx era altrove. Stava fluttuando sopra Damien, che non ne aveva idea, dato che stava in ginocchio con la testa china e gli occhi chiusi. «Damien, figlio mio, guardami.» Lui sollevò la testa e sgranò gli occhi per lo stupore. «Oh, Nyx! Sei proprio tu! Pensavo di essermelo solo immaginato.» «Forse in un certo senso è così. Voglio tu sappia che il tuo Jack è con me, ed è uno degli spiriti più puri e gioiosi che siano mai entrati nel mio regno.» Gli occhi di Damien si riempirono di lacrime che gli scivolarono sulle guance. «Grazie. Grazie di avermelo detto. Mi aiuterà a cercare di vivere facendo a meno di lui.» «Figlio mio, non c’è bisogno di fare a meno di Jack. Ricordalo, e rallegrati del breve ma bellissimo amore che avete condiviso. In questo modo non si dimentica e non si fa a meno di qualcuno, si guarisce la ferita della nostalgia.» Tra le lacrime, Damien sorrise. «Me ne ricorderò. Me ne ricorderò per sempre, come sempre sceglierò la tua via, Nyx. Ti do la mia parola.» La Dea si voltò e i suoi occhi scuri osservarono gli altri presenti, per fermarsi infine su Zoey. «Ben trovata, mia Dea», disse subito lei, sconvolgendo il Raven Mocker per il tono familiare che aveva usato. Non avrebbe dovuto essere più rispettosa, più timorosa, nel rivolgersi alla Dea? «Ben trovata, Zoey Redbird!» La Dea ricambiò il sorriso della Somma Sacerdotessa novizia e per un attimo lui pensò che somigliava a una dolce e bellissima ragazzina, una ragazzina che all’improvviso gli fu familiare. Riconoscendola, Rephaim trasalì: il fantasma nella villa Gilcrease! Il fantasma era la Dea! Poi Nyx iniziò a parlare, rivolgendosi a tutti, e il suo volto mutò in quello di un essere etereo così luminoso e stupendo che era difficile fissarlo e impossibile pensare a qualcosa che non fossero le sue parole, che parevano una sinfonia. «Qui stasera sono accadute molte cose. Sono state compiute scelte che alterano uno spirito, quindi significa che, per alcuni di voi, si sono aperte nuove strade. Per altri, si è consolidata una decisione presa tanto tempo fa. E, tuttavia, la vita di qualcuno si trova sull’orlo del baratro.» Lo sguardo della Dea indugiò su Neferet, che chinò immediatamente la testa. «Tu, figlia mia, sei cambiata. Non sei più quella di un tempo. E in verità, posso ancora chiamarti figlia?» «Nyx! Grande Dea! Come potrei non essere tua figlia?» Parlando con la Dea, Neferet non sollevò la testa, perciò i folti capelli ramati le coprivano completamente il viso, nascondendo la sua espressione. «Stasera hai chiesto perdono. Zoey ti ha dato una risposta. Io te ne darò un’altra: il perdono è un dono speciale, che bisogna meritarsi.» «Nyx, ti chiedo umilmente di dividere con me questo dono speciale», replicò Neferet. «Quando ti meriterai il dono, lo riceverai.» Bruscamente, la Dea lasciò Neferet per dedicarsi al Signore delle Spade, che la salutò con rispetto portandosi il pugno chiuso sul cuore. «La tua Anastasia è libera dal dolore e dal rimpianto. Farai anche tu la stessa scelta di Damien, imparando a gioire nel ricordo dell’amore avuto e continuerai con la tua vita oppure deciderai di distruggere ciò che lei tanto amava in te, ossia la tua capacità di essere allo stesso tempo forte e compassionevole?» Tutti osservarono Dragone, in attesa di una risposta che non arrivò. «Rephaim», disse la Dea. Il Raven Mocker fissò Nyx dritto in volto per un istante, poi chinò la testa pieno di vergogna, pronunciando le prime parole che gli affollarono la mente: «Ti prego, non guardarmi!» Stevie Rae gli prese la mano. «Non ti preoccupare. Non è qui per punirti.» «E tu come lo sai, giovane Somma Sacerdotessa?» La stretta di Stevie Rae sulla mano di lui si fece spasmodica, ma la voce della ragazza non tremò. «Perché tu puoi vedere nel suo cuore, e io so cosa troverai.» «Stevie Rae, cosa pensi ci sia nel cuore del Raven Mocker?» «Bontà. E non credo sia più un Raven Mocker. Suo padre l’ha liberato, quindi penso sia un nuovo tipo di... be’, di ragazzo come non ce ne sono mai stati prima.» Inciampò nelle parole ma riuscì comunque a terminare la frase. «Vedo che sei legata a lui», fu l’enigmatica risposta della Dea. «Sì», affermò decisa Stevie Rae. «Anche se il vostro legame implica la divisione di questa Casa della Notte e forse persino di questo mondo?» «Mia mamma pota sempre le rose alla grande e da piccola pensavo che fosse un male e che magari rischiava anche di ucciderle. Quando gliel’ho chiesto, lei mi ha spiegato che a volte bisogna tagliare via delle parti vecchie per fare spazio al nuovo. Magari è ora di tagliare via qualche parte vecchia», rispose Stevie Rae. Le sue parole stupirono così tanto Rephaim che questi spostò lo sguardo dal terreno alla ragazza. Lei gli sorrise e, in quel momento, lui desiderò più di ogni altra cosa di poter ricambiare quel sorriso e stringerla tra le braccia come un ragazzo normale, perché nei suoi occhi vedeva calore e amore e felicità, e neppure la minima traccia di rimpianto o rifiuto. Stevie Rae gli diede la forza di guardare la Dea e incrociare il suo sguardo infinito. Ciò che vide gli risultò familiare, perché rispecchiava lo stesso calore e amore e gioia che aveva visto negli occhi di Stevie Rae. Rephaim lasciò la mano di Stevie Rae per portarsi il pugno sul cuore nell’antico saluto formale. «Ben trovata, Dea Nyx.» «Ben trovato, Rephaim. Tu sei l’unico figlio di Kalona ad avere abbandonato la rabbia e il dolore del tuo concepimento, e l’odio che ha caratterizzato la tua lunga vita, per cercare la Luce.» «Gli altri non avevano Stevie Rae», replicò. «È vero, lei ha influenzato la tua decisione, ma tu ti sei dovuto aprire a lei per seguire la Luce invece della Tenebra.» «Non è sempre stata questa la mia scelta. In passato ho fatto cose terribili. Questi Guerrieri hanno ragione a volermi morto.» «Provi rimorso per il tuo passato?» «Sì.» «Scegli un nuovo futuro in cui t’impegni a seguire la mia strada?» «Sì.» «Rephaim, figlio del Guerriero immortale deposto Kalona, io ti accetto al mio servizio e ti perdono per i peccati che hai commesso.» «Grazie, Nyx.» La voce di Rephaim era roca per l’emozione di doversi rivolgere alla Dea, alla sua Dea. «Mi ringrazierai anche se ti dico che, benché io ti accetti e ti perdoni, ci sono delle conseguenze da pagare per le tue scelte del passato?» «Qualunque cosa succeda, io ti ringrazierò per l’eternità. Questo lo giuro», replicò senza esitare. «Speriamo che tu possa avere molti anni in cui tenere fede a questo giuramento. Ecco dunque ciò che ho deciso.» Nyx sollevò le braccia, come per tenere la luna tra i palmi delle mani, e a Rephaim parve che raccogliesse luminosità addirittura dalle stelle. «Poiché hai risvegliato l’umanità che c’è in te, ogni sera dal tramonto all’alba, io ti faccio questo dono: la forma che realmente meriti.» La Dea scagliò verso di lui la luce che si era radunata tra le sue mani. Rephaim sussultò, sconvolto da un dolore così terribile da farlo urlare e crollare a terra. Mentre giaceva lì, paralizzato, soltanto la voce della Dea riusciva a raggiungerlo: «Per espiare le tue colpe, di giorno perderai la tua vera forma e tornerai a quella del corvo, che non conosce altro che gli spregevoli desideri di una bestia. Valuta bene come usare la tua umanità. Impara dal passato e tieni a bada la bestia. Così ho detto. Così avvenga!» Poi la Dea spalancò le braccia per accogliere tutti e sentenziò gioiosa: «Lascio il resto di voi col mio amore, se decidete di accettarlo, e il desiderio che per sempre benedetti siate». Nyx scomparve in un’esplosione di luce, talmente accecante da lasciare Rephaim ancora più confuso. Almeno il dolore era diminuito, però il suo corpo sembrava strano, poco familiare, intorpidito... Abbassò lo sguardo verso di sé e rimase così sconvolto che per un momento non riuscì a capire. Perché sono dentro un ragazzo? Ma la domanda trovò risposta nei singhiozzi di Stevie Rae, che piangeva e rideva allo stesso tempo. «Cos’è successo?» chiese Rephaim, ancora senza capire. Stevie Rae non sembrava in grado di parlare perché continuava a piangere lacrime di gioia. Anche la Somma Sacerdotessa novizia, Zoey Redbird, gli sorrideva e gli tendeva la mano, per aiutarlo ad alzarsi. «La nostra Dea ti ha fatto diventare un ragazzo», spiegò. Quando capì che era la verità, quasi ricadde in ginocchio. «Sono umano. Completamente umano.» Rephaim osservò il fisico forte di un giovane e alto guerriero cherokee. «Sì, ma soltanto di sera. Di giorno sarai completamente corvo», disse Zoey. Rephaim però l’udì a malapena, perché guardava Stevie Rae, che fece un passo verso di lui ma poi si fermò, esitante, mentre si asciugava il viso. «È... è brutto? Non vado bene?» sbottò lui. La vampira lo guardò dritto negli occhi. «No. Sei perfetto. Assolutamente perfetto. Sei il ragazzo che abbiamo visto nella fontana.» «Vorresti... posso...» Rephaim non riusciva a finire una frase, troppo emozionato per trovare le parole giuste, quindi preferì agire, colmando lo spazio che lo separava da Stevie Rae con due passi lunghi e del tutto umani. Senza esitare, la prese tra le braccia e fece quello che quasi non si era consentito neppure in sogno: si chinò a baciarla con le proprie labbra. Assaporò le sue lacrime e la sua risata, e finalmente scoprì cosa significava essere davvero felici. Perciò fu con riluttanza che si staccò da lei dicendo: «Aspetta, devo fare una cosa». Fu facile individuare Dragone Lankford. Gli si avvicinò con lentezza, senza movimenti bruschi, ma i Guerrieri al suo fianco si mossero comunque, evidentemente pronti a combattere di nuovo per il loro maestro. Rephaim si fermò davanti al Signore delle Spade, sostenendo il suo sguardo carico di dolore e rabbia. Annuì per indicare che capiva. «Ti ho provocato una grandissima perdita. Non ho scuse per ciò che ero. Posso soltanto dire che sbagliavo. Non ti chiedo di perdonarmi come ha fatto la Dea.» Appoggiò a terra un ginocchio. «Ciò che chiedo è che tu mi consenta di ripagare il debito di una vita che ho con te servendoti. Se mi accetti, finché avrò respiro, con le mie azioni e il mio onore io tenterò di fare ammenda per la perdita della tua compagna.» Dragone non replicò. Rimase a fissare Rephaim mentre sul viso gli passavano emozioni contrastanti: odio, disperazione, rabbia e tristezza. Che infine andarono a formare una maschera di fredda determinazione. «Alzati, mostro. Non posso accettare il tuo giuramento. Non sopporto di guardarti. Non ti consentirò di servirmi.» «Dragone, ci pensi bene», intervenne Zoey Redbird. «So che è dura, so cosa significa perdere qualcuno che si ama, ma deve decidere come continuare a vivere, e sembrerebbe che stia scegliendo la Tenebra invece della Luce.» Lo sguardo di Dragone era crudele, la voce gelida quando rispose alla giovane Somma Sacerdotessa. «Dici di sapere cosa significa perdere un amore? Per quanto tempo hai amato quel ragazzo umano? Meno di dieci anni! Anastasia è stata la mia compagna per più di un secolo.» Zoey sobbalzò, come se quelle parole l’avessero ferita a livello fisico, e Stark le fu subito accanto, guardando preoccupato il Signore delle Spade. «Ed è per questo che una bambina non può essere a capo di una Casa della Notte. Così come non può essere una vera Somma Sacerdotessa, per quanto indulgente sia la Dea», sentenziò Neferet spostandosi accanto a Dragone e sfiorandogli il braccio con rispetto. «Aspetti un attimo, odiosa. Non ricordo che Nyx abbia detto che la perdonava. Ha parlato di se e di doni, ma, correggetemi se sbaglio, non c’è stato nessun: Ciao Neferet, guarda che sei perdonata», saltò su Afrodite. «Tu non fai parte di questa scuola! Tu non sei più una novizia!» le strillò contro Neferet. «No, lei è una Profetessa, ricorda? L’ha detto anche il Consiglio Supremo», ribatté Zoey in tono calmo e saggio. Invece di rispondere a Zoey, Neferet si rivolse alla folla di vampiri e novizi. «Vedete come distorcono le parole della Dea persino pochi minuti dopo che lei ci è apparsa?» Rephaim sapeva che quella vampira era malvagia, sapeva che non era più al servizio di Nyx, ma persino lui dovette riconoscere che sembrava intensa e bellissima. Così come riconobbe i tentacoli di Tenebra che erano ricomparsi e avevano ricominciato a scivolare verso di lei, colmandola e alimentando il suo bisogno di potere. «Nessuno sta distorcendo niente», replicò Zoey. «Nyx ha perdonato Rephaim e l’ha fatto diventare umano. Ha anche ricordato a Dragone che doveva fare una scelta riguardo al proprio futuro. E ha fatto sapere a lei che il perdono è un regalo che la Dea concede a chi se lo merita. Tutto qui. Stiamo dicendo soltanto questo, nient’altro.» «Dragone Lankford, in quanto Signore delle Spade e maestro dei Figli di Erebo di questa Casa della Notte, accetti questo...» Neferet s’interruppe, guardando Rephaim con disprezzo. «... questa aberrazione come uno dei tuoi?» «No. Non posso accettarlo.» «Allora non lo posso accettare nemmeno io. Rephaim, non ti sarà consentito di rimanere in questa Casa della Notte. Vattene, immonda creatura, e vai a fare ammenda per il tuo passato altrove.» Il ragazzo non si mosse. Attese che Neferet lo guardasse poi, con calma e in modo molto chiaro, disse: «Io ti vedo per quella che sei». «Vattene!» strillò lei. Rephaim si alzò e iniziò ad allontanarsi dal Signore delle Spade e dal suo gruppo di Guerrieri, ma Stevie Rae gli prese la mano e lo fermò. «Dove vai tu, vado anch’io.» Lui scosse la testa. «Non voglio che tu venga scacciata dalla tua casa a causa mia.» Un po’ timida, Stevie Rae gli sfiorò il viso. «Ma non capisci che per me casa è dove sei tu?» Rephaim le prese la mano poi, non fidandosi a parlare, annuì e sorrise. Sorridere... che sensazione incredibilmente piacevole! Stevie Rae si rivolse ai presenti. «Io vado con lui. Ho intenzione d’iniziare una nuova Casa della Notte nei tunnel sotto lo scalo ferroviario. Là non è bello come qui, però è un casino più amichevole.» «Non puoi creare una Casa della Notte senza l’approvazione del Consiglio Supremo», la rimbeccò Neferet. I mormorii sconvolti della folla ricordarono a Rephaim la brezza d’estate che si perde tra l’erba delle antiche praterie, un suono infinito e inutile. La voce di Zoey Redbird si levò alta e forte: «Se sarete guidati da una regina vampira e accettate di tenervi fuori dalla politica vampira, il Consiglio Supremo vi lascerà in pace». Sorrise a Stevie Rae. «Guarda caso, io sono appena stata più o meno nominata regina. Che ne diresti se venissi con te e Rephaim? Sceglierò sempre l’amichevole rispetto al lussuoso, senza dubbio.» «Vengo anch’io», intervenne Damien dando un’ultima occhiata alla pira che si stava consumando. «Scelgo un nuovo inizio.» «Pure noi veniamo», affermò Shaunee. «Come no, gemella. E poi la nostra stanza qui era comunque troppo piccola», le fece eco Erin. «Ma torniamo a prendere la nostra roba», aggiunse Shaunee. «Oh, cavolo, certo!» convenne Erin. «Merda. Lo sapevo da quando questa serata è andata fuori controllo. Lo sapevo e basta. È uno schifo paragonabile al fatto che a Tulsa non ci sia una boutique di Nordstrom, ma potete stare certi che io qui non ci rimango», disse Afrodite. E, mentre Afrodite si appoggiava al suo Guerriero e sospirava da vera diva, tutti i novizi rossi si avvicinarono a Rephaim e a Stevie Rae, piazzandosi proprio accanto a Zoey, Stark e al resto del cerchio. Il resto dei loro amici. «Questo significa che non posso essere il Poeta Laureato di tutti i vampiri?» s’informò Kramisha unendosi al gruppo. «Naa! Quella è una cosa che non ti può togliere nessuno a parte Nyx», affermò Zoey. «Bene. Visto che è appena stata qui e non mi ha licenziata, immagino che sia okay», commentò Kramisha. «Se ve ne andate non siete niente! Nessuno di voi!» gridò Neferet. «Be’, Neferet, le cose stanno così: a volte non essere niente assieme ai tuoi amici vuol dire essere tutto!» replicò Zoey. «Quello che dici non ha neanche senso», ribatté Neferet. «Non ne ha per te.» Rephaim mise un braccio intorno alle spalle di Stevie Rae. «Andiamo a casa», disse lei cingendo il fianco completamente, assolutamente umano di Rephaim. «Mi sembra un’ottima cosa», commentò Zoey prendendo Stark per mano. «A me sembra invece che avremo da pulire per una barcata di tempo», brontolò Kramisha mentre si allontanavano. «Il Consiglio Supremo dei Vampiri verrà a conoscenza di tutto questo», gridò Neferet. Zoey si fermò quanto bastava a replicare senza nemmeno voltarsi del tutto: «Sì, bene, tanto non è difficile contattarci. Abbiamo Internet e tutto il resto. E poi un po’ di noi torneranno per seguire le lezioni. Questa è ancora la nostra scuola, anche se non è più la nostra casa». «Oh, grandioso. Siamo un caso da servizi sociali, con tanto di mezzi di trasporto convenzionati», fece Afrodite. Rephaim capì di avere un’espressione più che interrogativa quando Stevie Rae rise e l’abbracciò. «Non ti preoccupare. Avremo tutto il tempo di aggiornarti sulle cose moderne. Per adesso basta che tu sappia che siamo insieme e che di solito Afrodite non è tanto carina e gentile.» Poi si alzò in punta di piedi e lo baciò, e Rephaim lasciò che il suo odore e il contatto con lei coprissero le voci del passato e il ricordo pressante del vento sotto le ali... CAPITOLO 24 NEFERET Neferet fece appello a tutto il suo autocontrollo per consentire a Zoey e al suo patetico gruppo di amici di lasciare la Casa della Notte, anche se avrebbe tanto voluto sguinzagliargli contro la Tenebra e ridurli in poltiglia. Perciò, in segreto e con molta attenzione, inspirò per assorbire i fili neri che le giravano intorno, scivolando festanti di ombra in ombra. Quando si sentì forte e sicura e nuovamente padrona della situazione, si rivolse ai suoi seguaci, quelli rimasti nella sua Casa della Notte. «Gioite, novizi e vampiri! La comparsa di Nyx stanotte è stata un segno della sua benevolenza. La Dea ha parlato di scelte, di doni e di strade da seguire. Purtroppo abbiamo visto che Zoey Redbird e i suoi amici hanno deciso d’intraprendere un percorso che li ha allontanati da noi e, di conseguenza, da Nyx. Ma noi supereremo questa prova e continueremo, pregando la nostra misericordiosa Dea che quegli incauti decidano di tornare tra queste mura.» Quindi, con un movimento quasi impercettibile, puntò le lunghe unghie rosse in direzione dei vampiri e dei novizi ancora dubbiosi, che la fissavano incerti. La Tenebra rispose subito, individuando i possibili oppositori, avviluppandosi a loro, confondendo le menti con fitte di dolore, insinuando dubbi e paure apparentemente immotivati. «Adesso, ritiriamoci tutti nelle nostre stanze e accendiamo una candela del colore dell’elemento che sentiamo più vicino. Sono convinta che Nyx ascolterà queste preghiere incanalate dagli elementi e ci renderà più lieve questo periodo di sofferenza e di conflitto.» «Neferet, e riguardo al corpo del novizio? Non dovremmo continuare a vegliarlo?» chiese Dragone Lankford. Lei fece molta attenzione a non lasciar trapelare il disprezzo che provava. «Fai bene a ricordarmelo, Signore delle Spade. Quanti di voi hanno reso omaggio a Jack con le candele viola dello spirito possono gettarle nella pira prima di andarsene. I Figli di Erebo continueranno a vegliare il corpo del povero novizio per il resto della notte.» In questo modo mi libererò sia dell’energia delle candele dello spirito sia della scocciante presenza di tutti questi Guerrieri, pensò. «Come desideri, Sacerdotessa», disse Dragone facendole l’inchino. Neferet lo degnò a malapena di uno sguardo. «Ora devo ritirarmi. Ritengo che il messaggio che mi ha rivolto Nyx avesse molti aspetti. Alcuni li ha mormorati solo al mio cuore, e ora ho bisogno di tempo per riflettere. Perciò devo pregare e meditare.» «Quello che ha detto Nyx ti ha infastidita?» domandò Lenobia. Avrei dovuto saperlo che non era rimasta perché caduta nella mia trappola. Lei resta qui per mettermi i bastoni tra le ruote, si disse Neferet, che aveva già iniziato ad allontanarsi dagli sguardi indiscreti della Casa della Notte. Si fermò e, con la punta delle dita, mandò la Tenebra in direzione della Signora dei Cavalli. Con grande stupore di Neferet, Lenobia si guardò in giro, come se fosse realmente in grado di scorgere i tentacoli. «Sì, è vero, ciò che ha detto Nyx mi ha infastidita», replicò brusca la Somma Sacerdotessa, riportando su di sé l’attenzione dei presenti. «Ho capito che la Dea è molto in pensiero per la nostra Casa della Notte. L’hai sentita anche tu parlare di una divisione nel nostro mondo, e si è verificata. Mi stava avvertendo. Vorrei solo avere avuto la possibilità d’impedire che questo accadesse.» «Ma ha perdonato Rephaim. Non avremmo potuto...» «Certo, la Dea ha perdonato quell’essere, ma questo significa forse che dobbiamo sopportare la sua presenza tra noi?» Con gesto aggraziato, mosse il braccio verso Dragone Lankford che se ne stava tristissimo accanto alla pira del novizio. «Il nostro Figlio di Erebo ha fatto la scelta giusta. Purtroppo, troppi giovani novizi sono stati traviati da Zoey Redbird e Stevie Rae e dalle loro parole perverse. Come ha detto la stessa Nyx, il perdono è un premio che bisogna meritarsi. Auguriamoci per il bene di Zoey che continui a godere della benevolenza della Dea perché, dopo le sue azioni di stasera, temo per lei.» Neferet accarezzò l’aria, attirando dall’ombra altri fili di Tenebra, che con un gesto rapidissimo scagliò contro la folla, nascondendo un sorriso soddisfatto quando udì i gemiti e i sospiri pieni di dolore e confusione. «Andate! Raggiungete le vostre stanze, pregate e riposate. Questa sera siamo stati tutti messi a dura prova. Ora io vi lascio e, come ha detto la Dea, vi auguro che benedetti siate.» Abbandonò in gran fretta il centro del parco, lasciandosi colmare dall’energia della Tenebra, che rinforzò il suo corpo da poco immortale e la fece viaggiare sulle ali incolori della morte, del dolore e della disperazione. Ma, prima di raggiungere il Mayo Building e il lussuoso attico in cui sapeva, in cui era certa che Kalona la stesse aspettando, Neferet percepì un grande cambiamento nei poteri che la trasportavano. Fu il freddo a colpirla per primo. Neferet non era sicura di aver ordinato a quelle forze di fermarsi o se invece fosse stato il gelo a bloccarle; comunque fosse, si ritrovò in mezzo all’incrocio tra Peoria e l’Undicesima. La Tsi Sgili si rialzò e si guardò intorno, cercando di orientarsi. Il cimitero sulla sinistra attirò la sua attenzione, e non solo perché ospitava i resti in decomposizione degli umani, fatto che la divertiva. Percepiva che da lì stava arrivando qualcosa. Con uno scatto, Neferet afferrò un tentacolo di Tenebra che si allontanava e lo costrinse a condurla oltre l’appuntita recinzione di ferro che circondava il cimitero. Di qualunque cosa si trattasse, sentiva che la chiamava, e Neferet si mise a correre, guizzando come un fantasma tra le lapidi e i monumenti in rovina che gli umani trovavano così rasserenanti. Infine giunse alla zona centrale, in cui quattro ampi sentieri lastricati convergevano a formare un cerchio dove sventolava la bandiera americana e splendeva l’unica luce. A parte lui. Ovviamente Neferet lo riconobbe subito. Le era già capitato d’intravedere il toro bianco, ma non si era mai materializzato in tutto il suo splendore e lei rimase senza parole davanti a tanta bellezza. Il mantello era di un bianco luminoso, come una perla, perfetta e seducente. Lei si tolse la camicia che le aveva dato Stark, denudandosi davanti allo sconvolgente sguardo nero del toro. Poi si lasciò cadere in ginocchio. «Ti sei spogliata per Nyx. Ora ti spogli per me? Sei così generosa con tutti, regina delle Tsi Sgili?» La voce le risuonò nella mente, oscura, facendola rabbrividire. «Non mi sono spogliata per lei. E tu lo sai meglio di chiunque altro. La Dea e io percorriamo strade diverse: io non sono più mortale e non desidero essere sottomessa a un’altra femmina.» Il gigantesco toro bianco avanzò, facendo tremare il terreno sotto i grandi zoccoli. Il naso non sfiorò nemmeno la delicata pelle di lei, limitandosi a inspirare il suo profumo e, quando espirò, il suo fiato circondò Neferet, accarezzandole il corpo e risvegliando i suoi desideri più segreti. «Quindi, invece di essere sottomessa a una dea, preferisci inseguire un immortale caduto?» Lo sguardo di Neferet si fissò negli occhi neri e insondabili del toro. «Kalona non significa niente per me. Stavo andando da lui per vendicarmi del giuramento che ha infranto. Ne ho il diritto.» «Lui non ha infranto giuramenti. Non era vincolato a me. L’anima di Kalona non è più del tutto immortale... ne ha data via una parte. Che stupido.» «Davvero? Molto interessante...» Alla notizia, il corpo di Neferet prese a vibrare di eccitazione. «Vedo che sei ancora infatuata di lui.» Neferet sollevò il mento e scosse all’indietro i lunghi capelli ramati. «Non sono infatuata di Kalona. Desidero solo imbrigliare e sfruttare i suoi poteri.» «Sei proprio una creatura magnifica, del tutto priva di cuore.» La lingua del toro lambì il corpo nudo di Neferet, che tremò eccitato per la deliziosa sofferenza. «Da oltre un secolo non avevo un seguace tanto fervente. All’improvviso l’idea sembra gradevole.» Neferet rimase in ginocchio davanti a lui. Con gesto lento e delicato si allungò a toccarlo. Il manto del toro era gelido come ghiaccio ma liscio e scivoloso come acqua. Il corpo del toro fremette e la sua voce risuonò nella mente di lei, entrandole nell’anima e facendole girare la testa per l’intensità del suo potere: «Ah! Avevo dimenticato quanto può essere stupefacente il contatto fisico quando non è obbligato. Non mi accade spesso di essere sorpreso e mi scopro a desiderare di farti un grande favore, in cambio». «Accetterò con gioia qualunque favore voglia farmi la Tenebra.» «Sì, credo proprio che ti farò un dono.» «Che dono?» replicò ansimante Neferet, cogliendo l’ironia del fatto che le parole della Tenebra incarnata rispecchiassero quelle di Nyx. «Ti farebbe piacere se creassi per te uno Strumento che prenda il posto di Kalona? Potresti comandarlo a piacimento, usarlo come arma.» «Sarebbe potente?» La respirazione della Tsi Sgili era accelerata. «Se il sacrificio è degno, lui sarà molto potente.» «Sacrificherei qualunque cosa alla Tenebra. Dimmi cosa desideri per creare questo essere e io te la darò», ribatté Neferet. «Per creare lo Strumento, devo avere tutto il sangue di una donna dagli antichi legami con la terra, che le siano stati trasmessi da generazioni e generazioni di matriarche. Più la donna è forte, pura e anziana, più lo Strumento sarà perfetto.» «Umana o vampira?» chiese lei. «Umana... Sono legate alla terra in modo più completo, dato che il loro corpo torna alla terra molto più rapidamente di quello dei vampiri.» Neferet sorrise. «So con esattezza chi sarebbe il sacrificio perfetto. Se mi porti da lei stasera, ti darò il suo sangue.» Il toro piegò le grandi zampe anteriori, per consentire a Neferet di salirgli in groppa. «La tua offerta mi attira, mia spietata Tsi Sgili. Mostrami il sacrificio.» «Desideri portarmi tu?» Anche se lui era in ginocchio, era comunque difficile salire su quella schiena liscia, ma poi la Tenebra venne in aiuto a Neferet e la sollevò come se non pesasse niente. «Crea un’immagine mentale del luogo dove desideri che io ti porti, il luogo in cui possiamo trovare il tuo sacrificio, e io ti ci condurrò.» Neferet si chinò in avanti, stringendo le braccia intorno all’immenso collo, quindi iniziò a visualizzare dei campi di lavanda e una deliziosa casetta in pietra dell’Oklahoma con un’accogliente veranda in legno e ampie finestre... LINDA HEFFER Linda odiava ammetterlo, ma sua madre aveva ragione. «John Heffer è uno su-li», sbottò, usando il termine cherokee per «avvoltoio», che era il modo in cui Sylvia Redbird aveva definito John la prima volta in cui si erano incontrati. «Be’, è anche un imbecille, bugiardo e traditore... un imbecille col conto corrente in rosso e senza libretto di risparmio», aggiunse soddisfatta. «Perché oggi li ho svuotati, un attimo dopo averlo beccato sdraiato sulla scrivania del suo ufficio insieme con la segretaria della parrocchia!» Serrò le mani sul volante della Dodge Intrepid e accese i fari mentre riviveva mentalmente quella scena terribile. Aveva pensato che sarebbe stato carino fargli una sorpresa portandogli in ufficio un pranzo speciale preparato con le sue mani. John ultimamente faceva un sacco di straordinari ma, nonostante tutte quelle ore di lavoro, continuava a fare moltissimo volontariato in chiesa... Linda strinse le labbra. Be’, adesso aveva capito cosa faceva in realtà. O, meglio, chi si faceva! Avrebbe dovuto accorgersene. I segnali c’erano tutti: aveva smesso di prestarle attenzione, smesso di tornare a casa, perso cinque chili e si era persino sbiancato i denti! Lui avrebbe cercato di convincerla a tornare a forza di chiacchiere. Lo sapeva che sarebbe andata così. Aveva persino tentato d’impedirle di scappare via dal suo ufficio, ma non è tanto facile inseguire qualcuno coi calzoni calati. «E la cosa peggiore è che non vorrebbe farmi tornare perché mi ama, ma solo perché così non perderebbe la faccia.» Linda si morse il labbro e sbatté con forza le palpebre, rifiutandosi di piangere. «No. La cosa peggiore è che John non mi ha mai amata. Voleva soltanto sembrare il marito perfetto con una famiglia perfetta, ecco perché gli servivo. Ma la nostra famiglia non è mai stata perfetta... e neanche lontanamente felice.» Aveva ragione mia madre. E anche Zoey aveva ragione. Il pensiero di Zoey fu quello che finalmente diede libero sfogo alle lacrime. A Linda mancava moltissimo: Zoey era la figlia cui si era sempre sentita più vicina. Sorrise tra le lacrime, ricordando di quando loro due si concedevano i weekend della stupidera, sistemandosi assieme sul divano a mangiare schifezze e guardare film della serie del Signore degli Anelli o di Harry Potter, e a volte anche di Guerre Stellari. Da quanto non lo facevano più? Anni. L’avrebbero mai rifatto? Linda soffocò un singhiozzo. Avrebbero potuto anche adesso che Zoey era alla Casa della Notte? E comunque, chissà se Zoey avrebbe voluto rivederla... Se John avesse rovinato in modo irreparabile il suo rapporto con Zoey, Linda non se lo sarebbe mai perdonato. Quello era uno dei motivi per cui era salita in macchina nel cuore della notte e si era diretta a casa della madre. Linda voleva parlarle di Zoey, di come recuperare il rapporto con lei. E voleva anche trovare sostegno nella forza della madre. Le serviva aiuto per restare ferma sulle sue posizioni e non lasciarsi convincere da John a riconciliarsi con lui. Ma soprattutto, Linda voleva sua madre. Non importava che ormai fosse una donna adulta. Aveva ancora bisogno di un abbraccio, di sentirsi dire da Sylvia che sarebbe andato tutto bene, che aveva preso la decisione giusta. Linda era così persa nei suoi pensieri che quasi non vide la svolta per la stradina che passava tra i campi di lavanda. Frenò di colpo, girò a destra e rallentò. Era da più di un anno che non andava da quelle parti, ma non era cambiato niente e ne fu contenta, perché quel posto la faceva sentire di nuovo al sicuro e normale. In veranda, la luce era accesa, così come una lampada all’interno. Linda sorrise, parcheggiò e scese dall’auto. Probabilmente era quella lampada anni ’20 a forma di sirena che sua madre usava per leggere la sera tardi. Solo che per Sylvia Redbird non era tardi. Per lei le quattro del mattino era presto, e quasi ora di alzarsi. Linda stava per bussare alla porta, quando ci vide attaccato un biglietto profumato alla lavanda, con sopra l’inconfondibile calligrafia della madre. Cara Linda, sentivo che saresti venuta ma, non sapendo con certezza quando, mi sono portata avanti consegnando in anticipo saponette, sacchettini e altre cose al pow-wow a Tahlequah. Torno domani. Come sempre, ti prego di fare come se fossi a casa tua. Spero di trovarti qui al mio ritorno. Ti voglio bene. Linda sospirò. Cercando di non sentirsi delusa e scocciata, entrò. «Non è colpa sua. Sarebbe stata qui se io non avessi smesso di passare a trovarla.» Era abituata all’insolita capacità di sua madre di sapere quando stava per ricevere visite. «Sembra che il suo radar funzioni ancora.» Per un attimo restò in piedi in mezzo al soggiorno, cercando di decidere cosa fare. Forse sarebbe dovuta tornare a Broken Arrow. Forse John l’avrebbe lasciata in pace per un po’, almeno quanto le bastava a procurarsi un avvocato e fargli notificare i documenti per il divorzio. Ma quella sera aveva concesso ai ragazzi uno strappo alla regola, lasciando che andassero a dormire dagli amici una sera in settimana, perciò non c’era nessuno a casa. Non era necessario che rientrasse. Linda sospirò di nuovo e stavolta sentì il profumo di sua madre: un misto di lavanda, vaniglia e salvia. Odori veri di erbe vere e di candele fatte a mano, così diversi dai deodoranti elettrici per ambienti che John insisteva a usare invece di «quelle candele che fanno fumo e quelle vecchie piante tutte sporche». Fu il profumo a convincerla. Linda andò decisa in cucina, verso la piccola rastrelliera per il vino, e prese un buon rosso. Aveva intenzione di bersi tutta la bottiglia e leggere uno dei romanzi rosa di sua madre, per poi barcollare fino alla stanza degli ospiti. E si sarebbe goduta ogni minuto! L’indomani Sylvia le avrebbe dato una tisana per far passare il mal di testa, e l’avrebbe aiutata a capire come rimettere in sesto la sua vita. Di cui John Heffer non avrebbe più fatto parte e Zoey, invece, sì. «Heffer... che cognome stupido», commentò Linda versandosi un bicchiere di vino. «Quel cognome è una delle prime cose di cui mi libererò!» Stava osservando la libreria, incerta se scegliere qualcosa di osé di Kresley Cole o di Gena Showalter, oppure l’ultimo di Jennifer Crusie, Maybe This Time. Sì, quello. Fu il titolo a farla decidere: forse, anche per lei era venuto il momento di fare la cosa giusta. Linda stava per mettersi comoda in poltrona, quando udì bussare tre volte alla porta. A suo parere, era decisamente un’ora folle per andare a trovare qualcuno, ma a casa di sua madre non si sapeva mai cosa aspettarsi, quindi andò ad aprire. La vampira sulla soglia era di una bellezza incredibile, aveva un che di familiare ed era completamente nuda. CAPITOLO 25 NEFERET «Lei non è Sylvia Redbird.» Neferet squadrò con disprezzo la donna scialba che le aveva aperto. «No, sono sua figlia Linda. In questo momento mia madre non c’è», replicò lei guardandosi nervosamente intorno e, quando vide il toro bianco, sgranò gli occhi e impallidì di colpo. «Oh! Ma è un... un... toro! Ommioddio ma i campi sono tutti bruciati! Venga, venga dentro, che è più sicuro! Le trovo qualcosa da mettere e poi chiamo la protezione animali o la polizia o qualcuno.» Neferet sorrise e si voltò a osservare il toro, che se ne stava in mezzo al campo di lavanda più vicino. A un occhio inesperto, poteva davvero sembrare che la vegetazione fosse carbonizzata. Ma Neferet non era affatto inesperta. «Il campo non è bruciato, è congelato. Le piante secche sembrano scolorite come dal fuoco. Invece sono ghiacciate», spiegò con lo stesso tono che usava in classe, a lezione. «Io... io non avevo mai visto un toro fare una cosa simile.» Neferet guardò Linda inarcando un sopracciglio. «A lei quello sembra un toro normale?» «No», mormorò la mamma di Zoey. Poi si schiarì la voce e, nell’evidente tentativo di avere un’aria seria, affrontò Neferet. «Mi scusi. Sono un po’ confusa riguardo a quello che sta succedendo. Ma... la conosco? Posso aiutarla?» «Non si preoccupi. Sono Neferet, Somma Sacerdotessa della Casa della Notte di Tulsa, e spero davvero tanto che lei mi possa aiutare. Prima di tutto, mi dica quando pensa che rientri sua madre.» «Oh, ecco perché mi sembrava familiare. Mia figlia Zoey frequenta quella scuola.» «Già, conosco Zoey molto bene.» Neferet fece un sorriso viscido. «Quando ha detto che rientra sua madre?» «Non prima di domani. Posso darle un messaggio da parte sua? E gradirebbe, mmm... un vestito o qualcosa da mettersi?» «Nessun messaggio e nessun vestito.» La maschera di affabilità cadde di colpo e Neferet sollevò una mano per afferrare dei tentacoli di Tenebra nascosti tra le ombre che la circondavano. Poi li scagliò contro la donna umana, ordinando: «Legatela e portatela fuori». Non sentendo il familiare dolore delle ferite che rappresentavano il pagamento per l’uso dei fili di Tenebra, Neferet sorrise all’enorme toro e chinò la testa per ringraziarlo del suo favore. «Mi pagherai dopo, mia spietata Tsi Sgili.» Neferet fremette, pregustando ciò che sarebbe successo. I patetici strilli dell’umana disturbarono le sue fantasie, perciò aggiunse un nuovo ordine: «E imbavagliatela! Non posso certo tollerare questo baccano». Le grida di Linda s’interruppero bruscamente com’erano cominciate. Neferet entrò nel cerchio di lavanda gelata intorno alla bestia, ignorando il freddo che avvertiva in tutto il corpo, e raggiunse decisa il toro bianco. Gli sfiorò un corno con un dito prima di fargli un grazioso inchino. «Ecco il tuo sacrificio.» Il toro guardò oltre la sua spalla. «Questa non è una potente matriarca. Questa è una patetica casalinga la cui vita è stata consumata dalla debolezza.» «Vero, ma sua madre è una saggia del popolo cherokee. Nelle sue vene scorre lo stesso sangue.» «Diluito.» «La puoi usare come sacrificio o no? Può servire per creare il mio Strumento?» «Sì, tuttavia il tuo Strumento sarà perfetto solo quanto il tuo sacrificio.» «Ma gli darai un potere che io posso controllare?» «Sì.» «Allora è mio desiderio che tu accetti questo sacrificio. Non aspetterò la madre quando posso avere subito la figlia, e quindi lo stesso sangue.» «Come desideri, mia spietata Tsi Sgili. Mi sono stancato di tutto questo. Uccidila in fretta e passiamo oltre.» Neferet non replicò. Si voltò e raggiunse l’umana. Non si divincolava neanche. Singhiozzava soltanto, piano, mentre i tentacoli di Tenebra le incidevano strisce rosse sulla bocca, sul viso e sul corpo. «Mi serve una lama. Subito.» La mano di Neferet si riempì di gelo e di dolore, che presero la forma di un lungo pugnale di ossidiana. Con un singolo movimento, lei tagliò la gola di Linda. Gli occhi della donna si spalancarono e si rovesciarono, fino a mostrare soltanto il bianco, mentre il sangue scivolava fuori del suo corpo, assieme alla vita. «Prendetelo tutto. Non sprecate neppure una goccia.» All’ordine del toro bianco, i tentacoli di Tenebra fremettero intorno alla madre di Zoey, attaccandosi alla sua gola e a tutte le altre ferite, quindi iniziarono a succhiare. Incantata, Neferet vide che ciascun tentacolo aveva un filo che tornava al toro, dissolvendosi nel suo corpo, nutrendolo di sangue umano. Il toro gemette di piacere. Quando l’umana fu solo un guscio vuoto e il toro sospirò soddisfatto, gonfio di morte, Neferet si diede alla Tenebra nel modo più totale e assoluto. HEATH «Vai, vai, vai, Neal!» Heath lanciò la palla al ricevitore con la maglia dei Golden Hurricane di Tulsa e sulla schiena il nome SWEENEY. Sweeney dribblò un gruppetto di ragazzi con la divisa viola e crema dell’Oklahoma University per andare in touchdown. Heath sollevò il pugno. «Sììì! Sweeney potrebbe acchiappare un moscerino sulla schiena di una mosca!» «Ti stai divertendo, Heath Luck?» Sentendo la voce della Dea, Heath smise di esultare e rivolse a Nyx un sorriso un po’ colpevole. «Sì, già, qui è grandioso. Non si smette mai di giocare, inoltre ho dei ricevitori fantastici e grande tifo e, quando mi stufo del football, appena in fondo alla strada c’è quel lago... È pieno di spigole da far piangere di gioia un pescatore professionista.» «E le ragazze? Non vedo tifose e nemmeno pescatrici.» Il sorriso di Heath si affievolì. «Ragazze? No. Io ce l’ho già una ragazza, e non è qui. Ma questo lo sai, Nyx.» Il sorriso di Nyx era radioso. «Stavo solo controllando. Vorresti sederti a parlare con me un momento?» «Sì, certo.» A un gesto di Nyx, lo stadio da college vecchio stile scomparve e, all’improvviso, Heath si ritrovò sull’orlo di un precipizio in cima a un canyon immenso e talmente profondo che il fiume che scorreva sul fondo sembrava una sottile striscia d’argento. Il sole sorgeva sull’altro lato del crinale e il cielo era pieno delle sfumature viola, rosa e azzurre di una nuova splendida giornata. Con la coda dell’occhio, Heath colse un movimento e si girò in quella direzione: centinaia – forse migliaia – di sfere scintillanti rotolavano giù nel burrone, alcune simili a perle elettriche, altre a geode tondeggianti, mentre altre ancora erano di colori fluorescenti così vivaci da far quasi male agli occhi. «Wow! È magnifico qua sopra! Cosa sono?» domandò Heath. «Spiriti», rispose Nyx. «Davvero? Tipo fantasmi?» «Un po’. Diciamo tipo te», replicò Nyx con un caldo sorriso. «Che strano! Io non somiglio per niente a quelle cose. Io somiglio a me.» «In questo momento sì.» Heath si guardò per controllare di essere ancora, be’, lui. Accertatosi che fosse tutto a posto, tornò a fissare la Dea. «Devo prepararmi a cambiare?» «Questo dipende solo da te. Come si dice nel tuo mondo, ho una proposta da farti.» «Grandioso! Che figata ricevere una proposta da una Dea!» Nyx gli diede un’occhiataccia. «Non quel tipo di proposta.» «Oh. Uh. Scusa.» Heath si sentì la faccia bollente. Cavolo se era scemo! «Non intendevo mancarti di rispetto. Stavo solo scherzando, cioè...» S’interruppe, asciugandosi il viso con una mano. La Dea, però, gli sorrideva divertita. «Okay», riprese il ragazzo, sollevato che non l’avesse incenerito con un lampo o roba simile. «Riguardo a quella proposta?» «Ottimo. È bello sapere di avere tutta la tua attenzione. Bene, io ti progongo di scegliere.» Heath sbatté le palpebre. «Scegliere? Tra cosa?» «Sto per darti la possibilità di scegliere fra tre futuri diversi. Prima di scoprire quali sono le alternative, però, devi sapere che, una volta intrapreso un cammino, il risultato finale resta aperto. L’unica cosa fissa e determinata è la tua decisione. Ciò che accadrà poi è lasciato al caso e al destino, oltre che alle risorse della tua anima.» «Okay, credo di aver capito: mi stai dicendo che dovrò scoprire più o meno da solo come percorrere la strada che scelgo?» «Con la mia benedizione», aggiunse la Dea. Heath sogghignò. «Be’, lo spero bene.» Nyx però rimase incredibilmente seria. «Io ti darò la mia benedizione, ma solo se continuerai sul mio cammino. Non posso benedire un futuro in cui scegli la Tenebra.» «E perché dovrei farlo? Non ha mica senso», ribatté Heath. «Ascoltami con attenzione, figlio mio, e valuta le scelte che ti offro. Solo allora capirai.» «Okay», disse lui, anche se c’era qualcosa nel tono della Dea che gli aveva fatto annodare lo stomaco. «La prima alternativa è che tu rimanga in questo regno. Ti sentirai soddisfatto, come sei stato finora, e ti divertirai spensierato assieme agli altri miei figli.» «Soddisfatto non significa felice. Sono un atleta, ma questo non vuol dire che sono stupido», commentò sottovoce il ragazzo. «Certo che no. Alternativa numero due: rinasci. Questo significa che potresti rimanere qui a divertirti per un secolo o anche più, ma alla fine salterai da questo precipizio per ritornare al regno mortale come essere umano, che alla fine incontrerà di nuovo la sua anima gemella.» «Zoey!» Heath si chiese come mai gli ci fosse voluto tanto per ricordare il suo nome. Cosa c’era che non andava in lui? Perché l’aveva dimenticata? Perché non aveva... Nyx gli sfiorò delicatamente il braccio. «Non essere così severo con te stesso. L’Aldilà può avere un effetto inebriante. Non hai dimenticato il tuo amore, non potresti mai. Hai soltanto lasciato che il bambino che è in te prendesse il sopravvento per un po’. Alla fine avrebbe lasciato spazio all’adulto e ti saresti ricordato di Zoey e del tuo amore per lei. In circostanze normali, è così che vanno le cose. Ma, al giorno d’oggi, il mondo non è normale e non lo sono nemmeno le circostanze in cui ci troviamo. Perciò ho intenzione di chiedere al bambino che è in te di crescere un po’ più in fretta, se sarà questo che deciderai.» «Se ha a che vedere con Zo, rispondo subito di sì.» «Ascoltami bene, Heath Luck. Se decidi di rinascere come essere umano, ritroverai la tua Zoey, questo te lo prometto. Tu e lei siete destinati a stare insieme, come vampira e compagno o vampira e consorte. Succederà, e tu puoi scegliere se farlo accadere in questa vita.» «Allora io...» La mano sollevata della Dea lo zittì. «Esiste una terza opzione: mentre io parlo con te, il mondo mortale sta cambiando. La grande ombra della Tenebra si sta diffondendo sempre di più. Per questo motivo, bene e male non sono più in equilibrio.» «Be’, non puoi semplicemente intervenire tu e sistemare le cose?» «Sì, se non avessi fatto dono ai miei figli del libero arbitrio.» «Sai, a volte la gente è stupida e ha bisogno che le si dica cosa fare», replicò Heath. L’espressione di Nyx rimase seria, ma i suoi occhi scuri scintillavano. «Se cominciassi a togliere il libero arbitrio e a controllare le decisioni dei miei figli e delle mie figlie, dove andremmo a finire? Non sarei diversa da un burattinaio che gioca con le marionette.» Heath sospirò. «Immagino che tu abbia ragione. Insomma, sei una dea e tutto il resto, quindi sono sicuro che tu sappia di cosa stai parlando, però non sembra facile.» «Raramente facile significa anche migliore.» «Già, lo so. Ed è uno schifo. Allora, com’è la storia della mia terza alternativa? Stavi cercando di dirmi che ha a che vedere col bene e il male?» «Proprio così. Neferet è diventata immortale, una creatura della Tenebra. Stanotte si è alleata col male allo stato più puro che si possa manifestare nel regno mortale, cioè col toro bianco.» «Quello lo conosco. Ho visto una cosa del genere che cercava di raggiungerci non appena sono morto.» Nyx annuì. «Sì, il toro bianco è stato risvegliato dalle alterazioni dell’equilibrio tra bene e male nel mondo mortale. Era da un tempo lunghissimo che non si spostava da un regno all’altro come sta facendo adesso.» La Dea rabbrividì. «Cosa sta succedendo? Cosa fanno là sotto?» domandò Heath preoccupato. «Il toro bianco sta per donare a Neferet uno Strumento, un essere vuoto, tipo un automa, creato dalla Tenebra attraverso un terribile sacrificio unito a lussuria, avidità, odio e dolore. Lei potrà controllarlo in modo assoluto e sarà la sua arma decisiva, o almeno è ciò che spera. Vedi, Heath, se il sacrificio fosse stato perfetto, lo Strumento sarebbe stato un’arma praticamente invincibile. Ma c’è un punto debole, ed è lì che entra in gioco la tua scelta.» «Non ci arrivo», replicò il ragazzo. «Lo Strumento dovrebbe essere una macchina priva di anima tuttavia, dato che il sacrificio che ha alimentato la sua creazione non era perfetto, io sono in grado d’influire su di lui.» «Come se avesse un tallone d’Achille?» «Sì, più o meno. Se dovessi scegliere questa terza alternativa, userei la falla nella creazione di quell’essere per inserire la tua anima nello Strumento altrimenti vuoto.» Heath sbatté le palpebre, cercando di capire bene l’enormità di quanto stava dicendo la Dea. «Ma lo saprei, di essere io?» «Quando le anime rinascono, mantengono solo l’essenza più pura di ciò che sono. Quella non scompare mai, per quante vite possa prevedere il ciclo della rinascita. E, ovviamente, se dovesse essere questa la tua scelta, conosceresti anche l’amore. Pure quello non scompare mai. Può solo essere represso, ignorato o evitato.» «Aspetta, rallenta un attimo. Questo mostro è nel mondo di Zoey? In questo momento?» «Sì, verrà creato stanotte, nel moderno mondo di Zoey.» «Da Neferet, la nemica di Zo?» «Sì.» «Quindi Neferet ha intenzione di usare quell’affare contro la mia Zo?» Heath cominciava ad arrabbiarsi sul serio. «Sono sicura che sia proprio così», convenne Nyx. «Mmm... Con me dentro di lui ci può provare ma non andrà molto lontano.» «Prima che tu prenda la decisione finale, c’è una cosa che devi comprendere: tu non saresti il ragazzo che conosci. Heath non ci sarà più. Rimarrà la tua essenza, non i tuoi ricordi. E vivrai all’interno di un essere creato per distruggere ciò che più ami. Potresti benissimo soccombere alla Tenebra.» «Nyx, facciamola breve: Zo ha bisogno di me?» «Sì.» «Allora scelgo la terza opzione. Voglio essere messo nello Strumento», sentenziò Heath. Il sorriso di Nyx era radioso. «Sono orgogliosa di te, figlio mio. Sappi che torni nel mondo moderno con una mia benedizione molto speciale.» Dall’aria sopra di sé, la Dea prese qualcosa che a Heath sembrò un filo d’argento, così luminoso e splendido da farlo rimanere senza fiato. Sotto il tocco leggero delle dita della Dea, il filo diventò una sfera grande come una monetina che splendeva di una luce antica e speciale, simile a un pezzo di selenite illuminata dall’interno. «Wow, che figata! Cos’è?» «Magia del tipo più antico. Nel mondo moderno è presente solo di rado, perché risente molto dell’eccessiva civilizzazione. Ma sarà l’antica magia del toro bianco a creare lo Strumento, perciò è giusto che sia presente anche la mia magia antica.» Mentre Nyx continuava a parlare, la sua voce assunse un tono cantilenante che sembrò unirsi alla bellezza della sfera, completandola. Una finestra nell’anima per vedere Luce e Magia che assieme a te voglio inviare. Sii forte, sii coraggioso e fa’ la scelta giusta, anche se la voce della Tenebra schiocca come frusta. Sappi che da quassù osservo con grande fervore e che sempre e comunque la risposta è amore! La Dea scagliò verso di lui la sfera d’argento che riempì gli occhi di Heath, accecandolo con la sua luce magica e facendolo barcollare all’indietro. All’improvviso, lui si accorse di star ruzzolando oltre l’orlo del dirupo, precipitando giù, giù, giù... CAPITOLO 26 NEFERET Neferet aveva male ovunque, ma non le importava. La verità era che il dolore le piaceva. Prese un profondo respiro, attirando automaticamente a sé quanto restava del potere del toro e che stava scivolando tra le ombre formate dal chiarore che precedeva l’alba. La Tenebra le aveva dato forza. Ignorando il sangue ormai secco che le copriva la pelle, si alzò. Il toro l’aveva lasciata sul terrazzo del suo attico. Kalona non c’era. Ma questo ormai contava poco per lei. Non lo voleva più perché, dopo quella sera, non ne avrebbe più avuto bisogno. Neferet si rivolse a nord, la direzione legata all’elemento terra. Sollevò le braccia e iniziò a intessere nell’aria invisibili e potenti fili di magia antica e di Tenebra. Poi, con voce priva di emozione, pronunciò l’incantesimo che le aveva insegnato il toro. Da terra e sangue sei nato, su un patto con la Tenebra ho giurato, colmo di potere udirai la mia voce soltanto perché la tua vita è mia, e questo è quanto. Completa l’impegno di stanotte del toro e della sua terribile luce oscura fa’ sempre tesoro! La Tsi Sgili scagliò davanti a sé l’inferno di Tenebra che le si era avviluppato alle mani. Non appena toccò il pavimento del terrazzo, la massa informe esplose per poi assumere una forma simile a una colonna luminosa – dalla tinta che tanto le ricordava il manto color perla del toro bianco – che ondeggiava, si contorceva, si trasformava... Neferet assistette affascinata alla creazione dello Strumento. Era bellissimo, un giovane davvero splendido, alto e forte. Una persona normale non avrebbe visto in lui neppure la minima traccia di Tenebra. La pelle era liscia e priva di difetti, i capelli erano lunghi, folti e biondi come il grano d’estate, aveva lineamenti magnifici... insomma, in apparenza era assolutamente impeccabile. «Inginocchiati e ti darò un nome.» Lui obbedì all’istante, appoggiando un ginocchio a terra. Neferet sorrise e posò la mano sporca di sangue sulla setosa testa bionda. «Ti chiamerò Aurox, in ricordo del toro primigenio.» «Sì, padrona, io sono Aurox», replicò lui. Neferet iniziò a ridere, a ridere, a ridere, senza curarsi del fatto che la sua voce fosse venata di follia e isterismo, senza curarsi di aver lasciato Aurox in ginocchio sul terrazzo in attesa del suo ordine successivo. E senza accorgersi che, mentre lei si allontanava, Aurox la osservava con occhi che splendevano di una luce antica e speciale, simili a pezzi di selenite illuminati dall’interno... ZOEY «Sì, lo so che Nyx l’ha perdonato e l’ha trasformato in un ragazzo. Cioè, più o meno: non so tu, ma io non conosco altri ragazzi che di giorno diventano corvi.» Stark sembrava stanchissimo, però non abbastanza da smettere di preoccuparsi. «È la conseguenza delle cose cattive che ha fatto», gli dissi rannicchiandomi contro di lui e cercando d’ignorare il poster di Jessica Alba appeso alla parete. Stark e io avevamo occupato la stanza di Dallas nei tunnel sotto lo scalo ferroviario. Io avevo usato gli elementi per eliminare un po’ di sporcizia, mentre gli altri si erano dati da fare con un sacco di pulizie vecchio stile. Ci sarebbe voluto ancora parecchio per sistemare per bene, ma perlomeno era abitabile e soprattutto si trattava di una Zona Neferet-Free. «Giusto, però è comunque strano che fino a poco tempo fa fosse ancora il figlio prediletto di Kalona e un Raven Mocker», continuò Stark. «Ehi, non sto dicendo che hai torto. Anche a me suona strano, però mi fido di Stevie Rae e lei lo ama. E lo amava anche prima che sparissero becco e piume. Cavolo! Devo farmi raccontare tutto.» M’interruppi. «Chissà cosa sta succedendo tra loro in questo momento.» «Non molto. Il sole è appena sorto. È ridiventato corvo. Ehi, Stevie Rae ti ha detto se aveva intenzione di metterlo in una gabbietta?» Gli diedi un pugno. «Cretino!» «Per me sarebbe logico.» Sbadigliò. «Qualunque cosa decida di fare, dovrai aspettare fino al tramonto per scoprirlo.» «È arrivata l’ora di fare la nanna, piccolino?» gli chiesi sogghignando. «Piccolino? Stai facendo la furba, ragazza?» Ridacchiai. «La furba? Sì, certo. Che ti credevi?» «Aye, wumman, vieni un po’ qui!» Stark iniziò a farmi un mega solletico e cercai di vendicarmi tirandogli i peletti sulle braccia. Strillò (come una ragazzina) e poi la faccenda si trasformò in un incontro di wrestling in cui io, non so come, finii bloccata. «Ti arrendi?» mi chiese. Con una mano mi stringeva entrambi i polsi e mi teneva le braccia sopra la testa, facendomi ulteriore solletico alle orecchie col respiro affannato. «Neanche per sogno; tu non sei il mio padrone.» Mi divincolai (inutilmente). Okay, lo ammetto, non è che mi stessi impegnando molto per liberarmi. Voglio dire, era sopra di me e non mi faceva male – come se Stark potesse mai farmi del male – ed era super sexy e io l’amavo. «A essere sincera, ci sto andando piano con te. Mi basterebbe chiamare i miei fighissimi poteri elementali e il tuo bel sederino verrebbe preso subito a calci.» «Bello, eh? Pensi che il mio sedere sia bello?» «Forse. Ma questo non significa che non chiamerei gli elementi per farlo prendere a calci», replicai cercando di non sorridere. «D’accordo, allora sarà meglio che te lo impedisca tenendoti occupata la bocca.» Quando iniziò a baciarmi, pensai che era strano e allo stesso tempo fantastico che una cosa così piccola, appena un bacio, potesse darmi così tanto. Le sue labbra sulle mie erano morbide e in grande contrasto col suo corpo forte. Poi tutte quelle considerazioni scivolarono via, perché il suo bacio mi fece proprio smettere di pensare in assoluto. Riuscivo soltanto a percepire il suo corpo, il mio corpo, il nostro piacere. Quindi non pensai che mi stava tenendo ancora bloccata per i polsi con le braccia sopra la testa. Non pensai quando la sua mano libera s’infilò sotto l’enorme maglietta da Superman che portavo come pigiama. E continuai a non pensare quando le sue dita si spostarono sopra le mie mutande. Iniziai a pensare solo quando il suo bacio cambiò. Passò da morbido e profondo a violento. Troppo violento. Come se all’improvviso stesse morendo di fame e io fossi stata il cibo che metteva fine a quella tortura. Tentai di liberare i polsi, ma la sua stretta era troppo forte. Voltai la testa e le sue labbra mi disegnarono un sentiero bollente sul collo. Cercavo di riavviare il cervello, di capire cosa fosse a darmi tanto fastidio, quando lui mi morse. Forte. Non fu un morso come quello sull’isola di Skye. Allora era stato un gesto condiviso. Una cosa che desideravamo entrambi. Stavolta era rozzo e possessivo e decisamente non condiviso. «Ahi! Stark, mi fai male!» Stortai i polsi e riuscii a liberare una mano, così finalmente potei provare a spingerlo via. Lui gemette e si strofinò contro di me, come se non mi avesse nemmeno udita. Sentii di nuovo i suoi denti sulla pelle e stavolta strillai, incanalando verso di lui un sacco di pensieri tipo: Piantala! Mi fai male sul serio! Solo allora lui si sollevò a incrociare il mio sguardo. Per meno di un secondo, nei suoi occhi scorsi una strana scintilla che mi mise i brividi. Mi tirai indietro, Stark sbatté le palpebre e mi guardò con un’espressione interrogativa che diventò subito sconvolta. Mi lasciò immediatamente il polso. «Merda! Zoey, scusa, mi dispiace. Gesù, scusami! Stai male?» Mi stava tastando in modo quasi isterico, perciò mi tolsi le sue mani di dosso, guardandolo storto. «Come sarebbe a dire ’stai male’? Che cavolo hai in testa? Eri troppo violento!» Stark si passò una mano sul viso. «Io non me ne sono reso conto... non so perché...» S’interruppe, prese un bel respiro e ricominciò: «Scusa. Non sapevo che ti stavo facendo male». «Mi hai morso.» «Sì, be’, in quel momento sembrava una buona idea.» «Faceva male», replicai massaggiandomi a mia volta il collo. «Fammi vedere.» Spostai la mano e lui mi studiò il collo. «È un po’ rosso, tutto qui.» Si chinò a baciarmi il punto dolorante con infinita delicatezza, poi aggiunse: «Ehi, non pensavo di averti morsa tanto forte. Sul serio, Zy». «Sul serio, Stark, invece era così. E non mi hai lasciato i polsi quando te l’ho chiesto.» Stark emise un lungo respiro. «Okay, d’accordo, farò in modo che non succeda più. È solo che ti voglio così tanto e tu mi piaci così tanto...» «... che non riesci a controllarti? Ma che cavolo stai dicendo?» «No! No, non è così. Zoey, non pensarlo neanche. Io sono il tuo Guerriero, il tuo Guardiano... è mio dovere proteggerti da chiunque possa farti del male.» «Questo include anche te?» chiesi. Lui cercò di sostenere il mio sguardo, con gli occhi colmi di confusione, tristezza e amore, tanto amore. «Questo include anche me. Pensi davvero che potrei farti del male?» Sospirai. Gli stavo facendo una menata colossale... e per cosa? Okay, si era lasciato trasportare, mi aveva bloccato i polsi, mi aveva morsa e non si era messo sull’attenti nell’istante in cui gli avevo detto di piantarla. Dopo tutto era un maschio. Com’è quel vecchio detto? Se ha le ruote o i testicoli, ti darà dei problemi. «Davvero, Zoey. Non permetterei a nessuno di farti del male. Ti ho fatto un giuramento, e poi ti amo e...» Gli posai un dito sulle labbra, zittendolo. «Okay, basta. Non penso che lasceresti che mi si faccia del male. Sei stanco. Il sole è sorto. Abbiamo avuto una giornata pazzesca. Mettiamoci a dormire e accordiamoci su ’basta morsi’.» «A me sta benissimo.» Stark spalancò le braccia. «Ti va di venire qui?» Annuii e mi appiccicai a lui. Il suo tocco era normale: forte e deciso, ma molto, molto delicato. «Ho dei problemi quando dormo», disse un po’ esitante. «Lo so, dato che dormo con te. È abbastanza evidente.» Gli baciai la spalla. «Stavolta non hai intenzione di chiedermi se voglio andare in terapia da Dragone Lankford?» «Lui è rimasto là. Non ha lasciato la Casa della Notte insieme con noi», replicai. «Nessuno dei prof l’ha fatto. Anche Lenobia è rimasta, e sai che ci spalleggia al cento per cento.» «Sì, ma lei non può piantare lì i cavalli, e qui proprio non li possiamo portare. E poi per Dragone è diverso. Lui mi sembra diverso. Non ha voluto perdonare Rephaim anche se in pratica Nyx gli aveva detto di farlo.» Stark annuì. «È stato davvero brutto. Però, sai, neanch’io sarei tanto contento di perdonare uno che ti avesse uccisa.» «Sarebbe come per me perdonare Kalona per Heath», convenni sottovoce. Stark mi abbracciò più stretta. «E potresti farlo?» «Non lo so. Sinceramente non so...» esitai, inciampando nelle parole. «Coraggio, continua. A me puoi dire tutto.» Intrecciai le dita alle sue. «Nell’Aldilà, quando tu eri... sì, be’... morto, c’era Nyx.» «Sì, me l’hai detto. Ha fatto in modo che Kalona pagasse per il debito che aveva con te, facendomi tornare a vivere.» «Già, quello che non ti ho detto, però, è che, di fronte a Nyx, Kalona faceva il sentimentale. Le ha chiesto se l’avrebbe mai perdonato.» «E la Dea cos’ha risposto?» «Gli ha detto di chiederglielo di nuovo se mai fosse stato degno del suo perdono. A dire il vero, Nyx si è comportata in modo molto simile a stasera, quando ha parlato con Neferet.» Stark sbuffò. «Non un buon segno né per Neferet né per Kalona.» «Già. In ogni caso, la risposta che darei sul perdonare Kalona somiglia molto a quella che ha dato Nyx a lui e a Neferet... cioè, non che io mi creda una dea o roba simile, ma penso che il perdono, quello vero, sia un dono che ci si deve meritare. In ogni caso, non penso che Kalona deciderà mai di chiedere perdono a me, quindi...» «Però stasera ha liberato Rephaim.» Stark sembrava nel bel mezzo di un conflitto di emozioni... come lo capivo, anch’io mi sentivo così! «Ci ho riflettuto e l’unica conclusione cui sono arrivata è che in qualche modo liberare Rephaim costituisce un vantaggio per Kalona», dissi. «Quindi dobbiamo tenere d’occhio Rephaim», concluse Stark. «Hai intenzione di dirlo a Stevie Rae?» «Sì, però lei lo ama.» Annuì di nuovo. «E non sempre quando si ama qualcuno lo si vede in modo oggettivo.» Mi tirai indietro quanto bastava per dargli un’occhiataccia. «Cos’è, parli per esperienza?» «No, no, no», si affrettò a rispondere aggiungendo un sorrisetto da sbruffone stanco. «Non per esperienza.» Stark mi tirò dolcemente a sé e tornai a rannicchiarmi contro di lui. «Adesso è ora di dormire. Metti giù quella testaccia, wumman, e lasciami riposare.» «Okay, fai davvero impressione da tanto sembri Seoras.» Alzai lo sguardo verso Stark, scuotendo la testa. «Guarda che se ti fai crescere una barbetta da capra come la sua ti licenzio subito.» Stark si accarezzò il mento come stesse considerando l’idea. «Non mi puoi licenziare. Ho un contratto a vita.» «Allora smetterò di baciarti.» «Niente barba per me, lassie.» Sorrise. In fondo ero proprio felice che avesse «un contratto a vita», e speravo significasse che avrebbe avuto il suo «lavoro» per molto, molto tempo. «Ehi, senti se ti va: tu ti addormenti per primo e io resto sveglia per un po’. Stasera farò io la guardia al Guardiano», aggiunsi accarezzandogli la guancia. «Grazie», disse in tono molto più serio di quanto mi sarei aspettata. «Ti amo, Zoey Redbird.» «Ti amo anch’io, James Stark.» Stark mi baciò il complesso tatuaggio sul palmo della mano. Quando chiuse gli occhi e cominciò a rilassarsi, gli passai le dita tra i folti capelli castani, chiedendomi per un istante se e quando Nyx avrebbe fatto aggiunte ai miei incredibili tatuaggi. Mi aveva dato dei Marchi, li aveva cancellati per poi restituirmeli quando ero tornata dall’Aldilà. Magari adesso erano completi e non ne avrei avuti altri. Stavo cercando di decidere se fosse un bene oppure no, quando le palpebre mi diventarono troppo pesanti per continuare a tenere gli occhi aperti. Pensai di chiuderli almeno per un pochino. In fondo Stark stava dormendo tranquillo, quindi forse non sarebbe successo niente... I sogni sono proprio strani. Stavo sognando di volare tipo Superman, sapete, con le braccia tese in avanti, e nella testa mi risuonava la colonna sonora dei film vecchi, quelli col superfavoloso Christopher Reeve, quando cambiò tutto. La musica venne sostituita dalla voce di mia mamma. «Sono morta!» diceva. «Sì, Linda, è così», interveniva subito la voce di Nyx. Mi si annodò lo stomaco. È un sogno. È solo un brutto incubo! cercai di convincermi. «Abbassa lo sguardo, figlia mia. È importante che tu sia testimone.» Quando la dea mi bisbigliò nella mente capii che la realtà si era infilata nel mondo dei sogni. Non volevo, non volevo proprio, però obbedii. Sotto di me c’era quello che avevo cominciato a considerare l’ingresso al regno di Nyx: l’immensa Tenebra in cui mi ero lanciata per riportare il mio spirito nel corpo e, su una zona di terra battuta, un arco di pietra, oltre il quale si estendeva il magico bosco della Dea, con l’etereo albero dei desideri, versione amplificata di quello dove Stark e io avevamo legato i nostri sogni durante quella splendida giornata sull’isola di Skye. E, appena oltre l’arco, c’era la mia mamma, proprio di fronte a Nyx. «Mamma!» gridai, ma né lei né la Dea reagirono al suono della mia voce. «Sii una testimone silenziosa, figlia mia.» Così volteggiai sopra di loro e guardai, mentre lacrime silenziose mi bagnavano il viso. Con voce flebile e impaurita, mia mamma chiese: «Allora Dio è una donna? O i miei peccati mi hanno mandata all’inferno?» Nyx sorrise. «Qui non ci preoccupano i peccati del passato. Qui, nel mio Aldilà, badiamo unicamente al tuo spirito e a quale sostanza sceglie di portare con sé: la Luce o la Tenebra. In verità è una cosa molto semplice.» La mamma si mordicchiò un labbro per un attimo. «E il mio cosa porta, Luce o Tenebra?» Il sorriso di Nyx non si affievolì. «Devi dirmelo tu, Linda. Cos’hai scelto?» Vedendo mia madre che scoppiava a piangere, mi si strinse il cuore. «Ho paura di essere stata dalla parte del male fino a pochissimo tempo fa.» «C’è una grande differenza tra essere deboli ed essere malvagi», spiegò Nyx. La mamma annuì. «Sono stata debole. Non è che lo volessi, ma la mia vita era come una valanga che rotolava giù da una montagna, e io non riuscivo a trovare il modo di fermarla e tirarmene fuori. Però adesso, alla fine, ci volevo provare. È per questo che ero a casa di mia madre. Volevo riprendermi la mia vita e riunirmi a mia figlia Zoey. Lei è...» S’interruppe e sgranò gli occhi. «Tu sei Nyx, la Dea di Zoey!» «Sì, sono proprio io.» «Oh! Allora un giorno anche Zoey verrà qui?» Mi abbracciai da sola per farmi coraggio. Mi voleva bene. La mamma mi voleva bene davvero. «Ci verrà, anche se spero che questo accadrà solo tra tanti, tantissimi anni.» Timorosa, la mamma chiese: «Potrei entrare ad aspettarla?» «Certo.» Nyx allargò le braccia e sentenziò: «Benvenuta nell’Aldilà, Linda Redbird. Lasciati alle spalle dolore, rimpianti e tristezza, e porta con te l’amore. Sempre amore». A quel punto, la mamma e Nyx scomparvero in un lampo accecante. Mi svegliai, sdraiata sul bordo del letto, le braccia intorno al petto, che piangevo come una fontana. Stark si svegliò subito. «Cosa c’è?» Mi si avvicinò, abbracciandomi. «È la... la mia mamma. Lei è... è morta», singhiozzai. «Sai, mi voleva bene davvero.» «Ma certo che ti voleva bene, Zy!» Chiusi gli occhi e mi lasciai consolare da Stark, piangendo per buttar fuori dolore, rimpianti e tristezza, finché ciò che rimase fu l’amore. Sempre amore. Questa è la fine... per ora. Document Outline RINGRAZIAMENTI CAPITOLO 1 NEFERET CAPITOLO 2 NEFERET CAPITOLO 3 ZOEY CAPITOLO 4 ZOEY CAPITOLO 5 STEVIE RAE CAPITOLO 6 JACK CAPITOLO 7 REPHAIM CAPITOLO 8 STEVIE RAE CAPITOLO 9 ZOEY CAPITOLO 10 ZOEY STARK CAPITOLO 11 KALONA STARK CAPITOLO 12 REPHAIM CAPITOLO 13 STEVIE RAE CAPITOLO 14 REPHAIM STEVIE RAE CAPITOLO 15 ZOEY CAPITOLO 16 STEVIE RAE CAPITOLO 17 STEVIE RAE CAPITOLO 18 REPHAIM CAPITOLO 19 ZOEY CAPITOLO 20 ZOEY CAPITOLO 21 ZOEY CAPITOLO 22 STEVIE RAE CAPITOLO 23 REPHAIM CAPITOLO 24 NEFERET LINDA HEFFER CAPITOLO 25 NEFERET HEATH CAPITOLO 26 NEFERET ZOEY Esonerato dal Consiglio dei Vampiri e dalla sua posizione di Sacerdote nella Casa della Notte, Neferet ha giurato vendetta a Zoey. Con Awakened, l’affiatata coppia di scrittori P.C. e Kristin Cast, torna con un altro affascinante episodio sui vampiri della Casa della Notte. Umani e esseri soprannaturali convivono in questa saga che è diventata in poco tempo un vero e proprio fenomeno editoriale. Heath, il fidanzato di Zoey, muore lasciando la ragazza in preda alla disperazione e imprigionata nell’Aldilà. La sua anima è stata divisa in mille pezzettini e il ritorno nel mondo normale sembra impossibile. Neferet ha il totale dominio su Kalona e questa è solo una delle armi che ha intenzione di usare contro Zoey, per vendicarsi e torturarla fino all’ultimo spasmo. Ma Zoey trova rifugio sull’isola di Skye e viene curata dalla regina Sgiach che le propone di rimanere lì e di “lavorare” per lei. In fondo perché dovrebbe tornare a Tulsa? Dopo aver perso il suo consorte Heath, lei e la sua vita non saranno più le stesse e il suo rapporto con il suo super guerriero, Stark, non potrà mai consolarla per un vero e unico amore perduto. La scelta per Zoey sembra difficile e non tornare sembra la soluzione più facile e quella meno dolorosa: abbandonare tutto e tutti, senza creare più problemi e dimenticando il dolore in cui è sprofondata. E che dire di Steve Rae e Refaim? Nell’ottavo libro della serie della Casa della Notte, genialmente creato da padre e figlia, P.C. e Kristin Cast, ogni scelta è vissuta fino al cardiopalmo e ogni personaggio è attanagliato da dubbi atroci. Fino a che punto si estendono i vincoli di amicizia che legano tutti i ragazzi della Casa? E quanto sono forti i legami che vincolano il cuore della nostra Zoey? La ragazza, se decide di tornare, dovrà affrontare una delle prove più difficili della sua vita: convivere con il fantasma del suo fidanzato morto, riportato in vita da Neferet per usarlo contro di lei. Il suo scopo è uno solo: uccidere la giovane vampira. Awakened è la disfatta di Zoey Redbird, ma anche la sua rinascita e una nuova luce per tutta la Casa della Notte. Lo ammetto: da quando Heath è morto, mi sento come svuotata. Stavamo insieme da sempre, da prima che io ricevessi il Marchio e diventassi la famosa Zoey Redbird, la novizia vampira più dotata della Storia. È per questo che volevo accettare la proposta di Sgiach – la regina dei Guerrieri – di restare per sempre sull’isola di Skye. Credevo infatti che solo in quel posto sperduto sarei riuscita a dimenticare il dolore. Poi, però, Stevie Rae mi ha contattato per riferirmi una notizia sconvolgente: uno dei nostri migliori amici è morto. Sebbene non possa dimostrarlo, lei è certa che sia stato ucciso da Neferet. Purtroppo nessuno le crede: in effetti, chi sospetterebbe della Somma Sacerdotessa della Casa della Notte di Tulsa? Tuttavia io so di cosa è capace quella vampira: è talmente malvagia da essersi perfino alleata col Male personificato! Devo farmi forza. Ho già perso le due persone che più mi stavano a cuore, non posso permettere che accada di nuovo. Tornerò a casa e combatterò. Perché, altrimenti, tutti i vampiri cadranno vittima di Neferet e il mondo sprofonderà nel caos… P.C. Cast è nata a Watseka, Illinois, ma ha trascorso parte della sua giovinezza in Oklahoma, imparando ad amare i cavalli da corsa e la mitologia. Dopo il liceo, si è arruolata nell’Aeronautica ma, nel frattempo, ha continuato a nutrire la sua passione per la narrativa, alla quale adesso si dedica quasi interamente, alternandola al lavoro di insegnante. Kristin Cast è sua figlia e frequenta l’University of Tulsa, dove studia Comunicazione. La parola scritta l’ha sempre affascinata: al liceo, era direttore del giornale della scuola e adesso è un’autrice a tutti gli effetti. I romanzi con protagonisti Zoey e i vampiri della Casa della Notte hanno ottenuto un enorme successo in tutto il mondo e la serie è diventata un fenomeno di culto. In copertina: foto © Herman Estevez Grafica: Rumore Bianco Titolo originale: Awakened Traduttore: Elisa Villa ISBN 978-88-429-1890-5 © 2010 by P.C. Cast and Kristin Cast Originally published by St. Martin Press, LLC © 2011 Casa Editrice Nord s.u.r.l Gruppo editoriale Mauri Spagnol Prima edizione ottobre 2011 VOLUME DLB 197 Kristin e io vogliamo dedicare questo libro a tutti gli adolescenti omosessuali, bisessuali e transessuali. Le preferenze sessuali non contano, è la vostra anima che definisce quello che siete. Col tempo va meglio. We you. RINGRAZIAMENTI Come sempre, vogliamo ringraziare la nostra famiglia della St Martin’s Press. È magnifico poter dire sinceramente che amiamo e stimiamo la nostra casa editrice! Grazie alla nostra agente, Meredith Bernstein: senza di lei la Casa della Notte non esisterebbe. We you! Grazie ai nostri fan, che sono i lettori più intelligenti, strafighi e favolosi dell’intero universo! Un ringraziamento speciale ai nostri sostenitori e concittadini che hanno reso divertente da matti il tour della Casa della Notte di Tulsa. Grazie anche a Stephen Schwartz, per averci consentito di usare il testo della sua magica canzone. We you! (Anche Jack you, Stephen!) P.S. A Joshua Dean da Phyllis: grazie per le citazioni... Heeheeheehees! CAPITOLO 1 NEFERET Neferet si svegliò con un preoccupante senso di ansia. Prima di lasciare del tutto quella zona neutra tra i sogni e la realtà, allungò le eleganti dita affusolate verso Kalona. Il braccio che sfiorò era muscoloso, la pelle liscia, tesa e morbida sotto la sua mano. Bastò quella carezza leggera come il tocco di una piuma: lui si mosse e si voltò verso di lei. «Mia Dea?» Aveva la voce impastata di sonno e rinnovato desiderio. La infastidiva. Tutti la infastidivano perché non erano lui. «Vattene...» Fece una pausa, cercando nella memoria quel nome ridicolo ed eccessivamente ambizioso. «Kronos.» «Dea, ho fatto qualcosa che ti ha contrariata?» Neferet alzò lo sguardo verso di lui. Il giovane Figlio di Erebo era sdraiato accanto a lei e la fissava con espressione adorante. I suoi occhi color acquamarina erano straordinari alla fioca luce delle candele, almeno quanto le erano sembrati in precedenza, mentre lo osservava allenarsi nel cortile del castello. Erano stati quegli occhi a far nascere il desiderio in lei, ed era bastato un cenno d’invito perché lui la raggiungesse e tentasse, inutilmente anche se con grande entusiasmo, di dimostrare di essere un dio non solo di nome ma anche di fatto. Il problema era che Neferet aveva diviso il letto con un immortale, quindi sapeva benissimo che quel ragazzo non sarebbe mai stato all’altezza. «Respirare», rispose in tono annoiato. «Respirare, mia Dea?» Kronos aggrottò la fronte. Il suo tatuaggio, che in teoria rappresentava delle armi antiche, a Neferet sembrava piuttosto un frivolo scoppio di fuochi d’artificio. «Mi hai chiesto cos’hai fatto per contrariarmi e io ti ho risposto: stai respirando. Troppo vicino a me. Questo mi ha contrariata. È ora che lasci il mio letto.» Neferet sospirò e gli fece cenno di andarsene. «Vattene. Subito.» Vedendo l’espressione ferita e sconvolta sul viso del giovane, si mise quasi a ridere. Che quel ragazzo avesse davvero creduto di poter sostituire il suo divino Consorte? L’impertinenza di quel pensiero la fece infuriare. Negli angoli della stanza presero ad agitarsi ombre nelle ombre. Neferet non le chiamò a sé, ma ne percepì compiaciuta il fremito. «Kronos, tu sei stato una distrazione e, per un breve istante, mi hai anche dato un certo piacere.» Lo toccò di nuovo, stavolta però con molta meno gentilezza, e le sue unghie gli lasciarono due graffi paralleli sull’avambraccio muscoloso. Il giovane guerriero non trasalì e non si allontanò, mettendosi invece a tremare, mentre il respiro si faceva più profondo. Neferet sorrise. Aveva capito che il dolore gli procurava piacere nell’attimo in cui i loro sguardi si erano incrociati. «Potrei distrarti ancora, se me lo permettessi», le disse. Neferet si inumidì le labbra, muovendo la lingua molto lentamente, senza mai staccare gli occhi da lui. «Forse in futuro. Forse. Per ora ti chiedo solo di andartene e di continuare a venerarmi.» «Mi auguro di poterti dimostrare presto quanto sia ardente il mio desiderio di venerarti.» Kronos allungò la mano verso di lei. Grave errore. Come se avesse avuto il diritto di toccarla. Come se i desideri di lei fossero subordinati alle necessità e alle voglie di lui. Una piccola eco dal lontano passato di Neferet, quello che lei credeva di avere sepolto assieme alla propria umanità, s’infiltrò nella sua mente. Riprovò la sensazione del tocco di suo padre e sentì persino l’odore rancido del suo fiato intriso di alcol, e la sua infanzia invase il presente. La reazione di Neferet fu immediata. Con estrema naturalezza, sollevò una mano, palmo in fuori, in direzione dell’ombra più vicina. La Tenebra reagì al suo tocco ancora più rapidamente di Kronos. Neferet ne percepì il gelo mortale e si crogiolò in quella sensazione, soprattutto perché aveva il potere di scacciare i ricordi indesiderati. Quasi con indifferenza, spinse le ombre verso Kronos. «Se desideri tanto il dolore, allora prova il mio fuoco di ghiaccio.» I fili di oscurità che Neferet scagliò contro Kronos penetrarono con foga la liscia pelle del giovane, incidendo nastri scarlatti sull’avambraccio che lei aveva appena accarezzato. Lui gemette, stavolta per la paura. «Adesso fa’ ciò che ti ordino. Vattene. E ricorda, giovane Guerriero, che una dea sceglie da sé quando, dove e come essere toccata. Non osare mai più prenderti simili libertà.» Stringendosi il braccio sanguinante, Kronos le fece un inchino. «Sì, mia Dea.» «Quale dea? Sii preciso, Guerriero! Non desidero affatto essere chiamata in modo così generico.» La risposta fu immediata: «Nyx incarnata. È questo il tuo titolo, mia Dea». L’espressione di Neferet si addolcì, il volto tornò una maschera di bellezza e calore. «Molto bene, Kronos, molto bene. Vedi com’è facile compiacermi?» Stregato dallo sguardo di smeraldo della vampira, il giovane annuì, poi si portò il pugno destro sul cuore e disse: «Sì, mia Dea, mia Nyx». Dopo di che uscì dalla stanza da letto indietreggiando in maniera molto rispettosa. A Neferet sfuggì un altro sorriso. Lei non era affatto Nyx incarnata, tuttavia non aveva importanza. Quello che contava era il potere e, se quel titolo l’aiutava a ottenerlo, soprattutto coi Figli di Erebo, allora che la chiamassero pure in quel modo. «Io non voglio essere certo inferiore a una dea. Aspiro a molto, molto di più che restarmene all’ombra del suo nome», disse all’oscurità riunita intorno a lei. Presto sarebbe stata pronta al passo successivo: sapeva di poter manovrare alcuni Figli di Erebo in modo che stessero al suo fianco, non in numero sufficiente da sperare di poter vincere una battaglia, ma abbastanza per mettere i Guerrieri l’uno contro l’altro, distruggendone il morale. Uomini, così facili da ingannare con la maschera della bellezza e del titolo, e così facili da usare a mio vantaggio, pensò sprezzante. Irrequieta, decise che era arrivato il momento di alzarsi. Indossò una vestaglia di seta e uscì in corridoio. Prima di avere riflettuto sulle proprie azioni, era già diretta alla scala che l’avrebbe portata nelle viscere del castello. Le ombre tra le ombre la seguirono, magneti oscuri attirati dalla sua crescente agitazione. Neferet sapeva che si muovevano con lei. Sapeva che erano pericolose e che si nutrivano del suo disagio, della sua rabbia, della sua insoddisfazione. Mentre scendeva, si fermò. Perché torno ancora da lui? Perché stasera gli consento d’invadere la mia mente? Neferet scosse la testa, come a scacciare quel pensiero indesiderato, e parlò rivolta alla scala stretta e vuota, alla Tenebra che le indugiava intorno, premurosa: «Vado perché è ciò che desidero fare. Kalona è il mio Consorte. È stato ferito mentre era al mio servizio. È naturale che pensi a lui». Con un sorriso soddisfatto, Neferet proseguì, cancellando senza fatica la verità, ossia che Kalona era stato ferito perché lei l’aveva intrappolato con l’inganno, costringendolo a servirla. Raggiunse i sotterranei, scavati secoli prima nella roccia dell’isola di Capri, e camminò in silenzio nel corridoio illuminato dalle torce. Il Figlio di Erebo di guardia fuori della cella non riuscì a nascondere la sorpresa e il sorriso di Neferet si allargò: a giudicare dall’espressione sconvolta e un po’ impaurita del guerriero, stava diventando sempre più brava ad apparire all’improvviso, come se si materializzasse dal nulla, o meglio da ombre e notte. L a cosa la rallegrò, ma non abbastanza da ingentilire il tono crudele del suo ordine: «Vattene. Desidero rimanere sola col mio Consorte». Il Figlio di Erebo esitò appena un istante, che però fu sufficiente perché Neferet prendesse mentalmente nota di assicurarsi che, nei giorni successivi, quel guerriero venisse richiamato a Venezia. Magari per un’emergenza riguardante qualcuno che gli era vicino... «Sacerdotessa, ti lascio alla tua intimità. Sappi però che rimango nelle vicinanze e risponderò subito alla tua chiamata, in caso dovessi avere bisogno di me.» Senza incrociare lo sguardo di lei, il guerriero si portò il pugno sul cuore e fece l’inchino, non abbastanza profondo per i gusti di Neferet. «Sì, ho la sensazione che alla sua compagna stia per accadere una disgrazia», mormorò alle ombre mentre lo guardava allontanarsi. Poi Neferet si voltò verso la porta chiusa, lisciando la seta della vestaglia. Prese un profondo respiro nell’aria umida del sotterraneo e si scostò dal viso una ciocca di capelli ramati, come se stesse preparando la sua arma migliore per un combattimento. Le bastò sollevare una mano e la porta si aprì da sola. Entrò nella stanza. Kalona giaceva sul pavimento di terra battuta. Neferet avrebbe voluto creargli un letto, ma il buon senso aveva avuto la meglio: lui non era suo prigioniero, tuttavia aveva una missione da compiere, una missione che doveva portare a termine per il suo stesso bene e, se il corpo avesse recuperato troppa forza immortale, per Kalona sarebbe stata una distrazione davvero inopportuna. Soprattutto dato che aveva giurato di agire come la spada di lei nell’Aldilà, liberando entrambi dei disagi che Zoey Redbird aveva creato loro. Neferet si avvicinò. Il suo Consorte era sdraiato sulla schiena, nudo, coperto solo dalle ali nere come onice. Lei s’inginocchiò con grazia, poi si adagiò sulla pelliccia che aveva ordinato gli venisse posta accanto in modo da poter stare comoda. Sospirò e sfiorò la guancia di Kalona. La pelle era fredda, come sempre peraltro, ma senza vita. L’immortale non reagì al suo tocco. «Cos’è che ti trattiene così a lungo, amore mio? Non potevi liberarti più in fretta di una seccante ragazzina?» Lo accarezzò di nuovo e stavolta la sua mano scivolò dal collo al petto, per andarsi a fermare sugli addominali perfettamente scolpiti. «Ricorda il giuramento e fai il tuo dovere, cosicché io possa accoglierti nel mio letto a braccia aperte. Su sangue e Tenebra hai giurato d’impedire a Zoey Redbird di tornare nel suo corpo, in modo che io possa dominare questo magico mondo moderno... Oh, ovviamente tu sarai al mio fianco.» Invisibili a quegli sciocchi dei Figli di Erebo che avrebbero dovuto essere le spie del Consiglio Supremo, i neri tentacoli che bloccavano a terra Kalona rabbrividirono e si mossero, strofinandosi contro la mano di Neferet. Distratta da quel gelo seducente, la Somma Sacerdotessa aprì il palmo alla Tenebra, consentendole di afferrarle il polso e d’inciderle leggermente la pelle, non tanto da procurarle un dolore insopportabile, ma solo quanto bastava per dare un attimo di tregua all’inestinguibile brama di sangue. Ricorda il tuo giuramento... Quelle parole le solleticarono l’orecchio come un vento d’inverno tra rami spogli. Neferet aggrottò la fronte: era ovvio che non avesse dimenticato. Perché i fili di Tenebra bloccassero il corpo di Kalona e costringessero la sua anima a raggiungere l’Aldilà, Neferet aveva accettato di sacrificare la vita di un innocente che la Tenebra non fosse stata in grado di corrompere. La promessa rimane, Tsi Sgili. Il patto regge anche se Kalona dovesse fallire... «Kalona non fallirà!» gridò Neferet, inferocita. «E, se così fosse, ho legato il suo spirito al mio in modo da tenerlo ai miei ordini finché non resta immortale, quindi persino in caso di fallimento per me c’è una vittoria. Ma comunque non succederà.» Lo ripeté con lentezza, scandendo le parole, per recuperare una calma che ormai perdeva con facilità sempre maggiore. La Tenebra le leccò il palmo. Il dolore, per quanto lieve, le fece piacere e lei fissò con affetto i tentacoli, quasi fossero semplicemente dei gattini irruenti che rivaleggiavano per ottenere la sua attenzione. «Siate pazienti, tesorini. La sua ricerca non è stata completata. Il mio Kalona è ancora soltanto un guscio vuoto. Perciò posso supporre che Zoey languisca nell’Aldilà, non del tutto viva e, purtroppo, non ancora morta.» I fili che le stringevano il polso tremarono e, per un istante, a Neferet parve di udire in lontananza il rombo di una profonda risata di scherno. Ma non ebbe il tempo di comprendere che cosa significasse quel suono, né se fosse reale o solo un aspetto del mondo di Tenebra e potere che a poco a poco stava prendendo il posto di ciò che un tempo lei chiamava realtà, perché in quell’istante il corpo di Kalona ebbe un violento spasmo e lui trasse un profondo respiro molto simile a un rantolo. L’immortale aprì gli occhi, che in quel momento non erano altro che orbite insanguinate e vuote, sconvolte dall’orrore. «Kalona! Amore mio!» Neferet si mise in ginocchio, china su di lui, agitando le braccia davanti al suo viso. La Tenebra che le aveva accarezzato i polsi prese a pulsare con forza improvvisa, e con un sussulto schizzò via da lei per andare a unirsi alla miriade di tentacoli vischiosi che, simili a una ragnatela, incombevano palpitando dal soffitto di pietra del sotterraneo. Prima che Neferet riuscisse a formulare un ordine per richiamare a sé un tentacolo, per chiedere spiegazioni di quello strano comportamento, dall’alto esplose un lampo accecante, luminoso al punto che lei dovette proteggersi gli occhi. La rete di Tenebra afferrò la luce e la intrappolò con incredibile rapidità. Kalona aprì la bocca in un grido silenzioso. «Cosa c’è? Chiedo di sapere cosa sta succedendo!» urlò Neferet. Il tuo Consorte è tornato, Tsi Sgili. Neferet fissò il globo di luce imprigionata e, con un sibilo tremendo, la Tenebra gettò l’anima di Kalona nelle orbite vuote degli occhi, restituendola così al suo corpo. Accecato dal dolore, l’immortale alato si coprì il volto con le mani, mentre il corpo si contorceva e ansimava, cercando di riprendere il controllo della respirazione. «Kalona! Mio Consorte!» Neferet reagì d’istinto, con la rapidità acquisita negli anni in cui era stata la guaritrice della Casa della Notte. Premette i palmi sulle mani di Kalona e disse: «Allevia il suo dolore... cancellalo... rendi la sua agonia simile al rosso sole che tramonta all’orizzonte, lasciando il cielo alla notte». I brividi che scuotevano il corpo di Kalona iniziarono quasi immediatamente ad attenuarsi. L’immortale alato trasse un profondo respiro. Anche se gli tremavano le mani, afferrò strette quelle di Neferet e se le tolse dal viso. Poi aprì gli occhi. Erano dell’intenso colore ambrato di un buon whisky, limpidi e presenti. Era di nuovo se stesso. «Sei tornato da me!» Per un attimo Neferet si sentì così sollevata vedendolo sveglio e lucido da mettersi quasi a piangere. «Hai portato a termine la tua missione.» Allontanò i tentacoli che si ostinavano ad avvilupparsi intorno al corpo di Kalona, fissandoli corrucciata perché parevano riluttanti a lasciare la presa sul suo amante. «Portami via dalla terra... Al cielo. Devo vedere il cielo», disse Kalona con voce roca. «Ma sì, certo, amore mio.» Neferet sollevò una mano e la porta si aprì di nuovo. «Guerriero! Il mio Consorte si è svegliato. Aiutalo a raggiungere la cima del castello!» Il Figlio di Erebo che qualche minuto prima l’aveva seccata obbedì all’ordine senza fare domande, ma Neferet notò che sembrava sconvolto dalla presenza di Kalona. Neferet gli rivolse un ghigno sprezzante. E il meglio deve ancora venire. Presto tu e gli altri Guerrieri prenderete ordini soltanto da me. Altrimenti morirete, pensò soddisfatta mentre seguiva i due uomini fuori delle viscere dell’antica fortezza di Capri, su per l’infinità di gradini di pietra che la condussero alla sommità dell’edificio. Era passata mezzanotte. La luna era sospesa sopra l’orizzonte, gialla e pesante anche se non ancora piena. «Accompagnalo alla panchina e poi lasciaci soli», ordinò Neferet indicando la panca di marmo scolpito da cui si godeva una splendida vista del Mediterraneo. Ma a lei non interessavano le bellezze che aveva intorno. Allontanò il guerriero con un gesto stizzito, pur sapendo che il giovane avrebbe comunicato al Consiglio Supremo che l’anima del suo Consorte aveva fatto ritorno nel corpo. In quel momento non aveva importanza. Avrebbe potuto affrontare la questione in seguito. In quel momento contavano soltanto due cose: Kalona era tornato da lei e Zoey Redbird era morta. CAPITOLO 2 NEFERET «Dimmi. Raccontami tutto, lentamente e in modo chiaro, perché voglio assaporare ogni parola.» Neferet s’inginocchiò davanti a Kalona e accarezzò le sue morbide ali scure, cercando di non tremare pregustando il tocco di lui, il ritorno della sua fredda passione, del suo calore di ghiaccio. «Cosa vuoi che ti dica?» Kalona, seduto sulla panchina, teneva il viso rivolto al cielo, abbracciando la notte con le ali spiegate, come se potesse nutrirsi di quella scura immensità. La domanda colse Neferet di sorpresa. Il desiderio passò di colpo e la sua mano smise di accarezzarlo. «Vorrei che mi raccontassi i particolari della nostra vittoria in modo da poterla rivivere e assaporare assieme.» Gli parlò con lentezza, pensando che forse il suo cervello era ancora un po’ disorientato. «La nostra vittoria?» sbottò Kalona. Neferet strinse le palpebre. «Certo. Tu sei il mio Consorte, quindi la tua vittoria è mia, proprio come la mia è anche tua.» «La tua gentilezza è quasi divina. Sei diventata una dea durante la mia assenza?» Neferet lo studiò con attenzione. Continuava a non guardarla. Il tono di voce era quasi piatto. Che fosse insolenza? Rispose alla domanda con un’alzata di spalle. «Cos’è successo nell’Aldilà? Com’è morta Zoey?» Non appena gli occhi d’ambra dell’immortale la fissarono, la vampira capì e, con un gesto infantile, si coprì le orecchie e prese a scuotere la testa mentre lui pronunciava le parole che le trafissero l’anima come un colpo di spada: «Zoey Redbird non è morta». Neferet si alzò e s’impose di abbassare le mani, quindi si allontanò da Kalona, tenendo gli occhi fissi sul liquido zaffiro del mare di notte. Prese dei respiri lenti, tentando di controllare le emozioni che minacciavano di travolgerla. Quando infine fu certa che non avrebbe urlato furiosa contro il cielo, replicò: «Perché? Perché non hai portato a termine la tua missione?» «La missione era tua, Neferet. Non è mai stata mia. Sei stata tu a costringermi a tornare in un regno da cui ero stato bandito. Ciò che è accaduto era prevedibile: gli amici di Zoey le hanno fatto scudo e, col loro aiuto, lei è riuscita a guarire la sua anima in pezzi e a ritrovare se stessa.» «Perché non hai impedito che succedesse?» La voce di Neferet era gelida. Non lo guardava nemmeno. «Nyx», sussurrò Kalona, in tono basso e rispettoso, neanche fosse una preghiera. Neferet fu accecata dalla gelosia. «Cosa c’entra la Dea?» chiese quasi con disprezzo. «È intervenuta.» «Come? Ti aspetti che creda che Nyx si sia davvero intromessa nella scelta di un mortale?» «No, non si è intromessa, è intervenuta. E solo dopo che Zoey si era già curata da sé. Per questo Nyx le ha dato la sua benedizione, che l’ha aiutata a salvare il suo Guerriero.» «Zoey è viva.» La voce di Neferet era piatta, fredda, inerte. «Sì.» «Allora sei in debito con me e la tua anima immortale continuerà a essere sottomessa al mio volere.» Fece per allontanarsi da lui, dirigendosi verso le scale. «Dove stai andando? Cos’accadrà adesso?» Disgustata dalla debolezza che aveva colto nella voce dell’immortale, Neferet si girò verso di lui, orgogliosa, con le braccia alzate, di modo che i tentacoli che le pulsavano intorno potessero accarezzarle la pelle. «Cos’accadrà adesso? Molto semplice: mi assicurerò che Zoey torni in Oklahoma e lì porterò a termine il compito in cui tu hai fallito. A modo mio.» «Quanto a me?» domandò l’immortale. «Tornerai a Tulsa anche tu, da solo. Non possiamo farci vedere in pubblico. Non ricordi, amore mio, che ora tu sei un assassino? La morte di Heath Luck è stata opera tua.» «Opera nostra», replicò Kalona. Lei gli rivolse un sorriso viscido. «Non secondo il Consiglio Supremo. Ascoltami bene: ho bisogno che recuperi in fretta le forze. Domani, all’imbrunire, dovrò riferire al Consiglio che la tua anima ha fatto ritorno e che mi hai confessato di avere ucciso il ragazzo umano perché ritenevi che lui costituisse una minaccia per la mia incolumità. Dirò che, siccome lo hai fatto per proteggermi, ho deciso di essere clemente nell’assegnarti una punizione: ti ho fatto dare cento frustate e ti ho bandito dal mio fianco per un secolo.» Kalona faticava a rimanere seduto e Neferet fu felice di vedere nei suoi occhi d’ambra un lampo di rabbia. «Intendi restare lontana da me per un secolo?» «Ovviamente no. Dopo che le ferite saranno guarite, ti concederò di tornare al mio fianco. E da quel momento torneremo... vicini come un tempo, solo lontani da occhi indiscreti.» «E per quanto ti aspetti che mi aggiri nell’ombra fingendo di guarire da ferite inesistenti?» Kalona inarcò le sopracciglia: sebbene fosse debole e sconfitto, sembrava non aver perso la sua arroganza. «Mi aspetto che tu non mi stia più accanto finché le ferite non saranno guarite. Per davvero.» Con un gesto rapido e preciso, Neferet si morse un polso, creando subito un cerchio di sangue. Poi iniziò a camminare in circolo col braccio sollevato, mentre vischiosi tentacoli di Tenebra le scivolavano avidi intorno al polso, attirati dal sangue come sanguisughe. Neferet strinse i denti, obbligandosi a non arretrare neanche nel momento in cui i fili taglienti presero a colpirla come coltellate. Quando finalmente sembrarono essersi nutriti abbastanza, lei si rivolse dolcemente ai tentacoli. «Avete avuto la vostra ricompensa, ora eseguite i miei ordini.» Spostò lo sguardo sul suo amante immortale. «Frustatelo con forza. Cento volte.» Poi scagliò la Tenebra contro Kalona. L’immortale ebbe appena il tempo di spiegare le ali e sollevarsi un poco dalla terrazza del castello, che i tentacoli affilati come rasoi si avvolsero intorno all’attaccatura delle ali, nel punto più sensibile. Invece di volare via, Kalona si ritrovò in trappola, inchiodato contro l’antica balaustra di pietra mentre la Tenebra, lenta e metodica, cominciava a incidergli la schiena nuda. Neferet restò a guardare finché la splendida testa orgogliosa di lui non si chinò sconfitta e il suo corpo prese a contorcersi sotto ogni colpo. «Non lasciategli segni permanenti. Ho tutte le intenzioni di godermi di nuovo la bellezza della sua pelle», disse prima di dare le spalle all’immortale e allontanarsi con aria risoluta dalla sommità insanguinata del castello. «A quanto pare devo fare tutto da sola, e di cose da fare ce ne sono così tante... così tante...» mormorò alla Tenebra che le si agitava intorno alle caviglie. Tra le ombre nelle ombre, le sembrò di intravedere la sagoma di un immenso toro che la osservava compiaciuta. Neferet sorrise. CAPITOLO 3 ZOEY Per la milionesima volta, pensai che la sala del trono di Sgiach fosse davvero incredibile. E lo era pure lei: detta anche «Grande Collezionista di Teste», era un’antica regina vampira strapotente e, cavolo, tanto tempo prima aveva persino osato sfidare – con successo – il Consiglio Supremo dei Vampiri. Il suo castello però non era una disgustosa versione medievale di un campeggio coi bagni all’aperto. Certo, si trattava di una fortezza, ma era quello che qui in Scozia definivano posh, ossia molto raffinata e snob. Tutte le finestre davano sul mare, e la vista, soprattutto quella che si godeva dalla sala del trono, era talmente splendida che sembrava uscita da un televisore full HD. «È bellissimo qui.» Okay, parlare da sola, per di più poco dopo essere be’, sì, tipo impazzita nell’Aldilà, poteva non essere proprio una grande idea. Sospirai e mi strinsi nelle spalle. «Che cavolo, Nala non c’è, Stark è praticamente fuori combattimento, Afrodite sta facendo cose cui preferisco non pensare assieme a Dario, Sgiach è in giro a fare magie o ad allenarsi con Seoras a prendere a calci nel sedere i cattivi in stile supereroe... non è che mi siano rimaste molte altre persone con cui parlare.» «Stavo solo controllando le e-mail. Niente a che vedere con magie e calci nel sedere.» Immagino che avrebbe dovuto farmi sobbalzare. Insomma, sembrava che la regina si fosse materializzata dal nulla accanto a me, ma suppongo che essere stata una pazza a pezzi nell’altro mondo mi avesse dato una soglia di sopportazione delle stranezze-chemettono-paura davvero molto alta. Inoltre sentivo uno strano legame con quella regina vampira. Sì, Sgiach metteva soggezione e aveva dei poteri incredibili ma, nella settimana trascorsa da quando Stark e io eravamo tornati, lei era stata una presenza fissa al mio fianco. Mentre Afrodite e Dario si dedicavano a schifosissimi sbaciucchiamenti e camminavano sulla spiaggia mano nella mano, e Stark dormiva, dormiva e dormiva, Sgiach e io avevamo passato parecchio tempo insieme. A volte parlando, a volte no. Da diversi giorni avevo deciso che lei era la donna più favolosa che avessi mai incontrato, tra vampire e non. «Stai scherzando, giusto? Sei un’antica guerriera vampira che vive in un castello su un’isola dove nessuno può arrivare se tu non glielo permetti, e stavi controllando le e-mail? A me sembra una magia.» Sgiach rise. «Spesso la scienza sembra ancora più misteriosa della magia, o almeno è quello che ho sempre pensato. Il che mi ricorda... stavo riflettendo sulla stranezza degli effetti della luce del sole sul tuo Guardiano. È davvero insolito che ne venga colpito in modo così serio e debilitante.» «Non vale solo per Stark. Cioè, per lui adesso è persino peggio perché, be’, perché è ferito.» M’interruppi, inciampando nelle parole e non volendo ammettere quanto fosse dura vedere il mio Guerriero e Guardiano così malridotto. «Questo non è normale per lui. Di solito di giorno riesce a rimanere sveglio, anche se non sopporta la luce diretta del sole. È lo stesso per tutti i vampiri e i novizi rossi. Il sole li stende.» «Be’, giovane regina, il fatto che il tuo Guardiano non sia in grado di proteggerti durante il giorno potrebbe essere uno svantaggio notevole.» Alzai le spalle, anche se le sue parole mi avevano fatto correre lungo la schiena un brivido che somigliava in modo preoccupante a un brutto presentimento. «Sì, be’, però ultimamente ho imparato a badare a me stessa. Penso di saper gestire da sola qualche ora al giorno», replicai con un’asprezza che stupì anche me. Gli occhi verde ambra di Sgiach dimostravano che mi aveva capita alla perfezione. «Non lasciare che ciò t’indurisca.» «Cosa?» «La lotta contro la Tenebra.» «Ma non devo essere dura per combattere?» Mi ricordai di come avevo infilzato Kalona contro il muro di un’arena nell’Aldilà usando la sua stessa lancia, e mi si annodò lo stomaco. Lei scosse la testa e la luce calante colpì le sfumature argentee dei suoi capelli, facendoli scintillare come un misto di oro e cannella. «No, devi essere forte. Devi essere saggia. Devi conoscere te stessa e fidarti soltanto di chi se lo merita. Se permetti alla lotta contro la Tenebra di renderti dura e insensibile, perderai la giusta prospettiva sulla realtà.» Fissai le acque grigio azzurro intorno all’isola di Skye, che il sole del tramonto aveva tinto di un delicato rosa corallo. Era tutto così bello e pieno di pace e assolutamente normale. Da lì era difficile immaginare che nel mondo si aggirassero male, Tenebra e morte. Eppure là fuori la Tenebra c’era eccome, e probabilmente ce n’era molta più di prima: Kalona non mi aveva uccisa, il che avrebbe fatto uscire di testa Neferet. Presto avrei di nuovo dovuto affrontare lei, Kalona e tutte le orribili scempiate che si tiravano dietro. Cavolo, solo pensarci mi faceva sentire stanchissima. Mi allontanai dalla finestra, raddrizzai le spalle e affrontai Sgiach. «E se non volessi più combattere? Se volessi rimanere qui, almeno per un po’? Stark non si è ancora ripreso e, se vuole davvero stare meglio, avrà bisogno di molto riposo. Riguardo a Kalona, ho già mandato un messaggio al Consiglio Supremo: ora sanno che è stato lui a uccidere Heath, e che Neferet si è alleata con la Tenebra. Tocca al Consiglio Supremo occuparsi di lei. Cavolo, tocca agli adulti occuparsi di lei e dello schifoso e malvagio casino che ha messo in piedi.» Sgiach non commentò, quindi presi fiato e continuai a blaterare: «Sono solo una ragazzina. Ho diciassette anni. Appena. Sono negata in geometria. Faccio schifo in spagnolo. Non posso ancora nemmeno votare. Combattere contro il male non è una mia responsabilità. Prendere il diploma e, si spera, Trasformarmi, questo sì. La mia anima è andata in pezzi e il mio ragazzo è stato ucciso. Non merito una pausa? Almeno una piccola?» Stupendomi molto, Sgiach sorrise e disse: «Sì, Zoey, credo proprio di sì». «Intendi dire che posso restare qui?» «Tutto il tempo che vuoi. So cosa significa sentirsi schiacciati dal mondo. Qui, come hai sottolineato tu, il mondo può entrare solo su mio ordine. E, in linea di massima, io gli ordino di tenersi a distanza.» «E la lotta contro la Tenebra e tutto il resto?» «Saranno ancora lì quando tornerai.» «Wow. Sul serio?» «Sul serio. Rimani sulla mia isola finché la tua anima non sarà davvero guarita e riposata, e finché la coscienza non ti dirà che è il momento di tornare al tuo mondo e alla tua vita là fuori.» Ignorai la fitta al cuore che mi fece provare la parola coscienza. «E può rimanere anche Stark, giusto?» «Ma certo. Una regina deve sempre avere al fianco il suo Guardiano.» «Restando in argomento... da quanto tempo Seoras è il tuo Guardiano?» domandai in fretta, felice di allontanare il discorso dai rimorsi di coscienza e dalle lotte contro il male. Lo sguardo della regina si addolcì e il suo sorriso si fece più caldo e addirittura più bello. «Seoras è diventato il mio Guardiano per Giuramento più di cinquecento anni fa.» «Cazzarola! Cinquecento anni? Ma tu quanti anni hai?» Sgiach rise. «Dopo un certo punto, non credi che l’età sia irrilevante?» «Aye, e non è educato chiedere l’età a una fanciulla.» Mi sarei accorta che Seoras era entrato nella stanza anche se non avesse detto niente. Quando c’era lui, il volto di Sgiach si trasformava. Era come se il Guardiano accendesse un interruttore dentro di lei che la faceva splendere di una luce calda e morbida. E, quando Seoras rispose al suo sguardo, per un breve istante non sembrò più così burbero e provato da mille battaglie e piuttosto-cheparlare-con-te-ti-prendo-a-calci-neldidietro. La regina rise e sfiorò il braccio del suo Guardiano con un’intimità che le invidiai: chissà se Stark e io avremmo mai avuto almeno un briciolo di quanto condividevano quei due. E sarebbe stato anche un sacco carino se pure lui dopo cinquecento anni insieme mi avesse chiamata «fanciulla». Heath mi avrebbe chiamata fanciulla. Be’, più probabilmente ragazza. O magari solo Zo... per sempre solo la sua Zo. Ma Heath era morto e non mi avrebbe più chiamata in nessun modo. «Ti sta aspettando, giovane regina.» Sconvolta, fissai Seoras. «Heath?» Lo sguardo del Guerriero era saggio e comprensivo, la voce gentile. «Aye, probabilmente il tuo Heath ti aspetta da qualche parte nel futuro, ma io parlo del tuo Guardiano.» «Stark! Oh, bene, è sveglio.» Mi sentivo in colpa da morire. Non era mia intenzione pensare sempre a Heath, ma era difficile evitarlo. Lui era stato parte della mia vita fin da quando avevo nove anni, ed era morto soltanto da qualche settimana. Mi diedi una scossa mentale, feci un rapido inchino a Sgiach e andai verso la porta. «Non è in camera vostra, il giovane è vicino al boschetto. Chiede di raggiungerlo lì», spiegò Seoras. «È fuori?» Ero sorpresa: da quando era tornato dall’Aldilà, Stark si era sentito troppo stanco e scombussolato per fare qualcosa di più che mangiare, dormire e giocare al computer con Seoras, che peraltro era buffissimo da vedere perché sembrava una specie di sfida Braveheart contro Call of Duty. «Aye, ha finito di preoccuparsi del trucco e adesso si comporta di nuovo da Guardiano.» Strinsi i pugni e guardai il vecchio Guerriero con le palpebre strette. «È quasi morto. L’hai fatto a fettine. Ha combattuto nell’Aldilà. Cavolo, dagli un attimo di tregua.» «Aye, wumman, ma non è morto sul serio, no?» Alzai gli occhi al cielo. «Allora è al boschetto?» «Aye.» «Okay.» La voce di Sgiach mi raggiunse mentre camminavo in fretta in corridoio: «Portati quella bella sciarpa che hai comprato in paese. Fa freddo, stasera». La trovai una raccomandazione molto strana: insomma, sì, a Skye faceva molto freddo (e di solito era anche umido), ma novizi e vampiri non soffrivano i cambiamenti di temperatura come gli umani. Comunque, quando una regina guerriera ti dice di fare una cosa, normalmente è meglio obbedire. Quindi deviai verso l’immensa stanza che dividevo con Stark e presi la sciarpa che avevo appoggiato in fondo al letto a baldacchino. Era di cachemire color crema con dei fili d’oro, e pensai che probabilmente stava meglio lì su un fondo rosso vivo che intorno al mio collo. Mi fermai un attimo a osservare il letto che nelle ultime settimane avevo diviso con Stark. Mi ero rannicchiata contro di lui, gli avevo tenuto la mano e appoggiato la testa sulla spalla mentre lo guardavo dormire. Ma questo era tutto. Non aveva nemmeno provato a convincermi a fare sesso con lui. Cacchio! Sta proprio male! Mi feci mentalmente piccola piccola, contando le volte in cui Stark aveva sofferto a causa mia: era stato quasi ucciso da una freccia diretta verso di me; era stato fatto a fettine e poi aveva distrutto una parte di sé per raggiungermi nell’Aldilà; era stato ferito a morte da Kalona perché credeva che quello fosse l’unico modo di entrare in contatto con ciò che dentro di me era andato in pezzi. Però l’ho anche salvato, ricordai a me stessa. Stark aveva visto giusto: il fatto che Kalona lo stesse massacrando mi aveva dato la forza di rimettermi in sesto e, per questo, Nyx aveva costretto Kalona a soffiare nel corpo di Stark un frammento d’immortalità, restituendogli la vita e pagando il debito che aveva con me per avere ucciso Heath. Attraversai il castello con le sue splendide decorazioni, facendo cenni di saluto ai Guerrieri che s’inchinavano con rispetto. Allungai il passo: cosa era venuto in mente a Stark per trascinarsi fuori dopo tutto quello che aveva passato? Diavolo, io non lo sapevo proprio cosa gli era venuto in mente. Lui era così diverso da quando eravamo tornati. Be’, sarebbe strano se non lo fosse, mi sgridai, sentendomi una carogna sleale: il mio Guerriero aveva fatto un viaggio nell’Aldilà, era morto, era stato resuscitato da un immortale e poi risbattuto in un corpo debole e ferito. Ma, anche prima di quel momento, prima che rientrassimo nel mondo reale, tra noi era successo qualcosa. Per noi era cambiato qualcosa. O almeno a me pareva così. Nell’Aldilà il nostro rapporto era stato profondo, strettissimo. Quando aveva bevuto da me era stata un’esperienza incredibile. Era stato molto più del sesso. Già, era stato davvero bello. Bellissimo. Il mio sangue l’aveva guarito, gli aveva dato forza e, non so come, ciò aveva pure rimesso a posto quello che in me era ancora spezzato, facendo sì che mi tornassero i tatuaggi. E questa nuova vicinanza a Stark aveva reso sopportabile la perdita di Heath. Ma allora perché mi sentivo così depressa? Cosa c’era in me che non andava? Cacchio. Non sapevo neanche questo. Una mamma l’avrebbe saputo. Pensai alla mia mamma e provai un inatteso e terribile senso di solitudine. Certo, lei aveva fatto un immenso casino e fondamentalmente preferito il suo nuovo marito a me, ma era sempre mia mamma. Mi manca, ammise una vocina nella mia testa. Poi mi diedi una scossa. No. Io una «mamma» ce l’avevo ancora. «È la nonna che mi manca.» E poi, ovviamente, mi sentii in colpa perché, dopo essere tornata, non le avevo ancora telefonato. Okay, certo, sapevo che la nonna avrebbe percepito il ritorno della mia anima, e dunque sapeva già che era sana e salva. Però avrei dovuto chiamarla. Sentendomi davvero delusa di me stessa e triste, mi mordicchiai il labbro e mi sistemai meglio la sciarpa, per proteggermi dal vento gelido che soffiava sul ponte sopra il fossato. I Guerrieri che accendevano le torce s’inchinarono per salutarmi, e io risposi cercando di non guardare quelle schifezze di teschi impalati tra una luce e l’altra. Sul serio. Teschi. Di persone vere. D’accordo, erano vecchi e rinsecchiti, ma erano disgustosi comunque. Tenendo gli occhi puntati da un’altra parte, seguii il sentiero che attraversava la zona paludosa, per poi girare a sinistra verso il Bosco Sacro, che sembrava estendersi all’infinito. Sapevo dov’era perché, nelle ultime settimane, mentre Stark recuperava le forze, quel luogo aveva esercitato una particolare attrazione su di me, al punto che, quando non stavo con la regina o con Afrodite o non tenevo d’occhio Stark, facevo lunghe passeggiate al suo interno. Mi ricordava l’Aldilà, cosa che riusciva a confortarmi e allo stesso tempo a mettermi addosso una paura incredibile. Tuttavia ero venuta spesso nel Bosco Sacro o, come diceva Seoras, nel Craobh, ma sempre di giorno. Mai dopo il tramonto. Mai di notte. Le torce lungo il sentiero illuminavano appena i margini del bosco, creando ombre guizzanti tra i rami degli alberi senza tempo. Il sottobosco sembrava diverso adesso, senza i raggi del sole che riscaldavano l’intrico di rami. La pelle iniziò a pizzicarmi, come se i miei sensi fossero in massima allerta. Non riuscivo a staccare lo sguardo dalle ombre: erano forse più scure del normale? C’era forse qualcosa là fuori, in agguato, qualcosa di... non del tutto giusto? Rabbrividii. Subito dopo, con la coda dell’occhio colsi un movimento in fondo alla strada. Avevo il cuore a mille, mi aspettavo che da un momento all’altro comparissero ali e gelo, male e follia... Invece ciò che vidi mi fece battere il cuore a mille per altri motivi. Stark era davanti a due alberi intrecciati assieme a formarne uno solo, i rami decorati con strisce di stoffa annodate, alcune di colori brillanti, altre consumate, scolorite e sbrindellate: la versione mortale dell’albero dei desideri che si trovava davanti al boschetto di Nyx nell’Aldilà, ma il fatto che questo fosse nel mondo «reale» non lo rendeva meno straordinario. Soprattutto perché il ragazzo che fissava i rami in alto indossava kilt e plaid coi colori della terra del clan MacUallis nel tradizionale modo dei Guerrieri, completo di dirk e sporran – il pugnale e il borsello di pelo – oltre a tutto un armamentario sexy (come l’avrebbe definito Damien) in cuoio con borchie di metallo. L’osservai come se non lo vedessi da anni. Stark sembrava forte e in salute, oltre che assolutamente splendido. Mi stavo giusto domandando cosa i ragazzi scozzesi indossassero – o meglio non indossassero – sotto il kilt, quando lui si voltò verso di me e mi sorrise. «Riesco ad ascoltare i tuoi pensieri.» Le guance mi si scaldarono di botto, soprattutto visto che Stark aveva davvero la capacità di percepire le mie emozioni. «In teoria dovresti ascoltare solo se io sono in pericolo.» «Allora non pensare così ad alta voce!» replicò con una punta d’ironia. «Comunque hai ragione. Non avrei dovuto ascoltare perché le sensazioni che mi arrivavano da te erano l’opposto di quello che definisco pericolo.» «Ma sentilo, come se la tira», lo sgridai, senza però riuscire a non sorridere a mia volta. «Già, però ti piaccio così.» Mi tese la mano. Era così calda, forte e sicura. Lui aveva ancora delle brutte occhiaie, ma non era più pallido in modo inquietante. «Sei di nuovo te stesso!» «Sì, mi ci è voluto un po’. Era strano, non riuscivo mai a riposare come avrei dovuto, ma oggi è come se fosse scattato qualcosa e finalmente mi fossi ricaricato del tutto.» «Sono felice. Ero così preoccupata.» Solo dopo averlo detto mi resi conto di quanto fosse vero. «E mi sei anche mancato tanto!» Mi strinse la mano e mi tirò più vicino. Le prese in giro da sbruffone erano evaporate completamente. «Lo so. Ti sentivo distante e spaventata. Che succede?» Avrei tanto voluto dirgli che si sbagliava, che gli avevo solo lasciato un po’ di spazio per riprendersi, ma alla fine decisi di essere sincera con lui. «Sei stato ferito tantissimo per colpa mia.» «Non per colpa tua, Zy. Sono stato ferito per colpa della Tenebra, che cerca di distruggere quanti di noi combattono per la Luce.» «Sì, be’, però vorrei che la Tenebra se la prendesse con qualcun altro e ti lasciasse in pace almeno per un po’.» Mi diede un colpetto con la spalla. «Sapevo in cosa mi stavo andando a cacciare quando ti ho fatto il mio Giuramento. Mi stava bene allora e mi sta bene adesso. E mi starà bene anche tra cinquant’anni. E sai, Zy, quando dici che la Tenebra ‘se la prende con me’ non mi fai sentire un Guardiano degno di questo nome.» «Senti, sto parlando sul serio. Vuoi sapere cos’ho che non va, ecco: mi sono preoccupata che stavolta tu fossi stato ferito in modo troppo grave...» Esitai, sforzandomi di ricacciare indietro delle lacrime inattese. «Tanto grave da non poter guarire. E a quel punto mi avresti lasciata anche tu.» Tra noi, la presenza di Heath era così tangibile che quasi mi aspettavo di vederlo uscire dal bosco dicendo: Ehi, Zo, sono qui. Piantala di piangere che poi ti viene la candela. E ovviamente quel pensiero mi rese ancora più difficile non scoppiare in singhiozzi. «Ascoltami, Zoey. Io sono il tuo Guardiano. Tu sei la mia regina, che è più di una Somma Sacerdotessa, perciò il legame tra noi è più forte di quello che si crea tramite il Giuramento di Guerriero.» Sbattei le palpebre con forza. «Questo è un bene, perché sembra che qualche robaccia continui a cercare di strapparmi a tutti quelli che amo.» «Niente mi porterà mai via da te, Zy. L’ho giurato.» Sorrise, e nei suoi occhi c’era così tanta sicurezza e fiducia e amore che il respiro mi si bloccò in gola. «Non ti libererai mai di me, mo ban-rìgh.» «Bene, perché sono proprio stanca di tutta questa storia dell’andarsene», replicai sottovoce appoggiandogli la testa sulla spalla. Mi strinse tra le braccia e mi diede un bacio sulla fronte. «Già, anch’io.» «Credo che la verità sia che sono stanca. Punto. Ho bisogno di ricaricare le batterie.» Alzai lo sguardo verso di lui. «Per te sarebbe okay se rimanessimo un po’ qui? È che io... io non ho voglia di andare via e tornare a... a...» Esitai, non sapendo bene come descrivere ciò che provavo. «A tutto quello che ci aspetta, alle cose buone e a quelle cattive. So cosa vuoi dire. Sgiach è d’accordo?» ribatté il mio Guardiano. «Ha detto che possiamo restare finché me lo consente la coscienza. E in questo momento la coscienza me lo consente eccome», risposi con un sorriso un po’ ironico. «Per me va bene. Non ho fretta di tornare a tutti quei casini con Neferet.» «Allora restiamo un po’?» Stark mi strinse forte. «Restiamo finché tu non decidi di andare.» Chiusi gli occhi e mi abbandonai nel suo abbraccio con la sensazione che mi fosse stato tolto un enorme peso dalle spalle. Quando mi chiese se avrei fatto una cosa con lui, la risposta mi venne facile e spontanea: «Come no, tutto». Ridacchiò. «Questa risposta mi fa venire voglia di cambiare la domanda.» «Non quel tutto.» Gli diedi una piccola spinta anche se provavo un gran sollievo vedendo che Stark si stava decisamente comportando di nuovo da Stark. «No?» Il suo sguardo si spostò dai miei occhi alle labbra e di colpo sembrò meno sbruffone e più appassionato. Si chinò a baciarmi, a lungo e con passione, togliendomi il fiato. «Sei proprio sicura che non intendevi quel tutto?» chiese, la voce più bassa e roca del solito. «No. Sì.» Sogghignò. «Quale delle due?» «Non lo so. Quando mi baci così non riesco a pensare.» «Allora dovrò farlo più spesso.» «Okay», replicai sentendomi la testa vuota e le gambe stranamente molli. «Dopo, però. Adesso voglio farti vedere che razza di Guardiano forte sono e mi limito a farti la domanda che volevo fare in origine.» Frugò nella borsa che portava a tracolla e ne trasse una striscia lunga e sottile del tartan dei MacUallis, sollevandola in modo che si agitasse dolcemente nel vento. «Zoey Redbird, vuoi legare con me i tuoi desideri e i tuoi sogni per il futuro in un nodo da appendere all’Hanging tree?» Esitai appena un secondo, giusto il tempo di riprendermi dalla fitta di dolore causata dalla mancanza di Heath, dalla consapevolezza che con lui non ci sarebbe più stato nessun sogno futuro, poi ricacciai indietro le lacrime e risposi: «Sì, Stark, legherò con te i miei desideri e i miei sogni per il futuro». CAPITOLO 4 ZOEY «Cosa dovrei fare con la mia sciarpa di cachemire?» «Strapparne una striscia», ripeté Stark. «Sei sicuro?» «Sì, le istruzioni me le ha date direttamente Seoras. Assieme a un sacco di commenti da saputello sulle tremende lacune della mia istruzione e qualcos’altro sul non saper distinguere il culo dall’orecchio o dal gomito, e pure sul fatto che sarei un ‘fanny’, anche se non ho idea di cosa diavolo significhi.» «Fanny? Come un nome da donna?» «Mi sa di no...» Scuotemmo entrambi la testa, a muto commento delle stranezze di Seoras. «Comunque lui dice che dobbiamo usare un pezzo di stoffa preso da qualcosa di molto speciale per noi.» Stark sorrise e diede uno strattone alla mia sciarpa luccicante, costosa e bellissima. «E questa ti piace un sacco, vero?» «Già, abbastanza da non volerla strappare.» Stark rise, si tolse il dirk dal fodero e me lo tese. «Bene, allora è perfetta per formare un nodo col mio tartan. Creerà un legame molto forte tra noi.» «Sicuro, quel plaid non ti è costato ottanta euro, che è più di cento dollari. Credo», brontolai allungando la mano verso il dirk. Invece di lasciarmelo prendere, Stark esitò e incrociò il mio sguardo. «Hai ragione. Non mi è costato soldi. Mi è costato sangue.» M’ingobbii per la vergogna. «Scusami. Mi dispiace, non volevo mettermi a piagnucolare per una stupida sciarpa. Ah, cavolo! Comincio a sembrare Afrodite.» Stark si puntò il dirk al cuore. «Se ti trasformi in Afrodite mi accoltello.» «Se mi trasformo in Afrodite, prima accoltella me.» Allungai la mano verso il pugnale e stavolta me lo lasciò. «D’accordo.» Sorrise. «D’accordo», ripetei, quindi feci un buco nel bordo frangiato della mia sciarpa nuova e con un gesto rapido ne strappai un pezzo lungo e stretto. «E adesso?» «Scegli un ramo. Secondo Seoras dobbiamo prendere ognuno il nostro pezzo di stoffa e annodarli assieme. Così i desideri che esprimiamo saranno legati.» «Veramente? È superomantico.» «Già, lo so. Mi fa desiderare di averlo inventato io. Solo per te.» Si allungò per seguire con un dito la mia guancia. «Sei il miglior Guardiano del mondo.» E lo pensavo davvero. Lui scosse la testa, il volto tirato. «Non è vero. Non lo dire.» Come aveva appena fatto lui con me, segui con un dito la linea della sua guancia. «Per me sì, Stark. Per me sei il miglior Guardiano del mondo.» Si rilassò un po’. «Per te, cercherò di esserlo.» Spostai lo sguardo da lui al vecchio albero. «Quello.» Indicai un ramo basso che si biforcava, creando con foglie e rametti la forma perfetta di un cuore. «Quello è il punto che fa per noi.» Raggiungemmo assieme la pianta poi, come aveva spiegato il Guardiano di Sgiach, Stark e io annodammo la striscia coi colori della terra del tartan MacUallis al pezzo crema e oro della mia sciarpa. Le nostre dita si sfiorarono mentre stringevamo il nodo. «Il mio desiderio per noi è di essere sempre forti, proprio come questo nodo», esordì Stark. «Il mio desiderio è di essere sempre assieme, proprio come la stoffa di questo nodo», aggiunsi. Suggellammo i nostri desideri con un bacio che mi lasciò senza fiato. Mi stavo chinando verso Stark per baciarlo ancora, quando lui mi prese la mano e disse: «Ti va se ti faccio vedere una cosa?» «Okay, certo», risposi, pensando che in quel momento avrei detto di sì a qualunque cosa. Iniziò a dirigersi nel bosco, ma dovette accorgersi che io esitavo, perché mi strinse la mano e mi sorrise. «Tranquilla, qui non c’è niente che possa farti del male e, anche se ci fosse, ti proteggerei io. Te l’assicuro.» «Lo so. Scusami.» Deglutii, cercando di ricacciare giù il piccolo groppo di paura che mi si era formato in gola, ed entrammo nel bosco. «Ormai sei tornata, Zy. Sei tornata sul serio. E sei al sicuro.» «Ma non ricorda l’Aldilà anche a te?» Avevo parlato talmente piano che Stark dovette chinarsi per sentire. «Sì, ma in un modo positivo.» «Anche a me, in linea generale. Qui percepisco delle cose che mi fanno pensare a Nyx e al suo regno.» «Io credo abbia a che vedere col fatto che questo posto è vecchissimo, e che è stato separato dal mondo per un sacco di tempo. Okay, ci siamo. Seoras me ne aveva parlato, e poco prima che arrivassi mi è sembrato di averlo visto. Eccolo.» Restai senza fiato: davanti a noi, leggermente spostato sulla destra, c’era un albero che brillava. Sul serio. Dalle linee grinzose della spessa corteccia splendeva una delicata luce blu, come se la pianta avesse avuto delle vene luminose. «Incredibile! Cos’è?» «Ci sarà senz’altro una spiegazione scientifica, probabilmente è una speciale pianta fosforescente o chissà che, ma preferisco pensare a una magia, una magia scozzese», rispose Stark. Sorrisi e diedi un piccolo strattone al suo plaid. «Anche a me piace di più chiamarla magia. E, per restare in argomento di cose scozzesi, sai che mi piaci proprio vestito così?» Abbassò lo sguardo sul suo kilt. «Già. Strano come una specie di grossa gonna di lana riesca a conferire un’aria tanto virile.» Ridacchiai. «Mi piacerebbe proprio sentirti dire a Seoras e agli altri Guerrieri che indossano ’una specie di grossa gonna di lana’.» «Ah, no! Sono appena stato nell’Aldilà e non ho nessuna fretta di tornarci!» Poi ci pensò su un attimo e aggiunse: «Quindi ti piaccio vestito così, eh?» Incrociai le braccia e gli girai intorno, squadrandolo dalla testa ai piedi. I colori del tartan dei MacUallis mi ricordavano sempre la terra e, per quanto strano possa sembrare, a essere più precisi mi ricordavano l’Oklahoma: marrone ruggine del terreno rossiccio unito alla più delicata tonalità delle foglie e a un grigio che faceva pensare alla corteccia degli alberi. Stark l’indossava alla vecchia maniera, come gli aveva insegnato Seoras: metri di stoffa piegati a mano avvolti intorno al corpo e fermati con cinture e splendide spille antiche (anche se non penso che i Guerrieri le chiamassero «spille»). Una parte del plaid gli copriva le spalle, ed era un bene perché escludendo quelle specie di cinture di cuoio incrociate sul petto, portava soltanto una T-shirt senza maniche. Si schiarì la voce, nervoso, e fece un mezzo sorriso che lo fece sembrare un ragazzino. «Allora, mia regina? Ho superato l’ispezione?» «Oh, sì. E a pieni voti, anche!» Che buffo, anche se era un Guardiano grande, grosso e pericoloso, si sentì sollevato. «Mi fa piacere. E guarda quant’è utile tutta questa stoffa.» Mi prese per mano e mi portò più vicino all’albero luccicante, quindi si sedette allargando sul muschio parte del suo plaid. «Vieni, Zy, siediti.» «Volentieri», replicai rannicchiandomi accanto a lui. Stark mi prese tra le braccia e mi coprì col plaid, in modo che mi ritrovassi a fare la parte del prosciutto in un caldo, accogliente e amorevole panino di Guerriero e tartan. Restammo così per quello che sembrò parecchio tempo, senza parlare, preferendo sprofondare in un bellissimo silenzio complice. Stare abbracciata a Stark mi faceva sentire bene e al sicuro. E, quando le sue mani cominciarono a muoversi, seguendo i miei tatuaggi prima sul viso e poi sul collo, anche questo mi fece sentire bene. «Sono felice che siamo tornati», disse piano Stark. «È stato merito tuo. Per come mi hai fatto sentire nell’Aldilà», mormorai. Sorrise e mi baciò la fronte. «Vuoi dire spaventata e fuori di testa?» «No. Mi hai fatto sentire di nuovo viva», replicai sfiorandogli il volto. Le sue labbra si spostarono dalla mia fronte alla bocca. Mi baciò a lungo, poi disse: «È bello saperlo, perché tutta la storia di Heath e dell’averti quasi persa mi ha fatto capire una cosa di cui non mi ero ancora reso conto del tutto. Zoey, io non posso vivere senza di te. Magari sarò soltanto il tuo Guardiano e tu avrai un altro consorte o persino un compagno, ma chiunque altro entri a fare parte della tua vita non cambierà quello che sono per te. Non m’incazzerò più e non sarò più egoista e non ti lascerò mai. Per nessun motivo. Affronterò la questione degli altri ragazzi e questo non cambierà quanto c’è tra noi. Te lo giuro». A quel punto sospirò e appoggiò la fronte contro la mia. «Grazie. Anche se suona un po’ come se mi stessi cedendo ad altri ragazzi», gli dissi. Si tirò indietro, mi guardò aggrottando la fronte e sbottò: «Zy, questa è un’emerita stronzata». «Be’, hai appena detto che ti sta benissimo se io sto con...» «No!» Mi scosse leggermente. «Non ho detto che mi sta benissimo che tu stia con altri. Ho detto che non lascerei che questo distruggesse ciò che abbiamo.» «E cos’è che abbiamo?» «Noi. Per sempre.» Gli strinsi le braccia intorno alle spalle. «Stark, a me questo basta. Faresti una cosa con me?» «Come no, tutto», replicò copiando la mia risposta e facendo sorridere entrambi. «Baciami ancora come prima in modo che non possa pensare.» «Senz’altro.» Il bacio di Stark cominciò lento e dolce, ma non rimase così a lungo. E, mentre si faceva più profondo, le sue mani iniziarono a esplorare il mio corpo. Quando incontrò l’orlo della mia maglietta esitò, e in quel breve istante io presi la mia decisione. Volevo Stark. Volevo tutto di lui. Mi staccai quanto bastava per guardarlo negli occhi. Avevamo entrambi il fiato corto e lui si chinò automaticamente verso di me, come se non sopportasse di non starmi appiccicato. «Aspetta.» Gli appoggiai le mani sul petto. «Scusami. Non volevo esagerare.» «No, non è questo. Non stavi esagerando. È solo che volevo... be’...» Esitai, cercando di far funzionare il cervello in quella nebbia di desiderio che provavo per lui. «Ah, cavolo. Meglio se te lo faccio vedere cosa voglio.» Prima di poter fare la timida o di sentirmi in imbarazzo, mi alzai. Stark mi fissava incuriosito ma, quando mi levai la maglietta e i jeans, la curiosità sparì e i suoi occhi sembrarono diventare neri di passione. Tornai a sdraiarmi nella sicurezza del suo abbraccio, gustando la ruvidezza del plaid contro la pelle nuda e liscia. «Sei bellissima», disse Stark, seguendo col dito il tatuaggio che mi girava intorno ai fianchi. Quel tocco mi fece tremare. «Hai paura?» chiese, tirandomi più vicino. «Non sto tremando di paura. Ma dalla voglia che ho di te», spiegai tra un bacio e l’altro. «Sei sicura?» «Più che sicura. Stark, io ti amo.» «Anch’io ti amo, Zoey.» Allora Stark mi prese tra le braccia e le sue mani e le sue labbra cancellarono il mondo, facendomi pensare soltanto a lui, desiderare soltanto lui. Le sue carezze cacciarono tra le nebbie del passato l’orribile ricordo di Loren e dello sbaglio che avevo fatto dandomi a lui. E, allo stesso tempo, Stark alleviò il dolore lasciato in me dalla perdita di Heath. Avrei sempre sentito la mancanza di Heath ma, mentre facevo l’amore con Stark, capii che, dato che lui era umano, a un certo punto avrei comunque dovuto dirgli addio. Stark era il mio futuro, il mio Guerriero, il mio Guardiano, il mio amore. Lui si tolse di dosso il plaid e si sdraiò nudo accanto a me, quindi si chinò e mi sfiorò il collo con la lingua. Poi fu il turno dei denti, un tocco rapido e interrogativo. «Sì», dissi, stupita dal tono roco e poco familiare della mia voce. Feci anch’io una domanda senza parole, sfiorandogli la pelle coi denti. «Oh, Dea, sì! Fallo, Zoey. Fallo.» Non riuscii ad aspettare ancora. Gli graffiai la pelle nello stesso istante in cui lui mi mordeva delicatamente il collo, e il sapore caldo e dolce del suo sangue riempì il mio corpo dei nostri sentimenti condivisi. Il legame tra noi era come fuoco, che bruciava e si consumava con un’intensità quasi dolorosa. Quasi insopportabile da tanto era piacevole. Ci aggrappammo l’uno all’altra, bocche sulla pelle, corpo contro corpo. Riuscivo a sentire soltanto Stark. Udivo soltanto i nostri cuori che battevano all’unisono. Non avrei saputo dire dove finivo io e iniziava lui. Non avrei saputo dire se il piacere che provavamo fosse mio o suo. Dopo, sdraiata tra le sue braccia, le nostre gambe intrecciate, i corpi ancora lucidi di sudore, inviai una preghiera silenziosa alla mia Dea: Grazie, Nyx, di avermi dato Stark. Grazie di aver fatto sì che mi ami. Restammo nel boschetto per ore. In seguito avrei ricordato quella sera come una delle più felici della mia vita. Nel caos del futuro, il ricordo dell’abbraccio di Stark, la condivisione di sogni e carezze, e quell’attimo di appagamento totale e assoluto sarebbero stati qualcosa da tenere caro, come la calda luce di una candela nel buio della notte. Molto più tardi, tornammo lentamente al castello. Tenevamo le dita intrecciate e le nostre braccia si sfioravano con grande intimità. Ero così presa da lui che, quando attraversammo il ponte, non notai nemmeno le teste impalate sulle picche. A dire il vero, non mi ero accorta più o meno di niente finché la voce di Afrodite non ruppe l’incantesimo. «Ma per favore! Perché non vi mettete un cartello in fronte e stampate dei manifesti?» Ancora sognante, sollevai la testa dalla spalla di Stark e vidi Afrodite all’ingresso del castello in una zona illuminata dalle torce, che pestava il piede con aria scocciata. «Mia cara, lasciali in pace. Hanno pagato a caro prezzo la loro felicità.» La voce profonda di Dario provenne dalle ombre accanto a lei. Afrodite inarcò un sopracciglio con aria di scherno. «Non direi che quello che ha appena dato a Stark fosse un pezzo di felicità.» «Guarda, in questo momento le tue volgarità non mi sfiorano neanche», replicai. «Però sfiorano me», intervenne Stark. «Non dovresti passare il tempo a strappare le ali ai gabbiani o le chele ai granchi?» Afrodite si comportò come se Stark non avesse aperto bocca e si rivolse a me. «È vero?» «Cosa è vero? Che sei una gran rompiscatole?» replicai. Stark sbuffò. «Questo è vero senz’altro.» «Se è vero, allora glielo devi dire. Non ho intenzione di ascoltare i suoi piagnistei.» Afrodite mi sventolò l’iPhone davanti alla faccia. «Cavolo, ti comporti da pazza totale persino per i tuoi livelli. Ti serve una terapia d’urto a base di shopping? Cosa. È. Vero?» domandai lentamente, scandendo le parole come se fosse una straniera che sta imparando la lingua. «È vero quello che mi ha appena detto la regina-di-tutto-quelloche-sta-a-Skye, cioè che tu domani non parti con noi? Che rimani qui?» «Oh. Sì, è vero.» Strusciai il piede, chiedendomi come mai mi sentissi in colpa. «Grandioso. Non c’è altro da dire. Allora, come dicevo prima, glielo spieghi tu.» «A chi?» «A Jack. Tieni. Scoppierà a piangere a singhiozzoni e si rovinerà il trucco, cosa che lo farà piagnucolare ancora di più. E io non voglio avere niente a che fare con quel pianto gay. Proprio niente.» Afrodite toccò lo schermo del suo telefono. Che stava suonando quando me lo passò. Quando rispose, Jack era dolce ma un po’ sulla difensiva. «Afrodite, se stai per dire qualche altra cattiveria sul Rituale, allora credo che faresti meglio a tacere. E poi non ti ascolterei comunque perché sono impegnato a sfidare la gravità. Perciò ti saluto.» «Uh, ciao, Jack», feci. Riuscii quasi a vedere il lampo del suo sorriso attraverso il telefono. «Zoey! Ciao! Oooh, è così fantastico che tu non sia morta e nemmeno, cioè, semimorta. Ehi, Afrodite ti ha spiegato cos’abbiamo intenzione di fare domani quando torni? Ohmiadea, sarà fighissimo!» «No, Jack, Afrodite non me l’ha spiegato perché...» «Perfetto, te lo spiego io. Allora, faremo un Rito di Festeggiamento speciale per le Figlie e i Figli Oscuri, perché il fatto che tu non sia più a pezzi è davvero favoloso.» «Jack, io devo...» «No, no, no, tu non devi fare niente. Ho già pensato a tutto io. Ho persino deciso il rinfresco, be’, naturalmente con l’aiuto di Damien, ovvio...» Sospirai e attesi che prendesse fiato. «Visto, cosa ti avevo detto?» intervenne sottovoce Afrodite. «Si metterà a frignare quando farai scoppiare la sua piccola bolla rosa.» «... e la parte che preferisco è quando tu entri nel cerchio e io inizio a cantare Defying Gravity. Sai, come ha fatto Kurt di Glee, solo che io a quella nota alta ci arrivo. Allora, cosa ne pensi?» Chiusi gli occhi, presi un bel respiro e dissi: «Penso che sei davvero un buon amico». «Oooh! Grazie!» «Ma dobbiamo spostare il Rituale.» «Spostarlo? E perché?» Già aveva cominciato a tremargli la voce. «Perché...» esitai. Cacchio. Aveva ragione Afrodite: probabilmente si sarebbe davvero messo a piangere. Stark mi tolse di mano il telefono e mise in vivavoce. «Ehi, Jack, ciao», esordì. «Ciao, Stark!» «Senti, mi potresti fare un piacere?» «Ohmiadea! Ma certo!» «Sai, io sono ancora un po’ fuori fase per tutta la storia dell’Aldilà. Afrodite e Dario rientrano domani, ma Zoey resta qui a Skye con me finché non mi rimetto in forze. Quindi potresti far sapere tu agli altri che non torniamo a Tulsa ancora per un paio di settimane?» Trattenni il fiato aspettandomi le lacrime, invece Jack si comportò in modo davvero adulto e maturo. «Assolutamente. Non preoccuparti di niente. Lo spiego io a Lenobia e a Damien e agli altri. E, Zy, tranquilla. Possiamo spostare tutto senza problemi. Così avrò anche più tempo per provare la mia canzone e preparare delle decorazioni con gli origami a forma di spade. Pensavo di appenderli con una lenza da pesca, di quelle trasparenti, così, sai, sembrerà che stiano davvero sfidando la gravità.» Sorrisi e mimai a Stark un grazie. «Sembra perfetto, Jack. Non avrò niente di cui preoccuparmi sapendo che ti occupi tu delle decorazioni e della musica.» L’allegra risata di Jack gorgogliò fuori dell’iPhone. «Sarà un Rituale splendido! Aspetta e vedrai. Stark, tu pensa solo a rimetterti. Oh, Afrodite, non dovresti presumere che io scoppi a piangere al primo sospetto di un cambiamento di piani per una festa.» Afrodite lanciò un’occhiataccia al telefono. «Come diavolo facevi a sapere che era quello che pensavo?» «Sono gay. Le cose le so.» «Se lo dici tu. Adesso però di’ ciao, Jack, o questa telefonata mi costerà miliardi», saltò su Afrodite «Ciao, Jack!» ribatté lui mentre Afrodite prendeva il telefonino a Stark e interrompeva la comunicazione. «È andata molto meglio di quanto pensassi», dissi. «Già, ‘la ragazza’ l’ha presa bene. Chissà come la prenderà l’altra, dato che è peggio di Miss Jack all’ennesima potenza.» «Oh, senti, Afrodite, Damien non è un gay tutto moine, anche se non c’è niente di male a esserlo. Comunque vorrei proprio che tu fossi più carina con loro due.» «Ma per favore! Non sto parlando dei tuoi gay. Sto parlando di Neferet.» «Neferet! Cos’hai saputo di lei?» domandai con voce tagliente. Odiavo persino pronunciare il suo nome. «Niente, ed è proprio questo che mi preoccupa. Ma senti, Zy, non perderci il sonno. Dopotutto, tu resti qui a Skye, con una vagonata di ragazzoni grandi e grossi, oltre a Stark, a proteggerti, mentre il resto di noi semplici mortali continua fino alla nausea con l’epica battaglia del bene contro il male, della Luce contro la Tenebra, bla bla bla...» Afrodite si voltò e salì a grandi passi la scalinata che portava al castello. «Afrodite una semplice mortale? Credevo che il suo livello di rottura di scatole andasse ben oltre il ‘semplice’», commentò Stark. «Guarda che ho sentito!» gridò Afrodite senza girarsi del tutto. «Oh, Zy, per tua informazione, ho un’emergenza bagagli, come se di emergenze non ne avessi già abbastanza, quindi ti confisco la valigia che ti sei comprata l’altro giorno. Vado a preparare le mie cose. A dopo, villici.» E sbatté il pesante portone di legno, cosa peraltro davvero notevole. «Assolutamente splendida», commentò Dario con un sorriso pieno di orgoglio mentre saliva i gradini a due a due e seguiva la sua ragazza. «Riesco a pensare a un sacco di aggettivi con la S adatti ad Afrodite, ma splendida non è nell’elenco», brontolò Stark. «Mi vengono in mente ’stordita’ e ’sgarbata’», dissi. «A me invece viene in mente ’stallatico’», riprese Stark. «Stallatico?» «Trovo che sia piena di merda, ma definirla stronza è troppo facile, quindi un sinonimo di letame che inizia con la S per il momento è il meglio cui sia riuscito a pensare», spiegò. «Mamma mia!» commentai. Poi lo presi sottobraccio. «Stai solo cercando di distrarmi dalla questione Neferet, vero?» «E funziona?» «Mica tanto.» Il braccio di Stark mi scivolò intorno ai fianchi. «Allora dovrò migliorare le mie tattiche di distrazione.» Raggiungemmo l’ingresso del castello e lasciai che Stark mi divertisse con la sua lista di parole con la S che si adattavano ad Afrodite più di «splendida», cercando di recuperare la sensazione di gioia soddisfatta che avevo appena provato. Continuavo a ripetermi che Neferet era in tutto un altro mondo, e che gli adulti di quel mondo potevano tenerla a bada. Mentre Stark mi apriva il portone, qualcosa attirò il mio sguardo verso l’alto e vidi la bandiera che sventolava orgogliosa sul piccolo regno di Sgiach. Mi fermai a studiare la bellezza del possente toro nero con la sagoma della Dea dipinta sul corpo e, in quel momento, dall’acqua che fiancheggiava il castello si levò un filo di nebbia che andò ad alterare la scena, trasformando il toro nero in un bianco spettrale e nascondendo completamente l’immagine della Dea. Mi venne un brivido di paura. «Cosa c’è?» Stark scattò subito al mio fianco. Sbattei le palpebre. La nebbia si dissolse e la bandiera tornò come prima. «Niente. Sono solo un po’ paranoica», mi affrettai a replicare. «Ehi, ci sono io qui. Non devi essere paranoica; non devi preoccuparti. Ti so proteggere.» Stark mi abbracciò stretta, sbarrando la strada al mondo esterno e a quello che stava cercando di dirmi lo stomaco. CAPITOLO 5 STEVIE RAE «Non è da te. Lo sai?» Stevie Rae alzò gli occhi verso Kramisha. «Sto soltanto seduta qui a farmi i fatti miei.» S’interruppe per lasciare che venisse capito bene l’implicito: a differenza di te. «Com’è che non sarebbe da me?» «Tesoro, ti sei scelta l’angolo più buio e sinistro dell’universo e, per migliorare la situazione, hai persino spento le candele. E te ne stai qui avvilita a rimuginare talmente forte che quasi posso sentire i tuoi pensieri.» «Non puoi sentire i miei pensieri.» Il tono brusco di Stevie Rae fece sgranare gli occhi a Kramisha. «Ovvio che non posso, tesoro, non c’è bisogno che t’incavoli. Ho detto quasi. Mica sono Sookie Stackhouse. E comunque anche se lo fossi non ti leggerei nel cervello. Sarebbe da cafoni e mia mamma non mi ha cresciuta così.» Kramisha si sedette accanto a Stevie Rae sulla panchina di legno. «Tanto per restare in argomento... sono l’unica a pensare che quel lupo mannaro sia più figo di Bill ed Eric messi assieme?» «Kramisha, non mi rovinare la terza stagione di True Blood. Non ho ancora finito di vedere i DVD della seconda.» «Be’, ti sto solo avvisando di prepararti a una strafigaggine a quattro zampe.» «Dico sul serio. Non osare raccontarmi altro!» «Okay, okay, ma un giorno dobbiamo assolutamente riparlare di tutta la storia lupo-mostro-ragazzofigaccione.» «Ascolta, questa panca è di legno, quindi è parte della terra. Il che significa che posso trovare il sistema di farti un mazzo tanto se mi rovini True Blood.» «Tesoro, vuoi rilassarti per favore? Quella questione l’ho già archiviata. C’è un’altra cosa di cui dobbiamo discutere prima di andare ad annoiarci alla riunione del Consiglio.» «È uno dei nostri compiti. Io sono una Somma Sacerdotessa. Tu sei un Poeta Laureato. Noi dobbiamo andare alle riunioni del Consiglio.» Stevie Rae sbuffò. «Cavolaccio schifoso, non vedo l’ora che torni Zoey.» «Già, già, questo lo capisco. Invece non capisco cosa ti ha incasinato il cervello al punto da non sembrare nemmeno più tu.» «Be’, il mio ragazzo ha perso quella sua testaccia di cavolo ed è sparito dalla faccia della terra. La mia migliore amica è quasi morta nell’Aldilà. I novizi rossi – gli altri – sono ancora là fuori a fare dio solo sa cosa, che tradotto sono quasi certa significhi mangiare le persone. E, tanto per non farsi mancare niente, si presume che io sia una Somma Sacerdotessa, anche se non sono nemmeno sicura di sapere cosa voglia dire. Secondo me ce n’è abbastanza da incasinare il cervello di chiunque.» «Sì, certo, ma non è abbastanza da ispirarmi in continuazione quelle strane poesie che sono tutte sullo stesso argomento da mettere i brividi. Riguardano te e delle bestie, tesoro, e voglio sapere perché.» «Kramisha, non so di cosa stai parlando.» Stevie Rae fece per alzarsi, ma Kramisha frugò nella sua immensa borsetta ed estrasse un foglietto viola con sopra scritto qualcosa nella sua inconfondibile calligrafia. Con un altro sospirone, Stevie Rae si risedette e allungò una mano. «D’accordo. Fammi vedere.» «Le ho scritte tutt’e due su questo foglio. La vecchia e la nuova. Qualcosa mi dice che ti potrebbe servire una rinfrescatina alla memoria.» Stevie Rae non commentò. Spostò lo sguardo sulla prima poesia e la lesse con attenzione. Non che le servisse una rinfrescata alla memoria: ogni verso le era rimasto impresso a fuoco nella mente. La Rossa entra nella Luce, pronta alla sua parte nell’apocalittica battaglia. La Tenebra si cela sotto forme diverse, guarda oltre aspetto, colore, menzogne e tempeste emozionali. Alléati con lui; paga col tuo cuore, anche se fiducia non si può dare senza aver prima diviso la Tenebra. Guarda con l’anima e non con gli occhi, perché per danzare con le bestie devi penetrare oltre il loro travestimento. Stevie Rae s’impose di non piangere, ma si sentiva il cuore ferito e lacerato. La poesia diceva la verità. Aveva visto Rephaim con l’anima, non con gli occhi. Aveva diviso la Tenebra, fidandosi di lui e accettandolo e, per essersi alleata con una bestia, aveva pagato col suo cuore. Stava ancora pagando col suo cuore. Riluttante, Stevie Rae guardò la seconda poesia, quella nuova. Ricordando a se stessa di non reagire, di non lasciare che il suo viso facesse trapelare qualcosa, iniziò a leggere. Le bestie possono essere belle, i sogni diventare desideri, e la realtà cambiare grazie alla ragione. Fidati della tua verità uomo... mostro... mistero... magia... Ascolta col cuore, guarda senza disprezzo. L’amore non perderà. Fidati della sua verità, la sua promessa è prova assoluta, la verifica è il tempo. La fiducia libera se c’è il coraggio di cambiare. Stevie Rae si sentiva la bocca asciutta. «Mi spiace, non ti posso aiutare. Non so di cosa parlino questi versi.» Tentò di restituire il foglietto a Kramisha, ma la poetessa teneva le mani incrociate sul petto. «Stevie Rae, come bugiarda non vali una cicca.» «Non mi sembra un’ideona dare della bugiarda alla tua Somma Sacerdotessa», ribatté Stevie Rae con un’ombra di cattiveria Kramisha scosse la testa. «Cosa ti sta succedendo? Qualsiasi cosa sia ti sta lacerando dentro. Fossi in te, mi racconterei tutto. Cercherei un aiuto per capire come stanno le cose.» «Quello che non riesco a capire è ’sta roba delle poesie! Sono metafore e simbolismi e predizioni strane e confuse.» «Che grandissima balla! Siamo sempre riusciti a interpretarle, le mie poesie. Zoey ce l’ha fatta. Tu e io ce l’abbiamo fatta, almeno quanto bastava a comunicare con Zy nell’Aldilà. Ed è servito. L’ha detto Stark che è servito.» Kramisha indicò la prima poesia. «Una parte di questa si è realizzata. Hai incontrato le bestie. Quei due tori. Da quel momento sei diventata un’altra. Adesso ti porto una nuova poesia sulle bestie. Lo so che riguardano tutte te. E so pure che c’è qualcosa che non vuoi dirmi in proposito.» «Senti, Kramisha, fatti i fatti tuoi, okay? Ho chiuso con ’sta menata delle bestie!» Stevie Rae si alzò, lasciò il suo angoletto buio e andò dritta a sbattere contro Dragone Lankford. «Ehi, piano, di che si tratta? Ho sentito bene? Parlavi di bestie?» domandò il professore mentre la sorreggeva. «Proprio così.» Kramisha indicò la pagina del blocchetto viola che aveva in mano Stevie Rae. «Ho scritto due poesie, una il giorno in cui Stevie Rae si era andata a impegolare con quei due tori, e la seconda poco fa. Lei però non pensa che siano importanti.» «Non ho detto che non sono importanti. È solo che voglio badare ai fatti miei da sola, senza sentirmi pressare da tutti i ficcanaso dell’intero universo.» «Mi consideri un ficcanaso?» domandò Dragone. Stevie Rae si costrinse a incrociare lo sguardo del maestro di scherma. «No, no di certo.» «E sei d’accordo con me che le poesie di Kramisha sono importanti.» «Be’... sì.» «Allora non puoi ignorarle e basta.» Dragone posò la mano sulla spalla di Stevie Rae. «So cosa significa voler tenere privata la propria vita, ma ora sei una Somma Sacerdotessa, ci sono cose più importanti della privacy.» «Questo lo so, ma posso occuparmi della situazione da sola.» «Così come ti sei ’occupata’ dei tori?» commentò Kramisha. «Se ne sono andati, giusto? Allora vuol dire che me ne sono occupata benissimo.» «Mi ricordo come stavi dopo lo scontro col toro. Eri gravemente ferita. Se tu avessi compreso la poesia di Kramisha, probabilmente il prezzo che avresti pagato non sarebbe stato così alto. E poi c’è il fatto che è comparso un Raven Mocker, che potrebbe addirittura essere quel mostro di Rephaim. Lui è ancora là fuori ed è un pericolo per tutti noi. Perciò, giovane sacerdotessa, devi capire che un avvertimento diretto a te non può essere mantenuto privato in quanto coinvolge la vita di altri.» Stevie Rae fissò Dragone negli occhi, cercando di decifrare la sua espressione: era di sospetto e rabbia o rifletteva soltanto il dolore che l’avvolgeva dalla morte della moglie? Mentre lei esitava, Dragone riprese: «Una bestia ha ucciso Anastasia. Non possiamo permettere che altri innocenti siano toccati da queste creature di Tenebra, se riusciamo a evitarlo. Stevie Rae, lo sai che sto dicendo la verità». «Io... io, sì, lo so», balbettò, cercando di riordinare i pensieri. Rephaim ha ucciso Anastasia la sera in cui Dario gli ha sparato. Nessuno potrà mai dimenticarselo... io non lo dimenticherò mai, soprattutto adesso che le cose sono cambiate. Non lo vedo da settimane. Il nostro Imprinting esiste ancora, lo sento, eppure non ho ricevuto nessuna sensazione da lui. E fu proprio quel vuoto, quella mancanza di emozioni a far decidere Stevie Rae. «Okay, ha ragione. Ho bisogno di aiuto con questa storia.» Porse le poesie al professore. Forse è così che deve andare. Se Dragone scoprirà il mio segreto, sarà tutto distrutto, Rephaim, il nostro Imprinting e il mio cuore... Ma almeno sarà finita. Mentre leggeva la nuova poesia, l’espressione di Dragone si fece sempre più cupa. Quando infine il vampiro alzò lo sguardo dal foglietto, non c’erano dubbi su quanto fosse preoccupato. «Il secondo toro che hai evocato, quello nero che ha fatto sparire il cattivo... che tipo di legame avevi con lui?» «Non so se si possa definirlo un legame, ma ho pensato che fosse molto bello. Era nero, però in lui non c’era traccia di Tenebra. Era incredibile... bello come il cielo di notte, bello come la terra.» «La terra... Se il toro ti ricorda il tuo elemento, forse vuol dire che hai una sorta di legame con lui.» «Ma noi sappiamo che è buono. Non c’è dubbio su questo. La poesia non può parlare di lui», intervenne Kramisha. «E allora?» Stevie Rae non riusciva a nascondere l’irritazione. Kramisha sembrava un dannatissimo cane: non voleva proprio mollare l’osso. «Allora le poesie, e soprattutto l’ultima, parlano di fidarsi della verità. Che lui è buono e che ti puoi fidare lo sappiamo già, quindi perché dovrebbe servirti una poesia per spiegartelo?» «Kramisha, ho già cercato di dirtelo prima: non ne ho la minima idea.» «Tesoro, io penso solo che non parlino del toro nero», insistette la poetessa. «E di cos’altro potrebbero parlare? Io di altre bestie non ne conosco», disse in fretta Stevie Rae, come se la velocità potesse far sparire la bugia. «Hai detto che Dallas ha un’insolita nuova affinità, e che sembrava impazzito. È così?» chiese Dragone. «Più o meno», replicò Stevie Rae. «Il riferimento alla bestia potrebbe riguardare simbolicamente Dallas. La poesia potrebbe voler dire che devi fidarti dell’umanità che ancora c’è in lui», continuò Dragone. «Ah, non lo so... L’ultima volta che l’ho visto era incasinato e fuori di testa. Insomma, diceva delle cose stranissime sul Raven Mocker che aveva visto», replicò Stevie Rae. «La Riunione del Consiglio sta per iniziare!» li avvisò Lenobia. Mentre si dirigevano verso la Camera del Consiglio, Dragone sollevò il foglietto. «Vi spiace se lo tengo io? Solo il tempo di copiare le poesie e poi ve lo rendo. Vorrei poterle studiare meglio.» «A me sta bene», rispose Stevie Rae. «Be’, Dragone, sono felice che ci sia anche il suo cervello a lavorarci sopra», fece Kramisha. «Pure io», aggiunse Stevie Rae, cercando di fare in modo di sembrare sincera. Dragone si fermò un attimo. «Lo mostrerò soltanto a quei vampiri che penso ci possano aiutare a scoprire il significato di queste parole. Capisco benissimo il tuo desiderio di privacy.» «Domani ne parlerò con Zoey», disse Stevie Rae. Dragone aggrottò la fronte. «Sono convinto che tu debba condividere con lei la poesia, ma purtroppo domani non rientrerà alla Casa della Notte.» «Come? Perché no?» «Pare che Stark non sia in condizioni di poter viaggiare, perciò Sgiach ha dato loro il permesso di rimanere a Skye finché lo desiderano.» «Gliel’ha detto Zoey?» Stevie Rae non riusciva a credere che la sua migliore amica avesse chiamato Dragone e non lei. Cos’aveva in testa Zy? «No, lei e Stark hanno parlato con Jack.» «Oh, il Rituale di Festeggiamento.» Stevie Rae annuì. Zy non le aveva tenuto nascosto niente: Jack era così gasato per il Rituale da autoproclamarsi addetto alla musica, al cibo e alle decorazioni, quindi era più che probabile che le avesse telefonato con una serie di domande fondamentali tipo: Qual è il tuo colore preferito? oppure Doritos o patatine Ruffles? «Il ragazzino è ossessionato. Scommetto che ha perso la testa quando ha scoperto che domani Zoey non torna a casa.» «A dire il vero sta sfruttando il tempo in più per provare la canzone. E per preparare le decorazioni», spiegò Dragone. «Che la Dea ci aiuti», commentò Kramisha. «Se solo prova ad appendere arcobaleni e unicorni e a farci indossare boa di struzzo – di nuovo –, stavolta mi sente!» «Origami a forma di spada», disse Dragone. «Mi scusi?» Stevie Rae era certa di avere capito male. Dragone ridacchiò. «Jack è venuto in palestra a prendere in prestito una claymore per avere un campione da copiare. In onore di Stark, ha intenzione di appendere origami a forma di spada a una lenza da pesca. Dice che saranno perfetti con la canzone.» «Già, perché sfideranno la gravità!» Stevie Rae non riuscì a non sogghignare. Le piaceva proprio Jack. Quel ragazzo era troppo carino per descriverlo a parole. «Spero almeno che non le faccia con la carta rosa. Non sarebbe adatto per niente.» Erano arrivati alla Camera del Consiglio e, prima di entrare nella stanza già piena, Stevie Rae udì Dragone dire: «Non rosa. Viola. L’ho visto con una montagna di carta di quel colore». Stevie Rae stava ancora sorridendo quando Lenobia dichiarò aperta la riunione. Nei giorni successivi, avrebbe ricordato quel sorriso, desiderando di potersi aggrappare all’immagine di Jack che realizzava spade di carta viola cantando Defying Gravity, sempre pronto a vedere il lato bello della vita, sempre dolce, sempre felice e, cosa più importante, sempre al sicuro. CAPITOLO 6 JACK «Duc, bella ragazza, cosa c’è? Perché sei così schizzata oggi?» Jack tolse la pila di carta da origami viola da sotto il sedere della labrador bionda e la spostò fuori della sua portata, sullo sgabello di legno che usava come tavolino. La cagnolona sbuffò, scodinzolò e si avvicinò ancora di più al ragazzo. Lui sospirò e la guardò con tanto affetto ma anche un po’ esasperato. «Non devi starmi sempre attaccata. Va tutto bene. Sto soltanto preparando le decorazioni.» «Oggi è particolarmente appiccicosa», commentò Damien sedendosi a gambe incrociate sull’erba. Jack smise di dedicarsi alla spada di carta che aveva appena realizzato e accarezzò la testa morbida di Duchessa. «Secondo te riesce a percepire che S-T-A-R-K non si sente al cento per cento? Pensi che sappia che domani non tornerà?» «Be’, forse. È molto intelligente. Ma a mio parere è più preoccupata di vederti salire là sopra che del fatto che Stark sia stanco e in ritardo sui tempi.» Jack agitò le dita in direzione della scala da due metri e mezzo pronta poco lontano. «Ah, ma non c’è niente di cui tu e Duc dobbiate preoccuparvi. Quella scala è sicurissima. Ha persino un fermo che la tiene aperta.» «Non lo so. È così alta...» Damien lanciò un’occhiata circospetta agli ultimi pioli. «Ma no, non è così terribile. E poi non devo salire fino in cima. Questo povero albero ha i rami che vanno verso il basso. Sì, insomma, da quando lui è saltato fuori da sotto le radici.» Jack pronunciò l’ultima frase in un sussurro degno di un attore sul palco. Damien si schiarì la voce e diede alla grande quercia sotto cui erano seduti la stessa occhiata circospetta che aveva riservato alla scala. «Okay, non ti arrabbiare, ma devo proprio parlarti della tua idea di scegliere questo posto per il Rituale di Festeggiamento di Zoey.» Jack sollevò una mano col palmo rivolto all’esterno, nel segnale universale di stop. «Lo so già che qualcuno avrà dei problemi con questa location, ma ho deciso che i pro battono i contro.» Damien gli prese la mano e la tenne tra le sue. «Tesoro, tu hai sempre le migliori intenzioni. Ma penso che stavolta dovresti prendere in considerazione la possibilità di essere l’unico a trovare qualcosa di positivo in questo posto. La professoressa Nolan e Loren Blake sono stati uccisi qui. Kalona si è liberato spaccando questo albero. A me non sembra tanto adatto a dei festeggiamenti.» Jack coprì la mano libera di Damien con la propria. «È un luogo di potere, giusto?» «Esatto.» «E il potere non è né negativo né positivo. Assume queste caratteristiche solo quando delle forze esterne prendono il sopravvento e l’influenzano. Giusto?» Damien esitò, rifletté e poi, un po’ riluttante, annuì. «Sì, immagino che sia di nuovo esatto.» «Be’, io sento che il potere che c’è in questo luogo, in quest’albero spezzato e nella zona vicino al confine est del parco, è stato usato male. Ha bisogno di un’occasione per tornare a essere uno strumento della Luce e del bene. Devo farlo. Qualcosa dentro di me mi dice che devo essere qui, a preparare il Rituale per il ritorno di Zoey, anche se lei e Stark arriveranno con un po’ di ritardo.» Damien sospirò. «Sai che non ti chiederei mai d’ignorare le tue sensazioni.» «Allora mi sosterrai? Anche se dicono tutti che il tuo ragazzo è matto da legare?» Damien gli sorrise. «Non dicono che sei matto da legare. Dicono che il tuo impegno nel decorare e organizzare ha offuscato il tuo metro di giudizio.» Jack ridacchiò. «Scommetto che non hanno detto impegno e neanche offuscato.» «I loro termini erano sinonimi, ma di livello inferiore.» «Ecco il mio Damien: il mago delle parole!» «Ed ecco il mio Jack: il genio dell’ottimismo.» Damien lo baciò delicatamente sulle labbra. «Fai quello che devi fare. So che Zoey l’apprezzerà molto quando tornerà a casa.» S’interruppe, fece un sorriso triste e aggiunse: «Tesoro, lo sai vero che Zoey potrebbe stare via ancora per un bel po’? So cosa ti ha detto Stark e con Zy non ho ancora parlato, ma Afrodite dice che non è più la stessa. Che in realtà non rimane a Skye per Stark. Ci rimane perché vuole stare lontana dal mondo». «Scusami, Damien, ma proprio non riesco a crederci», ribatté deciso Jack. «Nemmeno io, ma il fatto è che Zoey non rientra con Afrodite e Dario e non ha nemmeno detto quando avrebbe intenzione di tornare. E c’è anche tutta la faccenda di Heath. Sai bene quanto me che, quando Zoey tornerà a Tulsa, dovrà affrontare il fatto che Heath non c’è, che non ci sarà più.» «Che cosa orribile, vero?» Ai due ragazzi bastò uno sguardo per comprendersi. «Dev’essere tremendo perdere qualcuno che si ama così tanto. Deve aver cambiato Zoey.» «Di sicuro, però, lei è sempre la nostra Zy. Ho la sensazione che tornerà a casa prima di quanto credi», disse Jack. Damien sospirò. «Speriamo che tu abbia ragione.» «Ehi, devi ammettere che ho ragione un sacco di volte. E avrò ragione anche su Zoey che torna presto. So che andrà così.» «Okay, d’accordo, ti credo. Soprattutto perché adoro questo tuo atteggiamento positivo.» Jack gli sorrise e gli diede un rapido bacio. «Grazie!» «E, in ogni caso, che Zy torni tra una settimana o tra un mese, continuo a non essere convinto al cento per cento che sia una buona idea appendere delle spade di carta all’esterno non sapendo quando serviranno. E se domani piove?» «Oh, ma non ho intenzione di appenderle tutte, sciocco! Sto soltanto facendo una prova per essere certo che le piegature siano perfette.» «È per questo che ti sei portato la claymore? Sembra così affilata e, be’, pericolosa appoggiata al tavolino in quel modo. La punta non dovrebbe essere rivolta verso il basso?» L’elsa della spada era posta sul terreno e la lama era rivolta verso l’alto, illuminata dalla luce guizzante delle lampade a olio che di sera illuminavano la scuola. «Be’, Dragone mi ha dato istruzioni molto precise. E ho ascoltato quasi tutto, anche se continuavo a distrarmi vedendo la sua aria triste. Sai, non mi sembra che si stia riprendendo.» Jack pronunciò l’ultima parte della frase sottovoce, quasi non volesse farsi sentire da Duchessa. Damien sospirò e intrecciò le dita a quelle di Jack. «Non sembra neanche a me.» «Già, lui mi spiegava di non infilare la punta della spada nel terreno perché se no va via il filo o qualcosa di simile, e io riuscivo a pensare soltanto a quanto fossero profonde le sue occhiaie.» «Tesoro, non credo che riesca a dormire molto», commentò triste Damien. «Forse non avrei dovuto disturbarlo chiedendo in prestito una spada, ma volevo usare una cosa vera e non solo una foto per creare i miei origami.» «Non credo che tu l’abbia disturbato. La morte di Anastasia è una cosa che deve elaborare col tempo. Mi dispiace dirlo, ma noi non possiamo fare niente per cambiare la situazione. E in ogni caso hai avuto un’ottima idea. Il tuo origami è molto realistico.» Jack si agitò compiaciuto. «Oooh! Lo pensi sul serio?» Damien gli mise un braccio intorno alle spalle e lo strinse a sé. «Assolutamente. Hai un vero dono per le decorazioni.» Jack si rannicchiò contro di lui. «Grazie. Sei il miglior fidanzato dell’universo.» Damien rise. «Non è difficile stando con te. Ehi, ti serve aiuto per piegare le spade?» A quel punto fu Jack a ridere. «No, grazie. Sei negato persino a fare pacchetti, quindi posso immaginare che l’origami non sia uno dei tuoi molti talenti. Però mi puoi aiutare con qualcos’altro.» Jack guardò Duchessa con intenzione, quindi si avvicinò a Damien per mormorargli all’orecchio: «Potresti portare Duc a fare una passeggiata. Non mi si stacca di dosso e continua a incasinarmi i fogli di carta». «Okay, nessun problema. Stavo per fare una corsetta. Sai com’è il detto: un gay cicciottello non è né felice né bello. Duc può fare qualche giro assieme a me. Dopo di che sarà troppo stanca per starti addosso.» «È una gran figata che tu faccia jogging.» «Lo dici adesso, aspetta di vedermi tornare tutto rosso e sudato», replicò Damien alzandosi e prendendo il guinzaglio di Duchessa nell’erba. «Però ci sono delle volte in cui mi piaci rosso e sudato», ribatté Jack con un sorriso. «Allora forse dopo non mi faccio la doccia», disse Damien. «Allora forse è proprio una buona idea», convenne Jack. «O forse potresti fare la doccia con me.» Il sorriso di Jack diventò ancora più grande. «Ah, questa sì che è proprio una buona idea.» «Sfacciato», fece Damien prima di baciarlo. «Linguista», replicò Jack. Duchessa s’intromise scodinzolando tra i due, sbuffando e dando leccatine a entrambi. «Ma sì, bella ragazza! Anche noi ti vogliamo bene!» disse Jack. «Dai, vieni con me. Andiamo a correre un po’, per tenerci belli e in forma per Jack.» Damien tirò il guinzaglio del grosso cane, che lo seguì con evidente esitazione. «Va tutto bene, Duc. Ti riporta qui presto», disse Jack. «Sì, bionda, torniamo subito da Jack.» «Ehi, vi voglio bene, ragazzi!» gridò Jack mentre si allontanavano. Damien si voltò, sollevò una zampa di Duchessa e la mosse in segno di saluto, quindi strillò: «Anche noi!» Dopo di che corricchiarono via, con Duchessa che abbaiava eccitata mentre Damien fingeva d’inseguirla. «Loro sono il meglio in assoluto», commentò Jack sottovoce e si rimise al lavoro sull’ultima spada, la quinta. Una per ciascun elemento. Ora le appendo, così faccio una prova. Mentre tagliava la lenza da pesca, Jack continuava a guardare in su, cercando il punto giusto dove appendere le decorazioni. Non ci mise molto. Il massiccio tronco della quercia era stato spezzato in due e piegato tanto che i grossi rami sfioravano quasi il terreno. Prima che Kalona uscisse dalla terra, non sarebbe stato possibile raggiungere i rami più bassi senza una scala di almeno sei metri, invece adesso quella di due e mezzo era più che sufficiente. «Là. Ecco dove dovrebbe stare la prima.» Proprio sopra al punto in cui Jack aveva sistemato il tavolino da lavoro si allungava un grande ramo che faceva pensare a un braccio. «È perfetto.» Trascinò la scala più vicino e sollevò la spada di carta tenendola per la lenza che aveva fissato all’elsa. «Oh, ooops! Me ne stavo dimenticando. Mi devo esercitare!» esclamò, fermandosi a sfiorare i tasti del suo iPhone dock portatile. Something has changed within me Something is not the same I’m through with playing by the rules Of someone else’s game... La voce di Rachel iniziò la canzone, limpida e forte. Jack aspettò con un piede sul piolo più basso della scala e, quando fu il turno di Kurt, cantò anche lui, seguendo il tono tenorile nota dopo nota. Too late for second-guessing Too late to go back to sleep... Jack salì sulla scala cantando con Kurt, fingendo di salire i gradini del Radio City Music Hall, dove il cast di Glee aveva fatto tappa nel tour musicale della primavera precedente. Arrivò all’ultimo piolo, si fermò, e iniziò il primo ritornello con Rachel e Kurt mentre si allungava per far passare il filo da pesca tra i rami spogli della quercia. It’s time to trust my instincts Close my eyes: and leap! Stava canticchiando l’ultima parte di Rachel, in attesa che riprendesse Kurt, quando un movimento alla base dell’albero spezzato attirò la sua attenzione. Jack rimase senza fiato: era sicuro di aver visto l’immagine di una donna bellissima. All’inizio si trattava solo di una sagoma scura e indistinta ma, mentre Kurt cantava di un amore che aveva capito di avere perso, la figura era diventata più chiara, grande e definita. «Nyx?» mormorò intimidito Jack. Quasi si fosse sollevato un velo, all’improvviso la donna fu completamente visibile. Sollevò la testa e sorrise a Jack, splendida e malvagia allo stesso tempo. «Sì, piccolo Jack, puoi chiamarmi Nyx.» «Neferet! Che ci fa qui?» La domanda gli uscì di bocca prima che potesse riflettere. «A dire il vero, in questo momento sono qui perché ci sei tu.» «I-io?» «Sì. Vedi, ho bisogno del tuo aiuto. So quanto ti piace aiutare gli altri ed è per questo che sono venuta da te, Jack. Faresti una cosa per me? Ti posso assicurare che ne varrà la pena.» «Ne varrà la pena? Cosa intende?» domandò Jack. «Intendo dire che, se fai una cosuccia per me, io poi farò una cosuccia per te. Sono stata lontana dai novizi della Casa della Notte per troppo tempo. È possibile che abbia perso contatto con ciò che fa loro battere il cuore e tu potresti aiutarmi, guidarmi. In cambio ti darei un premio. Pensa ai tuoi sogni, a quello che vorresti fare nella lunga vita che ti aspetta dopo la Trasformazione. Io potrei fare in modo che quei sogni diventino realtà.» Jack sorrise e allargò le braccia. «Ma i miei desideri si sono già realizzati. Sono qui, in questo bel posto, con tanti amici che sono diventati la mia famiglia. Cosa si potrebbe volere di più?» L’espressione di Neferet s’indurì, e la sua voce si fece pietra. «Cosa potresti volere di più? Che ne diresti del controllo assoluto su ‘questo bel posto’? La bellezza non dura. Amicizia e famiglia si deteriorano. L’unica cosa che dura in eterno è il potere.» «No, è l’amore che dura in eterno», replicò Jack dal profondo del cuore. Neferet rise di gusto. «Non essere così infantile. Io ti sto offrendo molto più dell’amore.» Jack guardò Neferet con attenzione. Probabilmente, in fondo al cuore lo aveva sempre saputo, ma solo ora riuscì a comprenderlo in modo razionale: lei aveva accolto in sé il male, nel modo più totale e assoluto. Ormai in lei non c’è più niente della Luce o di me. La voce nella mente di Jack era dolce e amorevole, e gli diede il coraggio di ricacciare giù il groppo che gli si era formato in gola e guardare Neferet dritto in quei gelidi occhi di smeraldo. «Non vorrei sembrarle maleducato, Neferet, ma quello che lei mi offre non m’interessa. Non la posso aiutare. Lei e io, be’, non stiamo dalla stessa parte.» Detto questo, iniziò a scendere dalla scala. «Resta dove sei!» Jack non riusciva a spiegarsi come fosse possibile, eppure Neferet aveva preso il controllo del suo corpo: all’improvviso, lui si sentiva come se fosse stato circondato da un’invisibile gabbia di ghiaccio che gli impediva di muoversi. «Impudente che non sei altro! Pensi davvero di potermi sfidare?» Kiss me goodbye I’m defying gravity... «Sì», replicò Jack mentre intorno a lui la voce di Kurt lo incitava a sfidare la gravità. «Perché io sto dalla parte di Nyx, non dalla sua. Perciò, Neferet, mi lasci andare e basta, tanto io non l’aiuterò.» «È qui che ti sbagli, mio giovane innocente che non sono riuscita a corrompere. Hai appena dimostrato di potermi aiutare moltissimo.» Neferet sollevò le mani. «Come ho promesso, eccolo qui.» Jack non capiva a chi si stesse rivolgendo Neferet, ma le sue parole gli fecero venire la pelle d’oca. Impotente, la vide allontanarsi dall’ombra dell’albero e scivolare via da lui per raggiungere il sentiero che l’avrebbe condotta all’edificio principale della Casa della Notte. Con uno strano distacco, il ragazzo si accorse che i movimenti di lei erano più da rettile che da umano. Per un istante, credette che se ne stesse davvero andando, credette di essere salvo. Ma, quando la vampira raggiunse il vialetto, si voltò a guardarlo, scosse la testa e rise piano. «Me l’hai reso anche troppo facile, ragazzino, col tuo onorevole rifiuto della mia offerta.» Poi fece un gesto in direzione della spada, come se stesse lanciando qualcosa, e Jack fu certo di aver scorto un’ombra scura avvolgersi intorno all’elsa. La spada girò e girò e girò, fino a che la punta non fu rivolta verso di lui. «Ecco il tuo sacrificio. Lui è quello che non ho potuto corrompere. Prendilo, e il mio debito col tuo padrone sarà pagato, ma aspetta fino a che l’orologio non batterà dodici colpi. Trattienilo fino ad allora.» Detto ciò, Neferet entrò nell’edificio. La mezzanotte sembrava non arrivare mai e, per non pensare alle invisibili catene di ghiaccio che lo trattenevano, Jack si rifugiò nella musica, felice che il suo iPhone continuasse a suonare Defying Gravity. Gli era di conforto ascoltare Kurt e Rachel che gli insegnavano come superare la paura. Quando l’orologio cominciò a scandire i colpi, Jack ormai sapeva cosa sarebbe successo. Sapeva di non poterlo impedire, che il suo destino non poteva essere cambiato. Al posto di un inutile tentativo di combattere, di rimpianti dell’ultimo minuto, di lacrime prive di senso, Jack chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e, con gioia, si unì a Rachel e a Kurt nel ritornello: I’d sooner buy Defying gravity Kiss me goodbye I’m defying gravity I think I’ll try Defying gravity And you won’t bring me down! La melodiosa voce di Jack risuonava tra i rami della quercia spezzata, quando la magia di Neferet scagliò il ragazzo giù dalla scala. Cadde sulla claymore ma, nell’istante in cui la lama gli trafiggeva il collo, prima che il dolore e la morte e la Tenebra potessero sfiorarlo, il suo spirito esplose fuori del corpo. Jack aprì gli occhi e scoprì di essere in un prato meraviglioso, ai piedi di un albero che pareva la copia esatta di quello spezzato da Kalona, solo che questo era intatto e verde, e aveva accanto una donna che indossava delle scintillanti vesti d’argento. Era così stupenda che Jack avrebbe potuto rimanere a fissarla per sempre. La riconobbe subito. L’avrebbe riconosciuta sempre. «Salve, Nyx», esordì. La Dea sorrise. «Salve, Jack.» «Sono morto, giusto?» Il sorriso di Nyx non si affievolì. «Sì, mio splendido figlio, amorevole e incorruttibile.» Jack esitò, poi disse: «Non sembra tanto male, questa storia dell’essere morti». «Scoprirai che non lo è.» «Mi mancherà Damien.» «Starai di nuovo con lui. Alcune anime si ritrovano e per le vostre sarà così. Hai la mia parola.» «Mi sono comportato come dovevo, prima?» «Sei stato perfetto, figlio mio.» Poi Nyx, Dea della Notte, spalancò le braccia e strinse Jack a sé. Al contatto con lei, le ultime tracce di sofferenza mortale, di tristezza e di senso di perdita si dissolsero dallo spirito del novizio, lasciandoci amore, sempre e soltanto amore. E allora Jack conobbe la gioia assoluta. CAPITOLO 7 REPHAIM L’istante prima che suo padre comparisse, la consistenza dell’aria cambiò. Lui aveva capito subito che Kalona era tornato dall’Aldilà, nell’attimo stesso in cui era accaduto. Come avrebbe potuto non accorgersene? Si trovava assieme a Stevie Rae, quando lei aveva avvertito che Zoey era di nuovo completa, proprio come lui aveva percepito il ritorno del padre. Stevie Rae... erano passati meno di quindici giorni dall’ultima volta in cui era stato con lei, dall’ultima volta in cui le aveva parlato, l’aveva sfiorata, ma sembrava fosse trascorsa un’eternità. Anche se Rephaim fosse vissuto un altro secolo, non avrebbe potuto dimenticare quanto era successo tra loro. Era lui il ragazzo umano che avevano guardato insieme nella fontana. La cosa non aveva molto senso a livello razionale, ma ciò non la rendeva meno reale: Rephaim aveva toccato Stevie Rae e immaginato, per un brevissimo istante, come avrebbe potuto essere. Avrebbe potuto amarla. Avrebbe potuto proteggerla. Avrebbe potuto scegliere la Luce invece della Tenebra. Ma ciò che avrebbe potuto essere non era la realtà, non si sarebbe mai realizzato. Lui era nato da odio e lussuria, dolore e Tenebra. Era un mostro. Non umano. Non immortale. Non bestia. Mostro. I mostri non sognano. I mostri non desiderano altro che sangue e distruzione. I mostri non conoscono amore o felicità: non possono, perché non sono stati creati per quello scopo. Ma allora com’era possibile che sentisse la mancanza della Rossa? Perché, da quanto Stevie Rae se n’era andata, provava quel terribile vuoto nell’anima? Perché senza di lei non si sentiva del tutto vivo? E perché desiderava tanto essere migliore, più forte, più saggio e buono, realmente buono per lei? Che fosse impazzito? Rephaim camminava avanti e indietro sulla balconata del Gilcrease Museum. Era passata mezzanotte e il parco era tranquillo ma, una volta terminate le grandi pulizie dopo la tempesta di ghiaccio, durante il giorno quel posto si faceva sempre più affollato. Dovrò cercare un altro nascondiglio, più sicuro. Farei bene ad andarmene da Tulsa e a crearmi una roccaforte in una zona disabitata di questo immenso Paese. Sapeva che era quella la cosa più saggia da fare, la cosa più logica, tuttavia c’era qualcosa che lo obbligava a restare. Rephaim cercava di convincersi che la ragione fosse molto semplice: presto suo padre sarebbe tornato a Tulsa, e quindi doveva aspettarlo, perché gli desse uno scopo e una guida. Ma, nel più profondo del cuore, sapeva che la verità era un’altra: non voleva andarsene perché lì c’era Stevie Rae e, anche se non poteva permettersi di contattarla, lei era comunque vicina, raggiungibile, se solo avesse osato farlo. Poi, mentre lui era ancora immerso in quel calderone di sensi di colpa e recriminazioni, l’aria intorno si fece pesante, densa di un potere immortale che Rephaim conosceva fin troppo bene. All’improvviso si sentì strattonare da una forza invisibile, come se l’energia che aleggiava nella notte gli si fosse attaccata addosso e lo stesse usando per issarsi sulla terrazza. Rephaim si preparò, fisicamente e mentalmente, accettando quel legame, senza preoccuparsi che fosse doloroso e spossante e che lo riempisse di una soffocante ondata di claustrofobia. Sopra di lui, il cielo si scurì e il vento crebbe d’intensità. Il Raven Mocker rimase fermo al suo posto. Quando il magnifico immortale alato, suo padre, Kalona, Guerriero deposto di Nyx, piombò giù dai cieli e atterrò davanti a lui, Rephaim cadde automaticamente in ginocchio, in un devoto inchino. «Mi ha stupito apprendere che eri rimasto qui. Perché non mi hai seguito in Italia?» esordì Kalona senza dare al figlio il permesso di rialzarsi. Rephaim rispose, a testa china: «Ero ferito a morte. Mi sono appena ripreso. Ho pensato fosse più saggio aspettarti qui». «Ferito? Ah, sì, ricordo. Un colpo di pistola. Ti puoi alzare, Rephaim.» «Grazie, padre.» Non appena ebbe modo di guardare Kalona, il Raven Mocker trasalì. Per fortuna che il suo volto non tradiva facilmente le emozioni! Sembrava che il padre fosse stato malato: la sua pelle color bronzo aveva una sfumatura giallastra. Intorno ai suoi inusuali occhi ambra si notavano cerchi scuri. Pareva addirittura smagrito. «Padre, stai bene?» «Ma certo che sto bene; sono immortale!» replicò brusco. Poi sospirò e, con un gesto stanco, si passò una mano sul viso. «Lei mi ha trattenuto sottoterra. Già ero ferito, ed essere bloccato in quell’elemento ha reso impossibile la mia guarigione e poi, quando sono stato liberato, è stato comunque un processo lento.» «Quindi Neferet ti ha imprigionato», concluse Rephaim in tono piatto. «Sì, ma non le sarebbe stato tanto facile se Zoey Redbird non avesse aggredito il mio spirito», commentò amareggiato. «Tuttavia la novizia è viva», disse Rephaim. «Sì, è viva!» tuonò Kalona. Ma, rapida com’era scoppiata, la rabbia si esaurì, lasciandolo ancora più stanco. L’immortale sospirò, fissò la notte e, in un tono più tranquillo, ripeté: «Sì, Zoey è ancora viva, anche se credo che l’esperienza nell’Aldilà l’abbia cambiata per sempre. Succede a chiunque trascorra del tempo nel regno di Nyx». «Dunque Nyx ti ha consentito di entrare nell’Aldilà?» Per quanto ci avesse provato, Rephaim non era riuscito a trattenersi dal chiederlo. Si preparò alla sfuriata di suo padre, invece Kalona rispose con voce incredibilmente bassa, quasi gentile. «Sì. E l’ho anche vista. Per un breve attimo. È merito della Dea se quel maledetto Stark ancora respira e cammina sulla terra.» «Stark ha seguito Zoey nell’Aldilà ed è ancora vivo?» «È vivo, anche se non dovrebbe.» Mentre parlava, Kalona si massaggiò distrattamente il petto, appena sopra il cuore. «Sospetto che quei tori impiccioni abbiano a che vedere col fatto che sia sopravvissuto.» «Il toro nero e il toro bianco? Luce e Tenebra?» Rephaim sentì in fondo alla gola il sapore amaro della paura al ricordo del manto lucido e spaventoso del toro bianco, l’infinita malvagità nei suoi occhi e il dolore insopportabile che gli aveva procurato. «Cosa c’è? Perché hai quell’espressione?» domandò Kalona con sguardo indagatore. «Si sono manifestati qui a Tulsa poco più di una settimana fa.» «Cosa li ha portati qui?» Rephaim esitò, col cuore che gli batteva dolorosamente nel petto. Cosa poteva ammettere? Cosa poteva dire? «Rephaim, parla!» «È stata la Rossa, la giovane Somma Sacerdotessa. Ha invocato i tori. È stato quello bianco a dare le conoscenze necessarie a Stark per raggiungere l’Aldilà.» «Come fai a saperlo?» La voce di Kalona era di morte. «Sono stato testimone di parte dell’invocazione. Ero ferito in modo così grave che non pensavo di potermi riprendere, credevo addirittura che non avrei mai più volato. Quando si è manifestato, il toro bianco mi ha dato forza e mi ha attirato nel suo cerchio. È stato lì che ho osservato la Rossa ottenere le informazioni.» «Eri guarito, ma non hai catturato la Rossa? Non l’hai fermata prima che tornasse alla Casa della Notte e aiutasse Stark?» «Non ho potuto. Si è manifestato anche il toro nero e la Luce ha scacciato la Tenebra, proteggendo la Rossa. Da allora, sono rimasto qui a recuperare le forze e, quando ho percepito che eri tornato in questo regno, ti ho aspettato», rispose sincero, sostenendo lo sguardo del padre. Kalona annuì lentamente. «È un bene che tu mi abbia atteso. C’è ancora molto da fare a Tulsa. Presto questa Casa della Notte apparterrà alla Tsi Sgili.» «È tornata anche Neferet? Il Consiglio Supremo non l’ha trattenuta?» Kalona rise. «Il Consiglio Supremo è formato da sciocche ingenue. La Tsi Sgili ha dato la colpa a me degli ultimi eventi e mi ha punito frustandomi pubblicamente, per poi bandirmi dal suo fianco. Il Consiglio si è placato.» Sconvolto, Rephaim scosse la testa. Kalona aveva parlato con tono leggero, quasi divertito, ma non riusciva a nascondere quanto fosse ancora debole e ferito. «Padre, non capisco. Ti ha frustato? Hai consentito a Neferet di...» Con una rapidità incredibile, Kalona strinse una mano intorno al collo del figlio e lo sollevò da terra come se non pesasse più di una singola penna nera. «Non commettere l’errore di credere che, siccome sono stato ferito, io sia anche diventato debole.» I suoi occhi d’ambra splendevano di una luce rabbiosa. «Non lo farò. Padre, non intendevo mancarti di rispetto.» La voce di Rephaim era poco più di un sibilo strozzato. Non appena Kalona lo lasciò andare, lui gli crollò ai piedi, stravolto. L’immortale spalancò le braccia, come se volesse sfidare i cieli. «Mi tiene ancora prigioniero!» gridò. Quelle parole si fecero strada nella confusione che Rephaim aveva in testa e lui, che si stava ancora massaggiando la gola, alzò lo sguardo verso Kalona: il viso dell’immortale era sconvolto dalla sofferenza, e i suoi occhi erano spiritati. Con lentezza, Rephaim si alzò e gli si avvicinò, cauto. «Cos’ha fatto?» Kalona riabbassò le braccia lungo i fianchi, ma lo sguardo rimase rivolto al cielo. «Le ho giurato che avrei eliminato Zoey Redbird. La novizia è ancora viva. Ho infranto il giuramento.» A Rephaim si gelò il sangue nelle vene. «E questo prevedeva una punizione.» Non aveva formulato la frase in tono interrogativo, ma Kalona annuì. «È così.» «Dunque cosa devi a Neferet?» «Finché rimango immortale, lei avrà il controllo assoluto del mio spirito.» «Per tutti gli dei e le dee, allora siamo perduti entrambi!» esclamò Rephaim. La rabbia negli occhi di Kalona fu sostituita da un bagliore d’intesa. «Neferet è immortale da meno di un respiro di questo mondo. Io lo sono da tempo incalcolabile. Se ho imparato una lezione nel corso dei secoli è che non esiste niente che non possa essere spezzato. Niente. Né il cuore più forte né l’anima più pura... e neppure il giuramento più costrittivo.» «Sai come spezzare il vincolo che le permette di comandarti?» «No, ma so che, se le offrirò ciò che più desidera, sarà distratta, e quindi io avrò più possibilità di scoprirlo.» Rephaim si azzardò a replicare: «Padre, quando s’infrange un giuramento ci sono sempre delle conseguenze. Non correrai il rischio di sollevare altri problemi?» «Non riesco a immaginare una conseguenza che non sarei felice di subire per liberarmi del controllo di Neferet.» La rabbia gelida e letale nella voce di Kalona seccò la gola a Rephaim: quando suo padre era così furioso, lui non aveva altra scelta se non dirsi d’accordo, aiutarlo a ottenere qualunque cosa volesse e restare al suo fianco in silenzio e senza obiettare. Ormai ci era abituato. Ciò cui Rephaim non era abituato era provare risentimento per quel modo di agire. Cercò di scrollarsi via di dosso quella sensazione e disse ciò che suo padre si aspettava: «Cosa desidera Neferet e come facciamo a ottenerlo?» L’espressione di Kalona si rilassò un po’. «La Tsi Sgili desidera soprattutto soggiogare gli umani. E noi le offriremo questa possibilità, aiutandola a iniziare una guerra tra vampiri e umani, una guerra che lei userà come scusa per distruggere il Consiglio Supremo. Sparito quello, la società dei vampiri sarà nel caos e Neferet, sfruttando il suo nuovo titolo di Nyx incarnata, ne avrà il comando.» «Ma i vampiri ormai sono troppo razionali, troppo civili per combattere contro gli umani. Io penso che si ritirerebbero lontano dalla società piuttosto di scatenare una guerra.» «Questo è vero per la maggior parte di loro, ma dimentichi la nuova razza assetata di sangue creata dalla Tsi Sgili. Quelli non sembrano avere i medesimi scrupoli.» «I novizi rossi», fece Rephaim. «Ah, ma non sono solo novizi. Ho saputo che si è Trasformato un altro ragazzo. E poi c’è la nuova Somma Sacerdotessa, la Rossa. Non sono sicuro che sia votata alla Luce quanto la sua amica Zoey.» Rephaim si sentì come se fosse stato colpito da un pugno in pieno stomaco. «La Rossa ha evocato il toro nero, la manifestazione della Luce. Non credo possa venire allontanata dalla via della Dea.» «Però hai detto che ha evocato anche il toro della Tenebra.» «È vero ma, da quanto ho potuto vedere, non si è appellata alla Tenebra in modo intenzionale.» Kalona rise. «Neferet mi ha detto che Stevie Rae era molto diversa quand’era appena risorta. La Rossa godeva della Tenebra!» «Poi però si è Trasformata, come Stark. Adesso sono entrambi devoti a Nyx.» «No, Stark è devoto a Zoey Redbird. E non credo che la Rossa abbia stretto un legame simile.» Rephaim face bene attenzione a restare zitto. «Più ci penso, più l’idea mi piace. Se la Rossa passasse dalla nostra parte, Neferet aumenterebbe il suo potere e Zoey perderebbe qualcuno che le è molto vicino. Sì, mi soddisfa. Molto.» Rephaim stava cercando di controllare il misto di panico, ansia e caos che aveva invaso la sua mente, per riuscire a formulare una risposta che distogliesse Kalona da Stevie Rae, quando l’aria intorno a loro s’increspò e mutò. Comparvero ombre nelle ombre che per un momento si agitarono estatiche. Lo sguardo interrogativo del Raven Mocker si spostò dalla Tenebra in agguato negli angoli della terrazza a suo padre. Kalona annuì e sorrise torvo. «La Tsi Sgili ha pagato il suo debito: ha sacrificato la vita di un innocente che non poteva essere corrotto.» Rephaim sentiva il sangue pulsargli nelle vene e, per un istante, provò una paura violenta e incredibile per Stevie Rae. Poi capì: No, Neferet non può avere sacrificato Stevie Rae perché lei una volta è stata corrotta dalla Tenebra. Per ora, per questo pericolo, lei è salva. Era così sollevato di saperla al sicuro che si azzardò a domandare: «Chi ha ucciso Neferet?» «E che differenza potrà mai fare per te chi ha sacrificato la Tsi Sgili?» Il Raven Mocker cercò di rimediare a quell’errore di distrazione. «Sono solo curioso.» «Percepisco un cambiamento in te, figlio mio.» Rephaim incrociò con fermezza lo sguardo del padre. «Sono quasi morto. È stata un’esperienza che mi ha dato da pensare. Devi ricordarti che divido con te solamente una parte della tua immortalità.» Kalona annuì. «A volte dimentico che la tua umanità t’indebolisce.» «Mortalità, non umanità. Io non sono umano», replicò amaro. Kalona lo studiò. «Come sei riuscito a sopravvivere alle ferite?» Rephaim distolse lo sguardo e rispose il più sinceramente possibile. «Non sono del tutto certo di come o perché sia sopravvissuto. Gran parte di quei momenti rimangono come sfocati per me.» Non capirò mai perché Stevie Rae mi abbia salvato. «Il come non è importante. Il perché è ovvio: sei sopravvissuto per servirmi, come hai fatto per tutta la vita.» «Sì, padre», replicò Rephaim in modo automatico. Poi, per nascondere la disperazione che persino lui era riuscito a cogliere nella propria voce, aggiunse: «E, proprio perché il mio unico scopo è servirti, devo dirti che tu e io non possiamo rimanere qui». Kalona inarcò un sopracciglio. «Cosa stai dicendo?» «Questo luogo... Sono presenti troppi umani da quando il ghiaccio è scomparso. Non è sicuro restare qui. Forse sarebbe più saggio se tu e io lasciassimo Tulsa per un po’.» «Ma noi non possiamo lasciare Tulsa! Ti ho già spiegato che devo distrarre la Tsi Sgili in modo da potermi liberare delle catene che mi legano a lei. E questo potrà essere fatto meglio qui, usando la Rossa e i suoi novizi. Però hai ragione, questo luogo non è adatto a noi.» «Allora non è meglio lasciare la città finché non avremo trovato una sistemazione migliore?» «Perché continui a insistere quando ti ho chiarito che dobbiamo rimanere?» Rephaim prese fiato e replicò soltanto: «Mi sono stancato della città». «E allora attingi alle riserve di forza che hai in te come retaggio del mio sangue!» ordinò Kalona, chiaramente seccato. «Resteremo a Tulsa per il tempo che servirà a raggiungere l’obiettivo che mi sono posto. Ha già pensato Neferet a dove dovrei stare. Lei richiede che le sia vicino, ma sa pure che nessuno deve vedermi, almeno per il momento, perciò ha acquistato un edificio apposta per noi, e stasera ci trasferiremo lì. Presto inizieremo a dare la caccia ai novizi rossi e alla loro Somma Sacerdotessa.» Lo sguardo di Kalona si spostò sulle ali del figlio. «Sei di nuovo in grado di volare?» «Sì, padre.» «Allora basta con le chiacchiere insulse. Lanciamoci nel cielo e cominciamo la salita verso il nostro futuro e la nostra libertà.» L’immortale spalancò le ali immense e volò via dal tetto della grande villa deserta. Rephaim esitava, tentando di pensare, di respirare, di capire come avrebbe dovuto agire. Da un angolo della terrazza, sbucò il piccolo spirito biondo che non gli aveva dato pace dal momento in cui era giunto lì, mezzo morto e sanguinante. «Non puoi lasciare che tuo padre le faccia del male. Questo lo sai, vero?» «Per l’ultima volta, spettro: vattene», replicò Rephaim allargando le ali e preparandosi a seguire Kalona. «Tu devi aiutare Stevie Rae.» «E perché dovrei? Io sono un mostro... lei non può essere niente per me.» La bambina sorrise. «Troppo tardi, lei significa già qualcosa per te. E poi c’è un altro motivo per cui devi aiutarla.» «E quale sarebbe?» domandò in tono stanco Rephaim. «È ovvio: tu non sei del tutto mostro. Una parte di te è umana e questo significa che un giorno morirai. E, quando succederà, porterai per sempre con te soltanto una cosa.» «Che sarebbe?» Il sorriso di lei era radioso. «L’amore, sciocco! L’unica cosa che puoi portare con te è l’amore. Quindi, vedi, devi salvarla, altrimenti lo rimpiangerai per sempre.» Rephaim fissò la ragazzina. «Grazie», disse sottovoce un attimo prima di lanciarsi nel buio. CAPITOLO 8 STEVIE RAE «Io penso che dovreste dare a Zoey un po’ di tregua. Dopo quello che ha passato, le serve di sicuro una vacanza», disse Stevie Rae. «Sempre ammesso che non ci sia sotto dell’altro», replicò Erik. «E questo cosa vorrebbe dire?» «Corre voce che non abbia intenzione di tornare. Per niente.» «È una cavolata immane.» «Le hai parlato?» chiese Erik. «No, e tu?» ribatté Stevie Rae. «No.» «In verità, Erik solleva una questione importante», intervenne Lenobia. «Nessuno ha parlato con Zoey. Jack ha detto che non sarebbe rientrata, mentre Afrodite e Dario, con cui ho parlato ieri, saranno di nuovo qui molto presto. Zoey non chiama e non risponde al telefono.» «Zoey è stanca. Stark non si è ancora ripreso del tutto. Non è questo che ha riferito Jack?» «Sì, ma la verità è che, da quando è tornata dall’Aldilà, nessuno l’ha sentita direttamente», rispose Dragone Lankford. «Okay, parliamoci chiaro: perché è un problema per voi? Vi comportate come se Zy fosse un ragazzino cattivo che bigia scuola e non una Somma Sacerdotessa strapotente.» «Be’, da un lato siamo preoccupati proprio per questo: il potere conferisce non poche responsabilità, tu questo lo sai benissimo. È poi c’è la questione di Neferet e Kalona», disse Lenobia. «Qui devo intervenire», s’intromise Pentasilea. «Come avrete visto dall’ultimo messaggio del Consiglio Supremo, non si parla più di Neferet e Kalona. Dopo che lo spirito del suo Consorte è rientrato nel corpo, Neferet ha rotto con lui, l’ha fatto frustare pubblicamente e l’ha bandito dal proprio fianco e dalla società dei vampiri per un secolo. Neferet l’ha punito per aver ucciso il ragazzo umano, crimine di cui anche il Consiglio Supremo ha ritenuto responsabile soltanto Kalona.» «Sì, questo lo sappiamo, ma...» iniziò Lenobia. «Di cosa state parlando?» l’interruppe Stevie Rae con la sensazione che stesse per scoppiarle la testa. «Si direbbe che noi non siamo nella loro mailing list», commentò Kramisha, che sembrava scioccata almeno quanto Stevie Rae. Mentre l’orologio all’esterno iniziava a battere la mezzanotte, Neferet fece il suo ingresso dalla porta segreta della Camera del Consiglio di Tulsa, di solito riservata alla Somma Sacerdotessa. «Noto di essere tornata appena in tempo. Qualcuno vorrebbe per favore spiegarmi come mai abbiamo cominciato a consentire ai novizi di presenziare alle riunioni del nostro Consiglio?» domandò con voce simile a una frusta, piena di sicurezza e autocontrollo. Stevie Rae ricacciò indietro la paura e, quandò finalmente si sentì pronta a parlare, rispose in tono fermo e deciso: «Kramisha non è solo una novizia. È un Poeta Laureato e una Profetessa. Se a questo aggiunge il fatto che è stata invitata da me, Somma Sacerdotessa dei vampiri rossi, vedrà che ha tutto il diritto di partecipare alla riunione. E come mai lei non è in galera per l’omicidio di Heath?» La risata di Neferet era crudele. «Galera? Che impudenza! Io sono una Somma Sacerdotessa, e per giunta mi sono guadagnata il titolo e non l’ho ottenuto solo per mancanza di alternative.» «Tuttavia non hai ancora risposto riguardo al tuo coinvolgimento nell’uccisione dell’umano», ribatté Dragone. «E nemmeno io ho ricevuto comunicazioni dal Consiglio Supremo dei Vampiri. Mi piacerebbe proprio che mi spiegassi come mai sei qui e perché non sei stata ritenuta responsabile del comportamento del tuo Consorte.» Stevie Rae si aspettava che Neferet esplodesse di fronte all’interrogatorio di Dragone, invece la sua espressione si addolcì e i suoi occhi verdi si riempirono di compassione. «Suppongo che il Consiglio Supremo abbia aspettato a scriverti perché consapevole del fatto che sei ancora in lutto per la perdita della tua compagna.» Il volto di Dragone impallidì, ma i suoi occhi azzurri si fecero più duri. «Io non ho perso Anastasia. Mi è stata portata via. Uccisa da un mostro creato dal tuo Consorte che agiva ai suoi ordini.» «Capisco che il dolore possa influire sulla tua valutazione dei fatti, ma devi sapere che Rephaim e gli altri Raven Mocker non avevano l’ordine di fare del male a qualcuno. Al contrario, era stato comandato loro di proteggere i vampiri e i novizi della Casa della Notte e, quando Zoey e i suoi amici hanno dato fuoco alle scuderie e rubato i nostri cavalli, loro l’hanno visto come un’aggressione. Hanno agito per il bene della scuola.» Stevie Rae e Lenobia si scambiarono una rapida occhiata: nessuna delle due voleva far conoscere a Neferet i dettagli della fuga di Zoey, perciò la vampira rossa tenne la bocca chiusa, evitando di svelare il ruolo avuto da Lenobia nella «fuga» di Zoey. «Hanno ucciso la mia compagna», ripeté Dragone, attirando su di sé l’attenzione di tutti. «E questo mi rattristerà in eterno. Anastasia era una mia buona amica», disse Neferet. «È stata lei a dare la caccia a Zoey, a Dario e al resto del gruppo. Lei ci ha minacciati. Lei ha ordinato a Stark di tirare una freccia contro Zoey. Come giustifica tutto questo?» domandò Stevie Rae. Il bel viso di Neferet parve raggrinzirsi e lei si appoggiò al tavolo, singhiozzando sommessamente. «Lo so... lo so. Sono stata debole. Mi sono lasciata ammaliare dall’immortale alato. Lui ha detto che Zoey doveva essere eliminata e, dato che ero convinta che fosse Erebo incarnato, io gli ho creduto.» «Che montagna di stronzate!» saltò su Stevie Rae. Lo sguardo di smeraldo di Neferet la trapassò. «Non ti è mai importato di qualcuno che poi si è rivelato un mostro?» Stevie Rae si sentì sbiancare. «Nella mia vita, alla fine i mostri si sono sempre rivelati per quello che sono.» «Giovane Sacerdotessa, non hai risposto alla mia domanda.» Stevie Rae sollevò il mento. «No, non mi è mai importato di qualcuno senza sapere fin dall’inizio chi fosse. E, se si sta riferendo a Dallas, sapevo che poteva avere dei problemi, ma non mi sarei mai aspettata che andasse fuori di testa e passasse dalla parte della Tenebra.» Il sorriso di Neferet era viscido. «Sì, ho saputo di Dallas. Che cosa triste, davvero triste...» «Neferet, io devo ancora capire la decisione del Consiglio Supremo. In quanto Signore delle Spade e capo dei Figli di Erebo di questa Casa della Notte, ho il diritto di venire informato su qualunque cosa possa compromettere la sicurezza della nostra scuola, che sia in lutto o meno», riprese Dragone, pallido ma determinato. «Hai assolutamente ragione, Signore delle Spade. In realtà è molto semplice: quando l’anima dell’immortale è tornata al suo corpo, lui mi ha confessato di avere ucciso il ragazzo umano perché pensava che il suo odio per me rappresentasse un pericolo.» Neferet scosse la testa. «Chissà come, il povero ragazzo si era convinto che la morte della professoressa Nolan e di Loren Blake fosse colpa mia. Giustiziando Heath, Kalona pensava di proteggermi. È stato lontano da questo mondo troppo a lungo e non riusciva davvero a capire che quell’umano non poteva certo costituire una minaccia per me. Quando l’ha ucciso, ha semplicemente agito da Guerriero, disposto a tutto pur di proteggere la sua Somma Sacerdotessa, ed è per questo che il Consiglio Supremo e io siamo stati così indulgenti nello stabilire la sua punizione. Come alcuni di voi già sanno, Kalona ha ricevuto cento frustate e poi è stato bandito dalla società vampira e dal mio fianco per un intero secolo.» Seguì un lungo momento di silenzio, poi Pentasilea disse: «Sembrerebbe che questo tremendo disastro sia stato frutto di una serie di tragici equivoci, ma non c’è dubbio che abbiamo pagato tutti più che a sufficienza per quanto è accaduto nel passato. Ciò che importa ora è che la scuola ricominci e che noi andiamo avanti con la nostra vita». «M’inchino alla tua saggezza e alla tua esperienza, Pentasilea», replicò Neferet piegando la testa in segno di rispetto. Poi si voltò ad affrontare Dragone. «Questo è stato davvero un periodo difficile per molti di noi, ma sei stato tu, Signore delle Spade, a pagare il prezzo più alto. Perciò è a te che mi devo rivolgere per chiedere l’assoluzione dai miei errori, personali e professionali. Ti sarebbe possibile guidare la Casa della Notte in una nuova era, creando una fenice dalle ceneri della nostra infinita tristezza?» Stevie Rae avrebbe voluto urlare a Dragone che Neferet li stava soltanto prendendo in giro, che quanto accaduto alla Casa della Notte non era stato un tragico errore. Ma non ebbe il cuore di farlo, perché in quel momento Dragone chinò la testa, sconfitto. «Vorrei che tutti noi andassimo avanti con la nostra vita, perché altrimenti temo che non sopravviverò alla perdita della mia compagna.» Lenobia parve sul punto d’intervenire ma, quando Dragone iniziò a singhiozzare, rimase in silenzio e gli si avvicinò per confortarlo. Questo significa che tocca a me oppormi a Neferet, pensò Stevie Rae. Un’occhiata a Kramisha, che fissava Neferet con un’aria da che- cazzo-stai-dicendo, la indusse a correggersi: Okay, questo significa che tocca a me e a Kramisha opporci a Neferet. Raddrizzò le spalle e si preparò al confronto epico che era certa ci sarebbe stato non appena avesse chiamato col loro nome le stronzate della Somma Sacerdotessa. In quel momento, uno strano rumore provenne dalla finestra aperta. Era un suono orribile, triste, che fece venire la pelle d’oca a Stevie Rae. «Cos’è stato?» chiese, la testa rivolta all’esterno, come tutti gli altri. «Non ho mai sentito niente di simile... mette i brividi», commentò Kramisha. «È un animale. E sta soffrendo.» Dragone riacquistò subito il controllo di sé, cambiò espressione e tornò a essere un Guerriero, non un marito col cuore a pezzi. Si alzò e raggiunse la finestra. «Un gatto?» chiese Pentasilea con aria angosciata. «Da qui non riesco a vedere. Viene dal lato est del parco», replicò Dragone lasciando la finestra per puntare deciso verso la porta. «Oh, Dea! Credo di avere riconosciuto quel suono. È l’ululato di un cane, e l’unico nel campus è Duchessa, la labrador di Stark. Che gli sia successo qualcosa?» Tragica e spezzata, la voce di Neferet richiamò l’attenzione di tutti, mentre lei si portava alla gola la mano sottile, atterrita al pensiero che potesse essere accaduto qualcosa a Stark. Stevie Rae avrebbe voluto prenderla a schiaffi: Neferet si sarebbe meritata un accidenti di Oscar per la migliore stronza protagonista. Adesso basta! Non avrebbe lasciato che la passasse liscia con tutte quelle balle. Ma Stevie Rae non ebbe la possibilità di affrontare Neferet. Nell’attimo in cui Dragone aprì la porta che dava in corridoio, furono travolti dalle grida dei novizi, che correvano piangendo verso la Camera del Consiglio. E, al di sopra di quella cacofonia di rumori, al di sopra persino del terribile ululato di Duchessa, si cominciò a distinguere distintamente un pianto diverso da tutti gli altri, il pianto disperato di chi deve far fronte a una perdita tremenda. Un pianto che Stevie Rae riconobbe all’istante. «Oh, no. È Damien», disse precipitandosi in corridoio e, non appena uscì nel parco, andò a sbattere contro Drew Partain con tanta forza che caddero entrambi. «Ma per la miseriaccia, Drew! Levati dai...» «Jack è morto!» gridò Drew, aiutandola ad alzarsi. «Là, vicino all’albero spezzato accanto alla recinzione. È orribile, davvero orribile. Corri, Damien ha bisogno di te!» Quando capì appieno il significato di quelle parole, Stevie Rae fu assalita da una violenta ondata di nausea, ma poi fu scossa da un’orda di vampiri e di novizi che la trascinò via insieme con Drew. Arrivata alla quercia, la vampira ebbe un tremendo senso di déjà vu. Il sangue. C’era così tanto sangue in giro! Proprio come la sera in cui, in quello stesso punto, la freccia di Stark le si era conficcata nel petto. Solo che stavolta non si trattava di lei. Stavolta si trattava del caro, dolcissimo Jack, che era morto per davvero, quindi era diecimila volte più terribile. Per un secondo, la scena sembrò non avere senso, perché nessuno si muoveva, nessuno parlava. Non c’erano suoni, a parte l’ululato di Duchessa e i singhiozzi sconnessi di Damien. Jack giaceva a faccia in giù sull’erba zuppa di sangue, con la punta di una spada che gli spuntava dalla nuca. La lama l’aveva attraversato con tale impeto da staccargli quasi la testa dal collo. «Oh, Dea! Cos’è successo qui?» Fu Neferet a scongelare tutti i presenti. Corse da Jack e gli posò delicatamente una mano sul corpo insanguinato. «Il novizio è morto», sentenziò. Nel sentire la voce della Somma Sacerdotessa, Damien impallidì e alzò lo sguardo su Stevie Rae. I suoi occhi erano pieni di sofferenza e di orrore e forse, solo forse, anche di una traccia di follia. In quel momento, la vampira rossa capì che doveva intervenire: Damien non era in condizione di affrontare Neferet da solo. «Credo che dovrebbe lasciarlo in pace», disse frapponendosi tra Neferet e Jack. «Io sono la Somma Sacerdotessa di questa Casa della Notte. Spetta a me affrontare questa tragedia. Per il bene di Damien, devi farti da parte e lasciare che siano gli adulti a sistemare le cose», ribatté Neferet. Il suo ragionamento non faceva una piega eppure, nel profondo di quegli occhi di smeraldo, Stevie Rae vide agitarsi un’ombra che le fece accapponare la pelle. Tuttavia non sapeva proprio cosa fare: si sentiva addosso gli occhi di tutti, che come lei avevano trovato più che sensato il discorso di Neferet. In fondo, Stevie Rae era Somma Sacerdotessa da troppo poco tempo per sapere come affrontare un evento terribile come quello... Cavolaccio, in realtà era Somma Sacerdotessa soltanto perché nessun’altra novizia rossa si era ancora Trasformata. E quindi che diritto aveva d’intervenire come «Somma Sacerdotessa» di Damien? Neferet approfittò del silenzio della vampira rossa e si accovacciò accanto a Damien, prendendogli la mano e obbligandolo a guardarla. «Damien, so che sei sconvolto, ma devi riprendere il controllo di te stesso e spiegarci com’è andata.» Damien sbatté le palpebre, confuso, tuttavia, non appena mise a fuoco l’immagine di Neferet, tirò via la mano di scatto e ricominciò a singhiozzare, scuotendo frenetico la testa. «No! No! No!» A quel punto, Stevie Rae ne aveva proprio avuto abbastanza. Non le importava se l’intero universo non riusciva a vedere oltre le stronzate di Neferet. Non le avrebbe consentito di terrorizzare il povero Damien. «Com’è andata? Lei ha il coraggio di chiedere com’è andata? Come se fosse una coincidenza che Jack sia stato ucciso nello stesso momento in cui è ricomparsa qui a scuola?» Prese una mano di Damien. «Con le sue belle parole sarà anche riuscita a fare fesso un Consiglio Supremo cieco quanto una talpa, così come potrà pure convincere qualcuna delle brave persone che sono qui a credere che stia ancora dalla nostra parte, ma Damien, Zoey, Shaunee, Erin, Stark e io non ci crederemo mai che sta dalla parte dei buoni. Quindi perché non ce lo spiega lei com’è andata?» Neferet scosse la testa, rattristata. «Mi dispiace per te, Stevie Rae. Una volta eri una novizia così dolce e piena di amore. Non so cosa ti sia successo.» Stevie Rae si sentì travolgere da una rabbia così intensa da farla tremare. «Lei sa meglio di chiunque altro sulla terra cosa mi è successo.» Non riuscì a frenarsi. Era talmente furiosa che si avvicinò a Neferet con una voglia matta di metterle le mani intorno al collo e stringere, stringere, stringere finché non avesse smesso di respirare, finché non avesse più costituito un pericolo per i suoi amici. Ma Damien la trattenne. «Non è stata lei. Ho visto com’è successo e non è stata lei.» Stevie Rae esitò. «Cosa vuoi dire?» «Ero laggiù, appena fuori della porta del maneggio. Duchessa non mi lasciava fare jogging. Continuava a tirarmi per tornare qui e alla fine l’ho accontentata... Mi aveva fatto preoccupare, e stavo cercando di capire perché avesse tanta fretta di raggiungere Jack. E quindi... ho visto.» Riprese a singhiozzare. «... ho visto Jack che cadeva dalla scala e precipitava sulla spada. Non c’era nessuno con lui. Proprio nessuno.» Stevie Rae abbracciò Damien e, all’istante, altre due paia di braccia si unirono a loro: Shaunee ed Erin, appena arrivate sul posto, tennero stretti entrambi. «Neferet era con noi nella Camera del Consiglio quando si è verificato questo terribile incidente. Non può essere responsabile di questa morte», sentenziò solennemente Dragone, sfiorando con delicatezza i capelli di Jack. Stevie Rae non ce la faceva proprio a guardare quel povero corpo senza vita, perciò tenne lo sguardo fisso su Neferet. Ecco perché solo lei notò il lampo compiaciuto che le passò sul viso, subito sostituito da un’esperta espressione triste e preoccupata. L’ha ucciso lei. Non so come e non lo posso dimostrare in questo momento, ma l’ha fatto. Zoey mi crederebbe. Mi aiuterebbe a trovare il modo di smascherare Neferet. Zoey deve tornare. CAPITOLO 9 ZOEY Ecco, Stark e io l’avevamo fatto. «Non mi sento diversa. Insomma, a parte sentirmi più vicina a Stark e un po’ dolorante in posti innominabili», dissi all’albero. Poi raggiunsi un piccolo torrente che gorgogliava allegro nel boschetto e guardai in basso. Il sole stava per tramontare, ma nel cielo c’era ancora abbastanza luce da permettermi di vedere il mio riflesso. Mi osservai. Sembravo, be’, me. «Okay, tecnicamente l’avevo già fatto una volta, però era stata una cosa del tutto diversa.» Sospirai. Loren Blake era stato un immenso errore. James Stark era un’altra storia. «Allora, non dovrei sembrare diversa adesso che ho un vero legame?» Guardai la mia immagine con le palpebre strette. Non sembravo più grande? Più esperta? Più saggia? A dire il vero, no. E quelle palpebre strizzate mi facevano soltanto sembrare miope. «E, con ogni probabilità, Afrodite direbbe che mi fanno pure venire le rughe.» Ripensai alla sera prima, quando avevo salutato lei e Dario. Come prevedibile, Afrodite era stata sarcastica e molto più che stronza commentando il fatto che non rientravo a Tulsa assieme a lei, ma il nostro abbraccio era stato forte e sincero, e sapevo che avrei sentito la sua mancanza. Anzi, la sentivo già. E anche quella di Stevie Rae, Damien, Jack e delle gemelle. «E di Nala», dissi al mio riflesso. Ma mi mancavano abbastanza da farmi tornare nel mondo reale? Da farmi affrontare tutto ciò che mi aspettava, riprendere la scuola e probabilmente combattere la Tenebra e Neferet? «No, non abbastanza.» Dirlo ad alta voce lo rese più vero e, all’improvviso, la sensazione di vuoto si affievolì, sostituita dalla serenità che mi trasmetteva l’isola di Sgiach. «Qui è magico. Se potessi farmi mandare la mia gatta, giuro che ci resterei per sempre.» La risata di Sgiach fu delicata e musicale. «Come mai tendiamo a sentire la mancanza dei nostri animali da compagnia più di quella delle persone?» «Credo sia perché con loro non possiamo usare Skype. Cioè, so che posso tornare al castello e parlare con Stevie Rae, ma ho provato qualcosa col video e il computer con Nala e lei sembrava confusa e ancora più brontolona del solito, il che è tutto dire!» «Se i gatti capissero la tecnologia e avessero il pollice opponibile, dominerebbero il mondo», replicò la regina. Risi. «Non farti sentire da Nala. Lei già lo domina, il suo mondo.» «Hai ragione. Anche Mab è convinta di governare il suo.» Mab era la gigantesca miciona bianca e nera di Sgiach. Avevo cominciato a farci amicizia e penso dovesse avere tipo un migliaio di anni, visto che era quasi sempre semi incosciente e più o meno immobile ai piedi del letto della regina. Stark e io avevamo iniziato a chiamarla Gatta Morta, ovviamente mai in presenza di Sgiach. «Per mondo intendi la tua camera da letto?» «Esatto», confermò Sgiach con un sorriso. Si sedette su un grande masso coperto di muschio poco lontano dal ruscello e fece un cenno per invitarmi a prendere posto accanto a lei. La raggiunsi, chiedendomi per l’ennesima volta se i miei movimenti sarebbero mai stati aggraziati e regali quanto i suoi. Ne dubitavo fortemente. «Se vuoi, puoi far mandare qui la tua Nala. I famigli dei vampiri viaggiano come animali da compagnia. Basterà mostrare la sua tessera delle vaccinazioni per farla arrivare a Skye.» «Wow, sul serio?» «Sul serio. Be’, ciò significa che dovresti impegnarti a rimanere qui almeno per qualche mese. Ai gatti non piace molto viaggiare, e dover sopportare la differenza di fuso orario è un grande peso per loro.» «Più rimango qui, meno avrò voglia di andarmene, anche se so che probabilmente è irresponsabile da parte mia nascondermi così dal mondo reale. Insomma, non è che Skye non sia reale e tutto il resto. E so di aver affrontato un sacco di cose brutte negli ultimi tempi, quindi va bene se mi prendo una pausa. Ma io vado ancora a scuola. Immagino di doverci proprio tornare. Prima o poi.» «Ti sentiresti così anche se fosse la scuola a venire da te?» «Cosa vuoi dire?» «Da quando sei entrata nella mia vita, ho cominciato a riflettere sul mondo, o meglio su quanto io me ne sia separata. Sì, ho Internet, ho la TV satellitare, ma non ho apprendisti Guerrieri né giovani Guardiani. O almeno non ne avevo finché non siete arrivati tu e Stark. Ho scoperto che mi mancavano l’energia e lo stimolo che danno le menti giovani.» Sgiach distolse lo sguardo da me per fissare il fitto del bosco. «Il vostro arrivo ha risvegliato qualcosa che stava dormendo. Percepisco un cambiamento nel mondo, più grande dell’influenza della scienza moderna o della tecnologia. Non posso ignorarlo e lasciare che la mia isola sprofondi di nuovo nel sonno, magari finendo per separarsi del tutto dalla realtà esterna e dai suoi problemi, magari finendo addirittura per perdersi tra le nebbie del tempo, come Avalon e le amazzoni. Ho deciso di aprirmi al mondo, affrontando le sfide che ciò potrebbe portare.» La regina incrociò di nuovo il mio sguardo. «Scelgo di lasciare che la mia isola si risvegli. È ora che la Casa della Notte di Skye accetti sangue nuovo.» «Hai intenzione di togliere l’incantesimo protettivo?» «No. Finché vivrò e, mi auguro, finché vivrà colei che mi succederà e chi succederà a lei, Skye continuerà a essere protetta e separata dal mondo moderno. Ma ho pensato che potrei emettere un bando per Guerrieri. Un tempo, a Skye venivano addestrati i migliori e i più brillanti tra i Figli di Erebo.» «Ma poi hai rotto col Consiglio Supremo dei Vampiri, giusto?» «Giusto. Forse potrei iniziare, lentamente, a riparare quella frattura, soprattutto ora che tra i miei apprendisti c’è una giovane Somma Sacerdotessa.» Provai un brivido di eccitazione. «Io? Parli di me?» «Sì, certo. Tu e il tuo Guardiano avete un legame con quest’isola.» «Wow, sono davvero onorata. Grazie, grazie tante.» Il cervello mi girava come un matto! Se Skye fosse diventata una Casa della Notte attiva, restare lì non sarebbe stato come nascondersi da tutti. Sarebbe stato piuttosto come avessi cambiato scuola. Pensai a Damien e al resto del gruppo, e mi chiesi se avrebbero preso in considerazione l’idea di trasferirsi lì anche loro. «Ci potrebbe essere un posto per dei novizi che non sono Guerrieri?» chiesi. «Ne potremmo parlare.» Sgiach esitò, poi aggiunse: «Lo sai, vero, che quest’isola è ricca di tradizioni magiche che vanno ben oltre l’addestramento dei Guerrieri e dei Guardiani?» «No. Cioè, sì. Perché è ovvio che tu sia magica, e fondamentalmente tu sei l’isola.» «Mi trovo qui da così tanto tempo che molti mi vedono come l’isola, ma io sono una custode della sua magia, non la sua proprietaria.» «Cosa vorrebbe dire?» «Scoprilo da te, giovane regina. Tu hai un’affinità con ciascuno dei cinque elementi. Entra in contatto con loro e prova a scoprire cos’ha da insegnarti l’isola.» Intuendo che esitavo, Sgiach mi spronò: «Prova con l’aria, il primo elemento. Chiamala a te e osserva». «Okay, va bene. Cominciamo.» Mi alzai e raggiunsi una zona priva di rocce. Presi tre profondi respiri purificatori e, d’istinto, mi voltai verso est. «Aria, vieni a me.» Ormai ero abituata ad avvertire la presenza dell’elemento. Ero abituata alla brezza che si agitava come un cucciolo esuberante, ma tutta l’esperienza con le mie affinità non mi aveva preparata a ciò che accadde. L’aria non si limitò a rispondere: mi avvolse e mi vorticò intorno con forza, dandomi la sensazione che fosse quasi tangibile, il che è proprio un po’ strano dato che l’aria non lo è affatto. Non la si vede, eppure è ovunque. Poi restai senza fiato perché mi resi conto che l’aria era davvero diventata tangibile! Intorno a me, nel vento impetuoso che si era sollevato al mio richiamo, fluttuavano degli esseri stupendi, luminosi ed eterei. E, mentre li guardavo a bocca aperta, quelli cambiavano forma, sembrando ora delle donne incantevoli, ora delle farfalle, per poi mutare in splendide foglie d’autunno e quindi in coloratissimi colibrì che andarono a posarsi sul mio palmo aperto. «Cosa sono?» chiesi sottovoce. «Spiriti dell’aria. Un tempo erano ovunque, ma hanno abbandonato il mondo moderno. Preferiscono i boschi antichi e lo stile di vita di una volta. E in quest’isola ci sono entrambi.» Sgiach sorrise e aprì una mano per accogliere uno spiritello che assunse la forma di una minuscola fata con ali da libellula e prese a danzarle tra le dita. «È bello vedere che rispondono al tuo richiamo. Non capita spesso di osservarne così tanti riuniti in un unico luogo, neppure qui nel boschetto. Prova un altro elemento.» Stavolta non mi feci pregare, mi girai verso sud e gridai: «Fuoco, vieni a me!» Simili a splendenti fuochi d’artificio, tutt’intorno esplosero degli spiritelli che mi fecero il solletico col delizioso calore delle loro fiamme. «Mi ricordano le stelline che si accendono per la festa del Quattro luglio!» Sgiach sorrise. «Vedo di rado gli spiriti del fuoco. Sono molto più vicina ad acqua e aria... il fuoco non si manifesta quasi mai per me.» «Vergognatevi! Dovreste farvi vedere da Sgiach. Lei è dei buoni!» li sgridai. Subito, gli spiritelli che mi circondavano presero a svolazzare all’impazzata, angosciati. «Oh, no! Di’ loro che li stavi prendendo in giro. La fiamma è terribilmente sensibile e imprevedibile. Non vorrei che provocassero qualche incidente», esclamò Sgiach. «Ehi, ragazzi, scusate! Stavo solo scherzando. Va tutto bene, sul serio.» Quando gli spiriti del fuoco smisero di agitarsi tanto, tirai un sospiro di sollievo. Guardai Sgiach. «Ci sono rischi se chiamo gli altri elementi?» «No, nessuno. Basta che tu stia attenta a quello che dici. La tua affinità è potente, persino quando non ti trovi in un luogo denso di antica magia come questo bosco.» «D’accordo.» Presi altri tre respiri purificatori, poi mi voltai in senso orario in direzione ovest. «Acqua, vieni a me.» E mi ritrovai immersa nell’elemento. Spiritelli freschi e lisci mi scivolarono sulla pelle, luccicanti di un’acquosa iridescenza. Giocavano spensierati, facendomi venire in mente sirene e delfini, meduse e cavallucci marini. «Questo è davvero fighissimo!» «Gli spiriti dell’acqua sono particolarmente forti a Skye», spiegò Sgiach accarezzando una piccola creatura a forma di stella marina che le nuotava intorno. Mi voltai verso nord. «Terra, vieni a me!» Il bosco prese vita. Gli alberi splendevano di gioia, e dai loro vecchi tronchi nodosi emersero degli esseri delle foreste che mi ricordarono cose che potevano trovarsi a Rivendell con gli elfi di Tolkien, o magari persino nella giungla in 3D di Avatar. Spostai l’attenzione al centro del mio cerchio improvvisato e chiamai l’elemento finale: «Spirito, vieni a me anche tu». Stavolta fu Sgiach a rimanere senza fiato. «Non avevo mai visto tutti assieme i cinque gruppi di spiritelli. È magnifico.» «Oh mia Dea! È incredibile!» Intorno a me, l’aria già brulicante di esseri diafani si era colmata di una tale luminosità da far subito pensare a Nyx e alla brillantezza del suo sorriso. «Vuoi approfondire questa esperienza?» mi chiese Sgiach. «Certo», risposi senza esitazioni. «Allora dammi la mano.» Circondata dagli antichi spiritelli elementali, mi avvicinai a Sgiach tendendole la destra. «Ti fidi di me?» domandò dopo aver rivolto il mio palmo verso l’alto. «Sì», replicai. «Bene. Farà male solo per un istante.» Con un gesto talmente rapido da risultare invisibile, passò l’unghia dura e tagliente dell’indice destro sul mio palmo. Non arretrai. Non mi mossi, inspirai solo un bel po’ d’aria di botto. In ogni caso aveva ragione: fece male solo per un istante. Sgiach mi prese la mano e raccolse le gocce di sangue nel proprio palmo; poi, pronunciando alcune parole che non compresi, formò un cerchio scarlatto intorno a noi e, non appena fu completo, la ferita mi si rimarginò all’istante. A quel punto accadde una cosa davvero incredibile. Ogni spiritello toccato dal mio sangue per un attimo divenne di carne. Non si trattava più di eteree rappresentazioni degli elementi, di semplici tracce di aria, fuoco, acqua, terra e spirito. Ciò che il mio sangue toccava, diventava realtà: fate e uccellini, sirene e ninfe della foresta che vivevano, respiravano. E che danzavano e festeggiavano. Le loro risate dipinsero di gioia e di magia il cielo del crepuscolo. «È la magia antica. Hai sfiorato cose che dormivano da secoli. Nessuno era mai riuscito a risvegliare le fate. Nessun altro ne aveva la capacità», disse Sgiach, poi con lentezza e regalità chinò la testa verso di me in segno di rispetto. Travolta dalla meraviglia dei cinque elementi, presi la mano della regina di Skye. «Posso condividere tutto questo con altri novizi? Se li lascerai venire qui, potrò insegnare alla nuova generazione come arrivare alla vecchia magia?» Lei mi sorrise tra lacrime che mi auguravo fossero di gioia. «Sì, Zoey. Perché, se non puoi colmare tu la distanza tra il mondo antico e quello moderno, non so chi altri potrebbe riuscirci. Ora, però, goditi questo momento. La realtà creata dal tuo sangue svanirà presto. Danza con loro, giovane regina. Di’ loro che c’è la speranza che il mondo di oggi non abbia completamente dimenticato il passato.» Le sue parole mi spronarono e, seguendo il suono di campane, cornamuse e cembanelle comparso all’improvviso, iniziai a ballare con le creature cui il mio sangue aveva ridato la vita. Ripensandoci, avrei dovuto prestare maggiore attenzione alla sagoma di corna acuminate che colsi con la coda dell’occhio mentre piroettavo e saltavo a braccetto con le fate. Avrei dovuto notare il colore del manto del toro e il lampo che gli scintillava negli occhi. Avrei dovuto accennare alla sua presenza con Sgiach. Se fossi stata più saggia, si sarebbero potute evitare, o quantomeno prevedere, molte cose. Ma, quella sera, danzai in tutta innocenza, felice di scoprire la novità di un’antica magia, ignara che questa mia leggerezza avrebbe avuto conseguenze ben più gravi di una stanchezza infinita e del bisogno di una bella cena e di otto ore filate di sonno. «Avevi ragione. Non è durato molto», commentai a corto di fiato lasciandomi cadere accanto a Sgiach sul sasso coperto di muschio. «Non possiamo fare qualcosa perché rimangano di più? Sembravano così contenti di essere reali!» «Le fate sono esseri sfuggenti. Sono fedeli soltanto al loro elemento, o a chi lo domina.» Sbattei le palpebre, stupita. «Vuoi dire che sarebbero leali a me?» «Credo che lo siano, anche se non te lo posso assicurare; essendo la regina di quest’isola, sono legata ad aria e vento, tuttavia non ho nessuna affinità con gli elementi.» «Ah. Quindi io posso chiamarli anche se vado via da Skye?» «E perché mai dovresti volerlo fare?» Risi: in effetti, perché mai avrei dovuto voler lasciare quell’isola magica e mistica? «Aye, wummen, lo sapevo che seguendo il chiacchiericcio avrei trovato voi due!» Seoras ci raggiunse e si sedette al fianco della sua regina. Lei sfiorò per un attimo il suo avambraccio muscoloso, un semplice tocco pieno di vita e di amore, di fiducia e d’intimità. «Benvenuto, mio Guardiano. Le hai portato arco e frecce?» «Aye, certo che glieli ho portati», rispose il Guerriero mostrandomi un arco di legno scuro con intagli complessi e una faretra di cuoio piena di frecce dall’impennatura rossa. «Bene. Zoey, oggi hai imparato molto. Anche al tuo Guardiano serve una lezione riguardo al credere nella magia e nei doni della Dea.» Sgiach prese arco e frecce e me li tese. «Portali a Stark. È rimasto senza per troppo tempo.» «Pensi davvero che sia una buona idea?» chiesi guardandoli con sospetto. «Quello che penso è che il tuo Stark non sarà realmente completo se non accetterà i doni della Dea.» «Nell’Aldilà aveva una claymore. Non potrebbe essere la sua arma anche qui?» Sgiach si limitò a fissarmi, con tracce della magia che avevamo appena sperimentato ancora riflesse negli occhi verdi. Sospirai. E, seppur riluttante, allungai la mano per prendere l’arco. «Non si sente tanto a suo agio con questo», dissi. «Aye, ma dovrebbe», intervenne Seoras. «Non lo diresti se sapessi cosa ci sta dietro», ribattei. «Se intendi che non può mancare il bersaglio allora, aye, lo so, e anche del senso di colpa che avverte per la morte del suo mentore», replicò Seoras. «Allora ti ha raccontato tutto.» «Sì.» «E sei ancora convinto che dovrebbe riprendere a usare l’arco?» «Non si tratta di una semplice convinzione, piuttosto del fatto che, dopo secoli di esperienza, Seoras ormai sa cosa succede quando i doni della Dea fatti a un Guardiano vengono ignorati», spiegò Sgiach. «E che succede?» «La stessa cosa che capita quando una Somma Sacerdotessa cerca di allontanarsi dalla via che la Dea ha posto davanti a lei», rispose Seoras. «Come Neferet», mormorai. «Aye, come la Somma Sacerdotessa caduta che ha corrotto la vostra Casa della Notte e provocato la morte del tuo Consorte.» «Anche se, in tutta sincerità, devi sapere che non si verifica sempre una scelta così netta tra bene e male quando un Guardiano, o un Guerriero, ignora i doni della Dea e si allontana dal suo sentiero. A volte, questo significa soltanto che la sua vita non è piena e risulta quanto più banale e terrena possibile per un vampiro», aggiunse Sgiach. «Ma, se si tratta di un Guerriero con dei doni potenti, oppure se ha affrontato la Tenebra ed è stato toccato dalla lotta contro il male... allora, be’, quel Guerriero non può svanire così facilmente nell’oblio», disse Seoras. «E per Stark valgono entrambe le cose», commentai. «Proprio così. Zoey, fidati di me. Per il tuo Guardiano è meglio seguire la strada decisa per lui dalla Dea piuttosto che lasciare che venga di nuovo preso dalle ombre», fece Sgiach. «Capisco il vostro punto di vista, ma convincerlo a usare di nuovo l’arco non sarà facile.» «Ach, be’, adesso tu puoi fare appello alla magia antica mentre sei qui sulla nostra isola, no?» Spostai lo sguardo da Seoras a Sgiach. Avevano ragione. Me lo sentivo dentro. Stark non poteva nascondersi ai doni che gli aveva concesso Nyx più di quanto io potessi negare il mio legame coi cinque elementi. «Okay, lo convincerò. Ma... dov’è?» «Il giovane è irrequieto. L’ho visto incamminarsi verso la spiaggia», rispose Seoras. Mi si strinse il cuore. Il giorno prima avevamo deciso che saremmo rimasti a Skye per un tempo imprecisato e, dopo quanto era appena successo con Sgiach, non sopportavo neanche l’idea di andarmene. «Ma sembrava che gli andasse bene restare», dissi pensando ad alta voce. «Il suo problema non è tanto dove è ma chi è», ribatté Seoras. «Eh?» feci con grande sfoggio d’intelligenza. «Zoey, Seoras vuole dire che il morale del tuo Guardiano migliorerà decisamente quando tornerà a essere un Guerriero completo», mi tradusse Sgiach. «E un Guerriero completo usa tutti i suoi doni», sentenziò Seoras con un tono che non ammetteva repliche. «Va’ da lui e aiutalo a tornare completo», aggiunse Sgiach. «Ma come faccio?» «Ach, wumman, usa quel cervello che ti ha dato la Dea e prova un po’ a capirlo da sola.» Con una leggera spinta e un gesto che m’indicava la direzione, la regina e il suo Guardiano mi mandarono via dal boschetto. Sospirai, mi grattai mentalmente la testa e mi diressi verso la costa chiedendomi che diavolo di parola fosse ach. CAPITOLO 10 ZOEY Pensai a Stark durante tutto il tragitto, lungo la scivolosa scalinata di pietra che girava intorno al castello e sulle rocce da cui si accedeva alla spiaggia, prendendomi solo un momento per ammirare l’imponente e minacciosa scogliera su cui si ergeva la dimora di Sgiach, che dominava l’isola. Il sole era ormai tramontato, ma per fortuna c’erano diverse file di torce a illuminare la zona. Stark era solo. Mi dava le spalle, perciò, mentre mi avvicinavo, potei osservarlo che si allenava con la claymore in una mano e un grande scudo di cuoio nell’altra, menando affondi e parate contro un nemico insidioso ma invisibile. Camminai in silenzio, piano piano, per godermi lo spettacolo. Che di colpo fosse diventato più alto? E più muscoloso? Così «in assetto da Guerriero», aveva un aspetto forte e molto ma molto pericoloso. Ricordavo bene la sensazione del suo corpo contro il mio la notte precedente, e come avevamo dormito assieme stretti stretti... e lo stomaco mi si annodò un po’, in modo insolito. Lo amo e mi fa sentire al sicuro. Potrei rimanere qui con lui, lontana dal resto del mondo, per sempre. Proprio mentre formulavo quel pensiero, sulla schiena mi passò un brivido. E, in quel momento, Stark abbassò la guardia e si voltò, preoccupato. Io però lo tranquillizzai sorridendo e salutandolo con una mano, solo che, quando lui vide l’arco, il suo sorriso di benvenuto si affievolì, tuttavia mi accolse comunque con un bacio. «Ehi, sei sexy da matti quando fai ’sta cosa con la spada», esordii. «Si chiama ’allenamento’, Zy. E non è previsto che io sembri sexy, ma pericoloso.» «Oh, ma lo sembri eccome. Ero praticamente spaventata a morte!» esclamai col mio migliore finto accento da bellezza del Sud, appoggiandomi il dorso della mano sulla fronte come se fossi sul punto di svenire. «Signora, con accenti e inflessioni non ve la cavate molto bene», replicò lui con un falso accento, a differenza del mio, davvero ottimo. Poi mi prese la mano e se la portò al cuore. «Ma, se volete, Miss Zoey, posso provare a insegnarvi.» Okay, lo so che è stupido, ma quella recita da gentiluomo del Sud mi fece sciogliere. Poi, una volta diradata la nebbia di desiderio che provavo per lui, mi venne un’idea per cominciare a farlo sentire di nuovo a proprio agio con arco e frecce. «Naaa, per gli accenti sono senza speranza, però c’è un’altra cosa che mi potresti insegnare.» «Aye, wumman, di cosucce da insegnarti ne conosco un sacco», replicò con aria da maniaco ma un tono identico a quello di Seoras. Gli assestai un pugno. «Non fare lo scemo. Sto parlando di questo: ho sempre pensato che tirare con l’arco fosse una figata ma in realtà non ne so niente. Mi potresti insegnare? Per favore?» Stark fece un passo indietro, guardando l’arma con circospezione. «Zoey, lo sai che è meglio che io non lo usi.» «No. È meglio che tu non lo usi contro qualcosa di vivo. Sì, be’, a meno che tu non voglia davvero ucciderlo... Ma comunque io non ti sto chiedendo di usarlo: ti sto chiedendo d’insegnare a me.» «E perché di punto in bianco vorresti imparare?» «Be’, mi sembra logico. Noi resteremo qui, giusto?» «Giusto.» «E qui si addestrano Guerrieri da, tipo, milioni di anni. Giusto?» «Giusto, di nuovo.» Gli sorrisi, cercando di alleggerire la situazione. «Mi piace da matti quando ammetti che ho ragione. Di nuovo. Comunque, dato che siamo qui, vorrei imparare un po’ delle cose che sanno fare i Guerrieri. E quella è senz’altro troppo pesante per me.» Indicai la claymore. «Per di più, l’arco è davvero molto bello.» «Sarà anche bello, ma rimane lo stesso un’arma. Un’arma pericolosa e mortale, soprattutto se a impugnarla sono io.» «Solo se miri per uccidere», ribattei. «A volte si possono fare degli errori», replicò sotto il peso dei ricordi. Gli appoggiai una mano sul braccio. «Adesso sei più grande. Più esperto. Non faresti più gli stessi errori. Dai, fammi vedere come funziona.» «Non abbiamo un bersaglio.» «Ma sì che l’abbiamo.» Diedi un colpetto col piede allo scudo di cuoio che Stark aveva appoggiato a terra quando l’avevo raggiunto. «Mettilo tra un paio di sassi un po’ più in là sulla spiaggia. Cercherò di centrarlo... dopo che tu sarai tornato qui, ovviamente.» «Ovviamente.» Con un sospiro rassegnato e tristissimo, Stark posizionò lo scudo tra un paio di grossi massi a pochi metri da noi, quindi tornò indietro. Svogliato, prese l’arco e mise ai nostri piedi la faretra. «Devi tenerlo così. E la freccia va qui», disse appoggiandola contro il lato dell’arco, la punta rivolta verso il basso. «S’incocca in questo modo. Con queste frecce, è facile capire come si fa, perché le penne nere devono essere tutte girate verso il basso, mentre l’unica rossa va verso l’alto... così.» Intanto che parlava, Stark cominciò a rilassarsi e a riprendere confidenza con l’arma: era chiaro che quei movimenti li avrebbe potuti fare anche a occhi chiusi. «Rimani ben salda sulle gambe, i piedi devono rimanere in asse con le anche... così.» Approfittai della dimostrazione pratica per guardargli le gambe, ringraziando una volta di più che avesse iniziato a portare il kilt. «Poi sollevi l’arco e, tenendo la freccia tra indice e medio, tendi la corda tirandola verso di te. Prendi bene la mira, ma alla fine punta un pochino più in basso: ti aiuterà a compensare l’effetto della distanza e del vento. Quando sei pronta, lascia partire la freccia. Ricordati di piegare il braccio sinistro, altrimenti ti ritroverai con un gran livido.» Mi tese l’arco. «Dai, prova.» «Fammi vedere», replicai. «Zoey, non penso che dovrei.» «Ma scusa, il bersaglio è uno scudo di cuoio. Non è vivo e non ha intorno niente di neanche vagamente vivo. Basta che miri al centro dello scudo, così vedo come si fa.» Esitò. Gli appoggiai la mano sul petto e lo baciai, però, per quanto cercasse di abbandonarsi a me, Stark rimase comunque teso. «Ehi, devi avere fiducia in te stesso, almeno quanta ne ho io», dissi sottovoce. «Sei il mio Guerriero, il mio Guardiano. Devi tirare con l’arco perché è il dono che ti ha fatto la Dea. So che l’userai con saggezza. Ti conosco: tu sei buono, hai lottato per essere buono e hai vinto.» «Ma, Zy, io non sono completamente buono. Nell’Aldilà ho visto la parte cattiva di me. Era lì, reale, proprio davanti a me», replicò con aria frustrata. «E l’hai sconfitta.» «Per sempre? Non credo. Non credo che sia possibile.» «Guarda che nessuno è completamente buono. Neanch’io. Voglio dire, se uno bravo lasciasse in giro il compito di geometria, ti assicuro che una sbirciatina la darei.» Fece un sorriso teso. «Tu ci scherzi, ma per me è diverso. Penso lo sia per tutti i novizi rossi e anche per Stevie Rae. Una volta conosciuta la Tenebra, quella vera, sulla tua anima ci sarà sempre un’ombra.» «No. Non un’ombra. È solo un’esperienza diversa. Tu e gli altri novizi rossi avete provato qualcosa che noi non conosciamo. Questo non vi rende parte dell’ombra della Tenebra, vi rende esperti in materia. E può essere un’ottima cosa, se usate questa conoscenza superiore per combattere per il bene. E tu lo fai.» «A volte ho paura che possa essere molto più di così», disse lentamente, fissandomi negli occhi come se cercasse una verità nascosta. «Che vuoi dire?» «La Tenebra è territoriale, possessiva. Una volta che ti ha assaggiato, non molla la presa tanto facilmente.» «La Tenebra non può fare niente se si sceglie la via della Dea come hai fatto tu. Non può sconfiggere la Luce.» «Ma non sono neanche convinto che la Luce potrà mai sconfiggere la Tenebra. Vedi, Zy, c’è un equilibrio in queste cose.» «Ciò non significa che non si possa scegliere da che parte stare. Tu hai scelto. Fidati di te stesso. Io mi fido. Completamente», ripetei. Stark continuò a tenere gli occhi fissi nei miei come si aggrappasse a un salvagente. «Finché tu mi vedrai buono, finché crederai in me, posso avere fiducia in me stesso, perché mi fido di te, Zoey. E ti amo.» «Anch’io ti amo, Guardiano.» Mi baciò e poi, con un movimento allo stesso tempo rapido, aggraziato e letale, Stark tirò indietro l’arco e fece volare la freccia. Che andò a conficcarsi al centro del bersaglio. «Wow, è stato incredibile. Tu sei incredibile», commentai. Lui tirò un lungo respiro di sollievo, che sembrò scacciare via la tensione. Poi sorrise, nel suo solito fighissimo modo da sbruffone. «Visto, Zy? Bersaglio centrato alla perfezione.» «Per forza hai fatto centro, scemo. Non puoi sbagliare!» «Sì, hai ragione. Ed è solo un bersaglio.» «Allora, m’insegni o no? E stavolta non essere così veloce. Va’ piano. Fammi vedere.» «Sì, sì, certo. Okay, guarda.» Mirò e scoccò la freccia più lentamente, dandomi il tempo di seguire i suoi movimenti. E la seconda freccia spaccò in due la prima. «Oh, ooops. Me n’ero dimenticato. Una volta buttavo via un sacco di frecce spaccandole così.» «Dammi, adesso tocca a me. Scommetto che non avrò lo stesso problema.» Cercai d’imitare i movimenti di Stark, ma tirai troppo corto e la freccia finì di piatto sulle rocce lisce e bagnate. «Cavolo, è decisamente più difficile di quello che sembra», dissi. «Guarda, ti faccio vedere. È la posizione che è sbagliata.» Venne dietro di me, mettendo le braccia sopra le mie e sfiorandomi la schiena. «Vediti come un’antica regina guerriera. Sta’ dritta e orgogliosa. Spalle indietro! Mento alto!» Obbedii e, stretta tra le sue braccia, mi sentii trasformare in una donna potente e maestosa. Le sue mani guidarono le mie per tirare la corda. «Resta ferma, forte... concentrati sul bersaglio», mormorò. Insieme, prendemmo la mira e, mentre lasciavamo partire la freccia, percepii la scossa che attraversò il suo corpo e il mio, guidando il dardo di nuovo al centro dello scudo, spezzando i due precedenti. Mi voltai e sorrisi al mio Guardiano. «Ciò che hai tu è magico, speciale. Lo devi sfruttare, Stark, devi proprio farlo.» «Mi è mancato molto», ammise, in un mormorio talmente basso che faticai a udirlo. «Non mi sento a posto del tutto se non sono in contatto col mio arco.» «È perché il tuo arco ti permette di restare in contatto con Nyx. È stata lei a farti questo dono.» «Forse qui posso ricominciare. Questo posto... ha qualcosa di speciale. È come se sentissi di appartenere a quest’isola, come se noi appartenessimo a quest’isola.» «Lo sento anch’io. E mi sembra passata un’eternità dall’ultima volta in cui ho provato questa sensazione di sicurezza e questa gioia.» Lo abbracciai. «Sgiach mi ha appena detto di voler riaprire le porte ai giovani Guerrieri, e anche ad altri novizi con doni speciali.» Gli sorrisi. «Sai, tipo quelli che hanno affinità particolari.» «Oh, intendi affinità con gli elementi?» «Già, proprio quelle.» Lo strinsi forte. «Voglio rimanere qui. Sul serio.» Stark mi accarezzò i capelli e mi diede un bacio sulla testa. «Lo so, Zy, e sono con te. Sarò sempre con te.» «Magari qui potremo liberarci della Tenebra che Neferet e Kalona hanno cercato di portare nel mondo», aggiunsi. «Lo spero, Zy. Lo spero proprio.» «Pensi che potrebbe essere sufficiente avere un piccolo pezzo di mondo libero dalla Tenebra? Rifugiarci qui significa sempre seguire il sentiero della Dea?» «Be’, non sono un esperto, però secondo me devi cercare di fare del tuo meglio per essere fedele a Nyx. Non mi pare che quello che stai facendo sia un grande problema.» «Capisco perché Sgiach non lascia questo posto», commentai. «Anch’io, Zy.» Stark mi strinse forte e sentii che tutto ciò che dentro di me era ferito e si era spezzato cominciava a scaldarsi e, lentamente, a guarire. STARK Mentre stringeva tra le braccia la sua Zoey, Stark ripensò a quant’era andato vicino a perderla, e fu invaso da un terrore tale da fargli venire mal di stomaco. Ce l’ho fatta. L’ho raggiunta nell’Aldilà e sono riuscito a convincerla a tornare da me. Adesso è al sicuro e farò in modo che sia sempre così. «Mamma mia come pensi forte! Riesco a sentire le rotelline che ti girano nella testa.» Raggomitolata con lui nel letto, Zoey gli strofinò il viso sul collo per poi baciargli la guancia. «Veramente dovrei essere io quello con le super capacità psichiche.» Lo disse in tono scherzoso ma, intanto, Stark scivolò nel cervello di lei, senza addentrarsi al punto di farla incavolare spiandone i pensieri, solo quanto bastava ad assicurarsi che lei si sentisse davvero felice e al sicuro. «Vuoi sapere una cosa?» gli chiese in tono un po’ esitante. Stark si sollevò appoggiandosi sul gomito. «Zy, stai scherzando? Io voglio sapere tutto.» «Piantala, sono seria.» «Anch’io!» Lei gli lanciò un’occhiataccia e lui la baciò sulla fronte. «Okay, d’accordo. Sono serio. Cosa?» «Io... mmm, mi piace davvero tanto quando mi tocchi.» Le sopracciglia di Stark schizzarono all’insù e lui dovette mettercela tutta per non farle un sorrisone. «Be’, è una cosa buona. Direi che è una cosa molto buona.» Zoey si mordicchiò il labbro. «A te piace?» A quel punto Stark non poté non ridere. «Stai scherzando, vero?» «No. Sono serissima. Insomma, io come faccio a saperlo? Non sono esattamente esperta... non come te.» Aveva le guance in fiamme: doveva sentirsi a disagio da matti. Accidenti, Stark non intendeva affatto metterla in imbarazzo o farla sentire strana per quello che stava succedendo tra loro. «Ehi... stare con te è molto più che grandioso. E, Zoey, guarda che ti sbagli. Sei più esperta tu di me riguardo all’amore.» Le prese il viso tra le mani e, quando lei fece per parlare, le posò un dito sulle labbra. «No, lasciami finire. Sì, io ho già fatto sesso, ma non ero mai stato innamorato. Tu sei il mio primo amore, e sarai anche l’ultimo.» Lei gli sorrise con tanta passione e fiducia che Stark pensò gli stesse per uscire il cuore dal petto. C’era soltanto Zoey per lui, e sarebbe stato così per sempre. «Vorresti fare di nuovo l’amore con me?» mormorò lei. Per tutta risposta, Stark la tenne ancora più stretta e le diede un bacio lungo e lento. Il suo ultimo pensiero prima che tutto andasse a catafascio fu: Non sono mai stato così felice in vita mia... CAPITOLO 11 KALONA Neferet si stava avvicinando, perciò Kalona si preparò psicologicamente, controllando la propria espressione e nascondendo l’odio che aveva iniziato a provare per lei con un cauto atteggiamento di premurosa attesa. Avrebbe aspettato il momento opportuno: se c’era una cosa che l’immortale aveva imparato benissimo era non sottovalutare la forza della pazienza. «Sta arrivando Neferet», disse a Rephaim. Suo figlio era davanti a una delle grandi portefinestre che si aprivano sul terrazzo dell’attico acquistato dalla Tsi Sgili, all’ultimo piano del lussuosissimo Mayo Building, un perfetto connubio tra le esigenze estetiche di lei e la necessità di lui di avere libero accesso al tetto. «Lei ha un Imprinting con te?» La domanda di Rephaim interruppe i pensieri di Kalona. «Un Imprinting? Tra Neferet e me? Che strana domanda da farmi.» Rephaim spostò lo sguardo dal panorama di Tulsa a suo padre. «Riesci a percepire che sta arrivando. Immagino che lei abbia assaggiato il tuo sangue e che quindi abbiate stabilito l’Imprinting.» «Nessuno assaggia il sangue di un immortale.» L’ascensore annunciò con uno scampanellio l’arrivo di Neferet, che percorse a passi lunghi e decisi lo scintillante pavimento di marmo. Si muoveva con grazia, come se stesse scivolando sul pavimento, coi gesti lenti e armoniosi che i mortali avrebbero considerato tipici dei vampiri. Ma Kalona sapeva come stavano le cose: i suoi movimenti erano cambiati, si erano evoluti... lei era cambiata, si era trasformata in un essere molto superiore a un vampiro. Kalona le fece un rispettoso inchino. «Mia regina.» Il sorriso di Neferet era pericolosamente bello. Con un gesto sinuoso, da serpente, gli mise un braccio intorno alle spalle, esercitando una pressione maggiore del necessario. Obbediente, Kalona si chinò, in modo che lei potesse posare le labbra sulle sue. Svuotò la mente, lasciando che fosse solo il corpo a rispondere, rendendo il bacio più profondo e consentendo alla lingua di lei di scivolare nella sua bocca. Nello stesso modo brusco in cui l’aveva cominciato, Neferet mise fine all’abbraccio. Guardando oltre le spalle di Kalona, disse: «Rephaim, credevo fossi morto». «Ero ferito, non morto. Sono guarito e ho aspettato il ritorno di mio padre.» Kalona pensò che, sebbene le parole del figlio fossero rispettose e corrette, nel tono c’era qualcosa di scortese. Ma era sempre stato difficile comprendere i modi di Rephaim, dato che il suo viso di bestia tendeva a mascherare qualsiasi emozione umana. Sempre ammesso che ne provasse. «Ho saputo che alcuni novizi della Casa della Notte di Tulsa ti hanno visto.» «Ho risposto al richiamo della Tenebra. Che ci fossero dei novizi per me era irrilevante», replicò Rephaim. «Non solo dei novizi... c’era anche Stevie Rae. Anche lei ti ha visto.» «Come ho appena detto, per me quegli esseri sono irrilevanti.» «Comunque è stato un errore da parte tua far sapere che sei qui, e io non tollero errori», sbottò Neferet. Non appena gli occhi della Tsi Sgili assunsero un colore rossastro, Kalona si sentì montare una gran rabbia: era già abbastanza brutto avere quel legame di servitù con Neferet, ma che addirittura il suo figlio prediletto potesse venire rimproverato e castigato da lei era intollerabile. «A dire il vero, mia regina, il fatto che sappiano che Rephaim è rimasto a Tulsa potrebbe giocare a nostro favore. Si presume che io sia stato bandito dal tuo fianco, perciò non posso essere visto qui. Se alla Casa della Notte dovessero arrivare voci relative a un essere alato, penserebbero subito che si tratti di lui.» Neferet inarcò un sopracciglio ambrato. «Hai ragione, mio amore, soprattutto quando voi due mi riporterete i novizi rossi ancora feroci e pericolosi.» «Come desideri, mia regina», disse mieloso Kalona. «Voglio che Zoey ritorni a Tulsa», replicò Neferet, cambiando bruscamente argomento. «Quegli idioti alla Casa della Notte mi hanno detto che si rifiuta di andarsene da Skye. Lì è fuori della mia portata... e io non posso proprio permetterglielo.» «La morte dell’innocente dovrebbe farla tornare», intervenne Rephaim. Neferet strinse le palpebre. «E tu come fai a sapere di quella morte?» «L’abbiamo percepita. La Tenebra ne ha molto goduto», rispose Kalona. «È delizioso che tu l’abbia percepita. La morte di quel ridicolo ragazzetto è stata un vero piacere. Anche se mi preoccupa che possa avere l’effetto opposto su Zoey: invece di farla tornare di corsa dal suo debole e piagnucolante gruppo di amici, potrebbe costituire una ragione in più per restarsene nascosta su quell’isola.» «Forse dovresti colpire qualcuno più vicino a Zoey. Per lei la Rossa è come una sorella», propose Kalona. «Vero, e adesso anche quella maledetta Afrodite le è molto vicina», disse Neferet, picchiettandosi un dito sul mento mentre rifletteva. Uno strano rumore spostò l’attenzione di Kalona su Rephaim. «Figlio mio, hai qualcosa da aggiungere?» «Zoey si nasconde a Skye. È convinta che là non possiate raggiungerla. Ma è vero?» chiese Rephaim. «Sì, purtroppo è così. Nessuno può violare i confini del regno di Sgiach», replicò Neferet, in tono duro e irritato. «Come si presumeva che nessuno fosse in grado di violare i confini del regno di Nyx?» riprese Rephaim. Neferet lo trafisse con un’occhiata di smeraldo. «Come osi essere impertinente?» «Spiegati, Rephaim», intervenne Kalona. «Padre, tu hai appena violato un confine che pareva altrettanto invalicabile. Usa il legame che hai con Zoey. Raggiungila attraverso i sogni. Falle capire che da te non può nascondersi. Questo, unito alla morte del suo amico e al ritorno di Neferet alla sua Casa della Notte, dovrebbe bastare a spingere la giovane Somma Sacerdotessa a lasciare il suo rifugio.» «Lei non è una Somma Sacerdotessa. È una novizia! E la Casa della Notte di Tulsa è mia, non sua!» strillò Neferet, quasi isterica. «No. Ne ho abbastanza del legame di tuo padre con lei. Non è servito a farla morire, quindi voglio che venga tagliato di netto. Se Zoey dev’essere attirata lontano da Sgiach, lo farò usando Stevie Rae o Afrodite... o magari entrambe. Hanno bisogno di una lezione per imparare a portarmi rispetto.» «Come desideri, mia regina», disse Kalona con un’occhiata d’intesa al figlio. Rephaim incrociò il suo sguardo, esitò, poi anche lui chinò la testa e sottovoce disse: «Come desideri...» «Bene, allora questo è tutto. Rephaim, i giornali e i notiziari dicono che vicino alla Will Rogers High sono stati trovati dei cadaveri di gente con la gola squarciata. Secondo i media, è opera di una banda. Credo che, seguendo quella ’banda’, troveremo i nostri novizi rossi. Fallo. Con discrezione.» Rephaim non replicò, ma chinò la testa in segno di assenso. «E adesso vado nell’altra stanza a crogiolarmi in quella splendida vasca da bagno di marmo. Kalona, amore mio, ti raggiungerò presto nel nostro letto.» «Mia regina, non desideri che cerchi i novizi rossi con Rephaim?» «Non stasera. Stasera ho bisogno di un servizio più personale. Siamo stati separati per troppo tempo.» Fece scorrere un’unghia rossa sul petto di Kalona, che dovette farsi forza per non allontanarsi di scatto. Lei però dovette intuire qualcosa, perché si rivolse all’immortale in tono freddo e duro. «Forse t’infastidisco?» «No di certo. Come potresti mai infastidirmi? Sarò pronto per te, come sempre.» «Resterai nel mio letto, aspettando di darmi piacere.» Con un sorriso crudele, Neferet girò sui tacchi e scivolò nell’immensa camera che occupava metà del sontuoso attico, chiudendo la doppia porta della stanza da bagno con un gesto drammatico e un rumore che per Kalona somigliarono molto a quelli di un secondino che sbarra la porta di una prigione. Lui e Rephaim rimasero silenziosi e immobili per quasi un minuto. Quando infine l’immortale parlò, aveva la voce roca per la rabbia repressa. «Non c’è prezzo troppo grande per spezzare il dominio che ha su di me.» Kalona si passò la mano sul petto, quasi potesse cancellare ogni traccia del tocco di lei. «Ti tratta come un servo.» «Ma non durerà a lungo, no di certo», sbottò cupo. «Al momento, però, è così. Ti ordina persino di stare lontano da Zoey, e tu sei stato legato per secoli alla fanciulla cherokee che condivide la sua anima!» «No. La Tsi Sgili può credere di comandare ogni mia mossa tuttavia, anche se si considera una dea, non è onnisciente. Non sa tutto. Non vede tutto.» Kalona continuava a muovere le ali, agitato. «Figlio mio, credo che tu abbia ragione. Zoey potrebbe essere spinta a lasciare l’antica isola di Skye, se capisse di non poter sfuggire al legame con me neppure lì.» «Sembra logico. La ragazza si nasconde per evitarti. Dimostrale che i tuoi poteri sono troppo grandi perché possa riuscirci, che la Tsi Sgili approvi oppure no.» «Non mi serve la sua approvazione.» «Appunto», convenne Rephaim. «Figlio mio, vola nella notte e rintraccia i novizi della Tsi Sgili. Questo la tranquillizzerà. Tuttavia desidero che tu cerchi pure Stevie Rae. Tienila sotto controllo. Guarda dove va e cosa fa, ma non la catturare. Non ancora. Sono convinto che i suoi poteri siano legati alla Tenebra e che possa esserci utile, prima però dobbiamo minare la sua amicizia con Zoey e la sua fedeltà alla Casa della Notte. Deve pur avere un punto debole. Se la osserviamo abbastanza a lungo, lo scopriremo.» Kalona s’interruppe, poi ridacchiò, anche se il suono non fu affatto allegro. «Le debolezze possono essere così allettanti.» «Allettanti, padre?» Kalona fissò il figlio, stupito dalla sua strana espressione. «Sì, allettanti. Forse sei stato separato dal mondo per così tanto tempo da non ricordare la potenza anche di un’unica debolezza umana.» «Padre, io... io non sono umano. Per me è difficile capirti...» «Ma certo... certo, limitati a osservare la Rossa. Io rifletterò su cosa fare con lei. E, mentre aspetto il prossimo ordine, mi muoverò nel regno dei sogni e darò a Zoey, oltre che a Neferet, una lezione su come si gioca a nascondino.» «Sì, padre.» Rephaim aprì la portafinestra, raggiunse la balaustra e spalancò le grandi ali d’ebano. Poi, silenzioso e aggraziato, si lasciò cadere e si librò nella notte di Tulsa. Per un attimo, l’immortale lo invidiò, desiderando di potersi lanciare anche lui dal tetto di quell’edificio maestoso e planare nel cielo nero, come un predatore in caccia. Invece no. La caccia cui si sarebbe dedicato quella sera era diversa. Non l’avrebbe portato tra le nuvole ma, a suo modo, sarebbe comunque stata appagante. Il terrore poteva essere appagante. L’ultima volta che aveva visto Zoey, il suo spirito immortale era stato strappato all’Aldilà e restituito al corpo. In quell’occasione, era stato lui a provare terrore, per non essere riuscito a ucciderla. A quel punto la Tenebra, in virtù del giuramento di Neferet, che lui aveva accettato, era stata in grado di controllarlo, di ghermirgli l’anima. Kalona rabbrividì. Aveva avuto a che fare con la Tenebra per molto tempo, ma non le aveva mai concesso il controllo sulla propria anima immortale. L’esperienza non era stata piacevole. Non tanto per il dolore, che comunque era stato quasi insopportabile, e neppure per il senso d’impotenza che aveva provato quando i tentacoli neri l’avevano ricoperto. No, il suo terrore era stato provocato dal rifiuto di Nyx. Mi perdonerai mai? le aveva chiesto. La risposta della Dea l’aveva ferito in modo molto più profondo della claymore da Guardiano di Stark: Se mai sarai degno di perdono, potrai chiedermelo. Ma non prima di allora. Ma il colpo più terribile era stato un altro. Pagherai a questa mia figlia il debito che hai con lei, poi tornerai nel mondo e alle conseguenze che là ti aspettano, sapendo, mio deposto Guerriero, che al tuo spirito, oltre che al tuo corpo, è proibito l’ingresso nel mio regno. Poi Nyx l’aveva abbandonato nelle grinfie della Tenebra. Era stato peggio della prima volta. Quand’era caduto, era stato per propria scelta, e Nyx non era stata fredda e indifferente. Quella seconda volta era stato diverso. Il terrore provocato dalla cacciata definitiva l’avrebbe ossessionato per l’eternità, proprio come l’ultima visione agrodolce che aveva avuto della sua Dea. «No. Non intendo pensarci. Ho scelto la mia strada molto tempo fa. Nyx non è più la mia Dea da secoli e non vorrei mai più tornare a essere il suo Guerriero, a essere sempre secondo a Erebo.» Kalona parlava rivolto al cielo, lo sguardo fisso nella direzione in cui era andato suo figlio, quindi chiuse la porta alla gelida notte di gennaio e, assieme a essa, di nuovo, chiuse il cuore a Nyx. Con rinnovata risolutezza, l’immortale attraversò l’attico a grandi passi, superando l’angolo bar di legno luccicante e il salotto di velluto, per raggiungere la sontuosa camera da letto. Diede un’occhiata alle porte della stanza da bagno, da cui giungeva lo scroscio dell’acqua che riempiva la vasca dove Neferet amava tanto rilassarsi. Il profumo dell’olio da bagno – un misto di garofano e gelsomino a fioritura notturna realizzato appositamente per lei alla Casa della Notte di Parigi – arrivava fino a Kalona, intrufolandosi sotto la porta e rendendo l’aria soffocante. Disgustato, l’immortale si voltò e tornò sui propri passi, aprì il finestrone che portava al tetto e inspirò a fondo l’aria fredda e pulita. Quando si fosse degnata di cercarlo, Neferet l’avrebbe trovato là, sotto le stelle, e l’avrebbe punito per non essere rimasto a letto come aveva ordinato, in attesa di darle piacere neanche fosse la sua puttana. Kalona grugnì. Non era passato molto da quando, attirata dal suo potere, lei era rimasta vittima del suo fascino immortale. Per un brevissimo istante, si chiese se avrebbe deciso di tenerla in schiavitù, una volta cancellato il controllo che lei aveva sulla sua anima. L’idea gli diede piacere. Più tardi. Ci avrebbe pensato più tardi. Ormai aveva poco tempo e molto da fare prima di soddisfare Neferet. L’immortale andò alla massiccia balaustra di pietra, allargò le immense ali scure ma, invece di lanciarsi giù per assaporare l’aria della notte, si distese a terra, avvolgendosi tra le piume nere come in un bozzolo. Ignorò il freddo della pietra sotto di lui, concentrandosi soltanto sulla forza del cielo senza fine e sull’antica magia che fluttuava libera e allettante nella notte. Chiuse gli occhi e lentamente... lentamente... fece lunghi respiri profondi. E, mentre espirava, si liberò anche di ogni pensiero riguardante Neferet. Quindi trascinò nei polmoni, nel corpo e nello spirito, il potere invisibile che colmava la notte e su cui aveva autorità grazie al sangue immortale. Poi attirò a sé pensieri su Zoey. I suoi occhi... del colore dell’onice. La sua bocca voluttuosa. I lineamenti ereditati dalla nonna cherokee che gli ricordavano tanto l’altra fanciulla che con lei divideva l’anima e il cui corpo un tempo l’aveva catturato e confortato. «Trova Zoey Redbird.» Il fatto che Kalona tenesse bassa la voce non la rese meno imperiosa quando – grazie al potere conferitogli dal proprio sangue e dalla notte – evocò una forza così antica da far sembrare giovane il mondo. «Porta il mio spirito da lei. Segui il nostro legame. Se è nel regno dei sogni, non potrà nascondersi. I nostri spiriti si conoscono troppo bene. Va’, ora!» Ciò non aveva niente a che vedere con quanto gli era accaduto quando la Tenebra, per ordine di Neferet, gli aveva rubato l’anima. Stavolta si trattava di una sensazione piacevole, familiare, simile all’ebrezza che provava durante il volo. Non seguì gli appiccicosi tentacoli della Tenebra, ma la vorticosa energia nascosta tra le pieghe delle correnti del cielo. Lo spirito di Kalona si mosse rapido e deciso verso est, a una velocità inconcepibile dalla mente mortale. Una volta giunto sull’isola di Skye, Kalona esitò, stupito che l’incantesimo di protezione gettato da Sgiach così tanto tempo prima riuscisse a fermare persino lui. Doveva essere una vampira davvero potente, era un peccato che non avesse risposto lei alla sua chiamata invece di Neferet. Poi non sprecò altro tempo in pensieri inutili e il suo spirito abbatté la barriera di Sgiach e si lasciò scendere, lento e risoluto, verso il castello della regina. L’impronta della Dea era ovunque e gli fece tremare l’anima di un dolore che trascendeva il mondo fisico. Il boschetto non lo fermò. Non gli impedì di passare. Semplicemente gli causò un ricordo che era sofferenza pura. È così simile al bosco di Nyx che non rivedrò mai più... Kalona si allontanò dalla verdeggiante dimostrazione della benevolenza di Nyx e lasciò che il proprio spirito venisse trascinato verso il castello di Sgiach. Lì avrebbe trovato Zoey. Se stava dormendo, avrebbe seguito il loro legame per entrare nel mistico mondo dei sogni. Guardò con ammirazione le teste mozzate e l’evidente abilità guerriera degli abitanti di quel luogo antico. Attraversando la spessa pietra grigia tipica dell’isola, Kalona rifletté su quanto avrebbe preferito vivere lì invece che nella gabbia dorata dell’attico di Tulsa. Doveva portare a termine il suo compito e costringere Zoey a tornare alla Casa della Notte. Era come una complessa partita a scacchi, in cui lei non era altro che una regina da catturare per poter essere di nuovo libero. Usando la vista dell’anima – la capacità di rendere visibili gli strati di realtà che si sollevavano e si spostavano, si agitavano e s’impennavano tutto intorno al mondo mortale –, Kalona si concentrò sul regno dei sogni, quel fantastico piano di esistenza che non era né corporeo né spirituale, e tirò i fili del legame che stava seguendo, sapendo che, quando il caos di colori provocato dai movimenti delle diverse realtà si sarebbe dissolto, lui si sarebbe riunito a Zoey. Kalona era rilassato e sicuro di sé, quindi assolutamente impreparato a ciò che accadde dopo. Avvertì uno strattone insolito, come se il suo spirito si fosse frantumato in milioni di granelli di sabbia spinti a forza nello stretto imbuto di una clessidra. A poco a poco, i suoi sensi cominciarono a stabilizzarsi. Il primo a riattivarsi fu la vista, permettendogli di scorgere qualcosa che per poco non gli fece perdere la concentrazione. Zoey gli sorrideva con un’espressione piena di calore e fiducia. Dalla consistenza della realtà che lo circondava, Kalona capì subito di non essere entrato nel mondo dei sogni. Fissò a sua volta Zoey, senza nemmeno osare respirare. Poi gli tornò il senso del tatto e capì che lei era tra le sue braccia, che il suo corpo nudo, caldo e flessuoso era premuto contro il suo. Zoey gli sfiorava il viso, le dita che indugiavano sulle labbra. Automaticamente, i fianchi di lui si sollevarono verso di lei, che emise un piccolo gemito di piacere, chiudendo gli occhi, in attesa del suo bacio. Appena prima che lui sprofondasse in lei, a Kalona tornò l’udito. «Anch’io ti amo, Stark», gli disse Zoey, quindi iniziò a fare l’amore con lui. Il piacere fu così inatteso, lo shock così intenso, che il contatto si spezzò e Kalona si ritrovò sul pavimento della terrazza. Si alzò e andò ad appoggiarsi contro la balaustra. Il suo cuore batteva all’impazzata. Scosse la testa, incredulo. «Stark.» Kalona pronunciò quel nome rivolto alla notte, ragionando ad alta voce. «Il legame che ho seguito non era affatto con Zoey. Era con Stark.» Si sentì uno stupido per non averlo capito prima. «Nell’Aldilà gli ho donato un frammento della mia anima immortale, quindi ora ho accesso al Guardiano e Guerriero per Giuramento di Zoey Redbird!» Kalona allargò le ali, piegò la testa all’indietro e fece risuonare nella notte una risata trionfante. «Cosa c’è di tanto divertente e perché non sei ancora nel mio letto?» domandò seccata Neferet, nuda sulla porta della camera. «Era una risata di gioia. Sono qui perché desidero prenderti sul tetto, con sopra di noi soltanto il cielo.» Raggiunse Neferet a grandi passi, la sollevò e la portò alla balaustra. Poi chiuse gli occhi, immaginando che avesse i capelli e gli occhi scuri, mentre la faceva gridare di piacere, ancora e ancora. STARK La prima volta successe talmente in fretta che Stark non era nemmeno sicuro che fosse accaduto davvero. Ma avrebbe dovuto dare retta all’istinto. Lo stomaco gli diceva che c’era qualcosa di sbagliato, di molto sbagliato, anche se era durato solo pochi attimi. Si trovava a letto con Zoey. Parlavano, ridevano e fondamentalmente si stavano godendo un po’ di tempo da soli. Il castello era uno spettacolo, Sgiach, Seoras e gli altri Guerrieri erano grandiosi, ma Stark era un solitario. Lì a Skye, per quanto strafigo fosse quel posto, c’era sempre intorno qualcuno. Il fatto che fosse fuori del mondo «reale» non significava che non ci fosse niente da fare. Anzi, le sue giornate erano molto piene: allenamenti, manutenzione del castello, commerci con la gente del posto e cose simili. Per non parlare del fatto che era stato affiancato a Seoras, il che voleva dire che in pratica era lo schiavetto – nonché vittima preferita per le battutacce – del vecchio Guardiano. Poi c’erano i garrons, piccoli e forti cavalli da lavoro tipici delle highlands. Lui non era mai stato un patito di cavalli, ma quelli erano incredibili, anche se sembravano produrre una quantità di sterco del tutto sproporzionata alle loro dimensioni. Stark lo sapeva benissimo, dato che aveva passato la maggior parte della serata a spalarlo e, quando aveva fatto un paio di commenti che sì, certo, potevano essere sembrati lamentele, Seoras e un altro vecchio Guerriero con l’accento irlandese, la testa rasata e la barba rossa avevano cominciato a chiamarlo Ach, povera piccola Mary con le sue dolci e tenere manine da fanciulla. Non c’era bisogno di dire che era davvero contento di essere da solo con Zoey. Lei aveva un odore così buono e lo faceva sentire così bene che doveva continuare a ricordare a se stesso che non stava sognando. Non erano più nell’Aldilà. Era tutto reale, e Zoey era sua. Era successo in mezzo a baci intensi, profondi che gli avevano fatto pensare di essere sul punto di esplodere. Le aveva appena detto che l’amava e Zy aveva alzato il viso verso di lui sorridendo. D’improvviso gli era cambiato qualcosa dentro. Si era sentito più pesante, ma stranamente anche più forte. E poi c’era stato un insolito senso di stupore che gli aveva percorso le terminazioni nervose. A quel punto, lei l’aveva baciato e, come accadeva sempre quando Zy lo baciava, gli era diventato difficile pensare, ma aveva intuito comunque che c’era qualcosa che non andava. Si era sentito sconvolto. Il che era stranissimo: insomma, era da un bel po’ che lui e Zoey erano andati oltre i baci, eppure era come se una parte in lui – che però non faceva esattamente parte di lui – fosse stupita da matti per quanto stava succedendo. Poi aveva iniziato a fare l’amore con lei e la sorpresa iniziale era diventata ancora più intensa, bruciante, per poi sparire del tutto, tanto in fretta com’era comparsa, lasciandolo libero di godersi la sua Zy che si scoglieva tra le sue braccia in un modo che gli riempiva il cuore, la testa, il corpo e l’anima. Alla fine c’era soltanto lei. Dopo, Stark cercò di ricordare cosa gli fosse sembrato tanto insolito, cosa lo avesse disturbato tanto. Ma a quel punto stava sorgendo il sole e lui scivolò in un sonno esausto e felice, e la questione non parve più così importante. In fondo, perché avrebbe dovuto preoccuparsi? Zoey era lì, ben protetta dalle sue braccia. CAPITOLO 12 REPHAIM Il Raven Mocker si lasciò cadere dall’ultimo piano del Mayo Building e, reso quasi invisibile dal piumaggio scuro, si librò sopra la città. Come se gli umani guardassero mai in alto... povere creature incapaci di volare. Che strano: anche se Stevie Rae non sapeva volare, non l’aveva mai inclusa in quella patetica orda di senza-ali. Stevie Rae... Il volo si fece esitante. La velocità diminuì. No. Non pensare a lei adesso. Prima devo allontanarmi per bene ed essere sicuro che i miei pensieri siano davvero soltanto miei. Mio padre non deve sospettare che qualcosa non va. E Neferet non lo dovrà mai sapere, mai e poi mai. Rephaim chiuse la mente a tutto tranne che al cielo buio e disegnò nell’aria dei cerchi ampi e lenti, per accertarsi che Kalona non avesse cambiato idea e sfidato Neferet per unirsi a lui. Quando capì di avere la notte tutta per sé, si diresse a nordest seguendo una rotta che l’avrebbe portato prima al vecchio scalo abbandonato di Tulsa e poi alla Will Rogers High, sulla scena dei crimini commessi dalla banda che di recente tormentava quella zona della città. Lui però pensava che avesse ragione Neferet: di sicuro quelle aggressioni erano opera dei suoi novizi rossi. Ma era l’unica cosa su cui era d’accordo con lei. Rephaim volò rapido e silenzioso fino al vecchio scalo ferroviario abbandonato, quindi aguzzò la vista per individuare anche un minimo movimento che potesse tradire la presenza di qualche vampiro o novizio, rosso o blu che fosse. Studiò l’edificio con uno strano misto di aspettativa e riluttanza. Cosa avrebbe fatto se Stevie Rae avesse ripreso possesso del seminterrato e della labirintica serie di tunnel sottostanti? Sarebbe riuscito a rimanere silenzioso e invisibile nel cielo della notte, o le avrebbe rivelato la sua presenza? Prima di poter formulare una risposta, capì che non avrebbe dovuto prendere nessuna decisione perché Stevie Rae non era allo scalo ferroviario. L’avrebbe saputo se lei fosse stata nelle vicinanze. Quella consapevolezza calò su di lui come un sudario e, con un lungo sospiro, Rephaim scese sul tetto dell’edificio abbandonato. Finalmente solo, ripiegò le ali sulla schiena e si mise a camminare avanti e indietro, riflettendo sulla tremenda valanga di eventi che gli era crollata addosso quel giorno. La Tsi Sgili stava intessendo una rete che poteva distruggere il mondo di Rephaim. Suo padre aveva intenzione di usare Stevie Rae per riottenere il controllo del proprio spirito. Mio padre userebbe chiunque per vincere la sua guerra contro Neferet. Rephaim respinse quel pensiero, come avrebbe fatto prima che Stevie Rae entrasse nella sua vita. Scoppiò in una risata amara. «Entrata nella mia vita? Più che altro si è intrufolata nella mia anima e nel mio corpo.» Smise di camminare, ricordando ciò che aveva provato quando la splendida, innocente energia della terra era scivolata in lui, guarendolo. Scosse la testa. «Non fa per me. Il mio posto non è con lei; è impossibile. Il mio posto è dove sono sempre stato, al fianco di mio padre, nella Tenebra.» Si guardò le mani appoggiate sulla grata di metallo arrugginito. Non era né uomo né vampiro, né immortale né umano. Era un mostro. Ma questo significava che poteva starsene a guardare senza fare niente mentre Stevie Rae veniva usata da suo padre e sfruttata dalla Tsi Sgili? O peggio, sarebbe riuscito a prendere parte alla sua cattura? Lei non mi tradirebbe. Neanche se la catturassi, Stevie Rae non svelerebbe il nostro legame. Continuando a fissarsi le mani, Rephaim si rese conto di dove si trovava, di quale fosse la grata cui si era appoggiato, e fece un salto indietro. Era lì che i novizi rossi votati alla Tenebra li avevano intrappolati, era lì che Stevie Rae aveva quasi perso la vita, che era stata ferita a morte... Era lì che lui le aveva permesso di bere il suo sangue... di creare un Imprinting. «Per tutti gli dei, se solo potessi tornare indietro!» urlò verso il cielo. L’eco delle sue parole risuonò nell’aria, come se la notte lo stesse prendendo in giro. Rephaim abbassò le spalle e chinò la testa, mentre le dita sfioravano la superficie della rozza grata di ferro. «Cosa devo fare?» sussurrò. Non ottenne risposta, e d’altronde non l’aspettava. Quindi staccò la mano da quel ferro implacabile e cercò di riprendersi. «Farò quello che ho sempre fatto. Eseguirò gli ordini di mio padre. Se in questo modo riuscirò anche a proteggere almeno in parte Stevie Rae, bene. Se non ci riuscirò, bene lo stesso. La mia strada è stata decisa nel momento in cui sono stato concepito, non posso allontanarmene adesso.» Le parole risuonarono gelide come la sera di gennaio, ma il suo cuore era caldissimo, quasi ciò che aveva detto gli avesse fatto ribollire il sangue. Senza ulteriori esitazioni, Rephaim lasciò il tetto dello scalo ferroviario e proseguì verso est, volando fino alla Will Rogers High, che si trovava su una collinetta, in una zona piuttosto isolata. L’edificio principale era ampio e rettangolare, di mattoni chiari che alla luce della luna parevano sabbia. Il Raven Mocker fu attirato dalla parte centrale della struttura, da cui s’innalzava la prima di due grandi torri quadrate. Fu lì che atterrò, assumendo immediatamente una posizione di difesa. Ne sentiva l’odore. Il tanfo dei novizi rossi era ovunque. Con movimenti furtivi, Rephaim si appostò in modo da poter osservare lo spazio davanti all’edificio: alberi, grandi e piccoli, un vasto prato e nient’altro. Rephaim attese. Non ci volle molto. Sapeva che sarebbe andata così. Mancava davvero poco all’alba, perciò s’immaginava di vederli tornare. Quello che però non si aspettava era di vederli avvicinarsi al portone della scuola, puzzando di sangue fresco e capitanati da Dallas, che si era appena Trasformato, e da Nicole, che gli stava appiccicata addosso. Era evidente che il grosso e insulso Kurtis si considerava una specie di guardia del corpo perché, mentre Dallas appoggiava la mano su una delle porte d’acciaio color ruggine, lui si posizionò a lato dei gradini, guardandosi in giro con la pistola in pugno, convinto di sapere cosa farsene. Rephaim scosse la testa disgustato: erano così sicuri di sé. Kurtis non guardò in alto. Né i novizi né Dallas guardarono in alto, ignari di essere osservati da una creatura ben diversa da quella che avevano catturato: non avevano idea di quanto fossero vulnerabili a un suo attacco. Ma Rephaim non si mosse, limitandosi ad aspettare. Nicole si strusciò ancora di più contro Dallas. «Oh, sì, piccolo! Fa’ la tua magia.» Si udì uno sfrigolio, quindi Dallas spinse il portone, che si aprì senza nemmeno far scattare l’allarme. «Andiamo. Manca poco all’alba e c’è una cosetta di cui ti devi occupare prima che sorga il sole.» Gli altri novizi scoppiarono a ridere, mentre Nicole gli strofinava la mano sul davanti dei calzoni. «Allora andiamo in quei tunnel nel seminterrato così posso darmi da fare.» Dallas attese che fossero entrati tutti, poi li seguì chiudendo la porta. Dopo un istante, Rephaim udì un altro sfrigolio e tutto tornò silenzioso. Poco dopo, la guardia della sicurezza passò in auto davanti all’edificio. Neppure l’uomo alzò gli occhi, perciò non vide l’enorme Raven Mocker accovacciato in cima alla torre della scuola. Quando la guardia si allontanò, Rephaim si librò nella notte, cercando di riordinare i pensieri. Dallas era a capo dei novizi rossi cattivi. Controllava la magia moderna di questo mondo che, in qualche maniera, gli consentiva di entrare negli edifici. La Will Rogers High era il luogo in cui avevano deciso di fare il nido. Stevie Rae avrebbe voluto saperlo. Avrebbe dovuto saperlo. Lei si sentiva ancora responsabile per loro, anche se avevano cercato di ucciderla. E riguardo a Dallas? Chissà se provava ancora qualcosa per lui. Anche solo il ricordo di lei tra le braccia di Dallas lo faceva arrabbiare. Ma Stevie Rae aveva scelto lui, non Dallas. In modo chiaro e assoluto. Non che adesso facesse qualche differenza. Fu in quel momento che Rephaim si rese conto di non essersi diretto verso il Mayo Building. Stava volando più a sud, sopra la sagoma buia dell’abbazia delle suore benedettine, e si stava avvicinando silenzioso a Utica Square e al campus protetto dal muro di pietra. Esitò. I vampiri avrebbero guardato in alto. Rephaim battè freneticamente le ali e puntò verso l’alto, su e ancora più su. Poi, troppo lontano per essere scorto con facilità, fiancheggiò il campus, tuffandosi senza il minimo rumore dietro il muro est, in una chiazza d’ombra tra due lampioni. Prima di raggiungere il muro udì uno strano ululato. Si trattava di un suono così disperato e struggente da spezzare il cuore persino a lui. Cos’è che si lamenta in un modo così terribile? Lo capì quasi subito: il cane. Il cane di Stark. Durante una delle sue chiacchierate non stop, Stevie Rae gli aveva raccontato che un suo amico, un ragazzo che si chiamava Jack, era più o meno diventato padrone del cane quando Stark era diventato un novizio rosso. L’animale si era affezionato molto a Jack, e Stevie Rae pensava fosse una buona cosa, dato che il ragazzo era davvero dolcissimo. Ricordando quel discorso, i tasselli del puzzle andarono al proprio posto. Quando raggiunse il muro di cinta della scuola e udì il pianto che accompagnava quell’ululato tremendo, Rephaim sapeva cosa apettarsi dall’altro lato del muro. Eppure sbirciò comunque. Non poté evitarlo. Voleva vedere Stevie Rae... solo vederla. Dopotutto, non poteva fare altro che guardare: Rephaim non poteva certo andare da lei, ora che era circondata dai vampiri della Casa della Notte. Aveva indovinato: l’innocente il cui sangue aveva ripagato il debito di Neferet con la Tenebra era Jack, l’amico di Stevie Rae. In ginocchio sotto l’albero che Kalona aveva spezzato quand’era fuggito dalla sua prigione sotterranea, un ragazzo singhiozzava ripetendo in continuazione «Jack!» Accanto a lui, un cane ululava in mezzo all’erba. Il corpo non c’era più, ma il sangue sì. Rephaim si chiese se qualcuno si sarebbe accorto che ce n’era molto meno del dovuto. La Tenebra aveva bevuto avidamente l’offerta di Neferet. Il maestro di scherma, Dragone Lankford, cercava di confortare il ragazzo posandogli una mano sulla spalla. I tre erano soli. Stevie Rae non c’era. Rephaim tentò di convincersi che fosse meglio così: era davvero un bene che lei non fosse lì, magari non aveva nemmeno visto il cadavere, ma poi fu travolto da un’ondata di sentimenti: tristezza, preoccupazione e soprattutto dolore. Quindi Stevie Rae raggiunse di corsa il terzetto, tenendo tra le braccia un grosso gatto color grano. Era così bello vederla che Rephaim quasi si dimenticò di respirare. «Duchessa, ora devi smetterla.» La voce di lei, con quel suo forte accento dell’Oklahoma, rinfrancò il Raven Mocker come una pioggia di primavera nel deserto. La osservò accovacciarsi accanto alla grossa cagnolona, depositandole il gatto tra le zampe. Il felino iniziò immediatamente a strusciarsi contro il cane, come se cercasse di consolarlo. Con grande stupore di Rephaim, la labrador si calmò e prese a leccare il gatto. «Brava ragazza. Lasciati aiutare da Cameron.» Stevie Rae alzò lo sguardo verso il maestro di scherma, che assentì in modo quasi impercettibile. Allora lei rivolse la propria attenzione al novizio singhiozzante. Frugando nella tasca dei jeans, prese un pacchetto di fazzoletti di carta e glieli tese. «Damien, tesoro, è ora che smetta anche tu. Finirai per sentirti male.» Damien prese un Kleenex e se lo passò sul viso poi, con voce tremante, disse: «Non... non me ne importa». Stevie Rae gli sfiorò la guancia. «Lo so che non te ne importa, ma il tuo gatto ha bisogno di te, e anche Duchessa. E poi... Jack sarebbe sconvolto di vederti conciato così.» «Jack non mi vedrà mai più.» La voce di Damien era così angosciata che a Rephaim sembrò di sentire l’eco del cuore che andava in pezzi. «Non ci credo neanche ma neanche... E, se ci pensi un attimo, vedrai che non ci credi nemmeno tu», replicò decisa Stevie Rae. Damien la guardò con occhi spiritati. «Stevie Rae, in questo momento io non riesco proprio a pensare...» «Parte della tristezza passerà», intervenne Dragone, con un tono da cuore spezzato uguale a quello di Damien. «Quanto basta da permetterti di ricominciare a riflettere.» «Giusto. Dai ascolto a Dragone. Presto ritroverai dentro di te il filo che ti lega alla Dea. Seguilo. Ricordati che c’è un Aldilà che possiamo condividere tutti. Jack adesso è lì, e un giorno lo incontrerai di nuovo.» Lo sguardo di Damien si spostò da Stevie Rae al Signore delle Spade. «Lei c’è riuscito? Questo le rende più facile sopportare la perdita di Anastasia?» «Niente può rendere le cose più facili. In questo momento sono ancora alla ricerca del filo che porta alla nostra Dea.» Rephaim provò uno shock tremendo rendendosi conto di essere stato lui a causare la sofferenza del maestro di scherma. Lui aveva ucciso la professoressa d’Incantesimi e rituali, Anastasia Lankford, così, a sangue freddo, senza provare nessuna emozione tranne, forse, un po’ d’irritazione per aver impiegato fin troppo tempo ad avere la meglio sulla vampira e squarciarle la gola. L’ho ammazzata senza pensare a niente e a nessuno, spinto dalla necessità di seguire mio padre, di obbedire ai suoi ordini. Sono un mostro. Il Raven Mocker non riusciva a staccare gli occhi dal Signore delle Spade, avvolto nel proprio dolore come in un mantello. Riusciva quasi letteralmente a vedere il vuoto che la perdita della compagna aveva creato nella sua vita. E, per la prima volta in un’esistenza plurisecolare, lui provò rimorso per le proprie azioni. Gli sembrava di non essersi mosso, di non aver fatto rumore, eppure lo sguardo di Stevie Rae lo scovò. Lentamente, lui spostò l’attenzione da Dragone alla vampira e le emozioni di lei lo travolsero come se gliele avesse scagliate contro di proposito. Prima di tutto, Rephaim percepì quanto lei fosse stupita di vederlo, cosa che lo fece arrossire e sentire quasi in imbarazzo. Poi provò una tristezza profonda, tagliente, dolorosa. Lui cercò di farle arrivare il dispiacere che sentiva, sperando che la vampira riuscisse a capire quanto gli mancava e quanto rimorso provasse per essere stato causa di tutta quella sofferenza. La rabbia lo colpì con tanta forza che Rephaim rischiò di perdere l’appiglio sul muro. «Damien, voglio che tu e Duchessa veniate con me. Dovete andarvene tutti e due da questo posto. Qui sono successe delle cose brutte. E non è ancora finita. C’è qualcuno in agguato. Lo sento. Andiamocene. Subito.» Mentre parlava, Stevie Rae non aveva mai staccato gli occhi da quelli di Rephaim. La reazione del maestro di scherma fu rapidissima. Scrutò in giro e Rephaim s’immobilizzò, desiderando che le ombre e la notte lo nascondessero. «Cos’è? Cosa c’è?» domandò Dragone. «Tenebra», affermò Stevie Rae in tono tagliente, come se avesse voluto lanciare un coltello nel cuore di Rephaim. «Tenebra corrotta e che non si può redimere.» Poi gli voltò le spalle con gesto sprezzante. «Lo stomaco mi dice che non è niente che meriti che lei impugni di nuovo la spada, ma è comunque meglio se ce ne andiamo.» «Sono d’accordo», convenne Dragone, seppur riluttante. Lui sarà una forza con cui dovrò fare i conti in futuro, rifletté Rephaim. E Stevie Rae? La sua Stevie Rae? Cosa sarebbe stata lei? Potrebbe davvero odiarmi? Potrebbe respingermi per sempre? Provò ad analizzare i sentimenti di lei mentre la osservava prendere per mano Damien e farlo alzare, per poi accompagnare novizio, cane, gatto e Dragone verso i dormitori. Senza dubbio percepiva rabbia e dolore, e quei sentimenti li comprendeva benissimo. Ma l’odio? Lo odiava sul serio? Rephaim non ne era sicuro, ma in fondo al cuore sentiva che se lo sarebbe meritato eccome, il suo odio. Certo, non era stato lui a uccidere Jack, ma era legato alle forze che l’avevano fatto. Sono figlio di mio padre. Non so essere altro. Non ho alternative. Quando Stevie Rae se ne fu andata, Rephaim si lanciò nel cielo il più rapidamente possibile, girò intorno al campus e tornò verso il tetto del Mayo Building. Mi merito il suo odio... mi merito il suo odio... mi merito il suo odio... La litania gli risuonava nella mente a tempo col battito delle ali. La sua disperazione e il suo dispiacere si unirono all’eco della tristezza e della rabbia di Stevie Rae. L’umidità della notte si mischiò alle lacrime, mentre il viso di Rephaim veniva inondato dalla luce della luna e dal senso di perdita. CAPITOLO 13 STEVIE RAE «Oh, merda! Mi stai dicendo che nessuno ha avvertito Zoey?» saltò su Afrodite. Stevie Rae la prese per il gomito e, con una stretta che tecnicamente poteva anche essere considerata più forte del necessario, la trascinò fuori della stanza di Damien. Davanti alla porta, entrambe si voltarono verso il letto, dove Damien dormiva raggomitolato assieme a Duchessa e a Cameron, tutti e tre stravolti dal dolore e dalla stanchezza. In silenzio, Stevie Rae si richiuse delicatamente la porta alle spalle. «E tieni bassa quella cavolo di voce», mormorò. «Okay, okay, non ti scaldare! Jack è morto e nessuno ha avvertito Zoey?» «No. Non è che abbia avuto tanto tempo. Damien era isterico. Duchessa era isterica. A scuola c’è un delirio. Io sono l’unica Somma Sacerdotessa dell’accidenti che, apparentemente, non è chiusa in stanza a pregare o quello che è, quindi sono stata un po’ presa a gestire l’uragano di merda che si è scatenato qui fuori, oltre al fatto che è appena morto un ragazzo davvero buono e simpatico.» «Sì, lo capisco, e dispiace anche a me, ma Zoey deve tornare subito qui. Se tu eri troppo impegnata, avresti dovuto farle telefonare da uno dei prof. Prima lo sa, prima prenota un cavolo di aereo.» Dario arrivò di corsa e prese la mano di Afrodite. «È stata Neferet, vero? Quella stronza ha ucciso Jack», gli chiese subito lei. «Non è possibile», replicarono in stereo Dario e Stevie Rae, che lanciò ad Afrodite un’occhiata da te l’avevo detto. Dario invece le spiegò tutto per bene. «Quando Jack è caduto dalla scala, Neferet si trovava davvero alla riunione del Consiglio. Non solo Damien ha visto Jack cadere, c’è anche un altro testimone che conferma l’orario: Drew Partain stava attraversando il parco, quando ha sentito Jack che cantava. Ha detto che a un certo punto non lo ha sentito più, ma pensava fosse solo perché, proprio in quel momento, la campana del tempio di Nyx ha cominciato a battere la mezzanotte.» «In realtà è stato allora che Jack è morto», aggiunse Stevie Rae in tono piatto e duro, l’unico che era riuscita a trovare per fare in modo che la voce non le tremasse come stava facendo lei. «Sì, l’orario è quello», confermò Dario. «E voi siete sicuri che in quel momento Neferet fosse alla riunione?» chiese ancora Afrodite. «La campana ha suonato proprio mentre lei parlava», spiegò Stevie Rae. «Io continuo a non credere neanche per un istante che non ci sia lei dietro questa morte», ribatté Afrodite. «Guarda, Afrodite, che non sto dicendo che non sono d’accordo con te. Neferet è più viscida della merda di gallina su un tetto di lamiera, ma i fatti sono fatti: era proprio davanti a tutti noi quando Jack è caduto da quella scala.» «Okay, zucca campagnola, invece di stressarmi con le tue analogie da vecchia fattoria ia-ia-oh, perché non mi spieghi la faccenda della spada? Come diavolo ha potuto tagliargli la testa ’per caso’?» domandò disegnando nell’aria le virgolette. «Dragone ha spiegato a Jack che le spade vanno appoggiate con l’elsa in giù e la punta in su. Quando il ragazzo è caduto sulla lama, l’elsa si è conficcata nel terreno, impalandolo. Tecnicamente, potrebbe essere stato un incidente.» Afrodite si passò sul viso una mano tremante. «È orribile. Davvero orribile. Ma non è stato un incidente.» «Penso che nessuno di noi creda che Neferet non c’entri con la morte di Jack, il problema è che non lo possiamo dimostrare. Già una volta il Consiglio Supremo si è pronunciato a favore di Neferet e, in pratica, contro di noi. Se andiamo da loro con altre supposizioni, riusciremo soltanto a screditarci ulteriormente», disse Dario. «Questo l’ho capito anch’io, ma mi fa incazzare da matti», commentò Afrodite. «Ci fa arrabbiare tutti. E molto anche», aggiunse Stevie Rae. Cogliendo un tono insolitamente acido nella voce di Stevie Rae, Afrodite la fissò inarcando un sopracciglio. «Già, quindi vediamo di usare un po’ d’incazzatura per buttare fuori di qui a calci quella vacca una volta per tutte.» «Qual è la tua idea?» chiese Stevie Rae. «Per prima cosa, costringere Zoey a muovere il culo e tornare qui. Neferet la odia, quindi si scaglierà contro di lei. Lo fa sempre. Solo che stavolta noi saremo pronti e attenti, e ci procureremo delle prove che nemmeno il Consiglio Supremo potrà ignorare.» Senza aspettare una replica, Afrodite prese l’iPhone dalla Clutch Coach metallizzata, digitò il PIN e disse: «Chiamo Zoey». «Stavo per farlo io!» ribatté Stevie Rae. Afrodite alzò gli occhi al soffitto. «Se lo dici tu. Comunque, sei decisamente troppo lenta. E sei anche troppo gentile. A Zy serve una bella dose di ’datti una svegliata e fa’ quello che devi’. Io sono la ragazza giusta per dargliela.» S’interruppe, ascoltò e alzò di nuovo gli occhi al soffitto. «C’è quel suo disgustoso messaggio della segreteria che sembra preso da Disney Channel: Ciao, ragazzi! Lasciatemi un messaggio e passate una giornata super», spiegò Afrodite imitando un tono iperspumeggiante. Prese un bel respiro e aspettò il bip. Stevie Rae le tolse il telefonino di mano, affrettandosi a parlare lei. «Zy, sono io, non Afrodite. Ho bisogno che mi chiami appena puoi. È importante.» Chiuse la chiamata e affrontò Afrodite. «Okay, vediamo di chiarire una cosa: solo perché cerco di comportarmi da essere umano decente non significa che sono troppo gentile. Quello che è successo a Jack è già abbastanza brutto. Venirlo a sapere da un messaggio in segreteria è peggio che pessimo. E poi non credo sia una buona idea far sclerare così Zoey, soprattutto visto che è passato così poco da quando la sua anima è andata in pezzi.» Afrodite si riprese l’iPhone. «Senti, non abbiamo il tempo di camminare sulle uova per non urtare i sentimenti di Zoey: lei deve mettersi nei panni di una Somma Sacerdotessa e affrontare i problemi.» Stevie Rae fece un passo deciso verso Afrodite, cosa che d’istinto spinse Dario ad avvicinarsi. «No, senti tu: Zoey non deve mettersi nei panni di una Somma Sacerdotessa perché lo è e basta. Però ha appena perso qualcuno che amava. È chiaro che tu non ci arrivi a capire una cosa del genere, ma fare attenzione ai suoi sentimenti in questo momento non significa trattarla da bambinetta. Significa essere suoi amici. Può capitare a tutti, qualche volta, di aver bisogno di un po’ di protezione da parte degli amici.» Guardò Dario, scuotendo la testa. «No, questo non vuol dire che devi proteggere Afrodite da me. Cacchio, Dario, cos’hai nel cervello?» Il Guerriero sostenne il suo sguardo. «Per un attimo, nei tuoi occhi c’è stato un lampo rosso.» Stevie Rae stette bene attenta a non cambiare espressione. «Sì, be’, non mi stupisce affatto. Vedere Neferet che se ne andava senza pagare per quello che è successo a Jack è stato piuttosto duro per me. Ti saresti sentito così anche tu se fossi stato presente.» «Immagino di sì, ma nei miei occhi non si sarebbe accesa una luce rossa», replicò Dario. «Prova un po’ a morire e a tornare da non-morto e poi ne riparliamo», saltò su Stevie Rae. Si rivolse ad Afrodite. «Ci sono delle cose che devo fare intanto che Damien dorme. Potreste tenerlo d’occhio tu e Dario? Non credo neanche minimamente che Neferet se ne stia chiusa in camera a pregare Nyx per tutta la notte come vorrebbe farci credere.» «Tranquilla, ci pensiamo noi», replicò Afrodite. «Se si sveglia, sii gentile», aggiunse Stevie Rae. «Ma quanto sei stordita! Certo che sarò gentile.» «Bene. Io torno presto, se vi serve una pausa chiamate le gemelle e vi daranno il cambio loro.» «Se lo dici tu. Ciao.» «Ciao.» Stevie Rae corse via, sentendosi addosso lo sguardo interrogativo di Dario. Devo smettere di lasciare che Dario mi faccia sentire in colpa! Non ho fatto niente di male. Che problema c’è se i miei occhi diventano rossi e luminosi quando sono incazzata? Non ha niente a che fare con l’Imprinting con Rephaim. L’ho lasciato. Stasera l’ho ignorato. Certo, devo assolutamente chiedergli cosa diavolo sa della morte di Jack, ma non perché ne ho voglia. Solo perché devo. Era così presa dal raccontarsi quell’enorme bugia, che per poco non andò a sbattere contro Erik. «Ehi, oh, Stevie Rae. Damien sta bene?» «Secondo te? Il suo ragazzo, che amava tanto, è appena morto in un modo orribile. No che non sta bene! Però dorme. Finalmente.» «Guarda che non devi comportarti così. Sono preoccupato sul serio per lui, ed ero molto affezionato anche a Jack.» Stevie Rae squadrò Erik. Aveva un aspetto di merda, fatto più che insolito per uno che ci teneva tanto a essere il più figo della compagnia. Ed era evidente che avesse pianto. Allora si ricordò che era stato compagno di stanza di Jack, e che lo aveva sempre difeso quando quello stronzo di Thor gli aveva dato addosso solo perché era gay. Gli sfiorò un braccio. «Scusami. È solo che anch’io sono sconvolta per questa storia. Non volevo trattarti male. Okay, ricominciamo daccapo.» Prese un bel respiro e fece un sorriso triste. «Adesso Damien sta dormendo, ma non sta bene. Avrà bisogno di amici come te quando si sveglia. Grazie di aver chiesto di lui e di essere qui per aiutarlo.» Erik annuì e le strinse la mano. «Grazie a te. Lo so che non ti piaccio molto dopo tutto quello che è successo tra Zoey e me, ma sono davvero amico di Damien. Fammi sapere se posso rendermi utile.» S’interruppe, guardò a destra e a sinistra come ad accertarsi che fossero soli, poi abbassò la voce. «C’entra Neferet con la morte di Jack, vero?» Stevie Rae sgranò gli occhi. «Cosa te lo fa credere?» «So che non è quella che sembra. L’ho vista com’è realmente, e non è per niente bella.» «Già, hai ragione. La vera Neferet non è bella. Ma c’eri anche tu alla riunione.» «Però continuo a essere convinto che ci sia lei dietro tutto questo.» Non era una domanda, ma Stevie Rae annuì lo stesso. «Lo sapevo. Questa Casa della Notte fa schifo. Ho fatto bene ad accettare l’offerta di Los Angeles.» Stevie Rae scosse la testa. «Allora è così? È questo che fai quando succede qualcosa di terribile? Scappi?» «Che può fare un solo vampiro contro Neferet? Il Consiglio Supremo l’ha reintegrata; loro stanno dalla sua parte.» «Un solo vampiro non può fare molto, ma un bel gruppo sì.» «Dei novizi e un paio di vampiri? Contro una potente Somma Sacerdotessa e il Consiglio Supremo? È una follia.» «No, la follia è farsi da parte e lasciare vincere i cattivi.» «Ehi, ho tutta la vita davanti. Una bella vita, con una grandiosa carriera di attore, che mi porterà successo, soldi e tutto il resto. Come puoi criticarmi perché non mi voglio immischiare in questo casino di Neferet?» «Sai una cosa, Erik? Ho soltanto una cosa da dirti: il male vince solo se i buoni non fanno niente», ribatté Stevie Rae. «Be’, tecnicamente sto facendo qualcosa. Me ne vado. Ehi, ci hai mai pensato? E se tutti i buoni se ne andassero, magari il male si scoccerebbe di giocare da solo e se ne tornebbe a casa pure lui.» «Sai, una volta pensavo che tu fossi il ragazzo più figo che avessi mai incontrato», replicò la ragazza in tono triste. Negli occhi di Erik passò un lampo divertito e le rivolse uno dei suoi sorrisi a cento watt. «E adesso ne sei più che certa?» «Naaa. Adesso sono più che certa che sei solo un debole egoista che ha ottenuto tutto quello che voleva solo e unicamente grazie al suo aspetto. E questo non è figo per niente.» Davanti alla sua espressione esterrefatta, Stevie Rae scosse la testa e iniziò ad allontanarsi. Senza nemmeno voltarsi, aggiunse: «Magari un giorno troverai qualcosa di cui t’importa abbastanza da decidere d’impegnarti sul serio». «Certo, e magari un giorno tu e Zoey scoprirete che non è compito vostro salvare il mondo!» le gridò lui. Stevie Rae non si sprecò neanche a ribattere. Erik era un babbo. Alla Casa della Notte di Tulsa sarebbero stati tutti meglio senza il suo stupido culo. Il gioco si stava facendo davvero duro, e questo significava che i duri dovevano cominciare a giocare sul serio... e le femminucce dovevano levarsi dai piedi. Come diceva John Wayne, era ora di radunare le truppe. Stevie Rae corse verso il Maggiolino di Zoey. «E che cavolo, sarà anche una roba strana da matti, però tra le mie truppe è incluso un Raven Mocker. Comunque lui non deve proprio mobilitarsi, ho solo bisogno che mi dia qualche informazione. Di nuovo.» Di proposito, evitò di pensare a ciò che era successo tra lei e Rephaim l’ultima volta che aveva avuto «solo bisogno che le desse qualche informazione». «Ehi, Stevie Rae, tu e io dobbiamo...» Senza smettere di correre verso l’auto, Stevie Rae sollevò una mano e interruppe Kramisha. «Non ora. Non ho tempo.» «Sto solo dicendo che...» «No!» urlò Stevie Rae, vomitandole addosso la propria frustrazione. «Qualunque cosa tu mi debba dire può aspettare. Non voglio fare l’antipatica, ma devo fare delle cose e ho esattamente due ore e cinque minuti prima che sorga il sole.» Quindi lasciò Kramisha piantata nel terreno come un paracarro e corse per i pochi metri che la separavano dal Maggiolino. Accese il motore, inserì la marcia e si allontanò sgommando dal parcheggio degli studenti. Le ci vollero esattamente sette minuti per raggiungere il parco del Gilcrease. Non entrò con l’auto perché, una volta riparati i danni causati dalla tempesta di ghiaccio e ripristinata la corrente, il cancello elettrico aveva ripreso a funzionare ed era ben chiuso, quindi parcheggiò dietro un albero sul bordo della strada. Avvolgendosi in modo automatico nel potere che filtrava dalla terra, andò dritta alla villa. La porta non fu un problema, dato che per il momento nessuno si era preoccupato di richiuderla con dei lucchetti e, mentre saliva sul tetto, Stevie Rae notò solo dei cambiamenti minimi dall’ultima volta che era stata lì. «Rephaim?» La voce della ragazza risuonò strana e troppo forte nella notte fredda e vuota. La porta del ripostiglio in cui lui aveva fatto il proprio nido era spalancata, ma il Raven Mocker non c’era. La vampira uscì sulla balconata. Vuota anche quella. Quel posto era completamente deserto, e comunque lei aveva capito che il Raven Mocker non c’era appena messo piede nel parco. Se fosse stato lì, se ne sarebbe accorta subito, così come si era accorta della sua presenza quando l’aveva visto alla Casa della Notte. Finché fosse rimasto il loro Imprinting, loro due sarebbero stati legati. «Rephaim, dove sei adesso?» domandò al cielo silenzioso. Poi i pensieri di Stevie Rae rallentarono e si riposizionarono in ordine, fornendole una risposta che in realtà aveva sempre avuto. Le era bastato togliere di mezzo orgoglio, sofferenza e rabbia ed eccola lì: Finché fosse rimasto il loro Imprinting, loro due sarebbero stati legati. Non doveva cercarlo lei. Sarebbe stato Rephaim a trovarla. Stevie Rae si sedette in mezzo alla terrazza rivolta a nord, trasse un respiro lungo e profondo ed espirò lentamente, cercando d’interiorizzare tutti i profumi della terra che la circondava. Sentiva la fredda umidità dei rami spogli, la compattezza del terreno gelato, l’intensità dell’arenaria tipica dell’Oklahoma che punteggiava i prati. Traendo energia dall’elemento, Stevie Rae disse: «Trova Rephaim. Digli di venire da me. Digli che ho bisogno di lui». Quindi assieme al fiato espirò anche il potere della terra. Se avesse avuto gli occhi aperti, Stevie Rae avrebbe visto la verde luminosità che si librava intorno a lei. E avrebbe visto pure che, quando si allontanò veloce per eseguire i suoi ordini, era seguita da vicino da una luce scarlatta. CAPITOLO 14 REPHAIM Stava volando intorno al Mayo Building, senza la minima voglia di atterrare e affrontare di nuovo Kalona e Neferet, quando percepì il richiamo di Stevie Rae. Capì subito che era lei, non appena l’energia della terra si sollevò in cielo sfruttando le correnti d’aria per cercare lui. Ti sta chiamando... A Rephaim non servivano ulteriori inviti. Per quanto fosse arrabbiata con lui, per quanto lo odiasse, lo stava chiamando. E, se chiamava, lui rispondeva. In fondo al cuore sapeva che, qualunque cosa fosse successa, lui avrebbe sempre risposto al suo richiamo. Ricordava le ultime parole che gli aveva detto Stevie Rae: Quando deciderai che il tuo cuore conta per te quanto conta per me, vieni di nuovo a cercarmi. Dovrebbe essere facile: basta che segui il cuore... Rephaim spense quella parte di cervello che gli diceva che non poteva stare con lei, che non poteva importargliene. Non si vedevano da tanto, e per lui ogni giorno era durato un’eternità. Come aveva potuto pensare di rimanere lontano da lei? Era il suo stesso sangue a gridare di voler stare con lei. Persino affrontare la sua rabbia era meglio di niente. E poi doveva incontrarla. Doveva trovare il modo di avvisarla riguardo a Neferet. E anche riguardo a mio padre. «No!» urlò nel vento. Non poteva tradire suo padre. Ma non posso tradire nemmeno Stevie Rae, rifletté sconvolto. Troverò un equilibrio. Troverò un modo. Devo. Incerto su cosa fare, Rephaim s’impose di non pensare e si concentrò sul nastro di luce verde che lo avrebbe condotto da Stevie Rae, come se fosse un cavo di salvataggio. STEVIE RAE Stevie Rae era così concentrata che percepì subito il suo arrivo. Mentre Rephaim planava sull’erba, lei si alzò, decisa a trattarlo con freddezza. Lui era il nemico, non se ne doveva scordare. Ma, nell’attimo in cui atterrò, lui, trafelato, esordì: «Ti ho sentito chiamare. Eccomi». Non ci volle altro. Bastò il suono familiare della sua splendida voce. Stevie Rae gli corse tra le braccia e nascose il viso tra le penne sulla sua spalla. «Ohsssantocielo quanto mi sei mancato!» «Anche tu mi sei mancata», ribatté stringendola forte. Rimasero lì, tremanti, l’uno tra le braccia dell’altra, per quello che sembrò un tempo lunghissimo. Stevie Rae assorbì l’odore di lui, quell’incredibile mix di sangue mortale e immortale che gli pulsava nelle vene, che li legava in un Imprinting e, per questo, pulsava anche nelle vene di lei. Poi, quasi di colpo, come se a tutti e due fosse venuto in mente nello stesso momento che non avrebbero dovuto abbracciarsi, Stevie Rae e Rephaim si staccarono e fecero un passo indietro. «Allora, be’... stai bene?» gli chiese. Lui annuì. «Sì. E tu? Sei al sicuro? Non sei rimasta ferita oggi quando Jack è stato ucciso?» «Come lo sai che Jack è stato ucciso?» Il tono della ragazza era brusco. «Ho percepito la tua tristezza. Sono venuto alla Casa della Notte per accertarmi che stessi bene. È stato allora che ti ho vista coi tuoi amici. Io... io ho sentito che quel ragazzo piangeva per Jack.» Esitò un attimo, cercando di scegliere le parole con attenzione e sincerità. «Questo e la tua tristezza mi hanno detto che era morto.» «Sai qualcosa sulla sua morte?» «Può darsi. Che tipo di persona era Jack?» «Jack era buono e dolce, il migliore di tutti noi. Che cosa sai, Rephaim?» «So perché è morto.» «Dimmelo.» «Neferet era in debito di una vita con la Tenebra perché lei aveva intrappolato l’anima immortale di mio padre. Per ripagare quel debito, doveva sacrificare qualcuno che fosse innocente e incorruttibile.» «Jack era proprio così; l’ha ucciso lei. È frustrante da matti, perché invece sembra che non sia stata Neferet! Quando Jack è morto, lei stava parlando al Consiglio della scuola, ed era proprio di fronte a me.» «La Tsi Sgili l’ha consegnato alla Tenebra. Non era necessario che fosse presente. Doveva soltanto marchiarlo come suo sacrificio e poi lasciare che fossero i tentacoli di Tenebra a commettere l’omicidio vero e proprio.» «Come faccio a dimostrare la sua responsabilità?» «Non puoi. Ciò che è fatto è fatto. Ha pagato il suo debito.» «Cacchio! Sono così furiosa che potrei sputare chiodi! Neferet continua a farla franca con tutte le sue orrende stronzate. Continua a vincere. E non capisco perché. Rephaim, non è giusto. Proprio non è giusto.» Stevie Rae sbatté con forza le palpebre, ricacciando indietro le lacrime. Quando Rephaim le sfiorò la spalla, lei si appoggiò alla sua mano, abbandonandosi a lui. «Tutta quella rabbia. Tutta quella frustrazione... e tristezza. L’avevo già provata prima, stasera, e ho pensato...» Il Raven Mocker esitò. «Cosa? Cos’è che hai pensato?» gli domandò lei sottovoce. I loro sguardi s’incontrarono ancora. «Ho pensato che mi odiassi. Che fossi così arrabbiata con me. E ti ho sentita, prima: hai detto al Signore delle Spade che là fuori era in agguato un essere corrotto e che non si poteva redimere. E guardavi dritto verso di me.» Stevie Rae annuì. «Sì, lo so, ma dovevo trovare un modo per allontanare di là Dragone e Damien, ti avrebbero visto anche loro.» «Quindi non parlavi di me?» Stevie Rae sospirò. «Ero proprio arrabbiata, e spaventata e sconvolta. Non pensavo a quello che dicevo... Non ce l’avevo con te, Rephaim, ma devo sapere cosa sta succedendo con Kalona e Neferet.» Rephaim si voltò e raggiunse lentamente la balaustra della terrazza. Lei lo seguì e si fermò accanto a lui, per osservare assieme la notte silenziosa. «È quasi l’alba», disse il Raven Mocker. Stevie Rae si strinse nelle spalle. «Ci vuole ancora mezz’ora prima che sorga il sole. E solo una decina di minuti per rientrare a scuola.» «Dovresti andartene e non correre rischi. Il sole ti può provocare danni troppo gravi, anche se in te scorre il mio sangue.» «Lo so. Me ne andrò presto.» Stevie Rae sospirò. «Allora, non hai intenzione di dirmi cosa sta combinando il tuo paparino, giusto?» «Cosa penseresti di me sapendo che ho tradito mio padre?» «Rephaim, lui non è buono. Non si merita la tua protezione.» «Ma è sempre mio padre!» A Stevie Rae Rephaim sembrava esausto. Avrebbe voluto prendergli una mano e dirgli che sarebbe andato tutto bene. Però non poteva. Come diavolo poteva andare tutto bene se lui restava da una parte e lei dall’altra? «Io con questo non posso combattere. Devi scendere a patti da solo con quello che Kalona è o non è. Però devi anche capire che io ho il dovere di proteggere la mia gente, e so che lui è ancora con Neferet, qualunque cosa dica lei in proposito.» «Mio padre è legato a lei!» sbottò Rephaim. «Che vuoi dire?» «Lui non ha ucciso Zoey, quindi non ha portato a termine quanto le aveva giurato, e adesso la Tsi Sgili ha il controllo della sua anima immortale.» «Oh, splendido! Quindi Kalona è un’arma carica in mano a Neferet.» Rephaim scosse la testa. «Dovrebbe essere così, ma mio padre non è bravo a servire gli altri. È molto indispettito e a disagio per la situazione. Ritengo che la tua analogia sarebbe più precisa dicendo che mio padre è un’arma inceppata in mano a Neferet.» «Dovrai essere più chiaro di così. Fammi un esempio che mi faccia capire bene cosa intendi.» Stevie Rae cercò di nascondere l’emozione ma, dal modo in cui gli occhi di lui si staccarono dai suoi, capì di non esserci riuscita. «Non lo tradirò.» «Okay, d’accordo. Fin qui ci arrivo. Ma questo significa che proprio non mi puoi aiutare?» Rephaim rimase in silenzio tanto a lungo che lei pensò che non le avrebbe risposto. Stava già cercando di formulare mentalmente un’altra domanda, quando, infine, lui disse: «Io ti voglio aiutare, e lo farò fintanto che ciò non implica tradire mio padre». «Somiglia un sacco al primo accordo che abbiamo fatto tu e io, e in fondo non è andata tanto male, ti pare?» gli chiese con un sorriso. «No, non è andata tanto male.» «E poi, non siamo tutti fondamentalmente contro Neferet?» «Io sì», confermò lui deciso. «E tuo padre?» «Vuole liberarsi del controllo che ha su di lui.» «Be’, in pratica è quasi come stare dalla nostra parte.» «Stevie Rae, io non posso stare dalla tua parte. Te lo devi ricordare.» «Quindi combatteresti contro di me?» La ragazza non abbassò lo sguardo. «Non potrei mai farti del male.» «Be’, allora...» «No. Non poterti fare del male è diverso dal lottare per te.» «Tu lotteresti per me. L’hai già fatto.» Rephaim le prese la mano, stringendola come se in quel modo lei potesse comprenderlo meglio. «Io non ho mai affrontato mio padre per te.» «Rephaim, te lo ricordi il ragazzo che abbiamo visto nella fontana?» Lui non disse niente, limitandosi ad annuire. «Lo sai che è dentro di te, vero?» Rephaim annuì di nuovo, ma con lentezza e un po’ di esitazione. «Quel ragazzo dentro di te è il figlio della tua mamma. Non di Kalona. Non la devi dimenticare, tua mamma. E non devi dimenticare neanche quel ragazzo e quello per cui lui combatterebbe. Okay?» Prima che Rephaim potesse replicare, il cellulare di Stevie Rae suonò al ritmo di Only Prettier di Miranda Lambert. La vampira lasciò la mano di Rephaim e si frugò in tasca dicendo: «È Zy! Le devo parlare. Lei non sa ancora di Jack». Rephaim la bloccò prima che lei potesse rispondere. «È necessario che Zoey torni a Tulsa. È un modo per consentirci di combattere Neferet. La Tsi Sgili odia Zoey e la sua presenza qui sarebbe una distrazione.» «Una distrazione da cosa?» chiese Stevie Rae un secondo prima di attaccarsi il cellulare all’orecchio: «Pronto, Zoey? Scusa, resta in linea. Devo dirti una cosa importante ma mi serve un attimo». La voce di Zoey le arrivò come se la sua amica stesse parlando dal fondo di un pozzo. «Nessun problema, però non resto in linea. Richiamami tu, okay? Sto in roaming selvaggio.» «Ti richiamo tra due scodinzolate di un gatto morto», ribatté Stevie Rae. «Lo sai che è un modo di dire schifoso?» Stevie Rae sorrise. «Oh, sì, davvero schifosissimo!» «Okay, a tra poco.» La comunicazione s’interruppe e Stevie Rae guardò Rephaim. «Allora, spiegami di Neferet.» «Mio padre desidera trovare il modo di recidere il legame che lo vincola a lei, e per farlo ha bisogno che sia distratta. L’ossessione di Neferet per Zoey servirà benissimo allo scopo, così come la sua intenzione di usare i novizi rossi cattivi nella guerra contro gli umani.» Stevie Rae inarcò le sopracciglia. «Non c’è nessuna guerra tra vampiri e umani.» «Se accadrà ciò che si augura Neferet, ci sarà.» «Okay, d’accordo, allora dobbiamo assicurarci che non succeda. Si direbbe che Zy debba proprio tornare a casa.» «Vogliono usare anche te», sbottò Rephaim. «Eh? Chi? Me? Per cosa?» «Neferet e mio padre. Non sono sicuri che tu abbia scelto la via della Dea in modo definitivo. Pensano che potresti lasciarti convincere a passare dalla parte della Tenebra.» «Rephaim, quanto a questo non c’è la minima possibilità. Io non sono certo perfetta e ho i miei problemi ma, quando ho riacquistato l’umanità, ho scelto Nyx e la Luce. Non rinnegherò quella scelta.» «Non l’ho mai pensato, Stevie Rae, ma loro non ti conoscono quanto me.» «E Neferet e Kalona non dovranno neanche mai scoprire di noi due, giusto?» «Sarebbe un grosso guaio se accadesse.» «Un grosso guaio per te o per me?» «Per entrambi.» Stevie Rae sospirò. «Okay, allora farò attenzione.» Gli sfiorò un braccio. «E anche tu devi stare attento.» Rephaim annuì. «Dovresti rientrare. Chiama Zoey mentre sei in macchina. L’alba è troppo vicina.» «Sì, sì, lo so», ribatté lei, ma nessuno dei due si mosse. «Anch’io devo andare», aggiunse lui quasi per autoconvincersi. «Aspetta, non stai più qui?» «No. La tempesta è passata e adesso qui intorno girano troppi umani.» «Be’, e allora dove stai?» «Stevie Rae, non te lo posso dire!» «Perché stai col tuo paparino, vero?» Dato che lui non replicava, continuò lei: «Ehi, guarda che l’avevo capito subito che quella storia delle cento frustate e dell’esilio era una baggianata». «L’ha fatto frustare davvero. I tentacoli di Tenebra gli hanno inciso la carne per cento volte.» Stevie Rae rabbrividì, ricordandosi com’era stato terribile essere anche solo sfiorata da quei cosi. «Be’, è una punizione che non augurerei a nessuno.» Incrociò lo sguardo di Rephaim. «Ma la parte riguardo all’essere stato allontanato da Neferet per un secolo è una balla, giusto?» Rephaim annuì in modo quasi impercettibile. «E tu non mi dirai dove abiti perché sta lì anche Kalona?» Altro leggero cenno del capo. Stevie Rae sospirò di nuovo. «Quindi, se ho bisogno di vederti, devo venirti a cercare per vecchi palazzi da brividi?» «No! Devi rimanere al sicuro e in luoghi pubblici. Stevie Rae, se hai bisogno di me vieni qui e chiamami come hai fatto stasera. Promettimi che non andrai in giro a cercarmi», disse, scuotendole dolcemente il braccio. «Okay, okay, te lo prometto. Ma ’sta storia dell’essere preoccupato non vale solo per te. Rephaim, lo so che è tuo padre, ma si è anche cacciato in un gran bel casino. Voglio solo che non ti trascini giù con lui. Perciò stai attento, ’kay?» «Va bene. Stevie Rae, stanotte ho visto i novizi rossi cattivi. Hanno fatto il nido alla Will Rogers High. C’è anche Dallas con loro.» «Ti prego, Rephaim, non lo dire a Kalona e a Neferet.» «Perché così puoi essere ancora gentile con loro e dargli un’altra occasione per ucciderti?» le gridò contro lui. «No! Solo perché cerco di essere gentile non significa che sia stupida o debole. Cacchio, ma che c’avete tu e Afrodite? Mica ho intenzione di precipitarmi a parlare con loro da sola. E neanche di provare a ragionarci. Mi hanno già dimostrato che non funziona. Qualunque cosa decida di fare sarà quantomeno assieme a Lenobia, Dragone e Zy. Fondamentalmente non voglio che si uniscano a Neferet, quindi non voglio che lei sappia di loro.» «È troppo tardi. È stata Neferet a mettermi sulle loro tracce. Stevie Rae, ti sto chiedendo di tenerti lontana da quei novizi rossi. Per te sono solo una disgrazia.» «Farò attenzione. Te l’ho già detto. Però sono una Somma Sacerdotessa e i novizi rossi sono una mia responsabilità.» «Non quelli che hanno scelto la Tenebra. E Dallas non è più un novizio. Nemmeno lui è una tua responsabilità.» Stevie Rae sorrise, maliziosa. «Sei geloso di Dallas?» «Non essere ridicola. Semplicemente non voglio che ti venga fatto di nuovo del male. Smetti di cambiare argomento.» «Ehi, Dallas non è più il mio ragazzo», sentenziò lei. «Lo so.» «Ne sei sicuro?» «Ma sì, certo.» Rephaim si scosse e aprì le ali, lasciando Stevie Rae senza fiato. «Chiama la tua Zoey intanto che torni a scuola. Ci rivediamo presto.» «Non ti cacciare nei guai, ’kay?» Lui si voltò e le prese il viso tra le mani. Stevie Rae chiuse gli occhi, traendo fiducia e forza da quel contatto. Che però sparì troppo presto. Perché lui sparì troppo presto. La giovane vampira riaprì le palpebre giusto in tempo per vedere le ali maestose battere nel vento della sera, sollevando il suo Raven Mocker sempre più in alto, fino a farlo scomparire nella lievissima luminosità che s’intravedeva a est. Rephaim aveva ragione. L’alba era troppo vicina per prendersela comoda. Stevie Rae richiamò Zoey mentre tornava di corsa al Maggiolino. «Ehi, Zy, sono io. Devo dirti una cosa brutta, perciò fatti forza...» CAPITOLO 15 ZOEY «Zy? Ci sei ancora? Stai bene? Di’ qualcosa...» La voce di Stevie Rae era così preoccupata che mi costrinse ad asciugarmi naso e lacrime su una manica della camicia e a riacquistare un po’ di autocontrollo. «Sono qui. Però non... non sto bene», replicai con un piccolo singhiozzo. «Lo so, lo so. È terribile.» «E non è possibile che ci sia stato un errore? È sicuro che Jack sia proprio morto?» In fondo al cuore, sapevo che era ridicolo incrociare le dita e chiudere gli occhi mentre glielo chiedevo, ma dovevo almeno tentare con quella stupidaggine da bambina. Ti prego, ti prego, fa’ che non sia vero... «È proprio morto, Zy, non ci sono errori», confermò Stevie Rae, anche lei tra le lacrime. «È così difficile da credere, e poi non è giusto! Jack era il ragazzo più dolce del mondo. Non si meritava quello che gli è successo!» Arrabbiarmi mi faceva sentire meglio, molto più che mettermi a piangere e tirare su col naso. «No, non se lo meritava. Io... io voglio credere che adesso sia con Nyx e che lei se ne stia prendendo cura nel migliore dei modi. Insomma, tu ci sei stata nell’Aldilà... è vero che è un posto meraviglioso?» chiese Stevie Rae con un tremito nella voce. La sua domanda mi strinse il cuore. «So che non ne abbiamo mai parlato, ma... cioè, tu non ci sei andata prima... sì, hai capito, quando sei...» «No!» saltò su come se volesse impedirmi di continuare. «Non ricordo molto di quel periodo, ma so che di sicuro non ero in un bel posto. E non vedevo Nyx.» Quando le parole mi vennero alle labbra da sole, capii che era la Dea a ispirarmi. «Stevie Rae, Nyx era con te quando sei morta. Tu sei sua figlia. Devi ricordartelo sempre. Non so perché tu e gli altri ragazzi siate morti e poi resuscitati, ma ti posso assicurare al cento per cento che lei non ti ha mai abbandonata. Semplicemente hai preso una strada diversa rispetto a Jack. Lui adesso è nell’Aldilà assieme alla Dea, ed è più felice di quanto sia mai stato in vita sua. Per noi che restiamo qui è difficile capirlo, ma l’ho visto con Heath: per qualche motivo, era arrivato il suo momento e lui doveva stare là con Nyx. E adesso anche Jack deve stare là, è il suo posto. Il cuore mi dice che sono entrambi sereni e in pace.» «Me l’assicuri?» «Certo. Noi qui dobbiamo essere forti per loro, e sono convinta che prima o poi li rivedremo.» «Se lo dici tu, Zy, ci credo. Sai, devi proprio tornare a casa. Non sono solo io ad aver bisogno che la mia Somma Sacerdotessa mi dica che andrà tutto bene.» «Damien sta di schifo, eh?» «Già, sono preoccupata per lui e anche per le gemelle e tutti gli altri. Cacchio, Zy, sono preoccupata persino per Dragone! È come se il mondo stesse sprofondando nella tristezza.» Non sapevo cosa dire. No, non è vero. Lo sapevo benissimo, avrei voluto strillare: Se il mondo sta sprofondando nella tristezza, perché dovrei volerci tornare? Ma era sbagliato e da debole. Perciò, pur se non proprio convintissima, dissi: «Supereremo questo momento, vedrai». «Sì, ce la faremo. Okay, senti, tu e io insieme dovremmo ben riuscire a trovare il modo di smascherare Neferet davanti al Consiglio Supremo e chiudere la questione una volta per tutte.» «Io non riesco ancora a credere che si siano bevute tutte le cavolate che ha raccontato.» «Nemmeno io. Immagino che il punto fosse che si trattava della parola di una Somma Sacerdotessa contro quella di un ragazzo umano morto. E Heath ha perso.» «Neferet non è più una Somma Sacerdotessa! Cavolo quanto mi dà sui nervi! E adesso non è più soltanto per Heath, ma anche per Jack. Stevie Rae, lei pagherà per quello che ha fatto. Ci penserò io.» «Deve essere fermata.» «Sì, giusto.» Sapevo che avevamo ragione, che dovevamo lottare per toglierla di mezzo, ma anche solo il pensiero mi terrorizzava. Persino io mi accorgevo di quanto suonasse stanca la mia voce. Ero esausta, stufa fino alla nausea di combattere contro il male impersonato da Neferet. Sembrava che, per ogni passo avanti che facevo, in qualche modo alla fine venissi sempre spinta indietro di due. «Ehi, non sei sola in tutto questo.» «Grazie, Stevie Rae, lo so. La cosa però non riguarda me: dobbiamo fare ciò che è giusto per Heath, Jack, Anastasia e chiunque altro Neferet e la sua orda malvagia decidano di falciare la prossima volta.» «Già, è vero, ma ultimamente il male se l’è presa davvero un po’ troppo con te.» «Sì, però sono ancora in piedi. Un bel po’ di altre persone, invece, no.» Mi asciugai di nuovo il viso con la manica, desiderando da matti un Kleenex. «A proposito di male e morte e tutto il resto: hai visto Kalona? Di sicuro Neferet non si è sognata neanche di farlo frustare e bandirlo. Kalona c’è dentro fino al collo, il che significa che, se lei è a Tulsa, dev’esserci per forza pure lui.» «Be’, corre voce che l’abbia fatto frustare davvero», replicò Stevie Rae. Sbuffai. «Ti pareva: si presume che lui sia il suo Consorte, quindi lei lo fa frustare. Wow. Avevo più o meno capito che il dolore gli piaceva, ma che abbia accettato una cosa simile stupisce persino me.» «Be’, mmm, in realtà sembra che non avesse proprio accettato.» «Naaa, ti prego! Neferet è spaventosa, ma non può comandare a bacchetta un immortale.» «Si direbbe che in questo caso sia così. Lei può controllarlo, perché lui ha fallito nella sua schifosa missione di distruggerti.» Avevo capito che Stevie Rae aveva cercato di usare un tono scherzoso, perciò accennai a una risatina per farle piacere, ma credo sapessimo entrambe che l’aspetto divertente non riusciva in nessun modo a nascondere l’orrore della faccenda. «Be’, sai, a Kalona non piacerà per niente che Neferet faccia la prepotente con lui! Cavolo, era ora che lui si beccasse una megapunizione», commentai. «Come hai ragione! Probabilmente adesso Kalona si nasconde sotto la gonna di Neferet, anzi proprio in mezzo alle sue gambe!» aggiunse Stevie Rae. «Uh che schifo!» Questo mi fece ridere per davvero. Per un attimo eravamo tornate le migliori amiche dell’universo, che si scompisciavano per ogni stupidaggine. Purtroppo durò poco. Sospirai e dissi: «Allora, durante tutto questo ascoltare voci che corrono non ti è capitato di vedere sul serio Kalona, giusto?» «No, però tengo gli occhi aperti.» «Bene, perché beccare quel bastardo con Neferet dopo che lei ha raccontato al Consiglio Supremo di averlo scacciato per cent’anni sarebbe un deciso passo avanti nel dimostrare che non è quella che sembra. Oh, e intanto che tieni gli occhi aperti, vedi di puntarli verso l’alto: ovunque sta Kalona, prima o poi arrivano anche quei suoi orrendi corvacci. Non ci credo per niente che siano spariti tutti di colpo.» «Okay. Tranquilla, ho capito.» «E Stark mi ha detto che a Tulsa è stato davvero avvistato un Raven Mocker. È così?» «Sì, una notte ne è stato visto uno, poi basta.» La voce di Stevie Rae era strana, tutta tesa, come se avesse dei problemi a parlare. Diavolo, chi poteva criticarla? In pratica l’avevo mollata a gestire la mia Casa della Notte tutta da sola. Soltanto pensare a cos’aveva passato con Jack e Damien mi fece venire la nausea. «Ehi, fa’ attenzione, ’kay? Non sopporterei che ti succedesse qualcosa», le dissi. «Non ti preoccupare. Starò attenta.» «Brava. Allora, qui al tramonto mancano poco più di due ore. Non appena Stark si sveglia, prepariamo le nostre cose e prendiamo il primo aereo verso casa», mi udii dire, anche se lo stomaco mi si annodò in modo violento. «Oh, Zy! Sono così contenta! Oltre ad avere bisogno di te qui, mi sei mancata tanto.» Sorrisi. «Mi sei mancata anche tu. E sarà bello essere di nuovo a casa», mentii. «Allora mandami un SMS per dirmi a che ora arrivate. Se non sono nella mia bara, mi trovate in aeroporto.» «Stevie Rae, tu non dormi in una bara.» «Potrei anche farlo, dato che quando sorge il sole crollo stecchita.» «Già, per Stark è uguale.» «Ehi, come sta il tuo ragazzo? Si sente meglio?» «È di nuovo in forma... In ottima forma, a dire il vero.» Come al solito, il radar da amica del cuore di Stevie Rae lesse tra le righe. «Oh, senti senti. Non è che avete...» «E se ti dicessi che abbiamo...» Mi sentii le guance diventare bollenti. «Non potrei che commentare con un tipico, oklahomico yupppiiii!» «Be’, allora yupppiiii.» «Dettagli. Voglio tutti i dettagli», replicò subito prima di fare uno sbadiglio gigantesco. «Li avrai. È quasi l’alba da te?» «In realtà è passata da un pochino. Scusa, Zy, ma mi sto spegnendo in fretta.» «Non ti preoccupare. Dormi, Stevie Rae, tanto ci vediamo presto.» «Ciao ciao», disse tra uno sbadiglio e l’altro. Conclusi la telefonata e tornai a guardare Stark che dormiva come un sasso nel nostro letto a baldacchino. Che fossi innamorata persa di lui non c’erano dubbi, ma in quel momento avrei proprio tanto tanto tanto voluto poterlo scuotere per farlo svegliare come un ragazzo normale. Però sapevo che era del tutto inutile persino tentare di farlo alzare un po’ prima. Quel giorno era stato insolitamente limpido, cioè super luminoso e senza nemmeno una nuvoletta piccola così. Non era pensabile che Stark riuscisse a comunicare con me in modo decente ancora per... altre due ore e mezzo, secondo il mio orologio. Be’, almeno avevo il tempo di fare i bagagli e trovare la regina per darle la notizia: stavo per andarmene da quel posto in cui mi sentivo così a mio agio, così a casa, quel posto che lei aveva deciso di riportare nel mondo reale, più o meno, solo perché io ero entrata nella sua vita. E adesso stavo per lasciarmi tutto alle spalle perché... Finalmente il cervello fece ordine nel caos blaterante dei miei pensieri e tutte le tessere andarono al proprio posto. «Perché questa non è casa mia. La mia casa è a Tulsa. Appartengo a quel posto.» Rivolsi un sorriso triste al mio Guardiano addormentato. «Apparteniamo a quel posto.» Percepii che ciò che avevo detto era giusto, pur essendo consapevole di tutto quello che mi aspettava là. E di tutto quello che stavo perdendo dove mi trovavo in quel momento. «È ora di tornare a casa», sentenziai. «Dite qualcosa. Qualunque cosa. Per favore.» Mi ero appena sfogata con Sgiach e Seoras. Naturalmente raccontare dell’orribile fine di Jack mi aveva fatta frignare e tirare su col naso. Di nuovo. E poi avevo biascicato che dovevo tornare a casa e comportarmi da vera Somma Sacerdotessa, anche se non ero sicura al cento per cento di cosa significasse, mentre entrambi mi fissavano in silenzio con espressioni allo stesso tempo sagge e imperscrutabili. «È sempre molto difficile sopportare la morte di un amico, ma lo è ancora di più se si verifica troppo presto... quando si è ancora troppo giovani. Mi dispiace tanto per la tua perdita», disse Sgiach. «Grazie. Ancora non mi sembra vero.» «Aye, lass, ci arriverai», commentò con gentilezza Seoras. «Però dovresti ricordare che una regina deve mettere da parte il dolore se vuole compiere il suo dovere: se la mente è piena di sofferenza, non sarà mai lucida.» «Non credo di essere abbastanza grande per affrontare tutto questo», ribattei. «Non lo si è mai, bambina», sentenziò Sgiach. «Prima di lasciarci, vorrei che considerassi una cosa: quando mi hai chiesto se potevi rimanere a Skye, ti ho risposto che potevi farlo finché la coscienza non ti avesse detto di andare. Adesso è la tua coscienza a dirti che è arrivato il momento di lasciare quest’isola, o sono le macchinazioni di altri a...» «Okay, aspetta. Probabilmente Neferet è convinta di avermi indotto lei a tornare, ma la verità è che devo rientrare a Tulsa perché quella è casa mia. Adoro questo posto. Per un sacco di motivi stare qui è giustissimo, talmente giusto che mi sarebbe molto facile rimanere. Ma, come hai detto tu, la via della Dea non è facile. Fare la cosa giusta non è facile. Se rimanessi qui e dimenticassi la mia casa, non starei soltanto ignorando la mia coscienza, le starei voltando le spalle.» Sgiach annuì con aria compiaciuta. «Dunque è un luogo di potere che ti spinge a tornare, non la manipolazione di Neferet, anche se lei non lo sa. Crederà che sia bastata una semplice morte a piegarti al suo volere.» «Quella di Jack non è una semplice morte», replicai rabbiosa. «No, wumman, per te non è semplice, ma una creatura della Tenebra uccide in fretta e con facilità, senza pensare ad altro che al proprio profitto», aggiunse Seoras. «E, per questo motivo, Neferet non capirà che torni a Tulsa perché hai scelto di seguire la via della Luce e di Nyx. E ti sottovaluterà», concluse Sgiach. «Grazie. Me ne ricorderò.» Incrociai lo sguardo limpido e deciso della regina. «Se tu, Seoras o qualunque altro Guardiano volete venire con me, potete farlo. Con voi al mio fianco, Neferet non avrà scampo.» La replica di Sgiach fu immediata: «Se lasciassi la mia isola, il Consiglio Supremo dovrebbe reagire di conseguenza. Abbiamo coesistito per secoli in modo pacifico perché ho deciso di estraniarmi dalle questioni politiche e dalle limitazioni della società vampira. Se entrassi a fare parte del mondo moderno, loro non sarebbero più in grado di continuare a fingere che io non esista». «E se fosse un bene? Insomma, a me sembra ora che al Consiglio Supremo venga data una bella scossa, e anche alla società vampira. Hanno creduto a Neferet, hanno lasciato che la passasse liscia dopo avere ucciso della gente... degli innocenti.» La mia voce risuonò forte e tagliente, e per un attimo pensai di sembrare quasi una vera regina. «Lassie, questa non è la nostra battaglia», disse Seoras. «Perché no? Perché combattere il male non è la vostra battaglia?» aggredii il Guardiano di Sgiach. «Cosa ti fa pensare che qui non combattiamo il male?» mi rispose Sgiach. «Da quando sei arrivata sull’isola, sei stata sfiorata dall’antica magia. Dimmi sinceramente: avevi mai provato qualcosa di simile là fuori nel tuo mondo?» Scossi piano la testa. «No, mai.» «Quello che facciamo noi è lottare per mantenere vive le antiche consuetudini. E non lo si può fare a Tulsa», spiegò Seoras. «Come puoi esserne sicuro?» chiesi. «Perché là non è rimasta traccia della magia antica!» gridò Sgiach, frustrata. Si voltò e raggiunse l’immenso finestrone rivolto a ovest, verso il sole che tramontava nell’acqua grigio azzurra. Aveva la schiena rigida per la tensione, la voce piena di tristezza. «Là fuori, in quel tuo mondo, la mistica, splendida magia d’un tempo, in cui il toro nero veniva venerato assieme alla Dea, in cui l’equilibrio tra le energie maschili e femminili veniva rispettato, e persino le rocce e gli alberi avevano un’anima, un nome, è stata distrutta dalla civiltà, dall’intolleranza e dall’oblio. Le persone di oggi, vampiri e umani allo stesso modo, credono che la terra sia solo un oggetto, che ci sia qualcosa di sbagliato o di malvagio o di barbaro nell’ascoltare la voce delle anime del mondo, e così il cuore e la nobiltà di un intero modo di vivere sono inariditi e avvizziti...» «Per trovare rifugio qui», continuò Seoras quando la voce di Sgiach si spense. Poi la raggiunse e le sfiorò una spalla, le fece scivolare le dita sul braccio e le prese la mano. Il corpo di Sgiach reagì a quel contatto in modo quasi automatico, come se quel semplice gesto gli avesse trasmesso una nuova forza. Quando si girò verso di me, la regina era di nuovo lei, era tornata nobile, forte e calma. «Noi siamo l’ultimo baluardo: per secoli è stato mio compito proteggere la magia di questo luogo. Qui la terra è ancora sacra. Venerando il toro nero e rispettando la sua controparte, il toro bianco, viene mantenuto l’antico equilibrio. Siamo gli unici a ricordare.» «Ricordare?» «Aye, a ricordare un’epoca in cui l’onore significava di più della gloria personale, e la lealtà era considerata la miglior virtù», disse in tono solenne Seoras. «Ma io un po’ di questo a Tulsa lo vedo. Anche lì esistono onore e lealtà, e gran parte del popolo di mia nonna, i cherokee, rispetta ancora la terra.» «Questo può essere vero fino a un certo punto. Prova a pensare al nostro bosco, a come ti sei sentita al suo interno. A come ti parla quest’isola. So che la puoi sentire. Lo vedo. Avevi mai provato qualcosa di realmente simile al di fuori di Skye?» intervenne Sgiach. «Sì. Il boschetto dell’Aldilà somiglia moltissimo a quello di fronte al castello.» Poi capii cosa stavo dicendo e, di colpo, le parole di Sgiach assunsero un significato nuovo. «Allora è di questo che si tratta? Qui hai davvero un pezzo della magia di Nyx.» «In un certo senso. In verità, quello che ho è persino più antico della Dea. Vedi, Zoey, la presenza di Nyx non è stata dimenticata dal mondo. Non ancora. La sua controparte maschile invece sì, e questo mi spaventa, perché significa che è scomparso anche l’equilibrio tra bene e male, tra Luce e Tenebra.» «Aye, noi sappiamo che è così», la corresse con dolcezza Seoras. «Kalona. Sono sicura che lui c’entri parecchio nella scomparsa dell’equilibrio», dissi. «Un tempo è stato Guerriero di Nyx e, non so come, da quando è comparso qui si sono incasinate un sacco di cose, perché lui non appartiene a questo mondo.» Saperlo non mi faceva sentire male o dispiaciuta per l’immortale, ma cominciavo a capire l’atmosfera di disperazione che tante volte avevo percepito intorno a lui. Era una conoscenza in più. E dalla conoscenza deriva il potere. «Vedi perché è importante che io non lasci la mia isola?» fece Sgiach. «Sì», ammisi riluttante. «Però sono ancora convinta che potreste sbagliarvi sul fatto che nel resto del mondo non sia rimasta traccia della magia antica. In fondo a Tulsa si è materializzato il toro nero.» «Aye, ma solo dopo che era apparso quello bianco», ribatté Seoras. «Zoey, vorrei tanto poter credere che il mondo esterno non abbia completamente distrutto la magia di un tempo, e per questo voglio darti una cosa.» Sgiach districò una catenina d’argento dalla massa di collane tintinnanti che portava al collo, se la fece passare sopra la testa e la tenne sollevata proprio davanti a me. C’era appesa una pietra color latte perfettamente rotonda, liscia e morbida, che mi faceva venire in mente una caramellina al cocco Life Saver, e che scintillava per effetto delle torce appena accese dai Guerrieri. E allora la riconobbi. «È un pezzo del marmo di Skye!» «Sì, ma non è un frammento qualunque. Si chiama ‘pietra del veggente’. È stata trovata oltre cinque secoli fa da un Guerriero che scalava il Cuillin Ridge durante la sua ricerca sciamanica», spiegò Sgiach. «Un Guerriero impegnato in una ricerca sciamanica? Non succede tanto spesso», commentai. Sgiach sorrise e il suo sguardo passò dal ciondolo di marmo a Seoras. «Solo una volta ogni cinquecento anni.» «Aye, giusto», disse lui ricambiando il sorriso con un’intimità che mi fece venire voglia di distogliere lo sguardo. «Secondo me, una volta ogni cinquecento anni è più che sufficiente perché un poveraccio di Guerriero debba fare tutta quella menata dello sciamano.» Udendo quella voce, il mio stomaco sobbalzò di piacere: Stark era sotto la porta ad arco, arruffato e con le palpebre strette per difendersi dalla fioca luce del crepuscolo che entrava dal finestrone. Indossava jeans e maglietta e somigliava così tanto allo Stark di sempre da farmi provare una gran nostalgia di casa, la prima vera fitta da quando ero rientrata nel mio corpo. Sto per tornare a casa. Sorrisi e corsi incontro al mio Guardiano. Con un rapido gesto, Sgiach fece richiudere i pesanti tendoni, in modo che Stark potesse avvicinarsi e prendermi tra le braccia. «Ehi, pensavo ti ci volesse ancora un’oretta prima di svegliarti», esordii abbracciandolo stretto. «Eri sconvolta, e questo mi ha svegliato. E poi stavo facendo dei sogni stranissimi», mi mormorò all’orecchio. Mi staccai da lui in modo da poterlo guardare negli occhi. «Jack è morto.» Stark scosse la testa, poi si fermò, mi sfiorò la guancia ed emise un lungo sospiro. «Ecco cos’ho percepito. La tua tristezza. Zy, mi dispiace tanto. Cosa diavolo è successo?» «Ufficialmente un incidente. In realtà è stata Neferet, ma nessuno lo può dimostrare.» «Quando partiamo per Tulsa?» «Stasera. Possiamo fare in modo che lasciate l’isola non appena avrete preparato i bagagli», rispose Sgiach. «Allora, cosa dicevate di questa pietra?» chiese Stark prendendomi per mano. La regina la sollevò di nuovo. Era davvero una pietra stupenda e la stavo ancora ammirando, quando ruotò dolcemente sulla catenina e il mio sguardo venne attirato dal cerchio perfetto che si trovava proprio nel centro e all’improvviso, il mondo intorno a me si restrinse e si scolorì, per riprendere forma nel foro del marmo. La stanza era scomparsa! Lottando contro nausea e capogiri, guardai attraverso la pietra del veggente e scorsi quello che sembrava un mondo sottomarino: figure fluttuavano e si spostavano rapide, tutte nelle sfumature del turchese e del topazio, di cristallo e zaffiro. Mi parve di vedere ali e pinne, e lunghe cascate di capelli ondeggianti. Sirene? Oppure sono scimmie di mare? Ho perso completamente la testa, fu il mio ultimo pensiero prima di finire lunga distesa per terra, vinta dalle vertigini. «Zoey! Guardami! Parla!» Stark, stravolto, era chino sopra di me, mi aveva afferrata per le spalle e al momento mi scuoteva a gran forza. «Ehi, basta», dissi debolmente, cercando senza riuscirci di levarmelo di dosso. «Lasciala respirare. Si riprenderà subito», intervenne la voce ipercalma di Sgiach. «È svenuta. Non è normale», replicò il mio Guardiano, che per fortuna aveva smesso di frullarmi il cervello. «Sono cosciente e sono qui. Aiutami a mettermi seduta», dissi. Sulla fronte corrucciata di Stark si leggeva benissimo che avrebbe preferito evitarlo, ma obbedì comunque. «Tieni, bevi.» Sgiach mi mise sotto il naso un calice di vino ampiamente corretto con sangue, a giudicare dall’odore. Non me lo feci ripetere due volte. «È normale per una Somma Sacerdotessa svenire la prima volta in cui usa il potere della pietra del veggente, soprattutto se è impreparata». Sentendomi molto meglio dopo il vino al sangue (lo so, dirlo fa schifo ma è buonissimo), la guardai inarcando le sopracciglia. «E non potevate prepararmi?» «Aye, ma la pietra del veggente non funziona con tutte le Somme Sacerdotesse e, se non avesse funzionato con te, avremmo potuto urtare i tuoi sentimenti», replicò Seoras. Mi massaggiai il fondoschiena. «Credo che avrei preferito essere ferita nei sentimenti che nel sedere. Okay, cosa diavolo ho visto?» «Cosa sembrava?» s’informò Sgiach. «Una strana boccia per pesci sottomarina che stava tutta in quel buchino.» Indicai la pietra, facendo bene attenzione a non fissarla di nuovo. Sgiach sorrise. «Sì, e dove avevi già visto degli esseri simili?» Sbattei le palpebre. «Il boschetto! Erano spiritelli dell’acqua.» «Proprio così», assentì Sgiach. «Quindi è una specie di cercamagia?» chiese Stark dando un’occhiata sbieca al ciondolo. «Sì, a patto che venga usato da una Somma Sacerdotessa col giusto tipo di potere.» Sgiach sollevò la catenella e me la mise al collo. La pietra del veggente mi si posò sul seno, calda come se fosse viva. La sfiorai, intimorita. «Può davvero trovare la magia?» «Unicamente di un tipo», rispose Sgiach. «La magia dell’acqua?» domandai, confusa. «Non è l’elemento che conta. È la magia in sé», intervenne Seoras. Prima che potessi dare voce all’enorme punto di domanda che mi si era disegnato in faccia, Sgiach spiegò: «Le pietre dei veggenti sono in sintonia soltanto con la magia più antica, il genere che protegge la mia isola. Te la sto donando in modo che tu possa davvero trovare le tracce rimaste nel mondo, ammesso che ce ne siano». «E se dovesse trovarla, come ci si deve comportare?» chiese Stark. «Ti rallegri o scappi, a seconda di cos’hai scoperto», ribatté Sgiach con un sorriso divertito. «Ricorda, wumman, che è stata l’antica magia a inviare il tuo Guerriero nell’Aldilà, e a farlo diventare il tuo Guardiano», aggiunse Seoras. «È una forza molto potente, che non è stata annacquata dalla civiltà.» Chiusi la mano intorno alla pietra, ricordando quando Seoras, quasi in trance, incombeva su Stark, tagliuzzandolo talmente tanto che il suo sangue si era riversato sugli antichi nodi incisi nel Seòl ne Gigh, il Seggio dello Spirito. D’improvviso mi accorsi che stavo tremando. Poi la mano forte e calda di Stark coprì la mia. «Non ti preoccupare, Zy. Ci sarò io con te. Che ci sia da rallegrarsi o da scappare, saremo insieme. Io ti proteggerò sempre.» E, almeno per quell’attimo, mi sentii al sicuro. CAPITOLO 16 STEVIE RAE «Sta davvero tornando a casa?» La voce di Damien era così tremante e sottile che si sentiva a malapena. Il ragazzo aveva lo sguardo fisso e vacuo, non si capiva se fosse perché il cocktail di farmaci e sangue che gli avevano preparato i vampiri in infermeria stava funzionando o se fosse semplicemente ancora sotto shock. «Zy è salita sul primo aereo che ha trovato e dovrebbe essere qui fra, tipo, tre ore. Se vuoi, puoi venire anche tu con me all’aeroporto a prendere lei e Stark.» Stevie Rae, seduta sul bordo del letto, fece una carezza a Duchessa, acciambellata accanto a Damien. Per tutta risposta, lui si limitò a fissare la parete che aveva di fronte. Stevie Rae accarezzò di nuovo la cagnolona che, in cambio, agitò debolmente la coda un paio di volte. «Sei proprio bravissima, e anche di più», le disse. Duchessa aprì gli occhioni, ma la coda non si agitò più e non emise neppure i soliti gioiosi sbuffi canini. La vampira la guardò aggrottando la fronte. Sembrava magra? «Scusa Damien, tesoro, Duc ha mangiato di recente?» Il novizio sbatté le palpebre con aria confusa, spostando lo sguardo da lei al cane raggomitolato contro di lui. Dopo un attimo, sembrò finalmente aver messo a fuoco la situazione, ma non ebbe il tempo di replicare, perché al suo posto lo fece Neferet, che si era materializzata nella stanza senza che lei se ne accorgesse. «Stevie Rae, in questo momento Damien è in uno stato emotivo molto delicato: non dovresti preoccuparlo con questioni da poco come dar da mangiare a un cane, né proporgli di fare da autista a un novizio.» Si chinò su Damien. Stevie Rae si alzò di scatto e arretrò il più possibile: avrebbe potuto giurare che da sotto il lungo abito di seta di Neferet, una specie di ombra aveva cominciato a scivolare verso di lei. Con la stessa rapidità della vampira rossa, anche Duchessa si allontanò dalle gambe di Damien per accucciarsi imbronciata in fondo al letto, vicino al gatto che continuava a dormire. «Da quando andare a prendere un amico all’aeroporto è un lavoro da autista? E, credetemi, io di domestici me ne intendo», sbottò Afrodite, comparsa chissà come sulla soglia. Be’, prendetemi a schiaffi e datemi una svegliata! Sono così fuori da non sentire più niente? pensò Stevie Rae. «Afrodite, ho qualcosa da dirti che riguarda anche gli altri presenti in questa stanza», esordì Neferet in tono regale e da supercapo. La ragazza appoggiò la mano su un fianco sottile e replicò: «Ah, sì? Cosa?» «Ho deciso che il funerale di Jack seguirà il rito dei vampiri Trasformati. La sua pira funebre verrà accesa stasera, non appena Zoey rientrerà alla Casa della Notte.» «Aspetta Zoey? Perché?» chiese Stevie Rae. «Perché era una buona amica di Jack, ovviamente. Ma soprattutto perché, quando Kalona mi aveva traviata e qui regnava una grande confusione, Zoey ha svolto per lui la funzione di Somma Sacerdotessa. Ora, per fortuna, quel deplorevole periodo è finito, ma è comunque giusto che sia lei ad accendere la pira di Jack.» Stevie Rae pensò che era davvero terribile che i bellissimi occhi di smeraldo di Neferet potessero sembrare così innocenti anche mentre lei in realtà stava intessendo una trama di menzogne e d’inganni. Aveva una voglia matta di strillarle che conosceva il suo segreto, che era lei a controllare Kalona, ancora adesso, non il contrario. Non era mai stata sotto l’influenza dell’immortale. Neferet sapeva fin dall’inizio chi e cosa fosse Kalona, e in quel momento stava soltanto sparando balle a raffica. Ma anche Stevie Rae aveva un terribile segreto, che le bloccò in gola le parole. Afrodite inspirò profondamente, come quando si preparava a fare il culo a qualcuno, ma in quel momento Damien attirò su di sé l’attenzione di tutti prendendosi la testa tra le mani e singhiozzando da spezzare il cuore: «Io... io proprio non... non capisco come possa essersene andato!» Stevie Rae girò intorno a Neferet e prese Damien tra le braccia. Fu felice di vedere che Afrodite raggiungeva l’altro lato del letto e gli appoggiava una mano sulla spalla. Le due ragazze fissarono Neferet con le palpebre strette, lanciandole occhiate di sfiducia e disgusto. Il volto della vampira rimase triste ma impassibile, come se il dolore di Damien non la toccasse minimamente. «Damien, ti lascio all’affetto delle tue amiche. L’aereo di Zoey atterra al Tulsa International alle 21.58. Ho predisposto la pira funebre per mezzanotte esatta, dato che è un’ora propizia. Ci vediamo là.» Neferet uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle con un clic quasi impercettibile. «Viscida stronza bugiarda. Perché sta facendo la gentile?» sbottò a mezza voce Afrodite. «Deve avere in mente qualcosa», replicò Stevie Rae mentre Damien le piangeva contro la spalla. «Non ce la posso fare.» All’improvviso, Damien si allontanò da entrambe scuotendo la testa. I singhiozzi erano cessati, ma sulle guance continuavano a scendergli degli enormi lacrimoni. Duchessa strisciò fino a lui e gli si sdraiò sul petto, il naso puntato vicino alla sua guancia, mentre Cammy gli si acciambellò contro il fianco. Damien mise un braccio intorno alla cagnolona bionda e l’altro intorno al gatto. «Non posso dire addio a Jack e nello stesso tempo affrontare la questione Neferet.» Spostò lo sguardo da Stevie Rae ad Afrodite. «Capisco perché l’anima di Zoey è andata in pezzi.» Afrodite puntò il dito sul viso di Damien. «No, no, e poi no! Non ho intenzione di rivivere quello stress. Il fatto che Jack sia morto è brutto. Davvero pessimo. Ma tu devi farti forza.» «Per noi», aggiunse Stevie Rae con un tono decisamente più gentile e dando ad Afrodite la solita occhiata da fa’-la-brava! «Devi farti forza per tutti i tuoi amici. Abbiamo quasi perso Zoey. Abbiamo perso Jack e Heath. Proprio non sopporteremmo di perdere anche te.» «Io non posso più lottare contro di lei. Non mi è rimasto un cuore per farlo», replicò Damien. «Tu ce l’hai ancora il cuore. Solo che è spezzato», lo consolò Stevie Rae. «Ma si aggiusterà», intervenne Afrodite non senza dolcezza. Gli occhi di Damien erano lucidi di pianto quando la guardò. «Come fai a saperlo? Il tuo cuore non si è mai spezzato. E neanche il tuo. Non lasciate che vi si spezzi il cuore: fa troppo male.» Stevie Rae deglutì a fatica. Non glielo poteva dire, non lo poteva dire a nessuno ma, più le importava di Rephaim, più sentiva il suo cuore andare in pezzi. Ogni giorno. «Zoey ce la sta facendo, e lei ha perso il suo Heath. Se ce la fa lei, puoi riuscirci anche tu, Damien», intervenne Afrodite. «E sta davvero tornando a casa?» richiese lui. «Sì», risposero in coro Afrodite e Stevie Rae. «Okay. Bene. Andrà meglio con qui Zoey», sentenziò il novizio. «Ehi, Duchessa e Cammy, credo che sia proprio arrivato il momento della pappa», saltò su Afrodite. Con gran stupore di Stevie Rae, la ragazza si azzardò addirittura a fare una carezza sulla testa del cane. «Però qui non vedo cibo per lei e Cammy ha solo quelle orrende crocchette. A dire il vero, Malefica neanche guarda qualcosa che non sembri freschissimo. Che ne diresti se facessi portare su a Dario un po’ di cibo per loro? A meno che tu non preferisca stare solo. In quel caso, posso portare via Cammy e Duchessa e dare loro da mangiare.» Damien sgranò gli occhi. «No! Non portarli via! Voglio che restino qui con me.» «Okay, okay, tranquillo. Dario può andare a prendere la pappa di Duchessa», intervenne Stevie Rae chiedendosi a cosa cavolo stesse pensando Afrodite. Era impossibile che Damien volesse stare senza quei due animali. «Il cibo e le cose di Duchessa sono in camera di Jack», spiegò Damien, concludendo con un singhiozzo. «Ti fa piacere se ti portiamo qui tutto?» chiese Stevie Rae prendendogli la mano. «Sì», mormorò. Poi sobbalzò e divenne ancora più pallido di quanto non fosse già. «E non lasciate che buttino via la roba di Jack! Devo vederla! Devo controllarla!» «Su questo ti ho preceduto. Ci mancava solo che quei vampiri mettessero le loro manacce sui fighissimi vestiti di Jack. Ho delegato alle gemelle la responsabilità d’inscatolare tutte le sue cose e di portarle fuori di nascosto», disse ipercompiaciuta Afrodite. Damien, dimenticandosi per un istante che il suo mondo era immerso nella tragedia, quasi sorrise. «Tu sei riuscita a far fare qualcosa alle gemelle?» «Eccome.» «Quanto ti è costato?» chiese Stevie Rae. Afrodite le lanciò un’occhiataccia. «Due camicette della nuova collezione di Hale Bob.» «Non credevo che fosse già uscita!» fece Damien. «Allora, A: sono felice che tu lo conosca e B: le collezioni escono sempre prima se sei schifosamente ricco e tua mamma ‘conosce’ qualcuno.» «Chi è Hale Bob?» domandò Stevie Rae. «Oh, cazzo, ma dove vivi?» commentò Afrodite. «Vieni con me, dai. Puoi aiutarmi a trasportare le cose del cane.» «Con questo vuoi dire che le porterò solo io, giusto?» «Giusto.» Afrodite si chinò e, come se fosse una cosa che faceva tutti i giorni, baciò sulla testa Damien. «Torno subito coi rifornimenti per le bestiacce. Oh, vuoi che porti Malefica? Lei...» «No!» sbottarono insieme Damien e Stevie Rae, con stereofonici toni orripilati. Afrodite sollevò il mento, indignata. «Assolutamente tipico che nessuno tranne me capisca quella magnifica creatura.» Stevie Rae baciò Damien su una guancia. «Torno presto», disse. Poi, non appena fu in corridoio, guardò malissimo Afrodite. «Scusa, ma come hai potuto anche solo pensare di portargli via quei due animali?» Afrodite alzò gli occhi al soffitto e si esibì in un gran colpo di ciuffo. «Non l’ho mai pensato, scema. Sapevo che la cosa l’avrebbe sconvolto al punto di scuoterlo almeno un po’ dal suo stato di super-depresso-non-pensante, ed è successo. Dario e io porteremo cibo al suo piccolo zoo e, per puro caso, faremo tappa anche in sala da pranzo a prendere qualcosa per noi, che però basti anche per lui e, visto che Damien è troppo ’signora’ per cacciarci fuori a pedate o farci mangiare da soli... voilà! Ecco che il ragazzo avrà qualcosa nello stomaco prima di affrontare l’orrendo spettacolo della pira funebre.» «Neferet ha in mente qualcosa di veramente terribile», fece Stevie Rae. «Puoi contarci», convenne Afrodite. «Be’, almeno succederà davanti a tutti perciò non potrà, tipo, uccidere Zoey.» Afrodite inarcò un sopracciglio con aria di disprezzo. «Neferet ha liberato Kalona davanti a tutti, ha ucciso Shekinah e cercato di ordinare a Stark di tirare una freccia prima contro di te e poi contro Zy. Zucca campagnola, vedi di darti una svegliatina.» «Be’, nel mio caso c’erano delle circostanze attenuanti, e Neferet non ha ordinato a Stark di centrare Zy davanti a tutta la scuola, eravamo presenti solo noi e un gruppetto di suore. E ovviamente adesso dice che è stato Kalona a farle fare entrambe le cose. Per di più, è sempre la nostra parola contro la sua e nessuno dà ascolto ai ragazzini. E neanche alle suore, se è per questo.» «Quindi mi stai dicendo che dubiti del fatto che Neferet possa fare i suoi porci comodi pur sembrando innocente come un bebè?» Afrodite s’interruppe per fare una smorfia. «Dea, io i marmocchi proprio non li sopporto! Puah, con tutto quel vomitare e mangiare e cagare... E poi ti fanno venire una...» «E allora? Guarda che non mi sogno neanche di parlare di gravidanza e bambini con te.» «Scema, stavo solo facendo un’analogia: tra qualche ora ci ritroveremo nella merda fino alle orecchie, quindi prepara Zy mentre io cerco di sostenere Damien in modo che non si sciolga in una pozzanghera di lacrime, disperazione e schifosissimo soffiamento di naso.» «Guarda che non puoi continuare a fingere che non te ne freghi di Damien. Non dopo che ti ho vista dargli un bacio sulla testa.» «Cosa che negherò per il resto della mia lunga e fantastica vita», ribatté Afrodite. «Ma ci riuscirai mai a essere un po’ meno ossessionata da te stessa?» Kramisha spuntò fuori all’improvviso dall’ombra a lato della veranda del dormitorio femminile. «Ohssantocielo! Bisogna che mi faccia controllare gli occhi. Non vedo un cacchio finché non me lo ritrovo davanti», fece Stevie Rae, che si era fermata di colpo. «Non sei tu. È solo che Kramisha è nera. Le ombre sono nere. Ecco perché non l’abbiamo vista», replicò impassibile Afrodite. Kramisha raddrizzò le spalle e la guardò con sufficienza. «No, tu non hai...» «Oh, ti prego, risparmiami!» Afrodite la superò con aria disinvolta raggiungendo il portone del dormitorio. «Pregiudizi, oppressione, l’uomo bianco, bla, bla, bla... e sbadiglio finale. Qui la principale minoranza sono io, quindi non ci provare neanche a menarmela con ‘sta roba.» Kramisha sbatté le palpebre un paio di volte, stupefatta quanto Stevie Rae. «Mmm, scusa, Afrodite. Tu sembri Barbie. Come cavolo puoi essere una minoranza?» commentò Stevie Rae. Afrodite s’indicò la fronte. «Umana, sono un’umana in una scuola piena di novizi e vampiri, uguale mi-noran-za.» Quindi aprì la porta e sculettò nel dormitorio. «Quella ragazza mica è umana, è più un cane idrofobo, ma non vorrei che si offendessero i cani», fece Kramisha. Stevie Rae sospirò. «Lo so. Hai ragione. Riesce a non essere gentile e carina persino quando è gentile. Per i suoi livelli. Ammesso che questo abbia senso.» «Non ne ha, ma ultimamente non è che quello che dici e fai abbia molto senso in generale.» «La sai una cosa? Al momento proprio non ho bisogno di questo e non so cosa vuoi dire e comunque non me ne importa. Ci vediamo, Kramisha.» Stevie Rae fece per andarsene, ma la novizia rossa le si parò davanti mettendosi dietro l’orecchio una ciocca della parrucca gialla a caschetto e disse: «Non hai motivo di usare quel tono odioso con me». «Il mio tono non è odioso. Il mio tono è stanco e scocciato.» «Naaa. Era odioso e lo sai. E non dovresti nemmeno mentire. Non sei per niente brava.» «Benissimo. Non mentirò.» Stevie Rae si schiarì la voce, si scosse come un gatto sotto un acquazzone primaverile, si disegnò in faccia un sorrisone falso e ricominciò il tutto con un tono ipervivace. «Ma ciao, amica, mi ha fatto davvero piacere vederti, ma adesso devo proprio andare!» Kramisha inarcò le sopracciglia. «Okay, per prima cosa non dire ‘amica’: sembri la protagonista di quel vecchio film, Ragazze a Beverly Hills, quella che la bionda e Stacey Dash rieducano facendola diventare popolare. Non. Mi. Piace. Seconda cosa, non te ne puoi andare così perché devo darti...» Stevie Rae si allontanò dal foglietto viola che la ragazza le stava tendendo. «Kramisha! Io sono una persona sola! In questo momento mi trovo in una gran bella tempesta di merda, se mi scusi l’espressione, e davvero non posso gestire altro. Dovrai tenere per te le tue poesie prevedi-futuro, almeno finché Zy non sarà qui ad aiutarmi a fare in modo che Damien non si butti dal primo palazzo un po’ altino che trova.» Kramisha la guardò con le palpebre strette. «È un vero peccato che tu non sia una sola persona.» «E questo cosa cavolaccio vorrebbe dire? Ma certo che sono una sola. Per la miseriaccia schifa, vorrei tanto che ci fossero più me, così potrei tenere d’occhio Damien, assicurarmi che Dragone non scleri del tutto, andare a prendere Zoey in orario a quell’accidenti di aeroporto e scoprire cosa le sta succedendo, trovare qualcosa da mangiare e iniziare ad affrontare il fatto che Neferet sta architettando qualcosa di proporzioni allucinanti per il funerale di Jack. Oh, e magari una delle me potrebbe anche farsi un bel bagno con un sacco di schiuma ascoltando il mio amato Kenny Chesney e leggere la fine di Titanic: la vera storia.» «Vuoi dire il libro che ho letto al corso di letteratura l’anno scorso?» «Già. L’avevamo appena iniziato quando io sono morta e poi tornata da non-morta, quindi non sono più riuscita a finirlo. E, be’, mi piaceva...» «Okay, ti aiuto io: la nave affonda. Loro muoiono. Fine. Adesso, per favore, possiamo passare a qualcosa di più importante?» Sollevò di nuovo il foglietto viola. «Grazie tante, questo lo sapevo anch’io, ma non vuol dire che non sia una bella storia. Tu dici che non sono brava a raccontare balle, eh? Okay, la verità è questa: mia mamma direbbe che in questo momento ho nel piatto talmente tanta roba che non ci starebbe neanche una forchettata di stress al pollo fritto, quindi vediamo di lasciare stare le poesie per un po’.» Stupendo da matti Stevie Rae, Kramisha fece un gran passo verso di lei e l’afferrò per le spalle. Poi, guardandola dritto negli occhi, disse: «Tu non sei solo una persona, tu sei una Somma Sacerdotessa. Una Somma Sacerdotessa rossa. L’unica che c’è. Perciò farai meglio ad abituartici, allo stress. A un sacco di stress. Soprattutto adesso che Neferet sta creando dei casini da matti». «Lo so, ma...» Kramisha l’interruppe: «Jack è morto. Non possiamo sapere chi sarà il prossimo». Poi sbatté un paio di volte le palpebre, aggrottò la fronte, si chinò in avanti e inspirò rumorosamente proprio vicino al viso di Stevie Rae. Che si liberò della stretta e fece un passo indietro. «Mi stai annusando?» «Sì. Hai uno strano odore. L’avevo già sentito. Quand’eri in infermeria.» «E allora?» «E allora mi ricorda qualcosa.» «Tua mamma?» disse Stevie Rae con una disinvoltura per niente sincera. «Non ci provare neanche. E mentre io ci rifletto su, tu dove vai?» «Si presume che io dia una mano ad Afrodite con la roba da mangiare per Duchessa e per il gatto di Damien. Poi devo andare a recuperare Zy all’aeroporto e farle sapere che Neferet ha deciso di farsi da parte e lasciare che sia lei ad accendere la pira di Jack.» «Già, l’avevo sentito. A me sembra strano.» «Che Zoey accenda il fuoco per Jack?» «No, che Neferet glielo lasci fare.» Kramisha si grattò la testa, facendo ondeggiare la parrucca gialla. «Allora, le cose stanno così: per il momento lascia che di Damien si occupi Afrodite. Tu devi andare là fuori» – indicò gli alberi che circondavano il campus della Casa della Notte – «e fare quella cosa della comunicazione con la terra per cui diventi tutta verde e luminosa. Di nuovo.» «Kramisha, non ho tempo per quello.» «Non ho ancora finito. Hai bisogno di ricaricare le batterie prima che scoppi il finimondo. Ascolta... non sono del tutto sicura che Zoey sarà pronta ad affrontare quello che potrebbe succedere stasera.» Invece di mandare al diavolo Kramisha e il suo atteggiamento da comandina, Stevie Rae pensò sul serio a quanto le stava dicendo. «Potresti avere ragione», commentò infine. «Lei non aveva voglia di tornare. Questo lo sai, vero?» Stevie Rae scrollò le spalle. «Be’, tu ce ne avresti avuta al suo posto? Ne ha passate un sacco.» «Credo che non ne avrei avuta neanche un po’, ed è per questo che te lo sto dicendo, perché la capisco. Però Zoey non è l’unica tra noi ad averne passate un sacco di recente. E qualcuno se la sta ancora passando piuttosto male. Dobbiamo imparare tutti a risolvere i nostri problemi e ad affrontare le nostre responsabilità.» «Ehi, sta tornando, quindi... direi che lo sta facendo eccome», replicò Stevie Rae. «Non stavo parlando solo di Zoey.» Kramisha piegò a metà il foglietto viola e lo tese a Stevie Rae, che lo prese controvoglia. Quando la vampira sospirò e iniziò ad aprirlo, Kramisha scosse la testa. «Non c’è bisogno che tu lo legga con me presente.» Stevie Rae guardò la novizia con un punto di domanda stampato in faccia. «Senti, lascia che ti dica una cosa, da Poeta Laureato a Somma Sacerdotessa, e vedi di ascoltarmi: prendi la poesia e va’ sotto un albero. Leggila lì. Riflettici per bene. Qualunque cosa tu abbia in ballo, devi fare un cambiamento. Questo è il terzo avvertimento che mi arriva per te. Stevie Rae, piantala d’ignorare la verità, perché quello che fai non riguarda solo te. Hai capito bene?» Stevie Rae inspirò a fondo. «Sì.» «Bene. Adesso vai.» Kramisha fece per entrare nel dormitorio. «Ehi, glielo spieghi tu ad Afrodite che ho delle cose da fare e quindi non la raggiungo?» Kramisha si voltò appena. «Sì, ma mi devi una cena al Red Lobster.» «Affare fatto. Mi piace il Lobster.» «Ordinerò tutto quello che mi va.» «Non avevo dubbi», brontolò sottovoce Stevie Rae, poi fece un altro sospiro e si diresse verso gli alberi. CAPITOLO 17 STEVIE RAE Stevie Rae non era sicura di aver capito il significato della poesia, ma era certa che Kramisha avesse ragione: doveva smettere d’ignorare la verità e fare dei cambiamenti. Il problema però era che lei non sapeva se fosse ancora in grado di riconoscerla, la verità, figuriamoci di agire di conseguenza. Fissò la poesia. La sua visione notturna era così buona che non doveva nemmeno spostarsi dall’ombra delle vecchie querce che fiancheggiavano il lato del campus che dava su Utica Street e la stradina laterale che portava all’ingresso della scuola. «La poesia ermetica è sempre un gran casino», mormorò rileggendo i tre versi. Devi svelare il tuo cuore. Il manto dei segreti soffoca la libertà: sta a lui scegliere. Parlava di Rephaim. E di lei. Di nuovo. Stevie Rae si lasciò cadere ai piedi del grande albero, la schiena appoggiata alla corteccia ruvida, traendo conforto dalla sensazione di forza che le trasmetteva la quercia. Si presume che debba svelare il mio cuore, ma a chi? E lo so che tenere i segreti mi soffoca, però non posso raccontare a nessuno di Rephaim. Sta a lui scegliere la libertà? Sì, certo, ma il paparino lo tiene talmente stretto che per lui è quasi impossibile... Che ironia: un antico immortale e un mostro mezzo corvo, mezzo immortale, legati da quella che fondamentalmente era una versione vecchia scuola dello stesso rapporto padre-figlio che una miliardata di altri ragazzi sperimentava coi loro genitori stronzi. Kalona aveva sempre trattato Rephaim come uno schiavo, facendogli credere un sacco di cavolate su se stesso per così tanto tempo che lui ormai non riusciva neanche più a capire quanto tutto ciò fosse sbagliato. Non che il rapporto tra Stevie Rae e il Raven Mocker fosse meno incasinato: erano legati dall’Imprinting e dalla promessa che la vampira aveva fatto al toro nero. «Be’, non proprio solo per quella promessa», mormorò lei tra sé. Si era sentita attratta da lui anche prima. «È che... mi piace», confessò alla notte silenziosa, incespicando sulle parole come se ci fossero altri testimoni oltre agli alberi muti. «Vorrei tanto sapere se è a causa dell’Imprinting o perché dentro di lui c’è qualcuno che merita di essere amato.» Restò seduta a fissare l’intreccio di rami spogli simili a una ragnatela che aveva sopra la testa. Poi, visto che si stava confidando con gli alberi, aggiunse: «Il punto è che io non dovrei rivederlo mai più». Anche solo l’idea di Dragone che scopriva la verità su di lei e sul mostro che aveva ucciso Anastasia le faceva venire voglia di vomitare. «Magari la parte di poesia che parla di libertà significa che, se smetto di vederlo, Rephaim sceglierà di andarsene. Magari, se stiamo lontani, il nostro Imprinting sparirà.» Bastava il pensiero a farle tornare la nausea. «In realtà, vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse cosa devo fare», disse imbronciata, appoggiando il mento sulle mani. Quasi a risponderle, il vento portò fino a lei il suono di un pianto. Stevie Rae aggrottò la fronte e si mise in ascolto: oh, sì, c’era decisamente qualcuno che singhiozzava. Non aveva molta voglia di seguire quel suono – dato che di pianti a dirotto ultimamente ne aveva avuti più che a sufficienza –, ma quello era così disperato, così triste che era impossibile ignorarlo: non sarebbe stato giusto. Perciò Stevie Rae s’incamminò lungo la stradina che portava all’ingresso principale della scuola. Non capì subito chi fosse quella donna che piangeva fuori del grande cancello di ferro battuto. Avvicinandosi, Stevie Rae notò che era inginocchiata e che aveva appoggiato al pilastrino di pietra quella che sembrava una corona funebre realizzata con garofani rosa di plastica e foglie verdi. Davanti a lei era accesa una candela verde e, mentre continuava a piangere, la signora stava tirando fuori della borsetta una foto. Solo quando la donna la portò alle labbra per baciarla, Stevie Rae riuscì a vedere il suo viso. «Mami!» Aveva a malapena bisbigliato, ma sua mamma alzò la testa di colpo e i suoi occhi trovarono immediatamente la figlia. «Stevie Rae? Piccolina?» Udendo quella voce, il nodo che stringeva lo stomaco di Stevie Rae si sciolse e la ragazza corse al cancello. Senza altri pensieri se non il desiderio di raggiungere sua madre, Stevie Rae scavalcò con facilità il muro di cinta, atterrando dall’altra parte. «Stevie Rae?» Trovando impossibile parlare, la vampira annuì e basta, mentre le lacrime iniziavano a scorrerle sulle guance. «Oh, piccolina, sono così felice di rivederti un’ultima volta.» Sua mamma si tamponò il viso col fazzoletto di stoffa che stringeva in mano, cercando di smettere di piangere. «Tesoro, ovunque ti trovi, spero che tu sia felice», disse fissando il volto di Stevie Rae come se cercasse d’imprimerselo nella memoria. «Mi manchi così tanto! Volevo venire prima a lasciare la corona, la candela e questa foto in cui sei così carina, ma la bufera me l’ha impedito. E poi, quando hanno liberato le strade, non riuscivo comunque a decidermi a venire perché lasciare tutto questo avrebbe reso la cosa definitiva. Saresti stata morta sul serio.» «Oh, mami! Anche tu mi sei mancata tanto!» Stevie Rae si gettò tra le sue braccia, nascose il viso nel cappotto fru-fru e, inspirando odore di casa, prese a singhiozzare ancora di più. «Su, su, tesoro. Andrà tutto bene. Vedrai. Andrà tutto a posto.» Infine, dopo quelle che sembrarono ore, Stevie Rae riuscì a guardare sua mamma. Virginia «Ginny» Johnson le sorrise tra le lacrime e la baciò, prima sulla fronte e poi, con delicatezza, sulle labbra. Quindi mise la mano in tasca e prese un secondo fazzoletto, ancora ben stirato e piegato. «Meno male che non ne ho portato uno solo.» «Grazie, mami. Tu sei sempre pronta a tutto.» Stevie Rae fece un sorrisone, si asciugò la faccia e soffiò il naso. «Non è che per caso hai qualcuno dei tuoi biscotti al cioccolato?» La mamma aggrottò la fronte. «Ma come fai a mangiare?» «Be’, con la bocca, come sempre.» «Piccolina, so che tu comunichi attraverso il mondo degli spiriti.» Mamma Johnson pronunciò le ultime parole a bassa voce e facendo gesti approssimativamente mistici. «Sono felice comunque di rivedere la mia bambina, anche se devo ammettere che mi ci vorrà un momento per abituarmi all’idea che sei un fantasma e tutto il resto, soprattutto uno che piange lacrime vere e che mangia. Non è che abbia molto senso.» «Mami, io non sono un fantasma.» «Sei una specie di apparizione? Se è così, piccola, per me non ha importanza. Io ti voglio bene comunque. Verrò qui in continuazione se è qui che vuoi stare. Te lo chiedo solo per saperlo.» «Mami, io non sono morta. Non più.» «Piccolina, hai avuto un’esperienza paranormale?» «Oh, mami, non hai idea...» «E non sei morta? Per niente?» «No, e a dire il vero non so perché. Sembrava che fossi morta, ma poi sono tornata e adesso ho questo.» Stevie Rae indicò il tatuaggio rosso di foglie e rampicanti che le incorniciava il viso. «A quanto sembra, sono la prima Somma Sacerdotessa Rossa.» Mamma Johnson aveva smesso di piangere, ma la spiegazione di Stevie Rae le fece di nuovo venire le lacrime agli occhi. «Non sei morta...» mormorava tra un singhiozzo e l’altro. «Non sei morta...» Stevie Rae l’abbracciò di nuovo, forte. «Mi dispiace tanto di non essere venuta a dirtelo. Volevo farlo, lo volevo davvero. È solo che... be’, all’inizio non ero del tutto in me. E poi a scuola si è scatenato l’inferno. Non potevo andarmene, e come facevo a telefonarti e basta? Cioè, come si fa a chiamare casa e dire: ‘Ciao mami, non riattaccare. Sono proprio io e non sono più morta’. Insomma, è che non sapevo come fare. Mi dispiace tanto», ripeté, chiudendo gli occhi e aggrappandosi alla madre con tutta se stessa. «No, no, va bene così. Va bene. Quello che conta è che sei qui e stai bene.» La mamma di Stevie Rae si staccò dall’abbraccio quanto bastava per guardare in faccia la figlia mentre si asciugava gli occhi. «Perché stai bene, vero?» «Sì, mami, è tutto okay.» Mamma Johnson allungò una mano verso il mento della ragazza, costringendola a incrociare il suo sguardo, poi scosse la testa e, nel suo deciso e familiare tono materno, disse: «Non è bello mentire alla mamma». Non sapendo cosa replicare, Stevie Rae rimase immobile a fissare la madre, mentre dentro di lei cominciava ad andare in pezzi la barriera di segreti, bugie e desideri. «Sono qui con te, piccolina. E ti voglio bene. Dimmi tutto.» «Mi trovo in una brutta situazione. Proprio bruttissima», azzardò Stevie Rae. La voce della madre era calda e piena di amore. «Tesoro, non c’è niente di più brutto del saperti morta.» Fu questo a far decidere Stevie Rae: l’amore incondizionato di sua madre. Prese un bel respiro e confessò: «Ho un Imprinting con un mostro. Un essere mezzo immortale e mezzo corvo. Lui ha fatto delle cose brutte. Ma brutte tanto. Ha persino ucciso delle persone». L’espressione di mamma Johnson non cambiò di una virgola, e lei si limitò a stringere con forza le mani della figlia. «E questo essere è qui? A Tulsa?» Stevie Rae annuì. «Però sta nascosto. Alla Casa della Notte nessuno sa di lui e di me.» «Nemmeno Zoey?» «No, soprattutto Zoey. Lei andrebbe fuori di testa. Cavolo, mami, tutti quelli che conosco andrebbero fuori di testa. Lo so che prima o poi verrò scoperta. Succederà, e io non so cosa fare. È così orribile. Mi odieranno tutti. Non capiranno.» «Non ti odieranno tutti, piccola. Io non ti odio.» Stevie Rae sospirò e poi sorrise. «Ma tu sei la mia mamma. Volermi bene è un tuo dovere.» «È un dovere anche degli amici, se sono veri amici.» Mamma Johnson s’interruppe per un istante, poi chiese: «Piccolina, quella creatura ti ha fatto qualcosa? Ti ha ricattata? Insomma, io non so molto delle abitudini dei vampiri, ma lo sanno tutti che l’Imprinting è una cosa seria. Ti ha costretta in qualche modo? Perché, se è così, possiamo andare a dirlo alla tua scuola. Loro capiranno e di certo troveranno il modo per aiutarti a liberarti di lui». «No, no. Ho l’Imprinting con Rephaim perché lui mi ha salvato la vita.» «Ti ha riportata qui dal mondo dei morti?» Stevie Rae scosse la testa. «Non so con precisione come ho fatto a tornare da non-morta, ma ha a che vedere con Neferet.» «Allora dovrei ringraziarla. Magari potrei...» «No, mami! Devi stare lontana dalla scuola e da Neferet. Lei non è buona. Finge di esserlo ma è tutto il contrario.» «E questo essere che chiami Rephaim?» «Lui è stato dalla parte della Tenebra per un sacco di tempo. Suo padre è molto ma molto cattivo e gli ha incasinato la testa.» «Però ti ha salvato la vita?» «Due volte, e lo rifarebbe. Sono certa che lo rifarebbe.» «Senti, piccola, pensaci bene prima di rispondere a due domande che ho da farti.» «Okay.» «Primo, tu ci vedi del buono in lui?» «Sì. Assolutamente», rispose Stevie Rae senza esitazioni. «Secondo, ti farebbe del male? Sei al sicuro con lui?» «Mami, per salvarmi ha affrontato un mostro così orribile che non lo riesco nemmeno a descrivere, un mostro che si è rivoltato contro di lui e lo ha ferito. Ferito seriamente. E tutto per evitare che venissi ferita io. Credo che morirebbe piuttosto di farmi del male.» «Allora, da cuore di mamma a cuore di figlia, ti dirò una verità: non riesco neanche a immaginare come possa essere un misto di uomo e corvo, ma metterò da parte questa follia perché ti ha salvata e tu sei legata a lui. E tutto questo, tesoro mio, significa che, quando per lui verrà il momento di scegliere tra le cose cattive del passato e un futuro diverso con te, se è abbastanza forte, sceglierà te.» «Ma i miei amici non l’accetteranno mai. E la cosa peggiore è che i vampiri cercheranno di ucciderlo.» «Senti, se il tuo Rephaim ha fatto le cose orribili che dici, e io ti credo, allora qualche conseguenza la dovrà pagare. Ma questo riguarda lui, non te. Devi ricordarti una cosa: le uniche azioni che puoi controllare sono le tue. Piccola, devi solo fare quello che è giusto. Sei sempre stata brava in questo. Proteggi quelli cui vuoi bene. Difendi ciò in cui credi. Ecco, non puoi fare altro. E, se questo Rephaim sarà al tuo fianco, potresti stupirti dei risultati che potrai ottenere.» Stevie Rae sentì gli occhi riempirsi di nuovo di lacrime. «Mi aveva detto che dovevo venire da te. Non ha mai conosciuto la sua mamma. Lei è stata violentata da suo padre ed è morta quando lui è nato. Però, non molto tempo fa, mi ha detto che dovevo trovare la maniera di vederti.» «Piccola, un mostro non la direbbe una cosa simile.» «Lui però non è nemmeno umano!» Stevie Rae stringeva le mani di sua madre con tanta forza da avere le dita intorpidite, ma non poteva lasciarle. Non l’avrebbe mai lasciata. «Stevie Rae, neanche tu sei umana, non più, e per me non fa la minima differenza. Questo Rephaim ti ha salvato la vita. Due volte. Quindi a me non importa se è metà rinoceronte e ha un corno che gli spunta sulla fronte. Ha salvato la mia bambina e, la prossima volta che lo vedi, devi dirgli da parte mia che si merita un grandissimo abbraccio.» A Stevie Rae scappò una risatina al pensiero di vedere sua madre che abbracciava Rephaim. «Glielo dirò.» Il viso di mamma Johnson si fece molto serio. «Sai, prima dirai a tutti la verità su di lui, meglio sarà. Giusto?» «Lo so. Ci proverò. In questo periodo stanno succedendo un sacco di cose, e non è il momento migliore per scaricare sugli altri anche questo.» «È sempre il momento giusto per dire la verità», sentenziò la donna. «Oh, mami, non so come ho fatto a cacciarmi in questo delirio!» «Ma sì che lo sai, piccola. Io non ero qui, eppure posso dirti che ci dev’essere qualcosa di quella creatura che ti ha colpita, qualcosa che potrebbe finire per aiutarla a redimersi.» «Solo se è abbastanza forte. E io non so se lo è. Per quanto ne so io, non si è mai opposto a suo padre.» «Il padre approverebbe che tu stia con lui?» Stevie Rae sbottò: «Neanche per sogno!» «Però lui ti ha salvato la vita due volte e ha creato un Imprinting con te. Tesoro, a me sembra proprio che sia da un po’ ormai che si oppone a suo padre.» «No, è successo tutto mentre suo padre era, come dire, all’estero. Adesso è tornato, e Rephaim ha ricominciato a fare tutto quello che vuole lui.» «Sul serio? E tu come fai a saperlo?» «Me l’ha detto oggi quand’è...» Stevie Rae non terminò la frase, sgranando gli occhi. Sua mamma sorrise e assentì. «Visto?» «Ohsssantocielo! Potresti avere ragione!» «Ma certo che ho ragione. Sono la tua mamma.» «Ti voglio bene, mami», disse Stevie Rae. «Ti voglio bene anch’io, piccolina.» CAPITOLO 18 REPHAIM «Non posso credere che tu voglia farlo», esclamò Kalona camminando avanti e indietro sul terrazzo del Mayo. «È necessario, è il momento ed è la cosa giusta da fare!» La voce di Neferet era un crescendo, quasi lei stesse per esplodere. «La cosa giusta da fare? Neanche fossi una creatura della Luce!» Rephaim non era riuscito a trattenersi, né a dare un tono meno incredulo alla propria voce. Neferet si voltò verso di lui come una furia. Sollevò una mano e i tentacoli di potere tremolarono nell’aria intorno a lei, per poi scivolare sotto la sua pelle. A quella vista, Rephaim ricordò il dolore terribile provocato dal tocco dei fili di Tenebra e gli si strinse lo stomaco. In modo automatico, arretrò di un passo. «Mi stai forse contestando, mezzo corvo?» Neferet sembrava pronta a scagliare la Tenebra contro di lui. «Rephaim non ti sta contestando, e neppure io. Semplicemente siamo entrambi stupiti», disse Kalona in tono calmo e autorevole, mettendosi tra la Tsi Sgili e il figlio. «È l’unica cosa che Zoey e i suoi alleati non si aspettano. Quindi, anche se mi disgusta, mi sottometterò a lei... e in questo modo la renderò del tutto inoffensiva: se oserà anche solo mormorare qualcosa contro di me, tutti la vedranno per la ragazzetta petulante che è in realtà.» «Pensavo avresti preferito distruggerla invece che umiliarla», riprese Rephaim. Neferet sghignazzò e si rivolse a lui come se fosse un idiota. «Potrei ucciderla anche stanotte tuttavia, comunque io orchestri la cosa, verrei sospettata. Persino quelle bacucche rimbambite del Consiglio Supremo si sentirebbero in dovere di venire qui... a osservarmi, a interferire coi miei piani. No, non sono ancora pronta e, finché non lo sarò, voglio che Zoey Redbird se ne stia a cuccia al posto che le compete. È solo una novizia e, da questo momento in poi, verrà trattata come tale. Inoltre intendo occuparmi anche del suo gruppetto di amici, soprattutto di quella che si definisce prima ’Somma Sacerdotessa Rossa’. Stevie Rae? Una Somma Sacerdotessa? Ho intenzione di rivelare chi è in realtà.» «Chi è?» dovette chiedere Rephaim, pur tenendo la voce bassa e l’espressione più assente che poteva. «È una vampira che ha conosciuto, e persino abbracciato, la Tenebra.» «Ma alla fine ha scelto la Luce», replicò Rephaim, che si accorse di aver parlato troppo in fretta quando Neferet strinse le palpebre. «Il fatto che sia stata toccata dalla Tenebra l’ha cambiata per sempre», intervenne Kalona. Neferet gli rivolse un sorriso dolce. «Hai proprio ragione, mio Consorte.» «L’aver conosciuto la Tenebra non può avere dato più forza alla Rossa?» Rephaim non ce la faceva proprio a non chiedere. «È ovvio che sia così. La Rossa è una vampira potente, anche se giovane e inesperta, per questo è così utile al nostro scopo», spiegò Kalona. «Ritengo che in Stevie Rae ci sia più di quanto ha mostrato ai suoi amichetti. L’ho vista mentre si trovava nella Tenebra. Ci godeva. Dico che dobbiamo osservarla e scoprire cosa c’è sotto quell’aspetto luminoso e innocente», concluse Neferet in tono sarcastico. «Come dessssideri», ribatté Rephaim, disgustato che Neferet l’avesse fatto arrabbiare al punto di sibilare come un animale. Neferet lo fissò. «Percepisco un cambiamento in te.» Rephaim s’impose di continuare a sostenere il suo sguardo. «In assenza di mio padre, sono stato più vicino alla morte e alla Tenebra di quanto non mi fosse mai accaduto. Se percepisci un cambiamento in me, può darsi sia per questo.» «Può darsi», ripeté lentamente Neferet. «Ma può anche darsi di no. Come mai ho il sospetto che tu non sia del tutto felice che tuo padre e io siamo tornati a Tulsa?» Rephaim cercò di nascondere alla Tsi Sgili l’odio e la rabbia che si agitavano in lui. «Sono il figlio prediletto di mio padre. Come sempre, sto al suo fianco. I giorni in cui è stato lontano da me sono stati i più bui della mia esistenza.» «Davvero? Ma che cosa terribile!» commentò sarcastica Neferet. Poi, come a chiudere il dialogo con lui, gli voltò le spalle per rivolgersi a Kalona. «Le parole del tuo prediletto mi ricordano una cosa: dov’è il resto delle creature che chiami figli? Una manciata di novizi e di suore non sarà certo riuscita a ucciderli tutti.» Kalona strinse i denti e i suoi occhi si accesero di una luce ambrata. Accortosi che il padre faticava a controllare la rabbia, Rephaim si affrettò a intervenire: «Alcuni miei fratelli sono sopravvissuti. Li ho visti fuggire quando tu e mio padre siete stati banditi». Le palpebre di Neferet si strinsero a fessura. «Io non sono più bandita.» Non più, ma una manciata di novizi e di suore una volta c’è riuscita, pensò Rephaim sostenendo il suo sguardo senza battere ciglio. Di nuovo, fu Kalona a distogliere da lui l’attenzione della Tsi Sgili. «Gli altri non sono come Rephaim. A loro serve aiuto per nascondersi in una città senza venire individuati. Devono aver trovato dei posti sicuri più lontano dalla civiltà.» Ormai tratteneva a stento la rabbia. Rephaim si chiese quanto fosse diventata cieca Neferet: credeva davvero di essere così potente da poter punzecchiare in continuazione un antico immortale senza pagarne le conseguenze? «Be’, adesso siamo tornati. Dovrebbero essere qui. Sono un’aberrazione della natura, ma sono pure molto utili. Durante il giorno possono stare nell’appartamento, sempre che stiano lontani dalla mia camera da letto. Di sera possono strisciare fuori in attesa dei miei ordini.» «Vorrai dire dei miei ordini.» Kalona non aveva alzato la voce, ma la forza che vi s’intuiva fece venire i brividi a Rephaim. «I miei figli obbediscono solo a me. Sono legati a me dal sangue, dalla magia e dal tempo. Soltanto io posso controllarli.» «Allora presumo tu possa controllarli abbastanza da farli venire qui.» «Certamente.» «Bene, richiamali o falli radunare da Rephaim, come ti pare. Non posso occuparmi io di tutto.» «Come desideri», disse Kalona echeggiando le parole di Rephaim. «Adesso vado a umiliarmi davanti a una scuola piena di esseri inferiori perché tu non hai impedito a Zoey Redbird di tornare in questo mondo.» I suoi occhi sembravano ghiaccio verde. «Ed è per questo che tu adesso obbedisci solo a me. Fatti trovare qui quando torno.» Neferet lasciò il terrazzo. Il suo lungo mantello sembrava sul punto di restare incastrato nella porta che le si stava chiudendo alle spalle, ma all’ultimo momento s’increspò e zampettò vicino alla Tsi Sgili, avvolgendosi attorno alle sue caviglie come un’appiccicosa pozza di catrame. Rephaim affrontò suo padre, l’antico immortale che serviva fedelmente da secoli. «Come puoi permettere che ti parli così? Che ti usi così? Ha definito i miei fratelli aberrazioni della natura, ma è lei il vero mostro!» Sapeva che non si sarebbe dovuto rivolgere a lui in quel modo, tuttavia non era riuscito a trattenersi: vedere l’orgoglioso e potente Kalona comandato a bacchetta come un servitore gli era insopportabile. Rephaim aveva già visto scatenarsi l’ira di suo padre, perciò sapeva cos’aspettarsi quando lui si avvicinò. Kalona spalancò le grandi ali, ma il colpo non arrivò. Lo sguardo dell’immortale era pieno di disperazione, non di rabbia. «Non anche tu. Da lei mi aspetto disprezzo e slealtà: ha tradito una dea per liberarmi. Ma tu... non avrei mai creduto che potessi rivoltarti contro di me.» «Padre, no! Non l’ho fatto!» disse Rephaim, allontanando dalla mente ogni pensiero relativo a Stevie Rae. «Solo non riesco a sopportare il modo in cui ti tratta.» «Ecco perché devo scoprire un sistema per spezzare quel maledetto giuramento.» Kalona sbuffò, frustrato, e si accostò alla balaustra di pietra, fissando la notte. «Se solo Nyx si fosse tenuta fuori dal combattimento con Stark... Lui sarebbe rimasto morto e, nel profondo dell’anima, so che Zoey non avrebbe trovato la forza di tornare in questo regno e al suo corpo, non dopo aver perso anche lui.» Rephaim raggiunse il padre. «Morto? Nell’Aldilà hai ucciso Stark?» «Sì, certo. Lui e io abbiamo lottato e, ovviamente, io l’ho ucciso. Non aveva la minima possibilità di sconfiggermi, anche se era riuscito a diventare un Guardiano e a impugnare la grande claymore.» Rephaim era incredulo. «Nyx ha resuscitato Stark? Ma la Dea non interferisce con le decisioni umane. E quella di difendere Zoey contro di te era stata una decisione di Stark.» «Non è stata Nyx a resuscitare Stark. Sono stato io.» «Tu?» Rephaim era sconvolto. Kalona annuì e continuò a fissare il cielo, evitando d’incrociare lo sguardo del figlio. «Ho ucciso Stark. Pensavo che, a quel punto, Zoey si sarebbe tirata indietro, preferendo rimanere nell’Aldilà insieme con l’anima del suo Guerriero e del suo Consorte. O magari che il suo spirito sarebbe rimasto per sempre in pezzi e lei si sarebbe trasformata in un Caoinic Shi, uno spettro sempre in movimento. Anche se non desideravo si verificasse quest’ultima possibilità. Io non la odio quanto Neferet.» Il suo tono era così teso da sembrare che lui si stesse strappando a forza dalla gola ogni parola. A Rephaim pareva che il padre si rivolgesse più a se stesso che non a lui perciò, quando si zittì, restò pazientemente in silenzio, aspettando che continuasse. «Zoey è più forte di quanto non avessi previsto», disse infine Kalona rivolto alla notte. «Invece di tirarsi indietro o di andare definitivamente in pezzi, ha attaccato.» Al ricordo, l’immortale ridacchiò. «Mi ha infilzato con la mia stessa lancia e poi mi ha ordinato di ridare la vita a Stark, come pagamento per il debito che avevo contratto con lei quando avevo ucciso quel suo ragazzo. Ovviamente mi sono rifiutato.» «Ma, padre, il debito di una vita è una cosa potente!» sbottò Rephaim. «Vero, ma io sono un immortale potente. Le conseguenze che ricadono sui mortali non mi riguardano.» Simili a un vento gelido, i pensieri di Rephaim presero a bisbigliargli nella testa: Forse si sbaglia. Forse quello che gli sta succedendo è parte delle conseguenze che pensava di non dover pagare perché è troppo potente. Ma lui non era tanto ingenuo da contraddire Kalona, perciò si limitò a chiedere: «Quindi ti sei rifiutato di obbedire a Zoey... e poi cos’è successo?» «È arrivata Nyx, ecco cos’è successo», replicò con amarezza Kalona. «Potevo opporre un rifiuto a una Somma Sacerdotessa bambina, ma di certo non alla Dea. Non potrei mai rifiutare qualcosa alla Dea. Ho soffiato in Stark un frammento della mia immortalità. Lui ha ripreso a vivere e Zoey è tornata al suo corpo, riuscendo a salvare dall’Aldilà anche il suo Guerriero. E adesso sono sotto il controllo di una Tsi Sgili completamente pazza, almeno secondo il mio parere.» A quel punto, Kalona guardò Rephaim. «Se non spezzo questo legame, potrebbe trascinarmi con sé nella sua follia. Erano secoli che non percepivo un rapporto così stretto con la Tenebra quanto quello che ha lei. È qualcosa di molto potente, oltre che affascinante e pericoloso.» «Dovresti uccidere Zoey.» Rephaim lo disse lentamente, esitando, odiandosi per ogni sillaba pronunciata, perché sapeva quanto dolore avrebbe provocato a Stevie Rae la morte della sua amica. «Naturalmente ci ho già pensato...» Rephaim trattenne il fiato. «Però sono giunto alla conclusione che uccidere Zoey Redbird sarebbe un palese affronto a Nyx. È da moltissimo tempo che non servo la Dea. Ho fatto cose che lei considererebbe... imperdonabili. Ma non ho mai tolto la vita a una sacerdotessa al suo servizio.» «Temi Nyx?» «Solo uno sciocco non teme una dea. Persino Neferet si tiene al riparo dall’ira di Nyx non uccidendo Zoey, anche se la Tsi Sgili non lo ammetterebbe neanche con se stessa.» «Neferet è così gonfia di Tenebra che non pensa più in modo razionale.» «Vero, ma ciò non significa che non sia furba. Per esempio, sono convinto che possa avere ragione riguardo alla Rossa: potrebbe essere usata da noi o magari addirittura allontanata dalla strada che ha scelto.» Kalona si strinse nelle spalle. «Oppure potrebbe continuare a rimanere al fianco di Zoey e venire distrutta quando Neferet l’attaccherà.» «Padre, io non credo che Stevie Rae stia semplicemente al fianco di Zoey. Penso stia anche con Nyx. Mi pare logico presumere che la prima Somma Sacerdotessa Rossa di Nyx sia speciale agli occhi della Dea. Per questo non sarebbe meglio non coinvolgere neppure lei, oltre a Zoey?» Kalona assentì con aria solenne. «Figlio mio, credo tu abbia ragione. Se la Rossa non si allontanerà dalla via della Dea, io non la toccherò. E, se Neferet distruggerà Stevie Rae, sarà lei a incorrere nell’ira della Dea.» Rephaim mantenne un ferreo controllo su tono di voce ed espressione. «È una decisione saggia, padre.» «Ovviamente ci sono altri modi per ostacolare una Somma Sacerdotessa senza ucciderla.» «Cos’hai intenzione di fare per ostacolare la Rossa?» «Nulla, almeno finché Neferet non sarà riuscita ad allontanarla dalla strada che ha scelto. A quel punto, deciderò se guidare i suoi poteri o farmi da parte quando Neferet la distruggerà.» Kalona accantonò il problema con un gesto della mano. «Pensiamo piuttosto a Zoey. Se si opponesse pubblicamente a Neferet, la Tsi Sgili sarebbe distratta. E tu e io potremmo concentrarci su come spezzare il mio legame con lei.» «Ma, come ha detto Neferet, se dopo stasera Zoey dicesse qualcosa contro di lei, verrebbe rimproverata e screditata. Zoey è abbastanza saggia da capirlo. Non si scontrerà apertamente con Neferet.» Kalona sorrise. «Ah, ma che succederebbe se il suo Guerriero, il suo Guardiano, l’unica persona sulla terra di cui si fida nel modo più assoluto, iniziasse a mormorarle che non dovrebbe consentire alla Tsi Sgili di passarla liscia per tutte le sue malefatte? Che deve ottemperare al proprio ruolo di Somma Sacerdotessa e opporsi a lei, quali che siano le possibili conseguenze?» «Stark non lo farebbe mai.» «Il mio spirito può entrare nel corpo di Stark.» Rephaim restò senza fiato. «Come?» Kalona si strinse nelle ampie spalle. «Non so. Non avevo mai sperimentato una cosa simile.» «Dunque è un legame più forte dell’entrare nel regno dei sogni per trovare uno spirito addormentato?» «Molto di più. Stark era completamente sveglio e io ho seguito una scia che pensavo mi avrebbe portato da A-ya nel regno dei sogni, se Zoey fosse stata addormentata. Invece mi ha portato da Stark. Dentro Stark. Credo abbia percepito qualcosa, ma non ritengo sapesse che ero io.» Kalona inclinò la testa, pensieroso. «È possibile che la mia capacità di unire il mio spirito al suo sia il risultato della scheggia d’immortalità che ho infuso in lui.» ... la scheggia d’immortalità che ho infuso in lui. Le parole del padre si agitavano nella mente di Rephaim. Doveva esserci qualcosa, qualcosa che sfuggiva a entrambi. «Avevi già condiviso con qualcuno la tua immortalità?» «No di certo. La mia immortalità non è un potere che condividerei con altri di mia spontanea volontà.» E, all’improvviso, l’idea che si nascondeva in un angolo del cervello di Rephaim gli divenne chiara: non c’era da stupirsi se Kalona era sembrato diverso da quando era tornato dall’Aldilà! Adesso tutto aveva senso. «Padre! Quali erano i termini esatti del giuramento che hai fatto a Neferet?» Kalona lo guardò perplesso, ma recitò comunque la formula: «Se avessi fallito nel tentativo di distruggere Zoey Redbird, Somma Sacerdotessa novizia di Nyx, Neferet avrebbe avuto il controllo assoluto del mio spirito fintanto che io fossi stato un immortale». Rephaim fu attraversato da un brivido di eccitazione. «E come fai a sapere che Neferet ha realmente il controllo assoluto del tuo spirito?» «Non ho distrutto Zoey, ecco come faccio a saperlo.» «No, padre. Se hai condiviso la tua immortalità con Stark, tu non sei più completamente immortale, proprio come Stark non è più del tutto mortale. Le condizioni perché il giuramento sia valido non esistono, e non sono mai esistite. Dunque tu non sei legato a Neferet.» «Non sono legato a Neferet?» L’espressione di Kalona passò dall’incredulità allo sconcerto e, infine, alla gioia. «Non credo che tu lo sia», affermò Rephaim. «C’è soltanto un modo per esserne sicuri», ribatté Kalona. Rephaim annuì. «Devi disobbedirle apertamente.» «Questo, figlio mio, sarà un vero piacere.» Osservando il padre spalancare le braccia all’indietro e gridare di gioia verso il cielo, Rephaim capì che quella sera sarebbe cambiato tutto e che, qualunque cosa fosse accaduta, doveva trovare il modo di assicurarsi che Stevie Rae ne uscisse sana e salva. CAPITOLO 19 ZOEY «Hai proprio un’aria stanca.» Sfiorai il viso di Stark come se potessi cancellare quelle brutte occhiaie. «Mi pareva che avessi dormito per quasi tutto il viaggio.» Stark mi baciò il palmo della mano e si esibì in un misero tentativo del suo tipico sorrisetto sbruffone. «Sto da dio. È solo il jet lag.» «Come puoi avere il jet lag ancora prima che abbiano tirato su il portellone del jet?» Accennai col mento alla hostess vampira impegnata a fare qualunque cosa sia che dev’essere fatta per poter aprire un aereo dopo l’atterraggio. Si udì un sibilo e l’indicatore luminoso delle cinture di sicurezza prese a fare uno scocciante ding! ding! «Ecco, il portellone è aperto. Adesso posso avere il jet lag», sentenziò Stark slacciandosi la cintura. Sapendo che stava solo facendo lo scemo, gli afferrai il polso costringendolo a rimanere seduto. «Lo vedo che qualcosa non va.» Stark sospirò. «Ho soltanto ricominciato a fare brutti sogni, tutto qui. E, quando mi sveglio, non riesco neanche a ricordarmeli. Non so perché, ma questa per me è la cosa peggiore. Probabilmente è uno strano effetto collaterale dell’essere stato nell’Aldilà.» «Grandioso. Soffri di PTSD. Lo sapevo. Ehi, mi pare di aver letto in una delle newsletter della Casa della Notte che Dragone è uno dei consulenti psicologici della scuola. Forse dovresti andare da lui e...» «No!» m’interruppe, poi, vedendo che lo guardavo male, mi baciò sul naso. «Smettila di preoccuparti. Sto bene. Non ho bisogno di parlare a Dragone dei miei brutti sogni. E poi non ho idea di che diavolo sia ‘sto PTSD ma mi suona un po’ troppo come Patologia Trasmissibile Sessualmente, il che lo rende piuttosto equivoco.» Non potei non ridacchiare. «Equivoco? Sembri Seoras.» «Aye, wumman, allora taci e alza le chiappe dal sedile!» Scossi la testa. «Non mi chiamare wumman! E poi mette i brividi che tu riesca a imitare così bene quell’accento.» Però aveva ragione sul fatto che dovessimo scendere dall’aereo, quindi mi alzai e aspettai che prendesse il mio bagaglio a mano. Mentre scendevamo la scaletta, aggiunsi: «E PTSD sta per Post Traumatic Stress Disorder, cioè disturbo post-traumatico da stress». «Come lo sai?» «Ho inserito in Google i tuoi sintomi ed è saltato fuori questo.» «Cos’è che hai fatto?» chiese a voce talmente alta che una donna col golfino ricamato ci diede un’occhiataccia. «Sstt.» Lo presi sottobraccio per potergli parlare senza far voltare tutti a bocca aperta. «Senti, ti comporti in modo strano: sei stanco, distratto, irascibile... e dimentichi le cose. L’ho messo in Google ed è uscito PTSD. Probabilmente ti serve un aiuto.» Mi guardò con scritto in faccia tu-seipazza. «Zy, io ti amo. Ti proteggerò e ti starò accanto per il resto della mia vita. Ma devi piantarla di cercare in rete roba medica. Soprattutto roba che riguarda me.» «È solo che mi piace essere informata.» «Ti piace metterti strizza da sola leggendo di malattie spaventose.» «E allora?» Mi sorrise, e stavolta sembrò sbruffone e molto figo. «Allora lo ammetti.» «Non necessariamente», replicai dandogli una gomitata. Non riuscii ad aggiungere altro, perché in quel momento fui travolta da una specie di minitornado dell’Oklahoma, che mi abbracciava e piangeva e parlava tutto allo stesso tempo. «Zoey! Ohsssantocielo! Che bello vederti! Mi sei mancata da matti. Stai bene? È terribile la storia di Jack, vero?» «Oh, Stevie Rae, anche tu mi sei mancata!» Ed eccomi a piagnucolare insieme con lei, restandocene lì ad abbracciarci come se in qualche modo il contatto fisico potesse aggiustare tutte le cose sbagliate del nostro mondo. Stark ci osservava sorridendo e, mentre prendeva il pacchetto di Kleenex che si teneva sempre in tasca da quando eravamo tornati dall’Aldilà, pensai che forse – solo forse – il contatto fisico unito ad amore e affetto poteva quasi migliorare le cose nel nostro mondo. «Forza», dissi a Stevie Rae mentre prendevamo i fazzoletti di Stark e tutti e tre attraversavamo tenendoci sottobraccio l’immensa porta girevole che ci catapultò nella fredda sera di Tulsa. «Andiamo a casa, e per strada mi puoi raccontare tutto della gigantesca e puzzolente montagna di cacca che mi aspetta.» «Modera il linguaggio, u-we-tsi-a-ge-utsa.» «Nonna!» Mi sganciai da Stevie Rae e da Stark e corsi tra le sue braccia. La strinsi forte, lasciandomi avvolgere dall’affetto e dal profumo di lavanda. «Oh, nonna, sono così felice che tu sia qui!» «U-we-tsi-a-ge-u-tsa, figlia, fatti guardare.» La nonna mi allontanò, tenendomi le mani sulle spalle, per studiare il mio viso. «È vero, stai di nuovo bene e sei tornata in te.» Poi chiuse gli occhi e mormorò: «Grazie di questo, Grande Madre». Dopo di che ricominciammo ad abbracciarci e a ridere. «Come facevi a sapere che stavo tornando?» le chiesi in una pausa tra un abbraccio e l’altro. «Gliel’hanno detto i suoi super sensi?» s’informò Stevie Rae facendosi avanti per salutare la nonna. Lei sorrise, serafica. «No. Qualcosa di molto più mondano. O forse farei meglio a dire qualcuno di molto più mondano, anche se non sono certa sia l’aggettivo adatto a questo prode Guerriero.» «Stark? Hai chiamato mia nonna?» Mi fece un sorriso da ragazzaccio e ribatté: «Certo, mi piace avere una scusa per telefonare a un’altra bella donna che si chiama Redbird». «Vieni qui, adulatore», disse la nonna. Scossi la testa mentre Stark l’abbracciava con infinita cautela, quasi avesse paura che potesse rompersi. Ha telefonato a mia nonna e le ha detto a che ora atterrava l’aereo. Quando Stark incrociò il mio sguardo, gli mimai un grazie con le labbra, e il suo sorriso divenne ancora più grande. Poi la nonna fu di nuovo al mio fianco, tenendomi per mano. «Ehi, che ne dite se Stevie Rae e io andiamo a prendere la macchina mentre voi parlate un po’?» propose Stark. Ebbi appena il tempo di annuire che i due erano già spariti, lasciando la nonna e me su una panchina. Ci sedemmo e per un secondo restammo in silenzio, tenendoci per mano. Non mi resi conto di stare piangendo finché lei non mi asciugò delicatamente le lacrime. «Lo sapevo che saresti tornata», esordì. «Mi dispiace di averti fatta preoccupare. Mi dispiace di non...» «Sstt, non c’è bisogno di scusarsi. Hai fatto del tuo meglio, e per me è sempre abbastanza.» «Sono stata debole, nonna. Sono ancora debole», confessai con sincerità. Mi sfiorò dolcemente una guancia. «No, gioia, tu sei giovane, tutto qui. Mi dispiace per il tuo Heath. Sentirò la mancanza di quel giovanotto.» «Anch’io», dissi, sbattendo le palpebre come una forsennata per non ricominciare a piangere. «Ma ho la sensazione che voi due vi ritroverete. Magari in questa vita, magari nella prossima.» Annuii. «È quello che ha detto anche lui, prima di passare nel regno successivo dell’Aldilà.» Il sorriso della nonna era sereno. «L’Aldilà... so che le circostanze erano terribili, ma ti è stato fatto un grande dono consentendoti di andarci e di tornare.» Le sue parole mi fecero pensare, pensare sul serio. Da quand’ero tornata nel mondo reale, mi ero sentita stanca, triste e confusa e poi, finalmente, grazie a Stark mi ero sentita contenta e innamorata. «Ma non mi sono sentita riconoscente. Non avevo capito che grande dono mi era stato fatto.» Avrei voluto darmi una martellata in fronte. «Nonna, sono una Somma Sacerdotessa di schifo.» La nonna rise. «Oh, Zoeybird, se fosse vero, non ti metteresti in dubbio né ti rimprovereresti per i tuoi errori.» Sbuffai. «Non credo sia previsto che le Somme Sacerdotesse facciano errori.» «Ma certo, invece. Altrimenti come farebbero a imparare e crescere?» Ero sul punto di ribattere che avevo fatto abbastanza errori da essere cresciuta tipo qualche centinaio di metri, però sapevo che non era quello che intendeva. Quindi sospirai. «Ho un sacco di difetti.» «Ci vuole una donna saggia per ammetterlo.» La tristezza fece svanire il suo sorriso. «È una delle differenze principali tra te e tua madre.» «Mia madre... Ultimamente ho pensato spesso a lei.» «Anch’io. È da diversi giorni che Linda è molto vicina alla mia mente.» Guardai la nonna aggrottando la fronte. Di solito quando qualcuno era «vicino alla sua mente» significava che le stava succedendo qualcosa. «L’hai sentita?» «No, ma sono convinta che la sentirò presto. Mandale pensieri positivi, u-we-tsi-a-ge-u-tsa.» «Lo farò.» In quel momento, il mio Maggiolino si avvicinò scoppiettando, familiare e fighissimo tutto azzurro acquamarina con le cromature scintillanti. «È meglio che rientri a scuola, Zoeybird. Ci sarà bisogno di te stasera», sentenziò la nonna col suo tono più serio. Ci alzammo e ci abbracciammo ancora. Dovetti farmi forza per lasciarla andare. «Nonna, stanotte ti fermi a Tulsa?» «Oh, no, gioia. Ho troppe cose da fare. Domani a Tahlequah ci sarà un grande powwow e io ho preparato dei deliziosi sacchetti di lavanda. Ci ho ricamato sopra degli uccellini rossi con le perline.» Mi sorrise. Le feci un sorrisone e l’abbracciai un’altra volta. «Ne tieni uno per me?» «Sempre. Ti voglio bene, u-we-tsi-a-geu-tsa.» «Anch’io ti voglio bene», replicai. Stark saltò fuori dal Maggiolino e prese sottobraccio la nonna, per aiutarla ad attraversare la strada affollata che separava il terminal dell’aeroporto dal parcheggio. Quindi tornò da me corricchiando. Quando mi aprì la portiera, gli appoggiai le mani sul petto e gli tirai la maglia in modo da farlo chinare e baciarlo. «Sei il miglior Guerriero del mondo», dissi, labbra contro labbra. «Aye», replicò, gli occhi che luccicavano. Infilandomi sul sedile posteriore, nello specchietto incrociai lo sguardo di Stevie Rae che stava al volante. «Siete stati gentili a darmi qualche minuto assieme alla nonna.» «Nessun problema, Zy. Lo sai che le voglio bene.» «Già, anch’io.» Poi raddrizzai le spalle e, sentendomi piena di forza, continuai: «Okay. D’accordo. Raccontami tutte le scempiate in cui andrò a impantanarmi quando rientrerò a scuola». «Trattieni i cavalli perché è un casino colossale», esordì Stevie Rae mettendo la freccia per immettersi sulla strada. «Ma se a te nemmeno piacciono i cavalli», ribattei. «Esatto», disse lei, il che proprio non aveva senso ma mi fece ridere. E già, scempiate colossali o no, ero proprio contenta di essere a casa. «Ancora non riesco a credere che le vampire del Consiglio Supremo siano state così ingenue», dissi all’incirca per la milionesima volta mentre Stevie Rae mi aiutava a scegliere cosa indossare per accendere la pira funebre di Jack. Rabbrividii. Senza bussare, Afrodite entrò volteggiando nella stanza. Diede un’occhiata al maglioncino a collo alto nero e ai jeans dello stesso colore che tenevo in mano e sbottò: «Oh, ma che cazzo! Non puoi metterti quella roba. Devi accendere la pira funebre di un gay. Ma lo sai come si sentirebbe mortificato Jack se ti vedesse vestita in quel modo, per non parlare di Damien? Cos’è, Anita Blake ha messo in svendita il suo guardaroba?» «Chi è Anita Blake?» chiese Stevie Rae. «Un’ammazzavampiri inventata da una ragazza umana che ha un senso della moda peggio che tragico.» Afrodite indossava un vestito aderentissimo color zaffiro un po’ luccicante, ma non tanto da sembrare uno di quei modelli da ballo della scuola scartati da David’s Bridal, lo stilista degli abiti da cerimonia. A dire il vero, lei era splendida e assolutamente di classe, come al solito. Probabilmente perché Victoria, la sua personal shopper del super scicchissimo Miss Jackson’s di Utica Square, aveva messo via per lei quell’accidenti di abito non appena era arrivato in negozio e poi l’aveva addebitato direttamente sulla carta platino della sua mammina. Sigh. Chissà perché, un po’ mi faceva male al cuore. Comunque, Afrodite raggiunse a grandi passi il mio armadio, l’aprì e, dopo un’occhiata piena di disgusto al mio guardaroba, prese il vestito che mi aveva dato lei la sera del mio primo Rituale delle Figlie Oscure. Era nero e a maniche lunghe ma, a differenza di jeans e maglione, mi donava. Intorno alla profonda scollatura rotonda, sulle maniche morbide e sull’orlo era anche decorato con delle perline di vetro che scintillavano a ogni movimento e si accordavano alla perfezione con la tripla luna, il ciondolo di Capo delle Figlie Oscure, che portavo al collo. «Questo vestito non è legato a ricordi tanto belli...» commentai. «Sì, okay, però ti sta bene. È adatto e, cosa più importante, a Jack piacerebbe da pazzi. Per di più, secondo mia madre, i ricordi cambiano come le persone, soprattutto se circola abbastanza alcol.» «Senti, Afrodite, non dirmi che stasera hai intenzione di bere perché questo no che non sarebbe adatto», intervenne Stevie Rae. «No, zucca campagnola. Almeno non subito.» Mi lanciò il vestito. «Adesso mettilo e spicciati. Le gemelle e Dario portano qui Damien, così possiamo andare alla pira tutti insieme in un’aperta dimostrazione di solidarietà tra sfigati e tutto il resto... Il che è davvero una buona idea», aggiunse in fretta quando vide che Stevie Rae stava per interromperla. «Oh... ciao, Stark. Sai Zoey, è bello vedere te e il tuo ragazzo ipocondriaco di nuovo nel mondo reale.» «D’accordo. Metto questo.» M’infilai in bagno, ma sporsi la testa dalla porta e fissai gli occhi azzurri di Afrodite. «Oh... e Stark è prima il mio Guardiano e Guerriero e poi il mio ragazzo. E non è proprio per niente ipocondriaco. E tu lo sai. Hai visto cosa gli è successo.» «Uuuu», mi prese in giro Afrodite sottovoce. Ignorai la cafonaggine e tenni la porta aperta, in modo da poter continuare a parlare mentre mi vestivo. Quando vidi la pietra del veggente, mi bloccai e decisi di nasconderla sotto il vestito: quella sera non mi sognavo neanche di rispondere a domande su Skye e Sgiach. Mi pettinai in fretta e dissi: «Ehi, ragazze, pensate che Neferet mi lasci accendere la pira perché si aspetta che faccia un disastro?» Cavolo, me lo aspettavo io di fare un disastro, figuriamoci lei! «Naaa, io credo che il suo piano sia molto più nefando del lasciarti ingrippare col discorso, nel caso in cui ti mettessi a piangere perché volevi bene a Jack», ribatté Stevie Rae. «Nef cosa?» chiese Shaunee entrando pure lei in camera mia senza neanche un ciao. «Ando chi?» aggiunse Erin. «Che storia è, gemella? Cercano di adeguarsi al vocabolario di Damien?» «Sembrerebbe proprio», convenne Shaunee. «A me le parole piacciono e voi potete anche succhiarvi un limone», le rimbeccò Stevie Rae. Afrodite si mise a ridere, ma soffocò la cosa con un colpo di tosse quando uscii dal bagno guardandole male. «Ci stiamo preparando per un funerale. Trovo che dovremmo mostrare un po’ più di rispetto per Jack, visto che era nostro amico.» Le gemelle sembrarono subito pentite, mi raggiunsero e mi abbracciarono mormorando un: «Ciao, siamo felici che sei tornata». «Zy ha ragione sull’essere più serie, e non solo perché è il funerale di Jack ed è una cosa terribile. Lo sappiamo tutti che proprio non è possibile che di colpo Neferet abbia deciso di fare la cosa giusta e mostrare rispetto per Zoey e i suoi poteri», riprese Stevie Rae. «Dobbiamo stare in guardia. Restatemi vicine e tenetevi pronte. Immagino che, in caso di bisogno, non avremo molto tempo per creare un cerchio protettivo», dissi. «Perché non ne crei uno subito?» propose Afrodite. «Pensavo di farlo, ma ho guardato le regole sui funerali dei vampiri e di solito la Somma Sacerdotessa non crea cerchi. Il suo compito... sì, be’, intendo il mio compito stasera è di presenziare con rispetto per la perdita di un amico vampiro e aiutare il suo spirito a raggiungere l’Aldilà di Nyx. Non è previsto un cerchio, solo preghiere a Nyx e cose simili.» «In questo, Zy, dovresti essere brava, visto che dall’Aldilà ci sei appena tornata», commentò Stevie Rae. «Spero solo di rendere giustizia a Jack.» Le lacrime cominciavano a pungermi gli occhi e sbattei con forza le palpebre per ricacciarle indietro. Ai miei amici mancava solo che quella sera fossi un disastro piagnucoloso. «Quindi nessuno ha idea di cosa stia tramando Neferet?» domandai. Ci fu un gran scuotere di teste, e Afrodite disse: «Tutto quello cui riesco a pensare è che in qualche modo voglia provare a umiliarti, ma non capisco come possa succedere, se tu rimani calma e ti concentri sul perché siamo tutti qui stasera». «Per Jack», saltò su Shaunee. «Per salutarlo», aggiunse Erin con la voce un po’ tremante. «Be’, questo è molto bello, però io credo che i funerali in realtà siano più per chi resta, come Damien», intervenne Stevie Rae. Le sorrisi con gratitudine. «È un pensiero profondo, Stevie Rae. Me ne ricorderò.» Lei si schiarì la gola. «Lo so perché oggi ho visto mami, e lei stava facendo una specie di minifunerale per me. Era il suo modo di dirmi addio.» Per un attimo restai sconvolta, mentre le gemelle esplodevano in uno stereofonico: «Oh mia Dea che cosa terribile!» «È venuta qui?» chiese Afrodite. Mi stupii di quanto fosse dolce la sua voce. Stevie Rae annuì. «Era davanti al cancello dell’ingresso principale per lasciare una corona di fiori per me, ma in realtà stava facendo quello che proverà a fare stasera anche Damien: cercava di dirmi addio.» «Le hai parlato, vero? Insomma, lo sa che non sei più morta, giusto?» chiesi. Stevie Rae sorrise anche se i suoi occhi rimasero super tristi. «Sì, ma mi ha fatto sentire una persona orribile: sarei dovuta andare da lei subito. Era così brutto vederla piangere tanto.» Raggiunsi la mia migliore amica e l’abbracciai. «Be’, almeno adesso lo sa.» «E almeno hai una mamma cui importa abbastanza di te da piangere», commentò Afrodite. Incrociai il suo sguardo, capendo benissimo quello che diceva. «Già, è proprio vero.» «Ragaaazze, su, anche le vostre mamme piangerebbero se vi succedesse qualcosa», disse Stevie Rae. «La mia in pubblico lo farebbe perché è quello che ci si aspetta da lei, e perché sarebbe così imbottita di farmaci che potrebbe inventarsi una lacrima praticamente per qualunque cosa», replicò in tono piatto Afrodite. «Immagino che piangerebbe pure la mia, però sarebbe tutta un: Come ha potuto farmi una cosa simile! Ecco, adesso andrà dritta all’inferno ed è stata tutta colpa sua.» M’interruppi e aggiunsi: «Mia nonna direbbe che è un peccato che mamma non capisca che non c’è sempre una sola risposta giusta per tutto». Sorrisi alle mie amiche. «E, riguardo all’Aldilà, lo so perché ci sono stata ed è meraviglioso. Davvero meraviglioso.» «E Jack è lì, vero? Al sicuro nell’altro mondo assieme alla Dea?» domandò Damien, appoggiato allo stipite della porta che le gemelle avevano lasciato aperta. Aveva un aspetto orribile, anche se sfoggiava un impeccabile completo Armani. Era così pallido che dava l’impressione di potergli vedere sotto la pelle, e le occhiaie erano così scure da sembrare lividi. Andai da lui e lo abbracciai: pareva così magro e fragile e per niente Damien. «Sì. Lui è con Nyx. Su questo ti do la mia parola in quanto sua Somma Sacerdotessa.» Lo strinsi forte e mormorai: «Quanto mi dispiace, Damien!» Lui rispose all’abbraccio e poi, con sforzo, fece un passo indietro. Non stava piangendo. Piuttosto, appariva spossato, svuotato e disperato. «Sono pronto ad andare e sono davvero felice che tu sia qui.» «Lo sono anch’io. Vorrei tanto esserci stata prima. Magari avrei potuto...» Sentii riaffacciarsi le lacrime. «No, non avresti potuto.» Afrodite fu subito al mio fianco. Di nuovo, la sua voce era addolcita dalla comprensione e la faceva sembrare molto più grande dei suoi diciannove anni. «Non hai potuto impedire la morte di Heath. Non saresti stata in grado di evitare quella di Jack.» Incrociai per un attimo lo sguardo di Stark e nei suoi occhi vidi riflesso ciò che stavo pensando io: che la sua morte, invece, l’avevo impedita. Anche se aveva gli incubi e non era ancora al cento per cento, perlomeno lui era vivo. «Sul serio, Zy, piantala. Anzi, tutti voi, non iniziate con la menata dei sensi di colpa. L’unica responsabile della morte di Jack è Neferet. E lo sappiamo benissimo, anche se gli altri non l’hanno capito», sentenziò Afrodite. «Al momento, questo non lo posso affrontare», disse Damien, e per un attimo pensai fosse sul punto di svenire. «Dobbiamo opporci a Neferet già stasera?» «No. Non ho in mente nulla di simile», risposi subito. «Ma non possiamo controllare quello che farà lei», riprese Afrodite. «Stark e io resteremo vicini. E, anche tutte voi, vedete di stare accanto a Zoey e a Damien. Non saremo noi a iniziare tuttavia, se Neferet dovesse tentare di far del male a qualcuno, ci troverà pronti», sentenziò Dario. «L’ho vista davanti al Consiglio. Non penso farà qualcosa di tanto ovvio come attaccare Zy», disse Stevie Rae. «Qualunque cosa abbia in testa, ci troverà pronti», affermò Stark echeggiando le parole di Dario. «Io non sarò pronto. Io non credo sarò mai più in grado di combattere. Contro niente», fece Damien. Lo presi per mano. «Be’, stasera non dovrai farlo. Se ci fosse una battaglia da combattere, ci penseranno i tuoi amici. Adesso andiamo a prenderci cura di Jack.» Damien trasse un profondo respiro, annuì e uscimmo tutti dalla mia stanza. Feci strada al gruppo giù dalla scala e attraverso la sala comune, che era completamente vuota. Inviai mentalmente una preghierina alla Dea: Ti prego, fa’ che siano tutti già là fuori. Ti prego, fa’ che Damien capisca quanto era amato Jack. Seguimmo il sentiero che girava intorno alla facciata della scuola. Sapevo dove dovevamo andare. Ricordavo anche troppo bene che la pira di Anastasia era stata posta al centro del parco, proprio davanti al tempio di Nyx. Mentre camminavamo in silenzio, sentii uno strano suono provenire da una panchina sotto un grande albero. Mi girai e vidi che là c’era seduto Erik, da solo. Teneva il viso tra le mani e il rumore che avevo sentito era il suo pianto. CAPITOLO 20 ZOEY Stavo quasi per non fermarmi, poi mi ricordai che, prima di Trasformarsi, Erik era stato compagno di stanza di Jack. E capii che dovevo mettere da parte quanto era successo tra lui e me: quella sera ero la Somma Sacerdotessa di Jack, ed ero più che certa che lui non avrebbe voluto che lasciassi lì Erik da solo a piangere. Inoltre mi tornò in mente la notte in cui era stato Erik a trovarmi in lacrime dopo il mio primo e disastroso Rituale delle Figlie Oscure. In quell’occasione, era stato dolce e gentile e mi aveva fatto pensare che magari sarei anche riuscita a gestire la follia che era scoppiata in quella scuola. Gli dovevo un favore. Strinsi la mano a Damien e feci fermare tutti. «Tesoro, comincia ad andare alla pira insieme con Stark e gli altri. Devo fermarmi a fare una cosa, ci metto un attimo. E poi, da quanto ho capito leggendo dei funerali dei vampiri, dato che Jack era il tuo Compagno, hai bisogno di passare un po’ di tempo in meditazione prima che la pira venga accesa.» Quantomeno speravo fosse quello di cui aveva bisogno. «Hai assolutamente ragione, Zoey Redbird», esordì una vampira sbucata fuori dall’ombra. Io e i miei amici la fissammo con aria interrogativa. «Oh, sì, dovrei presentarmi.» Mi offrì l’avambraccio nel tradizionale saluto dei vampiri. «Sono Beverly...» S’interruppe, si schiarì la voce e ricominciò: «Sono la professoressa Missal, la nuova insegnante d’Incantesimi e Rituali». «Oh, sono felice di conoscerla.» Ricambiai il saluto stringendole l’avambraccio. Certo, era una vampira fatta e finita con tutti i tatuaggi del caso – un piacevole disegno che mi faceva venire in mente le note musicali – ma posso assicurare che sembrava più giovane di Stevie Rae. «Mmm, professoressa Missal, potrebbe accompagnare alla pira Damien e gli altri? Io devo fare una cosa.» «Certo. Sarà tutto pronto per te.» Si voltò verso Damien e gli parlò in tono gentile: «Per favore, seguimi». Damien sussurrò un debolissimo «Okay», gli occhi fissi e inespressivi. Però si mosse per seguire la nuova prof. Stark indugiò ancora per un attimo. Il suo sguardo si spostò verso la zona in ombra e la panchina su cui era seduto Erik. Poi tornò su di me. «Ti prego, gli devo parlare. Fidati di me, okay?» dissi. Il suo viso si rilassò. «Nessun problema, mo ban-rìgh. Quando avrai finito, mi troverai ad aspettarti», disse nel suo ottimo accento scozzese. «Grazie.» Cercai di fargli capire con gli occhi quanto amavo e apprezzavo la sua lealtà e la sua fiducia. Lui sorrise e raggiunse il gruppo. Cioè, a parte Afrodite. E Dario, che le stava dietro come un’ombra. «Be’?» chiesi. Afrodite alzò gli occhi al cielo. «Pensi davvero che ti lasceremo sola? Ma quanto sei ingenua? Roba da pazzi! Neferet è riuscita a tagliare la testa a Jack senza nemmeno essere presente. Quindi Dario e io non ti molliamo qui a confortare Erik l’Odioso.» Guardai Dario, ma lui scosse la testa. «Mi dispiace, Zoey, Afrodite ha ragione.» «Potreste almeno restarvene qui a distanza senza ascoltare?» chiesi esasperata. «Cosa credi, che mi vada di sentire le stronzate piagnucolose di Erik? Nessun problema. Vai tranquilla ma spicciati. Nessuno merita di aspettare per colpa di uno stronzo odioso.» Non mi sprecai nemmeno a sospirare mentre li lasciavo per raggiungere Erik, che peraltro neanche si era accorto della mia presenza. Gli stavo davanti, ma lui piangeva tenendosi il viso tra le mani. Piangeva sul serio. Sapendo che era un grande attore, mi schiarii la voce preparandomi a essere un po’ sarcastica o quantomeno passiva-aggressiva. Ma, quando alzò lo sguardo verso di me, cambiò tutto. Aveva gli occhi gonfi e rossi e le guance bagnate di lacrime. Tirava persino su col naso. Sbatté le palpebre un paio di volte, quasi facesse fatica a mettermi a fuoco. «Oh, uh, Zoey», disse, sforzandosi di riacquistare il controllo. Si mise a sedere più dritto e si asciugò il naso nella manica. «Mmm, ciao. Sei tornata.» «Già, sono atterrata da poco. Devo andare ad accendere la pira di Jack. Vieni con me?» Erik scoppiò in singhiozzi. Era una scena orribile e proprio non sapevo cosa fare. E giuro di aver sentito Afrodite sbuffare in lontananza. Mi sedetti accanto a Erik e, in modo un po’ goffo, gli diedi qualche pacchetta sulle spalle. «Ehi, lo so che è terribile. Eravate grandi amici.» Erik fece segno di sì con la testa. Capii che ce la stava mettendo tutta per riprendere il controllo, quindi rimasi seduta biascicando qualcosa mentre lui continuava a tirare su col naso e ad asciugarsi il viso sulla manica (okay, lo so, fa schifo). «È proprio una tragedia. Jack era così dolce e carino e giovane... Non doveva succedergli una cosa simile. Mancherà un sacco a tutti.» «È stata Neferet. Non so come e, che cazzo, non so nemmeno perché, ma è stata lei», sentenziò sottovoce, guardandosi in giro come se avesse paura che qualcuno lo sentisse. «Già.» I nostri sguardi s’incrociarono. «Hai intenzione di fare qualcosa in proposito?» chiese. Non esitai un istante. «Assolutamente tutto quello che è in mio potere.» Quasi sorrise. «Bene, per me è sufficiente.» Si asciugò di nuovo il viso e si passò una mano tra i capelli. «Stavo per andarmene, sai?» «Eh?» replicai col solito sfoggio di astuzia. «Sì, stavo per trasferirmi alla Casa della Notte di Los Angeles. Mi volevano a Hollywood. Si presumeva che dovessi diventare il futuro Brad Pitt.» «Si presumeva? Cos’è successo, hanno cambiato idea?» chiesi confusa. «No.» Con lentezza, Erik sollevò la mano destra e mi mostrò il palmo. Sbattei più volte le palpebre, senza capire bene cosa stessi guardando. «Sì, è proprio quello che pensi», fece lui. «È il labirinto di Nyx.» Ovvio che avessi riconosciuto il tatuaggio color zaffiro, ma era come se il mio cervello facesse fatica a mettersi in sincrono con gli occhi. Non capii finché, alle mie spalle, non sentii la voce di Afrodite: «Oh, cazzo! Erik è un Rintracciatore». Erik la fissò. «Contenta, adesso? Dai, forza, ridi. Sai benissimo cosa significa: per quattro anni, non posso lasciare la Casa della Notte di Tulsa, devo rimanere qui a seguire una cazzo di essenza ed essere lo stronzo che sarà presente quando ogni ragazzo nei prossimi quattro anni verrà Segnato e scoprirà che la sua vita è cambiata per sempre.» Ci fu un momento di silenzio, poi Afrodite riprese: «Cos’è che ti disturba esattamente? Il fatto che quello di Rintracciatore sia un compito duro? Oppure che in quattro anni Hollywood troverà di certo un altro ‘futuro Brad Pitt’?» Girai sui tacchi e l’affrontai. «Lui è stato compagno di stanza di Jack! Hai dimenticato cosa vuol dire perdere il proprio compagno di stanza?» L’espressione di Afrodite si addolcì. Scossi la testa. «No. Adesso tu e Dario ve ne andate. Io vi seguo tra poco.» Dato che Afrodite esitava ancora, mi rivolsi direttamente al suo Guerriero. «In quanto tua Somma Sacerdotessa, ti do un ordine: voglio rimanere sola con Erik. Porta con te Afrodite e andate alla pira di Jack.» Dario scattò subito. Mi fece un inchino solenne, quindi prese Afrodite per il gomito e la trascinò via. Letteralmente. Feci un gran sospiro e mi sedetti di nuovo accanto a Erik. «Scusa, mi dispiace. Afrodite ha buone intenzioni ma, come direbbe Stevie Rae, a volte non è molto gentile.» Erik sbuffò. «Non venirlo a spiegare a me. Lei e io uscivamo insieme, te lo ricordi?» «Me lo ricordo», replicai sottovoce. Poi aggiunsi: «Anche tu e io uscivamo insieme». «Già. Pensavo di amarti.» «Anch’io pensavo di amarti.» Mi fissò dritto negli occhi. «Ci sbagliavamo?» Lo guardai. Cioè, lo guardai davvero. Dea, era sempre supersexy in quel modo da Superman/Clark Kent. Alto e bruno, con occhi azzurri e splendidi muscoli. Ma non era solo questo. Certo, era arrogante e prepotente, ma sapevo che dentro di lui c’era un bravo ragazzo. Solo che non ero io la ragazza giusta per lui. «Sì, ci sbagliavamo, però va bene così. Ultimamente mi è stato ricordato che è okay non essere perfetti, soprattutto se dai casini che si combinano s’impara qualcosa. Quindi... che ne dici d’imparare dai nostri? Io credo che potremmo essere comunque ottimi amici.» Le sue labbra favolose si piegarono all’insù. «E io credo che potresti avere ragione.» «E poi non ho abbastanza amici maschi belli e sinceri», aggiunsi dandogli una spallata. «E io sono un maschio bello e sincero. Cioè, un maschio sincero che, come dici tu, è anche bello.» «Già, proprio così», convenni. Poi gli tesi una mano. «Amici?» «Amici.» Erik mi prese la mano e poi, con un sorriso disinvolto, si lasciò cadere con grazia in ginocchio. «Mia signora, saremo amici per sempre.» «Okay», dissi un po’ a corto di fiato perché, be’, per quanto amassi Stark, Erik era davvero strafigo, oltre che un attore grandioso. Mi fece l’inchino e mi baciò la mano. Non in un modo viscido da voglio-infilarmi-sotto-le-tue-mutande, ma da vero gentiluomo di una volta. Sempre con un ginocchio a terra, mi guardò e riprese: «Stasera devi dire qualcosa che ci dia speranza e che aiuti Damien, perché in questo momento un sacco di noi si sta semplicemente facendo portare dalla corrente chiedendosi cosa diavolo succede... e Damien non se la passa bene. Neanche un po’». Mi si strinse il cuore. «Lo so.» «Bene. Comunque vadano le cose, Zoey, ho fiducia in te.» Sospirai. Di nuovo. Lui sorrise e si alzò, tirando in piedi anche me. «Quindi, per favore, lascia che ti accompagni a questo funerale.» Presi Erik sottobraccio e mi avviai verso un futuro che non potevo neanche immaginare. Lo spettacolo era maestoso, triste e incredibile allo stesso tempo. A differenza dell’ultima volta in cui alla Casa della Notte era stata accesa una pira funebre, era presente tutta la scuola. Novizi e vampiri creavano un immenso cerchio intorno a una struttura simile a una panca costruita proprio al centro del parco. Si vedeva ancora l’erba bruciacchiata a indicare che, non molto tempo prima, in quello stesso punto il corpo di Anastasia Lankford era stato consumato dal fuoco della Dea. Solo che allora la scuola non era stata presente per mostrarle rispetto. Allora, in troppi si trovavano sotto il controllo di Kalona o semplicemente avevano una paura tremenda. Quella sera era diverso. L’influenza dell’immortale era scomparsa e Jack stava ricevendo un addio degno di un Guerriero. Ancora prima di guardare la pira, i miei occhi trovarono Dragone Lankford, in piedi dietro Jack, all’ombra della quercia più vicina. Ma l’ombra non nascondeva il suo dolore. Vedevo benissimo le lacrime scendergli silenziose sul viso incavato. Dea, aiuta Dragone. È così un brav’uomo. Aiutalo a trovare la pace, fu la mia prima preghiera di quella sera. Poi guardai Jack. E tra le lacrime mi spuntò un sorriso. Come tradizione nei funerali dei vampiri, era stato avvolto dalla testa ai piedi in un sudario, solo che quello di Jack era viola. Extralucido. Extravivace. Extraviola. «Allora l’ha fatto», esclamò Erik con voce strozzata. «Sapevo che il viola era il suo colore preferito, quindi sono andato da The Dolphin in Utica Square e ho comprato delle lenzuola di raso. Un sacco. Poi ho detto a Sapphire in infermeria di usarle per avvolgerci Jack, ma non ero sicuro che l’avrebbe fatto davvero.» Mi voltai verso Erik, mi misi in punta di piedi e gli diedi un bacio sulla guancia. «Grazie. Jack apprezzerà infinitamente il tuo gesto. Eri proprio suo amico. Un amico vero.» Lui annuì e sorrise, ma non replicò perché aveva ricominciato a piangere. Prima di fare anch’io lo stesso e di singhiozzare così forte da non poter essere scambiata per una Somma Sacerdotessa neanche per sbaglio, spostai lo sguardo su Damien. Era in ginocchio a capo della pira di Jack, con Duchessa al fianco e il suo micio, Cammy, raggomitolato e triste tra le ginocchia. Stark era vicino alla cagnolona e l’accarezzava mormorando qualche parola di conforto per lei e per Damien. Dietro di lui c’era Stevie Rae, aria distrutta e pianto a dirotto. Afrodite e Dario erano accanto a Damien e, alla loro sinistra, c’erano le gemelle. E, tutt’intorno alla pira funebre, l’intera scuola si era disposta in un cerchio silenzioso e pieno di rispetto. Molti novizi e vampiri, inclusi Lenobia e la maggior parte dei professori, tenevano in mano delle candele viola. Sembrava che, a parte Stark, nessuno parlasse, ma udivo moltissimi singhiozzi. Neferet non si vedeva. «Puoi farcela», mormorò Erik. «Non so come...» Mi ci volle una fatica immensa per pronunciare quell’unica frasetta. «Come fai sempre: con l’aiuto di Nyx», ribatté. «Ti prego, Nyx, aiutami. Io da sola non sono capace», dissi ad alta voce. Poi arrivò la professoressa Missal, che mi spinse avanti. Quindi, con quelli che speravo fossero i passi decisi e sicuri di una vera Somma Sacerdotessa, mi diressi verso Damien. Fu Stark a vedermi per primo. Quando incrociai il suo sguardo, non lessi la minima traccia di gelosia o di rabbia, anche se sapevo che Erik mi stava seguendo a poca distanza. Il mio Guerriero, il mio Guardiano, il mio amore, fece un passo di lato e mi fece un inchino formale. «Ben trovata, Somma Sacerdotessa.» La sua voce risuonò per il campus. Si voltarono tutti verso di me e sembrò che, come una persona sola, l’intera Casa della Notte s’inchinasse, riconoscendomi come propria Somma Sacerdotessa. Questo mi diede una sensazione mai provata prima. Professori, vampiri centenari e giovani novizi mi guardavano, credendo in me, fidandosi di me. Era allo stesso tempo terrificante e fantastico. All’improvviso, nella mente mi risuonò la voce della Dea: Non dimenticare mai questa sensazione. Una vera Somma Sacerdotessa è umile oltre che orgogliosa, e non dimentica mai la responsabilità che comporta il fatto di essere un capo. Mi fermai davanti a Damien e m’inchinai, pugno chiuso sul cuore. «Ben trovato, Damien.» Poi, senza preoccuparmi di non seguire le regole di comportamento per i funerali vampiri che avevo letto in aereo, presi le mani del mio amico e lo feci alzare. Quindi lo abbracciai, ripetendo: «Ben trovato, Damien». Singhiozzò una volta. Era rigido e si muoveva con lentezza, come se avesse paura di andare in un miliardo di pezzi, ma rispose al mio abbraccio con forza. Prima di staccarmi da lui, chiusi gli occhi e mormorai: «Aria, vieni dal tuo Damien. Colmalo di leggerezza e di speranza, e aiutalo a superare questa notte». L’aria rispose all’istante, sollevandomi i capelli e avvolgendosi intorno a noi due. Damien inspirò e, quando buttò fuori il fiato, si liberò anche di parte della terribile tensione. Mi allontanai di un passo e fissai i suoi occhi tristi. «Ti voglio bene, Damien.» «Anch’io ti voglio bene, Zoey. Continua pure.» Indicò con la testa il corpo di Jack avvolto nel raso viola. «Fa’ quello che devi. So che Jack non è più lì.» S’interruppe per ricacciare indietro un singhiozzo, quindi riprese: «Però sarebbe contento di sapere che sei tu a farlo». Invece di scoppiare in lacrime e sciogliermi in un ammasso umidiccio come avrei voluto, mi voltai ad affrontare la pira e la Casa della Notte. Presi due respiri profondi poi, al terzo, mormorai: «Spirito, vieni a me. Rendi la mia voce forte abbastanza da essere ascoltata da tutti». L’elemento con cui avevo maggiore affinità mi colmò dandomi forza e, quando iniziai a parlare, la mia voce era come un raggio luminoso della Dea, che echeggiava in suono e spirito per tutta la scuola: «Jack non è qui. Razionalmente lo sappiamo tutti. Damien me l’ha appena detto, ma voglio che stasera tutti voi ne siate davvero convinti». Con gli sguardi dei presenti fissi su di me, pronunciai in modo lento e chiaro le parole che la Dea m’ispirava: «Io ci sono stata nell’Aldilà e vi posso assicurare che è bello, incredibile e reale come desidera credere il vostro cuore. Ora Jack è lì. Non prova dolore. Non è triste né preoccupato e non ha paura. È insieme a Nyx, nei suoi campi e nei suoi boschi». M’interruppi e sorrisi nonostante il velo di lacrime. «Probabilmente in questo momento sta giocando allegro e spensierato in quei campi e in quei boschi.» Udii la risatina stupita di Damien, seguita da quella di altri novizi. «Sta incontrando degli amici, come il mio Heath, e secondo me sta anche decorando tutto il decorabile.» Afrodite nascose la risata sbuffando, ed Erik sogghignò. «Adesso noi non possiamo stare con lui, ed è duro da accettare, lo so.» Guardai Damien. «Ma possiamo essere certi che lo rivedremo, in questa vita o nella prossima. E, quando succederà, non importerà chi saremo o dove saremo, vi posso assicurare che una cosa nel nostro spirito, nella nostra essenza, rimarrà la stessa: l’amore. Il nostro amore non muore mai e durerà in eterno. E questa è una promessa che so venire direttamente dalla Dea.» Stark mi tese un lungo bastone con in cima qualcosa di appiccicoso. Lo presi ma, prima di avvicinarmi alla pira, incrociai lo sguardo di Shaunee. «Mi aiuti?» le chiesi. Lei si asciugò le lacrime, si rivolse a sud, sollevò le braccia e, con voce colma d’amore e di senso di perdita, disse: «Fuoco! Vieni a me!» Le sue mani presero a splendere e, assieme a me, Shaunee raggiunse la gigantesca pila di legna su cui giaceva il corpo di Jack. «Jack Swift, eri un ragazzo dolce e speciale. Ti ho sempre voluto bene come a un fratello. Fino alla prossima volta in cui c’incontreremo... ben trovato, ben lasciato e ben trovato ancora.» Quando posai l’estremità della mia torcia sulla pira, Shaunee vi scagliò contro il suo elemento, accendendola subito di una soprannaturale luminosità gialla e viola. Mi voltai verso la gemella per ringraziare lei e il suo elemento, quando la voce di Neferet si fece strada nella notte: «Zoey Redbird! Somma Sacerdotessa novizia! Ti chiedo di essere testimone!» CAPITOLO 21 ZOEY Non feci fatica a trovarla: Neferet era alla mia sinistra, sulla scalinata che porta al tempio di Nyx. Mentre tutti si voltavano mormorando a guardarla, Stark si mise al mio fianco, in modo che gli sarebbe bastato un passo per piazzarsi tra Neferet e me. Anche Stevie Rae all’improvviso mi comparve accanto e, con la coda dell’occhio, riuscii a vedere pure le gemelle e persino Damien. Ero circondata dai miei amici, che mi facevano capire senza parole che mi proteggevano. Quando Neferet avanzò, pensai: Dev’essere impazzita del tutto per chiedermi di celebrare un funerale e poi attaccarmi davanti all’intera scuola. Ma pazza o no, era malvagia e pericolosa, e veniva dritto verso di me. E io non mi sognavo neanche di scappare. Perciò le sue parole successive mi sconvolsero quasi quanto i suoi gesti. «Ascoltami, Zoey Redbird, Somma Sacerdotessa novizia, e sii testimone. Ho fatto torto a Nyx, a te e a questa Casa della Notte.» La sua voce era forte, chiara e bellissima, e risuonava nell’aria come una musica. E, seguendo il ritmo che stava definendo, Neferet iniziò a spogliarsi. Avrebbe potuto essere imbarazzante o erotico, invece fu semplicemente bello. «Ho mentito a voi e alla mia Dea.» E via la blusa, che svolazzò dietro di lei come un petalo che cade da una rosa. «Ho ingannato voi e la mia Dea riguardo alle mie intenzioni.» Slacciò la gonna di seta nera, che le si arricciò intorno ai piedi, e se ne liberò come se uscisse da una pozza di acqua scura. Poi, completamente nuda, si mosse nella mia direzione. Le fiamme gialle e porpora della pira di Jack guizzavano sulla sua pelle, dando l’impressione che anche lei stesse bruciando senza, però, venire consumata. Quando mi raggiunse, si lasciò cadere in ginocchio, piegò la testa all’indietro e spalancò le braccia, dicendo: «Ma la cosa peggiore è che ho consentito a un uomo di sedurmi e di allontanarmi dalla via della Dea. E, ora, qui, spogliata di tutto davanti a te, davanti alla nostra Casa della Notte e davanti a Nyx, chiedo perdono per le mie cattive azioni, perché so di non poter continuare a vivere in questa terribile menzogna». Abbassò la testa e le braccia, quindi mi fece un profondo e rispettoso inchino formale. Nell’assoluto silenzio che seguì le sue parole, nella mia mente si scatenò un tornado di pensieri contrapposti: Sta fingendo – vorrei che non fosse così –, è a causa sua che Heath e Jack sono morti –, è una manipolatrice pazzesca. Cercando di capire cosa avrei dovuto rispondere e cosa avrei dovuto fare, mi guardai intorno in cerca di suggerimenti. Le gemelle e Damien, stravolti, fissavano Neferet a bocca aperta. Anche Afrodite stava osservando Neferet, ma con un’espressione di totale disgusto. Stevie Rae e Stark, invece, guardavano me. In modo quasi impercettibile, senza parlare, Stark scosse la testa: No. Mentre Stevie Rae mimò due parole: Tutte balle. Quando spostai lo sguardo sul cerchio creato dalla Casa della Notte, faticavo a respirare. Alcuni mi fissavano con aria interrogativa, in attesa, ma la maggior parte teneva gli occhi su Neferet con evidente soggezione e singhiozzava con quello che senza dubbio era un misto di gioia e di sollievo. In quel momento, un pensiero si cristallizzò nella mia mente, facendosi strada fra tutti gli altri come un pugnale affilato: Se non accetto le sue scuse, la scuola mi si rivolterà contro. Sembrerei una ragazzina vendicativa, ed è esattamente quello che vuole Neferet. Non avevo scelta. Potevo soltanto agire di conseguenza e sperare che i miei amici si fidassero abbastanza di me da sapere che ero in grado di riconoscere la verità dagli imbrogli. «Stark, dammi la camicia», dissi in fretta. Lui non esitò. Se la sbottonò e me la tese. Assicurandomi che nella mia voce ci fosse l’intensità dello spirito, esordii: «Neferet, quanto a me, la perdono. Non ho mai voluto essere sua nemica». Alzò verso di me gli occhi verdi, assolutamente sinceri. «Zoey, io...» cominciò. L’interruppi subito, coprendo il dolce suono della sua voce. «Però posso parlare solo per me stessa. Il perdono della Dea dovrà cercarlo da lei: Nyx conosce il suo cuore e la sua anima, quindi è là che troverà la sua risposta.» «Quella già ce l’ho, e mi riempie di gioia cuore e anima. Grazie, Zoey Redbird, e grazie, Casa della Notte.» Intorno al cerchio si propagò un coro di: «Grazie alla Dea!» e «Benedetta sia!» Mi costrinsi a sorridere mentre mi chinavo per metterle sulle spalle la camicia di Stark. «Si alzi, per favore. Non dovrebbe stare in ginocchio davanti a me.» Neferet si sollevò con grazia e indossò la camicia, abbottonandola con cura. Poi si rivolse a Damien. «Ben trovato, Damien. Posso avere il tuo permesso per inviare alla Dea la mia preghiera personale per lo spirito di Jack?» Damien non parlò, limitandosi ad annuire. Il suo viso era una maschera di dolore e tristezza, al punto che non riuscii nemmeno a capire se lui credeva alla messinscena di Neferet oppure no. Lei, intanto, continuò a recitare la propria parte alla perfezione. «Grazie.» Si avvicinò alla pira, piegò la testa all’indietro e sollevò le braccia. A differenza di me, non parlò a voce alta, ma bisbigliò in modo che nessuno potesse udire. Aveva un’espressione serena e sincera, e mi chiesi come fosse possibile che una persona così marcia dentro potesse avere una parte esteriore così stupenda. Forse fu perché la fissavo così intensamente, nel tentativo di scovare una crepa nella sua armatura, che vidi ciò che accadde dopo. L’espressione di Neferet cambiò e fu evidente, almeno per me, che aveva scorto qualcosa nel cielo sopra di noi. Poi lo udii. Era un suono quasi familiare. Non lo riconobbi subito, anche se mi fece venire la pelle d’oca, e comunque non alzai lo sguardo. Continuai a osservare Neferet, che sembrava allo stesso tempo seccata e preoccupata. Non cambiò posizione e non interruppe la «preghiera», ma i suoi occhi presero a guardare in tutte le direzioni, come se lei volesse accertarsi che nessun altro si fosse accorto di quanto aveva visto lei. Chiusi le palpebre di colpo, sperando sembrasse che stessi pregando, meditando, cercando la concentrazione... insomma, tutto tranne che fissare lei. Lasciai passare un paio di secondi, poi riaprii lentamente gli occhi. Neferet non stava guardando me, proprio per niente. Fissava Stevie Rae, che però non se ne rendeva conto. Perché anche lei era troppo occupata a guardare verso l’alto a bocca aperta. Solo che la sua espressione non era né seccata né preoccupata: era raggiante, come se stesse osservando qualcosa che la riempiva di felicità. E di amore. Confusa, tornai a osservare Neferet, che sgranò gli occhi, come se avesse capito una cosa importante; dopo di che sul suo viso si disegnò un’espressione di estremo piacere: quello che aveva scoperto l’aveva resa davvero strafelice. Non riuscii a staccare gli occhi da Neferet ma, con gesto automatico, strinsi la mano di Stark, quasi sapessi che il mio mondo stava per esplodere e, in quel momento, la voce di Dragone Lankford risuonò simile a un richiamo che cambiò tutto: «Raven Mocker sopra di noi! Professori, portate al coperto i novizi! Guerrieri, a me!» A quel punto, il tempo prese a scorrere a velocità supersonica. Stark mi spinse dietro di sé, guardò in alto e imprecò: non aveva arco e frecce. «Vai nel tempio di Nyx!» mi gridò per superare il frastuono che stava esplodendo intorno a noi. Era scoppiato il delirio più totale: ragazzi che urlavano, professori che chiamavano a raccolta gli studenti cercando di rassicurarli, Figli di Erebo che estraevano le armi, pronti alla lotta. Si muovevano tutti, tranne Neferet e Stevie Rae. Neferet era ancora accanto alla pira accesa di Jack, sempre intenta a osservare la mia amica, sorridendo. Stevie Rae sembrava avere messo radici. Guardava in alto e scuoteva la testa, singhiozzando. «No, aspetta», dissi a Stark. «Non me ne posso andare. Stevie Rae è...» «Scendi dal cielo, orrida bestia!» Il grido di Neferet m’interruppe. Lei aveva sollevato le braccia, le dita tese come se stesse cercando di afferrare qualcosa nell’aria. «Non li vedi?» mi chiese Stark in tono pressante guardando il cielo. «Cosa? Cosa dovrei vedere?» «Tentacoli di Tenebra, neri e appiccicosi.» Fece una smorfia piena di orrore. «E Neferet li sta manovrando. Ci ha raccontato soltanto balle. Non c’è dubbio: è ancora alleata con la Tenebra.» Non ci fu tempo di aggiungere altro perché, con un grido terribile, dal cielo cadde un enorme Raven Mocker, che precipitò in mezzo al campus. Lo riconobbi subito. Era Rephaim, il figlio prediletto di Kalona. «Uccidetelo!» ordinò Neferet. Per Dragone Lankford, quell’ordine era superfluo. Si stava già muovendo, con la spada sguainata che scintillava alla luce delle fiamme, calando sul Raven Mocker come un dio vendicatore. «No! Non fategli del male!» Stevie Rae si lanciò tra Dragone e il mostro caduto dal cielo. Aveva le braccia alzate, palmi all’esterno, e splendeva di una luminosità verde, come se all’improvviso sul suo corpo fosse spuntato del muschio iridescente. Dragone andò a sbattere contro quella barriera verde e rimbalzò via, neanche fosse stato una gigantesca palla di gomma. Fu spaventoso e splendido allo stesso tempo. «Ah, cavolo», mormorai andando verso Stevie Rae. Avevo una brutta sensazione riguardo a quanto stava succedendo, proprio brutta brutta. Stark non provò a fermarmi, ma disse: «Resta vicino a me e fuori portata di quell’uccellaccio». «Stevie Rae, perché proteggi questo mostro? Sei forse in combutta con lui?» Neferet era accanto a Dragone, che si era rimesso in piedi e tremava, contenendo a stento l’istinto che gli gridava di precipitarsi di nuovo contro Stevie Rae. Dal tono, Neferet pareva sconcertata, ma i suoi occhi lanciavano lampi che la facevano sembrare un gatto che avesse intrappolato il topo Stevie Rae. Stevie Rae ignorò Neferet, guardò Dragone e spiegò: «Non è qui per fare del male a qualcuno. Gliel’assicuro». «Rossa, liberami», disse il Raven Mocker quando finalmente raggiunsi Dragone e Neferet. Anche lui era di nuovo in piedi, fatto che mi stupì, perché avrei detto che la caduta l’avrebbe ucciso. In realtà l’unica ferita era uno squarcio sanguinante in un bicipite dall’aspetto così umano da risultare inquietante. Cercava di allontanarsi da Stevie Rae, ma intorno a loro si era formata una strana bolla verde che gli impediva di proseguire. «Non serve, Rephaim. Non ho più intenzione di mentire e di fingere.» Stevie Rae guardò Neferet e la folla di novizi e professori che aveva smesso di scappare e adesso la fissava atterrita. «Non sono un’attrice così brava, Rephaim. Non ho mai neanche voluto esserlo, un’attrice così brava.» «Non farlo!» La voce del Raven Mocker mi sconvolse. Non perché sembrava umana. Sapevo che, quando non era così arrabbiato da sibilare, parlava come un ragazzo vero. Quello che mi sconvolse fu il tono. Sembrava impaurito e molto, molto triste. «Ormai è fatta», replicò Stevie Rae. E in quel momento, finalmente, ritrovai la voce anch’io. «Stevie Rae, cosa cavolo sta succedendo?» «Mi dispiace, Zy. Te lo volevo dire. Davvero davvero. È solo che non sapevo come.» Con lo sguardo, Stevie Rae m’implorava di capirla. «Non sapevi come dirmi cosa?» Poi compresi: l’odore del sangue del Raven Mocker. Travolta dall’orrore, mi ricordai di averlo già sentito su Stevie Rae. All’improvviso seppi di cosa stava parlando, cosa stava cercando di dirmi. «Hai un Imprinting con quella creatura.» Io stavo pensando quelle stesse parole, ma fu Neferet a pronunciarle ad alta voce. «Oh, Dea, no, Stevie Rae», dissi, le labbra gelate e intorpidite. Incredula, continuavo a scuotere la testa, come se quel gesto potesse far sparire l’incubo che avevo di fronte. «Come?» Quella domanda sembrò strappata a forza a Dragone. «Non è stata colpa sua. Sono io il responsabile», intervenne il Raven Mocker. «Non osare rivolgermi la parola, mostro!» ribatté Dragone. Lo sguardo rossastro del Raven Mocker si spostò dal Signore delle Spade a me. «Zoey Redbird, non biasimarla.» «Perché parli con me?» gli strillai contro. «Stevie Rae, come hai potuto lasciare che succedesse?» chiesi, poi mi tappai la bocca, accorgendomi di colpo di quanto fossi sembrata mia madre. «Cazzo, Stevie Rae, sapevo che c’era qualcosa che non andava, ma non avevo idea che fossi arrivata a questo punto», saltò su Afrodite, mettendosi accanto a me. «Avrei dovuto dire qualcosa», aggiunse Kramisha, immobile vicino alle gemelle. «Sapevo che le poesie su di te e una bestia erano un brutto segnale. È che non avevo capito che erano da prendere alla lettera.» «A causa del legame tra questi due, la Tenebra ha corrotto la scuola. È senz’altro questa creatura la responsabile della morte di Jack», sentenziò Neferet con aria solenne. «Sono solo un mucchio di cretinate!» ribatté Stevie Rae. «È stata lei a uccidere Jack. Lo ha sacrificato alla Tenebra per ottenere il controllo dell’anima di Kalona. Lei lo sa. Io lo so. E lo sa anche Rephaim. Per questo stava là sopra: voleva essere certo che stasera lei non facesse niente di troppo terribile.» Osservai Stevie Rae opporsi a Neferet e riconobbi in lei la stessa forza e la stessa disperazione che avevo provato anch’io quando mi ero messa contro Neferet, soprattutto quando mi ero ritrovata a sfidarla da sola mentre un’intera scuola piena di vampiri e di novizi neanche immaginava che lei potesse essere meno che perfetta. «Il mostro l’ha cambiata completamente. Dovrebbero venire eliminati entrambi. Subito», riprese Neferet rivolta alla folla che stava tornando a riunirsi. Mi si rovesciò lo stomaco e, con una sicurezza che provavo soltanto quando venivo influenzata dalla Dea, seppi di dover intervenire. «Okay, adesso basta.» Mi avvicinai a Stevie Rae. «Immagino che tu sappia quanto sembra brutta la cosa.» «Sì, lo so.» «E hai davvero un Imprinting con lui?» «Sì», disse, decisa. «Ti ha aggredita o qualcosa di simile?» chiesi, cercando di dare un senso alla situazione. «No, Zy, al contrario. Mi ha salvato la vita. Due volte.» «Ma certo! Sei in combutta col mostro e alleata con la Tenebra!» Neferet si voltò verso i novizi e i vampiri che osservavano la scena. La luminosità verde che circondava Stevie Rae s’intensificò come la sua voce. «Rephaim mi ha salvata dalla Tenebra. È stato grazie a lui che sono sopravvissuta dopo che per sbaglio avevo evocato il toro bianco. E, anche se la maggior parte delle persone qui riunite non può vedere quello che lei sta facendo, Neferet, non dimentichi che io lo vedo benissimo. Li vedo, i tentacoli di Tenebra che obbediscono ai suoi ordini.» «Sembri avere grande familiarità con l’argomento», replicò Neferet. «Per forza. Prima del sacrificio di Afrodite, io ero piena di Tenebra. La riconoscerò sempre, proprio come sceglierò sempre la Luce.» «Sul serio?» Il sorriso di Neferet era ipercompiaciuto. «Ed è questo che hai fatto quando hai stabilito un Imprinting con questo mostro? Hai scelto la Luce? I Raven Mocker sono stati creati da rabbia, violenza e odio. Vivono per la morte e la distruzione. Quello che abbiamo davanti ha ucciso Anastasia Lankford. Come può tutto ciò essere scambiato per la Luce e la via della Dea?» «Era sbagliato.» Rephaim non si era rivolto a Neferet, guardava dritto Stevie Rae. «Ciò che io ero prima di conoscerti era sbagliato. Poi tu mi hai trovato e mi hai trascinato fuori da un luogo oscuro.» Trattenni il fiato mentre il Raven Mocker, con un gesto lento e delicato, sfiorava una guancia della mia migliore amica per asciugarle una lacrima. «Tu mi hai dimostrato gentilezza, e per un po’ ho intravisto la felicità. Per me è sufficiente. Lasciami andare, Stevie Rae, mia Rossa. Consenti loro di avere la vendetta che cercano. Forse Nyx avrà pietà del mio spirito e mi permetterà di entrare nel suo regno, dove un giorno ti rivedrò.» Stevie Rae scosse la testa. «No, non posso. Se io sono tua, allora anche tu sei mio. Non ho intenzione di abbandonarti senza combattere.» «Questo significa che per lui combatteresti contro i tuoi amici?» le gridai con la sensazione che stesse andando tutto fuori controllo. Con calma, Stevie Rae mi guardò. Lessi la risposta nei suoi occhi prima ancora che, con voce triste ma decisa, dicesse: «Se devo, lo farò». E poi pronunciò l’unica frase che finalmente diede senso a quel casino pazzesco e che per me cambiò tutto. «Zoey, quando io ero piena di Tenebra, tu avresti lottato contro chiunque per difendermi, anche se non eri sicura che sarei mai più tornata me stessa. Vedi, Zy, lui si è già Trasformato. Ha voltato le spalle alla Tenebra. Come potrei non fare quanto hai fatto tu?» «Quel mostro ha ucciso la mia compagna!» urlò Dragone. «Per questo, oltre che per un’infinità di altri crimini, deve morire», sentenziò Neferet. «Stevie Rae, se decidi di stare dalla parte del mostro, allora scegli di essere contro la Casa della Notte e meriti di morire con lui.» Dovevo intervenire. «Okay, no. Aspettate. A volte le cose non sono bianche o nere, e non esiste un’unica risposta giusta. Dragone, so che per lei è terribile, ma proviamo a prendere un respiro profondo e a fermarci un attimo. Non può pensare sul serio di uccidere Stevie Rae.» «Se sta dalla parte della Tenebra, merita lo stesso destino del mostro», fece Neferet. «Ma per favore! Ha appena ammesso anche lei di essere stata con la Tenebra e Zoey l’ha perdonata», s’intromise Afrodite. «Non sto dicendo che mi sta bene questa strana cosa tra il ragazzo-corvo e Stevie Rae, ma come può essere giusto perdonare lei e non questi due?» «Perché io non sono più sotto l’influsso della Tenebra, personificata dal padre di questo essere», replicò viscida Neferet. «Non sono più sua alleata. Chiedete al mostro se può affermare la stessa cosa.» Guardò il Raven Mocker. «Rephaim, potresti giurare di non essere più figlio di tuo padre? Di non essere più legato a lui?» Stavolta, Rephaim rispose direttamente a Neferet. «Solo mio padre può esentarmi dall’essere al suo servizio.» Il viso di Neferet era l’immagine del compiacimento. «E hai chiesto a Kalona di esentarti?» Rephaim spostò lo sguardo su Stevie Rae. «No. Ti prego di capirmi.» «Ti capisco. Ti assicuro che è così», gli rispose lei. Poi strillò a Neferet: «Non ha chiesto a Kalona di esentarlo perché non vuole tradire suo padre!» «I motivi per cui si sceglie la Tenebra non sono importanti», affermò Neferet. «A dire il vero, io penso di sì», ribattei. «E un’altra cosa: stiamo parlando di Kalona come se lui fosse qui. Ma non doveva essere stato bandito dal suo fianco?» Neferet spostò su di me gli occhi di ghiaccio. «L’immortale non è più al mio fianco.» «Però sembrerebbe che sia a Tulsa pure lui. Se è stato bandito, che ci fa qui? Uh... Re-Rephaim», m’impappinai sul suo nome. Era così strano parlare a quell’essere spaventoso come se fosse un ragazzo normale. «Tuo padre è a Tulsa?» «Io... io non posso parlare di mio padre», rispose esitante il Raven Mocker. «Non ti sto chiedendo di dire qualcosa di male su di lui e nemmeno di rivelarmi dove sia di preciso», chiarii. Con gli occhi colmi di sofferenza, lui mi rispose: «Mi dispiace. Non posso». «Visto? Non dirà niente contro Kalona; non si opporrà mai a Kalona», gridò Neferet. «E, dato che il Raven Mocker è qui, anche il padre deve già essere a Tulsa o sta per arrivarci. Perciò, quando attaccherà questa scuola, e lo farà, lui sarà di nuovo al suo fianco a combattere contro di noi.» Rephaim spostò lo sguardo scarlatto su Stevie Rae. La voce piena di disperazione, disse: «Non ti farò mai del male, ma lui è mio padre e io...» Neferet non gli lasciò finire la frase. «Dragone Lankford, in quanto Somma Sacerdotessa di questa Casa della Notte, ti ordino di proteggerla. Uccidi questo orribile Raven Mocker e chiunque stia dalla sua parte.» Sollevò la mano e piegò il polso verso Stevie Rae. La bolla verde luccicante che circondava lei e il Raven Mocker tremolò, e Stevie Rae gemette, diventò pallida come gesso e si portò la mano allo stomaco come se stesse per vomitare. «Stevie Rae?» Feci per andare da lei, ma Stark mi afferrò per un braccio, trattenendomi. «Neferet sta usando la Tenebra. Non puoi metterti tra lei e Stevie Rae, ti ucciderebbe.» «La Tenebra?» La voce di Neferet era gonfia di potere. «Io non sto usando la Tenebra. Sto mettendo in atto la giusta vendetta di una dea. Soltanto questo può farmi spezzare la barriera che ho davanti. Dragone, adesso! Mostra a questa creatura le conseguenze dell’agire contro la mia Casa della Notte!» Stevie Rae cadde in ginocchio e la luminosità verde sparì. Rephaim era chino su di lei, con la schiena completamente esposta e vulnerabile alla spada di Dragone. Sollevai la mano che non stringeva Stark, ma cosa potevo fare? Attaccare Dragone? Salvare il Raven Mocker che gli aveva ucciso la compagna? Ero bloccata. Non avrei lasciato che il maestro di scherma facesse del male a Stevie Rae, però lui non stava aggredendo lei: aggrediva il nostro nemico, un nemico con cui la mia migliore amica aveva stabilito un Imprinting. Era come guardare uno di quei film splatter e aspettare l’inizio di una disgustosa carneficina con tagliamento di gole e smembramenti vari, solo che quello era vero. Poi si udì un grande sibilo, come una burrasca controllata, e dal cielo scese Kalona, atterrando tra suo figlio e Dragone. In mano stringeva una terribile lancia nera, quella che aveva fatto materializzare nell’Aldilà, e l’usò per deviare il colpo del Signore delle Spade con tale forza da farlo cadere in ginocchio. I Figli di Erebo scattarono in azione. Oltre una decina corsero a difendere il loro maestro. Kalona era un rapidissimo movimento sfocato e mortale, ma persino lui faticava a tenere a bada così tanti Guerrieri tutti in una volta. «Rephaim! Figlio! A me! Difendimi!» CAPITOLO 22 STEVIE RAE «Non puoi uccidere nessuno!» gridò Stevie Rae mentre Rephaim afferrava la spada di un Figlio di Erebo caduto. Lui la guardò e mormorò: «Obbliga Kalona ad andare contro i desideri di Neferet. È l’unico modo per far finire tutto questo». Poi corse a difendere il padre. Obbliga Kalona ad andare contro i desideri di Neferet? Di cosa cavolo parla Rephaim? Kalona non è sotto il suo controllo? Stevie Rae tentò di rimettersi in piedi, ma quei terribili tentacoli neri non avevano soltanto distrutto il suo scudo di terra, l’avevano anche svuotata. Si sentiva debole, con la testa che girava e una gran voglia di dare di stomaco. Poi Zoey le si accovacciò accanto, mentre Stark si frapponeva tra le ragazze e il sanguinoso scontro tra i Figli di Erebo e Kalona, sfoderando una spada gigantesca. Stevie Rae afferrò il polso di Zoey. «Non lasciare che Stark faccia del male a Rephaim! Ti prego, ti prego. Fidati di me.» Zoey annuì, poi avvertì il suo Guerriero di non colpire Rephaim. «Lo colpisco eccome se ti aggredisce!» ribatté lui, ora spalleggiato anche da Dario, che lo aveva raggiunto con la spada sguainata. «Non lo farà», gli assicurò Stevie Rae. «Io non ci scommetterei», intervenne Afrodite. «Zucca campagnola, stavolta hai combinato un casino da delirio.» «Detesto essere d’accordo con Afrodite», disse Erin. «Lo detesto da pazzi, ma ha ragione lei», convenne Shaunee. Damien, l’aria distrutta, s’inginocchiò accanto a Stevie Rae. «Possiamo pensarci dopo a sgridarla. Adesso sarebbe meglio trovare il modo di tirarla fuori da questo disastro», commentò. Gli occhi della vampira rossa si riempirono di lacrime. «Tu non capisci! Io non voglio tirarmene fuori, e l’unico disastro qui è che voi ragaaazzi abbiate scoperto di Rephaim così, senza che avessi il tempo di dirvelo io.» Damien la fissò per un lunghissimo istante prima di ribattere: «Oh, capisco. E capisco sul serio perché, anche se il mio Compagno non c’è più, in questi mesi ho imparato un sacco sull’amore». Prima che Stevie Rae potesse aggiungere altro, il grido di dolore di un Figlio di Erebo attirò l’attenzione di tutti: Kalona l’aveva appena ferito alla coscia e il giovane era crollato. Ma non aveva ancora toccato terra che già un altro lo trascinava via e un terzo ne prendeva il posto, chiudendo la breccia nel cerchio mortale attorno ai due esseri alati. Rephaim e il padre combattevano schiena contro schiena, e Stevie Rae avrebbe voluto raggomitolarsi su se stessa e morire pur di non assistere al feroce assalto dei Guerrieri. Perfettamente in sintonia, Kalona e il Raven Mocker completavano l’uno i movimenti dell’altro. Una parte di Stevie Rae riusciva a cogliere la bellezza della danza fatale che si stava svolgendo tra loro e i Guerrieri: in quel combattimento c’erano una grazia e una simmetria da mettere i brividi. Ma nella sua mente c’era spazio per un unico pensiero: Scappa, Rephaim! Vola via! Vattene da qui! Salvati! Un Guerriero fece un affondo contro Rephaim, che parò il colpo solo all’ultimo momento. Spaventata, sconvolta e quasi del tutto sopraffatta dalla terribile incertezza riguardo al futuro di entrambi, Stevie Rae impiegò più tempo del dovuto per rendersi realmente conto di ciò che stava facendo il suo Raven Mocker. O meglio, di ciò che I stava facendo. E quando capì, la ragazza provò il dolce fremito della speranza. Senza staccare gli occhi dallo scontro, afferrò la mano della sua migliore amica. «Zoey, guarda Rephaim: non sta attaccando. Non sta facendo male a nessuno. Si sta solo difendendo.» Lei si fermò a osservare, quindi disse: «Hai ragione. Stevie Rae, hai ragione! Non sta attaccando». Stevie Rae era così orgogliosa di Rephaim! Sentiva un dolore al petto, come se il cuore le battesse troppo forte per poter rimanere chiuso nella gabbia toracica. I Guerrieri continuavano ad attaccare, rapidi e mortali, e Kalona restituiva ogni colpo, ferendoli e persino uccidendoli. Rephaim si limitava a difendersi: bloccava affondi, faceva finte e allunghi, senza mai colpire i Guerrieri che stavano cercando di ammazzarlo. «È vero. Il Raven Mocker si sta unicamente difendendo», convenne Dario. «Pressateli! Uccideteli!» gridava Neferet. Pareva gonfia di potere e si crogiolava nella violenza e nella distruzione. Perché nessun altro oltre a Stevie Rae vedeva l’orribile Tenebra che pulsava e strisciava eccitata intorno a lei, avvolgendosi sulle gambe, accarezzandole il corpo, nutrendosi del suo potere come a propria volta Neferet si nutriva di morte e distruzione? Capitanati da Dragone Lankford, desideroso di vendetta, i Figli di Erebo raddoppiarono l’attacco. «Devo fermarli. Prima che la cosa precipiti e lui non possa evitare di uccidere qualcuno. Devo fermarli», disse Stevie Rae. «Non c’è modo di fermarli. Credo che Neferet progettasse fin dall’inizio qualcosa di simile. Probabilmente Kalona è qui perché gliel’ha ordinato lei», intervenne Zoey. «Forse Kalona, ma non Rephaim. Lui è venuto per assicurarsi che stessi bene e io non lo abbandonerò», sentenziò decisa Stevie Rae. Continuando a osservare lo scontro, immaginò di essere un albero, una gigantesca e fortissima quercia, e che le sue gambe affondassero nel terreno, come radici talmente profonde da non poter essere raggiunte dai vischiosi tentacoli di Tenebra di Neferet. Poi immaginò di trarre energia dallo spirito della terra, ricca, fertile e possente e, finalmente rinvigorita dall’elemento, Stevie Rae si alzò. Quando sollevò una mano per allontanare quella che Zoey le aveva teso per aiutarla, la vampira si accorse che splendeva di un verde delicato e familiare. Iniziò a camminare verso Rephaim. «Ehi, dove credi di andare?» chiese Stark, che le si parò davanti insieme con Dario. «A danzare con le bestie in modo da penetrare oltre il loro travestimento», rispose Stevie Rae, citando la poesia di Kramisha. «Okay, sei fuori del tutto? Tieni qui il culo e sta’ lontana da quel casino!» esclamò Afrodite. Stevie Rae la ignorò e affrontò i due Guerrieri. «Ho un Imprinting con lui. Ho preso la mia decisione. Se volete lottare con me, sono pronta, io devo andare da Rephaim.» «Stevie Rae, nessuno vuole lottare con te», disse Zoey. Poi, rivolta a Stark e a Dario, aggiunse: «Lasciatela andare». «Zy, mi serve il tuo aiuto. Se ti fidi di me, seguimi e dammi una mano con lo spirito», riprese la vampira rossa. «No! Non ti puoi immischiare», esclamò Stark. Zoey gli sorrise. «Ma ci siamo già immischiati con Kalona, e abbiamo vinto. Te lo ricordi?» Stark sbuffò. «Già, però io sono morto.» «Non preoccuparti, Guardiano, ti salverò ancora se serve.» Zoey tornò a rivolgersi a Stevie Rae. «Hai detto che Rephaim ti ha salvato la vita?» «Due volte. E per farlo ha dovuto resistere alla Tenebra. Dentro di lui c’è del buono, te l’assicuro. Ti prego, Zy, ti prego, fidati di me.» «Io mi fido di te. Mi fiderò sempre. Stark, io vado con Stevie Rae», disse Zoey. «Anch’io. Se ti servisse l’aria, sarà lì per te. Io nell’amore continuo a credere», intervenne Damien, che finalmente aveva smesso di piangere. «A me quel passero troppo cresciuto non piace per niente, ma di sicuro l’aria non andrà senza il fuoco», aggiunse Shaunee. «Né senza l’acqua, gemella», concluse Erin. «Ragaaazzi, grazie. Non so dirvi quanto ciò significa per me», disse Stevie Rae. «Oh, che cazzo! Andiamo a salvare il disgustoso corvaccio, così la zucca campagnola potrà vivere per sempre infelice e scontenta», intervenne Afrodite. «Sì, facciamolo, però dovresti proprio togliere quell’in e quella s dalla frase», la rimbeccò Stevie Rae mettendosi alla testa del cerchio creato intorno a lei. Sempre incanalando il potere della terra, la ragazza cercò di avvicinarsi a Rephaim quanto più poteva. «No! Sta’ lontana!» strillò il Raven Mocker vedendola. «Col cavolo che sto lontana!» Stevie Rae guardò Damien. «In marcia cowboy, chiama l’aria.» Damien si voltò verso est. «Aria, ho bisogno di te. Vieni!» Il vento prese a turbinargli intorno, sollevando i capelli di tutti. Poi fu il turno di Shaunee, che si voltò verso sud. «Fuoco, vieni a bruciare per me, piccolino!» Mentre l’aria si faceva insolitamente calda, Erin guardò a ovest. «Acqua, vieni a unirti al cerchio!» Il profumo di una pioggia di primavera sfiorò i loro visi. Allora Stevie Rae si rivolse a nord. «Terra, tu sei già con me. Ti prego, unisciti al cerchio.» La sensazione di essere un tutt’uno col terreno s’intensificò e Stevie Rae capì di splendere come un faro di una luce verde muschio. Fu il turno di Zy. «Spirito, per favore, completa il nostro cerchio.» Ci fu una magnifica sensazione di benessere cui Stevie Rae si aggrappò staccandosi dal gruppo come se fosse stata la punta della loro lancia. Forte del proprio elemento, sollevò le braccia, incanalò l’energia saggia e senza tempo degli alberi e disse: «Terra, crea una barriera che metta fine a questa lotta. Per favore». «Aiutala, aria», disse Damien. «Dalle la carica, fuoco», aggiunse Shaunee. «Sostienila, acqua», fece Erin. «Ricolmala, spirito», concluse Zoey. Stevie Rae sentì scorrere nel proprio corpo l’energia della terra, che dai piedi risalì fino alle mani e, all’improvviso, simili a rampicanti, sottili viticci verdi spuntarono dal terreno creando una barriera intorno a Rephaim e a Kalona, interrompendo il combattimento. Si voltarono tutti a guardare la Somma Sacerdotessa Rossa, che sentenziò: «Ecco, così va meglio. Adesso possiamo risolvere la questione». «Dunque, Zoey, tu e il tuo cerchio avete deciso di allearvi con la Tenebra», intervenne Neferet. Prima che la novizia potesse rispondere, Stevie Rae sbottò: «Neferet, questo vuol dire avere più pigne in testa di uno scoiattolo. Zy è appena tornata da un giretto nell’Aldilà in compagnia di Nyx, dove peraltro è riuscita a prendere a calci in culo Kalona e a riportare indietro con lei sano e salvo anche il suo Guerriero, cosa che nessun’altra Somma Sacerdotessa era mai stata in grado di fare. Non mi sembra il candidato ideale per un’alleanza con la Tenebra». Neferet aprì la bocca per parlare, ma Stevie Rae glielo impedì. «No! Ho ancora una cosa da dirle: non m’importa di quanta gente riesce a imbrogliare, voglio che sappia che io non le crederò mai. Lei non è affatto cambiata, è sempre la solita bugiarda e non è una brava persona, neanche un po’. Ho visto il toro bianco e conosco la Tenebra con cui sta giocando. Cacchio, Neferet, la vedo quella roba nera che le striscia intorno anche in questo momento! Quindi. Si. Tolga. Dai. Piedi.» Ora che aveva rimesso al suo posto Neferet, si girò per rivolgersi a Kalona, ma le parole le si seccarono sulle labbra. L’immortale alato pareva un dio vendicatore, con la lancia nera che grondava sangue e il petto pieno di macchie scarlatte. Gli occhi d’ambra scintillavano mentre la fissava con un’espressione che era un misto di divertimento e disprezzo. Come ho potuto anche solo pensare di potermi opporre a lui? È troppo forte, e io sono niente di niente... gridò la mente di Stevie Rae. «Spirito, dalle coraggio», mormorò la voce di Zoey, trasportata fino a lei dal vento evocato da Damien. Per un attimo, la vampira rossa incrociò lo sguardo della sua migliore amica, che le sorrise. «Continua. Finisci quello che hai iniziato. Puoi farcela.» Stevie Rae si sentì travolgere da un’immensa ondata di gratitudine e, quando tornò a guardare Kalona, trasse altra energia dalle radici che immaginava la collegassero al suo elemento e, con quella fonte di potere unita al sostegno dei suoi amici, finì ciò che aveva iniziato. «Okay, lo sanno tutti che una volta eri il Guerriero di Nyx, e che sei qui perché qualcosa ha incasinato la faccenda... o meglio, sei qui perché tu hai incasinato la faccenda. Sarai pure diventato tutto cattivo e cose così, ma una volta dovevi pur conoscere l’onore, la lealtà e magari persino l’amore. Quindi ho qualcosa da dirti su tuo figlio, e voglio che tu mi ascolti. Non so come o perché sia successo, ma io lo amo, e credo che lui ami me.» «Sì, Stevie Rae, ti amo», confermò Rephaim in tono chiaro e distinto in modo che la sua voce arrivasse a tutti i presenti. Lei si concesse un momento per sorridergli, piena di orgoglio e felicità e, soprattutto, amore. Poi tornò a concentrarsi su Kalona. «Sì, è strano. No, non sarà mai una relazione normale, e la Dea sa che dovremo affrontare un sacco di problemi coi miei amici, ma io voglio dare a Rephaim una vita in cui conoscerà dolcezza, pace e felicità. Solo che non lo posso fare se prima non fai tu una cosa: Kalona, lo devi liberare. Devi permettergli di scegliere se stare con te o cambiare il suo destino. Io qui mi sono messa in guai grossi, però credo con tutta me stessa che da qualche parte dentro di te ci sia ancora almeno un pezzettino di Guerriero di Nyx e che quel Kalona, quello che proteggeva la nostra Dea, farebbe la cosa giusta. Perciò ti prego di essere di nuovo quel Kalona, anche se solo per un secondo.» Calò il silenzio. Mentre Kalona fissava Stevie Rae senza battere ciglio, Neferet s’intromise, sdegnosa e arrogante come sempre. «Basta con questa stupida farsa. Mi occuperò della barriera d’erba. Dragone, soddisfa la tua sete di vendetta sul Raven Mocker. Quanto a te, Kalona, ti ordino di starmi lontano. Tu sei stato bandito dal mio fianco per un secolo, non te lo dimenticare.» Stevie Rae si preparò. Prevedeva qualcosa di terribile, ma di sicuro non si sarebbe tirata indietro, anche se ciò significava affrontare di nuovo la Tenebra e i viscidi tentacoli neri che ormai sembravano stare sempre vicino a Neferet. Ma, proprio quando provò la prima fitta di dolore e di gelo, unita alla sofferenza che la Tenebra provocava nel cuore della terra, l’immortale alato sollevò leggermente una mano. «Alt! Sono alleato della Tenebra da tempo immemorabile. Obbedisci al mio comando. Questa non è la tua battaglia. Vattene!» «No!» esclamò Neferet, mentre i tentacoli vischiosi, invisibili a quasi tutti i presenti, cominciavano a scivolare via per essere riassorbiti dall’ombra da cui provenivano. «Stupida creatura! Cosa stai facendo? Ho ordinato a te di andartene. Sei tu che devi obbedire ai miei ordini! Qui sono io la Somma Sacerdotessa!» «Io non sono sotto il tuo controllo! E non lo sono mai stato.» Kalona sorrise, trionfante. Il suo aspetto era così magnifico che per un momento, guardandolo, Stevie Rae rimase senza fiato. Neferet si riprese in fretta. «Non so di cosa tu stia parlando. Ero io sotto il tuo controllo.» Kalona osservò i novizi che lo fissavano con gli occhi sgranati e i vampiri che si erano armati per aggredirlo o che erano incerti se fuggire o adorarlo. «Ah, figli di Nyx, molti di voi, come me, hanno smesso di ascoltare la nostra Dea. Ma quando imparerete?» Quindi si rivolse a Rephaim. «È vero che hai un Imprinting con la Rossa?» «Sì, padre.» «E che le hai salvato la vita? Più di una volta?» «Come lei ha salvato la mia. È stata lei a guarirmi dopo la caduta. E, quando ho affrontato il toro bianco per liberarla, è stata lei a curare la terribile ferita che mi ha inflitto la Tenebra.» Lo sguardo di Rephaim incrociò quello di Stevie Rae. «Per ripagarmi di averla sottratta alla Tenebra, mi ha sfiorato col potere della Luce che le appartiene, quello della terra.» «Non l’ho fatto per ripagarti. L’ho fatto perché non sopportavo di vederti soffrire», ribatté la vampira rossa. Lentamente, come se gli costasse un’enorme fatica, Kalona sollevò una mano e la posò sulla spalla del figlio. «Sai che non potrà mai amarti come una donna ama un uomo? Desidererai per sempre qualcosa che lei non ti può dare.» «Padre, ciò che mi dà è più di quanto abbia mai avuto.» Per un attimo, il volto di Kalona si contorse in una smorfia di dolore. «Io ti ho dato amore in quanto mio figlio, il mio figlio prediletto.» Rephaim esitò ma, quando alla fine si decise, rispose con estrema onestà, nonostante l’immenso dolore che gli costava fare quell’ammissione. «Forse in un altro mondo, in un’altra vita, questo avrebbe potuto anche essere vero. In questa, mi hai dato potere, disciplina e rabbia. Ma non amore. Mai amore.» «Allora, in questo mondo, in questa vita, ti darò un’altra cosa: la possibilità di scegliere. Scegli, Rephaim. Scegli tra il padre che hai servito e seguito fedelmente per secoli e il potere che tutto questo ti ha dato, e l’amore di questa Somma Sacerdotessa vampira, che non sarà mai completamente tua, perché proverà sempre orrore per il mostro che c’è in te.» Negli occhi di Rephaim, Stevie Rae lesse una domanda cui rispose ancor prima che lui potesse pronunciarla ad alta voce: «Quando ti guardo, io non vedo un mostro, né fuori né dentro. Quindi non provo orrore per te. Io ti amo, Rephaim». Chiuse un attimo gli occhi, attraversata da un brivido di disagio. Lui era buono, lei ne era convinta, ma preferirla a suo padre gli avrebbe cambiato per sempre il corso dell’esistenza. E, dato che era in parte immortale, quel «per sempre» poteva essere inteso in senso letterale. Magari non poteva... magari non voleva... magari... «Padre...» Non appena udì la voce di Rephaim, Stevie Rae riaprì gli occhi. «Io scelgo Stevie Rae e la via della Dea.» Sul volto di Kalona si disegnò una smorfia di dolore. «Allora così sia. Da questo momento in poi, tu non sei più mio figlio. Ti offrirei la benedizione di Nyx, ma lei non mi ascolta più. Perciò ti offro invece un avvertimento: se la ami con tutto te stesso, quando ti renderai conto che lei non ti ama allo stesso modo – e non lo farà, perché non può – questo ucciderà tutto ciò che hai dentro.» L’immortale spiegò le immense ali, sollevò le braccia e sentenziò: «Rephaim è libero! Così ho detto. Così sia!» In seguito, Stevie Rae avrebbe ripensato a quel momento e al modo in cui l’aria intorno a Rephaim aveva tremolato quando lui era stato liberato dal vincolo che lo legava al padre. In quell’istante, però, non riuscì a fare altro che fissare a occhi sgranati Rephaim mentre la sfumatura scarlatta scompariva dalle sue iridi, lasciando soltanto i grandi occhi scuri da umano che la fissavano dalla testa di un enorme corvo. Ali ancora spiegate, corpo ancora ingigantito dal potere e, come voleva credere Stevie Rae, dalla sofferenza che doveva provare per la perdita del figlio, Kalona spostò lo sguardo d’ambra su Neferet. Non disse nemmeno una parola. Si lanciò nel cielo della notte, lasciandosi dietro la scia di una risata di scherno, oltre a un’altra cosa: dall’aria, un’unica penna bianca volteggiò atterrando ai piedi di Stevie Rae. Questo la sconvolse al punto che la barriera che aveva eretto intorno a Rephaim svanì. Ma stava fissando la penna con tale intensità da non accorgersi di avere perso la concentrazione. Era china a raccogliere la piuma, quando Neferet urlò: «Dragone, adesso che l’immortale se n’è andato, uccidi suo figlio. Non mi faccio imbrogliare da questa farsa». Stevie Rae gemette quando la Tenebra spezzò il suo contatto con la terra, indebolendola. Non riuscì neppure a gridare vedendo Dragone lanciarsi contro Rephaim. CAPITOLO 23 REPHAIM Rephaim non ebbe neanche il tempo di capire cosa fosse successo, quando Neferet ordinò a Dragone di ucciderlo. Era troppo concentrato su Stevie Rae che fissava qualcosa di bianco nell’erba. Poi si scatenò il caos. La luminosità verde che lo circondava sparì. Stevie Rae diventò pallida come uno spettro e ondeggiò come se avesse i capogiri. E, all’improvviso, ecco che Zoey, l’amica di Stevie Rae, gli stava davanti, piazzata tra lui e i Figli di Erebo in cerca di vendetta. «No. Noi non aggrediamo chi sceglie la strada della Dea.» I Guerrieri si fermarono, incerti, mentre Stark e Dario si precipitavano a fianco di Zoey. Entrambi avevano la spada sguainata, ma l’espressione sul loro viso non lasciava dubbi: era evidente che nessuno dei due voleva colpire i confratelli. È colpa mia. È colpa mia se stanno combattendo tra loro. Mentre correva da Stevie Rae, i pensieri di Rephaim erano un misto di dubbi e disgusto per se stesso. «Vuoi davvero opporti ai nostri Figli di Erebo?» domandò incredula Neferet a Zoey. «Vuole che i nostri Guerrieri uccidano qualcuno al servizio della Dea?» ribatté lei. «Quindi adesso saresti capace di leggere nel cuore degli altri? Neppure le vere Somme Sacerdotesse possono vantare una simile capacità divina», replicò Neferet in tono saggio e compiaciuto. Prima che lei si materializzasse, Rephaim percepì un cambiamento nell’aria, come se stesse per scoppiare un temporale e l’atmosfera fosse carica di elettricità. In mezzo all’ondata di energia, di luce e di suoni, comparve la Dea della Notte, Nyx. «No, Neferet, Zoey non può vantare una simile capacità divina, ma io sì.» Al suono della sua voce celestiale, ogni tentacolo di Tenebra strisciò via a gran velocità. Accanto a Rephaim, Stevie Rae espirò di botto, neanche avesse trattenuto il fiato fino a quel momento, e cadde in ginocchio, mentre tutt’intorno a loro si udivano mormorii intimiditi: «È Nyx!» «È la Dea!» «Oh, benedetta sia!» E l’attenzione del Raven Mocker fu tutta per lei. Era davvero la notte personificata. I capelli splendevano di una luminescenza argentata, come la luna piena in ottobre. Gli occhi erano come il cielo della luna nuova, neri e sconfinati. Il resto del suo corpo era semitrasparente. A Rephaim sembrò di vedere della seta scura che si agitava come mossa da un leggero vento e una sagoma femminile, e forse persino una mezzaluna tatuata sulla fronte liscia, ma più cercava di metterla a fuoco, più l’immagine della Dea diventava diafana e incandescente. Fu in quel momento che si accorse di essere l’unico rimasto in piedi. Tutti gli altri si erano inginocchiati, quindi lo fece anche lui. Comprese subito di non doversi preoccupare per essersi mosso in ritardo. L’attenzione di Nyx era altrove. Stava fluttuando sopra Damien, che non ne aveva idea, dato che stava in ginocchio con la testa china e gli occhi chiusi. «Damien, figlio mio, guardami.» Lui sollevò la testa e sgranò gli occhi per lo stupore. «Oh, Nyx! Sei proprio tu! Pensavo di essermelo solo immaginato.» «Forse in un certo senso è così. Voglio tu sappia che il tuo Jack è con me, ed è uno degli spiriti più puri e gioiosi che siano mai entrati nel mio regno.» Gli occhi di Damien si riempirono di lacrime che gli scivolarono sulle guance. «Grazie. Grazie di avermelo detto. Mi aiuterà a cercare di vivere facendo a meno di lui.» «Figlio mio, non c’è bisogno di fare a meno di Jack. Ricordalo, e rallegrati del breve ma bellissimo amore che avete condiviso. In questo modo non si dimentica e non si fa a meno di qualcuno, si guarisce la ferita della nostalgia.» Tra le lacrime, Damien sorrise. «Me ne ricorderò. Me ne ricorderò per sempre, come sempre sceglierò la tua via, Nyx. Ti do la mia parola.» La Dea si voltò e i suoi occhi scuri osservarono gli altri presenti, per fermarsi infine su Zoey. «Ben trovata, mia Dea», disse subito lei, sconvolgendo il Raven Mocker per il tono familiare che aveva usato. Non avrebbe dovuto essere più rispettosa, più timorosa, nel rivolgersi alla Dea? «Ben trovata, Zoey Redbird!» La Dea ricambiò il sorriso della Somma Sacerdotessa novizia e per un attimo lui pensò che somigliava a una dolce e bellissima ragazzina, una ragazzina che all’improvviso gli fu familiare. Riconoscendola, Rephaim trasalì: il fantasma nella villa Gilcrease! Il fantasma era la Dea! Poi Nyx iniziò a parlare, rivolgendosi a tutti, e il suo volto mutò in quello di un essere etereo così luminoso e stupendo che era difficile fissarlo e impossibile pensare a qualcosa che non fossero le sue parole, che parevano una sinfonia. «Qui stasera sono accadute molte cose. Sono state compiute scelte che alterano uno spirito, quindi significa che, per alcuni di voi, si sono aperte nuove strade. Per altri, si è consolidata una decisione presa tanto tempo fa. E, tuttavia, la vita di qualcuno si trova sull’orlo del baratro.» Lo sguardo della Dea indugiò su Neferet, che chinò immediatamente la testa. «Tu, figlia mia, sei cambiata. Non sei più quella di un tempo. E in verità, posso ancora chiamarti figlia?» «Nyx! Grande Dea! Come potrei non essere tua figlia?» Parlando con la Dea, Neferet non sollevò la testa, perciò i folti capelli ramati le coprivano completamente il viso, nascondendo la sua espressione. «Stasera hai chiesto perdono. Zoey ti ha dato una risposta. Io te ne darò un’altra: il perdono è un dono speciale, che bisogna meritarsi.» «Nyx, ti chiedo umilmente di dividere con me questo dono speciale», replicò Neferet. «Quando ti meriterai il dono, lo riceverai.» Bruscamente, la Dea lasciò Neferet per dedicarsi al Signore delle Spade, che la salutò con rispetto portandosi il pugno chiuso sul cuore. «La tua Anastasia è libera dal dolore e dal rimpianto. Farai anche tu la stessa scelta di Damien, imparando a gioire nel ricordo dell’amore avuto e continuerai con la tua vita oppure deciderai di distruggere ciò che lei tanto amava in te, ossia la tua capacità di essere allo stesso tempo forte e compassionevole?» Tutti osservarono Dragone, in attesa di una risposta che non arrivò. «Rephaim», disse la Dea. Il Raven Mocker fissò Nyx dritto in volto per un istante, poi chinò la testa pieno di vergogna, pronunciando le prime parole che gli affollarono la mente: «Ti prego, non guardarmi!» Stevie Rae gli prese la mano. «Non ti preoccupare. Non è qui per punirti.» «E tu come lo sai, giovane Somma Sacerdotessa?» La stretta di Stevie Rae sulla mano di lui si fece spasmodica, ma la voce della ragazza non tremò. «Perché tu puoi vedere nel suo cuore, e io so cosa troverai.» «Stevie Rae, cosa pensi ci sia nel cuore del Raven Mocker?» «Bontà. E non credo sia più un Raven Mocker. Suo padre l’ha liberato, quindi penso sia un nuovo tipo di... be’, di ragazzo come non ce ne sono mai stati prima.» Inciampò nelle parole ma riuscì comunque a terminare la frase. «Vedo che sei legata a lui», fu l’enigmatica risposta della Dea. «Sì», affermò decisa Stevie Rae. «Anche se il vostro legame implica la divisione di questa Casa della Notte e forse persino di questo mondo?» «Mia mamma pota sempre le rose alla grande e da piccola pensavo che fosse un male e che magari rischiava anche di ucciderle. Quando gliel’ho chiesto, lei mi ha spiegato che a volte bisogna tagliare via delle parti vecchie per fare spazio al nuovo. Magari è ora di tagliare via qualche parte vecchia», rispose Stevie Rae. Le sue parole stupirono così tanto Rephaim che questi spostò lo sguardo dal terreno alla ragazza. Lei gli sorrise e, in quel momento, lui desiderò più di ogni altra cosa di poter ricambiare quel sorriso e stringerla tra le braccia come un ragazzo normale, perché nei suoi occhi vedeva calore e amore e felicità, e neppure la minima traccia di rimpianto o rifiuto. Stevie Rae gli diede la forza di guardare la Dea e incrociare il suo sguardo infinito. Ciò che vide gli risultò familiare, perché rispecchiava lo stesso calore e amore e gioia che aveva visto negli occhi di Stevie Rae. Rephaim lasciò la mano di Stevie Rae per portarsi il pugno sul cuore nell’antico saluto formale. «Ben trovata, Dea Nyx.» «Ben trovato, Rephaim. Tu sei l’unico figlio di Kalona ad avere abbandonato la rabbia e il dolore del tuo concepimento, e l’odio che ha caratterizzato la tua lunga vita, per cercare la Luce.» «Gli altri non avevano Stevie Rae», replicò. «È vero, lei ha influenzato la tua decisione, ma tu ti sei dovuto aprire a lei per seguire la Luce invece della Tenebra.» «Non è sempre stata questa la mia scelta. In passato ho fatto cose terribili. Questi Guerrieri hanno ragione a volermi morto.» «Provi rimorso per il tuo passato?» «Sì.» «Scegli un nuovo futuro in cui t’impegni a seguire la mia strada?» «Sì.» «Rephaim, figlio del Guerriero immortale deposto Kalona, io ti accetto al mio servizio e ti perdono per i peccati che hai commesso.» «Grazie, Nyx.» La voce di Rephaim era roca per l’emozione di doversi rivolgere alla Dea, alla sua Dea. «Mi ringrazierai anche se ti dico che, benché io ti accetti e ti perdoni, ci sono delle conseguenze da pagare per le tue scelte del passato?» «Qualunque cosa succeda, io ti ringrazierò per l’eternità. Questo lo giuro», replicò senza esitare. «Speriamo che tu possa avere molti anni in cui tenere fede a questo giuramento. Ecco dunque ciò che ho deciso.» Nyx sollevò le braccia, come per tenere la luna tra i palmi delle mani, e a Rephaim parve che raccogliesse luminosità addirittura dalle stelle. «Poiché hai risvegliato l’umanità che c’è in te, ogni sera dal tramonto all’alba, io ti faccio questo dono: la forma che realmente meriti.» La Dea scagliò verso di lui la luce che si era radunata tra le sue mani. Rephaim sussultò, sconvolto da un dolore così terribile da farlo urlare e crollare a terra. Mentre giaceva lì, paralizzato, soltanto la voce della Dea riusciva a raggiungerlo: «Per espiare le tue colpe, di giorno perderai la tua vera forma e tornerai a quella del corvo, che non conosce altro che gli spregevoli desideri di una bestia. Valuta bene come usare la tua umanità. Impara dal passato e tieni a bada la bestia. Così ho detto. Così avvenga!» Poi la Dea spalancò le braccia per accogliere tutti e sentenziò gioiosa: «Lascio il resto di voi col mio amore, se decidete di accettarlo, e il desiderio che per sempre benedetti siate». Nyx scomparve in un’esplosione di luce, talmente accecante da lasciare Rephaim ancora più confuso. Almeno il dolore era diminuito, però il suo corpo sembrava strano, poco familiare, intorpidito... Abbassò lo sguardo verso di sé e rimase così sconvolto che per un momento non riuscì a capire. Perché sono dentro un ragazzo? Ma la domanda trovò risposta nei singhiozzi di Stevie Rae, che piangeva e rideva allo stesso tempo. «Cos’è successo?» chiese Rephaim, ancora senza capire. Stevie Rae non sembrava in grado di parlare perché continuava a piangere lacrime di gioia. Anche la Somma Sacerdotessa novizia, Zoey Redbird, gli sorrideva e gli tendeva la mano, per aiutarlo ad alzarsi. «La nostra Dea ti ha fatto diventare un ragazzo», spiegò. Quando capì che era la verità, quasi ricadde in ginocchio. «Sono umano. Completamente umano.» Rephaim osservò il fisico forte di un giovane e alto guerriero cherokee. «Sì, ma soltanto di sera. Di giorno sarai completamente corvo», disse Zoey. Rephaim però l’udì a malapena, perché guardava Stevie Rae, che fece un passo verso di lui ma poi si fermò, esitante, mentre si asciugava il viso. «È... è brutto? Non vado bene?» sbottò lui. La vampira lo guardò dritto negli occhi. «No. Sei perfetto. Assolutamente perfetto. Sei il ragazzo che abbiamo visto nella fontana.» «Vorresti... posso...» Rephaim non riusciva a finire una frase, troppo emozionato per trovare le parole giuste, quindi preferì agire, colmando lo spazio che lo separava da Stevie Rae con due passi lunghi e del tutto umani. Senza esitare, la prese tra le braccia e fece quello che quasi non si era consentito neppure in sogno: si chinò a baciarla con le proprie labbra. Assaporò le sue lacrime e la sua risata, e finalmente scoprì cosa significava essere davvero felici. Perciò fu con riluttanza che si staccò da lei dicendo: «Aspetta, devo fare una cosa». Fu facile individuare Dragone Lankford. Gli si avvicinò con lentezza, senza movimenti bruschi, ma i Guerrieri al suo fianco si mossero comunque, evidentemente pronti a combattere di nuovo per il loro maestro. Rephaim si fermò davanti al Signore delle Spade, sostenendo il suo sguardo carico di dolore e rabbia. Annuì per indicare che capiva. «Ti ho provocato una grandissima perdita. Non ho scuse per ciò che ero. Posso soltanto dire che sbagliavo. Non ti chiedo di perdonarmi come ha fatto la Dea.» Appoggiò a terra un ginocchio. «Ciò che chiedo è che tu mi consenta di ripagare il debito di una vita che ho con te servendoti. Se mi accetti, finché avrò respiro, con le mie azioni e il mio onore io tenterò di fare ammenda per la perdita della tua compagna.» Dragone non replicò. Rimase a fissare Rephaim mentre sul viso gli passavano emozioni contrastanti: odio, disperazione, rabbia e tristezza. Che infine andarono a formare una maschera di fredda determinazione. «Alzati, mostro. Non posso accettare il tuo giuramento. Non sopporto di guardarti. Non ti consentirò di servirmi.» «Dragone, ci pensi bene», intervenne Zoey Redbird. «So che è dura, so cosa significa perdere qualcuno che si ama, ma deve decidere come continuare a vivere, e sembrerebbe che stia scegliendo la Tenebra invece della Luce.» Lo sguardo di Dragone era crudele, la voce gelida quando rispose alla giovane Somma Sacerdotessa. «Dici di sapere cosa significa perdere un amore? Per quanto tempo hai amato quel ragazzo umano? Meno di dieci anni! Anastasia è stata la mia compagna per più di un secolo.» Zoey sobbalzò, come se quelle parole l’avessero ferita a livello fisico, e Stark le fu subito accanto, guardando preoccupato il Signore delle Spade. «Ed è per questo che una bambina non può essere a capo di una Casa della Notte. Così come non può essere una vera Somma Sacerdotessa, per quanto indulgente sia la Dea», sentenziò Neferet spostandosi accanto a Dragone e sfiorandogli il braccio con rispetto. «Aspetti un attimo, odiosa. Non ricordo che Nyx abbia detto che la perdonava. Ha parlato di se e di doni, ma, correggetemi se sbaglio, non c’è stato nessun: Ciao Neferet, guarda che sei perdonata», saltò su Afrodite. «Tu non fai parte di questa scuola! Tu non sei più una novizia!» le strillò contro Neferet. «No, lei è una Profetessa, ricorda? L’ha detto anche il Consiglio Supremo», ribatté Zoey in tono calmo e saggio. Invece di rispondere a Zoey, Neferet si rivolse alla folla di vampiri e novizi. «Vedete come distorcono le parole della Dea persino pochi minuti dopo che lei ci è apparsa?» Rephaim sapeva che quella vampira era malvagia, sapeva che non era più al servizio di Nyx, ma persino lui dovette riconoscere che sembrava intensa e bellissima. Così come riconobbe i tentacoli di Tenebra che erano ricomparsi e avevano ricominciato a scivolare verso di lei, colmandola e alimentando il suo bisogno di potere. «Nessuno sta distorcendo niente», replicò Zoey. «Nyx ha perdonato Rephaim e l’ha fatto diventare umano. Ha anche ricordato a Dragone che doveva fare una scelta riguardo al proprio futuro. E ha fatto sapere a lei che il perdono è un regalo che la Dea concede a chi se lo merita. Tutto qui. Stiamo dicendo soltanto questo, nient’altro.» «Dragone Lankford, in quanto Signore delle Spade e maestro dei Figli di Erebo di questa Casa della Notte, accetti questo...» Neferet s’interruppe, guardando Rephaim con disprezzo. «... questa aberrazione come uno dei tuoi?» «No. Non posso accettarlo.» «Allora non lo posso accettare nemmeno io. Rephaim, non ti sarà consentito di rimanere in questa Casa della Notte. Vattene, immonda creatura, e vai a fare ammenda per il tuo passato altrove.» Il ragazzo non si mosse. Attese che Neferet lo guardasse poi, con calma e in modo molto chiaro, disse: «Io ti vedo per quella che sei». «Vattene!» strillò lei. Rephaim si alzò e iniziò ad allontanarsi dal Signore delle Spade e dal suo gruppo di Guerrieri, ma Stevie Rae gli prese la mano e lo fermò. «Dove vai tu, vado anch’io.» Lui scosse la testa. «Non voglio che tu venga scacciata dalla tua casa a causa mia.» Un po’ timida, Stevie Rae gli sfiorò il viso. «Ma non capisci che per me casa è dove sei tu?» Rephaim le prese la mano poi, non fidandosi a parlare, annuì e sorrise. Sorridere... che sensazione incredibilmente piacevole! Stevie Rae si rivolse ai presenti. «Io vado con lui. Ho intenzione d’iniziare una nuova Casa della Notte nei tunnel sotto lo scalo ferroviario. Là non è bello come qui, però è un casino più amichevole.» «Non puoi creare una Casa della Notte senza l’approvazione del Consiglio Supremo», la rimbeccò Neferet. I mormorii sconvolti della folla ricordarono a Rephaim la brezza d’estate che si perde tra l’erba delle antiche praterie, un suono infinito e inutile. La voce di Zoey Redbird si levò alta e forte: «Se sarete guidati da una regina vampira e accettate di tenervi fuori dalla politica vampira, il Consiglio Supremo vi lascerà in pace». Sorrise a Stevie Rae. «Guarda caso, io sono appena stata più o meno nominata regina. Che ne diresti se venissi con te e Rephaim? Sceglierò sempre l’amichevole rispetto al lussuoso, senza dubbio.» «Vengo anch’io», intervenne Damien dando un’ultima occhiata alla pira che si stava consumando. «Scelgo un nuovo inizio.» «Pure noi veniamo», affermò Shaunee. «Come no, gemella. E poi la nostra stanza qui era comunque troppo piccola», le fece eco Erin. «Ma torniamo a prendere la nostra roba», aggiunse Shaunee. «Oh, cavolo, certo!» convenne Erin. «Merda. Lo sapevo da quando questa serata è andata fuori controllo. Lo sapevo e basta. È uno schifo paragonabile al fatto che a Tulsa non ci sia una boutique di Nordstrom, ma potete stare certi che io qui non ci rimango», disse Afrodite. E, mentre Afrodite si appoggiava al suo Guerriero e sospirava da vera diva, tutti i novizi rossi si avvicinarono a Rephaim e a Stevie Rae, piazzandosi proprio accanto a Zoey, Stark e al resto del cerchio. Il resto dei loro amici. «Questo significa che non posso essere il Poeta Laureato di tutti i vampiri?» s’informò Kramisha unendosi al gruppo. «Naa! Quella è una cosa che non ti può togliere nessuno a parte Nyx», affermò Zoey. «Bene. Visto che è appena stata qui e non mi ha licenziata, immagino che sia okay», commentò Kramisha. «Se ve ne andate non siete niente! Nessuno di voi!» gridò Neferet. «Be’, Neferet, le cose stanno così: a volte non essere niente assieme ai tuoi amici vuol dire essere tutto!» replicò Zoey. «Quello che dici non ha neanche senso», ribatté Neferet. «Non ne ha per te.» Rephaim mise un braccio intorno alle spalle di Stevie Rae. «Andiamo a casa», disse lei cingendo il fianco completamente, assolutamente umano di Rephaim. «Mi sembra un’ottima cosa», commentò Zoey prendendo Stark per mano. «A me sembra invece che avremo da pulire per una barcata di tempo», brontolò Kramisha mentre si allontanavano. «Il Consiglio Supremo dei Vampiri verrà a conoscenza di tutto questo», gridò Neferet. Zoey si fermò quanto bastava a replicare senza nemmeno voltarsi del tutto: «Sì, bene, tanto non è difficile contattarci. Abbiamo Internet e tutto il resto. E poi un po’ di noi torneranno per seguire le lezioni. Questa è ancora la nostra scuola, anche se non è più la nostra casa». «Oh, grandioso. Siamo un caso da servizi sociali, con tanto di mezzi di trasporto convenzionati», fece Afrodite. Rephaim capì di avere un’espressione più che interrogativa quando Stevie Rae rise e l’abbracciò. «Non ti preoccupare. Avremo tutto il tempo di aggiornarti sulle cose moderne. Per adesso basta che tu sappia che siamo insieme e che di solito Afrodite non è tanto carina e gentile.» Poi si alzò in punta di piedi e lo baciò, e Rephaim lasciò che il suo odore e il contatto con lei coprissero le voci del passato e il ricordo pressante del vento sotto le ali... CAPITOLO 24 NEFERET Neferet fece appello a tutto il suo autocontrollo per consentire a Zoey e al suo patetico gruppo di amici di lasciare la Casa della Notte, anche se avrebbe tanto voluto sguinzagliargli contro la Tenebra e ridurli in poltiglia. Perciò, in segreto e con molta attenzione, inspirò per assorbire i fili neri che le giravano intorno, scivolando festanti di ombra in ombra. Quando si sentì forte e sicura e nuovamente padrona della situazione, si rivolse ai suoi seguaci, quelli rimasti nella sua Casa della Notte. «Gioite, novizi e vampiri! La comparsa di Nyx stanotte è stata un segno della sua benevolenza. La Dea ha parlato di scelte, di doni e di strade da seguire. Purtroppo abbiamo visto che Zoey Redbird e i suoi amici hanno deciso d’intraprendere un percorso che li ha allontanati da noi e, di conseguenza, da Nyx. Ma noi supereremo questa prova e continueremo, pregando la nostra misericordiosa Dea che quegli incauti decidano di tornare tra queste mura.» Quindi, con un movimento quasi impercettibile, puntò le lunghe unghie rosse in direzione dei vampiri e dei novizi ancora dubbiosi, che la fissavano incerti. La Tenebra rispose subito, individuando i possibili oppositori, avviluppandosi a loro, confondendo le menti con fitte di dolore, insinuando dubbi e paure apparentemente immotivati. «Adesso, ritiriamoci tutti nelle nostre stanze e accendiamo una candela del colore dell’elemento che sentiamo più vicino. Sono convinta che Nyx ascolterà queste preghiere incanalate dagli elementi e ci renderà più lieve questo periodo di sofferenza e di conflitto.» «Neferet, e riguardo al corpo del novizio? Non dovremmo continuare a vegliarlo?» chiese Dragone Lankford. Lei fece molta attenzione a non lasciar trapelare il disprezzo che provava. «Fai bene a ricordarmelo, Signore delle Spade. Quanti di voi hanno reso omaggio a Jack con le candele viola dello spirito possono gettarle nella pira prima di andarsene. I Figli di Erebo continueranno a vegliare il corpo del povero novizio per il resto della notte.» In questo modo mi libererò sia dell’energia delle candele dello spirito sia della scocciante presenza di tutti questi Guerrieri, pensò. «Come desideri, Sacerdotessa», disse Dragone facendole l’inchino. Neferet lo degnò a malapena di uno sguardo. «Ora devo ritirarmi. Ritengo che il messaggio che mi ha rivolto Nyx avesse molti aspetti. Alcuni li ha mormorati solo al mio cuore, e ora ho bisogno di tempo per riflettere. Perciò devo pregare e meditare.» «Quello che ha detto Nyx ti ha infastidita?» domandò Lenobia. Avrei dovuto saperlo che non era rimasta perché caduta nella mia trappola. Lei resta qui per mettermi i bastoni tra le ruote, si disse Neferet, che aveva già iniziato ad allontanarsi dagli sguardi indiscreti della Casa della Notte. Si fermò e, con la punta delle dita, mandò la Tenebra in direzione della Signora dei Cavalli. Con grande stupore di Neferet, Lenobia si guardò in giro, come se fosse realmente in grado di scorgere i tentacoli. «Sì, è vero, ciò che ha detto Nyx mi ha infastidita», replicò brusca la Somma Sacerdotessa, riportando su di sé l’attenzione dei presenti. «Ho capito che la Dea è molto in pensiero per la nostra Casa della Notte. L’hai sentita anche tu parlare di una divisione nel nostro mondo, e si è verificata. Mi stava avvertendo. Vorrei solo avere avuto la possibilità d’impedire che questo accadesse.» «Ma ha perdonato Rephaim. Non avremmo potuto...» «Certo, la Dea ha perdonato quell’essere, ma questo significa forse che dobbiamo sopportare la sua presenza tra noi?» Con gesto aggraziato, mosse il braccio verso Dragone Lankford che se ne stava tristissimo accanto alla pira del novizio. «Il nostro Figlio di Erebo ha fatto la scelta giusta. Purtroppo, troppi giovani novizi sono stati traviati da Zoey Redbird e Stevie Rae e dalle loro parole perverse. Come ha detto la stessa Nyx, il perdono è un premio che bisogna meritarsi. Auguriamoci per il bene di Zoey che continui a godere della benevolenza della Dea perché, dopo le sue azioni di stasera, temo per lei.» Neferet accarezzò l’aria, attirando dall’ombra altri fili di Tenebra, che con un gesto rapidissimo scagliò contro la folla, nascondendo un sorriso soddisfatto quando udì i gemiti e i sospiri pieni di dolore e confusione. «Andate! Raggiungete le vostre stanze, pregate e riposate. Questa sera siamo stati tutti messi a dura prova. Ora io vi lascio e, come ha detto la Dea, vi auguro che benedetti siate.» Abbandonò in gran fretta il centro del parco, lasciandosi colmare dall’energia della Tenebra, che rinforzò il suo corpo da poco immortale e la fece viaggiare sulle ali incolori della morte, del dolore e della disperazione. Ma, prima di raggiungere il Mayo Building e il lussuoso attico in cui sapeva, in cui era certa che Kalona la stesse aspettando, Neferet percepì un grande cambiamento nei poteri che la trasportavano. Fu il freddo a colpirla per primo. Neferet non era sicura di aver ordinato a quelle forze di fermarsi o se invece fosse stato il gelo a bloccarle; comunque fosse, si ritrovò in mezzo all’incrocio tra Peoria e l’Undicesima. La Tsi Sgili si rialzò e si guardò intorno, cercando di orientarsi. Il cimitero sulla sinistra attirò la sua attenzione, e non solo perché ospitava i resti in decomposizione degli umani, fatto che la divertiva. Percepiva che da lì stava arrivando qualcosa. Con uno scatto, Neferet afferrò un tentacolo di Tenebra che si allontanava e lo costrinse a condurla oltre l’appuntita recinzione di ferro che circondava il cimitero. Di qualunque cosa si trattasse, sentiva che la chiamava, e Neferet si mise a correre, guizzando come un fantasma tra le lapidi e i monumenti in rovina che gli umani trovavano così rasserenanti. Infine giunse alla zona centrale, in cui quattro ampi sentieri lastricati convergevano a formare un cerchio dove sventolava la bandiera americana e splendeva l’unica luce. A parte lui. Ovviamente Neferet lo riconobbe subito. Le era già capitato d’intravedere il toro bianco, ma non si era mai materializzato in tutto il suo splendore e lei rimase senza parole davanti a tanta bellezza. Il mantello era di un bianco luminoso, come una perla, perfetta e seducente. Lei si tolse la camicia che le aveva dato Stark, denudandosi davanti allo sconvolgente sguardo nero del toro. Poi si lasciò cadere in ginocchio. «Ti sei spogliata per Nyx. Ora ti spogli per me? Sei così generosa con tutti, regina delle Tsi Sgili?» La voce le risuonò nella mente, oscura, facendola rabbrividire. «Non mi sono spogliata per lei. E tu lo sai meglio di chiunque altro. La Dea e io percorriamo strade diverse: io non sono più mortale e non desidero essere sottomessa a un’altra femmina.» Il gigantesco toro bianco avanzò, facendo tremare il terreno sotto i grandi zoccoli. Il naso non sfiorò nemmeno la delicata pelle di lei, limitandosi a inspirare il suo profumo e, quando espirò, il suo fiato circondò Neferet, accarezzandole il corpo e risvegliando i suoi desideri più segreti. «Quindi, invece di essere sottomessa a una dea, preferisci inseguire un immortale caduto?» Lo sguardo di Neferet si fissò negli occhi neri e insondabili del toro. «Kalona non significa niente per me. Stavo andando da lui per vendicarmi del giuramento che ha infranto. Ne ho il diritto.» «Lui non ha infranto giuramenti. Non era vincolato a me. L’anima di Kalona non è più del tutto immortale... ne ha data via una parte. Che stupido.» «Davvero? Molto interessante...» Alla notizia, il corpo di Neferet prese a vibrare di eccitazione. «Vedo che sei ancora infatuata di lui.» Neferet sollevò il mento e scosse all’indietro i lunghi capelli ramati. «Non sono infatuata di Kalona. Desidero solo imbrigliare e sfruttare i suoi poteri.» «Sei proprio una creatura magnifica, del tutto priva di cuore.» La lingua del toro lambì il corpo nudo di Neferet, che tremò eccitato per la deliziosa sofferenza. «Da oltre un secolo non avevo un seguace tanto fervente. All’improvviso l’idea sembra gradevole.» Neferet rimase in ginocchio davanti a lui. Con gesto lento e delicato si allungò a toccarlo. Il manto del toro era gelido come ghiaccio ma liscio e scivoloso come acqua. Il corpo del toro fremette e la sua voce risuonò nella mente di lei, entrandole nell’anima e facendole girare la testa per l’intensità del suo potere: «Ah! Avevo dimenticato quanto può essere stupefacente il contatto fisico quando non è obbligato. Non mi accade spesso di essere sorpreso e mi scopro a desiderare di farti un grande favore, in cambio». «Accetterò con gioia qualunque favore voglia farmi la Tenebra.» «Sì, credo proprio che ti farò un dono.» «Che dono?» replicò ansimante Neferet, cogliendo l’ironia del fatto che le parole della Tenebra incarnata rispecchiassero quelle di Nyx. «Ti farebbe piacere se creassi per te uno Strumento che prenda il posto di Kalona? Potresti comandarlo a piacimento, usarlo come arma.» «Sarebbe potente?» La respirazione della Tsi Sgili era accelerata. «Se il sacrificio è degno, lui sarà molto potente.» «Sacrificherei qualunque cosa alla Tenebra. Dimmi cosa desideri per creare questo essere e io te la darò», ribatté Neferet. «Per creare lo Strumento, devo avere tutto il sangue di una donna dagli antichi legami con la terra, che le siano stati trasmessi da generazioni e generazioni di matriarche. Più la donna è forte, pura e anziana, più lo Strumento sarà perfetto.» «Umana o vampira?» chiese lei. «Umana... Sono legate alla terra in modo più completo, dato che il loro corpo torna alla terra molto più rapidamente di quello dei vampiri.» Neferet sorrise. «So con esattezza chi sarebbe il sacrificio perfetto. Se mi porti da lei stasera, ti darò il suo sangue.» Il toro piegò le grandi zampe anteriori, per consentire a Neferet di salirgli in groppa. «La tua offerta mi attira, mia spietata Tsi Sgili. Mostrami il sacrificio.» «Desideri portarmi tu?» Anche se lui era in ginocchio, era comunque difficile salire su quella schiena liscia, ma poi la Tenebra venne in aiuto a Neferet e la sollevò come se non pesasse niente. «Crea un’immagine mentale del luogo dove desideri che io ti porti, il luogo in cui possiamo trovare il tuo sacrificio, e io ti ci condurrò.» Neferet si chinò in avanti, stringendo le braccia intorno all’immenso collo, quindi iniziò a visualizzare dei campi di lavanda e una deliziosa casetta in pietra dell’Oklahoma con un’accogliente veranda in legno e ampie finestre... LINDA HEFFER Linda odiava ammetterlo, ma sua madre aveva ragione. «John Heffer è uno su-li», sbottò, usando il termine cherokee per «avvoltoio», che era il modo in cui Sylvia Redbird aveva definito John la prima volta in cui si erano incontrati. «Be’, è anche un imbecille, bugiardo e traditore... un imbecille col conto corrente in rosso e senza libretto di risparmio», aggiunse soddisfatta. «Perché oggi li ho svuotati, un attimo dopo averlo beccato sdraiato sulla scrivania del suo ufficio insieme con la segretaria della parrocchia!» Serrò le mani sul volante della Dodge Intrepid e accese i fari mentre riviveva mentalmente quella scena terribile. Aveva pensato che sarebbe stato carino fargli una sorpresa portandogli in ufficio un pranzo speciale preparato con le sue mani. John ultimamente faceva un sacco di straordinari ma, nonostante tutte quelle ore di lavoro, continuava a fare moltissimo volontariato in chiesa... Linda strinse le labbra. Be’, adesso aveva capito cosa faceva in realtà. O, meglio, chi si faceva! Avrebbe dovuto accorgersene. I segnali c’erano tutti: aveva smesso di prestarle attenzione, smesso di tornare a casa, perso cinque chili e si era persino sbiancato i denti! Lui avrebbe cercato di convincerla a tornare a forza di chiacchiere. Lo sapeva che sarebbe andata così. Aveva persino tentato d’impedirle di scappare via dal suo ufficio, ma non è tanto facile inseguire qualcuno coi calzoni calati. «E la cosa peggiore è che non vorrebbe farmi tornare perché mi ama, ma solo perché così non perderebbe la faccia.» Linda si morse il labbro e sbatté con forza le palpebre, rifiutandosi di piangere. «No. La cosa peggiore è che John non mi ha mai amata. Voleva soltanto sembrare il marito perfetto con una famiglia perfetta, ecco perché gli servivo. Ma la nostra famiglia non è mai stata perfetta... e neanche lontanamente felice.» Aveva ragione mia madre. E anche Zoey aveva ragione. Il pensiero di Zoey fu quello che finalmente diede libero sfogo alle lacrime. A Linda mancava moltissimo: Zoey era la figlia cui si era sempre sentita più vicina. Sorrise tra le lacrime, ricordando di quando loro due si concedevano i weekend della stupidera, sistemandosi assieme sul divano a mangiare schifezze e guardare film della serie del Signore degli Anelli o di Harry Potter, e a volte anche di Guerre Stellari. Da quanto non lo facevano più? Anni. L’avrebbero mai rifatto? Linda soffocò un singhiozzo. Avrebbero potuto anche adesso che Zoey era alla Casa della Notte? E comunque, chissà se Zoey avrebbe voluto rivederla... Se John avesse rovinato in modo irreparabile il suo rapporto con Zoey, Linda non se lo sarebbe mai perdonato. Quello era uno dei motivi per cui era salita in macchina nel cuore della notte e si era diretta a casa della madre. Linda voleva parlarle di Zoey, di come recuperare il rapporto con lei. E voleva anche trovare sostegno nella forza della madre. Le serviva aiuto per restare ferma sulle sue posizioni e non lasciarsi convincere da John a riconciliarsi con lui. Ma soprattutto, Linda voleva sua madre. Non importava che ormai fosse una donna adulta. Aveva ancora bisogno di un abbraccio, di sentirsi dire da Sylvia che sarebbe andato tutto bene, che aveva preso la decisione giusta. Linda era così persa nei suoi pensieri che quasi non vide la svolta per la stradina che passava tra i campi di lavanda. Frenò di colpo, girò a destra e rallentò. Era da più di un anno che non andava da quelle parti, ma non era cambiato niente e ne fu contenta, perché quel posto la faceva sentire di nuovo al sicuro e normale. In veranda, la luce era accesa, così come una lampada all’interno. Linda sorrise, parcheggiò e scese dall’auto. Probabilmente era quella lampada anni ’20 a forma di sirena che sua madre usava per leggere la sera tardi. Solo che per Sylvia Redbird non era tardi. Per lei le quattro del mattino era presto, e quasi ora di alzarsi. Linda stava per bussare alla porta, quando ci vide attaccato un biglietto profumato alla lavanda, con sopra l’inconfondibile calligrafia della madre. Cara Linda, sentivo che saresti venuta ma, non sapendo con certezza quando, mi sono portata avanti consegnando in anticipo saponette, sacchettini e altre cose al pow-wow a Tahlequah. Torno domani. Come sempre, ti prego di fare come se fossi a casa tua. Spero di trovarti qui al mio ritorno. Ti voglio bene. Linda sospirò. Cercando di non sentirsi delusa e scocciata, entrò. «Non è colpa sua. Sarebbe stata qui se io non avessi smesso di passare a trovarla.» Era abituata all’insolita capacità di sua madre di sapere quando stava per ricevere visite. «Sembra che il suo radar funzioni ancora.» Per un attimo restò in piedi in mezzo al soggiorno, cercando di decidere cosa fare. Forse sarebbe dovuta tornare a Broken Arrow. Forse John l’avrebbe lasciata in pace per un po’, almeno quanto le bastava a procurarsi un avvocato e fargli notificare i documenti per il divorzio. Ma quella sera aveva concesso ai ragazzi uno strappo alla regola, lasciando che andassero a dormire dagli amici una sera in settimana, perciò non c’era nessuno a casa. Non era necessario che rientrasse. Linda sospirò di nuovo e stavolta sentì il profumo di sua madre: un misto di lavanda, vaniglia e salvia. Odori veri di erbe vere e di candele fatte a mano, così diversi dai deodoranti elettrici per ambienti che John insisteva a usare invece di «quelle candele che fanno fumo e quelle vecchie piante tutte sporche». Fu il profumo a convincerla. Linda andò decisa in cucina, verso la piccola rastrelliera per il vino, e prese un buon rosso. Aveva intenzione di bersi tutta la bottiglia e leggere uno dei romanzi rosa di sua madre, per poi barcollare fino alla stanza degli ospiti. E si sarebbe goduta ogni minuto! L’indomani Sylvia le avrebbe dato una tisana per far passare il mal di testa, e l’avrebbe aiutata a capire come rimettere in sesto la sua vita. Di cui John Heffer non avrebbe più fatto parte e Zoey, invece, sì. «Heffer... che cognome stupido», commentò Linda versandosi un bicchiere di vino. «Quel cognome è una delle prime cose di cui mi libererò!» Stava osservando la libreria, incerta se scegliere qualcosa di osé di Kresley Cole o di Gena Showalter, oppure l’ultimo di Jennifer Crusie, Maybe This Time. Sì, quello. Fu il titolo a farla decidere: forse, anche per lei era venuto il momento di fare la cosa giusta. Linda stava per mettersi comoda in poltrona, quando udì bussare tre volte alla porta. A suo parere, era decisamente un’ora folle per andare a trovare qualcuno, ma a casa di sua madre non si sapeva mai cosa aspettarsi, quindi andò ad aprire. La vampira sulla soglia era di una bellezza incredibile, aveva un che di familiare ed era completamente nuda. CAPITOLO 25 NEFERET «Lei non è Sylvia Redbird.» Neferet squadrò con disprezzo la donna scialba che le aveva aperto. «No, sono sua figlia Linda. In questo momento mia madre non c’è», replicò lei guardandosi nervosamente intorno e, quando vide il toro bianco, sgranò gli occhi e impallidì di colpo. «Oh! Ma è un... un... toro! Ommioddio ma i campi sono tutti bruciati! Venga, venga dentro, che è più sicuro! Le trovo qualcosa da mettere e poi chiamo la protezione animali o la polizia o qualcuno.» Neferet sorrise e si voltò a osservare il toro, che se ne stava in mezzo al campo di lavanda più vicino. A un occhio inesperto, poteva davvero sembrare che la vegetazione fosse carbonizzata. Ma Neferet non era affatto inesperta. «Il campo non è bruciato, è congelato. Le piante secche sembrano scolorite come dal fuoco. Invece sono ghiacciate», spiegò con lo stesso tono che usava in classe, a lezione. «Io... io non avevo mai visto un toro fare una cosa simile.» Neferet guardò Linda inarcando un sopracciglio. «A lei quello sembra un toro normale?» «No», mormorò la mamma di Zoey. Poi si schiarì la voce e, nell’evidente tentativo di avere un’aria seria, affrontò Neferet. «Mi scusi. Sono un po’ confusa riguardo a quello che sta succedendo. Ma... la conosco? Posso aiutarla?» «Non si preoccupi. Sono Neferet, Somma Sacerdotessa della Casa della Notte di Tulsa, e spero davvero tanto che lei mi possa aiutare. Prima di tutto, mi dica quando pensa che rientri sua madre.» «Oh, ecco perché mi sembrava familiare. Mia figlia Zoey frequenta quella scuola.» «Già, conosco Zoey molto bene.» Neferet fece un sorriso viscido. «Quando ha detto che rientra sua madre?» «Non prima di domani. Posso darle un messaggio da parte sua? E gradirebbe, mmm... un vestito o qualcosa da mettersi?» «Nessun messaggio e nessun vestito.» La maschera di affabilità cadde di colpo e Neferet sollevò una mano per afferrare dei tentacoli di Tenebra nascosti tra le ombre che la circondavano. Poi li scagliò contro la donna umana, ordinando: «Legatela e portatela fuori». Non sentendo il familiare dolore delle ferite che rappresentavano il pagamento per l’uso dei fili di Tenebra, Neferet sorrise all’enorme toro e chinò la testa per ringraziarlo del suo favore. «Mi pagherai dopo, mia spietata Tsi Sgili.» Neferet fremette, pregustando ciò che sarebbe successo. I patetici strilli dell’umana disturbarono le sue fantasie, perciò aggiunse un nuovo ordine: «E imbavagliatela! Non posso certo tollerare questo baccano». Le grida di Linda s’interruppero bruscamente com’erano cominciate. Neferet entrò nel cerchio di lavanda gelata intorno alla bestia, ignorando il freddo che avvertiva in tutto il corpo, e raggiunse decisa il toro bianco. Gli sfiorò un corno con un dito prima di fargli un grazioso inchino. «Ecco il tuo sacrificio.» Il toro guardò oltre la sua spalla. «Questa non è una potente matriarca. Questa è una patetica casalinga la cui vita è stata consumata dalla debolezza.» «Vero, ma sua madre è una saggia del popolo cherokee. Nelle sue vene scorre lo stesso sangue.» «Diluito.» «La puoi usare come sacrificio o no? Può servire per creare il mio Strumento?» «Sì, tuttavia il tuo Strumento sarà perfetto solo quanto il tuo sacrificio.» «Ma gli darai un potere che io posso controllare?» «Sì.» «Allora è mio desiderio che tu accetti questo sacrificio. Non aspetterò la madre quando posso avere subito la figlia, e quindi lo stesso sangue.» «Come desideri, mia spietata Tsi Sgili. Mi sono stancato di tutto questo. Uccidila in fretta e passiamo oltre.» Neferet non replicò. Si voltò e raggiunse l’umana. Non si divincolava neanche. Singhiozzava soltanto, piano, mentre i tentacoli di Tenebra le incidevano strisce rosse sulla bocca, sul viso e sul corpo. «Mi serve una lama. Subito.» La mano di Neferet si riempì di gelo e di dolore, che presero la forma di un lungo pugnale di ossidiana. Con un singolo movimento, lei tagliò la gola di Linda. Gli occhi della donna si spalancarono e si rovesciarono, fino a mostrare soltanto il bianco, mentre il sangue scivolava fuori del suo corpo, assieme alla vita. «Prendetelo tutto. Non sprecate neppure una goccia.» All’ordine del toro bianco, i tentacoli di Tenebra fremettero intorno alla madre di Zoey, attaccandosi alla sua gola e a tutte le altre ferite, quindi iniziarono a succhiare. Incantata, Neferet vide che ciascun tentacolo aveva un filo che tornava al toro, dissolvendosi nel suo corpo, nutrendolo di sangue umano. Il toro gemette di piacere. Quando l’umana fu solo un guscio vuoto e il toro sospirò soddisfatto, gonfio di morte, Neferet si diede alla Tenebra nel modo più totale e assoluto. HEATH «Vai, vai, vai, Neal!» Heath lanciò la palla al ricevitore con la maglia dei Golden Hurricane di Tulsa e sulla schiena il nome SWEENEY. Sweeney dribblò un gruppetto di ragazzi con la divisa viola e crema dell’Oklahoma University per andare in touchdown. Heath sollevò il pugno. «Sììì! Sweeney potrebbe acchiappare un moscerino sulla schiena di una mosca!» «Ti stai divertendo, Heath Luck?» Sentendo la voce della Dea, Heath smise di esultare e rivolse a Nyx un sorriso un po’ colpevole. «Sì, già, qui è grandioso. Non si smette mai di giocare, inoltre ho dei ricevitori fantastici e grande tifo e, quando mi stufo del football, appena in fondo alla strada c’è quel lago... È pieno di spigole da far piangere di gioia un pescatore professionista.» «E le ragazze? Non vedo tifose e nemmeno pescatrici.» Il sorriso di Heath si affievolì. «Ragazze? No. Io ce l’ho già una ragazza, e non è qui. Ma questo lo sai, Nyx.» Il sorriso di Nyx era radioso. «Stavo solo controllando. Vorresti sederti a parlare con me un momento?» «Sì, certo.» A un gesto di Nyx, lo stadio da college vecchio stile scomparve e, all’improvviso, Heath si ritrovò sull’orlo di un precipizio in cima a un canyon immenso e talmente profondo che il fiume che scorreva sul fondo sembrava una sottile striscia d’argento. Il sole sorgeva sull’altro lato del crinale e il cielo era pieno delle sfumature viola, rosa e azzurre di una nuova splendida giornata. Con la coda dell’occhio, Heath colse un movimento e si girò in quella direzione: centinaia – forse migliaia – di sfere scintillanti rotolavano giù nel burrone, alcune simili a perle elettriche, altre a geode tondeggianti, mentre altre ancora erano di colori fluorescenti così vivaci da far quasi male agli occhi. «Wow! È magnifico qua sopra! Cosa sono?» domandò Heath. «Spiriti», rispose Nyx. «Davvero? Tipo fantasmi?» «Un po’. Diciamo tipo te», replicò Nyx con un caldo sorriso. «Che strano! Io non somiglio per niente a quelle cose. Io somiglio a me.» «In questo momento sì.» Heath si guardò per controllare di essere ancora, be’, lui. Accertatosi che fosse tutto a posto, tornò a fissare la Dea. «Devo prepararmi a cambiare?» «Questo dipende solo da te. Come si dice nel tuo mondo, ho una proposta da farti.» «Grandioso! Che figata ricevere una proposta da una Dea!» Nyx gli diede un’occhiataccia. «Non quel tipo di proposta.» «Oh. Uh. Scusa.» Heath si sentì la faccia bollente. Cavolo se era scemo! «Non intendevo mancarti di rispetto. Stavo solo scherzando, cioè...» S’interruppe, asciugandosi il viso con una mano. La Dea, però, gli sorrideva divertita. «Okay», riprese il ragazzo, sollevato che non l’avesse incenerito con un lampo o roba simile. «Riguardo a quella proposta?» «Ottimo. È bello sapere di avere tutta la tua attenzione. Bene, io ti progongo di scegliere.» Heath sbatté le palpebre. «Scegliere? Tra cosa?» «Sto per darti la possibilità di scegliere fra tre futuri diversi. Prima di scoprire quali sono le alternative, però, devi sapere che, una volta intrapreso un cammino, il risultato finale resta aperto. L’unica cosa fissa e determinata è la tua decisione. Ciò che accadrà poi è lasciato al caso e al destino, oltre che alle risorse della tua anima.» «Okay, credo di aver capito: mi stai dicendo che dovrò scoprire più o meno da solo come percorrere la strada che scelgo?» «Con la mia benedizione», aggiunse la Dea. Heath sogghignò. «Be’, lo spero bene.» Nyx però rimase incredibilmente seria. «Io ti darò la mia benedizione, ma solo se continuerai sul mio cammino. Non posso benedire un futuro in cui scegli la Tenebra.» «E perché dovrei farlo? Non ha mica senso», ribatté Heath. «Ascoltami con attenzione, figlio mio, e valuta le scelte che ti offro. Solo allora capirai.» «Okay», disse lui, anche se c’era qualcosa nel tono della Dea che gli aveva fatto annodare lo stomaco. «La prima alternativa è che tu rimanga in questo regno. Ti sentirai soddisfatto, come sei stato finora, e ti divertirai spensierato assieme agli altri miei figli.» «Soddisfatto non significa felice. Sono un atleta, ma questo non vuol dire che sono stupido», commentò sottovoce il ragazzo. «Certo che no. Alternativa numero due: rinasci. Questo significa che potresti rimanere qui a divertirti per un secolo o anche più, ma alla fine salterai da questo precipizio per ritornare al regno mortale come essere umano, che alla fine incontrerà di nuovo la sua anima gemella.» «Zoey!» Heath si chiese come mai gli ci fosse voluto tanto per ricordare il suo nome. Cosa c’era che non andava in lui? Perché l’aveva dimenticata? Perché non aveva... Nyx gli sfiorò delicatamente il braccio. «Non essere così severo con te stesso. L’Aldilà può avere un effetto inebriante. Non hai dimenticato il tuo amore, non potresti mai. Hai soltanto lasciato che il bambino che è in te prendesse il sopravvento per un po’. Alla fine avrebbe lasciato spazio all’adulto e ti saresti ricordato di Zoey e del tuo amore per lei. In circostanze normali, è così che vanno le cose. Ma, al giorno d’oggi, il mondo non è normale e non lo sono nemmeno le circostanze in cui ci troviamo. Perciò ho intenzione di chiedere al bambino che è in te di crescere un po’ più in fretta, se sarà questo che deciderai.» «Se ha a che vedere con Zo, rispondo subito di sì.» «Ascoltami bene, Heath Luck. Se decidi di rinascere come essere umano, ritroverai la tua Zoey, questo te lo prometto. Tu e lei siete destinati a stare insieme, come vampira e compagno o vampira e consorte. Succederà, e tu puoi scegliere se farlo accadere in questa vita.» «Allora io...» La mano sollevata della Dea lo zittì. «Esiste una terza opzione: mentre io parlo con te, il mondo mortale sta cambiando. La grande ombra della Tenebra si sta diffondendo sempre di più. Per questo motivo, bene e male non sono più in equilibrio.» «Be’, non puoi semplicemente intervenire tu e sistemare le cose?» «Sì, se non avessi fatto dono ai miei figli del libero arbitrio.» «Sai, a volte la gente è stupida e ha bisogno che le si dica cosa fare», replicò Heath. L’espressione di Nyx rimase seria, ma i suoi occhi scuri scintillavano. «Se cominciassi a togliere il libero arbitrio e a controllare le decisioni dei miei figli e delle mie figlie, dove andremmo a finire? Non sarei diversa da un burattinaio che gioca con le marionette.» Heath sospirò. «Immagino che tu abbia ragione. Insomma, sei una dea e tutto il resto, quindi sono sicuro che tu sappia di cosa stai parlando, però non sembra facile.» «Raramente facile significa anche migliore.» «Già, lo so. Ed è uno schifo. Allora, com’è la storia della mia terza alternativa? Stavi cercando di dirmi che ha a che vedere col bene e il male?» «Proprio così. Neferet è diventata immortale, una creatura della Tenebra. Stanotte si è alleata col male allo stato più puro che si possa manifestare nel regno mortale, cioè col toro bianco.» «Quello lo conosco. Ho visto una cosa del genere che cercava di raggiungerci non appena sono morto.» Nyx annuì. «Sì, il toro bianco è stato risvegliato dalle alterazioni dell’equilibrio tra bene e male nel mondo mortale. Era da un tempo lunghissimo che non si spostava da un regno all’altro come sta facendo adesso.» La Dea rabbrividì. «Cosa sta succedendo? Cosa fanno là sotto?» domandò Heath preoccupato. «Il toro bianco sta per donare a Neferet uno Strumento, un essere vuoto, tipo un automa, creato dalla Tenebra attraverso un terribile sacrificio unito a lussuria, avidità, odio e dolore. Lei potrà controllarlo in modo assoluto e sarà la sua arma decisiva, o almeno è ciò che spera. Vedi, Heath, se il sacrificio fosse stato perfetto, lo Strumento sarebbe stato un’arma praticamente invincibile. Ma c’è un punto debole, ed è lì che entra in gioco la tua scelta.» «Non ci arrivo», replicò il ragazzo. «Lo Strumento dovrebbe essere una macchina priva di anima tuttavia, dato che il sacrificio che ha alimentato la sua creazione non era perfetto, io sono in grado d’influire su di lui.» «Come se avesse un tallone d’Achille?» «Sì, più o meno. Se dovessi scegliere questa terza alternativa, userei la falla nella creazione di quell’essere per inserire la tua anima nello Strumento altrimenti vuoto.» Heath sbatté le palpebre, cercando di capire bene l’enormità di quanto stava dicendo la Dea. «Ma lo saprei, di essere io?» «Quando le anime rinascono, mantengono solo l’essenza più pura di ciò che sono. Quella non scompare mai, per quante vite possa prevedere il ciclo della rinascita. E, ovviamente, se dovesse essere questa la tua scelta, conosceresti anche l’amore. Pure quello non scompare mai. Può solo essere represso, ignorato o evitato.» «Aspetta, rallenta un attimo. Questo mostro è nel mondo di Zoey? In questo momento?» «Sì, verrà creato stanotte, nel moderno mondo di Zoey.» «Da Neferet, la nemica di Zo?» «Sì.» «Quindi Neferet ha intenzione di usare quell’affare contro la mia Zo?» Heath cominciava ad arrabbiarsi sul serio. «Sono sicura che sia proprio così», convenne Nyx. «Mmm... Con me dentro di lui ci può provare ma non andrà molto lontano.» «Prima che tu prenda la decisione finale, c’è una cosa che devi comprendere: tu non saresti il ragazzo che conosci. Heath non ci sarà più. Rimarrà la tua essenza, non i tuoi ricordi. E vivrai all’interno di un essere creato per distruggere ciò che più ami. Potresti benissimo soccombere alla Tenebra.» «Nyx, facciamola breve: Zo ha bisogno di me?» «Sì.» «Allora scelgo la terza opzione. Voglio essere messo nello Strumento», sentenziò Heath. Il sorriso di Nyx era radioso. «Sono orgogliosa di te, figlio mio. Sappi che torni nel mondo moderno con una mia benedizione molto speciale.» Dall’aria sopra di sé, la Dea prese qualcosa che a Heath sembrò un filo d’argento, così luminoso e splendido da farlo rimanere senza fiato. Sotto il tocco leggero delle dita della Dea, il filo diventò una sfera grande come una monetina che splendeva di una luce antica e speciale, simile a un pezzo di selenite illuminata dall’interno. «Wow, che figata! Cos’è?» «Magia del tipo più antico. Nel mondo moderno è presente solo di rado, perché risente molto dell’eccessiva civilizzazione. Ma sarà l’antica magia del toro bianco a creare lo Strumento, perciò è giusto che sia presente anche la mia magia antica.» Mentre Nyx continuava a parlare, la sua voce assunse un tono cantilenante che sembrò unirsi alla bellezza della sfera, completandola. Una finestra nell’anima per vedere Luce e Magia che assieme a te voglio inviare. Sii forte, sii coraggioso e fa’ la scelta giusta, anche se la voce della Tenebra schiocca come frusta. Sappi che da quassù osservo con grande fervore e che sempre e comunque la risposta è amore! La Dea scagliò verso di lui la sfera d’argento che riempì gli occhi di Heath, accecandolo con la sua luce magica e facendolo barcollare all’indietro. All’improvviso, lui si accorse di star ruzzolando oltre l’orlo del dirupo, precipitando giù, giù, giù... CAPITOLO 26 NEFERET Neferet aveva male ovunque, ma non le importava. La verità era che il dolore le piaceva. Prese un profondo respiro, attirando automaticamente a sé quanto restava del potere del toro e che stava scivolando tra le ombre formate dal chiarore che precedeva l’alba. La Tenebra le aveva dato forza. Ignorando il sangue ormai secco che le copriva la pelle, si alzò. Il toro l’aveva lasciata sul terrazzo del suo attico. Kalona non c’era. Ma questo ormai contava poco per lei. Non lo voleva più perché, dopo quella sera, non ne avrebbe più avuto bisogno. Neferet si rivolse a nord, la direzione legata all’elemento terra. Sollevò le braccia e iniziò a intessere nell’aria invisibili e potenti fili di magia antica e di Tenebra. Poi, con voce priva di emozione, pronunciò l’incantesimo che le aveva insegnato il toro. Da terra e sangue sei nato, su un patto con la Tenebra ho giurato, colmo di potere udirai la mia voce soltanto perché la tua vita è mia, e questo è quanto. Completa l’impegno di stanotte del toro e della sua terribile luce oscura fa’ sempre tesoro! La Tsi Sgili scagliò davanti a sé l’inferno di Tenebra che le si era avviluppato alle mani. Non appena toccò il pavimento del terrazzo, la massa informe esplose per poi assumere una forma simile a una colonna luminosa – dalla tinta che tanto le ricordava il manto color perla del toro bianco – che ondeggiava, si contorceva, si trasformava... Neferet assistette affascinata alla creazione dello Strumento. Era bellissimo, un giovane davvero splendido, alto e forte. Una persona normale non avrebbe visto in lui neppure la minima traccia di Tenebra. La pelle era liscia e priva di difetti, i capelli erano lunghi, folti e biondi come il grano d’estate, aveva lineamenti magnifici... insomma, in apparenza era assolutamente impeccabile. «Inginocchiati e ti darò un nome.» Lui obbedì all’istante, appoggiando un ginocchio a terra. Neferet sorrise e posò la mano sporca di sangue sulla setosa testa bionda. «Ti chiamerò Aurox, in ricordo del toro primigenio.» «Sì, padrona, io sono Aurox», replicò lui. Neferet iniziò a ridere, a ridere, a ridere, senza curarsi del fatto che la sua voce fosse venata di follia e isterismo, senza curarsi di aver lasciato Aurox in ginocchio sul terrazzo in attesa del suo ordine successivo. E senza accorgersi che, mentre lei si allontanava, Aurox la osservava con occhi che splendevano di una luce antica e speciale, simili a pezzi di selenite illuminati dall’interno... ZOEY «Sì, lo so che Nyx l’ha perdonato e l’ha trasformato in un ragazzo. Cioè, più o meno: non so tu, ma io non conosco altri ragazzi che di giorno diventano corvi.» Stark sembrava stanchissimo, però non abbastanza da smettere di preoccuparsi. «È la conseguenza delle cose cattive che ha fatto», gli dissi rannicchiandomi contro di lui e cercando d’ignorare il poster di Jessica Alba appeso alla parete. Stark e io avevamo occupato la stanza di Dallas nei tunnel sotto lo scalo ferroviario. Io avevo usato gli elementi per eliminare un po’ di sporcizia, mentre gli altri si erano dati da fare con un sacco di pulizie vecchio stile. Ci sarebbe voluto ancora parecchio per sistemare per bene, ma perlomeno era abitabile e soprattutto si trattava di una Zona Neferet-Free. «Giusto, però è comunque strano che fino a poco tempo fa fosse ancora il figlio prediletto di Kalona e un Raven Mocker», continuò Stark. «Ehi, non sto dicendo che hai torto. Anche a me suona strano, però mi fido di Stevie Rae e lei lo ama. E lo amava anche prima che sparissero becco e piume. Cavolo! Devo farmi raccontare tutto.» M’interruppi. «Chissà cosa sta succedendo tra loro in questo momento.» «Non molto. Il sole è appena sorto. È ridiventato corvo. Ehi, Stevie Rae ti ha detto se aveva intenzione di metterlo in una gabbietta?» Gli diedi un pugno. «Cretino!» «Per me sarebbe logico.» Sbadigliò. «Qualunque cosa decida di fare, dovrai aspettare fino al tramonto per scoprirlo.» «È arrivata l’ora di fare la nanna, piccolino?» gli chiesi sogghignando. «Piccolino? Stai facendo la furba, ragazza?» Ridacchiai. «La furba? Sì, certo. Che ti credevi?» «Aye, wumman, vieni un po’ qui!» Stark iniziò a farmi un mega solletico e cercai di vendicarmi tirandogli i peletti sulle braccia. Strillò (come una ragazzina) e poi la faccenda si trasformò in un incontro di wrestling in cui io, non so come, finii bloccata. «Ti arrendi?» mi chiese. Con una mano mi stringeva entrambi i polsi e mi teneva le braccia sopra la testa, facendomi ulteriore solletico alle orecchie col respiro affannato. «Neanche per sogno; tu non sei il mio padrone.» Mi divincolai (inutilmente). Okay, lo ammetto, non è che mi stessi impegnando molto per liberarmi. Voglio dire, era sopra di me e non mi faceva male – come se Stark potesse mai farmi del male – ed era super sexy e io l’amavo. «A essere sincera, ci sto andando piano con te. Mi basterebbe chiamare i miei fighissimi poteri elementali e il tuo bel sederino verrebbe preso subito a calci.» «Bello, eh? Pensi che il mio sedere sia bello?» «Forse. Ma questo non significa che non chiamerei gli elementi per farlo prendere a calci», replicai cercando di non sorridere. «D’accordo, allora sarà meglio che te lo impedisca tenendoti occupata la bocca.» Quando iniziò a baciarmi, pensai che era strano e allo stesso tempo fantastico che una cosa così piccola, appena un bacio, potesse darmi così tanto. Le sue labbra sulle mie erano morbide e in grande contrasto col suo corpo forte. Poi tutte quelle considerazioni scivolarono via, perché il suo bacio mi fece proprio smettere di pensare in assoluto. Riuscivo soltanto a percepire il suo corpo, il mio corpo, il nostro piacere. Quindi non pensai che mi stava tenendo ancora bloccata per i polsi con le braccia sopra la testa. Non pensai quando la sua mano libera s’infilò sotto l’enorme maglietta da Superman che portavo come pigiama. E continuai a non pensare quando le sue dita si spostarono sopra le mie mutande. Iniziai a pensare solo quando il suo bacio cambiò. Passò da morbido e profondo a violento. Troppo violento. Come se all’improvviso stesse morendo di fame e io fossi stata il cibo che metteva fine a quella tortura. Tentai di liberare i polsi, ma la sua stretta era troppo forte. Voltai la testa e le sue labbra mi disegnarono un sentiero bollente sul collo. Cercavo di riavviare il cervello, di capire cosa fosse a darmi tanto fastidio, quando lui mi morse. Forte. Non fu un morso come quello sull’isola di Skye. Allora era stato un gesto condiviso. Una cosa che desideravamo entrambi. Stavolta era rozzo e possessivo e decisamente non condiviso. «Ahi! Stark, mi fai male!» Stortai i polsi e riuscii a liberare una mano, così finalmente potei provare a spingerlo via. Lui gemette e si strofinò contro di me, come se non mi avesse nemmeno udita. Sentii di nuovo i suoi denti sulla pelle e stavolta strillai, incanalando verso di lui un sacco di pensieri tipo: Piantala! Mi fai male sul serio! Solo allora lui si sollevò a incrociare il mio sguardo. Per meno di un secondo, nei suoi occhi scorsi una strana scintilla che mi mise i brividi. Mi tirai indietro, Stark sbatté le palpebre e mi guardò con un’espressione interrogativa che diventò subito sconvolta. Mi lasciò immediatamente il polso. «Merda! Zoey, scusa, mi dispiace. Gesù, scusami! Stai male?» Mi stava tastando in modo quasi isterico, perciò mi tolsi le sue mani di dosso, guardandolo storto. «Come sarebbe a dire ’stai male’? Che cavolo hai in testa? Eri troppo violento!» Stark si passò una mano sul viso. «Io non me ne sono reso conto... non so perché...» S’interruppe, prese un bel respiro e ricominciò: «Scusa. Non sapevo che ti stavo facendo male». «Mi hai morso.» «Sì, be’, in quel momento sembrava una buona idea.» «Faceva male», replicai massaggiandomi a mia volta il collo. «Fammi vedere.» Spostai la mano e lui mi studiò il collo. «È un po’ rosso, tutto qui.» Si chinò a baciarmi il punto dolorante con infinita delicatezza, poi aggiunse: «Ehi, non pensavo di averti morsa tanto forte. Sul serio, Zy». «Sul serio, Stark, invece era così. E non mi hai lasciato i polsi quando te l’ho chiesto.» Stark emise un lungo respiro. «Okay, d’accordo, farò in modo che non succeda più. È solo che ti voglio così tanto e tu mi piaci così tanto...» «... che non riesci a controllarti? Ma che cavolo stai dicendo?» «No! No, non è così. Zoey, non pensarlo neanche. Io sono il tuo Guerriero, il tuo Guardiano... è mio dovere proteggerti da chiunque possa farti del male.» «Questo include anche te?» chiesi. Lui cercò di sostenere il mio sguardo, con gli occhi colmi di confusione, tristezza e amore, tanto amore. «Questo include anche me. Pensi davvero che potrei farti del male?» Sospirai. Gli stavo facendo una menata colossale... e per cosa? Okay, si era lasciato trasportare, mi aveva bloccato i polsi, mi aveva morsa e non si era messo sull’attenti nell’istante in cui gli avevo detto di piantarla. Dopo tutto era un maschio. Com’è quel vecchio detto? Se ha le ruote o i testicoli, ti darà dei problemi. «Davvero, Zoey. Non permetterei a nessuno di farti del male. Ti ho fatto un giuramento, e poi ti amo e...» Gli posai un dito sulle labbra, zittendolo. «Okay, basta. Non penso che lasceresti che mi si faccia del male. Sei stanco. Il sole è sorto. Abbiamo avuto una giornata pazzesca. Mettiamoci a dormire e accordiamoci su ’basta morsi’.» «A me sta benissimo.» Stark spalancò le braccia. «Ti va di venire qui?» Annuii e mi appiccicai a lui. Il suo tocco era normale: forte e deciso, ma molto, molto delicato. «Ho dei problemi quando dormo», disse un po’ esitante. «Lo so, dato che dormo con te. È abbastanza evidente.» Gli baciai la spalla. «Stavolta non hai intenzione di chiedermi se voglio andare in terapia da Dragone Lankford?» «Lui è rimasto là. Non ha lasciato la Casa della Notte insieme con noi», replicai. «Nessuno dei prof l’ha fatto. Anche Lenobia è rimasta, e sai che ci spalleggia al cento per cento.» «Sì, ma lei non può piantare lì i cavalli, e qui proprio non li possiamo portare. E poi per Dragone è diverso. Lui mi sembra diverso. Non ha voluto perdonare Rephaim anche se in pratica Nyx gli aveva detto di farlo.» Stark annuì. «È stato davvero brutto. Però, sai, neanch’io sarei tanto contento di perdonare uno che ti avesse uccisa.» «Sarebbe come per me perdonare Kalona per Heath», convenni sottovoce. Stark mi abbracciò più stretta. «E potresti farlo?» «Non lo so. Sinceramente non so...» esitai, inciampando nelle parole. «Coraggio, continua. A me puoi dire tutto.» Intrecciai le dita alle sue. «Nell’Aldilà, quando tu eri... sì, be’... morto, c’era Nyx.» «Sì, me l’hai detto. Ha fatto in modo che Kalona pagasse per il debito che aveva con te, facendomi tornare a vivere.» «Già, quello che non ti ho detto, però, è che, di fronte a Nyx, Kalona faceva il sentimentale. Le ha chiesto se l’avrebbe mai perdonato.» «E la Dea cos’ha risposto?» «Gli ha detto di chiederglielo di nuovo se mai fosse stato degno del suo perdono. A dire il vero, Nyx si è comportata in modo molto simile a stasera, quando ha parlato con Neferet.» Stark sbuffò. «Non un buon segno né per Neferet né per Kalona.» «Già. In ogni caso, la risposta che darei sul perdonare Kalona somiglia molto a quella che ha dato Nyx a lui e a Neferet... cioè, non che io mi creda una dea o roba simile, ma penso che il perdono, quello vero, sia un dono che ci si deve meritare. In ogni caso, non penso che Kalona deciderà mai di chiedere perdono a me, quindi...» «Però stasera ha liberato Rephaim.» Stark sembrava nel bel mezzo di un conflitto di emozioni... come lo capivo, anch’io mi sentivo così! «Ci ho riflettuto e l’unica conclusione cui sono arrivata è che in qualche modo liberare Rephaim costituisce un vantaggio per Kalona», dissi. «Quindi dobbiamo tenere d’occhio Rephaim», concluse Stark. «Hai intenzione di dirlo a Stevie Rae?» «Sì, però lei lo ama.» Annuì di nuovo. «E non sempre quando si ama qualcuno lo si vede in modo oggettivo.» Mi tirai indietro quanto bastava per dargli un’occhiataccia. «Cos’è, parli per esperienza?» «No, no, no», si affrettò a rispondere aggiungendo un sorrisetto da sbruffone stanco. «Non per esperienza.» Stark mi tirò dolcemente a sé e tornai a rannicchiarmi contro di lui. «Adesso è ora di dormire. Metti giù quella testaccia, wumman, e lasciami riposare.» «Okay, fai davvero impressione da tanto sembri Seoras.» Alzai lo sguardo verso Stark, scuotendo la testa. «Guarda che se ti fai crescere una barbetta da capra come la sua ti licenzio subito.» Stark si accarezzò il mento come stesse considerando l’idea. «Non mi puoi licenziare. Ho un contratto a vita.» «Allora smetterò di baciarti.» «Niente barba per me, lassie.» Sorrise. In fondo ero proprio felice che avesse «un contratto a vita», e speravo significasse che avrebbe avuto il suo «lavoro» per molto, molto tempo. «Ehi, senti se ti va: tu ti addormenti per primo e io resto sveglia per un po’. Stasera farò io la guardia al Guardiano», aggiunsi accarezzandogli la guancia. «Grazie», disse in tono molto più serio di quanto mi sarei aspettata. «Ti amo, Zoey Redbird.» «Ti amo anch’io, James Stark.» Stark mi baciò il complesso tatuaggio sul palmo della mano. Quando chiuse gli occhi e cominciò a rilassarsi, gli passai le dita tra i folti capelli castani, chiedendomi per un istante se e quando Nyx avrebbe fatto aggiunte ai miei incredibili tatuaggi. Mi aveva dato dei Marchi, li aveva cancellati per poi restituirmeli quando ero tornata dall’Aldilà. Magari adesso erano completi e non ne avrei avuti altri. Stavo cercando di decidere se fosse un bene oppure no, quando le palpebre mi diventarono troppo pesanti per continuare a tenere gli occhi aperti. Pensai di chiuderli almeno per un pochino. In fondo Stark stava dormendo tranquillo, quindi forse non sarebbe successo niente... I sogni sono proprio strani. Stavo sognando di volare tipo Superman, sapete, con le braccia tese in avanti, e nella testa mi risuonava la colonna sonora dei film vecchi, quelli col superfavoloso Christopher Reeve, quando cambiò tutto. La musica venne sostituita dalla voce di mia mamma. «Sono morta!» diceva. «Sì, Linda, è così», interveniva subito la voce di Nyx. Mi si annodò lo stomaco. È un sogno. È solo un brutto incubo! cercai di convincermi. «Abbassa lo sguardo, figlia mia. È importante che tu sia testimone.» Quando la dea mi bisbigliò nella mente capii che la realtà si era infilata nel mondo dei sogni. Non volevo, non volevo proprio, però obbedii. Sotto di me c’era quello che avevo cominciato a considerare l’ingresso al regno di Nyx: l’immensa Tenebra in cui mi ero lanciata per riportare il mio spirito nel corpo e, su una zona di terra battuta, un arco di pietra, oltre il quale si estendeva il magico bosco della Dea, con l’etereo albero dei desideri, versione amplificata di quello dove Stark e io avevamo legato i nostri sogni durante quella splendida giornata sull’isola di Skye. E, appena oltre l’arco, c’era la mia mamma, proprio di fronte a Nyx. «Mamma!» gridai, ma né lei né la Dea reagirono al suono della mia voce. «Sii una testimone silenziosa, figlia mia.» Così volteggiai sopra di loro e guardai, mentre lacrime silenziose mi bagnavano il viso. Con voce flebile e impaurita, mia mamma chiese: «Allora Dio è una donna? O i miei peccati mi hanno mandata all’inferno?» Nyx sorrise. «Qui non ci preoccupano i peccati del passato. Qui, nel mio Aldilà, badiamo unicamente al tuo spirito e a quale sostanza sceglie di portare con sé: la Luce o la Tenebra. In verità è una cosa molto semplice.» La mamma si mordicchiò un labbro per un attimo. «E il mio cosa porta, Luce o Tenebra?» Il sorriso di Nyx non si affievolì. «Devi dirmelo tu, Linda. Cos’hai scelto?» Vedendo mia madre che scoppiava a piangere, mi si strinse il cuore. «Ho paura di essere stata dalla parte del male fino a pochissimo tempo fa.» «C’è una grande differenza tra essere deboli ed essere malvagi», spiegò Nyx. La mamma annuì. «Sono stata debole. Non è che lo volessi, ma la mia vita era come una valanga che rotolava giù da una montagna, e io non riuscivo a trovare il modo di fermarla e tirarmene fuori. Però adesso, alla fine, ci volevo provare. È per questo che ero a casa di mia madre. Volevo riprendermi la mia vita e riunirmi a mia figlia Zoey. Lei è...» S’interruppe e sgranò gli occhi. «Tu sei Nyx, la Dea di Zoey!» «Sì, sono proprio io.» «Oh! Allora un giorno anche Zoey verrà qui?» Mi abbracciai da sola per farmi coraggio. Mi voleva bene. La mamma mi voleva bene davvero. «Ci verrà, anche se spero che questo accadrà solo tra tanti, tantissimi anni.» Timorosa, la mamma chiese: «Potrei entrare ad aspettarla?» «Certo.» Nyx allargò le braccia e sentenziò: «Benvenuta nell’Aldilà, Linda Redbird. Lasciati alle spalle dolore, rimpianti e tristezza, e porta con te l’amore. Sempre amore». A quel punto, la mamma e Nyx scomparvero in un lampo accecante. Mi svegliai, sdraiata sul bordo del letto, le braccia intorno al petto, che piangevo come una fontana. Stark si svegliò subito. «Cosa c’è?» Mi si avvicinò, abbracciandomi. «È la... la mia mamma. Lei è... è morta», singhiozzai. «Sai, mi voleva bene davvero.» «Ma certo che ti voleva bene, Zy!» Chiusi gli occhi e mi lasciai consolare da Stark, piangendo per buttar fuori dolore, rimpianti e tristezza, finché ciò che rimase fu l’amore. Sempre amore. Questa è la fine... per ora. Document Outline RINGRAZIAMENTI CAPITOLO 1 NEFERET CAPITOLO 2 NEFERET CAPITOLO 3 ZOEY CAPITOLO 4 ZOEY CAPITOLO 5 STEVIE RAE CAPITOLO 6 JACK CAPITOLO 7 REPHAIM CAPITOLO 8 STEVIE RAE CAPITOLO 9 ZOEY CAPITOLO 10 ZOEY STARK CAPITOLO 11 KALONA STARK CAPITOLO 12 REPHAIM CAPITOLO 13 STEVIE RAE CAPITOLO 14 REPHAIM STEVIE RAE CAPITOLO 15 ZOEY CAPITOLO 16 STEVIE RAE CAPITOLO 17 STEVIE RAE CAPITOLO 18 REPHAIM CAPITOLO 19 ZOEY CAPITOLO 20 ZOEY CAPITOLO 21 ZOEY CAPITOLO 22 STEVIE RAE CAPITOLO 23 REPHAIM CAPITOLO 24 NEFERET LINDA HEFFER CAPITOLO 25 NEFERET HEATH CAPITOLO 26 NEFERET ZOEY