Sandwich Generation and Intergenerational Caring A cura di Studio Taf 2 Disclaimer Questo progetto è stato finanziato con il supporto della Commissione Europea. Questa pubblicazione riflette solamente il punto di vista dell’autore e la Commissione non può essere ritenuta responsabile dell’uso che può essere fatto delle informazioni in essa contenute. 3 4 Partners Italia Studio Taf, Genova Partner Coordinatore Università per la Formazione Permanente degli adulti “Giovanna Bosi Maramotti”, Ravenna Francia Kaplan Consultants, Parigi Regno Unito Konrad associates international, Chichester Lituania Centre for Psychosocial and Labour Integration Vilnius 5 6 Prefazione Il Partenariato di Apprendimento “Sandwich Generation and Intergenerational Caring” risponde ai bisogni d'apprendimento non-formali di donne e uomini che hanno responsabilità di cura di parenti anziani fragili. Chi si occupa nel quotidiano di un familiare o amico che ha di salute problemi legati all’età e a malattie quali la demenza o l’Alzheimer spesso vive due situazioni: - molte esperienze interessanti che potrebbero essere utili siano perse perché non si conoscono le pratiche sviluppate in altri paesi europei, pratiche utili per avere l'insieme delle informazioni di base necessarie quando si ha a che fare giornalmente con gli anziani fragili; - il fatto che chi si dedica ad attività di assistenza a familiari, spesso deve occupare dei propri parenti anziani in una fase della vita in cui è comunque impegnato in famiglia con figli adolescenti. Di conseguenza, i tradizionali gruppi di supporto/sostegno spesso non sono utili a queste persone, semplicemente perché non hanno tempo di seguirli. 7 Il partenariato nei due anni di attività ha cercato di rispondere almeno parzialmente a questi problemi: - Organizzando circoli di studio locali per raccogliere nei Paesi partecipanti i problemi e le soluzioni riscontrati più frequentemente. - Dibattendo i risultati in seminari internazionali per promuovere lo scambio e l’apprendimento di suggerimenti e strategie, attraverso la condivisione di interessi e temi comuni. - Definendo la struttura ed i contenuti di percorsi di apprendimento online, rivolti a coloro che non hanno tempo per frequentare i tradizionali gruppi di supporto, permettendo loro di condividere esperienze e sviluppare utili approcci basati sulla vita reale di altri che condividono gli stessi problemi. - Diffondendo i risultati attraverso incontri locali, newsletter, opuscoli e pieghevoli. Nelle pagine che seguono potrete leggere il risultato di una parte del lavoro portato avanti dal partenariato, il contributo di Studio Taf al progetto. Un ringraziamento speciale va a tutti i partner e a tutti i familiari, caregivers, professionisti e amici che hanno participato attivamente ai circoli di studio, ai seminari, ai workshop e alla conferenza finale. 8 In questi due anni abbiamo sempre avuto in mente, in tutte le nostre attività, le persone anziane fragili che ci stanno a cuore. Rita Bencivenga, Studio Taf 9 L’Empowerment dei caregiver familiari Rita Bencivenga, Alessandra Tinti, Licia Nigro Il partenariato di apprendimento Sandwich Generation and Intergenerational Caring risponde alla sfida educativa di una popolazione che sta invecchiando e aiuta a fornire agli adulti percorsi per migliorare la loro conoscenza e le loro competenze rispetto ad un problema significativo quale quello dell’assistenza ad anziani fragili. Sandwich Generation pone le proprie basi su un’analisi dei bisogni condotta dal mese di ottobre al mese di dicembre 2008. Come complemento all’analisi, basata su un lavoro di recerca documentale, interviste con esperti e ONG, è stato avviato un Circolo di Studio, considerato il modello di apprendimento non formale ideale per comprendere meglio i bisogni dei caregiver. Il Circolo di Studio è stato creato da un gruppo di cittadini che avevano in comune il fatto di essere assistenti (o come familiari o come volontari in organizzazioni senza scopo di lucro) di uno o più anziani fragili che vivevano a casa o in residenze assistenziali. 10 I partecipanti al Circolo hanno ritenuto di aver bisogno di un percorso d'apprendimento utile per avere l'insieme di informazioni di base necessarie quando si ha a che fare con anziani fragili. Grazie alla presenza nel gruppo di tre partecipanti che parlavano inglese e francese, le informazioni trovate ed analizzate non sono state collegate solamente alla situazione italiana. Il gruppo ha letto, studiato e confrontato molti blog, libri e siti web prodotti non solo in Italia ma anche nel Regno Unito, in Francia e anche negli Stati Uniti e in Canada. Fra i risultati del circolo di studio, due problemi sono stati identificati dai partner come degni di costituire un valido tema di discussione all’interno di un futuro Partnenariato di apprendimento internazionale: 1) molte teorie, esperienze e soluzioni interessanti vengono perse perché molti caregiver non conoscono le lingue straniere, perdendo così una quantità significativa di conoscenze che potrebbero aiutarli nell'individuazione di suggerimenti e soluzioni per i piccoli e grandi problemi quotidiani; 2) i caregiver, spesso appartenenti alla generazione del “baby-boom” (quelle persone approssimativamente tra i 45 e i 60 anni) si occupano dei propri genitori anziani mentre si prendono cura anche della famiglia e spesso hanno un’attività lavorativa. Perciò i gruppi di appoggio tradizionali, offerti da molte associazioni 11 ed enti pubblici, che richiedono di incontrarsi fisicamente ad orari e giorni stabiliti, non sono loro utili, semplicemente perché non hanno tempo di parteciparvi. Allo stesso tempo la necessità di scambiare informazioni e di ricevere supporto da altri è molto sentita. I Circoli di Studio secondo il modello Genovese Il circolo di studio è una modalità di aggregazione spontanea di persone che desiderano approfondire un argomento o una tematica e non trovano il corso di formazione adatto a soddisfare questo bisogno. Nel 2004 in Italia la Provincia di Genova ha avviato un programma di finanziamento di Circoli di Studio1 ispirandosi a modelli stranieri, in particolare svedesi, e italiani, i circoli di studio avviati nella Regione Toscana. In programma si è concluso nel Dicembre 2008. Per l'approvazione di un Circolo di Studio occorreva presentare un progetto entro le date indicate e secondo le modalità previste nel bando attivo al momento della progettazione. Il tema era scelto liberamente dai partecipanti che, in numero da 5 a 15, si impegnavano a seguire un percorso comune, 1 Per informazioni in Italiano visitare i siti web www.circolidistudioge.it , www.scate.it , www.labobs.eu 12 della durata non inferiore a 50 ore. In un circolo di studio il tempo deve essere organizzato p re v a l e n t e m e n t e i n a u t o a p p re n d i m e n t o e apprendimento reciproco e cooperativo, prevedendo all'occorrenza anche l'intervento di alcuni esperti. Il programma delle attività deve essere definito nel progetto, prevedendo attività che possono essere non soltanto teoriche, ma anche esercitazioni, laboratori, attività pratiche e motorie. Si tratta di un modello di formazione non formale ideale per chi non trova nell’offerta formativa tradizionale risposte a bisogni complessi. Nascita del Partenariato Sandwich Generation Terminato il circolo e analizzati i risultati prodotti, valutati i dati ottenuti dall’analisi condotta in parallelo, Studio Taf ha deciso di presentare il progetto “Sandwich generation and intergenerational caring” finalizzato a rispondere tramite una serie di attività ai bisogni emersi nella fase di preparazione: - organizzazione di un certo numero di Circoli di Studio ispirati al modello Genovese, in cui familiari e amici di persone anziane fragili potessero condividere (nella loro lingua madre) problemi e soluzioni, apprendere aspetti pratici e teorici legati alla cura, condividere le loro conoscenze e competenze; 13 - confrontare i risultati in seminari internazionali, allo scopo di creare percorsi comuni di apprendimento utili a chiunque si trovi in situazioni simili; - definire la struttura generale e i possibili contenuti di un percorso di apprendimento online utile a chi non ha tempo o possibilità di frequentare percorsi di apprednimento formali o gruppi di supporto fra pari. Nel Partenariato due partner hanno avuto ruoli specifici nel formare gli altri partner negli aspetti organizzativi di un circolo di studio (Kaplan Consultants) e nella raccolta e analisi di esperienze e buone prassi nell’assistenza a pesone anziane fragili (Studio Taf ). Gli altri tre partner hanno focalizzato le loro attività nell’organizzazione di Circoli di Studio ispirati al primo circoo organizzato a Genova nella fase di preparazione del progetto, nel raccogliere esperienze interessanti a livello locale e, successivamente, interagendo con gli altri partner nello scambio e confronto delle esperienze raccolte. Nel suo lavoro di coordinameno degli aspetti contentistici, Studio Taf ha garantito la supervisione di esperti del settore sociale e sanitario (neurologa, terapista del linguaggio, terapista occupazione, fisioterapista, animatrice pedagogica teatrale) al fine di garantire che le informazioni raccolte e condivise non contenessero alcunché in contrasto con le 14 pratiche correnti nel lavoro di cura dell’anziano fragile. Il lavoro di coordinamento è stato costituito da tre seminari successivi, in cui un certo numero di informazioni sono state condivise con i partner allo scopo di armonizzare l’approccio ai circoli di studio e la scelta degli argomenti da affrontare e analizzare: - primo seminario: il ricolo di studio pilota è stato descritto e analizzato in dettaglio nel seminario che si è tenuto a Genova; - secondo seminario: sulla base dei primi risultati dei circoli di studio organizzati dai partner (condivisi nell’incontro di Chichester), sono stati suggeriti nel seminario di Vilnius quattro argomenti generali e alcuni spunti di discussione basati su testimonianze reali di caregiver come punto di partenza per l’ulteriore approfondimento; - il terzo seminario, tenutosi a Parigi, si è basato sui risultati finali dei circoli di studio organizzati dai partner, usati come come punto di partenza per creare una lista dettagliata di argomenti da usare per denifine percorsi di approfondimento che usino anche risorse del web. Nelle prossime pagine trovate i contenuti dei tre seminari, dal momento che abbiamo ritenuto che potessero costituire uno spunto utile ad altri che desiderino organizzare percorsi di apprendimento per 15 familiari che sostengono il lavoro di cura di persone anziane fragili. Generazione Sandwich: il circolo di studio pilota Il Circolo di studio pilota, intitolato Generazione Sa n d w i c h , h a a v u t o n i z i o d a l l e s e g u e n t i considerazioni. Viene usualmente definita “generazione sandwich” la generazione di persone nate negli anni del baby boom e che si trovano ad affrontare contemporaneamente i problemi legati all’assistenza di persone anziane e alla cura di figli adolescenti. La dimensione di questo problema non ha precedenti nella storia, in termini di impatto sulla vita personale, familiare, lavorativa e sociale. Quando si parla di donne, una differenza significativa rispetto alle generazioni precedenti è costituita dal fatto che le donne in questione spesso hanno anche un’attività lavorativa, il che complica ulteriormente le cose. Una visione diffusa sulle necessità della persona anziana, specie se non è autosufficiente o ha un deterioramento cognitivo, promuove come soluzione ideale il fatto di rimanere nella propria abitazione, o comunque nell’abitazione di un familiare, soluzione 16 che andrebbe perseguita in tutti i modi fin quando possibile. Un plauso sociale generale “compensa” le donne che si fanno carico di assistenze multiple, lasciando poco spazio all’espressione di sentimenti che non necessariamente sono positivi, e paradossalmente questo fatto impedisce l’emergere di nuove e diverse positività che possono essere vissute anche in momenti molto problematici. Il circolo di studio ha inteso approfondire una serie di argomenti legati a quanto detto sopra, in un’ottica laica e aperta a visioni della realtà basate su esperienze concrete e disincantate. Ciò al fine di tentare di rileggere gli stereotipi correnti e di proporre possibili visioni alternative, che includono, per esempio, la consapevolezza dei mutamenti generativin chi assiste persone non autosufficienti, specie coloro che vivono con un deterioramento cognitivo,. Il gruppo si è costituito in circolo di studio per affrontare i seguenti temi: • Meglio a casa o in istituto? • Quali sono i percorsi che portano ad avere informazioni sui servizi e i sostegni offerti sul territorio Genovese? • Come orientarsi nella scelta e nella gestione delle figure di assistenza (badanti) 17 • L’impatto della presenza di persone non autosufficienti con deterioramento cognitivo sulla famiglia allargata, in particolare sui figli adolescenti • Come vivere il periodo dell’inserimento in Istituto • La vita quotidiana in Istituto • L’ i m m a g i n e d e l l a p e r s o n a c o n deterioramento cognitivo: fotografie, video, registrazioni audio. Quale etica? Il circolo ha affrontato questi temi in un’ottica di genere, con lo scopo di promuovere l’empowerment dei partecipanti. I partecipanti (sei donne ed un uomo) riconoscono che esiste una specificità di genere, non biologica, ma socialmente costruita, nel carico di cura e nell’evoluzione personale conseguente alla cura di anziani e adolescenti. Se alcuni aspetti possono essere indifferenziati, altri non possono essere affrontati in un’ottica neutra. L’ottica scelta non è stata quella della celebrazione della figura femminile come figura legata all’accudimento in modo naturale, anzi, ha inteso esplorare proprio le contraddizioni e le sfide che gli stili di vita contemporanei pongono alle donne di oggi. 18 Organizzazione del lavoro Il gruppo si è incontrato con cadenza periodica, compatibilmente con i carichi di cura di alcune delle partecipanti. Le 60 ore previste sono state suddivise in incontri della durata di 4 oppure 8 ore ciascuno, così organizzati: 4 ore incontro iniziale per l’organizzazione pratica del circolo: calendario, analisi dei questionari di valutazione iniziale e finale, scelta della sede degli incontri, impostazione comune dei percorsi di conoscenza che si intedevano perseguire 8 ore in un’unica giornata per la preparazione della cartolina e dei biglietti informativi sul progetto 8 ore suddivise in due incontri per la realizzazione del blog e per il suo aggiornamento, per la diffusione e disseminazione delle note informative sul lavoro svolto a siti web, newsletter, ecc. 28 ore suddivise in 7 incontri tematici, uno per ogni tema 8 ore in un’unica giornata per l’adattamento delle informazioni raccolte (stesura testi, trattamento foto e video) 4 ore per l’incontro conclusivo: questionario di valutazione finale, riepilogo del lavoro svolto, analisi dati raccolti. 19 I partecipanti Tutti i partecipanti sono partiti da esperienze personali (concluse o in corso), di assistenza a persone in situazione di fragilità, esperienze che hanno avuto e hanno un impatto significativo sulle loro vite. Tutti hanno vissuto l’esperienza di diventare punti di riferimento per altri (amici, conoscenti, parenti) con cui hanno accettato di condividere esperienze, conoscenze, trucchi e strategie. Tre partecipanti svolgono un’attività professionale collegata con la realtà di persone disabili. Due partecipanti vivono una esperienza di disabilità che li fa confrontare quotidianamente con una cerchia ristretta di persone che con loro comunicano e interagiscono con piacere e in modo costruttivo, ma vengono visti dall’esterno come persone che hanno concluso il loro percorso di vita attivo e significativo. Tutti desiderano mettere a disposizione di più persone il loro bagaglio di conoscenze. Nessuno di loro ha trovato materiale informativo (accessibile a chi assiste un familiare e vive le urgenze collegate a tale carico) che fornisse risposte utili a risolvere o affrontare meglio molti problemi concreti che si presentano nel quotidiano. In modo simile, nessuno di loro ha visto riflesse le proprie esperienze di crescita e mutamento personali, 20 molto più sfaccettate di quanto comunemente si narra, nei “discorsi” comuni sull’assistenza, quali si possono trovare in riviste, quotidiani, programmi televisivi. Tutti erano consapevoli del fatto che il circolo avrebbe costituito un momento in un certo senso anche doloroso (ed è per questo che il gruppo è abbastanza ristretto), nel far ripercorrere esperienze legate a sofferenze, ma allo stesso tempo avrebbe permesso di esplorare, in un percorso fra pari, molti aspetti positivi e vitali. All’inizio del circolo i partecipanti e il loro contributo al circolo sono stati descritti nel modo seguente: A A, nata nel 1972, è un’arteterapeuta. Lavora da molti anni a contatto con persone con disabilità medio grave, grave e gravissima. 2 B B, nata nel 1959, è un’arteterapeuta. Lavora da molti anni a contatto con persone con disabilità medio grave, grave e gravissima. Utilizza per il suo lavoro di arteterapeuta strumenti mutimediali, realizzando video e immagini fotografiche e metterà questa sua competenza a disposizione del circolo. 3 C C, nata nel 1926, vive in una casa di riposo. 4 D D, nata nel 1934, vive da anni un’esperienza familiare complessa che la porta a prendersi 1 21 cura di tre generazioni: un minore, un familiare adulto e un coniuge anziano. 5 6 7 22 E E, nato nel 1939 è un architetto in pensione. Da 15 anni è afasico e ha sviluppato a titolo personale (ma anche in relazione alla propria famiglia e al vasto circolo di amici) una riflessione sul senso e il valore dei rapporti in s i t u a z i o n i i n c u i l a c o n ve r s a z i o n e “tradizionale” non è più possibile. F F., nata nel 1938, è un’insegnante di lingue in pensione. Ha conseguito la laurea negli Stati Uniti. Ha assistito per lunghi anni sua madre e una delle sue sorelle, gestendo il personale di assistenza. Presta opera di volontariato per l’AVO presso l’Istituto Brignole di Genova. G G., nata nel 1959, è una fisioterapista esperta in terapia occupazionale. È Docente di questa materia al corso di laurea per fisioterapisti organizzato dalla Facoltà di Medicina dell’Università di Genova. Sua madre vive in una casa di riposo. Materiale e attrezzatura La provincia di Genova per realizzare un Circolo di Studio erogava un contributo fino a 1.000 €. Il finanziamento dei circoli avveniva tramite l'erogazione di un voucher riferito al circolo di studio, e intestato, per conto del Circolo, al referente principale o all'ente promotore del progetto. Il voucher, assegnato a titolo di contributo alle spese, poteva coprire fino all'importo riconosciuto in sede di approvazione del progetto, e comunque non oltre 1.000,00 euro. I partecipanti dovevano indicare nel progetto anche il loro contributo (non in denaro). Ecco il modulo compilato dai partecipanti al circolo per illustrare la lista del materiale e delle attrezzature usate: LOCALI (indicare le caratteristiche, il proprietario dell’immobile, eventuale concessione in uso gratuito, ecc.) Una delle circolanti ha messo a disposizione a titolo gratuito il suo ufficio per gli incontri. STRUMENTAZIONE (indicare la tipologia, le caratteristiche, il numero, ecc.) Video camera, registratore, proiettore per diapositive, computer portatile, software per trattamento video, audio e foto, beamer, telo per proiezioni. (Beamer e video camera saranno noleggiati in occasione degli 23 incontri in cui saranno necessari, il resto del materiale sarà messo a disposizione dalle circolanti) CANCELLERIA (specificare la tipologia, le caratteristiche, le quantità, ecc.) Carta per fotocopie, carta per stampa fotografie, supporto per video, cartucce, CD e DVD MATERIALE DIDATTICO (specificare la tipologia, le caratteristiche, il numero, ecc.) Saranno acquistati alcuni libri necessari alla preparazione degli incontri M AT E R I A L E PER LA COMUNICAZIONE (specificare la tipologia e le caratteristiche) Realizzazione grafica e impaginazione di una brochure che raccoglierà elementi salienti del circolo Realizzazione grafica e realizzazione di un sito web statico (di fatto poi il gruppo ha realizzato un blog) (In entrambi i casi si ricorrerà a risorse esterne per garantire una buona qualità dei risultati) ESPERTI ESTERNI A.T., logopedista. Esperta sulla comunicazione con il paziente affetto da deterioramento cognitivo e da afasia. P.N., architetta. Esperta nella ristrutturazione e progettazione di residenze per anziani e per persone con disabilità. 24 Relazione conclusiva Trascriviamo alcuni estratti della relazione finale, per dare un’idea più chiara del percorso svolto dal circolo. “Abbiamo potuto confermare che l’argomento scelto riveste un notevole interesse agli occhi di molte persone. Nei testi che abbiamo letto, nei siti web e blog consultati, negli incontri fatti abbiamo capito che con il nostro circolo affrontiamo solo la cima di un iceberg e che le situazioni che noi oggi viviamo diventeranno sempre più problematiche nei prossimi anni. Ognuno di noi ha contribuito per come poteva e sapeva. La presenza nel circolo di persone in grado di leggere e tradurci testi inglesi e francesi è stata utilissima. Abbiamo notato cose comuni con altre nazioni ma anche esperienze molto belle che ci sembrano ancora lontane. Aver realizzato biglietti da visita e cartoline ci è stato molto utile perché le portavamo con noi e le davamo a chi, fra i nostri amici e i nostri contatti di lavoro, ritenevamo potesse beneficiarne. Abbiamo capito che questo è solo l’inizio di un percorso. Due mesi (con in mezzo tante giornate festive) sono stati troppo brevi. Infatti avremmo potuto organizzare incontri pubblici ma non c’è stato il tempo materiale di prendere accordi. Abbiamo anche pensato di creare un’associazione di volontariato, ma abbiamo bisogno di tempo per pensarci. Abbiamo acquistato diversi libri, dal fumetto spagnolo iniziale (Rughe, un fumetto di Paco 25 Roca, 2008 Tunuè s.r.l.) al libro di fotografie in cui Annie Leibovitz ritrae Susan Sontag nella malattia e nella morte; da “Nemesi medica” di Ivan Illich a “La relazione di aiuto” di Canevaro e Chieregatti. Abbiamo anche acquistato i libri di Vigorelli, che ci spiegano come interagire nel quotidiano con persone con demenza e quello sul GentleCare, in cui abbiamo visto come è possibile organizzare ricoveri più umani per accogliere anziani anche con Alzheimer o demenze di altro tipo. Abbiamo capito la differenza fra Alzheimer e demenze, grazie all’apporto di una delle esperte consultate, la logopedista esperta in problemi di comunicazione. Grazie a lei abbiamo anche approfondito il modello conversazionale e abbiamo capito e inquadrato meglio i diversi approcci all’Alzheimer e alla demenza. Questa professionista si è rivelata utile in vari momenti del percorso che abbiamo fatto, ed ha in realtà accompagnato il circolo più o meno in tutte le sue fasi. L’incontro con l’architetta ci ha permesso di vedere le cose da un punto di vista diverso, molto interessante. Ci piacerebbe visitare i centri di cui ci ha parlato. Abbiamo cercato di segnalare fedelmente le nostre scoperte o le cose che ci interessavano di più sul blog. All’inizio avevamo pensato a un sito web ma il blog ci è stato poi consigliato come strumento migliore e in effetti siamo soddisfatti della scelta. Sul blog ha 26 postato una sola persona, per questioni pratiche di facilità di accesso ad Internet, ma i testi sono stati concordati prima della pubblicazione. Ovviamente le attività che coinvolgevano la tecnologia sono state effettuate solo da alcune circolanti, agli altri interessava il contenuto e non diventare esperti nell’aggiornare blog o compilare biglietti da visita online. Abbiamo registrato molti momenti dei nostri incontri. Purtroppo il software che ci permetterebbe di editare i testi registrati è molto costoso, pertanto al momento teniamo le registrazioni come sono. Abbiamo sbobinato le parti secondo noi più interessanti e comunque solo quelle che abbiamo scelto di rendere pubbliche, vista l’intimità di certi discorsi. Abbiamo anche colto al volo l’occasione di incontro con una fisioterapista (L.N.) che opera in due case di riposo nell’entroterra ligure e condivide il nostro approccio: lo scambio di informazioni con lei ha dato l’avvio a un contatto che speriamo sfoci in un incontro nei prossimi mesi con le operatrici e gli operatori della casa di riposo. Chi di noi era collegato via internet e sapeva usare posta e messenger l’ha utilizzato, altrimenti i contatti sono stati telefonici. Le tecnologie sono state un 27 mezzo per lavorare e apprendere meglio ma non abbiamo dedicato ad esse troppo tempo. L’aspetto più valido del lavoro fatto è stato la scoperta di esperienze straniere. Ad esempio il blog del New York Times2 è diventato un appuntamento periodico di grande interesse. Ci ha colpito moltissimo il fatto di leggere cose scritte da cittadini di un’altra nazione che provano e vivono esattamente i nostri sentimenti e le nostre emozioni, per non parlare dei problemi. Nonostante l’impossibilità di organizzare incontri aperti, confermiamo la disponibilità a condividere con altri il nostro percorso e a parlare della nostra esperienza. Avremmo voluto realizzare un libretto, ma abbiamo definito solo una bozza, in quanto riteniamo di poter aggiungere altro materiale a breve. Il problema è come trasformare il materiale raccolto in qualcosa che possa uscire dal nostro ambito ristretto, mantenendo un interesse ma non perdendo in individualità. Rispetto alle spese previste, confermiamo che non abbiamo speso niente per affitto locali. I costi maggiori sono stati per la strumentazione, la cancelleria e soprattutto i libri, che vengono lasciati 2 http://newoldage.blogs.nytimes.com/ 28 all’Associazione ALIAS3, di cui sono socie quattro partecipanti al circolo, al termine dei lavori. Nel progetto presentato alla Provincia abbiamo segnalato l’esperienza, che abbiamo tutti vissuto, di diventare punti di riferimento per altri (amici, conoscenti, parenti) con cui abbiamo accettato di condividere esperienze, conoscenze, trucchi e strategie. Desideravamo mettere a disposizione di più persone in nostro bagaglio di conoscenze e non avevamo trovato nelle associazioni di volontariato attive sul territorio genovese punti di riferimento soddisfacenti in tal senso. Oggi, con l’esperienza del circolo, ci sentiamo meno soli, in quanto abbiamo capito che i nostri limiti sono legati alla territorialità e alla conoscenza delle lingue. Infatti pensiamo di proseguire innescando dei circoli di studio online, multilingue, per confrontarci direttamente con chi riconosciamo sulla nostra “lunghezza d’onda”. Anche chi di noi non è interessato/a a diventare un esperto nell’uso delle tecnologie, infatti, ha acquisito la competenza di “riconoscere” anche online lo stesso tipo di persone ed esperienze che era già in grado di riconoscere di Quando il circolo è organizzato da privati e non da Enti o Associazioni, il materiale acquistato con fondi della Provincia deve essere alla fine del circolo donato ad un Ente non profit che possa metterlo a disposizione della cittadinanza. 3 29 persona: le persone che hanno un’esperienza simile alla nostra e sono disponibili a un percorso di conoscenza che proceda nella nostra stessa direzione. Abbiamo segnalato sul nostro blog undici esperienze rintracciabili in Internet. Nei links abbiamo rimandato a servizi che per noi sono stati importanti, ad esempio quello per la gestione amministrativa delle badanti e quello per l’amministratore di sostegno del tribunale di Genova. Abbiamo novantasette foto selezionate fra quelle fatte. Non intendiamo al momento divulgarle, ma ne abbiamo utilizzate alcune per la cartolina.” Primo seminario: i risultati del circolo di studio pilota Il Circolo ha letto molti libri e visitato virtualmente molti centri per anziani, blog, gruppi di discussione, siti web, ha discusso, fatto foto, registrato conversazioni, incontrato esperti. Desideriamo aggiungere che ora, nel mese di giugno 2011, i riferimenti trovati dal circolo di studio genovese sono ancora validi, e meritevoli di attenzione da parte di coloro che sono interessati ad conoscere meglio l’esperienza di chi vive con l’Alzheimer o la demenza e di chi assiste di persone che vivono questa condizione. Quanto segue costituisce quindi la “dotazione” informativa con cui 30 sono partiti i circoli di studio dei partner del partenariato. Iniziamo con un fumetto "La mente di alcuni uomini è simile a una biblioteca nella quale i libri si accatastano in montagne di carta ingiallita, popolata di sogni e di fantasie. Il logorio di tutta una vita li ricopre di rughe, e alcuni vedono le lettere delle loro pagine dissolversi, foglio dopo foglio, finchè diventano completamente bianche. Malgrado questo, le più intenze emosioni sopravvivono, preservate come un tesoro nascosto in un’isola lontana." Rughe, un fumetto di Paco Roca, 2008 Tunuè s.r.l. Che corsi ci piacerebbe seguire? Ad esempio quelli organizzati da Brigitte Croff & associés, http://www.brigittecroffconseil.com/ Il metodo SPECAL Il testo usato per descrivere il fumetto di Paco Roca era tratto dalla quarta di copertina. L'immagine che viene data dell'Alzheimer in quelle righe è ispirata al metodo SPECAL (Specialized Early Care for Alzheimer) http://www.specal.co.uk/ . Come dice il nome stesso, si tratta di un metodo che si può applicare nelle fasi iniziali dell'Alzheimer, in quanto 31 permette (secondo Penny Garner, l'ideatrice del metodo) di trovare il legame fra l'emozione provata dalla persona e l'episodio del suo passato che essa collega all'emozione che prova in questo momento. Perchè un episodio o una situazione del passato? Proprio perché, secondo Garner, le ultime pagine di quell'album di fotografie (metafora usata da Garner) che costituisce la nostra memoria, sono vuote a causa dell'Alzheimer. Il discorso è complesso ma sembra che funzioni abbastanza. Questo metodo non si pone come obiettivo far recuperare la memoria o rallentare il processo di decadimento, ma solo di far stare meglio la persona nel presente. Una testimonanza sullo SPECAL (in inglese): http://www.alzheimers.org.uk/site/scripts/documents _info.php?documentID=695 fin no alla fi fin ne della vita Carpe diem, fi Afferrare la realtà delle persone con malattia di Alzheimer, andar loro incontro ... questa è la filosofia della casa Carpe diem (http://alzheimercarpediem.com/), un luogo unico in Quebec, dove la relazione con l’altro è la priorità. Qui i residenti partecipano alle attività quotidiane, non vi sono orari fissi per alzarsi o per andare a 32 dormire, il ritmo di ciascuno è preso in considerazione. Un approccio rispettoso del paziente, nato dalla convinzione di Nicole Poirier, la Direttrice di questo Centro e del suo team. Un video (in francese) mostra le attività del Centro e illustra la filosofia che lo ha ispirato: http://www.universcience.fr/fr/science-actualites/filmas/wl/1248100318678/carpe-diem-jusqu-au-bout-dela-vie/ Il lungo addio Ecco un altro articolo interessante. Ci racconta come è organizzato il Norma and Joseph Saul Alzheimer's Disease Special Care Community Center. "Quando mio padre è entrato in una Residenza assistita, mi aspettavo quasi che la malattia si fermasse – dice una delle intervistate, che coordina un centro Alzheimer e il cui padre è deceduto di Alzheimer alcuni anni fa Quando la malattia continua a progredire, talvolta I familiari si domandano se stiamo o no facendo il nostro lavoro. Così dobbiamo fare un percorso educativo con le famiglie, cominciando dal momento i cui gli ospiti sono ammessi nel nostro Istituto.” http://occupationaltherapy.advanceweb.com/Article/e-Long-Goodbye6.aspx 33 Approccio conversazionale e capacitazione L'approccio Conversazionale e la Capacitazione sono due approcci promossi da Pietro Vigorelli, figura molto nota in Italia, autore di diversi libri e profondo conoscitore dei problemi legati all’Alzheimer, ma anche alle inaspettate positività che a volte possono far parte della relazione con un malato di Alzheimer o di demenza. Il suo ultimo libro è interamente dedicato ai caregiver e si intitola “Alzheimer senza paura”, Ed. Rizzoli 15 Euro. Gentlecare, un modello positivo di assistenza per l’Alzheimer ll libro di Moyra Jones (Gentlecare, ed. Carocci Faber) è stato pubblicato in Italia la prima volta nel 1995. Se siete un familiare di una persona con Alzheimer o con demenza multinfartuale potrete trovare alcune parti interessanti. Noi abbiamo apprezzato in particolare il capitolo 5 “Il decorso clinico della malattia di Alzheimer” perché, per quanto durissimo da leggere, aiuta a rassegnarsi al fatto che davvero le cose avranno un loro percorso che noi non potremo variare e fa capire meglio il collegamento fra certi comportamenti e i danni cerebrali relativi. L’altro capitolo molto “vero” è il 16, “Le persone come protesi” In cui si parla dei caregiver familiari. 34 Se il vostro parente ha una demenza multinfartuale, dovete tenere conto del fatto che il capitolo 5 non rispecchia la vostra situazione nel dettaglio e ci possono essere delle differenze. In generale il libro è interessante e siamo contenti di averlo letto. Molte delle situazioni descritte per fortuna sono lontane dalla nostra realtà, forse perché sono passati molti anni da quando il libro è stato scritto, o forse perché siamo fortunati. La realtà descritta è nordamericana, molto diversa dalla nostra, ciononostante il libro offre molti spunti per piccoli cambiamenti che possiamo portare a livello individuale anche come semplici caregiver familiari. fillmati sulla generazione sandwich Due brevi fi Nel 2004, Julie Winokur, una cineasta e suo marito Ed Kashi, un fotogiornalista, si sono trasferiti con i loro due figli da San Francisco a Montlair, in New Jersey, per prendersi cura del padre di Julie, Herbie Winokur, che aveva l'Alzheimer. Durante i due anni seguenti, la coppia ha ripreso dei momenti della loro vita quotidiana, realizzando un video onesto in modo quasi brutale, intitolato appunto “e Sandwich Generation.” Il video si compone di due parti, nella prima (http://mediastorm.com/publication/the-sandwich35 generation ) si vede il percorso di adattamento dell'intera famiglia alla nuova situazione. Un anno dopo rivediamo la famiglia continuare ad affrontare tutti i problemi legati ad un'assistenza di questo tipo (http://assets.aarp.org/external_sites/caregiving/multi media/LifeWithHerbie.html) Entrambi i video sono in inglese, ma riteniamo che valga la pena vederli in ogni modo anche se non si parla questa lingua, in quanto le immagini raccontano in modo chiarissimo la situazione. Spesso Régine dimentica Ancora su uno dei temi su cui stiamo riflettendo: immagini, video, audio di persone con demenza o Alzheimer. Régine ha 97 anni, è una donna anziana, ancora bella, ancora vivace e brillante. Ma spesso Regina dimentica. Dimentica i gesti semplici. Dimentica dove si trova l'ufficio postale, dove abita Leonardo, l'amore della sua vita, morto da molti anni. Ma spesso, ricorda. Allora filosofeggia sulla vita, sulla morte, sul tempo che passa. E l'Alzheimer. Anne Sopie Mauffré, che conosce Regina da quando era piccola, l'ha fotografata, ha raccolto le sue parole, anche registrandole. 36 http://www.agevillage.com/actualite-1205-2-Ce-26juillet-2008-Regine-a-fete-ses-98-ans-au-bord-dubassin-de-la-Villette.html (in Francese) Louise “La Signora D. ha 88 anni, abita sola in un appartamento a Parigi. Valerie Villieu, di professione infermiera, qualche anno fa si è recata a casa della Signora D. per curarla. La Signora D. viveva sola e aveva la malattia di Alzheimer. Lo stato di abbandono in cui si trovava l’appartamento echeggiava stranamente lo stato della mente della Signora D., pieno di buchi, vuote, rotture. Ogni stanza, ogni oggetto aveva subito i danni della sua deriva solitaria: disordinati, rotti, rovinati, incompleti, parlavano tuttavia in modo intimo di ciò che era stata questa donna, del suo gusto per l’arredamento, per la sartoria. Durante una delle sue visite a domicilio, Valerie trova per caso, celate nella confusione della casa, nove piccole agende, che le hanno fatto conoscere 34 anni della vita della Signora D. Niente di profondo o particolarmente intimo, solamente delle note su abiti da ritirare in lavanderia, nomi di cantanti che amava, misure per realizzare i suoi lavori di sartoria. E poi, nel corso del tempo, le 37 informazioni sulle agende si fanno più rarefatte, la scrittura diviene più incerta, e alcune note mostrano la comparsa di problemi di memoria. La solitudine è estrema, la volontà di attaccarsi alla realtà percepibile. La lettura di questi quaderni ha convinto Valerie, che è anche un’ottima fotografa, a mettere in luce la storia di questa donna, della sofferenza che questa malattia genera. Vi è anche un altro scopo, quello di comunicare cosa significa la presa in carico di queste persone, di modo che sia più umana, più adattata ai bisogni, e sempre all’ascolto della persona.” Questa storia e l’opera fotografica e narrativa che ne è nata (che purtroppo non è più disponibile in Internet) ci ha commosso ed emozionato moltissimo. Ancora immagini Ancora su foto, video, registrazioni: un esempio molto rispettoso di una narrazione per immagini di un rapporto padre fi g l i o . http://www.dayswithmyfather.com/ Avere l’afasia può complicare le cose Avere l'afasia può complicare la situazione per tutti, specie se non si dispone di strumenti di comunicazione efficaci (rampe di comunicazione). A 38 website can be helpful: www.afasia.it (Italian and English) Fotografare o ritrarre persone con demenza, quale etica? Per le nostre riflessioni siamo partiti dal libro di Annie Leibovitz “A photographer’s Life”, dal momento che Annie Leibovitz ha fotografato Susan Sontag nel periodo della malattia e sul letto di morte. Tom Kitwood e la “Psicologia Sociale Maligna” Psicologia sociale “maligna" è l’espressione coniata da Tom Kitwood negli anni '90 per classificare «tutte quelle interazioni svalutanti e stigmatizzanti nelle relazioni di cura, che possono minare le necessità psicologiche, o addirittura l’identità profonda, delle persone». Pur generalmente riconosciute come non intenzionali, esse sono assai comuni, costituendo di fatto un aspetto incontroverso, anzi spesso perfettamente accettato, della cultura assistenziale, nonostante i danni profondi che esercita sul contesto di cura. Ciò emerge con particolare forza con chi ha difficoltà a seguire i contenuti verbali, come ad esempio le persone che vivono con la demenza: esse elaborano molti di tali messaggi a livelli non-verbali, avvertendo quindi chiaramente la generale negatività dell’atmosfera che le circonda. 39 Assistenza notturna Assistenza notturna per persone con demenza che hanno difficoltà a dormire. (All-Night Care for Dementia's Restless Minds). Una casa di riposo nel Bronx” (e HebrewHome at Riverdale http://www.hebrewhome.org/index.asp?p=3 ) offre un servizio di centro notturno (dal tramonto all’alba) per aiutare a passare al meglio le ore notturne quando non si riesce a dormire. http://www.nytimes.com/2009/06/14/nyregion/14co ver.html?emc=eta1 * * * Per riassumere, durante il primo seminario i partner di SG hanno familiarizzato con il modello dei circoli di studio e con i risultati di un precedente circolo di studio su un tema attinente. Dopo che nel primo seminario Studio Taf ha mostrato i link raccolti nel Circolo di Studio pilota, i Partner di “Sandwich generation” hanno avuto la possibilità di iniziare il loro percorso partendo da una esperienza già testata e con un bagaglio iniziale di link e riferimenti internazionali già dichiarati utili e interessanti da un gruppo di persone che vivono in prima persona il problema dell’assistenza ad anziani fragili. 40 Secondo seminario: argomenti principali Sulla base dei lavori emersi nel primo periodo di lavoro, durante il secondo seminario Studio Taf ha suggerito quattro macro-temi da analizzare nei circoli di studio: 1) bisogni di apprendimento specifici dei caregiver 2) bisogni specifici, in relazione ai caregiver professionisti o no, delle persone anziane che vivono in case di riposo (o simili), 3) buone pratiche a livello internazionale: strategie per comunicare con persone anziane con disordini comunicativi, 4) buone prassi a livello internazionale su come organizzare l’ambiente per facilitare le condizioni di vita delle persone anziane, degli operatori e dei familiari. Inoltre, Studio Taf ha selezionato4 alcuni commenti che illustrano la varietà di emozioni collegate all’assistenza alla persona anziana fragile, in particolare di chi vive con la demenza o con l’Alzheimer. 4 Testi tratti da: Caring for a Person with Alzheimer’s Disease. Your Easy-to-Use Guide from the National Institute on Aging. U.S. DEPARTMENT OF HEALTH AND HUMAN SERVICES. National Institutes of Health - National Institute on Aging NIH Publication Number: 09-6173 May 2009 41 I commenti selezionati hanno tutti qualcosa in commune: includono delle considerazioni positive, pur senza negare gli aspetti difficili legati al prendersi cura nel quotidiano di persone che hanno molte necessità. Ogni commento ha costituito il punto di avvio di una discussione fra i partecipanti al seminario e, in seguito, all’interno dei Circoli di Studio. Coping “Cerco di imparare e mi occupo di ciò che riesco a fare, lavoro duro. Ma, delle cose che non sono in grado di fare, non mi preoccupo” Kathleen K. Adattamento “Sento già i comenti: ‘Non c’è niente da ridere quando sei un caregiver’. Beh è quello che pensavo anche io tre anni fa. Ho pianto per un anno e più ho preso 10 chili per la preoccupazione che mi faceva mangiare in continuazione – sapete com’è. Ho pianto ancora e andava avanti sempre così. Poi —non so come o quando—ho cominciato a vedere che la vita continua! E ho cominciato a realizzare che non dovevo fare la lavatrice sempre nello stesso giorno tutte le settimane, che i generi alimentari erano sempre lì nel negozio anche se ci andavo il giorno dopo, la casa non deve essere ‘esattamente così’, e che non è necessario mangiare alla stessa ora tutti i 42 giorni….Questa nuova prospettiva mi ha aiutato ad essere meno stressata, e ho cominciato a vedere le cose molto diversamente - le piccole cose non erano più GRANDI. E la vita è continuata…” Mary W. Rabbia “Certo che mi arrabbio. Ma mi arrabbiavo anche prima che Jane si ammalasse. Penso faccia parte del fatto di essere umani. Mi concedo un po’i tempo per sentirmi arrabbiato, e poi ci passo sopra” Un uomo che si è preso cura della propria moglie per 15 anni Ottenere aiuto “Ero in piedi al supermercato, esausta, cercando di ricordare per cosa ci ero andata. Ho guardato nel carrello e tutto quello che c’era erano pannoloni per mia madre e per il mio nipotino Tim che ha due anni. Erano la sola cosa che mi era venuta in mente. Avevo domandato a una vicina di stare con mia madre e con Tim perché in casa mancavano un sacco di cose ed eccomi là, non mi ricordavo niente altro di ciò che dovevo comprare. È stato questo semplice ‘incidente’ che mi ha forzato a chiedere aiuto. Da quasi un anno vivevo in uno stato di semi trance cercando di fare tutto da sola. Ho 43 dovuto accettare il fatto che questa situazione non era più sicura né per mia madre, né per Tim, né per me” E. W. Amore “”persino io mi stupisco di come posso sedergli accanto tutti i giorni mettendo cassette audio nel registratore, leggendoli brani di notizie dal giornale, tenendogli la mano, dirgli che lo amo. Eppure io sono contenta quando sono con lui, anche se soffro per aver perso il suo sorriso, il suono del mio nome sulle sue labbra.” Mrs. C. Le ricompense “Mi ha dato così tanto per tutta la mia vita, e ora può solo prendere. E ciò nonostante la sua presenza, ora come sempre, mi dà conforto. Ora sono io che do a lui in ogni modo possibile. Ho capito che il mio dare a lui è il risultato del suo aver dato a me: sostegno emotivo, amore, consigli spirituali, saggezza, consigli, e tutto ciò di cui una figlia ha bisogno nel diventare una giovane donna.” Phyllis I. 44 Abusi verbali “Mia mamma mi insulta tutti i giorni, in genere in pubblico e in genere ad alta voce. Posso dire di essere bel oltre il punto in cui ci si sente solo mortificati. Ma non c’è niente da fare, se non accettare di buon umore. Certamente non sono arrivata a questa conclusione semplicemente o velocemente. Le persone del mio gruppo di sostegno mi dicono che questa fare probabilmente un giorno finirà” Lucille Piccoli piaceri “Piccole cose, come un fiore che sboccia in un posto che non ti aspettavi, un pane casalingo riuscito alla perfezione, ed anche cose che non sono perfette ma sono sempre meravigliose… sono tutte cose cui ho imparato a prestare attenzione e ad apprezzare. Trovare la bellezza mi aiuta a gestire il dolore.” Una donna di 88 anni il cui figlio vive con l’Alzheimer Terzo seminario: argomenti specifi ficci Infine, nell’ultimo seminario i partner hanno identificato gli argomenti principali da affrontare in 45 futuri percorsi di apprendimento che facciano ricorso ad Internet ed al Web 2.0: • Saperne di più sulla condizione di fragilità dell’anziano • Capire come l’Alzheimer o altri problemi cognitivi possono influenzare una persona • Capire come gestire al meglio i cambiamenti causati dai problemi cognitivi • Aiutare gli altri membri della famiglia e gli amici a capire i problemi cognitivi • Pianificare il futuro • Rendere la casa più sicura per una persona anziana fragile • Gestire le attività della vita quotidiana: mangiare, vestirsi, la cura di sé • Prendersi cura di se stessi • Farsi aiutare nell’attività di caregiver • Cercare risorse che ci possono aiutare: siti web, gruppi di supporto, servizipubblici, programmi diurni • Scegliere una casa di riposo (o residenza sanitaria assistita o protetta) per una persona anziana 46 Conclusioni Il resoconto di quanto avvenuto nei circoli organizzati in Italia, Inghilterra e Lituania ha confermato l’utilità di questo modello per favorire i percorsi di apprendimento non formali dei caregiver. Si tratta di un modello che lascia molta libertà all’organizzazione del singolo circolo, ma offre allo stesso tempo una “struttura” organizzativa che può essere di guida e che aiuta ad evitare di disperdere gli sforzi. Il web 2.0 evolve continuamente, pertanto ci apprestiamo a studiare e testare nuovi modelli, che possano integrare alle modalità di interazione in presenza tipiche dei circoli di studio altre possibilità che permettano lo scambio di informazioni e conoscenze anche a chi vive in città o nazioni diverse e non ha disponibilità di orario in momenti tradizionalmente dedicati ad incontri in presenza. 47 48 Modello sociale della disabilità Rita Bencivenga È esperienza comune che sentir parlare in modo negativo di una condizione amplifichi gli aspetti di negazione e la sofferenza ad essa legate. Negli anni ’60 gli ideatori del “modello sociale della disabilità”, tutte persone con disabilità motorie, hanno iniziato a dire che le persone "normali" imponevano una visione negativa del corpo disabile, visione che le stesse persone disabili non condividevano, ma poiché il potere di raccontare e descrivere la disabilità era nelle mani degli "abili", agli altri, legittimi proprietari dell'esperienza, non restava che vedersi costantemente dipinti come "esseri menomati". Per anni ho parlato del modello sociale della disabilità nelle mie lezioni, a convegni, nei miei scritti. Un modello che ci dice che siamo noi, la società, a creare la disabilità e non la menomazione e la malattia,. Credevo a quello che dicevo e ci credo tutt'ora, con le sfumature legate all'evoluzione che questo modello ha avuto negli ultimi anni, soprattutto grazie all'influenza del pensiero femminile. Ma io non vivevo sulla mia pelle la disabilità o la menomazione. Poi, a un certo punto, nel percorso che io e la mia famiglia compivamo con un nostro 49 familiare con demenza multi infartuale, nelle nostre interazioni con i parenti, gli amici, il servizio sanitario nazionale, con gli infermieri e gli assistenti della casa di riposo, all'improvviso ho davvero capito cosa vuol dire che è la società a creare la disabilità. Un giorno ho scritto due liste: - in una ho elencato i problemi e la sofferenza e i disagi legati alle condizioni fisiche e mentali del nostro parente; - nell'altra ho elencato i problemi e la sofferenza e i disagi legati alla burocrazia ottusa, al personale (sanitario e non) spesso poco preparato, a un'organizzazione dei servizi sociosanitari modellata sulle esigenze dei lavoratori e non degli assistiti, alle informazioni multiple e contrastanti su qualsiasi argomento, alle soluzioni che arrivano sempre un momento dopo quello in cui abbiamo finalmente risolto il problema in qualche modo e ne stiamo fronteggiando uno nuovo, all'atteggiamento dei parenti e amici che ci dicevano « no, non lo vengo a trovare perché preferisco ricordarlo come era » (“I am still here” - Sono ancora qui - non a caso è il titolo di un libro di John Zeisel, autore di cui si parla nel secondo articolo di questa newsletter), o davano per scontato che noi non avessimo più bisogno di niente, incluso sostegno e comprensione, una volta che il 50 nostro caro era stata affidato alle cure di un centro specializzato. Ho confrontato le due liste, e il modello sociale della disabilità era tutto lì. Siamo ancora qui, tutti noi, finché respiriamo. In modi molto diversi, certamente, e talvolta reciprocamente incomprensibili. Ma se non lasciamo spazio alla possibilità di guardare le cose in modo diverso, sarà molto difficile organizzare modelli di assistenza e sostegno che rispecchino le reali esperienze di vita delle persone. E io credo che questa possibilità si apra solo se tutti coloro che sono coinvolti in queste situazioni accetteranno di partecipano attivamente, i professionisti ma anche e soprattutto le persone che vivono con la demenza e con l'Alzheimer, sperimentandola direttamente nel proprio corpo o nella propria vita quotidiana. 51 52 Identità in evoluzione Rita Bencivenga A che età poniamo il limite oltre il quale non siamo più noi? Io non sono la stessa persona che ero venti anni fa. So che cambierò ancora, sento che sto cambiando. Dove vorrei porre un limite per me, oltre il quale dire “Non cercatemi più, non venitemi più a trovare, ricordatemi come ero?”. Al momento non vedo questo limite. Ascolto persone sicure di sé nel dire quale è il loro limite, ma io non sarei in grado di porlo. Teresa è una ospite della casa di riposo dove vive mia madre. Ci siamo conosciute così, lei seduta in carrozzina davanti a un tavolo, io che aspettavo che finissero di fare la doccia a mia madre. Teresa non sa come mi chiamo, vive in un suo passato in cui io ero a stento nata, non abbiamo alcun punto di contatto in relazione a nessuna cosa, ma ci facciamo ogni tanto delle gran risate, scatenate da uno sguardo o da uno sbuffo complice, o semplicemente delle belle straparlate, e stiamo bene tutte e due. Lei ha sempre da ridire su tutto, a suo modo, su chi passa, su chi sosta un po’ nella stanza, su chi porta il cibo, su chi si affaccia e va.... e io le dico, “Teresa, lei non fa mai prigionieri, solo colpi alla nuca, vero?” E 53 giù a ridere tutte e due. Perché? Non per quello che ha detto lei, che io non ho capito, perché spesso sono frasi senza senso ma anche perché parla in genovese, dialetto che non capisco, anche se sono certa che era il solito “mugugno”, e neppure per quello che ho detto io, in italiano e troppo astratto per lei. Quelli fra i suoi parenti che non vengono a trovarla da anni perché oramai non riconosce più nessuno, e quindi “che senso ha andare a trovarla, tanto non mi riconosce neanche”, che immagine hanno di lei? Non vanno da lei perché lei non li riconoscerebbe, non vanno da lei perché non la riconoscono più. Ma nella nostra vita abbiamo contatti solo con chi ci conosce già? Pensiamo che avremo contatti solo con persone che ci conoscevano già prima di frequentarci? Perché per queste persone sembra impossibile pensare di andare a conoscere una nuova Teresa, o meglio, una delle possibili evoluzioni della Teresa che hanno frequentato per qualche anno, dieci, venti, magari anche trenta, ma sempre solo una parte dei novanta anni che ha già vissuto. Non so bene se mia madre mi riconosce. Ma questa è mia madre, ora. Non è più quella che era un tempo, certo, me un tempo quando? Quando aveva trent’anni era certamente diversa da ora, anche se io non posso saperlo, visto che sono nata quando ne aveva trentadue. A cinquanta, negli anni in cui sono 54 andata a vivere fuori casa e la vedevo una volta ogni due mesi, cosa pensava, cosa diceva? Chissà come era a sedici anni. 55 Manuale di aiuto Pietro Vigorelli5 parla di disidentità. Ci dice che è necessario prendere atto di quello che la persona è e che dobbiamo rinunciare all’idea che il malato sia quello che noi vorremmo che sia. Del resto ognuno di noi, in momenti diversi, si trasforma, si sdoppia, si triplica. Dobbiamo smettere di pensare ad un io unico e immutabile, e cominciare a pensare ad un io istantaneo, discontinuo e mutevole. Ed ecco una possibile lettura molto tranquillizzante: Quando parliamo con una paziente che in un momento ci tratta come mamma e in un altro ci tratta come figlia, quella paziente sta vivendo due sé disidentici in due momenti successivi in cui è a sua volta prima figlia e poi mamma. p.107 E, più avanti: Le identità molteplici non riguardano solo i malati Alzheimer, ma riguardano tutti noi. …La differenza sta nel fatto che nella vita quotidiana tutti noi abbiamo 1Vigorelli, Pietro. Alzheimer senza paura. Manuale di aiuto per i familiari: perché parlare, come parlare. Rizzoli ed. 5 56 una certa libertà di scelta su quale identità adottare, per il malato Alzheimer è diverso. Il malato, infatti, passa da un’identità all’altra senza accorgersene e l’identità del momento è determinata da fattori interni (la storia della sua vita, la malattia) e da fattori esterni (le influenze dell’ambiente) di cui non è per nulla consapevole. p.109 57 S c a m b i d i c o n o s c e n ze o n l i n e : i l progetto ELSA e il web 2.0 Alessandra Tinti6 Il partenariato Sandwich Generation, così come il progetto ELSA, Empowering Lives, Supporting Affectivity, rispondono alla sfida educativa di una popolazione che sta invecchiando in Europa e ha bisogno di fare percorsi di conoscenza rispetto ad un problema significativo (la fragilità di una quota di popolazione destinata ad aumentare rispetto ad una popolazione giovane che è invece in numero assai ridotto, e dunque facilmente vittima di unsovraccarico di responsabilità e impegni assistenziali) Sandwich Generation nasce da un circolo di studio costituitosi a Genova, tra un gruppo di caregiver di anziani fragili, e ha promosso Circoli di Studio a livello internazionale, mentre ELSA, rappresenta il tentativo di mescolare contributi di esperti a storie personali, esperienze di caregiver attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie e i social network e quindi attivare uno scambio di saperi a più livelli. 6 (relazione presentata al convegno Sandwich Generation and Intergenerational Caring, Ravenna, 11 Giugno 2011) 58 In entrambi i casi, il tema di discussione non è solo la gestione della fragilità dell’essere umano anziano, la cura intesa come modo di far fronte al disagio nella sua materialità, ma più in generale il concetto di trasferimento di conoscenza, di community empowerment, di rapporto con i servizi. Cura, salute, malattia sono le idee cardine sulle quali si organizzano nella nostra società i sistemi socio sanitari, disciplinari e formativi, ed in ultima analisi la stessa rappresentazione sociale della sofferenza e della caducità umana. Per ragionare dell’idea di cura dobbiamo dunque ragionare delle idee di malattia ma anche di salute e innanzitutto del fatto che stiamo parlando di idee che richiedono un approfondimento di consapevolezza, rappresentazioni mentali con cui noi organizziamo il mondo della nostra esperienza ed in particolare dell’esperienza del dolore e della fragilità dell’umano Appartengono alla conoscenza come costruzioni mentali, socialmente condivise, e solo come tali sono oggetto di conoscenza. "Dove sta lo spessore autentico del dolore, la sua verità? Esiste poi una verità del dolore, nel momento in cui solleva il sospetto su ogni verità? Tutto questo é da chiarire per intendere il vissuto della sofferenza, molto meno chiara nella sua dinamica, di quanto a prima vista potrebbe sembrare. Forse noi disponiamo solamente 59 di una frammentata sintomatologia, forse disperdendoci tra i sintomi, noi moderni e scienziati, esorcizziamo come possiamo il dolore.” (Natoli, 1986) Quindi abbandoniamo l’idea di una conoscenza che rispecchia una realtà oggettiva. Quello che abbiamo cercato nei Circoli di Studio di Sandwich Generation e nei lavori prodotti in ELSA7 non era la verità assoluta su come si fa fronte ad una situazione di “progressiva” riduzione della performatività, dell’autonomia, della salute...ma una verità vivibile, biocompatibile, che si adatti al mondo in cui viviamo e alla nostra esperienza. Nessun sapere può considerarsi valido in via esclusiva, esistono più verità: ogni soluzione non è mai l’unica. E ancora, i circoli di studio, ma anche i gruppi di lavoro di ELSA ci hanno fatto capire che i problemi e le relative soluzioni non emergono sulla base della semplice osservazione: noi troviamo a volte delle risposte ai problemi non tanto grazie a quanto ci sta davanti, ma grazie a ciò che abbiamo dietro le spalle. Ci portiamo dietro linguaggi che danno un senso al nostro sguardo, vocabolari per descrivere e spiegare ciò che stiamo osservando. Tutti i materiali e prodotti del progetto ELSA sono disponibili gratuitamente online sul sito web: www.elsacare.eu 7 60 Ma se è vero che siamo limitati dai nostri linguaggi, è anche vero che abbiamo il potere di modificare le descrizioni di ciò che accade intorno a noi. Dunque se vogliamo operare per il cambiamento sociale, per esempio in relazione al modo in cui la persona con demenza è vissuta dal gruppo sociale dobbiamo usare linguaggi condivisi e al contempo cercare di trasformarli: ma questa trasformazione non può essere attivata dalla volontà individuale, da un esperto (o un servizio) che tutto vede e tutto conosce. La trasformazione è intrinsecamente relazionale, e m e r g e d a u n a m i r i a d e d i c o o rd i n a z i o n i interpersonali. Da una contaminazione cui tutti dobbiamo collaborare lavorando su noi stessi e l’adesione a questa chiamata non è scontata, dal momento che molti di noi mostrano riluttanza a lavorare su di sé, adducendo il motivo che è l’Altro ad essere malato mentre noi siamo i “sani” (aggiungerei i “temporaneamente sani”)... Ma cosa vuol dire lavorare su di sé? Sembra quasi assurdo, parliamo di persone già oberate di impegni e sfatti di fatica, che cercano soluzioni e risorse e io aggiungo che questi devono oltretutto lavorare su di sé? Certo, è vero, ci vorrebbero aiuti per le famiglie, che garantiscano i famosi momenti di respite, oppure sportelli consulenziali che non diano solo piani 61 terapeutici ma spiegazioni di ciò che avviene e avverrà, spiegazioni che però non siano all’insegna del modello di “tragedia personale” cui siamo abituati, che è fortemente demotivante e paralizzante. Ma non si può rivendicare e basta. Bisogna fare la propria parte se possiibile senza subirla. Lavorare su di sé significa sforzarsi di pensare fuori dalla cornice, per trovare una via di accesso all’altro che mostrandomi la sua fragilità mette in discussione tutto il suo mondo. Significa muoversi nella indeterminatezza. Consci che siamo anche noi a determinare il sistema, ad esempio disegnando una società ipercognitiva in cui non riesce a trovar e accoglienza una persona la cui mente si sta piano piano spegnendo. Penso alle terapie di “riorientamento” per l’anziano,ppure banalmente al nostro linguaggio quotidiano e a come ci riesca difficile rivolgerci a qualcuno senza impostare la conversazione ponendo una serie di domande anche quando è evidente che l’altro non ha i mezzi per rispondere. E allora che fare? Beh, prima di tutto riconoscere la crescente difficoltà della nostra società a gestire la fragilità “fisiologica”dell’umano e capire che il modello della Medicina storica occidentale orientata a riparare il danno causato dalla malattia e a sostituirsi alla persona nel controllo della salute, piuttosto che alla 62 promozione della salute attraverso l’attivazione di ogni persona e ogni famiglia, fa acqua da tutte le parti. Non esiste il padre buono cui affidarsi interamente. Siamo noi il corpo sociale che può essere accogliente o inospitale. Nella logica dei servizi italiani, ancora così medicalizzati, l’organizzazione del fare è finalizzata ad un obiettivo di cambiamento che dovrebbe derivare tout court dalla diagnosi: la psiche “fragile” ad esempio di una persona con demenza viene indagata come oggetto come se poi fosse possibile curarla o ridurne l’imprevedibilità. Ma l’essere umano ha sua “natura” poco docile ai nostri tentativi di cambiamento. Di fronte ad una persona la cui mente appare così diversa dalla nostra, siamo necessariamente in un contesto di esplorazione, in cui non vi sono procedure standard né protocolli utilizzabili; siamo in presenza dell’unicità e singolarità dell’evento, di cui anche noi facciamo parte, e nel quale anche noi ci trasformiamo. Io sono una riabilitatrice: noi professionisti “della salute” siamo considerati esperti che risolvono problemi applicando nella pratica teorie e tecniche prodotte in campo scientifico. In una situazione concreta, generalmente pensiamo di operare con rigore se seguiamo il modello della razionalità tecnica, ma a volte di fronte a situazioni aggrovigliate, 63 caratterizzate da incertezza, disordine e indeterminatezza, i nostri schemi di partenza sono inadeguati. Ci troviamo di fronte al dilemma tra rigore e pertinenza, e in situazioni del genere si dice che i professionisti migliori sono quelli che non seguono il modello della razionalità tecnica, ma sviluppano processi cognitivi basati sull'intuizione e sulla creatività. Lo stesso,io credo,viveognuno di noi nella relazione con un anziano fragile. Riflessione e azione si combinano e ognuno di noi si comporta come un agente-sperimentatore. Ecco, i prodotti di ELSA sono in parte, il risultato di sperimentazioni di figli, figlie, operatori, operatrici, professionisti: persone che in questi due anni hanno cercato di riflettere in modo continuativo rispetto alla adeguatezza del proprio comportamento nel fornire assistenza ed avere maggiore consapevolezza rispetto alle proprie routine comportamentali. Sono riflessioni che coinvolgono totalmente, quindi sappiamo bene che non possono essere insegnate come un oggetto di apprendimento, ed infatti la nostra idea era uella di creare contesti entro i quali il caregiver potesse prendere contatto con aspetti di sé e dell’altro che normalmente vive in modo stereotipato. Un allenamento alla pratica riflessiva, fatto con altri, 64 attraverso l’esperienza di altri. Con la riflessione rinnoviamo continuamente la relazione di cura che nel ripetersi quotidiano delle azioni potrebbe smarrirsi. Ci siamo dunque interrogati, ( ancora lo stiamo facendo nuovi prodotti vengono messi online continuamente sul sito web del progetto ELSA) su questioni tipo “le contenzioni”, come dare senso ad una visita presso il proprio caro ospite in una RSA, come garantirgli il diritto a ricevere le cure di fine vita, fino ad aspetti molto materiali come proteggere la nostraschiena, come aiutare a fare le scale, come toccare l’altro senza fargli male... Il contesto di cura (ma sarebbe meglio parlare di assistenza, nel suo significato orginale, ad-sistere, stare vicino alla persona che si trova in uno stato di bisogno) è contesto di esplorazione, ovvero di apprendimento/cambiamento e gli effetti terapeutici sono legati alle stesse attività nel loro svolgersi e non sono un loro prodotto finale. É l’occuparsi dell’altro che cura e che produce effetti utili, il prendersene cura anche nelle dimensioni più materiali della sua esistenza, aiutandolo quando non è piùin grado di farlo da solo, a nutrirsi, a lavarsi, a muoversi, a comunicare. 65 Eco che allora il sapere di chi lo ha fatto prima di noi diventa fondamentale, attingere a quel sapere e non andare in cerca solo di ricette e prescrizioni tecniche. Non esistono procedure da eseguire, né oggetti da manipolare. Ciò di cui abbiamo bisogno dunque è capacità di improvvisazione, capacità di adattamento al cambiamento che il processo stesso produce. “Esplorare significa possedere una sensibilità alla novità, che consiste nella capacità di sospendere misurazione e classificazione. La novità può apparire solo quando gli schemi concettuali possono essere messi da parte, solo allora è possibile rinvenire nuove caratteristiche dei fenomeni studiati.” (Goudsmit, 1992). Se di tecniche si può parlare, allora esse sono importanti solo nella misura in cui esse “mancano il punto attorno al quale ruota lo sforzo terapeutico” (Goudsmit, 1992). Noi non possiamo rendere l’Altro di nuovo capace di parlare, di ragionare con noi, di non urlare, di mangiare per bene. Possiamo accedere all’altro solo attraverso la via dell’accesso a noi stessi, costruendo una storia comune, sempre diversa, in quest’interfaccia che non è né dentro il caregiver, né dentro la persona, una storia comune nuova e unica in cui tutti, possono trovare il tempo e le condizioni per il proprio cambiamento. 66 Alcune delle testimonianze di ELSA ci hanno suggerito come anche nelle situazioni piùpesanti dell’assistenza ad un anziano fragile sipossa percepire come una specie di senso di benessere ed, in presenza di tale sensazione, essere intraprendenti, aperti alla conoscenza, “imentichi di noi e quasi non avvertire neppure gli sforzi: questa è salute” (Gadamer, 1994). Ma collocare questa salute in una dimensione collettiva e processuale, sarebbe impossibile in assenza di un processo di restituzione delle competenze alle persone e alle comunità locali. La cura medicalizzata deve fare un passo indietro, e mettere al centro la persona e la famiglia non come soggetti assistenziali ma come soggetti cognitivi; la nuova medicina deve pensarsi non come un autonomo apparato disciplinare, ma come luogo di incontro tra molti saperi e tra molte persone; bisogna operare un passaggio dalla interdisciplinarietà all’indisciplina, ovvero alla rottura dei confini disciplinari per contenere realtà umane, culturali e naturali che i nostri sistemi di pensiero non possono contenere, né esaurire. I nostri strumenti metodologici e tecnici sono succedanei ed effimeri e spesso servono più a noi che alle persone di cui ci prendiamo cura, infatti: "La storia naturale della malattia non incontra modelli e tecniche, ma incontra storie naturali di servizi, ossia 67 costellazioni di condotte che sono la risultante di variabili connesse al paziente, alla sua famiglia, al servizio e alla sua organizzazione." (Saraceno, 1995) Restituire competenze significa mettere al centro non la clinica, non lo psicologo, non il conduttore di gruppi ma la persona e la famiglia, partire dalle loro competenze sociali; per fare questo abbiamo bisogno di un pensiero nomade che esca dalle Università e dai Servizi e che insieme costruisca un’idea di salute vivibile. Noi abbiamo cercato di far circolare questo pensiero nomade e adesso sono nati centinaia di documenti e video in quattro lingue sul sito di ELSA che parlano questo linguaggio. Sandwich Generation edELSA sono entrambi progetti che permettono ad ognuno di noi di assumersi responsabilità, nel riconoscimento di un destino comune. fiaa Bibliografi Gadamer HG, Dove si nasconde la salute, Cortina Editore, Milano, 1994 Goudsmit A., Psicoterapia e tecnologia, in Evoluzione e Conoscenza, Lubrina Editore, Bergamo, 1992 Natoli. S., L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella culturaoccidentale, Feltrinelli, Milano 1986. 68 Saraceno B., La fine dell’intrattenimento, Etas Libri, Milano, 1995 Tognetti M. (a cura di) Promuovere i gruppi di selfhelp. Franco Angeli ed. 1995 69 Risorse utili Segnaliamo i siti web di progetti rivolti a familiari, caregiver professionali, enti di formazione ed enti pubblici, che affrontano temi legati all’assistenza di persone anziane fragili (con materiale in italiano): Sandwich Generation and Intergenerational Caring http://sandwichgenerationlp.wordpress.com/ Al.Tr.A. Alternative Training Approach in the care of frail elderly http://llpaltra.wordpress.com/ ELSA Empowering Lives, Supporting Affectivity http://www.elsacare.eu LAMP language training needs of migrants who work as caregivers http://projectlamp.wordpress.com/ LENEMI LEarning NEeds of MIgrants caregivers of elderly people http://lenemi.wordpress.com/ 70 71 Contents Prefazione........................................................7 L’Empowerment dei caregiver familiari......10 I Circoli di Studio secondo il modello Genovese..........................................................12 Generazione Sandwich: il circolo di studio pilota................................................................16 Primo seminario: i risultati del circolo di studio pilota.....................................................30 Secondo seminario: argomenti principali.....41 Terzo seminario: argomenti specifici............45 Conclusioni......................................................47 Modello sociale della disabilità.....................49 Identità in evoluzione....................................53 Manuale di aiuto...........................................56 Scambi di conoscenze online: il progetto ELSA e il web 2.0..........................................58 Risorse utili....................................................70 72 PA Sandwich Generation and Intergenerational Caring 2009- 2011 Stampato nel mese di giugno 2011 73