ANNO XVII N.
3 MARZO 2016
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I segni dei tempi, anche nove secoli dopo, nella figura del “nostro” Celestino V
C
i sono notizie che
fuggono fin troppo
velocemente: il tempo di inserirle o di leggerle,
e già sono passate. Ma altre colpiscono subito e scatenano memorie e ricordi,
libri divorati, studi fatti. A
chi scrive è successo con il
flash di una conferenza nell’ambito del ritiro diocesano delle confraternite su Celestino V. Il Papa del
‘gran rifiuto’ e di quelle vicende che lo hanno così intimamente legato a luoghi
e personaggi di questa terra, da Anagni a Fumone a
Bonifacio VIII.
Ai giovani potremmo consigliare di cercare quelle
pagine di letteratura e storia, tra Dante e medioevo.
A tutti, invece, andrebbe riproposta la figura di questo Santo dell’umiltà.
Pietro da Morrone visse da
eremita – condizione che
magari oggi non ci farebbe
poi tanto male, per estraniarci almeno un po’ da
tutte le inutilità del mondo, ma questo è un altro
discorso – e quando una
donna si recò da lui per
chiedergli di pregare per
lei “la più disgraziata delle
femmine” e per il figlioletto cieco, rispose: “Io sono
un povero disgraziato, non
un santo”. Ma quella donna ripetè con forza: “Prega, prega”, come ad indicare la vera missione di un
santo.
Poi finì con l’elezione a
pontefice e con la storia
nota del ‘gran rifiuto’, della rinuncia, per il bene della Chiesa e non certo per il
suo, che vile (e anche l’affermazione dell’Alighieri
probabilmente non venne
pensata per Celestino) non
fu mai.
Che significava rifiuto (ma
non negazione) del mondo, di ogni forma di vacuo
potere, figuriamoci poi di
quelle ricchezze che nulla
lasciano e tutto appesantiscono.
Il “Papa contadino”, secondo la bellissima definizione
dello storico Paolo Golinelli, trovò forza e consolazione nella preghiera, anche
in quel “piccolo santuario”
come chiamò la cappella
del castello di Fumone dove lo imprigionarono - il
corpo, non certo la fede poco prima di morire.
Quando, giusto sei anni fa,
Papa Benedetto XVI salì tra
le montagne dell’Abruzzo
celestiniano, ricordò Pietro
da Morrone in maniera intensa: “Era un uomo di
preghiera e di Dio, bisogna
ispirarsi a lui per essere fedeli e perseverare nel cammino. Senza aver paura di
nulla”.
Figuriamoci poi avere paura dell’umiltà - che oggi
tanto ci fa vergognare, non
solo impaurire - segno trasparente della figura del
santo eremita. Umiltà piena, autentica. Che adesso
possiamo accostare a quel
termine - misericordia - che
Papa Francesco indica ai
nostri passi, ai nostri giorni.
Igor Traboni
La Santissima sulle vie della fede
a pag. 8-9
2
LA CATTEDRA DEL VESCOVO
“C
In questo Anno Giubilare riscopriamo
la colonna vertebrale del progetto di Dio
ontagiare di
misericordia
significa osare un cambiamento interiore, che si manifesta
contro corrente attraverso opere di misericordia.
Opere di chi esce da se
stesso, annuncia l’esistenza ricca in umanità,
abita fiducioso i legami
sociali, educa alla vita
buona del Vangelo e trasfigura il mondo con il
sogno di Dio”.
La misericordia
fa fiorire la vita
Sono le battute finali del
Messaggio dei Vescovi
italiani per la 38^ Giornata nazionale per la vita (Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per il 7 febbraio
2016).
La misericordia è la colonna vertebrale del progetto di Dio e di un
mondo più umano. E’
l’anima del suo sogno a
proposito dell’umanità.
Una misericordia, però,
riconosciuta e offerta;
accolta e condivisa; gratuitamente ricevuta e
gratuitamente data.
E lo scrigno prezioso che
la custodisce, come anche il crocevia in cui arriva e riparte, è il nostro
cuore. Comincia tutto da
lì. La religione di Gesù
Cristo è la religione del
cuore … E’ lì che matura
e prende quota la nostra
coscienza filiale e fraterna. E’ lì che la nostra vita
decifra la presenza del
Regno e riconosce la logica di gratuità e di senso che l’amore del Padre
semina in ciò che viviamo!
A partire dalla nostra
conversione e dal nostro
cambiamento interiore,
operato dalla grazia,
possiamo guardare agli
altri e al loro cammino
di vita per risollevarli e
rialzarli. Sono questi due
movimenti dell’esistenza, fondamentali per la
nostra vocazione e la nostra testimonianza, che
possiamo provare a leggere con due pagine del
Vangelo di Luca: quella
della guarigione di un
idropico in giorno di sa-
bato (14, 1-6); e quella
della guarigione della
donna curva, sempre in
giorno di sabato (13, 1017).
Il primo brano ci presenta Gesù, la misericordia
del Padre in persona,
che accetta l’invito a
pranzo di uno dei capi
dei farisei per guarirlo.
Per questo rende visibile
il male da cui è affetto,
insieme agli altri, visibilizzandolo in un idropico
Marzo
2016
che “stava davanti a
lui”. La porta del banchetto del Regno è stretta. Eppure la sala deve
essere piena. L’idropico,
troppo grosso per entrarvi, è figura del fariseo che trasforma in
gonfiore di morte tutte
le cose buone che prende. L’idropico è un malato che soffre sempre una
grande arsura. Ma più
beve e meno l’arsura si
placa. L’idropico è simbolo del lievito dei farisei; è il contrario del seme, che muore e si gonfia di vita. All’idropicofariseo occorre la dieta
dell’umiltà. E Gesù lo
guarisce. Sgonfia ogni
fariseo confesso, che magari sotto un manto di
bene, si oppone a quel
Dio che è grazia e misericordia. Guarisce tutti
dall’orgoglio, dall’autosufficienza, dall’autolatria. Gesù Cristo è il Dio
della vita, che trafigge il
veleno della nostra indifferenza e ci fa condurre
una vita filiale e fraterna
(cfr Lc 11,1-6). Ed è la
guarigione della donna
curva, l’altra tavola del
dittico della vita e un’immagine meravigliosa di
quello che significa far
fiorire la misericordia di
Dio nei riguardi degli altri (cfr Lc 13,10-17). In
una sinagoga, di sabato,
Gesù guarisce una dona
incurvata da diciotto anni, suscitando lo sdegno
del capo della sinagoga
per una guarigione avvenuta in giorno di sabato. In questo racconto
due sono le persone che
non hanno spina dorsale: la donna, che ha la
schiena spezzata; e il capo della sinagoga, che si
Anno XVII
Numero 3
attiene in maniera integralista alla legge, trascurando la persona per
cui esiste la legge, proprio per mancanza di
spina dorsale, trovando
una compensazione nel
riferimento ossessivo al
precetto del sabato. Il
capo della sinagoga si
trincera dietro la sua rigida ideologia. Sembra
forte, ma in realtà è un
debole. Lui non può essere guarito da Gesù. Diversamente vanno le cose per la donna curva.
Gesù la chiama, le offre
considerazione, la fa
uscire dall’anonimato e
dall’auto-segregazione,
si appella a quanto di
buono c’è in lei, facendole capire quanto è
preziosa nella sua dignità inviolabile, la tocca
con amore. Subito lei si
raddrizza, E’ questa una
splendida immagine di
una verità molto attuale:
ognuno di noi può sempre rialzare altre persone. Avvertiamo, a nostra
volta, un senso di consolazione e di pace quando, attraverso il nostro
affetto, altre persone si
rialzano, allorchè sentono la nostra stima e sperimentano la dignità
straordinaria donata loro da Dio e riprendono il
cammino. Per loro si realizza, a questo punto,
una pienezza di vita.
In questo Anno giubilare
della misericordia possiamo tutti riscoprire il gusto e l’onore di essere
dei “Guaritori feriti” (secondo una bella immagine di H. J. Nouwen nel
suo libretto sul ministero
nella società contemporanea), di provare a guarire guarendo gli altri. E
LA CATTEDRA DEL VESCOVO
questo non solo nelle
grandi occasioni, ma anche nelle umili e comuni
circostanze della vita. La
misericordia, cioè il
“prendere a cuore la miseria dell’atro” fa fiorire
la vita, a tutti i livelli,
non solo a livello materiale, ma anche e soprattutto in prospettiva spirituale. Le opere di misericordia corporale e spirituale danno spessore alla nostra disponibilità e
alle nostre relazioni. Ci
fanno abitare da cristiani ogni tipo di rapporto.
Le opere di misericordia
corporali vengono in
soccorso a una specifica
necessità del prossimo
dal punto di vista fisico,
in mancanza di risorse
necessarie (cibo, vestiti,
tutto) o in presenza di situazioni che lo limitano
(malattia, privazione
della libertà, morte e sepoltura). Anche se difficili e scomode per la nostra vita, risultano chiaramente percepibili al-
l’attenzione e all’impegno.
Un discorso più approfondito meritano le
opere di misericordia
spirituale, che non vengono avvertite e prese in
considerazione con altrettanta chiarezza. In
realtà, con esse, noi possiamo guarire le persone
“dentro”, risvegliando la
loro voglia di vivere e
trasformandoci in benedizione. Consigliare i
dubbiosi, insegnare agli
ignoranti, ammonire i
peccatori, consolare gli
afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i
vivi e per i morti. Il venire incontro alle persone
che sono in cerca di verità, di luce, di perdono,
di consolazione ci fa vigilanti e “misericordiosi
come il Padre”; ammonire con pazienza e con
spirito di fraternità chi
ha sbagliato ci rende più
responsabili delle fede e
3
della santità di tutti; superare l’insofferenza e
trasformarla in paziente
serenità verso chi ci rende la vita pesante fa crescere il nostro spirito di
riconciliazione e di pace.
Pregare è la sintesi di
tutte le opere di misericordia. Pregare per qualsiasi persona significa
metterla sotto lo sguardo amoroso e provvidente di Dio, invocando
la Sua benedizione e il
sostegno nel cammino
della vita.
E’ necessario solo aprire
gli occhi, soprattutto
quelli del cuore, per scoprire tante necessità attorno a noi. Nello stesso
tempo dobbiamo credere fermamente che Dio
ci ha reso fonte di benedizione per gli altri. Allora occorre solo trovare la
strada e i sentieri quotidiani per esserlo.
+ Lorenzo, vescovo
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VITA DIOCESANA
Marzo
2016
A Fiuggi l’incontro degli operatori
per programmare il lavoro futuro
Nella pastorale
una marcia in più,
tutti insieme
Presentati anche i risultati del “Tavolo di Folgarida”
con il Vescovo
G
li operatori pastorali
si sono ritrovati a
Fiuggi, presso il centro pastorale, per uno dei
tre incontri annuali organizzati per fare il punto della situazione sulle attività già
svolte, su quelle in corso e su
quelle da mettere in cantiere.
Quest’ultimo incontro ha
fatto registrare subito una
nota positiva, da sottolineare: i presenti erano tanti! Segno evidente del bisogno
avvertito come urgenza di
ritrovarsi, per un incontroconfronto capace di dare
nuovo slancio alle varie attività pastorali. Un aspetto rimarcato con piacere – proprio perché va al di là del
pur importante dato numerico – anche dal vescovo Lorenzo Loppa. Ed è stato proprio il presule che ha aperto
l’incontro e condotto la prima fase della riflessione, imperniata sul sacramento della Riconciliazione. L’angolatura offerta dal vescovo è
stata assai particolare, suggestiva: come punto di riferimento è stato infatti preso
un documento datato (scritto infatti nel 1983) ma ancora estremamente attuale,
voluto da Giovanni Paolo II,
ovvero l’esortazione apostolica dal titolo “Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa di oggi”. Ecco dunque questo sacramento illustrato anche per
far comprendere l’ottica di
quello che rappresenta nella
storia della salvezza e per la
vita della Chiesa. Adesso
ognuno a casa e nelle comunità potrà continuare a lavorarci su, anche grazie al fatto che ne è stata donata una
copia a tutti i presenti.
L’incontro si è poi sviluppato
con la riflessione offerta da
don Bruno Durante dell’Ufficio liturgico diocesano, sull’importanza di una corretta
direzione spirituale, con l’accento posto sui tratti distintivi di questa, rispetto alla riconciliazione: Dio si serve di
alcune persone per guidarne altre, per accompagnare
ognuno di noi alla scoperta
della propria vocazione; tutti quindi, e non solo sacerdoti e religiosi, siamo chiamati a servire e a sostenere i
fratelli.
Prima della celebrazione dei
Vespri e quindi della conclusione della giornata, il vescovo ha consegnato ai presenti anche la sintesi del lavoro fatto di recente nel cosiddetto “tavolo di Folgarida”. Nel paesino del Trentino si sono infatti ritrovati,
per alcuni giorni assieme al
vescovo Loppa, i responsabili del Copas, il Coordinamento pastorale della Diocesi di
Anagni–Alatri. Un incontro
residenziale per fare il punto sul lavoro dei prossimi
mesi, per esporre e quindi
valutare tutti assieme nuove
idee, proposte, progetti. Un
coordinamento quanto mai
utile anche per evitare sovrapposizioni e ‘doppioni’
nel lavoro, così come per
sentire le esigenze delle altre pastorali e quindi capire
dove e come si possono unire le forze.
Anche quest’anno a Folgarida sono state affrontate varie tematiche, rimarcate in
maniera particolare dal vescovo anche come invito ad
Il “tavolo di Folgarida”
adoperarsi su queste in maniera fattiva: la pastorale vocazionale, il diaconato permanente e la scuola.
Quest’ultima tematica, in
particolare, andrà a chiudere il decennio dedicato all’educazione, come da indicazioni della conferenza episcopale italiana.
Dal prossimo giugno, quindi, con l’assemblea pastorale
diocesana, inizierà ufficialmente il triennio dedicato
alla scuola, tema quanto
mai importante viste anche
le ‘sollecitazioni’ che arrivano dall’esterno, in tutte le
sue componenti (studenti,
professori e famiglie degli
alunni) e dalle istituzioni. Il
capitolo scuola andrà così a
completare, con i prossimi
tre anni sicuramente intensi,
un lavoro che nelle fasi precedenti ha invece scandagliato il mondo della famiglia e quello dei catechisti.
Ma, come detto, si è parlato
anche di vocazioni e diaconato permanente, argomenti che possono destare qualche motivo di preoccupazione ma solo da un punto di
vista prettamente ‘numerico’, non certo dell’impegno
e della cura pastorale che vi
si dedica. Ci sono, anzi, dei
segnali più che incoraggianti e, così come per la scuola,
anche attorno a questi altri
due ambiti il “tavolo di Folgarida” ha prospettato
nuove iniziative che verranno ora sviluppate e attuate.
Anno XVII
Numero 3
5
VITA DIOCESANA
L’attuale vescovo di Rieti è stato a lungo
“il parroco di Civita”
Domenico Pompili
cittadino onorario
di Alatri
Lo stesso riconoscimento è stato conferito anche
al notaio Carlo Fragomeni
Alcuni momenti della cerimonia (Foto Rondinara)
G
ià parroco a San
Paolo di Alatri, per
gli alatrensi semplicemente “il parroco di
Civita”, nei suoi anni di
permanenza nella cittadina ernica don Domenico è riuscito a creare nell’ambito del suo ministero un rapporto di fraterna stima ed amicizia non
solo con i suoi parrocchiani, ma con tantissimi
cittadini. Chiamato ad altri incarichi ed in particolare alla direzione dell’ufficio nazionale per le
comunicazioni sociali della Conferenza episcopale
italiana, don Domenico
non ha mai trascurato il
suo rapporto con la città
di Alatri, onorandola con
la sua presenza in diverse
significative occasioni e
facendo visite frequentissime ai suoi numerosi
amici. Tutti aspetti che lo
stesso don Domenico,
originario di Acuto e nella nostra diocesi parroco
a suo tempo anche di
Vallepietra e a lungo direttore di questo mensile, ha voluto ricordare e
sottolineare nel suo intervento di ringraziamento, dopo aver ricevuto la pergamena ufficiale
della cittadinanza onoraria dalle mani del prefetto di Frosinone Zarrilli e
del sindaco Morini, alla
presenza di numerose altre autorità e di tanti ex
parrocchiani accorsi per
salutarlo: “A dieci anni di
distanza da quando andai via da Alatri - ha detto tra l’altro don Domenico - si sperimenta che i
legami del tempo rimangono solidi. Quella di
Alatri è stata per me una
stagione decisiva, anche
in ordine alla mia esperienza personale di maturazione e crescita”.
C’è ancora da dire che le
istanze per la nomina di
Pompili a cittadino onorario sono arrivate numerose dalla società civile e
nel giro di poche settimane immediatamente
raccolte dal consiglio comunale.
Per quanto riguarda il
notaio Fragomeni, il professionista di origine cosentina nel 2000 ha acquistato una parte della
Badia di San Sebastiano,
e successivamente ha dato vita alla Fondazione
l’Abbadia, nata con lo
scopo della conservazione e l’utilizzo dinamico
del monumento, per l’elevazione del livello culturale del territorio. La
famiglia Fragomeni ha
impiegato cospicui capitali privati per rendere la
Badia accessibile, funzionale allo scopo ed accogliente, e sono state promosse varie manifestazioni culturali, con la
possibilità data a tante
persone di poterla visitare. Ora la stessa Fondazione, come annunciato
dal notaio Fragomeni nel
ringraziare la Città di
Alatri per il riconoscimento conferitogli, ha in
animo di provvedere al
restauro del vecchio pinte sul fiume Cosa, per donare un altro pezzo di
storia alla cittadinanza.
FEDE E CULTURA
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Marzo
2016
Prosegue il viaggio per scoprire i Patroni
dei paesi della Diocesi
San Leonardo
e quell’eremo
di Sgurgola
Forse la devozione arrivò grazie ai monaci celestini.
In parrocchia è custodita una reliquia
di don Agostino SANTUCCI
P
atrono di Sgurgola è
san Leonardo abate di
Noblat o, come più
comunemente si cita, san
Leonardo da Reims. Nella
Bibliotheca Sanctorum leggiamo che questo santo, a
partire dal sec. XI (prima
era ignorato dagli agiografi), occupa un posto rilevatissimo nella devozione popolare e nel culto;
purtroppo però mancano
notizie sicure, per cui è impossibile anche fissare una
cronologia approssimativa,
e la Vita scritta poco dopo
il 1030, che pretende di conoscere un po’ tutto su di
lui, è dai Bollandisti giudicata fabularum plena.
Per questo articolo mi sono attenuto alla vita di san
Leonardo scritta da P. Colombo Angeletti, pubblicata dalla tipografia Luciani
di Roma nel 1971, ed a mie
ricerche nell’archivio diocesano. In parrocchia non
c’è nulla di tutto ciò. Il documento base di cui si è
servito C. Angeletti è il codice Vaticano Barberino
Latino 586. Probabilmente
san Leonardo nacque a
Corry, un villaggio nelle vicinanze di Orléans, intorno
all’anno 494. I suoi genitori erano dignitari di corte;
dei fratelli si ricordano solo Lifardo. Ancora fanciullo ricevette il battesimo,
con rito solenne, dal Vescovo di Reims, san Remigio, che in seguito si interessò moltissimo della sua
educazione cristiana. Gli
fece da padrino Clodoveo,
convertito al cristianesimo
nell’anno 496, dopo la vittoria riportata sugli Alemanni a Tobliacum (Toblac, oggi Zulpich) per l’invocazione del “Dio di Clotilde”, sua moglie. Leonardo ricevette un’educazione accurata, si voleva fare
di lui un buon cristiano, un
valoroso soldato e un perfetto uomo di corte che
continuasse la tradizione
della famiglia. Già da ragazzo, scrivono gli agiografi, cercava di alleviare
le pene di carcerati o prigionieri di guerra.
Il re Teodorico (493-511),
succeduto a Clodoveo I, gli
accordò il privilegio di concedere ai carcerati che
avesse ritenuto meritevoli,
la grazia della liberazione
e perciò è raffigurato con
una catena in mano. Rinunciò quindi alla pingue
eredità paterna ed entrò
nell’abbazia di Micy presso
la Loira, oggi Chapelle St.
Mesmin, diretta da san
Massimino, detto san Mesmino.
In Gallia allora era fiorente
la vita religiosa comunitaria, vi erano numerosi monasteri, Leonardo arrivò a
Micy accompagnato da fama presto confermata con
una vita monastica molto
impegnata.
San Mesmino, apprezzando le eccelse virtù di san
Leonardo, lo propose al
Vescovo di Orleans per
l’ordinazione sacerdotale
insieme ad altri monaci,
ma questi, unico, rifiutò ritenendosi indegno di sì eccelsa dignità. Tuttavia, per
potersi rendere più utile
nelle sacre funzioni, accettò, dopo prolungate
preghiere e l’incoraggiamento dei superiori e dei
monaci, di essere ordinato
diacono.
Alla morte di san Mesmino
credette giunto il momento opportuno per realizzare il proposito di darsi ad
una vita eremitica. Confidò il suo desiderio al fratello Lifardo che per tanti
anni era stato per lui, anche in monastero il confidente intimo ed inseparabile, ma questi non condivise gli ideali di maggiore
ritiratezza in eremo. I due
si separarono, Lifardo rimaneva presso la riva della
Loira e fondava il monastero di Meung per santificarsi con gli altri monaci
nella vita di comunità, e
Leonardo si dirigeva in
Aquitania per farsi santo
nella foresta di Pauvain.
Sua prima abitazione fu
una capanna di frasche
sotto un annoso albero. Il
luogo era abitato ancora
da pagani. Era crocevia per
i pellegrini che si recavano
a pregare sulla tomba di
san Marziale a Limoges e
nel santuario di san Giacomo di Compostela. Il Santo
ne approfittava per parlare a tutti di Dio e del suo
amore per gli uomini. In
un periodo in cui le persone di cultura ed i nobili domandavano ordinariamente un rifugio nei monasteri
per riflettere e santificarsi,
Leonardo sceglieva per sé
la solitudine.
I Biografi colorano questo
periodo della vita del Santo con prove e tentazioni
simili a quelle narrate nella
vita di sant’Antonio abate.
Un giorno uomini inviati
dal re Teodoberto I, succeduto a Teodorico, vennero
a cercalo per condurlo a
Anno XVII
Numero 3
corte: la regina Visiconda
era tra la vita e la morte
per un parto molto difficile, a nulla giovavano i rimedi che suggerivano i più
esperti medici fatti accorrere al suo capezzale. L’eremita venne, tracciò un
semplice segno di croce,
raccomandò a tutti di pregare e poi ordinò di lasciare la regina sola con il Signore. Delusione generale,
nessun medicamento prodigioso, nessuna magia,
ma poco dopo giungeva
dalla stanza la lieta notizia: il bambino era nato e
la regina stava bene.
Leonardo nascostamente si
allontanò dal palazzo. Il re
volle raggiungerlo per ringraziarlo e per fargli doni,
ma il Santo non volle accettarli dicendo che bisognava ringraziare solo Dio.
Dopo tante insistenze il
taumaturgo accettò l’offerta di quella parte di foresta di Pauvain dove poi
sarebbe sorto un grande
eremitaggio.
Non passò molto tempo e,
prima due giovani religiosi
assetati di maggior perfezione, e poi tanti altri chiesero di poter condurre vita
eremitica in capanne costruite nelle vicinanza di
quella di Leonardo che divenne il primo abate di
Noblat.
Si viveva nella solitudine,
ma al servizio del prossimo
bisognoso. Regola fondamentale era la preghiera e
il lavoro, quasi eco alla
contemporanea voce benedettina “ora et labora”.
Leonardo assegnava ed
esigeva da tutti, senza eccezioni, pena l’espulsione,
il lavoro nella forma più
adatta all’individuo: agricoltura, trascrizione di codici, compilazione di testi
sacri e opere assistenziali.
“Bisogna lavorare – diceva
– per aiutare il prossimo;
lavorò Giuseppe, lavorò
Maria e lavorò Gesù”.
Pian Piano le capanne si
FEDE E CULTURA
trasformarono in case e il
luogo fu chiamato NOBILIACUM, perché il terreno
su cui si costruiva era dono
del re (nobilissimo rege) e
da qui il nome di Noblat o
Noblac. A Noblat il 6 novembre 559 nel silenzio e
circondato dai suoi eremiti
Leonardo, sfinito per le penitenze e la malattia, compiva la sua missione terrena per assistere dal Cielo
quanti nei secoli avrebbero invocato il suo aiuto e la
sua protezione.
A Sgurgola nel 1216 esisteva in montagna un eremo
dedicato a S. Leonardo, come documenta una ricerca
condotta dall’avvocato Gerum Graziani. Forse erano
stati i monaci celestini ad
introdurre a Sgurgola il
culto a san Leonardo insieme ad altri santi di origine
francese. Gli sgurgolani lo
scelsero allora come loro
patrono ed in suo onore
sulla montagna costruirono una chiesetta con annessi locali abitativi. L’arciprete don Giuseppe Fabrizi, in un articolo pubblicato sul “Notiziario di casa
nostra” il 4-2-1968, scrive
che nel Bollario IV a pag.
178 si legge: “Benedetto
XI in data 14 marzo 1304
con bolla riceve sotto la
protezione della Santa Sede la Congregazione dei
monaci celestini, e conferma loro il priorato di san
Leonardo e di san Antoni-
no prope Sculculam anagninae dioecesis”.
Dalle visite pastorali già
nel 1642 si dice dei beni di
san Leonardo a Sgurgola e
nel 1645 il vescovo Sebastiano Gentili annota che
nella cappella maggiore
della chiesa di san Sebastiano (la chiesa sorgeva
nei pressi del campanile
poi andata distrutta) erano state dipinti immagini
di santi e tra le altre quella
di san Leonardo protettore
di Sgurgola. Esaminando
poi le annotazioni delle
successive visite pastorali si
apprende che nella nuova
chiesa di S. Maria Assunta
costruita nello spazio limitrofo tra la fine del ‘600 e
l’inizio del ‘700, fu dedicata al Santo patrono la seconda cappella a sinistra
entrando, arricchendola di
una statua lignea.
Il culto pian piano, così si
apprende, si trasferì dalla
montagna al paese e la
chiesa cominaciò ad anda-
7
re in rovina. Poi, quasi con
regolarità, i Vescovi visitatori raccomandano ai parroci di restaurare l’eremo.
Il vescovo Paolo Gerardi
nel 1705 annota che nella
chiesa dell’Arringo si conservano suppellettili appartenute alla chiesa di
san Leonardo sul monte
non in buone condizioni.
Si è intervenuto varie volte
perché l’eremo non andasse distrutto, e ultimamente nel settembre 1982. Ora
di nuovo se ne sente il bisogno e la comunità di
Sgurgola si sta attivando
per conservare una testimonianza così preziosa
che i nostri antenati ci
hanno consegnato.
In parrocchia dall’anno
2005 è custodita una reliquia del Santo, consistente
in del cotone idrofilo per
sette anni (1995-2002) a
contatto del suo cranio,
dono della comunità di
Ponza (Isola D’Ischia) lì
giunto da Noblat.
PRIMO PIANO
8
Marzo
2016
16 febbraio – apertura straordinaria del Santuario
Il ricordo
dell’apparizione
della SS. Trinità
di Claudia FANTINI
L
a comunità di Vallepietra ha celebrato
la festa dell’apparizione della Santissima
Trinità il 16 e il 20 febbraio scorso.
Il 16 febbraio è una data
importante per il Santuario perché è l’unico giorno dell’inverno in cui viene riaperto ai fedeli, l’unica pausa nel corso dei 6
mesi in cui il Santuario è
chiuso (dal 3 novembre
al 31 aprile). E anno dopo anno i pellegrini aumentano. Nonostante la
ricorrenza sia solitamente in un giorno feriale, e
quest’anno cadesse in un
martedì qualunque, ol-
tretutto piovoso, i pellegrini erano numerosissimi.
Dunque, il 16 febbraio
scorso l’appuntamento
era per le 7.00 di mattina
nella chiesa del paese dove, dalla sera prima, era
stata esposta l’immagine
sacra. Dopo la prima benedizione di don Alberto
Ponzi i pellegrini si sono
lanciati, pieni di allegria
perché si era in tanti e
per il cammino santo che
stava iniziando, giù fino
al fiume Simbrivio e poi
in su, passando per “lo
scoglio” con lo sguardo
al Santuario. Camminavano dietro lo stendardo
della Confraternita di
Vallepietra guidati da
don Antonio Castagnacci. Lungo il cammino i fedeli parlavano tra di loro
di cose legate alle persone lasciate, ai lavori interrotti, alle cittadine che
da lì sembravano lontanissime. Poi, a poco a poco, si sono concentrati sul
cammino e sul pellegrinaggio: alcuni hanno
preso a pregare, altri, invece, hanno iniziato a
cantare, forte, il canto
che li contraddistingue e
che li univa tutti: “Viva
viva sempre viva la Santissima Trinità”.
Più si saliva verso il Santuario, più il canto si sentiva più forte e proveniente da diverse parti
della valle, quasi un’eco
di un’eco di un’eco.
Tutti insieme, Vallepietrani e gli altri, hanno
portato il saluto all’immagine sacra all’interno
Anno XVII
Numero 3
del Santuario, guidati da
don Alberto Ponzi. Poi
tutti in chiesa per la Messa e la benedizione.
Il 20 pomeriggio la festa
dei vallepietrani è iniziata con l’arrivo di Mons.
Domenico Pompili che è
stato per qualche anno
parroco di Vallepietra.
Ad accoglierlo la banda
del paese, don Alberto, il
vicesindaco e tutti i cittadini.
Entrati in chiesa per la
Santa Messa il neo vescovo di Rieti ha rievocato i
momenti passati insieme
ai vallepietrani e loro gli
hanno donato un quadro
della Santissima Trinità.
Quindi è iniziata la processione per le vie del
paese dietro all’immagine della Santissima Trinità portata in spalla dal-
PRIMO PIANO
la compagnia di Vallepietra.
La festa si è conclusa con
una nuova benedizione e
l’invito a ritrovarsi tutti
al Santuario per l’apertura del 1° maggio che
coinciderà con l’apertura
9
di una Porta Santa nel
Santuario da parte del
vescovo diocesano Lorenzo Loppa.
La storia popolare narra di un contadino che mentre arava il terreno in cima al
colle della Tagliata vide cadere, nel sottostante precipizio, i buoi e l’aratro.
Portatosi sul ripiano alla base della grande parete rocciosa vide, con grande
meraviglia, i buoi inginocchiati davanti ad un misterioso dipinto della Trinità,
apparso all’interno di una piccola grotta.
Nella canzone, noti sono i versi dedicati a questo evento:
DUE BOVI DA GRAND’ALTEZZA
SO’ CADUTI SOPRA I SASSI
RIPRENDENDO I LORO PASSI
SI RIMISERO A CAMMINA’
O FELICE BUON PASTORE
FU PER TE QUEL DI’ BEATO
TESTIMONE FU L’ARATRO
CHE PER ARIA NE RESTO’
La storia letteraria, trasmessa da una pergamena, pervenuta in copia racconta di
due ravennati che si portarono sul Monte Autore per sfuggire alla persecuzione
di Nerone. Qui furono visitati dagli apostoli Pietro e Giovanni che, sbarcati a
Francavilla, avevano attraversato il Regno di Napoli. Un angelo apparso ai quattro
portò loro dal cielo il cibo e fece scaturire dalla terra la sorgente. Il giorno
seguente apparve la Santissima Trinità che benedisse il Monte Autore alla pari del
Sinai e dei luoghi santi della Palestina.
V I T A D E L L E C O M U N I T A’
10
Marzo
2016
Per il Patrono festa grande a Fumone
Le ciambelle
di S. Sebastiano fanno
rivivere antiche usanze
Mobilitato tutto il paese
di Gigino MINUCCI
P
er chi non vive a Fumone quella del Patrono San Sebastiano è la
festa che termina con il curioso lancio di ciambelle sui
fedeli riuniti sulla piazza
principale del paese. Ma
quella bizzarra pioggia di
ciambelle, proveniente dal
terrazzo della chiesa Collegiata di Santa Maria Annunziata, tra il fragore dei
fuochi d’artificio e il suono
della Banda Musicale, è solo l’ultimo atto di un rituale antichissimo.
La festa di San Sebastiano
si celebra solennemente
due volte l’anno. La prima
il 20 gennaio, l’altra, più
solenne, nella seconda feria di Pentecoste. Questa
festa fu istituita nell’anno
1186 per commemorare,
ogni anno, la vittoria riportata sul figlio di Barbarossa, Enrico VI. Si legge su
“Note di storia locale” di
Sergio Caponera che più
volte, nel passato sia le autorità civili che quelle religiose dovettero intervenire
per non far degenerare in
litigi e confusione i festeggiamenti che erano stati lasciati all’iniziativa delle singole famiglie. Queste, infatti, secondo le proprie
possibilità economiche, festeggiavano nel modo che
credevano più solenne i
due giorni dell’anno consacrati a San Sebastiano. Ciò
è accaduto fino a quando
non fu deciso di nominare
il “festarolo”. Il festarolo è
un personaggio importante per il piccolo paese ciociaro. Al mattino dei giorni
di festa doveva distribuire
una particolare minestra
accompagnata da pane
scuro di tritello e nel pomeriggio doveva lanciare le
ciambelle al popolo. Nei
giorni precedenti alla festa
donava ciambelle a chi gli
faceva visita di omaggio ricambiando così i doni in
natura che gli venivano offerti e inoltre alla fine della
carica lasciava un dono alla
Chiesa collegiale.
Malgrado tali incombenze
fossero onerose per molte
famiglie, quelli che aspiravano all’incarico erano così
numerosi da indurre nel
1846 il Comune a redigere
il regolamento, tutt’ora vigente, per “rinnovazione
dell’elenco dei festaroli di
San Sebastiano” attraverso
l’estrazione a sorte. Questa
viene effettuata, ancora
oggi, il 17 gennaio alle ore
14 durante una seduta della Giunta Comunale. Nell’urna vengono inserite le
schede con i nomi degli
aspiranti festaroli ed una
con il nome di San Sebastiano. “Colui che sortirà
dopo il Santo Protettore indica il regolamento – sarà
il legale e il legittimo festarolo da gennaio all’altro
gennaio e godrà tutti i soliti onori e privilegi come in
passato si è praticato”. Fumone, è forse unico Comune d’Italia che, per la scelta
del festarolo, è autorizzato
a riunire la Giunta comunale in seduta pubblica.
Dopo la designazione una
delegazione ufficiale, preceduta dal tamburino, si
reca a darne notizia all’interessato il quale il giorno
20 gennaio riceve dal suo
predecessore le consegne e
la “mazza” alla cui sommità c’è il busto di San Sebastiano. La mazza per tutto l’anno resterà in casa del
nuovo festarolo che avrà
anche l’onore di portarla in
processione accompagnato
da due “torce”, grossi ceri
destinati al Santo portati
dalle “torcere” come vengono chiamate le fanciulle
che partecipano alla processione indossando abiti
identici lavorati con le proprie mani.
Fiuggi - Nel giorno della Candelora
di festeggia San Biagio di Cristiana De Santis
N
el 1298 Fiuggi si chiamava Anticoli di Campagna ed era
feudo della famiglia Colonna; essi erano in guerra con
la nobile famiglia romana dei Cajetani. Capito? dunque che
i Cajetani decidessero di attaccare Anticoli proprio la sera
del 2 febbraio del 1298. I capi delle milizie si riunirono nel
castello dei Cajetani e stabilirono un piano ben congeniato.
Le truppe si sarebbero divise e avrebbero attaccato il paese
da due lati: dal basso scendendo dal castello di Monte Porciano e dall’alto, alle spalle di Fiuggi dalla parte di Torre
Cajetani. Mentre i nemici ordivano questo piano, gli abitanti di Anticoli di Campagna si preparavano a festeggiare la
Candelora. Erano in attesa della benedizione delle candele,
simbolo di Cristo “luce per illuminare le genti”, quando
fiamme altissime circondarono il paese. Le truppe nemiche,
che oramai si accingevano all’attacco, vedendo da lontano
il fuoco pensarono di essere state precedute dalle forze alleate. Di conseguenza ritornarono ai loro alloggiamenti.
In verità? le fiamme erano finte, erano un prodigio miracoloso opera di San Biagio. Per questo i fedeli, il giorno successivo, lo elessero patrono della citta?
A ricordo di ciò? persiste tuttora l’antica tradizione paesana
di accendere grandi falò? e interi tronchi di quercia - le
“stuzze” appunto - che vengono portati a spalla per le vie
del paese al grido di «Viva San Biagio». La grande festa si
conclude con l’incendio dei “capannoni” - capanne realizzate con rami di ginestra - nella piazza più? alta del paese,
piazza Trento e Trieste, dinanzi al Comune.
PAGINA GIOVANI
Anno XVII
Numero 3
11
Marcia della Pace - Alatri
Vinci l’indifferenza,
conquista la pace
Per abbattere tutti i muri
di Caterina CASTAGNACCI
S
abato 30 gennaio ad
Alatri si è svolta la
tradizionale marcia
della pace, che l’azione
cattolica organizza a
conclusione del mese della Pace! Così ragazzi, giovani e adulti hanno colorato le strade di Alatri,
dimostrano che veramente la Pace è possibile.
La marcia è partita dalla
concattedrale S. Paolo, il
tema della giornata era
proprio il messaggio sulla
pace di papa Francesco, e
dopo il primo simbolico
lancio delle lanterne, la
marcia è partita. Ogni
gruppo parrocchiale aveva preparato e realizzato
un proprio “segno di riconoscimento”, un simbolo, uno slogan che
aveva come tema “la pace è di casa”, tema portante del mese della pace che stava per concludersi, ed è per questo
motivo che durante la
marcia si potevano incontrare ragazzi con cerchietti a forma di abitazione o cartelloni con su
disegnata una casa oppure una grandissima tovaglia, rossa e bianca con
su piatti bicchieri, posate,
proprio per dire e ribadire.
La marcia ha auto tre
tappe, che riassumevano
i punti fondamentali del
messaggio per la pace di
papa Francesco: la prima,
animata dai giovani di
Sgurgola, aveva come tema “i volti dell’indifferenza”, dopo un breve e
significativo gioco i ragazzi hanno scoperto
che, per non essere indifferenti bisogna avere occhi, cuore aperti e mani
pronte a stringere quelle
dell’altro che è in difficoltà, anche se l’altro potrebbe essere un profugo, prostituta ecc. La seconda tappa, animata
dal gruppo Giovanissimi
di Fumone, aveva come
tema la Solidarietà e i
suoi percorsi possibili; ci
sono state testimonianze, che hanno affermato
che la solidarietà è possibile e che i migranti possono e sono utili alla nostra società; alla fine di
questo stand è stato consegnato un “cordoncino”
e tutti insieme i partecipanti hanno fatto un nodo simbolo di impegno .
La marcia ha ripreso il
suo viaggio verso piazza
S. Maria dove i partecipanti hanno trovato un
“ostacolo” prima di entrare in chiesa, che non
permetteva l’ingresso e il
passaggio sotto la Porta
Santa, questo ostacolo
era un muro, “il muro
dell’indifferenza”, pieno
di pregiudizi, odio, sfruttamento, intolleranza;
ma grazie alla consapevolezza acquisita nelle
tappe si è riusciti a rompere questo muro dell’indifferenza e passare La
Porta Santa e iniziare il
percorso di misericordia,
tanto cara a papa Francesco. La preghiera conclusiva e stata presieduta
dal nostro vescovo Loren-
zo Loppa. Sono seguiti i
saluti del presidente dell’Ac e delle Autorità presenti, il Sindaco della
città di Alatri. La marcia
si è conclusa con l’inno
dell’acr dell’anno della
misericordia. I Ragazzi, i
Giovani e gli Adulti non
sono stati indifferenti,
anzi partecipando alla
marcia hanno dimostrato
che LA PACE E’ DI CASA,
ed è POSSIBILE, con la
preghiera e le opere di
Solidarietà.
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FOCUS
12
Al convegno di Abano anche il responsabile diocesano
della Pastorale del Lavoro. Ecco il suo racconto…
Quando il sociale
chiede spazio
ai nostri giorni
di Giambattista TABOGA
S
i è svolto ad Abano
Terme il seminario
nazionale di pastorale sociale “Vie nuove
per abitare il sociale, alla luce del Convegno ecclesiale di Firenze
2015”.
I relatori, tutti particolarmente qualificati,
hanno fornito testimonianze dirette e spunti
di riflessione meritevoli
di elaborazione e di approfondimenti successivi.
Il segretario generale
della CEI Mons. Nunzio
Galantino ha aperto i lavori con una lunga intervista del vaticanista
de “La Stampa” Andrea
Tornielli, spaziando sui
temi riguardanti la famiglia e l’assenza di politiche di sostegno a
questa struttura fonda-
mentale per la tenuta
della società, non risparmiando osservazioni
critiche anche all’interno della Chiesa stessa.
Due interessanti esperienze di pastorale sociale “applicata” sono
state raccontate con
chiarezza e passione civile dagli stessi protagonisti, provenienti da due
zone molto diverse della
Penisola: Casal di Principe, (Caserta) e Monselice (Padova).
Nel primo caso si tratta
di una iniziativa di economia sociale chiamata
RES (Rete di Economia
Sociale), una “fattoria”
aperta al lavoro fornito
da persone a vario titolo
svantaggiate. E’ stata
promossa dal Comitato
Don Peppe Diana, nato
per reazione alla sopraffazione e alla violenza,
sulla scia del sacrificio
del sacerdote assassinato dalla criminalità or-
Marzo
2016
ganizzata per il suo coraggio e la sua azione di
denuncia forte e disarmata. Molto significativo il messaggio che ne è
scaturito condensato
nell’affermazione che
“vivere nel Casertano
non è una condanna”.
L’altra esperienza, ubicata nel Veneto laborioso e tradizionalmente
tranquillo, si è invece inserita in un acceso conflitto sociale causato da
un fenomeno di deindustrializzazione che ha
coinvolto le famose “cave” di sasso calcare di
Monselice. L’alternativa:
ascoltare le esigenze
dell’ambiente e chiudere con la storica attività
estrattiva oppure privilegiare e comunque difendere ad oltranza i
posti di lavoro sostenuti
dalla polverosa silice e
dal conseguente cemento prodotto in loco?
Questo il dilemma che
Anno XVII
Numero 3
aveva iniziato a lacerare
l’armonia della comunità locale non risparmiando la chiesa locale.
Tuttavia, una serie di
opportune iniziative intraprese dalla parrocchia locale in collaborazione con la Diocesi ha
consentito di tenere
aperta la porta al dialogo tra le diverse posizioni, con rispetto reciproco e, forse, contribuendo a riportare in un clima di civile confronto
quello che rischiava di
esplodere come conflitto di parte. Proprio, come afferma la Evangelii
Gaudium, “accettare di
sopportare il conflitto,
risolverlo e trasformarlo
in un anello di collegamento di un nuovo processo”.
Già dal dibattito e dalle
riflessioni che hanno
fatto seguito alla narrazione delle due esperienze è emersa una forte caratterizzazione che
può avere la pastorale
sociale in ambito locale.
Essa si può declinare, ad
esempio, in iniziative
imprenditoriali concrete
e di testimonianza, magari controcorrente, in
un ambiente potenzialmente degradato e conflittuale, come a Casal di
Principe. Ma può anche
rappresentare un luogo
sempre aperto di confronto e di mediazione
tra attori sociali in conflitto, per far prevalere
la ragionevolezza nel rispetto reciproco di posizioni divergenti. E’ il caso di Monselice dove la
Chiesa locale si è dimostrata capace di un …
disinteressato interesse
per la vita pubblica.
Molto coinvolgente
anche l’iniziativa di de-
FOCUS
nuncia del gioco d’azzardo che si è concretizzata in uno Slot Mob,
manifestazione pubblica
finalizzata a premiare
un esercizio commerciale locale dove non sono
presenti attrezzature
per il gioco d’azzardo.
Nelle due giornate finali
si è svolto il confrontodibattito tra i partecipanti sotto la guida di
tutor, per la elaborazione conclusiva dei risultati del seminario. Si è costituito un insieme di
dieci “tavoli tematici”
intorno ai quali sono
state discusse ed elaborate diverse tesi espressamente proposte dagli
stessi partecipanti.
Il tutto è stato poi raccolto, commentato e
proposto alla riflessione,
ma soprattutto all’azione di noi tutti una volta
rientrati nelle diocesi di
provenienza.
Per chi volesse approfondimenti maggiori
sul seminario, si suggerisce di visitare il sito web
sotto indicato, dove sono raccolti gli interventi
dei relatori, le esperienze narrate dai protagonisti, i lavori svolti dai
partecipanti e le proposte finali:
http://www.chiesacattolica.it/unpsl/siti_di_uffici_e_servizi/ufficio_nazionale_per_i_proble-
mi_sociali_e_il_lavoro/00078689_Seminario_Nazionale_di_pastorale_sociale.html
Mi sembra che il Seminario sia stato caratterizzato, da parte di tutti, da un approccio serio, meditato e costruttivo con partecipazione e
interesse diffuso: è stato
chiaramente più volte
sottolineato che la materia a cui si rivolge la
pastorale sociale è complessa in sé e non può
essere troppo semplificata o, peggio, banalizzata e riempita di retorica.
E’ emerso chiaramente
che la pastorale sociale
diocesana deve attuarsi
in forme e azioni tali da
rappresentare un credibile riferimento per tutti i soggetti operanti sul
territorio. Deve essere
riconosciuta in particolare come un permanente luogo di incontro
aperto all’ascolto delle
diverse parti. A mio avviso è già abbastanza e
tutto ciò rappresenterebbe un eccellente risultato anche per la nostra diocesi di AnagniAlatri. In questo senso
l’Osservatorio del territorio diocesano, al quale stiamo lavorando,
può rappresentare un
forte aiuto, soprattutto
se si pone in un’ottica di
13
osservare intanto il buono che c’è piuttosto che
specializzarsi nelle ricerca delle carenze.
Al seminario erano stati
invitati alcuni ragazzi
del progetto Policoro, la
cui presenza è stata
molto vivace e partecipata. Anzi, è stato detto
che il Progetto Policoro,
dove è presente, deve
rappresentare il “biglietto da visita” della
Pastorale Sociale.
Un’ultima riflessione
sull’importanza che è
stata riconosciuta ai moderni mezzi di comunicazione che vanno sotto
il nome di “social”. La
pastorale sociale passa
necessariamente anche
da lì e tutti noi siamo
stati invitati ad allinearci all’utilizzo di questi
ormai dilaganti mezzi di
comunicazione sociale.
Per i meno giovani non
è poi così facile, ma ci
proveremo.
Anno XVII, n. 3 - Marzo 2015
mensile della comunità Ecclesiale
N. di registrazione 276 del 7.2.2000
presso il Tribunale di Frosinone.
DIRETTORE:
Igor Traboni
IN REDAZIONE:
Claudia Fantini
Per inviare articoli:
[email protected]
[email protected]
AMMINISTRATORE
Giovanni Straccamore
HANNO COLLABORATO:
Caterina Castagnacci,
Cristiana De Santis, Carlo Fantini,
Claudia Fantini, Gigino Minnucci,
Filippo Rondinara,
don Agostino Santucci,
Giambattista Taboga, Cristina Tarquini
EDITORE
Diocesi di Anagni-Alatri
FOTOCOMPOSIZIONE E STAMPA
Editrice Frusinate srl - Frosinone
Marzo
14
2016
Cult
Cultura
L
I
B
R
I
T
Tradizioni
IL VIAGGIO:
IN BICI SULLA VIA
DELLA SETA
o sappiamo già, ne siamo consapevoli: il viaggio affascina
tutti. Sia chi parte, sia chi resta.
Coloro che vanno, ne subiscono il
fascino ben prima della partenza e
ben oltre il ritorno; quelli che restano, restano confusi da un piacere che non proveranno nella realtà
ma col potere della fantasia. Norman Polselli, nel suo “Otkudà, in
bici sulla via della seta”, a queste
due categorie di persone ne aggiunge una terza: quella di coloro
che incontra lungo il cammino, in
viaggio. Anche in loro sorgono domande e sogni alla vista dei viaggiatori. Otkudà, infatti, è un termine di origine russa, uguale in tutta
l’Asia centrale, e vuol dire: “Da dove? Da dove vieni?” E i due viaggiatori ciociari, Norman e il suo
compagno di avventure Antonio
Martino, fanno sognare anche i
kirghisi! Da quali terre lontane arrivate? Cosa ci portate, cosa avete
in fondo ai vostri occhi? E l’autore
ci descrive i volti di questi nuovi
amici, gli sguardi su di lui, ci dice i
loro nomi e ci racconta le loro storie. Ci parla delle donne dell’Asia
centrale: a loro è affidata l’amministrazione della casa, degli averi.
E degli uomini, che per lo più fanno i tassisti... quasi comico in un
Paese che fino a qualche tempo fa
era costituito solo da nomadi. E ci
porta dentro le loro case, le loro
tende. ”Sono strani due italiani
nelle steppe dell’Asia centrale – si
legge nella prefazione – ancor di
più se in bicicletta.” 1135 km in
sella a una mountain-bike e altrettanti in auto e in treno raccontati
senza retorica e in modo puntuale.
L
STABAT MATER
di Cristina TARQUINI
Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius.
L
o Stabat Mater, dal latino “Stava la Madre”, è una preghiera cattolica del XIII secolo. La sentiamo risuonare lungo le strade dei
nostri paesi per la processione del Venerdì Santo e in genere nelle
Via Crucis, il cui canto ancora oggi ne accompagna il percorso.
La Madre addolorata stava / in lacrime presso la Croce / su cui pendeva il Figlio.
La musicalità dei versi si unisce alla potenza dell’incipit, “Stabat
Mater dolorosa”, nel quale viene descritto tutto il dolore di una
madre, in questo caso la madre di Cristo, che diviene il simbolo di
ogni madre che assiste alla morte del proprio
figlio.
La madre “stava”. Questo verbo indica la rassegnazione dovuta ad un dolore così grande che
non permette nessuna reazione se non la contemplazione dello stesso. Sembra voler dire che
il dolore si vive, nella sua intensità; in questo
stato non c’è movimento ma, ed è questa la
funzione grammaticale dell’imperfetto, continuità e perduranza. Un dolore intenso ma lento, quasi fermo. L’esposizione poi del racconto
da parte di un narratore esterno amplifica ancor di più questa descrizione immobile e silenziosa come la sofferenza di Maria.
Nella seconda parte del componimento poetico, “Eia mater, fons amoris” (Quella madre,
fonte di amore), l’autore, che piace pensare sia
Jacopone da Todi, cambia il ritmo, il sentimento. Intervengono speranza e preghiera. Attraverso il dolore, che investe tutta l’umanità, il
poeta chiede di partecipare all’esperienza di
Maria e di Cristo per trovare la “salvezza” dopo la morte. Un concetto altamente cristiano e molto sentito nel medioevo: comprendere il senso del dolore e della morte ci dona il sentimento della
nostra condizione, dolente appunto, ma proiettata verso una dimensione metafisica che ci conduce alla quiete e addirittura al ristoro dell’anima.
La bellezza del testo, con la sua forma di inno liturgico in lingua latina viene esaltata da una struttura ritmica e metrica che anticipa il
ritmo della poesia italiana. Hanno scritto Stabat Mater in musica
autori illustri come Vivaldi, Pergolesi, Rossini, Schubert, fino ad arrivare a Verdi. Voglio però ricordare anche il meraviglioso Stabat
mater composto del nostro conterraneo Licinio Refice, cui è dedicato il Conservatorio musicale di Frosinone. La scena sottesa a tutta la
composizione è quella del Golgota così come è evocata dal vangelo
di Giovanni: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella
di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: Donna, ecco tuo figlio! Poi disse al discepolo: Ecco tua
madre! E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé” (19, 25-27).
C ultura A rte M usica L etteratura S cienza S port C inema T eatro
15
Anno XVII
Numero 3
tur@
CULTURA
E
P A E S I
U
mberto Eco. Come non parlarne. Ognuno di noi è in grado di citare almeno un suo libro e raccontarne la storia e
l’importanza che questo ha avuto nella sua vita. Tra i romanzi troviamo: Il nome della rosa, Baudolino, il cimitero di Praga, L’isola del giorno prima, La misteriosa fiamma della regina Loanna, Il pendolo di Foucault. Tra i saggi (tanti) mi piace
ricordare quelli nei quali per la prima volta lui dà una importanza nuova al lettore. Parla per la prima volta di Cooperazione interpretativa, cooperazione tra lettore e autore. Si
tratta di un concetto che Eco affina negli anni: lo preannuncia in Opera Aperta (1962), lo espone in modo compiuto in
Lector in fabula (1979), lo riprende e approfondisce in Limiti dell’interpretazione (1990). La tesi fondamentale è
che un testo è incompleto se non interviene il lettore.
Senza un lettore che ne dia la sua interpretazione, che
ne riempia gli spazi vuoti con la sua capacità di comprendere. Un testo è fatto di detto e di non detto. Il testo è
intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire. Lascia
implicita una gran quantità di informazioni che il lettore
è chiamato a dare in base alle sue conoscenze. Il lettore è
chiamato ad avanzare delle ipotesi. Chi legge un testo è
continuamente chiamato ad avanzare ipotesi sul significato
da attribuire al testo che ha di fronte. Buona lettura e interpretazione a tutti!
T
LETTERATURA
di Claudia FANTINI
Tradizioni
T
Tradizioni
icoria per curare le vene varicose e fichi secchi per contrastare il raffreddore, ma anche tisane di agrumi per dormire meglio
la notte e stramonio per arginare
l’asma. Sono solo alcuni dei consigli contenuti nei libri del Dott.
Semplicista, lo pseudonimo scelto
da Fra Domenico Palombi, monaco cistercense dell’abbazia di Trisulti, che ha presentato all’Urp del
Corpo Forestale dello Stato a Roma tutta la sua intensa attività di
scrittore sul tema. Un modo per
unire la grande conoscenza erboristica con il rispetto della biodiversità e il rigore scientifico. L’evento rientra nelle iniziative promosse dal Cfs per far apprezzare
gli aspetti legati agli ecosistemi e
sviluppare una maggiore sensibilità e interesse del pubblico verso
la tutela dell’ambiente. “Mi sono
avvicinato a questi argomenti nel
1980- spiega Fra Domenico- e ho
girato tutta l’Italia, appassionandomi alle piante contenute nelle
nostre Abbazie. Da lì la decisione
di appuntare su un foglio tutte le
conoscenze e poi di scrivere dei libri”, che oggi sono più di venti.
“Piante, radici e fiori- prosegue sono sempre state utilizzate
dall’’uomo, ma con l’avvento della
chimica è cambiato tutto. Oggi si
corre subito in farmacia, ma la natura potrebbe già risolvere il problema”. La speranza è ora di trovare qualche monaco a cui tramandare l’enorme bagaglio culturale di Fra Domenico.
C
S
ono 60 ad oggi le persone che l’associazione Amici del cuore ha contribuito a formare con il corso di Rianimazione
cardio polmonare in età adulta e pediatrica con l’utilizzo del
defibrillatore grazie ad un accordo con il Comitato Provinciale
di Frosinone della Croce Rossa Italiana. Evidente è la soddisfazione della presidente dell’Associazione, Patrizia Dell’Uomo,
nel comunicare questi dati, eccellenti per una associazione nata meno di un anno fa. Inoltre, ha reso noto che, durante la
manifestazione: “Giornata del Cuore: Conoscere, Crescere, Ricordare”, presso la Sala Consiliare, la Presidente di “Amici del
Cuore” l’associazione ha donato un defibrillatore alla Città di
Alatri nella persona del Sindaco Morini, per la successiva collocazione presso il Comando di polizia Locale. La donazione è
stata possibile grazie al contributo dei colleghi della Banca
Popolare del Frusinate di Guido Celani, nel ricordo del
quale è nata l’Associazione che si prefigge solidarietà, promozione della cultura della salute e della prevenzione. A
settembre altri due defibrillatori erano stati donati a istituzioni scolastiche del territorio. La “Giornata del Cuore” era
proseguita nel pomeriggio presso la Biblioteca Comunale
dove era stata ricordata la figura del giovane Giacomo
Dell’Uomo, profondamente amato dalla comunità, scomparso improvvisamente un anno fa. In ricordo di Giacomo
sono stati donati all’associazione due contributi, uno da
parte della famiglia Promutico per l’acquisto di un defibrillatore e l’altro da parte dei familiari di Giacomo per il finanziamento proprio dei corsi di rianimazione cardiopolmonare.
FRA' DOMENICO:
ERBE E TESORI
DELLA CERTOSA
L’ASSOCIAZIONE
“AMICI DEL CUORE”
di Carlo FANTINI
C ultura A rte M usica L etteratura S cienza S port C inema T eatro
TACCUINO
Domenica 6 marzo il momento di preparazione alla Pasqua
A Fumone il ritiro delle Confraternite
Nella nostra Diocesi si tratta di ben 42 realtà, distribuite in 14 Comuni
I
l delegato Vescovile don
Bruno Veglianti e il segretario diocesano del
coordinamento delle Confraternite della Diocesi di
Anagni-Alatri, Aldo Fanfarillo, hanno invitato tutti i
Priori, i componenti dei direttivi, le consorelle e i
confratelli, facenti parte
delle 42 Confraternite presenti in 14 Comuni della
Diocesi, a partecipare al ritiro spirituale che si terrà a
Fumone domenica 6 marzo A fare gli onori di casa
saranno proprio le due
confraternite di Fumone:
della Madonna delle Grazie e Pia Unione e del Perpetuo Soccorso.
“Con questi incontri – dichiara Aldo Fanfarillo- vogliamo in parte contribuire
alla nostra formazione e
preparazione spirituale,
avvertita da parte di tanti
confratelli e consorelle alla
fraternità tra di noi e all’accrescimento dello zelo
nel servizio di Dio e dei
fratelli, secondo le direttive del nostro Statuto”.
Le confraternite si sono
formate dopo l’anno 1000
intorno ai monasteri di
Germania, Francia, Calabria, Toscana e di altre regioni italiane con gruppi di
cristiani ferventi che testimoniano la loro fede facendo volontariato ed
opere di carità e tenendo
vive le tradizioni culturali
del loro paese. Importante
è anche l’imponente patrimonio artistico accumulato dalle confraternite, in
generale, nei loro oratori e
nelle chiese; la grande
quantità degli abiti, insegne, statue, crocifissi, con
cui le confraternite intervengono a funzioni e processioni sacre. Tutto questo
a servizio non solo nella
sfera pratica religiosa, ma
anche nel campo del folklore ispirato alla tradizione
cristiana. Le confraternite
non sono semplici società
di mutuo soccorso oppure
associazioni filantropiche,
ma un
insieme di fratelli che volendo vivere il Vangelo
nella consapevolezza di essere parte viva della Chiesa
si propongono di mettere
in pratica il comandamento dell’amore, che spinge
ad aprire il cuore agli altri,
particolarmente a chi si
trova in difficoltà.
Nel loro seno ci sarebbe bisogno, tuttavia, di nuova
linfa vitale che i giovani
possono dare con il loro
entusiasmo e soprattutto
con la scelta gioiosa di appartenere sì ad una confraternita, ma anche di essere fratelli di tutti.
IL PROGRAMMA
DELLA GIORNATA
ore 15: Arrivo a Fumone
presso la chiesa di S. Pietro
Celestino V Loc. Pozzi - a
seguire relazione sulla storia di San Pietro Celestino
V tenuta dal Prof. Umberto Caponera.
ore 16: Catechesi sul tema: “L’Anno della Misericordia” tenuta dal Vicario
generale Diocesi AnagniAlatri Don Alberto Ponzi.
ore 17: Vespri, adorazione
eucaristica e confessioni.
ore 18: Celebrazione Santa Messa presieduta da
Mons. Don Alberto Ponzi,
concelebrata don Bruno
Veglianti e da Don Virgilio
De Rocchis - parroco di Fumone.
Scarica

x 3 marzo 2016 - Confraternite della diocesi - Diocesi di Anagni