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Sommario
Le Cento Città
*
Direttore Editoriale
Mario Canti
Comitato Editoriale
Fabio Brisighelli
Romano Folicaldi
Giuseppe Oresti
Giancarlo Polidori
Direzione, redazione,
amministrazione
Associazione Le Cento Città
[email protected]
Direttore Responsabile
Edoardo Danieli
Prezzo a copia
Euro 10,00
Abb. a tre numeri annui
Euro 25,00
Spedizione in abb. post.,
70%. - Filiale di Ancona
Reg. del Tribunale di Ancona
n. 20 del 10/7/1995
Stampa
Errebi Grafiche Ripesi
Falconara M.ma
Periodico quadrimestrale de
Le Cento Città,
Associa­zione per le Marche
Sede, Piazza del Senato 9,
60121 Ancona. Tel. 071/2070443,
fax 071/205955
[email protected]
www.lecentocitta.it
*
Hanno collaborato a questo numero:
Alberto Berardi, Mario Canti,
Giovanni Danieli, Romano Folicaldi,
Ettore Franca, Ugo Gironacci,
Alfredo Luzi, Alberto Pellegrino,
Maria Luisa Polichetti, Luigi Ricordo,
Walter Scotucci
In copertina
Locandina del film Ossessione, 1943
(tratta da: M. Scudiero - M. Cirulli,
“Il cinema italiano. Manifesti tra
Arte e Propaganda 1920-1945”.
Comune di Predappio, 2005)
3Editoriale
Le strade bianche delle Marche
di Ettore Franca
5Il Focus
Origini e diffusione del cinema nelle Marche
di Alberto Pellegrino
12 L’attualità
Aboliamo le province, accorpiamo i comuni.
Implicazioni, perplessità, speranze
di Mario Canti
15 La letteratura
Le poesie di Plinio Acquabona: I lampadari
di Alfredo Luzi
17 Il ricordo
Luigi Dania
di Luigi Ricordo
19 Mostre
L’Eucaristia nell’arte. Le mostre del XXV Congresso
Eucaristico Nazionale
di Maria Luisa Polichetti
Guercino a Fano
di Alberto Berardi
La Biennale di Venezia e l’impresa sgarbiana
del duemila
di Walter Scotucci
33 La musica
L’Opera omnia di Giuseppe Giordani detto
Giordaniello
di Ugo Gironacci
37 Libri ed eventi
Lo Sferisterio Opera Festival 2011 e la Stagione lirica di
Jesi - Il lavoro editoriale on-line
di Alberto Pellegrino
43 Vita dell’Associazione
Visite e convegni
di Giovanni Danieli
Diario minimo
di Romano Folicaldi
Le Cento Città, n. 44
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Editoriale
3
Le strade bianche delle Marche
di Ettore Franca
Assumere la presidenza di Le Cento Città, dopo
l’anno scintillante proposto
e guidato brillantemente da
Maria Luisa Polichetti, per
me significa continuare quel
percorso.
Le Marche sono per noi, e
si spera non solo, una Regione che si fa più affascinante
man mano che si scopre il
contenuto di ciascuno dei
tanti “giacimenti” siano essi
culturali, ambientali, di storia, di paesaggio, di operatività e, non ultimi, di gastronomia.
Conoscere le Marche è la
premessa per individuarne
l’identità, ricercare un denominatore comune che leghi
le cento città e i cento paesi,
ciascuno coi suoi campanili.
Finora l’Associazione si
è interessata, tra altri, agli
aspetti “macro” vastamente trattati
sulle guide turistiche.
Ma le Marche non sono solo
aspetti “macro” ed è per questo che
mia intenzione sarà quella di portare
Le Cento Città ad indagare ciò che,
più di quanto si crede, potrà risultare un’orgogliosa sorpresa, magari
anche piacevole.
Cercherò quindi di seguire linee
già ben avviate, ma battendo le
strade meno importanti - “le strade bianche” delle cartine geografiche - verso alcuni dei piccoli centri
dell’entroterra, talvolta in via di marginalità fino alla scelta di migrare
fuori Regione.
Sono borghi carichi di storia autonoma e ricchi di un’arte detta “minore”, ma dignitosa anche se trascurata
dai grandi storici della materia e,
capace di far trasparire l’operosa
onestà dei semplici, invita anche a
mettere in dubbio la validità del giudizio con la quale molti la bollano.
Fuori dalle grandi vie parallele alla costa che si corrono veloci,
ogni volta consumeremo più tempo,
magari anche con un po’ d’impazienza ora che tutti abbiamo sempre
fretta, ma sarà, spero, l’opportunità
di soffermare lo sguardo sul paesaggio e sull’ambiente, sempre meno
antropizzato verso l’Appennino.
D’intesa con il Consiglio si è pensato che uno dei fils rouges potesse
essere quello della eccellenza di alcu-
ne delle produzioni agroindustriali
della Regione che vanta ben quattro prestigiosi riconoscimenti della
Denominazione d’Origine Protetta
(DOP) assegnati della UE.
Vedere quei prodotti nascere
significa valutare lo sforzo di chi
li crea e consente di apprezzarli
meglio, specialmente collegandoli al
territorio che li genera ed alla cultura
che quella gente ha espresso.
Così Le Cento Città, quest’anno,
cominceranno il loro pellegrinaggio
con una visita allo stabilimento di
stagionatura per conoscere, primo, il
“prosciutto di Carpegna DOP”.
Sucessivamente toccherà alla
“Casciotta di Urbino DOP” del
caseificio di Montemaggiore al
Metauro, quindi a un’azienda-oleificio che produce il “Cartoceto extravergine DOP”, poi al Ciauscolo IGP
per concludere con l’“Oliva ascolana
del Piceno DOP”.
Ogni volta saranno corollario altre
“eccellenze”, non solo gastronomiche, attingendo a quanto di arte, cultura e paesaggio c’è stato trasmesso.
Con un riguardo proprio al paesaggio oltre agli aspetti tecnico-economici, in una giornata di studio, si
vorrebbe conoscere il mondo della
green economy, argomento venuto
alla ribalta sollevando non pochi
problemi che, secondo lo spirito
de Le Cento Città, merita di essere
indagato.
Le Cento Città, n. 44
Il 23 maggio sarà dedicato
all’ormai classico “convegno
di Facoltà” ad Ancona e,
a Macerata, non mancherà
la terza edizione di Freschi
di stampa mentre, a tempo
debito, Le Cento Città,
potranno sfogare l’aspetto
ludico-festaiolo partecipando al carnevale di Offida.
In corso d’anno, probabilmente, potrà proporsi
qualche accadimento non
preventivato e del quale il
Consiglio valuterà la opportunità.
Infine il viaggio. In considerazione delle numerose
iniziative – cultura, turismo,
prodotti, attività, ecc. – tese
all’avvicinamento delle due
sponde dell’Adriatico, Marche e Croazia in particolare,
Le Cento Città avranno l’occasione di spostarsi oltremare puntando su Spalato e Zara per
concludere sulla penisola istriana.
Il programma proposto per l’anno
di questa presidenza è nato all’insegna del mio insito entusiasmo,
compreso non ultimo quello di far
partecipare i soci ai temi a me più
vicini e cari.
Man mano che mi addentro e
quelle date si avvicinano, mi rendo
però conto delle difficoltà che, nel
fervore del neofita, avevo sottovalutato. Spero di riuscire a portare
tutto a termine e mi incoraggia il
sapere di poter contare su amici,
appassionati ai nostri temi, confortati da quanto finora è stato portato
avanti e convinti del ruolo che Le
Cento Città hanno assunto.
La mia “squadra” sono tutti i soci
che fin da adesso ringrazio e dai
quali aspetto contributi di idee.
Ma, in particolare, voglio ricordare in primis Giovanni Danieli segretario generale per antonomasia e
deus ex machina, i consiglieri Folco
di Santo per Ancona, Natale Frega
per Ascoli Piceno, Romano Folicaldi
per Fermo, Luciano Capodaglio per
Macerata, Silvana Fiorini e Roberto
Derrico per Pesaro; né trascuro il
prezioso tesoriere Anna Maria Zallocco, Mario Canti direttore editoriale della rivista e, non ultimo,
Edoardo Danieli in veste di direttore
responsabile della stessa.
Auguriamoci un anno proficuo.
Il Focus
5
Origini e diffusione del cinema nelle Marche
di Alberto Pellegrino
Il 1895 è un anno straordinario
per l’avvento dei mass media,
perché in quei 360 giorni nascono la radio, il fumetto e il cinema.
I Fratelli Lumière, il 28 dicembre
1895, proiettano dieci bobine di
un minuto ciascuna nei sotterranei del Grand Café del Boulevard
des Capucines a Parigi, segnando
la data di nascita di un fenomeno
massmediatico che coinvolgerà
tutto il mondo occidentale. Il
cinema si diffonde con fulminea
velocità grazie alle felici intuizioni e alle iniziative della prima
industria cinematografica, che
si dedica alla fabbricazione di
apparecchi in continua evoluzione e alla creazione di un circuito di distribuzione per mezzo
di Compagnie cinematografiche
ambulanti.
Nel Centro-Nord dell’Italia si
verifica alla fine dell’Ottocento
una prima industrializzazione e
prende corpo una nuova classe
sociale, il “proletariato”, che non
solo chiede nuovi diritti e adeguate forme di rappresentanza
politica, ma vuole anche uscire
da una condizione di emarginazione culturale legata a un diffuso analfabetismo. Nel mondo
spettacolo l’opera lirica e il teatro
di prosa rimangono forme costose d’intrattenimento riservate
all’aristocrazia e alla borghesia;
inoltre il melodramma, che ha
avuto per tutto l’Ottocento presso le popolazioni urbane una
grande popolarità, sta subendo
un radicale mutamento nei contenuti e nei gusti del pubblico,
per cui appare destinato a un
lento ma inesorabile declino. Vi
sono quindi le premesse perché il cinema possa trovare un
terreno fertile grazie alla forza
comunicativa delle immagini in
movimento, una volta superate le prime difficoltà tecniche
e rimosse le iniziali diffidenze.
Rimane l’ostacolo rappresentato
dalla lettura delle didascalie da
parte di un pubblico in gran
parte analfabeta, ma a questo
provvede un “volontariato” di
uomini donne alfabetizzati che
durante le proiezioni leggono le
scritte ad alta voce.
Il cinema “viaggiante” diventa
rapidamente una forma di spettacolo capace di richiamare la
borghesia, gli intellettuali e i ceti
popolari mossi dalla curiosità per
il nuovo medium, dalla ricerca
di violente emozioni, dal fascino del “proibito”, che permette di intaccare quei tabù propri
di una società contadina ormai
assediata dall’industrializzazione
e dalla urbanizzazione. Il cinema appare come una innocente forma di trasgressione, una
innocua forma di “peccato” che
attrae con la proiezione di film
legati a fatti di cronaca capaci di “accendere” l’immaginario
collettivo, con l’ilarità provocata
dalle “comiche”, con le emozioni
suscitate da ingenue storie d’amore. Poiché le proiezioni sono
effettuate da gestori ambulanti,
si usano padiglioni mobili, sale
per spettacoli, spazi destinati ad
altre utilizzazioni; spesso le proiezioni sono fatte, come nel caso
delle Marche, nei teatri storici
con lo scopo di conquistare una
clientela stabile e di “nobilitare”
questa forma di intrattenimento, gettando le premesse per la
futura creazione di veri e propri
esercizi cinematografici.
Le Cento Città, n. 44
L’arrivo del cinema nelle
Marche
A pochi mesi dal suo debutto parigino, il cinema arriva in
Italia e le prime proiezioni hanno
luogo a Roma il 13 marzo 1896
nel rinomato Studio Fotografico
di Henry Le Lieure e a Milano il
29 marzo 1896 presso il “Circolo
fotografico”. Il cinema debutta
in Ancona, dove la prima proiezione avviene l’11 ottobre 1896
nei locali del Caffè Centrale in
Corso Vittorio Emanuele, dove
la Compagnia Anglo-Italiana
presenta Esperimenti di proiezione del Cinematografo. Nel manifesto, che annuncia lo spettacolo, il cinema viene definito una
“fotografia animata che desta
meraviglia in tutte le principali
Città d’Europa...Rammenteremo
quindi soltanto il principio su cui
funziona il meraviglioso apparecchio. Ogni scena delle proiezioni
rappresenta, con illusione perfetta, lo svolgersi di un’azione viva,
talvolta grandiosa mediante il
rapidissimo succedersi nel breve
termine di un minuto di 900
fotografie prese sopra un medesimo soggetto movimentale”. Il
quotidiano L’Ordine – Corriere
delle Marche del 12 ottobre
1896 commenta l’avvenimento
con un dettagliato articolo nel
quale traspaino la meraviglia ma
anche le riserve del cronista per
Alberto Pellegrino
la nuova invenzione: “Iersera al
Caffè Centrale si è avuto il primo
esperimento dell’interessante e
divertente apparecchio denominato il Cinematografo, per cui è
proiettata su una parete bianca
una scena della vita – come per
la lanterna magica – ma animata,
e cioè persone che si muovono,
carrozze che corrono, treni che
arrivano ecc. e che si ha perfetta
illusione di assistere ad un fatto
reale. Il prodigio si ottiene facendo passare rapidamente innanzi ad una lampada elettrica una
lunga serie di fotografie, tratte
dal vero, una di seguito all’altra,
con la distanza di una frazione di
secondo, in modo da cogliere tutti
i vari movimenti dell’azione che
si svolge. Proiettate sulla parete, queste immagini, inseguendosi con la stessa velocità con cui
furono colte, si sovrappongono, si
succedono in modo da sembrare
una sola, ma che si modifica gradatamente, cosicché, ad esempio,
il treno che vedete da lontano
come un punto nero, a poco a
poco si avvicina, ingrandisce ed
entra sbuffando nella stazione.
Ancora un perfezionamento il
Cinematografo richiede: i colori,
poiché al presente l’immagine è
soltanto colle tinte fotografiche.
Si pensa anche di aggiungervi il
fonografo per avere insieme l’impressione visiva e quella uditiva”.
Sempre nel dicembre 1896 il
cinema debutta al Teatro Lauro
Rossi di Macerata, al Teatro La
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Nuova Fenice di Osimo,
al Teatro Feronia di San
Severino Marche, dove
il bigliettaio Annibale
Casarini esprime un
giudizio negativo: “Le
persone, d’ambo i sessi,
che hanno veduto questa fotografia istantanea
per la prima volta, è cosa
certa che non gli ritorna il desiderio di vederla
una seconda volta, sia
per il tremolo continuo
della riproduzione che
offende la vista, sia per
il poco effetto che produce nel pubblico questa fotografia vivente”.
Questa previsione pessimistica non si avvererà,
perché l’espansione del
cinema non si arresta:
nel 1897 si proiettano
film nel Teatro Rossini di Pesaro,
nel Teatro della Fortuna di Fano
e nel Teatro Annibal Caro di
Civitanova Marche; nel 1898
il cinema arriva nella Società
Palestra Drammatica di Jesi,
nel Teatro Filippo Marchetti di
Camerino, nel Teatro Piermarini
di Matelica e nel Teatro Comunale
di Cupramontana.
Nel nuovo secolo si registra
la proiezione di film in diversi
teatri della regione, dove platee,
palchi e loggioni sono affollati
da spettatori delle diverse classi
sociali. La diffusione capillare
del cinema è favorita dal moltiplicarsi delle compagnie ambulanti in concorrenza fra loro e dal
fatto che ormai la cinematografia è considerata “una delle più
belle e sorprendenti invenzioni”
del secolo, perché presenta “un
ricchissimo e splendido repertorio
con le più recenti novità cinematografiche, scene storiche, politiche e
d’attualità, vedute panoramiche,
scene comiche e di trasformazione, drammi, scene militari, sport
e acrobatismo, vedute scientifiche,
fiabe e racconti fantastici”.
La diffusione delle sale
cinematografiche nella regione
In molte città marchigiane,
nella fase intermedia compresa
tra il cinema ambulante e gli
impianti stabili, diversi teatri storici condominali (25), tra una
stagione lirica e un ciclo di rapLe Cento Città, n. 44
presentazioni di prosa, ospitano
spettacoli cinematografici con
l’intenzione di dare ad essi delle
sedi “dignitose”. Questa utilizzazione dei teatri cittadini consente
la loro apertura ai ceti popolari;
fa conoscere il cinema a un pubblico borghese medio-alto, che
di solito costituisce la clientela
abituale degli spettacoli teatrali,
ma che sarebbe stato restio a
frequentare luoghi di proiezione
come caffè-concerto, baracche
delle fiere, sale di spettacolo periferiche. Infine il cinematografo
rappresenta per i condomini teatrali un utile economico, tanto
che acquistano impianti stabili di proiezione, sacrificando il
palco centrale di secondo o terzo
ordine per farne una cabina per
le attrezzature, tanto che questo adattamento a sala cinematografica contribuirà nel tempo
al deterioramento o addirittura
alla demolizione di diversi teatri
storici.
L’accresciuta affluenza del
pubblico finisce per coinvolgere
anche strutture diverse dai teatri
storici marchigiani: in Ancona
il Teatro Politeama Goldoni nel
1913 diventa una sala cinematografica permanente; a Macerata il
Politeama Marchetti accoglie fin
dal 1897 spettacoli cinematografici a prezzi popolari. Si tratta di
un impianto teatrale, progettato
dall’arch. Sileoni e inaugurato
nel 1891, che presenta una struttura mista in muratura e legno,
che ha una forma semicircolare
e una capienza di 2000 posti
distribuiti tra la platea, tre ordini di palchi e il loggione, con
un corpo rettangolare dove sono
collocati il palcoscenico e i servizi. Il Politeama viene concepito
come un impianto polivalente,
capace di accogliere le più svariate forme di spettacolo (l’opera lirica, l’operetta, la prosa e
persino grandi rappresentazioni
circensi), oppure ospitare comizi
politici, feste da ballo e da ultimo
il cinema.
Il nuovo secolo registra una
svolta radicale nell’intero sistema
di produzione e distribuzione
con la nascita delle grandi case
cinematografiche. Di riflesso
intorno al 1905 sorgono i primi
esercizi dotati di impianti stabili
di proiezione prima nei grandi
Il Focus
centri, poi in quasi tutto il paese.
Nelle Marche, tra il 1907 e il
1930, sono state finora censiste
cinquantasette sale cinematografiche dislocate sia nei centri
urbani di maggiore importanza,
sia nei centri di media e piccola
dimensione. Per accaparrarsi gli
spettatori alle proiezioni cinematografiche sono spesso affiancati
spettacoli di varietà o di illusionismo, concerti da cafè chantant,
rappresentazioni teatrali, spettacoli circensi. Inoltre le sale cinematografiche più moderne tendono a dotarsi di bar, palestre,
sale da gioco, impianti termali,
come lo Stabilimento Terme di
Macerata costruito nel 1925.
Il cinema, seguendo una strada abbastanza lucrosa, produce
anche filmini pornografici che
circolano riservatamente per gli
amatori, ma anche film di un
certo metraggio che affrontano
temi “piccanti”. Nascono così
le Serate nere che nelle Marche
fanno la loro prima apparizione a
Pesaro nel gennaio 1901, quando
Il Cinematografo Lumière presenta delle “proiezioni per soli
uomini” e sempre a Pesaro il
17 settembre 1906, quando il
Cinematografo Volta presenta
nel Teatro Rossini una “serata
nera per soli signori”, dalla quale
“si prega di escludere i bambini
e le signorine”. Il programma
pubblicato nel manifesto ci fornisce i titoli di queste “proiezioni piccanti” (Il Coricarsi della
Sposa, Mondane al bagno, Bagno
proibito, Bagno delle Dame di
Corte a Vienna, Scandalo in un
Albergo. L’indiscreto mistificato,
Flagrante adulterio, Il giudizio
di Paride, La Confessione.), dai
quali è possibile ipotizzare il contenuto di questi cortometraggi
che dovevano far leva sulle suggestioni derivanti da situazioni
ingenuamente ambigue, da capi
di abbigliamento che lasciavano
intravedere qualche particolare
femminile, quando la vista di una
caviglia suscitava forti emozioni.
La popolarità conquistata dal
cinema e la programmazione di
film “scandalosi” provoca la reazione di associazioni e pubblicazioni di ispirazione cattolica o
laica, che si propongono come
difensori della morale pubbli-
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ca. Nel 1909 il settimanale
“democratico” La Favilla
di Pesaro riconosce i meriti
sociali ed educativi del cinema che “è il teatro del popolo,
ed offre per pochi soldi uno
spettacolo breve e variato.
E’ lì pronto a tutte le ore,
sicché l’operaio, il commesso
di negozio, il garzone l’apprendista e lo scolaro possono andarvi in un ritaglio di
tempo fra un’ora e l’altra del
lavoro di ufficio, di negozio o
di scuola”.
In un articolo successivo
si denunciano però la forza
corruttrice del cinematografo (Gli impresari non sono
educatori, ma speculatori, che
preferiscono i soggetti adatti
a riempire la cassetta) e gli
influssi negativi della violenza nei film: “Finora si è
badato soltanto a bandire i
soggetti osceni; ma non basta.
Sono ancora più gravi e forse
più corruttori i soggetti che
svolgono davanti al popolo
fatti delittuosi. Si tollera che
siano rappresentati al vero,
con figure vive e quasi a
nostro contatto, avvelenamenti,
assassinii e misfatti di ogni genere…Sulle menti dei fanciulli ciò
ha effetti terribili; per quelli che
hanno istinti perversi è una scuola, per gli altri è origine di incubi
e di scosse nervose che portano in
seguito, tristezza e squilibrio…
L’unico rimedio sarebbe quello
di proibire la rappresentazione
di fattacci anche se si chiamano
film d’art, cioè l’arte di strozzare,
accoltellare e farla in barba alla
polizia!”.
Il settimanale L’Idea cattolica e
sociale di Pesaro nel 1908 sostiene che il cinema è un mezzo
di acculturazione per le classi
sociali finora escluse da qualsiasi tipo di rappresentazione,
ma lo stesso periodico nel 1914
sostiene che “E’ da qualche tempo
che si hanno alcune proiezioni di
films abbastanza procaci e quindi
sconvenienti per i fanciulli e i
giovani che numerosissimi accorrono all’attraente e moderno spettacolo. Noi ci auguriamo che si
provveda perché inconvenienti,
così deplorevoli e dannosi per la
pubblica moralità, non abbiano
Le Cento Città, n. 44
più a ripetersi”. La “santa battaglia” per la difesa della morale
non viene condotta solo a mezzo
stampa, ma anche con l’apertura
tra il 1910 e il 1913 di alcune sale
cinematografiche “cattoliche” in
Ancona, Jesi, Macerata, Pesaro e
Senigallia.
Le Marche e il cinema
Agli inizi del Novecento le
Marche sono ancora culturalmente e geograficamente lontane
dalle grandi centrali produttive
del cinema, per cui non nascono
in regione case di produzione
e i pochi autori sono costretti per affermarsi a emigrare a
Roma come accade al regista
Ivo Illuminati (1882-1963) e al
drammaturgo pesarese Ercole
Luigi Morselli (1882-1921), che
sotto la spinta delle necessità
economiche decide di sfruttare
le occasioni di lavoro che gli
offre il cinema. Nel 1913 il produttore Dante Santoni propone
a Morselli di diventare il direttore artistico della Santoni Films
e lo scrittore rivela alla madre
le difficoltà che deve superare
(“Per fare un buon direttore se
Alberto Pellegrino
sapessi quale complesso di qualità
son necessarie! La prova è dura e
certo non mi ci metterei se potessi infischiarmi della posizione
economica che il cinema offre”).
Gli inizi sono tuttavia positivi
nonostante le sue mansioni siano
impegnative: “La carriera di direttore cinematografico prende tutta
intera la giornata e anche la notte
se non basta il giorno. Si lavora
enormemente, ma siccome molte
scene si vanno a metter fuori di
Roma in campagna, all’aria aperta
è un lavoro sano che m’ha giovato alla salute”. Egli porta avanti
anche una attività di soggettista
e sceneggiatore iniziata nel 1914
con il film Le gesta del Diavolo e
continuata nel triennio successivo (1914-1916), durante il quale
scrive i soggetti per i film I cugini
d’Italia, Oro e Amore, La fata dei
campi, Il miracolo del perdono.
Nel 1916 Morselli è l’autore del
soggetto e della sceneggiatura
per i film Nel Reame d’Amore
e L’Isola delle rose; nello stesso
anno egli conclude la sua carriera
cinematografica con la regia del
film Effetti di luce su soggetto di
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Lucio D’Ambra.
A differenza dei
film, alcuni documentari sono stati
girati nella regione
per lo più prodotti
da case cinematografiche romane o
milanesi. Si tratta di
opere che hanno lo
scopo di far conoscere alcuni aspetti
della realtà marchigiana: La cartiera
di Fabriano (1908),
Pranzo a Recanati
(1909), Il ritorno
dalla pesca nell’Adriatico
(1911),
La battitura del
grano nelle Marche
(1914), La festa dei
Fiori a Jesi (1914),
Pane e zolfo (1956)
girato del regista
Gillo Pontecorvo
e prodotto dalla
Camera del Lavoro
di Ancona per
documentare la vita
di paese e il lavoro nelle miniere di
zolfo di Cabernardi
(Sassoferrato), che erano allora
il più grande centro minerario
d’Europa. Vi sono poi dei documentari destinati a promuovere la nascente industria turistica
marchigiana: Ancona Pittoresca
(1908) Le meraviglie di Ancona
(1908), Ancona (1911), Pesaro e
dintorni (1911), Pesaro (1913),
Fano e dintorni (1914), Ascoli
Piceno. Souther Italy (1911), La
Valle del Tronto. The beatiful
Valley of the Tronto (1912) e Nel
centro delle Marche. The Marche
District (1913), realizzati per il
mercato inglese, francese e statunitense.
A partire dagli anni Trenta
si cominciano a girare nelle
Marche soprattutto dei film storici ambientati a Gradara e nel
Montefeltro: Condottieri (1937)
del tedesco Luigi Trinker sulla
vita di Giovanni Bande Nere;
Il principe delle volpi (1949) di
Henry King sulla vita di Cesare
Borgia; Paolo e Francesca (1949)
di Raffaele Matarazzo; Vanina
Vanini (1961) di Roberto
Rossellini; Il Duca Nero (1963)
Le Cento Città, n. 44
di Pino Menardi; La Mandragola
(1966) di Alberto Lattuada; Una
vergine per il principe (1966)
di Pasquale Festa Campanile;
Cagliostro (1974) di Pier Carpi/
Daniele Pettinari; Fausto di
Marlowe (1977) di Leandro
Castellani; Rossini! Rossini!
(991) di Mario Monicelli;
Miracolo Rossini (1996) di
Leonardo Settimelli. Una lunga
serie di film d’amore, polizieschi
e d’avventura sono ambientati a
Portonovo e in altri centri della
riviera marchigiana. Vi sono poi
diversi film d’autore che parlano delle Marche (La porta del
cielo di Vittorio De Sica su un
pellegrinaggio a Loreto, 1944;
Il cielo sulla palude di Augusto
Genina con la storia di Maria
Goretti, 1949). Altri film importanti sono invece direttamente
girati nella regione: Straziani ma
di baci saziami (Appennino ascolano, 1968) di Dino Risi; L’età
breve (Urbino, 1970) di Umberto
Piersanti; La prima notte di quiete
(Villa La Favorita, Ancona, 1973)
di Valerio Zurlini; Paesaggio
nella nebbia (Cagli, 1987) di
Theo Anghelopoulos; Basta! Ci
faccio un film (Macerata, 1990)
di Luciano Emmer; La casa del
sorriso (Pesaro, 1991) di Marco
Ferreri; Un’anima divisa in due
(Ancona, 1992/93) di Silvio
Soldini; Cuore verde (Ascoli
Piceno, 1996) di Giuseppe
Piccioni; Viola bacia tutti (Cagli
e il Monte Petrano, 1998) di
Giovanni Veronesi.
I grandi film “marchigiani”
Il primo film “marchigiano
entrato nella storia del cinematografia è Ossessione (1943) di
Luchino Visconti, considerato
una pietra miliare del neorealismo, una forma di ribellione da
parte di un giovane regista che
non accetta la “fossilizzazione”
del cinema italiano e avverte la
necessità di “un’arte rivoluzionaria ispirata ad un’umanità che
soffre e spera”. Accantonato il
progetto di fare due film tratti
da altrettante novelle di Verga,
Visconti ripiega sul romanzo Il
postino suona sempre due volte
dell’americano James Cain, da
cui traggono una sceneggiatura
lo stesso Visconti, Mario Alicata,
Il Focus
Giuseppe De Santis, Alberto
Moravia, Pietro Ingrao e Gianni
Puccini (un marchigiano che
suggerisce Ancona come set). Il
tessuto narrativo è lo stesso del
romanzo: Giovanna, una donna
giovane e bella ma dal discutibile
passato, dopo avere sposato un
uomo brutto, volgare e anziano
(Bragana), va a vivere nel suo
spaccio-osteria; l’arrivo di un
vagabondo di bell’aspetto (Gino)
fa scattare la molla della passione
che spinge i due all’adulterio,
all’assassinio, all’appropriazione
del denaro dell’assicurazione,
alla fuga, alla morte della donna
e all’arresto dell’uomo.
Le differenze sono sostanziali
sotto il profilo ideologico, psicologico e sociologico, perché nel
film la storia appare più torbida, passionale, sensuale ed esasperata: le sue atmosfere, i suoi
paesaggi, i suoi miserabili eroi,
ispirati al “realismo francese”,
rappresentano un elemento di
rottura con il mondo patinato
dei “telefoni bianchi” e con la
retorica dei film storici e militaristi voluti dal regime fascista.
L’analisi dei rapporti familiari,
la complessa sfaccettatura dei
personaggi, la squallida ambientazione degli interni, la malinconia del paesaggio, le stesse
citazioni del melodramma italiano risultano rivoluzionarie e
“scandalose”, per cui Ossessione
è un film “politico”, capace di
trasmettere una critica contro il
vecchio ordine sociale e un senso
di attesa per l’avvento di tempi
nuovi. Il film presenta la vita di
provincia come metafora dello
squallido modello di vita piccolo-borghese di impronta fascista
e Bragana, con la sua mediocrità
di “brav’uomo”, ne diventa il
simbolo violento e maschilista,
all’insegna dell’egoismo e della
voracità per il denaro.
I due amanti appaiono “diversi” in quanto estranei all’ordine
sociale vigente e per questo sono
destinati a cercarsi e a distruggersi a vicenda, mentre intorno a loro si verifica la crisi del
mondo contadino e la disfatta
della famiglia intesa come unità
economica e sentimentale. Su
questo si basa quella “ossessione” che, invece di portare verso
9
un’aperta rottura con il passato
e la scoperta di nuovi valori,
provoca un pessimismo di fondo
e l’illusione nei due protagonisti
di poter fuggire dalla loro condizione attraverso il ricorso alla
violenza e la ricostruzione di un
nuovo nucleo familiare. Visconti
presenta un’Italia “diversa”
rispetto al paese propagandato
dal regime fascista, un paese abitato da un’umanità spoglia, avida
e sensuale, che lotta disperatamente per l’esistenza quotidiana
e per la soddisfazione dei propri
istinti primordiali. I personaggi
appaiono delle vittime travolte
dalla passione, dal tradimento,
dal delitto e da un azzeramento
di tutti i valori sociali: il sesso
diventa carnalità, la famiglia è
una disumana prigione, il popolo
appare un insieme di individui
incapaci di comunicare, la società risulta frantumata, il paesaggio diventa uno scenario squallido e inquietante. Non è un caso
se Vittorio Mussolini, durante la
prima visione del film, griderà
“Questa non è l’Italia!”.
Lino Miccichè
ha
definito
quest’opera “un
canto funebre” di
Eros e Thanatos,
che ha il suo centro
in Giovanna (Clara
Calamai), il più bel
personaggio femminile di Visconti,
un impasto di sessualità e maternità,
di furia e dolcezza,
di febbre di vita e
pulsione di morte,
una forza della
natura animalesca
e demoniaca capace di uccidere, ma
anche di amare
in modo appassionato e generoso. La donna è
costretta a vivere
con Bregana, che
simboleggia l’Ordine costituito e
il Capitale, con il
quale l’ex prostituta continua a prostituirsi nella forma
istituzionale del
matrimonio, spinta
Le Cento Città, n. 44
dal bisogno di sicurezza e dalla
voglia di infrangere la prigione
del suo destino. Il terzo elemento
del triangolo è Gino (il marchigiano Massimo Girotti), che
rappresenta la giovinezza contro
la vecchiaia, l’attrazione contro
la repulsione fisica, il fascino
silenzioso contro una chiassosa
volgarità, il mito dell’avventura
contro la noia della quotidianità.
Un “intruso” è lo Spagnolo, un
ambulante girovago che offre a
Gino una prospettiva di vita al
di fuori delle regole, una trasgressione sentimentale segnata
da una latente omosessualità con
un esplicito invito a lasciar perdere le donne per scegliere la
libertà di vivere e di viaggiare.
Una “estranea” è anche la ballerina d’avanspettacolo Anita,
un delicato ritratto di prostituta
pronta a sacrificarsi e a subire
l’umiliazione e lo scandalo per
favorire la fuga di Gino ricercato
dalla polizia. Il paesaggio svolge
infine un ruolo importantissimo
nel film: lo squallore dello spaccio-osteria sperduto nella bassa
Alberto Pellegrino
ferrarese diventa il luogo dove si
consuma la vicenda e, nella parte
centrale, Ancona assume il ruolo
di protagonista con le sue strade,
le piazze, il Duomo di S. Ciriaco,
il Colle del Guasco, il mare e la
banchina del porto dove Gino,
seduto sulla valigia, osserva la
nave che avrebbe dovuto portarlo lontano. Persino la Fiera di San
Ciriaco, dove lo Spagnolo svolge
il suo lavoro di ambulante e offre
ai passanti i biglietti della fortuna
estratti da un pappagallo, diventa
uno snodo decisivo per il destino
dei tre personaggi: Gino, che fa
l’uomo sandwich per pubblicizzare un concorso lirico per dilettanti; Bragana, che si presenta
come concorrente proprio a quel
concorso; Giovanna, che accompagna il marito e ritrova il suo
amante, spingendolo ad uccidere
il marito.
Nel 1960 Francesco Maselli
gira I delfini, un film che si pone
al confine tra neorealismo e
“nuovo cinema d’autore”. Si tratta di un’opera, tolte alcune scene
girate nella Stazione di Ancona
e in un tratto di litorale vicino
al capoluogo marchigiano, inte-
10
ramente girata ad Ascoli
Piceno, avendo come centrale punto di
riferimento la
storica Piazza
del Popolo e
l’antico Caffè
Meletti, un
microcosmo
della vita cittadina dove
convivono e
comunicano
i principali
personaggi,
dove si stabiliscono relazioni e nascono
conflitti destinati a ricomporsi nel finale, quando
si spengono
tutte le velleità di rivolta
e una serie
di “buoni”
matrimoni
porta
alla
restaurazione di una tranquilla
esistenza per i giovani “delfini” della ricca borghesia cittadina. Sotto l’influenza di Alberto
Moravia, che ha collaborato alla
sceneggiatura, il film riecheggia
il clima degli Indifferenti e presenta lo squallido scenario di una
vita di provincia che trova la sua
logica conclusione in un “amaro”
lieto fine, segnato dal fallimento
di Alfredo, che rinuncia alle sue
velleitarie aspirazioni di scrittore per rientrare nei ranghi di
una vita segnata dalla mediocrità
intellettuale, dalla pigrizia mentale e culturale. Ascoli si presenta
come “una città antica come ce
ne sono tante nell’Italia centrale,
dove strade, palazzi, i muri stessi
sono come impregnati di storia
e di tradizioni, ma dove tutto
finisce per attutirsi, per soffocare,
dove sembra sempre che non sia
successo niente”, una città grigia, claustrofobica, malinconica
e piovosa, segnata dal sentimento
della noia e della inalterabilità dell’esistenza, che diventa il
simbolo del malessere di una
provincia italiana alienata, dove
il “boom” economico sta rapidaLe Cento Città, n. 44
mente cancellando la sua cultura
e le sue tradizioni.
­­­­­­­­
Per la seconda volta Ascoli
Piceno accoglie un film tra le sue
mura: si tratta dell’ultima opera
di Pietro Germi Alfredo Alfredo
(1972), interpretata da Dustin
Hoffman, Stefania Sandrelli e
Carla Gravina. Dopo Serafino
(girato nel 1969 a Spelonca e
Arquata del Tronto), Germi
ritorna nelle Marche e sceglie
una città che ritiene rappresentativa della provincia italiana e
quindi adatta a fare da sfondo a
questa storia piccolo-borghese.
Alfredo Sbisà, un giovane impiegato di banca, riesce a fidanzarsi
e a sposare la bella farmacista
Mariarosa, che si rivela talmente
possessiva da impedire al marito
qualsiasi relazione sociale persino con il padre e gli amici. Inoltre
Mariarosa, nel desiderio spasmodico di avere un figlio,sottopone
Alfredo a un vero tour de force
sessuale che finalmente porta
alla gravidanza della donna, la
quale relega il marito a vivere
in cantina. Alfredo può godere
di un po’ di libertà e, durante
le sue peregrinazioni notturne,
incontra Carolina, che diviene la sua amante e che dice di
amarlo senza porre dei vincoli
matrimoniali. Quando si scopre
che Mariarosa ha solo una gravidanza isterica, Alfredo decide
di non ritornare uno “schiavo” e
abbandona la moglie per andare
a vivere con l’amante. La legge
sul divorzio gli offre l’occasione
per sciogliere i legami familiari e
ritornare libero, ma a quel punto
Carolina gli chiede di sposarla e
Alfredo teme di rimanere ancora una volta imprigionato in un
nuovo matrimonio.
Dopo i fallimenti di Serafino e
Le castagne sono buone, Germi
sembra ritrovare con questo film
il suo smalto d’autore, partendo con l’idea di fare un film
sul divorzio, che invece diventa
un’analisi sulla differenza tra i
sessi e sui fraintendimenti della
passione sessuale vissuta tra la
paura degli altri e la ricerca del
piacere da parte di un timido
tormentato dall’idea di doversi assumere delle responsabilità:
Alfredo sogna una vita tranquilla
Il Focus
rallegrata dalla devozione sentimentale dell’altro sesso, ma è
incapace di gestire un legame
sentimentale e difendere la propria autonomia. Il film accolto
in maniera negativa dalla critica
che al massimo lo giudica “una
gradevole commedia” alquanto
scontata, appare invece un’opera
divertente e commovente sul fare
l’amore, sull’attrazione per l’altro
sesso, sul bisogno di libertà e di
veri sentimenti. Il film supera
tuttavia i confini della commedia,
perché in esso si avverte un sottofondo amaro, una concezione
pessimista delle relazioni umane
e della famiglia, vista come un
rifugio ma anche come un’istituzione diabolica e distruttiva.
Il terzo film ambientato ad
Ascoli Piceno nel 1987 è Il grande
Blek di Giuseppe Piccioni (1953),
e interpretato da Sergio Rubini e
Francesca Neri. L’autore sceglie
la sua città natale, sia perché
ritiene di fondamentale importanza conoscere a fondo determinati spazi e paesaggi architettonici, sia perché considera
Ascoli una città emblematica di
una certa provincia italiana. Per
Piccioni “il fatto di appartenere a
questa città è come un po’ parlare
delle Marche; sentirsi marchigiano è una cosa molto strana perché
le Marche non hanno un’identità, una fisionomia ben precisa:
è come se non esistessero…Le
Marche sono un po’ periferiche
e nello stesso tempo non troppo
periferiche, un po’ lontane dai
centri della cultura ma non troppo
decentrate”. Film generazionale e
in parte autobiografico, Il grande Bleck vuole rappresentare
in modo intenso, malinconico e
partecipativo, le aspirazioni, le
illusioni, le inquietudini di giovani che hanno dinanzi a loro un
futuro incerto e che si trovano
a vivere la complessa stagione
del Sessantotto. Intorno al 1960
Yuri, un ragazzo abbandonato dal padre e che vive con la
madre e la sorella, diventa amico
di Razzo, un bullo di periferia
poco più grande di lui. Otto
anni dopo, in pieno Sessantotto,
Yuri è diventato un militante di
sinistra e ha una storia d’amore con una ragazza che conosce
da tempo. Razzo frequenta una
11
banda di giovani teppisti di
destra e, durante uno scontro
con alcuni studenti “rossi”,
salva la vita al suo amico d’un
tempo. Da quel momento
le vite dei due protagonisti
prendono strade diverse:
Razzo, rimasto invischiato
nella microcriminalità, muore
in un incidente stradale; Yuri
capisce che deve fare una scelta risolutiva e lascia Ascoli, la
ragazza e gli amici per andare
a lavorare in un’altra città,
portando con sé simbolicamente tre libri di Majakovskij,
Kerouac e Balzac. Il film
non approfondisce molto gli
aspetti sociopolitici, ma traccia un quadro dei sentimenti
e delle motivazioni esistenziali
di esseri umani che passano
dall’adolescenza all’età adulta e Piccioni fa di Ascoli il
luogo ideale di questa storia,
sfruttando al meglio gli spazi
architettonici del bellissimo
centro storico che ha il suo
“cuore pulsante” nella Piazza
del Popolo, il “teatro” catalizzatore di tutte le componenti
che formano il tessuto narrativo
del film.
L’ultima opera importante
legata alle Marche è realizzata da
Nanni Moretti, che nel 2001 gira
in Ancona La stanza del figlio,
dove per la prima volta non c’è
né commedia e ironia, né autobiografia o analisi generazionale
e politica, ma dove si racconta
una storia intimista e drammatica sulla elaborazione del lutto
collegata a una esperienza così
radicale come la morte di un
figlio. Opera sulla ricostruzione
dei rapporti familiari all’interno di una famiglia devastata da
un’improvvisa e dolorosa vicenda, il film racconta la storia di
Giovanni Sermonti, uno psicanalista che conduce un’esistenza normale, diviso tra il lavoro,
lo sport e la famiglia formata
dalla moglie, da una figlia e da
un figlio. Quando quest’ultimo
muore per un’embolia durante un’immersione al Passetto,
tutti i componenti della famiglia
rischiano di essere travolti dalla
tragedia. Dalla “destrutturazione” dei legami familiari finiscono
per emergere delle personalità
Le Cento Città, n. 44
sofferenti, ma più forti e meglio
delineate. E’ soprattutto il padre
a dover risolvere le proprie pulsioni emotive e sentimentali,
confrontandosi con la piccola
schiera di pazienti che l’analista
ha in cura e che formano una
specie di coro alla greca con il
quale confrontare i propri stati
d’animo. Ancona, con la sua particolare configurazione geografica di città compressa tra il mare
e la montagna, dà infine in modo
significativo l’idea di un spazio
chiuso al cui interno si consuma
la vicenda, ma nello stesso tempo
diventa il trampolino di lancio
verso il liberatorio viaggio finale.
I manifesti riprodotti fanno parte
delle raccolte custodite nella
Biblioteca Federiciana e nell’Archivio Comunale di Fano.
L’attualità
12
Aboliamo le province, accorpiamo i comuni
Implicazioni, perplessità, speranze
di Mario Canti
Tra le tante attese suscitate
dall’attuale momento politicoeconomico qualche certezza
viene gradualmente consolidandosi: in particolare si è affermata l’intesa di fatto tra le forze
politiche per quanto attiene la
riduzione del numero dei parlamentari ed il conseguente relativo costo.
Questa riduzione, ovviamente, verrà determinata dopo la
riforma in senso federalista del
parlamento (parlamento unitario e senato federale) e all’emanazione della conseguente legge
elettorale.
Prevedendo “ottimisticamente” che le elezioni politiche
si svolgeranno nella prossima
primavera, con l’attuale legge
elettorale, il nuovo assetto delle
Camere, e la conseguente riduzione del numero dei parlamentari, diverranno operativi dopo
le successive elezioni politiche
(nel 2017 ?), con buona pace
e nel massimo rispetto dell’impegno a fare presto che viene
mostrato da tutte le componenti
politiche.
Naturalmente il contenimento almeno di una parte delle
spese per il funzionamento del
Parlamento potrebbe anticipare
questa data, e venire realizzato
fin dall’immediato, con la semplice riduzione degli importi,
ma questa ipotesi è stata finora scartata, forse perché poco
significativa in confronto al
complesso della spesa pubblica.
E’ comunque da comprendere quale sia lo stato d’animo
dei parlamentari combattuti tra
il dover decidere sul mantenimento delle proprie prerogative
(economiche, fiscali e pensionistiche) e sull’innalzamento della
età pensionabile dei lavoratori
per così dire “normali”; situazione drammatica che richiede
almeno una compensazione economica.
Fortunatamente altre voci di
spesa pubblica risultano meno
sofferte, e quindi praticabili, per
i nostri parlamentari, ad esempio quelle destinate al compenso degli amministratori locali
che potranno essere ridotte, grazie al comune impegno, seppure
diversamente articolato, delle
forze politiche a livello nazionale.
In tal senso vanno riguardate
le iniziative proposte riguardanti le Province, che dovrebbero
essere soppresse tout court, ed
i Comuni. che invece dovrebbero essere ridotti nel numero
mediante l’accorpamento dei
più piccoli in nuove realtà.
Il beneficio economico che il
Paese trarrà da queste iniziative sarà senza dubbio notevole
anche se, per il momento, non
ne è stata comunicata l’entità.
La decisione in merito potrà
essere assai più tempestiva di
quella riguardante la riduzione
del numero dei parlamentari di
cui si è detto sopra, anche se
la soppressione delle Province
richiede una modifica della
Costituzione che comporta l’adozione di specifiche procedure piuttosto farraginose, quindi
anche di queste iniziative se ne
parlerà, se se ne parlerà, dopo
le prossime elezioni politiche
(2012 – 2013 ?).
Peraltro la presentazione in
Senato da parte della Lega Nord
di una proposta di legge ad hoc
avrebbe consentito fin da oggi
l’apertura di un ampio dibattito
che è del tutto mancato, forse
oscurato dai temi del debito
pubblico, della riforma della
giustizia, delle intercettazioni,
della sessualità pubblica, della
guerra in Libia, delle penalizzazioni delle squadre di calcio,
dei black-boc, e quant’altro, che
hanno assorbito per intero l’attenzione delle forze politiche,
delle istituzioni e dei sapienti,
nel Paese ed anche nella nostra
regione.
Va rilevato che le proposte
riguardanti la soppressione delle
Province e l’accorpamento dei
Comuni di ridotte dimensioni
Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi. Un civil servant del XIII secolo. Palazzo Pubblico
di Siena, 1330.
Le Cento Città, n. 44
L’attualità
demografiche sembrano essere,
in una certa misura, provvedimenti della stessa natura dei
“tagli lineari” operati negli ultimi provvedimenti economici,
vale a dire soluzioni assolutamente condivisibili negli obiettivi che non tengono in alcun
conto delle articolazioni locali e delle realtà strutturali che
caratterizzano il nostro Paese e
che per tale ragione corrono il
rischio di mancare i pur legittimi obiettivi.
Nel nostro casi la riduzione
della spesa per gli enti locali non
può essere valutata come un
valore positivo in sé, ma deve
essere confrontata con l’esigenza
fondamentale per la vita sociale e democratica di garantire la
migliore funzionalità degli stessi
Le proposte che oggi vengono
avanzate sono finalizzate, prevalentemente, al contenimento
della spesa: di conseguenza avere
meno amministratori, con meno
macchine blu ( e meno autisti) sembrano essere gli obiettivi
sostanziali delle proposte stesse,
che verrebbero a sommarsi a
quelli che con tanta energia, ma
con nessun successo dovrebbero
essere conseguiti con la riduzione del numero e dei compensi
ai parlamentari, e dei consiglieri regionali, con l’eliminazione
delle relative pensioni e vitalizi, con l’aumento delle imposte
sugli stipendi degli apici dirigenziali degli enti pubblici o a
partecipazione pubblica.
In tempi ormai remoti scelte di
tale rilevanza avrebbero richiesto
approfondimenti conoscitivi e la
proposta di soluzioni alternative
da mettere a confronto, avrebbero cioè ipotizzato un percorso
decisionale programmato negli
obiettivi e negli strumenti; iniziative in tal senso vennero assunte
tra la fine degli anni sessanta e
l’inizio dei settanta.
Il dibattito sui “comprensori” come allora vennero chiamati i possibili accorpamenti
dei comuni, fu intenso, ma si
concluse, guarda caso, con la
conservazione delle Province,
arricchite da nuove funzioni
che sarebbero loro state trasferite dalle Regioni, e dei Comuni
mantenuti nella loro configurazione storica, seppure poten-
13
ziati con l’esercizio di nuove
funzioni.
L’analisi delle implicazioni che le decisioni annunciate
comportano vengono condotte
nella convinzione che l’abolizione delle province è da dare
ormai come scontata, anche se
non è da sapere quando; sul
come realizzare questo obiettivo
conviene iniziare a riflettere fin
da questo momento, con la consapevolezza che l’iniziativa investe istituzioni che, bene o male,
hanno ormai oltre cento anni
di vita e di conseguenza sono
comunque radicate nelle prassi
amministrative non meno che
nel costume civile delle popolazioni.
La scomparsa delle province
rende centrale la questione del
governo e della compatibilità
degli ambiti ottimali di settore riguardanti fenomeni che,
per loro natura, possono talora
richiedere gestioni sopracomunali come quelli riguardanti le
acque, il dissesto idrogeologico,
i rifiuti (nelle loro diverse fattispecie), la viabilità, i trasporti pubblici, la sanità, i parchi
(naturali e tematici), il paesaggio, ecc. ecc.; la risposta potrebbe venire da accorpamenti dei
comuni anch’essi “ottimali”; una
sorta di neoprovincia per la cui
non facile definizione ci si dovrà
impegnare seriamente, ovvero da gestioni dirette regionali,
ipotesi quest’ultima che nella
ridotta dimensione demografica e territoriale delle Marche
potrebbe risultare possibile.
Naturalmente la disponibilità
delle diverse realtà comunali a
lasciarsi assorbire nelle nuove
realtà istituzionali è tutta da
verificare tenendo conto che se
le Province hanno ormai centocinquanta anni di vita nel caso
dei Comuni si tratta di far scomparire, o comunque ridurre, tradizioni civili che talora possono
rivendicare centinaia di anni di
esistenza, senza contare le opposizioni che potranno derivare da
una certa vena campanilistica
che ha sempre caratterizzato il
nostro Paese.
La rilevanza che i temi dell’accorpamento dei Comuni e della
soppressione delle Province
rivestono per la comunità marLe Cento Città, n. 44
chigiana ed il dibattito che
dovrebbe svolgersi nell’ambito
della stessa inducono a proporre una attiva partecipazione de
Le Cento Città, così come in
passato è stato fatto per altri
temi di interesse regionale,
primo tra gli altri quello del
Paesaggio, che proprio a partire
dai convegni organizzati dalla
nostra Associazione avrà avuto
sicuramente in seguito esiti
significativi nell’ambito delle
Amministrazioni competenti,
seppure del tutto oscuri, vale
a dire ignoti, per la pubblica
opinione.
Nella realtà appare inevitabile che l’obiettivo della riduzione della spesa per il funzionamento degli enti locali si
debba confrontare con esigenze
di funzionalità degli stessi, che
significa in sostanza funzionalità
del sistema democratico di base
nella nostra comunità regionale
(e credo nel Paese intero).
Sulla base di questa considerazione fondamentale Le Cento
Città potrebbero avviare autonomamente il confronto su alcune questioni che così possono
essere indicate approssimativamente:
- criteri di definizione degli
ambiti ottimali di area vasta,
verifica delle possibili soluzioni
intersettoriali,
- criteri di rappresentanza
democratica delle popolazioni
nell’ambito degli ambiti ad es,
consiglio dei sindaci ( in modo
da non aumentare le cariche
e tenere saldi i rapporti con il
territorio);
- individuazione delle funzioni
residue in capo ai Comuni singoli;
- conseguente definizioni qualitativa delle strutture tecniche da
porre in essere a livello di Ambiti
pluricomunali, di Comuni. forse
di Regione.
Sulla base delle reazioni che
questo intervento provocherà
tra i nostri associati ed i nostri
lettori verranno valutati i possibili interventi specifici da proporre per suscitare un minimo
di dibattito, attento e tempestivo, nel nostro ambito operativo.
La letteratura
15
Le poesie di Plinio Acquabona: I lampadari
di Alfredo Luzi
L’elemento connettivo che
lega le varie opere poetiche
prodotte da Plinio Acquabona
(1913-2002) è il soggetto della
scrittura che testimonia se stesso attraverso la modulazione
dell’esperienza, ma in fondo
wagneriamente suona sempre
lo stesso concerto. Significativi,
in questa prospettiva, sono i
titoli dei volumi pubblicati. Ad
esempio, in Libertà clandestina (1965) il problema centrale è vivere il dramma del linguaggio, della connessione tra
significante e significato in un
momento storico in cui il linguaggio stava perdendo la sua
garanzia di verità e assumeva la
dimensione del teatro dell’inganno. Ma certo la libertà clandestina è anche quella del soggetto poetico che cerca questa
libertà dentro una struttura, il
tempo, la storia, che è sentita
da Acquabona come carcere.
Più tardi Acquabona pubblica nel 1977 Il punto solidale.
Il punto solidale è il nucleo di
contatto all’interno delle fratture che il poeta rivela nella storia
spirituale del soggetto e della
collettività. La struttura del
testo non è più immobile, rigida, ma a spirale. La funzione
dello scrittore è quella di interpretare la spirale, che di fatto
ha due movimenti, uno ascensionale ed uno discendente,
come una spinta continua verso
l’alto, facendole assumere una
dimensione salvifica opposta
alla storia che ci spinge verso
il basso, verso il buio, verso la
decomposizione, la morte.
Poi ancora l’Immagine dissimile (1981) il cui titolo rinvia
semanticamente al mondo delle
sacre scritture, in particolare
alla visione “per speculum”
di San Paolo nell’Epistola ai
Romani e alle Confessioni di
Sant’Agostino in cui il problema dell’uomo nel tempo viene
affrontato con l’immagine del
soggetto alla finestra che conosce solo gli eventi del momento,
essendo all’oscuro di ciò che è
stato e di ciò che sarà. Dunque,
l’umanità vive l’esperienza di
un’immagine dissimile.
Nel 1984 esce la plaquette I
lampadari, forse uno dei testi
più significativi della poetica
di Acquabona, al quale vorrei
dedicare alcune riflessioni critiche mettendone in evidenza la
centralità nella produzione lirica dello scrittore anconitano.
Il punto di contatto tra I lampadari e le opere precedenti sta
nel fatto che anche in quest’opera, accanto ad una dimensione naturalistica (non a caso
Plinio usa spesso il lemma fenomenologia), c’è una dilatazione
simbolica attraverso l’immaginario, per cui la fenomenologia
degli oggetti muta in teofania.
Nella dinamica tra oggettività e
soggettività I lampadari nascono sul sostrato della cultura
della crisi del soggetto, cioè di
un atteggiamento laico che fa
da lievito, con la sua consapevolezza negativa, alla cultura
della fede, della speranza, che è
un elemento costante nella poesia di Acquabona. Le posate, i
bicchieri, le caraffe, le bottiglie
del pasto poetico approntato
dallo scrittore mandano barbagli di luce, giochi di chiaroscuri, scintillazioni, sdoppiamenti
della scena, frantumazione del
cronotopo. La stessa voce poetica si sdoppia tra il suo ruolo
di agonista, cioè di colei che
dirige l’agone, e quello, autogenerato, di deuteragonista che
sposta la prospettiva razionale e
logica del soggetto in dimensione profetica.
C’è nella macrostruttura
dell’opera una linea oppositiva
costante tra spettacolo e rito, tra
Le Cento Città, n. 44
visività e cecità, tra essere e non
essere, vita e morte. La fenomenologia oscura della materia
viene riscattata, e illuminata, da
una ermeneutica metafisica che
ci spinge a guardare verso l’alto, verso i lampadari appunto,
portatori di luce. Siamo in presenza di una sorta di resurrezione degli oggetti su cui è scesa
la grazia divina, portatrice di
luce e di verità. Nella tensione
verso l’alto Acquabona occulta
anche il senso della inadeguatezza dell’umano, del limite,
dell’attesa, del peso del tempo,
sdoppiando dunque la dinamica su due assi: l’asse della terra,
del pasto, della fame, del potere, quella che nel testo poetica
è definita “presenza effusiva”,
e del cielo, dei lampadari, della
necessità di soddisfare il desiderio di verità ascoltando “una
parola veritativa”.
Le poesie di Acquabona
hanno spesso uno spessore
apocalittico in cui si condensa
la problematica cronologica. Il
tempo dei lampadari mescola la
ciclicità, l’eterno ritorno, con il
tempo rettilineo della storicità
umana, ed esalta la spinta alla
palingenesi (“Spezziamo ogni
legame mondo-uomo. Il nostro
tempo è tempo antiorario”; “la
luce assedia il giorno”).
Profezia e apocalisse si incrociano nella voce fuori campo,
extra-diegetica, che istruisce,
ammonisce, blandisce.
A mio parere le poesie de
I lampadari vanno lette come
un insieme sequenziale, un
testo compatto costruito sul
rapporto variazione-totalità, in
cui ogni composizione ha una
sua autonomia significante ma
nello stesso tempo acquista un
plusvalore semantico dai testi
che la precedono e lasciandolo
in dote a quelli che la seguono.
Alfredo Luzi
“Coraggio, su. Non pensate ora al buio.
Io dovevo sfiorarlo. Non temete.
Non tutti voi sarete tra le cose
sconfitte, che ben conoscete,
come scolpite. Seguitemi. Vi prego”
e il tono della voce è d’apprensione
“di chiudere i vostri occhi al dileguare
dello schermo. E cancellate il vostro.
Sia l’unicità del rito al culmine.
Date al momento la più segreta soglia
perchè in essenza, e non più
con l’ironia che parve provocare,
vedrete ciò che avviene globalmente”.
E la voce sospende un sommesso
“Non ancora” poi, nel silenzio, tace.
16
“Ascoltate un’ultima parola,
rientra di diritto nel progetto:
è una parola veritativa
sui lampadari che illuminano
gli occhi del mondo e la mano alla bocca.
Ho detto che l’orizzonte dei tavoli
sta sotto il cielo dei lampadari”
e parla con il cuore reticente
che ne addolcisce il pathos.
“Demitizziamo tutto a livello unitario
dei contributi al rito;
e come a ciascun altro elemento,
diamogli i connotati, affidandoli
alla memoria, netti come il resto”.
E la voce suadente ora è parsa
più lontana dal luogo o, forse, è stato
per l’umiltà che introduce l’oggetto?
La luce assedia il giorno, e non inganna
come il gran bosco di Birnam
che, salendo le ripide pendici
di Dunsinane, sconfisse re Macbeth.
Non ha spada nè scudo, è forza inerme.
E’ una forma perfetta irraggiungibile
che fa splendere ogni altra.
La può colpire qualsiasi violenza
senza mai turbarla,
e tuttavia dolcemente sale
al suo vertice che non ha distanza
dal cuore delle cose e d’ogni uomo.
Tre frammenti da: I lampadari di Plinio Acquabona, Marcelli editore, Ancona, 1984.
Acquabona, partito dalla
distanza tra lingua e conoscenza, giunge al riscatto della
crisi del linguaggio come teoria
dell’inganno per rivendicare il
diritto della lingua come principio di verità, di parola come
Verbo.
In questo modo l’indecifrabilità del mondo da negatività
si trasforma in una sorta di
valore, perché dalla deiezione,
dalla catastrofe, può nascere la
necessità delle fede, della speranza in un mondo immagine
della Gerusalemme celeste.
Le Cento Città, n. 44
I cieli vuoti, i terremoti di
Plinio, non devono farci paura,
ma esortarci ad una conoscenza, come ha scritto Mario Luzi,
“per ardore”, oltre il buio, là
dove, per citare una della opere
più interessanti di Acquabona,
la luce è per essere altrove.
Il ricordo
17
Luigi Dania
di Luigi Ricordo
La testimonianza che mi appresto a rendere in memoria di Luigi
Dania, la sento come un onore ed
un obbligo di coscienza.
È da poco tempo, a causa
dell’età, che ripercorro alcune
tappe della mia vita, e in particolare gli anni Cinquanta, in cui,
giovane ed inesperto, cercavo di
rendermi conto del mondo che
mi circondava. La famiglia, gli
amici, le persone più grandi di
me, i possibili modelli da studiare ed eventualmente seguire.
La grande mostra di Picasso a
Roma, presso la Galleria d’Arte
Moderna, esplose mettendo in
luce le contraddizioni e l’arretratezza di tanta cultura che faticava a fare i conti con i movimenti del Ventesimo secolo.
Di fronte all’entusiasmo di noi
giovani si opponeva, testarda, la
conservazione di una cultura
ancora intontita dal Ventennio
per una parte, e per l’altra messa
sotto tutela dal rigore togliattiano della politica.
Erano gli anni in cui alcuni
artisti lasciavano la politica per
avvicinarsi curiosi a ciò che restava delle avanguardie francesi,
mentre altri puntavano la loro
attenzione sul nuovo mondo
americano e su ciò che ivi stava
maturando.
Fu in quel clima che conobbi
Luigi Dania; ci legavano alcune
amicizie comuni, con Umberto Peschi scultore, Wladimiro
Tulli pittore, Goffredo Binni
instancabile animatore culturale
e critico.
Dania a quel tempo frequentava assiduamente Casa Licini;
dall’artista aveva avuto informazioni e apprezzamenti sulla cultura europea, poiché non bisogna mai dimenticare che Osvaldo Licini, pur stando a Monte
Vidon Corrado, aveva sempre
mantenuto i contatti con quella
cultura, in particolare parigina,
Fermo 21 gennaio 1983: Luigi Dania osserva la velinatura della Natività di Rubens
eseguita dal restauratore Paolo Castellani (dovendosi effettuare il restauro a Roma,
la velinatura assicurava che durante il trasporto non avvenissero distacchi).
libero nei suoi quadri come nei
suoi giudizi.
La mia frequentazione di Dania inizia durante alcune mie
visite a Licini a Monte Vidon
Corrado e prosegue seguendolo nelle varie manifestazioni
espositive che, instancabile, organizzava nelle Marche. Per la
prima volta, grazie a lui, vedevamo opere pittoriche e grafiche
di tanti maestri di cui avevamo
Le Cento Città, n. 44
sentito parlare e visto qualche
immagine riprodotta.
A conclusione di questo breve ricordo di Luigi Dania posso
dire che egli costituì uno degli
stimoli essenziali per la mia
liberazione dalle limitazioni
provinciali, ed un convincente
esempio di come, pur restando
lontani dai grandi centri, si possa essere in sintonia con il mondo che cambia.
Mostre
19
L’Eucaristia nell’arte
Le mostre del XXV Congresso Eucaristico Nazionale
di Maria Luisa Polichetti
E’ ormai divenuta consuetudine inserire mostre d’arte
nelle manifestazioni riferite ad
argomenti di varia natura che
comunque raccolgono un ampio
pubblico che, seppure interessato ai temi specifici, è comunque
attratto da argomenti di carattere
artistico.
Tale considerazione è ancor
più pertinente quando ci si riferisce ad eventi religiosi che richiamano grande partecipazione di
fedeli, e soprattutto di giovani,
dove, accanto a temi religiosi
e sociali, quello della produzione artistica riveste un ruolo di
notevole importanza anche in
funzione delle sue potenzialità
educative, in quanto il messaggio
contenuto nei grandi temi religiosi viene arricchito da quello
trasmesso dall’arte, veicolo e linguaggio di fede.
Il XXV Congresso Eucaristico
Nazionale, che si è svolto dal
3 all’11 Settembre nell’Arcidiocesi di Ancona-Osimo e
nella relativa Metropolia, ha
avuto come obiettivo la riflessione sulla celebrazione dell’
Eucaristia nella vita quotidiana, intesa quale strumento per
riscoprire il significato cristiano
della vita.
In tal senso si è cercato dare
risposta alla domanda che
Pietro rivolge a Gesù: “Signore
da chi andremo?” riportata nel
Vangelo di Giovanni, il quale
ci fornisce anche la risposta che
Pietro stesso propone: “Tu hai
parole di vita eterna”: attraverso
la Parola, quindi anche attraverso la parola espressa con
gli strumenti dell’arte, viene
favorito il nostro percorso di
avvicinamento a Dio.
Il Concilio Vaticano II ha
proposto con forza all’attenzione dei credenti, e non solo
di questi, il valore testimoniale
dell’arte ed il ruolo che gli
artisti hanno sempre svolto e
devono continuare a svolgere
per diffondere la Parola, ossia
l’essenza stessa di Dio: basti
pensare ad esempio ai contenuti delle opere dei più grandi
artisti del passato, che spesso
si confrontano con episodi di
carattere religioso.
In tempi recenti tutti i
Pontefici, protagonisti dell’attuazione del Concilio Vaticano
II, hanno operato in tal senso,
confidando nel potere salvifico
della bellezza, tema ricorrente
negli scritti del cardinale Carlo
Maria Martini, sia promuovendo la produzione artistica
– basti pensare alle raccolte
C. Ridolfi, La Vergine comunica San Silvestro, Tela. Fabriano, Eremo di San Silvestro di Montefano.
Le Cento Città, n. 44
Maria Luisa Polichetti
20
didattica, o più
propriamente
di catechesi,
contribuendo
con le proprie
specifiche configurazioni ad
avvicinare gli
uomini a Dio, e
al tempo stesso
strumento per
la comprensione del mistero
divino.
Nella consapevolezza
della loro utilità nell’ambito
del Congresso
Eucaristico
sono state organizzate
due
mostre d’arte aventi temi
diversi ma pur
sempre
collegati all’Eucarestia. Il 25
Giugno,
in
corrispondenza della festività del Corpus
Giambattista Tiepolo, Comunione di Santa Lucia, 1748 Domini, è stata
circa, Chiesa dei Santi Apostoli, Venezia.
inaugurata la
mostra “Segni
vaticane di arte contemporadell’Eucarinea volute da Paolo VI - sia stia” articolata nelle diverse
operando per la valorizzazio- sedi della Metropolia: Ancona,
ne del patrimonio culturale Osimo, Loreto, Jesi, Senigallia,
ecclesiastico anche mediante la Fabriano, Matelica, con l’oformazione di specifici musei biettivo di far comprendere
nell’ambito delle diocesi.
il significato degli apparati
Il concetto di arte fa riferi- liturgici e della loro specifimento ad una serie di realtà ca funzione nella celebrazione
multiformi: architettura, pittu- dell’Eucaristia.
ra, scultura, musica, i cui prodotti sono frutti dell’attività
La mostra, iniziata contedell’uomo, artefice e, al tempo stualmente nella diverse sedi,
stesso, strumento per la con- è stata concepita come evento
divisione con i propri simili di unitario realizzato con criteri
quel carattere “divino” che gli scientifici ed organizzativi omoderiva dall’essere, a sua volta, genei; in essa sono stati propocreatura di Dio.
sti all’attenzione del pubblico
Tale condivisione non è fina- dipinti ed apparati liturgici,
lizzata solamente al puro godi- quali oggetti, paramenti, libri,
mento estetico, che comun- strumenti musicali, provenienti
que produce pur sempre una dal territorio della Metropolia.
insopprimibile elevazione dello
Sedi naturali di queste
spirito, anche per coloro che esposizioni sono stati i Musei
sono privi di un apparato di Diocesani delle sette città, che
conoscenze specialistiche, ma conservano la maggior parte
svolge altresì una funzione delle opere esposte e dove è
Le Cento Città, n. 44
stato possibile apprezzare la
connessione di queste opere
con i territori di riferimento, in
quanto espressione della religiosità locale e, al tempo stesso,
documenti della sapienza dei
relativi ambiti manifatturieri.
Gli oggetti esposti nella
mostra sono riconducibili ad
alcune grandi categorie funzionali: arredi, oggetti, tessuti, vesti, strumenti musicali. E’
importante notare come molti
di essi riproducono oggetti di
uso quotidiano: fra questi i più
significativi sono quelli riferiti
alla mensa ed alla sua funzione,
come apparecchiare, illuminare, adornare facendo sempre
riferimento alle insegne del
Signore.
E’ comunque lunga l’elencazione di oggetti ed apparati
individuati: servizi per altare
da viaggio o di parata, diverse
tipologie di leggii o rivestimenti
sovrapponibili alla legatura del
libro liturgico, tronetti, tabernacoli, ombrellini, baldacchini,
stampi per ostie, paramenti.
Sono oggetti di uso comune che spesso ritroviamo nei
dipinti che illustrano il sacramento dell’Eucaristia, il piatto
per il pane, il bicchiere per il
vino: la patena e il calice.
La produzione di tali oggetti
è da ascrivere prevalentemente
ad ambiti artistici marchigiani
e romani, in relazione ai particolari legami non solo culturali
ma anche istituzionali che legavano le Marche a Roma.
Focus principale della mostra
nelle sue sette articolazioni
è stato l’“altare”, Mensa del
Signore, la tavola dove si rinnova la celebrazione del mistero
dell’Eucaristia e dove sono stati
collocati gli apparati liturgici
più prestigiosi, quali il neoclassico servizio di altare in marmo
di Carrara donato al Duomo
di Ancona per l’altare della
Madonna, o il paliotto del XVII
secolo, donato ad Osimo dal
senese Antonio Bichi quando
fu vescovo della città, ed ancora, a Loreto, il corredo di altare
di manifattura trapanese, donato nel 1722 in segno di devozio-
Mostre
21
Simon Vouet, Ultima cena, XVII secolo (1629-1630), Loreto.
Le Cento Città, n. 44
Maria Luisa Polichetti
Ignoto Argentiere, Calice reliquiario
di San Giacomo della Marca, seconda
metà del XIV secolo, Diocesi di Jesi
22
Autore ignoto, Cassa dei sacri utensili, metà del XIX secolo, Pinacoteca
Diocesana, Senigallia.
Produzione
marchigiana,
Stampo per ostie elettrico,
prima metà del XX secolo, Chiesa di San Lorenzo,
Cupramontana.
Le Cento Città, n. 44
Mostre
23
Ernst Van Schayck, Torchio mistico, fine del XVI secolo, Chiesa di Sant’Agostino, Matelica.
Le Cento Città, n. 44
Maria Luisa Polichetti
ne alla Vergine Lauretana dal
principe Caracciolo di Avellino.
Il luogo sul quale viene istituita l’Eucaristia è la tavolaaltare: Guglielmo Duranti nel
XIII sec. scrive: “… quando un
uomo ha l’altare, la mensa, il
candelabro e l’arca possiede il
tempio di Dio. E’ indispensabile
che ciascuno di noi abbia questo
altare su cui fare le offerte e
spezzare il pane”.
L’Ultima Cena di Simon
Vouet, dipinto esposto a
Loreto, raffigura Gesù che proteso sulla tavola, sulla quale si
stagliano una coppa e un piatto
contenente un agnello, offre il
pane ad uno degli apostoli che
appoggia il mento sulla patena. Uno degli apostoli protende una coppa contenente vino
non ancora consacrato, verso
la tavola, altare, dove avverrà il
rito della consacrazione.
Per la visione di quegli apparati liturgici che sono rimasti nei luoghi originali di conservazione, chiese, cappelle,
monasteri, alcuni fin dall’origine connessi alla presenza di
confraternite nate per il culto
dell’Eucaristia, sono stati organizzati appositi “itinerari” che
prendono idealmente inizio
dalle sedi dei musei diocesani
dove sono stati raccolti quegli
oggetti per i quali era necessario assicurare la conservazione
sia pure a prezzo di estraniarli
dal contesto per il quale erano
stati creati.
Successivamente ed in concomitanza con lo svolgimento del Congresso Eucaristico
il 2 Settembre è stata inaugurata ad Ancona, nella Mole
Vanvitelliana, la grande mostra
intitolata “Alla Mensa del
Signore – Capolavori dell’arte
europea da Raffaello a Tiepolo”,
dove sono esposti circa ottanta oggetti di eccezionale interesse artistico riferiti al tema
principale, quello dell’Ultima
Cena, espresso nelle sue diverse articolazioni liturgiche: la
celebrazione dell’Eucaristia e la
24
Comunione degli Apostoli.
Il prestigioso edificio progettato da Luigi Vanvitelli, per usi
sicuramente diversi da quelli
espositivi, ha dimostrato ancora
una volta e in maniera particolarmente significativa di essere
il luogo ideale per eventi di
tale genere grazie alla duttilità
dei suoi ambienti, che possono
accogliere al tempo stesso piccole o grandi mostre, oggetti di
limitate dimensioni ma di particolare interesse come anche
oggetti di grandi dimensioni e
di forte impatto visivo, come
nel caso specifico, rendendo
possibili percorsi di visita che,
pur nella complessità degli
argomenti trattati, risultano
particolarmente idonei per la
comprensione dei criteri espositivi e per lo svolgimento della
didattica.
La mostra, che rimarrà aperta
fino all’8 Gennaio 2012, è stata
resa possibile grazie alla collaborazione di prestigiosi musei,
che generosamente hanno prestato alcune delle loro opere
riferite al tema specifico.
La disponibilità dei Musei
Vaticani ha consentito di
ammirare opere d’arte antica e contemporanea, quali un
elemento della predella della
Pala Baglioni di Raffaello, raffigurante la Carità, e la Cena di
Emmaus di Ardengo Soffici, un
arazzo, su cartone di Leonardo,
della manifattura romana del
San Michele raffigurante l’Ultima Cena, da confrontare con
l’arazzo, su disegno del Rubens,
avente come tema l’Istituzione
dell’Eucaristia, conservato nel
Museo Diocesano di Ancona.
Da Venezia provengono la
grande tela del Padovanino illustrante Le Nozze di Cana, preludio all’Eucaristia, che insieme
alla raffaellesca Carità apre la
mostra; La comunione di Santa
Lucia del Tiepolo, e l’Ultima
Cena del Tintoretto.
Ed ancora molti altri dipinti
fra cui una Ultima Cena di
Luca Signorelli, proveniente dagli Uffizi da affiancare a
quella di Tiziano proveniente
Le Cento Città, n. 44
da Urbino, a quella dipinta da
Simon Vouet proveniente da
Loreto.
Molte di queste opere evocano l’opera più prestigiosa e
significativa illustrante il tema
dell’Eucaristia: l’Ultima Cena
di Leonardo. Quella di maggior
impatto emozionale è lo spettacolare cinquecentesco gruppo scultoreo proveniente dalla
Basilica della Beata Vergine dei
Miracoli di Saronno, costituito
da tredici sculture lignee che
nel loro insieme ci restituiscono
tridimensionalmente il dipinto
leonardesco.
Tale mostra offre la possibilità di poter ammirare un
grande numero di opere d’arte,
provenienti sia dalle Marche
che da altre regioni italiane,
aventi come temi principali
l’istituzione dell’Eucaristia e
la Comunione degli Apostoli,
consentendo attraverso molteplici confronti un particolare
apprezzamento estetico e godimento delle opere d’arte unitamente alla possibilità di comprendere nella maniera migliore il messaggio religioso che
i diversi artisti hanno voluto
trasmettere mediante pluralità
di linguaggi.
Un’esaustiva sezione di opere
di Maestri del XX secolo, provenienti prevalentemente dalle
raccolte vaticane, posta a conclusione della mostra ha l’obiettivo di approfondire lo spirito
con cui gli artisti contemporanei si sono avvicinati al tema
dell’Eucaristia.
Il percorso espositivo costituito prevalentemente da dipinti
ed arazzi viene arricchito da una
prestigiosa raccolta di opere
di oreficeria liturgica conservate nelle diocesi marchigiane,
testimonianza al tempo stesso
della sapienza manifatturiera
delle scuole marchigiane e della
generosa devozione dei diversi
donatori.
Mostre
25
Guercino a Fano
di Alberto Berardi
Una cosa mi ha stupito, nessuna tra le centinaia e centinaia di persone incontrate nei
giorni della Mostra Guercino a
Fano ha chiesto informazioni sul
valore venale delle opere esposte. Un grande ed imprevisto
esempio di civiltà. Come se la
città grazie al grande pittore di
Cento avesse recuperato la sua
anima. Proprio così, mai prima
si erano viste a Fano tante persone affollare emozionate una
Pinacoteca ed esprimere un giudizio unanimemente positivo.
Tremila visitatori nei primi dieci
giorni. Oltre venticinquemila in
totale. Si potrà dire che l’ingresso per volontà della Fondazione
Cassa di Risparmio che l’aveva
voluta, organizzata e gestita era
gratuito, che lo splendido volume documentario sulla Mostra
(oltre 1200 copie vendute)
costava appena 15 euro destinati
per giunta alla beneficenza, che
l’intera città era coperta di stendardi che promuovevano l’even-
to, che l’allestimento
era appropriato, che i
mezzi di informazione
colsero subito il fascino
del ritorno, dopo due
secoli, dalla Francia del
San Giovanni al fonte
ma tutto questo non
sarebbe sufficiente a
spiegare quello che è
avvenuto.
Fano in quei giorni
indimenticabili grazie a
Guercino riconquistò
davvero la sua anima.
Quell’anima religiosamente estetica ed
esteticamente religiosa per la quale il bello
è divino. L’anima che
per secoli aveva impre- Guercino a Fano tra presenza e assenza.
ziosito le nostre chiese
con opere immortali.
ha sentenziato: “E’ l’insieme
Si è aperta poi anche
una curiosa gara su quale fosse che le rende belle, tutte belle”.
la più bella tra le tre opere Belle ed affascinanti anche per
esposte. Gara drasticamente la storia che si portano dietro:
risolta da chi con sicurezza L’Angelo custode (1641), la pala
La Pinacoteca San Domenico a Fano.
Le Cento Città, n. 44
Alberto Berardi
26
L’Angelo Custode 1641 Pinacoteca Civica Malatestiana Fano.
Le Cento Città, n. 44
Mostre
27
S. Giovanni Battista alla fonte 1661 - Museo Fabre di Montpellier.
Le Cento Città, n. 44
Alberto Berardi
28
subito
ritrovato
grazie anche ad
una taglia che la
città profondamente offesa e subito
mobilitata offrì a
colui od a coloro
che ne avessero
permesso il recupero ed infine il
“San
Giovanni
al fonte” (1661)
commissionato dal
conte Ghisilieri ed
“estratto” dall’esercito repubblicano francese alla
ricerca di capolavori nel 1797.
Regalo della città a
Napoleone insieme
ad una splendida
tela di Guido Reni,
oggi al Louvre,
che per recarsi a
firmare la pace a
Tolentino passò
malauguratamente
per Fano. Portato
prima a Parigi, poi
a Strasburgo, poi di
nuovo a Parigi ed
infine assegnato alla
città di Montpellier
da cui il Museo
Fabre ha consentito il rientro temporaneo a Fano la
città che lo aveva
voluto ed ottenuto da Guercino in
persona. Aperta
in grande spolvero sabato 7 maggio nella chiesa di
San Domenico la
Mostra si è chiusa
con grande emozione il 7 ottobre
coinvolgendo altri
luoghi di Fano
San
Sposalizio della Vergine, 1648, Pinacoteca San Domenico, proprietà Fondazione Cassa di (Duomo,
Pietro in Valle,
Risparmio di Fano.
San
Paterniano,
Pinacoteca e Museo
che emozionò tanto prima il vita negli U.S.A. ad un “Fano
poeta inglese Robert Browning Club” ancora vivo ed operante civico) dando così vita ad una
che la vide nella Cappella Nolfi presso l’Università di Waco, poi “Rassegna itinerario del ‘600”
nella Chiesa di Sant’Agostino il magnifico “Sposalizio della potentemente influenzata da
e ad essa dedicò una celebre Vergine” (1649), commissionato artisti emiliani. Una esperienza
composizione poetica, poi i dalla nobile famiglia Mariotti e da ripetere nel 2012. Simone
suoi estimatori dell’Università rubato nei primi del ‘900 dalla Cantarini detto il Pesarese
di Yale fino al punto da dare Basilica di San Paterniano ma attende da secoli.
Le Cento Città, n. 44
Mostre
29
La Biennale di Venezia e l’impresa sgarbiana del Duemila
di Walter Scotucci
La Biennale d’Arte di Venezia
rappresenta da oltre un secolo il
più importante appuntamento
dell’arte contemporanea mondiale. Nella 54esima edizione
ancora in corso, l’allestimento
del’Padiglione Italia’ curato da
Vittorio Sgarbi si è rivelato, anche nel giudizio di suoi tenaci
oppositori, impresa geniale e di
portata titanica. L’eccezionalità
è legata sia alle idee che hanno
ispirato le scelte espositive, sia
all’enorme sforzo organizzativo
ben evidenziato dalle numerose
sedi e dall’incredibile numero di
artisti coinvolti. L’edizione 2011
sarà dunque destinata ad essere
tra quelle più lungamente ricordate.
Il padiglione di Sgarbi è divenuto occasione per una vasta
ricognizione dell’arte italiana
dell’ultimo decennio, effettuata
con lo scopo di cercare precoci segnali distintivi della nuova
epoca. Il confronto tra padiglioni nazionali nella città lagunare ha dimostrato innanzitutto
che la produzione mondiale è
attualmente assai sbilanciata a
vantaggio degli artisti italiani, in
un rapporto di circa dieci a uno.
L’Italia cioè, si conferma luogo
privilegiato per l’arte e gli italiani un popolo dalla spiccata vena
creativa. Da una stima necessariamente approssimativa, pare
che nella nostra penisola lavorino oltre due milioni tra pittori,
scultori, ceramisti, disegnatori,
fotografi, ecc., dei quali ‘solo’
duemila risultano quelli selezionati in questa Biennale. Una
ristretta élite, dunque, che va
considerata come l’eccellenza di
coloro che si collocano al di sopra la linea dell’esistente o della
notorietà. Tra essi molte sono
donna, spesso tra le più richieste e pagate. Tra Rinascimento e
Settecento le artiste si contavano
sulle dita di una mano in quanto
alla donna veniva riservato per
lo più il ruolo di musa ispiratrice. Tra Otto e Novecento signo-
rine di buona famiglia iniziarono
a prendere, oltre alle lezioni di
cucito e di ricamo, anche quelle di disegno e di pittura, ma è
solo verso la metà del secolo
scorso che si manifesta la definitiva inversione di tendenza,
che vede oggi le artiste forse già
maggioranza. Misteri dell’evoluzione di un mestiere che per
essere compreso, va inquadrato
storicamente. All’epoca di Giotto infatti, gli artisti conosciuti
potevano essere poco più di
un centinaio, mentre al tempo
di Caravaggio almeno quattro
volte tanto. Attualmente invece
ci sono milioni di creativi ed il
loro problema principale è diventato quello di farsi un nome,
ossia di diventare famosi, un po’
come avviene per i cantanti e
per gli attori. Nell’affannosa ricerca di notorietà molti cadono
nella rete di persone interessate
più al profitto che alla cultura
e nelle trappole di chi li sfrutta
tendendo a condizionare forte-
Fig. 1 - Venezia, Padiglione Italia all’Arsenale (fase di allestimento).
Fig. 2 - Venezia, Padiglione Italia all’Arsenale (fase di allestimento).
Le Cento Città, n. 44
Walter Scotucci
30
Fig. 3 - Venezia, Padiglione Italia all’Arsenale.
mente il mercato. E’ per questa
ragione che il padiglione Italia,
chiamato da Sgarbi “L’arte non è
cosa nostra”, si è posto come riflessione critica contro le ‘mafie’
rappresentate da galleristi e da
critici senza scrupoli. A rendere più toccante il richiamo alla
malavita, il curatore ha voluto
inserire all’Arsenale, trasferendolo parzialmente da Salemi, il
museo della mafia. In uno degli
storici capannoni della laguna,
trasformato per l’occasione in
un’improbabile chiesa, fa da
sfondo un’Italia insanguinata
che incombe affissa su una grande croce. Nella mostra veneziana hanno esposto in totale quasi
duecento artisti, ‘raccomandati’
non da galleristi né da critici, ma
una volta tanto da uomini di cultura, scrittori, pensatori, espressioni alte del mondo del cinema,
del giornalismo, della letteratura, della filosofia e della moda.
Ad ogni ‘raccomandante’ il curatore ha chiesto di segnalare un
nominativo di un pittore, di un
fotografo, di un designer, di un
ceramista o di un video artista.
Sgarbi stesso si è autoescluso del
ruolo di critico. Ed ecco allora
corrispondere ad ogni opera, ad
ogni istallazione, una didascalia
non solo con il nome dell’artista,
ma anche del suo segnalatore,
ovvero di colui che si è preso la
responsabilità di promuoverlo
nella cerchia di quelli degni di
notorietà. Dunque una selezione operata da tanti, riuniti in
una Commissione presieduta
da Emanuele Emmanuele, presidente della Fondazione Roma,
che ha fatto autonomamente
delle scelte. Fra i segnalatori, ricordo Bernardo Bertolucci, Oliviero Toscani, Alberto Arbasino,
Mina Gregori, Paolo Mieli ed
altri ancora. Si è voluto con ciò
tentare una sorta di risarcimento
del rapporto tra arte e intelligenza umana ed è stata questa la
prima e importante novità della
Biennale, ossia l’Arte collegata
alla cultura piuttosto che alle
logiche clientelari e di profitto,
liberata da pregiudizi di critici
che promuovono soltanto i propri protetti.
Il secondo tema trainante
dell’edizione 2011 è stato quello
del concomitante anniversario
dell’Unità d’Italia. Per celebrare degnamente la ricorrenza, a
distanza di 150 anni dall’epopea
garibaldina dei Mille, Sgarbi ha
voluto proporre un altrettanto epica e unificante impresa,
questa volta non in armi, ma nel
segno della bellezza. Il risultato
è stato una Biennale ‘diffusa’ su
quasi tutto il territorio nazionale
e portata fuori da Venezia mediante l’allestimento di padiglioni regionali, in un’operazione
che ha finito per coinvolgere circa duemila artisti. In quasi tutte
le regioni italiane infatti, in una
Fig. 4 - Roma, Palazzo Venezia, giornata di inaugurazione del Padiglione regionale Lazio.
Le Cento Città, n. 44
Mostre
31
Fig. 5 - Roma, Palazzo Venezia, giornata di inaugurazione del Padiglione regionale Lazio.
o più sedi prestigiose (ben quattro in Emilia Romagna), a volte
collegate ad episodi significativi del momento unitario come
a Civitella del Tronto, un vero
esercito di artisti, selezionati regione per regione, ha esposto i
propri lavori. Per compiere un
così impegnativo progetto, l’organizzazione (Arthemisia group)
ha lavorato in collaborazione
con gli assessorati regionali alla
cultura, che a voler essere un
po’ critici, sono risultati forse
l’anello debole dell’impresa. Dai
magazzini del porto vecchio di
Trieste, alla palazzina Stupinigi a Torino, dall’albergo delle
Povere a Palermo al Madre di
Napoli, dall’Aurum di Pescara
a tante altre sedi, è stata garantita una quasi totale copertura dell’italica creatività. Nelle
Marche, ad esempio, il numero
degli artisti selezionati è stato di
un’ottantina di elementi. La prolificità dell’arte locale ha reso necessario l’utilizzo di due luoghi
distinti, entrambi d’indubbio
rilievo storico e culturale. Alla
Mole Vanvitelliana, nel capoluo-
go dorico, sono state esposte le
opere di trentuno artisti e presso l’Orto dell’Abbondanza di
Urbino, di altri cinquantadue.
Quest’ultimo spazio, inaugurato
per l’occasione e pertinente alle
stalle del palazzo ducale, è un
lungo corridoio disposto su tre
livelli, restaurato e pensato per
accogliere proprio eventi di arte
contemporanea.
Nonostante
qualche polemica riguardante la
selezione, la disposizione e l’illuminazione dei lavori, non sono
mancati neppure nelle Marche
i consueti bagni inaugurali di
folla, indotti dalla presenza del
critico ferrarese.
Tra le tante problematiche
sollevate, per la prima volta questa Biennale si è interessata agli
artisti italiani che vivono all’estero e tra essi anche qualche
marchigiano. Emigrati eccellenti
che non avevano mai ricevuto
la giusta considerazione perché
considerati stranieri sia in patria
sia fuori, questa volta hanno potuto esporre loro opere in ben
ottantanove Istituti italiani di
cultura e contemporaneamenLe Cento Città, n. 44
te essere presenti sugli schermi
all’Arsenale. Simmetricamente,
non poteva mancare a Venezia
una sezione riservata agli artisti stranieri che abitualmente
vivono ed operano in Italia.
E ancora, Sgarbi Presidente
dell’Accademia di Urbino, non
poteva dimenticare i giovani
talenti impegnati nel loro corso
di studi ed ha perciò chiamato i
direttori di venti Accademie italiane a segnalare duecento tra i
più meritevoli allievi, riservando
loro uno spazio alle tese di San
Cristoforo.
Dopo la chiusura dei battenti dei padiglioni regionali e di
quello nazionale veneziano, la
Biennale si concluderà a Torino il prossimo 17 dicembre con
l’inaugurazione di un’ultima
mostra, che rimarrà aperta fino
al 30 gennaio, dedicata ad artisti indebitamente esclusi, quasi
a volerli risarcire di non essere
stati inseriti prima. Ad accogliere le produzioni della selezione
finale sarà l’enorme spazio del
padiglione Nervi che rappresenterà l’ultimo e forse il più pre-
Walter Scotucci
32
Fig. 6 - Roma, Palazzo Venezia, Padiglione regionale Lazio.
stigioso palcoscenico, di valore
nazionale, come quello storico
veneziano.
Un padiglione Italia dunque
composito e che si è rivelato una
panoramica unica ed attualissima sull’arte contemporanea. Nel
complesso ha messo in luce la
moderna figura di artista dimostrando che egli è prima di tutto
un individuo che ha una missione da compiere, ossia quella
di scoprire il proprio talento, la
propria identità. In quanto individuo è naturale che egli aspiri
a essere conosciuto dagli altri,
a uscire dalla sua sfera privata
per stabilire un rapporto e un
confronto. Da qui l’esigenza di
mostrarsi, ossia di fare delle mostre. L’artista vien fuori anche
come un privilegiato, perché
l’arte è un momento di grande
libertà espressiva, del pensiero
e dell’anima. In un’epoca nella
quale l’uomo viene visto per lo
più nell’accezione di ‘lavoratore’
e di ‘consumatore’, con l’arte
esce invece dagli schemi e realizza un vero e proprio piacere.
Caso quanto mai unico, quella
dell’artista è l’occupazione nella
quale e piacere e lavoro perfettamente coincidono. Tra gli altri
concetti emersi, quello che l’arte
è sempre tutta contemporanea,
perché dagli idoli cicladici, ai
bronzi di Riace, dalla Tempesta
di Giorgione al Cristo morto del
Mantegna, le opere del passato
continuano a dialogare con l’attualità e con l’uomo contemporaneo. Non è dunque provocazione il confronto tra Pistoletto
e Tino da Camaino, o di altri
maestri viventi con Piero della
Francesca o Lorenzo Lotto. Ulteriore acquisizione è che ormai
l’arte è divenuta ‘Estetica di sovrapposizione’, ossia sovrapposizione di linguaggi espressivi, di
stili e di tecniche. Dalle arti visive alla musica, dal cinema alla
letteratura, dalla tela al mezzo
digitale si assiste ad una sorta
di accavallamento che l’allestimento dell’Arsenale, curato personalmente da Sgarbi, ha anche
pensato di richiamare proprio
nel gioco di sovrapposizione
delle opere stesse.
Nel complesso, dunque, un
padiglione Italia che ha tentato
Le Cento Città, n. 44
di mettere in mostra, come in
uno spaccato, quegli artisti viventi che negli ultimi dieci anni
abbiano espresso una loro visione, in una sorta di mappatura
dell’intero territorio nazionale.
La storia dell’arte insegna che è
sempre il primo decennio a incidere maggiormente e a caratterizzare il secolo che segue. Tra
qualche anno sarà chiaro come
questa edizione di fine primo
decennio, potrà essere giudicata
come un evento epocale perché
tra le tante manifestazioni creative certamente non saranno
sfuggite ai selezionatori quelle
caratterizzanti il secolo a venire.
Tutti gli artisti e le opere saranno riuniti in un catalogo che
rappresenterà l’atto conclusivo
dell’originale progetto, che diverrà una specie di almanacco
dei protagonisti ‘più significativi.
Garibaldi non l’abbia a male,
ma questa volta, dopo un secolo
e mezzo, mi pare sia stato ampiamente superato nei numeri
da Vittorio Sgarbi: di poco in
quello dei combattenti arruolati,
di molto in quello delle eroine al
seguito.
La musica
33
L’Opera omnia di Giuseppe Giordani detto Giordaniello
di Ugo Gironacci
L’Italia, com’è noto, può van- locali un patrimonio unico e breve arco di quasi tre lustri a
tare oggi, nonostante le nume- prezioso quale quello lasciato partire dal 1779 al 1796 tocrose spoliazioni, il più grande da Giuseppe Giordani detto cando città importanti per un
giacimento di beni culturali al Giordaniello (Napoli, 19 dic. operista quali Firenze, Genova,
mondo. Questa sua ricchezza 1751 - Fermo, 4 gen. 1798) al Torino, Milano, Modena,
in molti casi rimane non ade- Capitolo Metropolitano.
Bologna, Faenza (ne inaugurò
guatamente valorizzata. Il varo
Il maestro napoletano si il teatro con il Caio Ostilio nel
del progetto di Opera omnia era formato nel prestigioso 1788), Venezia oltreché Roma
da parte del Centro Studi Conservatorio di S. Maria di e Napoli.
“Giuseppe Giordani’ di Fermo, Loreto a Napoli, insieme ai
Nel 1789, reduce dal successo
va salutato pertanto come una compagni di studi Domenico scaligero di La disfatta di Dario,
di quelle iniziative di eccellenza Cimarosa e Niccolò Zingarelli, fu chiamato alla direzione della
nel settore della ricerca scientifi- ottenendo nel 1774, per essere Cappella Musicale della Chiesa
ca, volte all’individuazione, allo “uno dei migliori soggetti”, il Metropolitana di Fermo, incaristudio e alla valorizzazione delle posto di Maestro di Cappella co che ricoprì fino alla morte. Fu
nostre fonti musicali e con esso sovrannumerario del Tesoro particolarmente attivo in ambito
al recupero di importanti aspet- di S. Gennaro supplendo a regionale con gli allestimenti dei
ti della nostra identità storica
seguenti oratori: La morte d’AbeGennaro Manna maestro di capin contorni scientificamente più
le (prima rappresentazione: Jesi,
pella alla Cattedrale di Napoli
definiti grazie all’apporto della
sett. 1785; S. Elpidio a Mare,
dal 1744 al 1779 anno della
musicologia e della filologia
Collegiata, 10 agosto 1790;
morte e insegnante al suddetto
musicale in particolare.
Fermo, sett. 1790 per la riapertuIl Centro studi, sorto nel Conservatorio nel periodo 1755- ra del Teatro), La Distruzione di
2000, opera grazie al sostegno 61. La sua febbrile attività di Gerusalemme (Senigallia, Teatro
determinante di Comune di compositore teatrale, esplicata condominiale, 1790; Fermo,
Fermo, Fondazione Cassa di principalmente nei maggiori agosto 1791, per l’inaugurazioRisparmio di Fermo e Provincia centri del centro e nord Italia ne del nuovo Teatro), l’Isacco
di Fermo e al patrocinio di irradiandosi principalmente da (Camerino,
1794; Macerata,
enti qualificati nella ricerca Bologna, registra quasi quaranta Teatro de’ Nobili, 1795), Il
titoli, oratori compresi, entro il
quali Conservatorio di
Figliuol prodigo (Ascoli,
Musica “G.B. Pergolesi”
Cattedrale, 1795), e la
di Fermo, Archivio stoBetulia liberata (Ancona,
rico Arcivescovile di
teatro La Fenice, 9 maggio
Fermo, Società Italiana di
1796; ripresa postuma a
Musicologia, Deutsches
Monterubbiano nel 1816
Historisches Institut di
per celebrare, in maniera
Roma, Istituto italiano per
palesemente strumentale,
la storia della musica.
la “liberazione” dal giogo
Il comitato di redazione
francese ed il ritorno alla
di Opera omnia è compoS. Sede).
sto da Markus Engelhardt,
Proprio la iniziale scheUgo Gironacci, Francesco
datura del fondo musicale
Paolo
Russo,
Italo
della Chiesa metropolitaVescovo, Agostino Ziino.
na di Fermo, per conto
Questo progetto corodel RISM (Répertoire
na lo sforzo più che venInternational des Sources
tennale dei maestri Ugo
Musicales) aveva evidenGironacci e Italo Vescovo,
ziato la rilevanza del suo
docenti al Conservatorio
fondo autografo.
di Fermo rispettivamenLa pubblicazione di
te in Storia ed Estetica
Otto arie sacre per soprano
della musica ed Armonia
ed organo (Fermo 1986)
e contrappunto, volti a
è stata la pietra miliare
sottrarre alle brume delle
dalla quale il lavoro semfumose rievocazioni campre più sistematico sul
panilistiche e all’appros- Fig. 1 - Lamentazioni e Miserere, Editio major (Lucca, musicista partenopeo ha
simazione degli agiografi edizioni LIM, 2009).
preso avvio, soprattutto
Le Cento Città, n. 44
Ugo Gironacci
per la dovizia e puntuale disamina delle fonti, per lo più inedite: finalmente la nuova corretta
data di nascita, le epigrafi funebri del latinista fermano Ignazio
Guerrieri, l’elenco preliminare
delle opere con la citazione puntuale delle fonti, gli atti di acquisizione del fondo Giordani da
parte dell’Archivio Capitolare e
le prime musiche edite (sette
offertori e una lamentazione).
Da qui sono stati operati da U.
Gironacci e I.Vescovo, successivi scandagli della sua produzione con la riproposizione di alcune sue composizioni nell’ambito
del Festival di Fermo. Per tutte è
sufficiente ricordare l’esecuzione
della grande Messa a 5 voci in
Fa maggiore del 1788, per soli
(SSATB), coro e orchestra, nella
Sala dei Ritratti di Fermo il 18
luglio 1993.
Alcune di queste sono approdate in registrazioni in CD. Nel
1995, grazie al sostegno della
Regione Marche è stata incisa
una delle opere più significative del maestro napoletano nata
proprio per il Duomo di Fermo
e tassello importantissimo della
prassi vocale strumentale sacra
nelle Marche legata alla produzione per voci soliste e organo: Lamentazioni e Miserere
(Symphonia, 2CD: SY 94D31,
Bologna 1995): Ensemble “Il
Terzo Suono” (M. Pennicchi,
soprano; J. Gall, controtenore;
G.P. Fagotto, tenore; F. Zanasi,
basso), M. Raschietti, organo.
Ricordiamo che le nostra regione annovera più di 700 strumenti storici ma manca la letteratura specifica che veniva eseguita
su questi strumenti: gli organi
non erano strumenti meramente solistici, ma principalmente
strumento di supporto e dialogo
concertante con le voci soliste,
per lo più Soprano, Contralto,
Tenore e Basso. Dunque il
quartetto vocale di solisti unito
all’organo era l’organico tipico
delle nostre cappelle quando
non fosse disponibile per varie
ragioni l’orchestra generamente
formata da archi, due oboi e due
corni. Infatti le nostre cantorie
possono logisticamente ospitare
solo un organico di questo tipo
con gli evirati cantori a disimpegnare i ruoli di soprano e
34
contralto. Tale
formazione
garantiva così
nel contempo
qualità, fascino
belcantistico e
decoro al servizio liturgico.
Questo lavoro
apriva dunque,
nel 1995 una
finestra su un
panorama decisamente nuovo,
inesplorato e
sconosciuto.
L ’ a n n o
seguente è la
volta di Le tre
ore di Agonia
di
N.S.G.C.
(Fermo 1793),
il lavoro più
fortunato di
Giordani, per
essere disperso in numerose copie in Fig. 2 - Presunto ritratto di Giuseppe Giordani (New York
diverse biblio- Public Library, Joseph Muller Collection).
teche
euroalla sua opera e al suo entourapee.
Grazie
alla sensibilità ed al sostegno ge artistico. Fatto curioso, ma
di MacerataOpera nella per- eloquente del positivo riscontro
sona del suo sovrintendente di questa composizione devoClaudio Orazi e al Centro dei zionale, è dato anche dall’esiBeni Culturali diretto da Mario stenza di un libretto relativo ad
Canti sono stato riproposte per un suo allestimento a Dresda,
la prima volta in epoca moder- in un Dilettanten-Concert, il 20
na nella Chiesa di S.Filippo il marzo 1807 preceduto sorpren19.7.1996 e incise: Le tre Ore dentemente nella prima parte
di Agonia di N.S.G.C., Credo, da una Grosse Sinfonie von van
Due canzoncine per i Venerdì di Beethoven.
Nel 1998, sempre nell’ambiMarzo (Arts Music, CD 47373,
Hamburg 1997): Ensemble “Il to di MacerataOpera, è stata
Terzo Suono” (M. Pennicchi, allestita la Passio secundum
soprano; J. Gall, controteno- Johannem (frutto del servizio
re; G.P. Fagotto, tenore; C. napoletano di Giordani), nella
Lepore, basso), Academia Montis chiesa di S.Maria delle Vergini
Regalis, direttore G.P. Fagotto. di Macerata, con regia di Allì
Nell’occasione fu condotta Caracciolo, che, èmula delle stuun’indagine sulle fonti della pra- pefacenti invenzioni degli scetica devozionale delle “Tre ore” nografi settecenteschi, agghindò
nelle Marche, confluita poi nel ed atteggiò il coro in maniera
lavoro della musicologa tede- da evocare l’incanto delle statusca e docente all’Università di ine in porcellana capodimonte.
Amburgo Magda Marx-Weber Proprio per questo rimane il
(Giuseppe Giordani Vertonung rimpianto di non aver realizzato
der ‘Tre ore di agonia di N.S.G.C.’, un DVD di quella splendida
1997) che, in maniera molto sti- iniziativa. Anche questo lavomolante, ravvisava nell’opera di ro è stato inciso da una prestiGiordani, stilemi del cosidetto giosa casa francese specializza“stile sensibile” (Empfindsamer ta in musica antica: Passio per
Stil) di Carl Philipp Emmanuel il venerdì Santo (1776), Opus
Bach, che si pensava circoscritto 111 (2 CD: OPS 30 - 249/250,
Le Cento Città, n. 44
La musica
Parigi 1999): M.J. Trullu, alto;
A. Hermann, soprano; C. Lepore,
basso; Ensemble vocale di Napoli;
Academia Montis Regalis, direttore A. De Marchi.
La bontà artistica testimoniata
dai suddetti tre allestimenti ha
finalmente evidenziato l’urgenza
di rendere disponibili in edizione critica le opere di Giordani
perché chiunque volesse, potesse riproporle. Ecco che nel 2000
è stato fondato il Centro studi
Giuseppe Giordani per opera
di Gironacci, Vescovo e Emilio
Tassi, direttore dell’Archivio
storico arcivescovile, al fine di
valorizzare la figura del Nostro e
di quanti musicisti sono legati al
territorio fermano.
Ben presto è stato cooptato
nel progetto Francesco Paolo
Russo, musicologo affermato e Bibliotecario del locale
Conservatorio.
L’Opera omnia è stata inaugurata dal Veni sponsa Christi
- Antifona, a cura di Ugo
Gironacci e Italo Vescovo
(Lucca, LIM, 2006, Serie I/I,
xxiv + 20 pp.) e seguita dai
Tantum ergo I e II in Mi bemolle maggiore - Inni, a cura di
Francesco Paolo Russo (Lucca,
LIM, 2007, Serie I/ II, xxvii +
108 pp.). Ora finalmente è uscito l’impegnativo terzo volume
Lamentazioni e Miserere, Editio
major a cura di Ugo Gironacci
e Italo Vescovo (Lucca, LIM,
2007, Serie I/ III, xlii + 225 p;
Fig. 1).
Nel frattempo nei giorni
3-5 ottobre 2008 si è tenuto al
Conservatorio Statale di Musica
di Fermo il convegno internazionale di studi su La figura e l’opera
di Giuseppe Giordani (Napoli
1751 - Fermo 1798) con l’intervento di accreditati musicologi
italiani e stranieri ed inaugurato
dalla lectio magistralis di Franco
35
Fig. 3 - G. Giordani, Le Tre ore di Agonia di N.S.G.C. (partitura autografa:
c. 1r).
Piperno dell’Università di Roma
La Sapienza. L’occasione ha
anche incidentalmente prodotto
il rinvenimento, da parte dello
studioso veneto e convegnista
Giovanni Polin, di un acquarello
ottocentesco con un primo e presunto ritratto di Giordani, conservato nella Muller collection
della New York Public Library
e forse tratto da una immagine
preesistente ma a noi a tutt’oggi
sconosciuta. In calce al nome si
legge «Battaglia pinxit» e nell’ovale il nome di «E. Fiorentino»
(Fig. 2).
Last but non least il rinvenimento nel 1988 e l’acquisizione,
da parte del Conservatorio e
grazie al sostegno lungimirante della Fondazione Cassa di
Risparmio di Fermo, dell’autografo di Giordani di Le tre ore
di Agonia di N.S.G.C. (Fig. 3),
contumace da sempre, ha coronato uno sforzo di sensibilizzazione e di tenace ricerca ormai
trentennale.
Le Cento Città, n. 44
Ora, in attesa della prossima
pubblicazione degli Atti, continua la programmazione dell’Opera omnia con il successivo IV
volume che ospiterà il “grandioso” Te Deum che Giordani
scrisse nel 1788 per i festeggiamenti centenari della Madonna
del Molino di Lugo di Romagna
che aveva protetto la città dal
disastroso terremoto del 1688.
E’ un articolato lavoro per quattro voci soliste, coro e orchestra,
con l’intervento di oboe, clarinetto e fagotto concertanti.
Prosegue così l’indagine sul
Giordani sacro in attesa di avviare anche il settore degli oratori
e delle opere, mentre continua
l’attività di individuazione del
suo materiale librario e documentale disperso. In fin dei
conti noi oggi facciamo con le
nostre fonti musicali ciò che la
musicologia tedesca ha sistematicamente operato a partire da
metà Ottocento a tutto il secolo
scorso.
Libri ed eventi
37
di Alberto Pellegrino
Lo Sferisterio Opera
Festival 2011 e la Stagione
Lirica di Jesi
Così fan tutte
La messa in scena di Così fan
tutte di Mozart con la regia,
le scene e i costumi di Pier
Luigi Pizzi, deve essere considerata la “perla” dello Sferisterio
Opera Festival perfettamente
incastonata nella settecentesca cornice del Teatro Lauro
Rossi di Macerata. Lorenzo Da
Ponte avevano già affrontato
per Mozart il tema dell’amoredesiderio nelle Nozze di Figaro
(1786) e il tema dell’amoreseduzione nel Don Giovanni
(1787), quando nel 1790 la trilogia viene completata da Così fan
tutte, un’opera che ha goduto
fino al secondo Novecento di
minore popolarità probabilmente per l’assenza di personaggi
carismatici come Figaro e Don
Giovanni. Essa presenta al contrario un fascino particolare per
la coralità del gioco erotico e
crudele che coinvolge i quattro
amanti, per il cinismo di Don
Alfonso, per l’astuzia popolaresca e un po’ perfida della servetta Despina. Il titolo completo
dell’opera Così fan tutte o sia La
scuola degli amanti, che rimanda
a un celebre tema di Molière,
può suggerire la chiave eroticogiocosa per meglio comprendere l’originalità di un libretto
che apparentemente si rifà ai
tradizionali personaggi dell’opera buffa italiana, ma in realtà ne
sconvolge la personalità, perché
essi diventano le pedine di un
gioco di società dalle venature
“antiborghesi”. L’opera presenta infatti una sua “pedagogia
erotica” di ispirazione massonica e illuministica rappresentata
dal personaggio di Don Alfonso
che si propone di educare gli
altri a non farsi illusioni sulle
virtù e sulle debolezze umane,
ma nello stesso tempo a provare
indulgenza ed a fare affidamen-
to sulla Ragione per non essere
dei giocattoli nelle mani di Eros,
affrontando la vita con olimpico
distacco.
Pier Luigi Pizzi, seguendo questa chiave di lettura, ha
costruito un perfetto “meccanismo a orologeria”, puntando
a sottolineare l’ambiguità e la
fragilità dei sentimenti umani,
il cinismo di Don Alfonso, i fremiti di una sensualità repressa
che circolano sottotraccia nella
partitura e nel libretto, per cui
la componente erotica appare
dominante e inarrestabile con
situazioni di totale abbandono alla passione dei sensi, con
ammiccamenti e toccamenti che
coinvolgono i quattro amanti
presi dal gioco perverso di Don
Alfonso (magistralmente interpretato da Andrea Concetti),
che alla fine costringe tutti a
recuperare la ragione.
Pizzi ha collocato l’opera in
una struttura architettonica e
paesaggistica d’impronta razionalistica che esalta le geometrie
sentimentali e i ritmi serratissimi
della vicenda: una spiaggia con
sabbia e rocce, una bianchissima
villa con due terrazze e tre porte-finestra, destinate a favorire
un serrato gioco di apparizioni,
di fughe e di convegni amorosi; una luminosità mediterranea
che svaria dall’accecante splen-
Fig. 1 - Sferisterio Opera Festival. Così fan tutte di Wolfgang Amedeus Mozart.
Regia di Pierluigi Pizzi.
Le Cento Città, n. 44
Alberto Pellegrino
dore meridiano fino toni azzurri
della sera. Al pari impeccabili
sono apparsi i costumi perfettamente graduati e assemblati
sotto il profilo cromatico.
Un Ballo in maschera in stile
postkennediano
La creatività di Pier Luigi
Pizzi è riuscita a trovare per
questo Ballo in maschera di
Verdi soluzioni lineari ed efficaci, sacrificando solo in parte
quell’affascinante commistione
romantica di amore e tragedia, passione e ironia di questo
complesso “dramma musicale”
verdiano, composto nel 1859
su libretto di Antonio Somma
tratto dal dramma Gustave III,
ou bal masqué di Eugène Scribe.
Verdi, che decide di trasferire la vicenda di Gustavo III
(personaggio storico veramente
assassinato durante un ballo di
corte nel 1792) dalla Svezia alla
colonia inglese di Boston retta
dal governatore Conte Riccardo,
crea un’opera a forti tinte con
un connubio “shakespeariano”
di amori infelici e di ironia,
rinnovando le convenzioni del
melodramma all’italiana e gettando uno sguardo all’opera
francese, da cui deriva la brillantezza della partitura: si pensi
al galop che chiude il primo atto,
al ritmo di tragica mazurka che
accompagna l’addio fra i due
innamorati, all’impiego di un
soprano leggero per la parte del
paggio Oscar. L’intera vicenda poggia sull’infelice amore di
Riccardo e Amelia; sul dramma
di Renato che si sente tradito
dalla moglie e dall’amico; sul
suo desiderio di vendetta che lo
spinge ad assassinare il governatore; sulla congiura ordita
dai nemici del governatore; sul
supremo addio all’amore e alla
vita di Riccardo prima di andare
incontro alla morte.
Pier Luigi Pizzi sceglie la
strada dell’attualizzazione della
vicenda in epoca post-kennediana con la presenza di ufficiali chiusi nelle loro impeccabili
divise, di borghesi in panama
bianco, di eleganti signore che
sfoggiano grande cappelli e
abiti dai colori sontuosamente
armonizzati, mentre tra i bianchi divani e le poltrone dello
38
studio del governatore si muove
un Oscar trasformato in una
solerte segretaria pronta ad
accogliere Riccardo che fa il
suo ingresso in scena su una
squillante auto rossa. L’antro
dell’indovina diventa un asettico
talk show televisivo, dove Ulrica
predice il futuro dinanzi a un
plaudente pubblico femminile.
Ma la scena più suggestiva è l’
“orrido campo ove s’accoppia
al delitto la morte”, dose s’incontrano Amalia e Riccardo
mentre intorno a loro, tra una
colonnina di benzina e cumuli
di vecchi copertoni, si muovono
avvolti nella nebbia prostitute,
tristi figuri e tossicodipendenti;
altrettanto efficace è il gioco
spietato delle torce elettriche
impugnate dai congiurati che
concentrano i loro raggi sulla
disperata Amalia. Si ritorna
quindi in un interno borghese
per la resa dei conti fra Amalia e
Renato, per l’incontro fra i congiurati e sfogo violento e appassionato di Renato (“Eri tu che
macchiavi quell’anima”); quindi tutto si conclude nel clima
mondano e “congelato” di una
festa danzante dove il governatore trova la morte. L’intera
scena è sovrastata da tre grandi
schermi su cui sono proiettate
“in diretta” le azioni che si svolgono sul palcoscenico, un’idea
particolarmente suggestiva con
queste immagini rigorosamente
in bianco e nero che richiamavano il cinema statunitense
degli anni Cinquanta, grazie alla
regia video di Vittorio Ricci e
Luca Longarini che hanno sottolineato la forza dei sentimenti attraverso primi e primissimi
piani, piani medi ed espressivi
controluce.
Interpreti di valore e una sugge-
Fig. 2 - Sferisterio Opera Festival. Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi.
Regia di Pier Luigi Pizzi.
Le Cento Città, n. 44
Libri ed eventi
stiva cornice per Rigoletto
E’ ritornato allo Sferisterio
dopo qualche anno un bel
Rigoletto interpretato da una
cast di buon livello formato dal
tenore spagnolo Ismael Jordi
(un credibile Duca di Mantova),
da Giovanni Meoni, un “baritono nobile” all’italiana con un
fraseggio elegante e un’efficace presenza scenica; il soprano
Desirée Rancatore, una Gilda
dotata di tecnica raffinata e di
un’emissione canora sempre
intensa nei volumi. L’Orchestra
Regionale delle Marche e il
Coro Lirico Marchigiano Bellini
hanno fornito una valida prova
grazie alla magistrale direzione del giovanissimo Andrea
Battistoni.
Massimo Gasparon, che ha
firmato regia, scene e costumi,
ha collocato l’azione con quattro luoghi ruotanti (un interno
39
rinascimentale con affreschi alla
Veronese per il Palazzo Ducale;
un esterno e un interno della
casa di Rigoletto; un interno
della casa di Sparafucile). Ha
fatto poi una precisa scelta stilistica, suddividendo i personaggi in due gruppi: la massa dei
cortigiani costretti nei costumi
in maschera per sottolineare la
loro condizione di annoiati servitori del potere; i protagonisti
che indossano abiti ottocenteschi. Al centro della vicenda
è stato giustamente collocato
Rigoletto, il quale ha indossato nella vita quotidiana una
rigorosa e impiegatizia redingote blu che viene sostituita,
quando ricoprire il ruolo del
buffone, con l’abito bianco e la
maschera di Pulcinella a ricordare i celebri “Pulcinella acrobati” disegnati dal Tiepolo nel
XVIII secolo. Purtroppo questo
Fig. 3 - Sferisterio Opera Festival. Rigoletto di Giuseppe Verdi. Regia di
Massimo Gasparon.
Le Cento Città, n. 44
Rigoletto-Pulcinella non conosce i frizzi e l’ironia del suo
collega napoletano, ma diventa
la tragica maschera dell’odio,
della mancata vendetta e del
dolore per la perdita dell’unico
essere amato. Questa edizione
del Rigoletto, coprodotto dalla
Fondazione Pergolesi Spontini
di Jesi, fa parte del cartellone della 44^ Stagione lirica
del Teatro Pergolesi, sempre
con l’allestimento di Massimo
Gasparon ma con un diverso
cast di interpreti andrà in scena
il 25/26/27 novembre. L’altro
titolo in programma è L’elisir
d’amore di Gaetano Donizetti
diretto da Roberto Polastri con
la regia di Italo Nunziata, scene
e costumi di Pasquale Grossi
(21/22/23 ottobre).
Lo frate ‘nnamorato ritorna a
Jesi con un nuovo allestimento
E’ ritornato sul palcoscenico
del Teatro Pergolesi Lo frate
‘nnamorato di Giovanni Battista
Pergolesi (30 settembre/2 ottobre) in un nuovo allestimento
la cui esecuzione è stata affidata
al complesso Europa Galante
diretto da Fabio Biondi. L’opera
è stata interpretata da un ottimo
cast formato da Simone Alaimo
(un efficace Marcaniello), Lucia
Cirillo (Ascanio), Patrizia Biccirè
(Nena), Jurgita Adamonyte
(una
convincente
Nina),
Barbara Di Castri (Lugrezia),
David Alegret (Carlo), Laura
Cherici (Vannella), Rosa Bove
(Cardella) e Filippo Morace (un
ironico Don Piero).
La vicenda ruota intorno a
due famiglie che combinano
unioni matrimoniali senza tener
conto dei sentimenti dei rispettivi interessati: Carlo intende
maritare le due nipoti Nina e
Nena con il ricco Marcaniello
e suo figlio Don Piero, mentre lui si propone di sposare
Luggrezia, la figlia dell’anziano
signore. Le tre fanciulle sono
però tutte innamorate di un
bel giovane cresciuto in casa di
Marcaniello di nome Ascanio,
il quale prova sentimenti amorosi per Nina e per Nena senza
riuscire a fare una scelta. Nina
liquida senza tante cerimonie
Marcaniello mentre Nena ripudia Don Piero sorpreso a cor-
Alberto Pellegrino
teggiare la servetta Vannella. La
situazione sembra essere arrivata a un punto morto, quando
sopraggiunge il colpo di scena
con relativa agnizione: Carlo,
che ha ferito Ascanio in duello
perché lo ritiene responsabili del
falliti matrimoni, riconosce in lui
il nipote Lucio, rapito fanciullo
dai briganti e fratello di Nina e
Nena. Chiarito ogni equivoco,
Ascanio può sposare Luggrezia,
mentre Carlo, Marcaniello e Don
Piero dovranno cercare di fare
altri matriomni.
Opera fondamentale nell’ambito della commedia per musica,
Lo frate ‘nnamorato è la prima
composizione di Pergolesi, che
nel 1732 aveva soltanto ventidue
anni. In una Napoli, considerata
in quel momento la capitale del
mondo musicale, l’opera rappresenta un’idea nuova di teatro in
musica, in cui si abbandona il
tardo melodramma barocco per
puntare sulla vivacità del testo
e della musica che presenta una
trasparente semplicità sul piano
armonico e una decisa prevalenza delle voci sull’orchestra. Vi
appare inoltre evidente anche
una certa predilezione per il
ruolo del soprano, come è dimostrato dal rilievo dato alle arie di
Luggrezia, Ascanio e Vannella,
alla splendida aria di Nena Va
solcando il mar d’amore, in cui
la voce umana dialoga con la
linea melodica del flauto solista,
consentendo a Pergolesi di trovare delle soluzioni musicali collegate alle immagini del testo con
abbellimenti vocali e affascinanti
passaggi flautistici.
Questa edizione jesina si è
mostrata valida sotto il profilo
musicale per l’efficace “impasto”
di voci- strumenti e per i diversi passaggi comici molto graditi
dal pubblico. Nel complesso lo
spettacolo è risultato godibile
grazie alle soluzioni registiche
dell’argentino Willy Landin, il
quale ha abbandonato le eleganti
mollezze del rococò per trasferire la vicenda in una Napoli degli
anni Cinquanta che fa rivivere le atmosfere di Eduardo De
Filippo e dell’Oro di Napoli di
Marotta. L’intera vicenda è stata
ambientata in un quartiere popolare antistante una piazzetta con
40
i panni stesi al sole e luminarie
stile Piedigrotta, con azioni collocate negli interni, sui balconi e
le finestre delle case che si affacciano sulla piazza stessa. Non è
mancato nemmeno qualche coup
de théatre come la scena d’apertura dove Martuscello fa il “guardone”, occhieggiando una bella
e discinta fanciulla nella finestra
di fronte; l’arrivo in Vespa del
vanesio Don Piero; la bella scena
quasi danzata in un classico caffè
napoletano, mentre fuori cade la
pioggia, con Vannella che canta
la celebre aria Chi disse ca la
ffemmena.
fonte fotografica Foto Bici - Jesi
Una splendida edizione dell’Elisir d’amore a Jesi
Questo Elisir d’amore di
Gaetano Donizetti, andato in
scena il 21-22-23 ottobre al
Teatro Pergolesi, è un piccolo
gioiello incastonato nella 44^
Edizione della Stagione Lirica
jesina. Si tratta di un’edizione
destinata a rimanere negli annali della Fondazione Pergolesi
come esempio di un allestimento di valore senza fare ricorso a
presenze divistiche, ma facendo
ricorso a giovani cantanti che
senza toccare punte di eccellenza hanno dato con le loro interpretazioni omogeneità stilistica
all’intera opera, fornendo nello
stesso tempo un’ottima prova di
recitazione. Il soprano australiana Angela Brun, vincitrice di
numeri concorsi internazionali,
ha debuttato nel ruolo di Adina,
fornendo una prova piena di
grazia e di coloriture. Il giovane tesone cinese Yijie Shi,
che avevamo già ammirato a
Jesi ne Il viaggio a Reims, si
Fig. 4 - Stagione lirica del Teatro Pergolesi. Lo frae ‘nnamorato di Giovan
Battista Pergolesi. Regia di Willy Landin.
Le Cento Città, n. 44
Libri ed eventi
è rivelato ancora una volta un
buon interprete del repertorio
rossiniano e donizettiano, riscotendo un personale successo
nella celebre “Una furtiva lacrima”. Il baritono coreano Julian
Kim è entrato alla perfezione
nelle vesti del sergente Belcore
non solo con un’apprezzabile
estensione vocale, ma con una
recitazione piena di ironia e
sorretta da un’ottima gestualità.
Infine il giovane baritono Mattia
Olivieri ha brillato nella parte di
Dulcamara per presenza scenica e raffinate qualità recitative.
Buona anche l’interpretazione
del Coro Lirico Marchigiano
Bellini che ha “tenuto” la scena
con una calzante presenza sorretta da ottimi movimenti di
massa. La conduzione del M°
Roberto Polastri non è risultata sempre omogenea, lasciando
che l’orchestra in determinati
“pieni” finisse per sovrastare i
cantanti con un certo danno per
l’interpretazione. Di alto livello invece la “perfetta” regia di
Italo Nunziata che ha letto con
fantasia il bel libretto di Felice
Romani e lo sparito di Donizetti.
Egli ha preso lo spunto dai versi
di Metastasio “Sogni e favole io
fingo: e pure in carte/Mentre
favole e sogni orno e disegno”,
per allestire una fiaba moderna
all’interno di una “scatola magica” che ha consentito di ottenere
effetti “bidimensionali” e “tridimesionali”, richiamando nello
stesso tempo la scuola napoletana del Settecento a cui Donizetti
in quest’opera si riallaccia per
superare l’impasse rossiniana,
ma nello stesso tempo adottando un linguaggio che immetteva
nell’opera comica una componente melodica del tutto nuova.
Lo spettacolo, aperto e chiuso
in senso circolare dalla figura “magica” di Dulcamara, ha
messo in mostra una sua precisa
cifra di eleganza sia nei passaggi
comici che in quelli sentimentali, perfetti sincronismi nei movimenti, una recitazione curata
nei minimi particolari con degli
efficaci “colpi di teatro” come
41
Fig. 5 - Stagione lirica Teatro Pergolesi. L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti.
Regia di Italo Nunziata.
la scatola magica contenente
Adina nella Barcarola a due voci
della bella gondoliera e del vecchio senatore. Particolarmente
efficace il progetto luci dell’americano Patrick Latronica,
come sono risultati molto belli
ed eleganti i costumi ispirati al
primo decennio del Novecento
disegnati da Pasquale Grossi
con perfette tonalità cromatiche
Le Cento Città, n. 44
giocate sui toni del blu, del celeste e dell’avana. Ancora Grossi
è stato l’autore delle splendide
scene, anch’esse sui toni del blu
e dell’avana, ispirate ad alcune
grandi tele del pittore finlandese
Hannu Palosuo. Una messa in
scena perfetta che si spera possa
circolare in altri teatri per non
circoscrivere a Jesi il godimento
di questa opera-giolello.
Alberto Pellegrino
Il Lavoro Editoriale
in versione digitale
Circa cento titoli del catalogo storico della casa editrice Il
Lavoro Editoriale on line, ventidue guide ad altrettante località turistiche delle Marche, oltre
quaranta storie dei Comuni marchigiani e tutte le opere edite
dalla Deputazione di Storia
Patria per le Marche dal 1957.
E’ il frutto del progetto realizzato da Il Lavoro Editoriale,
casa editrice diretta da Giorgio
Mangani, in collaborazione con
la Regione Marche.
In sostanza, il ricco catalogo
della casa editrice è ora disponibile, oltre che in versione cartacea, in versione digitale ed è
possibile leggere tutti i testi sui
dispositivi più moderni (e-book
42
reader e tablet). Inoltre, il sito
della casa editrice è stato rinnovato (http://www.lavoroeditoriale.com) ed oltre ai testi digitali
è possibile anche acquistare i
volumi in edizione cartacea.
Si tratta di un significativo connubio tra tradizione e innovazione che dà la possibilità di poter
aver a portata di clic il patrimonio della casa editrice che è
fondamentale per la conoscenza
e la comprensione della cultura
marchigiana.
“Questo intervento – ha detto
l’assessore regionale Pietro
Marcolini che è intervenuto alla
presentazione dell’iniziativa – è
servito non solo a consolidare
un’esperienza editoriale di prestigio ma anche a spiegare la strategia politica regionale a sostegno
delle piccole e medie imprese del
settore cultura, che si rivela altamente vitale e che nonostante la
crisi riesce ad esprimere la volontà di contribuire allo sviluppo
sociale ed economico dell’intera
comunità. Quello della cultura
– ha concluso l’assessore – è un
mondo che non si sente imbarazzato nel confronto con le attività
economiche più tradizionali e,
nonostante la crisi, dimostra di
essere in costante espansione”.
La conferenza stampa di presentazione: con Giorgio Mangani l’Assessore regionale alla Cultura Pietro Marcolini. Foto Rillo.
La pubblicazione de Le Cento Città avviene grazie al generoso contributo di
Banca dell’Adriatico, Banca Marche, Carifano,
Carisap, Co.Fer.M., Fox Petroli, Gruppo Pieralisi,
Santoni, TVS, Umani Ronchi
Le Cento Città, n. 44
Vita dell’Associazione
44
Visite e Convegni
di Giovanni Danieli
Mercoledì 22 luglio 2011
Portonovo di Ancona: Assemblea
dei Soci
Domenica 25 settembre 2001
Alta Valle del Foglia: Carpegna,
Sassocorvaro
Presso l’Auditorium dell’Hotel
la Fonte Excelsior si è svolta
l’Assemblea estiva dell’Associazione caratterizzata, come sempre, dal termine di un mandato
presidenziale e dall’inizio di uno
nuovo.
La relazione conclusiva è stata
quindi svolta da Maria Luisa
Polichetti, che ha sintetizzato
le tappe principali di uno straordinario anno societario, ricco,
come mai, di numerosi e ben
riusciti eventi, tutti finalizzati
a far conoscere le Marche e ad
esaltarne le eccellenze.
Le tappe di questo cammino sono
riportate nell’allegata tabella.
Ha successivamente preso la
parola il neo-presidente Ettore Franca, che ha assicurato la
continuità del progetto avviato
dal suo predecessore, ricercando prevalentemente, nell’occasione, le eccellenze regionali
nell’ambito dei prodotto enogastronomici.
Il programma prevede cinque
itinerari storico artistici in altrettante valli regionali, alta valle del Foglia, valle del Metauro,
valle del Cesano, valli del Chienti e del Potenza, valle del Tenna,
e l’incontro con cinque prodotti
tipici, il prosciutto di Carpegna
DOP, l’Olio di oliva “Cartoceto
DOP”, la casciotta di Urbino
DOP, le olive ascolane DOP e il
ciauscolo IGP.
Nel programma anche due importanti Congressi, il primo di
interesse nazionale sulla Green
Economy, il secondo che continua la serie di Convegni svolti
in collaborazione con la Facoltà
di Medicina dedicato alla storia
della sanità marchigiana.
Il viaggio del prossimo anno
consisterà nella visita della Croazia e dell’Istria.
La presidenza di Ettore Franca si è inaugurata con la visita dell’alta Valle del Foglia,
nell’obbiettivo di continuare a
“conoscere le Marche” cercando di scoprirne altre bellezze
ed entrando nel vivo della realtà
dei prodotti di eccellenza.
Si è iniziato con la visita dello
stabilimento “Carpegna prosciutti” dove circa 200.000 “pezzi”, a turno, meditano all’aria di
montagna almeno per 18 mesi
prima di prendere le strade del
mondo, nobilitati dal riconoscimento europeo della DOP, uno
degli unici tre della Regione.
Ha fatto seguito la visita della
cittadina di Carpegna, capoluogo del Montefeltro, e del palazzo seicentesco tuttora abitato
dai Conti di Carpegna, famiglia
tra le più antiche e blasonate
d’Italia, dalla quale derivarono i
Malatesta, i Montefeltro e i Della Faggiola.
Si passò quindi alla visita della
Pieve, uno degli edifici ecclesiastici più antichi nel territorio
del Montefeltro, chiesa d’epoca
carolingia che fa supporre la sua
fondazione nei secoli IX- X. Infine il pranzo “da Silvana” con
numerose tipicità marchigiane.
Nel pomeriggio, visita di Sassocorvaro e della imponente e
perfettamente conservata rocca
opera di Francesco Di Giorgio
Martini, opportunamente definita Arca dell’Arte perché custodì durante la seconda guerra
mondiale moltissime opere provenienti da vari musei e gallerie
d’Italia.
Purtroppo per uno di quegli
imprevedibili accadimenti, è
“saltata” la visita al Convento
di Montefiorentino che, se possibile, potrà essere ricalendarizzata.
Le Cento Città, n. 44
Domenica 20 novembre 2011
Valle del Cesano: Villanova di
Montemaggiore, Corinaldo, San
Lorenzo in Campo
Il secondo itinerario organizzato
dal presidente Ettore Franca si è
svolto lungo la valle del Cesano
ed è stato dedicato, come il primo, all’eccellenza dei prodotti
della gastronomia marchigiana
e alla scoperta dei tesori artistici
della Regione.
Per il primo punto, a Villanova di Montemaggiore, è stato
possibile visitare il caseificio
“Valmetauro - Fattorie Marchigiane”, uno dei siti eccellenti
di produzione della Casciotta
d’Urbino DOP; siamo stati accolti e seguiti dal direttore dottor Paolo Cesaretti, e sono stati
particolarmente graditi l’assaggio dei prodotti della casa e gli
omaggi riservati ai Soci.
Successivamente visita di Corinaldo, delle sue mura e del
Santuario con le tele di Claudio
Ridolfi, visita che ha avuto in
Grazia Calegari una presentatrice d’eccezione ed infine la presa
visione della Chiesa di Madonna
del Piano, nella località omonima dell’antico monastero di
Santa Maria in Portuno.
Il pranzo ha avuto luogo in un
altro santuario, questa volta della gastronomia regionale, e non
solo, il Ristorante “il Giardino”
di San Lorenzo in Campo, accolti da Massimo Biagiali che ha
preparato un menù particolare
per Le Cento Città.
La visita della chiesa romanica di San Lorenzo in Campo,
dell’importante Museo archeologico del territorio di Suasa e di
quel piccolo gioiello che è il Teatro “Tiberini” hanno concluso
il pomeriggio culturale di una
giornata nella quale si è riusciti
a coniugare, come d’abitudine,
arte, cultura, gastronomia e paesaggio marchigiano.
Vita dell’Associazione
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Eventi 2010-2011
Presidente Maria Luisa Polichetti
19 Settembre 2010
Conoscere Le Marche - La valle del Metauro: Mercatello sul
Metauro (Chiesa di S. Francesco e Museo) e Sant’Angelo in
Vado (Casa del Mito).
7 Ottobre 2010
Agricoltura - Incontro con
Massimo Bernetti, visita all’Azienda Umani Ronchi (interventi di Massimo e Michele
Bernetti, Natale Frega e Alberto Mazzoni).
29 Ottobre 2010
Impresa - Convegno “L’eccellenza dell’Impresa marchigiana” - Sala del Rettorato, Ancona
in collaborazione con “Il Paesaggio dell’Eccellenza”.
(Relazione introduttiva di M.
Moroni, Interventi di G. Bertozzini, L. Brandoni, G. Casali, E. Loccioni, G. Pieralisi, A.
Santoni, Moderatore M. Montemaggi, relazione conclusiva
C. Cangiotti).
7 Novembre 2010
Conoscere le Marche - San Severino, mostra “Le meraviglie
del Barocco” (Palazzo Servanzi Confidati).
Teatro - “Il tempo e la Rosa”
Poesia, musica e danza del Barocco a cura di A. Pellegrino e
P. Egidi.
27 Novembre 2010
Teatro - Convegno “L’educazione musicale e teatrale nelle
istituzioni pubbliche e private”
Pesaro, Auditorium dell’Accademia internazionale di canto
(a cura di G. Girelli e A. Pellegrino).
19 dicembre 2010
Assemblea di medio termine,
Jesi, Hotel Federico II
Relazioni di M. L. Polichetti,
G. Danieli, A. M. Zallocco, M.
Canti ed E. Danieli.
22-23 Gennaio 2011
Agricoltura - Convegno “Prodotti nobili del Piceno” Ascoli
Piceno (relazioni di E. Biondi,
G.L. Gregori, N. Frega. Moderatore N. Frega).
Conoscere le Marche - Ascoli
Piceno (visita della città a cura
di B. Nardi; visita del Forte Malatesta, dei Musei Diocesano,
dell’Arte Moderna, delle Ceramiche, a cura di S. Papetti).
18 Febbraio 2011
Impresa -Visita alle aziende del
“Gruppo Pigini”, Rainbow,
Rotopress e Tecnostampa.
Conoscere le Marche – Loreto
(Museo Diocesano e Basilica).
27 febbraio 2011
Gastronomia - Incontro con gli
chef marchigiani Flavio Cerioni e Lucio Pompili, ristorante
La Lanterna, Marotta (a cura
di E. Franca).
19 marzo 2011
Solidarietà Sociale - Convegno
“La solidarietà di ieri e di oggi
nelle Marche” – Chiesa del
Suffragio, Fano
(Relazioni di M. Belogi, G. Calegari, A. Luzi, R. Materazzi,
Moderatore A. Berardi).
15 aprile 2011
L’Editoria marchigiana - Freschi di Stampa – Convegno
“L’editoria di cultura nelle
Marche”, Macerata, Biblioteca
Mozzi-Borgetti, sala “La Specola” (a cura di M. Cinelli).
29 Aprile 2011
Impresa - Visita all’Azienda calzaturiera Santoni, Corridonia.
Conoscere le Marche - Corridonia (guida di A. Pellegrino).
Le Cento Città, n. 44
18 maggio 2011
Convegno Facoltà di Medicina
- Farmaci e Farmacie, Ancona
(interventi di A. Benedetti, G.
Danieli, S. Fortuna, W. Scotucci, M. Belogi, M.L. Polichetti,
L. Capodaglio, Moderatori A.
Gabrielli, S. Amoroso).
1 – 5 Giugno 2011
Conoscere l’Italia - Ritorno nel
Salento. Dalla Masseria Appidè di Corigliano d’Otranto
a: Galatina, Gallipoli, Grecìa
Salentina, Lecce, Nardò,
Otranto, Santa Maria di Leuca, Costa orientale Jonica, Costa occidentale Jonica (a cura
di G. Danieli).
12 Giugno 2011
150 anni dell’Unità d’Italia Fondazione Roberto Ferretti,
Castelfidardo
(Visita al Monumento Nazionale delle Marche ai “Vittoriosi di Castelfidardo” ed ai
luoghi della battaglia di Castelfidardo: Monte Oro Selva,
Sacrario-Ossario; breve visita
alla Selva di Castelfidardo,
Fondazione Ferretti e Villa
Ferretti).
30 Giugno 2011
Impresa - Visita all’azienda
Loccioni Group, Angeli di Rosora.
3 Luglio 2011
Conoscere le Marche - La valle
dell’Esino, Oasi di Ripa Bianca, Gola della Rossa, Gola di
Frasassi e Tempietto del Valadier (a cura di E. Biondi).
20 Luglio 2011
Assemblea di chiusura dell’anno associativo. Portonovo di
Ancona, Fortino Napoleonico.
Relazioni di M.L. Polichetti e
di E. Franca.
Vita dell’Associazione
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Diario minimo
di Romano Folicaldi
L’Assemblea di Mezza Estate e quella di Fine Anno,
sono, nella vita de Le Cento Città, i momenti dotati
di maggior carica istituzionale, momenti che vanno assumendo sempre più anche un significato simbolico:
sono vissuti in un clima di sempre più cordiale amicizia e, l’imminenza delle festività Natalizie in un caso,
l’atmosfera delle prossime ferie e vacanze nell’altro,
aggiungono loro un carattere di maggiore festosità.
All’Assemblea del 20 luglio 2011 svoltasi nell’Auditorium dell’Hotel La Fonte Excelsior di Portonovo si
riferisce la prima di queste fotografie, con il passaggio
delle consegne da Maria Luisa Polichetti a Ettore Franca, cambio della guardia preannunciato a fine 2010.
Riandando, con quel poco di memoria che mi rimane, alle persone che sono state Presidenti de Le Cento
Città, l’aspetto che più mi fa rimanerne ammirato, non
è facile esprimere questa sensazione in maniera compiuta, è che agli avvenimenti, ai luoghi, alle opere che
costituiscono l’argomento degli incontri, si sovrappone la presenza costante di quel carattere che è proprio
dell’opera prima, dello spirito del romanzo di formazione che colora il fare del Presidente di turno (per
non parlare della fondamentale struttura di sostegno
fornita dal basso continuo di Giovanni Danieli).
Pur coinvolti, e direi proprio perché coinvolti negli
avvenimenti, sono sempre avvertibili in trasparenza i
loro gusti, il loro carattere, e, sperando di non apparire
esagerato, la visione del mondo che ognuno di loro ha,
in virtù anche delle loro specificità professionali.
Le Cento Città sono un’aggregazione che lascia lo
spazio necessario perché tutto ciò avvenga, forse anche
per la brevità dell’incarico, non per questo meno faticoso e logorante, che fa si che uno sia costretto a buttarcisi dentro a capofitto per cercare di farci stare tutto
quel che vorrebbe dire, e in questo modo tutti questi
tratti hanno una maggiore possibilità di mostrarsi e di
rendersi evidenti. Non faccio nomi, né mi compete il
ruolo di tracciarne i profili che sarebbero comunque
densi di ammirazione e di simpatia.
Mi si permettta solo di accennare a quanto forti e
sentiti sian questi momenti ricordando come la Famiglia di Tullio Tonnini aveva voluto che l’Assemblea di
Mezza Estate dello scorso anno avesse luogo, di nuovo, in suo ricordo, nella loro bella villa di campagna.
Le fotografie successive sono quelle di alcuni dei
passaggi dell’inizio di Presidenza di Ettore Franca,
nell’alta Valle del fiume Foglia il 25 settembre, e in
quella del Cesano, poi, il 20 novembre.
Nella seconda fotografia c’è la processione dei Soci
de Le Cento Città, che sfila stretta tra due mura di prosciutti, con la divisa che le regole di visita impongono
per una precauzione di tipo sanitario: camice, cuffia,
mascherina (e soprascarpe).
Un’immagine che ha del surreale, ma vera, di come,
con quali tempi, a quali temperature i Prosciutti di
Carpegna attraversino tutte le fasi della loro maturazione, prima di portare per il mondo il loro inimitabile
gusto, targati DOP dal riconoscimento europeo.
Poi, in chiusura dell’itinerario la visita alla Rocca di
Sassocorvaro con questa storia, che ha dell’incredibile,
del Sovrintendente Pasquale Rotondi, un altro Perla-
sca che riesce a far sfilare sotto gli occhi della Wehrmacht una parte rilevante del patrimonio artistico
conservato nei Musei italiani, stivandolo in questo
manufatto achitettonico di Francesco di Giorgio
Martini che di guerresco per fortuna ha avuto solo
il nome, e nel Castello dei Conti di Carpegna della
Famiglia Falconieri.
Nel corso della visita ha ripreso forma nell’immaginazione di tutti, il ricordo di un episodio riportato da
una delle figlie di Pasquale Rotondi, allora poco più
che bambina, che era quello di aver dormito nella Rocca, in un letto di fortuna, ma ai cui piedi era appesa la
tela della Tempesta di Giorgione.
Questa, e tante altre annotazioni, hanno costituito il
discreto e delicato controcanto che Grazia ha saputo
sviluppare intorno alla robusta, gentilmente rude, impostazione di Ettore.
Lasciare Sassocorvaro mentre scendeva la sera, credo che abbia aggiunto emozione a quelle già vissute
durante tutta la giornata.
L’ultima fotografia, sempre per rimanere nell’ambito della produzione alimentare, si riferisce alla visita
del Caseificio “Casciotta d’Urbino DOP” a Villanova
di Montemaggiore.
Alla visita delle due vallate, seguirà nell’aprile
dell’anno prossimo, quella alla Valle del Metauro.
A questo proposito non possiamo però dimenticare
quella in Val Marecchia di alcuni anni fa, condotta anche questa da Ettore Franca, e che di queste ultime è
stata in qualche modo il prototipo a cominciare dalla
descrizione della formazione geologica di questo territorio per la migrazione di intere montagne che sono
scivolate nei secoli e nei millenni da quella parte che
oggi è la Liguria, non so bene in quale era preistorica,
e che arrivate da queste parti hanno compiuto una rotazione di novanta gradi per cui sono diventate picchi
che si ergono e che costellano il Montefeltro: tra quelli
più conosciuti il Monte Titano e la Repubblica di San
Marino e la roccia su cui sorge la Rocca di San Leo.
Nel parlare di questi luoghi, che sono terre di confine, (e su questo bisognerà ritornare perché anche
dall’altra parte di questo “confine” ci sono altre terre,
pure loro “di confine”) Ettore Franca comincia sempre
evidenziandone la produzione alimentare di cui sono
teatro, di grande livello, e lo fa con quella convinzione
e quella profonda competenza che non soltanto noi
che siamo dei dilettanti, ma che tutti gli riconoscono.
Ma a me pare tanto che tutto questo sia anche una
corazza di riservatezza per non lasciarsi trascinare dal
coinvolgimento emotivo che prova per questi luoghi,
ma che comunque trasmette e in maniera molto forte.
Credo che non se ne avrà a male se chiudo con qualche riga di una sua e-mail: Sono molto contento che tu
abbia “scoperto” questo mondo dimenticato. È pieno di
borghi, castelli, casali e tanto di paesaggi, boschi e pascoli che fanno ... arcadia. In più c’è l’aria buona e la
possibilità di passeggiate e buona cucina … Certo, amo
questo territorio che conosco per averlo “battuto” tutta la
vita e il “batterlo” me l’ha fatto apprezzare non solo sotto
gli aspetti a me più vicini per “professione” ma anche per
quelli di riflesso arrivati “a mezzo” Grazia.
Le Cento Città, n. 44
Vita dell’Associazione
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