1 Sommario Le Cento Città * Direttore Editoriale Mario Canti Comitato Editoriale Fabio Brisighelli Romano Folicaldi Giuseppe Oresti Giancarlo Polidori Direzione, redazione, amministrazione Associazione Le Cento Città [email protected] Direttore Responsabile Edoardo Danieli Prezzo a copia Euro 10,00 Abb. a tre numeri annui Euro 25,00 Spedizione in abb. post., 70%. - Filiale di Ancona Reg. del Tribunale di Ancona n. 20 del 10/7/1995 Stampa Errebi Grafiche Ripesi Falconara M.ma Periodico quadrimestrale de Le Cento Città, Associazione per le Marche Sede, Piazza del Senato 9, 60121 Ancona. Tel. 071/2070443, fax 071/205955 [email protected] www.lecentocitta.it * Hanno collaborato a questo numero: Alberto Berardi, Mario Canti, Giovanni Danieli, Romano Folicaldi, Ettore Franca, Ugo Gironacci, Alfredo Luzi, Alberto Pellegrino, Maria Luisa Polichetti, Luigi Ricordo, Walter Scotucci In copertina Locandina del film Ossessione, 1943 (tratta da: M. Scudiero - M. Cirulli, “Il cinema italiano. Manifesti tra Arte e Propaganda 1920-1945”. Comune di Predappio, 2005) 3Editoriale Le strade bianche delle Marche di Ettore Franca 5Il Focus Origini e diffusione del cinema nelle Marche di Alberto Pellegrino 12 L’attualità Aboliamo le province, accorpiamo i comuni. Implicazioni, perplessità, speranze di Mario Canti 15 La letteratura Le poesie di Plinio Acquabona: I lampadari di Alfredo Luzi 17 Il ricordo Luigi Dania di Luigi Ricordo 19 Mostre L’Eucaristia nell’arte. Le mostre del XXV Congresso Eucaristico Nazionale di Maria Luisa Polichetti Guercino a Fano di Alberto Berardi La Biennale di Venezia e l’impresa sgarbiana del duemila di Walter Scotucci 33 La musica L’Opera omnia di Giuseppe Giordani detto Giordaniello di Ugo Gironacci 37 Libri ed eventi Lo Sferisterio Opera Festival 2011 e la Stagione lirica di Jesi - Il lavoro editoriale on-line di Alberto Pellegrino 43 Vita dell’Associazione Visite e convegni di Giovanni Danieli Diario minimo di Romano Folicaldi Le Cento Città, n. 44 CO. FER. M. COMMERCIO ROTTAMI ACCIAIO INOSSIDABILE, FERROLEGHE, METALLI, FERRO . .. 60020 CAMERATA PICENA (Ancona) Via E. Fermi 5/7 Località Piane Tel. 071 946362 r.a. Fax 071 946365 [email protected] www.coferm.it Editoriale 3 Le strade bianche delle Marche di Ettore Franca Assumere la presidenza di Le Cento Città, dopo l’anno scintillante proposto e guidato brillantemente da Maria Luisa Polichetti, per me significa continuare quel percorso. Le Marche sono per noi, e si spera non solo, una Regione che si fa più affascinante man mano che si scopre il contenuto di ciascuno dei tanti “giacimenti” siano essi culturali, ambientali, di storia, di paesaggio, di operatività e, non ultimi, di gastronomia. Conoscere le Marche è la premessa per individuarne l’identità, ricercare un denominatore comune che leghi le cento città e i cento paesi, ciascuno coi suoi campanili. Finora l’Associazione si è interessata, tra altri, agli aspetti “macro” vastamente trattati sulle guide turistiche. Ma le Marche non sono solo aspetti “macro” ed è per questo che mia intenzione sarà quella di portare Le Cento Città ad indagare ciò che, più di quanto si crede, potrà risultare un’orgogliosa sorpresa, magari anche piacevole. Cercherò quindi di seguire linee già ben avviate, ma battendo le strade meno importanti - “le strade bianche” delle cartine geografiche - verso alcuni dei piccoli centri dell’entroterra, talvolta in via di marginalità fino alla scelta di migrare fuori Regione. Sono borghi carichi di storia autonoma e ricchi di un’arte detta “minore”, ma dignitosa anche se trascurata dai grandi storici della materia e, capace di far trasparire l’operosa onestà dei semplici, invita anche a mettere in dubbio la validità del giudizio con la quale molti la bollano. Fuori dalle grandi vie parallele alla costa che si corrono veloci, ogni volta consumeremo più tempo, magari anche con un po’ d’impazienza ora che tutti abbiamo sempre fretta, ma sarà, spero, l’opportunità di soffermare lo sguardo sul paesaggio e sull’ambiente, sempre meno antropizzato verso l’Appennino. D’intesa con il Consiglio si è pensato che uno dei fils rouges potesse essere quello della eccellenza di alcu- ne delle produzioni agroindustriali della Regione che vanta ben quattro prestigiosi riconoscimenti della Denominazione d’Origine Protetta (DOP) assegnati della UE. Vedere quei prodotti nascere significa valutare lo sforzo di chi li crea e consente di apprezzarli meglio, specialmente collegandoli al territorio che li genera ed alla cultura che quella gente ha espresso. Così Le Cento Città, quest’anno, cominceranno il loro pellegrinaggio con una visita allo stabilimento di stagionatura per conoscere, primo, il “prosciutto di Carpegna DOP”. Sucessivamente toccherà alla “Casciotta di Urbino DOP” del caseificio di Montemaggiore al Metauro, quindi a un’azienda-oleificio che produce il “Cartoceto extravergine DOP”, poi al Ciauscolo IGP per concludere con l’“Oliva ascolana del Piceno DOP”. Ogni volta saranno corollario altre “eccellenze”, non solo gastronomiche, attingendo a quanto di arte, cultura e paesaggio c’è stato trasmesso. Con un riguardo proprio al paesaggio oltre agli aspetti tecnico-economici, in una giornata di studio, si vorrebbe conoscere il mondo della green economy, argomento venuto alla ribalta sollevando non pochi problemi che, secondo lo spirito de Le Cento Città, merita di essere indagato. Le Cento Città, n. 44 Il 23 maggio sarà dedicato all’ormai classico “convegno di Facoltà” ad Ancona e, a Macerata, non mancherà la terza edizione di Freschi di stampa mentre, a tempo debito, Le Cento Città, potranno sfogare l’aspetto ludico-festaiolo partecipando al carnevale di Offida. In corso d’anno, probabilmente, potrà proporsi qualche accadimento non preventivato e del quale il Consiglio valuterà la opportunità. Infine il viaggio. In considerazione delle numerose iniziative – cultura, turismo, prodotti, attività, ecc. – tese all’avvicinamento delle due sponde dell’Adriatico, Marche e Croazia in particolare, Le Cento Città avranno l’occasione di spostarsi oltremare puntando su Spalato e Zara per concludere sulla penisola istriana. Il programma proposto per l’anno di questa presidenza è nato all’insegna del mio insito entusiasmo, compreso non ultimo quello di far partecipare i soci ai temi a me più vicini e cari. Man mano che mi addentro e quelle date si avvicinano, mi rendo però conto delle difficoltà che, nel fervore del neofita, avevo sottovalutato. Spero di riuscire a portare tutto a termine e mi incoraggia il sapere di poter contare su amici, appassionati ai nostri temi, confortati da quanto finora è stato portato avanti e convinti del ruolo che Le Cento Città hanno assunto. La mia “squadra” sono tutti i soci che fin da adesso ringrazio e dai quali aspetto contributi di idee. Ma, in particolare, voglio ricordare in primis Giovanni Danieli segretario generale per antonomasia e deus ex machina, i consiglieri Folco di Santo per Ancona, Natale Frega per Ascoli Piceno, Romano Folicaldi per Fermo, Luciano Capodaglio per Macerata, Silvana Fiorini e Roberto Derrico per Pesaro; né trascuro il prezioso tesoriere Anna Maria Zallocco, Mario Canti direttore editoriale della rivista e, non ultimo, Edoardo Danieli in veste di direttore responsabile della stessa. Auguriamoci un anno proficuo. Il Focus 5 Origini e diffusione del cinema nelle Marche di Alberto Pellegrino Il 1895 è un anno straordinario per l’avvento dei mass media, perché in quei 360 giorni nascono la radio, il fumetto e il cinema. I Fratelli Lumière, il 28 dicembre 1895, proiettano dieci bobine di un minuto ciascuna nei sotterranei del Grand Café del Boulevard des Capucines a Parigi, segnando la data di nascita di un fenomeno massmediatico che coinvolgerà tutto il mondo occidentale. Il cinema si diffonde con fulminea velocità grazie alle felici intuizioni e alle iniziative della prima industria cinematografica, che si dedica alla fabbricazione di apparecchi in continua evoluzione e alla creazione di un circuito di distribuzione per mezzo di Compagnie cinematografiche ambulanti. Nel Centro-Nord dell’Italia si verifica alla fine dell’Ottocento una prima industrializzazione e prende corpo una nuova classe sociale, il “proletariato”, che non solo chiede nuovi diritti e adeguate forme di rappresentanza politica, ma vuole anche uscire da una condizione di emarginazione culturale legata a un diffuso analfabetismo. Nel mondo spettacolo l’opera lirica e il teatro di prosa rimangono forme costose d’intrattenimento riservate all’aristocrazia e alla borghesia; inoltre il melodramma, che ha avuto per tutto l’Ottocento presso le popolazioni urbane una grande popolarità, sta subendo un radicale mutamento nei contenuti e nei gusti del pubblico, per cui appare destinato a un lento ma inesorabile declino. Vi sono quindi le premesse perché il cinema possa trovare un terreno fertile grazie alla forza comunicativa delle immagini in movimento, una volta superate le prime difficoltà tecniche e rimosse le iniziali diffidenze. Rimane l’ostacolo rappresentato dalla lettura delle didascalie da parte di un pubblico in gran parte analfabeta, ma a questo provvede un “volontariato” di uomini donne alfabetizzati che durante le proiezioni leggono le scritte ad alta voce. Il cinema “viaggiante” diventa rapidamente una forma di spettacolo capace di richiamare la borghesia, gli intellettuali e i ceti popolari mossi dalla curiosità per il nuovo medium, dalla ricerca di violente emozioni, dal fascino del “proibito”, che permette di intaccare quei tabù propri di una società contadina ormai assediata dall’industrializzazione e dalla urbanizzazione. Il cinema appare come una innocente forma di trasgressione, una innocua forma di “peccato” che attrae con la proiezione di film legati a fatti di cronaca capaci di “accendere” l’immaginario collettivo, con l’ilarità provocata dalle “comiche”, con le emozioni suscitate da ingenue storie d’amore. Poiché le proiezioni sono effettuate da gestori ambulanti, si usano padiglioni mobili, sale per spettacoli, spazi destinati ad altre utilizzazioni; spesso le proiezioni sono fatte, come nel caso delle Marche, nei teatri storici con lo scopo di conquistare una clientela stabile e di “nobilitare” questa forma di intrattenimento, gettando le premesse per la futura creazione di veri e propri esercizi cinematografici. Le Cento Città, n. 44 L’arrivo del cinema nelle Marche A pochi mesi dal suo debutto parigino, il cinema arriva in Italia e le prime proiezioni hanno luogo a Roma il 13 marzo 1896 nel rinomato Studio Fotografico di Henry Le Lieure e a Milano il 29 marzo 1896 presso il “Circolo fotografico”. Il cinema debutta in Ancona, dove la prima proiezione avviene l’11 ottobre 1896 nei locali del Caffè Centrale in Corso Vittorio Emanuele, dove la Compagnia Anglo-Italiana presenta Esperimenti di proiezione del Cinematografo. Nel manifesto, che annuncia lo spettacolo, il cinema viene definito una “fotografia animata che desta meraviglia in tutte le principali Città d’Europa...Rammenteremo quindi soltanto il principio su cui funziona il meraviglioso apparecchio. Ogni scena delle proiezioni rappresenta, con illusione perfetta, lo svolgersi di un’azione viva, talvolta grandiosa mediante il rapidissimo succedersi nel breve termine di un minuto di 900 fotografie prese sopra un medesimo soggetto movimentale”. Il quotidiano L’Ordine – Corriere delle Marche del 12 ottobre 1896 commenta l’avvenimento con un dettagliato articolo nel quale traspaino la meraviglia ma anche le riserve del cronista per Alberto Pellegrino la nuova invenzione: “Iersera al Caffè Centrale si è avuto il primo esperimento dell’interessante e divertente apparecchio denominato il Cinematografo, per cui è proiettata su una parete bianca una scena della vita – come per la lanterna magica – ma animata, e cioè persone che si muovono, carrozze che corrono, treni che arrivano ecc. e che si ha perfetta illusione di assistere ad un fatto reale. Il prodigio si ottiene facendo passare rapidamente innanzi ad una lampada elettrica una lunga serie di fotografie, tratte dal vero, una di seguito all’altra, con la distanza di una frazione di secondo, in modo da cogliere tutti i vari movimenti dell’azione che si svolge. Proiettate sulla parete, queste immagini, inseguendosi con la stessa velocità con cui furono colte, si sovrappongono, si succedono in modo da sembrare una sola, ma che si modifica gradatamente, cosicché, ad esempio, il treno che vedete da lontano come un punto nero, a poco a poco si avvicina, ingrandisce ed entra sbuffando nella stazione. Ancora un perfezionamento il Cinematografo richiede: i colori, poiché al presente l’immagine è soltanto colle tinte fotografiche. Si pensa anche di aggiungervi il fonografo per avere insieme l’impressione visiva e quella uditiva”. Sempre nel dicembre 1896 il cinema debutta al Teatro Lauro Rossi di Macerata, al Teatro La 6 Nuova Fenice di Osimo, al Teatro Feronia di San Severino Marche, dove il bigliettaio Annibale Casarini esprime un giudizio negativo: “Le persone, d’ambo i sessi, che hanno veduto questa fotografia istantanea per la prima volta, è cosa certa che non gli ritorna il desiderio di vederla una seconda volta, sia per il tremolo continuo della riproduzione che offende la vista, sia per il poco effetto che produce nel pubblico questa fotografia vivente”. Questa previsione pessimistica non si avvererà, perché l’espansione del cinema non si arresta: nel 1897 si proiettano film nel Teatro Rossini di Pesaro, nel Teatro della Fortuna di Fano e nel Teatro Annibal Caro di Civitanova Marche; nel 1898 il cinema arriva nella Società Palestra Drammatica di Jesi, nel Teatro Filippo Marchetti di Camerino, nel Teatro Piermarini di Matelica e nel Teatro Comunale di Cupramontana. Nel nuovo secolo si registra la proiezione di film in diversi teatri della regione, dove platee, palchi e loggioni sono affollati da spettatori delle diverse classi sociali. La diffusione capillare del cinema è favorita dal moltiplicarsi delle compagnie ambulanti in concorrenza fra loro e dal fatto che ormai la cinematografia è considerata “una delle più belle e sorprendenti invenzioni” del secolo, perché presenta “un ricchissimo e splendido repertorio con le più recenti novità cinematografiche, scene storiche, politiche e d’attualità, vedute panoramiche, scene comiche e di trasformazione, drammi, scene militari, sport e acrobatismo, vedute scientifiche, fiabe e racconti fantastici”. La diffusione delle sale cinematografiche nella regione In molte città marchigiane, nella fase intermedia compresa tra il cinema ambulante e gli impianti stabili, diversi teatri storici condominali (25), tra una stagione lirica e un ciclo di rapLe Cento Città, n. 44 presentazioni di prosa, ospitano spettacoli cinematografici con l’intenzione di dare ad essi delle sedi “dignitose”. Questa utilizzazione dei teatri cittadini consente la loro apertura ai ceti popolari; fa conoscere il cinema a un pubblico borghese medio-alto, che di solito costituisce la clientela abituale degli spettacoli teatrali, ma che sarebbe stato restio a frequentare luoghi di proiezione come caffè-concerto, baracche delle fiere, sale di spettacolo periferiche. Infine il cinematografo rappresenta per i condomini teatrali un utile economico, tanto che acquistano impianti stabili di proiezione, sacrificando il palco centrale di secondo o terzo ordine per farne una cabina per le attrezzature, tanto che questo adattamento a sala cinematografica contribuirà nel tempo al deterioramento o addirittura alla demolizione di diversi teatri storici. L’accresciuta affluenza del pubblico finisce per coinvolgere anche strutture diverse dai teatri storici marchigiani: in Ancona il Teatro Politeama Goldoni nel 1913 diventa una sala cinematografica permanente; a Macerata il Politeama Marchetti accoglie fin dal 1897 spettacoli cinematografici a prezzi popolari. Si tratta di un impianto teatrale, progettato dall’arch. Sileoni e inaugurato nel 1891, che presenta una struttura mista in muratura e legno, che ha una forma semicircolare e una capienza di 2000 posti distribuiti tra la platea, tre ordini di palchi e il loggione, con un corpo rettangolare dove sono collocati il palcoscenico e i servizi. Il Politeama viene concepito come un impianto polivalente, capace di accogliere le più svariate forme di spettacolo (l’opera lirica, l’operetta, la prosa e persino grandi rappresentazioni circensi), oppure ospitare comizi politici, feste da ballo e da ultimo il cinema. Il nuovo secolo registra una svolta radicale nell’intero sistema di produzione e distribuzione con la nascita delle grandi case cinematografiche. Di riflesso intorno al 1905 sorgono i primi esercizi dotati di impianti stabili di proiezione prima nei grandi Il Focus centri, poi in quasi tutto il paese. Nelle Marche, tra il 1907 e il 1930, sono state finora censiste cinquantasette sale cinematografiche dislocate sia nei centri urbani di maggiore importanza, sia nei centri di media e piccola dimensione. Per accaparrarsi gli spettatori alle proiezioni cinematografiche sono spesso affiancati spettacoli di varietà o di illusionismo, concerti da cafè chantant, rappresentazioni teatrali, spettacoli circensi. Inoltre le sale cinematografiche più moderne tendono a dotarsi di bar, palestre, sale da gioco, impianti termali, come lo Stabilimento Terme di Macerata costruito nel 1925. Il cinema, seguendo una strada abbastanza lucrosa, produce anche filmini pornografici che circolano riservatamente per gli amatori, ma anche film di un certo metraggio che affrontano temi “piccanti”. Nascono così le Serate nere che nelle Marche fanno la loro prima apparizione a Pesaro nel gennaio 1901, quando Il Cinematografo Lumière presenta delle “proiezioni per soli uomini” e sempre a Pesaro il 17 settembre 1906, quando il Cinematografo Volta presenta nel Teatro Rossini una “serata nera per soli signori”, dalla quale “si prega di escludere i bambini e le signorine”. Il programma pubblicato nel manifesto ci fornisce i titoli di queste “proiezioni piccanti” (Il Coricarsi della Sposa, Mondane al bagno, Bagno proibito, Bagno delle Dame di Corte a Vienna, Scandalo in un Albergo. L’indiscreto mistificato, Flagrante adulterio, Il giudizio di Paride, La Confessione.), dai quali è possibile ipotizzare il contenuto di questi cortometraggi che dovevano far leva sulle suggestioni derivanti da situazioni ingenuamente ambigue, da capi di abbigliamento che lasciavano intravedere qualche particolare femminile, quando la vista di una caviglia suscitava forti emozioni. La popolarità conquistata dal cinema e la programmazione di film “scandalosi” provoca la reazione di associazioni e pubblicazioni di ispirazione cattolica o laica, che si propongono come difensori della morale pubbli- 7 ca. Nel 1909 il settimanale “democratico” La Favilla di Pesaro riconosce i meriti sociali ed educativi del cinema che “è il teatro del popolo, ed offre per pochi soldi uno spettacolo breve e variato. E’ lì pronto a tutte le ore, sicché l’operaio, il commesso di negozio, il garzone l’apprendista e lo scolaro possono andarvi in un ritaglio di tempo fra un’ora e l’altra del lavoro di ufficio, di negozio o di scuola”. In un articolo successivo si denunciano però la forza corruttrice del cinematografo (Gli impresari non sono educatori, ma speculatori, che preferiscono i soggetti adatti a riempire la cassetta) e gli influssi negativi della violenza nei film: “Finora si è badato soltanto a bandire i soggetti osceni; ma non basta. Sono ancora più gravi e forse più corruttori i soggetti che svolgono davanti al popolo fatti delittuosi. Si tollera che siano rappresentati al vero, con figure vive e quasi a nostro contatto, avvelenamenti, assassinii e misfatti di ogni genere…Sulle menti dei fanciulli ciò ha effetti terribili; per quelli che hanno istinti perversi è una scuola, per gli altri è origine di incubi e di scosse nervose che portano in seguito, tristezza e squilibrio… L’unico rimedio sarebbe quello di proibire la rappresentazione di fattacci anche se si chiamano film d’art, cioè l’arte di strozzare, accoltellare e farla in barba alla polizia!”. Il settimanale L’Idea cattolica e sociale di Pesaro nel 1908 sostiene che il cinema è un mezzo di acculturazione per le classi sociali finora escluse da qualsiasi tipo di rappresentazione, ma lo stesso periodico nel 1914 sostiene che “E’ da qualche tempo che si hanno alcune proiezioni di films abbastanza procaci e quindi sconvenienti per i fanciulli e i giovani che numerosissimi accorrono all’attraente e moderno spettacolo. Noi ci auguriamo che si provveda perché inconvenienti, così deplorevoli e dannosi per la pubblica moralità, non abbiano Le Cento Città, n. 44 più a ripetersi”. La “santa battaglia” per la difesa della morale non viene condotta solo a mezzo stampa, ma anche con l’apertura tra il 1910 e il 1913 di alcune sale cinematografiche “cattoliche” in Ancona, Jesi, Macerata, Pesaro e Senigallia. Le Marche e il cinema Agli inizi del Novecento le Marche sono ancora culturalmente e geograficamente lontane dalle grandi centrali produttive del cinema, per cui non nascono in regione case di produzione e i pochi autori sono costretti per affermarsi a emigrare a Roma come accade al regista Ivo Illuminati (1882-1963) e al drammaturgo pesarese Ercole Luigi Morselli (1882-1921), che sotto la spinta delle necessità economiche decide di sfruttare le occasioni di lavoro che gli offre il cinema. Nel 1913 il produttore Dante Santoni propone a Morselli di diventare il direttore artistico della Santoni Films e lo scrittore rivela alla madre le difficoltà che deve superare (“Per fare un buon direttore se Alberto Pellegrino sapessi quale complesso di qualità son necessarie! La prova è dura e certo non mi ci metterei se potessi infischiarmi della posizione economica che il cinema offre”). Gli inizi sono tuttavia positivi nonostante le sue mansioni siano impegnative: “La carriera di direttore cinematografico prende tutta intera la giornata e anche la notte se non basta il giorno. Si lavora enormemente, ma siccome molte scene si vanno a metter fuori di Roma in campagna, all’aria aperta è un lavoro sano che m’ha giovato alla salute”. Egli porta avanti anche una attività di soggettista e sceneggiatore iniziata nel 1914 con il film Le gesta del Diavolo e continuata nel triennio successivo (1914-1916), durante il quale scrive i soggetti per i film I cugini d’Italia, Oro e Amore, La fata dei campi, Il miracolo del perdono. Nel 1916 Morselli è l’autore del soggetto e della sceneggiatura per i film Nel Reame d’Amore e L’Isola delle rose; nello stesso anno egli conclude la sua carriera cinematografica con la regia del film Effetti di luce su soggetto di 8 Lucio D’Ambra. A differenza dei film, alcuni documentari sono stati girati nella regione per lo più prodotti da case cinematografiche romane o milanesi. Si tratta di opere che hanno lo scopo di far conoscere alcuni aspetti della realtà marchigiana: La cartiera di Fabriano (1908), Pranzo a Recanati (1909), Il ritorno dalla pesca nell’Adriatico (1911), La battitura del grano nelle Marche (1914), La festa dei Fiori a Jesi (1914), Pane e zolfo (1956) girato del regista Gillo Pontecorvo e prodotto dalla Camera del Lavoro di Ancona per documentare la vita di paese e il lavoro nelle miniere di zolfo di Cabernardi (Sassoferrato), che erano allora il più grande centro minerario d’Europa. Vi sono poi dei documentari destinati a promuovere la nascente industria turistica marchigiana: Ancona Pittoresca (1908) Le meraviglie di Ancona (1908), Ancona (1911), Pesaro e dintorni (1911), Pesaro (1913), Fano e dintorni (1914), Ascoli Piceno. Souther Italy (1911), La Valle del Tronto. The beatiful Valley of the Tronto (1912) e Nel centro delle Marche. The Marche District (1913), realizzati per il mercato inglese, francese e statunitense. A partire dagli anni Trenta si cominciano a girare nelle Marche soprattutto dei film storici ambientati a Gradara e nel Montefeltro: Condottieri (1937) del tedesco Luigi Trinker sulla vita di Giovanni Bande Nere; Il principe delle volpi (1949) di Henry King sulla vita di Cesare Borgia; Paolo e Francesca (1949) di Raffaele Matarazzo; Vanina Vanini (1961) di Roberto Rossellini; Il Duca Nero (1963) Le Cento Città, n. 44 di Pino Menardi; La Mandragola (1966) di Alberto Lattuada; Una vergine per il principe (1966) di Pasquale Festa Campanile; Cagliostro (1974) di Pier Carpi/ Daniele Pettinari; Fausto di Marlowe (1977) di Leandro Castellani; Rossini! Rossini! (991) di Mario Monicelli; Miracolo Rossini (1996) di Leonardo Settimelli. Una lunga serie di film d’amore, polizieschi e d’avventura sono ambientati a Portonovo e in altri centri della riviera marchigiana. Vi sono poi diversi film d’autore che parlano delle Marche (La porta del cielo di Vittorio De Sica su un pellegrinaggio a Loreto, 1944; Il cielo sulla palude di Augusto Genina con la storia di Maria Goretti, 1949). Altri film importanti sono invece direttamente girati nella regione: Straziani ma di baci saziami (Appennino ascolano, 1968) di Dino Risi; L’età breve (Urbino, 1970) di Umberto Piersanti; La prima notte di quiete (Villa La Favorita, Ancona, 1973) di Valerio Zurlini; Paesaggio nella nebbia (Cagli, 1987) di Theo Anghelopoulos; Basta! Ci faccio un film (Macerata, 1990) di Luciano Emmer; La casa del sorriso (Pesaro, 1991) di Marco Ferreri; Un’anima divisa in due (Ancona, 1992/93) di Silvio Soldini; Cuore verde (Ascoli Piceno, 1996) di Giuseppe Piccioni; Viola bacia tutti (Cagli e il Monte Petrano, 1998) di Giovanni Veronesi. I grandi film “marchigiani” Il primo film “marchigiano entrato nella storia del cinematografia è Ossessione (1943) di Luchino Visconti, considerato una pietra miliare del neorealismo, una forma di ribellione da parte di un giovane regista che non accetta la “fossilizzazione” del cinema italiano e avverte la necessità di “un’arte rivoluzionaria ispirata ad un’umanità che soffre e spera”. Accantonato il progetto di fare due film tratti da altrettante novelle di Verga, Visconti ripiega sul romanzo Il postino suona sempre due volte dell’americano James Cain, da cui traggono una sceneggiatura lo stesso Visconti, Mario Alicata, Il Focus Giuseppe De Santis, Alberto Moravia, Pietro Ingrao e Gianni Puccini (un marchigiano che suggerisce Ancona come set). Il tessuto narrativo è lo stesso del romanzo: Giovanna, una donna giovane e bella ma dal discutibile passato, dopo avere sposato un uomo brutto, volgare e anziano (Bragana), va a vivere nel suo spaccio-osteria; l’arrivo di un vagabondo di bell’aspetto (Gino) fa scattare la molla della passione che spinge i due all’adulterio, all’assassinio, all’appropriazione del denaro dell’assicurazione, alla fuga, alla morte della donna e all’arresto dell’uomo. Le differenze sono sostanziali sotto il profilo ideologico, psicologico e sociologico, perché nel film la storia appare più torbida, passionale, sensuale ed esasperata: le sue atmosfere, i suoi paesaggi, i suoi miserabili eroi, ispirati al “realismo francese”, rappresentano un elemento di rottura con il mondo patinato dei “telefoni bianchi” e con la retorica dei film storici e militaristi voluti dal regime fascista. L’analisi dei rapporti familiari, la complessa sfaccettatura dei personaggi, la squallida ambientazione degli interni, la malinconia del paesaggio, le stesse citazioni del melodramma italiano risultano rivoluzionarie e “scandalose”, per cui Ossessione è un film “politico”, capace di trasmettere una critica contro il vecchio ordine sociale e un senso di attesa per l’avvento di tempi nuovi. Il film presenta la vita di provincia come metafora dello squallido modello di vita piccolo-borghese di impronta fascista e Bragana, con la sua mediocrità di “brav’uomo”, ne diventa il simbolo violento e maschilista, all’insegna dell’egoismo e della voracità per il denaro. I due amanti appaiono “diversi” in quanto estranei all’ordine sociale vigente e per questo sono destinati a cercarsi e a distruggersi a vicenda, mentre intorno a loro si verifica la crisi del mondo contadino e la disfatta della famiglia intesa come unità economica e sentimentale. Su questo si basa quella “ossessione” che, invece di portare verso 9 un’aperta rottura con il passato e la scoperta di nuovi valori, provoca un pessimismo di fondo e l’illusione nei due protagonisti di poter fuggire dalla loro condizione attraverso il ricorso alla violenza e la ricostruzione di un nuovo nucleo familiare. Visconti presenta un’Italia “diversa” rispetto al paese propagandato dal regime fascista, un paese abitato da un’umanità spoglia, avida e sensuale, che lotta disperatamente per l’esistenza quotidiana e per la soddisfazione dei propri istinti primordiali. I personaggi appaiono delle vittime travolte dalla passione, dal tradimento, dal delitto e da un azzeramento di tutti i valori sociali: il sesso diventa carnalità, la famiglia è una disumana prigione, il popolo appare un insieme di individui incapaci di comunicare, la società risulta frantumata, il paesaggio diventa uno scenario squallido e inquietante. Non è un caso se Vittorio Mussolini, durante la prima visione del film, griderà “Questa non è l’Italia!”. Lino Miccichè ha definito quest’opera “un canto funebre” di Eros e Thanatos, che ha il suo centro in Giovanna (Clara Calamai), il più bel personaggio femminile di Visconti, un impasto di sessualità e maternità, di furia e dolcezza, di febbre di vita e pulsione di morte, una forza della natura animalesca e demoniaca capace di uccidere, ma anche di amare in modo appassionato e generoso. La donna è costretta a vivere con Bregana, che simboleggia l’Ordine costituito e il Capitale, con il quale l’ex prostituta continua a prostituirsi nella forma istituzionale del matrimonio, spinta Le Cento Città, n. 44 dal bisogno di sicurezza e dalla voglia di infrangere la prigione del suo destino. Il terzo elemento del triangolo è Gino (il marchigiano Massimo Girotti), che rappresenta la giovinezza contro la vecchiaia, l’attrazione contro la repulsione fisica, il fascino silenzioso contro una chiassosa volgarità, il mito dell’avventura contro la noia della quotidianità. Un “intruso” è lo Spagnolo, un ambulante girovago che offre a Gino una prospettiva di vita al di fuori delle regole, una trasgressione sentimentale segnata da una latente omosessualità con un esplicito invito a lasciar perdere le donne per scegliere la libertà di vivere e di viaggiare. Una “estranea” è anche la ballerina d’avanspettacolo Anita, un delicato ritratto di prostituta pronta a sacrificarsi e a subire l’umiliazione e lo scandalo per favorire la fuga di Gino ricercato dalla polizia. Il paesaggio svolge infine un ruolo importantissimo nel film: lo squallore dello spaccio-osteria sperduto nella bassa Alberto Pellegrino ferrarese diventa il luogo dove si consuma la vicenda e, nella parte centrale, Ancona assume il ruolo di protagonista con le sue strade, le piazze, il Duomo di S. Ciriaco, il Colle del Guasco, il mare e la banchina del porto dove Gino, seduto sulla valigia, osserva la nave che avrebbe dovuto portarlo lontano. Persino la Fiera di San Ciriaco, dove lo Spagnolo svolge il suo lavoro di ambulante e offre ai passanti i biglietti della fortuna estratti da un pappagallo, diventa uno snodo decisivo per il destino dei tre personaggi: Gino, che fa l’uomo sandwich per pubblicizzare un concorso lirico per dilettanti; Bragana, che si presenta come concorrente proprio a quel concorso; Giovanna, che accompagna il marito e ritrova il suo amante, spingendolo ad uccidere il marito. Nel 1960 Francesco Maselli gira I delfini, un film che si pone al confine tra neorealismo e “nuovo cinema d’autore”. Si tratta di un’opera, tolte alcune scene girate nella Stazione di Ancona e in un tratto di litorale vicino al capoluogo marchigiano, inte- 10 ramente girata ad Ascoli Piceno, avendo come centrale punto di riferimento la storica Piazza del Popolo e l’antico Caffè Meletti, un microcosmo della vita cittadina dove convivono e comunicano i principali personaggi, dove si stabiliscono relazioni e nascono conflitti destinati a ricomporsi nel finale, quando si spengono tutte le velleità di rivolta e una serie di “buoni” matrimoni porta alla restaurazione di una tranquilla esistenza per i giovani “delfini” della ricca borghesia cittadina. Sotto l’influenza di Alberto Moravia, che ha collaborato alla sceneggiatura, il film riecheggia il clima degli Indifferenti e presenta lo squallido scenario di una vita di provincia che trova la sua logica conclusione in un “amaro” lieto fine, segnato dal fallimento di Alfredo, che rinuncia alle sue velleitarie aspirazioni di scrittore per rientrare nei ranghi di una vita segnata dalla mediocrità intellettuale, dalla pigrizia mentale e culturale. Ascoli si presenta come “una città antica come ce ne sono tante nell’Italia centrale, dove strade, palazzi, i muri stessi sono come impregnati di storia e di tradizioni, ma dove tutto finisce per attutirsi, per soffocare, dove sembra sempre che non sia successo niente”, una città grigia, claustrofobica, malinconica e piovosa, segnata dal sentimento della noia e della inalterabilità dell’esistenza, che diventa il simbolo del malessere di una provincia italiana alienata, dove il “boom” economico sta rapidaLe Cento Città, n. 44 mente cancellando la sua cultura e le sue tradizioni. Per la seconda volta Ascoli Piceno accoglie un film tra le sue mura: si tratta dell’ultima opera di Pietro Germi Alfredo Alfredo (1972), interpretata da Dustin Hoffman, Stefania Sandrelli e Carla Gravina. Dopo Serafino (girato nel 1969 a Spelonca e Arquata del Tronto), Germi ritorna nelle Marche e sceglie una città che ritiene rappresentativa della provincia italiana e quindi adatta a fare da sfondo a questa storia piccolo-borghese. Alfredo Sbisà, un giovane impiegato di banca, riesce a fidanzarsi e a sposare la bella farmacista Mariarosa, che si rivela talmente possessiva da impedire al marito qualsiasi relazione sociale persino con il padre e gli amici. Inoltre Mariarosa, nel desiderio spasmodico di avere un figlio,sottopone Alfredo a un vero tour de force sessuale che finalmente porta alla gravidanza della donna, la quale relega il marito a vivere in cantina. Alfredo può godere di un po’ di libertà e, durante le sue peregrinazioni notturne, incontra Carolina, che diviene la sua amante e che dice di amarlo senza porre dei vincoli matrimoniali. Quando si scopre che Mariarosa ha solo una gravidanza isterica, Alfredo decide di non ritornare uno “schiavo” e abbandona la moglie per andare a vivere con l’amante. La legge sul divorzio gli offre l’occasione per sciogliere i legami familiari e ritornare libero, ma a quel punto Carolina gli chiede di sposarla e Alfredo teme di rimanere ancora una volta imprigionato in un nuovo matrimonio. Dopo i fallimenti di Serafino e Le castagne sono buone, Germi sembra ritrovare con questo film il suo smalto d’autore, partendo con l’idea di fare un film sul divorzio, che invece diventa un’analisi sulla differenza tra i sessi e sui fraintendimenti della passione sessuale vissuta tra la paura degli altri e la ricerca del piacere da parte di un timido tormentato dall’idea di doversi assumere delle responsabilità: Alfredo sogna una vita tranquilla Il Focus rallegrata dalla devozione sentimentale dell’altro sesso, ma è incapace di gestire un legame sentimentale e difendere la propria autonomia. Il film accolto in maniera negativa dalla critica che al massimo lo giudica “una gradevole commedia” alquanto scontata, appare invece un’opera divertente e commovente sul fare l’amore, sull’attrazione per l’altro sesso, sul bisogno di libertà e di veri sentimenti. Il film supera tuttavia i confini della commedia, perché in esso si avverte un sottofondo amaro, una concezione pessimista delle relazioni umane e della famiglia, vista come un rifugio ma anche come un’istituzione diabolica e distruttiva. Il terzo film ambientato ad Ascoli Piceno nel 1987 è Il grande Blek di Giuseppe Piccioni (1953), e interpretato da Sergio Rubini e Francesca Neri. L’autore sceglie la sua città natale, sia perché ritiene di fondamentale importanza conoscere a fondo determinati spazi e paesaggi architettonici, sia perché considera Ascoli una città emblematica di una certa provincia italiana. Per Piccioni “il fatto di appartenere a questa città è come un po’ parlare delle Marche; sentirsi marchigiano è una cosa molto strana perché le Marche non hanno un’identità, una fisionomia ben precisa: è come se non esistessero…Le Marche sono un po’ periferiche e nello stesso tempo non troppo periferiche, un po’ lontane dai centri della cultura ma non troppo decentrate”. Film generazionale e in parte autobiografico, Il grande Bleck vuole rappresentare in modo intenso, malinconico e partecipativo, le aspirazioni, le illusioni, le inquietudini di giovani che hanno dinanzi a loro un futuro incerto e che si trovano a vivere la complessa stagione del Sessantotto. Intorno al 1960 Yuri, un ragazzo abbandonato dal padre e che vive con la madre e la sorella, diventa amico di Razzo, un bullo di periferia poco più grande di lui. Otto anni dopo, in pieno Sessantotto, Yuri è diventato un militante di sinistra e ha una storia d’amore con una ragazza che conosce da tempo. Razzo frequenta una 11 banda di giovani teppisti di destra e, durante uno scontro con alcuni studenti “rossi”, salva la vita al suo amico d’un tempo. Da quel momento le vite dei due protagonisti prendono strade diverse: Razzo, rimasto invischiato nella microcriminalità, muore in un incidente stradale; Yuri capisce che deve fare una scelta risolutiva e lascia Ascoli, la ragazza e gli amici per andare a lavorare in un’altra città, portando con sé simbolicamente tre libri di Majakovskij, Kerouac e Balzac. Il film non approfondisce molto gli aspetti sociopolitici, ma traccia un quadro dei sentimenti e delle motivazioni esistenziali di esseri umani che passano dall’adolescenza all’età adulta e Piccioni fa di Ascoli il luogo ideale di questa storia, sfruttando al meglio gli spazi architettonici del bellissimo centro storico che ha il suo “cuore pulsante” nella Piazza del Popolo, il “teatro” catalizzatore di tutte le componenti che formano il tessuto narrativo del film. L’ultima opera importante legata alle Marche è realizzata da Nanni Moretti, che nel 2001 gira in Ancona La stanza del figlio, dove per la prima volta non c’è né commedia e ironia, né autobiografia o analisi generazionale e politica, ma dove si racconta una storia intimista e drammatica sulla elaborazione del lutto collegata a una esperienza così radicale come la morte di un figlio. Opera sulla ricostruzione dei rapporti familiari all’interno di una famiglia devastata da un’improvvisa e dolorosa vicenda, il film racconta la storia di Giovanni Sermonti, uno psicanalista che conduce un’esistenza normale, diviso tra il lavoro, lo sport e la famiglia formata dalla moglie, da una figlia e da un figlio. Quando quest’ultimo muore per un’embolia durante un’immersione al Passetto, tutti i componenti della famiglia rischiano di essere travolti dalla tragedia. Dalla “destrutturazione” dei legami familiari finiscono per emergere delle personalità Le Cento Città, n. 44 sofferenti, ma più forti e meglio delineate. E’ soprattutto il padre a dover risolvere le proprie pulsioni emotive e sentimentali, confrontandosi con la piccola schiera di pazienti che l’analista ha in cura e che formano una specie di coro alla greca con il quale confrontare i propri stati d’animo. Ancona, con la sua particolare configurazione geografica di città compressa tra il mare e la montagna, dà infine in modo significativo l’idea di un spazio chiuso al cui interno si consuma la vicenda, ma nello stesso tempo diventa il trampolino di lancio verso il liberatorio viaggio finale. I manifesti riprodotti fanno parte delle raccolte custodite nella Biblioteca Federiciana e nell’Archivio Comunale di Fano. L’attualità 12 Aboliamo le province, accorpiamo i comuni Implicazioni, perplessità, speranze di Mario Canti Tra le tante attese suscitate dall’attuale momento politicoeconomico qualche certezza viene gradualmente consolidandosi: in particolare si è affermata l’intesa di fatto tra le forze politiche per quanto attiene la riduzione del numero dei parlamentari ed il conseguente relativo costo. Questa riduzione, ovviamente, verrà determinata dopo la riforma in senso federalista del parlamento (parlamento unitario e senato federale) e all’emanazione della conseguente legge elettorale. Prevedendo “ottimisticamente” che le elezioni politiche si svolgeranno nella prossima primavera, con l’attuale legge elettorale, il nuovo assetto delle Camere, e la conseguente riduzione del numero dei parlamentari, diverranno operativi dopo le successive elezioni politiche (nel 2017 ?), con buona pace e nel massimo rispetto dell’impegno a fare presto che viene mostrato da tutte le componenti politiche. Naturalmente il contenimento almeno di una parte delle spese per il funzionamento del Parlamento potrebbe anticipare questa data, e venire realizzato fin dall’immediato, con la semplice riduzione degli importi, ma questa ipotesi è stata finora scartata, forse perché poco significativa in confronto al complesso della spesa pubblica. E’ comunque da comprendere quale sia lo stato d’animo dei parlamentari combattuti tra il dover decidere sul mantenimento delle proprie prerogative (economiche, fiscali e pensionistiche) e sull’innalzamento della età pensionabile dei lavoratori per così dire “normali”; situazione drammatica che richiede almeno una compensazione economica. Fortunatamente altre voci di spesa pubblica risultano meno sofferte, e quindi praticabili, per i nostri parlamentari, ad esempio quelle destinate al compenso degli amministratori locali che potranno essere ridotte, grazie al comune impegno, seppure diversamente articolato, delle forze politiche a livello nazionale. In tal senso vanno riguardate le iniziative proposte riguardanti le Province, che dovrebbero essere soppresse tout court, ed i Comuni. che invece dovrebbero essere ridotti nel numero mediante l’accorpamento dei più piccoli in nuove realtà. Il beneficio economico che il Paese trarrà da queste iniziative sarà senza dubbio notevole anche se, per il momento, non ne è stata comunicata l’entità. La decisione in merito potrà essere assai più tempestiva di quella riguardante la riduzione del numero dei parlamentari di cui si è detto sopra, anche se la soppressione delle Province richiede una modifica della Costituzione che comporta l’adozione di specifiche procedure piuttosto farraginose, quindi anche di queste iniziative se ne parlerà, se se ne parlerà, dopo le prossime elezioni politiche (2012 – 2013 ?). Peraltro la presentazione in Senato da parte della Lega Nord di una proposta di legge ad hoc avrebbe consentito fin da oggi l’apertura di un ampio dibattito che è del tutto mancato, forse oscurato dai temi del debito pubblico, della riforma della giustizia, delle intercettazioni, della sessualità pubblica, della guerra in Libia, delle penalizzazioni delle squadre di calcio, dei black-boc, e quant’altro, che hanno assorbito per intero l’attenzione delle forze politiche, delle istituzioni e dei sapienti, nel Paese ed anche nella nostra regione. Va rilevato che le proposte riguardanti la soppressione delle Province e l’accorpamento dei Comuni di ridotte dimensioni Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi. Un civil servant del XIII secolo. Palazzo Pubblico di Siena, 1330. Le Cento Città, n. 44 L’attualità demografiche sembrano essere, in una certa misura, provvedimenti della stessa natura dei “tagli lineari” operati negli ultimi provvedimenti economici, vale a dire soluzioni assolutamente condivisibili negli obiettivi che non tengono in alcun conto delle articolazioni locali e delle realtà strutturali che caratterizzano il nostro Paese e che per tale ragione corrono il rischio di mancare i pur legittimi obiettivi. Nel nostro casi la riduzione della spesa per gli enti locali non può essere valutata come un valore positivo in sé, ma deve essere confrontata con l’esigenza fondamentale per la vita sociale e democratica di garantire la migliore funzionalità degli stessi Le proposte che oggi vengono avanzate sono finalizzate, prevalentemente, al contenimento della spesa: di conseguenza avere meno amministratori, con meno macchine blu ( e meno autisti) sembrano essere gli obiettivi sostanziali delle proposte stesse, che verrebbero a sommarsi a quelli che con tanta energia, ma con nessun successo dovrebbero essere conseguiti con la riduzione del numero e dei compensi ai parlamentari, e dei consiglieri regionali, con l’eliminazione delle relative pensioni e vitalizi, con l’aumento delle imposte sugli stipendi degli apici dirigenziali degli enti pubblici o a partecipazione pubblica. In tempi ormai remoti scelte di tale rilevanza avrebbero richiesto approfondimenti conoscitivi e la proposta di soluzioni alternative da mettere a confronto, avrebbero cioè ipotizzato un percorso decisionale programmato negli obiettivi e negli strumenti; iniziative in tal senso vennero assunte tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei settanta. Il dibattito sui “comprensori” come allora vennero chiamati i possibili accorpamenti dei comuni, fu intenso, ma si concluse, guarda caso, con la conservazione delle Province, arricchite da nuove funzioni che sarebbero loro state trasferite dalle Regioni, e dei Comuni mantenuti nella loro configurazione storica, seppure poten- 13 ziati con l’esercizio di nuove funzioni. L’analisi delle implicazioni che le decisioni annunciate comportano vengono condotte nella convinzione che l’abolizione delle province è da dare ormai come scontata, anche se non è da sapere quando; sul come realizzare questo obiettivo conviene iniziare a riflettere fin da questo momento, con la consapevolezza che l’iniziativa investe istituzioni che, bene o male, hanno ormai oltre cento anni di vita e di conseguenza sono comunque radicate nelle prassi amministrative non meno che nel costume civile delle popolazioni. La scomparsa delle province rende centrale la questione del governo e della compatibilità degli ambiti ottimali di settore riguardanti fenomeni che, per loro natura, possono talora richiedere gestioni sopracomunali come quelli riguardanti le acque, il dissesto idrogeologico, i rifiuti (nelle loro diverse fattispecie), la viabilità, i trasporti pubblici, la sanità, i parchi (naturali e tematici), il paesaggio, ecc. ecc.; la risposta potrebbe venire da accorpamenti dei comuni anch’essi “ottimali”; una sorta di neoprovincia per la cui non facile definizione ci si dovrà impegnare seriamente, ovvero da gestioni dirette regionali, ipotesi quest’ultima che nella ridotta dimensione demografica e territoriale delle Marche potrebbe risultare possibile. Naturalmente la disponibilità delle diverse realtà comunali a lasciarsi assorbire nelle nuove realtà istituzionali è tutta da verificare tenendo conto che se le Province hanno ormai centocinquanta anni di vita nel caso dei Comuni si tratta di far scomparire, o comunque ridurre, tradizioni civili che talora possono rivendicare centinaia di anni di esistenza, senza contare le opposizioni che potranno derivare da una certa vena campanilistica che ha sempre caratterizzato il nostro Paese. La rilevanza che i temi dell’accorpamento dei Comuni e della soppressione delle Province rivestono per la comunità marLe Cento Città, n. 44 chigiana ed il dibattito che dovrebbe svolgersi nell’ambito della stessa inducono a proporre una attiva partecipazione de Le Cento Città, così come in passato è stato fatto per altri temi di interesse regionale, primo tra gli altri quello del Paesaggio, che proprio a partire dai convegni organizzati dalla nostra Associazione avrà avuto sicuramente in seguito esiti significativi nell’ambito delle Amministrazioni competenti, seppure del tutto oscuri, vale a dire ignoti, per la pubblica opinione. Nella realtà appare inevitabile che l’obiettivo della riduzione della spesa per il funzionamento degli enti locali si debba confrontare con esigenze di funzionalità degli stessi, che significa in sostanza funzionalità del sistema democratico di base nella nostra comunità regionale (e credo nel Paese intero). Sulla base di questa considerazione fondamentale Le Cento Città potrebbero avviare autonomamente il confronto su alcune questioni che così possono essere indicate approssimativamente: - criteri di definizione degli ambiti ottimali di area vasta, verifica delle possibili soluzioni intersettoriali, - criteri di rappresentanza democratica delle popolazioni nell’ambito degli ambiti ad es, consiglio dei sindaci ( in modo da non aumentare le cariche e tenere saldi i rapporti con il territorio); - individuazione delle funzioni residue in capo ai Comuni singoli; - conseguente definizioni qualitativa delle strutture tecniche da porre in essere a livello di Ambiti pluricomunali, di Comuni. forse di Regione. Sulla base delle reazioni che questo intervento provocherà tra i nostri associati ed i nostri lettori verranno valutati i possibili interventi specifici da proporre per suscitare un minimo di dibattito, attento e tempestivo, nel nostro ambito operativo. La letteratura 15 Le poesie di Plinio Acquabona: I lampadari di Alfredo Luzi L’elemento connettivo che lega le varie opere poetiche prodotte da Plinio Acquabona (1913-2002) è il soggetto della scrittura che testimonia se stesso attraverso la modulazione dell’esperienza, ma in fondo wagneriamente suona sempre lo stesso concerto. Significativi, in questa prospettiva, sono i titoli dei volumi pubblicati. Ad esempio, in Libertà clandestina (1965) il problema centrale è vivere il dramma del linguaggio, della connessione tra significante e significato in un momento storico in cui il linguaggio stava perdendo la sua garanzia di verità e assumeva la dimensione del teatro dell’inganno. Ma certo la libertà clandestina è anche quella del soggetto poetico che cerca questa libertà dentro una struttura, il tempo, la storia, che è sentita da Acquabona come carcere. Più tardi Acquabona pubblica nel 1977 Il punto solidale. Il punto solidale è il nucleo di contatto all’interno delle fratture che il poeta rivela nella storia spirituale del soggetto e della collettività. La struttura del testo non è più immobile, rigida, ma a spirale. La funzione dello scrittore è quella di interpretare la spirale, che di fatto ha due movimenti, uno ascensionale ed uno discendente, come una spinta continua verso l’alto, facendole assumere una dimensione salvifica opposta alla storia che ci spinge verso il basso, verso il buio, verso la decomposizione, la morte. Poi ancora l’Immagine dissimile (1981) il cui titolo rinvia semanticamente al mondo delle sacre scritture, in particolare alla visione “per speculum” di San Paolo nell’Epistola ai Romani e alle Confessioni di Sant’Agostino in cui il problema dell’uomo nel tempo viene affrontato con l’immagine del soggetto alla finestra che conosce solo gli eventi del momento, essendo all’oscuro di ciò che è stato e di ciò che sarà. Dunque, l’umanità vive l’esperienza di un’immagine dissimile. Nel 1984 esce la plaquette I lampadari, forse uno dei testi più significativi della poetica di Acquabona, al quale vorrei dedicare alcune riflessioni critiche mettendone in evidenza la centralità nella produzione lirica dello scrittore anconitano. Il punto di contatto tra I lampadari e le opere precedenti sta nel fatto che anche in quest’opera, accanto ad una dimensione naturalistica (non a caso Plinio usa spesso il lemma fenomenologia), c’è una dilatazione simbolica attraverso l’immaginario, per cui la fenomenologia degli oggetti muta in teofania. Nella dinamica tra oggettività e soggettività I lampadari nascono sul sostrato della cultura della crisi del soggetto, cioè di un atteggiamento laico che fa da lievito, con la sua consapevolezza negativa, alla cultura della fede, della speranza, che è un elemento costante nella poesia di Acquabona. Le posate, i bicchieri, le caraffe, le bottiglie del pasto poetico approntato dallo scrittore mandano barbagli di luce, giochi di chiaroscuri, scintillazioni, sdoppiamenti della scena, frantumazione del cronotopo. La stessa voce poetica si sdoppia tra il suo ruolo di agonista, cioè di colei che dirige l’agone, e quello, autogenerato, di deuteragonista che sposta la prospettiva razionale e logica del soggetto in dimensione profetica. C’è nella macrostruttura dell’opera una linea oppositiva costante tra spettacolo e rito, tra Le Cento Città, n. 44 visività e cecità, tra essere e non essere, vita e morte. La fenomenologia oscura della materia viene riscattata, e illuminata, da una ermeneutica metafisica che ci spinge a guardare verso l’alto, verso i lampadari appunto, portatori di luce. Siamo in presenza di una sorta di resurrezione degli oggetti su cui è scesa la grazia divina, portatrice di luce e di verità. Nella tensione verso l’alto Acquabona occulta anche il senso della inadeguatezza dell’umano, del limite, dell’attesa, del peso del tempo, sdoppiando dunque la dinamica su due assi: l’asse della terra, del pasto, della fame, del potere, quella che nel testo poetica è definita “presenza effusiva”, e del cielo, dei lampadari, della necessità di soddisfare il desiderio di verità ascoltando “una parola veritativa”. Le poesie di Acquabona hanno spesso uno spessore apocalittico in cui si condensa la problematica cronologica. Il tempo dei lampadari mescola la ciclicità, l’eterno ritorno, con il tempo rettilineo della storicità umana, ed esalta la spinta alla palingenesi (“Spezziamo ogni legame mondo-uomo. Il nostro tempo è tempo antiorario”; “la luce assedia il giorno”). Profezia e apocalisse si incrociano nella voce fuori campo, extra-diegetica, che istruisce, ammonisce, blandisce. A mio parere le poesie de I lampadari vanno lette come un insieme sequenziale, un testo compatto costruito sul rapporto variazione-totalità, in cui ogni composizione ha una sua autonomia significante ma nello stesso tempo acquista un plusvalore semantico dai testi che la precedono e lasciandolo in dote a quelli che la seguono. Alfredo Luzi “Coraggio, su. Non pensate ora al buio. Io dovevo sfiorarlo. Non temete. Non tutti voi sarete tra le cose sconfitte, che ben conoscete, come scolpite. Seguitemi. Vi prego” e il tono della voce è d’apprensione “di chiudere i vostri occhi al dileguare dello schermo. E cancellate il vostro. Sia l’unicità del rito al culmine. Date al momento la più segreta soglia perchè in essenza, e non più con l’ironia che parve provocare, vedrete ciò che avviene globalmente”. E la voce sospende un sommesso “Non ancora” poi, nel silenzio, tace. 16 “Ascoltate un’ultima parola, rientra di diritto nel progetto: è una parola veritativa sui lampadari che illuminano gli occhi del mondo e la mano alla bocca. Ho detto che l’orizzonte dei tavoli sta sotto il cielo dei lampadari” e parla con il cuore reticente che ne addolcisce il pathos. “Demitizziamo tutto a livello unitario dei contributi al rito; e come a ciascun altro elemento, diamogli i connotati, affidandoli alla memoria, netti come il resto”. E la voce suadente ora è parsa più lontana dal luogo o, forse, è stato per l’umiltà che introduce l’oggetto? La luce assedia il giorno, e non inganna come il gran bosco di Birnam che, salendo le ripide pendici di Dunsinane, sconfisse re Macbeth. Non ha spada nè scudo, è forza inerme. E’ una forma perfetta irraggiungibile che fa splendere ogni altra. La può colpire qualsiasi violenza senza mai turbarla, e tuttavia dolcemente sale al suo vertice che non ha distanza dal cuore delle cose e d’ogni uomo. Tre frammenti da: I lampadari di Plinio Acquabona, Marcelli editore, Ancona, 1984. Acquabona, partito dalla distanza tra lingua e conoscenza, giunge al riscatto della crisi del linguaggio come teoria dell’inganno per rivendicare il diritto della lingua come principio di verità, di parola come Verbo. In questo modo l’indecifrabilità del mondo da negatività si trasforma in una sorta di valore, perché dalla deiezione, dalla catastrofe, può nascere la necessità delle fede, della speranza in un mondo immagine della Gerusalemme celeste. Le Cento Città, n. 44 I cieli vuoti, i terremoti di Plinio, non devono farci paura, ma esortarci ad una conoscenza, come ha scritto Mario Luzi, “per ardore”, oltre il buio, là dove, per citare una della opere più interessanti di Acquabona, la luce è per essere altrove. Il ricordo 17 Luigi Dania di Luigi Ricordo La testimonianza che mi appresto a rendere in memoria di Luigi Dania, la sento come un onore ed un obbligo di coscienza. È da poco tempo, a causa dell’età, che ripercorro alcune tappe della mia vita, e in particolare gli anni Cinquanta, in cui, giovane ed inesperto, cercavo di rendermi conto del mondo che mi circondava. La famiglia, gli amici, le persone più grandi di me, i possibili modelli da studiare ed eventualmente seguire. La grande mostra di Picasso a Roma, presso la Galleria d’Arte Moderna, esplose mettendo in luce le contraddizioni e l’arretratezza di tanta cultura che faticava a fare i conti con i movimenti del Ventesimo secolo. Di fronte all’entusiasmo di noi giovani si opponeva, testarda, la conservazione di una cultura ancora intontita dal Ventennio per una parte, e per l’altra messa sotto tutela dal rigore togliattiano della politica. Erano gli anni in cui alcuni artisti lasciavano la politica per avvicinarsi curiosi a ciò che restava delle avanguardie francesi, mentre altri puntavano la loro attenzione sul nuovo mondo americano e su ciò che ivi stava maturando. Fu in quel clima che conobbi Luigi Dania; ci legavano alcune amicizie comuni, con Umberto Peschi scultore, Wladimiro Tulli pittore, Goffredo Binni instancabile animatore culturale e critico. Dania a quel tempo frequentava assiduamente Casa Licini; dall’artista aveva avuto informazioni e apprezzamenti sulla cultura europea, poiché non bisogna mai dimenticare che Osvaldo Licini, pur stando a Monte Vidon Corrado, aveva sempre mantenuto i contatti con quella cultura, in particolare parigina, Fermo 21 gennaio 1983: Luigi Dania osserva la velinatura della Natività di Rubens eseguita dal restauratore Paolo Castellani (dovendosi effettuare il restauro a Roma, la velinatura assicurava che durante il trasporto non avvenissero distacchi). libero nei suoi quadri come nei suoi giudizi. La mia frequentazione di Dania inizia durante alcune mie visite a Licini a Monte Vidon Corrado e prosegue seguendolo nelle varie manifestazioni espositive che, instancabile, organizzava nelle Marche. Per la prima volta, grazie a lui, vedevamo opere pittoriche e grafiche di tanti maestri di cui avevamo Le Cento Città, n. 44 sentito parlare e visto qualche immagine riprodotta. A conclusione di questo breve ricordo di Luigi Dania posso dire che egli costituì uno degli stimoli essenziali per la mia liberazione dalle limitazioni provinciali, ed un convincente esempio di come, pur restando lontani dai grandi centri, si possa essere in sintonia con il mondo che cambia. Mostre 19 L’Eucaristia nell’arte Le mostre del XXV Congresso Eucaristico Nazionale di Maria Luisa Polichetti E’ ormai divenuta consuetudine inserire mostre d’arte nelle manifestazioni riferite ad argomenti di varia natura che comunque raccolgono un ampio pubblico che, seppure interessato ai temi specifici, è comunque attratto da argomenti di carattere artistico. Tale considerazione è ancor più pertinente quando ci si riferisce ad eventi religiosi che richiamano grande partecipazione di fedeli, e soprattutto di giovani, dove, accanto a temi religiosi e sociali, quello della produzione artistica riveste un ruolo di notevole importanza anche in funzione delle sue potenzialità educative, in quanto il messaggio contenuto nei grandi temi religiosi viene arricchito da quello trasmesso dall’arte, veicolo e linguaggio di fede. Il XXV Congresso Eucaristico Nazionale, che si è svolto dal 3 all’11 Settembre nell’Arcidiocesi di Ancona-Osimo e nella relativa Metropolia, ha avuto come obiettivo la riflessione sulla celebrazione dell’ Eucaristia nella vita quotidiana, intesa quale strumento per riscoprire il significato cristiano della vita. In tal senso si è cercato dare risposta alla domanda che Pietro rivolge a Gesù: “Signore da chi andremo?” riportata nel Vangelo di Giovanni, il quale ci fornisce anche la risposta che Pietro stesso propone: “Tu hai parole di vita eterna”: attraverso la Parola, quindi anche attraverso la parola espressa con gli strumenti dell’arte, viene favorito il nostro percorso di avvicinamento a Dio. Il Concilio Vaticano II ha proposto con forza all’attenzione dei credenti, e non solo di questi, il valore testimoniale dell’arte ed il ruolo che gli artisti hanno sempre svolto e devono continuare a svolgere per diffondere la Parola, ossia l’essenza stessa di Dio: basti pensare ad esempio ai contenuti delle opere dei più grandi artisti del passato, che spesso si confrontano con episodi di carattere religioso. In tempi recenti tutti i Pontefici, protagonisti dell’attuazione del Concilio Vaticano II, hanno operato in tal senso, confidando nel potere salvifico della bellezza, tema ricorrente negli scritti del cardinale Carlo Maria Martini, sia promuovendo la produzione artistica – basti pensare alle raccolte C. Ridolfi, La Vergine comunica San Silvestro, Tela. Fabriano, Eremo di San Silvestro di Montefano. Le Cento Città, n. 44 Maria Luisa Polichetti 20 didattica, o più propriamente di catechesi, contribuendo con le proprie specifiche configurazioni ad avvicinare gli uomini a Dio, e al tempo stesso strumento per la comprensione del mistero divino. Nella consapevolezza della loro utilità nell’ambito del Congresso Eucaristico sono state organizzate due mostre d’arte aventi temi diversi ma pur sempre collegati all’Eucarestia. Il 25 Giugno, in corrispondenza della festività del Corpus Giambattista Tiepolo, Comunione di Santa Lucia, 1748 Domini, è stata circa, Chiesa dei Santi Apostoli, Venezia. inaugurata la mostra “Segni vaticane di arte contemporadell’Eucarinea volute da Paolo VI - sia stia” articolata nelle diverse operando per la valorizzazio- sedi della Metropolia: Ancona, ne del patrimonio culturale Osimo, Loreto, Jesi, Senigallia, ecclesiastico anche mediante la Fabriano, Matelica, con l’oformazione di specifici musei biettivo di far comprendere nell’ambito delle diocesi. il significato degli apparati Il concetto di arte fa riferi- liturgici e della loro specifimento ad una serie di realtà ca funzione nella celebrazione multiformi: architettura, pittu- dell’Eucaristia. ra, scultura, musica, i cui prodotti sono frutti dell’attività La mostra, iniziata contedell’uomo, artefice e, al tempo stualmente nella diverse sedi, stesso, strumento per la con- è stata concepita come evento divisione con i propri simili di unitario realizzato con criteri quel carattere “divino” che gli scientifici ed organizzativi omoderiva dall’essere, a sua volta, genei; in essa sono stati propocreatura di Dio. sti all’attenzione del pubblico Tale condivisione non è fina- dipinti ed apparati liturgici, lizzata solamente al puro godi- quali oggetti, paramenti, libri, mento estetico, che comun- strumenti musicali, provenienti que produce pur sempre una dal territorio della Metropolia. insopprimibile elevazione dello Sedi naturali di queste spirito, anche per coloro che esposizioni sono stati i Musei sono privi di un apparato di Diocesani delle sette città, che conoscenze specialistiche, ma conservano la maggior parte svolge altresì una funzione delle opere esposte e dove è Le Cento Città, n. 44 stato possibile apprezzare la connessione di queste opere con i territori di riferimento, in quanto espressione della religiosità locale e, al tempo stesso, documenti della sapienza dei relativi ambiti manifatturieri. Gli oggetti esposti nella mostra sono riconducibili ad alcune grandi categorie funzionali: arredi, oggetti, tessuti, vesti, strumenti musicali. E’ importante notare come molti di essi riproducono oggetti di uso quotidiano: fra questi i più significativi sono quelli riferiti alla mensa ed alla sua funzione, come apparecchiare, illuminare, adornare facendo sempre riferimento alle insegne del Signore. E’ comunque lunga l’elencazione di oggetti ed apparati individuati: servizi per altare da viaggio o di parata, diverse tipologie di leggii o rivestimenti sovrapponibili alla legatura del libro liturgico, tronetti, tabernacoli, ombrellini, baldacchini, stampi per ostie, paramenti. Sono oggetti di uso comune che spesso ritroviamo nei dipinti che illustrano il sacramento dell’Eucaristia, il piatto per il pane, il bicchiere per il vino: la patena e il calice. La produzione di tali oggetti è da ascrivere prevalentemente ad ambiti artistici marchigiani e romani, in relazione ai particolari legami non solo culturali ma anche istituzionali che legavano le Marche a Roma. Focus principale della mostra nelle sue sette articolazioni è stato l’“altare”, Mensa del Signore, la tavola dove si rinnova la celebrazione del mistero dell’Eucaristia e dove sono stati collocati gli apparati liturgici più prestigiosi, quali il neoclassico servizio di altare in marmo di Carrara donato al Duomo di Ancona per l’altare della Madonna, o il paliotto del XVII secolo, donato ad Osimo dal senese Antonio Bichi quando fu vescovo della città, ed ancora, a Loreto, il corredo di altare di manifattura trapanese, donato nel 1722 in segno di devozio- Mostre 21 Simon Vouet, Ultima cena, XVII secolo (1629-1630), Loreto. Le Cento Città, n. 44 Maria Luisa Polichetti Ignoto Argentiere, Calice reliquiario di San Giacomo della Marca, seconda metà del XIV secolo, Diocesi di Jesi 22 Autore ignoto, Cassa dei sacri utensili, metà del XIX secolo, Pinacoteca Diocesana, Senigallia. Produzione marchigiana, Stampo per ostie elettrico, prima metà del XX secolo, Chiesa di San Lorenzo, Cupramontana. Le Cento Città, n. 44 Mostre 23 Ernst Van Schayck, Torchio mistico, fine del XVI secolo, Chiesa di Sant’Agostino, Matelica. Le Cento Città, n. 44 Maria Luisa Polichetti ne alla Vergine Lauretana dal principe Caracciolo di Avellino. Il luogo sul quale viene istituita l’Eucaristia è la tavolaaltare: Guglielmo Duranti nel XIII sec. scrive: “… quando un uomo ha l’altare, la mensa, il candelabro e l’arca possiede il tempio di Dio. E’ indispensabile che ciascuno di noi abbia questo altare su cui fare le offerte e spezzare il pane”. L’Ultima Cena di Simon Vouet, dipinto esposto a Loreto, raffigura Gesù che proteso sulla tavola, sulla quale si stagliano una coppa e un piatto contenente un agnello, offre il pane ad uno degli apostoli che appoggia il mento sulla patena. Uno degli apostoli protende una coppa contenente vino non ancora consacrato, verso la tavola, altare, dove avverrà il rito della consacrazione. Per la visione di quegli apparati liturgici che sono rimasti nei luoghi originali di conservazione, chiese, cappelle, monasteri, alcuni fin dall’origine connessi alla presenza di confraternite nate per il culto dell’Eucaristia, sono stati organizzati appositi “itinerari” che prendono idealmente inizio dalle sedi dei musei diocesani dove sono stati raccolti quegli oggetti per i quali era necessario assicurare la conservazione sia pure a prezzo di estraniarli dal contesto per il quale erano stati creati. Successivamente ed in concomitanza con lo svolgimento del Congresso Eucaristico il 2 Settembre è stata inaugurata ad Ancona, nella Mole Vanvitelliana, la grande mostra intitolata “Alla Mensa del Signore – Capolavori dell’arte europea da Raffaello a Tiepolo”, dove sono esposti circa ottanta oggetti di eccezionale interesse artistico riferiti al tema principale, quello dell’Ultima Cena, espresso nelle sue diverse articolazioni liturgiche: la celebrazione dell’Eucaristia e la 24 Comunione degli Apostoli. Il prestigioso edificio progettato da Luigi Vanvitelli, per usi sicuramente diversi da quelli espositivi, ha dimostrato ancora una volta e in maniera particolarmente significativa di essere il luogo ideale per eventi di tale genere grazie alla duttilità dei suoi ambienti, che possono accogliere al tempo stesso piccole o grandi mostre, oggetti di limitate dimensioni ma di particolare interesse come anche oggetti di grandi dimensioni e di forte impatto visivo, come nel caso specifico, rendendo possibili percorsi di visita che, pur nella complessità degli argomenti trattati, risultano particolarmente idonei per la comprensione dei criteri espositivi e per lo svolgimento della didattica. La mostra, che rimarrà aperta fino all’8 Gennaio 2012, è stata resa possibile grazie alla collaborazione di prestigiosi musei, che generosamente hanno prestato alcune delle loro opere riferite al tema specifico. La disponibilità dei Musei Vaticani ha consentito di ammirare opere d’arte antica e contemporanea, quali un elemento della predella della Pala Baglioni di Raffaello, raffigurante la Carità, e la Cena di Emmaus di Ardengo Soffici, un arazzo, su cartone di Leonardo, della manifattura romana del San Michele raffigurante l’Ultima Cena, da confrontare con l’arazzo, su disegno del Rubens, avente come tema l’Istituzione dell’Eucaristia, conservato nel Museo Diocesano di Ancona. Da Venezia provengono la grande tela del Padovanino illustrante Le Nozze di Cana, preludio all’Eucaristia, che insieme alla raffaellesca Carità apre la mostra; La comunione di Santa Lucia del Tiepolo, e l’Ultima Cena del Tintoretto. Ed ancora molti altri dipinti fra cui una Ultima Cena di Luca Signorelli, proveniente dagli Uffizi da affiancare a quella di Tiziano proveniente Le Cento Città, n. 44 da Urbino, a quella dipinta da Simon Vouet proveniente da Loreto. Molte di queste opere evocano l’opera più prestigiosa e significativa illustrante il tema dell’Eucaristia: l’Ultima Cena di Leonardo. Quella di maggior impatto emozionale è lo spettacolare cinquecentesco gruppo scultoreo proveniente dalla Basilica della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno, costituito da tredici sculture lignee che nel loro insieme ci restituiscono tridimensionalmente il dipinto leonardesco. Tale mostra offre la possibilità di poter ammirare un grande numero di opere d’arte, provenienti sia dalle Marche che da altre regioni italiane, aventi come temi principali l’istituzione dell’Eucaristia e la Comunione degli Apostoli, consentendo attraverso molteplici confronti un particolare apprezzamento estetico e godimento delle opere d’arte unitamente alla possibilità di comprendere nella maniera migliore il messaggio religioso che i diversi artisti hanno voluto trasmettere mediante pluralità di linguaggi. Un’esaustiva sezione di opere di Maestri del XX secolo, provenienti prevalentemente dalle raccolte vaticane, posta a conclusione della mostra ha l’obiettivo di approfondire lo spirito con cui gli artisti contemporanei si sono avvicinati al tema dell’Eucaristia. Il percorso espositivo costituito prevalentemente da dipinti ed arazzi viene arricchito da una prestigiosa raccolta di opere di oreficeria liturgica conservate nelle diocesi marchigiane, testimonianza al tempo stesso della sapienza manifatturiera delle scuole marchigiane e della generosa devozione dei diversi donatori. Mostre 25 Guercino a Fano di Alberto Berardi Una cosa mi ha stupito, nessuna tra le centinaia e centinaia di persone incontrate nei giorni della Mostra Guercino a Fano ha chiesto informazioni sul valore venale delle opere esposte. Un grande ed imprevisto esempio di civiltà. Come se la città grazie al grande pittore di Cento avesse recuperato la sua anima. Proprio così, mai prima si erano viste a Fano tante persone affollare emozionate una Pinacoteca ed esprimere un giudizio unanimemente positivo. Tremila visitatori nei primi dieci giorni. Oltre venticinquemila in totale. Si potrà dire che l’ingresso per volontà della Fondazione Cassa di Risparmio che l’aveva voluta, organizzata e gestita era gratuito, che lo splendido volume documentario sulla Mostra (oltre 1200 copie vendute) costava appena 15 euro destinati per giunta alla beneficenza, che l’intera città era coperta di stendardi che promuovevano l’even- to, che l’allestimento era appropriato, che i mezzi di informazione colsero subito il fascino del ritorno, dopo due secoli, dalla Francia del San Giovanni al fonte ma tutto questo non sarebbe sufficiente a spiegare quello che è avvenuto. Fano in quei giorni indimenticabili grazie a Guercino riconquistò davvero la sua anima. Quell’anima religiosamente estetica ed esteticamente religiosa per la quale il bello è divino. L’anima che per secoli aveva impre- Guercino a Fano tra presenza e assenza. ziosito le nostre chiese con opere immortali. ha sentenziato: “E’ l’insieme Si è aperta poi anche una curiosa gara su quale fosse che le rende belle, tutte belle”. la più bella tra le tre opere Belle ed affascinanti anche per esposte. Gara drasticamente la storia che si portano dietro: risolta da chi con sicurezza L’Angelo custode (1641), la pala La Pinacoteca San Domenico a Fano. Le Cento Città, n. 44 Alberto Berardi 26 L’Angelo Custode 1641 Pinacoteca Civica Malatestiana Fano. Le Cento Città, n. 44 Mostre 27 S. Giovanni Battista alla fonte 1661 - Museo Fabre di Montpellier. Le Cento Città, n. 44 Alberto Berardi 28 subito ritrovato grazie anche ad una taglia che la città profondamente offesa e subito mobilitata offrì a colui od a coloro che ne avessero permesso il recupero ed infine il “San Giovanni al fonte” (1661) commissionato dal conte Ghisilieri ed “estratto” dall’esercito repubblicano francese alla ricerca di capolavori nel 1797. Regalo della città a Napoleone insieme ad una splendida tela di Guido Reni, oggi al Louvre, che per recarsi a firmare la pace a Tolentino passò malauguratamente per Fano. Portato prima a Parigi, poi a Strasburgo, poi di nuovo a Parigi ed infine assegnato alla città di Montpellier da cui il Museo Fabre ha consentito il rientro temporaneo a Fano la città che lo aveva voluto ed ottenuto da Guercino in persona. Aperta in grande spolvero sabato 7 maggio nella chiesa di San Domenico la Mostra si è chiusa con grande emozione il 7 ottobre coinvolgendo altri luoghi di Fano San Sposalizio della Vergine, 1648, Pinacoteca San Domenico, proprietà Fondazione Cassa di (Duomo, Pietro in Valle, Risparmio di Fano. San Paterniano, Pinacoteca e Museo che emozionò tanto prima il vita negli U.S.A. ad un “Fano poeta inglese Robert Browning Club” ancora vivo ed operante civico) dando così vita ad una che la vide nella Cappella Nolfi presso l’Università di Waco, poi “Rassegna itinerario del ‘600” nella Chiesa di Sant’Agostino il magnifico “Sposalizio della potentemente influenzata da e ad essa dedicò una celebre Vergine” (1649), commissionato artisti emiliani. Una esperienza composizione poetica, poi i dalla nobile famiglia Mariotti e da ripetere nel 2012. Simone suoi estimatori dell’Università rubato nei primi del ‘900 dalla Cantarini detto il Pesarese di Yale fino al punto da dare Basilica di San Paterniano ma attende da secoli. Le Cento Città, n. 44 Mostre 29 La Biennale di Venezia e l’impresa sgarbiana del Duemila di Walter Scotucci La Biennale d’Arte di Venezia rappresenta da oltre un secolo il più importante appuntamento dell’arte contemporanea mondiale. Nella 54esima edizione ancora in corso, l’allestimento del’Padiglione Italia’ curato da Vittorio Sgarbi si è rivelato, anche nel giudizio di suoi tenaci oppositori, impresa geniale e di portata titanica. L’eccezionalità è legata sia alle idee che hanno ispirato le scelte espositive, sia all’enorme sforzo organizzativo ben evidenziato dalle numerose sedi e dall’incredibile numero di artisti coinvolti. L’edizione 2011 sarà dunque destinata ad essere tra quelle più lungamente ricordate. Il padiglione di Sgarbi è divenuto occasione per una vasta ricognizione dell’arte italiana dell’ultimo decennio, effettuata con lo scopo di cercare precoci segnali distintivi della nuova epoca. Il confronto tra padiglioni nazionali nella città lagunare ha dimostrato innanzitutto che la produzione mondiale è attualmente assai sbilanciata a vantaggio degli artisti italiani, in un rapporto di circa dieci a uno. L’Italia cioè, si conferma luogo privilegiato per l’arte e gli italiani un popolo dalla spiccata vena creativa. Da una stima necessariamente approssimativa, pare che nella nostra penisola lavorino oltre due milioni tra pittori, scultori, ceramisti, disegnatori, fotografi, ecc., dei quali ‘solo’ duemila risultano quelli selezionati in questa Biennale. Una ristretta élite, dunque, che va considerata come l’eccellenza di coloro che si collocano al di sopra la linea dell’esistente o della notorietà. Tra essi molte sono donna, spesso tra le più richieste e pagate. Tra Rinascimento e Settecento le artiste si contavano sulle dita di una mano in quanto alla donna veniva riservato per lo più il ruolo di musa ispiratrice. Tra Otto e Novecento signo- rine di buona famiglia iniziarono a prendere, oltre alle lezioni di cucito e di ricamo, anche quelle di disegno e di pittura, ma è solo verso la metà del secolo scorso che si manifesta la definitiva inversione di tendenza, che vede oggi le artiste forse già maggioranza. Misteri dell’evoluzione di un mestiere che per essere compreso, va inquadrato storicamente. All’epoca di Giotto infatti, gli artisti conosciuti potevano essere poco più di un centinaio, mentre al tempo di Caravaggio almeno quattro volte tanto. Attualmente invece ci sono milioni di creativi ed il loro problema principale è diventato quello di farsi un nome, ossia di diventare famosi, un po’ come avviene per i cantanti e per gli attori. Nell’affannosa ricerca di notorietà molti cadono nella rete di persone interessate più al profitto che alla cultura e nelle trappole di chi li sfrutta tendendo a condizionare forte- Fig. 1 - Venezia, Padiglione Italia all’Arsenale (fase di allestimento). Fig. 2 - Venezia, Padiglione Italia all’Arsenale (fase di allestimento). Le Cento Città, n. 44 Walter Scotucci 30 Fig. 3 - Venezia, Padiglione Italia all’Arsenale. mente il mercato. E’ per questa ragione che il padiglione Italia, chiamato da Sgarbi “L’arte non è cosa nostra”, si è posto come riflessione critica contro le ‘mafie’ rappresentate da galleristi e da critici senza scrupoli. A rendere più toccante il richiamo alla malavita, il curatore ha voluto inserire all’Arsenale, trasferendolo parzialmente da Salemi, il museo della mafia. In uno degli storici capannoni della laguna, trasformato per l’occasione in un’improbabile chiesa, fa da sfondo un’Italia insanguinata che incombe affissa su una grande croce. Nella mostra veneziana hanno esposto in totale quasi duecento artisti, ‘raccomandati’ non da galleristi né da critici, ma una volta tanto da uomini di cultura, scrittori, pensatori, espressioni alte del mondo del cinema, del giornalismo, della letteratura, della filosofia e della moda. Ad ogni ‘raccomandante’ il curatore ha chiesto di segnalare un nominativo di un pittore, di un fotografo, di un designer, di un ceramista o di un video artista. Sgarbi stesso si è autoescluso del ruolo di critico. Ed ecco allora corrispondere ad ogni opera, ad ogni istallazione, una didascalia non solo con il nome dell’artista, ma anche del suo segnalatore, ovvero di colui che si è preso la responsabilità di promuoverlo nella cerchia di quelli degni di notorietà. Dunque una selezione operata da tanti, riuniti in una Commissione presieduta da Emanuele Emmanuele, presidente della Fondazione Roma, che ha fatto autonomamente delle scelte. Fra i segnalatori, ricordo Bernardo Bertolucci, Oliviero Toscani, Alberto Arbasino, Mina Gregori, Paolo Mieli ed altri ancora. Si è voluto con ciò tentare una sorta di risarcimento del rapporto tra arte e intelligenza umana ed è stata questa la prima e importante novità della Biennale, ossia l’Arte collegata alla cultura piuttosto che alle logiche clientelari e di profitto, liberata da pregiudizi di critici che promuovono soltanto i propri protetti. Il secondo tema trainante dell’edizione 2011 è stato quello del concomitante anniversario dell’Unità d’Italia. Per celebrare degnamente la ricorrenza, a distanza di 150 anni dall’epopea garibaldina dei Mille, Sgarbi ha voluto proporre un altrettanto epica e unificante impresa, questa volta non in armi, ma nel segno della bellezza. Il risultato è stato una Biennale ‘diffusa’ su quasi tutto il territorio nazionale e portata fuori da Venezia mediante l’allestimento di padiglioni regionali, in un’operazione che ha finito per coinvolgere circa duemila artisti. In quasi tutte le regioni italiane infatti, in una Fig. 4 - Roma, Palazzo Venezia, giornata di inaugurazione del Padiglione regionale Lazio. Le Cento Città, n. 44 Mostre 31 Fig. 5 - Roma, Palazzo Venezia, giornata di inaugurazione del Padiglione regionale Lazio. o più sedi prestigiose (ben quattro in Emilia Romagna), a volte collegate ad episodi significativi del momento unitario come a Civitella del Tronto, un vero esercito di artisti, selezionati regione per regione, ha esposto i propri lavori. Per compiere un così impegnativo progetto, l’organizzazione (Arthemisia group) ha lavorato in collaborazione con gli assessorati regionali alla cultura, che a voler essere un po’ critici, sono risultati forse l’anello debole dell’impresa. Dai magazzini del porto vecchio di Trieste, alla palazzina Stupinigi a Torino, dall’albergo delle Povere a Palermo al Madre di Napoli, dall’Aurum di Pescara a tante altre sedi, è stata garantita una quasi totale copertura dell’italica creatività. Nelle Marche, ad esempio, il numero degli artisti selezionati è stato di un’ottantina di elementi. La prolificità dell’arte locale ha reso necessario l’utilizzo di due luoghi distinti, entrambi d’indubbio rilievo storico e culturale. Alla Mole Vanvitelliana, nel capoluo- go dorico, sono state esposte le opere di trentuno artisti e presso l’Orto dell’Abbondanza di Urbino, di altri cinquantadue. Quest’ultimo spazio, inaugurato per l’occasione e pertinente alle stalle del palazzo ducale, è un lungo corridoio disposto su tre livelli, restaurato e pensato per accogliere proprio eventi di arte contemporanea. Nonostante qualche polemica riguardante la selezione, la disposizione e l’illuminazione dei lavori, non sono mancati neppure nelle Marche i consueti bagni inaugurali di folla, indotti dalla presenza del critico ferrarese. Tra le tante problematiche sollevate, per la prima volta questa Biennale si è interessata agli artisti italiani che vivono all’estero e tra essi anche qualche marchigiano. Emigrati eccellenti che non avevano mai ricevuto la giusta considerazione perché considerati stranieri sia in patria sia fuori, questa volta hanno potuto esporre loro opere in ben ottantanove Istituti italiani di cultura e contemporaneamenLe Cento Città, n. 44 te essere presenti sugli schermi all’Arsenale. Simmetricamente, non poteva mancare a Venezia una sezione riservata agli artisti stranieri che abitualmente vivono ed operano in Italia. E ancora, Sgarbi Presidente dell’Accademia di Urbino, non poteva dimenticare i giovani talenti impegnati nel loro corso di studi ed ha perciò chiamato i direttori di venti Accademie italiane a segnalare duecento tra i più meritevoli allievi, riservando loro uno spazio alle tese di San Cristoforo. Dopo la chiusura dei battenti dei padiglioni regionali e di quello nazionale veneziano, la Biennale si concluderà a Torino il prossimo 17 dicembre con l’inaugurazione di un’ultima mostra, che rimarrà aperta fino al 30 gennaio, dedicata ad artisti indebitamente esclusi, quasi a volerli risarcire di non essere stati inseriti prima. Ad accogliere le produzioni della selezione finale sarà l’enorme spazio del padiglione Nervi che rappresenterà l’ultimo e forse il più pre- Walter Scotucci 32 Fig. 6 - Roma, Palazzo Venezia, Padiglione regionale Lazio. stigioso palcoscenico, di valore nazionale, come quello storico veneziano. Un padiglione Italia dunque composito e che si è rivelato una panoramica unica ed attualissima sull’arte contemporanea. Nel complesso ha messo in luce la moderna figura di artista dimostrando che egli è prima di tutto un individuo che ha una missione da compiere, ossia quella di scoprire il proprio talento, la propria identità. In quanto individuo è naturale che egli aspiri a essere conosciuto dagli altri, a uscire dalla sua sfera privata per stabilire un rapporto e un confronto. Da qui l’esigenza di mostrarsi, ossia di fare delle mostre. L’artista vien fuori anche come un privilegiato, perché l’arte è un momento di grande libertà espressiva, del pensiero e dell’anima. In un’epoca nella quale l’uomo viene visto per lo più nell’accezione di ‘lavoratore’ e di ‘consumatore’, con l’arte esce invece dagli schemi e realizza un vero e proprio piacere. Caso quanto mai unico, quella dell’artista è l’occupazione nella quale e piacere e lavoro perfettamente coincidono. Tra gli altri concetti emersi, quello che l’arte è sempre tutta contemporanea, perché dagli idoli cicladici, ai bronzi di Riace, dalla Tempesta di Giorgione al Cristo morto del Mantegna, le opere del passato continuano a dialogare con l’attualità e con l’uomo contemporaneo. Non è dunque provocazione il confronto tra Pistoletto e Tino da Camaino, o di altri maestri viventi con Piero della Francesca o Lorenzo Lotto. Ulteriore acquisizione è che ormai l’arte è divenuta ‘Estetica di sovrapposizione’, ossia sovrapposizione di linguaggi espressivi, di stili e di tecniche. Dalle arti visive alla musica, dal cinema alla letteratura, dalla tela al mezzo digitale si assiste ad una sorta di accavallamento che l’allestimento dell’Arsenale, curato personalmente da Sgarbi, ha anche pensato di richiamare proprio nel gioco di sovrapposizione delle opere stesse. Nel complesso, dunque, un padiglione Italia che ha tentato Le Cento Città, n. 44 di mettere in mostra, come in uno spaccato, quegli artisti viventi che negli ultimi dieci anni abbiano espresso una loro visione, in una sorta di mappatura dell’intero territorio nazionale. La storia dell’arte insegna che è sempre il primo decennio a incidere maggiormente e a caratterizzare il secolo che segue. Tra qualche anno sarà chiaro come questa edizione di fine primo decennio, potrà essere giudicata come un evento epocale perché tra le tante manifestazioni creative certamente non saranno sfuggite ai selezionatori quelle caratterizzanti il secolo a venire. Tutti gli artisti e le opere saranno riuniti in un catalogo che rappresenterà l’atto conclusivo dell’originale progetto, che diverrà una specie di almanacco dei protagonisti ‘più significativi. Garibaldi non l’abbia a male, ma questa volta, dopo un secolo e mezzo, mi pare sia stato ampiamente superato nei numeri da Vittorio Sgarbi: di poco in quello dei combattenti arruolati, di molto in quello delle eroine al seguito. La musica 33 L’Opera omnia di Giuseppe Giordani detto Giordaniello di Ugo Gironacci L’Italia, com’è noto, può van- locali un patrimonio unico e breve arco di quasi tre lustri a tare oggi, nonostante le nume- prezioso quale quello lasciato partire dal 1779 al 1796 tocrose spoliazioni, il più grande da Giuseppe Giordani detto cando città importanti per un giacimento di beni culturali al Giordaniello (Napoli, 19 dic. operista quali Firenze, Genova, mondo. Questa sua ricchezza 1751 - Fermo, 4 gen. 1798) al Torino, Milano, Modena, in molti casi rimane non ade- Capitolo Metropolitano. Bologna, Faenza (ne inaugurò guatamente valorizzata. Il varo Il maestro napoletano si il teatro con il Caio Ostilio nel del progetto di Opera omnia era formato nel prestigioso 1788), Venezia oltreché Roma da parte del Centro Studi Conservatorio di S. Maria di e Napoli. “Giuseppe Giordani’ di Fermo, Loreto a Napoli, insieme ai Nel 1789, reduce dal successo va salutato pertanto come una compagni di studi Domenico scaligero di La disfatta di Dario, di quelle iniziative di eccellenza Cimarosa e Niccolò Zingarelli, fu chiamato alla direzione della nel settore della ricerca scientifi- ottenendo nel 1774, per essere Cappella Musicale della Chiesa ca, volte all’individuazione, allo “uno dei migliori soggetti”, il Metropolitana di Fermo, incaristudio e alla valorizzazione delle posto di Maestro di Cappella co che ricoprì fino alla morte. Fu nostre fonti musicali e con esso sovrannumerario del Tesoro particolarmente attivo in ambito al recupero di importanti aspet- di S. Gennaro supplendo a regionale con gli allestimenti dei ti della nostra identità storica seguenti oratori: La morte d’AbeGennaro Manna maestro di capin contorni scientificamente più le (prima rappresentazione: Jesi, pella alla Cattedrale di Napoli definiti grazie all’apporto della sett. 1785; S. Elpidio a Mare, dal 1744 al 1779 anno della musicologia e della filologia Collegiata, 10 agosto 1790; morte e insegnante al suddetto musicale in particolare. Fermo, sett. 1790 per la riapertuIl Centro studi, sorto nel Conservatorio nel periodo 1755- ra del Teatro), La Distruzione di 2000, opera grazie al sostegno 61. La sua febbrile attività di Gerusalemme (Senigallia, Teatro determinante di Comune di compositore teatrale, esplicata condominiale, 1790; Fermo, Fermo, Fondazione Cassa di principalmente nei maggiori agosto 1791, per l’inaugurazioRisparmio di Fermo e Provincia centri del centro e nord Italia ne del nuovo Teatro), l’Isacco di Fermo e al patrocinio di irradiandosi principalmente da (Camerino, 1794; Macerata, enti qualificati nella ricerca Bologna, registra quasi quaranta Teatro de’ Nobili, 1795), Il titoli, oratori compresi, entro il quali Conservatorio di Figliuol prodigo (Ascoli, Musica “G.B. Pergolesi” Cattedrale, 1795), e la di Fermo, Archivio stoBetulia liberata (Ancona, rico Arcivescovile di teatro La Fenice, 9 maggio Fermo, Società Italiana di 1796; ripresa postuma a Musicologia, Deutsches Monterubbiano nel 1816 Historisches Institut di per celebrare, in maniera Roma, Istituto italiano per palesemente strumentale, la storia della musica. la “liberazione” dal giogo Il comitato di redazione francese ed il ritorno alla di Opera omnia è compoS. Sede). sto da Markus Engelhardt, Proprio la iniziale scheUgo Gironacci, Francesco datura del fondo musicale Paolo Russo, Italo della Chiesa metropolitaVescovo, Agostino Ziino. na di Fermo, per conto Questo progetto corodel RISM (Répertoire na lo sforzo più che venInternational des Sources tennale dei maestri Ugo Musicales) aveva evidenGironacci e Italo Vescovo, ziato la rilevanza del suo docenti al Conservatorio fondo autografo. di Fermo rispettivamenLa pubblicazione di te in Storia ed Estetica Otto arie sacre per soprano della musica ed Armonia ed organo (Fermo 1986) e contrappunto, volti a è stata la pietra miliare sottrarre alle brume delle dalla quale il lavoro semfumose rievocazioni campre più sistematico sul panilistiche e all’appros- Fig. 1 - Lamentazioni e Miserere, Editio major (Lucca, musicista partenopeo ha simazione degli agiografi edizioni LIM, 2009). preso avvio, soprattutto Le Cento Città, n. 44 Ugo Gironacci per la dovizia e puntuale disamina delle fonti, per lo più inedite: finalmente la nuova corretta data di nascita, le epigrafi funebri del latinista fermano Ignazio Guerrieri, l’elenco preliminare delle opere con la citazione puntuale delle fonti, gli atti di acquisizione del fondo Giordani da parte dell’Archivio Capitolare e le prime musiche edite (sette offertori e una lamentazione). Da qui sono stati operati da U. Gironacci e I.Vescovo, successivi scandagli della sua produzione con la riproposizione di alcune sue composizioni nell’ambito del Festival di Fermo. Per tutte è sufficiente ricordare l’esecuzione della grande Messa a 5 voci in Fa maggiore del 1788, per soli (SSATB), coro e orchestra, nella Sala dei Ritratti di Fermo il 18 luglio 1993. Alcune di queste sono approdate in registrazioni in CD. Nel 1995, grazie al sostegno della Regione Marche è stata incisa una delle opere più significative del maestro napoletano nata proprio per il Duomo di Fermo e tassello importantissimo della prassi vocale strumentale sacra nelle Marche legata alla produzione per voci soliste e organo: Lamentazioni e Miserere (Symphonia, 2CD: SY 94D31, Bologna 1995): Ensemble “Il Terzo Suono” (M. Pennicchi, soprano; J. Gall, controtenore; G.P. Fagotto, tenore; F. Zanasi, basso), M. Raschietti, organo. Ricordiamo che le nostra regione annovera più di 700 strumenti storici ma manca la letteratura specifica che veniva eseguita su questi strumenti: gli organi non erano strumenti meramente solistici, ma principalmente strumento di supporto e dialogo concertante con le voci soliste, per lo più Soprano, Contralto, Tenore e Basso. Dunque il quartetto vocale di solisti unito all’organo era l’organico tipico delle nostre cappelle quando non fosse disponibile per varie ragioni l’orchestra generamente formata da archi, due oboi e due corni. Infatti le nostre cantorie possono logisticamente ospitare solo un organico di questo tipo con gli evirati cantori a disimpegnare i ruoli di soprano e 34 contralto. Tale formazione garantiva così nel contempo qualità, fascino belcantistico e decoro al servizio liturgico. Questo lavoro apriva dunque, nel 1995 una finestra su un panorama decisamente nuovo, inesplorato e sconosciuto. L ’ a n n o seguente è la volta di Le tre ore di Agonia di N.S.G.C. (Fermo 1793), il lavoro più fortunato di Giordani, per essere disperso in numerose copie in Fig. 2 - Presunto ritratto di Giuseppe Giordani (New York diverse biblio- Public Library, Joseph Muller Collection). teche euroalla sua opera e al suo entourapee. Grazie alla sensibilità ed al sostegno ge artistico. Fatto curioso, ma di MacerataOpera nella per- eloquente del positivo riscontro sona del suo sovrintendente di questa composizione devoClaudio Orazi e al Centro dei zionale, è dato anche dall’esiBeni Culturali diretto da Mario stenza di un libretto relativo ad Canti sono stato riproposte per un suo allestimento a Dresda, la prima volta in epoca moder- in un Dilettanten-Concert, il 20 na nella Chiesa di S.Filippo il marzo 1807 preceduto sorpren19.7.1996 e incise: Le tre Ore dentemente nella prima parte di Agonia di N.S.G.C., Credo, da una Grosse Sinfonie von van Due canzoncine per i Venerdì di Beethoven. Nel 1998, sempre nell’ambiMarzo (Arts Music, CD 47373, Hamburg 1997): Ensemble “Il to di MacerataOpera, è stata Terzo Suono” (M. Pennicchi, allestita la Passio secundum soprano; J. Gall, controteno- Johannem (frutto del servizio re; G.P. Fagotto, tenore; C. napoletano di Giordani), nella Lepore, basso), Academia Montis chiesa di S.Maria delle Vergini Regalis, direttore G.P. Fagotto. di Macerata, con regia di Allì Nell’occasione fu condotta Caracciolo, che, èmula delle stuun’indagine sulle fonti della pra- pefacenti invenzioni degli scetica devozionale delle “Tre ore” nografi settecenteschi, agghindò nelle Marche, confluita poi nel ed atteggiò il coro in maniera lavoro della musicologa tede- da evocare l’incanto delle statusca e docente all’Università di ine in porcellana capodimonte. Amburgo Magda Marx-Weber Proprio per questo rimane il (Giuseppe Giordani Vertonung rimpianto di non aver realizzato der ‘Tre ore di agonia di N.S.G.C.’, un DVD di quella splendida 1997) che, in maniera molto sti- iniziativa. Anche questo lavomolante, ravvisava nell’opera di ro è stato inciso da una prestiGiordani, stilemi del cosidetto giosa casa francese specializza“stile sensibile” (Empfindsamer ta in musica antica: Passio per Stil) di Carl Philipp Emmanuel il venerdì Santo (1776), Opus Bach, che si pensava circoscritto 111 (2 CD: OPS 30 - 249/250, Le Cento Città, n. 44 La musica Parigi 1999): M.J. Trullu, alto; A. Hermann, soprano; C. Lepore, basso; Ensemble vocale di Napoli; Academia Montis Regalis, direttore A. De Marchi. La bontà artistica testimoniata dai suddetti tre allestimenti ha finalmente evidenziato l’urgenza di rendere disponibili in edizione critica le opere di Giordani perché chiunque volesse, potesse riproporle. Ecco che nel 2000 è stato fondato il Centro studi Giuseppe Giordani per opera di Gironacci, Vescovo e Emilio Tassi, direttore dell’Archivio storico arcivescovile, al fine di valorizzare la figura del Nostro e di quanti musicisti sono legati al territorio fermano. Ben presto è stato cooptato nel progetto Francesco Paolo Russo, musicologo affermato e Bibliotecario del locale Conservatorio. L’Opera omnia è stata inaugurata dal Veni sponsa Christi - Antifona, a cura di Ugo Gironacci e Italo Vescovo (Lucca, LIM, 2006, Serie I/I, xxiv + 20 pp.) e seguita dai Tantum ergo I e II in Mi bemolle maggiore - Inni, a cura di Francesco Paolo Russo (Lucca, LIM, 2007, Serie I/ II, xxvii + 108 pp.). Ora finalmente è uscito l’impegnativo terzo volume Lamentazioni e Miserere, Editio major a cura di Ugo Gironacci e Italo Vescovo (Lucca, LIM, 2007, Serie I/ III, xlii + 225 p; Fig. 1). Nel frattempo nei giorni 3-5 ottobre 2008 si è tenuto al Conservatorio Statale di Musica di Fermo il convegno internazionale di studi su La figura e l’opera di Giuseppe Giordani (Napoli 1751 - Fermo 1798) con l’intervento di accreditati musicologi italiani e stranieri ed inaugurato dalla lectio magistralis di Franco 35 Fig. 3 - G. Giordani, Le Tre ore di Agonia di N.S.G.C. (partitura autografa: c. 1r). Piperno dell’Università di Roma La Sapienza. L’occasione ha anche incidentalmente prodotto il rinvenimento, da parte dello studioso veneto e convegnista Giovanni Polin, di un acquarello ottocentesco con un primo e presunto ritratto di Giordani, conservato nella Muller collection della New York Public Library e forse tratto da una immagine preesistente ma a noi a tutt’oggi sconosciuta. In calce al nome si legge «Battaglia pinxit» e nell’ovale il nome di «E. Fiorentino» (Fig. 2). Last but non least il rinvenimento nel 1988 e l’acquisizione, da parte del Conservatorio e grazie al sostegno lungimirante della Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, dell’autografo di Giordani di Le tre ore di Agonia di N.S.G.C. (Fig. 3), contumace da sempre, ha coronato uno sforzo di sensibilizzazione e di tenace ricerca ormai trentennale. Le Cento Città, n. 44 Ora, in attesa della prossima pubblicazione degli Atti, continua la programmazione dell’Opera omnia con il successivo IV volume che ospiterà il “grandioso” Te Deum che Giordani scrisse nel 1788 per i festeggiamenti centenari della Madonna del Molino di Lugo di Romagna che aveva protetto la città dal disastroso terremoto del 1688. E’ un articolato lavoro per quattro voci soliste, coro e orchestra, con l’intervento di oboe, clarinetto e fagotto concertanti. Prosegue così l’indagine sul Giordani sacro in attesa di avviare anche il settore degli oratori e delle opere, mentre continua l’attività di individuazione del suo materiale librario e documentale disperso. In fin dei conti noi oggi facciamo con le nostre fonti musicali ciò che la musicologia tedesca ha sistematicamente operato a partire da metà Ottocento a tutto il secolo scorso. Libri ed eventi 37 di Alberto Pellegrino Lo Sferisterio Opera Festival 2011 e la Stagione Lirica di Jesi Così fan tutte La messa in scena di Così fan tutte di Mozart con la regia, le scene e i costumi di Pier Luigi Pizzi, deve essere considerata la “perla” dello Sferisterio Opera Festival perfettamente incastonata nella settecentesca cornice del Teatro Lauro Rossi di Macerata. Lorenzo Da Ponte avevano già affrontato per Mozart il tema dell’amoredesiderio nelle Nozze di Figaro (1786) e il tema dell’amoreseduzione nel Don Giovanni (1787), quando nel 1790 la trilogia viene completata da Così fan tutte, un’opera che ha goduto fino al secondo Novecento di minore popolarità probabilmente per l’assenza di personaggi carismatici come Figaro e Don Giovanni. Essa presenta al contrario un fascino particolare per la coralità del gioco erotico e crudele che coinvolge i quattro amanti, per il cinismo di Don Alfonso, per l’astuzia popolaresca e un po’ perfida della servetta Despina. Il titolo completo dell’opera Così fan tutte o sia La scuola degli amanti, che rimanda a un celebre tema di Molière, può suggerire la chiave eroticogiocosa per meglio comprendere l’originalità di un libretto che apparentemente si rifà ai tradizionali personaggi dell’opera buffa italiana, ma in realtà ne sconvolge la personalità, perché essi diventano le pedine di un gioco di società dalle venature “antiborghesi”. L’opera presenta infatti una sua “pedagogia erotica” di ispirazione massonica e illuministica rappresentata dal personaggio di Don Alfonso che si propone di educare gli altri a non farsi illusioni sulle virtù e sulle debolezze umane, ma nello stesso tempo a provare indulgenza ed a fare affidamen- to sulla Ragione per non essere dei giocattoli nelle mani di Eros, affrontando la vita con olimpico distacco. Pier Luigi Pizzi, seguendo questa chiave di lettura, ha costruito un perfetto “meccanismo a orologeria”, puntando a sottolineare l’ambiguità e la fragilità dei sentimenti umani, il cinismo di Don Alfonso, i fremiti di una sensualità repressa che circolano sottotraccia nella partitura e nel libretto, per cui la componente erotica appare dominante e inarrestabile con situazioni di totale abbandono alla passione dei sensi, con ammiccamenti e toccamenti che coinvolgono i quattro amanti presi dal gioco perverso di Don Alfonso (magistralmente interpretato da Andrea Concetti), che alla fine costringe tutti a recuperare la ragione. Pizzi ha collocato l’opera in una struttura architettonica e paesaggistica d’impronta razionalistica che esalta le geometrie sentimentali e i ritmi serratissimi della vicenda: una spiaggia con sabbia e rocce, una bianchissima villa con due terrazze e tre porte-finestra, destinate a favorire un serrato gioco di apparizioni, di fughe e di convegni amorosi; una luminosità mediterranea che svaria dall’accecante splen- Fig. 1 - Sferisterio Opera Festival. Così fan tutte di Wolfgang Amedeus Mozart. Regia di Pierluigi Pizzi. Le Cento Città, n. 44 Alberto Pellegrino dore meridiano fino toni azzurri della sera. Al pari impeccabili sono apparsi i costumi perfettamente graduati e assemblati sotto il profilo cromatico. Un Ballo in maschera in stile postkennediano La creatività di Pier Luigi Pizzi è riuscita a trovare per questo Ballo in maschera di Verdi soluzioni lineari ed efficaci, sacrificando solo in parte quell’affascinante commistione romantica di amore e tragedia, passione e ironia di questo complesso “dramma musicale” verdiano, composto nel 1859 su libretto di Antonio Somma tratto dal dramma Gustave III, ou bal masqué di Eugène Scribe. Verdi, che decide di trasferire la vicenda di Gustavo III (personaggio storico veramente assassinato durante un ballo di corte nel 1792) dalla Svezia alla colonia inglese di Boston retta dal governatore Conte Riccardo, crea un’opera a forti tinte con un connubio “shakespeariano” di amori infelici e di ironia, rinnovando le convenzioni del melodramma all’italiana e gettando uno sguardo all’opera francese, da cui deriva la brillantezza della partitura: si pensi al galop che chiude il primo atto, al ritmo di tragica mazurka che accompagna l’addio fra i due innamorati, all’impiego di un soprano leggero per la parte del paggio Oscar. L’intera vicenda poggia sull’infelice amore di Riccardo e Amelia; sul dramma di Renato che si sente tradito dalla moglie e dall’amico; sul suo desiderio di vendetta che lo spinge ad assassinare il governatore; sulla congiura ordita dai nemici del governatore; sul supremo addio all’amore e alla vita di Riccardo prima di andare incontro alla morte. Pier Luigi Pizzi sceglie la strada dell’attualizzazione della vicenda in epoca post-kennediana con la presenza di ufficiali chiusi nelle loro impeccabili divise, di borghesi in panama bianco, di eleganti signore che sfoggiano grande cappelli e abiti dai colori sontuosamente armonizzati, mentre tra i bianchi divani e le poltrone dello 38 studio del governatore si muove un Oscar trasformato in una solerte segretaria pronta ad accogliere Riccardo che fa il suo ingresso in scena su una squillante auto rossa. L’antro dell’indovina diventa un asettico talk show televisivo, dove Ulrica predice il futuro dinanzi a un plaudente pubblico femminile. Ma la scena più suggestiva è l’ “orrido campo ove s’accoppia al delitto la morte”, dose s’incontrano Amalia e Riccardo mentre intorno a loro, tra una colonnina di benzina e cumuli di vecchi copertoni, si muovono avvolti nella nebbia prostitute, tristi figuri e tossicodipendenti; altrettanto efficace è il gioco spietato delle torce elettriche impugnate dai congiurati che concentrano i loro raggi sulla disperata Amalia. Si ritorna quindi in un interno borghese per la resa dei conti fra Amalia e Renato, per l’incontro fra i congiurati e sfogo violento e appassionato di Renato (“Eri tu che macchiavi quell’anima”); quindi tutto si conclude nel clima mondano e “congelato” di una festa danzante dove il governatore trova la morte. L’intera scena è sovrastata da tre grandi schermi su cui sono proiettate “in diretta” le azioni che si svolgono sul palcoscenico, un’idea particolarmente suggestiva con queste immagini rigorosamente in bianco e nero che richiamavano il cinema statunitense degli anni Cinquanta, grazie alla regia video di Vittorio Ricci e Luca Longarini che hanno sottolineato la forza dei sentimenti attraverso primi e primissimi piani, piani medi ed espressivi controluce. Interpreti di valore e una sugge- Fig. 2 - Sferisterio Opera Festival. Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi. Regia di Pier Luigi Pizzi. Le Cento Città, n. 44 Libri ed eventi stiva cornice per Rigoletto E’ ritornato allo Sferisterio dopo qualche anno un bel Rigoletto interpretato da una cast di buon livello formato dal tenore spagnolo Ismael Jordi (un credibile Duca di Mantova), da Giovanni Meoni, un “baritono nobile” all’italiana con un fraseggio elegante e un’efficace presenza scenica; il soprano Desirée Rancatore, una Gilda dotata di tecnica raffinata e di un’emissione canora sempre intensa nei volumi. L’Orchestra Regionale delle Marche e il Coro Lirico Marchigiano Bellini hanno fornito una valida prova grazie alla magistrale direzione del giovanissimo Andrea Battistoni. Massimo Gasparon, che ha firmato regia, scene e costumi, ha collocato l’azione con quattro luoghi ruotanti (un interno 39 rinascimentale con affreschi alla Veronese per il Palazzo Ducale; un esterno e un interno della casa di Rigoletto; un interno della casa di Sparafucile). Ha fatto poi una precisa scelta stilistica, suddividendo i personaggi in due gruppi: la massa dei cortigiani costretti nei costumi in maschera per sottolineare la loro condizione di annoiati servitori del potere; i protagonisti che indossano abiti ottocenteschi. Al centro della vicenda è stato giustamente collocato Rigoletto, il quale ha indossato nella vita quotidiana una rigorosa e impiegatizia redingote blu che viene sostituita, quando ricoprire il ruolo del buffone, con l’abito bianco e la maschera di Pulcinella a ricordare i celebri “Pulcinella acrobati” disegnati dal Tiepolo nel XVIII secolo. Purtroppo questo Fig. 3 - Sferisterio Opera Festival. Rigoletto di Giuseppe Verdi. Regia di Massimo Gasparon. Le Cento Città, n. 44 Rigoletto-Pulcinella non conosce i frizzi e l’ironia del suo collega napoletano, ma diventa la tragica maschera dell’odio, della mancata vendetta e del dolore per la perdita dell’unico essere amato. Questa edizione del Rigoletto, coprodotto dalla Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, fa parte del cartellone della 44^ Stagione lirica del Teatro Pergolesi, sempre con l’allestimento di Massimo Gasparon ma con un diverso cast di interpreti andrà in scena il 25/26/27 novembre. L’altro titolo in programma è L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti diretto da Roberto Polastri con la regia di Italo Nunziata, scene e costumi di Pasquale Grossi (21/22/23 ottobre). Lo frate ‘nnamorato ritorna a Jesi con un nuovo allestimento E’ ritornato sul palcoscenico del Teatro Pergolesi Lo frate ‘nnamorato di Giovanni Battista Pergolesi (30 settembre/2 ottobre) in un nuovo allestimento la cui esecuzione è stata affidata al complesso Europa Galante diretto da Fabio Biondi. L’opera è stata interpretata da un ottimo cast formato da Simone Alaimo (un efficace Marcaniello), Lucia Cirillo (Ascanio), Patrizia Biccirè (Nena), Jurgita Adamonyte (una convincente Nina), Barbara Di Castri (Lugrezia), David Alegret (Carlo), Laura Cherici (Vannella), Rosa Bove (Cardella) e Filippo Morace (un ironico Don Piero). La vicenda ruota intorno a due famiglie che combinano unioni matrimoniali senza tener conto dei sentimenti dei rispettivi interessati: Carlo intende maritare le due nipoti Nina e Nena con il ricco Marcaniello e suo figlio Don Piero, mentre lui si propone di sposare Luggrezia, la figlia dell’anziano signore. Le tre fanciulle sono però tutte innamorate di un bel giovane cresciuto in casa di Marcaniello di nome Ascanio, il quale prova sentimenti amorosi per Nina e per Nena senza riuscire a fare una scelta. Nina liquida senza tante cerimonie Marcaniello mentre Nena ripudia Don Piero sorpreso a cor- Alberto Pellegrino teggiare la servetta Vannella. La situazione sembra essere arrivata a un punto morto, quando sopraggiunge il colpo di scena con relativa agnizione: Carlo, che ha ferito Ascanio in duello perché lo ritiene responsabili del falliti matrimoni, riconosce in lui il nipote Lucio, rapito fanciullo dai briganti e fratello di Nina e Nena. Chiarito ogni equivoco, Ascanio può sposare Luggrezia, mentre Carlo, Marcaniello e Don Piero dovranno cercare di fare altri matriomni. Opera fondamentale nell’ambito della commedia per musica, Lo frate ‘nnamorato è la prima composizione di Pergolesi, che nel 1732 aveva soltanto ventidue anni. In una Napoli, considerata in quel momento la capitale del mondo musicale, l’opera rappresenta un’idea nuova di teatro in musica, in cui si abbandona il tardo melodramma barocco per puntare sulla vivacità del testo e della musica che presenta una trasparente semplicità sul piano armonico e una decisa prevalenza delle voci sull’orchestra. Vi appare inoltre evidente anche una certa predilezione per il ruolo del soprano, come è dimostrato dal rilievo dato alle arie di Luggrezia, Ascanio e Vannella, alla splendida aria di Nena Va solcando il mar d’amore, in cui la voce umana dialoga con la linea melodica del flauto solista, consentendo a Pergolesi di trovare delle soluzioni musicali collegate alle immagini del testo con abbellimenti vocali e affascinanti passaggi flautistici. Questa edizione jesina si è mostrata valida sotto il profilo musicale per l’efficace “impasto” di voci- strumenti e per i diversi passaggi comici molto graditi dal pubblico. Nel complesso lo spettacolo è risultato godibile grazie alle soluzioni registiche dell’argentino Willy Landin, il quale ha abbandonato le eleganti mollezze del rococò per trasferire la vicenda in una Napoli degli anni Cinquanta che fa rivivere le atmosfere di Eduardo De Filippo e dell’Oro di Napoli di Marotta. L’intera vicenda è stata ambientata in un quartiere popolare antistante una piazzetta con 40 i panni stesi al sole e luminarie stile Piedigrotta, con azioni collocate negli interni, sui balconi e le finestre delle case che si affacciano sulla piazza stessa. Non è mancato nemmeno qualche coup de théatre come la scena d’apertura dove Martuscello fa il “guardone”, occhieggiando una bella e discinta fanciulla nella finestra di fronte; l’arrivo in Vespa del vanesio Don Piero; la bella scena quasi danzata in un classico caffè napoletano, mentre fuori cade la pioggia, con Vannella che canta la celebre aria Chi disse ca la ffemmena. fonte fotografica Foto Bici - Jesi Una splendida edizione dell’Elisir d’amore a Jesi Questo Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, andato in scena il 21-22-23 ottobre al Teatro Pergolesi, è un piccolo gioiello incastonato nella 44^ Edizione della Stagione Lirica jesina. Si tratta di un’edizione destinata a rimanere negli annali della Fondazione Pergolesi come esempio di un allestimento di valore senza fare ricorso a presenze divistiche, ma facendo ricorso a giovani cantanti che senza toccare punte di eccellenza hanno dato con le loro interpretazioni omogeneità stilistica all’intera opera, fornendo nello stesso tempo un’ottima prova di recitazione. Il soprano australiana Angela Brun, vincitrice di numeri concorsi internazionali, ha debuttato nel ruolo di Adina, fornendo una prova piena di grazia e di coloriture. Il giovane tesone cinese Yijie Shi, che avevamo già ammirato a Jesi ne Il viaggio a Reims, si Fig. 4 - Stagione lirica del Teatro Pergolesi. Lo frae ‘nnamorato di Giovan Battista Pergolesi. Regia di Willy Landin. Le Cento Città, n. 44 Libri ed eventi è rivelato ancora una volta un buon interprete del repertorio rossiniano e donizettiano, riscotendo un personale successo nella celebre “Una furtiva lacrima”. Il baritono coreano Julian Kim è entrato alla perfezione nelle vesti del sergente Belcore non solo con un’apprezzabile estensione vocale, ma con una recitazione piena di ironia e sorretta da un’ottima gestualità. Infine il giovane baritono Mattia Olivieri ha brillato nella parte di Dulcamara per presenza scenica e raffinate qualità recitative. Buona anche l’interpretazione del Coro Lirico Marchigiano Bellini che ha “tenuto” la scena con una calzante presenza sorretta da ottimi movimenti di massa. La conduzione del M° Roberto Polastri non è risultata sempre omogenea, lasciando che l’orchestra in determinati “pieni” finisse per sovrastare i cantanti con un certo danno per l’interpretazione. Di alto livello invece la “perfetta” regia di Italo Nunziata che ha letto con fantasia il bel libretto di Felice Romani e lo sparito di Donizetti. Egli ha preso lo spunto dai versi di Metastasio “Sogni e favole io fingo: e pure in carte/Mentre favole e sogni orno e disegno”, per allestire una fiaba moderna all’interno di una “scatola magica” che ha consentito di ottenere effetti “bidimensionali” e “tridimesionali”, richiamando nello stesso tempo la scuola napoletana del Settecento a cui Donizetti in quest’opera si riallaccia per superare l’impasse rossiniana, ma nello stesso tempo adottando un linguaggio che immetteva nell’opera comica una componente melodica del tutto nuova. Lo spettacolo, aperto e chiuso in senso circolare dalla figura “magica” di Dulcamara, ha messo in mostra una sua precisa cifra di eleganza sia nei passaggi comici che in quelli sentimentali, perfetti sincronismi nei movimenti, una recitazione curata nei minimi particolari con degli efficaci “colpi di teatro” come 41 Fig. 5 - Stagione lirica Teatro Pergolesi. L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti. Regia di Italo Nunziata. la scatola magica contenente Adina nella Barcarola a due voci della bella gondoliera e del vecchio senatore. Particolarmente efficace il progetto luci dell’americano Patrick Latronica, come sono risultati molto belli ed eleganti i costumi ispirati al primo decennio del Novecento disegnati da Pasquale Grossi con perfette tonalità cromatiche Le Cento Città, n. 44 giocate sui toni del blu, del celeste e dell’avana. Ancora Grossi è stato l’autore delle splendide scene, anch’esse sui toni del blu e dell’avana, ispirate ad alcune grandi tele del pittore finlandese Hannu Palosuo. Una messa in scena perfetta che si spera possa circolare in altri teatri per non circoscrivere a Jesi il godimento di questa opera-giolello. Alberto Pellegrino Il Lavoro Editoriale in versione digitale Circa cento titoli del catalogo storico della casa editrice Il Lavoro Editoriale on line, ventidue guide ad altrettante località turistiche delle Marche, oltre quaranta storie dei Comuni marchigiani e tutte le opere edite dalla Deputazione di Storia Patria per le Marche dal 1957. E’ il frutto del progetto realizzato da Il Lavoro Editoriale, casa editrice diretta da Giorgio Mangani, in collaborazione con la Regione Marche. In sostanza, il ricco catalogo della casa editrice è ora disponibile, oltre che in versione cartacea, in versione digitale ed è possibile leggere tutti i testi sui dispositivi più moderni (e-book 42 reader e tablet). Inoltre, il sito della casa editrice è stato rinnovato (http://www.lavoroeditoriale.com) ed oltre ai testi digitali è possibile anche acquistare i volumi in edizione cartacea. Si tratta di un significativo connubio tra tradizione e innovazione che dà la possibilità di poter aver a portata di clic il patrimonio della casa editrice che è fondamentale per la conoscenza e la comprensione della cultura marchigiana. “Questo intervento – ha detto l’assessore regionale Pietro Marcolini che è intervenuto alla presentazione dell’iniziativa – è servito non solo a consolidare un’esperienza editoriale di prestigio ma anche a spiegare la strategia politica regionale a sostegno delle piccole e medie imprese del settore cultura, che si rivela altamente vitale e che nonostante la crisi riesce ad esprimere la volontà di contribuire allo sviluppo sociale ed economico dell’intera comunità. Quello della cultura – ha concluso l’assessore – è un mondo che non si sente imbarazzato nel confronto con le attività economiche più tradizionali e, nonostante la crisi, dimostra di essere in costante espansione”. La conferenza stampa di presentazione: con Giorgio Mangani l’Assessore regionale alla Cultura Pietro Marcolini. Foto Rillo. La pubblicazione de Le Cento Città avviene grazie al generoso contributo di Banca dell’Adriatico, Banca Marche, Carifano, Carisap, Co.Fer.M., Fox Petroli, Gruppo Pieralisi, Santoni, TVS, Umani Ronchi Le Cento Città, n. 44 Vita dell’Associazione 44 Visite e Convegni di Giovanni Danieli Mercoledì 22 luglio 2011 Portonovo di Ancona: Assemblea dei Soci Domenica 25 settembre 2001 Alta Valle del Foglia: Carpegna, Sassocorvaro Presso l’Auditorium dell’Hotel la Fonte Excelsior si è svolta l’Assemblea estiva dell’Associazione caratterizzata, come sempre, dal termine di un mandato presidenziale e dall’inizio di uno nuovo. La relazione conclusiva è stata quindi svolta da Maria Luisa Polichetti, che ha sintetizzato le tappe principali di uno straordinario anno societario, ricco, come mai, di numerosi e ben riusciti eventi, tutti finalizzati a far conoscere le Marche e ad esaltarne le eccellenze. Le tappe di questo cammino sono riportate nell’allegata tabella. Ha successivamente preso la parola il neo-presidente Ettore Franca, che ha assicurato la continuità del progetto avviato dal suo predecessore, ricercando prevalentemente, nell’occasione, le eccellenze regionali nell’ambito dei prodotto enogastronomici. Il programma prevede cinque itinerari storico artistici in altrettante valli regionali, alta valle del Foglia, valle del Metauro, valle del Cesano, valli del Chienti e del Potenza, valle del Tenna, e l’incontro con cinque prodotti tipici, il prosciutto di Carpegna DOP, l’Olio di oliva “Cartoceto DOP”, la casciotta di Urbino DOP, le olive ascolane DOP e il ciauscolo IGP. Nel programma anche due importanti Congressi, il primo di interesse nazionale sulla Green Economy, il secondo che continua la serie di Convegni svolti in collaborazione con la Facoltà di Medicina dedicato alla storia della sanità marchigiana. Il viaggio del prossimo anno consisterà nella visita della Croazia e dell’Istria. La presidenza di Ettore Franca si è inaugurata con la visita dell’alta Valle del Foglia, nell’obbiettivo di continuare a “conoscere le Marche” cercando di scoprirne altre bellezze ed entrando nel vivo della realtà dei prodotti di eccellenza. Si è iniziato con la visita dello stabilimento “Carpegna prosciutti” dove circa 200.000 “pezzi”, a turno, meditano all’aria di montagna almeno per 18 mesi prima di prendere le strade del mondo, nobilitati dal riconoscimento europeo della DOP, uno degli unici tre della Regione. Ha fatto seguito la visita della cittadina di Carpegna, capoluogo del Montefeltro, e del palazzo seicentesco tuttora abitato dai Conti di Carpegna, famiglia tra le più antiche e blasonate d’Italia, dalla quale derivarono i Malatesta, i Montefeltro e i Della Faggiola. Si passò quindi alla visita della Pieve, uno degli edifici ecclesiastici più antichi nel territorio del Montefeltro, chiesa d’epoca carolingia che fa supporre la sua fondazione nei secoli IX- X. Infine il pranzo “da Silvana” con numerose tipicità marchigiane. Nel pomeriggio, visita di Sassocorvaro e della imponente e perfettamente conservata rocca opera di Francesco Di Giorgio Martini, opportunamente definita Arca dell’Arte perché custodì durante la seconda guerra mondiale moltissime opere provenienti da vari musei e gallerie d’Italia. Purtroppo per uno di quegli imprevedibili accadimenti, è “saltata” la visita al Convento di Montefiorentino che, se possibile, potrà essere ricalendarizzata. Le Cento Città, n. 44 Domenica 20 novembre 2011 Valle del Cesano: Villanova di Montemaggiore, Corinaldo, San Lorenzo in Campo Il secondo itinerario organizzato dal presidente Ettore Franca si è svolto lungo la valle del Cesano ed è stato dedicato, come il primo, all’eccellenza dei prodotti della gastronomia marchigiana e alla scoperta dei tesori artistici della Regione. Per il primo punto, a Villanova di Montemaggiore, è stato possibile visitare il caseificio “Valmetauro - Fattorie Marchigiane”, uno dei siti eccellenti di produzione della Casciotta d’Urbino DOP; siamo stati accolti e seguiti dal direttore dottor Paolo Cesaretti, e sono stati particolarmente graditi l’assaggio dei prodotti della casa e gli omaggi riservati ai Soci. Successivamente visita di Corinaldo, delle sue mura e del Santuario con le tele di Claudio Ridolfi, visita che ha avuto in Grazia Calegari una presentatrice d’eccezione ed infine la presa visione della Chiesa di Madonna del Piano, nella località omonima dell’antico monastero di Santa Maria in Portuno. Il pranzo ha avuto luogo in un altro santuario, questa volta della gastronomia regionale, e non solo, il Ristorante “il Giardino” di San Lorenzo in Campo, accolti da Massimo Biagiali che ha preparato un menù particolare per Le Cento Città. La visita della chiesa romanica di San Lorenzo in Campo, dell’importante Museo archeologico del territorio di Suasa e di quel piccolo gioiello che è il Teatro “Tiberini” hanno concluso il pomeriggio culturale di una giornata nella quale si è riusciti a coniugare, come d’abitudine, arte, cultura, gastronomia e paesaggio marchigiano. Vita dell’Associazione 45 Eventi 2010-2011 Presidente Maria Luisa Polichetti 19 Settembre 2010 Conoscere Le Marche - La valle del Metauro: Mercatello sul Metauro (Chiesa di S. Francesco e Museo) e Sant’Angelo in Vado (Casa del Mito). 7 Ottobre 2010 Agricoltura - Incontro con Massimo Bernetti, visita all’Azienda Umani Ronchi (interventi di Massimo e Michele Bernetti, Natale Frega e Alberto Mazzoni). 29 Ottobre 2010 Impresa - Convegno “L’eccellenza dell’Impresa marchigiana” - Sala del Rettorato, Ancona in collaborazione con “Il Paesaggio dell’Eccellenza”. (Relazione introduttiva di M. Moroni, Interventi di G. Bertozzini, L. Brandoni, G. Casali, E. Loccioni, G. Pieralisi, A. Santoni, Moderatore M. Montemaggi, relazione conclusiva C. Cangiotti). 7 Novembre 2010 Conoscere le Marche - San Severino, mostra “Le meraviglie del Barocco” (Palazzo Servanzi Confidati). Teatro - “Il tempo e la Rosa” Poesia, musica e danza del Barocco a cura di A. Pellegrino e P. Egidi. 27 Novembre 2010 Teatro - Convegno “L’educazione musicale e teatrale nelle istituzioni pubbliche e private” Pesaro, Auditorium dell’Accademia internazionale di canto (a cura di G. Girelli e A. Pellegrino). 19 dicembre 2010 Assemblea di medio termine, Jesi, Hotel Federico II Relazioni di M. L. Polichetti, G. Danieli, A. M. Zallocco, M. Canti ed E. Danieli. 22-23 Gennaio 2011 Agricoltura - Convegno “Prodotti nobili del Piceno” Ascoli Piceno (relazioni di E. Biondi, G.L. Gregori, N. Frega. Moderatore N. Frega). Conoscere le Marche - Ascoli Piceno (visita della città a cura di B. Nardi; visita del Forte Malatesta, dei Musei Diocesano, dell’Arte Moderna, delle Ceramiche, a cura di S. Papetti). 18 Febbraio 2011 Impresa -Visita alle aziende del “Gruppo Pigini”, Rainbow, Rotopress e Tecnostampa. Conoscere le Marche – Loreto (Museo Diocesano e Basilica). 27 febbraio 2011 Gastronomia - Incontro con gli chef marchigiani Flavio Cerioni e Lucio Pompili, ristorante La Lanterna, Marotta (a cura di E. Franca). 19 marzo 2011 Solidarietà Sociale - Convegno “La solidarietà di ieri e di oggi nelle Marche” – Chiesa del Suffragio, Fano (Relazioni di M. Belogi, G. Calegari, A. Luzi, R. Materazzi, Moderatore A. Berardi). 15 aprile 2011 L’Editoria marchigiana - Freschi di Stampa – Convegno “L’editoria di cultura nelle Marche”, Macerata, Biblioteca Mozzi-Borgetti, sala “La Specola” (a cura di M. Cinelli). 29 Aprile 2011 Impresa - Visita all’Azienda calzaturiera Santoni, Corridonia. Conoscere le Marche - Corridonia (guida di A. Pellegrino). Le Cento Città, n. 44 18 maggio 2011 Convegno Facoltà di Medicina - Farmaci e Farmacie, Ancona (interventi di A. Benedetti, G. Danieli, S. Fortuna, W. Scotucci, M. Belogi, M.L. Polichetti, L. Capodaglio, Moderatori A. Gabrielli, S. Amoroso). 1 – 5 Giugno 2011 Conoscere l’Italia - Ritorno nel Salento. Dalla Masseria Appidè di Corigliano d’Otranto a: Galatina, Gallipoli, Grecìa Salentina, Lecce, Nardò, Otranto, Santa Maria di Leuca, Costa orientale Jonica, Costa occidentale Jonica (a cura di G. Danieli). 12 Giugno 2011 150 anni dell’Unità d’Italia Fondazione Roberto Ferretti, Castelfidardo (Visita al Monumento Nazionale delle Marche ai “Vittoriosi di Castelfidardo” ed ai luoghi della battaglia di Castelfidardo: Monte Oro Selva, Sacrario-Ossario; breve visita alla Selva di Castelfidardo, Fondazione Ferretti e Villa Ferretti). 30 Giugno 2011 Impresa - Visita all’azienda Loccioni Group, Angeli di Rosora. 3 Luglio 2011 Conoscere le Marche - La valle dell’Esino, Oasi di Ripa Bianca, Gola della Rossa, Gola di Frasassi e Tempietto del Valadier (a cura di E. Biondi). 20 Luglio 2011 Assemblea di chiusura dell’anno associativo. Portonovo di Ancona, Fortino Napoleonico. Relazioni di M.L. Polichetti e di E. Franca. Vita dell’Associazione 46 Diario minimo di Romano Folicaldi L’Assemblea di Mezza Estate e quella di Fine Anno, sono, nella vita de Le Cento Città, i momenti dotati di maggior carica istituzionale, momenti che vanno assumendo sempre più anche un significato simbolico: sono vissuti in un clima di sempre più cordiale amicizia e, l’imminenza delle festività Natalizie in un caso, l’atmosfera delle prossime ferie e vacanze nell’altro, aggiungono loro un carattere di maggiore festosità. All’Assemblea del 20 luglio 2011 svoltasi nell’Auditorium dell’Hotel La Fonte Excelsior di Portonovo si riferisce la prima di queste fotografie, con il passaggio delle consegne da Maria Luisa Polichetti a Ettore Franca, cambio della guardia preannunciato a fine 2010. Riandando, con quel poco di memoria che mi rimane, alle persone che sono state Presidenti de Le Cento Città, l’aspetto che più mi fa rimanerne ammirato, non è facile esprimere questa sensazione in maniera compiuta, è che agli avvenimenti, ai luoghi, alle opere che costituiscono l’argomento degli incontri, si sovrappone la presenza costante di quel carattere che è proprio dell’opera prima, dello spirito del romanzo di formazione che colora il fare del Presidente di turno (per non parlare della fondamentale struttura di sostegno fornita dal basso continuo di Giovanni Danieli). Pur coinvolti, e direi proprio perché coinvolti negli avvenimenti, sono sempre avvertibili in trasparenza i loro gusti, il loro carattere, e, sperando di non apparire esagerato, la visione del mondo che ognuno di loro ha, in virtù anche delle loro specificità professionali. Le Cento Città sono un’aggregazione che lascia lo spazio necessario perché tutto ciò avvenga, forse anche per la brevità dell’incarico, non per questo meno faticoso e logorante, che fa si che uno sia costretto a buttarcisi dentro a capofitto per cercare di farci stare tutto quel che vorrebbe dire, e in questo modo tutti questi tratti hanno una maggiore possibilità di mostrarsi e di rendersi evidenti. Non faccio nomi, né mi compete il ruolo di tracciarne i profili che sarebbero comunque densi di ammirazione e di simpatia. Mi si permettta solo di accennare a quanto forti e sentiti sian questi momenti ricordando come la Famiglia di Tullio Tonnini aveva voluto che l’Assemblea di Mezza Estate dello scorso anno avesse luogo, di nuovo, in suo ricordo, nella loro bella villa di campagna. Le fotografie successive sono quelle di alcuni dei passaggi dell’inizio di Presidenza di Ettore Franca, nell’alta Valle del fiume Foglia il 25 settembre, e in quella del Cesano, poi, il 20 novembre. Nella seconda fotografia c’è la processione dei Soci de Le Cento Città, che sfila stretta tra due mura di prosciutti, con la divisa che le regole di visita impongono per una precauzione di tipo sanitario: camice, cuffia, mascherina (e soprascarpe). Un’immagine che ha del surreale, ma vera, di come, con quali tempi, a quali temperature i Prosciutti di Carpegna attraversino tutte le fasi della loro maturazione, prima di portare per il mondo il loro inimitabile gusto, targati DOP dal riconoscimento europeo. Poi, in chiusura dell’itinerario la visita alla Rocca di Sassocorvaro con questa storia, che ha dell’incredibile, del Sovrintendente Pasquale Rotondi, un altro Perla- sca che riesce a far sfilare sotto gli occhi della Wehrmacht una parte rilevante del patrimonio artistico conservato nei Musei italiani, stivandolo in questo manufatto achitettonico di Francesco di Giorgio Martini che di guerresco per fortuna ha avuto solo il nome, e nel Castello dei Conti di Carpegna della Famiglia Falconieri. Nel corso della visita ha ripreso forma nell’immaginazione di tutti, il ricordo di un episodio riportato da una delle figlie di Pasquale Rotondi, allora poco più che bambina, che era quello di aver dormito nella Rocca, in un letto di fortuna, ma ai cui piedi era appesa la tela della Tempesta di Giorgione. Questa, e tante altre annotazioni, hanno costituito il discreto e delicato controcanto che Grazia ha saputo sviluppare intorno alla robusta, gentilmente rude, impostazione di Ettore. Lasciare Sassocorvaro mentre scendeva la sera, credo che abbia aggiunto emozione a quelle già vissute durante tutta la giornata. L’ultima fotografia, sempre per rimanere nell’ambito della produzione alimentare, si riferisce alla visita del Caseificio “Casciotta d’Urbino DOP” a Villanova di Montemaggiore. Alla visita delle due vallate, seguirà nell’aprile dell’anno prossimo, quella alla Valle del Metauro. A questo proposito non possiamo però dimenticare quella in Val Marecchia di alcuni anni fa, condotta anche questa da Ettore Franca, e che di queste ultime è stata in qualche modo il prototipo a cominciare dalla descrizione della formazione geologica di questo territorio per la migrazione di intere montagne che sono scivolate nei secoli e nei millenni da quella parte che oggi è la Liguria, non so bene in quale era preistorica, e che arrivate da queste parti hanno compiuto una rotazione di novanta gradi per cui sono diventate picchi che si ergono e che costellano il Montefeltro: tra quelli più conosciuti il Monte Titano e la Repubblica di San Marino e la roccia su cui sorge la Rocca di San Leo. Nel parlare di questi luoghi, che sono terre di confine, (e su questo bisognerà ritornare perché anche dall’altra parte di questo “confine” ci sono altre terre, pure loro “di confine”) Ettore Franca comincia sempre evidenziandone la produzione alimentare di cui sono teatro, di grande livello, e lo fa con quella convinzione e quella profonda competenza che non soltanto noi che siamo dei dilettanti, ma che tutti gli riconoscono. Ma a me pare tanto che tutto questo sia anche una corazza di riservatezza per non lasciarsi trascinare dal coinvolgimento emotivo che prova per questi luoghi, ma che comunque trasmette e in maniera molto forte. Credo che non se ne avrà a male se chiudo con qualche riga di una sua e-mail: Sono molto contento che tu abbia “scoperto” questo mondo dimenticato. È pieno di borghi, castelli, casali e tanto di paesaggi, boschi e pascoli che fanno ... arcadia. In più c’è l’aria buona e la possibilità di passeggiate e buona cucina … Certo, amo questo territorio che conosco per averlo “battuto” tutta la vita e il “batterlo” me l’ha fatto apprezzare non solo sotto gli aspetti a me più vicini per “professione” ma anche per quelli di riflesso arrivati “a mezzo” Grazia. Le Cento Città, n. 44 Vita dell’Associazione 47 Le Cento Città, n. 44