90[[ETTINU'SALESIANO ORGANO DEI COOPERATORI SALESIANI ANNO XCIV • N. 17 • 1° SETTEMBRE 1970 Spediz . i n abbon . post. - Gruppo 2- (70) - 1 ° quindicina I N QUESTO NUMERO La voce del Cielo è al Pastore dei pastori l 75 anni del Venezuela salesiano La sterzata salesiana in America Latina ll Rettor Maggiore nell'America Latina Congresso mondiale Exallievi Don Bosco (1870-1970) Perché non è sorta la chiesa di Mika washima a Tokyo Invece della « fiesta », una scuola per i poveri 142 topolini all'Isola del Ratón Nelle terre vergini dell'Alto Orinoco (3a puntata) Conosciamo poco la Corea I N COPERTINA Asia del Ratón (Alto Orinoco - Venezuela). «Hanno un cortile pieno di verde e di pappagalli variopinti, grossi come galline o piccoli come passeri, che si lasciano prendere come gattini e sono compagni di gioco» (servizio a pagina 20). CARACAS (Venezuela) - TEMPIO NAZIONALE A S. GIOVANNI BOSCO Sorge al largo dell'eAvenida S. Juan Bosco». Di fronte al Tempio si estende la piazza dedicata al Santo. Moderno, sobrio, funzionale, questo Tempio è omaggio delle tre Famiglie Salesiane con i loro allievi, exallievi e amici al Padre e Maestro della gioventù, nel 75° dei Salesiani nel Venezuela. Vi hanno lavorato artisti venezuelani, spagnoli, italiani. La nuova Liturgia celebra continuamente il trionfo di Gesù Cristo risorto; è giusto che vi si associ il trionfo della Chiesa, sua sposa, sempre intenta a liberarsi da ogni scoria mondana, per apparire, come dice San Paolo, « tutta splendente, senza macchia o ruga... ma santa e immacolata» (Efes., 5, 27). Don Bosco lo previde più di un secolo fa. La voce del Cielo è all~astor~e dei Pastori 1870: l'anno della grande svolta storica, religiosa e politica. Lo caratterizzano tre avvenimenti importantissimi: il Concilio Vaticano I, la guerra franco-tedesca • la caduta del potere temporale dei Papi, con la conseguente promozione di Roma a capitale d'Italia. Succedutisi nel giro di quindici mesi, questi fatti influirono fortemente sulla storia dell'ultima parte del secolo XIX e di mplti decenni nel ventesimo. Don Bosco li previde o vi prese parte indiretta. Il 5 gennaio 1870, in una visione profetica, gli si squarciò il velo del futuro; gli fu quindi possibile parlare dei tre avvenimenti con la sicurezza di chi li ha visti svolgersi sotto i propri occhi. 1l Concilio Vaticano 1 Anzitutto il Concilio Vaticano, aperto un mese prima, l'8 dicembre 1869. Nella storia della Chiesa ha avuto un'importanza primaria, e il suo influsso si fece sentire per quasi un secolo, fino al Vaticano II, che di esso - come ha affermato Paolo VI il 4 dicembre 1963 - è « naturale continuazione e complemento ». Fin dall'inizio, l'attenzione dei Padri fu polarizzata dalla proposta di definizione dell'infallibilità del Papa: caldeggiata da una larga maggioranza di vescovi, ma osteggiata da una agguerrita minoranza che la diceva inopportuna, data l'avversione degli Stati e governi, e che agitava fantasmi di reazioni • di scismi, qualora venisse definita. Don Bosco, informato della cosa, credette bene di portarsi a Roma. Vi giunse alla fine di gennaio, e cominciò subito un lavoro estenuante di accostamento dei Padri favorevoli per animarli a resistere, • di vescovi contrari o incerti, per attirarli alla tesi infallibilista. In colloqui con singoli e con gruppi, egli smantellava le obiezioni che gli venivano fatte: in tal modo esercitò un influsso sensibilissimo, perché quanti trattavano con lui, se ne partivano decisi a sostenere la tesi dell'infallibilità. Il 12 febbraio ebbe udienza dal Papa, che gli parlò ampiamente delle cose del Concilio. Allora Don Bosco ritenne opportuno presentargli la parte della visione avuta, che ne trattava con precisione fotografica. « La voce del cielo - vi si diceva - è al Pastore dei pastori. Tu sei nella grande conferenza coi tuoi assessori; ma il nemico del bene non istà un istante in quiete; egli studia e pratica tutte le arti contro di te. Seminerà la discordia fra i tuoi assessori; susciterà nemici fra i figli miei. Le potenze del secolo vomiteranno fuoco e vorrebbero che le parole fossero soffocate nella gola ai custodi della mia legge... Tu accelera; se non si sciolgono, le difficoltà siano troncate... ». La situazione politica europea si faceva ogni giorno più precaria, come apparve qualche mese dopo, quando il Concilio, proprio per questo motivo, venne, sospeso. Gli sforzi di Don Bosco, uniti a quelli di quanti cercavano il vero bene della Chiesa, ottennero il loro scopo. Il 18 luglio, la definizione dogmatica dell'infallibilità pontificia veniva approvata dalla quasi totalità dei Padri presenti. 1 La guerra franco-prussiana Parve che Dio avesse tenuto sospesi gli avvenimenti fino a quel momento: poi ripresero libero corso. Proprio il giorno dopo, iq luglio, Napoleone III dichiarava guerra alla Prussia. L'esito fu ben diverso dal previsto: una nazione cattolica venne sconfitta; sorgeva all'orizzonte l'astro di una potenza che avrebbe esercitato un ruolo di primo piano nella politica mondiale di questi cent'anni. Anche questa guerra Don Bosco l'aveva prevista. « Le leggi di Francia - diceva egli nella visione profetica non riconoscono più il Creatore, • il Creatore si farà conoscere • la visiterà tre volte con la verga del suo furore (...). Nella seconda sarà privata del suo capo, in preda al disordine: (resa di Napoleone III a Sédan , il io settembre 1870). Parigi... nella terza cadrai in mano straniera (gennaio 1871). I tuoi nemici di lontano vedranno i tuoi palazzi in fiamme, le tue abitazioni divenute un mucchio di rovine»: (gli orrori della Comune, marzo-maggio 1871). La fine del potere temporale La sconfitta della Francia, che si era impegnata a difendere lo Stato pontificio, apriva la via all'occupazione di Roma da parte del Regno d'Italia. Don Bosco l'aveva previsto. « Roma! - sentì dire nella visione - Io verrò quattro volte a te ». Nella terza « abbatterò le difese • i difensori» e cesserà « il comando del Padre ». Questo avvenne il 2o settembre 1870. In quel giorno cadeva il potere temporale dei Papi. Di questa eccezionale istituzione politica e della sua lunga storia di dodici secoli si possono dare i giudizi più opposti: o di esaltazione, per aver provveduto alla indipendenza del papato dalle potenze terrene in ogni tempo bramose di asservirselo come docile strumento; o di biasimo intinto di spregio - come sogliono fare gli storici inclini alla parzialità 2 quasi sia stato, per la Chiesa e per l'Italia, una fonte inesausta di mali. Lo Stato pontificio sorse in una maniera del tutto diversa da qualunque altro: per volere di popolo, non per conquista di armi. Un'origine di altissima nobiltà. Per dodici secoli si mantenne sempre quasi negli identici confini, mentre le occasioni di allargarli erano continue: altro segno di nobiltà, escludente bramosia di potere terreno. Al potere teocratico univa gli aspetti di una democrazia, quale raramente si trova nella storia passata. Non per nulla portava il nome di « Stati pontifici*, una unione cioè di città e staterelli sotto un unico sovrano, ma con leggi e privilegi propri larghissimi. Ancora, esso - come disse Pio XI - fu quasi l'unico lembo d'Italia, rimasto sempre italiano e libero da dominio straniero. Soprattutto il suo merito si è di aver difeso l'indipendenza del Pontefice dalle pretese dei vari Cesari, succedutisi nel lungo arco di dodici secoli, in Europa. Ma ormai aveva assolto alla sua missione: era ridotto a un brandello, sostenuto per di più da armi straniere. Doveva fatalmente cadere. Don Bosco ne prevede l a caduta Negli anni roventi del Risorgimento, quando veniva imposto come un dovere del buon cittadino presentare il Papa come un usurpatore, nemico d'Italia, Don Bosco aveva difeso apertamente il potere temporale e i diritti di Pio IX sui suoi domini; ma non si nascondeva che il movimento unitario, facente capo al Piemonte, avrebbe dato il colpo di grazia a questa secolare istituzione, non più valida per i tempi moderni. Con gli intimi, anzi, non nascondeva il suo pensiero. Nell'ottobre del 1867, scrivendo a persona amica, diceva: « Stia tranquilla che avanti sia compiuta l'unità italiana (ciò sarà presto) il libro sarà ultimato*. Persino al Papa manifestava la sua persuasione. Parecchi anni prima, nel 1863, servendosi di mezzo sicuro, aveva fatto sapere a Pio IX che si preparasse a perdere i suoi domini temporali. E avrebbe desiderato che almeno i responsabili degli Ordini e Congregazioni monastiche si preparassero a salvare il salvabile, in vista dell'estensione al Lazio e a Roma, delle leggi eversive contro i religiosi. Ma come far capire queste elementari norme di prudenza a gente convinta di un intervento straordinario e miracoloso del cielo, a impedire la presa di Roma: o che, se ammetteva possibile la cosa, la riteneva passeggera,' cosicché dopo qualche mese tutto sarebbe tornato allo stato di prima? Quelle teste si erano fermate al 1849, e al ritorno di Pio IX dall'esilio di Gaeta. I n azione per la Chiesa italiana Quando gli venne comunicata la presa di Roma, Don Bosco non diede alcun segno di meraviglia. Sembrava che ne fosse già a conoscenza. l/ 18 luglio 1870 1/ Concilio della infallibilità pontificia. E non si perdette in lamentele e recriminazioni. Da uomo pratico, cercò subito di portare un rimedio ai mali che affliggevano la Chiesa in Italia. Anzi tutto, bisognava provvedere alla libertà del Papa, che la nuova situazione politica assoggettava all'autorità italiana. Né la legge delle Guarentigie migliorò la situazione perché aveva ignorato il punto capitale: il Papa era costretto ad abitare in casa non sua, in maniera precaria, affidata agli umori dei padroni, dai quali riceveva il salario, con l'obbligo di accettarne una legge, quasi fosse un suddito qualunque. Con la mentalità liberale di allora non era possibile migliorare tale condizione. Tuttavia Don Bosco prese l'iniziativa, perché tante diocesi italiane - quasi cento - non restassero più a lungo prive dei loro pastori. E riuscì nell'impresa, che sembrava inattuabile, mostrandosi abilissimo mediatore fra il Papa e il governo. Sarebbe pure riuscito a otte - Vaticano 1 approvava la definizione dogmatica nere per i vescovi le temporalità ossia il sussidio fissato per legge dopo l'incameramento dei beni ecclesiastici - ma gli intrighi della setta massonica resero vani i suoi sforzi. Il suo sogno, però, restava la conciliazione completa tra i due Poteri, che ponesse fine a un conflitto deleterio sia per la Chiesa che per l'Italia. La sospirata Conciliazione... Una situazione così anormale, con punte di acre ostilità e di tacita intesa, durò per lunghi decenni, fino al 1929, quando col trattato del Laterano, stipulato tra la Santa Sede e l'Italia, ebbe fine il doloroso dissidio. Con la creazione della Città del Vaticano, il Pontefice vide riconosciuta la sua indipendenza, mentre il Concordato offriva una salvaguardia ai diritti della Chiesa contro le pretese autoritarie, ieri, e quelle democratiche, oggi, di chi per ignoranza o avversione ne contrasta l'opera e il ministero. Parve coincidenza voluta da Dio, che tale Conciliazione avvenisse prima della beatificazione di Don Bosco, per opera di Pio XI, il quale affermò d'aver udito il novello Beato dire quanto « questa composizione del deplorevole dissidio stava veramente in cima ai suoi pensieri e agli affetti del cuore »: e doveva avvenire « in modo tale che innanzi tutto si assicurasse l'onore di Dio, l'onore della Chiesa, il bene delle anime ». ... preannunciata da Don Bosco Don Bosco aveva preveduto questo importante avvenimento, che ha avuto conseguenze considerevoli per il nostro secolo travagliato. E ne aveva fatto cenno più volte. La prima fu quando Pio IX era incerto se rimanere a Roma come prigioniero, oppure trasferire la propria residenza all'estero - e parecchie nazioni cattoliche gli offrivano decoroso asilo -. 3 La corte pontificia e parecchi cardinali premevano per questa soluzione, ritenuta la più sicura e dignitosa. La voce pubblica la dava già come certa, e l'esempio dell'andata del Papa a Gaeta nel 1848 era invitante. Ma Pio IX restava dubbioso se affrontare un passo, il cui esito poteva essere negativo e non facilmente riparabile: una seconda cattività di Babilonia, senza speranza di ritorno ? Alla fine egli volle conoscere il parere di Don Bosco, come aveva fatto tante altre volte in situazioni scabrose. Il Santo pregò a lungo per ottenere una illuminazione celeste, poi, a mezzo persona fidatissima, fece giungere al Pontefice la voce di Dio: « La sentinella, lui onerosissima, della chiesa del Sacro Cuore a Roma, egli disse a un suo salesiano: - Sai perché abbiamo accettato la casa di Roma? - Proprio no - rispose quegli. - Ebbene sta attento - gli disse Don Bosco -: quando il Papa sarà quello che ora non è e come deve essere, metteremo nella nostra casa la stazione centrale per evangelizzare l'agro romano». Parola profetica, se si pensa che la parrocchia di Littoria (ora, Latina) nell'agro di recente bonificato, fu affidata ai Salesiani, quando già la Conciliazione era una felice realtà. Ancora qualche squarcio sul futuro l'angelo d'Israele, si fermi al suo posto, e stia a guardia della rocca di Dio- e dell'arca santa ». Ricevuto Le previsioni, o meglio, le predizioni di Don Bosco si sono «rivestito avverate. Il Papa, degli antichi abiti, è come dev'essere». Libero e indipendente: padrone di radunare un concilio in casa sua, o di partire missionario a evangelizzare le genti di ogni continente. Tutto questo, che nel 187o nessuno immaginava, né al di qua, né al di là del Tevere, Don Bosco lo predisse: anzi andò ancor più oltre. Dopo il 1929 egli prevedeva questo messaggio, di partire non si parlò più. Agli intimi che insistevano, il Papa rispondeva: « Dinanzi a Dio non mi sento ispirato ad abbandonare Roma, come mi sentii ispirato nel novembre 1848 ». Noi che viviamo a un secolo di distanza possiamo valutare quanto sia stata felice, per la Chiesa e per l'Italia, la soluzione proposta da Don Bosco e accettata da Pio IX . Un altro accenno alla Conciliazione si trova nella succitata profezia del 5 gennaio 1870. Dopo aver affermato: « Queste cose do- «un violento uragano, »... Poi, « l'iride di pace comparirà sulla terra... In tutto il mondo apparirà un sole così luminoso, quale non fu mai dalle fiamme del Cenacolo, fino ad oggi... ». vranno inesorabilmente venire l'una dopo l'altra », il Veggènte continua: « Le cose si succedono troppo lentamente. Ma l'augusta Regina del cielo è presente. La potenza del Signore è nelle sue mani; disperde come nebbia i suoi nemici. Riveste il Venerando Vecchio (del Lazio) di tutti i suoi antichi abiti ». Fu appunto nella festa della Madonna di Lourdes ( ii febbraio) che al Papa venivano riconosciute in un patto solenne, la sua libertà e podestà, con tutti i diritti di Sovrano indipendente. Avvenimento grandioso, che ebbe un influsso straordinario sulla storia, non solo d'Italia, ma d'Europa e del mondo. Una terza volta, nel 188o, Don Bosco annunziò la futura indipendenza del Papa. Nel giorno 4 in cui accettò la costruzione, per Pio /X. il Papa del Concilio Vaticano /, sul quale Don Bosco ebbe una visione profetica. • forse quella pace di cui continuamente si parla e che da 25 anni è per tutti i popoli il sospiro più ardente? • si tratta della grande primavera pentecostale, preannunziata anche da Pio XII e da Papa Giovanni, che dovrà spuntare dopo il buio e la confusione attuale ? Affermazioni profetiche, fatte da uomini di alta santità e così distanti nel tempo, lo lasciano supporre. • se è così, possiamo pure guardare con fiducia al grande « trionfo della Chiesa», da Don Bosco più volte vaticinato con certezza e convinzione, espresse pure con le parole: «« Se non potremo assistervi quaggiù, vi assisteremo, spero, dal paradiso ». a Attesi con impazienza da duemila cooperatori salesiani, 75 anni fa i primi sette pionieri della Congregazione entravano in Venezuela. Ora i salesiani sono 350, ben preparati e pronti a fronteggiare gli enormi problemi che la gioventù crea in una nazione proiettata verso un vorticoso futuro. 1 75 ANNI DEL VENEJUELA SALESIANO ' è a Caracas in Venezuela un piccolo prete consuC mato dagli anni, che è uno scrigno di ricordi e si vanta di poter dire riguardo ai primi salesiani giunti laggiù: «Io c'ero, io li ho visti arrivare ». Ha 93 anni, è monsignore e si chiama Antonio Pacheco . « Avevo diciassette anni - ricorda, - ero alunno del seminario di Valencia». Quel giorno, 2o novembre 1894, erano accorsi in molti a ricevere i forestieri, erano corsi sóprattutto loro seminaristi, perché il compito di accompagnare ufficialmente i primi salesiani fin lì a Valencia era toccato proprio al vice-rettore del seminario, monsignor Arocha, un " aficionado " di Don Bosco, che per essere davvero sicuro che finalmente i salesiani sarebbero venuti in Venezuela era andato a prelevarli direttamente a Torino. Monsignor Arocha aveva preparato in Valencia per i salesiani una vasta casa in cui aprire il collegio. La spedizione mandata da Don Rua comprendeva sette confratelli: due sacerdoti, quattro chierici e un coadiutore. Avevano lasciato Genova venti giorni prima, i mbarcati sul piroscafo Rosario, che si portava oltre oceano molti emigranti ricchi solo di speranza, salutati da mille mani che disegnavano nell'aria la carezza di un ultimo addio. Solo tre salesiani erano destinati a Valencia, gli altri quattro andavano a Caracas, la capitale. Venezuela, Caracas, Valencia: un mondo lontano come la luna, carico di mistero come il disegno di Dio che li chiamava a immolare giorno dopo giorno la vita per ragazzi sconosciuti e predestinati. IMPRUDENZA CONSIGLIATA DAL VANGELO Monsignor Pacheco nei suoi 93 anni ricorda molto bene don Bergeretti - l'unico sacerdote mandato con due chierici a Valencia - che era andato a incontrare alla stazione di Puerto Cabello. '« Ricordo - dice che alla stazione c'era la banda musicale e una grande animazione. E la banda suonò lungo tutto il percorso da Puerto Cabello a Valencia, senza interruzione, finché fummo arrivati ». Don Bergeretti era un pioniere d'acciaio, uscito forgiato dalle mani di Don Bosco, e presto seppe conquistarsi l'amicizia di tutti. Pochi giorni dopo l'arrivo mise in piedi l'oratorio e fece pubblicare sul giornale che il collegio stava per aprirsi, perciò i buoni lo aiutassero soprattutto portando il mobilio, e i genitori gli portassero i « muchachos ». Ormai si sentiva venezuelano nell'anima. Monsignor Pacheco ricorda poi l'epidemia di vaiolo che qualche anno più tardi setacciò la città di Valencia falciando diecimila abitanti. Don Bergeretti allora chiuse momentaneamente il suo collegio e con gli altri salesiani corse a prestare aiuto ai malati. Un salesiano restò contagiato e pagò l'abnegazione di tutti con il prezzo della sua vita. Passato il contagio, il governo si sdebitò conferendo a don Bergeretti una decorazione. Poi don Bergeretti compì un'imprudenza consigliata dal Vangelo, e ospitò un fuggitivo nemico personale del capo dello Stato di allora. Non l'avesse mai fatto. Il 5 governo dimenticò abnegazione e meriti, e fra la costernazione degli amici lo cacciò fuori dal Venezuela. Le cose a quei tempi andavano così. Ma c'era posto anche altrove per fare del bene, e don Bergeretti visse e morì negli Stati Uniti. Ora il suo esilio è finito: gli exallievi - venezuelani sono andati a Oakland (USA) a riprendersi le sue reliquie, e le hanno riportate a Valencia. Gli altri quattro salesiani (don Riva con due chierici e un coadiutore) giunti a Caracas trovarono festose accoglienze e una sgradita sorpresa. Pensavano che sarebbe stata loro affidata una scuola di Arti e Mestieri, per questo erano venuti dall'Italia, e invece si videro offrire solo l'insegnamento, mentre i programmi erano già fissati dall'alto, e la direzione e amministrazione erano tenute da un gruppo di laici. Era come lasciarsi legare le mani, mentre a quei salesiani piaceva rimboccarsi le maniche e impastare la pasta alla loro maniera. Don Riva dichiarò subito che quelle condizioni erano inaccettabili, e le trattative naufragarono lì. Del resto anche per loro c'erano tante possibilità di fare del bene altrove. Un benefattore li tolse di mezzo alla strada offrendo una casetta in un villaggio di duemila abitanti, il « Rincon del Valle », alla periferia di Caracas, privo di ogni forma di assistenza e di scuole. Riattivarono la chiesetta e aprirono una scuola per i figli del popolo. L'anno dopo affittarono una grande casa in Caracas, vi aprirono i loro laboratori, e quando ebbero tanti ragazzi da non saper più dove metterli costruirono il collegio di Sarría, con l'attigua « Scuola per i poveri », ancor oggi aperta dopo 73 anni. Nonostante le disavventure degli inizi, i primi salesiani si trovarono bene in Venezuela, perché circondati dalla solidarietà affettuosa di tante persone che a lungo li avevano invocati e attesi. Caracas. ti Presidente della Repubblica del Venezuela, dr. Rafael Caldera, dopo aver assistito all'inaugurazione del monumento a Don Bosco sulla —Piazza Don Bosco', firma la pergamena da collocarsi nella prima pietra della nuova opera che sorgerà alla periferia di Caracas. DUEMILA COOPERATORI IMPAZIENTI Aveva cominciato col farsi avanti l'arcivescovo di Caracas, nel 1886, piombando a Torino per sollecitare da Don Bosco una spedizione di salesiani. Don Bosco aveva promesso che gliela avrebbe mandata appena possibile. L'anno dopo un sacerdote di Caracas, il padre Ri, cardo Arteaga, buon conoscitore delle cose salesiane, scriveva a Don Bosco per chiedergli l'autorizzazione a fondare in Venezuela un centro di Cooperatori salesiani. Don Bosco così rispondeva a quel lontano "Fratello in Corde Christi": « La sua dell'8 marzo mi causò grande consolazione e allegria, perché constato che anche lontano da noi ci sono anime ottime che si interessano della nostra umile . e incipiente Congregazione. L'idea che mi propone è eccellente sotto ogni punto di vista, e la asseconderemo il più possibile. Fra breve invierò il diploma di Direttore di codesti Cooperatori, e un altro diploma di Decurione, che lei nominerà d'intesa con l'Arcivescovo. Desidereremmo sapere i nomi di questi Cooperatori, con i rispettivi indirizzi, per mandar loro tutti i mesi il Bollettino Salesiano ». Allora, del Bollettino si stampava già l'edizione spagnola, e fu questa a prendere il volo per Caracas. Come conseguenza, due anni ,,dopo la cooperatrice di Valencia Maria Pérez de Sanfander bussava all'ufficio di don Rua a reclamare che venisse mantenuta la promessa di Don Bosco. Due anni più tardi, un salesiano diretto in Colombia, passando per Caracas, 6 trovava i Cooperatori saliti a duemila, organizzati e efficienti. Alcuni di essi nel 1893 convinsero il governo a chiamare i salesiani per la scuola di Arti e Mestieri. Anche se l'idea fallì, l'occasione fu decisiva perché i salesiani sbarcassero finalmente in Venezuela. Da sette, i salesiani sono ora 350, molti venuti dall'Italia e dalla Spagna, ma molti ormai « venezuelani di Venezuela ». Hanno venti case con ogni sorta di opere, e una dozzina di centri avanzati nella foresta, tenuti da missionari alle prese con i primitivi. LE NUOVE OPERE MODERNE Sono ancora oggi efficienti molte opere tradizionali avviate dai primi coraggiosi pionieri, come le Scuole Professionali a Caracas e Valencia, la prima Scuola Agraria sorta in Venezuela e aperta dai salesiani a Naguanagua, un Liceo, le Scuole Popolari gratuite, le parrocchie (anche recenti) accettate per aiutare le diocesi povere di clero, eccetera. Accanto a queste opere, ne sorgono di nuove e moderne, rispondenti a precise esigenze dei luoghi e dei tempi. Tipico è il Centro Agricolo di Carrasquero , dove trecento ragazzi provenienti dall'interno rurale arrivano ogni anno e si fermano un solo anno, giusto il tempo per imparare a fondo tutti i segreti di una coltivazione (quella principale della loro terra) e per rispolverare l'alfabeto e il catechismo. L'estrazione del petrolio - ricchezza inesauribile della nazione - richiede sempre più braccia al lavoro, e i salesiani hanno aperto un collegio che accoglie i5oo figli dei lavoratori petrolieri. Dal 1968 lo sforzo organizzativo è orientato verso i Circoli giovanili, moderne versioni dell'oratorio di Don Bosco. Maggiore cura viene rivolta ai cooperatori e agli exallievi (trenta di essi dopo le ultime elezioni siedono sui banchi del parlamento). E a loro volta ex, allievi e coperatori danno un efficace aiuto ai salesiani nelle loro opere. Da alcuni anni funziona la "Libreria Editorial Salesiana", che lancia libri utili per la pastorale giovanile. Il Bollettino Salesiano esce in edizione nazionale da più di venti anni. L'Ispettoria ha case di formazione efficienti, a volte bellissime, per l'aspirantato , il noviziato e lo studentato filosofico. I chierici teologi, per una saggia politica di aggiornamento, sono mandati a fare gli studi in Europa. Tornano con mentalità aperta, sovente dopo aver compiuto studi superiori che permettono apostolati di specializzazione. A Caracas salesiani preparati nella pastorale giovanile dirigono un Centro apposito, un Club, un Servizio di Orientamento giovanile, opere poste in zone strategiche della città dove è possibile un efficace lavoro sociale e di evangelizzazione. Gli ultimi tre superiori dell'Ispettoria sono di origine venezuelana; uno di essi, don Castillo , è stato chiamato al centro della Congregazione e fa parte del Consiglio Superiore. I " muchachos " d'oratorio, incantati dal fascino salesiano di don Bergeretti e dei primi pionieri, sono dunque cresciuti e maturati, e ora divenuti salesiani (il primo di essi è ancora vivo, si chiama Francesco Alvares , e ha 95 anni) occupano con autorità e competenza il loro posto nella Congregazione e nella Chiesa. È una fortuna che sia così, perché il compito che li attende è enorme. VENEZUELA E GIOVENTÙ Un recente articolo del Bollettino Salesiano locale intitolato « Venezuela e gioventù » riporta alcuni dati impressionanti. In Venezuela l'8o,88 per cento della popolazione è di età inferiore ai trent'anni, il 54,3 per cento al di sotto dei venti. Dice l'articolo che si tratta di una gioventù cittadina: per, il 73 per cento vive in città. Ma in gran parte è sradicata dalla campagna, vive ammonticchiata in agglomeraii di fuggitivi, non integrata, in situazioni alienanti. Aggiunge l'articolo: è una gioventù abbandonata. Si parla di 400.000 ragazzi abbandonati, si parla di figli illegittimi in misura del 53 per cento. Quanto a situazione scolastica solo il 33 per cento di quelli che cominciano le scuole primarie le finiscono; solo il 34 per cento di quelli che cominciano le medie le concludono; solo il 26 per cento degli iscritti all'università si laureano. L - prosegue l'articolo - una gioventù disoccupata. Manca a troppi un'occupazione per il tempo libero, manca a troppi anche un posto di lavoro. Gioventù sradicata, abbandonata, disoccupata, disorientata. Articoli chiari come questi, arrivano col Bollettino Salesiano nelle case della Congregazione e nelle case dei Cooperatori perché tutti insieme vogliono guardare con realismo in faccia alla realtà. Il problema che queste cifre sui giovani pongono è così complesso che solo la collaborazione di tutti gli l/ salesiano coadiutore Sebastiano Pagliero firma la pergamena della prima pietra della erigenda Scuola Tecnica popolare che dovrà dirigere a Caracas-Boleita. adulti può risolverlo. Ma solo il 19 per cento dei venezuelani è al di sopra dei trent'anni, solo il 40 per cento ha più di venticinque anni. E c'è da togliere i troppo anziani, i malati, gli incapaci per ignoranza o miseria... Per la pattuglia qualificata dei 350 salesiani in Venezuela, il compito è immenso. Con la loro preparazione sono chiamati a fare, e più ancora a far vedere agli altri come si fa. Da molte parti si guarda a loro con fiducia. La sera del 2o novembre 1969 - 75 anni tondi dopo l'arrivo dei primi salesiani al suono della banda ascoltata da monsignor Pacheco - a Caracas in piazza Don Bosco (una bella piazza circolare tutta verde, di fronte al collegio Altamira) veniva inaugurato un monumento al Santo dei giovani. Tra i presenti era anche il Presidente del Venezuela, Rafael Caldera. Forse era lì per esprimere un cortese grazie, come si usa in simili circostanze, ma più ancora forse era lì perché si aspettava qualcosa dai salesiani. Nel silenzio teso della folla, il superiore dei salesiani, padre José Henriquez pronunciò una «buona notte » programmatica e impegnativa. « I salesiani - disse come scandendo una promessa si compromettono a lavorare con tutte le loro forze perché i prossimi 25 anni siano segnati da un impegno più vivo, più audace, più visibile, verso tutti i giovani, specialmente i più bisognosi». E perché questa promessa non sembrasse un vuoto giro di parole, tre giorni più tardi inaugurava - nella periferia di Caracas - la costruzione di un Centro Giovanile e di una Scuola Tecnica popolare. a7 LA STERZATA SALESIANA I N AMERICA LATINA « Sterzata coraggiosa brata» . Queste parole, ma equili- pronunciate due anni fa a Caracas dal Rettor Maggiore, suonarono allora, all'orecchio degli ispettori latino-americani, assai più che un facile slogan: come un programma da realizzare. E caratterizzano bene questi tempi della Congregazione e della Chiesa: tempi di esami di coscienza, di ripensamenti, di programmazioni e di realizzazioni. La Congregazione salesiana tre anni prima, nel '65, aveva celebrato a Roma un Capitolo Generale innovatore. La riunione degli ispettori latino-americani nel '68 terminava 8 mettendo a punto una serie di « con- clusiones » programmatiche. Pochi mesi più tardi, i Vescovi dell'America Latina riuniti a Medellin compilavano una serie di documenti che giustamente sono considerati la continuazione dei decreti conciliari . In quegli stessi giorni il Papa Paolo VI, in visita a Bogotà, elogiava in pubblico le « conclusiones » degli ispettori salesiani. Un anno dopo, nel `6q, i superiori delle Congregazioni religiose tenevano nuove riunioni in Cile e Colombia: si interrogavano sul preoccupante fenomeno sociale del sottosviluppo, e sulla testimonianza di povertà che il religioso deve rendere al mondo. Questa ondata di riunioni, discussioni, puntualizzazio - ni , documenti e conclusioni, ha fatto progredire l'appassionante discorso sulle responsabilità dei religiosi nell' America Latina. Ed ecco le nuove riunioni degli ispettori salesiani, nel giugno scorso. Don Ricceri li ha incontrati con i loro vicari ispettoriali e i direttori delle case di formazione, in tre riunioni successive, di quattro giorni ciascuna, tenute a Caracas, a Brasilia e ad Asunción . E la Congregazione in America Latina che si interroga. Deve controllare il cammino percorso, confrontare le esperienze fatte, mettere a punto nuovi princìpi operativi. Deve insomma verificare se la famosa sterzata - il viraje , I Tre riunioni tenute nel giugno scorso dal Rettor Maggiore con gli Ispettori dell'America Latina offrono l'occasione per fare il punto sul lavoro che i salesiani svolgono in quel continente esplosivo. sull'argoAbbiamo intervistato mento l'ispettore del Venezuela, Don José Henriquez, che prese parte agli incontri. come lo chiamano laggiù - sta davvero avvenendo. Sui lavori svolti, sui motivi di fondo, sui temi affrontati, abbiamo sollecitato un'intervista a uno dei partecipanti, l'Ispettore del Venezuela don José Henriquez . Questo giovane Ispettore - 42 anni, figlio dell'America latina - ci è parso particolarmente indicato a tracciare il quadro della situazione. Bollettino Salesiano. Quali problemi pone oggi l'America Latina alla coscienza della Congregazione? Don Henriquez . In primo luogo, come è ovvio, l'America Latina pone a noi salesiani i problemi stessi che già interrogano l'uomo comune, qualsiasi uomo per il fatto di essere cittadino di questo pianeta. In concreto è un ventaglio di problemi enormi e fuori del comune che si apre davanti allo sguardo nell'odierna geografia umana e religiosa del nostro continente. Tutto è in movimento nell'America Latina: gli uomini e i gruppi, le masse dei marginali e degli spostati, la società tradizionale che si disgrega, lo sviluppo economico, la vita politica, la famiglia, la cultura, la religione, l'esplosione demografica, la stessa « coscienza » latino-americana. Tutto è in movimento. Ciò accade anche in altri continenti, ma da noi assume il carattere del dramma, a volte della tragedia. Non si è stati a far niente. Si è già realizzato molto; in alcuni aspetti dell'integrazione economica, culturale e religiosa, si è più avanti che in ' alcuni paesi dell'Europa. Ma è solo una minima parte, praticamente qui è ancora tutto da fare. In moltissimi settori le piste di decollaggio sono ancora intatte. La nostra crescita non è stata proporzionale alla velocità e all'accelerazione con cui hanno fatto irruzione i problemi e le loro complicazioni. La Chiesa, e in essa la Congregazione, hanno davanti a sé un compito quasi incredibile; ci si ritrova di nuovo come il piccolo David alle prese con lo smisurato Golia... In secondo luogo, la coscienza salesiana ha da far sua la problematica della Chiesa. Ora c'è stata la Conferenza di Medellin , tutti i nostri Vescovi riuniti, un nuovo Vaticano Il per l'America Latina. Riprendendo le parole del cardinal Suhard all'indomani della seconda guerra mondiale, possiamo dire che con Medellin « è morto qualcosa che non risorgerà mai più ». La Chiesa ha auscultato il cuore del Continente, ha misurato le profondità abissali dei suoi problemi, ha preso come parola d'ordine quello « sviluppo dei popoli propugnato da Paolo VI che si adatta così bene ai nostri popoli afflitti da quelle terribili malattie che sono il benessere di gruppi ristretti e la miseria e il «sub-desarrollo » dei piú . In terzo luogo, la Congregazione in America Latina ha i suoi propri problemi, che le derivano dalla sua particolare missione nella Chiesa. Fra cinque anni la Congregazione compirà i cento anni di presenza operante in America. Le sue benemerenze passate sono fuori discussione: dal Messico alla Terra del Fuoco c'è stata una vigorosa fioritura di iniziative e di opere, quasi seimila salesiani e altrettante salesiane sono attualmente al lavoro, un valido servizio di umanizzazione e di evangelizzazione è stato reso ai popoli latino-americani. Ma in un recente passato era trapelato qualche segno di stanchezza, e il bisogno di affrontare con soluzioni nuove i nuovi problemi. Bollettino Salesiano. Quali sono questi nuovi problemi? Don Henriquez. Il problema dei giovani, per esempio, vissuto nelle sue nuove dimensioni. Il lavoro spesso febbrile nelle nostre opere sovente ci assorbiva al punto da farci quasi dimenticare che nel frattempo stava sorgendo una nuova classe giovanile, che un nuovo continente si era affacciato alla storia: i giovani. Assorbiti dal nostro ordinato lavoro quotidiano, quasi non ci accorgevamo che milioni di giovani rimanevano al margine della nostra azione. Numericamente essi superavano le nostre possibilità; qualitativamente si profilavano situazioni nuove, per le quali occorreva richiamarsi alla vocazione salesiana primigenia. Forse si era persa quella speciale «vibrazione* per i giovani. Forse non era più altrettanto chiaro che il cuore della Congregazione deve battere dove batte il cuore dei giovani, che i salesiani sono legati alla gioventù per la loro peculiare consacrazione, che sono votati corpo e anima ai giovani. Collegato con quello precedente, è il problema della creatività. Una Congregazione consacrata ai giovani dev'essere costantemente creatrice, altrimenti non sarà capace di tenere il passo rapido della gioventù. Don Bosco diceva: « Quando si tratta di fare il bene ai giovani, io sono disposto a tutto: perfino all'audacia ». L'America Latina sta chiedendo ai salesiani - specialisti dei giovani questa creatività e audacia che fa superare i momenti di stanchezza e allarga lo sguardo, le braccia e il cuore, e porta ad avanzare, a impastarsi con la gioventù latino-americana. Un terzo problema, posto in forma pressante e ansiosa dall'America Latina, è il problema del sottosviluppo. La Congregazione, pur con il suo brillante passato, oggi non appariva più come consacrata in pieno al servizio dei giovani e delle classi popolari ; nuovi fattori rendevano meno decifrabile il suo impegno, per esempio con i giovani lavoratori 9 americani. Si avvertiva quindi più acuta - di fronte al sottosviluppo dei popoli - l'insufficienza della testimonianza e del servizio da rendere alle classi giovanili popolari, che costituiscono come il cuore del carisma salesiano. Tutta questa problematica non poteva non far presa sulla coscienza della Congregazione, e lo dimostra il fatto che è stata affrontata e discussa ampiamente nei recenti convegni e incontri, ai vari livelli. Bollettino Salesiano. Nella riunione tenuta con gli ispettori due anni fa a Caracas, don Ricceri parlò per la prima volta di una sterzata della Congregazione nell'America Latina. Che cosa intese dire? E come si configurò questa sterzata nelle discussioni di Caracas? Don Henriquez . Fu nel discorso introduttivo. Dopo un lungo preambolo sulla «conversione» nella vita religiosa, don Ricceri aggiunse: «Per ottenere questa conversione è necessario impugnare il volante e fare una vera sterzata. Come si dice in spagnolo ? (Qualcuno suggerì: virale). Sì, viraje, ma viraje a fondo, un autentico viraje nella nostra azione di governo. Viraje nella pianificazione; non più empirismo e improvvisazione, ma lavoro di gruppo. Viraje del superiore, che finora faceva tutto lui. Viraje nel nostro apostolato, tanto nel modo di farlo che nelle sue forme. Viraje nella formazione dei giovani e dei confratelli. Viraje nell'organizzazione e anche nell'amministrazione ». E dopo altre considerazioni del genere, il Rettor Maggiore indicava come frutto del viraje « l'offrire alla Chiesa e all'America Latina non solamente una Congregazione che lavora, ma una Congregazione che pensa ». Nelle intenzioni di don Ricceri il viraje comportava quindi un cambiamento e una conversione a tutti i livelli dell'azione salesiana nell'America Latina. Nello svolgimento del convegno vennero fissati alcuni punti di questa sterzata. Accenno ai principali. In primo luogo il concetto già espresso dal Capitolo XIX, che « preoccupazione centrale della Congregazione non sono le opere ma i salesiani ». Cioè il primato dell'uomo sulle istituzioni e sulle strutture. Don Ricceri non esitò a chiamare « politica del suicidio » il continuare a gettare nella « hoguera de las obras », i o nel braciere delle opere, un personale non abbastanza preparato o maturo, e quindi destinato a fallire e a soccombere. Come conseguenza, l'assemblea degli ispettori convenne nella necessità di costruire delle vere comunità salesiane, in cui il confratello occupasse il primo posto nelle preoccupazioni, in cui il «senso pastorale» fosse al di sopra delle altre considerazioni, e il lavoro e la vita di famiglia nascessero veramente, come da una fonte, dalla realtà operante dell' Eucaristia. L'assemblea degli ispettori constatò pure che il viraje applicato all'apostolato della Congregazione verso i giovani doveva portare a una San Antonio de los Altos (Caracas). I/ Rettor Maggiore in un momento di sosta nelle laboriose giornate degli incontri con gli Ispettori Salesiani del Venezuela, Messico, Antille, Centro America, Colombia, Ecuador. G maggior pastoralizzazione delle opere educative. In questo senso si dove- vano spingere rapidamente i salesiani ad aprirsi nuove prospettive di lavoro extrascolastico , per arrivare di più alle grandi masse giovanili del continente. Dall'esame dello scottante problema delle classi popolari, della povertà e del sottosviluppo, emersero nuove linee direttive per dare alla Congregazione una sterzata anche in questo campo. E finalmente si concretò una nuova metodologia di lavoro nella pastorale delle vocazioni, sia nella scelta dei candidati alla vita religiosa, che nella loro formazione. L'approvazione del Papa alle conclusioni ricavate dal Convegno (e raccolte in un volumetto di una trentina di pagine) fu per gli ispettori una garanzia che la strada tracciata era buona, e un motivo in più per percorrerla. Bollettino Salesiano. Tornando a riunirsi quest'anno con il Rettor Maggiore, gli Ispettori dell'America Latina hanno tentato un primo bilancio sulla sterzata. Quali valutazioni hanno fatto? Don Henriquez . Devo premettere che le conclusioni di Caracas non erano veramente arrivate alla coscienza di tutti i salesiani. A volte è mancata l'informazione capillare nelle ispettorie o la riflessione in comune sui documenti, a volte riunioni d'altro genere hanno distratto l'attenzione. Ma i resoconti tracciati dagli ispettori nell'ultimo incontro con il Reggor Maggiore sono risultati nel complesso largamente positivi. Nel '68, di fronte all'estensione dei compiti assegnatici, eravamo presi quasi da un senso di sgomento. Ancora l'anno scorso la situazione sembrava scoraggiante. Quest'anno invece, alla resa dei conti, si è visto che molto è stato realizzato. Un buon viraje lo si è fatto nella costruzione di vere comunità. Comunità orante , comunità educativa, comunità aperta alla collaborazione degli allievi, degli insegnanti esterni, dei genitori: ci sono state relazioni molto incoraggianti. Ma esistono ancora case con confratelli oberati dal lavoro, impossibilitati a fare comunità. E questo è un pericolo. In una delle riunioni sono stati letti i dati che esprimono la crisi della vita religiosa oggi nella Chiesa: la Congregazione salesiana risultava meno danneggiata delle altre, e ci parve di poterne indicare il motivo proprio nella vita comunitaria vissuta secondo lo spirito di Don Bosco. Si sono notati molti passi avanti nell'introdurre un nuovo tipo di pastorale per promuovere le vocazioni alla vita religiosa. Si è riconosciuto ehe il problema di fondo è nella pastorale giovanile: educare veramente i nostri giovani alla fede, è il modo migliore perché essi possano sentire la chiamata del Signore e seguirla. Alcune ispettorie un tempo avevano nelle loro « case per vocazioni » tutti ragazzi raccolti fuori delle opere salesiane; oggi alcune ispettorie hanno solo ragazzi provenienti dalle nostre opere. Indubbiamente la selezione risulta migliore. L'idea di pastorale giovanile ha avuto le sue vicende. In un primo genere, i maestri e professori e le comunità civili e locali, creando così un bel centro di irradiazione pastorale. Si sono visti anche i limiti di altri tipi di lavoro tra i giovani. E si è arrivati alla conclusione che è tanto inutile un collegio non pastoralizzato , quanto un oratorio, un centro giovanile o un pensionato non pastoralizzati . Che è una questione soprattutto di idee, di uomini, della loro preparazione. Che in sostanza va rispolverato il vecchio principio di Don Bosco: « Il soprannatu rale sia al centro di tutto ». tempo, a essere sinceri, non molti ci credevano. Nel 1968 in America Latina forse c'erano solo due o tre ispettorie col delegato per la pastorale giovanile. Nel '69 era ancora un po ' tutto per aria. In pratica non si sapeva come e dove preparare i confratelli a questa incombenza, e anche il Centro Internazionale di Pastorale Giovanile non aveva ancora una fisionomia precisa. In sostanza, come riconoscemmo, si era ancora tutti «presi dall'immediatismo e da scarsa visione del futuro». La necessità di una sterzata in questo campo come in altri - fu ben espressa da don Ricceri con un aneddoto su Rockefeller. Al noto magnate nordamericano avevano domandato: « Se lei perdesse tutte le sue immense ricchezze, e le rimanessero solo più diecimila dollari, che cosa farebbe?». Rispose: « Impiegherei una metà del mio capitale in una ricerca di mercato per stabilire come spendere l'altra metà». La morale della favola per noi era: è preferibile impiegare le nostre energie nel preparare dei dirigenti, piuttosto che nell'aprire nuove opere. Ora tutte le ispettorie hanno il loro delegato della pastorale giovanile, molte hanno un centro giovanile funzionante, le idee cominciano a circolare e a diventare operanti. I confratelli vengono sensibilizzati, nuove iniziative vengono introdotte. Ma siamo tutti convinti che resta ancora moltissimo da fare. Bollettino Salesiano. E della cosiddetta pastoralizzazione delle opere salesiane si è parl ato? Don Henriquez. Sì, e molto. Per prima cosa si è riconosciuto che si tratta di una realtà finora poco vissuta, a livello di Chiesa latinoamericana. In Brasile per esempio la Chiesa tempo fa aveva il 65% delle opere educative del paese, in Paraguay il 56%; ma troppe di queste opere non rispondevano a veri criteri di pastorale. Nel Capitolo Generale di Roma si era detto chiaro che le nostre scuole per giustificarsi dovevano elevare il livello del sottosviluppo spirituale, dovevano diventare scuole di avanguardia, dovevano esprimere dei leaders cattolici, religiosamente e socialmente impegnati. Le successive riunioni di ispettori portarono a costatare che in campo salesiano c'era molto da correggere; era nata una certa opposizione o sfiducia al collegio e alle opere salesiane. Si era pensato alla necessità di lasciare le scuole per aprirsi a nuove presenze tra i giovani. La riflessione degli ultimi incontri è servita a mettere meglio a fuoco il problema. Si è costatato che nessun'altra opera quanto il collegio offre la possibilità di raccogliere tanti giovani,, di convocarli quando è necessario, di incidere su di loro, e di esercitare un'azione pastorale ampia sui genitori, le famiglie in Si è poi rilevato nelle riunioni con il Rettor Maggiore, che anche nel settore del sottosviluppo e della testimonianza di povertà religiosa si è lavorato praticamente in tutte le ispettorie . La riflessione sul problema del sottosviluppo in America Latina creò o rinnovò in tutti una decisa volontà di lavorare con tutta l'anima in questo senso. I salesiani sanno che seguendo Don Bosco, la loro strada non è tanto quella della «denuncia profetica* delle ingiustizie; i salesiani non rimangono indifferenti di fronte alle ingiustizie dell'America Latina; ma preferiscono agire nel senso del servizio ai poveri, ai più poveri; buttarsi al lavoro per i giovani operai, piantare un oratorio nel cuore di una « barriada ». Oggi più che mai il loro carisma di servizio alle classi popolari è apparso come una realtà intramontabile. Un lavoro appassionante e doveroso, questo della sterzata. Del resto voluto anche da Don Bosco. Una sera del 1875 Don Bosco parlava con don Barberis e lo chiamava scherzando « il bastone della mia vecchiaia ». - Se posso esserle utile in qualcosa - rispondeva don Barberis lo farò ben volentieri. - Voi completerete l'opera che io incomincio - continuò Don Bosco. Si era a un anno appena dall'approvazione della Congregazione. - Io faccio l'abbozzo, e voi metterete i colori. - Purché non finiamo per sciupare ciò che Don Bosco sta facendo! - riprese don Barberis . E Don Bosco con vivacità: - Oh, no ! Guarda. Io ora sto facendo la brutta copia della Congregazione, e lascio a quelli che verranno dopo di me il compito di metterla in bella copia. Questo è il punto, e lo scopo delle nostre riunioni: vedere come mettere in bella copia l'immagine della Congregazione in America Latina, in quest'ora che volge il suo sguardo verso il « duemila ». • 11 i primi missionari in partenza per l'America consegnando il libretto delle Regole della Società Salesiana, Don Bosco disse: « Ecco Don Bosco che viene con voi! ». Allora la lentezza e la difficoltà dei viaggi non permettevano a Don Bosco quello che oggi può fare il suo Successore. In America non c'era ancora nessuna Opera salesiana da visitare; oggi una fitta rete di opere si stende su tutta l'America Latina. A Scopo principale di questo nuovo viaggio del Rettor Maggiore era quello di convocare tutti gli Ispettori dell'America Latina in tre grandi centri, per studiare i problemi dell'ora presente in quelle Nazioni. Di queste riunioni abbiamo parlato nelle pagine precedenti. Qui vogliamo seguire con rapide note le peregrinazioni di don Ricceri soprattutto attraverso l'immenso Brasile. Partì da Torino il 25 maggio, il mattino dopo la festa in onore di Maria Ausiliatrice. Una breve tappa a Londra per compiacere i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice inglesi, che non avevano ancora avuto la gioia di accogliere il Rettor Maggiore nella loro terra. Il 26 riprende il volo per il Venezuela. Sbarca all'aeroporto di Caracas e vi trova numerosis simi confratelli e suore che gli dànno il benvenuto in terra americana. I primi tre giorni don Ricceri li consacra ai sacerdoti convenuti da tutte le repubbliche dell'America Latina per compiere il loro secondo noviziato, o meglio il « Curso salesiano de actualización ». Di questo primo esperimento diremo in un prossimo numero. Nel pomeriggio del 30 maggio il Rettor Maggiore si porta a Los Teques per un incontro familiare con circa Zoo confratelli dell'Ispettoria Venezuelana, convenuti dalle varie case della Repubblica. A Los Teques i salesiani hanno tre grandi complessi: il « Liceo San José » con 70o alunni, il « Colegio San Domingo Savio » con oltre soo allievi di scuola media e ginnasio, e l' Aspirantato « Santa Maria » con i5o aspiranti. Lo stesso giorno, nello Studentato filosofico di San Antonio de los Altos (Caracas), ha inizio la prima delle tre riunioni di ispettori, vicari e delegati ispettoriali . Provengono dal Messico, Antille, Centro America, Colombia, Ecuador. Giornate intense di studio; si protraggono fino al 3 giugno. Il 4 giugno il Rettor Maggiore raggiunge Brasilia, la nuova capitale dove, il 3o aprile del 196o - 77 0 anniversario della visione di Don Bosco sull'Opera salesiana nell'America Latina - il presidente Juscelino Kubitschek aveva inaugurato il « Colegio Dom Bosco », presente il quinto Successore del Santo, don Renato Ziggiotti . Qui ha luogo l'incontro degli Ispettori delle sei Ispettorie salesiane del Brasile. « L'America Latina scotta, non è vero? ». Ecco l'interrogativo che tutti ci si pone. Ma andrebbe completato con un'altra domanda: è il fuoco di un incendio rovinoso e devastatore, oppure il fuoco che rende il metallo malleabile e docile nel crogiuolo delle grandi avventure umane ? Don Ricceri è di quest'ul12 timo parere. Il Brasile è una specie di altoforno dove L'arrivo del Rettor Maggiore all'aeroporto di Caracas (Venezuela) 26 maggio 1970 Il RETIOR MAGGIORE NELL'AMERICA LATINA « Programma e finalità del viaggio - ha detto don Ricceri alla partenza sono: trovarci insieme con i fratelli di un altro continente, guardarci in faccia, parlare, dialogare, programmare. Gli scritti hanno certamente un grande valore, ma l'incontro personale è tutt'altra cosa». si sono amalgamate tutte le razze umane. Un popolo intelligente, coraggioso, che ha il senso dell'ospitalità, della convivencia (una delle parole-chiave che si sentono pronunziare laggiù: l'arte di vivere insieme). Il paese è immenso e splendido: detiene le più grandi possibilità dell'America Latina: il massimo di terre arabili, di ricchezze minerarie, di risorse umane. Terminate le riunioni a Brasilia, don Ricceri vola a Manaus , nell'Amazzonia. Il caldo soffocante (la temperatura oscilla tra i 3o e i 36 gradi) dà modo di sperimentare la vita sacrificata dei confratelli dell'Ispettoria . In una intensa giornata di lavoro e di incontri il Rettor Maggiore può far sentire la sua parola distintamente ai salesiani e alle Figlie di Maria Ausiliatrice, convenuti da tutte le case dell'Amazzonia . A sera, quando le ombre hanno già avvolto uomini e cose, il Rettor Maggiore pensa ai figli lontani che non può visitare, ai missionari dislocati nella sconfinata foresta amazzonica, tra gli Indi delle prelature di Humaità , Porto Velho e Rio Negro, e lancia via radio un paterno messaggio di saluto, di compiacimento, di ammirazione e di incoraggiamento a proseguire nel loro arduo lavoro di evangelizzazione. A tutti augura l'assistenza materna di Maria Ausiliatrice, della quale imparte loro la benedizione. Altre giornate piene attendono il Rettor Maggiore ad Asunción nel Paraguay, dove si svolge il terzo incontro di Ispettori per le cinque Ispettorie dell'Argentina e per quelle del Cile, Paraguay, Uruguay, Perù e Bolivia. Qui il clima, anche se invernale, è dolce come quello della primavera italiana. Nella casa ispettoriale , sede delle riunioni, funziona un attrezzato « Centro Don Bosco Film », che fa sentire la presenza della Chiesa nel campo cinematografico, per opporsi alla propaganda materialistica e sessuale, con una selezione di pellicole dirette a dare al pubblico paraguayano cultura e divertimento informati a spirito cristiano. Nella sola capitale Asunción , sono circa venti i centri che settimanalmente si servono di materiale filmico del «Don Bosco Film », e altri venticinque nella repubblica. Nella -quaresima si proiettano una quarantina di ' pellicole sulla tematica umano-religiosa; e nella Settimana santa la TV presenta pellicole del «Don Bosco Film». 13 Brasilia. I/ " Colegio Dom Bosco" dove hanno avuto luogo le riunioni degli Ispettori del Brasile, presiedute dalRettor Maggiore. Asunción (Paraguay). Il Rettor Maggiore accolto a festa dai Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. Asunci6n. Omaggio delle Cooperatiici del Paraguay al Successore di Don Bosco. Tra una seduta e l'altra degli Ispettori, il. Rettor Maggiore visita gli aspiranti, i novizi e gli studenti di filosofia delle due case di Ypacaraj . Prima di lasciare Asunción , ha la gioia di rivolgere la sua parola a un bel gruppo di salesiani dell'Ispettoria , venuti dalle case vicine e lontane, e anche alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Visita pure il Nunzio Apostolico che aveva già partecipato a un'agape con tutti gli Ispettori. Una delle serate di Asunción era stata dedicata a un cordiale i ncontro con i Cooperatori e gli Exallievi . La serie delle tre riunioni ispettoriali era terminata, ma don Ricceri volle utilizzare il suo viaggio per altri i ncontri con il maggior numero possibile di confratelli dell'immenso Brasile. Ed eccolo, il iq giugno, a San Paolo. Su 248 salesiani che conta l'Ispettoria, ne trovò 230 presenti alla sua conferenza. C'erano pure tutti i chierici teologi delle altre Ispettorie del Brasile, ai quali il Rettor Maggiore volle parlare a parte sui problemi che più li riguardano. Il z I giugno, suo giorno onomastico, lo trascorse nella sede ispettoriale di Porto Alegre , circondato dall'affetto di quei confratelli, ai quali non parve vero di avere con sé il Rettor Maggiore nella loro intima cerchia di vita. In tutti i centri ispettoriali del Brasile trovò numerosi i confratelli accorsi per incontrarsi col Padre. Alcuni di essi avevano dovuto affrontare fino a 30-35 ore di viaggi lunghi e faticosi in treno, in autobus, in camionette, per strade impervie e battute dalle piogge torrenziali dell'inverno brasiliano. Il viaggio del Rettor Maggiore era strettamente privato; non di rado però si mossero le autorità per riceverlo e ossequiarlo negli aeroporti o in casa salesiana, come a Recife , dove il Governatore dello Stato di Pernambuco volle accompagnarlo con la sua macchina dall'aeroporto a Recife e il giorno dopo offrirgli nella sua residenza un ricevimento d'onore. Viaggio lungo e faticoso. Ma i confratelli che vivono tanto lontani dal centro hanno potuto vedere, ascoltare il Rettor Maggiore, intrattenersi con lui. Don Ricceri si prestava per tutti: salesiani, exallievi , cooperatori. Presiedette concelebrazioni , portò la sua parola illuminatrice a riunioni di Consigli e di Capitoli ispettoriali . Familiarizzò con aspiranti alla vita salesiana, con novizi, con studenti di filosofia e di teologia. S'incontrò con tante Figlie di Maria Ausiliatrice, a cui tenne conferenze e portò la benedizione della Madonna. Le concelebrazioni di Manaus , Brasilia, San Paolo, Porto Alegre, Campo Grande, Recife e Belo Horisonte raccolsero attorno al Padre ai piedi dell'altare i cuori e le volontà di centinaia di confratelli, felici di ritrovarsi una volta tanto riuniti ad attingere alla sorgente dell'Eucaristia coraggio e forza per il loro apostolato. In tutti i campi l'America Latina afferma ogni giorno di più la sua ricca e complessa personalità. Su tutti i piani essa vuol prendere nelle proprie mani il suo destino. E fa sentire la sua voce: originale e spesso sorprendente. È impossibile, impensabile non ascoltarla. ∎ CONGRESSO MONDIALE EXALLIEVI DON BOSCO Ricorre quest'anno il Centenario della organizzazione degli Exallievi di Don Bosco e il Cinquantenario del Monumento di Don Bosco eretto dagli Exallievi sulla Piazza della Basilica di Maria Ausiliatrice. La data centenaria sarà celebrata dalla Confederazione Mondiale Exallievi Don Bosco con un Congresso Mondiale che si terrà a Torino dal 17 al 20 settembre e a Roma dal 21 al 23 settembre. Saranno presenti le delegazioni di 70 l spettorie salesiane, rappresentanti 60 nazioni. Numerosissimi Exallievi affluiranno da tutte le Unioni d'Italia. i Coi cuore stesso di Don Bosco la Famiglia Salesiana attende l'incontro degli Exallievi di tutto il mondo. « Eravate un piccolo gregge: questo è cresciuto, cresciuto molto, ma si moltiplicherà ancora. Voi sarete luce che risplende in mezzo al mondo» (Don Bosco agli Exallievi il 13 luglio 1884). 15 Perché _noli do s< diMikawashirr: c'è al mondo una città vasta, aggrovigliata, caotiN onca come Tokyo, e neppure una città che cambi continuamente fisionomia come questa metropoli del Sol Levante. L'esplosione demografica è forte come l'esplosione dell'edilizia. Tokyo si sta trasformando con ritmo così intenso che le sue caratteristiche orientali vanno scomparendo rapidamente per lasciare il posto a una immensa e disordinata metropoli occidentale. Alcuni quartieri però mantengono ancora la loro vecchia fisionomia, anche se in mezzo al gregge compatto delle casette di legno, sorgono come giganti moderni edifici in cemento armato. Sono i quartieri della città bassa, operai e perciò poveri, quartieri in cui fiorisce l'artigianato e la piccola industria. Qui la vita si svolge come prima della guerra, anche se sono aumentate le case di divertimento, e le vie principali si sono allargate per dare spazio all'ininterrotto rosario di automezzi, responsabili dell'inquinamento dell'aria. Mikawashima o « Isola dei tre fiumi » è uno di questi quartieri poveri. Qui è sorta la prima opera salesiana della capitale, in terreno adatto per attecchire e svilupparsi. I primi salesiani vi giunsero trentasette anni fa e vi trovarono povertà e squallore. Così poterono aiutare e consolare tante famiglie e attirarsi la benevolenza di tutto ' il quartiere. Erano famosi i bazar che si tenevano periodicamente. Con pochi soldi la gente poteva acquistare molte cose di prima necessità, perciò il giorno del bazar era come la sagra del quartiere e la parrocchia veniva conosciuta e amata, tanto che i salesiani che vi lavoravano erano chiamati indistintamente col nome di « Don Bosco ». Tempi evangelici, tempi felici quelli. L'oratorio festivo era frequentatissimo e nelle feste oltre un migliaio di ragazzi invadeva letteralmente la Missione. In questo modo funzionò per parecchio tempo la parrocchia di Mikawashima . Oggi molte cose sono cambiate; la povertà c'è ancora, ha assunto un altro volto, ma è sempre « sorella povertà ». Avere un televisore, possedere gli elettrodomestici non vuol dire essere ricchi o benestanti; è solo un benessere apparente, frutto dei tempi nuovi e delle nuove esigenze. La povertà resta, anche se vestita di moderno progresso. L'opera salesiana di Mikawashima ha cambiato volto an16 ch'essa; le vecchie baracche in legno sono scomparse per dar irta Ja chiesa a a Tokyo luogo a un grande fabbricato di quattro piani con un complessivo di 1285 metri quadrati. Anche qui si può pensare alla ricchezza, mentre è solo un segno dei tempi. Il terreno fabbricabile in Tokyo costa delle cifre astronomiche, perciò non c'è altra alternativa che andare verso l'alto se si vogliono raggiungere con minor spesa gli obiettivi necessari alle esigenze dell'opera. In questo fabbricato ci sono gli uffici parrocchiali, le abitazioni dei salesiani e una fiorente scuola materna con trecento piccoli allievi. Solo la chiesa è rimasta la capanna di Betlemme , ma penso che il Signore non se l'abbia a male per questo. I lettori del Bollettino Salesiano conoscono lo zelo di don Liviabella e il suo grande lavoro per arrivare a costruire una chiesa più ampia e funzionale; ma dovette rimandare la realizzazione del progetto per due ragioni che i lettori troveranno certamente valide. Anche a me don Liviabella ha spiegato le cause del ritardo e devo dire che mi ha convinto. Molti anni fa un signore pagano aveva regalato alla parrocchia di lIIikawashima un terreno da adibirsi per un'opera sociale, ma per mancanza di mezzi e di persone non si era potuto fare nulla. Nel frattempo la località dove era posto il terreno si andò sviluppando così intensamente che si rese necessaria la costruzione di un nido d'infanzia. Si pensò alla sua realizzazione, ma il terreno era piccolo per la necessità della nuova opera, tanto più che si voleva costruire anche una piccola chiesa, essendone la regione completamente priva. Don Liviabella , pensando alla bontà dell'opera, non esitò a evolvere una grossa somma per l'acquisto di un terreno adiacente. Così sorse la nuova opera di Tokyo - Kaminumata , accolta con gratitudine dalla popolazione • con gioia dall'Arcivescovo di Tokyo, perché un nuovo faro di luce cristiana si era acceso dove Cristo non era per nulla conosciuto. La seconda ragione che fece ritardare la costruzione della chiesa parrocchiale fu la seguente. Il rinnovamento dell'opera di Mikawashima doveva iniziarsi con la costruzione della chiesa • dei locali necessari alla parrocchia; in un secondo tempo, con la costruzione della scuola materna. Quando però il municipio del distretto di Arakawa da cui dipende Mikawashima seppe dei progetti, pregò i salesiani a voler invertire l'ordine delle costruzioni dando la precedenza alla scuola materna per aiutare tante famiglie che altrimenti si sarebbero trovate in serie difficoltà finanziarie, non potendo le mamme recarsi al lavoro per accudire ai loro figlioletti. Per questo il municipio non si limitò a parole, ma volle concorrere con una somma abbastanza rilevante alla costruzione della scuola materna. Vinse la -carità per i poveri • la parrocchia salesiana acquistò molto prestigio e benevolenza presso le autorità come presso le famiglie. Ora finalmente è venuta anche l'ora della chiesa. I progetti sono pronti. Sorgerà non solo la chiesa, ma anche un ampio salone e gli uffici parrocchiali. Il fabbricato centrale potrà così essere usufruito tutto per la scuola materna, e la vita parrocchiale potrà svolgersi in un ambiente più adatto e indipendente. Tutta la costruzione sarà di 913 metri quadrati; la spesa ammonterà a parecchi milioni, ma don Liviabella ha la Provvidenza dalla sua parte e non dubita che Dio manderà tutto il necessario per questa opera che, sorta in un ambiente ideale per il lavoro salesiano e cattolico, continuerà a essere un faro di luce per tante anime che cercano con cuore semplice Dio. DON GIOVANNI MANTEGAZZA Parroco salesiano a Tokyo 17 INVECE DELLA FIESTA» UNA SCUOLA PER I POVERI I ragazzi di un Liceo salesiano in Venezuela hanno rinunciato alla loro «festa della promozione» e deciso di costruire col denaro risparmiato una scuola per i bambini poveri della periferia. L'iniziativa - che sarà continuata negli anni a venire dai loro compagni più giovani e sostenuta dalle nuove leve di exallievi del Liceo - è segno di una maturazione sociale schiettamente cristiana. le altre lettere quel mattino il Tzuelarasuperiore dei salesiani del Venene trovò una proveniente dal suo Liceo di Los Teques (Caracas). Strano, a scrivergli non erano i suoi salesiani ma i loro ragazzi, quelli dell'ultimo anno, prossimi all'esame di maturità. Era una lunga lettera, zeppa dei paroloni che piacciono ai ragazzi d'oggi, come «alla luce delle conclusioni del Vaticano Il», e «coscienti dei problemi dell'America Latina», e ancora « disoccupazione, fame materiale e spirituale, sottosviluppo culturale ed economico», eccetera. A un certo punto arrivavano al dunque: « Guardando al panorama di miseria che circonda il nostro Liceo, abbiamo deciso che alla fine dell'anno scolastico non faremo la Festa della Promozione ». Una festa di solito opulenta - ricordava il superiore dei salesiani don José Henriquez -, che ogni anno tra premi, banchetti, musica, divertimenti e fronzoli si mangiava tutti i risparmi pazientemente rastrellati durante l'anno, cioè la cifra iperbolica di 50-60.000 bolívares . Qualcosa, in lirette , come sette o otto milioni. I ragazzi nella lettera dicevano che si sentivano « fermamente convinti che non si giustifica, né come 1 8 cristiano, né come latino-americano, né come venezuelano, che un gruppo di giovani spendano in sei brevi ore, e per una feesta , quella smisurata quantità di denaro ». Il superiore era perfettamente d'accordo. E si chiedeva cos'avessero ancora in mente. Detto che il loro corso si era sempre «distinto nell'aprire nuove vie al Liceo », e che si erano proposti di « rivoluzionare l'ambiente e creare una coscienza umana nazionale », esprimevano finalmente la loro idea « centrale »: essi avrebbero « costruito una scuola per i bambini poveri », in un sobborgo poverissimo chiamato La Macarena. Questa sì, si disse il, superiore, è un'idea buona. L'edificio sgangherato e inabitabile L'idea era nata durante un ritiro spirituale. I ragazzi quel pomeriggio facevano i soliti due passi per prendere una boccata d'aria, e lì alla Macarena osservarono con occhio nuovo l'edificio sgangherato e inammissibile che usurpava il titolo di scuola elementare. Si chiesero come fosse possibile educarci dentro dei bambini, e conclusero che bisognava fare qualcosa. Il sobborgo La Macarena non era affatto sconosciuto a questi ragazziche da tempo se ne occupavano. Di, versi gruppi, sensibili ai problemi sociali, nei pomeriggi liberi vi si recavano a visitare le baracche più povere, si rimboccavano le maniche per aggiustare tetti e' pareti, pagavano di tasca propria quando bisognava far saltare fuori l'indispensabile. Ora ecco l'idea della scuola. Non che fin dall'inizio l'accettassero tutti; al contrario, i quattro o cinque promotori dell'iniziativa incontrarono non poche resistenze. « C'è un certo spirito borghese in mezzo a noi», dicono, e ammettono che per tanti era uno schianto rinunciare alla fantastiga festa di fine d'anno scolastico. I pochi promotori, ragazzi in gamba, si misero in testa di sensibilizzare ai problemi sociali tutti i loro compagni di corso. Tennero riunioni e discussioni, costituirono comitati e assemblee, e quando l'ambiente fu preparato, invitarono tutti a votare il progetto. E tutti dissero "no" alla festa e "sì" alla scuola per i bambini poveri. Il denaro occorrente per la scuola è molto, e i ragazzi pensano a racimolarlo anche attraverso le solite svariate attività: lotterie, spettacoli, feste a pagamento. E poi le rinunce personali. UNA RISPOSTA CHE VALE Recentemente il Ministro della Pubblica Istruzione, accogliendo le istanze di alcuni Provveditori agli studi, ha diramato una circolare contro la diffusione di materiale pornografico nelle scuole. Vi si legge tra l'altro: « La stampa più accreditata del Paese ha denunciato, con frequenza sempre maggiore, episodi che non possono non allarmare gli educatori. Si tratta di difendere i valori culturali genuini del Paese e di preservare i giovani da una offensiva alla quale essi non hanno ancora maturati i mezzi propri di difesa. Richiamo, pertanto, l'attenzione sul penoso fenomeno, e prego di studiare e realizzare ogni opportuno sistema per scoraggiare iniziative del genere, non limitandosi a una pura opera repressiva, ma soprattutto svolgendo ogni opera perché si ponga un autentico freno al dilagare del fenomeno. La realizzazione del progetto è già cominciata. Si è comperato il terreno, i piani della costruzione sono pronti e approvati, il materiale viene a poco a poco accumulato. Il padre di un alunno, ingegnere, seguirà i lavori. Ma tirar su dei muri non basta, questi ragazzi pensano che dopo la scuola dovranno costruire un dispensario, un centro psicotecnico e le altre opere sociali. Per questo hanno associato alla loro impresa anche i compagni più giovani del quarto e terzo corso, che continueranno. Quelli del terzo hanno addirittura fondato un'organizzazione che - curioso segno dei tempi - si chiama °"Movimiento Social Revolucionario". Intanto le generazioni uscite dal collegio potranno continuare ad aiutare, con l'insegnamento, con prestazioni professionali, con l'aiuto finanziario. Così gli allievi ed exallievi del Liceo si salderanno insieme verificando il loro cristianesimo operante in quest'opera generosa e necessaria. Il Liceo salesiano di Los Teques ha tante benemerenze. Non pochi in giro lo considerano il miglior collegio del Venezuela. Ha dato al paese, in 35 anni di esistenza, molti uomini che si distinguono per la fede che portano nella prpfessione e nella vita. Non ultimo il presidente del senato, José Antonio Pérez Díaz , che recentemente - dopo che erano trascorsi tanti anni da perderne la memoria - ha osato di nuovo pronunciare in parlamento il nome di Dio. Questi ragazzi hanno già sostenuto i loro esami e forse non tutti sono stati ritenuti maturi sotto il punto di vista scolastico: certo - pensano i loro superiori sono maturi sotto il punto di vista sociale e cri stiano. a Le riviste DIMENSIONI OGGI, PRIMAVERA, RAGAZZI DUEMILA svolgono questa azione positiva nel campo dei giovani, delle adolescenti e dei ragazzi. Il pubblico di DIMENSIONI OGGI sono i giovani più pensosi, che « si i nterrogano», che si chiedono cosa sia questa società in cui devono vivere, che cercano una chiave per decifrarla cristianamente. PRIMAVERA è l'unica rivista giovanile per un pubblico femminile di adolescenti. Quelle attualmente esistenti in Italia sono a carattere prettamente maschile. Può quindi offrire ai genitori e agli insegnanti la risposta valida e concreta alle esigenze educative di oggi e una interessante l ettura alle giovanissime. RAGAZZI DUEMILA si rivolge al ragazzo d'oggi e lo informa sul mondo degli adulti e dei ragazzi perché sappia vederlo bene, con gli occhi non di un consumatore ma di un figlio di Dio. Per informazioni e richiesta di omaggi: Per Dimensioni Oggi e Ragazzi Duemila rivolgersi a: Periodici SEI - Piazza Maria Ausiliatrice 9 - 10100 TORINO Per Primavera scrivere a: Direzione Primavera - Via Laura Vicufia, 1 - CINISELLO BALSAMO ( Milano) 19 142 TOPOLINI All'ISOLA I n un'isola sull'Orinoco , nel Venezuela, a pochi gradi dall'equatore ho incontrato tre salesiani olandesi che hanno aperto un internato per i ragazzi indi. I missionari non vogliono sottrarre questi indi alle loro tribù perché vadano a vivere tra i bianchi, li preparano i nvece perché tornino poi alla loro gente, per aiutarla a sollevarsi dalla miseria e a incontrare Cristo. V aleva la pena tentare l'avventura sui piccoli aerei della linea interna venezuelana, che se ne impipano degli orari come le antiche diligenze del Far West; e affidarsi al leggero guscio di alluminio del bongo per qualche ora di navigazione sull'Orinoco gonfio di pioggia; e sottoporsi alla fame impietosa di mosquitos, zancudos , garrapatas , jejenes e altri i nsetti forestali: valeva la pena, per arrivare fino all'isola del Ratón , a pochi gradi dall'equatore, e imbattersi in un'idea. Un'idea incarnata, si capisce, e non evanescente fra le nuvole. Incarnata appunto nei 142 topolini dell'isola del Ratón . Hanno la pelle scura e gli occhi a mandorla come i cinesi, sgattaiolano da tutte le parti, si sorridono come fratellini, si parlano le loro lingue misteriose, e giocano alle birille colorate (un cerchio disegnato sul terreno e tante birille di vetro dentro, da colpire tirando con l'unghia del pollice). Monsignor Secondo García , il Vicario apostolico di Puerto Ayacucho che ha voluto accompagnarci, sceso dal bongo , corre verso un uomo aitante sulla quarantina, biondo nordico, e me lo presenta: « Don Ermanno Féddema: olandese, ma cattolico»: La battuta è trasparente: ridono anche i due nuovi sopravvenuti, anch'essi biondi nordici, anch'essi olandesi ma cattolici, i due coadiutori salesiani che lavorano con don Feddema . Inoltre ci sono tre suore; Figlie di Maria Ausiliatrice, che si interessano delle " topoline". E poi cinque o sei maestri indigeni poco più alti e poco più anziani dei ragazzi. Lì vicino, a ridosso della missione, vedo un villaggio di indi guahibo , in tutto sull'isola saranno 250 indi più o meno civilizzati, non pochi venuti per stare ,vicino ai loro figli che frequentano il collegio della missione (tanto, per loro, sovrani della foresta, vivere da una parte o dall'altra fa proprio lo stesso). E ci saranno ancora 250 creoli neppur essi troppo civilizzati, su quest'isola tutta verde che l' Orinoco aggredisce da ogni parte, lunga venti chilometri e larga sei, a forma di grosso topo senza coda. L'influsso della missione s'irradia molto più lontano, fino a cento o duecento chilometri, fino a raggiungere l'intera popolazione della zona, cioè due o tremila persone in tutto, metà creoli e metà i ndios , a volte appena sfiorati dalla civiltà. Quanto a cifre questo è tutto. Ci sediamo a parlare perché rimane da svelare il segreto di questa missione 20 di cui il Vicario apostolico è tanto fiero. Dal nostro inviato DON ENZO BIANCO Il visetto all'acqua e sapone # Da nove anni - comincia don Feddema - sono qui missionario nell'isola del Ratón . Ho sostituito don Luigi Algeri, un missionario italiano ormai anziano, consumato dalle fatiche, un martire del lavoro. Un uomo che aveva portato tutto il peso della vita missionaria come la si conduceva fino a una decina di anni fa. Il missionario era quasi tagliato fuori dal mondo civile, doveva dedicare il più del suo tempo ai lavori materiali del costruire la missione, del disboscare per inventare i campi, del coltivarli per strappare alla terra di che nutrire se stesso e gli indi. Quanto agli indi, vivevano ancora in condizioni deplorevoli, nella sporcizia, attaccati dalle malattie, setacciati dalle epidemie». E vero che le cose ora sono diverse: lo si vede. Molte missioni hanno il campo d'atterraggio, sono raggiunte per fiume da imbarcazioni veloci, hanno perfino il piccolo frigorifero per quando la colonna di mercurio dà la scalata ai 40° all'ombra e l'acqua fresca è una medicina. Ogni mattina alle sette i missionari si collegano per radio con il centro del Vicariato e parlano tra loro informando, domandando e scambiando battute. Quanto ai loro indi, molti hanno la casetta in muratura, fatta con i mattoni che il missionario ha insegnato a fabbricare, anche se poi non sanno bene come usarla e hanno da metterci dentro solo il mobilio forestale. Nel collegio missionario del Ratón vedo gli indietti con il loro vestito anche se non tanto pulito perché gli piace troppo rotolarsi per terra; ma le bambine vestono con proprietà e hanno il visetto all'acqua e sapone. Si ha netta l'impressione che la società dei bianchi urge da vicino ai bordi della foresta e già vi lascia filtrare qualche spiraglio di comfort. E il missionario ne trae tutti i vantaggi perché, libero dalle schiaccianti preoccupazioni materiali, può dedicarsi di più a risolvere i veri problemi della pastorale. Maestri dei loro genitori « Come mi resi conto della situazione - continua don Feddema - mi domandai: che cosa posso fare per questi indi ? Certo non potevo andare da loro. Erano una sessantina di gruppi sparpagliati, molto lontani da me e tra di loro; al massimo avrei potuto, gi - DEL RATO della sua origine, voleva vivere da bianco. Noi decidemmo di agire in modo semplicemente opposto. Cioè, avremmo preparato gli indietti a tornare in mezzo alle loro tribù, per aiutare i loro fratelli a evolversi a tutti i livelli. Sarebbero stati, per genitori, nonni, fratelli, zii, cugini, come maestri: nell'agricoltura, nella costruzione delle case, nella caccia e pesca con strumenti più efficaci, nell'imparare la lingua dei bianchi. E inoltre sarebbero stati infermieri e medici. E soprattutto, catechisti. In questo modo avrebbero preparato la loro razza all'incontro ormai inevitabile e prossimo con i bianchi. « Questa la nostra idea. La stiamo realizzando a poco a poco. Abbiamo nell'internato iio maschietti, i più grandicelli stanno per terminare il corso elementare. Abbiamo poi 32 bambine, sono al loro primo anno. Col prossimo settembre saliranno anch'esse a un centinaio ». Gli exallievi della foresta 't Isola del Ratón (Venezuela). P. Ermanno Féddema e i suoi calciatori. rando tutto il tempo, visitarli una volta all'anno. Non sarebbe servito a nulla. Oppure avrei potuto starmene qui ad aspettare che venissero da me, per dare loro una medicina, un paio di pantaloni vecchi, un buon consiglio e un pensiero cristiano. Quanto alla loro vera evangelizzazione, avrei dovuto affidarla agli angeli perché a me sarebbe risultata impossibile. E i bambini, quelli da cui Don Bosco dice di cominciare, che sono i soli veramente ricettivi, essi avrebbero continuato a vegetare nella selva, spesso sottoalimentati, senza imparare nulla. Decidemmo di aprire un collegio per questi bambini indi. « Non doveva essere un collegio qualunque, ma con finalità particolari. Don Bosco diceva che conquistati i ragazzi, sarebbero stati essi a portare ai salesiani i genitori. Così noi attraverso gli indietti avremmo raggiunto gli adulti delle tribù. Il nostro non era il primo internato per bambini indi, ma avrebbe avuto qualcosa di radicalmente di'rso dagli altri. Negli altri, ottenuto dai genitori un bambino indio, di solito lo si educava perché vivesse lontano dalla sua tribù, nella missione, tra i bianchi. Non lo si lasciava più tornare a casa dai suoi, per anni, neppure durante le vacanze scolastiche, al punto che il ragazzo finiva per non riconoscere più i genitori, e viceversa. Non era più capace di vivere presso la sua tribù, la ripudiava, provava vergogna « Non è stato facile --- riprende il missionario - convincere i genitori indi a affidarci i loro figli. Gli indi amano i figli forse più di qualsiasi altro genitore al mondo. Formano famiglie sane, legate da un affetto profondo, che coinvolge anche i parenti più lontani. Ma erano rimasti scottati dalle esperienze precedenti: quei loro figli inviati alle missioni erano diventati degli estranei, erano andati perduti per la loro gente. Ora io mi presentavo di nuovo a chiedergli i figli. Era come perderli, proprio non si sentivano di darmeli. Preferivano tenerli con sé, anche sporchi, ignoranti, affamati, denutriti, ma loro. « Promisi che glieli avrei restituiti durante le vacanze, che essi avrebbero potuto venirli a trovare in qualsiasi momento, che li avrei educati nell'amore ai genitori. Stentavano a credermi. Giunsi a regalare a un capo tribù una casetta in mattoni, a regalare un motore per la barca, dei machete. A tutte queste condizioni, riuscii infine a portare sull'isola del Ratón sette indietti . «Era settembre, a dicembre li riaccompagnai a casa per le vacanze di Natale. Dicevo ai loro genitori: "Vedete che mantengo la parola, che i vostri figli non sono schiavi nella missione ma sono liberi". Mi credettero, e alla fine delle vacanze me ne consegnarono quattordici. Ora sono 142. Presto arriveremo a duecento. « A volte i ragazzi, arrivate le vacanze, non vogliono partire. "Padre, non voglio tornare a casa, voglio restare con te". "Tu devi andare -- gli rispondo perché i tuoi genitori ti vogliono bene, e tu devi voler bene a loro". Vanno, si abituano a vivere nei due ambienti, a passare dall'uno all'altro. Già 24o di essi, dopo anni di internato sono ritornati alla tribù, e ci sono rimasti. Con enorme vantaggio della loro gente. Il loro ambiente naturale migliora sotto tutti gli aspetti. Conducono una vita sana, alcuni sono sposati, con figli, vengono continuamente alla missione, insegnano agli altri lo spagnolo che sta diventando il loro esperanto. « Durante le vacanze estive io salto sul bongo e vado a trovare tutti quelli che posso. Sento di aver guadagnato definitivamente la loro fiducia, che grandi e piccoli sono con me ». Don Feddema non riesce a nasconderlo: è fiero dei suoi exallievi della foresta. Vita da i ndietto La vita da i ndietto nell'internato del Ratón è semplice e piena di meraviglie. Ci sono tanti oggetti miste- 21 riosi di cui scoprire il funzionamento, come le sedie, i cucchiai, il sapone. I nuovi, come arrivano, sono taciturni e chiusi in se stessi. Parlano solo con quelli della loro tribù, si sentono in lotta con gli altri come i loro padri, ignorano le lingue altrui, non conoscono ancora lo spagnolo. Dopo tre mesi le barriere sono cadute, l'amicizia è fatta, sono tutti fratelli, si scambiano le birille . Cominciano la giornata alle 6,30, vanno in cappella per una preghiera e un pensiero sul Vangelo. Poi studiano o lavorano, fanno colazione, e via alla scuola. Nel pomeriggio hanno lezione di lingue. Don Feddema conosce le loro tre principali lingue, li porta a leggere • scrivere, li fa lavorare su brani del Vangelo che ha tradotto per loro e fatto stampare in Olanda. Altri lavorano esercitandosi in tutto quel «fatelo da voi » che la selva richiede: dal costruire scope e mattoni, al coltivare, al fabbricare ami da pesca. E poi i giochi, i campionati di calcio appassionati, disputati - da questi ragazzi che non hanno mai visto una vera partita - con tecniche piuttosto curiose e originali. Le 32 indiette , sotto la guida delle suore, conducono una vita simile, praticando giochi e lavori adatti alle loro condizioni e al loro futuro destino. Hanno un cortile rettangolare pieno di verde e di pappagalli variopinti, grossi come galline o piccoli come passeri, che si lasciano prendere come gattini e sono compagni di gioco. Le tre suore hanno già saputo compiere prodigi, con un intuito che ho potuto verificare anch'io durante il pranzo. Saputo che ero italiano, hanno scodellato in tavola gli spaghetti al sugo. A sera, meraviglia delle meraviglie, le filmine Don Bosco, per tutti. «Quelli che hanno fatto le filmine - esclama don Feddema , - che il Signore li benedica! Piacciono ai piccoli, e piacciono ai grandi. I grandi arrivano sulle loro barche, mi vengono vicino • mi supplicano: "Padre, una filmina!". «Se non c'è spettacolo, si canta. Gli indi hanno un orecchio formidabile, hanno piccole chitarre, e cantano molto volentieri. « Diamo loro molta libertà - spiega padre Feddema . Però nelle cose essenziali, la vita morale e lo studio, esigiamo il massimo. E non ci limitiamo a educare l'intelligenza, come succede in tante scuole, ma miriamo al principale, all'educazione del cuore, del sentimento, della volontà. « Sono ragazzi di razze diverse, per prima cosa li persuadiamo che sono come fratelli, che devono rispettarsi • trattarsi bene tra loro. Poi, prendendo gli aspetti più pratici della religione, insegno loro a vivere cristianamente. La morale che hanno imparato nella tribù ha tantissimi punti in contatto con la morale cristiana; comincio da essi per approfondire a poco a poco, in modo che i ragazzi si costruiscano una propria sintesi ben armonica. Cerco di evitare le contrapposizioni; mi rendo conto del pericolo che sarebbe se questi ragazzi si riempissero metà del cervello di princìpi cristiani • nell'altra metà conservassero intatte le credenze del gruppo, senza giungere a fonderle e unificarle. « Do loro una teologia molto semplice, con pochi riti, ma mi preoccupo di formarli al sentimento religioso tutto incentrato sulla presenza di Dio, e sul duplice comandamento dell'amor di Dio e del prossimo. Di battesimo, subito subito non se ne può parlare; arrivano qui che sono animaletti. Ma dopo due o tre anni, quando vedo che hanno raggiunto una certa maturità umana, li preparo e li battezzo ». 22 Cosi i figli della selva diventano figli di Dio. Il motore corrompe gli indi? Domando a don Feddema come prepara i suoi indi all'incontro con la civiltà dei bianchi. Perché l'urto ci sarà, anzi è già cominciato. Sul piano economico, psicologico e religioso. « Qui - dice - prima che i missionari riuscissero a far sentire il loro influsso, si stava instaurando una vera e propria schiavitù. Non c'era praticamente indio che non lavorasse per qualche bianco che lo sfruttava. Av - venivano dei baratti incredibili, gli indi lavoravano per niente. « Ma è molto facile sbagliare in campo economico. È facile anche per noi missionari assumere un atteggiamento paternalistico che danneggia l'indio invece di fargli del bene. Si dice: "Poveri indi, non hanno nulla, andiamo a regalar loro qualcosa". È trattarli da bambini, non da persone. Devono imparare il valore delle cose. Io invece dico loro: "Non ti do nulla, se non te lo guadagni". « Senza sfruttarli, si capisce. Ho distribuito tra gli indi una sessantina di motori da imbarcazione. Così, quando hanno un malato possono portarlo a curare in poche ore, e non più impiegando giornate intere, durante le quali il malato poteva anche morire. Se vogliono visitare i figli nella missione, possono farlo. Possono portare i loro prodotti al mercato. Questi motori non li ho regalati, e neppure li ho ceduti a condizioni da strozzinaggio, come facevano certi bianchi. Essi esigevano che l'indio lavorasse quattro anni, finché non avesse pagato il motore otto volte il suo prezzo, e alla fine .glielo portavano via dicendo che non lo aveva pagato. Cose capitate. « Io cedo il motore al suo prezzo, do tempo due o tre anni per pagarlo, con rate a base di prodotti della terra. Dico all'indio: "Me lo pagherai con granturco". Risponde: "Non so coltivarlo". Replico: "Vengo a insegnarti. Andiamo a vedere la tua terra". E così impara anche l'agricoltura, facendo da un giorno all'altro un balzo verso la civiltà di cinquecento anni. « È curioso, nel campo economico, l'atteggiamento dei missionari protestanti che lavorano qui vicino. Essi dicono: "Perché dare i motori agli indi? Gesù Cristo viveva sul mare di Genezaret e non aveva nessun motore. La povertà è ciò che apre la porta del cielo. Fortunati i poveri che non hanno motori perché di loro è il regno dei cieli". E così si disinteressano di tutto l'aspetto economico e sociale degli indi, limitandosi allo stretto insegnamento religioso. Io penso che l'uomo dev'essere salvato tutto intero. « Curioso è anche l'atteggiamento degli etnologi, nei confronti del motore. L stato qui uno studioso francese, professore alla Sorbona , e l'ho aiutato nei suoi studi. sione che i loro parenti - all'incontro con i bianchi, io cerco per prima cosa di distruggere l'ingiusta generalizzazione che li qualifica tutti come sfruttatori. Dico loro che tra i bianchi ci sono i buoni e i cattivi, proprio come tra gli indi. Dico che non è questione di razza ma di cuore, che nessuno nasce buono o cattivo ma si diventa tali secondo la propria volontà, che tutto dipende dall'ascoltare o no la voce di Dio ». Quanto a me, gli indietti del Ratón mi hanno studiato un poco, e mi hanno accettato. Tutto merito della mac - // provicario don Fontana dal Centro missionario di Puerto Ayacucho realizza il ponte-radio con tutti i missionari de/ Vicariato Apostolico. A destra, i missionari con un gruppo di sportivi forestali. Un giorno mi dice: "Padre, perché corrompe questi indi con un motore?". Era preoccupato perché il motore cambiava le naturali condizioni di vita degli indi. Gli dissi in belle maniere che lui vedeva gli indi soltanto come oggetti da museo, che dovevano essere conservati tali e quali per poterci fare sopra gli studi. Che se fosse possibile evitare l'impatto degli indi con i bianchi, forse il motore sarebbe inutile; ma i bianchi ormai sono arrivati. Che se non lo avessi venduto io il motore, e a prezzo onesto, glielo avrebbero venduto altri bianchi, e a quell'altro prezzo. Rispose il professore: "Ha ragione, padre"». Noi siamo gli ultimi missionari « Per prepararli all'incontro con i bianchi - continua don Feddema - mi è stato indispensabile capire che cosa essi pensino dei bianchi. La loro tradizione orale, trasmessa di padre in figlio, descrive il bianco come uno sfruttatore. Hanno una sfiducia naturale nei suoi confronti. « Anche il missionario appartiene al mondo dei bianchi, ma è l'uomo che ha poteri divini, che è a contatto con lo Spirito, che può influire sulle malattie. All'immagine dello sfruttatore sostituiscono quella dello stregone, del grande capitano, dell'uomo potente che tutto ha e tutto sa. In più, il missionario si accosta all'indio con atteggiamento da amico, dimostrando con i fatti che gli vuole bene. Se parlo con indi anziani, io li chiamo papà, mamma; se hanno la mia età li chiamo fratelli. Allora mi considerano come uno della loro famiglia. «Per preparare gli indi - sia i cuccioli della mia mis - china fotografica. Quando hanno visto il primo lampo del flash, nel loro refettorio, hanno applaudito. Poi sono venuti in sette, uno per tribù, a fare la foto ricordo. Poi tutti sul trattore. Poi le bambine con i pappagalli docili come micini . Tutti fotogenici, gli occhi dolcissimi, felici di mettersi in posa. Domando a don Feddema se riuscirà a salvare gli indi come popolo. « Non lo so - risponde. - I loro gruppi etnici sono piccolissimi, tendono a sciogliersi, alcuni si sono già disgregati. Io cerco di convincere i miei ragazzi a restare fedeli alla loro gente. Dico per esempio: "Tu che sei indio piaroa , devi sposare una piaroa ". Faccio il possibile per renderli capaci di difendere il loro costume. Ma solo se riusciranno a costituire nuclei abbastanza numerosi e compatti potranno sopravvivere come popolo. Altrimenti saranno schiacciati dal numero, assorbiti nella massa. Comunque andranno le cose, sento che noi siamo gli ultimi missionari, che le missioni presto qui non avranno più motivo di esistere*. Se fossi ateo Don Feddema si scalda nell'esporre le sue opinioni. Punta il microfonò del registratore in tutte le direzioni meno quelle giuste. Ogni poco mi domanda se ho capito, come se dubitasse del mio quoziente intellettuale, poi mi accorgo che è una felice deformazione professionale: quella dell'insegnante puro sangue che non va avanti finché non è sicuro di essersi fatto comprendere. Gli domando che cosa prevede per il futuro religioso dei suoi indi. 23 « Molto lavoro da fare - risponde. - Ora negli indi sta avvenendo soprattutto un cambio di mentalità, non ancora di religione. Noto in loro più umanità, più rispetto reciproco, più comprensione tra le diverse tribù. In pratica è un avvicinamento al cristianesimo, ma la strada è ancora lunga e devo andare adagio. « Soprattutto, non devo distruggere. Non ne ho il diritto, c'è libertà di pensiero anche per gli indi. Come missionario non posso imporre la mia dottrina, la propongo soltanto, cercando di renderla il più possibile convincente. « Loro amano la danza: sono danze religiose, che eseguono con maschere. Dovrei proibirgliele? Parole e gesti non sono contro la morale, lascio fare. Con la confidenza che mi sto guadagnando, a poco a poco faccio pressione perché cambino certi comportamenti che vanno raddrizzati. Ma posso farlo solo quando essi siano capaci di mettere, al posto lasciato vuoto, dei valori cristiani. Distruggere soltanto è pericoloso. Conosco certi piaroa che sono stati convertiti dai protestanti. Dicono: "Io non sono piaroa , io non sono indio, io sono cristiano». Per diventare cristiani hanno fatto un salto nel vuoto, hanno rinnegato la loro gente, la loro razza. Non era necessario. Io voglio che diventino cristiani, senza cessare di essere indi, di essere piaroa . Cioè senza cessare di essere se stessi». Gli domando come farà. « La soluzione ce l'ho. La mia idea - e ritorna alla sua idea, non l'ha ancora esposta tutta, quel che vedo è solo una parte, c'è il resto dell'iceberg invisibile sotto l'acqua, nascosto nel futuro. - La mia idea è di allargare la missione per far posto a una quarantina di indi che dopo aver frequentato le scuole primarie si fermino qui ancora per un biennio. In questi due anni essi approfondiranno l'apprendimento di tutte quelle cose pratiche (agricoltura, medicina, falegnameria) che sono indispensabili per migliorare il livello di vita dei loro fratelli; ma soprattutto studieranno per diventare catechisti. Essi saranno i catechisti delle loro tribù. Questi quaranta ragazzi dovranno essere scelti con il criterio geografico, in modo che tutti i gruppi vengano rappresentati. A distanza di qualche anno, in ogni gruppo di indi ci saranno alcuni catechisti che con l'insegnamento e con l'esempio della loro vita porteranno alla fede tutti gli altri ». Ecco, ora l'idea di don Feddema è rotonda e completa. Gli chiedo cosa manca per renderla operante. « L'aspetto economico non è il più difficile - dice gli aiuti finora ci sono stati, e non mancheranno in futuro. Il governo dà qualcosa, mi arrivano borse di studio, la Shell mi dà benzina, il più naturalmente mi viene dalla Congregazione. E poi tanti aiuti, piccoli e grandi, da amici vicini e lontani. Non ho nulla da parte, ma il necessario non mi è mai mancato, al punto che posso dire: anche se fossi ateo, dovrei credere alla Provvidenza. « Il più difficile è trovare i missionari e gli insegnanti adatti per questa scuola». E mentre dice a me queste parole, guarda con intenzione verso il suo Vicario apostolico, monsignor García . Capisco: è lui il capo dei missionari, l'idea rotonda e brillante di don Feddema dipende da lui. Guardo gli indietti che all'ombra di un grande mango giocano tranquilli con le loro birille colorate. I 142 topolini dell'isola del Ratón tra qualche anno potrebbero essere i catechisti dei loro genitori e dei loro fratelli. Monsignor García nasconde, dietro un sorriso stentato, un interrogativo che - si vede - gli fa male: 24 «Dove li prendo, i missionari? ». a TERZA PUNTATA I SEGRETI DEI GUAICAS Don Cocco conosce tre grossi segreti della vita dei Guaicas . « Uno glielo voglio far conoscere direttamente » mi dice, e mi accompagna presso uno sciapuni . È una enorme capanna a tronco di cono, dove abita il clan, da 30 a 50 persone di ogni età e sesso. Il brujo (stregone) sta iniziando un giovane alla vita del clan. Mediante una canna gli inala dentro le narici una polverina chiamata iopo, che è un allucinogeno. A poco a poco il giovane cade in uno stato di ubriachezza, e allora lo stregone gli conferisce il potere di vincere i venti e le acque, di cacciare questo o quell'altro animale selvatico; e intanto ne imita la voce e il modo di camminare. La cerimonia si ripeterà molte volte, anche per un mese intiero. « Non è soltanto in questa occasione che usano la droga - mi spiega don Cocco. - Essa è entrata profondamente nella loro vita, e la prendono soprattutto quando vogliono tramandare di generazione in generazione la loro storia e le loro leggende. I Guaicas non hanno ancora nulla di scritto, allora si soffiano nelle narici la polvere di iopo , e sotto l'influsso di questo allucinogeno raccontano. Lo stato di ebbrezza crea in essi l'illusione di venire in contatto con gli spiriti buoni della natura (gli Hekurà ) e di allontanare gli spiriti cattivi. Così credono di poter liberare i corpi sofferenti dalle malattie, di poter ricondurre nel corpo l'anima perduta, e perfino di volare verso il sole e la luna, nel regno della Notte. La loro salute ne resta scossa, naturalmente; ma molto meno che sotto l'effetto dell'alcool. Per ora non mi sento di togliere loro questa abitudine: distruggerei la loro cultura. Del resto, questi allucinogeni sono rigorosamente vietati alle donne e ai non iniziati ». i 7NELLE TERRE VERGINI DELL'ALTO ORINOCO S. Maria de los Guaicas (Alto Orinoco-Venezuela). Sulle sponde deli'Orínoco il missionario don Cocco e tre Figlie di Maria Ausiliatrice con alcuni indi Guaicas, che hanno ucciso un anaconda, il gigantesco serpente acquatico. IL CULTO DEI MORTI Il secondo segreto è il culto dei morti, profondamente radicato nell'animo dei Guaicas . A questi riti, di cui sono gelosissimi, non ammettono la presenza di estranei, ad eccezione di don Cocco, a cui non nascondono nulla. Quando muore uno della tribù, il corpo viene incenerito nello spiazzo antistante la capanna. Se il cadavere stenta a bruciare, brutto segno: vuol dire che è stato un poco di buono. Compiuta la cremazione, le ossa vengono raccolte, ridotte in polvere, e mescolate con pappa di banane. Poi i parenti, gli amici e i vicini del morto sono invitati a mangiarla, dopo una grossa battuta di caccia per procurarsi selvaggina. Consumato il pasto, dicono i Guaicas , l'anima inquieta del defunto, trova finalmente pace e riposo. Ma la vera e propria festa dei morti ha luogo in autunno, quando maturano i frutti. Dura parecchi giorni, con danze, canti notturni e chiacchierate interminabili. L'aspetto più drammatico di tale festa sono le lotte violente tra uomini che vogliono dissipare malintesi, rafforzare amicizie, ristabilire posizioni di onore e di prestigio. Don Cocco mi mostra lo strumento usato per la lotta: una pesante ascia di legno, simile a un remo. Basterebbe un colpo ben assestato per spedire all'istante un uomo all'altro mondo; ma i Guaicas lo sanno maneggiare in modo da... lasciare soltanto i segni, senza uccidere. Che se uno sbagliasse e uccidesse davvero l'avversario, sarebbe immediatamente ucciso a sua volta dagli spettatori, che stanno osservando attentamente con le frecce pronte. LE VISITE La terza caratteristica dei Guaicas è la frequenza delle visite reciproche e il modo con cui le compiono. Lo scopo è di stabilire relazioni amichevoli, combinare nuovi matrimoni, o stipulare alleanze contro nemici comuni. In ogni caso, si scambiano tutte le notizie possibili, e si chiedono oggetti in regalo. Coloro che compiono la visita domandano sempre qualcosa, e l'ospite deve accontentarli. Mostrarsi avaro, sarebbe il peccato più grave per un Guaica . Così vive questa gente semplice, per la quale finora i pesci dell'Orinoco , gli animali e i frutti della selva sono bastati per nutrimento e la luce del sole e delle stelle per vestito. Gente che prima dell'arrivo del missionario non conosceva la scrittura e sapeva contare soltanto fino a tre. E tuttavia, gente ricca di intelligenza, di umanità e di buon gusto, che manifestano nelle forme più svariate. Uomini e donne amano dipingersi il corpo, con disegni vari ed eleganti: linee larghe e nere indicano lutto; tratti più sottili, rosso e marrone, indicano gioia. L'ornamento è completato da foglie, da bastoncini levigati, e da piume, che infilano nei lobi delle orecchie, nel setto nasale e agli angoli della bocca. Amano il canto, a cui si 25 abbandonano con voce melodiosa. Amano gli animali, in particolare i cani. Non è raro vedere una donna che allatta un cagnolino o una scimmietta. Una caratteristica curiosa è l'uso che fanno del tabacco: arrotolano una foglia e se la pongono tra i denti e il labbro inferiore della bocca, creando così una grossa prominenza sul mento. Gli uomini si dedicano di preferenza alla caccia e all'allestimento delle barche. Conoscono un veleno potentissimo, il curaro, che usano sia a caccia che in guerra. Le donne fanno tutti i lavori di casa, anche i più pesanti; sanno intrecciare cesti di fibra e filare il cotone, portandosi l'ultimo figlioletto allacciato al dorso. Questi sono i Guaicas : un popolo aperto al progresso civile e alla redenzione cristiana. Ieri don Cocco ha compiuto 60 anni. Gli abbiamo fatto un po' di festa. Non è mancato neppure lo champagne, uno champagne di prima qualità procurato dalla dottoressa Inga Steinvorth de Goetz , delicata e generosa come una mamma. Un brindisi in piena regola nel cuore della selva; anche le Suore, una volta tanto, hanno trascurato l'acqua del fiume. IL VIAGGIO DI RITORNO Dobbiamo partire. Il dolore del congedo è attenuato dall'impegno di ritrovarci per la fine del mese a Puerto Ayacucho . El almirante Teofilo de la Fuentes riprende il comando della voladora e corre veloce, evitando con sicurezza scogli, banchi di sabbia, tronchi galleggianti, e abbordando le curve con maestria. Dopo cinque ore di viaggio, ci fermiamo a una stazione di rifornimento. Gli indigeni riconoscono don Fontana, e gli chiedono un cigarrillo . Di solito ne è fornito: gli amici gliene fanno dono, a conforto e sollievo della sua solitudine. Ma don Fontana conosce modi molto più evangelici di vincere la solitudine, e non si permetterebbe mai consumi voluttuari in un mondo di povertà; perciò li regala ad altri; ma questa volta ne è del tutto sprovvisto, peccato. Alle 19 esatte facciamo alt a S. Antonio di Macuruco . Don Fontana vi incontra un amico dottore, 26 che fa parte del Centro governativo per la lotta contro la malaria e il paludiamo. « L'avete presa la pastiglia contro la malaria? ». Don Fontana si dà una manata sulla fronte: « Già! Ce ne siamo del tutto scordati! ». Il dottore ci fa immediatamente ingollare due pillole ognuno, invitandoci a ringraziare Iddio per essere passati i mmuni tra legioni di insetti. I quali, comunque, non disarmano per questo, e ci martirizzano tutta la notte. Verrebbe la voglia di strapparsi la pelle, tanto è il prurito e il bruciore delle punture. L'unico conforto è il pensiero che ad ogni modo non ci prenderemo la malaria. A SAN JUAN DE MANAPIARE Alle prime luci dell'alba siamo dinuovo in acqua. Imbocchiamo prima il Ventuari , ampio e maestoso come l'Orinoco nel quale si scarica, e poi il Manapiare , affluente del Ventuari . Un grosso stormo di uccelli si alza in volo al nostro passaggio, e ci precede ingrossandosi sempre più, quasi scorta festosa al nostro arrivo. È centro in piena espansione. La civiltà batte impaziente alle porte. Come primo risultato, ha sconfitto ed eliminato gli insetti nocivi, specialmente gli insopportabili mosquitos , e quei fastidiosi parassiti che si arrampicano sulle gambe e arrivano fino alle spalle, lasciando larghi segni sariguigni sulla pelle. Sul piazzale esuberante di verde davanti alla missione è atterrato un elicottero. Il pilota, dalla poderosa corporatura, è un exallievo salesiano, e porta un capitano e un professore di geologia nucleare, venuto per studiare rocce e raccogliere campioni. In compagnia loro e di don Arranz , che dirige questa residenza, facciamo un largo giro per tutta la missione.. Don Arranz, uomo di dinamismo formidabile, mi espone con calore i suoi progetti per l'avvenire. Sono tali da far venire il capogiro; ma gli altri interlocutori non sono da meno, e sognano il Duemila, quando le rive dell'Orinoco saranno fiorite di villini, si alzeranno al cielo le ciminiere delle fabbriche e le antenne della TV. « Purché la civiltà non ci rubi il verde, l'aria pura e l'acqua limpida, come nelle grandi metropoli d'Europa e d'America... ». La conversazione ne prosegue animatissima durante la cena; poi usciamo all'aria aperta, per ammirare la luna piena che si specchia nelle acque del grande Rio. Un fresco venticello carezza piacevolmente le nostre guance. Il dottore ci offre un delizioso whisky al ghiaccio. Il pilota si impegna in una partita al pallone con i ragazzi di don Arranz . Pare una gara tra i moscerini e l'elefante. Il giorno dopo con don Arranz vado a visitare le tribù dei Piaroa . Mi accorgo subito che sono a un livello di civiltà nettamente superiore. Non abitano in capanne, ma in casette di mattoni e di fango; e hanno il senso della previdenza: si fanno scorte di generi alimentari, come pesce secco e ben confezionato, sacchi di mafloco e altro ancora. È gente attiva e intraprendente, saranno gli industriali e i commercianti del Duemila. Perciò don Arranz non vorrebbe lasciarsi sorprendere dal tempo, e sogna una vasta opera parrocchiale, con un'ampia cappella che possa accogliere tutti, mentre ora metà dei fedeli è regolarmente costretta a starsene fuori, sulla piazzetta. CONGEDO La mia visita ai missionari dell'Alto Orinoco è terminata. Lascio Manapiare con un bimotore del Code Sur , che punta su Puerto Ayacucho , levandosi in volo da una pista costruita, anch'essa, dai missionari. Fuggono alle nostre' spalle i monti, vestiti di verde fin oltre i duemila. Tutta la pianura appare nella sua sconfinata vastità, tagliata in due da un interminabile nastro luccicante, l'Orinoco . Conservo negli occhi e nel cuore le i mmagini delle meravigliose realtà che ho vissuto. I missionari meritano davvero la gratitudine dell'umanità intera. Soli, spesso senza mezzi, ma animati da una fede e da un coraggio che vanno oltre ogni speranza, spalancano la via della civiltà umana e cristiana ai popoli più soli e trascurati. Senza nessun interesse, senza la più piccola ricompensa, pagando di persona. Un giorno spariranno, saranno dimenticati, altri mieteranno ove essi hanno seminato. Ma davanti al Padrone della messe, il Signore dei popoli, nessuna lacrima, nessuna goccia di sudore o di sangue, sarà caduta invano dalla loro fronte. DON FRANCESCO LACONI CONOSCIAMO POCO LA COREA Dal nostro inviato DON CARLO DE AMBROGIO i el dicembre del 1950 la semidistrutta città di Seul , capitale della Corea del Sud, fu sul punto di essere occupata dai nord-coreani comunisti. Rimanevano da salvare i tesori nazionali più preziosi; una nave governativa si teneva alla fonda per caricare all'ultimo momento. Cosa si poteva mettere in salvo? Si seppe che il governo voleva salvare a tutti i costi l'Orchestra Sinfonica di Seul. Senza musica la Corea non poteva esistere. La musica coreana è meravigliosa. « Venga con me alla Korea's House », mi dice gentilmente don Mario Ruzzeddu , che è il superiore dei Salesiani nella Corea del Sud e quindi il capo di quella pattuglia di coraggiosi del Signore che sono i missionari dislocati agli ultimi lembi dell'Asia. La proposta mi attirava. Sapevo che la musica coreana è la sola musica asiatica che può competere con quella europea per la ricchezza e la complessità dei sentimenti. La sala di audizione della Korea's House, quando ci arrivammo, era già piena di gente, in maggioranza americani. Mi accorsi che le canzoni coreane hanno il ritmo di valzer indiavolati. Basta che una dozzina di coreani si riuniscano insieme perché qualcuno di loro cominci a cantare. I ragazzi delle scuole prediligono i vecchi canti popolari. N Un popolo paziente Ma l'amore dei Coreani per la musica non significa che essi siano un popolo molle. Tutt'altro. I Coreani sono per tradizione un popolo duro, inossidabile. Nessun'altra nazione al mondo ha patito tante distruzioni come la Corea. Primi irruppero gli antichi predoni cinesi. Poi vi si rovesciarono le orde spietate di Genghis Khan. Nel 1592 i Giapponesi distrussero quasi tutte le città della Corea. Nel 1636 i Cinesi rincararono la dose. Nel 1910 i Giapponesi occuparono tutta la Corea. Quando infine venne la liberazione nel 1945 i Russi s'insediarono nella Corea del Nord. Poi nel 1950 scoppiò la guerra che tornò a devastare il paese. Nessun altro popolo della terra - escluso il popolo polacco - ha saputo conservare la propria unità nazionale in simili condizioni. La sopravvivenza della Corea è un fenomeno storico difficilmente riscontrabile. I Coreani come nazione hanno uno straordinario potere di ricrescita; sanno incassare molto bene i colpi inflittigli dalla storia. Sono un popolo estremamente paziente. Il Coreano, individualista a oltranza Conversai a lungo con il Delegato ispettoriale don. Mario Ruzzeddu (un uomo che passò gran parte della sua vita in Thailandia , a Bangkok, e ne conserva un'inguaribile nostalgia), scambiai parole col maestro dei novizi don Molero Gesù e con i Salesiani dello Studentato filosofico e teologico di Shintorim Dong; mi venne quindi messa maggiormente a fuoco un'immagine più precisa della Corea e dei simpaticissimi Coreani. Capisco bene che la Corea fa da ponte tra il continente asiatico e il Giappone. Fin dai tempi più remoti, infatti, i Cinesi di antichissima civiltà e le tribù della Siberia e della Manciuria si raggrumarono nel Nord, mentre nel Sud si insediavano gli industriosi Giapponesi. La storia della Corea va considerata come un continuo fluire e pendolare di queste genti. Il popolo coreano ha quindi raccolto e assimilato gli influssi del Giappone e della Siberia. 27 « Attenzione, - mi diceva don Vincenzo Donati, musico brillante e conoscitore perfetto della lingua coreana - il Coreano è di per sé un individualista a oltranza ». Come si spiega? Forse perché il paese è montagnoso al massimo grado, molto di più che l'Italia. A spianarne le cime dei monti, la terra coreana ricoprirebbe tutto il nostro pianeta. Un terreno così accidentato permette a piccole comunità compatte di rifugiarsi in valli remote e di viverci isolate nelle loro usanze millenarie. 1 professori dell'Oriente La civiltà giapponese, praticamente, subì il filtro della Corea. Tre religioni passarono attraverso il ponte della Corea: il Confucianesimo dalla Cina, il Buddismo dall'India, e lo Sciamanismo (o culto degli spiriti) dalla Siberia. Ognuna delle tre s'impiantò in Giappone; vi prosperarono, il Buddismo senza cambiar nome, e lo Sciamanismo tramutato e perfezionato nello Scintoismo. Le pagode e i tempietti con il tetto rivoltato in su vengono dalla Corea. I Coreani sono artisti finissimi. L'industria giapponese delle ceramiche è dovuta ai vasai coreani che fabbricavano coppe e piatti rifiniti a smalto. I Cinesi hanno sempre chiamato i Coreani « i professori dell'Oriente ». La maggiore affermazione coreana nel campo intellettuale è l'alfabeto nazionale. Per i primi 1500 anni della loro storia, i Coreani si erano serviti dei caratteri cinesi per la loro lingua scritta. Ma la popolazione rimaneva analfabeta perché il coreano parlato differisce dal cinese quanto l'italiano dall'ungherese. Fu nel 1445 che, un geniale re coreano dette al suo popolo un alfabeto di uso pratico che chiunque può imparare nel giro di poche ore. Oggi l'analfabetismo è quasi scomparso in Corea. I n casa del signor Kim Yung Sik Un gentilissimo signore coreano, Kim Yung Sik , mi volle invitare a cena in casa sua. Accettai, benché fossi per lui uno sconosciuto. Gli bastava sapere che ero un prete e che venivo dall'Italia, felice che si andasse da lui. Venne a prenderci in macchina: don Ruzzeddu e io ci sfilammo le scarpe prima di entrare in casa. È di prammatica. Anche nelle chiese coreane ci si leva le scarpe. Ammirai la bella invenzione coreana della casa col pavimento riscaldato. Probabilmente, mi spiegavano, il primo germe di quest'idea si era avuta in Manciuria. ma i Coreani avevano perfezionato ir sistema semplice e ingegnoso, che consiste nel far passare vapore d'acqua e fumo attraverso delle tubature nel pavimento; queste vengono poi ricoperte da larghi fogli di cartone compresso laccati con olio di soia: così il pavimento della casa coreana è sempre caldo e lucidissimo. Già ai tempi di Cristo, i Coreani godevano del riscaldamento radiante. Era l'inizio dell'autunno. Al mattino una nebbiolina lieve, come una coltre di seta quale nelle regioni dell'Italia nord, si leva a Seul . Nelle case dei Coreani è in auge il culto dei fiori. I giardini di tutto il mondo si sono arricchiti della flora meravigliosa giunta dalla Corea. Alcune piante, come la forsythia , il susino. l'azalea, sono, è vero, native della Cina, ma il tanto decantato ciliegio giapponese è originario della Corea, che ancor oggi possiede i più bei boschetti di quest'albero pittoresco. Nazione segnata dalla fatalità La Corea è l'unica in Asia a non avere una religione nazionale riconosciuta. Un tempo vi predominò il Buddismo, che però non s'impose mai in tutto il Paese. In epoca posteriore, gli uomini praticarono il Confucianesimo, mentre le donne rimanevano per lo più fedeli allo Sciamanismo e al suo caldo mondo di spiriti. Oggi la religione che predomina in Corea è il Cristianesimo. Basta osservare le numerose chiese che vi sorgono. Le conversioni sono in un ritmo di aumento paragonabile a poche altre nazioni. Il popolo è meraviglioso. Ma la Corea come nazione sembra segnata dalla fatalità. Geograficamente sarà sempre una nazione che farà da ponte di pas - saggio; e la sorte di tali nazioni è di venire invase periodicamente. Oggi al diciottesimo parallelo montano la guardia le forze dei due blocchi che si contendono la supremazia sul mondo. L'amore della patria è vivissimo in ogni coreano. Il popolo si difende dalla fiumana dei disastri, che gli si abbattono addosso, aggrappandosi alla propria terra. I giovani coreani Un rapido panorama delle opere salesiane nella Corea del Sud è presto fatto. Nella capitale Seul a Shintorim Dong sorge lo Studentato filosofico e teologico insieme al noviziato e al magistero di perfezionamento professionale per coadiutori. Non sono molti i giovani salesiani coreani, ma sono promettenti. C'è la parrocchia di San Francesco di Sales a Kuro Dong con addetti due salesiani spagnoli, don Paolo Bahillo e don Alfredo Moreno e un coadiutore coreano, Kim Mosè . E terzo, il magnifico Centro Giovanile Don Bosco a Shintaebang Dong con una scuola professionale per meccanici, un pensionato e una scuola serale. La dirige don Edoardo McNeill , allegro, intraprendente, instancabile. Anche a,Seul - mi dicono - come in tutte le grandi città del mondo i gruppi di giovani « irrequieti » sono più numerosi degli « irrequieti » di una volta che sono sempre esistiti. Cercano ed esigono un mondo « migliore »; sono delusi dalla realtà, di cui tuttavia non possono fare a meno; da una parte avvertono con particolare evidenza la loro mancanza di incidenza nella società che li ha cresciuti e d'altra parte sono convinti della loro propria forza creativa. Don Gesù Molero, che conosce molto bene gli ambienti universitari di Seul e i giovani di avanguardia (insegna spagnolo all'università), mi dice che i giovani più avanzati mostrano una fede, nonostante tutto, quasi utopistica nella comunità, nella rivoluzione sociale e nella società futura. L'escatologia, in definitiva, ha sempre forte presa sui giovani. Mi ricordai quello che mi diceva a Hong Kong un espertissimo studioso di marxismo cinese, il gesuita padre Melis : « Legga il libriccino rosso Parole del Presidente Mao Tse-tung. Vi troverà il segreto del marxismo nel far leva sulle aspirazioni a un mondo migliore che fermenta nell'anima soprattutto dei giovani ». La terza via A Seul , in un'ora di quiete, sfilai dalla valigia il libriccino rosso Parole del Presidente Mao Tse-tung e lessi: « In tempi antichi visse nel nord della Cina un vegliardo dei monti nordici di nome "Vecchio Pazzo". Due grandi montagne sbarravano la strada che dalla sua porta di casa andava verso il sud: il Taihang e il Wangwu . Vecchio Pazzo prese la decisione di abbattere con zappe queste montagne insieme ai suoi figli. t'n altro vegliardo di nome Vecchio Saggio rise quando li vide all'azione e commentò: "È veramente assurdo quello che fate. Pochi come siete, non potete spianare due montagne di simili dimensioni". Vecchio Pazzo gli replicò: "Muoio io, restano i miei figli; muoiono i figli, restano i nipoti; e così le generazioni in una serie senza fine. Queste montagne sono alte, ma non possono diventare più alte; caleranno anzi di tutto quello che noi riusciremo ad abbattere. Perché non le dovremmo spianare?". Poi Vecchio Pazzo senza nemmeno tentennare e senza più discutere si mise a demolire le montagne un giorno dopo l'altro. Ciò commosse l'Imperatore del Cielo che mandò due suoi messaggeri sulla terra. Essi presero sulle spalle le due montagne e le portarono via». Mao Tse-tung fa subito l'applicazione: « Attualmente ci sono due grandi montagne che pesano sul popolo cinese: una si chiama imperialismo, l'altra si chiama feudalesimo ». Quello che segue non mi interessava più. Riflettei: due popoli pesano da sempre sulla Corea e la chiudono come in un sandwich: la Cina e il Giappone. Ma la Corea è un popolo duro, un popolo sacrificato, un popolo ostinato, un popolo fedele. Lo saranno anche le nuove generazioni coreane, che più delle precedenti conoscono il Cristo? Tra il marxismo cinese e il materialismo giapponese, l'unica soluzione possibile è il cristianesimo. Non ce n'è altra. a E DEL SUO APOSTOLO SAN GIOVANNI BOSCO PER INTERCESSIONE DI MARIA AUSILIATRICE COME SE UNA VOCE GLI AVESSE DETTO: « FERMATI » un mese, sentendomi meglio, volli fare una nuova radiografia. Risultato: sana come se non fossi mai stata ammalata. Ho ringraziato Don Bosco e sono diventata una sua propagandista. Sento anche il dovere di ringraziare il giovane Kokkinis , che mi ha fatto conoscere un Santo così caro e così grande. Atene (Grecia) SPIRIDULLA GHEORGHIN Assolvo a un mio debito di profonda riconoscenza alla Madonna di Don Bosco - anche come Cooperatore salesiano che ogni giorno affida le proprie bambine alle premure delle Figlie di Maria Ausiliatrice - per un suo materno intervento col quale ella mi salvò la vita. Tempo fa stavo percorrendo via Stra- SPACCIATA DAI MEDICI della (in Torino), diretto verso il centro PER TROMBOSI CEREBRALE della città, a bordo di una autovettura di piccola cilindrata. Dietro me un grosso Nostra sorella Giulia, colpita da trombosi autocarro con rimorchio. A un tratto, cerebrale, fu trasportata all'ospedale e vi di colpo, senza motivo, senza alcuna rimase parecchie ore in coma. I medici giustificazione - come per una voce non ci davano alcuna speranza di salche mi dicesse: « Férmati » - mi sentii varla. Allora con tanta fede rivolgemmo stranamente ispirato ad arrestarmi al li- l e nostre preghiere e tutte le nostre spemite estremo della carreggiata destra. ranze a Maria Ausiliatrice e a San GioEbbene, il grosso camion, che un attimo vanni Bosco, che le ascoltarono e ci prima si era affiancato alla mia sinistra, ottennero la guarigione. Per la grande per evitare una vettura che aveva invaso grazia ricevuta le sorelle inviano l'offerta l a sua corsia in senso opposto, si spo- promessa e desiderano che la grazia stava tutto a destra bruscamente, sa- venga pubblicata. l endo anche i gradini del binario del Genova-Pegli ANGELINA DELLA NOCE trami Senza quel mio improvviso arresto, l a mia vettura sarebbe stata inevitabilmente schiacciata. L'impressione che ne provai fu choccante , e la rivivo tuttora. lo ritengo che fu la Madonna, che tutti in famiglia onoriamo, a volere che Sr. Fiorina Parmiggiani ( Triuggioi o arrestassi la mia marcia qualche attimo Milano ) si rende interprete della riconoprima, perché altrimenti avrei proseguito scenza a M.A. e a Don F. Rinaldi della regolarmente. Infatti nulla mi avrebbe nipote Bruna per l'assistenza avuta nella i mpedito di continuare, e sarei stato stri- sistemazione al lavoro. tolato pochi metri più avanti. GIOVANNI B. RIGHETTI Sr. Elisa Zuliani ( Udine) ringrazia M.A. Torino per la prodigiosa guarigione di un cugino e per molte altre grazie ottenute per sé e per altri. DON BOSCO PREMIA LA CARITÀ Rarri Maria ved. Sala (Busero-MiDI UN EXALLIEVO l ano) è grata a S.G.B . per la guarigione I o, per essere sincera, non conoscevo da pleurite e polmonite, quando umananemanco il nome di San Giovanni Bo- mente parlando non c'erano più speranze. sco. La mia famiglia è tanto legata a A. A. C. (Lodi-Milano). Con la novena a un giovane greco di nome Giorgio M.A. consigliata da S.G.B .,' ottenne la Kokkinis , exallievo salesiano nel Medio guarigione della figlia da i ttiosi (malattia Oriente. Da lui ho sentito parlare di definita inguaribile). Don Bosco e dei Salesiani. Noi siamo ortodossi e solo mia madre è cattolica Maria Bizzotto Frigo (S. Zenone Ezzeperché di origine francese. lo lavoravo li ni-Treviso) dichiara: « Mio figlio Alalla società aerea greca « Olymbic». Ma fonso rimase vittima di un incidente stradallo scorso ottobre ero malata di tu- dale e fu in coma per 11 giorni. Dopo bercolosi e ricoverata in un sanatorio. avergli applicata l'immagine di M.A. e Quando il giovane Kokkinis l o seppe, messa al collo la reliquia di S.G.B ., rimi portò una reliquia di Don Bosco e prese vita ». cominciò a pregare per me. In quel periodo ero anche ammalata di nervi e Dott. Rosalba Alberghina (Catania) due volte ho tentato di mettere fine alla scendendo la scalinata che dalla chiesa mia vita: avevo perduto la salute e il porta alla strada, cadde con la faccia in posto di lavoro, e mi pareva di non avanti. La caduta poteva essere mortale. poter più vivere. Giorgio pregò molto L'intervento di M.A. le impedì di farsi il 30 e fece tante Comunioni per me. Dopo minimo male. Olimpia Fabrici Lecon ( ClauzettoPordenone ) rende grazie a M.A., a S.G.B . e a S.D.S . perché hanno salvato il figlio i n un incidente stradale e per altre segnal ate grazie concesse a lei, al marito e al figlio. Maria S. ( Gela-Caltanissetta) dichiara di dovere alla intercessione di M.A. la guarigione di un fratello affetto da stenosi mitralica al cuore e di una sorella da un attacco alla pleura. Nelly Roux ( Montjovet-Aosta ) attribuisce a M.A. e a S.G.B . l' aver scongiurato il pericolo - che sembrava già in atto di un male insidioso. Anita di Gregorio (Tunisi) desidera rendere pubblica la guarigione di un nipotino, il buon esito negli studi di un figlio e altre grazie. CI HANNO PURE SEGNALATO GRAZIE Accornero fam . - Amerio Rosina - Andrenezioli Argia - Antonietto Secondina - Antonini Santina Appendino N. - Arduino Lucia ved. Bianco Argenio Concetta - Bacuzzi Adele - Bagnati Caterina - Baldi Francesca - Barbaglia Cerutti Francesca - Barbero Antonietta - Barbero Maria Ernesta ved. Garbarino - Bedeschi Marianna Bellini Elsa - Benedetti Pia - Benedetto Felice e Giuseppina - Benzi Rina - Bergaglio fam . - Bergna Fernanda - Bergomi Anna - Bermand Rosina Bernardini Maria - Bernello Giuseppe - Bertoldo Teresa - Besseghini Caspani Caterina - Bethaz Sidonia - Bianciotto Paola - Bigliardi Battini Oddolina - Biscaldi Luigina - Boccuccio Alfieri - Bonfrisco Elena - Bonifacio Erminia - Bonizzoni Francesca - Bordin Erlinda - Borgarino Nini Borgo Caterina - Borgo Bruno Giuseppina Bosconero fam ; - Brandi Teresa - Brioschi Gianni - Bruni Marietta - Brusco Maddalena - Burchesi Rosaria - Caccia Assunta - Cai Teresa - Calabrò Giuseppa - Calicante Laura - Cammarata Grazia Cangiano Francesca - Cappellini Elisa - Caputo Teresa - Cardinale Maria Concetta - Careggio Francesca - Carelli Rosa - Casati Ausilia - Castellani Rosina - Castelli Necchi Renata - Castrucci Ottaviani Iris - Cavallo Onorata - Caverni Anna Celia Simone Rosina - Ceranto Angela - Cerocchi Teodolinda - Cesario Bianca - Chiofalo Perrelli Teresa - Chistoni Maria - Clementi Cattane Lilla Coali Giuseppina - Coghi Piera - Colussi Romana - Coppola Anna - Core Ferraro Maria - Corti Teresa - Costalbloz Alfredo - Crippa Culacciati Albina - Crippa Villa Carla - Crisafulli Maria Teresa - Cristiani fam . - Crotti Costanza - Curto Emma - Dacasto Giuseppina - Dadò Giuseppe Daina Rina - Dall'Oro fam. - Damiani Eledis D'Angelo Angela - De Cicco Modesta - Dedoni Maurizio - De Gangi Rosa - Dei Cas Luigi De Mare Giuseppa - Dester Luigi - De Vito Maria Di Fresco Anna - Di Mussi Rosalia - Di Nuoro Concetta - Disconzi Elisabetta - Donato Pietro Dorato Adele ved . Bianco - Ejdallin G. Battista Facci Goldina - Fantoni Rina - Farello Giacomo Ferrero Giuseppina - Ferrero Maddalena - Ferrero Maria - Ferretti Lucia - Fidelbo Antonietta - Filipozzi fam . - Fiorentino Anna - Fisichella Paolo - Floris Pasqualina - Jojeusaz Margherita - Fontana Aurelia - Franci Elisabetta - Frantantonio Carmela - Fresia Clotilde - Fulco dott. Paolo Gabri Nerina - Gallo Grazia - Gambaruto Teresa - Garzonio Maria - Ghirardi Bosio Laura - Ghisu Giuseppe - Giacomini Rosa - Gilberti M. Maddalena - Giuffrida Giacoma - Giustetto fam . - Don Filippo Rinaldi Simone Srugi I L CAVALLO ROTOLA GIÙ E LUI, SOTTO Dalla Missione salesiana di Sevilla Don Bosco, nel Vicariato Apostolico di Méndez (Ecuador), viaggiavo a piedi diretto a Méndez, con undici ragazzi chivari . Guadato l' Upano e raggiunta Macas , potemmo approfittare per dieci chilometri del camion della Missione, poi continuammo a piedi. Dopo altri 16 chil ometri, arrivammo a Sucúa e vi pernottammo. Il giorno dopo, con la carretta trainata dal trattore della Missione, raggiungemmo Huambi (altri 8 chilometri) e avanti a piedi. La carità dei salesiani di Sucúa però mi aveva fornito di un cavallo. A metà strada tra Huambi e Logrono , presso il torrente Changachangaza , il cavallo, stanco di camminare nel fango, mentre saliva un sentiero strettissimo, mise un piede in fallo e cadde. Fu un salto pauroso. Il cavallo rotolò due volte su se stesso e io, sotto. Invocai Maria Ausiliatrice e Don Rinaldi . Mi fermai vari metri più in basso. Il cavallo finì un metro più sotto. Feci per rialzarmi. Il petto mi doleva forte, essendo stato mezzo schiacciato dall'animale. Il braccio destro non lo potevo articolare. L'omero era andato fuori posto, sotto l a clavicola. I ragazzi, passata la collinetta, erano andati avanti senza accorgersi di niente. Gridai forte, ma non mi sentivano. Finalmente, attratta dalle grida, venne una contadina, che mi ricondusse il cavallo e mi spinse in sella. A tanta distanza da Sucúa , alle sei di sera, in quelle condizioni, non sapevo che pesci pigliare. Mi misi a invocare Don Rinaldi , che in fatto di ossa se ne intende, e continuai a farlo con grande fiducia finché potei incontrare i ragazzi, che mi accolsero spaventatissimi . Allora mi venne un'idea. Dissi loro: « Afferratemi il braccio e tirate anche se grido: com'è uscito, deve rientrare». Detto fatto. Il braccio ritornò buono buono al suo posto. Mi doleva, ma potevo articolarlo. Solo il petto mi preoccupava per il dolore e per il timore che si producesse una pleurite da schiacciamento. A Logroiio arrivammo alle 9 con un buio già fitto. Nel cammino - tutto fango e pozze d'acqua profonde caddi un'altra volta e il braccio uscì fuori di posto come prima. I ragazzi me lo tirarono forte di nuovo, mentre i o invocavo Don Rinaldi . Con facilità me lo fecero ritornare a posto. Dormimmo in una scuoletta . Per me dormire su di un tavolato fu il martirio che si può immaginare. Mi tormentava anche la preoccupazione di complicazioni Zeffirino Namuncurà Laura Vicuna ai polmoni, perché il colpo ricevuto dal cavallo era stato fortissimo. Temevo pure che ci fosse qualche costola rotta. Misi tutto nelle mani di Dio per intercessione di Don Rinaldi . La mattina dopo ci rimettemmo in marcia. A Méndez - pensavo - c'è un ospedaletto . Giungemmo alle 5 di sera. Non sentivo più alcun male. Quindi non feci neppur parola dell'accaduto e i ragazzi furono bravi e non mi tradirono. Come mai non sentivo più nessun disturbo in nessuna parte? Non posso spiegarmelo se non pensando che Don Rinaldi aveva fatto la grazia completa. AI mio ritorno a Sevilla un colono esperto in slogature volle palparmi il braccio. Si meravigliò di non notare nulla. « Lei ha saputo curarsi bene», mi t disse. « lo non so curare le slogature», risposi. Il medico era stato Don Rinaldi , e non solo della slogatura. Ho tardato qualche anno a rendere questa pubblica testimonianza perché la grazia fosse collaudata dal tempo. PER INTERCESSIONE DI ALTRI SERVI DI DIO stare in piedi per un tempo prolungato, i l che da 15 giorni non mi era possibile effettuare. In breve tempo ottenni la guarigione completa, senza il ricorso ad alcun rimedio umano. Dico un «grazie» cordiale al mio protettore, e desidero venga pubblicata la grazia affinché anche altri ricorrano alla sua intercessione. Nazareth (Israele) una FIGLIA di MARIA AUSILIATRICE GUARITO DA TUMORE MALIGNO Il signor Alejo Puyssegur di 70 anni di età da molto tempo soffriva di un male al labbro. L'analisi dei medici dimostrò che si trattava di un cancro localizzato. Con i suoi familiari invocò l'intercessione di Zeffirino Namuncurà e dopo dieci giorni di applicazioni di radio la ferita si cicatrizzò. Trascorso un anno e mezzo, si recò nuovamente alla capitale per sentire il parere degli specialisti. Mentre il male avrebbe dovuto DON ALFREDO GERMANI riprodursi trattandosi di un tumore di Taisha (Ecuador) natura maligna, i medici gli confermarono la perfetta guarigione. Tornò una seconda volta a Fortín Mercedes presso Per intercessione di Don Rinaldi : l a tomba di Zeffirino a ringraziarlo, e questa volta lo accompagnò anche la Don De Stefanis Natale, salesiano figlia medico residente a Cordoba. ( Courgné - Torino) soffriva da molti c anni di gravi disturbi senza che si riu- Fortín Mercedes (Argentina) DON ALBERTO GREGHI scisse a individuare la causa del suo male. Si affidò al servo di Dio Don Fili ppo Rinaldi e ben presto poté costatare l' efficacia del suo intervento in GUARITO DA EPILESSIA una nuova diagnosi e nell'atto operatorio felicemente riuscito. Un mio figliuolo di tredici anni, tre anni fa, . Cuneo) dice a cominciò a presentare sintomi epilettici. ( Bra Rita Begese Curato, non migliorò, anzi il suo male Don Rinaldí tutta a sua riconoscenza peggiorò e divenne vera e del p l epi per aver ottenuto alla figlia il lavoro l essia . Le cure del medico l uogo uogo e desiderato e i n un l uogo non troppo degli specialisti consultati non portarono distante. alcun giovamento. Angosciata per il suo stato compassionevole, mentre da vari giorni si trovava preso da continue convulsioni e quasi del tutto incosciente, GUARISCE SENZA RICORRERE misi sotto il suo guanciale un'immagine A MEDICINE della serva di Dio Laura Vicuna, racAvevo raggiunto da pochi giorni la Casa comandandole con grande fede mio destinatami dall'obbedienza, quando mi figlio. Dopo essere rimasto per un po' nelle si gonfiarono le gambe producendomi stesse penose condizioni, d'un tratto il i n pari tempo dolori acuti, tanto da non poter attendere alle mie occupazioni, mio figliuolo venne in cucina per dirmi, con grave disagio della comunità. II tutto meravigliato, d'aver veduto una ragazza presso di lui. Dalla descrizione medico non fu in grado di diagnosticare l a causa del male e quindi non mi diede che ne fece, risulta essere proprio Laura alcun rimedio. In quei giorni mi pervenne Vicuna . Da quel momento cominciò a un'immagine con reliquia del servo di star bene e, senza far uso di medicinali, non ebbe più alcuna ricaduta nel male. Dio Simone Srugi e l'applicai sulla I mmensamente grata a Laura, desidero parte malata, iniziando una novena. Il miglioramento si verificò fin dal giorno sia pubblicata questa grande grazia. seguente, tanto da poter cominciare ad Palmares (Costa Rica) attendere ai miei doveri che esigono lo CLEMENTINA VARGAS DE ROJAS 31 PREGHIAMO PER I NOSTRI MORTI SALESIANI DEFUNTI Don Ermenegildo Murtas t a Castellammare di Stabia (Napoli) a 6z anni. I molti che hanno avuto la fortuna di accostarlo lo ricorderanno come s maestro di vita,. Insegnante sicuro e profondo, sapeva dire a tutti una parola chiara, che gli proveniva dall'intimo del proprio spirito, dal contatto continuo con i Padri della Chiesa e della Congregazione, dalla preghiera che gli era abituale. Salesiano stimato, ha profuso le sue energie nelle case di formazione, nello studio della spiritualità salesiana, nell'approfondimento dello spirito di Don Bosco. Superiore prudente ed esperto, ha dato a tutti esempio di lavoro sacrificato, anche nei momenti in cui la sua salute avrebbe imposto un necessario riposo. Sacerdote sempre disponibile al ministero, in questi ultimi anni è stato confessore apprezzato e ricercato, non solo della comunità dei chierici studenti, ma anche dei sacerdoti della diocesi, che hanno avuto modo di conoscerlo nel Consiglio Presbiteriale , di cui era membro. Anche la sua serena e silenziosa dipartita, preparata da tempo e quasi attesa, resta l'ultimo suo insegnamento. Don Luigi Ornaghí t a Sondrio a 64 anni. Dopo un'adolescenza angelica trascorsa nell'Istituto salesiano di Milano, dove era soprannominato - il San Luigi a 1 8 anni divenne figlio di Don Bosco. L'entusiasmo per la sua vocazione, la pietà profonda, la dedizione sempre gioiosa nell'apostolato della scuola e dell'oratorio festivo lo fecero amare ed apprezzare nelle nostre case di Chiari, Modena, Faenza, Milano e Sondrio. Negli ultimi 25 anni della sua vita fu soprattutto esperto direttore spirituale. Lo ricordano al Signore con grande riconoscenza parecchie comunità di Figlie di Maria Ausiliatrice e di altri Istituti religiosi. Don Francesco Nee t a Ispwich ( USA) a 41 anni. Ch. Restituto Arnanz t a Madrid (Spagna) a zb anni. COOPERATORI DEFUNTI Topino Bertogalli t a Neviano Arduini (Parma) a 33 anni. Lo stroncava un violento attacco cardiaco mentre lavorava nel podere di famiglia, il 23 maggio scorso. Giovane di formazione morale e religiosa perfetta, divenne presto animatore di ogni attività giovanile, con profondo spirito salesiano, nella sua parrocchia di Neviano Arduini . i, i Tonino come tutti lo chiamavano, resterà indimenticabile per limpidità di vita, zelo apostolico e spirito dì preghiera. I suoi funerali furono onorati dalla presenza del Vescovo e del Vicario Generale della Diocesi di Parma. Maria Rosso ved . Gallenca t a Foglizzo (Torino) a 93 anni. Madre esemplare di dieci figli, di cui sette ancora viventi, fu felicissima di dare a Don Bosco il suo decimo figlio don Angelo, per il quale aveva una predilezione particolare per la sua dignità sacerdotale. Ricordava con esattezza di particolari le accoglienze trionfali che Don Bosco aveva avuto nelle sue visite a Foglizzo per la fondazione della casa. Fino agli ultimi mesi la preoccupazione sua fu l'assistenza alla santa Messa quotidiana nelle primissime ore del giorno: era sempre la prima ad arrivare. Per lei era un giorno perso quello in cui non poteva partecipare alla santa Messa e fare la santa Comunione. Nutriva una particolare devozione per il Papa ed era felice quando riceveva, tramite il figlio sacerdote addetto alla Segreteria di Stato, qualche dono dai Sommi Pontefici Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, che si è ricordato di lei in occasione del XXV di Messa del figlio e in punto di morte. Una fede senza incrinature e mezze misure l'ha sorretta e resa invulnerabile contro ogni attacco e difficoltà della vita. Avv. Giuseppe Gavazzo t a Vicenza a 88 anni. Fu allievo del Collegio Manfredini di Este al quale si mantenne sempre affezionato. Cattolico militante, copri importanti uffici nella città natale. Sulle orme di Don Bosco, fu zelatore della buona stampa. Attese n per oltre sessant'anni a redigere e dirigere La Crociata contro la bestemmia i, periodico mensile popolare, unico nel suo genere, diffuso in tutta Italia. Giuseppe Caraballese t a Molfetta (Bari) a 78 anni. Un vero patriarca, aureolato da dieci figli, dei quali due sono religiose: una Figlia di Maria Ausiliatrice e una i Ancella del Sacro Cuore*. l'a carità che lo animava lo rese ottimista e promotore di opere buone, in spirito di fedeltà a Don Bosco. Nei mesi di grave malattia predicò con l'esempio piena rassegnazione alla volontà di Dio. La Forgia Crescenzo t a Molfetta (Bari) a 8o anni. Attivo cooperatore salesiano fin dai tempi di fondazione dell'Opera nostra in Molfetta. Devoto di San Giuseppe, ne zelò la devozione e fu generoso benefattore del ,' Tempio votivo » eretto dai salesiani nella sua città in onore del Santo. Sebastíana Belardo t a S. Teresa Riva (Messina). Cooperatrice molto affezionata all'Unione, aveva una grande devozione a Maria Ausiliatrice e a San Giovanni Bosco. Il 24 di ogni mese era per lei un giorno di festa. Si diceva particolarmente felice perché il figlio era stato educato a Randazzo dall'attuale Rettor Maggiore. Ernesta Borreani ved. Gíberti f a Torino. Devotissima di Don Bosco, seppe compiere con fede la sua missione di sposa e di madre lasciando al figlio - che volle educato alla scuola del Santo -- l'esempio di una vita intessuta di bontà, carità, rettitudine e lavoro. Adele Maria Mori in Doveri T a Buti (Pisa). Di cuore nobile e generoso, edificò la sua vita nell'onestà e nella rettitudine cristiana. Trasformò i beni terreni in opere per i futuri missionari, accumulando tesori per il Cielo. Ora ha raggiunto quelli che l'amarono e attende quelli che l'amano. Carmela Corvino t a Napoli a 66 anni. Cooperatrice salesiana profondamente religiosa, visse nel lavoro santificato e nel sacrificio. Rimasta vedova, prodigò tutte le sue forze per il bene dei figli, che educò con lo spirito di Don Bosco, sull'esempio di mamma Margherita. Amò la parrocchia salesiana del S. Cuore al Vomero . Vi si era inserita vitalmente anche con la parte attiva che prendeva alle celebrazioni liturgiche, animando il canto sacro con la sua voce armoniosa. La lunga malattia ne purificò lo spirito e la morte serena rivelò la sua maturità spirituale. Rosa Turla ved . Loríní e Rosa Lorini, morte a Chiari (Brescia), mamma e figlia, a poche settimane l'una dall'altra. Erano di quelle anime generose che si tramandano di generazione in generazione un ricca tradizione di fede. Rosa Turla rivive con il candore della sua giovinezza e la laboriosità forte e tenace della sua famiglia nel romanzo i La statua di sales del fratello Agostino. La figlia Rosa s alla catechesi, all'assistenza Lorini si dedicò s con passione apostolica ai fanciulli, al decoro della chiesa e alla preghiera. Giustetto Lucia t a Torino a 74 anni. Cooperatrice salesiana insieme con la sorella deceduta lo scorso anno, per trent'anni prestò la sua opera generosa e disinteressata nei laboratori del Centro della Congregazione: i Mamma Margherita i e i San Francesco di Sales s. Trascorse la sua vita nella pietà e nel nascondimento , dissimulando la carità che sapeva esercitare con tatto e delicatezza. Beneficò le Missioni salesiane fondando diverse Borse Missionarie, ma conservando sempre l'anonimo. Offriva le sue sofferenze - che ultimamente erano divenute lancinanti - per la Chiesa, per il Papa e per i Sacerdoti. Maria Guíllaro t a Napoli a 8z anni. Tutta la vita di questa ardente Cooperatrice e Zelatrice è stata intessuta di fede e di carità operosa. Era devotissima di Maria Ausiliatrice; a lei con grande amore donò una sua figliuola . Piena di senso apostolico, aiutava con gioia le opere di Don Bosco. Seppe santificare i suoi dolori con un'intima unione con Dio. L'ultimo suo pensiero fu per Maria Ausiliatrice e per le sue figlie. Francesca Esposito t a Napoli a 71 anni. Donna di esemplari virtù, amò con forte senso cristiano la sua famiglia e quella di Don Bosco. Era Cooperatrice zelante e assidua del Centro di via Don Bosco. Vincenzo Buscema t a Modica Alta (Ragusa) a 84 anni. Brillò per integrità di vita e per lo spiccato senso religioso che dimostrò nell'educare i suoi dieci figli e come primo consigliere d'amministrazione nella società Carlo Papa. Nella i San Vincenzo s e nell'Azione Cattolica, di cui fu presidente per tanti anni, rivelò un'abnegazione pronta, fraterna e delicata per le famiglie più povere e bisognose. Come Cooperatore salesiano, amava e aiutava le Opere di Don Bosco e diffondeva con amore la devozione a Maria Ausiliatrice. Spirò con la preghiera sulle labbra. L'ISTITUTO SALESIANO PER LE MISSIONI con sede in TORINO, eretto in Ente Morale con Decreto 12 gennaio 1924, n. 22, può legalmente ricevere Legati ed Eredità. Ad evitare possibili contestazioni si consigliano le seguenti formule: Se trattasi d'un legato: «...lascio all'Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino a titolo di legato la somma di Lire... (oppure) l'immobile sito in... ». Se trattasi, invece, di nominare erede di ogni sostanza l'Istituto, la formula potrebbe essere questa: 32 «... Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale l asciando ad esso quanto mi appartiene a qualsiasi titolo». (luogo e data) l'istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (firma per esteso) CROCIATA MISSIONARIA TOTALE MINIMO PER BORSA L. 50.000 • Avvertiamo che la pubblicazione di una Borsa incompleta si effettua quando il versamento iniziale raggiunge la somma di L. 25.000, ovvero quando tale somma viene raggiunta con offerte successive. Non potendo formare una Borsa, si può contribuire con qualsiasi somma a completare Borse già fondate BORSE DA COMPLETARE Borsa: Francesco Secco, chierico salesiano, in cura del fratello Luigi (Venezia). memoria, a L. 30.000. Borsa: Gesù, Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco, in suffragio delle Anime del purgatorio, le più abbandonate, p. gg . rr . e invocando protezione, a cura della famiglia Unia ( Genova). L. 30.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, S. G. Bosco e ven. don M. Rua, in suffragio di Vanda Filippone , a cura di Pietro e Rita Stoppani (Ghemme - Novara). 1. 25.ooo . Borsa: Maria Ausiliatrice e Don Bosco, implorando grazie e protezione, a cura di Odino Rollandin ( Ayas - Aosta). L. 30.000. Borsa: Don Bosco, a cura di Carmela Safelice ( Sansevero - Foggia). L. 25.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco, invo - cando protezione, a cura di Beppe e Sandro Strata (Vesime - Asti). L. 30.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco, in ringraziamento e invocando grazia, a cura di N. N. ( Como). L. 25.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e S. M. Mazzarello , in ringraziamento, a cura di Lina Reggiori (Savona). L. 31.000. Borsa: Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice e Santi Salesiani, a cura di Francesca Rinaldi (Castagneto Po - Torino). L. 40.000. Borsa: Sacro Cuore di Gesù, Maria Ausiliatrice e Santi Salesiani, p. gg. rr. e invocandone altre, a cura di Maria Ribaldone ( Omegna - Novara). L. 25.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco, invocando grazia, a cura di N. N. (Cuneo). L. 30.000. Borsa: Don Bosco e S. D. Savio, a cura dei coniugi Pia (Montegrosso d'Asti). L. 25.000. Borsa: Don Pietro Berruti, a cura del dottor Carlo Panizzi , exallievo di Alassio (Imperia). L. 25.000. Borsa: Papà Lorenzo, a cura di Giuseppe Pagani (Saronno - Varese). L. 40.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, p. g. r., a cura di Raffaele Micillo ( Calvizzano - Napoli). L. 25.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, S. G. Bosco e don Filippo Rinaldi, in ringraziamento, a cura dei coniugi Moretto (Torino). L. 25.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, S. G. Bosco e Santi Salesiani, proteggeteci! a cura di M. R. (Alessandria). L. ;5.000. Borsa: Don Bosco, in suffragio dei propri defunti, a cura di Cristina e Alessandro Marchese (Genova). L. 25.000. ( coxrsxva) BORSE COMPLETE Borsa: Maestro Giuseppe Enrico Loss-Rubin , in memoria e suffragio, a cura del fratello Don Giovanni Loss. L. 50.000. Borsa: Don Bosco e Don Rinaldi, a cura di Mario Rondolini ( Pallanzeno - Novara). L. 15.000; Peota Bisognin Elisa (Vicenza). L. i 5.ooo ; Erminia Facchin ( Vicenza). L. 15.000; Gisella Damiano ( Saluzzo ) L. 2500; Incoronata Gambone ( Foggia). L, 2.000; Franca Nascimbene (Pavia) L. 1.000. Borsa: San Giovanni Bosco e Mamma Margherita, invocando protezione, a cura di Maria Cerutti (Asti). L. 12.000; N. N,, L. zo.ooo ; Eugenia Magliano ( Cuneo). L. 12.000; Alda Gullino (Savigliano). L. 4.000; Emma Pressenda Rolfo ( Cuneo). L. 1.000; Elia Valzolgher (Trento) L. a.ooo . Borsa: Maria Ausiliatrice e Don Bosco, invocando protezione, a cura di Aida Barbieri (Siena). L. 10.000; Graziella Spiganti, p, g. r. (Perugia). L. 15.000; Maria Colombo (Varese). L. 15.000; Pietro Massa (Cuneo). L. 5.000; Teresa Cutaia , p. g. r. ( Agrigento). L. 2.000; Lella e Mario Ernesto (Torino). L. 2.000; Gabriele Perugini ( Forli ) L. 5oo ; Ersilia Damiano (Benevento). L. 5oo . Borsa: Maria Ausiliatrice, S. G. Bosco e S. D. Savio, p. g. r., a cura di Fiorentina Robiano Baldizzone (Asti), L. zo.ooo ; Antonio Fenili ( Lecco). L. 24.000; Aurelia Valesi (Varese). L. S.ooo ; Pietro Dallapiccola ( Trento). L. 1.500. Borsa: Don Cojazzi , a cura del dottor Angelo Bondelli (Sassari). L. 30.000; Candida Zambelli (Trento) L. 1 2.000; Tilde Avanzi ('l'orino). L. 1.500; V. Macchelletta ( Frosinone). L. 5.ooo ; N. N. (Vercelli). L. 2.ooo . Borsa: Gli educatori al loro Santo, a cura di N. N. 20.000; N. N. L. 30.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, Don Bosco, S. D. Savio e S. Antonio, invocando grazia, a cura di A. P. (Varese). L. 10.000; Can. Giovanni Solinas (Sassari), L. 2o.ooo ; Attilia Crovini ( Torino). L. S.ooo ; Ermenegildo Brena (Bergamo). L. i2.ooo ; Pietro Bortolato (Venezia). L. 3.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, invocando protezione, a cura di Barberis Canonico Molina (Vercelli). L. 25.000; Bianca Abbo (Sanremo). L. 20.000; N. N. L. 5.000. Borsa: San Domenico Savio, a cura di Carmela Raiola (Torre del Greco). L. S.ooo ; Famiglia Guerretta , invocando protezione. L. 25.ooo ; Lina Bianchi, (Genova). L. 20.000. Borsa: Giulia Coli, in ricordo e suffragio, a cura del padre Onorato (Reggio Emilia). L. 1z.ooo ; Alice Cappone, (Bergamo). L. 12.000; Giuseppe Rossi (Bolzano). L. 1o.ooo ; Gina Colombo (Lecco). L. 1z.ooo ; Cesarina Puppi Vietti ( Como). L. 25.000. Borsa: San Domenico Savio, a cura di Olga Pisotti ( Genova). L. t1.ooo ; Maria Travaglia (Trento). L. 36.000; Vittorio Bielli. L. 2.000; Franca Nascimbene (Pavia). L. 1.000. Borsa: Don Bosco, a cura di Enrica Chizzola ( Trento). L. 4.000; Maria Chiri ( Torino). L. 12.000; Luigi Casale (Varese). L. 10.000; Giovanni Chiodini (Varese). L. 25.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, S. G. Bosco e S. D. Savio, proteggete la mia famiglia e in special modo la mia nipotina, a cura di E. M. (Roma). L. 50.000. Borsa: Don Angelo Amadei , in memoria, a cura di Guido Rizzolio ( Rivoli - Torino). L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco, Grazie! proteggeteci sempre, a cura di Angela Rita Leone ( Cesarò - Messina). L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e Don Bosco, p. g. r., a cura di Edoardo Alifredi ( Torino). L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, invocando protezione, a cura di Adriana Marcosanti (Bologna). L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, S. G. Bosco e S. D. Savio, invocando grazie e protezione, a cura di Giuseppina Bellotti (Oleggio - Novara). L. 50.000. Borsa: Don Angelo Amadei , in suffragio di Rita, a cura di Italo Zucca (Torino). L. So.ooo . Borsa: Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco, in ringraziamento, a cura di Matteo Olivero ( Mazzé Torino). L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e Santi salesiani, esaudite le mie preghiere, a cura di M. C. (Asti). L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco, implorando grazie, a cura di Antonio e Anna Visconti (Cermenate - Como). L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco, in suffragio dei nostri cari defunti e implorando protezione in vita e in morte, a cura delle sorelle Vergna- no ( Chieri - Torino). L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco, in ricordo e suffragio dei miei genitori Giovanni e Caterina Bertola , a cura di Carolina Bertola ( Aglié Canavese - Torino). L. 50.000. Borsa: Sacro Cuore di Gesù, Cuore Immacolato di Maria, confidiamo e speriamo in Voi: proteggeteci, a cura di P. G. e C. (Torino) L. 50.000. Borsa: Sacro Cuore di Gesù, Maria Ausiliatrice, Don Bosco e Santi Salesiani, invocando suffragio per i defunti e protezione per i vivi, a cura di Maria Gattoni e famiglia (Gattico - Novara). L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice, Auxilium nostrum, a cura di N. N. L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e Don Bosco, adempiendo promessa e implorando protezione, a cura di M. N. (Torino). L. 50.000. Borsa: Bosio Virgilio, in ricordo e suffragio, a cura di N. N. L. 50.000. Borsa: Maria Ausiliatrice e S. D. Savio, a cura di M. T. P. L. 50.000. Borsa: Prof. Mario Biglia, a cura della moglie Maria. L. 50.000. Borsa: Gaetano, Clarice Marimpietri Di Marco e Lidia Di Marco, in memoria e suffragio, a cura dei nipoti Annarita Villani e Antonio Di Marco. L. 50.000. (c.suNUa ) BOLLETTINO SALESIANO Si pubblica il 1° de/ mese per i Cooperatori Salesiani: il 15 del mese per i Dirigenti dei Cooperatori S'invia gratuitamente ai Cooperatori, Benefattori e Amici delle Opere Don Bosco Direzione e amministrazione: via Maria Ausiliatrice, 32 - 10100 Torino - Tel. 48.29.24 Direttore responsabile Don Pietro Zerbino Autoriz . del Trib . di Torino n. 403 del 16 febbraio 1949 Per inviare offerte servirsi del C.C. Postale n. 2-1355 intestato a: Direz. Generale Opere Don Bosco - Torino Per cambio d'indirizzo inviare anche l'indirizzo precedente , Spediz. i n abbon . postale - Gruppo 2 (70) - 1 • quindicina a1]pO111 p 11 LIBRI COME MONDI NUOVI 11 storia~ scienza~ narrativa Eroi e avventure di tutti i tempi. Leggenda e storia, scienza e tecnica, mondi che affascinano. Miti e uomini, pianeti sconosciuti e antichi castelli medioevali : mondi diversi da scoprire e da conoscere. Una collana per tutti i ragazzi. Una lettura formativa per la scuola e per la vita. Ogni volume L. 1.600 ---- >< --- - • Spett. SEI: Speditemi contrassegno (più spese postali) n._ copie de: • 11191111 SEI • Società Editrice Internazionale n. _ copie de: Nome e cognome Indirizzo C.A.P. Firma PER ACQUISTARE I LIBRI Compilate, ritagliate e spedite il tagliando a: n - copie de: • T. Bosco, SEGRETI DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA • F. Zani , GLI AVVENTURIERI DEL FAR WEST ∎ O. Visentini , L'ARDITO DEL CONTE VERDE • L. Wallace , BEN-HUR ∎ H. Tichy, I L BIANCO SAHIB ∎ R. L. Stevenson , L'ISOLA DEL TESORO ∎ A. M. Pennyless , I L NIDO DELLE AQUILE ∎ G. Verne, I FIGLI DEL CAPITANO GRANT ∎ F. C. M. Quilici , ESPLORATORI E ESPLORAZIONI ∎ A. Rutgers, UOMO O LUPO? ∎ T. Bosco, CINEMA DEL BRIVIDO ∎ O. Visentini, 1 CAVALIERI AZZURRI ∎ M. Twain , LE AVVENTURE DI TOM SAWYER ∎ T. Berna, LA TESTIMONIANZA DEL GATTO NERO ∎ M. Pascucci , SULLA VETTA ∎ F. Molnar , I RAGAZZI DELLA VIA PAAL ∎ P. Lewis , ALCIDE DE GASPERI . UFFICIO PUBBLICITÀ Città B S 19170 Casella Postale 470 (Centro) 10100 TORINO