anno XIX - numero 56 - 16 luglio 2013
Riflessioni sull’opera
Parlano il maestro Riccardo Muti
ed il regista-scenografo J.-P. Scarpitta
A Pag. 2
La Storia dell’Opera
Il successo dopo le delusioni
delle prime due opere
A Pag.
6
L’Analisi musicale
Primo lavoro ben strutturato
del giovane ed irruento Verdi
A Pag.
7
Il vero Nabucodonosor
Il conquistatore di Gerusalemme
che riedificò la torre di Babele
A Pag. 8 e
9
Giuseppina Strepponi
La chiacchierata prima
Abigaille, poi seconda
moglie di Verdi
A Pag.
14
nabucodonosor
di Giuseppe Verdi
nabucodonosor
2
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Questo Nabucco nelle riflessioni di Muti e del regista Jean-Paul Scarpitta
Un’opera simbolo di libertà universale,
ma che non può essere inno nazionale
U
na cosa è certa: il Nabucco per Riccardo
Muti è l’opera della
vita, l’opera che segnò il suo
esordio nella sua travagliata
esperienza a La Scala, quando la diresse il 7 dicembre
1986, al suo primo Sant’Ambrogio scaligero, con
Bruson ottimo protagonista,
per la tradizionale apertura
della stagione. Una serata in
cui l’allora 45enne direttore
di Molfetta, in quel tempio
della musica in cui famosa
divenne la regola «Toscanini
non ripete», decise a sorpresa di concedere il bis proprio del “Va’ pensiero”. Ma
già precedentemente Muti
vantava una lunga frequentazione con questa partitura. La prima volta risale al
Maggio Musicale Fiorentino del 1977: uno spettacolo
pregevole con la regia metastorica di Luca Ronconi, le
scene e costumi di Pier Luigi Pizzi e le presenze importanti di Sigmund Nimsgern
e di Cristina Deutekom.
Nello stesso anno l’incisione per l’etichetta Emi, caratterizzata da un incedere
drammatico inesorabile,
con la Philarmonia Orchestra e le voci di Matteo Manuguerra, Renata Scotto,
Nicolaj Ghiaurov e Elena
Obraztsova. Con Nabucco, il
giovane Verdi compone
un’opera in grado di coinvolgere il sentimento popolare, capace di trascendere i
propri limiti per divenire
poi simbolo dello spirito risorgimentale. Al di là dei
caratteri specifici d' una partitura indubbiamente acerba e caratterizzata da
un’estrema economia di
mezzi ma comunque sempre attenta ai valori del
dramma, Muti nota «una
musica concisa, travolgente,
poetica», vera incarnazione
dell’anima italiana. Così ora
Muti, nell’ambito dei suoi
tre titoli l’anno da contratto
con l’Opera dio Roma, in
quest’anno verdiano dopo
Simon Boccanegra e I due Foscari, al Costanzi ripropone
questo titolo con lo stesso
allestimento ideato da JeanPaul Scarpitta per la stagione del 2011, la stagione del
150° dell’Unità d’Italia. Otto
serate allora, tra le quali
quella – tutta ad inviti - del
17 marzo (terza replica) nel
giorno dell’anniversario
della trasformazione del Regno di Sardegna in Regno
d’Italia ed alla quale partecipò tutto il Gotha dell’economia, della politica e della
finanza italiana e che in sala, oltre al Presidente della
Repubblica Napolitano, vide la presenza, proprio di
fronte al sipario sormontato
dallo stemma sabaudo, del
principe Vittorio Emanuele
e della principessa Marina
di Savoia, mentre dall’alto,
al “Va’ pensiero” cantato da
tutta la sala, scendevano a
pioggia riproduzioni del
Tricolore reale del 1861. Ma
proprio quel “Va’ pensiero”, così semplice, così popolare, divenuto – forse anche un poco a sproposito tanto evocativo del nostro
Risorgimento, lo stesso Muti ha più volte detto che non
può divenire l’Inno nazionale d’Italia. «Mi sono sempre espresso contro questa
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idea… Verdi nella partitura
scrive che il tempo deve essere
lento, greve, con il canto quasi
sussurrato, mentre un inno
dovrebbe essere trascinante,
forte, trionfale. Questo è invece
il canto di dolore di un popolo
oppresso, contestato subito dopo, nello stesso libretto, dal
Gran Sacerdote Zaccaria, il
quale, invece, di slancio sprona
il suo popolo alla riscossa. Come potrebbe dunque rappresentare l’orgoglio di una Nazione?». Poi Muti col suo
humour meridionale chiosa: «E’ un brano che dura quasi cinque minuti, dove il clou
arriva tardi.. v’immaginate i
calciatori della nazionale immobili fin’anche alle parole “o
mia Patria si bella e perduta”… con che spirito entrerebbero in campo… sicuramente
si perderebbe la partita!!!».
«Siamo, comunque, di fronte
ad un vero monumento nazionale – dice il Maestro, che
della difesa della cultura
del nostro Paese di è voluto
fare portavoce e paladino -,
in cui ritroviamo tutto lo spirito e l’irruenza giovanile di
Verdi, velata però di malinconia, forse dovuta oltre al carattere del testo anche a quegli
insuccessi (Oberto e Un
giorno di regno, n.d.r.) che
avevano preceduto quest’opera». Su quest’allestimento,
il regista Jean-Paul Scarpitta intende la messa in scena
come «una riflessione sulla
storia più che una rappresentazione». L’idea portante è
quella di un minimalismo
che riduca al massimo gli
elementi scenici, privando
gli accessori di qualsiasi valenza decorativa, «permettendo una vera drammaturgia». L’ambientazione storica è suggerita da pochi essenziali elementi, una piramide, una sola porta del
palazzo, qualche albero davanti a un muro d’oro e rovine che emergono dalle
nuvole. Tutto concepito
per «comprendere e far comprendere - sottolinea il regista - senza ottenebrare lo
sguardo dello spettatore cercando di imporgli idee preconcette». Importante è poi il
discorso sull’attualità del
teatro verdiano. Nelle parole di Scarpitta, «il genio di
Verdi ci rimanda al nostro
tempo, ai nostri drammi, e li
chiarisce, perché oggi più che
mai, il nostro destino è la politica». La conclusione della
vicenda introduce una nota
di speranza, una nuova nascita, «l’apparizione di una
bella e giovane donna di oggi
che culla fra le braccia un bam-
bino, in mezzo a giovani uomini d’oggi, cuori puri appassionati di libertà. Questo messaggio - conclude Scarpitta - dovrebbe risuonare nel cuore degli uomini che vedono un’Europa che stenta a costruirsi,
mentre le dittature faticano a
disfarsi, a scomparire».
andrea Marini
stagione 2013
del Teatro dell’opera di roma
stagione Estiva alle Terme di caracalla
2 e 7 agosto
TErra E cIElo
di Nino Rota
Micha van Hoeche
Gaetano D’Espinosa
Coreografia
Direttore
cavallErIa rusTIcana
di Pietro Mascagni
1 - 6 agosto
Tosca
di Giacomo Puccini
Renato Palumbo
Direttore
23 - 31 ottobre
TurandoT
di Giacomo Puccini
Pinchas Steinberg
Direttore
~~
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 16 - 23 luglio
nabucodonosor
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Temistocle Solera
dal dramma Nabucodonosor di Anicète Bourgeois
e Francis Cornue (1836)
Prima rappresentazione: Milano, Teatro Alla Scala
9.3.1842 (Terza opera teatrale di G. Verdi)
Musica di Giuseppe Verdi
Direttore
Regia e Scene
Maestro del Coro
Costumi
Luci
Riccardo Muti
Jean-Paul Scarpitta
Roberto Gabbiani
Maurizio Millenotti
Anne-Claire Simar
Personaggi / Interpreti
Nabucodonosor (Bar)
Luca Salsi
Ismaele (T)
Francesco Meli
Zaccaria (B)
Riccardo Zanellato
Abigaille (S)
Tatiana Serjan
Fenena (Ms)
Sonia Ganassi / Anna Malavasi (20, 23)
Il Gran Sacerdote di Belo (B)
Luca Dall’Amico
Abdallo (T)
Saverio Fiore
Anna (S)
Simge Büyükedes
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Allestimento del Teatro dell’Opera del 2011
~ ~ La Copertina ~ ~
La Torre di Babele (1563), di Pieter Bruegel il
Vecchio (1525 – 1569); Kunsthistorischer Museum – Vienna.
Il
nabucodonosor
Giornale dei Grandi Eventi
S
olo quattro spettacoli
in Teatro, in questo
metà luglio che sta
divenendo sempre più
caldo, per il Nabucco di
Verdi, nella stessa edizione ideata da Jean-Paul
Scarpitta - e sempre diretta da Muti - per la stagione 2011, quella del 150°
dell’Unità d’Italia. Quattro spettacoli, in contemporanea con la Stagione
dell’Opera a Caracalla,
che rappresentano il terzo
impegno stagionale di
Muti con l’Opera di Roma, per onorare il contratto che prevede, infatti, da
parte del maestro di Molfetta la direzione di tre titoli d’opera l’anno. Così
dopo Simon Boccanegra
(apertura di Stagione in
novembre) ed I Due Foscari di marzo, ecco questo
Nabucco, titolo da Muti
molto praticato. Una ripresa che, insieme alla recita in forma di concerto
di Sabato 13 luglio scorso
al Pala De Andrè di Ravenna, nell’ambito del
Ravenna Festival (la cui
direttrice artistica è la moglie di Muti, Cristina) serve da rodaggio alla tournée dell’orchestra dell’Opera al Festival di Sali-
sburgo, dove questo allestimento sarà proposto
per tre recite il 28 e 31
agosto e 1° settembre con
un cast leggermente migliorato nelle principali
voci maschili.
Intanto,
la
stagione
2013/2014 si dovrebbe
aprire a novembre prossimo, a conclusione di questo anno del Bicentenario
verdiano, con l’Ernani,
3
Le Repliche
Giovedì 18 luglio, h. 20.30
Sabato 20 luglio, h. 20.30
Martedì 23 luglio, h. 20.30
quinta opera di Verdi, andata in scena per la prima
volta a Venezia nel marzo
del 1844, due anni dopo il
Nabucco. La direzione sarà
sempre di Riccardo Muti.
Un Nabucco per Muti in vista di Salisburgo
Nella prima parte la vicenda è ambientata a Gerusalemme, nelle altre tre a Babilonia, intorno al 587 a.C..
La Trama
ParTE I – (Gerusalemme)
– Radunati nel tempio di Salomone
ebrei e leviti piangono la sorte del popolo d’Israele sconfitto da Nabucco
(contrazione del nome Nabucodonosor) Re d’Assiria, che alla testa del suo
esercito sta per entrare in città. Il Gran Sacerdote Zaccaria rincuora i fedeli. Israele ha in ostaggio Fenena, figlia di Nabucco che viene consegnata in
custodia ad Ismaele, nipote del Re di Gerusalemme Sedecia. I due giovani
sono però innamorati e progettano una fuga comune. Lui le ricorda quando da ambasciatore andò a Babilonia e, imprigionato, fu salvato proprio da
lei sia dalla prigione che dall’amore furente della di lei sorella Abigaille.
Così mentre Ismaele sta per aprire una porta segreta entra Abigaille, schiava creduta figlia primogenita di Nabucco, seguita da alcuni guerrieri babilonesi travestiti da ebrei. Abigaille, ancora innamorata, impedisce la fuga
e, gridando vendetta, accusa Ismaele di tradire la patria per una donna babilonese. Confessando di averlo amato e di avergli offerto il regno di Babilonia, la donna si dichiara pronta a salvarlo se tornerà da lei.
Gli ebrei sono in preghiera quando avanza Abigaille inneggiando a Nabucco con i guerrieri che entrano nel tempio. Giunge anche Nabucco il
quale viene affrontato da Zaccaria. Questo minaccia di uccidere Fenena se
Nabucco osasse profanare il tempio. Mentre Zaccaria sta per vibrare il pugnale su Fenena, Ismaele gli blocca la mano e la ragazza fugge tra le braccia di Nabucco che annuncia vendetta ed ordina il saccheggio della città.
ParTE II – (L’empio)
– Tornata a Babilonia, Abigaille scopre, da
una carta sottratta a Nabucco, di essere solo una schiava e non sua figlia.
Questa condizione la rende furente contro Fenena, Nabucco ed il Regno e
nei suoi propositi di vendetta e di acquisizione del potere si fa aiutare dal
Gran Sacerdote di Belo. Intanto Fenena, che ha ricevuto pieni poteri dal pa-
dre, libera gli ebrei e chiede a Zaccaria di essere convertita alla religione ebraica. Abigaille si appresta ad
impadronirsi della corona di Fenena quando giunge
Nabucco che afferra la corona e si proclama dio. A tali parole blasfeme sul
suo capo cade un fulmine che allontana la corona, immediatamente raccolta da Abigaille che se la pone in testa.
ParTE III – (La profezia) –
Nella reggia di Babilonia Abigaille è
sul trono. Entra Nabucco con le vesti lacere e la barba incolta. Dopo una discussione Abigaille lo convince a firmare l’ordine di morte per gli ebrei
prigionieri. Nabucco è perplesso e firma, ma poi quando si rende conto che
tra essi c’è anche la figlia Fenena vorrebbe tornare sui suoi passi. Abigaille
non lo permette e Nabucco l’appella schiava e cerca il foglio attestante la
nascita servile. Abigaille lo tira fuori dal seno e lo distrugge. Abigaille fa
condurre in prigione Nabucco, il quale chiede almeno Fenena. Intanto sulle sponde dell’Eufrate gli ebrei invocano con nostalgia la loro patria. Giunge poi Zaccaria che profetizza la liberazione del suo popolo.
Parte Iv – (L’idolo infranto) -
Negli appartamenti della reggia
Nabucco, ancora prigioniero ma ormai rinsavito, sente rumori di guerra ed
affacciatosi alla finestra vede la figlia Fenena trascinata verso la morte. Colto da ispirazione chiede perdono al Dio e riacquista le forze. A liberarlo arrivano guerrieri rimasti fedeli. Nabucco prende la spada di Abballo e corre verso gli orti pensili dove il Sacerdote di Belo sta per giustiziare Fenena.
Irrompe Nabucco che infrange l’idolo e libera i prigionieri, unendosi poi
agli ebrei per esaltare la gloria di Dio e ringraziarlo della nuova libertà. Entra Abigaille, che nel frattempo ha bevuto del veleno. In fin di vita chiede
perdono a Fenena benedicendo il suo amore per Ismaele. Muore invocando la pietà di Dio, mentre Zaccaria saluta Nabucco re dei re.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
nabucodonosor
5
Tatiana Serjan
Luca Salsi
Abigaille, schiava e non
figlia di Re,
innamorata di Ismaele
Nabucodonosor,
re degli Assiri
A
cantare nel ruolo della protagonista femminile Abigaille è il
soprano Tatiana serjan. Nata a San Pietroburgo, dove ha
cominciato gli studi musicali in pianoforte presso il Collegio
Musicale e in seguito al Conservatorio. Si è perfezionata in Italia all’Accademia delle Voci di Torino con Franca Mattiucci. Nel 1994 ha
debuttato all’Opera Studio di San Pietroburgo nella Traviata, dove
successivamente ha cantato ne La bohéme e Così fan tutte; nel 1997 è
stata diretta dal Maestro Mstilav Rostropovič con la San Pietroburgo Philarmonic Society. Nel 2001 È stata finalista in alcuni concorsi
di canto internazionali. Il suo debutto in Italia è stato al Regio di Torino nel dicembre 2002 nel ruolo di Lady Macbeth. Ha debuttato Aida al Festival di Bregenz, I due Foscari a Parma e Modena. Ha partecipato al concerto finale del Festival di Ravenna. Sotto la guida di
Muti, si è esibita nel Requiem di Verdi a Londra ed a Tolosa con la
Philarmonia Orchestra. All’Opera di Roma è stata ne La battaglia di
Legnano e nel Macbeth del novembre 2011 andato poi al Festival di
Salisburgo (2012). Sempre al Costanzi l’abbiamo sentita lo scorso anno in maggio in Attila (Odabella) e quindi quattro mesi fa, a marzo,
nel ruolo di Lucrezia Contarini ne I Due Foscari.
Riccardo Zanellato
Zaccaria, Grande Sacerdote
dalla voce possente
I
l basso riccardo Zanellato, Gran Sacerdote Zaccaria in questo cast,
dopo essersi aggiudicato il premio Operalia nel 1996, ha debuttato con
Dom Sébastien di Donizetti al Comunale di Bologna ed al Donizetti di
Bergamo, riscuotendo il plauso di pubblico e critica. Da li ha iniziato ad
affermarsi come uno degli artisti di nuova generazione per i ruoli di basso verdiani.
Ha poi preso parte a La vedova scaltra, Assassinio nella cattedrale, Le nozze di
Figaro ed Ifigenia. Importante la collaborazione con Muti che lo ha scelto
per le produzioni romane di Iphigenié en Aulide, Nabucco e Moïse et Pharaon. Regolare ospite del Festival Verdi ed al Regio di Parma, ha interpretato Nabucco, La forza del destino con la direzione di Gelmetti. Nel 2011 ha
debuttato al Rossini Opera Festival nel Mosè in Egitto, mentre nel luglio
2012 in Norma a Caracalla. All’Opera di Roma nel novembre 2011 è stato
Banco, generale del re Duncano, nel Macbeth diretto da Muti che ha aperto la stagione come nel novembre 2012 secondo cast di Jacopo Fiesco nel
Simon Boccanegra sempre con Muti.
Francesco Meli
Ismaele, nipote del Re
di Gerusalemme e
traditore per amore
E
’ Francesco Meli a cantare come Ismaele, ruolo da tenore che in
quest’opera è da comprimario. Nato a Genova nel 1980, ha iniziato gli studi di canto a diciassette anni e nel 2002 ha debuttato
con Macbeth di Verdi. Nello stesso anno ha cantato come solista nella
Petite Messe Solennelle di Rossini e nella Messa di gloria di Puccini, trasmessa dalla RAI durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto. Meli
ha calcato con successo i più importanti palcoscenici italiani ed europei. Nel 2005 ha inaugurato le stagioni del Teatro alla Scala con Idomeneo di Mozart, del Carlo Felice con Don Giovanni di Mozart, del Rossini Opera Festival in una nuova produzione di Bianca e Falliero. Inol-
A
l baritono luca salsi è affidato il ruolo di Nabucodonosor.
Nato a San Secondo Parmense (PR) nel 1975 si è diplomato in
canto presso il conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, e si è
perfezionato con il baritono Carlo Meliciani. Nel 1997 ha debuttato
presso il Teatro Comunale di Bologna nella (Scala di Seta di Rossini).
Nel 2000 ha vinto il premio assoluto al concorso “Gian Battista Viotti” di Vercelli; ha iniziato così un’intensa attività che lo ha condotto
sui palcoscenici di tutto il mondo. Nella stagione 2008/09 ha preso
parte a diverse produzioni tra cui Il Corsaro al Festival Verdi di Parma, La Bohème, al Carlo Felice di Genova, I Pagliacci, al teatro lirico di
Cagliari ha continuato poi con la stagione 2009/10 interpretando con
grande successo la Traviata, Falstaff, L’Elisir d’Amore, Ernani e Lucia di
Lammermoor. Nel 2012 consensi ne L’Elisir d’amore (bilbao), Rigoletto
(Trieste) e Don Carlo ne La Forza del destino (Buenos Aires). In questo
ruolo ha inaugurato a Barcellona la stagione attuale. Tra i suoi prossimi impegni: I Puritani, al Teatro Lirico di Cagliari, Attila, al Teatro
Reggio di Parma, Un ballo in maschera, alla Washington Opera, e la
Madama Butterfly, al Maggio Musicale Fiorentino ed al Metropolitan
di New York. Nel marzo scorso all’Opera di Roma ha cantato nel
ruolo del Doge Foscari ne I Due Foscari.
Sonia Ganassi / Anna Malavasi
Fenena, figlia di Nabucco
ed innamorata di Ismaele
A
cantare nel ruolo di Fenena saranno i mezzosoprani sonia Ganassi (16 e 18 /7) anna Malavasi (20 e 23 /7). sonia Ganassi, è
nata a Reggio Emilia nel 1966, ha collaborato con direttori quali
Riccardo Chailly, Riccardo Muti, Myung-Wung Chung, Daniele Gatti.
A seguito dei suoi numerosi successi, nel 1999 i critici musicali italiani le
assegnano il Premio Abbiati. Molti i ruoli interpretati, diversi dei quali
incisi in CD o DVD. All’impegno operistico alterna un’intensa attività
concertistica nelle più prestigiose sale da concerto. Nella stagione
2008/09 ha cantato Norma all’Accademia di Santa Cecilia, I Capuleti e
Montecchi a Genova, Anna Bolena a Lione e a Parigi, La Damnation de
Faust a Napoli, Maria Stuarda a Venezia, La Favorite a Siviglia. Nel settembre 2010 ha cantato nel Roberto Devereux di Gaetano Donizetti all’Opera di Roma e nel dicembre 2010 è stata per 5 delle 6 recite Sinaïde
nel Moïse et Pharaon di Rossini, diretto da Muti per l’inaugurazione della stagione 2010.
anna Malavasi, mantovana, si diploma nel 2003 in canto e pianoforte al
Conservatorio Rossini di Pesaro con il massimo dei voti e lode, anno in
cui vinse il Concorso Internazionale di Musica Sacra di Roma. Dopo
aver interpretato ruoli sopranili, nel 2008 si sposta verso un repertorio
mezzosopranile. Nello stesso anno vinse la trasmissione Serata d’onore
su RaiUno dedicata all’opera. Diretta da Muti ha cantato la Missa Defunctorum di Paisiello al Festival di Salisburgo 2009. Tra le altre opere, alla Fenice di Venezia Manon Lescaut (Musico) e Rigoletto (Maddalena). E’
stata Azucena ne Il trovatore a Ravenna con la regia di Cristina Mazzavillani Muti. Ancora con Muti ha cantato come Fenena (primo cast) nel
Nabucco del 2011 al all’Opera di Roma e Macbeth al Festival di Salisburgo, nonché “I Concerti della via dell’amicizia”. Ha poi preso parte al Concerto dedicato a Verdi il 21 marzo scorso all’Opera di Roma.
tre è stato interprete di recital solistici a Londra, Tokyo, Oslo, Poznan
e del Requiem di Verdi sotto la direzione di Gatti, Maazel, Noseda e
Temirkanov. Torna ora a cantare all’Opera di Roma sotto la bacchetta di Muti dopo essere stato nel novembre 2012 Gabriele Adorno in
Simon Boccanegra e quindi nel marzo scorso il figlio del Doge Jacopo
Foscari ne I Due Foscari, sempre di Verdi.
Il giornale va in stampa senza le foto degli interpreti, poiché a meno di 24 ore dalla “Prima”
ancora non ci sono state fornite dall’ufficio stampa del Teatro. ce ne scusiamo con i lettori.
Pagina a cura di Tina Alfieri
6
nabucodonosor
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La storia dell’opera
Nabucodonosor, la gloria dopo la sventura
«C
vinse a seguirlo a Teatro.
on quest’opera
Tanto fece l’impresario,
si può dire verache Verdi, ritroso e deciso
mente che ebbe
a snettere con la musica,
principio la mia carriera arsi ritrovò a casa (viveva a
tistica». Verdi si accorse
Milano ormai dal 1839)
subito che Nabucco era
con il libretto di Nabucco,
nato sotto una stella favoscritto da Temistocle Sorevole ed anche dopo rilera sulla base di passi biconobbe che il suo destiblici e del dramma Nabuno di operista dipese in
chodonosor di Aguste Anigran parte da quel giovacèt-Bourgeois e Francis
nile successo. Curioso, viCornu (andato in scena a
sti i preamboli, non certo
Parigi nel 1836), libretto
incoraggianti: il composiappena rifiutato dal giotore, nel pieno di un terribile lutto familiare la morte improvvisa dei due figlioletti e poco dopo quella dell’amatissima
moglie Margherita
Barezzi - e profondamente amareggiato dal fiasco della sua opera buffa
Un giorno di regno,
andata in scena alla
Scala il 5 settembre
del 1840, era infatti
più che mai deciso
ad abbandonare la
composizione.
Aveva allora 27 anni. «Mi persuasi che
dall’arte avrei invano
aspettato consolazioni e decisi di non Giuseppina Stepponi con lo spartito del Nabucodonosor
comporre mai più».
vane musicista prussiano
Tutto questo nonostante
Otto Nicolai. Si dice che
il suo Oberto, conte di San
Verdi aprendo il testo a
Bonifacio gli avesse invece
caso, rimase folgorato da
regalato soddisfazioni,
quel verso Va, pensiero,
dopo la buona accogliensull’ali dorate che ancora
za, sempre alla Scala, pooggi è l’identificativo di
co meno di un anno priquest’opera. Insomma,
ma, il 17 novembre del
una sorta di ”forza del
‘39.
destino” che avrebbe guiLe circostanze che portadato Verdi nella composirono al mutamento d’anizione d’un lavoro così demo sul comporre, sono
cisivo per la sua carriera.
parzialmente aneddottiche. Grande parte ebbe
decisiva fu la stepponi
Bartolomeo Merelli – impresario della Scala ed tra
In realtà decisivo fu l’ini grandi impresari italiani
tervento presso Merelli di
dell’Ottocento, insieme a
Giuseppina
Stepponi,
Barbaja, Jacovacci e Lanadapprima compagna di
ri - da cui dipendevano le
Verdi dopo la morte nel
sorti del teatro musicale a
1840 della prima moglie
Milano, il quale intuì suMargherita Barezzi e
bito le doti del giovane
quindi sposata dopo 13
bussetano. Il farcito racanni di convivenza nel
conto autobiografico, det1859. Quando s’incontratato da Verdi all’editore
rono lei, Clelia Maria JoGiulio Ricordi una quasepha Stepponi, era molrantina d’anni dopo, rito più nota di Verdi come
porta che il compositore,
soprano di successo ed
in una fredda serata inaveva alle spalle vita
vernale, incontrò per caso
chiacchierata e tre figli ilil Merelli, il quale lo con-
relli avrebbe preferito
legittimi di cui uno – che
nella programmazione
morirà a 25 anni di colera
successiva. Naturalmente
– con l’impresario Merelciò scatenò le ire del busli. E proprio con due suoi
setano, «giovane e dal sanex amanti Merelli e Mogue bollente», deciso più
riani, Giuseppina si adche mai a vedere Nabucco
doperò nel 1839 perché
sull’imminente cartellovenisse rappresentato a
ne, che con una «letteracLa Scala la prima opera di
cia» sfogò sull’impresario
Verdi, Oberto, conte di
tutto il proprio risentiSan Bonifacio. Intercessiomento. Fu allora che Mene ripetuta due anni più
relli, che troppo conoscetardi proprio con il Nava il mestiere per tagliare
bucco.
con l’irruente maestro, gli
Fioriture a parte, sappiamo che Nabucco cominciò gradualmente
a prendere forma, tra
momenti di incupimento e rinnovata
ebbrezza, con l’assidua collaborazione
del librettista e amico
Solera, con cui il confronto, se a tratti si
manifestò assai burrascoso, nondimeno
fu proficuo e costruttivo. Verdi racconta
di aver chiesto a Solera di sostituire un
duettino amoroso tra
Fenena e Ismaele, che
a lui non piaceva perché
raffreddava
l’azione, con una profezia da affidare al Bartolomeo Merelli
personaggio di Zacfece sapere che aveva mocaria; richiesta accettata
dificato il cartellone e che
con riluttanza dal librettiNabucodonosor (titolo orista, che tuttavia promise
ginale fino al settembre
di scriverla nei giorni
del 1844, quando il Teatro
successivi. Ma Verdi, teS. Giacomo in Corfù lo acmendo di dover aspettare
corcerà in Nabucco) sarebtroppo, sbottò, serrò
be andato in scena. «Darel’uscio e si mise in tasca la
mo questo Nabucco; bisochiave «Non sorti di qui se
gna tener calcolo però che io
non hai scritto la profezia:
avrò spese gravissime per le
eccoti la Bibbia, hai già le
altre opere nuove: non potrò
parole bell’e fatte». Rischiò
fare apposta pel Nabucco né
forse una reazione collescene né vestiario e dovrò
rica da parte dell’amico,
raffazzonare alla meglio ciò
«..un pezzo d’uomo…», ma
che si troverà di più adatto in
un quarto d’ora dopo la
magazzino». Scene che, inprofezia era scritta. Insieme ai riutilizzati costusomma, tra scambi e
mi del precedente balletto
scontri, Nabucco fu ultiNabucodorosor di Cortesi,
mato nell’autunno del
grazie allo scenografo Fi1841. Nel frattempo, la
lippo Peroni sortirono coScala aveva già replicato
munque un effetto straor17 volte Oberto, a riparadinario. Secondo alcune
zione del fiasco di Un
fonti poi, lo stesso compogiorno di regno e la stagiositore avrebbe in parte fine di carnevale-quaresinanziato l’impresa, rinforma era già definita con
zando a proprie spese il
tre opere nuove di artisti
coro del Teatro, a quel
conosciuti, tra cui Maria
tempo né solido, né nuPadilla di Donizetti. Non
meroso. Le prove di Nac’era posto, dunque, per
bucco ebbero così inizio
l’opera di Verdi, che Me-
negli ultimi giorni di febbraio del 1842.
la “Prima” alla scala
Giunse la sera del 9 marzo 1842: la Scala era affollatissima, con il fior fiore
della Milano musicale,
artistica e letteraria tra
cui, in un palco di prima
fila, Gaetano Donizetti.
Del resto il cast si preannunciava brillante: la
Strepponi
(Abigaille),
Giorgio Ronconi (Nabucco), Giovannina Bellinzaghi (Fenena), Corrado Miraglia (Ismaele),
Prosper Derivis (Zaccaria). Verdi prese posto in
orchestra, con la scusa di
girare le pagine ai collaboratori, ma in realtà per
assistere da vicino al
proprio trionfo od alla
propria caduta. E il
trionfo arrivò. Già il finale del primo atto fu
accolto da un’ovazione
tanto chiassosa da lasciar di stucco lo stesso
compositore, che sulle
prime scambiò le acclamazioni per fischi di disapprovazione. «Credetti
che volessero farsi beffe del
povero compositore, e poi
che mi cadessero addosso
per farmi un brutto tiro». E
invece il successo fu clamoroso. Al calare del sipario applausi ed evviva
furono
interminabili.
Enorme l’entusiasmo per
il celebre coro “Va pensiero” e pure per la Sinfonia,
approntata negli ultimi
giorni sotto la caparbia
insistenza del cognato
Giovanni Barezzi. Otto
furono le recite, ma il successo fu tale che alla Scala venne riproposta 75
volte entro la fine di quell’anno. Insomma, il pubblico del tempio lirico milanese quella sera consacrò definitivamente Verdi, che meno di un anno
dopo avrebbe trionfato
ancora con I Lombardi alla
prima crociata (11 febbraio1843), opera che idealmente s’accoppia con Nabucco, dando il via quasi
d’istinto all’azione politica del compositore.
barbara catellani
Il
Giornale dei Grandi Eventi
nabucodonosor
7
Analisi dell’opera
Nabucco, il primo lavoro teatrale
ben strutturato di Verdi
N
abucco, libretto di
Temistocle Solera, tratto da un
episodio del Vecchio Testamento, costituisce,
dopo le prove mediocri
o fallimentari di Oberto,
conte di San Bonifacio e di
Un giorno di Regno, l’avvio autentico del teatro
verdiano, di un teatro,
cioè, che pur attingendo
all’esperienza dell’ultimo Rossini o del Donizetti tragico italiano, si
imponeva con caratteri
propri e di forte potere
emozionale.
Caratteri che emergono
già nella Sinfonia. L’avvio lento e nobile affidato ai fiati lascia il posto a
un tema nervoso, scattante, marziale cui segue il riferimento al tema ampio e disteso del
“Va pensiero”. Un bitematismo, dunque, giocato sul contrasto fra
due elementi caratterialmente assai diversi che
riflettono le due anime
musicali dell’opera: da
una parte il Verdi quasi
bandistico, esuberante,
aggressivo, dall’altro la
sua verve cantabile, distesa, con una delle melodie più popolari del
suo intero repertorio. E’
significativo che mentre
il primo tema ritornerà
più volte a sottolineare i
momenti più eroici, quello lirico risuonerà nella
sua completezza solo nel
celebre coro degli ebrei
sul finire della terza parte. Verdi, dopo averlo annunciato, se lo tiene in
serbo per la pagina su cui
evidentemente più conta
in termini di impatto
emotivo.
L’opera s’articola in
quattro parti, ognuna
con un proprio sottotitolo e una citazione dal libro di Geremia. La prima parte si intitola “Gerusalemme” con la seguente citazione: «Così
ha detto il Signore; ecco, io
do questa città in mano al
re di Babilonia, egli l’arderà col fuoco» (Geremia
XXXII); la seconda
“L’Empio” è introdotta
co, o il condottiero
no elementi questi nei
dai versetti «Ecco… il
Ismaele. I due immettoquali emerge la genialiturbo del Signore è uscito
no nella storia la comtà drammaturgica oltre
fuori, cadrà sul capo delponente sentimentale
che musicale di Verdi.
l’empio» (Geremia XXX);
con un recitativo amoA tale proposito va sotla terza, “La profezia” riroso nella IV scena che
tolineato che il Verdi
chiama Geremia LI: «Le
spezza la tensione accudel Nabucco, come delle
fiere dei deserti avranno in
mulata.
altre opere risorgimenBabilonia la loro stanza inPiù attenzione sul piano
tali, è tutt’altro che
sieme coi gufi e l’upupe vi
dell’approfondimento
“bandistico”: la sua irdimoreranno». Infine la
caratteriale, Verdi pone
ruenza (con scatti ritmiquarta, “L’idolo
ci, fiati in primo
infranto”: «Bel è
piano, accompaconfuso: i suoi
gnamenti balidoli sono rotti in
danzosamente
pezzi» (Geremia
scanditi) è perXLVIII).
fettamente calGià la prima scecolata e alternata
na nel Tempio di
a passi strumenSalomone
si
tali raffinatissiapre con uno dei
mi.
Cori più famosi,
Il protagonista
“Gli arredi festiNabucco è, come
vi”. L’avvio coAbigaille, persorale rientra nella
nalità controvertradizione delsa. Entra in scel’opera italiana,
na nella prima
anche se qui è
Parte annunciadifferente la funto dalla banda
zione. In genere
con un tema
il coro fungeva
marziale, che rida “prologo”,
correrà poi più
raccontando
volte a sottolil’antefatto, qui
neare momenti
Verdi lo trasforguerreschi, moma subito in
strando subito,
protagonista, col
con vocalità bapopolo che canta Verdi in un ritratto del Torriani. La data dovrebbe essere ritonale violen1842, anno del Nabucco, ma la riga dei capelli è a sinistra
e lamenta la pro- anzichè a destra (cambiamento che avvenne qualche anno ta, la sua bellicopria condizione dopo) e gli occhi sono scuri anzichè chiari. Probabile che il sità e crudeltà.
in una pagina pittore abbia lavorato a memoria.
Nabucco incarna
con interventi a
l’oppressore ed
sezioni e poi un finale a
agli altri due protagoniè abile Verdi ad indivicompagine intera.
sti, Abigaille e Nabucco.
duare per ogni “simboNella scena successiva,
La prima, schiava ritelo” dell’umanità rapal Coro si affianca Zacnuta figlia del Re, appapresentata una adeguacaria, un basso, come si
re come la personalità
ta scrittura vocale. Doaddice alle figure “guipiù complessa dell’opepo essersi proclamato
da” e linea di canto spiera. In lei si scontrano
Dio ed essere stato fulgata, nobile come nel
passionalità amorosa e
minato, il terribile Re di
Mosè rossiniano.
sete di potere, ispirando
Babilonia conosce il
a Verdi momenti musipentimento, la pietà, la
la caratterizzazione
cali espressivamente dimisericordia. Il suo candei personaggi
versi: dall’aria “Anch’io
to “Deh perdona” nella
dischiuso”, al duro sconParte III, si ammorbidiAspetto interessante del
tro con Nabucco, al pensce, si fa più lirico, per
primo Verdi è il trattatimento finale, al motornare poi ad un piglio
mento riservato ai permento della morte. Abimarziale e trascinante
sonaggi, spesso non
gaille partecipa pure a
nella Parte IV quando
“scavati” sul piano psiscene di insieme. Da cirientrato in sé, vuole
cologico, non definiti “a
tare, ancora, il canto a
riprendere il proprio
tutto tondo” come sacappella “Immenso Jehoruolo.
ranno poi Violetta, Rivah” (Parte IV) che con
goletto, Azucena, ma
la sua profonda suggeIl “Va pensiero…”
trasformati in “simboli”.
stione religiosa conferiCosì sono ad esempio
sce quasi un aspetto
Resta da menzionare la
Fenena, figlia di Nabucpagina più famosa deloratoriale all’opera. So-
l’opera, il coro che gli
ebrei schiavi nella Parte
III. Sulle sponde dell’Eufrate, incatenati, levano al cielo il loro rassegnato e doloroso lamento: «Va, pensiero, sull’ali dorate; /Va, ti posa sui
clivi, sui colli,….».
Le principali particolarità lessicali della pagina
riguardano la presenza
di termini aulici, come
voleva la prassi di prosa
e poesia ottocentesca, in
particolare: clivi, membranza, favella, fatidici,
traggi, nonché i nomi
propri Sionne e Solima,
dove Sionne indica Gerusalemme, mentre Solima deriva dall’antica
denominazione greca
della stessa città (Hierosólyma). Si tratta di 16
decasillabi, divisi in 4
quartine. Le strofe presentano un ritmo anapestico, con gli accenti che
cadono sulle sedi 3-6-9.
È per questo che al verso 13 la parola “simile”
si legge con l’accento
piano sulla seconda sillaba (“simìle”) anziché
con l’accento sdrucciolo
sulla prima. Secondo la
prassi della poesia musicale, l’ultimo verso
d’ogni quartina è tronco, cioè costituito da nove sillabe metriche. Verdi costruisce una melodia ampia, distesa su un
accompagnamento arpeggiato d’archi. Andamento doloroso, dinamiche soffuse con scatti
di passionalità come
sulla frase «Oh mia patria
sì bella e perduta»; ovvero
allo slancio lirico «Arpa
d’or dei fatidici vati». Un
coro, però, va ricordato,
d’oppressi e rassegnati.
Non a caso, quando il
tutto si spegne, pianissimo sulla parola “virtù”,
irrompe Zaccaria che
apostrofa i suoi: «Oh chi
piange? Di femmine imbelli/ Chi solleva lamenti
all’Eterno?/ Oh sorgete,
angosciati fratelli, /sul mio
labbro favella il Signor».
roberto Iovino
8
nabucodonosor
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La figura storica di un grande Re, offuscato dalla perdita de
Nabucodonosor, il conquistatore di Gerusalemm
Giardini pensili di Babilonia
G
li ultimi decenni
del VII secolo
a.C. furono certo
vissuti dalle genti di
ogni lingua e cultura
che abitavano per amplissime contrade in
gran parte dell’Asia Occidentale, dall’Iran occidentale alle coste del
Mediterraneo, come un
tempo crudele di inattese speranze e di terribili
incertezze. L’irresistibile dominio di Ninive e
dei suoi re, i “vicari” del
terribile dio Assur, che
da oltre due secoli aveva annientato ogni potere politico rivale ed
era arrivato ad estendersi dalla lontana Assiria fino a comprendere
l’intera valle del Nilo,
vacillava e i suoi eserciti faticavano a mantenere il controllo della Mesopotamia meridionale,
dove sorgeva la città
santa di Babilonia, centro del mondo, tanto
metaforico quanto reale, per gli abitanti della
terra dei due fiumi. Un
energico principe caldeo, emerso dalle paludose e impenetrabili
terre dove si alternavano palmizi e deserto
sulle sponde del Golfo,
forse erede di un antico
illustre lignaggio, Nabopolassar, aveva levato un’armata che era
riuscita a tenere in scacco l’invincibile esercito
d’Assiria, si era proclamato re di Babilonia e
pretendeva di scuotere
lo spietato “giogo di Assur”. Dopo qualche tentativo sfortunato, quando l’audace Nabopolassar riuscì ad unirsi ad
un altro generoso principe affermatosi nelle
montagnose
regioni
della Media, Ciassare,
gli eserciti congiunti
della Babilonia e della
Media, con l’ausilio forse di orde di Sciti, riu-
scirono a espugnare, nel
612 a.C., la crudele Ninive, la “frusta di Yahwe”, come la definivano
i profeti d’Israele, riconoscendo nell’Assiria
l’inesorabile esecutore
terreno dei terribili castighi che il dio d’Israele infliggeva al suo popolo per le sue ripetute
ed imperdonabili infedeltà.
Parvero cessare allora
prolungate sofferenze
di popoli sterminati, depredati e deportati dagli
inflessibili signori d’Assiria – da Sargon II, a
Sennacherib, a Asarhaddon, ad Assurbanipal, il Sardanapalo dei
Greci -, se si dà ascolto
alla voce degli sconfitti
Ebrei, che avevano visto
nel 722 a.C. cadere sotto
i colpi dell’Assiria Samaria, capitale del regno settentrionale di
Israele: dopo le trepidanti incertezze la speranza che al giogo d’Assiria succedesse per le
popolazioni d’Oriente
un più mite governo
nell’equilibrio tra Ciassare e Nabopolassar. E
così certo fu, perché
quelli che presto divennero a loro volta i signori del mondo – i re di
Babilonia – non regnarono più vantando un
primato implacabile rivendicato in nome di un
dio crudele, Assur, bensì si professarono, secondo una millenaria
tradizione babilonese,
pastori delle genti, restauratori di culti antichissimi, devoti piissimi
di un dio ordinatore del
mondo e signore dell’universo, Marduk.
nabucodonosor
il grande
Uno dei leoni del rilievo della porta di Ishtar a Babilonia (604-562 a.C.)
Colui che affermò e consolidò, fiaccando definitivamente la resistenza
assira e sconfiggendo
gli Egiziani accorsi in
soccorso degli ultimi resti del potere assiro, fu
il grande figlio di Nabopolassar, Nabucodonosor, che orgogliosamen-
Figurino del personaggio di Nabucodonosor di Attilio Comelli per la
rappresentazione a La Scala del 1913
te aveva assunto il nome di un grande re del
XII secolo a. C., il quale
aveva trionfato degli
Elamiti, aveva riportato
a Babilonia la statua
cultuale della divinità
Marduk, sacrilegamente asportata dal suo veneratissimo tempio dell’Esagil ed aveva dato
corso
all’esaltazione
teologica universalistica
del culto dello stesso
Marduk.
costruttore della
Torre di babele
Nabucodonosor II, salito al trono di Babilonia
nel 604 a. C., fu un grande sovrano e divenne
nella coscienza delle
genti della Mesopotamia un eroe nazionale,
tanto che, dopo il crollo
dell’impero babilonese
nel 539 a.C. di fronte all’urto dell’achemenide
Ciro II il Grande, ogni
personaggio di Babilonia che tentò, senza fortuna, di scuotere il do-
minio persiano, assunse
di nuovo il suo nome.
Riorganizzato l’impero
e delimitato ad Oriente
il potere dei Medi, il
gran Re si dedicò al più
spettacolare programma di rinnovamento
edilizio della sua capitale, estesa allora per circa
1000 ettari e di ricostruzione di tutti i maggiori
santuari della Babilonia
che mai si fosse visto in
Oriente. Fu questo straordinario costruttore
che portò a termine,
contro ogni aspettativa,
l’impresa memorabile
del completamento della torre templare di
Marduk a Babilonia,
l’Etemenanki, la “Casa
fondamento del cielo e della terra”, che da allora
per alcuni decenni dominò con la sua altezza
di poco meno di 100
metri il panorama verdeggiante di palme dell’immensa Babilonia. La
celeberrima fabbrica ciclopica della “Torre di
Babele”, la cui ricostru-
Il
nabucodonosor
Giornale dei Grandi Eventi
9
elle fonti scritte e dalla tradizione biblica
me che riedificò la Torre di Babele
zione era stata forse iniziata da Nabucodonosor I secoli prima, rimase a lungo incompleta
ed abbandonata come
un’immensa rovina urbana, tanto da far nascere, forse nella stessa Babilonia o più probabilmente nella Palestina
apparire come un personaggio di straordinaria devozione religiosa
assai più che come condottiero illustre. Ma il
suo nome è rimasto legato in tutta la tradizione occidentale alla conquista di Gerusalemme,
alla distruzione del
Robert Koldewey tra il
1899 e il 1913 - fortemente voluta dall’Imperatore di Germania, il
Kaiser Guglielmo II
(1859-1941, imperatore
dal 1888 al 1918), animato dalla ferrea volontà che i Musei Statali di
Berlino potessero riva-
Babilonia - ricostruzione ideale di Johann Bernhard Fischer von Erlach (1721)
dell’VIII-VII secolo a.
C., la non meno famosa
storia biblica del suo disfacimento da parte di
Dio come punizione di
un disegno umano di
arroganza e orgoglio
inammissibili.
Ribaltando il mito e le
sue ragioni, Nabucodonosor II non solo completò fino al più alto fastigio quell’opera immane,
ma
profuse
un’immensa quantità
d’oro nella decorazione
della cella del tempio di
Marduk posto sulla sua
sommità, creando attonito stupore anche in
chi, come forse Erodono, quel gigantesco monumento vide già in decadenza.
Il conquistatore
di Gerusalemme
Poche sono le gesta militari che le iscrizioni
del gran Re di Babilonia
hanno tramandato, perché egli certo teneva ad
tempio salomonico ed
all’abbattimento delle
mura della capitale del
regno di Giuda, dove
regnava l’ultimo successore di David: i testi
amministrativi scoperti
nella Babilonia di Nabucodonosor II ricordano, tra i nomi dei principi stranieri sottomessi
ed ospitati alla corte di
Babilonia, anche quello
dell’infelice re di Giuda
(Yehoiakin che appare
nei testi babilonesi nella
forma “Yaukin, re di Giuda”), il quale fu portato
in esilio con l’élite intellettuale di Gerusalemme nella nuova capitale
del mondo.
la riscoperta
archeologica di
babilonia
La rinascita archeologica della Babilonia di
Nabucodonosor II, restituita alla conoscenza
storica
dall’epocale
esplorazione tedesca di
leggiare con i musei di
concezione imperiale
dell’Impero Britannico e
della Repubblica Francese (il British Museum
ed il Louvre) -, ha documentato nelle straordi-
narie fortificazioni, nei templi
numerosi, negli
estesissimi palazzi reali, nella
sontuosa strada
cerimoniale della dea Ishtar
un’attività edilizia del tutto corrispondente alle
ripetute celebrazioni delle opere
architettoniche
contenute nelle
iscrizioni reali
del sovrano.
L’immagine storica di Nabucodonosor II è stata
indubbia- La grande via trionfale di Nabucodonosor che dalla
mente sfigurata Porta di Ishtar conduceva al Tempio del dio Marduk
dalla sorte avunificatore e pacificatoversa che, nel naufragio
re e della nazione partitotale delle fonti scritte
colare, gelosa custode
della civiltà mesopotadella sua specificità e
mica verificatosi dopo
delle sue tradizioni, sol’età ellenistica ed il susprattutto dall’età del
seguente
completo
Romanticismo, Babilooblio di ogni testimonia è divenuta il simbonianza diretta, ha fatto
lo dell’oppressione trusì che nella memoria del
ce e cieca, spietata e
mondo occidentale essa
inaccettabile, e gli Ebrei
sia stata filtrata dalla
in cattività il simbolo
tragica esperienza, così
del popolo ingiustaefficacemente espressa
mente soggiogato, malnella tradizione biblica,
vagiamente disperso,
della Cattività babilonesofferente e irredento.
se e dell’Esilio degli
Ebrei. Nella contrapposizione secolare dei due
opposti ideali politici
dell’impero universale
Paolo Matthiae
Accademico dei Lincei
Archeologo
Opposte visioni della figura storica
Nabucodonosor esaltato
ma da alcuni criticato
N
abucodonosor II morì nell’ottobre del 562 a.C. Durante l’età ellenistica si svilupparono nel mondo
seleucide due opposti miti attorno alla sua figura, uno greco positivo e
l’altro ebraico negativo. Da un lato,
anche sulla base dei dati accumulati
dal dotto Berosso, sacerdote di Bel,
astronomo ed astrologo babilonese
vissuto tra IV e III sec. A. C. che scrisse sull’antico mondo mesopotamico
per un sovrano ellenistico, nella tradizione greca, affascinata dalla sua
fama di rifondatore di una città immensa di straordinaria suggestione,
cui non si sottrasse neppure Alessandro Magno, il re babilonese divenne
un nuovo Belo, travestimento greco
della divinità Marduk, in quanto fon-
datore di una città eccezionale dalla
triplice, gigantesca, cerchia di mura
costruite in quindici giorni, ed un
eroe semidivino, «più potente di Eracle, che invase la Libia e l’Iberia». Dall’altro lato, soprattutto sulla base della storia biblica di Daniele, nella tradizione ebraica, antica e medioevale,
inorridita dalla sua crudele idolatria,
il gran Re responsabile del sacco di
Gerusalemme e della distruzione del
Tempio di Salomone, condannato ad
un destino atroce di follia e di inselvatichimento, diviene un essere bestiale con le sembianze di un bue dai
fianchi in su e di leone dai fianchi in
giù, «che si aggirava tra i dirupi e ruggiva tra le fiere selvagge».
Pa. Mat.
10
nabucodonosor
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Il Nabucco nelle scenografie
L’invenzione scenica dell’Oriente antico
L
a prima rappresentazione
del Nabucco di Giuseppe
Verdi alla Scala di Milano,
fu salutata con grandissimo entusiasmo, decretando, fin dell’inizio,
la fortuna dell’opera verdiana.
Non solo la musica, ma anche costumi e scene hanno contribuito
alla riuscita dell’opera, come lo
stesso Verdi racconta in una lettera, dove il Maestro menziona il
magnifico ed accurato lavoro di
Filippo Peroni (Perroni come scrive Verdi) che, riaccomodando e ridipingendo vecchie scene, riesce
tuttavia ad ottenere l’effetto desiderato. Quali fossero queste vecchie scene è difficile dirlo: l’ipotesi
più logica, sebbene, allo stesso
tempo, non del tutto convincente,
è che per la prima del Nabucco di
Verdi siano state riutilizzate scene
del balletto Nabuccodonosor di
Antonio Cortesi, messo in scena
alla Scala di Milano il 27 ottobre
1838 od anche alcune di Oberto,
Conte di San Bonifacio dello stesso
Verdi che aveva debuttato nello
stesso teatro Milanese il 17 novembre 1939. Il nome di Peroni,
tuttavia, non compare sul libretto
della prima dell’opera di Verdi a
Milano: lo scenografo indicato è
Baldassarre Cavallotti, ma l’intervento dello stesso Peroni è confermato dall’esplicito riferimento che
ne fa il Maestro nella già citata lettera. Molti anni dopo Verdi
avrebbe così rievocato la serata:
«Il Nabucco nacque sotto una stella
favorevole, giacché anche tutto ciò che
poteva riuscire a male contribuì invece in senso favorevole […] I costumi raffazzonati alla meglio riescono
splendidi! Scene vecchie, riaccomodate dal pittore Peroni, sortono invece
un effetto straordinario: la prima scena del tempio in specie produce un effetto così grande che gli applausi del
pubblico durarono per ben dieci
minuti».
Il nome di Filippo Peroni sarà legato ad altri cinque allestimenti
dell’opera verdiana. Fra i bozzetti
conservati (difficilmente databili
con precisione), si possono osser-
vare i primi esempi di utilizzo di
elementi dell’architettura mesopotamica antica che, proprio in
quegli anni, gli archeologi francesi
e britannici stavano riportando alla luce nelle capitali assire (Khorsabad e Nimrud) dell’Iraq settentrionale. Rispetto alle scene di Romolo Liverani per il Nabucco di Faenza del 1843, dove è ancora diffuso l’uso di elementi architettonici prevalentemente egiziani per
caratterizzare l’oriente, Peroni fa
esplicito riferimento all’architettura e scultura assire (con l’impiego
dei caratteristici tori androcefali
presso gli stipiti dei passaggi) che
egli deve aver potuto vedere nei
disegni degli scavi francesi a
Khorsabad di Paul-Émile Botta
(1849) e britannici di Austen Henry Layard (1849-50, 1853) e nelle
contemporanee notizie, accompagnate da illustrazioni, pubblicate
sui giornali L’Illustration e The Illustrated London News, oppure nelle
riproduzioni di reperti isolati,
come quelli rinvenuti da Claudius
James Rich negli anni 1811 – 21
(ora al British Museum di Londra)
ed immagini di tavolette
cuneiforme, note già nel Settecento ma non ancora decifrate.
È verosimile, quindi, che i bozzetti di Peroni si collochino in questi
anni, quando le antichità assire
erano oramai giunte ed erano state ampiamente pubblicate in Europa. All’elemento architettonico
e figurativo egiziano, fino a quel
momento largamente impiegato
(ma di fatto non totalmente abbandonato anche dallo stesso Peroni e da altri scenografi) si sostituisce la componente assira, adoperata anche per raffigurare la città di Babilonia (luogo dell’azione
del Nabucco), le cui vestigia verranno scoperte solo alla fine
dell’800 con gli scavi diretti dal tedesco Robert Koldewey dal 1899
al 1917.
davide nadali
Archeologo
Iconografia Verdiana
Il Busto di Verdi al Conservatorio di Milano
C
oglie Giuseppe Verdi nell’età
di mezzo, nei cosiddetti “anni di galera” in cui maggiore e
più vivida fu la scintilla del suo
genio, il busto che ricorda il compositore nel Conservatorio di
Musica di Milano, intitolato proprio al “Cigno di Busseto”.
Un’intitolazione quasi riparatoria
visto che l’istituzione è passata
alla storia per non aver ammesso
Verdi tra gli studenti nel 1832. La
commissione lo considerò, infatti,
troppo anziano (aveva 18 anni e
14 era l’età massima per l’ammissione), accusandolo anche di avere un’errata tecnica nella postura della mano. Come se non bastasse, era anche straniero, poiché
proveniva dal Ducato di Parma. L’episodio è narrato dallo stesso Verdi in una lettera a Jacopo Caponi dell’11 ottobre 1880: « Non nel 1833, ma nel
1832 nel mese di giugno (non avevo compiti 19 anni)
feci domanda in iscritto per essere ammesso come alunno pagante al Conservatorio di Milano. Di più subii
una specie di esame al Conservatorio presentando alcune mie composizioni e suonando un pezzo sul pianoforte dinanzi a Basily, a Piantanida, Angeleri ed altri ecc.
ecc., più il vecchio Rolla, al quale ero raccomandato dal
mio maestro di Busseto, Ferdinando Provesi. Circa otto
giorni dopo mi recai dal Rolla, il quale mi disse: “Non
pensate più al Conservatorio: scegliete un maestro in
città: io vi consiglio o Lavigna o Negri”. Non seppi più nulla del Conservatorio. Nissuno rispose alla mia
domanda. Nissuno mi parlò, né prima, né dopo l’esame, del Regolamento. E non so nulla del giudizio di Basily narrato da Fétis. Ecco tutto! »
Un busto opera di quell’Achille
Alberti (1860 – 1943) che fu scultore apprezzatissimo nella Milano di fine’800 inizi ’900 ed a cui si
devono numerose statue ad ornamento delle tombe nel cimitero
monumentale di Milano, oltreché
il bassorilievo, del 1888, che riproduce fedelmente il progetto
neogotico della facciata del Duomo di Milano ricordando il suo progettista Giuseppe Brentano.
Il busto di Verdi dell’Alberti fu collocato nel Conservatorio milanese nel 1908, anno del Centenario
dell’istituzione musicale, nata con Regio Decreto
napoleonico nel 1807 che prevedeva nella struttura, sita nei chiostri di uno dei gioielli dell’architettura barocca meneghina come la Chiesa di S. Maria della Passione, la pensione completa per gli interni. L’inaugurazione del Conservatorio si tenne
il 3 settembre 1808, offrendo allora la possibilità di
studiare a 18 convittori tra maschi e femmine. Nella struttura hanno poi studiato in tanti, tra i quali
Catalani, Ponchielli e Puccini.
Mic. Mar.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
nabucodonosor
11
L’impegno politico del compositore
Una identificazione risorgimentale,
più che vera partecipazione
I
l 9 marzo 1842, con il trionfo
alla Scala di Nabucco iniziò,
insieme alla vera e propria
carriera artistica di Verdi, la sua
identificazione con il Risorgimento: il giovane compositore
di Busseto divenne l’artista simbolo dell’Italia in lotta per la
propria unificazione. Vissuto 88
anni, nato nel 1813 quando la
sua terra era sotto il dominio napoleonico, morto nel 1901 in una
Italia unita, ma agitata da lotte
sociali e dal recente assassinio di
Umberto I, Verdi ha in effetti
vissuto il suo tempo da protagonista non limitandosi al ruolo di
musicista, ma partecipando attivamente, per diversi anni, anche
alle vicende politiche.
Quando scoppiarono i moti del
Quarantotto, Verdi da Parigi
scrisse all’amico e librettista
Francesco Maria Piave per proporgli un’opera di soggetto italiano, incentrata su «Ferruccio,
personaggio gigantesco, uno dei
più grandi martiri della libertà italiana».
vadino a godersi il loro clima […].
Quanti prodigi in pochi giorni!
Non par vero. E chi avrebbe creduto tanta generosità nei nostri alleati?».
Il giorno seguente, 24 giugno, i
Francesi vincevano a Solferino e
i Piemontesi a San Martino. Ma
lì si arrestò l’offensiva di Napoleone III e Verdi, deluso, scrisse
alla Maffei il 14 luglio: «La pace è
fatta... La Venezia rimane all’Austria..!!! E dov’è dunque la tanto
sospirata e promessa Indipendenza
d’Italia? Cosa significa il proclama
di Milano? O che la Venezia non è
Italia?».
II 4 settembre Busseto nominò
Verdi suo rappresentante all’Assemblea delle Province Parmensi. Il 12 quest’assemblea votò
l’annessione al regno dell’Alta
Italia; il 15 settembre 1859 una
Delegazione di cui faceva parte
Verdi fu ricevuta da Vittorio
Emanuele, cui presentò il voto
un Inno per Mazzini
Poi, su invito di Mazzini compose anche un Inno su versi di Mameli, Suona la tromba che il 18 ottobre 1848 inviò allo stesso Mazzini con poche parole di accompagnamento: «Vi mando l’inno e
sebbene un po’ tardi, spero vi arriverà in tempo. Ho cercato d’essere
più popolare e facile che mi sia stato possibile…. Possa quest’inno fra
la musica del cannone essere presto
cantato nelle pianure lombarde...».
Un Inno, sottolineava Verdi, deve essere “facile” e quindi popolare. Nel 1859 Verdi si trasformò
addirittura in contrabbandiere
per acquistare 172 fucili da donare alla Guardia nazionale di
Busseto. Scrisse all’amico direttore d’orchestra Angelo Mariani
il 27 novembre 1859: «La tua del
23 m’annuncia che i fucili saranno
ora a Piacenza e tu non puoi immaginare la mia gioia e la gratitudine
che te ne professo. Dio voglia che
tutto sia in buon stato e vi siano le
rispettive bajonette come spero».
L’intervento della Francia accanto ai Piemontesi, nel 1859, lo
entusiasmò: «Finalmente se ne sono andati – scrisse alla contessa e
amica Maffei, il 23 giugno - o almeno si sono allontanati, e voglia la
nostra buona stella allontanarli di
più in più, finché cacciati oltr’Alpi
plebiscitario di quelle province
emiliane. Fu quello il primo atto
politico pubblico di Verdi.
Evviva Garibaldi
Il 5 maggio 1860, dalla scoglio di
Quarto Garibaldi salpò con i
Mille alla conquista della Sicilia.
«... Evviva dunque Garibaldi – così
Verdi a Mariani il 27 maggio
1860 - Per Dio è un uomo veramente da inginocchiarsi davanti!»
Amico di Mazzini, estimatore di
Garibaldi, inizialmente repubblicano convinto, Verdi si convertì poi alla monarchia ed ebbe
il suo idolo in Cavour.
Alla fine del 1860 Cavour, torna-
to alla presidenza del
Consiglio, aveva deciso di indire le elezioni
per la formazione del
primo Parlamento nazionale ed il nome di
Verdi era stato ventilato per una candidatura nel collegio di BorSan
Donnino
go
(l’odierna Fidenza), di
cui faceva parte Busseto, per sfruttarne – ieri
come oggi – la popolarità. Verdi era contrario: «Non ti sorprendere
se mi vedi a Torino –
scriveva il 16 gennaio
1861 a Mariani - Sai
perché sono qui? Per non
essere Deputato. Altri
brigano per essere, io faccio di tutto il possibile Verdi presenta a Vittorio Emanuele il plebiscito delle proper non esserlo». La de- vince emiliane
terminazione di Verdi
Il musicista, che nei banchi
si era tuttavia già incrinata quanparlamentari sedette a fianco di
Quintino Sella, fu tra l’altro
presente alla seduta del 14 marzo 1861, che dava a Vittorio
Emanuele II il titolo di Re d’Italia (titolo che sarà poi sancito
dalla Legge n° 4671 del Regno
di Sardegna promulgata il 17
marzo) ed anche a quella del 27
marzo 1861, in cui Roma (ancora pontificia) venne proclamata
Capitale del nuovo regno.
La morte, il 6 giugno 1861, di
Cavour, divenuto punto di riferimento politico di Verdi, lo addolorò profondamente e lo privò della sua “bussola” nella difficile navigazione parlamentare, tanto che gradualmente egli
s’allontanò dalla politica attiva.
Nei decenni postunitari Verdi
guardò in modo sfiduciato alle
vicende politiche dell’Italia unido, il 10 gennaio, lo stesso Cata, limitandosi a qualche duro
vour gli aveva scritto: «Ella concommento nelle lettere indiriztribuirà al decoro del Parlamento
zate agli amici più fidati.
dentro e fuori d’Italia, essa darà creIl 27 maggio 1881, ad esempio,
dito al gran partito nazionale che
scrivendo all’amico Arrivabene
vuole costituire la nazione sulle sochiarì così il suo ideale di uomo
lide basi della libertà e dell’ordine,
di governo: «Poco m’importa la
ne imporrà ai nostri imaginosi colleForma o il Colore.
ghi della parte meridionale d’Italia,
Guardo la storia, e leggo grandi
suscettibili di subire l’influenza del
fatti, grandi delitti, grandi virtù
genio artistico assai più di noi abitanei Governi dei Rè, dei Preti, delle
tori della fredda valle del Po».
Repubbliche!...
Non m’importa, ripeto; ma quello
deputato in Parlamento
che domando si è che quelli che
reggono la cosa pubblica sieno CitEletto, Verdi entrò, dunque nel
tadini di grande ingegno e di specprimo Parlamento italiano, inchiata onestà…».
sediato il 18 febbraio 1861, preroberto Iovino
sieduto da Urbano Rattazzi.
12
nabucodonosor
Il
Giornale dei Grandi Eventi
La teatralità dell’Inno di Mameli
L’Italia s’è desta…
I
mmaginiamo una scena d’opera, di quelle opere
di carattere risorgimentale che negli anni Quaranta dell’800 entusiasmavano le platee di tutta
Italia. Non solo Verdi affrontava temi patriottici, riferimenti erano disseminati un po’ ovunque, a cominciare da Donna Caritea di Mercadante. «Chi per
la Patria muor/ vissuto è assai» avevano cantato i fratelli Bandiera al momento della fucilazione, il 25 luglio 1844 nel vallone di Rovito vicino a Cosenza.
Dunque, immaginiamo nel corso di un atto, il nostro eroe in scena di fronte al coro, il popolo.
Con aria marziale e imponente, forte ed energico, a
gambe ben piantate in terra, il tenore (perché di tenore certamente si tratta) attacca: «Fratelli d’Italia,/
l’Italia s’è desta/ Dell’elmo di Scipio,/ s’è cinta la testa/
Dov’è la Vittoria?/ Le porga la chioma/ Chè schiava di
Roma,/ Iddio la creò».
Abbiamo giocato con l’immaginazione, naturalmente. Ma è un gioco solo apparente. Il nostro Inno
ha davvero un piglio teatrale, è figlio di un’epoca,
quell’Ottocento che in Italia vedeva l’opera non solo come uno spettacolo nazionalpopolare, ma come
il più autentico, diretto, immediato canale di diffusione degli ideali patriottici. Possono essere utili alcuni dati. Nel 1785/86 l’annuale “Indice de’ teatrali
spettacoli” registrava un centinaio di teatri attivi in
Italia. Fra il 1821 e il 1847 il numero si era più o meno raddoppiato e nel 1871 i teatri presi in conside-
razione per un censimento e una ripartizione in categorie risultavano 940.
novaro e Mameli
Quando si parla del nostro Inno lo si indica in genere come l’Inno di Mameli. In un Inno patriottico,
effettivamente, la musica ha una importanza tale
da far passare la parte poetica in secondo piano. Ma
nel caso di Mameli va riconosciuto al patriota genovese di aver scritto versi non di circostanza, ma
profondamente vissuti e sofferti se pensiamo che
egli fu davvero “pronto alla morte” e morì ad appena 22 anni nel 1849 in difesa di Roma.
Goffredo Mameli
Tuttavia, il musicista ha la sua rilevanza per la capacità di trasformare dei versi in un canto di facile
pose l’Inno. «Tornando a que’ tempi - fu la sua sucpercezione, stimolando passione e sentimento.
cessiva testimonianza - io non vidi il Mameli se non a
Michele Novaro ha mostrato, nell’arco della sua più
Milano, nell’aprile ‘48. Si discorreva in piazza del Duolunga esistenza, una coerenza morale che se non ne
mo di tutte le cose nostre genovesi, quando ad un tratto
ha fatto un esponente di primo piano della cultura
la banda Nazionale intuona il “Fratelli d’Italia”. Un
italiana dell’Ottocento, gli ha consentito di svolgere
urrà generale si levò per la piazza; Goffredo ebbe come un
con straordinario impegno civile un intenso lavoro
lampo negli occhi, mi gittò le braccia al collo e mi baciò.
di musicista e di didatta spesso al servizio della cauFu l’ultima volta che lo vidi…».
sa risorgimentale e dei ceti sociali più deboli.
Il Canto degli Italiani
Anche lui genovese, Novaro (1818 – 1885) si era formato nella Scuola Gratuita di Canto (l’attuale ConLo stile vocale di Novaro è prevalentemente sillaservatorio “Paganini”) dove aveva studiato canto e
bico, a volte tendente al declamato piano, disteso.
composizione per poi iniziare la sua attività come
In generale, comunque, anche nell’evoluzione mecantante lirico.
lodica più intensa, mantiene un totale rispetto per
Nel 1847 Novaro si
la parola. Sul piano armonico Novaro concepisce
trasferì a Torino
un supporto estremamente semplice. Poche moquale secondo tedulazioni, sempre alle tonalità vicine, con frenore e maestro dei
quenti casi di lunghe frasi sulla stessa armonia.
cori al Regio e al
Anche l’accompagnamento ha i caratteri della esIn difesa dell’Inno di Mameli
Carignano. E prosenzialità e della pienezza per una immediata perprio a Torino comcezione armonica. Ne scaturisce insomma un repose nel giro di popertorio “facile”, dove la qualifica non è giudizio
on capisco il revisionismo mu- amor patrio, dalla storia alla nazioche ore il “Canto denegativo, ma presupposto alla diffusione.
sicale che si accanisce periodi- nale. Allora ci mettiamo Volare o Azgli Italiani”.
In tal senso occorre interpretare anche il “Canto decamente sull’Inno di Mameli. Dicono zurro al posto di Fratelli d’Italia? Ma
Una sera di novemgli Italiani” che appare come il più riuscito lavoro
che sia brutto e sgraziato, ed a volte l’Inno di Mameli fu scritto ad hoc, fu
bre, Novaro si trodi questo genere musicale. Dal 1831 per tutto il Ritestimoniato col sanlo accostano all’Altavava in casa dello
sorgimento e fino al 1946, inno italiano fu la “Margue del suo giovane
re della Patria che
scrittore e patriota
cia reale” di Giuseppe Gabetti, che rimase in uso fiautore, che riassume
quest’anno compie
Lorenzo Valerio
no al 1946. Il “Canto degli Italiani” fu adottato, di
nei suoi vent’anni spe106 anni ed è considequando arrivò il
fatto e non formalmente, come inno nazionale dosi e sacrificati all’Itarato l’equivalente arpittore Ulisse Borpo la proclamazione della Repubblica. E’ intereslia, il senso più alto di
chitettonico di Fratelli
zino con un testo di
sante tuttavia notare che quando nel 1862 Verdi
un legame con la Pad’Italia. Ma gli inni
Mameli per il mucompose l’Inno delle Nazioni per l’Esposizione di
tria. E si è legato alle
nazionali, come i nosicista. Novaro lo
Londra, su testo di Arrigo Boito, il musicista vi inimprese risorgimentami di persona, i molesse rimanendone
serì tre canti di altrettante Nazioni: per l’Inghilterli, alla Grande Guerra,
numenti e le cose che
colpito, abbozzò lì
ra God save the Queen, per la Francia La Marsigliese
alle altre imprese eroiper lì un tema, poi
ci sono più care, non
e per l’Italia l’”Inno di Mameli”.
roberto Iovino
che, ai soldati della secorse a casa e comsi dividono in belli e
conda guerra mondiabrutti, ma in significativi e insignificanti. So benissimo le, all’Italia repubblicana che ne seche ci sono canti e inni più belli e for- guì. Un inno nazionale ha valore per
se più popolari, sia nella lirica, nella quel che si raggruma dentro le sue
musica classica e nella grande opera note e le sue parole, se ricorda la viche nella musica moderna, leggera e ta, l’anima e il sangue di più generapopolare. Si, per carità, il coro del zioni, allora merita di restare l’inno
terzo atto del Nabucco, il “Va pensie- di una comunità. Certo, i lupi della
ro” verdiano, è certamente più bello retorica sono sempre in agguato, ane solenne, indipendentemente dal- drebbe fatto conoscere fin nelle
l’uso padano dei leghisti o per la sto- scuole elementari. Ma in un paese
ria di schiavitù che evoca. So, ad parricida e a volte anche infanticida,
esempio, che la musica che più è ri- evocare la fratellanza nazionale e un
masta nelle orecchie e nel cuore de- po’ commuoversi a cantarlo insieme,
gli italiani è Volare di Domenico Mo- in piedi, magari con la mano sul cuodugno o Azzurro di Adriano Celen- re, è un segno di coesione, di memotano che avrebbe pure l’alibi croma- ria e di fiducia. L’Italia chiamò.
Marcello veneziani
tico di ricordare il colore del nostro
Tomba di Goffredo Mameli al Cimitero Verano di Roma. I resti mortali furono però trasferiti nel 1943
Il Commento
E l’Italia chiamò…
N
nell'ossario garibaldino del Gianicolo
Il
Giornale dei Grandi Eventi
nabucodonosor
13
Le note simbolo di una Nazione
Dall’Inno inglese, alla disputa sul “Va’ pensiero…”
I
il patrimonio culturale e
Lavagna «O Roma felix, O Roma nobilis» apl concetto di Inno
sociale del Paese che li ha
pena ratificato ufficialmente.
Nazionale e la
adottati. Ad esempio la
Nel nostro Paese l’Inno degli Italiani di Gofsua funzione istiMarcia Trionfale dell’Aida
fredo Mameli, adottato solo de facto nel
tuzionale sono reladi Verdi è stata dal 1872
1946 al posto della Marcia Reale, è stato
tivamente recenti,
(ovvero pochi mesi dopo
più volte criticato per la sua non grande
anche se l’origine è
la prima esecuzione) l’inqualità musicale e poetica. Come inno soda ricercare, come
no egiziano fino al 1979
no stati ciclicamente ed a più riprese invoespressione di ideali
quando è stata sostituita
cati il «Va pensiero» del Nabucco che però è
e sentimenti naziodal Biladi Biladi Biladi (Teril grido di un popolo in schiavitù e comunnalistici, maturato
ra mia, Terra mia, Terra
que è stato poi adottato dalla Lega come
per la prima volta
mia) di Sayed Darwish che
proprio simbolo ed anche – forse più a raprobabilmente in
per il testo adottò un digione - “La leggenda del Piave” di E. A. Maambiente rivoluzioscorso di Mustafa Kamil.
rio (iniziali e nome sono uno pseudonimo
nario nelle Fiandre
Anche l’Inno Pontificio ha
di un napoletano impiegato delle poste,
da parte dei ribelli
un autore celebre, il franGiovanni Ermete Gaeta (1884 – 1961)) braall’oppressione spacese Chares Gounod.
no che celebra la vittoria che realmente nel
gnola nel 1570. Nel
L’autore dell’opera lirica
1918 creò storicamente e geograficamente
1743 al Drury Lane
Faust e della soavissima
la vera ed unica Unità d’Italia.
Theatre di Londra Charles Gounod autore dell'Inno Pontificio
Ave Maria contrappuntata
rob. Iov.
fu eseguito per la
sul primo preludio di J. S. Bach, lo compoprima volta God save the King (oppure
se come Marcia
Queen, quando regna una Regina), canto
per l’anniversario
patriottico che divenne talmente popolare
dell’incoronazioda essere ripetuto in ogni manifestazione
ne di Pio IX e venconnessa con la Monarchia. Ma il termine
ne eseguita per la
ed il concetto di Inno Nazionale si affermò
prima volta l’11
solo nell’Ottocento, ancora a partire dalaprile 1869 in
l’Inghilterra e da lì si estese via via negli
piazza San Pietro
altri Paesi. L’esecuzione dell’Inno inizialin occasione del
mente era motivato dalla necessità di rendi Vittorio Emanuele di Savoia
giubileo sacerdodere omaggio ad un Capo di Stato straniepositore bussetano, la cui musitale del Papa. Un
a rappresentazione del Naro, in seguito l’impiego fu generalizzato a
ca fu recepita dall’opinione pubInno Ufficiale già
bucco di Giuseppe Verdi è
tutte le occasioni di particolare ufficialità.
blica come sprone di libertà.
esisteva dal 1857
certamente il modo miglioScorrendo tra gli Inni Nazionali, raramenE quel “moto” unito al “grido di
composto dall’au- re per riportarci sulle ali della
te questi traggono spunto dal repertorio
dolore” che veniva dal cuore del
striaco Vittorino musica ai gloriosi anni del Rimusicale di tradizione orale, quello, per inRe Vittorio Emanuele II, furono
Hallmayr. Ma alla sorgimento, fondamento dei Satenderci, popolare. Normalmente sono
il “leit motiv” che unirono gli
vigilia dell’Anno cri Valori della Patria!
brani appositamente composti, oppure
animi più illuminati e decisi di
Santo del 1950 Pio Con il “Va pensiero” è stato accreati per particolari occasioni e talmente
tanti uomini illuXII il 16 ottobre ceso negli aniradicati nello spirito di quel popolo da distri, i quali con1949 disponeva mi, da tempo
ventarne automaticamente il simbolo mutribuirono con la
che l’Inno Ufficia- anelanti della lisicale.
loro intelligenza,
le fosse cambiato bertà,
quello
Un Inno, è stato a ragione sostenuto, non si
impegno e sacricon quello Pontifi- spirito patriottivaluta secondo i parametri usualmente seficio, ad unificare
cio di Gounod, co del quale
guiti nel giudicare qualsiasi altra pagina
la nostra Italia
più consono ai Verdi divenne
musicale. Il giudizio dipende in realtà dalsotto una sola
tempi, che fu ese- un simbolo.
la sua capacità di farsi simbolo, di diventaBandiera. E proguito per la prima Il suo animo
re un elemento d’aggregazione, pagina
prio la straordivolta come tale sensibile, genedavvero popolare in grado di tradurre con
naria musica del
nel Cortile di S. roso, attento a
immediatezza i sentimenti di un intero ponostro
grande
Damaso il pome- cogliere pensiepolo.
Verdi, fece da
riggio del 24 di- ri, desideri apNon c’è dubbio che la Marsigliese sia per i
“colonna sonora”
cembre 1949 gior- pena accennati
Francesi il simbolo di quegli ideali che, naa tutte le imprese
no dell’apertura ma profondi che
ti dalla Rivoluzione, hanno cambiato non
vittoriose e non,
della Porta Santa. serpeggiavano
solo la loro società, ma tutta l’Europa. E
di questo perioUna curiosità è tra la sua gente,
non c’è dubbio che i Tedeschi si possano
do così intenso e
che ufficialmente dai più umili ai
riconoscere nel Kaiserlied scritto da Haydn
difficile, ma che tra tante soffel’Inno rimase sen- più colti, seppe con la sua musiper l’Impero asburgico, una pagina di elerenze seppe arrivare al traguarza parole (anche ca infondere sentimenti di risvegante e nobile espressività. Tra l’altro, neldo. Le note immortali di questo
se ne esisteva un glio e di unanime ribellione agli
l’Impero Austro-Ungarico questo inno, digrande Musicista e Italiano siatesto di mons. oppressori. La sua grande musivenuto dal 1922 l’inno della Germania
no sempre simbolo, oggi come
Antonio Allegra ca, divenuta poi immortale, fu
(Das Lied der Deutschen - Il canto dei Tedeallora, di fratellanza ed unità ed
«Roma immortale capace di infiammare gli animi
schi) e di quella occidentale nel dopogueramore per la nostra Patria, come
di martiri e di san- tanto da far gridare, prima sotto
ra, ne esisteva una variante esclusivamenil grande Maestro ci ha insegnati») fino al 16 otto- voce, poi sempre più forte, “VIte nelle parole da eseguirsi alle presenza
to. bre 1993 quando VA V.E.R.D.I.” un acronimo che
della sola Imperatrice. Ma allargando il divenne eseguito rimandava parimenti a Vittorio
scorso, tutti gli inni, siano essi allegre e vicon il testo latino Emanuele Re d’Italia ed al combranti marcette o temi più lirici e cantabili,
di mons. Raffaello
tutti in qualche modo hanno a che fare con
L’Intervento
Una musica capace di unire
l’Italia sotto una sola bandiera
L
dal mondo della musica
14
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Prima interprete di Abigaille e seconda moglie del compositore
Giuseppina Strepponi e l’amore per Verdi
N
on dovette essere
semplice fare da
moglie ad un uomo come Verdi, ma la
Strepponi ne fu all’altezza.
Giuseppina Strepponi, nata a Lodi l’8 settembre
1815 studiò musica fin da
piccola col padre Feliciano, anche se ebbe sempre
a noia la musica religiosa,
preferendole di gran lunga quella teatrale. Fu ammessa quindicenne al
Conservatorio e si rivelò
un’ eccellente pianista,
tanto da chiedersi se fosse
più adatta a lei la carriera
di strumentista: alla fine
opto per la scena, pur conseguendo, dopo la morte
del padre, sia il diploma di
canto che quello di clavicembalo.
Uscì dal Conservatorio
nell’ottobre 1834 e sempre
a Lodi, appena diciottenne, fece il suo debutto in
diversi concerti, ammirata
per le qualità vocali e soprattutto per la presenza
vista della scena. Qui fu
introdotta da Alessandro
Lanari, detto il “Napoleone degli impresari”, tuttavia Giuseppina dovette i
primi successi a un agente
teatrale di minore importanza, tale Domenico Cirelli, il quale la conosceva
da quando era ancora vivo
il padre, e che rappresentò
per la giovane una figura
paterna e protettiva, divenendone poi amante ma
anche l’agente che le
avrebbe spalancato le porte dei principali teatri.
Gli anni 1836-1837 furono
estremamente intensi: richiestissima, si sottopose a
un’incessante attività lavorativa, moltiplicando gli
impegni e passando da un
amante all’altro. Ad aggravarle la salute, oltre alle tensioni, si aggiunsero
gli effetti devastanti di numerose gravidanze che costrinsero la donna a riposi
forzati lontano dalle scene. Nemmeno la paternità
Caricatura di Melchiorre Delfico di Verdi e la Stepponi al loro arrivo
a Napoli
scenica. A Udine, Gorizia,
Verona, Brescia, Trieste,
Piacenza, Vienna, e presto
alla Fenice di Venezia, ottenne trionfi nelle opere
più amate dal pubblico:
Matilde di Shabran di Rossini, Norma di Bellini, Anna Bolena e Lucia di Lammermoor di Donizetti. Il
cammino della gloria passava obbligatoriamente attraverso la “protezione” di
un agente o di un impresario abbastanza influente, e
Milano era la città che contava i personaggi più in
del primo figlio fu certa,
ma Cirelli, che figurò come compagno quasi ufficiale, nonostante fosse
sposato e padre di famiglia, fu disposto a riconoscere il bambino nato ai
primi di gennaio del 1838.
Giuseppina fece il suo debutto al Teatro Argentina
nel ruolo di Lucia nella
Lucia di Lammermoor ed ottenne un successo trionfale. Nello stesso periodo intrattenne una relazione
con un altro impresario,
Bartolomeo Merelli, che si
Giuseppina Strepponi in un ritratto di K. Gyurkovich ed in età matura
prodigò per portarla sul
palcoscenico della Scala di
Milano, per la stagione di
primavera
del
1839:
avrebbe dovuto interpretare il ruolo principale in
Oberto, conte di San Bonifacio, la prima opera di Verdi, per cinque rappresentazioni a settimana. Fu durante un breve soggiorno
a Milano, dopo aver ottenuto un enorme successo
nei Puritani di Bellini e
nell’ Elisir d’amore di Donizetti, che fece la conoscenza di Verdi. Lui, giovane
provinciale ancora poco
inserito nel bel mondo
della lirica, non poté che
restare folgorato dalla
presenza di Giuseppina.
Sappiamo che si incontrarono nell’aprile 1839, e che
ebbero lunghe e amichevoli conversazioni. Tra i
due nacque una relazione
che, inizialmente, non andò oltre un’amichevole
complicità.
Gli anni 1839-40 furono segnati da nuove disavventure. Era una donna straziata e depressa quella che
Verdi ritrovò a Milano durante le prime prove di
Nabucco, alla fine del dicembre 1841. Entrambi
provenivano da esperienze traumatiche con nell’animo ferite difficili da
rimarginare. Eppure si riconobbero al primo sguardo: il sentimento di complicità di un tempo era sedimentato e parve essere
maturo per la costruzione
di quel legame che non
terminerà che con la morte
di Giuseppina, cinquantasei anni più tardi. Nel
frattempo la prima donna
doveva ancora dare il suo
addio alle scene. Da un
controllo medico risultò
che, proseguendo con i ritmi della carriera, avrebbe
messo a repentaglio la
propria vita. Nonostante
ciò, cantò con successo la
prima assoluta del Nabucco, il 9 marzo 1842 alla
Scala di Milano. Giuseppina divenne poi la collaboratrice inseparabile del
Maestro, ma il declino della sua voce era ormai in atto e la obbligò a ritirarsi
per poi trasferirsi a Parigi.
Verdi rimase a Milano fino a giugno del 1847,
quando sulla via di Londra si fermò nella capitale
francese. Con la sua “Peppina”, Verdi ritrovò una
felicità che aveva dimenticato. Lei era affascinante,
divertente, sensibile, dotta: era inoltre una splendida linguista, addirittura
una «Parisienne parfaite»,
come disse di lei un editore. La coppia frequentò i
salotti più importanti, nei
quali il famoso soprano, la
cui bellissima voce poteva
ancora reggere per un
pubblico limitato, interpretava i nuovi pezzi di
Verdi, rendendolo ancora
più famoso nella società
parigina. Un po’ alla volta,
però la coppia si ritirò
dalla vita pubblica, preferendo la quiete della campagna. Lasciarono la città
(come Violetta ed Alfredo)
e comprarono un villotto a
Passy, per vivere in pace.
La coppia tornò in Italia,
nel 1849 ed andò ad abitare a Sant’Agata, dove Verdi aveva comprato delle
terre. Come gli amanti di
Dumas, Verdi e Strepponi
furono criticati in modo
inflessibile dal punto di
vista morale. Quando
Giuseppina si trasferì a
Busseto si scatenarono le
critiche e i pettegolezzi,
ma Verdi si preoccupò di
chiarire la situazione solamente al suo ex suocero e
benefattore Antonio Barezzi. Durante i cinquanta
anni di convivenza, tra la
tenuta di S. Agata e la residenza invernale di Genova nel Palazzo Sauli Pallavicino, l’amore di Giuseppina rimase sempre un
punto fermo. Tra le varie
testimonianze in tal senso,
si segnala una lettera datata 1860 in cui lei professa
tutta l’ammirazione per
l’uomo e per il genio Giuseppe Verdi. La loro unione divenne ufficiale il 29
agosto 1859, quando i due
si sposarono nella chiesa
di Collognes-sous-Saléve,
in Savoia, alla presenza
del campanaro e del cocchiere, unici testimoni del
matrimonio.
li. Mag.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
dal mondo della musica
15
Dal 26 ottobre la Stagione sinfonica 2013/’14 di Santa Cecilia
Opera di Britten per inaugurare,
poi un direttore che diventa soprano
L
a solidità progettuale
è la regola sottesa alla
programmazione
dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, che anche
quest’anno, dal 26 ottobre,
offre una Stagione di ampio respiro con repertori
variegati, affidati a un’Orchestra che, per unicità di
suono, duttilità e originalità interpretativa, è oggi
considerata tra le migliori
del panorama nazionale e
internazionale. Una Stagione lunga nove mesi, sulla
quale calerà il sipario il 17
giugno 2014. Per l’inaugurazione del 26 ottobre, è
stata scelta un’opera Peter
Grimes di Benjamin Britten
diretta da Antonio Pappano, nel centenario della nascita del compositore inglese. Si tratta di un titolo
in un prologo e tre atti, su
libretto di Montagu Slater
tratto dal poema The Borough di George Crabbe,
ovviamente in forma di
concerto, continuando così, con un cast eccellente, la
fortunata linea dell’Accademia di presentare anche
il melodramma a fianco
del repertorio sinfonico.
Peter Grimes fu rappresentato per la prima volta il 7
giugno 1945 al Sadler’s
Wells di Londra, e fu subito un trionfo per il quale
Britten non solo diventò
improvvisamente famoso,
ma venne considerato il
nuovo paladino della musica inglese. La rappresentazione del Peter Grimes, in
una Londra gravemente
ferita dalla guerra, era, infatti, uno sguardo verso il
futuro e riposizionava la
musica inglese sulla scena
internazionale. Nel Peter
Grimes Britten esalta la musicalità della lingua inglese
e la inserisce in un organico orchestrale ampio e potente, adottando e rinnovando le convenzioni operistiche ottocentesche per
raccontare un dramma che
contiene in sé la grandezza
del mare e la chiusura di
un piccolo borgo nel quale
si consuma una tragedia
che nessuno tenta di impedire. Gli appuntamenti con
antonio Pappano – sem-
pre sul podio dell’Orchestra e Coro dell’Accademia
- saranno caratterizzati, oltreché dalla varietà dei
programmi, dalla presenza
di solisti d’eccezione tra i
quali pure un debutto,
quello della giovane violoncellista argentina Sol
Gabetta, divenuta una delle più apprezzate interpreti del panorama internazionale e qui impegnata nel
Concerto di Elgar. Nello
stesso concerto, Pappano
leverà la bacchetta su Gli
occhi che si fermano, intensa
pagina del compositore
contemporaneo Francesco
Antonioni. Di particolare
interesse i programmi dei
due concerti di dicembre.
Oltre ad accogliere due solisti del calibro di Leonidas
Kavakos nel primo e Radu
Lupu (al pianoforte per il
Concerto n. 23 K 488 di Mozart) nel secondo, essi prevedono un omaggio a
Brahms con il Concerto per
violino e la Sinfonia n. 1,
un’incursione di Pappano
nel ‘900 italiano con l’Elegia
di Ponchielli e il Magnificat
di Petrassi e infine Britten
con l’esecuzione della sua
Sinfonia da Requiem. Ancora Brahms nel concerto di
gennaio. Questa volta Pappano dedica il suo gesto alla Sinfonia n. 2 che segue al
Concerto per pianoforte n. 2
di Prokof’ev, interpretato
dalla giovane Yuja Wang
che idealmente passa la staffetta a Lang Lang nel concerto di marzo in cui l’altrettanto straordinario pianista si farà interprete del
Concerto n. 3 del compositore russo. In apertura un
omaggio a Meyerbeer di
cui nel 2014 ricorrono i 150
anni dalla morte, l’Ouverture dell’opera Dinorah.
Dopo il successo incondizionato della Passione secondo Matteo, Pappano
continua il suo percorso
nell’amatissima musica di
Bach con la direzione della
Messa in si minore.
Ultimo appuntamento con
il direttore anglo-italiano
ad aprile: ancora Dallapiccola con Il Prigioniero, Beethoven con “Gott! Welch
Dunkelhier!” dal Fidelio e
con il terzo e quarto movimento della Sinfonia n. 9.
direttori: ritorni celebri e
debutti importanti
Santa Cecilia è divenuta ribalta importantissima per
le nuove generazioni di direttori, che anche quest’anno guideranno l’Orchestra
e il Coro. La nuova stagione, accanto ai “giovani podi”, riserva una particolare
attenzione al gotha della
scena direttoriale mondiale
allineando i nomi di Claudio Abbado (che sarà presente due volte), Kent Nagano, Lorin Maazel, Valery
Gergiev, Ton Koopman,
Yuri Temirkanov, Semyon
Bychkov, Fabio Luisi, per
citarne solo alcuni.
claudio abbado, quindi,
torna sul podio dell’Orchestra di Santa Cecilia e dell’Orchestra Mozart per di-
rigere a novembre la Sinfonia n. 2 di Beethoven e la
Sinfonia n. 2 di Mendelssohn “Lobgesang” nell’interpretazione di Sara Mingardo, Julia Kleiter e Maximilian Schmitt e a febbraio
per un programma dedicato alle musiche di Haydn,
Mozart e Mendelssohn.
A dicembre a dirigere sarà
Kent nagano per la Sinfonia n. 3 di Bruckner, anticipata dal mozartiano Concerto per pianoforte n. 24 K
241 nell’interpretazione
del giovane Rafal Blechacz.
Sempre per i “grandi podi”
a gennaio tornano Georges
Prêtre e lorin Maazel seguiti a febbraio da valery
Gergiev con la Sinfonia n. 2
“Resurrezione” di Mahler.
Ad aprile, per due settimane, Yuri Temirkanov sarà
a Santa Cecilia per dirigere
il grande repertorio russo:
Rimskij-Korsakov, Musor-
gskij, Brahms del quale,
inoltre, Rudolf Buchbinder
sarà interprete del Concerto
n. 2 per pianoforte.
Per i debutti, a novembre il
podio sarà al femminile e
di assoluta originalità: è un
soprano, canadese, acclamata sulle più importanti
ribalte internazionali, già
diretta dai maggiori Maestri, e direttore anche lei: è
l’avvenente barbara Hannigan che tra la direzione
di rossini, ligeti, Fauré,
Mozart, con un scenderà
dal podio e vestirà i panni
di soprano, non tralasciando la bacchetta.
Infine, una nota per il pubblico: a partire da questa
stagione i concerti del lunedì (Turno B di abbonamento), avranno inizio alle
ore 20.30 (con un anticipo,
quindi, di mezz’ora rispetto alle stagioni precedenti).
lo. di di.
Novità in libreria
La Strenna dei Romanisti
al suo 74° volume
N
ell'ultimo numero, fra gli argomenti relativi alla musica
spicca il saggio con un confronto fra Wagner e Verdi,
coetanei così diversi, attraverso la lettura dei diari di Cosima
Wagner e gli scritti di Giuseppe Verdi, dai quali si può
comprendere il giudizio che avevano l'uno dell'altro. Ma c’è
anche, in pagine diverse, un’altra analisi dei personaggi e
momenti della rinascente vita musicale romana dopo la fine della
Seconda Guerra Mondiale. Sono due dei 47 saggi dell’edizione
n° 74 della Strenna dei Romanisti, quella del 2013 uscita
tradizionalmente nel giorno del Natale di Roma, pubblicazione
che racchiude dal 1940 annualmente, una raccolta di saggi inediti
sulla Città Eterna, sulla sua cultura, sulle sue tradizioni, con
curiosità, spigolature, approfondimenti ed è l’espressione di quel gruppo dei Romanisti,
massimo cenacolo di studiosi e cultori di Roma, di cui diversi membri sono nostri insigni
collaboratori. Molto affascinante, in tutti gli articoli, visitare le opere dei grandi artisti del
passato, collocandone la creazione in una attualità storica. Così nel saggio su Verdi e
Wagner, l'autore trae spunto da Roma come argomento centrale delle ambientazioni e cita
l'opera Rienzi del compositore tedesco, storia del tribuno romano nel medioevo e della
volontà di Verdi di realizzare un melodramma con lo stesso soggetto a distanza di pochi
anni. Ma l’excursus romanistico guarda a tutto tondo ed ecco che solletica la curiosità
l’approfondimento sul piccolo album da tasca di Bartolomeo Pinelli, appena ritrovato, in cui
spicca la spontaneità di tanti minuscoli disegni, ma pure uno sguardo sugli ultimi anni di
vita del “Sor Meo”, il Pittore di Trastevere. Così anche, in altro saggio, si indaga su Emilio
Stramucci, architetto romano arbitrum elegantiarum nei Palazzi Reali d’Italia. Non possono
mancare, ovviamente, sguardi alla realtà e storia d’Oltretevere, visto che il Vaticano da due
millenni è aspetto fondamentale della Città. Interessante la spigolatura, emersa dalle carte
dell’Archivio segreto vaticano, i cui addetti si sono trovati ad un faccia a faccia
documentaristico con Napoleone Bonaparte. Insomma, saggi vari ed eclettici, per un volume
da tenere a portata di mano per rapide, interessanti e rilassanti letture, prima di porlo
ordinatamente in libreria a formare una vera enciclopedia della romanità a tutto tondo.
La Strenna dei Romanisti – Pag. 630 + 8 tavole f.t. a colori. rilegata - Editore romaamor
1980 - € 44,00.
Tina alfieri
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