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STORIA
DEL CONCILIO
VATICANO II
diretta da
Giuseppe Alberigo
Edizione italiana a cura di Alberto Melloni
CINQUE VOLUMI
Per un evento epocale,
una grande opera di storia
In occasione del cinquantenario dell’apertura
del concilio Vaticano II, il Mulino ripropone,
in una nuova edizione a cura di Alberto Melloni,
la grande Storia del concilio Vaticano II promossa
dalla Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII
di Bologna e coordinata da Giuseppe Alberigo.
quindicinale di attualità e documenti
2012
Sono disponibili i primi due volumi:
I. Il cattolicesimo verso una nuova stagione
L’annuncio e la preparazione
(gennaio 1959-settembre 1962)
ISBN 978-88-15-23971-6, pp. 632, € 40,00
18
II. La formazione della coscienza conciliare
16
Il primo periodo e la prima intersessione
(ottobre 1962-settembre 1963)
ISBN 978-88-15-23972-3, pp. 680, € 40,00
Attualità
578
581
590
603
633
una pietra miliare negli studi sul concilio
una ricchissima base documentaria inedita
una lettura classica e insieme attualissima
nuova introduzione
di Alberto Melloni
nuovo apparato iconografico
a cura di Federico Ruozzi
Williams: ministero di unione
Uscire dalla Chiesa?
CEI, la catechesi al centro
Disintossicare l’eros
Studio del Mese
Europa imbalsamata
B. Spinelli: una crisi più che economica
Anno LVII - N. 1131 - 15 ottobre 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO – Strada Maggiore 37 – 40125 Bologna – Tel. 051/256011 – E-mail: [email protected] – www.mulino.it
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STORIA
DEL CONCILIO
VATICANO II
diretta da
Giuseppe Alberigo
Edizione italiana a cura di Alberto Melloni
CINQUE VOLUMI
Per un evento epocale,
una grande opera di storia
In occasione del cinquantenario dell’apertura
del concilio Vaticano II, il Mulino ripropone,
in una nuova edizione a cura di Alberto Melloni,
la grande Storia del concilio Vaticano II promossa
dalla Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII
di Bologna e coordinata da Giuseppe Alberigo.
quindicinale di attualità e documenti
2012
Sono disponibili i primi due volumi:
I. Il cattolicesimo verso una nuova stagione
L’annuncio e la preparazione
(gennaio 1959-settembre 1962)
ISBN 978-88-15-23971-6, pp. 632, € 40,00
18
II. La formazione della coscienza conciliare
16
Il primo periodo e la prima intersessione
(ottobre 1962-settembre 1963)
ISBN 978-88-15-23972-3, pp. 680, € 40,00
Attualità
578
581
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603
633
una pietra miliare negli studi sul concilio
una ricchissima base documentaria inedita
una lettura classica e insieme attualissima
nuova introduzione
di Alberto Melloni
nuovo apparato iconografico
a cura di Federico Ruozzi
Williams: ministero di unione
Uscire dalla Chiesa?
CEI, la catechesi al centro
Disintossicare l’eros
Studio del Mese
Europa imbalsamata
B. Spinelli: una crisi più che economica
Anno LVII - N. 1131 - 15 ottobre 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO – Strada Maggiore 37 – 40125 Bologna – Tel. 051/256011 – E-mail: [email protected] – www.mulino.it
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quindicinale di attualità e documenti
! ! WA LT E R K A S P E R
A
ttualità
CHI CREDE
15.10.2012 - n. 18 (1131)
Libri del mese
577 (G. Brunelli)
Benedetto XVI – Anno della fede:
la fede e la riforma della Chiesa
578 (D. Sala)
Ecumenismo – Chiesa d’Inghilterra:
ministero di unione
{ Intervista all’arcivescovo
di Canterbury Rowan Williams }
Il dono di contemplare (D. S.)
581 (U. Ruh)
Germania – Vescovi cattolici:
se uno esce dalla Chiesa
{ Premesse e conseguenze
del nuovo Decreto generale }
583 (D. S.)
Germania – Ecumenismo
Un appello: unità ora
584 (D. S.)
Austria – Vienna
Comunità parrocchiali e filiali
Caro lettore,
presentandole questo nuovo numero de
Il Regno - attualità, che esce mentre
prende avvio l’Anno della fede, la
invitiamo ad accompagnarci anche nei
prossimi mesi nel nostro lavoro
d’informazione e ricerca. Questa
redazione le riconferma, da parte
sua, il desiderio e l’impegno di
accompagnare ciascuno di voi in
questo anno, offrendo uno sguardo il
più possibile documentato e incisivo
sugli avvenimenti che costruiscono il
cammino della Chiesa nella storia,
un’interpretazione – alla luce della
fede – dell’attualità, un aiuto alla
formazione di una coscienza cristiana
e responsabile. A voi lettori chiediamo
ancora una volta d’essere con noi,
rinnovando o sottoscrivendo
l’abbonamento.
Avervi con noi ci è necessario non
solo sotto l’aspetto economico, che
pure è indispensabile in quanto ci
permette quella libertà che è
riconosciuta da tutti. Ma anche per il
contributo di pensiero ed esperienza
di ciascuno di voi, perché – e anche
questo è un punto di forza – la
rivista la costruiamo insieme.
R
585 (D. S.)
Repubblica Ceca – Stato e Chiesa
Risarcimenti appesi a un filo
586 (M. B.)
Francia – Matrimonio omosessuale
Aprire il dibattito
587 (F. Strazzari)
Portogallo – Il fenomeno Fatima:
un luogo di cultura materna
{ Colloquio con il vescovo
Antonio dos Santos Marto }
590 (C. Sciuto)
Italia – Catechesi:
comunità formazione iniziazione
{ Tre parole chiave dai
convegni catechistici regionali }
594 (G. B.)
Calabria – Chiesa e mafia
Siete contro Dio: convertitevi
603 (S. Orth)
609
Schede (a cura di M.E. Gandolfi)
Segnalazioni
620 (M.E. Gandolfi)
Chiavi di lettura
L’affollato scaffale del Concilio
620 (Aa.Vv.)
M. Vergottini, Perle del Concilio
622 (P. Grassi)
Aa. Vv., «Nuovi ateismi
e antiche idolatrie» (Hermeneutica)
624 (F. Datola)
Africa – Etiopia: dopo Zenawi
{ Luci e ombre
di una figura carismatica }
626 (F. D.)
Kenya-Somalia – Islamisti
Vendette
627 (M. Castagnaro)
Venezuela – Elezioni
Chávez fino al 2019
628 (M. C.)
Paraguay – Crisi istituzionale
Lugo destituito
629 (M.E. Gandolfi)
Australia – Chiesa e violenze
sui minori: la guarigione è lontana
{ E l’opinione pubblica incalza }
631 (D. Sala)
Diario ecumenico
646
Italia-Convegni – 50° Vaticano II:
riaprire il cantiere
{ L’Assemblea nazionale
Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri }
601 (M. Neri)
Italia-Convegni – Teologia:
corpo e sacramento
{ Una lettura fenomenologica }
2. LA FEDE NELLA VITA CRISTIANA
pp. 264 - € 19,50
Studio del mese
599 (G. Forcesi)
597 (Maria Bombardieri)
Italia – Islam a Milano
Un albo per il culto
pp. 224 - € 17,50
Agenda vaticana
598 (M. Bo.)
Italia-Islam – Satira sul Profeta
Reazioni composte
Volontariato – La proposta del MoVI:
le strade della prossimità
{ Un manifesto per andare oltre il
professionismo della solidarietà }
1. IL SÌ DI DIO E L’AGIRE CRISTIANO
632 (L. Accattoli)
{ Unione Europea: una crisi
più che economica }
633 (B. Spinelli)
L’Europa imbalsamata,
mentre la storia precipita
641 (T. Subini)
Cinema – I colori della passione:
d’arte, di storia e di fede
{ L’andata al Calvario di Bruegel }
644 (P. Stefani)
Parole delle religioni
Il Dio creatore
595 (MoVI)
NON TREMA
Disintossicare l’eros
{ La recente discussione teologica }
!
I lettori ci scrivono
647 (L. Accattoli)
Io non mi vergogno del Vangelo
Nel fuoco della malattia.
Accettazione senza rassegnazione,
le parole di Lina Biora
Colophon a p. 645
EDB
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Pagina 577
e
ditoriale
BENEDETTO XVI
Anno della fede
La fede e la riforma della Chiesa
L’omelia che Benedetto XVI ha pronunciato l’11 ottobre scorso in occasione
dell’apertura dell’Anno della fede, nel 50°
dell’inizio del concilio Vaticano II, di fronte
ai padri sinodali radunati a Roma per il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, riassume il centro del suo pensiero sulla testimonianza della Chiesa nel mondo
contemporaneo. Il testo prelude alla prossima enciclica sulla fede, annunciata entro
l’anno celebrativo. E assieme al discorso
sull’ermeneutica del Concilio, tenuto alla
curia romana il 22 dicembre 2005, presenta i motivi fondamentali del pontificato di Benedetto.
«In questi decenni è avanzata una “desertificazione” spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al
tempo del Concilio lo si poteva già sapere
da alcune pagine tragiche della storia, ma
ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. È il vuoto che si è diffuso». Ma
nel deserto «si riscopre il valore di ciò che
è essenziale per vivere; così nel mondo
contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo
della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede (…). La fede
vissuta apre il cuore alla grazia di Dio che
libera dal pessimismo. Oggi più che mai
evangelizzare vuol dire testimoniare una
vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada».
Il papa inserisce questo anno speciale
nel cammino postconciliare della Chiesa:
dall’Anno della fede indetto da Paolo VI
nel 1967, al Grande giubileo del 2000 di
Giovanni Paolo II. Egli rilegge con ciò il
magistero dei papi conciliari e postconciliari, e lo fa definendo una scala di ur-
genze e di priorità per la Chiesa. Benedetto XVI ha una percezione drammatica
del destino del mondo attuale e delle sorti
della fede, e l’interrogativo su quale fede
per quale evangelizzazione è centrale nel
suo magistero. «Il concilio Vaticano II –
egli dice – non ha voluto mettere a tema la
fede in un documento specifico. E tuttavia,
esso è stato interamente animato dalla
consapevolezza e dal desiderio di doversi,
per così dire, immergere nuovamente nel
mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo».
Benedetto ritiene che la Chiesa abbia
bisogno di una profonda riforma, dal momento che sembra non possedere più il linguaggio per parlare agli uomini di oggi,
che il suo annuncio non venga udito, che vi
sia come una frattura, per dir così, tra la domanda e l’offerta, tra il bisogno e la risposta. Si tratta per Benedetto di una riforma
dal profilo prevalentemente spirituale, secondo la dinamica del pentimento e della
purificazione, che ridia nuovo slancio e
nuova passione ai cristiani, ma non riapra
aspre discussioni dottrinali che rischiano di
mettere in questione il depositum fidei.
«Durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità
e la bellezza della fede nell’oggi del nostro
tempo, senza sacrificarla alle esigenze del
presente né tenerla legata al passato (…).
Perciò ritengo che la cosa più importante
(…) sia ravvivare in tutta la Chiesa quella
positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma
affinché questa spinta interiore alla nuova
evangelizzazione non rimanga soltanto
ideale e non pecchi di confusione, occorre
che essa si appoggi a una base concreta e
precisa, e questa base sono i documenti del
concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. (…) Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di
nostalgie anacronistiche e di corse in
avanti, e consente di cogliere la novità
nella continuità».
Torna qui il tema dell’ermeneutica del
Concilio come ermeneutica della riforma
nella continuità, così come il papa l’ha definita, che mette in evidenza il primato
della fede nella vita della Chiesa: «La fede
stessa, in tutta la sua grandezza e ampiezza, è sempre nuovamente la riforma
ecclesiale di cui noi abbiamo bisogno» (cf.
anche il motu proprio Porta fidei). Il tema
della riforma della Chiesa, nelle sue dimensioni spirituali, ma anche strutturali
(non vanno dimenticate), è assai caro alla
riflessione della tradizione cristiana e attraversa l’intera storia della Chiesa. Così
come nei testi conciliari sono molteplici e
piuttosto esigenti i riferimenti in merito. È
forse utile in proposito richiamare anche la
categoria di «sviluppo» utilizzata da John
Henry Newman. Nel suo Lo sviluppo della
dottrina cristiana (1845), egli configura il
rapporto fra tradizione e riforma come
una continuità di principi che anche in
passato ha incluso nuove definizioni, recezioni creative e diverse inculturazioni.
Dunque uno sviluppo nella comprensione,
un rinnovamento che non è semplicemente innovazione, ma che esprime piuttosto il concetto biblico di «nuovo». Mantenere nuova, giovane la tradizione era in
fondo l’ermeneutica roncalliana dell’evento conciliare, atteso da Giovanni
XXIII come una «nuova Pentecoste».
Gianfranco Brunelli
IL REGNO -
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Chiesa d’Inghilterra
ECUMENISMO
m
inistero di unione
M
I n t e r v i s t a a l l ’ a r c i v e s c o v o d i C a n t e r b u r y,
Ro w a n Wi l l i a m s
ancano poche settimane alla conclusione del suo decennio1 alla guida della
Chiesa d’Inghilterra
come 104° arcivescovo di Canterbury,
primus inter pares tra i vescovi della
Comunione anglicana, instancabile
tessitore di «trame d’affetto» tra le
anime liberal e conservatrice all’interno della sua Chiesa e dell’intera Comunione, ma anche tra le diverse confessioni dell’unica Chiesa di Cristo, in
un tornante segnato dalla «crisi della
comunione»2 per le Chiese anglicane e
da un clima invernale nel movimento
ecumenico.
Teologo e poeta, Rowan Douglas
Williams ha coniugato un tratto pro-
fondamente spirituale3 con una capacità di leggere le vicende storiche, che si
è tradotta in interventi pubblici talora
critici nei confronti del governo inglese:
è il caso della guerra in Iraq, nel 2003,
o della riflessione sul progetto della «Big
society» nel 2011, o del rapporto tra
fede, democrazia e modello economico
dello stato-mercato.4
L’ho incontrato il 16 settembre a
Bose: in una sorta di ritorno all’origine,
la comunità monastica ha voluto dedicare all’arcivescovo una giornata di ringraziamento in virtù del profondo legame di amicizia che li lega sin da
quando, nel 2003, Rowan Williams vi
soggiornò in ritiro spirituale prima di
entrare a Canterbury.
– Sua grazia, tra pochi mesi lei la-
Rowan Douglas Williams, 104° arcivescovo di Canterbury.
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IL REGNO -
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scerà l’incarico di arcivescovo di Canterbury. Quali sono i suoi sentimenti?
«Moltissima gratitudine per il sostegno e la preghiera della gente della mia
Chiesa e di altre Chiese (nelle mie visite
al monastero di Bose sono sempre stato
consapevole del sostegno anche di questa comunità), ed entrambi sono stati
qualcosa di molto importante per me in
questi dieci anni. In secondo luogo
penso a tutte le tensioni e difficoltà che
ci sono state durante questo periodo
nella nostra Comunione, e il mio sentimento è la speranza che questo sostegno continui a tenerla unita e a non
farla spaccare. Personalmente cercherò
di cogliere l’occasione per ritornare a
scrivere, pregare, … provare a essere un
cristiano».
– Di che cosa ha bisogno la Chiesa d’Inghilterra?
«Negli ultimi anni abbiamo fatto
alcuni progressi importanti verso nuovi
stili di missione. Abbiamo costituito
nuove comunità, alcune delle quali
s’incontrano nei giorni feriali, altre
sono composte da giovani, nuovi tipi di
aggregazioni costituite da piccoli
gruppi con un’esperienza molto intensa di lettura della Parola e servizio
vicendevole; sono circa 2.000. Spero
che nel futuro la mia Chiesa continui
su questo stile di missione. E penso
che sia altrettanto importante che ricordi che cosa significhi essere Chiesa,
qualcosa che esiste per la volontà di
Dio e l’azione di Cristo, non solo un
concetto sociologico. A volte in Inghilterra siamo tentati di proporre solo
una cultura religiosa, mentre abbiamo
bisogno di ricordare che siamo Chiesa.
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WILLIAMS
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S U L L A N U O VA E VA N G E L I Z Z A Z I O N E
Il dono di contemplare
L’
intervento dell’arcivescovo Rowan Williams alla XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla nuova
evangelizzazione, il 10 ottobre a Roma (testo integrale sul sito
web www.vatican.va), ha illuminato una prospettiva inconsueta rispetto a questo tema, che Benedetto XVI ha investito di grande attenzione ponendolo al culmine del proprio pontificato (cf. in questo numero a p. 517).
«L’evangelizzazione, vecchia o nuova che sia, deve radicarsi in
una profonda fiducia che tutti noi abbiamo uno specifico destino
umano da mostrare e da condividere con il mondo», ha detto
Williams, perché «proclamare il Vangelo equivale a proclamare che
in definitiva è possibile essere veramente umani», e ciò corrisponde a un rinnovamento dell’antropologia cristiana portato dal
concilio Vaticano II. E «l’umanità in cui cresciamo nello Spirito,
l’umanità che cerchiamo di condividere con il mondo come frutto
dell’opera redentrice di Cristo è un’umanità contemplativa». Questo è il dono che noi cristiani possiamo portare ai nostri «fratelli nell’umanità».
La contemplazione «è ben lungi dall’essere semplicemente
qualcosa che fanno i cristiani: è la chiave della preghiera, delle liturgia, dell’arte e dell’etica, la chiave dell’essenza dell’umanità rinnovata che è in grado di vedere il mondo ed altri soggetti nel
mondo con libertà». Rappresenta «l’unica risposta definitiva al
mondo irreale e folle che i nostri sistemi finanziari, la nostra cultura
pubblicitaria e le nostre emozioni caotiche e incontrollate ci incoraggiano ad abitare. Imparare la pratica contemplativa significa imparare ciò di cui abbiamo bisogno per vivere fedelmente, onestamente e amorevolmente. Si tratta di un fatto profondamente
rivoluzionario».
La conversione alla fede «non significa semplicemente acquisire
un nuovo bagaglio di credenze, ma diventare una persona nuova,
una persona in comunione con Dio e con gli altri attraverso Gesù
Cristo», e questo processo di trasformazione ha come elemento intrinseco l’esercizio della contemplazione. A mano a mano che esso
si svolge, scopro la maniera in cui devo guardare altre persone e cose
Dobbiamo tenere insieme questi due
aspetti: approccio creativo e consapevolezza di essere Chiesa, chiamata da
Dio».
Arrivare alle persone
– Qual è la condizione del cristianesimo nel Regno Unito? Quale ruolo può
avere oggi?
«Non penso che la situazione sia
così negativa come alcuni la dipingono.
La partecipazione al culto è certamente
molto diminuita, se la paragoniamo a
quella di 100 o anche di 50 anni fa, ma
c’è ancora un interesse nei confronti
della fede cristiana e del suo sguardo
sulla realtà. Nella maggior parte dei
casi è ben visto il coinvolgimento della
parrocchia nella vita della comunità ci-
per ciò che sono in relazione a Dio, non a me. Ed è qui che, come
il vero amore, l’autentica giustizia trova le sue radici».
Se dunque, ha proseguito l’arcivescovo di Canterbury, «l’evangelizzazione consiste nel mostrare “senza veli” al mondo il volto umano
che riflette il volto del Figlio rivolto verso il Padre, allora deve accompagnarsi a un impegno serio per la promozione di tale preghiera
e di tali pratiche». Si dà qui lo spazio per sviluppare l’ecumenismo spirituale come «una ricerca condivisa per promuovere e per sviluppare
discipline di contemplazione con la speranza di svelare il volto della
nuova umanità. E quanto più ci distanziamo gli uni dagli altri in
quanto cristiani, tanto più quel volto apparirà meno convincente».
«Ciò che la gente di ogni età riconosce in queste pratiche è,
semplicemente, la possibilità di vivere in maniera più umana: vivere
con un desiderio meno marcato di possedere, vivere con uno spazio di quiete, vivere nell’attesa di apprendere e, soprattutto, vivere
con la consapevolezza che esiste una gioia salda e durevole, che va
scoperta in quella disciplina del dimenticare sé stessi che è ben diversa dalla gratificazione di questo o di quell’impulso momentaneo.
Se la nostra evangelizzazione non riesce ad aprire la porta a tutto
ciò, rischierà di cercare di far poggiare la fede sul fondamento di un
insieme non trasformato di abitudini umane, (...) e il risultato ben
noto sarà che la Chiesa apparirà disgraziatamente altrettanto ansiosa, affaccendata, competitiva e dominante quanto molte altre
istituzioni puramente umane. In un senso molto importante, un’autentica iniziativa di evangelizzazione sarà sempre anche una nuova
evangelizzazione di noi stessi come cristiani, una riscoperta del
motivo per cui la nostra fede è diversa, perché trasfigura; insomma,
un ripristino della nostra nuova umanità».
«Nelle nostre riflessioni su come fare affinché il Vangelo di Cristo torni ancora una volta a essere irresistibilmente attraente per gli
uomini e per le donne del nostro tempo, spero – ha concluso il primate anglicano – che non perderemo mai di vista ciò che lo rende
attraente per noi, per ognuno di noi nei nostri vari ministeri».
vile. Le persone si rivolgono ancora al
prete o alla parrocchia nei momenti di
crisi. Nel Parlamento, nella Camera dei
Lords, i vescovi hanno ancora un luogo
dove possono sollevare questioni davanti al governo. Accanto a tutto questo, penso che un problema reale sia il
fatto che molte persone che vogliono
crescere spiritualmente non ritengono
più che la Chiesa sia il luogo che le può
aiutare. Dobbiamo cercare di arrivare
alle persone là dove esse si trovano, per
portare loro un nutrimento cristiano.
Non so come, ma penso che su questo
abbiamo molto da lavorare».
– Che cosa pensa di questo momento
dell’Europa? Qual è la vocazione delle
Chiese europee?
«È un momento di grande sfida per
D. S.
l’Europa, per la crisi finanziaria, per
un senso di confusione culturale, e la
Chiesa da sola non può pensare di risolvere questi problemi. Ma può – io
credo – ricordare alla cultura europea
che essa è solo una parte della cultura
globale; ha portato molti doni nella sua
storia, materiali e spirituali, doni condivisi, e deve ricordare che per quanto
sia pesante la pressione della crisi finanziaria non possiamo dimenticare la
situazione di quelli che sono veramente
poveri in Africa, in Asia, in America
Latina.
In altre parole l’importanza della
Chiesa in Europa è che essa è più
grande dell’Europa, e l’Europa ha bisogno di ricordarsi che c’è un mondo
intorno».
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– Durante i 10 anni in cui lei è stato
arcivescovo di Canterbury la Comunione
anglicana è stata attraversata da profonde tensioni relativamente ai legami
di comunione… Che cosa può dirci di
questo decennio? Il Patto anglicano sarà
uno strumento utile per affrontare le controversie? Crede che cambierà il ruolo dell’arcivescovo di Canterbury rispetto alla
Comunione anglicana?
«Non penso che il Patto anglicano
modificherà il ruolo dell’arcivescovo di
Canterbury, che non è mai stato un’autorità con potere esecutivo per tutta la
Comunione. L’arcivescovo è uno che
cerca di essere al servizio del collegamento, delle relazioni, tra le province.
Certamente io sono un forte sostenitore
del Patto, anche se non tutti nella mia
Chiesa lo appoggiano, perché credo che
abbiamo bisogno di un mezzo per gestire
i nostri conflitti. Ma il presupposto è
mantenere vive le relazioni, con un continuo e vitale scambio di idee, risorse e
personale tra le Chiese, e ritengo che
per molti aspetti la parte più importante
del mio ruolo sia stata quella di viaggiare
per mantenere viva la connessione, di accogliere vescovi e arcivescovi da tutte le
sedi a Canterbury e a Londra non solo
per la Conferenza di Lambeth, ma anche per vie più informali.
Pochi mesi fa ho avuto ospiti per alcuni giorni a Canterbury tre nuovi primati di sedi d’oltremare per conoscerli,
per mostrare loro la Chiesa d’Inghilterra
e per stringere un’amicizia. Nell’ultima
Conferenza di Lambeth e in alcuni incontri dopo di essa abbiamo cercato ardentemente di trovare un metodo che
permetta a tutti di parlare e a ciascuno di
essere ascoltato. Questo significa che quali
che siano le difficoltà e le tensioni che si
vivono al livello dell’istituzione, c’è una
volontà di proseguire il lavoro insieme,
perché ci uniscono legami di affetto e
non intendiamo perdere l’amicizia.
Altrettanto importanti sono i numerosi forum o network della Comunione, come la Mother’s Union, un’associazione di donne di tutto il mondo
che è molto attiva ed efficace nel favorire i legami intra-anglicani specialmente nel campo dello sviluppo e dell’educazione. Recentemente abbiamo
istituito l’Alleanza anglicana, che è
un’altra rete per l’aiuto allo sviluppo e
l’educazione. In queste reti sono coinvolte tutte le Chiese e a tutti i livelli, lavorando fianco a fianco anche quando
tra noi vescovi si manifestano invece
delle distanze».
1
Il 16 marzo Rowan Williams ha annunciato che si dimetterà il 31 dicembre 2012, e che
tornerà a dedicarsi all’attività accademica come
rettore del Magdalene College, Università di
Cambridge. Seguendo l’esempio dei suoi due
predecessori, Carey (1992-2002) e Runcie, ha
scelto di ritirarsi al completamento di un decennio – aveva infatti assunto l’incarico nel 2003 –
invece di arrivare al compimento dei 70 anni, per
permettere al suo successore di guidare la preparazione della Conferenza di Lambeth, che è
uno degli «strumenti di comunione» – insieme
alla stessa figura dell’arcivescovo di Canterbury
– che uniscono le 38 province anglicane e che dovrebbe tenersi nel 2018. La Crown Nomination
Commission, che sta esaminando i candidati alla
successione sotto la presidenza di lord Richard
Luce, ha confermato che entro l’autunno adem-
pirà al proprio compito, che è quello di esprimere
due nomi. La scelta tra essi spetta al primo ministro, mentre è l’approvazione della regina a
formalizzare la nomina.
2
Nell’anno stesso della sua «intronizzazione» la Chiesa episcopaliana, cioè la provincia
anglicana statunitense, consacra vescovo Gene
Robinson, un prete pubblicamente impegnato
in una relazione omosessuale. È l’inizio di una
frattura, all’interno della Comunione anglicana,
tra le province liberal, che approvano e benedicono le unioni omosessuali, e le province del Sud
del mondo, che considerano questa una deviazione dal principio dell’autorità della Scrittura.
La mediazione proposta da Williams consiste in
un documento, il Patto anglicano, che esplicita il
ruolo degli «strumenti di comunione» e la procedura per affrontare le controversie tra le pro-
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Imparare a riconoscersi
– Quale passo avanti è possibile oggi
nei rapporti ecumenici tra le nostre
Chiese, anglicana e cattolica?
«Non è un momento facile dal
punto di vista istituzionale, perché la
Chiesa cattolica romana vede negativamente l’ordinazione sacerdotale delle
donne, per esempio, e questo comporta
che dei progressi verso un vero riconoscimento dei ministeri non possano avvenire. Quindi non mi aspetto nessuna
sorpresa nell’immediato futuro.
Vedo però che a livello locale la cooperazione è stabile e regolare; in Gran
Bretagna ormai teniamo ogni anno un
incontro tra i vescovi anglicani e cattolici, condividiamo una profonda amicizia e collaboriamo molto in termini di
testimonianza alla società.
Anche a livello ecumenico ci sono
molte reti ed esperienze interconfessionali come Taizé e il movimento dei Focolari, dove anglicani e cattolici s’incontrano costruttivamente e pregano
insieme; penso che il lavoro lento di
questi e simili gruppi, a volte anche piccoli, operi in profondità e aiuti a produrre il cambiamento. Credo che vada
molto sviluppata la formazione comune
dei nostri preti».
– A che punto è la Chiesa nel suo
cammino verso l’unità piena e visibile?
«È importante ricordare che 50, 60
anni fa vivevamo in un mondo diverso.
In Inghilterra era impossibile dire il Padre nostro insieme in pubblico. Il cammino che abbiamo compiuto è un miracolo, un dono di Dio. Recentemente
ho indirizzato una lettera alla Conferenza internazionale degli abati benedettini, perché hanno invitato un membro anglicano della Commissione
anglicana - cattolica romana (ARCIC)
al loro incontro quadriennale (si è tenuto a Roma dal 17 al 25 settembre;
ndr). Abbiamo questa stretta amicizia
con la comunità monastica di Bose. Abbiamo pellegrinaggi ecumenici (quattro
anni fa c’è stato un importante pellegrinaggio anglicano a Lourdes, un’occasione veramente splendida).
Non sono sicuro di dove stiamo andando, ma guardo indietro e dico:
quanta strada abbiamo fatto! Questo
significa che tra 40 o 50 anni sarà tutto
ancora molto diverso, se i cristiani saranno capaci di riconoscersi a vicenda.
Abbiamo fatto un enorme passo
avanti, mentre a livello istituzionale il
movimento è più lento. Individualmente e spiritualmente il progresso continua con passo regolare: dobbiamo trovare il modo di agganciare il passo lento
dell’istituzione con quello più costante
delle esperienze spirituali».
a cura di
Daniela Sala
vince, e che è attualmente in fase di valutazione.
Al momento è stato firmato da otto province.
3
In Italia alcuni suoi volumi quali Lo Spirito,
testimone silenzioso (2011), Un mondo spiritualmente credibile (2010), Ragioni per credere (2009),
Resurrezione (2004), Il giudizio di Cristo (2003, cf.
Regno-att. 6,2003,171) sono pubblicati dall’editrice Qiqajon.
4
Sulla guerra in Iraq cf. Regno-doc. 5,2003,
131; Regno-att. 8,2004,225. Sulla «Big society» cf.
Regno-att. 22,2011,726. Sul rapporto tra fede, democrazia ed economia cf. Regno-doc. 3,2003,123;
19,2011,612. È appena uscito in Gran Bretagna, presso il prestigioso editore laico Continuum, il volume Faith in the public square, un volume che raccoglie i principali interventi dell’arcivescovo di Canterbury su temi di interesse
pubblico in relazione alla fede cristiana.
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Ve scov i cat to l i c i
GERMANIA
s
e uno esce dalla Chiesa
N
el 2011, nella Repubblica federale di Germania, hanno formalmente lasciato la Chiesa
cattolica 126.000 persone (su un totale di 24,5 milioni di
membri). Lo hanno fatto negli uffici
della pretura o dell’anagrafe, quindi
di fronte a un’autorità statale, che
poi ha normalmente informato la rispettiva comunità parrocchiale. Le
modalità dell’uscita dalla Chiesa
sono regolate da leggi statali a livello
dei Land della Repubblica federale.
Questo dipende dallo specifico quadro giuridico delle relazioni fra lo
stato e la Chiesa esistente in Germania dal tempo della Repubblica di
Weimar.
Secondo la Costituzione tedesca
(art. 140 della Legge fondamentale),
le Chiese sono «enti di diritto pubblico». In quanto tali sono autorizzate a imporre tasse. Lo fanno sotto
forma di «tassa per la Chiesa», che
viene calcolata sulla base dell’imposta sul reddito e ammonta all’8 o 9%
della stessa. La riscossione della tassa
per la Chiesa viene effettuata in genere dagli uffici delle imposte statali; per questo servizio, lo stato riceve dalla Chiesa il 3% del gettito
fiscale.
Nel 2011, la Chiesa cattolica in
Germania ha incassato attraverso
questa tassa circa 5 miliardi di euro,
la Chiesa evangelica un po’ meno.
Per entrambe le Chiese la tassa per la
Chiesa è di gran lunga la fonte di
reddito più importante. Comunque
oltre la metà dei membri delle Chiese
Premesse e conseguenze
del nuovo Decreto generale
non versa questa tassa, perché chi
non ha un lavoro retribuito o è pensionato è esentato dalla stessa. Diversamente, il dovere di versare questa tassa cessa con l’uscita dalla
Chiesa.
Nel Decreto generale della Conferenza episcopale tedesca sull’uscita
dalla Chiesa, pubblicato il 20 settembre di quest’anno, si legge: «La
dichiarazione di uscita dalla Chiesa
davanti all’autorità civile competente
costituisce come atto pubblico un abbandono cosciente e deliberato della
Chiesa ed è una grave mancanza contro la comunione ecclesiale» (parte I;
Regno-doc. 17,2012,567). Questo decreto, concordato con la Santa Sede,
cerca di mettere la parola fine a una
discussione sull’uscita dalla Chiesa e
sulla tassa per la Chiesa che coinvolge da anni la Chiesa cattolica in
Germania.
Molto scalpore fece al riguardo il
caso di Hartmut Zapp, allora docente di Diritto canonico all’Università di Freiburg. Egli aveva presentato la sua dichiarazione di uscita
dalla Chiesa cattolica presso l’anagrafe del suo luogo di nascita, con la
clausola di voler lasciare solo la
Chiesa come «ente di diritto pubblico», non come comunità di fede.
L’arcidiocesi di Freiburg era ricorsa
in tribunale. In prima istanza, il tribunale aveva dato ragione a Zapp,
ma non in seconda istanza e ora neppure in terza istanza (il supremo tribunale amministrativo tedesco). Nella sua sentenza, emessa alla fine di
settembre a Leipzig, il Tribunale am-
ministrativo federale è giunto alla
conclusione che la dichiarazione di
uscita dalla Chiesa munita di una
clausola, presentata da Zapp, era certamente ammissibile, ma in realtà
egli era uscito dalla Chiesa in senso
globale. Perciò per la giustizia civile
in Germania non esiste un’uscita
dalla Chiesa graduale o limitata. In
questo la Conferenza episcopale tedesca ha potuto vedere una conferma
della posizione espressa nel suo Decreto generale, pubblicato poco prima
della sentenza.
Ma oltre al «caso Zapp», appartiene alla preistoria di questo decreto
sull’uscita dalla Chiesa anche la lettera circolare inviata nel 2006 a tutte
le conferenze episcopali dal Pontificio
consiglio per i testi legislativi, il cui
presidente allora era ancora il cardinale spagnolo Julián Herranz (Regnodoc. 5,2007,129). Tale lettera circolare descrive i criteri per un atto
formale di abbandono della Chiesa
cattolica. Il diritto canonico non
conosce l’espressione «uscita dalla
Chiesa»; perciò, nell’indice delle materie della traduzione ufficiale tedesca del Codice di diritto canonico
(CIC) per la voce «Kirchenaustritt»
(uscita dalla Chiesa) si rinvia alla voce
«Glaubensabfall» (apostasia). Per l’actus defectionis il Pontificio consiglio
per i testi legislativi richiedeva sia la
decisione interiore sia la sua manifestazione esteriore, mediante una dichiarazione scritta presentata all’ordinario o parroco competente.
La Conferenza episcopale tedesca reagì rapidamente alla lettera cir-
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colare romana del 2006 con una dichiarazione nella quale si affermava
che la chiarificazione del Pontificio
consiglio per i testi legislativi non riguardava la normativa statale per
l’uscita dalla Chiesa esistente nella
tradizione giuridica tedesca. L’uscita
dalla Chiesa secondo il diritto statale
è in ogni caso un atto formale di abbandono della Chiesa.
La scomunica
non è automatica
Negli ultimi anni si sono notoriamente intrattenuti molti dialoghi fra la
Conferenza episcopale tedesca e i dicasteri competenti della curia romana
per giungere a una chiarificazione
consensuale delle diverse opinioni in
materia di uscita dalla Chiesa. Già
nella passata primavera c’erano chiari
segni della possibilità di raggiungere
un accordo con Roma in tempi brevi.
Ora il frutto di quelle trattative è la
pubblicazione del Decreto generale
della Conferenza episcopale tedesca,
con annessa una Lettera pastorale, che
in avvenire riceverà ogni persona
uscita dalla Chiesa cattolica «immediatamente dopo aver preso conoscenza della sua dichiarazione» (parte
II, n. 6; Regno-doc. 17,2012,568, che a
seguire riporta anche il testo della Lettera pastorale).
Nella sua valutazione dell’uscita
dalla Chiesa il Decreto generale si richiama al can. 209, § 1 del CIC («I fedeli sono tenuti all’obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di
agire, la comunione con la Chiesa»),
nonché al can. 222, § 1 («I fedeli sono
tenuti all’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa, affinché essa
possa disporre di quanto è necessario
per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l’onesto sostentamento dei ministri»). Si afferma
che «la dichiarazione di uscita dalla
Chiesa preoccupa quest’ultima e la
spinge a seguire con sollecitudine pastorale la persona che ha dichiarato la
propria uscita» (parte II).
Vengono elencati gli effetti giuridici di un’uscita dalla Chiesa, dall’esclusione dalla partecipazione ai
sacramenti della penitenza, dell’eucaristia, della confermazione e dell’unzione degli infermi, alla perdita
del diritto di voto attivo e passivo
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nella Chiesa, al rifiuto delle esequie
cattoliche (se «non abbia manifestato, prima della morte, un qualche
segno di pentimento»: parte II, n. 3).
Particolarmente importante è l’affermazione da cui si evince che
l’uscita dalla Chiesa, in base al diritto
tedesco, non può essere automaticamente equiparata a un «atto scismatico, eretico o apostatico» (parte II, n.
6), a motivo del quale la persona, in
base al can. 1364, § 1 del CIC, si addosserebbe la pena della scomunica.
Bisogna invece stabilire caso per
caso, con un colloquio al quale l’autorità ecclesiastica avrà invitato la
persona uscita dalla Chiesa, se esista
effettivamente un tale «atto scismatico, eretico o apostatico». Solo in
questo caso, «l’ordinario avrà cura di
prendere le misure corrispondenti»
(ivi).
La tassa per la Chiesa,
un dovere dei cristiani
La Lettera, che in futuro dovrà essere inviata a tutte le persone uscite
dalla Chiesa, contiene in gran parte
formulazioni tratte dal Decreto generale, specialmente riguardo alla lista
degli effetti giuridici dell’uscita dalla
Chiesa. Essa richiede un dialogo con
il parroco o un altro pastore cattolico
competente sui motivi che hanno indotto la persona a uscire dalla Chiesa
e ricorda che il pastore ha il dovere di
chiedere, e valutare, le ragioni che
hanno indotto la persona a uscire
dalla Chiesa. Inoltre, la lettera sottolinea che «i cristiani cattolici godono
di tutti i diritti fondamentali per un’attiva partecipazione alla vita della
Chiesa, ma questi diritti sono inseparabilmente collegati con il compimento dei doveri fondamentali nella
comunità ecclesiale». Ma, in base alla
comprensione dei vescovi, pur non essendo qui espressamente ricordato, in
Germania uno di questi doveri fondamentali delle persone tenute a versare l’imposta sul reddito è il pagamento della tassa per la Chiesa.
Come risulta dal Decreto generale e
dalla Lettera, i vescovi tedeschi si preoccupano di collegare il più strettamente possibile l’uscita dalla Chiesa
compiuta davanti a un ufficio statale
(con la conseguente cancellazione del
dovere di versare la tassa per la Chie-
sa) con l’auto-comprensione della
Chiesa come comunità di fede giuridicamente ordinata, indebolendo così
le critiche degli avversari. Bisogna evitare di dare l’impressione che per la
Chiesa cattolica in Germania si tratti
soprattutto di incassare il più possibile
attraverso quella tassa, senza preoccuparsi per così dire del legame vissuto dei suoi membri con la fede e
con la Chiesa.
Comunque la discussione sull’uscita dalla Chiesa e sulla tassa per la
Chiesa continuerà, come ha già dimostrato un articolo del gesuita p.
Hans Langendörfer, segretario della
Conferenza episcopale tedesca (nel
supplemento Christ und Welt del settimanale Die Zeit, 11.10.2012). Nell’articolo, Langendörfer sottolinea che
la persona è cattolica, e tale resta
come battezzata cattolica, anche dopo
aver dichiarato la propria uscita dalla
Chiesa, «comunque con minori diritti». Inoltre, a suo avviso, si può essere un buon cattolico o anche un cattolico meno attivo, senza versare la
tassa per la Chiesa. Ma, anche in difesa del Decreto generale dei vescovi, il
segretario della Conferenza episcopale tedesca sottolinea che «una separazione formale ed espressa davanti
all’autorità competente deve avere, se
si vuole prendere sul serio la persona,
un effetto corrispondente: quella persona non è più un membro attivo».
Secondo Langendörfer, nella loro critica del Decreto generale molti hanno
espresso valutazioni sorprendentemente materialistiche e decisamente
anguste.
Una questione non decisiva
La questione della tassa per la
Chiesa non scuoterà in tempi brevi la
Chiesa cattolica e neppure la Chiesa
evangelica. Per questo non esistono
neppure ragioni cogenti. La tassa per
la Chiesa, nonostante la sua riscossione da parte degli uffici delle finanze
statali, è un contributo versato dai
membri della Chiesa, calcolato in
base alla capacità finanziaria dei singoli membri (chi versa un’alta tassa sul
reddito versa anche un’alta tassa per
la Chiesa) e garantisce in qualche
modo in notevole misura alle Chiese
redditi affidabili. Non esiste alternativa al riguardo, finché la Chiesa vuole
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Germania
Ecumenismo
mantenere il suo attuale impegno nei
diversi campi (cultura, formazione,
attività sociali, responsabilità nei riguardi della Chiesa universale) e retribuire il suo personale (ministri ordinati e collaboratori laici a tempo
pieno) nel modo in cui ha fatto finora.
Del resto, nella maggior parte dei casi,
la tassa per la Chiesa non è il motivo
decisivo per l’uscita dalla Chiesa in
Germania. E finora nulla indica che
la tassa per la Chiesa sia contestata da
un alto numero di fedeli.
Resta il modo in cui la Chiesa affronta il tema dell’uscita da essa. Al riguardo, occorrerà anzitutto attendere
le esperienze concrete che le diocesi e
le loro parrocchie faranno con la lettera che ora deve essere inviata alle
persone che sono uscite. Varie dichiarazioni delle ultime settimane tradiscono un certo disagio riguardo al
contenuto del testo prescritto dalla
Conferenza episcopale tedesca. Anche qui dipenderà dall’applicazione
di un atteggiamento sensibile da parte
dei pastori nella relazione con le persone che vogliono uscire, o sono
uscite, dalla Chiesa, ognuna delle
quali ha fatto un’esperienza specifica
con la Chiesa e non da ultimo con i
suoi rappresentanti ufficiali. Bisognerà
anche riflettere se continuare l’attuale
prassi della presentazione della dichiarazione di uscita dalla Chiesa agli
uffici dello stato o se non sia più opportuno prevedere la presentazione
della dichiarazione di uscita agli uffici
della Chiesa. Già ora, sulla base della
Lettera dei vescovi, si dovrà tenere
maggiormente conto della dimensione ecclesiale-pastorale di un’uscita
dalla Chiesa.
Attualmente la Chiesa cattolica in
Germania deve affrontare molti problemi: calo del legame con la Chiesa;
massiccia perdita della tradizione; ristrutturazioni in campo pastorale;
mancanza di una cultura del dialogo
al suo interno. Chiesa. Su questo
sfondo, le questioni relative alle modalità dell’uscita dalla Chiesa e alla
tassa per la Chiesa come la fonte
di reddito più importante sono un
aspetto del quadro generale. Certamente non quello più importante o
decisivo.
Ulrich Ruh
Un appello:
unità ora
A
ncora un tentativo, in Germania,
di muovere le acque ferme della
Chiesa attraverso un appello pubblico, con firme e riti mediatici di contorno.
E a promuoverlo sono per la seconda volta
personalità del mondo politico, alcune delle
quali nel febbraio 2011 avevano lanciato
l’esortazione a Ripensare il celibato nella
Chiesa cattolica.1 Si tratta di Annette Schavan, dell’Unione cristiano-democratica
(CDU), ministro dell’Istruzione, di Norbert
Lammert (CDU), attuale presidente del Parlamento, e di Friedrich Kronenberg (CDU),
ex segretario generale del Comitato centrale dei cattolici tedeschi.
Ma, insieme a questi, tra i 23 primi firmatari dell’appello Ecumenismo adesso. Un
solo Dio, una sola fede, una sola Chiesa2 figurano altri nomi di spicco, cattolici ed
evangelici, quali Thomas Bach, presidente
del Comitato olimpico tedesco; Andreas
Barner, membro del Consiglio per le scienze
e presidente del Kirchentag evangelico;
Gerda Hasselfeldt (CSU), vicepresidente del
Parlamento; Richard von Weizsäcker, ex presidente della Repubblica; oltre ad artisti,
giornalisti, personalità del mondo accademico come Hans Joas e Otto Hermann
Pesch (che figura anche tra i firmatari del
memorandum Chiesa 2011 dei teologi tedeschi del 2011).3
Unità vissuta
L’iniziativa parte dalla volontà di non lasciare che – dopo la celebrazione di due
straordinari giubilei, come sono il 50° del
concilio Vaticano II (2012) e il 500° della Riforma protestante (2017) – «tutto rimanga
com’era prima». La divisione tra le Chiese,
osservano, «non ha avuto solo basi teologiche, ma anche tangibili motivazioni politiche (…). Per la lunga separazione delle
Chiese le questioni legate al potere divennero più importanti di quelle legate alla
fede». Oggi che la spaccatura non è più né
voluta né fondata da ragioni politiche, «bastano motivi teologici, abitudini istituzionali, tradizioni ecclesiali e culturali per
proseguirla? Crediamo di no». L’appello si
conclude con l’affermazione: «Come cristiani nella terra della Riforma abbiamo la
speciale responsabilità di porre dei segni e
dare il nostro contributo a vivere la fede comune anche in una Chiesa comune».
La sottovalutazione delle questioni soprattutto ecclesiologiche ancora irrisolte –
in primis il riconoscimento dei ministeri, ma
anche il primato petrino – è il punto debole
dell’appello, come ha mostrato la reazione
del card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità
dei cristiani: «Sono contento nel vedere che
molti sono motivati alla causa ecumenica.
Ma ho l’impressione che i sottoscrittori vedano la situazione da un punto di vista politico e non ne vedano le ragioni teologiche.
Inoltre non è possibile superare la separazione tra le Chiese soltanto in Germania.
Questo è un appello per la Germania e con
la Chiesa luterana. Ma la Chiesa cattolica è
una Chiesa universale per cui tutte le altre
realtà sono implicate in questa situazione».4
E il card. Joachim Meisner, arcivescovo di
Colonia: «Resta da sperare che l’appello di
questi esponenti dell’opinione pubblica non
conduca all’errata convinzione che l’unità
sia già raggiunta e che la si debba solo attuare. Un corridore che si ferma prima della
meta ed esulta, perde la corsa».
È difficile immaginare che i 23 firmatari
dell’appello non siano consapevoli di questi aspetti, così come è plausibile ipotizzare
che il richiamo alla «disobbedienza» nell’appello dei parroci austriaci5 avesse una portata retorica ben funzionale alle dinamiche
della comunicazione mediatica. Forse qualche riflessione ulteriore andrebbe fatta da
un lato sul riproporsi dello strumento-appello nel mondo tedesco come modalità
per sottoporre ai pastori domande urgenti
(fin dagli ultimi anni Novanta, con il movimento della «Chiesa-popolo»); e dall’altro
sull’interventismo del laicato tedesco impegnato in politica in questioni specificamente ecclesiali. La Chiesa deve capire bene
la domanda che viene anche dalla politica,
per poter dare una risposta.
D. S.
1
Regno-att. 4,2011,82; Regno-doc. 5,2011,188.
Presentato in conferenza stampa a Berlino
il 5 settembre, conta al 17 ottobre 6.103 firme ed
è reperibile in tedesco sul sito www.oekumenejetzt.de.
3
Regno-att. 4,2011,82; Regno-doc. 5,2011,181.
4
SIR 7.9.2012.
5
Cf. Regno-att. 14,2011,455; Regno-doc. 15,
2011,455.
2
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Austria
Vienna
terminologia variabile. La riorganizzazione
avviata dall’arcidiocesi di Vienna s’ispira a
quella delle diocesi tedesche di Paderborn
o Aachen, o ad analoghe sperimentazioni
che si stanno compiendo a Salisburgo, Innsbruck e Linz. Nella francese Poitiers già da
un decennio la pastorale è organizzata sulla
base di team di collaboratori volontari che
guidano a oggi più di 320 piccole comunità
locali.
Comunità
parrocchiali e filiali
L
a riorganizzazione dell’assetto pastorale che l’arcidiocesi di Vienna affronterà nei prossimi 10 anni è secondo
l’arcivescovo, il card. Christoph Schönborn
che l’ha presentata lo scorso 19 settembre,
«la più profonda ristrutturazione dalla riforma delle parrocchie attuata più di 200
anni fa dall’imperatore Giuseppe II».
Giunge a compimento con questo atto
il lungo processo avviato nel 2010 sotto il titolo «Atti degli apostoli 2010», che intendeva presentare gli Atti degli apostoli in
chiave moderna, nella convinzione che la
Chiesa debba aprirsi con coraggio alle
istanze dell’uomo contemporaneo (cf. Regno-att. 18,2010,605). Il progetto si è concentrato su due fuochi principali: da un lato
LUCIANO CANTINI
Pompelmo, il circo
e don Luciano
Gente del viaggio, gente di Dio
PRESENTAZIONE DI MONS. SERGIO PINTOR
N
ato come riflessione sulla lunga
esperienza dell’autore nell’accompagnamento pastorale dei circensi, il
libro introduce nell’ambiente con competenza e ironia, offrendo un gustoso
e unico spaccato di questi uomini e
donne perennemente in cammino e del
loro mondo viaggiante.
«ITINERARI»
www.dehoniane.it
pp. 192 - € 16,90
Via Nosadella, 6
40123 Bologna
Tel. 051 4290011
Fax 051 4290099
la centralità del battesimo nell’identità cristiana, dall’altro i necessari mutamenti strutturali per dare corpo alle comunità cristiane
del futuro, e ha coinvolto tutte le parrocchie
e gli ambiti pastorali della diocesi. Nello
scorso giugno, nel corso di una «Giornata
dei consigli» alla quale hanno partecipato
circa 250 rappresentanti dei diversi organismi diocesani, sono state discusse le linee
fondamentali della riforma diocesana.
Modello Sud del mondo
La riorganizzazione prevede nel corso
dei prossimi 10 anni una riduzione nel numero delle parrocchie, che sono attualmente 660: «Molte “comunità filiali” locali
guidate da laici formano insieme una nuova
parrocchia, che viene guidata coralmente
da preti e laici sotto la responsabilità finale
di un parroco», ha affermato il card. Schönborn (www.themakirche.at, 19.9.2012). Una
parrocchia sarà tanto grande da contenere
da tre a cinque preti attivi al suo servizio; i
laici saranno direttori a titolo volontario,
assistiti dai collaboratori a tempo pieno
della parrocchia: sacerdoti, diaconi, assistenti
pastorali o personale amministrativo.
Il proposito perseguito è quello di non
sopprimere le comunità, anzi «nella nuova
parrocchia devono potersi sviluppare più
comunità vive», e la Chiesa deve in questo
modo tornare a essere missionaria, capace di
essere vicina alle persone là dove vivono.
Accanto alla messa domenicale dev’essere
anche possibile alle comunità radunarsi intorno alla parola di Dio nelle comunità filiali.
Il modello esplicitamente richiamato è
quello delle «piccole comunità cristiane»,
che caratterizzano soprattutto l’esperienza
delle Chiese del terzo mondo. «L’idea che la
Chiesa sia solo là dove c’è un prete è una
rappresentazione radicatasi storicamente,
ma che dev’essere corretta. La Chiesa è comunità, e anche le funzioni di governo in linea di principio devono essere esercitate
coralmente».
Datano ormai agli anni Novanta le prime
sperimentazioni di riorganizzazione delle
diocesi per far fronte alla carenza di preti:
unità o comunità o zone pastorali, con una
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Centralizzazione
dell’eucaristia
Se la maggiore responsabilizzazione dei
laici nella guida della comunità è stata generalmente apprezzata, qualche osservazione è stata però sollevata in merito al rapporto tra comunità cristiana ed eucaristia.
Secondo il pastoralista viennese Paul
Zulehner questo ridisegno mette in discussione il valore della celebrazione eucaristica
come espressione centrale della fede cattolica (Die Presse, 21.9.2012). Dover percorrere
lunghe distanze dalle comunità filiali per arrivare alla messa domenicale nella Chiesa
parrocchiale potrebbe portare i fedeli a distaccarsi dall’eucaristia, dando alle comunità una caratterizzazione più «riformata».
Invece di essere «centralizzata», l’eucaristia
dovrebbe trovarsi «dove le persone vivono
insieme come comunità credente». Per
compensare l’allontanamento della Chiesa
dalla base, occorre lavorare molto per costruire una forte coscienza comunitaria.
Helmut Schüller, portavoce del movimento austriaco «Iniziativa dei parroci» che
nel 2011 aveva pubblicato un Appello alla disobbedienza su alcuni problemi urgenti della
Chiesa (tra cui la mancanza di preti; cf. Regno-doc. 15,2011,455; Regno-att. 16,2011,518),
ha sollevato molte critiche alla riforma delle
parrocchie. «Rispondere all’allontanamento
di molti con un allontanamento non è una
buona strada. Noi ci ritiriamo, invece di diventare più forti a livello locale». «In una
Chiesa dalle grandi zone pastorali molti si disperderanno, andranno smarriti molti contatti, si perderà molto in vicinanza e presenza» (Die Presse, 21.9.2012).
Per il movimento «Wir sind Kirche» (Noi
siamo Chiesa) e per «Iniziativa dei laici» è positiva la maggiore responsabilizzazione dei
laici, e c’è la speranza che attraverso la riforma diocesana si arrivi alla codecisione
tra laici e preti. Ma l’accorpamento delle
parrocchie in comunità più grandi sarà motivo di confusione, e in questo modo la
Chiesa dimostra di non essere disponibile a
risolvere in un modo diverso problemi come
la mancanza di preti e l’erosione delle comunità.
D. S.
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Repubblica Ceca
Stato e Chiesa
Rigurgiti anticlericali
Risarcimenti
appesi a un filo
Q
uando l’accordo pareva a portata di
mano, ancora una volta sembra allontanarsi. Per la Cechia, l’unico
paese dell’ex blocco sovietico a non aver ancora trovato un’intesa tra lo stato e le Chiese
sulla restituzione dei beni nazionalizzati dal
regime comunista tra il 1948 e il 1989, sarebbe l’ennesimo tentativo a fallire, a ormai
più di vent’anni dalla «rivoluzione di velluto». Nel passato vi si erano misurati senza
effetto i governi di Vaclav Klaus, Milos Ze-
man, Mirek Topolanek. Il recente disgelo nei
rapporti stato-Chiesa – anche in concomitanza con l’arrivo a Praga dell’arcivescovo
Dominik Duka, capace di dialogo con il
mondo politico e molto stimato dal presidente della Repubblica Klaus – aveva favorito un anno fa il raggiungimento di un accordo (cf. Regno-att. 4,2008,82, 18,2010,607;
16,2011,554), che però ora risulta appeso al
filo delle sorti politiche del primo ministro,
Petr Necas.
Il disegno di legge all’esame del Parlamento, che recepisce i termini dell’accordo
raggiunto tra le Chiese e comunità religiose
e il governo di centro-destra di Necas, prevede che lo stato restituisca complessivamente alle Chiese 134 miliardi di corone
(5,36 miliardi di euro) nell’arco di 30 anni.
Una parte (75 miliardi) sarà costituita dai
beni immobili: terre ed edifici, che le Chiese
dimostreranno di aver posseduto tra il 25
febbraio 1948 e il 1° gennaio 1990, quindi
fino alla confisca da parte del regime comunista. La restante parte, 59 miliardi di
corone da rivalutare in base all’inflazione,
sarà erogata sotto forma di compensazione
finanziaria per i beni immobili che non possono essere restituiti in quanto nel frattempo venduti. Quest’ultima cifra per i
primi tre anni si dovrebbe sommare all’attuale contributo che lo
stato versa alle Chiese
e organizzazioni religiose per le esigenze
del culto e il sostentamento del clero, mentre successivamente si
ridurrà del 5% su base
annua fino a esaurimento, con una separazione completa fra
stato e Chiese. Alla
Chiesa cattolica andrà
l’80% del totale.
In un momento
economicamente difficile per la Cechia,
che risente della crisi
europea anche se attenuata dalla forte connessione con l’economia tedesca e dal non essere ancora entrata nell’eurozona, il primo ministro Necas
(Partito democratico civico) ha investito
molto sull’approvazione di una serie di misure per stabilizzare il bilancio, tra cui la soluzione dell’annosa contesa sui beni ecclesiastici nazionalizzati dal comunismo. La
questione ha infatti un rilievo economico
oltre che storico, in quanto molte municipalità lamentano il blocco ventennale della
progettazione urbanistica relativamente a
terre o edifici già appartenuti alle Chiese,
poiché il loro uso era ristretto per legge a
causa della complessa questione della restituzione; e inoltre sul bilancio dello stato
grava il mantenimento del personale ecclesiastico.
Ma il governo si è trovato a dover superare molti ostacoli, potendo contare sulla
necessaria maggioranza solo alla Camera e
non al Senato, dove l’opposizione capeggiata dal Partito socialdemocratico (CSSD) si
è ulteriormente rafforzata nelle elezioni del
21 ottobre. Dopo l’approvazione del disegno
di legge alla Camera il 14 luglio, l’opposizione ha lanciato una campagna pubblicitaria molto aggressiva contro la restituzione
dei beni ecclesiastici (cf. il manifesto riprodotto qui a lato). Ha cavalcato il sentimento
diffuso della popolazione, che è la più anticlericale d’Europa in parte a causa dei decenni di propaganda comunista, ma in parte
anche per ragioni preesistenti, che vanno
dal nazionalismo ceco – che dal 1800 iniziò
a vedere la Chiesa cattolica come l’emanazione del regime asburgico, di cui era la religione ufficiale – alle venature hussite di
cui ancora si sente l’influenza.
Anche il presidente Klaus, che in linea
generale si è sempre manifestato favorevole alla restituzione, ha espresso la preoccupazione che la legge possa dare la stura
alle rivendicazioni di altre vittime degli
espropri, come i discendenti dei tre milioni
di tedeschi dei Sudeti, che dopo la Seconda
guerra mondiale furono espulsi in massa
dalle loro abitazioni. Ma proprio per questo
il disegno di legge ha posto come limite
post quem invalicabile il 25 febbraio 1948.
Era dunque abbastanza prevedibile che al
Senato il testo legislativo non passasse, e infatti è stato respinto il 15 agosto. Oggi il premier Necas, che potrebbe superare il veto
del Senato se riuscisse a far passare il disegno
di legge alla Camera a maggioranza assoluta,
non è in condizione di portarsi a casa questo
risultato, perché sull’approvazione della legge
di stabilità (che dovrebbe alzare l’IVA e le
tasse sui redditi più elevati per abbassare il
debito pubblico) un gruppo di deputati del
suo partito non è più disponibile a votargli la
fiducia. Molto probabilmente tutto è rimandato alla resa dei conti interna che il
Partito civico democratico avrà durante il
Congresso di novembre, e nella quale si deciderà delle sorti del governo.
Quale che sia il governo in carica, il problema del risarcimento dei beni nazionalizzati tornerà inevitabilmente a porsi, tra le
pressioni dell’Unione Europea su tutti i paesi
coinvolti nel processo di allargamento – a
chiudere il capitolo «1989» – e la sentenza
della Corte costituzionale ceca dei primi di
settembre, secondo la quale le Chiese e gli
organismi religiosi hanno il diritto di pretendere la restituzione dei beni direttamente nei tribunali.
D. S.
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Francia
Matrimonio omosessuale
Aprire il dibattito
A
prire «alle coppie omosessuali il diritto al matrimonio e all’adozione».
Hollande lo aveva promesso in
campagna elettorale. Dopo qualche mese
di gestazione e non poche polemiche, il
progetto di legge sembra pronto per affrontare, il prossimo 7 novembre, il suo
primo passaggio in Consiglio dei ministri.
La data è stata annunciata lo scorso 9
ottobre dal primo ministro Jean-Marc Ayrault, il quale ha definito il progetto
di legge, già anticipato nelle sue linee
fondamentali dal settimanale La Vie
(21.9.2012), «una decisione di giustizia e di
uguaglianza, che prende atto dell’evoluzione della nostra società». Nella stessa
sede, Ayrault ha escluso di inserire nella
proposta la questione dell’accesso alla
procreazione medicalmente assistita per
coppie dello stesso sesso, altra promessa
elettorale di Hollande, rinviata a un successivo disegno di legge «sulla famiglia».
Tale decisione ha provocato scontento e
reazioni apertamente contrarie nelle file
del Partito socialista, dove alcuni – tra cui
Bruno Le Roux, presidente dei deputati –
chiedono che il tema sia affrontato subito.
L’intenzione del governo di superare
l’attuale forma del Patto civile di solidarietà
(PaCS) offrendo il diritto al «matrimonio civile» anche alle coppie omosessuali ha
fatto registrare la presa di posizione contraria sia dell’Assemblea dei vescovi ortodossi di Francia (2 ottobre) sia della Federazione delle Chiese protestanti di Francia
(15 ottobre). Tali iniziative erano state precedute, lo scorso 27 settembre, dalla pubblicazione di un documento intitolato Allargare il matrimonio alle persone dello
stesso sesso? Apriamo il dibattito! (testo
sul prossimo Regno-doc. 19,2012), in cui la
posizione contraria della Chiesa cattolica
era stata argomentata da membri qualificati del Consiglio famiglia e società della
Conferenza episcopale francese. «L’allargamento del matrimonio civile alle persone dello stesso sesso e la possibilità per
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queste di ricorrere all’adozione – si legge
nell’introduzione – è questione molto seria. Una decisione in questo senso avrebbe
conseguenze notevoli sui figli, sull’equilibrio delle famiglie e sulla coesione sociale».
Nel documento, che inizia dalle posizioni «a favore e contro» il matrimonio
per coppie omosessuali, si rileva l’assenza
di «un dibattito politico argomentato all’interno della società francese fra queste
posizioni». Affinché esso possa prodursi è
necessario, anzitutto, «riconoscere il conflitto che esiste fra il significato del matrimonio eterosessuale e l’esperienza
omosessuale contemporanea». Occorre
inoltre «rispettare tutte le voci del dibattito e permettere a ognuno di riflettere
più approfonditamente e di esprimere liberamente le proprie convinzioni. Se
qualsiasi reticenza o interrogativo di
fronte a questa riforma del diritto di famiglia vengono bollati a priori come
“omofobi”, il dibattito è semplicemente
impossibile. È così allo stesso modo
quando viene squalificata a priori la richiesta delle persone omosessuali». Infine, si riconosce che per i cattolici non si
tratta di «imporre un punto di vista religioso, ma di portare il proprio contributo
a questo dibattito in quanto cittadini e
sulla base di argomenti antropologici e
giuridici».
Prima il bene comune
«Spetta all’autorità politica dare ascolto alla richiesta da parte di un certo numero di persone omosessuali di beneficiare di un quadro giuridico formale per
iscrivere nel tempo una relazione affettiva,
ma è in funzione del bene comune di cui
è garante che tale autorità deve cercare
una risposta». Il documento, pur riaffermando «l’importanza dell’alterità sessuale,
e il fatto che i partner omosessuali si differenziano dalle coppie eterosessuali per
l’impossibilità di procreare naturalmente»,
esprime sincero apprezzamento per «il
desiderio di un impegno alla fedeltà di un
affetto, di un attaccamento sincero, della
cura dell’altro e di una solidarietà che va
oltre la riduzione della relazione omosessuale a un semplice rapporto erotico». E
mai prima d’ora, commenta La Croix
(30.9.2012), un documento della Chiesa
francese si era spinto così avanti.
Tuttavia, in esso si sostiene che la domanda di allargamento del matrimonio civile «non può essere trattata unicamente
sotto il profilo della non discriminazione,
poiché ciò supporrebbe come punto di
partenza una concezione individualista del
matrimonio, che non è quella del diritto
francese, per il quale il matrimonio ha una
chiara vocazione sociale». Contrariamente
a ciò che si afferma, infatti, «il matrimonio
non è mai stato un semplice certificato di
riconoscimento di un sentimento amoroso». Esso ha sempre avuto «la funzione
sociale di inquadrare la trasmissione della
vita regolando, nel campo personale e patrimoniale, i diritti e i doveri degli sposi, fra
di essi e nei confronti dei figli a venire».
Inoltre, regolare i problemi sociali di dominio e di abuso di potere «attraverso
l’ignoranza delle differenze fra le persone
appare un’opzione ideologica pericolosa.
Le differenze esistono ed è buona cosa».
Il documento tocca poi la questione
dell’accesso all’adozione e alla procreazione assistita per le coppie omosessuali,
ricordando che lo specifico del potere
politico è «quello di difendere non solamente i diritti e le libertà individuali, ma
anche e soprattutto il bene comune». Il
vero problema «è allora sapere se, nell’interesse del bene comune, un’istituzione
regolata dalla legge deve continuare ad
affermare il legame fra coniugalità e procreazione, il legame fra l’amore fedele di
un uomo e di una donna e la nascita di un
figlio, per ricordare a tutti che: la vita è un
dono; i due sessi sono uguali, ed entrambi
indispensabili alla vita; la comprensibilità
della filiazione è essenziale per la prole».
Questi elementi antropologici e sociali,
così come «la protezione dei diritti del
bambino», prosegue il testo, rischiano infatti di essere passati sotto silenzio.
Infine, riconoscendo possibile un’evoluzione del diritto di famiglia, si domanda
al governo, «anziché cedere alle pressioni
di gruppi diversi», di dare avvio a «un autentico dibattito sociale e di cercare una
soluzione originale che accolga la domanda di riconoscimento delle persone
omosessuali senza tuttavia andare a ledere i fondamenti antropologici della società».
M. B.
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Il fenomeno Fatima
PORTOGALLO
u
n luogo di cultura materna
Colloquio con il vescovo Antonio dos Santos Marto
M
i diceva recentemente mons. Manuel da Silva Martins, emerito di
Setubal e vescovo
rosso della rivoluzione dei garofani
in Portogallo (1975): «Fatima oggi è
realmente un fenomeno che, per se
stesso, merita l’attenzione di tutti i
quadri della cultura. C’è una tesi di
dottorato, difesa all’Università di Lovanio, in Belgio, che considera la fatimizzazione come qualcosa che fa
parte dell’identità del popolo portoghese. Compresi coloro che negano
Fatima». Nel libro-intervista Dialogo
in tempo di macerie José Manuel Fernandes, noto giornalista portoghese,
agnostico, si domanda quale sia il
ruolo di Fatima nel cattolicesimo portoghese: «Un punto di incontro tra le
componenti più popolari, più mistiche, le manifestazioni di religiosità
talvolta quasi eccessive di molti pellegrini e un luogo di culto, che può
essere anche un luogo di cultura. C’è
qualche relazione speciale dei papi
con Fatima? Occupa Fatima un
luogo a parte, speciale, tra i santuari
cattolici? Com’è che Fatima si distingue in Europa e fuori?».1
Mons. Manuel Clemente, vescovo
Monumento ai pastorelli presso la rotonda Santa Teresa de Ourém a Fatima.
di Porto, candidato numero uno a
succedere al patriarca Policarpo nella
sede di Lisbona, più avanti nel libro
risponde così: «Fatima rappresenta
per le strutture pastorali della Chiesa
(…) un’opportunità rara di avvicinarsi alla “fede del popolo” (…). La
cosa più importante a Fatima è tutto
questo convivere positivamente in un
ambiente che il riferimento mariano
rende “materno”. D’altronde, il Portogallo non ha (…) un altro luogo nel
quale tutto si congiunga e si offra
così: dalla semplicità dei piccoli pastori che là hanno vissuto e trasmesso
la loro esperienza religiosa fonda-
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mentale, alle generazioni che là
hanno portato le loro angosce e le
loro speranze; dalle due guerre mondiali alle guerre d’Africa e dopo; dagli stranieri che si sentono a casa alle
visite di Paolo VI e Giovanni Paolo II
(…). Un luogo unico, (…) per molti
l’unico luogo possibile nei tempi più
difficili della vita».2
Il vescovo di Leiria-Fatima, mons.
Antonio dos Santos Marto, teologo
dogmatico formatosi sugli autori di
lingua tedesca, mi cita Nietzsche: «“Il
fulmine e il tuono hanno bisogno di
tempo, la luce degli astri ha bisogno
di tempo, le azioni hanno bisogno di
tempo perché possano essere viste e
sentite”. Benché riferita a un diverso
contesto, questa frase può bene applicarsi al messaggio delle apparizioni della Madonna a Fatima nel
1917. Soltanto distanziandoci nel
tempo, all’inizio di un nuovo secolo,
siamo in grado di coglierne tutta la
portata, la profondità e la rilevanza»,
precisa richiamandosi alla nota definizione del Novecento come «il secolo breve». 3 «È proprio l’arco di
tempo che va dalla Prima guerra
mondiale alla caduta del muro di
Berlino a essere abbracciato dal messaggio di Fatima in modo speciale. Le
apparizioni attingono il loro significato particolare dal momento storico, sociale, politico, culturale e religioso al quale rivolgono la loro
interrogazione e che con il loro messaggio vogliono illuminare».
Mons. Dos Santos Marto, trasferito da Viseu a Leiria-Fatima dallo
stesso Benedetto XVI a motivo della
sua cultura teologica, mi racconta
che il capo del Partito comunista portoghese, Alvaro Cunhal (1914-2005),
una volta chiese: come fate voi a riunire 500.000 persone a Fatima senza
usare la pubblicità? «Conosco casi
di persone – prosegue – che, pur
avendo ricevuto un’educazione cattolica, si erano poi allontanati dalla
fede e dalla Chiesa. Hanno voluto
fare un pellegrinaggio a piedi a Fatima, come tanti fanno. Mi hanno
confessato di aver ritrovato sé stessi,
di essersi interrogati sulla fede. Nel
2010 è venuto a Fatima papa Benedetto XVI. Una settimana prima del
suo arrivo, c’è stata una propaganda
terribile contro la Chiesa e il clero a
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motivo dei casi di pedofilia emersi in
altri paesi europei. Noi pensavamo
che la gente non sentisse la visita del
papa. E invece è capitato il contrario.
A Lisbona, 250.000 persone, a Fatima più di 500.000, a Porto 200.000.
Il papa ha usato un’espressione molto
significativa riguardo a Fatima: l’ha
definita “il cuore spirituale del Portogallo”».
Mi parla poi della recente visita (4
maggio) del presidente del Pontificio
consiglio della cultura, il card. Gianfranco Ravasi. «Ha avuto un’espressione molto bella: “Fatima è un luogo
di cultura materna”. Mi ha fatto pensare, perché in questi tempi predomina la cultura del disincanto, la cultura del vuoto di ideali. Ma a Fatima
le persone trovano la cultura dell’accoglienza, della tenerezza, della compassione, della riconciliazione, della
pace. Anche il card. Tettamanzi è venuto a Fatima. E, vedendomi salutare
la gente e stringere molte mani, mi
ha detto: “Ma lei saluta tutti…”. “Sì,
eminenza, la gente vuole parlare, dialogare, sentire l’affetto”. E gli ho raccontato che mio padre, quando fui
ordinato, mi chiamò in disparte e mi
disse: “Ricordati sempre che vieni da
una famiglia povera e umile. Tratta
bene gli umili e i poveri. Che il potere
non ti monti la testa”. Non ho mai
dimenticato quelle sagge parole».
Qualcosa di differente
«Qui al santuario, vedo con i miei
occhi che si trova la pace. È un’oasi
spirituale, dove le persone trovano
un clima di raccoglimento, di preghiera, di pace interiore. Conosco
gente che viene a Fatima non tanto
per pregare, ma per trovare serenità.
Ed è gente che fa chilometri e chilometri di notte. Qui si trova il silenzio.
Anche in questo senso Fatima è un
luogo di cultura e di cultura materna,
oltre che di culto. Non propriamente
di cultura artistica, ma di cultura di
interiorità, di spiritualità, di pace. E
la pace è un punto essenziale del
messaggio della Madonna».
Osserva ancora l’agnostico Fernandes che la dimensione annuale
dei pellegrinaggi sfida anche i più
scettici. Fatima continua a essere il
maggior polo di aggregazione dei
portoghesi, mentre le chiese sono
vuote o frequentate solo da poche
persone. Si domanda dunque: come
spiegare questa apparente contraddizione, che cosa ha Fatima di differente? Gli stessi cattolici portoghesi
non riescono a spiegarlo, anche perché non c’è più la curiosità nei confronti dei famosi «segreti». Ancora
il vescovo dom Antonio: «Quando
c’era la guerra coloniale, si pensava
che la motivazione che muoveva le
persone ad andare a Fatima fosse
proprio la preghiera per i figli in
guerra e si diceva: quando finirà la
guerra, finiranno anche i pellegrinaggi. Ma questo non è avvenuto;
anzi, i pellegrinaggi sono aumentati.
Si calcola che i pellegrini, per il 75%
portoghesi, raggiungano ogni anno i
4-5 milioni».
«Ritornerei a parlare di “affetto
mariano” – prosegue mons. Dos Santos Marto –, tipico dei portoghesi,
che si esprime con i gesti, i simboli,
non soltanto con le liturgie ben curate, le riflessioni, le omelie. Ad esempio, la fiaccolata è un mare di luce.
Accompagnando il papa, l’ho sentito
dire in tedesco: “Non c’è niente come
Fatima nella Chiesa cattolica in tutto
il mondo”. Un altro gesto tipico: alla
fine del pellegrinaggio, l’addio della
gente con i fazzoletti. È una scena
commovente. Allora, è il pellegrinaggio che parla alla mente e al
cuore. Anche la stessa devozione al
Cuore immacolato, che a me, teologo razionalista, prima non diceva
molto, oggi la capisco soprattutto alla
luce di quello che diceva il card.
Newman: cor ad cor loquitur. Il linguaggio del “cuore al cuore” arriva
bene alla gente».
Il messaggio è permanente
Il vescovo di Fatima mi racconta
la sua esperienza personale. «Fino
agli anni Novanta, Fatima non destava in me particolari emozioni, né
mi appassionavano i pellegrinaggi.
Ma mi chiesero di tenere una conferenza, e dovetti leggere per la prima
volta le “memorie” di suor Lucia. Ne
rimasi profondamente impressionato.
Vi erano in quelle pagine sincerità,
autenticità, verità che non immaginavo. Contengono dei riferimenti all’umanità tra le due guerre, la denuncia della globalizzazione del male
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e delle strutture di peccato, la condanna dei massacri di cristiani, oltre
26 milioni. Ma anche avvertimento e
speranza. Benedetto XVI ha detto:
“Qui Dio ha aperto una finestra di
speranza sul mondo, quando gli uomini gli hanno chiuso la porta”. È
possibile vincere il male; è possibile
dominare le sorti della storia a partire
dalla conversione dei cuori. Dio è
nella solidarietà, è nel bene».
«Dovetti allora trovare le chiavi
ermeneutiche: il messaggio di misericordia attraverso la voce della madre, il cui amore grida a causa del dolore dei figli. L’orizzonte è cristologico e trinitario. Intende far capire
la misericordia, la compassione di
Dio, la vulnerabilità di Dio. Vado
sempre più convincendomi, da convertito da Fatima, che il messaggio è
permanente: non riguarda solo quell’epoca, ma anche e soprattutto i nostri giorni, perché fa emergere il primato di Dio nel suo mistero di amore
trinitario. È la grande sfida per l’annuncio della fede. Si tratta oggi di
far fronte con la testimonianza quotidiana all’indifferenza e alla rassegnazione di fronte al male. Ricordo
l’espressione di Kierkegaard: se Cristo dovesse tornare, gli uomini forse
non lo metterebbero in croce, ma lo
esporrebbero al ridicolo».
Che a Fatima non ci sia più curiosità riguardo al «segreto», me lo
conferma il rettore del santuario, padre Carlos Cabecinhas, un dottorato
in liturgia a Roma, esperto di apparizioni mariane: «Sì, fino al 2000
c’era questa ansia di sapere in che
cosa consisteva il segreto, ma adesso
non c’è più curiosità, il segreto è stato
svelato. So che in Italia e negli Stati
Uniti si scrive che ci sarebbe un
quarto segreto. Quello che posso dire
è che suor Lucia ha confermato che
tutto il segreto è stato svelato e che,
quindi, il problema non esiste. È interessante constatare come il numero
dei pellegrini non è affatto diminuito,
anzi, è cresciuto, dopo il 2000. Come
ha detto papa Benedetto: si sbagliano
coloro che pensano che la missione
profetica di Fatima sia esaurita. Il
messaggio della Madonna, che è un
messaggio di conversione, di ritorno
a Dio, della centralità di Dio nella
nostra storia, rimane con tutta l’at-
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tualità che aveva nel momento delle
apparizioni, forse più urgente di allora».
Quello del «segreto»
è un filone esaurito
Chiedo a padre Carlos se l’insistenza sul quarto segreto non danneggi la vera devozione alla Madonna di Fatima. La risposta è secca:
«Non è un problema che ci tolga il
sonno e la tranquillità, però non ha
senso che si continui a insistere.
Quello che si dice e si scrive sul
quarto segreto ha lo scopo di sfruttare un filone esaurito. Ho un’opinione del tutto negativa circa questi
tentativi, che possono creare un’impressione sbagliata di Fatima». Un’altra precisa domanda al rettore del
santuario: si fanno esorcismi?
La risposta è ancora secca: «No, in
modo assoluto. Qui non c’è nessun
esorcista autorizzato. Se si presentano
dei casi “speciali”, è il vicario generale che se ne occupa. Le assicuro
che fino ad oggi non si è verificato
nessun caso che si potesse dire che vi
fosse bisogno di ricorrere all’esorcismo. C’è la preghiera prevista dal rituale, ma non si tratta di esorcismo.
Pensiamo di costituire un’équipe di
medici, psicologi, sacerdoti per quanti
si trovano in particolari circostanze e
sentono il bisogno di ritrovare sé
stessi. Abbiamo anche in animo di
costituire un gruppo di accoglienza e
di accompagnamento per coloro che,
essendo alla ricerca di Dio e interrogandosi sulla fede, vengono a Fatima
per “ricominciare”».
Fatima si prepara a festeggiare il
centenario delle apparizioni: 19172017. Prima di tutto – ha scritto il vescovo dom Antonio – è un’occasione
storica per esprimere lode e gratitudine a Dio, Padre, Figlio e Spirito
Santo, per questo segno particolare
della benevolenza del suo amore, attraverso Maria. La celebrazione del
centenario non si deve ridurre a una
rievocazione. È, soprattutto, un momento in cui prendere coscienza che
l’appello di nostra Signora di Fatima
non è risuonato invano; che il suo
messaggio continua a esercitare
un’influenza benefica per l’oggi e per
il futuro del nostro cammino di
Chiesa e della storia dell’umanità».
Si è presa come simbolo la menorah: sette braccia e sette lampade. Si
è costituita una commissione teologica per articolare un itinerario attorno a sette grandi temi, che sono
sette luci. La prima luce è la bellezza
del volto di Dio, del suo amore trinitario. La seconda è quella di Dio salvatore, che ci chiama a collaborare
nella storia di salvezza e nel mistero
della redenzione del mondo in Cristo. La terza luce ci fa contemplare
Dio, che nel corso della storia della
salvezza conforta il suo popolo infondendogli coraggio e fiducia.
La quarta luce illumina un Dio
misericordioso e compassionevole,
attento alle sofferenze dell’umanità.
La quinta luce è lo splendore della
santità, che irradia per noi dal volto
di Cristo, di cui Maria è lo specchio.
La sesta luce ci apre a Dio, pienezza
di vita, offerta in Cristo. La settima
completa il candelabro spirituale:
Maria fu scelta dal Dio dell’alleanza
per una missione unica nella storia
della salvezza: essere la madre del
Salvatore.
«Un programma suggestivo ed
esigente, che tuttavia non vincola le
diocesi e le parrocchie», osserva il
vescovo di Leiria e Fatima. «Fatima
non vuol dire fatimizzazione del cattolicesimo portoghese. È una specie
di cuore spirituale. Offre un programma di spiritualità e pastorale.
Insegna che la storia può essere cambiata con la conversione, l’orazione,
l’offerta di sé stessi, la riparazione
del peccato del mondo, la solidarietà
nella comunione dei santi. Fatima si
presenta come un segno di Dio per la
nostra generazione, una parola profetica per il nostro tempo, un intervento divino nella storia umana mediante il volto materno di Maria».
Francesco Strazzari
1
J.M. FERNANDES, M. CLEMENTE, Diálogo em Tempo de Escombros. Uma conversa
sobre Portugal, o Mundo e a Igreja Católica,
Pedra da Lua, Lisboa 2010, 26.
2
F ERNANDES, C LEMENTE , Diálogo em
Tempo de Escombros, 45.
3
Cf. E.J. HOBSBAWM, Il secolo breve –
1914-1991, Rizzoli-BUR, Milano 2006.
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Catechesi
I TA L I A
c
omunità formazione iniziazione
Tr e p a r o l e c h i a v e d a i c o n v e g n i c a t e c h i s t i c i r e g i o n a l i
I
sedici convegni catechistici regionali, che si sono svolti nel
corso del 2012 e che si sono appena conclusi con l’incontro nazionale dei direttori degli uffici
catechistici diocesani (UCD) ad Abano
Terme, il 4 e 5 ottobre 2012, hanno
permesso all’Ufficio catechistico nazionale (UCN) e alla sua Consulta di
offrire alla comunità catechistica italiana un quadro di riferimento della
catechesi in Italia quanto mai vicino
alla realtà, tentando di rispondere alla
richiesta di verifica e di confronto sulla
dimensione dell’impegno educativo
delle nostre Chiese e in particolare sul
rinnovamento dell’iniziazione cristiana, proveniente dagli Orientamenti
pastorali per il decennio, Educare alla
vita buona del Vangelo, attraverso tre
azioni: «discernere, valutare e promuovere».1
I convegni – secondo quando affermato dal direttore UCN don Guido
Benzi nelle sue conclusioni ad Abano
Terme – sono stati un «bel respiro» di
Chiesa conciliare, in quanto, oltre ad
aver coinvolto un largo numero di operatori pastorali (vescovi, sacerdoti, religiosi e laici), hanno mostrato la vitalità della catechesi italiana e anche la
creatività di ciascun territorio nel ripensare e riproporre ciò che deve stare
a cuore a ogni cristiano e quindi a
ogni comunità parrocchiale: annunciare il Vangelo, educare, iniziare alla
fede le nuove generazioni. La verifica
e il confronto sono state quindi l’occasione per «fare il punto» sul rinnovamento catechistico italiano, senza abbandonarsi a quei facili pessimismi
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che possono sorgere dalle pur presenti
problematiche, dai ritardi e dalle stanchezze, ma con il desiderio di comprendere come le intuizioni più volte
presentate nei documenti dei vescovi
italiani siano realmente divenute prassi
pastorale, così da rilanciarne il cammino.
Il percorso vissuto lungo tutto questo anno pastorale ha permesso, inoltre, di individuare alcuni «nodi» della
catechesi oggetto di riflessione della
Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi in vista della stesura di nuovi
orientamenti che, riaffermando il valore del documento di base, Il rinnovamento della catechesi (1970), indichino le scelte pastorali delle Chiese in
Italia per svolgere la loro missione evangelizzatrice, ed è stata anche
un’attività di monitoraggio per giungere all’Anno della fede e al Sinodo
dei vescovi sulla nuova evangelizzazione consapevoli di quanto già si
opera nelle nostre comunità, e di
quanto bisogna ancora progredire.
Durante l’incontro nazionale di Abano Terme è stata presentata un’ampia
relazione di sintesi di tutto il materiale
pervenuto all’UCN dalle regioni in
questi mesi (sintesi delle riflessioni diocesane, relazioni ai convegni degli
esperti, esperienze diocesane e parrocchiali, sintesi dei lavori di gruppo,
introduzioni e conclusioni varie, omelie, sintesi dei direttori regionali, articoli di stampa nazionale e locale),
compendiata in alcuni punti che
hanno raccolto i dati emersi e allo
stesso tempo hanno permesso di in-
travedere delle scelte concrete da operare perché la «teoria» si traduca in
«prassi pastorale».2
Comunità più missionarie
Un primo dato emerso dai convegni è la presa di coscienza di non essere più in uno «stato di cristianità»,
ma di «missione permanente». Da
Nord a Sud è chiaro il passaggio da
una società con una cultura omogenea
e in larga parte impregnata di cristianesimo, dove tutti condividevano sostanzialmente gli stessi valori e la stessa
visione della vita, a una dove vi è in
atto un crescente processo di secolarizzazione, divenuto ormai fenomeno
di massa, che ha favorito una diffusa
indifferenza religiosa e una scarsa pratica religiosa, con conseguenze negative sul processo di trasmissione della
fede da una generazione all’altra. Le
Chiese locali vivono, in un certo senso,
una sorta di «dicotomia pastorale»: da
un lato hanno ben chiaro che, nell’attuale contesto di pluralismo socioculturale, l’educazione alla fede è diventata sempre più complessa e problematica, avvertendo l’esigenza di
operare una svolta da una pastorale «della cura e conservazione della
fede» a una pastorale «missionaria»,
ma dall’altro non riescono a realizzarla per la fatica di tradurre le indicazioni del magistero in autentica
prassi ecclesiale.
Le parrocchie, luoghi fondamentali per la comunicazione del Vangelo
e la formazione della coscienza credente,3 pur mantenendo in larga parte
le attività pastorali «tradizionali», in-
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tuiscono l’esigenza di rinnovare la propria modalità di annuncio e iniziano a
compiere dei timidi tentativi «missionari» verso gli adulti per favorire un
loro «ricominciamento» nel cammino
di fede. Si ritrovano, infatti, qua e là
per l’Italia comunità parrocchiali che
hanno già iniziato la revisione dei propri programmi per non essere considerate «stazioni di servizi», e neppure
solo luoghi di pastorale ordinaria, di
celebrazioni liturgiche, di amministrazione di sacramenti, di catechesi e
catecumenato. Queste parrocchie, alla
luce della nota pastorale dell’Episcopato italiano Il volto missionario delle
parrocchie in un mondo che cambia
(2004), desiderano diventare centri di
irradiazione e di testimonianza dell’esperienza cristiana e tentano nuove
vie per essere luoghi in cui l’ascolto
delle persone e dei loro bisogni apre
alla realizzazione del regno di Dio, in
quanto strada perché la ricerca della
verità introduca all’incontro con Cristo, nutra e rinforzi l’adesione a lui. Le
esperienze di rinnovamento dell’iniziazione cristiana con il coinvolgimento attivo della famiglia, quelle di
primo/secondo annuncio4 del pre- e
post-battesimo, la promozione dei
gruppi di ascolto della Parola, l’attenzione alle nuove povertà rendono le
comunità parrocchiali più aderenti
allo stato permanente di missione in
cui anche la Chiesa italiana si trova.
All’interno di questo positivo movimento di rinnovamento delle comunità, anche il volto della catechesi che
ci viene restituito dai convegni è vivace: desideroso di rinnovarsi pur nelle
difficoltà incontrate. È una catechesi
che, a vari livelli e in diverse circostanze, dimostra il proprio desiderio di
vivere «al passo con i tempi», anche se
non mancano in certe zone d’Italia
«desideri nostalgici» e tentativi di ritorno a forme desuete e «archeologiche» di una catechesi che, se allora rispondeva ai bisogni del tempo, oggi
sarebbe inefficace e anacronistica. La
promozione dei nuovi percorsi a volte
fatica a causa dell’assenza di una reale
mentalizzazione degli operatori (parroci, catechisti, operatori pastorali, famiglie), della necessità di un nuovo investimento di forze difficile da reperire
o del mancato ricambio generazionale
dei catechisti. In ogni caso, però, que-
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sto movimento di rinnovamento evita
quell’atteggiamento rassegnato e
stanco in cui si rischia di ritrovarsi se
non ci si apre con fiducia al «nuovo»
abbandonando le proprie «sicurezze»
e «certezze» per ricercare nuove vie.
La formazione degli adulti
La verifica dei convegni regionali
ha evidenziato che è in atto in Italia un
graduale passaggio da una pastorale
centrata sui «piccoli» a una sugli
adulti, confermando quanto già scriveva il documento di base: «Gli adulti
sono in senso più pieno i destinatari
del messaggio cristiano».5 L’autenticità e l’efficacia dell’iniziazione cristiana dei piccoli, infatti, esige una
reale priorità all’evangelizzazione e alla
catechesi degli adulti, e in particolare
dei genitori. Nonostante questa indicazione sia stata più volte riproposta
dal magistero, nonostante si facciano
timidi tentativi, è ancora valida l’affermazione della lettera Annuncio e
catechesi per la vita cristiana (2010), secondo cui «di fatto, questo obiettivo
primario di formare cristiani adulti
[…] è rimasto spesso disatteso».6 Per
questo è necessario che le comunità
parrocchiali riservino una maggiore
attenzione alla formazione «adulta»
degli adulti.7
Le nuove esperienze di iniziazione
cristiana, in questo senso, attraverso il
coinvolgimento dei genitori e della famiglia, diventano un’opportunità per
far riscoprire a questi soggetti la fede
ma anche il desiderio di trasmetterla
alle nuove generazioni. Laddove le
parrocchie hanno avviato percorsi formativi per i genitori l’effetto positivo,
su un numero non quantitativamente
alto ma qualitativamente significativo,
è nella direzione del «secondo annuncio»: molti, infatti, testimoniano di
aver riscoperto la fede, di concepirla
comprensibile, sensata e culturalmente
vivibile, di essersi «riconciliati» con la
Chiesa e di aver ripreso la frequenza
domenicale.8 Alla luce di ciò le parrocchie sono sollecitate a dare più attenzione al coinvolgimento reale, attivo e consapevole delle famiglie nel
completamento dell’iniziazione cristiana dei figli, nella convinzione che la
catechesi dei fanciulli e dei ragazzi,
anche se dovesse essere realizzata in
maniera ottimale da catechisti auten-
tici e competenti, è destinata a rimanere sterile se non supporta la responsabilità educativa dei genitori, i quali
sono i primi fondamentali educatori
delle nuove generazioni con il loro stile
di vita prima che con le loro parole.9
In questo contesto sarà importante anche un’attenzione particolare per i giovani genitori, che vanno evangelizzati
già dalla preparazione al matrimonio
e poi nella pastorale pre- e post-battesimale affinché, incontrato o riscoperto il Vangelo, possano essere aiutati
a divenire realmente i primi educatori
nella fede dei loro figli.
Tra gli adulti da formare le verifiche regionali indicano i catechisti, gli
operatori pastorali in genere, e gli
stessi parroci che fanno fatica nel cambio di prospettiva. Alla «quantità» dei
catechisti, per lo più impegnati quasi
esclusivamente nella catechesi dei fanciulli e dei ragazzi, non sempre corrisponde la «qualità»: spesso hanno una
preparazione inadeguata, non solo in
ciò che è loro proprio, ma anche nei
contenuti della fede, e non sempre ne
hanno consapevolezza. Per questo è
necessario dare più spazio e importanza alla formazione dei catechisti
nelle nostre comunità ecclesiali, troppo
spesso trascurata o sottovalutata. Deve
crescere la convinzione che «investire»
nella formazione è un’impresa di sicuro rendimento. Ciò permetterà anche di superare l’annosa questione dell’assenza di comunità adulte nella fede
fin quando tutti i parrocchiani non
sono adulti nella fede: occorre piuttosto partire dall’interno, da quegli
«adulti implicati» di cui si è parlato nel
Convegno dei direttori UCD di Pesaro (giugno 2011),10 da quei cristiani
impegnati che ritornano a scoprire la
fede mentre la propongono. In questo
senso il Consiglio episcopale permanente di recente ha confermato che bisogna «mantenere prioritario l’impegno di formazione dei catechisti».11
La formazione dovrà essere diversificata in ordine: alla crescita permanente; ai destinatari del loro ministero
(iniziazione cristiana, adulti, battesimo…); ai contenuti e metodi. È da
proseguire (laddove è già iniziata) o
promuovere la formazione dei formatori
dei catechisti, in particolare gli animatori-coordinatori del gruppo-catechisti. Questo livello formativo implica
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un impegno diretto degli UCD sia
nella promozione di formazione diocesana sia nel garantire che le parrocchie curino quella iniziale e permanente dei loro catechisti.
Infine, è necessario promuovere un
adeguato percorso formativo (iniziale
e permanente) per i diaconi permanenti, i seminaristi e il clero affinché
siano abilitati a operare il passaggio
dalla pastorale «della cura della fede»
a quella «missionaria», e si riapproprino del loro ruolo specifico e insostituibile nell’iniziazione cristiana in
chiave catecumenale, consapevoli che
l’appassionato impegno dei parroci –
e dei preti in genere – nella catechesi
non è in conflitto con la corresponsabilità di tutti nell’annunzio del Vangelo, ma è un servizio decisivo per sostenere i laici nella riscoperta della
loro insostituibile vocazione di catechisti.
Iniziazione cristiana
L’attenzione dei convegni regionali, come era giusto, si è focalizzata
maggiormente sull’iniziazione cristiana. Le relazioni sintetiche hanno
evidenziato che è ormai diffusa tra gli
operatori della catechesi, almeno in
linea di principio, l’idea secondo cui
l’iniziazione deve lasciarsi ispirare
dalla logica catecumenale,12 non riproducendo mimeticamente il catecumenato battesimale antico, ma lasciandosi fecondare dai suoi principi elementari caratterizzanti. Questa ispirazione permette di favorire nei catechizzandi la progressiva consapevolezza della fede, mediante itinerari
differenziati che conducono alla relazione con Cristo, formano alla globalità della vita cristiana e aprono alla
conoscenza di Cristo nella vita della
Chiesa. È convinzione comune, infatti,
che l’impostazione dell’iniziazione cristiana ispirata a questo modello offra
segni di speranza, in quanto toglie la
catechesi iniziatica dalla semplice preparazione ai sacramenti, ma da sola
non garantisce l’autenticità e l’efficacia
del cammino per diventare cristiani. Il
più delle volte anche i fanciulli e ragazzi che hanno seguito un percorso di
questo tipo abbandonano la parrocchia e la stessa pratica religiosa. Naturalmente questo fenomeno può essere
imputato a vari motivi: forse nel con-
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creto sono cambiati alcuni nomi, ma
non sempre è cambiata la sostanza;
non sempre i catechisti hanno ricevuto un’adeguata formazione (sotto
altro nome continuano a fare la catechesi con la vecchia mentalità); è ancora carente l’apporto della famiglia e
della comunità cristiana. In ogni caso,
pur di fronte a queste constatazioni,
dalle Chiese locali emerge l’invito a
proseguire su questa strada intensificandola, nonostante i risultati quantitativi (oltre che qualitativi) spesso non
siano esaltanti.
I convegni evidenziano anche il recupero e la valorizzazione dell’intero
arco iniziatico: dalla domanda dell’adulto alla pastorale pre-battesimale
e delle prime età, dal completamento
dell’iniziazione in età scolare alla mistagogia/pastorale dei preadolescenti.
Il percorso richiede di non dare per
scontata la fede. In questo senso il
primo annuncio deve diventare sempre
più la dimensione trasversale a tutto il
processo iniziatico e catechistico in genere: a ogni «passaggio di vita» corrisponde un «passaggio di fede» che richiede un nuovo annuncio e una
nuova adesione a Cristo.13
Il processo d’iniziazione vede nella
pastorale pre- e post-battesimale una
tappa importante perché mette in atto
«alcune attenzioni pastorali per la formazione e l’accompagnamento delle
famiglie nella missione educativa verso
i bambini; in particolare, la centralità
delle relazioni tra i soggetti coinvolti, la
possibilità di un “primo annuncio” rivolto ai genitori, i legami con la vita
della comunità».14 La pastorale delle
prime età, che in quest’ultimo periodo
sta facendo breccia nelle nostre comunità parrocchiali e diocesane, è uno
dei luoghi prioritari per la nuova evangelizzazione e una pista da percorrere,
in quanto rappresenta un’opportunità
per un’azione missionaria nei confronti dei genitori, affinché anche i
bambini siano educati nella fede. In
questo senso il percorso di riflessione e
di confronto iniziato in questi mesi
con l’Ufficio nazionale per la pastorale
della famiglia, che culminerà nel giugno 2013 con un Convegno nazionale
dei direttori UCD e dei responsabili
diocesani della pastorale familiare, potrà apportare quel contributo necessario al pensiero e alla prassi per una
organica pastorale integrata della fascia d’età 0-6 anni inserita nel processo di rinnovamento dell’iniziazione.
Riguardo al completamento dell’iniziazione cristiana in età scolare, oltre ai «criteri» suggeriti dal n. 54a di
Educare alla vita buona del Vangelo,
cioè la responsabilità primaria della
comunità cristiana, le forme del primo
annuncio, il coinvolgimento della famiglia, la centralità del giorno del Signore e dell’eucaristia, l’attenzione alle
persone disabili e la catechesi degli
adulti quale impegno di formazione
permanente, sembra opportuno che il
processo iniziatico favorisca nel ragazzo un’adeguata iniziazione: all’ascolto della Parola, alla vita liturgica e alla conoscenza del dato di fede
perché si possa giungere alla personalizzazione dell’atto di fede. È importante dare attenzione alla riscoperta
della domenica come «giorno del Signore», «giorno della comunità», ma
anche giorno in cui tutta la comunità
si pone in stato di iniziazione e assolve
il suo compito di iniziare le nuove generazioni. In questo senso così si esprimeva il card. Bagnasco al convegno
regionale della Liguria: «Sorge allora
spontanea una domanda: perché non
pensare alla domenica, giorno dell’assemblea liturgica, del riposo, dell’accoglienza nella carità e dell’anticipazione festosa del Regno, come giorno
in cui incrociare la dimensione catechistica e la partecipazione fruttuosa
alla liturgia? E insieme valorizzare
l’anno liturgico come grande itinerario
di catechesi? È proprio tale dimensione domenicale della vita comunitaria che potrebbe permettere di superare un’altra aporia, quella che vede
contrapposti, e quasi concorrenziali
nella proposta pastorale, l’impegno catechistico verso i piccoli e quello verso
gli adulti».15
La verifica delle regioni, infine, è
concorde nell’idea che anche il «dopo»
iniziazione è essenziale per la riuscita
di tutto l’intero processo iniziatico.
Dopo il tempo della mistagogia, così
com’è previsto dall’ispirazione catecumenale, è importante che l’iniziato
sia inserito in una reale pastorale parrocchiale dei ragazzi/preadolescenti.
Spesso si ritiene che l’abbandono dei
ragazzi dopo i sacramenti dell’iniziazione sia prova evidente che l’impianto
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è errato, ma ciò non risponde totalmente a verità perché si dimentica di
riflettere sulla pastorale giovanile e
sulle caratteristiche peculiari della preadolescenza e dell’adolescenza. Occorre allora che, attraverso un’adeguata riflessione e una concertata
progettazione pastorale, si giunga presto alla formulazione di itinerari per i
preadolescenti capaci di essere in continuità con il percorso già fatto, ma
anche in discontinuità rispetto alla catechesi dell’infanzia. L’esperienza mostra che nelle parrocchie dove è maturata una presenza vivace di gruppi
giovanili, che vivono seriamente il loro
cammino cristiano e che i ragazzi più
piccoli incontrano nella vita parrocchiale, la continuità del cammino
dopo l’iniziazione cristiana è possibile
ed estremamente feconda.
Un tempo di «novità»
I convegni regionali lasciano ancora alcune questioni aperte bisognose
di ulteriore riflessione, a partire da
quei «nodi problematici» già enunciati
nell’incontro nazionale dei direttori
UCD del febbraio 2012 e riassunti nei
cinque binomi: obbligatorietà/libertà
della proposta delle nuove esperienze;
ripristino/mantenimento dell’ordine
teologico dei sacramenti; famiglia/comunità (la famiglia riferimento centrale ma non esclusivo, in quanto la
comunità è più e oltre la famiglia); ragazzi/adulti, soggetti che vanno entrambi salvaguardati; mistagogia/pastorale giovanile (quale rapporto?).16
* Don Carmelo Sciuto ricopre l’incarico di
aiutante di studio dell’Ufficio catechistico nazionale.
1
EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita
buona del Vangelo. Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, 4.10.2010, n. 54s; Regno-doc.
19,2012,621.
2
La relazione di sintesi dei sedici Convegni regionali, C. SCIUTO, S. SORECA, Un quadro della catechesi in Italia. Una lettura dopo i Convegni catechistici regionali 2012, sarà pubblicata sul prossimo
Regno-doc. 19,2012. Cf. G. BENZI, La stagione dell’annuncio. Il cammino dei Convegni catechistici regionali nel 2012, in Regno-att. 6,2012,161-163.
3
Cf. EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita
buona del Vangelo. Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, 4.10.2010, n. 41; Regno-doc.
19,2010,617.
4
Cf. E. BIEMMI, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna 2011.
5
EPISCOPATO ITALIANO, Il rinnovamento della
catechesi, documento pastorale di base per la redazione dei catechismi, 2.2.1970, n. 124; ECEI
1/2744.
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Inoltre, è emersa chiaramente,
dopo un decennio vivace di «sperimentazioni», l’esigenza di convergere
verso dei criteri di orientamento comuni a livello diocesano, regionale e
quindi nazionale. Queste linee guida
dei percorsi, che non devono rispondere al criterio dell’uniformità, ma dell’unità e della coralità a cui il progetto
catechistico italiano ha notevolmente
contribuito nel post-concilio, non sono
chiamate a spegnere la creatività e
l’originalità di ogni comunità parrocchiale, ma a orientarne ecclesialmente
il cammino verso l’unico obiettivo che
è il regno di Dio. Si esprime in tal
senso il Consiglio episcopale permanente di settembre 2012 attraverso il
Comunicato finale: «I vescovi hanno
sottolineato l’importanza di concludere la fase delle sperimentazioni degli itinerari di iniziazione cristiana e di
fare comunione e unità attorno al progetto catechistico e agli stessi catechismi della CEI. L’obiettivo di tale investimento è la formazione e l’assunzione del pensiero di Cristo».17 Dal Sinodo sulla nuova evangelizzazione,
per il livello universale, e dagli Orientamenti per la catechesi della Commissione episcopale per la dottrina, l’annuncio e la catechesi, per il livello
nazionale, emergeranno utili indicazioni: «sulla possibilità di configurare
per il catechista un ministero stabile ed
istituito dentro la Chiesa»;18 sul compito dei presbiteri nella catechesi; sull’importanza e la modalità del coinvolgimento della famiglia; sulla pastorale
delle prime età; sull’ordine teologico
dei sacramenti.
I convegni catechistici regionali
2012 hanno inaugurato un tempo di
«novità» per la catechesi italiana. È
un’opportunità che ancora una volta lo
Spirito dà alla sua Chiesa per intraprendere nuovi percorsi di evangelizzazione. Siamo chiamati ad accogliere
il nostro tempo con lo stesso spirito di
gioia evangelica con cui cinquant’anni
fa Giovanni XXIII apriva il Concilio:
«La madre Chiesa si rallegra… Tutti i
concili – sia i venti ecumenici, sia gli innumerevoli e da non sottovalutare provinciali e regionali – che sono stati celebrati nel succedersi dei secoli,
attestano con evidenza la vitalità della
Chiesa cattolica».19 Come ha notato
don Dionisio Candido, responsabile
nazionale del settore Apostolato biblico, nel suo intervento a conclusione
dell’incontro ad Abano, una vitalità similare si è concretizzata nei recenti
convegni regionali e può essere letta
alla luce dell’icona biblica di 1Pt 2,4: i
credenti si riconoscono come «pietre
viventi», strette intorno alla «pietra vivente» che è Cristo, per l’edificazione
della Chiesa. Un’immagine paradossale, giocata tra stabilità e dinamicità,
che traduce bene l’esperienza reale di
quanti oggi in Italia sono impegnati
nella sfida della catechesi, che richiede
una volontà decisa per il Vangelo e
una disponibilità di adattamento alle
diverse situazioni esistenziali.
6
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio
12
Cf. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio generale per la catechesi, 15.8.1997, nn.
68 e 90; EV 16/827.866.
13
Cf. COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA
DOTTRINA, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio e catechesi per la vita cristiana, n. 14;
ECEI 10/3580.
14
V. GATTI, «Massima cura del pre e post
battesimo», in Settimana n. 33, 16.9.2012, 6.
15
A. BAGNASCO, Intervento al Convegno
catechistico regionale della Liguria (2021.4.2012).
16
Cf. C. SCIUTO, «IC: qualcosa si muove. Così in Italia», in Settimana n. 9, 4.3.2012,
8-9.
17
CEI-CONSIGLIO PERMANENTE, Comunicato finale, Roma, 24-27.9.2012; Regno-doc.
17,2012,551.
18
XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA
DEL SINODO DEI VESCOVI (2012), Instrumentum
laboris, n. 108; Regno-doc. 13,2012,407.
19
GIOVANNI XXIII, discorso Gaudet Mater
Ecclesia nella solenne apertura del Concilio,
11.10.1962; EV 1/26*-27*.
e catechesi per la vita cristiana. Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento base Il rinnovamento della
catechesi, 4.4.2010, n. 13; ECEI 10/3579.
7
Cf. M. TIBALDI, «Un “cantiere comune”
per l’iniziazione cristiana», in Settimana n. 25,
24.6.2012, 3.
8
Cf. E. BIEMMI, «Catechesi e iniziazione
cristiana», in G. ROUTHIER – L. BRESSAN – L.
VACCARO, La catechesi e le sfide dell’evangelizzazione oggi, Morcelliana, Brescia 2012, 123.
9
Cf. B. PADOVANI, S. POZZOLI, «Per l’IC i
genitori vanno sempre coinvolti», in Settimana
n. 19, 13.5.2012, 13.
10
Il XLV Convegno UCN dei direttori degli UCD era intitolato: «Adulti testimoni della
fede desiderosi di trasmettere speranza» e si è
svolto a Pesaro il 20-23 giugno 2011. Gli atti in
www.chiesacattolica.it/ucn.
11
CEI-CONSIGLIO PERMANENTE, Comunicato finale, Roma, 24-27 settembre 2012, in
www.chiesacattolica.it; Regno-doc. 17,2012, 552.
Carmelo Sciuto*
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Calabria
Chiesa e mafia
Siete contro Dio:
convertitevi
F
ra settembre e ottobre la Calabria è
stata oggetto di attenzione da parte
dei media per alcuni eventi relativi al
tema mafia e al rapporto Chiesa e mafia.
L’episodio più recente e più grave riguarda la decisione del Ministero degli interni (9 ottobre) di sciogliere il Consiglio comunale di Reggio Calabria per contiguità
mafiosa. È la prima volta di un comune di
questa importanza. «È stato un atto sofferto – ha detto il ministro dell’interno Cancellieri – fatto però a favore della città». I risultati della Commissione di inchiesta
istituita dal governo e presieduta dal prefetto di Reggio Calabria Vittorio Piscitelli
non lasciavano dubbi. Non si tratta solo del
rischio di infiltrazioni mafiose, ma di interi
settori dell’amministrazione finiti in mano a
persone riconducibili alla ‘ndrangheta. Sul
sindaco Demetrio Arena grava l’accusa di
non aver cercato in nessun modo di attivare
le misure necessarie ad arginare il rischio.
L’indagine svolta dal prefetto vede coinvolti
diversi consiglieri, assessori e dipendenti comunali.
In quegli stessi giorni, la Conferenza episcopale calabra, riunita sotto la presidenza
dell’arcivescovo di Reggio Calabria, mons.
Mondello, ha dichiarato che tra i vescovi
della regione «c’è piena condivisione nel dichiarare la ‘ndrangheta anticristiana, ma
anche nell’invitare i suoi affiliati alla conversione e alla giusta riparazione nella prospettiva del perdono cristiano che non si
identifica con il corso della giustizia terrena». La dichiarazione, che riaccende l’attenzione dei media sul rapporto Chiesa e
mafia, fa seguito a una contrapposizione
piuttosto surreale impostata dai media sulle
due distinte dichiarazioni che il vescovo di
Cosenza (mons. Nunnari) e quello di Locri
(mons. Morosini) avevano fatto sulla questione mafiosa. Entrambi erano intervenuti
sul tema della condanna ai mafiosi e sulla richiesta rivolta direttamente a loro di conversione. Diverso stile, stessa sostanza. Di
qui le polemiche che hanno spinto dapprima i due vescovi a una dichiarazione con-
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giunta, alla quale ha fatto seguito la dichiarazione dell’intera Conferenza episcopale
regionale. C’è una certa tradizione di interventi, cresciuti in consapevolezza e incisività,
dei vescovi calabresi sulla mafia che non lascia dubbi. Basterà richiamare, tra gli altri, i
documenti del 1975 (L’episcopato calabro
contro la mafia, disonorante piaga della
società) e quello più recente del 2007 (Se
non vi convertirete perirete tutti allo stesso
modo; Regno-doc. 3,2008,113).
Mi appello a voi,
uomini di mafia
Riprendiamo qui alcuni passi del testo di
mons. Nunnari, reso noto l’8 settembre. Mi
appello a voi, uomini di mafia, questo il titolo della riflessione pastorale nella quale,
dopo un’analisi severa dei mali causati dalla
‘ndrangheta, il vescovo chiede ai mafiosi di
convertirsi e porre fine alla lunga scia di sangue e di oppressione che sta uccidendo la
comunità locale.
«Ai suoi mali antichi – si legge nel documento – si sommano le vostre organizzazioni di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più
visibile e pericolosa. Una presenza che fa pagare alla nostra terra un prezzo alto a livello
sociale, economico e religioso. Siete però
minoranza e non rappresentate la storia e la
civiltà millenaria dei nostri padri. Come
Caino però portate il segno di Dio per non
essere oggetto dell’odio e della vendetta:
“Nessuno tocchi Caino” (cf. Gen 4,9-15). In lui
potete riconoscere il progenitore. Nel suo
cuore perverso, che abbatte il fratello Abele
per avere la supremazia e il dominio sulle
cose che Dio aveva messo a disposizione di
tutti, il vostro cuore.
I segni che vi distinguono sono l’arroganza del potere, la spregiudicatezza del
possedere, l’animosità che acceca e annulla
i vincoli di sangue e la mancanza assoluta di
rispetto per la vita e la dignità umana. In
questo contesto, avere la presunzione di
appellarvi a tradizioni religiose, come spesso
fate anche cercando di prendere parte alla
preparazione di feste patronali, è semplicemente assurdo. Non c’è nulla nel Vangelo di
Cristo a cui voi mafiosi potete richiamarvi,
anzi la vostra stessa esistenza fatta di violenza e soprusi è una controtestimonianza
allo spirito e alla norma etica della parola di
Dio». Il vescovo interviene duramente anche
sulla cosiddetta pratica cultuale dei mafiosi,
dichiarando che non è pensabile definirsi
cristiani e mafiosi.
«Non è certo la partecipazione, anzi
peggio l’inserimento subdolo nelle pratiche
della pietà popolare, che vi abilita ad appartenere a una Chiesa che purtroppo, soprattutto nel passato, non sempre è riuscita
a discernere i vostri atteggiamenti, a tal
punto da cadere in questo imbroglio. Ciò ha
permesso ad alcuni della vostra poco o per
nulla onorata società di far parte di comitati
per la realizzazione delle feste. Anche per
questo alcune di esse hanno ancora molto
dello spirito pagano (…).
Basta con la strumentalizzazione della
devozione alla Madonna e ai Santi a cui solo
cuori purificati e semplici possono accostarsi. Se Cristo è la vita e la verità, il vostro
agire vi mette dalla parte della morte e della
menzogna. Se la Chiesa e l’esempio di santità di tanti uomini colpiti da voi vi indicavano la luce, voi avete scelto consapevolmente le tenebre. Se Dio è tenerezza, amore
infinito e compassione per tutti gli uomini,
un insano ed erroneo senso dell’onore arma
la vostra mano contro i fratelli. E infine, vi ricordo che “la gloria di Dio è l’uomo vivente”
(Salmo 21). Voi che seminate morte offendete invece Dio ogni giorno».
Da ultimo l’invito al pentimento e alla
conversione: «Le lacrime di tanti genitori e
sposi in questi anni del mio ministero pastorale hanno reso arduo considerarvi ancora capaci di accogliere l’appello che nasce dal cuore di un padre (…). Il male non
può essere l’assoluto nella vostra vita,
aprite perciò il cuore al messaggio eterno
del Vangelo che è annuncio di liberazione
e di salvezza e non ha nulla a che fare con
le false devozioni. Ecco allora, vi chiedo di
farvi raggiungere dallo Spirito effuso dall’Alto, l’unico che ha il potere di mutare il
deserto della vostra esistenza in un giardino
dove fiorisce la giustizia e la pace.“Lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20), è ancora l’esortazione che Paolo rivolge ai cristiani e che è rivolta anche a voi oggi». Un
invito secondo uno stile di condanna radicale del male e di richiesta di conversione
agli uomini che fa eco al grido di Giovanni
Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento
(9.5.1993): «Convertitevi! Un giorno verrà il
giudizio di Dio».
G. B.
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La proposta del MoVI
V O LO N TA R I ATO
l
e strade della prossimità
I
l percorso è partito nel 2011, Anno europeo del volontariato. Di qui il Movimento di Volontariato italiano (MoVI)
ha lanciato una serie di riflessioni culminate in un laboratorio nazionale che
ha radunato a Roma dal 1° al 3 giugno
scorso 350 volontari e giovani italiani. Nato
nel 1978 a opera di don Giovanni Nervo e
Luciano Tavazza (1927-2000; Regno-att.
10,2000,355), che associarono una serie di
gruppi sparsi sul territorio nazionale, il MoVI
con il laboratorio «Strade nuove per l’Italia»
ha costatato che la crisi dei paesi occidentali
spinge alla riformulazione di un nuovo modello di sviluppo. Per questo il volontariato
deve fare tesoro, attraverso il rilancio della dimensione profetica della solidarietà che
l’aveva caratterizzato nei suoi inizi, di quella
«riserva di gratuità» che tuttora è presente nel
paese per uscire dalla crisi e riavviare «il
cammino della società italiana, orientandola verso il compimento di quella profezia»
attraverso cinque «strade nuove» confluite
nel manifesto che qui pubblichiamo.
Prima strada: A L I M E N TA R E
U N D I F F U S O V O L O N TA R I ATO
D I P RO S S I M I T À , P E R S O ST E N E R E
U N W E L FA R E D I C I T TA D I N A N Z A
Abbiamo colto come, nella drammatica
riduzione delle risorse pubbliche, non sia
possibile rinunciare ai sistemi per il benessere e l’inclusione sociale, soprattutto perché
questa crisi aumenterà i livelli di povertà e
i rischi di esclusione. Ma non possiamo continuare a pensare che tutto dipenda dalle risorse pubbliche. Soprattutto, non possiamo
pensare che tutte le situazioni di bisogno richiedano servizi professionali e strutturati.
Attingendo alla «riserva di gratuità», dobbiamo rilanciare la pratica del «volonta-
Un manifesto per andare oltre
il professionismo della solidarietà
riato di prossimità», di un volontariato diffuso fatto senza bisogno di organizzazioni
complesse, attraverso il quale ciascuno possa
accorgersi dei propri vicini e prendersene
un po’ cura. Volontariato di prossimità è
una forma di impegno nella quale non si diventa «specialisti del sociale», non si devono frequentare corsi, non è necessario
iscriversi a registri o compilare moduli, non
serve chiedere contributi… È una forma di
impegno per la quale l’unica competenza richiesta è quella dell’essere persone, donne e
uomini capaci di relazione. Se pensiamo, ad
esempio, alla condizione di solitudine di
tanti anziani, all’esigenza di prendersi cura
dei bambini di un condominio nel tempo
fuori dalla scuola, al disagio relazionale di
giovani a rischio di depressione, ci rendiamo
conto che è possibile alimentare forme di
mutuo aiuto piccole e alla portata di tutti.
Cose che già si fanno, ma che possono diventare cultura diffusa, contro la tentazione
di «farsi i fatti propri». Questo non significa
rinunciare ai servizi sociali che realmente
servono, ma significa limitarli a quelli realmente necessari e concentrare su questi le risorse che si riescono a trovare.
CONCRETAMENTE: far nascere, sperimentare e condividere a livello nazionale
esperienze locali di volontariato di prossimità.
Seconda strada:
R I A P P RO P R I A R S I
D E G L I S PA Z I CO M U N I
La cura dei beni comuni (un edificio
scolastico, un parco pubblico, un bene culturale, un bene ambientale…) è una straordinaria modalità per educarsi all’interesse generale. Comune è, infatti, un bene
che è tale perché tutti possono fruirne senza
che questo venga meno per gli altri, ma solo
a patto che tutti se ne prendano cura. La
cura per i beni comuni è, dunque, una
forma di esercizio della cittadinanza attiva,
un modo per rilanciare i valori della Costituzione. Ma i beni comuni sono anche una
risorsa della comunità, un «capitale» che
può contribuire a fare la ricchezza di un territorio. I volontari devono fare, della cura
dei beni comuni, uno spazio proprio del
loro impegno, una possibilità per coinvolgere altri cittadini intorno a progetti concreti di impegno, quindi uno strumento di
cambiamento culturale, sapendo anche che
i beni comuni sono invisi alle mafie, perché
ne rappresentano concretamente e simbolicamente una riduzione del potere sociale.
Una priorità su cui è significativo investire
oggi è quella della cura delle scuole. La gestione degli edifici scolastici negli orari in cui
non sono utilizzati per l’attività didattica, facendone luoghi di animazione dei quartieri, di educazione non formale, di aggregazione sociale, di integrazione fra culture
diverse, di proposta culturale, ecc. può contribuire anche a riportare la scuola al centro dell’interesse di tutta la comunità, a superarne una visione individualistica e
competitiva, a rilanciare l’impegno per la
tutela del diritto all’istruzione pubblica.
CONCRETAMENTE: favorire una rete nazionale di esperienze di gestione civica delle
scuole in orario extra-scolastico, attraverso
la nascita di associazioni di genitori, animate dai gruppi di volontariato.
Terza strada:
S O ST E N E R E F O R M E
D I D E M O C R A Z I A PA RT E C I PAT I VA
Diffondere la pratica del volontariato di
prossimità è anche un modo per svilup-
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pare la propensione all’impegno civico, all’interessamento per i problemi della comunità. È, dunque, una strada per alimentare l’impegno politico e ridurre i rischi che
oggi corre la democrazia. Cittadini consapevoli saranno più disponibili a mettersi in
gioco in esperienze di democrazia partecipativa (consulte civiche, esperienze di partecipazione alla decisione su progetti comunali strategici, co-gestione di servizi e
spazi comuni…). Nel tempo della crisi, la
prima sfida della partecipazione politica riguarda i bilanci pubblici, a partire da quelli
comunali, per poter contrastare tutti coloro che sostengono che non ci siano più risorse per il benessere della comunità. Soprattutto quando le risorse sono scarse, è
importante controllare come si decide la
spesa e influire su queste decisioni. È il
modo fondamentale per riportare «i cittadini nella stanza dei bottoni».
CONCRETAMENTE: rilanciare la pratica
della lettura pubblica dei bilanci comunali,
creando momenti formativi per imparare
come si legge un bilancio e convocando
assemblee per discuterne insieme, in vista
delle decisioni dei Consigli comunali.
Quar ta strada:
S V I L U P PA R E
L A S O L I DA R I E T À T R A P E R S O N E ,
LUOGHI E GENERAZIONI:
U N A S O C I E T À E Q U A E S O ST E N I B I L E
Affrontare l’impoverimento dell’Italia e
dell’Occidente senza aumentare le disuguaglianze, senza ridurre l’impegno per la
giustizia nel mondo, senza divorare il pianeta. Queste sfide ci stanno davanti e ci
chiedono responsabilità, coraggio e fantasia. Cosa possiamo fare, da cittadini? Innanzitutto, dobbiamo contrastare la demonizzazione del fisco: impegnarci culturalmente per riaffermare l’idea che le
tasse non sono un «furto dalle tasche degli
italiani», sono uno strumento per ridistribuire la ricchezza, per riequilibrare la società. E di questo, nel tempo della crisi, c’è
molto bisogno; pur con tutta l’attenzione
necessaria perché le risorse raccolte non
vengano sprecate. Dobbiamo rilanciare
una cultura dei beni comuni, per la loro
salvaguardia e per consegnarli non impoveriti alle future generazioni. Dobbiamo,
poi, sostenere politiche di ridistribuzione
mondiale della ricchezza: la Tobin tax sulle
transazioni finanziarie, l’impegno dei governi per gli «obiettivi del Millennio» e la
lotta alla fame, il rafforzamento degli organismi politici internazionali. Dobbiamo
infine – ma, forse, è proprio da qui che
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dobbiamo partire – cambiare stili di vita:
scegliere la sobrietà nei consumi, ridurre il
nostro impatto ecologico, risparmiare acqua ed energia, usare meno l’automobile e
più i mezzi pubblici, scegliere le banche che
assicurano l’impiego etico del nostro denaro, acquistare i prodotti del commercio
equo e solidale, aderire ai gruppi di acquisto solidale…
CONCRETAMENTE: promuovere una
campagna culturale per connettere giustizia
sociale e responsabilità ambientale, a partire
dagli stili di vita delle persone, delle famiglie
e delle piccole comunità... ma anche delle
nostre organizzazioni. Studiare e aumentare la consapevolezza sull’impatto delle
nostre attività (ma anche delle politiche locali e delle altre attività sul territorio) sull’ambiente e sui consumi energetici.
Quinta strada: S O ST E N E R E
L E E CO N O M I E S O L I DA L I
E D I CO M U N I T À
Esistono significative esperienze di solidarietà in varie parti d’Italia che hanno
compreso la necessità di costruire iniziative
economiche, a livello comunitario, in grado
di garantire nuove modalità di risposta ai bisogni delle persone basate sulla mutualità e
sulla filiera corta (la cosiddetta economia a
«chilometro zero»), garantendo posti di lavoro meno in balia delle bizze dell’economia globale. Ed esistono esperienze educative pensate per promuovere una nuova
cultura nella ricerca del lavoro, meno individualista e più proiettata al modello cooperativo. Sono sfide importanti per rispondere al disagio diffuso nel nostro paese, alla
disoccupazione, specialmente tra i giovani,
alla vulnerabilità di persone ricche di risorse
ma che rischiano di «diventare» inutili. Ma
anche uno spazio per dare concretezza a un
«nuovo modello di sviluppo» rispettoso dell’ambiente e più giusto, per far crescere
un’«economia civile» capace di bilanciare
gli eccessi del sistema liberista. Si possono
avviare forme di scambio di informazioni
ed esperienze, iniziative di formazione e
sostegno alla nascita di nuove attività, messa
in rete di azioni e campagne.
CONCRETAMENTE: una campagna di
sensibilizzazione per favorire scelte civiche di sostegno alle economie alternative:
acquisto nei mercatini del «chilometro
zero», partecipazione come sovventori alle
imprese sociali che operano a vantaggio
della comunità e «radicate» nella comunità, sostegno alle esperienze di «transition
town»…
UNA
N U O VA ST R A DA P E R A P R I R E
I C A N T I E R I D E L L E ST R A D E N U O V E
CONCRETAMENTE: c’è qualcosa di importante che manca, che è importante affrontare per avvicinarci alla società che vorremmo?
Le cinque strade disegnate insieme richiedono ora un paziente lavoro di costruzione. Non saranno transitabili in poco
tempo, soprattutto non saranno transitabili
senza un impegno a tracciarne il percorso e
costruirne il selciato. Servono nuovi cantieri
diffusi per disegnare insieme e costruire queste strade nuove. Questi cantieri potranno
essere gruppi locali che sorgano in ogni
luogo in cui si troveranno volontari, giovani
e adulti inquieti che hanno voglia di farsi
progettisti e operai di queste strade. Gruppi
«Strade nuove per…», specificati con il
nome del luogo in cui sorgeranno. Gruppi
praticati da singole persone, da famiglie, da
gruppi informali, da associazioni che vogliano mettersi in gioco senza confusioni e in
piena libertà.
La rete dei gruppi «Strade nuove
per…», con il sostegno del Movimento di
Volontariato italiano, ma in piena autonomia, potrà contribuire a costruire un’«infrastruttura immateriale» di una nuova società italiana, capace di coniugare l’impegno
per il territorio (il locale) e quello per il cambiamento del mondo (il globale). In forma
agile, movimentista, questa rete potrà raccordarsi attraverso strumenti telematici, occasioni periodiche di incontro, campagne
condivise. Potrà darsi momenti di riflessione
e formazione comune, con una costante attenzione a sfuggire il rischio dello schiacciamento sui partiti e le tentazioni del potere
per se stesso. Ma anche evitando di accontentarsi del solo approfondimento culturale.
Il MoVI, che ha assunto la responsabilità di
formulare la proposta e avviare il cammino,
metterà a disposizione la propria esperienza
trentennale di collegamento leggero fra
gruppi di base e la propria credibilità di soggetto impegnato per il cambiamento sociale, senza cedimenti agli interessi di parte.
Il futuro che ci aspetta, le strade che dovremo costruire e percorrere insieme, chiedono uno spirito di novità e la disponibilità
a cambiare sé stessi, conservando l’anima
ma aprendo le strutture e rimuovendo anche
le eventuali incrostazioni rassicuranti. Questa sfida ci riguarda tutti.
Movimento di Volontariato italiano*
* Per informazioni e contatti: stradenuove@
movinazionale.it; www.movinazionale.it.
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Italia
Islam a Milano
Un albo per il culto
L
a Giunta Pisapia ha mantenuto fede ai
buoni propositi espressi, in campagna
elettorale, nei confronti della comunità
islamica milanese, avviando un percorso di
studi sulle problematiche legate al culto con
l’obiettivo di farvi fronte nel pieno rispetto
delle leggi sulla libertà religiosa.
Lo scorso luglio, in un’ottica d’apertura
e ascolto, ha emesso la delibera n. 447545
che precisa le linee di indirizzo per «la promozione del dialogo interreligioso e per il
sostegno del diritto della libertà di culto di
tutte comunità religiose presenti nel territorio», anche di quelle non munite d’intesa
con lo stato. Impegnata a «rendere operative tutte le proprie competenze in materia di diritto di libertà religiosa per la costruzione di una cittadinanza condivisa»,
l’amministrazione comunale di Milano ha
deciso di avvalersi della consulenza gratuita
del «Gruppo di lavoro per il dialogo interreligioso» composto da esperti nelle discipline legate alle tematiche religiose sotto il
profilo socio-culturale e giuridico (Paolo
Branca, Alessandro Ferrari, Silvio Ferrari, Natascia Marchei), i quali hanno già incontrato
i rappresentanti delle varie realtà confessionali, individuando in primis problematiche inerenti all’esercizio del culto in luoghi
dignitosi.
Il dialogo avviato ha condotto l’équipe
di esperti a definire le caratteristiche che, in
conformità alla legislazione vigente, devono
essere proprie delle associazioni religiose
che desiderano praticare il culto nei locali di
loro proprietà. Il passo successivo prevede
poi la costituzione di un «Albo pubblico
delle associazioni e organizzazioni religiose»
che, in possesso dei requisiti previsti, potranno richiedere la messa a norma dei locali
adibiti al culto, ovvero il cambio di destinazione d’uso se già collocati in zona servizi; altrimenti accedere a un bando per l’assegnazione di aree pubbliche, appositamente
individuate dall’amministrazione per le comunità religiose. Un simile intervento ha
avuto precedenti solo nella città di Torino,
dove l’assessore all’Urbanistica, integrazione
e nuove cittadinanze Ilda Curti ha disposto
la riqualificazione di un’area industriale dismessa, ricavandone sette ambienti, nessuno dei quali però è stato dato ai musulmani perché troppo numerosi.
L’accesso all’Albo è condizionato non
solo da precisi requisiti, ma anche dalla sottoscrizione di un «Protocollo d’impegno»
con l’amministrazione comunale al fine di
garantire un ordinato svolgimento del culto
nel rispetto dell’ordinamento giuridico italiano e della civile convivenza, nonché la
realizzazione di momenti di incontro, di dialogo e confronto. Nello specifico le associazioni iscritte all’Albo sono chiamate a
partecipare alla costituzione di una «Conferenza permanente delle confessioni religiose».
Il Coordinamento
delle associazioni islamiche
È proprio in quest’orizzonte di apertura
e disponibilità politica che si colloca il Coordinamento delle associazioni islamiche di
Milano (CAIM), attualmente composto da 14
realtà organizzate sunnite comprendenti
centri islamici di differente riferimento etnico, gruppi giovanili e femminili.1
«Lo scopo del CAIM – spiega il coordinatore Davide Piccardo – è quello di elaborare insieme soluzioni, proposte e d’instaurare un dialogo costruttivo intra-musulmano
e con le Istituzioni. In quanto cittadini milanesi, noi vogliamo giocare un ruolo positivo
e attivo nella costruzione di una città equa,
includente, tollerante e rispettosa delle legalità e della diversità attraverso un percorso
di partecipazione, un rapporto di cooperazione costante ed efficace con l’amministrazione». Chiosa poi Piccardo: «E l’associazionismo islamico può con attività religiose,
educative e culturali operare fungendo da integratore sociale e disattivando potenziali
conflitti».
L’8 agosto una delegazione del CAIM, ricevuta dal vice sindaco Maria Grazia Guida,
ha sottoposto all’amministrazione quattro
richieste che riflettono l’urgenza dell’avvio
di un dialogo responsabile. Di fatto si chiede:
un interlocutore unico; un impegno tempestivo per risolvere le situazioni più critiche
(per es. quella di Viale Jenner che vede dal
2008 i fedeli al Palasharp per la preghiera del
venerdì); un gruppo permanente per il dialogo; infine una commissione di studio sulle
soluzioni giuridiche e urbanistiche.
Pur soddisfatto della volontà e disponibilità politica, Piccardo evidenzia tuttavia
l’incapacità delle istituzioni di pensare ed
elaborare soluzioni in sinergia con la comunità musulmana, lamentando innanzitutto
la mancanza di musulmani all’interno del
«Gruppo di lavoro per il dialogo interreligioso». Ad ogni modo, tali istanze sono
state già recepite da Palazzo Marino, che
prevede di sottoporre al CAIM soluzioni
concrete per i casi più urgenti e attivare la
procedura per l’iscrizione all’Albo entro la
fine dell’autunno. Il prossimo passo del
CAIM, invece, consisterà nell’attivarsi anche a livello provinciale nella direzione
Monza-Brianza.
Infine, il sindaco Pisapia ha chiaramente
manifestato la precisa volontà di trattare
«la questione islamica» in termini tecnici,
de-islamizzandola e slegandola dal turnover
politico, così da porre fine alle strumentalizzazioni per meri interessi elettorali. Ha
avviato un percorso di formalizzazione seria
che responsabilizza le leadership musulmane (dovranno infatti garantire conformità
ai requisiti per l’iscrizione all’Albo), senza ingerirsi nella gestione interna dell’associazione, nella scelta della ragione sociale, nei
rapporti di affiliazione nazionale-internazionale, come invece era accaduto nelle amministrazioni precedenti e nei casi di Genova, Colle Val d’Elsa e Bologna. Il vantaggio
di tale intervento amministrativo, che fa seguito all’istanza di una particolare realtà religiosa, giunge però a beneficio di diversi
altri gruppi: per esempio gli evangelici, che
vivono situazioni simili di «nascondimento»
in garage e appartamenti.
Milano, dunque, città-laboratorio nazionale dell’esercizio del diritto alla libertà di
culto? Staremo a vedere.
Maria Bombardieri
1
Si tratta di: Associazione islamica di Milano
(Cascina Gobba), Istituto culturale islamico (Viale
Jenner), Islamic Forum-Associazione culturale
Bangladeshi, Associazione donne musulmane
d’Italia (ADMI), Associazione di welfare islamica di
Milano, Associazione culturale al Nur Italia, Comunità islamica di Milano (comunità turca), Giovani musulmani d’Italia (GMI), Nuova associazione
culturale islamica Dar al Quran, Alleanza islamica
d’Italia, Associazione Fajr (via Quaranta), Bangladesh cultural & welfare Association, Associazione
Touba (comunità senegalese) e Associazione
Asiam (comunità albanese).
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Italia-Islam
Satira sul Profeta
Reazioni composte
S
ono passati ormai più di sei anni dalla
pubblicazione delle note vignette satiriche sul profeta Muhammad da parte
della rivista danese Jyllands-Posten (cf. Regno-att. 4,2006,73) e dall’omicidio del regista
olandese Theo Van Gogh, e sulla scena mediatica internazionale si presenta un nuovo
caso di «manifestazione satirica del pensiero»
o di «vilipendio del Profeta e dell’islam».
Nel mese di settembre 2012, giusto 11 anni
dopo il terribile attentato terroristico alle
Torri Gemelle, viene fatto circolare su Youtube un trailer di 14 minuti su un presunto
film intitolato Innocence of Muslims. Il video
è stato prodotto da Nakoula Basseley Nakoula, cinquantenne egiziano di origini copte,
residente a Los Angeles e attualmente agli arresti. Innocence of Muslims si presenta come
una satira sulla vita del Profeta. Muhammad
non solo è dipinto come un impostore ma è
anche impersonato da un attore, contravvenendo così al divieto islamico di raffigurarlo.
Si tratta in sostanza di un filmato amatoriale
che solo in parte può racchiudere un vero
storico, presentato in modo inattendibile e
con il chiaro intento di provocare, gettare
discredito sull’islam alimentando sterili polemiche ed esacerbando le relazioni con i musulmani.
Non si lascia attendere la reazione di Muhammad al-Zawahiri e di molti altri esponenti
della corrente salafita egiziana, i quali hanno
invitato i musulmani a manifestare contro il
film davanti alle ambasciate americane.
Prende, così, avvio il dilagare della protesta
fino a lambire la costa australiana, l’America e
l’Europa. L’11 settembre, a Bengasi, la violenza
prende il sopravvento e culmina nell’attacco
della sede diplomatica americana, con l’assassinio di quattro funzionari tra cui l’ambasciatore Chris Stevens.
A distanza di una settimana, del tutto
sprezzante, rincara la dose il settimanale satirico francese Charlie Hebdo pubblicando
nuove vignette satiriche su Muhammad. La
condanna è prontamente emessa dalle massime cariche religiose e politiche islamiche:
da Ahmed al Tayyeb, gran imam di al Azhar al
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Cairo a Mohamed Morsi, presidente egiziano
del partito Fratelli Musulmani.
Anche in Italia le comunità islamiche si
sono espresse sull’accaduto in modalità diverse ma pacifiche. C’è stato chi ha emesso
comunicati stampa, come l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia
(UCOII), che stigmatizzando le provocazioni si
mostra maggiormente preoccupata per possibili «trame destabilizzatrici tese a rinfocolare
l’islamofobia e il sospetto nei confronti dei
musulmani», il Consiglio delle relazioni islamiche in Italia e l’Associazione sciita Imam Mahdi.
C’è stato poi chi ha preferito esprimere
nel sermone del venerdì un sentimento di
condanna sia verso il video anti-islam sia verso
le reazioni violente puntualizzando sul comportamento e l’atteggiamento che deve avere
il buon musulmano in queste situazioni, come
l’Associazione islamica di Milano (Cascina
Gobba); chi ancora come il Centro di solidarietà musulmana di Milano e la comunità bangladesh di Roma ha manifestato il proprio
sdegno scendendo nelle strade con striscioni
inneggianti il rispetto dovuto al Profeta: «Il
Profeta noi l’amiamo e con l’anima lo difendiamo!».
Il silenzio e il dialogo
Il 30 settembre il Centro di solidarietà musulmana di Milano, che riunisce musulmani
non legati ai centri islamici della città, insieme
alla comunità pakistana di Desio, ha guidato un
corteo di 1.300 persone, mentre nei giorni successivi ha allestito uno stand informativo in
piazzale Cadorna dove ha distribuito libretti
sul Profeta. Al contrario c’è chi ha proprio
sconsigliato di reagire con sit-in di protesta,
come il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano (CAIM), ritenendo che «le
manifestazioni di piazza non facciano altro
che dare maggiore pubblicità allo stesso film
e non siano di utilità per la comunità e la sua
immagine pubblica», da cui l’invito a tutti i
musulmani a «non cadere in provocazioni».
Della stessa opinione è la Comunità religiosa
islamica (COREIS) italiana, la quale ha preferito
rispondere con la carta del silenzio.
Infine c’è chi ha voluto promuovere momenti di dialogo e di riflessione, come l’associazione pakistana Muhammadiyya: sabato 6
ottobre ha organizzato a Brescia un convegno
sul diritto alla libertà di espressione e il reato
di vilipendio in Europa, rivolto in particolar
modo alla comunità islamica locale. Tra gli intervenuti vi erano anche due giuristi. Roberto
Mazzola, professore di Diritto ecclesiastico
all’Università del Piemonte orientale e direttore del Forum internazionale Democrazia e
religioni, ha precisato il ruolo e la funzione
della Corte europea dei diritti dell’uomo nel
tutelare la libertà di espressione, quindi ammettendo la critica religiosa solo su un piano
di crescita dialettica.
Cristiana Cianitto, ricercatrice all’Università
statale di Milano, ha evidenziato come nell’ordinamento giuridico italiano la confessione
religiosa è sì tutelata, ma in modo mediato: il
vilipendio della religione è punito quando investe i ministri, i luoghi e gli oggetti del culto
(art. 403, 404, 405 Codice penale). La ricercatrice ha poi trattato il caso della legge sulla blasfemia in Pakistan, affermando che è data «da
un ordinamento giuridico che, permeato da
elementi religiosi, permette la condanna del
vilipendio del Corano con l’ergastolo e del
Profeta con la morte».
Questi eventi non possono che indurre a
una riflessione su due livelli: religioso e politico. Sul piano religioso si constata da un lato
l’uso del vilipendio della religione, l’attacco
contro il sacro compiuto con una certa dose
di violenza verbale – che colpisce anche i cristiani, non solo i musulmani –, celato dietro al
diritto alla libertà di espressione; dall’altro lato
l’incapacità di alcuni musulmani di comprendere che vivere in Europa, secondo un ordinamento giuridico laico, significa anche accettare il rischio che la propria religione sia
oggetto di critica e satira, che la religione non
è un «tabù» e che dal vilipendio ci si difende
con gli strumenti dati dalla democrazia, nei tribunali.
Sul piano politico, invece, si osserva che rispetto al 2005 le manifestazioni di protesta
violenta contro le ambasciate sono state tre,
condotte da esigui gruppi salafiti o jihadisti, in
paesi che hanno vissuto il rovesciamento delle
dittature: Egitto, Tunisia e Libia. Di fatto la
stragrande maggioranza della umma è rimasta
passiva, in particolare quella componente che
ha preso parte alla «Primavera araba» portando al potere i partiti islamici dei Fratelli
Musulmani in Egitto e di Ennahda in Tunisia.
Con ogni probabilità sarà proprio la linea moderata a giocare un ruolo decisivo nella costituzione di paesi democratici, isolando ed estirpando le correnti che fanno di tutto per
imporre il terrore e la guerra civile.
M. Bo.
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I TA L I A- CO N V E G N I
U
r
n avvenimento singolare. Che racconta di un
tessuto ecclesiale più
composito di quanto si
potesse pensare. Più vitale. Più sereno. Certo minoritario,
marginale, con la prevalenza della generazione che sta oltre i 50 e fors’anche i 60 anni. Ma non chiuso su
stesso, e percorso per lo più da uno
spirito costruttivo e dialogante. L’assemblea nazionale «Chiesa di tutti,
Chiesa dei poveri», che si è tenuta il
15 settembre a Roma nell’aula magna del Collegio Massimo dei gesuiti,
era stata convocata nel mese di maggio con un documento che aveva in
calce la firma di otto persone.1 Il documento indicava che l’assemblea era
convocata anche da una serie di
«gruppi ecclesiali, riviste e associazioni», il cui numero è andato via via
crescendo fino a mettere insieme oltre
un centinaio di soggetti.2
Convocata a 50 anni dall’inizio
del concilio Vaticano II, l’assemblea
intendeva non solo «ricordare» ma
anche «interrogare» quell’evento,
«capirne più a fondo il significato e
farne scaturire eredità nuove e antiche e impegni per il futuro». La scelta
di tenerla a settembre, e non a ottobre, è nata dal desiderio di rievocare,
con il Concilio, anche il papa che lo
volle, e in particolare quel passaggio
del messaggio radiofonico dell’11 settembre 1962 in cui Giovanni XXIII
parlò della Chiesa come «la Chiesa di
tutti e particolarmente la Chiesa dei
poveri». Di qui il titolo dell’assemblea.
9:08
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50° Vaticano II
iaprire il cantiere
L’ A s s e m b l e a n a z i o n a l e
«Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri»
Gli organizzatori contavano sull’arrivo di circa 300 persone. Ne sono
arrivate oltre 700, riempiendo la sala
dei gesuiti. Rosa Siciliano, direttrice
di Mosaico di pace, ha presieduto l’incontro con sobrietà, introducendolo
con poche parole: la dedica dell’assemblea a Carlo Maria Martini e ai
tanti altri testimoni del rinnovamento
conciliare che lo hanno preceduto, e
l’auspicio che essa fosse l’inizio di un
cammino da compiere insieme, un
cammino certamente non facile – ha
detto con schiettezza –, visto che
erano convenute a Roma «le esperienze più disparate».
L’architettura dell’assemblea prevedeva quattro relazioni (la biblista
Rosanna Virgili, lo storico Giovanni
Turbanti, il teologo Carlo Molari e la
teologa Cettina Militello), uno spazio tra le relazioni per una serie di interventi, e le conclusioni affidate a
Raniero La Valle. Un momento di
preghiera ha introdotto l’assemblea.
Si è letto tutti insieme un testo scritto
appositamente per l’incontro da don
Marco Campedelli, viceparroco a
San Nicolò all’Arena, a Verona. Un
filo conduttore ha effettivamente attraversato le relazioni e gli interventi.
Ci si è interrogati non solo per capire
meglio che cosa è accaduto nel Concilio, ma per chiedersi che cosa si
deve fare per realizzare quello che il
Concilio ha annunciato.
Rosanna Virgili, docente di esegesi biblica all’Istituto teologico marchigiano, nella sua meditazione sul
discorso di apertura del Concilio,
«Gioisce la madre Chiesa», ha rifatto
vibrare le ragioni della gioia di papa
Giovanni nel convocare la Chiesa in
Concilio e quelle del popolo di Dio
nell’accogliere i cambiamenti e le novità che ne sono venuti. La biblista ha
ricordato che il verbo più impiegato
nella Scrittura è «ascoltare», e che la
Chiesa di cui il Concilio ci ha parlato
è una Chiesa «che non sta davanti al
Signore», che non comanda ma invita, una Chiesa «discipula, diacona,
mater», una Chiesa che «non chiude
la bocca ai profeti».
Lo storico Giovanni Turbanti, ricercatore presso la Fondazione per le
scienze religiose (FSCIRE) di Bologna, ha incentrato il suo intervento su
«La Chiesa e il mondo all’avvento
del Concilio», indicando come le lettere inviate a Roma dai vescovi nella
fase preparatoria fossero per lo più
improntate a un forte senso di ostilità
verso i tratti della modernità e come,
invece, l’ansia pastorale di non perdere il contatto con la gente abbia
prodotto, nel corso del Concilio, una
ricomprensione del rapporto della
Chiesa con la storia e dunque del suo
ruolo di fronte alla modernità, e «una
comprensione meno giuridica di se
stessa e del proprio ruolo nella salvezza».
Carlo Molari ha affascinato l’assemblea con una relazione complessa
ma vivacissima su «Le diverse letture
del Vaticano II». Premesso che «il
Vaticano II è stato convocato per capire come la Chiesa dovesse cambiare», Molari ha osservato che leggere il Concilio secondo il modello
continuità/rottura non è corretto: il
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Concilio è stato sia continuità sia rottura, perché la Chiesa è un organismo vivente. Molari ha preferito parlare di «riforma nella continuità del
cammino ecclesiale», in questo concordando con Benedetto XVI. Riforma, dunque cambiamento.
Ecumenismo,
rivoluzione incompiuta
L’anziano teologo ha messo in luce
cinque tipi di novità introdotti dal
Concilio (lamentando però che sul
tema «Chiesa dei poveri» il Concilio
abbia detto poco e il postconcilio ancora meno): uno «stile nuovo» del
porsi della Chiesa, che sostituisce l’affermazione autocratica della sua autorità e manifesta apprezzamento
dell’«altro»; una nuova nozione di
Tradizione, vista come una realtà vivente che si sviluppa nel tempo; il ricupero di elementi della Tradizione
originaria trascurati o dimenticati e
che riaprono la via all’ecumenismo
(ad esempio la liturgia come atto ecclesiale per eccellenza, la collegialità
episcopale, la dimensione escatologica); la riparazione di deviazioni rispetto alla Tradizione (ad esempio la
negazione della libertà religiosa e
della libertà di coscienza, un’ecclesiologia monarchica che svaluta le Chiese locali, la concezione giuridica della
Chiesa); infine, la consapevolezza dell’irruzione dello Spirito nella storia
attraverso i segni dei tempi e l’accettazione dei cambiamenti culturali realizzati dalle scienze e dalle esperienze
storiche.
Tra la dozzina di interventi che si
sono succeduti in assemblea (tra gli altri Adriana Valerio, Giovanni Franzoni, Felice Scalia, il presidente della
FUCI Stefano Nannini, Alex Zanotelli, Gianni Novello, Giorgio Campanini), e di messaggi letti (quello di
mons. Bettazzi, quello di mons. Capovilla e quello di Arturo Paoli), uno
ha particolarmente colpito per l’efficacia con cui ha indicato la «rivoluzione» conciliare, quello del valdese
Paolo Ricca: «Per otto secoli – ha ricordato – siamo stati dichiarati eretici
e scomunicati, con il Vaticano II
siamo diventati “fratelli separati”; e le
nostre Chiese da “strumenti di perdizione” sono diventate, per la Chiesa
cattolica, “strumenti di salvezza”».
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Una rivoluzione, però, tutta ancora
da tradurre in vita vissuta, dal momento che l’ecumenismo non ha fatto
alcun passo avanti nel postconcilio.
L’intervento di Luigi Sandri, della Comunità di base di San Paolo, ha dato
voce a quanti auspicano un Vaticano
III, che affermi senza remore la collegialità episcopale e che affronti i
problemi nuovi maturati in questi cinquant’anni.
Dalla tesi della necessità di un Vaticano III ha dissentito la relazione di
Cettina Militello, «Speranze e prospettive future». La teologa ha detto
che pensare a un nuovo concilio significherebbe rinunciare a credere
che il Vaticano II abbia già elaborato
tutta una serie di risposte alle istanze
del nostro tempo. Risposte che ci sono
state e che sono «nelle nostre mani».
Piuttosto dobbiamo riconoscere che
tutti abbiamo qualche responsabilità
nella non attuazione del Concilio.
Quat tro parole chiave
«Oggi – ha detto Cettina Militello
– non so indicarvi altra via se non
quella di riaprire il cantiere dei documenti conciliari e metterli in atto».
Quattro le parole chiave evidenziate
dalla Militello per «riaprire il cantiere»: partecipazione attiva, che valorizzi i carismi di ciascuno; sinodalità,
nelle relazioni tra vescovi e papa, sacerdoti e vescovi, laici e sacerdoti, e
recupero della soggettività delle
Chiese locali; ascolto, della parola di
Dio e delle parole del popolo di Dio;
dialogo, con il mondo ma anche dentro la Chiesa e con le culture. Insomma, ha detto la Militello, sta al
popolo di Dio di re-inventare la
Chiesa, spogliarla del suo «statuto imperiale» e renderla vicina agli uomini
del nostro tempo.
Raniero La Valle, nelle conclusioni, ha cercato di individuare il
senso profondo del ritrovarsi nell’assemblea del Massimo. Lo ha chiamato
«il segreto di questo convegno». Ha
evocato la figura del discepolo sconosciuto di cui si parla alla fine del Vangelo di Giovanni, il discepolo che
Gesù amava e che sarebbe rimasto
fino al suo ritorno. «Noi siamo – ha
detto – i discepoli che sono rimasti».
Si può, infatti, parlare di una «successione laicale», che dai discepoli
anonimi che Gesù amava giunge fino
a noi, e che fa parte della Tradizione
stessa che viene da Gesù. Si deve dunque parlare di «un ruolo dei discepoli
nella formazione e nell’incremento
della Tradizione apostolica».
A ben guardare, infatti, del Vaticano II i discepoli non sono soltanto
stati i destinatari, ma anche gli ispiratori. «Certamente – ha osservato La
Valle – i vescovi e il papa sono stati gli
autori e la fonte di autorità delle pronunzie conciliari, ma non si sono vergognati di fare appello al senso dei fedeli, di prenderli sul serio come adulti
nella fede». Di questo sensus fidelium i
vescovi si sono fatti forti, nel Concilio,
per rovesciare gli schemi preparatori,
riconsiderare la Chiesa come popolo
di Dio e maturare un’antropologia finalmente positiva. Ora – ha concluso
La Valle, interpretando lo stato d’animo dell’assemblea – «noi pensiamo
che questo ruolo dei discepoli debba
continuare; che esso debba essere presente e vivo nella ricezione del Concilio e nella sua trasmissione alle giovani generazioni».
È il desiderio con cui si è chiusa
l’assemblea: riaprire con più fiducia il
cantiere della ricezione del Concilio,
per disegnare una Chiesa nuova:
Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri.
Giampiero Forcesi
1
Vittorio Bellavite, portavoce dell’associazione «Noi siamo Chiesa», Emma Cavallaro,
presidente della Conferenza permanente del
volontariato, Giovanni Cereti, prete, teologo e
fondatore del gruppo di spiritualità «Fraternità degli Anawim», Franco Ferrari, direttore
del mensile saveriano Missione oggi e presidente dell’associazione «Viandanti», Raniero
La Valle, giornalista, Alessandro Maggi, biblista carmelitano, Enrico Peyretti, fondatore del
mensile torinese il foglio e membro del Movimento nonviolento, e Fabrizio Truini, membro
del Centro interconfessionale per la pace (CIPAX) e della Comunità romana di San Paolo.
2
Vi troviamo, solo per fare qualche nome,
Pax Christi, il Coordinamento delle teologhe
italiane, Beati i costruttori di pace, Agire politicamente, La Rosa bianca, Ore undici, le Comunità cristiane di base italiane, la Rete dei
Viandanti, i Preti operai della Lombardia, il
Coordinamento nazionale delle comunità di
accoglienza (CNCA), il Movimento Vocatio
dei preti sposati. Tra le riviste ci sono Adista,
CEM Mondialità, Confronti, Combonifem, Il
Tetto, Il Gallo, Missioni Consolata, Missione
oggi, Mosaico di pace, Popoli, Segno, Tempi di
fraternità.
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Te o l o g i a
I TA L I A- CO N V E G N I
c
orpo e sacramento
Una lettura fenomenologica
I
l progetto di rilettura, al tempo
stesso teologica e culturale, della
sacramentaria cattolica, che l’Istituto teologico marchigiano ha intrapreso da alcuni anni, si è arricchito di un ulteriore approfondimento.
Il IV Seminario specialistico organizzato dall’Istituto, svoltosi a Fabriano
(1-3 luglio), ha messo a tema la questione del «Corpo celebrante: per una
lettura fenomenologica della sacramentaria». La presenza cordiale e attenta del vescovo di Fabriano-Matelica, mons. G. Vecerrica, all’apertura
dei lavori ha mostrato non solo la capacità dell’Istituto di radicarsi nella vita
pastorale della regione; ma anche l’importanza della coltivazione delle relazioni umane per un proficuo rapporto
fra teologia e magistero.
L’intuizione di fondo, sulla quale si
sono poi articolate le due relazioni
principali del seminario,1 è stata quella
dell’individuazione della fenomenologia come sapere adeguato del corpo
nella sua materialità, finanche nella sua
«animalità» (come ha rimarcato E. Falque), da un lato; e della lettura fenomenologica del corpo come ingresso
pertinente allo spazio/spessore del sacramento cristiano. L’incrocio fra filosofia (Falque), antropologia culturale
(Bonaccorso) e teologia ha mostrato
tutta la sua fecondità in sede di dibattito – cui hanno contribuito i partecipanti a partire dalle proprie specifiche
competenze di ricerca e docenza. Abbozzando una prima sintesi dei lavori,
il prof. A. Grillo non ha esitato a metterne in risalto il «valore profetico e di
prolessi».
L’ingresso fenomenologico sembrerebbe mostrare, quindi, sia una coerenza interna, sia una portata critica,
rispetto alla comprensione dell’evento
cristiano di Dio e alla sua celebrazione
liturgica nei gesti sacramentali della
Chiesa. Il cantiere è aperto. Iniziano a
profilarsi anche una serie di primi promettenti approcci alla questione; pur rimanendo ancora da calibrare con pertinenza, ma non potrebbe essere altrimenti visto che si è solo agli albori
dell’impresa, il «senso» della fenomenologia nello spazio del sapere teologico.
Tracciando gli orizzonti aperti dal
seminario di Fabriano, Grillo, oltre a
delineare esplicitamente le coordinate
fondamentali di alcuni di questi tentativi, ha anche implicitamente disegnato
una mappa culturale della ripresa fenomenologica della teologia cattolica.
Nella sua ricostruzione, i due poli di riferimento principale si sono concentrati sulla Francia e sull’Italia. Indicando, così, la possibilità di una nuova
stagione della teologia romanza, a
fronte della persistente auto-referenzialità di quella tedesca – ancora poco
incline ad assumere la questione fenomenologica all’interno della teologia
accademica. D’altro canto, salvo qualche rara eccezione (B. Waldenfels, ad
esempio), la fenomenologia tedesca
sembrerebbe essersi spenta con la sua
stessa nascita (E. Husserl).
Lo sconfinamento in Francia della
fenomenologia è stato rapido e senza
ritorno – il Reno, su questo punto, sembrerebbe rappresentare oramai un vero
e proprio spartiacque. Da Merleau-
Ponty a Ricouer; da Derrida a Levinas
e Henry; fino alle generazioni più recenti (D. Franck, F. Dastur, J.-L. Marion, J. Benoist – solo per fare alcuni
nomi della scena francese di oggi). È
nell’alveo di questo travaso della fenomenologia, dalla Germania alla Francia, che s’inserisce il percorso filosofico
di E. Falque, che si caratterizza, in un
dialogo critico con M. Henry, per un
recupero dei percorsi fenomenologici
ante litteram presenti nella tradizione
teologica cristiana. L’impresa si poggia
sulla convinzione che «il cristianesimo
abbia in sé i mezzi culturali e concettuali per attingere al fondo dell’umano
e trasformarlo dall’interno».
Nel suo intervento a Fabriano Falque ha ripreso gli snodi essenziali della
sua ultima pubblicazione,2 nella quale
l’intreccio culturale fra fenomenologia
e cristianesimo si attesta al livello del
rapporto fra corpo ed eucaristia. Per
uscire dal dualismo moderno della
comprensione del corpo, tra estensione
e vissuto intenzionale, Falque propone
l’idea del «corpo espanso», portatore di
quel «caos di passioni e pulsioni che
Dio stesso viene ad assumere nel corpo
a corpo eucaristico». La teologia, in
generale, deve quindi tornare a dedicare attenzione allo «spessore del realismo» del corpo che Dio prende «a
proprio carico» nell’irrevocabilità della
sua incarnazione. E la sacramentaria,
in particolare, non può dimenticare
l’organicità che «l’eucaristia assume,
senza la quale il Figlio dell’uomo non si
sarebbe mai veramente incarnato».
La celebrazione dell’eucaristia trova,
quindi, «il suo contrappunto nel reali-
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smo». Questo ha una ricaduta sulla
comprensione fenomenologica del corpo, rimettendone in circolo la «forza»
attiva che lo sostanzia; controbilanciando così l’esposizione sul lato della
passività che ha caratterizzato molti filoni della filosofia contemporanea sul
corpo. Il correlato del corpo spinge Falque a cercare nella relazione uomodonna il fondamentale dell’umano nel
cui orizzonte diventa possibile pensare il
sacramento cristiano dell’eucaristia:
«L’unione dei corpi non è fusione nell’erotico, né semplice unificazione nell’eucaristia (…). L’unione delle carni
non accade senza la differenza dei corpi;
e, anzi, la rafforza».
Il corpo: modo d’intendere
Il limite, dunque, rappresenta la
forza stessa del corpo; «lo stesso vale
per il sacramento eucaristico, il quale
non fonde ma unisce differenziando».
La differenza sessuale e la differenza
teologica rinviano dunque, secondo
Falque, l’una all’altra; e permettono
di leggere l’una nell’altra: «Coloro che
si accostano alla «mensa del Signore»
umanizzano e abitano tanto più la loro
umanità nell’assunzione del loro essere creato, quanto più Dio riconosce
e misura, allo stesso tempo, lo scarto
della sua divinità con la nostra umanità
affinché noi siamo meglio rinviati a
essa».
Il corpo, pertanto, cambia posizione – sia sul piano fenomenologico,
sia su quello teologico. All’illustrazione
di questo passaggio, di questa revisione
dello statuto complessivo del corpo,
era dedicata la relazione del prof. Bonaccorso: due i perni fondamentali intorno a cui intessere le ricadute sulla
sacramentaria. La prima, teologica, è
l’impossibilità cristiana di concepire
Dio senza il corpo: «Dio non si limita
a parlare all’uomo fornendo informazioni mentali, ma si fa uomo assumendo consistenza corporea – il contenuto della fede è teosomatico». La
seconda, fenomenologica, è una visione del corpo «come modo d’intendere»: il corpo è come l’umano è al
mondo e sta in esso. Conseguentemente, la fede è il modo di essere corporeo della relazione teologale col
corpo di Dio. Il sacramento «opera sul
corpo» e, quindi, permette l’ingresso
nello spazio corporeo del Dio cristiano,
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da un lato; ma opera anche, a sua
volta, «come corpo», così da permettere una postura dell’umano corrispondente «alla forma corporea della
fede» cristiana.
Il sacramento cristiano si attesta sul
piano sociale/comunitario della comunità: l’essere nella comunità è l’unica possibilità per il singolo credente
di «incontrare Gesù» (lato della partecipazione sacramentaria); e «l’essere
così parte di Cristo» è l’unica modalità
per incontrare la trascendenza di Dio
(lato della presenza sacramentale della
comunità in Cristo).
I due versanti devono essere entrambi operativi affinché il sacramento
sia realisticamente efficace. Da un lato,
«il corpo è ciò che si relaziona al
mondo abitandolo: la partecipazione
alla/della comunità è di tipo olistico,
ossia è caratterizzata dallo stare dentro
il tutto». D’altro lato, «il corpo è ciò
che si relaziona al mondo differenziandolo: la trascendenza nella/rispetto alla comunità è di tipo intersoggettivo, ossia è caratterizzata dallo stare
oltre il tutto pensato dal soggetto».
Orizzonti a venire
È così che il corpo intende il legame
alla socialità credente e alla trascendenza di Dio. All’interno di questo spazio corporeo, il sacramento si contraddistingue per «un’inversione rituale tra
la parola e l’azione» (trasformazione
attraverso la parola e significazione attraverso l’azione), e per «l’intreccio rituale tra l’emozione e l’azione» (sentire
affettivo e fare performativo sono strutturalmente legati fra di loro): «Il sacramento risulta un modo originario di
vivere la fede in Cristo a condizione di
non smarrire questo dispositivo rituale
del corpo, ossia la stretta integrazione
tra emozione e azione».
Nelle sue conclusioni, Grillo ha individuato quattro modelli di presenza
fenomenologica nella teologia contemporanea: la fenomenologia come «forma mentis (non solo strumento, non
ancora fondamento)»; l’esercizio fenomenologico come «critica della riduzione del mondo e della storia a oggetto
e concetto»; la fenomenologia «come
strumento riflessivo di un’ermeneutica
teologica» (senza immediata portata
cristologica, né funzione metodologica
rigorosa); la fenomenologia come sen-
sibilità per i «fenomeni inaggirabili»,
quindi in funzione del pensiero antropologico.
Il seminario, ha detto Grillo, ha
messo in luce «il corpo come custode di
una radice più antica e segnata costitutivamente da una relazione che lo
definisce». Se la relazione (ossia la socialità dell’essere corporeo dell’umano,
anche nel suo rapportarsi a Dio) costituisce il corpo come modo d’intendere,
allora il cristiano può riscoprire di essere «corpo celebrante» solo se «riscopre la propria natura di animale politico: che «ha una parola» grazie alla
famiglia, società e stato; e che con la parola può mediare l’immediatezza di
una voce che «ha» e «non ha»». L’inclusione nella socialità di tutti è il luogo
concreto in cui si celebra la singolarità
del Dio di Gesù, come sua stessa destinazione.
La dialettica post-conciliare sulla
riforma liturgica (negazione della necessità – affermazione della sufficienza), e la scomposizione attuale della
Chiesa che ne è conseguita, si frappongono a questa inclusione costitutiva del sacramento cristiano. Il cristianesimo non abita più se stesso,
proprio perché sta pensando solo a se
stesso. La responsabilità sta su entrambi i versanti del contendere, anche su quello dei rappresentanti della
sufficienza della riforma liturgica per
ridefinire il posizionamento culturale
del cristianesimo nel contemporaneo.
Essi si illudono infatti, ha concluso
Grillo, «che un intellettualismo riformatore possa sostituire un atto corporeo di iniziazione e formazione. Qui
né tradizionalismo né liberalismo possono farcela: solo una teologia “postliberale” del sacramento potrà recuperare la centralità corporea – animale, caotica e anche bestiale – del sacramento cristiano e dell’azione rituale che lo sostanzia».
Marcello Neri
1
Svolte dal prof. E. FALQUE (preside della
Facoltà di filosofia dell’Institut Catholique di Parigi), «Per una filosofia dell’eucaristia», e dal prof.
G. BONACCORSO (docente presso l’Istituto S. Giustina di Padova), «Corpo e sacramento in prospettiva fenomenologica».
2
Cf. E. FALQUE, Les noces de l’Agneau. Essai philosophique sur le corps et l’eucharistie, Cerf,
Paris 2011.
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Disintossicare l’eros
La recente discussione teologica sulla morale sessuale cattolica
questo aggrava il problema della credibilità della Chiesa, perché qui i precetti e i divieti morali sono presi molto
sul serio. In presenza di una persistente
e cospicua discrepanza fra le norme
enunciate ufficialmente dalla Chiesa e
la realtà, si avverte e sollecita la necessità di una chiarificazione.
Alcuni docenti di teologia morale,
che alla luce degli sviluppi della società hanno tentato una mediazione
fra il messaggio cristiano e le attuali conoscenze di altre scienze, sono stati redarguiti, a volte fino alla perdita della
facoltà d’insegnare. In molti casi questo ha indotto le generazioni più giovani dei teologi a non occuparsi di questi problemi.
Il prezzo da pagare è comunque
alto, perché in questo modo rischiano
di finire nel dimenticatoio anche le potenzialità umanizzanti dell’etica sessuale cristiana. Infatti la sessualità
umana continua a sollevare, e non solo
fra gli adolescenti e i giovani, tutta una
serie di domande, alle quali si cercano
risposte altrove.
D
all’enciclica Humanae
vitae (1968) di Paolo
VI ai nostri giorni, la
morale sessuale cattolica si trova, a livello
mondiale, in una situazione difficile. A
partire al più tardi da quel documento,
l’insegnamento morale del magistero e
la pratica quotidiana, non solo dei cattolici che hanno preso le distanze dalla
CLXI
Chiesa, hanno imboccato strade diverse, come hanno molto chiaramente
potuto osservare i pastori. Di conseguenza in molti casi nella predicazione,
nella catechesi e nella pastorale non si
affronta praticamente più il tema della
sessualità.
Soprattutto nel mondo anglosassone e nei paesi di lingua tedesca, come
in altri paesi dell’Europa occidentale,
Il grande silenzio
Recentemente questa situazione,
che dura ormai da oltre 40 anni, è stata
aggravata dallo scandalo delle violenze
sessuali sui minori, che hanno messo a
dura prova le Chiese locali negli Stati
Uniti e in Europa occidentale. E riguardo alla sensibilità per la questione
della credibilità non è affatto casuale
che le violenze sessuali contro i bambini e gli adolescenti da parte di preti,
religiosi e altri collaboratori della
Chiesa cattolica siano emerse anzitutto
in quei paesi e abbiano suscitato una
forte indignazione sociale.
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ibri del mese
Anche se occorre essere prudenti a
stabilire relazioni troppo dirette fra
queste realtà, molti hanno attirato giustamente l’attenzione sull’aspetto problematico di un insegnamento sessuale della Chiesa che induce a
passare sotto silenzio un tema di per sé
importante, ma che tuttavia anche la
maggior parte dei cattolici non può o
non vuole osservare. Proprio al silenzio determinato dalla divergenza fra
dottrina e prassi si è attribuita una
parte della responsabilità di questo
elevato numero di violenze sessuali,
così come dell’insufficiente chiarimento di questi atti criminali. Sia la
necessaria maturazione psico-sessuale,
ad esempio di preti e altri collaboratori della Chiesa, sia la necessaria differenziazione del giudizio in caso di
violenza sessuale sono infatti resi più
difficili dall’imbarazzo nei riguardi di
questa dimensione così importante
dell’essere uomini.
In concomitanza con l’elaborazione dello scandalo delle violenze sessuali pertanto si è più volte levata la richiesta che nella Chiesa ci si torni a
occupare più intensamente del tabù
della sessualità, nonché delle carenze
della dottrina sessuale cattolica, come
ha fatto, ad esempio, Stephan Ackermann, vescovo di Trier, incaricato
dalla Conferenza episcopale tedesca
di seguire il problema delle violenze
sessuali sui minori.
Nel frattempo sono uscite le prime
pubblicazioni di docenti di teologia
morale con la richiesta di nuove accentuazioni in materia di etica sessuale. Soprattutto negli Stati Uniti,
dove lo scandalo delle violenze sessuali sui minori era scoppiato già nel
2000, ma anche in Germania, dove
dal 2010 è emersa chiaramente l’entità del problema. Negli Stati Uniti le
nuove pubblicazioni si sono già scontrate con la critica del magistero della
Chiesa. Lì i vescovi si sono occupati in
modo approfondito, in una dichiarazione del 2010, del volume The sexual
person. Toward a renewed Catholic anthropology di Todd A. Salzman e Michael G. Lawler, due teologi dell’Università di Creighton.1 Ma il caso più
celebre è quello della monografia di
Margaret A. Farley, Just love. A framework for Christian sexual ethics, 2
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che nel marzo 2012 è addirittura stata
oggetto di una notificazione da parte
della Congregazione per la dottrina
della fede, dopo che uno scambio di
lettere fra il Vaticano e la suora della
congregazione Sisters of Mercy, a
lungo docente all’Università di Yale,
non aveva prodotto chiarificazioni
soddisfacenti. Entrambe le opere ottennero importanti premi riservati ai
libri teologici: The sexual person nel
2009 come miglior libro di teologia da
parte della Catholic Press Association
negli USA; Just love nel 2008 da parte
del Louisville Grawemeyer Award in
Religion.
Di che cosa trattano queste opere?
Quali sono i nuovi accenti più significativi che introducono nella discussione? Il denominatore comune di
tutti i tentativi più recenti in materia
di etica sessuale è la discussione di
due affermazioni centrali del magistero, presenti anche nell’enciclica
Humanae vitae: il luogo della sessualità vissuta è unicamente quello del
matrimonio fra un uomo e una
donna, per cui la morale sessuale è
sempre morale coniugale; ogni atto
sessuale deve essere aperto alla procreazione, per cui non è permessa la
regolazione artificiale delle nascite.
L’obiezione fondamentale contro
questa posizione, come sottolineano
anche Salzman e Lawler,3 è che un’argomentazione «taglia unica» non
rende giustizia alla varietà dell’esistenza umana. Indipendentemente dal
fatto di essere sposati, di convivere, di
essere celibi o single, tutti devono sforzarsi di integrare la sessualità nel loro
essere; al riguardo, ognuno deve essere
giudicato alla luce delle sue concrete
condizioni di vita.
Anche Margaret Farley afferma
che il ruolo della sessualità è molto
importante per la riuscita di ogni vita
umana. E questo sia in relazione alla
realizzazione che la sessualità umana
rende possibile, sia anche ai suoi lati
oscuri, che possono a volte causare
alle persone violenza non solo fisica.
Data questa ambivalenza della sessualità è molto importante integrarla
nella totalità della vita umana e consentire ad esempio un sano sviluppo
psico-sessuale ai bambini e ai giovani.
Tuttavia mentre in passato, quando
l’insegnamento morale della Chiesa
regolamentava le cose fin nei minimi
dettagli, c’era troppa etica sessuale,
oggi a causa del grande silenzio ci si
occupa troppo poco di queste tematiche.
Sostanzialmente la Farley, dopo
un’analisi storica e interculturale del
tema e alcune annotazioni metodologiche preliminari, elabora il suo approccio nel sesto capitolo del suo libro:
la giustizia come categoria etica centrale deve essere posta in relazione
con l’amore fra le persone quale cuore
dell’etica sessuale. L’autrice affronta
espressamente anche le riserve di chi
pensa che con la sua forte sottolineatura del concetto di «giustizia» si sottovaluti la dimensione romantica dell’amore e il desiderio della sessualità.4
Ma alla fine afferma: «Ho cercato di
mostrare che la giustizia non è una
nozione fredda distinta dall’amore; è
ciò che guida, protegge, alimenta e
forma l’amore e ciò che lo rende giusto e vero».5
Il principio giustizia
Ma quando la sessualità vissuta è
adeguata, moralmente buona e giusta? Un’etica sessuale comprende da
una parte norme minime (ad esempio il divieto della violenza), che non
possono essere in alcun caso violate, e
dall’altra valori, che sono piuttosto
ideali (l’amore reciproco). Ne consegue che molestie sessuali, strumentalizzazione, sfruttamento, costrizione,
stupro sono da respingersi, così come
pornografia, prostituzione e pedofilia.
Centrali sono anche le riflessioni
sull’importanza della pari dignità e
complementarità dei partner, che rinviano a un altro aspetto basilare delle
attuali discussioni in materia di etica
sessuale. Riguardo al tema sessualità
nel suo complesso è importante, anzi
decisivo, ricordare che non si tratta
solo di singoli atti, ma della relazione
fra persone. Margaret Farley illustra
quest’aspetto trattando a fondo i singoli criteri necessari per una relazione
riuscita: autonomia (il libero consenso
dei partner, nonché la volontà di non
trattare l’altro come un mezzo), uguaglianza, reciprocità, disponibilità a un
legame affettivo, fecondità. Quest’ul-
CLXII
603-608_saggio inizio_R161-166:Layout 2
tima non deve essere definita unicamente in termini di prole, per cui vale
anche per le coppie che non possono
avere figli.6 Senza una fecondità, di
qualsiasi natura, ogni amore fra due
persone diventa un égoisme à deux. Va
da sé che questo induce a interrogarsi
anche su altri aspetti dell’etica sociale
relativi all’inserimento delle coppie
nella struttura della società. In questo
contesto la Farley afferma che le relazioni monogamiche continuano a offrire i migliori presupposti per l’amore
romantico, l’intimità, l’amicizia, il
partenariato e l’accoglienza e l’educazione dei figli, ma anche per quei
momenti della sessualità umana che
costituiscono vere e proprie esperienze
di trascendenza.
La notificazione del 14 dicembre
2011 (Regno-doc. 15,2012,458-461)
critica specialmente le conseguenze di
quest’approccio, applicato da Margaret Farley nel settimo capitolo del suo
libro a questioni concrete. A disturbare la Congregazione per la dottrina
della fede sono soprattutto la valutazione positiva dell’autoerotismo, la
comprensione per i divorziati risposati, l’accettazione delle unioni omosessuali, che nel dibattito pubblico statunitense trova una decisa accoglienza. Secondo Farley i passi biblici contrari devono essere letti tenendo presente il contesto, alla luce del messaggio biblico nel suo complesso. Ella
solleva inoltre la domanda se il recente riconoscimento di una predisposizione all’omosessualità non sollevi anche questioni collegate alla
teologia della creazione, questioni che
gettano nuova luce sull’etica delle relazioni fra persone dello stesso sesso.
Da parte sua la notificazione sottolinea che Margaret Farley non comprende il ruolo del magistero, ignora il
suo costante insegnamento o lo tratta
come un’opinione fra le altre. Ella «rivela altresì una comprensione difettosa della natura oggettiva della legge
morale naturale, scegliendo invece di
argomentare sulla base di conclusioni
selezionate da determinate correnti filosofiche e dalla sua propria comprensione dell’“esperienza contemporanea”» (Regno-doc. 15,2012,459). Si
può sospettare che questo riguardi anche l’articolata discussione, da parte
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della Farley, delle scoperte della ricerca sul genere.
Analogamente la Commissione
per la dottrina della Conferenza dei
vescovi cattolici degli Stati Uniti accusa Salzman e Lawler di relativismo
e scarso rispetto della Scrittura, benché nel loro libro soppesino con
grande cautela i rispettivi argomenti
dell’approccio riformistico e di quello
tradizionale. Sia pure con un’argomentazione poco polemica, chiara ma
prudente, la Commissione per la dottrina, in una dichiarazione del 15 settembre 2010, mette in guardia dal libro, perché potrebbe «confondere» i
lettori, e afferma che, alla luce della
sua critica del diritto naturale, «resta
ben poco della teologia morale cattolica».7
Dirit to naturale?
In realtà riguardo alla mancanza
di plausibilità dell’insegnamento della
Chiesa sia Margaret Farley sia Salzman e Lawler rinviano molto spesso
all’argomentazione del magistero basata sul diritto naturale. Essa non
rende giustizia al fenomeno dell’amore umano, come afferma ad
esempio anche Stephan Ernst, docente di Teologia morale all’Università di Würzburg, in uno dei contributi
del volume miscellaneo Zukunftshorizonte katholischer Sexualethik,8 curato
da Konrad Hilpert, docente di Teologia morale all’Università di Monaco.
A suo avviso l’argomentazione basata
sul diritto naturale ha prodotto una
«relazione bloccata, puntigliosa e nevrotizzante verso la sessualità».9 Anche il modello dell’argomenta zione
personalistica, sostenuto non da ultimo da Karol Wojtyla, poi papa Giovanni Paolo II, si è certamente ispirato
al fenomeno della donazione personale totale, ma a livello normativo è
rimasto in definitiva nel quadro del
diritto naturale, come affermano anche Salzman e Lawler.10
Salzman e Lawler argomentano
che la natura allo stato puro non esiste,11 ma è sempre interpretazione o
costruzione sociale. Ma attirano soprattutto l’attenzione sul fatto che un
approccio alle questioni etiche basato
sul diritto naturale – anche nella versione della «new natural law theory» –
non è così convincente come si crede.
Lo dimostra non da ultimo la dottrina
sociale cattolica, che ha avuto uno sviluppo significativo da parte dei papi, e
nella quale trovano posto anche altre
forme di argomentazione. A fare problema nella riflessione basata sul diritto naturale è soprattutto la sua mancanza di collegamento con la storia,
che è stata messa in discussione, anche
da parte del magistero, al più tardi al
concilio Vaticano II. Dopo tutto, in
seguito all’enciclica Divino afflante
Spiritu di Pio XII (1943) e alla costituzione Dei verbum sulla divina rivelazione del concilio Vaticano II, è legittima una riflessione storica sulla sacra
Scrittura. Lo stesso vale per lo sviluppo
dei dogmi, da quando anche il magistero non considera più statica la fede
cristiana (esempi tratti dalla storia
della teologia sono i cambiamenti di
posizione riguardo al divieto del prestito a interesse, alla schiavitù o alla libertà religiosa). Anche Salzman e Lawler, dopo le loro approfondite riflessioni generali, incentrano l’attenzione sulle questioni relative alla morale coniugale, alla sessualità e alle tecniche di riproduzione artificiali.
I due autori ricordano, inoltre, che
anche il concilio Vaticano II ha posto
importanti accenti su contenuti di cui
non si è ancora riconosciuta pienamente l’importanza. Dopo tutto, a
partire dalla costituzione pastorale
Gaudium et spes è evidente che la sessualità vissuta non è solo questione di
procreazione; essa ha anche un proprio diritto (nn. 47-52), e questo cambia la prospettiva.
Questo è un punto centrale anche
nel volume di Martin Lintner, Den
Eros entgiften! Plädoyer für eine zukunftsfähige Sexualmoral und Beziehungsethik, per la quale Karl Golser,
già suo predecessore sulla cattedra di
Teologia morale a Bressanone e poi
nominato vescovo di Bolzano-Bressanone ha scritto la Prefazione.12 Nella
sua monografia Lintner intende soprattutto sviluppare, a partire dai dati
biblici e dai nuovi accenti posti dal
concilio Vaticano II, invece che l’ostilità verso il corpo, che ha profondamente influenzato la tradizione cristiana, un atteggiamento più positivo
verso la sessualità, che può diventare
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anche – letteralmente – una «porta
per l’irruzione di Dio».13 Prima di occuparsi dell’attuale «lista dei problemi», Lintner celebra l’eros nella
sua integralità come l’esperienza significativa e gioiosa di quella forza
che spinge la persona a oltrepassarsi
ed entrare in relazione con altre persone, in un modo diametralmente opposto alla critica di Friedrich Nietzsche, per il quale il cristianesimo ha
avvelenato l’amore. La «disintossicazione dell’eros» perseguita da Martin
Lintner riguarda sia l’ostilità verso la
sessualità e il corpo, sia la banalizzazione sociale della sessualità, ad esempio la sua riduzione a merce nel turismo sessuale e nella pornografia in
Internet. Egli parte, come anche gli
altri autori, dalle concezioni positive
dell’amore sessuale nella Bibbia, dal
racconto della creazione fino alle implicazioni delle azioni di Gesù, passando attraverso il Cantico dei cantici
di Salomone, senza trascurare il fatto
che nel Decalogo, come anche negli
insegnamenti di Gesù, si rifiuta il divorzio, non l’intera sessualità umana.
Nell’Antico Testamento le valutazioni
negative della sessualità, considerata
nella sua ambivalenza, sono molto
spesso legate alla questione della purità cultuale. In seguito la patristica ha
ripreso posizioni filosofiche del tempo,
introducendo così nella concezione
cristiana idee non corrispondenti all’immagine biblica dell’uomo e irrigidendo sotto molti aspetti la relazione
fra il cristianesimo e la sessualità
molto più di quanto avviene nelle altre religioni mondiali.
Purezza e sessualità
Recentemente anche Arnold Angenendt, docente di Storia della
Chiesa all’Università di Münster, ha
sottolineato che all’inizio del cristianesimo la «purità cultuale» non era
una categoria importante, mentre in
seguito la Chiesa ha ripreso le concezioni arcaiche (Süddeutsche Zeitung
9.2.2011). Analogamente Martin Lintner scrive: «Mentre per Paolo l’a more del prossimo concretamente vissuto e il rispetto degli altri nella
partecipazione all’eucaristia erano decisivi, con il passare del tempo si collegò sempre più strettamente purezza
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morale e continenza sessuale, determinando una fatale separazione fra
religione e sessualità». 14 Egli attira
espressamente l’attenzione anche sulla
concomitante progressiva svalutazione
della donna («tradimento del Vangelo!»), un aspetto che segue continuamente e coerentemente nella sua
rassegna della storia della cultura cristiana.
A suo avviso solo il concilio Vaticano II ha indebolito, nella Gaudium
et spes, la potente influenza della premessa stoica, secondo cui la sessualità, per sua natura, è finalizzata unicamente alla procreazione. In questo
modo il Concilio ha superato l’inadeguatezza della «visione naturalistica
e funzionalistica della sessualità, che
ha dominato per secoli nella storia
della teologia, e ha anche posto l’accento sul concetto di coscienza. Ma
Lintner, facendo autocritica, si chiede
anche perché la teologia morale non
abbia recepito i nuovi accenti fondamentali posti dal Concilio, con la sua
richiesta alla Chiesa di «offrire un
contributo costruttivo, orientato alla
persona e alla vita, per una vita riuscita, liberata per amare».15
Anche per Lintner l’enciclica Humanae vitae ha offerto un contributo
decisivo a questo blocco. Ancora una
volta la Chiesa non si è preoccupata
della maturità morale dei fedeli, con
una conseguente perdita di autorità
difficilmente valutabile. Così l’etica
orientata all’obbedienza è fallita, e ora
al suo posto deve subentrare un’etica
orientata alla responsabilità, per mostrare gli «aspetti sempre validi della
morale sessuale della Chiesa». L’autore afferma espressamente che ora,
dopo gli scandali delle violenze sessuali sui minori, nella Chiesa bisogna
assolutamente discutere anche i «temi
che il magistero considera non negoziabili».16
Dell’ampia gamma di queste questioni tratta anche il grosso volume
Zukunftshorizonte katholischer Sexualethik citato sopra, curato da Konrad
Hilpert e pubblicato nella serie
«Quaestiones disputatae», che raccoglie contributi di due dozzine di teologi, per lo più docenti di teologia morale e di etica sociale.
Nella Prefazione si afferma che lo
scandalo delle violenze sessuali su minori ha costretto i docenti di teologia
morale a riconsiderare le tradizioni
magisteriali della Chiesa, cioè le loro
carenze in materia di etica teologica,
e a ripensarle in dialogo con le conoscenze delle scienze umane, sottolineando così prudentemente anche il carattere provvisorio dei contributi del
volume. E alla fine si afferma: «Le
correzioni che vengono proposte non
costituiscono eo ipso attacchi a modelli collaudati. Infatti, possono sussistere anche continuità, se non ci si limita semplicemente a ripetere o
rendere più cogenti posizioni concrete, ma si accetta di svilupparle, ampliarle o migliorarle».17
Oltre a parecchi utili contributi
generali del curatore e a una serie di
testi fondamentali sulla morale sessuale, il volume contiene numerose
analisi su questioni particolari anche
molto recenti: dal classico tema del
celibato a ricerche sul genere, sulla
sessualità virtuale e sulla transessualità, passando attraverso vari contributi sulla problematica della violenza
sessuale.
Anche in questo volume, riguardo
al matrimonio come unico luogo legittimo per l’attività sessuale si sottolinea che solo una minoranza dei contemporanei lo rifiuta in quanto tale,
ma per varie ragioni esiste accanto a
esso tutta una serie di nuove forme di
convivenza che devono essere valutate singolarmente, soprattutto perché nella maggior parte di queste relazioni si tengono in alta considerazione valori quali la fedeltà, la sincerità, la rinuncia.
Al contrario si critica in vari modi
l’atteggiamento che da parte ecclesiale, di fronte alle unioni coniugali
realmente esistenti, continua a idealizzare il matrimonio, come sottolinea
ad esempio Marianne HeimbachSteins, docente di Etica sociale all’Università di Münster.18 Si tiene sufficientemente conto, non solo riguardo alla violenza a sfondo sessuale, del
fatto che molto spesso anche gli sposi,
nella loro vita di relazione, violano la
morale e l’ethos? Continua a non essere comprensibile, come sottolinea
anche Martin Lintner, perlomeno il
fatto che in passato ad esempio la co-
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strizione nel matrimonio era tacitamente tollerata, mentre l’incontro sessuale libero prima del matrimonio fra
due persone innamorate era considerato peccato grave. Inoltre la «morale
del consenso» («è permesso tutto ciò
su cui una coppia può trovarsi d’accordo»), guardata con scetticismo
dalla Chiesa, è chiaramente più esigente dell’etica sessuale tradizionale.
L’unione sessuale
sopravvalutata
In questo contesto Franz-Josef
Bormann, docente di Teologia morale
all’Università di Tübingen, chiede che
il magistero della Chiesa nei suoi documenti consideri con maggiore realismo i fenomeni molto sfaccettati e
assolutamente ambivalenti della sessualità umana, perché ogni presentazione stilizzata e romantica è problematica. 19 Si tratti delle violenze
sessuali o dell’AIDS, molti collegano
con la sessualità umana anche aspetti
decisamente minacciosi. Anche Martin Lintner, riguardo all’«esperienza
delle persone coinvolte», si chiede se il
magistero, nella sua considerazione
del matrimonio, non sottovaluti la
«forza dell’amore, che spinge all’unione dei corpi», e non sopravvaluti
invece la sessualità come il criterio determinante di ciò che costituisce in
definitiva l’unione coniugale: «Bisogna chiedersi se l’unione sessuale non
venga idealizzata, eccessivamente caricata di significati religiosi e sopraelevata, quando le viene attribuito un
valore così alto per il carattere sacramentale del matrimonio».20 La contestazione della fissazione sull’attività
sessuale nel matrimonio induce coerentemente Eberhard Schockenhoff,
docente di Teologia morale all’Università di Freiburg, a perorare l’abbandono dell’attuale prassi dell’esclusione generale di tutti i divorziati
risposati dalla ricezione della comunione. 21 Nel frattempo, l’autore ha
trasformato il suo contributo in una
vera e propria monografia, intitolata
Chancen zur Versöhnung? Die Kirche
und die wiederverheirateten Geschiedenen.22
Associandosi alla maggior parte
dei teologi, anche Konrad Hilpert, curatore del volume, constata l’esistenza
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nei paesi di lingua tedesca, proprio riguardo al collegamento fra sessualità e
procreazione, di un notevole accordo
sui fondamenti morali: ad esempio necessità di una paternità/maternità responsabile; difesa della vita non nata;
esigenza di una maggiore accoglienza
e rispetto dei bambini nella società;
importanza del ringraziamento per il
dono della vita. La procreazione è un
aspetto centrale della sessualità di due
persone che si amano, ma non deve essere presentata come la «condizione
per entrare in una relazione partenariale ed esercitare legittimamente l’attività sessuale».23
Klaus Arntz, già docente di Teologia morale all’Università di Augsburg,
sottolinea che purtroppo i nuovi accenti posti dal Concilio sono rimasti in
gran parte privi di conseguenze durante il pontificato di Giovanni Paolo
II, proprio a causa dei numerosi documenti emanati dal magistero della
Chiesa, fra cui il Catechismo della
Chiesa cattolica. Nelle deviazioni dalle
direttive della Chiesa, l’incontro sessuale fra uomo e donna è diventato
un «atto ostile all’amore e alla vita».
«Di conseguenza, l’osservanza della
norma etica dell’enciclica Humanae
vitae viene trasformata in una decisione pro o contro l’ordine divino della
creazione. Da una questione discussa
di teologia morale diventa una questione di fede, peggio una cartina di
tornasole per testare l’ortodossia».24
Molti autori notano un certo ritegno di Benedetto XVI nei riguardi di
questa posizione e vedono in esso un
«significativo silenzio» e quindi anche
un prudente cambiamento di prospettiva. Nella sua enciclica Deus caritas est il papa attuale si ricollega alla
costituzione conciliare Gaudium et
spes e pone al centro il comandamento
dell’amore come chiave dell’insegnamento sul matrimonio – tanto più che,
in altri contesti, mette in guardia dal
fraintendere la fede cristiana come un
sistema morale –. Si cita ripetutamente anche la sua affermazione nel
volume-intervista Luce del mondo del
2010, secondo cui la dottrina sessuale
cattolica deve mostrare «percorsi praticabili».
Anche la maggior parte degli autori dei contributi raccolti nel volume
miscellaneo curato da Konrad Hilpert si chiede se, tutto sommato, non
sia più importante collocare al centro
della riflessione teologica la relazione
fra coloro che si amano personalmente, al di là della soddisfazione
egoistica dei propri bisogni sessuali.
Secondo Stephan Ernst, in ogni caso,
si possono giustificare «divieti o riserve riguardo a determinati comportamenti sessuali» solo «quando si
possono indicare reali conseguenze
negative e danni, da essi causati»,25
senza per questo richiedere una pura
morale del negoziato o del consenso.
Infatti si può garantire una sessualità
riuscita solo nel rispetto della dignità
e del benessere delle persone coinvolte. Analogamente Franz-Josef Bormann auspica il passaggio da un
«modo di pensare orientato al rifiuto
e al divieto» a uno «sguardo orientato
alla potenzialità e alla riuscita» in materia di etica sessuale.26
In un’etica della relazione
Questo è importante, non da ultimo, per gli adolescenti e i giovani
che – lamentano spesso gli autori dei
contributi – sono dovuti crescere già
da molto tempo in una sorta di vuoto
etico. Nel suo libro Christliche Sexualpädagogik, Stephan Leimgruber,
docente di Pedagogia della religione
all’Università di Monaco, critica giustamente un silenzio che è calato non
solo sulla teologia morale, ma anche
sulla pedagogia della religione.27
Se la Chiesa volesse riprendere il
dialogo con i giovani sul tema della
sessualità così importante anche per
loro, scoprirebbe che gli adolescenti
nonostante la loro grande differenziazione non possono essere considerati
anzitutto «abbrutiti» nella loro sessualità («generazione porno»). Diversamente dalla percezione corrente, i
giovani, come risulta anche da una
recente indagine tedesca, non hanno
relazioni sessuali «sempre più precoci» e non c’è neppure, ad esempio,
un aumento delle gravidanze fra le
ragazze al di sotto dei 20 anni. Al contrario, anche i giovani continuano ad
avvertire una grande nostalgia della
relazione, dell’amore e del romanticismo, nonché il desiderio interiore di
vicinanza e legame. Anche se il tema
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matrimonio entra in gioco con un
certo ritardo, sessualità e fedeltà sono
ancora strettamente legate.
Questo non significa che l’umanizzazione della sessualità non sia un
compito importante, soprattutto nel
dialogo con i giovani. Ma in questo
campo molti si sentono lasciati soli
dalla Chiesa. Di fatto, il filo del dialogo si è strappato. Molti valori continuano tuttora a interessare direttamente i giovani, ma, secondo Leimgrube, la Chiesa non è «ancora riuscita a trovare e a trasmettere un approccio alla sessualità che non sia ansioso, ma attento alla persona e
sovrano».28 La domanda decisiva è
questa: la Chiesa ha già fatto tutto ciò
che era in suo potere o ha «lasciato
semplicemente ad altre istanze importanti campi educativi?». 29 Se
vuole riprendere con maggiore intensità il dialogo con i giovani, deve
prendere sul serio anche il modo in
cui essi si auto-comprendono. Oggi il
richiamo alla propria coscienza, alla
responsabilità personale propria di
persone adulte e all’autodeterminazione fanno parte dell’ovvio repertorio d’azione dei giovani.
In questo campo Leimgruber sottolinea come sia stata rifiutata la pedagogia sessuale cristiana sulla sessualità vincolante, sul corpo ideale
immacolato e su un principio della
prestazione in questo campo, mentre
si sentirebbe necessaria una maggiore
insistenza sulla rinuncia alla violenza.
«Senza amore, la sessualità è deficitaria, probabilmente è esercizio di potere, o semplice divertimento».30 Molte cose inducono a ritenere che si
renderebbe un valido servizio ai giovani e ai giovani adulti permettendo
loro di riflettere e scambiarsi idee in
modo sereno e disteso su queste alternative, a partire dal tesoro di esperienza della storia del cristianesimo.
Proprio per questo nel volume miscellaneo si trovano, accanto alla riflessione sui fondamenti, anche capitoli sul lavoro concreto in mezzo ai
giovani nella scuola, nell’insegnamento della religione e nelle attività
della Chiesa.
Tutte le riflessioni su un nuovo approccio all’etica sessuale rifiutano lo
status di una morale cattolica speciale
chiusa in se stessa, perché essa consente solo una comunicazione limitata. Serve quindi ben poco anche il
richiamo all’autorità del magistero, i
cui argomenti proposti finora non
hanno più la capacità di persuadere.
Invece di intimare divieti, si potrebbe
mostrare come, a partire da una visione cristiana, alla luce dei temi amicizia e amore, sessualità e fedeltà, si
può realizzare la propria vita, senza
nascondere la realtà del fallimento.
A p. 603: A. CANOVA, Amore e Psiche che
si abbracciano, 1794.
1
T.A. SALZMAN, M.G. LAWLER, The sexual
person. Toward a renewed Catholic anthropology,
prefazione di C.E. Curran, Georgetown University Press, Washington D.C. 2008.
2
M.A. FARLEY, Just love. A framework for
Christian sexual ethics, Continuum International Publishing Group, New York 2006.
Sulla vicenda cf. Regno-att. 12,2012,378; Regno-doc. 15,2012,458.
3
Cf. SALZMAN, LAWLER, The sexual person, 54.
4
Cf. FARLEY, Just love, 207.
5
Cf. ivi, 311.
6
Cf. ivi, 227.
7
COMMITTEE ON DOCTRINE (USCCB),
«Inadequacies in the theological methodology
and conclusions of The sexual person. Toward
a renewed Catholic anthropology, by Todd A.
Salzman and Michael G. Lawler», 15.9.2010,
18, in old.usccb.org, «Doctrine». Nel frattempo
i due autori hanno pubblicato un’edizione rielaborata, intitolata Sexual ethics, Georgetown
University Press, Washington DC 2012.
8
Cf. S. ERNST, «Argumentationsmodelle
in der theologischen Sexual- und Beziehun-
gsethik», in K. HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte katholischer Sexualethik, «Quaestiones disputatae» 241, Herder, Freiburg i. Br.
2011, 162-184.
9
Ivi, p. 167.
10
Cf. SALZMAN, LAWLER, The sexual person, 88.
11
Cf. ivi, 48s.
12
Cf. M. LINTNER, Den Eros entgiften!
Plädoyer für eine zukunftsfähige Sexualmoral
und Beziehungsethik, prefazione di Karl Golser, Tyrolia, Innsbruck 2011.
13
Ivi, 23.
14
Ivi, 45s.
15
Ivi, 13s.
16
Ivi, 11.
17
K. H ILPERT , «Kontinuitäten, Problemfelder und Perspektiven kirchlicher Sexuallehre», in K. HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 473-489; qui 474.
18
Cf. M. HEIMBACH-STEINS, «Die Idealisierung von Ehe und Familie in der kirchlichen Moralverkündigung», in HILPERT (a cura
di), Zukunftshorizonte, 300-309.
19
Cf. F.-J. BORMANN, «Von der “Verbotsmoral” zur christlichen “Liebeskunst”», in HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 454-472.
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Non da ultimo per questo sarebbe
più importante, in materia di etica sociale, offrire principi e atteggiamenti
fondamentali come segnali per l’orientamento, piuttosto che formulare regole concrete, che del resto non vengono classificate in base alla loro
importanza. La costruzione di singoli
casi isolati, la cui casuistica non risulta
mai sufficientemente differenziata, è
stata controproducente in passato e
ha prodotto una sopravvalutazione
della morale sessuale nell’insieme dell’etica teologica. Una domanda che
ritorna spesso è questa: perché in tutte
le questioni deve esservi sempre una
materia gravis, con l’inevitabile conseguenza di «colpa grave»? L’elemento decisivo non dovrebbe essere la
corrispondenza di un atto a tutte le
norme di condotta stabilite, ma dovrebbero essere – come ha sottolineato
anche Margaret Farley – i valori che
vengono perseguiti e realizzati, anche
quando il senso di una norma non
può essere pienamente tradotto in pratica. E si dovrebbe tener sempre conto
anche dei processi individuali della
maturità psico-sessuale. Perciò, secondo il tenore di tutti i contributi,
bisogna continuare a sviluppare la morale sessuale cattolica in un’etica della
relazione.
Stefan Orth
20
LINTNER, Den Eros entgiften!, 112.
Cf. E. SCHOCKENHOFF, «Ausgeschlossen vom Mahl der Versöhnung? Plädoyer für
eine Revision der kirchlichen Praxis gegenüber
wiederverheirateten Geschiedenen», in HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 279-287.
22
E. SCHOCKENHOFF, Chancen zur Versöhnung? Die Kirche und die wiederverheirateten Geschiedenen, Herder, Freiburg i. Br. 2011.
23
K. HILPERT, «Resultate, Kontrapunkte und bleibende Visionen», in HILPERT (a
cura di), Zukunftshorizonte, 490-498, 494s.
24
K. ARNTZ, «Liebe und Sexualität», in
HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 86102, 88s.
25
S. ERNST, «Argumentationsmodelle in
der theologischen Sexual- und Beziehungsethik», 181.
26
BORMANN, «Von der “Verbotsmoral”
zur christlichen “Liebeskunst”», 455.
27
S. LEIMGRUBER, Christliche Sexualpädagogik. Eine emanzipatorische Neuorientierung für Schule, Jugendarbeit und Beratung,
Kösel, München 2011.
28
Ivi, 22.
29
Ivi, 18.
30
Ivi, 59.
21
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L ibri del mese / schede
I Libri del mese si possono ordinare indicando
il numero ISBN a 13 cifre:
per telefono, chiamando lo 049.8805313;
per fax, scrivendo allo 049.686168;
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Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi
divino (agape) e uno «impuro», corporeo, umano (eros) – per recuperare,
tra l’altro, il significato del corpo e il ruolo del desiderio.
MARTINI C.M., Non date riposo a Dio. Il primato della Parola nella
vita della Chiesa, EDB, Bologna 2012, pp. 65, € 5,00. 9788810108932
lla Scrittura, che egli ha collocato al primo posto nella vita e nell’attiA
vità intellettuale e pastorale – tratto fondamentale della sua eredità –
, sono dedicati i quattro testi elaborati e pubblicati dalla rivista Il Regno in
periodi diversi, dal 1993 al 2004, e ora qui raccolti. Vi sono le riflessioni
per gli 80 anni di don G. Dossetti; la lectio magistralis tenuta a Forlì nel
2004, ove era stato chiamato a conclusione dell’anno pastorale dedicato al
Vangelo di Luca; e due interventi per gli incontri che dal 1998 al 2007 Il
Regno ha organizzato a Camaldoli sul rapporto tra Chiesa e responsabilità pubblica dei cristiani.
Sacra Scrittura, Teologia
NEUSNER J., Analizzando la Torah. Capitoli di autobiografia intellettuale, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 411, € 30,00. 9788837224745
FAUSTI S., Ermeneutica teologica. Fenomenologia del linguaggio per
una ermeneutica teologica, EDB, Bologna 2012, pp. 276, € 21,00.
Neusner, il rabbino noto non solo agli studiosi del giudaismo anJXVIacob
tico ma anche in quanto protagonista di un dibattito con Benedetto
su Gesù, documentato nel primo vol. di Benedetto XVI su Gesù di
9788810408360
o studio, il più importante lavoro teologico dell’a., conserva una granL
de attualità (la 1 ed. è del 1973). Il problema della possibilità di un linguaggio religioso-teologico diviene il problema della possibilità e della rea
altà dell’oggetto stesso della teologia, che è Dio. La lunga Introduzione affronta il problema dal punto di vista storico e contenutistico. La I parte è
una fenomenologia del linguaggio inteso come espressività e si svolge in
una brillante trattazione fenomenologica dei processi linguistici. La II ricerca, nel linguaggio, il luogo per la possibilità di un parlare su Dio, quali
ne siano le regole e le leggi. Nella III, l’a. tratta del parlare di Dio in linguaggio umano e ne cerca la possibilità nel linguaggio stesso, esaminato
nelle prime due parti.
GIANAZZA P.G., Temi di teologia orientale 2, EDB, Bologna 2012, pp. 445,
€ 41,50. 9788810408339
Oriente cristiano racchiude in sé autentiche e antichissime tradizioL’
ni apostoliche, una componente essenziale della Chiesa di Cristo.
Col proprio specifico approccio al mistero rivelato, la teologia d’Oriente
propone una visione complementare a quella occidentale. L’opera, in 2
voll., ne presenta i fondamenti. Dopo una panoramica di tutte le Chiese
orientali (1o vol.), il 2o vol. affronta le questioni relative a cosmologia e angelologia, antropologia teologica, cristologia, spiritualità, escatologia e offre un’ampia iniziazione all’icona.
GRASSI P., Trascendenza fra i tempi. Dimensioni dell’esperienza religiosa, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 178, € 18,00. 9788837224684
engono qui tracciate le principali coordinate della teologia e della fiV
losofia della religione del Novecento, a partire dalla storica disputa
fra sostenitori della religione intesa come esperienza o intesa come rivelazione. Al tentativo d’«offrire un fondamento scientifico alla teologia», che
però ha dato luogo a travisamenti del concetto di kerygma, si sono contrapposte correnti che ne valorizzano il senso autonomo, suscettibili di
molteplici sviluppi sul piano del pluralismo religioso e della dimensione
apocalittica. Altro punto centrale è la «questione della responsabilità del
credente» nel presente.
JEANROND W.G., Teologia dell’amore, Queriniana, Brescia 2012, pp. 317,
€ 29,00. 9788839904591
na teologia «fondamentale» dell’amore a partire dalla «prassi» cristiana. La riflessione è sostenuta dalla consapevolezza che, da un lato, la trattazione teologica del tema «necessiti d’essere analizzata con una
buona dose di sospetto e di critica» e che, dall’altro, «ogni amore – e quindi ogni teologia dell’amore – abbia una storia», un’incarnazione. Lo studio, interessante e documentato, ripercorre le principali concezioni dell’amore nella tradizione cristiana, dalle «sfide bibliche» alle grandi dottrine alle «istituzioni dell’amore», facendo emergere alcune «ambiguità» da
superare – prima fra tutte la separazione tra un amore «puro», spirituale,
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Nazaret, descrive le tappe principali dello svolgimento della sua cinquantennale ricerca, descrivendo i principali problemi e le tipologie di questioni trattate e i principali risultati conseguiti.
PEVARELLO D., Il discorso eucaristico in Giovanni 6: unità e messaggio.
Complessità e ricchezza di un caso di ipertestualità, EDB, Bologna 2012, pp. 153, € 15,00. 9788810206638
c. 6 del Vangelo di Giovanni si presenta in due parti ben distinte. La I
Ine,lriferita
più direttamente a Gesù e al credere in lui (la fede), la II al pacon andamento sacramentale (l’eucaristia). È un testo teologicamente
complesso e letterariamente rilevante, tanto più considerando che Giovanni omette il racconto dell’ultima cena. Per l’a. siamo di fronte a un tipico esempio di «rilettura», cioè alla ripresa successiva di un tema in un altro testo, dilatandone il senso, come spesso accade nella Bibbia. In questa
prospettiva l’attuale c. 6 vedrebbe confluire reminescenze e sfumature dei
sinottici e costituirebbe un «ipertesto», con una elaborazione avvenuta all’interno del processo redazionale del Vangelo.
SKA J.-L., «I nostri padri ci hanno raccontato». Introduzione all’analisi dei racconti dell’Antico Testamento, EDB, Bologna 2012,
pp. 204, € 19,00. 9788810221624
racconti della Bibbia «non contengono verità, ma piuttosto indicazioni su
Iscoprire
strade da percorrere, le strade che hanno condotto il popolo di Israele a
la sua identità» (dalla Prefazione). Se è vero che i racconti biblici sono usati ogni giorno per illustrare verità o confermare la validità di insegnamenti, si tratta tuttavia di un’utilizzazione dei racconti, non della loro interpretazione. Quest’ultima prende sul serio tutti gli ingredienti che entrano nella composizione del racconto e il loro legame, e presta attenzione anzitutto ai
dettagli. Nel proporre un manuale sulla narrazione nella Bibbia, l’a. intende
fornire una «cassetta degli attrezzi» e non analisi bell’e fatte. Il significato di
un racconto è infatti inseparabile dall’esperienza della lettura.
TUELL S.S., I e II Cronache, Claudiana, Torino 2012, pp. 284, € 24,50.
9788870168815
enendo insieme esegesi storico-critica e teologia biblica, vengono
T
commentati analiticamente i due libri delle Cronache, che sono una
sintesi della storia della salvezza mettendo al centro il tempio e il suo culto, con quella che si potrebbe definire una nascente devozione per la Bibbia come luogo di rivelazione della volontà di Dio. «Il cronista si trova a
un culmine importante della storia della religione israelita. Nel periodo del
Secondo tempio, un’epoca che in definitiva avrebbe visto l’emergere sia
del giudaismo sia del cristianesimo, si sarebbe giunti sempre più a supporre che Dio agisse nel regno della vita ordinaria e non attraverso rivelazioni straordinarie. I testi e la loro interpretazione avrebbero avuto sempre
più la precedenza sull’esperienza estatica come mezzo per conoscere la volontà di Dio. Il cronista, con la sua enfasi sulle Scritture, indica la via verso quel futuro».
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Pastorale, Catechesi, Liturgia
BONNEAU N., Il Lezionario domenicale. Origine struttura teologia,
EDB, Bologna 2012, pp. 220, € 23,00. 9788810416235
a via più semplice ed efficace per comprendere il senso teologico e liL
turgico del Lezionario domenicale è quella di esaminare com’è nato e
perché: una storia, ancora poco conosciuta. L’a. non intende proporre un
ulteriore commento al Lezionario, ma di quest’ultimo esamina gli aspetti
meno evidenti: la storia della sua recente riforma, i principi che hanno guidato la scelta e l’ordinamento delle letture, gli schemi che strutturano e informano i tempi costituitivi dell’anno liturgico.
CONFICONI I., Preghiere a Maria. Liberamente ispirate agli scritti di
don Tonino Bello, EDB, Bologna 2012, pp. 80, € 3,80. 9788810714119
Ugo Sartorio
i
Scenari della fede
pag. 132 - € 10,00
Ogni crisi riconduce all’essenziale e apre a nuovi scenari:
un libro che mostra come anche il nostro sia un tempo
buono e stimolante per credere in Gesù Cristo e vivere
nella sua Chiesa. Prefazione di Rino Fisichella.
ivolgersi a Maria in modo semplice e diretto ripensando le tappe
R
della sua vita è anche un modo per sentirla accanto nelle vicende
del quotidiano e può diventare forma viva e spontanea di preghiera.
L’a. propone 50 riflessioni, grani di un ipotetico rosario, lasciandosi sollecitare dal vol. Maria. Donna dei nostri giorni (San Paolo 1993) di
don Tonino Bello.
DA SPINETOLI O., Io credo. Dire la fede adulta, Edizioni la meridiana,
Molfetta (BA) 2012, pp. 336, € 18,00. 9788861532700
copo del libro «non è quello di distruggere la fede ma di purificarla».
S
Con un linguaggio molto chiaro, l’a. propone una riflessione dei principali articoli di fede contenuti nel Credo accessibile alle odierne esigenze
di comprensione, che troppo spesso una concezione restrittiva e vincolata
a idee e prassi antiche non asseconda e anzi talvolta svilisce. La fede non
può essere «racchiusa in formulazioni stabilite una volta per sempre e per
tutti», e non può essere confusa o identificata tout court con ciò che è stato inteso e vissuto da autori che si sono rapportati con i modi di pensare
della loro epoca.
FALAVEGNA E., VIVIAN D., La trasmissione della fede oggi. Iniziare alla
vita cristiana, dono e compito, EMP – Edizioni Messaggero, Padova
2011, pp. 179, € 14,00. 9788825029321
presentati nel vol. sono il frutto di un lavoro interdisciplinare svolIpostosaggi
to dai docenti della Facoltà teologica del Triveneto in un seminario protra il 2008 e il 2009. È una proposta pastorale per l’evangelizzazione che i docenti hanno elaborato in dialogo con gli studenti stessi. «Non
c’è trasmissione della fede se non viene toccato l’universo simbolico: sia
quello che dice l’umano (...) sia quello che esprime il divino». In quest’ottica l’orizzonte entro cui si colloca la proposta è il rapporto tra pratiche pastorali e universo simbolico della fede, alla cui trasformazione è sotteso un
passaggio di paradigma delle pratiche stesse: istruzione, apprendistato e
iniziazione alla vita cristiana.
Biagio Aprile
A il (a
( cura))
La relazione educativa
nella post-modernità
pag. 480 - € 28,00
Raccolta di contributi provenienti dallo scibile della
teologia, delle scienze umane e delle arti in generale:
un autentico e concreto dialogo tra le culture che
sviluppa il tema dell’educazione nella post-modernità.
GRILLI M., Sulla via dell’incontro. Commento alle letture domenicali e festive. Anno C, EDB, Bologna 2012, pp. 270, € 19,00.
9788810416242
opo «Alla ricerca del volto (anno A) e In ascolto della voce (anno
D
B), concludo il trittico presentando Sulla via dell’incontro (anno C).
Ho voluto chiudere con il motivo della via, non solo perché è un importante tema lucano (il Vangelo dell’anno) e, più in generale, storico-salvifico (dal viaggio di Abramo a quello di Israele nel deserto…), ma soprattutto perché evoca la condizione umana, la via che l’uomo percorre dall’uscita del ventre materno fino al compimento».
GUGLIELMONI L., NEGRI F., Lo sport per la vita. Come risultare vincenti senza arrivare primi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011,
pp. 249, € 14,50. 9788821569630
ttraverso la realtà e la metafora dello sport gli aa. di questo vol., riA
volgendosi in particolare ai giovani, intendono sottolinearne le potenzialità educative, quali l’impegno, la lealtà, il rispetto, la coscienza dei
propri limiti. In ogni c. è presentata la figura di uno sportivo, seguita da testimonianze di atleti di diverse discipline, consigli, aneddoti, regole e cu-
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MAURICE COCAGNAC
I simboli
biblici
riosità per vivere lo sport non solo come occasione di crescita e autodisciplina personale, ma anche come fenomeno di condivisione sociale.
LAMBIASI F., Sorpresi dalla gioia. I Vangeli delle domeniche e delle
feste. Anno C, EDB, Bologna 2012, pp. 260, € 19,00. 9788810416228
eguendo la scansione del calendario liturgico, dal tempo di Avvento al
S
Natale, dalla quaresima alla Pasqua e alle feste che da essa scaturiscono, fino al tempo ordinario, l’a., vescovo di Rimini, propone delle riflessioni sui Vangeli festivi dell’anno liturgico C, per orientare quanti desiderano fare della Parola la guida del proprio cammino.
Percorsi spirituali
LAMBIASI F., Giovani, dove sta la felicità?. Lettera ai giovani e ai loro
educatori, EDB, Bologna 2012, pp. 75, € 6,00. 9788810808757
una lettera, rivolta direttamente ai giovani e ai loro educatori, il veIghenscovo
di Rimini, con linguaggio immediato ed efficace, entra nelle piedell’esistenza di chi, pur in mezzo a fragilità e insicurezze, desidera
una vita piena e autentica, una vita felice.
LODI E., Fede creduta perché celebrata?. Convergenza e divergenza
delle due leggi della liturgia: lex credendi e lex orandi nel Credo
ecumenico, EDB, Bologna 2012, pp. 117, € 11,00. 9788810416259
a tradizione bizantina considera la lex orandi come «fonte ed espresL
sione» della lex credendi, ma nell’enciclica Mediator Dei Pio XII afferma la legge che proclama l’inverso della formula. Occorre quindi concludere che si tratta di complementarietà delle due leggi e non di alternativa. Ciò nondimeno esiste una divergenza della prima legge rispetto alla
seconda, che lo studio intende provare con l’ausilio di alcuni testi liturgici
delle due tradizioni. Per ciascuno degli articoli del Credo vengono così
presentati dei testi liturgici più rappresentativi che illustrano le due tradizioni dottrinali e teologiche delle Chiese che professano lo stesso Credo
ecumenico, soggetto a interpretazioni distinte e divergenti.
NOCETI S., TOSCHI N., Giuseppe: la sapienza della vita. Riflessioni e
preghiere per ogni giorno della Quaresima, EMP – Edizioni Messaggero, Padova 2012, pp. 110, € 8,50. 9788825029611
e due aa., teologhe, offrono un sussidio per il periodo quaresimale scegliendo come figura su cui riflettere quella del patriarca Giuseppe, le
cui vicende sono narrate nei cc. 37-50 di Gen. Per ogni giorno feriale, vi è
una meditazione aperta da un’invocazione allo Spirito Santo, seguita da
un brano delle Scritture su Giuseppe, un breve commento, qualche versetto del Salmo 119 e una preghiera conclusiva. Ognuna delle 5 settimane è dedicata ha una chiave di lettura: «La vita, questione di rapporti», «la
sapienza, capire la storia», «la vita, un cammino di riconciliazione», «la sapienza, riconoscersi fratelli» e «la benedizione, una vita in pienezza».
L
RUSTER T., Il Credo. Per una fede che fa la differenza, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 215, € 19,00. 9788801048025
na presentazione della fede cristiana breve e comprensibile per tutti.
Questa l’intenzione dell’a., docente di teologia sistematica all’Università di Dortmund e apprezzato conferenziere. Sussidio interessante per
la catechesi e la formazione personale che, dopo alcune questioni introduttive (quale Dio? perché la Bibbia?), si struttura secondo gli articoli del
Simbolo apostolico. Il «libro si rivolge a cristiani, uomini e donne, che vogliono riacquistare la certezza e la gioia della loro fede. Che vogliono comprendere la propria fede. Che la vogliono testimoniare in pubblico».
U
TASSINARI P., L’anello perduto. Sulle orme di un percorso tracciato
con separati/divorziati e conviventi/risposati che interrogano
la comunità cristiana, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 222, € 13,50.
9788874027200
contributi qui raccolti sono il frutto di un progetto che su indicazione
Istorali,
del vescovo di Fossano – Cuneo, mons. G. Cavallotto, e dei consigli paha realizzato una commissione diocesana dedicata alle persone se-
R
iproposto in edizione economica, l’apprezzato
volume raggruppa per affinità o per contrasto
i principali simboli biblici, suddivisi per temi, con molteplici variazioni che determinano l’efficacia espressiva del testo. Non si tratta di un dizionario da consultare occasionalmente, ma piuttosto di un percorso per
familiarizzare con l’immaginario biblico: le varie voci
rivelano una visione del mondo non basata su concetti
astratti, ma costruita a partire dalla realtà concreta
che si offre all’esperienza dell’uomo.
«ECONOMICA EDB»
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parate, divorziate e risposate. L’intento è quello di sensibilizzare la comunità cristiana a una riflessione che di fronte a questa frattura dei legami familiari e del sacramento del matrimonio, non si blocchi tra imbarazzo e
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Tel. 051 4290011
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pp. 776 - € 33,00
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pregiudizi ma abbia la capacità di praticare una «fedeltà creativa» a Gesù
Cristo nella Chiesa d’oggi. Interessanti nell’ultima parte del vol. le testimonianze sui lavori di gruppo con separati o divorziati e conviventi e/o risposati dove si è cercato di esplorare insieme il rapporto personale con Dio
condividendo l’esperienza personale e di coppia.
RIBBONS L., BERTOLINI GRUDINA P., La Bibbia per il tuo battesimo,
EDB, Bologna 2012, pp. 141, € 9,90. 9788810769492
RUCCIA A., SCALERA M., Testimoni dell’educazione. Novena – Per prepararsi a vivere il Natale, EDB, Bologna 2012, pp. 48, € 2,50.
9788810710708
ZIMMERMANN J.A., «Preparate per me». Il manuale dell’ambiente liturgico, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 95, € 8,00. 9788801035452
gile manualetto dedicato «a tutti quei ministri “invisibili” che lavorano per rendere l’ambiente liturgico uno spazio adatto alle celebrazioni». Da una breve introduzione ai principi teologici generali, si passa a una
presentazione dei luoghi dello «spazio sacro» e degli «oggetti» liturgici, descrizione che l’a. integra con raccomandazioni pratiche e un elenco di
principi e domande per la riflessione. I cc. sull’estetica dello spazio sacro e
sulla sua caratterizzazione nei diversi tempi dell’anno liturgico stanno al
cuore del vol. Originale l’idea di riflettere anche sulla «spiritualità» e sulle
«responsabilità» dei ministri dell’ambiente liturgico.
A
DI DANIELE E., La straordinaria storia della famiglia di Nazaret. Disegni
L. Piovaccari, Cooperativa In Dialogo, Milano 2012, pp. 48 + ill., €
12,00. 9788881237654
In cammino verso il Natale 2012. Adulti, bambini, ragazzi, EDB, Bologna 2012, pp.51+47+47, € 4,30+3,60+3,60.
Incontro a Gesù. I sacramenti dell’iniziazione cristiana spiegati
ai ragazzi, Cooperativa In Dialogo, Milano 2012, pp. 55, € 5,80.
9788881237586
JAMES B., JOLLIFFE A., Il Natale. Gioca e impara, EDB, Bologna 2012,
pp. 10, € 9,90. 9788810751114
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Il mistero della filosofia
a cura di Roberto Celada Ballanti
pp. 248 + 8 ill., € 16,00
SEMERARO M. (a cura di), Messa e preghiera quotidiana/novembre 2012.
A cura di fratel MichaelDavide, EDB, Bologna 2012, pp. 313, € 3,90.
9788810713723
THOMAS M., BERTOLINI GRUDINA P., La Bibbia. Gioca e impara, EDB,
Bologna 2012, pp. 10, € 9,90. 9788810751121
VICENTINI E., COCICOM KIDS, Beniamino racconta le storie della Bibbia,
EDB, Bologna 2012, pp. 20 x 6 voll., € 22,00. 9788810751138
Spiritualità
ARIOLI M.G., FIORI M., Il mondo in un raggio di luce. Dalla Regola di
san Benedetto uno sguardo sapienziale sull’uomo e sulla storia,
La scala, Noci (BA) 2011, pp. 207, € 10,00. 9788896688083
l vol. raccoglie alcune delle relazioni tenute negli anni presso la Scuola
Ia tema
di cultura monastica del Monastero di san Benedetto di Milano, aventi
la Regola di san Benedetto e la sua spiritualità. Essa, infatti, ha ispirato tanti cristiani nel corso dei secoli e ancora continua a farlo «in virtù
della sua essenzialità e dell’apertura di orizzonti che le consente adattamenti a contesti storici e geografici diversi».
BARZAGHI G., L’intelligenza della fede. Credere per capire, sapere
per credere, ESD – Edizioni studio domenicano, Bologna 2012, pp. 142,
€ 12,00. 9788870948073
quarci meditativi, redatti con un linguaggio semplice, accessibile e faS
miliare, dove riferimenti biblici e filosofici vengono riversati in un discorso sovente colloquiale. I cc. si snodano in piccole sequenze narrative,
tanti piccoli frammenti meditativi che segnano il carattere precipuo del volumetto, inteso alla valorizzazione dello studio e della filosofia. E di quest’ultima viene data questa definizione in forma di acrostico: «Fissare Intensamente L’Occhio Sopra Ogni Frammento Integrandolo Amorevolmente».
BUZZONI G., La sapienza del giusto. Omelie di ispirazione patristica, EDB, Bologna 2012, pp. 371, € 24,00. 9788810416266
a
18 anni dalla 1 pubblicazione e a poco più di vent’anni dalla morte
A
di don Giovanni Buzzoni, vengono riproposte le omelie da lui tenute
come canonico teologo nel duomo di Ravenna. Si tratta di testi d’ispirazione patristica che l’a. propone alla comunità cristiana, seguendo il percorso dell’anno liturgico. «In ogni pagina che don Buzzoni scrive emerge
il coinvolgimento tra il messaggio evangelico e la coscienza che responsabilizza ogni uomo nell’amore verso Dio e il prossimo. Questa è saggezza,
ciò che nell’antica tradizione dei padri viene chiamata “sapienza”» (dall’Introduzione di p. Benedetto Calati).
CARRETTO C., Credere, sperare, amare. Motivi pedagogici e spirituali. A cura di L. Caimi, La scuola, Brescia 2012, pp. 167, € 11,00.
9788835028512
ntologia di testi di Carlo Carretto (1910-1988), tratti da voll. o articoA
li e suddivisi in due sezioni: la I è dedicata al periodo in cui egli ha
svolto un’instancabile opera di apostolato e animazione come insegnante,
direttore didattico e militante, con ruoli di responsabilità, nelle file dell’Azione cattolica; la II si concentra invece sulla fase successiva della sua
vita, caratterizzata dalla consacrazione religiosa e dall’attenzione alla riflessione spirituale. L’Introduzione ne ripercorre la biografia e commenta
i testi in seguito riportati, evidenziandone i tratti salienti e inquadrandoli
nel loro contesto storico.
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CUCCI G., Il fascino del male. I vizi capitali. Prefazione di H. Zollner, ADP – Apostolato della preghiera, Roma 2012, pp. 367, € 19,00.
9788873575504
embro del collegio degli scrittori di Civiltà cattolica e docente alM
l’Aloisianum di Padova, l’a. frequenta da tempo, nella sua ricerca, i
temi del male e dei vizi capitali, potendo affrontarli da prospettive complementari per le sue competenze filosofiche, teologiche e psicologiche. La
scelta dei vizi capitali si giustifica per il loro valore sintetico: essi «possono
essere considerati una maniera di ricomprendere e unificare l’agire umano nelle sue derive negative, ma anche nei beni cercati attraverso di essi».
I vizi capitali, infatti, pur ricordando infedeltà e trasgressioni, si richiamano a «una totalità di pienezza e bellezza che può dare senso alla vita e realizzarla».
GRÜN A., Invito alla vita buona, Queriniana, Brescia 2012, pp. 184,
€ 12,50. 9788839922953
l libro è una raccolta di meditazioni che tracciano un percorso possibiIimmediate
le e sperimentabile del «vivere in pienezza». Attraverso le riflessioni più
sul senso e l’orientamento del vivere, sul cammino di libertà in-
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UNIVERSITÀ
STUDI DI URBINO
“CARLO BO”
DEGLI
ISTITUTO SUPERIORE
DI SCIENZE RELIGIOSE
“ITALO MANCINI”
Anno Accademico 2012-2013
Corso biennale
di alta specializzazione
in Scienze religiose
Direttore: Prof. PIERGIORGIO GRASSI
teriore, sull’accettazione di sé stessi e degli altri, ogni c. vuole favorire la
«consapevolezza che la vita è un dono» e che il senso di gratitudine per
averla ricevuta può renderci persone attente a vivere il presente bene con
noi stessi e con tutti.
Il Corso rilascia un titolo in Scienze religiose che
è valido a tutti gli effetti per l’insegnamento della
religione nelle scuole di ogni ordine e grado.
MARTIRANI G., Maria donna bellissima. Preghiere per sgranare i
giorni allegri e tristi, e per fermarsi alle stazioni della vita. Per
giovani da 15 a 90 anni., EMP – Edizioni Messaggero, Padova 2011,
pp. 103, € 12,00. 9788825028034
Le finalità del Corso biennale
di Alta Specializzazione sono:
testo è incentrato sulla figura di Maria, donna che c’era e che contiImilnua,
nelle sembianze di altre storie umane, a essere presente nei dramdi questo mondo. La I parte è una raccolta di commenti al Rosario che
pone l’accento sull’importanza della preghiera non solo come «im-pegno»
e cura per il prossimo, ma soprattutto come offerta della propria vita per
gli altri, essere «in-pegno» per loro. La II propone una Via crucis focalizzata sullo stare di Maria davanti alla croce. Un itinerario che ripercorre la
Via dolorosa calandosi nei drammi dell’oggi.
MAZZONI BENONI L., Meditare con Raimon Panikkar. Come presi per
mano, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2012, pp. 72,
€ 10,00. 9788860991492
ercorso meditativo proposto dall’a. all’interno di una collana di «meP
ditazioni cristocosmiche» e basato su spunti offerti dall’opera di R. Panikkar. Secondo le indicazioni del religioso indo-spagnolo, è necessario accostarsi alla meditazione recuperando un concetto adeguato di concentrazione, aliena tanto dalla dispersione quanto dall’astrazione e aperta alla
presenza «non duale» di Dio, della dimensione cosmoteandrica dell’uomo,
elemento essenziale per giungere alla unificazione a cui conduce la meditazione, e della cristofania, intesa come «manifestazione dell’unione misteriosa delle dimensioni divine, umane e cosmiche della realtà».
MONDA A., Benedetta umiltà. Le virtù semplici di Joseph Ratzinger, Lindau, Torino 2012, pp. 182, € 14,00. 9788871809755
reve riflessione nella quale l’a. delinea un profilo della «virtù» paraB
dossale dell’umiltà nella tradizione cristiana (I parte), e un profilo di
Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, il papa che si è definito «umile lavoratore nella vigna del Signore», per «vedere se i due profili combaciano o,
almeno, si intrecciano da qualche parte» (II). Si tratta della tesi che l’a. sostiene raccontando la figura di Ratzinger – «papa dell’umorismo e della
gioia» – attraverso i gesti, le parole e «il pensiero di autori a lui cari», come Agostino, Balthasar, Lewis e Chesterton.
• la formazione di insegnanti di religione cattolica
altamente qualificati per le scuole pubbliche
(indirizzo pedagogico-didattico),
• la ricerca scientifica nel campo delle discipline
religiose e teologiche
(indirizzo di introduzione alla ricerca).
I docenti del Corso sono:
Andrea Aguti; Khaled F. Allam; Marco Cangiotti;
Gian Domenico Cova; Alberto Fabbri;
Carlo Fantappié; Marco Gallizioli;
Samuele Giombi; Franco Gori; Piergiorgio Grassi;
Angelo Maffeis; Andrea Milano;
Michele C. Minutiello; Gastone Mosci;
Romano Penna; Giuseppe Pulcinelli;
Graziano Ripanti; Maria Grazia Sassi;
Manlio Sodi; Sofia Tavella; Natalino Valentini;
Licia Zazzarini.
Le iscrizioni si chiuderanno il 15 dicembre 2012.
Saranno messi a disposizione degli iscritti,
per concorso, assegni di studio.
MYRE A., Per il futuro del mondo. La Risurrezione rivisitata, Borla,
Roma 2012, pp. 286, € 32,00. 9788826318448
Per informazioni:
oglio cercare di riformulare per l’oggi l’antica speranza». Saggio
«V
originale e coraggioso di un biblista canadese, rivolto a coloro che
vivono «fuori le mura» della Chiesa-istituzione. Tenendo conto della vi-
Istituto Superiore di Scienze Religiose “I. Mancini”
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PIER GIORGIO GIANAZZA
Temi di Teologia
Orientale 2
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ibri del mese / schede
sione del mondo, dell’uomo, della risurrezione attingibile dai testi della
Scrittura (I parte), egli ne tenta – attraverso una riflessione ampia e consapevole dei suoi limiti – una radicale inculturazione al presente (II parte).
«La fede nella risurrezione non riguarda né la realtà della tomba vuota, né
una concezione della corporeità di un corpo risorto, né una concezione
della stessa risurrezione. La fede è fiducia che Gesù è “al sicuro” (...) e che
non ci si inganna ad ascoltare la spinta che sale dal più intimo di sé stessi
a vivere come lui».
PAOLI A., La pazienza del nulla, Chiarelettere, Milano 2012, pp. 111,
€ 8,00. 9788861903029
l deserto è stato un passaggio fondamentale nella mia vita, nell’aver
«I
capito di non vivere più per me e che negli anni precedenti avevo vissuto con egoismo, anche se non me ne rendevo conto». Il vol. è una riedizione di un testo pubblicato nel 1984 (Facendo verità, Gribaudi), nel quale l’a. – oggi quasi centenario – racconta con straordinaria efficacia l’esperienza del suo noviziato, coi Piccoli fratelli di Charles de Foucauld, nel deserto di El Abiodh. Una lettura avvincente e consigliabile in una stagione
culturale come la nostra, segnata dalla diffusa percezione del vuoto e
dell’«assenza di Dio». «Non esiste altro mezzo per liberare il nostro cuore
(...). Questo è il rinascere che Gesù propone a Nicodemo».
RADICE U., Il Gesù delle parabole. Alle origini del messaggio di salvezza, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2012, pp. 327,
€ 18,00. 9788860991515
l vol. raccoglie le trascrizioni di commenti alle parabole evangeliche traIzione,
smessi da una radio privata brianzola oltre trent’anni fa. Nella Prefal’a. mette in risalto il valore del lavoro (in particolare l’attenzione
S
ulla via dell’ecumenismo, che la Chiesa cattolica è
impegnata a percorrere, l’opera contribuisce alla
conoscenza dell’Oriente cristiano, presentandone la
teologia. Col proprio specifico approccio al mistero
rivelato, la tradizione orientale è componente essenziale della Chiesa di Cristo, complementare a quella
dell’Occidente cristiano. Il volume secondo tratta di
cosmologia e angelologia, antropologia teologica,
cristologia, escatologia e offre un’ampia iniziazione
all’icona.
«NUOVI SAGGI TEOLOGICI»
pp. 448 - € 41,50
DELLO STESSO AUTORE
TEMI DI TEOLOGIA ORIENTALE 1
Presentazione di Dimitrios Salachas esarca apostolico in Grecia
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ecumenica), senza nascondere i limiti che ha dovuto registrare: «Talvolta
la dubbia congruenza tra la spiegazione teologica di un testo e lo stesso testo, talvolta l’imprecisione di alcuni termini relativi alla situazione storicoreligiosa della Palestina», una complessiva «mancanza di aggiornamenti»
rispetto alla ricerca storica ed esegetica degli ultimi decenni.
SANGALLI S., Fare esperienza di Dio. Presentazione del card. Dionigi
Tettamanzi, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2012, pp. 164,
€ 12,00. 9788820987190
ntologia di meditazioni nate nel corso di un itinerario – della coA
munità romana Oikia – di conoscenza della Scrittura attraverso
una serie di incontri, tenuti dall’a. con studenti universitari, coppie e
persone consacrate. In particolare, ogni c. propone un approfondimento sulla vita di alcuni dei più noti (12 in tutto) personaggi biblici, il cui
esempio di fedeltà e accoglimento del volere di Dio mostra al contempo un’autentica esperienza di Chiesa e una profonda esperienza di vita. Testo adatto sia ai giovani in ricerca vocazionale sia alle persone
consacrate.
GUSMITTA P.L., Cronache sacerdotali. Quale prete sogna Dio?, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 92, € 9,00. 9788874027187
Storia della Chiesa
CAFFIERO M., Legami pericolosi. Ebrei e cristiani tra eresia, libri
proibiti e stregoneria, Einaudi, Torino 2012, pp. 390, € 34,00.
9788806196691
iene qui illuminato un capitolo importante della relazione fra criV
stiani ed ebrei nell’Europa fra XVI e XVIII secolo, attinente agli
scambi frequenti e profondi fra i membri delle due religioni, nonostante le interdizioni e le limitazioni. Da un’analisi di fonti archivistiche
perlopiù inedite, emergono vari intrecci fra i membri delle due religioni, motivo di preoccupazione da parte del tribunale dell’Inquisizione,
in particolare per quanto riguarda la circolazione di libri e di dottrine
suscettibili di interpretazioni eretiche o applicazioni magiche, senza
parlare delle relazioni proibite fra uomini e donne delle due comunità
religiose.
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DE MATTEI R., Pio IX e la rivoluzione italiana, Cantagalli, Siena 2012,
pp. 207, € 16,00. 9788882727635
iografia di papa Pio IX, dall’elevazione al soglio pontificio sino alla
B
morte, considerata con particolare riferimento alle vicende coeve riguardanti la formazione dello Stato unitario. L’a. si sofferma inoltre su tre
eventi topici del pontificato di Mastai Ferretti: la definizione del dogma
dell’immacolata Concezione, la proclamazione del Sillabo e la convocazione del concilio Vaticano I. Sin dal titolo del vol., è evidente il suo carattere apologetico, che influenza anche la selezione della bibliografia, indicativa dei modi di procedere di una storiografia militante ma a volte dai
contorni piuttosto discutibili.
FATTORINI E., Italia devota. Religiosità e culti tra Otto e Novecento,
Carocci, Roma 2012, pp. 193, € 16,00. 9788843062584
e devozioni italiane, i santuari del nostro paese, le relazioni spirituali,
L
le politiche di beatificazione contemporanee, il «suicidio della religione», le apparizioni di fine millennio: sono le tappe percorse dall’a., docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, in un pregevole studio
delle caratteristiche e del ruolo storico della devozione rispetto alla formazione dell’identità nazionale italiana.
ZAMAGNI G., La fine dell’era costantiniana. Retrospettiva genealogica
di un concetto critico, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 197, € 17,00.
9788815138026
partire dal concetto di «era costantiniana», intesa come «un’epoca
A
caratterizzata da un’alleanza simbiotica fra il potere della teologia e
il potere di imperatori e sovrani», e quindi come storia dell’intreccio e reciproca influenza fra Chiesa e potere civile in Europa, viene ripercorsa
in prospettiva diacronica la riflessione, maturata in corrispondenza con
l’apertura del Concilio, sul significato della fine di questo legame, a partire dagli scritti di M.-D. Chenu, per passare alla riflessione degli ambienti parigini della metà del secolo fino a quella di F. Heer, dell’ultimo
E. Buonaiuti e di E. Peterson. Libro di notevole interesse storico-ecclesiologico.
DAVID MARIA TUROLDO
Attualità ecclesiale
Laudario
alla Vergine
COMITATO
SCIENTIFICO E ORGANIZZATORE DELLE SETTIMANE SOCIALI
DEI CATTOLICI ITALIANI (a cura di), Cattolici nell’Italia d’oggi. Un’agenda
di speranza per il futuro del paese. Atti della 46a Settimana sociale
dei cattolici italiani, EDB, Bologna 2012, pp. 670, € 26,50.
9788810140727
l vol. consegna i contributi di idee e d’elaborazione culturale scaturiti
Id’arrivo
dalla 46 Settimana sociale (Reggio Calabria, 14-17.10.2010), punto
di un itinerario condiviso con le diocesi e con le aggregazioni eca
«Via Pulchritudinis»
clesiali lungo i due anni di preparazione. Un percorso di partecipazione e
un metodo per il discernimento tesi a costruire, insieme, un’agenda di problemi su cui sperimentare la fede vissuta nella storia concreta.
DAY D., Fede e radicalismo sociale. A cura di R. Fossati, La scuola, Brescia 2012, pp. 120, € 9,00. 9788835029588
onna, cattolica, giornalista, pacifista negli Stati Uniti della prima meD
tà del Novecento. Nella collana «Maestri» viene proposta un’agile antologia dei suoi scritti, introdotta da un biografia.
GABRIELI C., Uno scisma moderno. La comunità lefebvriana, EDB,
Bologna 2012, pp. 305, € 27,00. 9788810140710
a Chiesa con la sua storia bimillenaria, con la ricchezza del suo pa«L
trimonio spirituale e dottrinale, ma aperta al mondo per annunciare in modo adeguato il suo messaggio agli uomini del suo tempo, si è
trovata nella difficile situazione di custode del suo passato e insieme promotrice di un coraggioso rinnovamento e aggiornamento, tra due punte
estreme che correvano il rischio di dimenticare che i due poli devono essere ambedue salvati e armonizzati: tradizione e innovazione (…). Solo all’interno di questo grande tema si può comprendere tutta la vicenda le-
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N U O V A
E D I Z I O N E
vent’anni dalla morte di p. Turoldo,
le EDB rendono nuovamente disponibile il suo splendido laudario. Nella raccolta di poesie dedicate a Maria, egli
s’ispira alla locuzione con cui Paolo VI si
riferì alla Vergine: “via della bellezza” per
raggiungere la beatitudine promessa.
Infatti senza di lei la creazione sarebbe incompleta, e la storia dell’uomo disperata.
A
EDB
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«MEDITAZIONI»
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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
CONSULTA ECCLESIALE DEGLI ORGANISMI SOCIO-ASSISTENZIALI
CARITAS ITALIANA - UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ
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Opere
febvriana e anche l’interesse che la stessa vicenda ha destato nella Chiesa»
(dalla Prefazione).
per il bene comune
GUGLIELMONI L., NEGRI F., «Un altro vedere». Don Primo Mazzolari
e la fede, EDB, Bologna 2012, pp. 140, € 12,00. 9788810513217
Rilevazione dei servizi socio-assistenziali
e sanitari ecclesiali in Italia
persone don Primo, predicatore itinerante, ha risvegliato la
Isuoinfede«quante
latente e quanti adulti ha aiutato a credere, ieri e oggi, mediante i
scritti che presentano una lungimirante attualità! Formare il laicato
O
biettivo della Rilevazione nazionale
dei servizi collegati alla Chiesa, presentato nel volume, è promuovere una
rete di assistenza più prossima ai bisogni
delle persone, in un settore fondamentale.
Il lavoro è volto a porre le basi per un dialogo con il servizio pubblico e con le pubbliche autorità nell’ottica della solidarietà
e della sussidiarietà.
«FEDE E ANNUNCIO»
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ZUCCOLINI R., PIETROLUCCI R., Shahbaz Bhatti. Vita e martirio di un
cristiano in Pakistan. Prefazione di Andrea Riccardi, Paoline, Milano 2012, pp. 167, € 14,00. 9788831541350
na biografia del ministro pakistano per le Minoranze religiose, ucciU
so dai fondamentalisti islamici nel 2011 per aver insistentemente richiesto la riforma della legge sulla blasfemia, viene qui proposta a quattro
mani da un giornalista del Corriere della sera, Roberto Zuccolini, e da un
funzionario del Ministero dell’interno e membro della Comunità di Sant’Egidio, Roberto Pietrolucci, suo amico personale.
pp. 192 - € 16,00
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YVES SIMOENS
Le tre Lettere
di Giovanni
Credere per amare
Una traduzione e un’interpretazione
olti esegeti hanno rivolto l’attenzione
a due composizioni della letteratura
giovannea, mentre più rari sono quelli che si
sono impegnati con tutte e tre: l’esegesi moderna infatti tende a dubitare dell’omogeneità di tale corpus. Il volume dell’autore, tra
i massimi esperti della materia, è preceduto
dai suoi fortunati commenti sul Vangelo e
sull’Apocalisse.
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Filosofia
BLONDEL M., BOSCO D., Che cos’è la mistica?, Morcelliana, Brescia
2011, pp. 261, € 18,00. 9788837225421
edizione racchiude pagine inedite del filosofo francese sul tema delL’
la mistica che si innesta nella sua «filosofia dell’azione». Come ebbe a dichiarare il medesimo Blondel: «Ogni grande filosofia, ben lungi
dall’essere una pura costruzione dello spirito, ha il suo principio e il suo
fine in una concezione del destino umano: la pratica la orienta ed essa
orienta a sua volta la pratica». Una filosofia che, però, non detta il suo
monopolio su di noi, ma permette «di fare un passo al di là», nella mistica, dunque. Essa, pertanto, diviene il luogo per eccellenza in cui la raison mette in discussione se stessa proprio per essere il punto di incontro
tra il finito e l’assoluto. Il vol. è arricchito da una eccellente Introduzione di Domenico Bosco.
CENTRO DI DOCUMENTAZIONE INTERDISCIPLINARE DI SCIENZA E FEDE
DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ DELLA SANTA CROCE (a cura di), Conversazioni su scienza e fede, Lindau, Torino 2012, pp. 228, € 18,50.
9788871809656
ove interviste a scienziati e teologi sui temi inerenti l’intersezione tra
N
pensiero scientifico, filosofico e teologico: il senso e il ruolo della vita
umana nel cosmo, l’unità del sapere, i fondamenti filosofici della scienza,
l’umanesimo scientifico ecc. Il vol. nasce dall’esperienza del «seminario
permanente» che il Centro di documentazione rivolge, dal 2005, a giovani laureati interessati ai «grandi interrogativi» che emergono nel rapporto
tra il sapere scientifico e quello della fede. Esso raccoglie alcuni dei dialoghi promossi dai partecipanti al seminario coi docenti invitati.
M
«TESTI E COMMENTI»
cattolico è stato uno dei suoi obiettivi perseguiti con tenacia, certo che la
rivoluzione cristiana è possibile solo se generata da una fede solida, matura» (dalla Prefazione di mons. V. Paglia). Il sussidio offre alcuni brani, tra
i più significativi, circa l’atto di fede e le conseguenze pratiche del credere,
di don Primo.
KIERKEGAARD S., Briciole filosofiche. Ovvero un poco di filosofia,
Morcelliana, Brescia 2012, pp. 158, € 16,00. 9788837225681
l’a. si propone il superamento del «socratico», inteso coImeranmequest’opera
insieme di verità universali, eterne e necessarie, di cui è possibile una
«reminiscenza», ma assolutamente «irraggiungibile a partire dalla
pp. 320 - € 32,00
non-verità in cui giace l’esistere nel tempo». Occorre quindi recuperare il
senso del paradosso in virtù del quale «l’intelletto vuole appassionatamente il proprio tramonto perché non vuole che la propria esistenza tramonti
nel socratico». Questa compresenza nell’esistente di intelletto e paradosso
consente all’esistenza di rapportarsi con l’eterno, in un «momento» che
«determina la rottura dell’indifferenziato scorrere del tempo». La presente edizione è stata curata da U. Regina e condotta sull’edizione critica dell’opera del noto filosofo.
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ROLAND MEYNET
La Lettera
ai Galati
RICCI SINDONI P., Franz Rosenzweig. L’altro, il tempo e l’eterno, Studium, Roma 2012, pp. 255, € 23,50. 9788838241468
a Stella della Redenzione è, non solo, uno dei testi fondamentali per
L
capire lo sviluppo del pensiero ebraico del Novecento, ma anche una
delle traiettorie più suggestive per tutto l’attuale panorama filosofico occidentale tutto preso dal tentativo di fuoriuscire dalle secche del nichilismo postmoderno che lo ha sinora avviluppato. Con questo suo saggio,
l’a. nota studiosa di etica, presenta un’antologia degli scritti di Rosenzweig composti prima della sua opera maggiore. La raccolta restituisce
al lettore un’immagine più completa dello stesso R. Precede l’antologia
un saggio sul suo pensiero nel qual è possibile seguire l’intreccio di tempo e di eterno che fanno del filosofo ebreo-tedesco uno degli dochakeiha-ketz («acceleratori della fine») di maggior fascino. Testo di studio da
leggere.
Storia, Saggistica
BUBER M., Religione come presenza. A cura di F. Ferrari, Morcelliana,
Brescia 2012, pp. 192, € 16,00. 9788837225933
raduzione italiana di 8 lezioni, nelle quali vengono illustrati alcuni
T
punti essenziali del pensiero dell’a. sul significato della religione. Nelle prime 3 vengono smantellate alcune opinioni consolidate che vincolano
il «religioso» ad altre sfere, come la dipendenza dall’idea nazionale, dalla
biologia o dalla psicologia, impedendone il suo pieno dispiegamento come
«qualcosa di assoluto»; nelle ultime 5, avvalendosi del concetto chassidico
di Shekinah come presenza e di altri concetti poi ripresi in Io e Tu, è in
quanto «presenza» che la religione viene definita nella sua essenza, indipendentemente dalle contingenze storiche.
T
esto breve ma decisivo per la fede
cristiana, la Lettera ai Galati viene da
decenni studiata applicando le regole della
retorica classica greco-latina. L’originale
commento colloca invece la chiave di composizione delle lettere paoline nelle leggi
della retorica biblica e semitica, dando all’Epistola una rinnovata interpretazione.
«RETORICA BIBLICA»
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COLANTONE R., Il sogno nella poesia greca. Dai poemi omerici al teatro, Studium, Roma 2012, pp. 276, € 14,50. 9788838241567
l sogno è uno dei luoghi ricorrenti della letteratura, della pittura e anIquesto
che del cinema ultimamente. L’a., giovane e promettente studiosa, con
vol. dallo stile elegante e coinvolgente, affronta il tema del sogno
nella poesia e nel teatro della Grecia arcaica e classica offrendo al lettore
la possibilità d’introdursi in uno degli universi letterari più affascinanti della storia della cultura occidentale. Polidoro, Ecuba, e altri ancora, vengono evocati, tradotti seguendone il lessico, il simbolo, l’«oggettivo» di una
poesia a cui bisogna sempre ri-tornare. Piccolo testo, un grande sogno.
CUBEDDU R., La Chiesa e i liberalismi, ETS, Pisa 2012, pp. 140, € 12,00.
9788846732071
questo vol., l’a. espone una serie di interrogativi sul rapporto della
Istero,ndottrina
sociale della Chiesa, così come emerge dal più recente magicon le concezioni liberali. L’a. segnala in particolare la problematicità della sussunzione dei principi liberali all’interno di una legge morale
naturale «valida per tutti», incarnatasi nei diritti umani, ma d’ispirazione
divina e conforme alla rivelazione cristiana, col risultato di una trasformazione del liberalismo in una forma secolarizzata di cristianesimo e la
derivazione, molto contestabile, dei diritti naturali di Locke dalla legge naturale d’ispirazione tomista. Testo non privo d’interesse.
PAIANO M. (a cura di), I cattolici e l’unità d’Italia. Tappe, esperienze,
problemi di un discusso percorso, Cittadella, Assisi 2012, pp. 364,
€ 22,00. 9788830812420
n occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia abbiamo assistito al
Icamente
confrontarsi di letture diverse e talora reciprocamente polemiche, storifondate o viceversa dipendenti da opzioni culturali, politiche o
ecclesiali dell’attualità. La Scuola di formazione teologica della Facoltà
teologica dell’Emilia Romagna nell’inverno 2010-2011 ha cercato con un
corso su «I cattolici e l’unità d’Italia», di cui sono qui raccolte in gran parte le lezioni rielaborate, di «diffondere presso un più largo pubblico un’informazione il più possibile ancorata alla ricerca scientifica su uno dei temi
“caldi” dell’uso pubblico della storia nel nostro paese negli ultimi anni:
quello del rapporto tra i cattolici e l’unità d’Italia» (dall’Introduzione). I
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JOËL PRALONG
Combattere
i pensieri negativi
S
balzi di umore, ansia, ritmi frenetici
spesso rovinano le nostre giornate. Sull’esempio dei Padri del deserto, l’autore invita a lasciare che Dio respiri in noi per
giungere all’esichia, in greco pace, tranquillità, silenzio. Un agile strumento contro le
quotidiane fatiche interiori, per contrastare
i pensieri negativi e ritrovare serenità.
«FEDE E VITA»
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L
MASSIMO GRILLI
L’opera di Luca
1. Il Vangelo del viandante
ibri del mese / schede
contributi sono di M. Paiano, B. Bocchini Camaiani, P.D. Giovannoni, A.
Deoriti, S. Marotta, R. Bottazzi, E. Mazzini, G. Turbanti, M. Malpensa,
A. Guasco.
PRODI P., Storia moderna o genesi della modernità?, Il Mulino, Bologna
2012, pp. 239, € 22,00. 9788815238320
ilo conduttore del vol. è l’interrogazione circa gli elementi fondaF
mentali della modernità, a partire dal problema della periodizzazione: a quale epoca può esser fatta risalire? E soprattutto, quali sono i ca-
L
a metafora della via regge tutta l’opera
lucana: il Vangelo narra la storia di Gesù
come un Dio che cammina con l’uomo fino
alla meta finale. L’itinerario guida alla comprensione e all’approfondimento del Vangelo
di Luca, rielaborando le apprezzate conferenze dell’autore al 30° convegno di Parola
Spirito e Vita (Camaldoli, 27 giugno - 1° luglio 2011).
«BIBLICA»
ratteri costitutivi di un modello di civiltà che ha consentito agli europei
l’espansione e la dominazione mondiale e che giustifica, a detta dell’a.,
un fondamentale «eurocentrismo» degli studi storici d’età moderna? Infine, in che misura potrà essere conservata questa eredità dell’uomo occidentale «che ora viene messa in discussione nell’età della globalizzazione?».
ROUSSEAU J.-J., Lettere morali. A cura di Guglielmo Forni Rosa, Marietti, Milano 2012, pp. 125, € 17,00. 9788821161254
ccasione di questa raccolta di lettere, che contengono un abbozzo di
O
opere future fra cui l’Emilio, è la cessazione della relazione sentimentale tra l’a. e madame d’Houdetot, definita la propria Giulia, dal no-
pp. 152 - € 14,00
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me della protagonista della Nouvelle Héloïse in gestazione nello stesso periodo. La relazione – che non avrebbe mai superato il livello della semplice «amicizia» – dovette terminare a causa delle dicerie pruriginose delle
classi altolocate parigine; ne conseguì un isolamento nel quale l’a. poté riflettere sul significato di un sentimento amoroso destinato a non trovare
realizzazione concreta.
SARTORIO U., Fare la differenza. Un cristianesimo per la vita buona,
Cittadella, Assisi 2011, pp. 254, € 15,80. 9788830811874
are la «differenza» come idea in grado d’esprimere la qualità e la feF
condità propria del cristianesimo, anche in rapporto alla complessa
cultura contemporanea. Questa la proposta del saggio che l’a., dal 2005
INNOCENZO GARGANO
Lectio divina
sul Vangelo di Luca 1 e 2
Ciclo di conferenze tenute a Camaldoli
direttore de Il Messaggero di Sant’Antonio e di Credere oggi, articola in
due parti: «Pensare la differenza» (teologia, contesto e annuncio); «Vivere
la differenza» (chierici-laici, vita consacrata, celibato-matrimonio). La categoria di «stile», che ricorre oggi in teologi come Theobald o Salmann, è
assunta come proposta dall’a.: «Senza ridurre il cristianesimo a fissa dottrina, se ne coglie la capacità di suscitare stili di vita in grado di abitare in
modo condiviso e insieme originale il mondo». La Prefazione al vol. è di
C. Dotolo; la Postfazione di A. Matteo.
VALENTINI N., Volti dell’anima russa. Identità culturale e spirituale
del cristianesimo slavo-ortodosso, Paoline, Milano 2012, pp. 404,
€ 38,00. 9788831540483
n «viaggio nel mondo interiore ortodosso russo», come lo definisce
U
Elia Citterio nell’Introduzione: la sua relazione con l’Europa, con la
bellezza, con la conoscenza e la verità, con l’idea di persona, con il luogo
simbolico del cuore e la sua preghiera, con la liturgia, con l’eros, con le icone e il culto dei santi, con l’amicizia, con la sofferenza e con la croce. L’anima russa qui contemplata con profondità e ammirazione ci permette di
ampliare i confini dell’Europa che troppo spesso facciamo coincidere con
il solo Occidente, e di rintracciare i fondamenti comuni della cultura cristiana e della Chiesa indivisa.
due cofanetti indivisibili presentano in CD formato MP3 dieci lectio,
già disponibili in audiocassette, che l’autore ha tenuto a Camaldoli
per commentare il Vangelo di Luca. Uno strumento adeguato alla sensibilità di oggi, molto apprezzato da un vasto pubblico e spesso riproposto in trasmissioni radiofoniche su emittenti nazionali.
I
«LECTIO DIVINA»
2 Cofanetti CD/MP3 - € 34,80
Edizioni Edizioni
Dehoniane
Dehoniane
Bologna Bologna
PANI E., PANI E., Se la musica è bellissima: Puglia, terra promessa della
cultura. Il Festival della Valle d’Itria, Levante, Bari 2012, pp. 155,
€ 13,00. 9788879496049
Politica, Economia, Società
BENHAMOU F., L’economia della cultura, Il Mulino, Bologna 2012,
pp. 170, € 12,50. 9788815239549
contiene ragguagli generali, redatti a uso didattico, ma sempre con
I lunvol.linguaggio
tecnico tale da non renderlo appetibile a non competen-
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
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ti, su una branca nascente dell’economia, riguardante la valutazione dell’impatto dei prodotti culturali in sede microeconomica così come la gestione della cultura nella politica economica degli stati. Occupandosi di alcuni aspetti essenziali, quali i consumi e l’occupazione, lo spettacolo dal vivo, il mercato dell’arte e le industrie culturali, l’a. traccia il profilo di una
materia a cui solo recentemente è stata data una specifica attenzione da
parte degli economisti.
Pedagogia, Psicologia
Diario di Haiti. Ricostruire l’umano dopo l’emergenza, Marietti, Milano 2012, pp. 150, € 15,00. 9788821177712
flessione sulla famiglia e sulle tipologie di relazioni di coppia e genitori-figli oggi più diffuse, per evidenziarne le «trappole» e per sostituirvi un modello che miri all’amore libero e gratuito, alla capacità di educare alla responsabilità e, infine, di costruire una famiglia che abbia come obiettivo la
crescita d’ogni suo componente.
urato e promosso dall’AVSI (Associazione volontari per il servizio
C
internazionale nata negli ani Settanta nell’alveo di Comunione e liberazione), presente ad Haiti dal 1999, il testo, corredato da numerose
fotografie, raccoglie il diario della volontaria italiana che unica straniera è stata sull’isola durante il terremoto del 12.1.2010 che ha ucciso
230.000 persone, e una carrellata dei progetti che l’associazione ha dedicato ad Haiti.
MERCURI M., TORELLI S.M., La primavera araba. Origini ed effetti
delle rivolte che stanno cambiando il Medio Oriente, Vita e pensiero, Milano 2012, pp. 280, € 25,00. 9788834322208
engono qui analizzate le vicende che hanno contrassegnato le cosiddette «primavere arabe». Di ogni paese coinvolto vengono tracciati le coordinate storiche dalle quali sono sorti e si sono conservati gli
assetti di potere smantellati dalle rivolte e le molteplici declinazioni assunte da queste ultime caso per caso. Segue una serie di analisi sulle ripercussioni di queste agitazioni nei paesi vicini. La collana alla quale
appartiene il vol. motiva la sua prospettiva geo-politica, ma ci si domanda se quest’ultima possa ancora trascurare lo studio delle dinamiche interne alla religione islamica, che qui vengono toccate solo marginalmente.
V
BELLANTONI D., Dall’amore per bisogno al bisogno per amore. Per una
fenomenologia della coppia e della famiglia, LAS, Roma 2011,
pp. 182, € 12,00. 9788821308147
pplicando un approccio di tipo fenomenologico-esistenziale e riferenA
dosi in particolare all’opera dello psichiatra Viktor Frankl, fondatore
dell’analisi esistenziale, l’a., psicologo e psicoterapeuta, conduce una ri-
CAMILLANI – CTF, CARITAS ITALIANA, OSPEDALE PEDIATRICO BAMBINO
GESÙ, Oltre l’arcobaleno. Bambini e salute mentale in situazioni
di emergenza e disastri naturali. A cura di P. Feo, M. Iazzolino,
W. Nanni, EDB, Bologna 2012, pp. 159, € 11,50. 9788810203637
i tratta della prima indagine scientifica mai condotta nel territorio italiaS
no sugli effetti del terremoto nella psiche dei bambini, a partire dal caso
dell’Aquila (6.4.2009). L’indagine, promossa dai Camilliani, con il coordinamento scientifico dell’Ospedale pediatrico bambino Gesù e il sostegno della
Caritas italiana, è stata realizzata in collaborazione coi pediatri abruzzesi che
hanno aderito volontariamente alla ricerca, e ha coinvolto circa 2.000 bambini, d’età compresa tra i 3 e i 14 anni. Il tema della salute mentale dei bambini in situazioni di emergenza viene affrontato da diversi punti di vista:
scientifico, pastorale e organizzativo. Viene poi data attenzione al ruolo dei
diversi attori in campo: i servizi di sanità pubblica, il volontariato, le famiglie,
la Chiesa e la comunità locale, gli istituti e i centri di ricerca.
D’AURIA A., Comunicare è un’arte. Come trovare la strada giusta
nel labirinto dei rapporti umani, Effatà, Cantalupa (TO) 2011,
pp. 140, € 12,00. 9788874027309
PISICCHIO P., Alle origini dell’antipolitica. «Sentimento» antipolitico,
democrazia e Costituzione, Levante, Bari 2012, pp. 59, € 8,00.
a. è psicologo ed esperto in processi comunicativi e su questo tema
L’
ha tenuto anche una serie di interventi radiofonici. Da questa esperienza nasce la volontà di fornire una sintetica guida che, utilizzando al-
a., deputato da più legislature, eletto nel 2008 per l’Italia dei valoL’
ri e ora nel Gruppo misto, compie un excursus storico su quello
che egli definisce «un sentimento antico e polimorfo» che da sempre
cune teorie e modelli di ambito comunicativo e psicologico, aiuti il lettore
ad acquisire maggiore consapevolezza degli elementi e dei livelli che entrano in gioco in ogni scambio comunicativo e, di conseguenza, di alcune
tecniche da adottare o evitare. L’obiettivo è di attuare una comunicazione
efficace, ossia capace di costruire buone relazioni.
9788879496001
accompagna la storia italiana. E oggi a tal punto che esso ha messo «casa nella politica». Ma, conclude, ciò «non sembra destare presso gli attori della politica troppe preoccupazioni». Anzi, questi ultimi, «costretti a esprimersi quasi esclusivamente attraverso una gestualità mediatizzata e istantanea e non più con l’allestimento di visioni strategiche e lo
svolgimento di pedagogie democratiche, sono i primi propalatori del
messaggio antipolitico quando accettano di abbandonare le dinamiche
democratiche (…) per accogliere le investiture dirette che si esprimono
con le primarie o indulgere nella celebrazione di (…) “convention” mutuate dalla cultura politica americana».
VAN DER HOFF F., Manifesto dei poveri. Il commercio equo e solidale: per non morire di capitalismo, Casa editrice Il Margine, Trento
2012, pp. 76, € 13,00. 9788860891006
a. è un teologo ed economista olandese che da una vita si dedica alL’
l’applicazione dei principi della teologia della liberazione e ha fondato nel 1989 il primo marchio equo e solidale, Max Havelaar (dal titolo
del romanzo che nell’Ottocento fece conoscere a tutto il mondo l’ingiustizia del governo coloniale olandese). Il Manifesto dei poveri, che l’associazione Cristallo di Bolzano ha voluto tradurre in italiano e presentare al
pubblico all’interno del percorso «Sulle orme di Ulisse», iniziativa dedicata ai grandi personaggi della storia che hanno costruito ponti tra culture,
offre la prospettiva di «un pragmatico “sognatore” che ha unito Nord e
Sud del mondo attraverso una nuova consapevolezza su come gestire in
modo equo rapporti commerciali tra mondo ricco e mondo povero» (R.
Dalvai).
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FIORIN I., Scuola accogliente, scuola competente. Pedagogia e didattica della scuola inclusiva, La scuola, Brescia 2012, pp. 186,
€ 13,00. 9788835028499
l sistema scolastico deve seguire l’evoluzione della società e le sfide che
Ilungo
essa pone, per questo lo stato italiano ha da anni avviato un difficile e
processo di riforma. L’a., presidente del corso di laurea di Scienze
della formazione primaria dell’Università LUMSA di Roma, ci aiuta a conoscere meglio la scuola italiana così come essa si è delineata dagli anni
Sessanta in avanti dal punto di vista normativo, organizzativo e, soprattutto, delle teorie pedagogiche sottostanti. Vengono poi presentate le sfide
attuali e proposte delle piste per l’innovazione, per rendere compatibili accoglienza e competenza e passare dalla semplice integrazione alla vera inclusione.
MASONI M.V., Sono preoccupato per mio figlio. Le risposte dello psicologo, Erickson, Gardolo (TN) 2011, pp. 208, € 14,50. 9788861379213
n questo libro l’a., psicoterapeuta ed esperto di counseling per genitori
Ispesso
con figli in crescita, intende rivolgersi alle figure familiari con cui più
intrattiene i propri colloqui, le madri. Nella I parte sono presentati, uno per ogni c., una serie di 32 casi esemplificativi relativi alle difficoltà giovanili analizzate per mezzo di prospettive e suggerimenti inediti, tesi
a enfatizzare provvedimenti educativi non oppositivi né repressivi di fronte alle provocazioni dei figli. Tali esortazioni espresse attraverso una forma
narrativa dialogica senza terminologie specialistiche, sono rafforzate nella
II parte del vol., dove s’invitano i genitori a svolgere 5 importanti esercizi
che riguardano le varie problematiche trattate.
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chiavi di lettura
L ibri del mese / segnalazioni
L’affollato scaffale del Concilio
n questo mese d’ottobre 2012, l’editoria di matrice cattolica si
sta dedicando a uno dei temi che più l’appassionano – e comprensibilmente visto che ha dato i natali a buona parte di essa
– cioè il concilio Vaticano II, dopo gli «straordinari» fatti per l’improvvisa morte del cardinal Martini. Sforzo che ha incontrato il favore del mercato, visto che i libri che portano in copertina il suo
nome sono da settimane stabili nei primi 10 posti delle classifiche
di vendita del comparto «saggistica».
Ma mentre nel caso di Martini persino le librerie laiche si sono
trovate a dover allestire un banco a lui dedicato – anche perché tutti
i grandi editori hanno tratto dal proprio cassetto un titolo sul porporato – non avverrà altrettanto per il Vaticano II, il quale occuperà al massimo qualche centimetro negli scaffali ordinari alla voce
«religione». Anche nei blog in cui si discute di «cose di Chiesa», le
impennate di visite e commenti non riguardano in modo particolare questo anniversario.
A 50 anni dalla sua apertura, il Vaticano II sembra, nella percezione generale, meno evento di grande impatto sociale e culturale, quale fu nel suo accadere, e più oggetto di dibattito intraecclesiale, riservato a un pubblico che ama il lessico da specialisti o
che ha l’età per ricordarlo. La stessa discussione sull’«ermeneutica
della continuità o della discontinuità», riaperta nel 40o della conclusione del Concilio (2005) dal papa, rischia d’essere relegata all’angolo dei teologi o degli storici della Chiesa, o al confronto, questo davvero malinconico, tra «reduci» di quella stagione e
«neoapologeti» della restaurazione.
Per questo è un poco sorprendente l’abbondanza dell’offerta
I
L’ignoranza delle Scritture,
infatti, è ignoranza di Cristo
DEI VERBUM, n. 25
Le sacre Scritture hanno il loro apice e il loro
centro in Cristo, nella sua vita storica e soprattutto nell’evento della sua Pasqua. tutto l’Antico Testamento rappresenta il cammino della
parola di Dio che orienta a Cristo e ci conduce
a Cristo come sua meta. Tutto il Nuovo Testamento ha origine dalla Pasqua di Cristo: i Vangeli raccontano la storia di Gesù, gli Atti la vita
della Chiesa apostolica che si fonda su Gesù risorto, le lettere degli apostoli una profonda riflessione su Cristo risorto, l’Apocalisse la vita futura alla luce della Pasqua stessa.
Non possiamo comprendere il significato
e la realtà profonda delle Scritture se non alla
luce di Cristo e della sua Pasqua; ne deriva che
ignorare le Scritture è ignorare Cristo stesso, il
suo messaggio e il dono della salvezza. La Scrittura, quando è compresa, amata e accolta in
questo modo, è l’anima della stessa teologia.
Non è senza significato che il grande teologo evangelico Karl Barth, in un breve scritto
sulla Dei Verbum, apprezzi incondizionatamente la raccomandazione insistente del Concilio a uno studio costante e approfondito
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di libri sul Concilio che gli editori – per lo più di matrice religiosa
– hanno proposto. Non solo per la crisi che sta attraversando il mercato. Ma anche perché, come diverse inchieste confermano, in 50
anni il volto del lettore del libro religioso è davvero molto cambiato.
Si ha come l’impressione che accanto a un insufficiente ritorno alle
fonti del Concilio che attraversa il dibattito intraecclesiale si affianchi una mancanza di visione dei «segni dei tempi» editoriali.
Ecco dunque buona parte dei titoli che affollano – solo per il
2012 – lo scaffale del Concilio.
Sul fronte della ricerca storica troviamo la riedizione dei 5 volumi della Storia del concilioVaticano II diretta da G. Alberigo (con
una nuova Introduzione di A. Melloni, curatore dell’ed. italiana,
coedizione Il Mulino – Peeters a partire dal 1995) e della sua sintesi nella alberighiana Breve storia del concilio Vaticano II (Il Mulino, 1a ed. 2005); l’opera, a cui egli ha dedicato una vita di studi,
è di gran lunga quella di più ampio respiro e anche per questo è
stata oggetto di approfondite discussioni, in particolare sul punto
dell’interpretazione dell’evento conciliare in rapporto alla Tradizione: cf., in particolare, A. Marchetto che oggi dà alle stampe Il
concilio ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica (LEV,
Città del Vaticano), dopo Il Concilio ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, pubblicato sempre da LEV nel 2005.
Su un’immaginaria linea che misura la progressiva distanza critica dal lavoro dell’«Officina bolognese» possiamo posizionare i testi di: R. Burigana (Storia del concilio Vaticano II, pubblicato sorprendentemente da Lindau) che da tale scuola proviene; Ph.
Chenaux (Il concilio Vaticano II, Carocci) che accenna qualche di-
della Scrittura rivolto ai sacerdoti, ai diaconi, ai
catechisti, ma anche a tutti i credenti, richiamando espressamente la «perla» di san Girolamo: «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (Comm. in Is., Prol.: PL 24,17).
Luigi Maggiali (p. 61)
Esercitano un vero ministero
liturgico
SACROSANCTUM CONCILIUM, n. 29
S
i tratta non del prete, ma di «ministranti, lettori, commentatori e cantori». Una riscoperta
ministerialità diffusa a rete si rifà alla Chiesa patristica. Nei primi secoli cristiani il ministero
del lettore era prezioso a fronte dell’analfabetismo diffuso, come il catechista nelle scuole
catecumenali del III secolo o i diaconi e le diaconesse nella carità giù giù fino ai fossores che
preparavano le sepolture.
L’epoca carolingia, innamorata dell’Antico
Testamento, sul finire del I millennio provocò
una concentrazione gerarchica e liturgica, riservando il «ministero» a vescovi e preti dotati
di potere sacro. Il Vaticano II sparge una serie di
semi che avviano ad allargare di nuovo la nozione di ministero e a situarlo in maniera diversa nella comunità.
Il Concilio riporta l’accento sul popolo di Dio
(cf. Lumen gentium, c. II), indica il valore della
Chiesa locale (cf. Lumen gentium, n. 23), invita
alla diaconia cristiana verso l’umanità (cf. Gaudium et spes, ma già Lumen gentium, nn. 1 e 8),
riscopre la guida dello Spirito Santo in un cammino vario e molteplice convergente nella carità (cf. Lumen gentium, nn. 4.7.12-13.15.32.39.48).
L’esistenza cristiana va ricompresa sul binario del servizio e ogni Chiesa concreta deve
(dovrebbe) fisionomizzare i suoi ministeri come
autentico servizio alla vita teologale e missionaria di quella comunità in cui il ministro è inserito, riconoscendo anche ai laici il sensus fidei e la gratia Verbi, il «fiuto» della fede e la
grazia della Parola (cf. Lumen gentium, n. 35), oltre alla base sacramentale del battesimo-cresima e matrimonio.
Roberto Tura (p. 77)
La coscienza è il nucleo più
segreto e il sacrario dell’uomo
GAUDIUM ET SPES, n. 16
S
empre la tradizione cristiana ha considerato
la coscienza come il luogo che esprime la dignità profonda dell’uomo. Cifra della sua singolarità e unicità rispetto a ogni creatura, so-
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stinguo; e via via quelli di: E. Casale (Il concilio Vaticano II. Eventi,
documenti, attualità) e B. Gherardini (Il Vaticano 2. alle radici d’un
equivoco) pubblicati da Lindau; W. Brandmuller, A. Marchetto, N.
Bux (Le chiavi di Benedetto XVI per interpretare il Vaticano II), M.S.
Lanzetta (Iuxta modum. Il Vaticano II riletto alla luce della tradizione della Chiesa) e la riproposta di M.-J. Le Guillou (Il volto del
Risorto. Grandezza profetica, spirituale e dottrinale, pastorale e missionaria del concilio Vaticano II) tutti editi da Cantagalli; fino a
quello di E. Finotti (Vaticano II. 50 anni dopo, Fede e cultura, Verona).
Nuovi apporti giungono poi da studi su aspetti specifici, come
quello di F. Ruozzi su Il Concilio in diretta. Il Vaticano II e la televisione tra partecipazione e informazione (Il Mulino); o quello di G.
Sale su Giovanni XXIII e la preparazione del concilio Vaticano II nei
diari inediti del direttore de La Civiltà cattolica (Jaca Book); o quello
a cura di F. Ferrario, M. Vergottini, Karl Barth e il concilio Vaticano
II (Claudiana). Interessanti anche i due volumi che studiano il ruolo
che le (poche) donne chiamate al Concilio ebbero all’interno dell’assemblea: quello di A. Melloni, S. Noceti, M. Perroni (a cura di),
Tantum aurora est. Donne e concilio Vaticano II (LIT Verlag) e
quello di A. Valerio, Madri del Concilio. Ventitré donne al Vaticano
II (Carocci). Dà, poi, voce ad alcuni protagonisti tuttora viventi del
Concilio (cardinali, porporati, giornalisti) il testo di F. Rizzi, Quelli
che fecero il Concilio (EDB).
A seguire troviamo alcuni studi: sugli schemi preparatori, il testo a cura di S. Mazzolini, Vaticano II in rete. Una lunga preparazione andata in fumo? (Claudiana – Il Mulino); sulla Dei Verbum,
C. Alves, Ispirazione e verità (Armando); sulla Lumen gentium, D.
Vitali, Commento alla Lumen gentium (Studium); su un aspetto della
Sacrosantum concilium, D. Estivill, La Chiesa e l’arte secondo il concilio ecumenico Vaticano II (Lateran University Press).
prattutto manifestazione della sua trascendenza su ogni altro essere vivente. Dire che essa
è il nucleo più segreto dell’uomo allude all’impossibilità di ridurre e oggettivare la coscienza
nelle sue espressioni empiriche.
Ciò non vuol dire, ovviamente, che non vi
siano segni e forme attraverso i quali essa si manifesta. Dire che è il «sacrario» significa richiamare come in essa sia in gioco una dimensione
trascendente della vita, cosa che del resto
viene aggiunta subito dopo evocando l’immagine della voce di Dio. Connotare la coscienza
come sacrario significa affermare come in essa
venga custodita la preziosità della singolarità
umana che è la libertà.
Da qui, scaturiscono gli «abiti morali» del rispetto, della responsabilità, della prossimità e
socialità senza i quali la coscienza stessa non
può darsi. Da questo punto di vista si comprende come ogni autentica impresa d’educare alla vita buona sia, in ultima analisi, una pratica di formazione della coscienza morale. Sì,
perché essa non si dà come pura facoltà che
applica l’universale al particolare, bensì come
coscienza morale in ordine a un senso buono
che interpella e si dona all’uomo, appunto nel
mistero della sua libertà.
Affermare che la coscienza è il nucleo più
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Ripropongono invece in nuova veste i testi dell’assise i volumi
della LEV curato da C. Delpero (I documenti del concilio Vaticano
II. 1962-1965) e quello delle EDB (Il concilio Vaticano II. Edizione
del cinquantesimo) con una postfazione di C. Theobald (cf. Regnoatt. 12,2012,385) che invita a non farne un «mito».
Questo è il punto. Se si vuole dare prospettiva – anche editoriale – al Vaticano II, occorre proiettarlo sul futuro e ipotizzare che
la sua ombra delinei Una Chiesa contemporanea (Regno-att.
16,2012,538; cf. anche Regno-doc. 17,2012,538).
È il tentativo fatto da un gruppo di amici legati a L. Pedrazzi,
i cui corposi scambi via email sono stati pubblicati nel 3° volume
de Vaticano II in rete. Migliorare e cambiare: come e perché (Claudiana – Il Mulino). È lo spirito con cui il giornalista L. Rolandi
ha raccolto i testi di numerosi colleghi a commento delle costituzioni, delle dichiarazioni e dei decreti conciliari ne Il futuro del
Concilio. I documenti del Vaticano II: un tesoro da riscoprire (Effatà); con cui M. Orizio s’inventa una storia per chi non ha vissuto il Concilio ne Una strana caccia al tesoro. Il Concilio raccontato ai ragazzi (Paoline); con cui G. Borsa interroga
protagonisti del mondo ecclesiale su L’eredità viva del Concilio.
Cristiani che guardano avanti (AVE); con cui G. Ruggieri pubblica per Einaudi – «Le vele» – Ritrovare il Concilio, dove, rivolgendosi a un lettore «non specialista», evoca la prospettiva
rahneriana del Vaticano II come «inizio di un inizio»; e, infine,
con cui il teologo M. Vergottini ha inanellato alcune Perle del
Concilio. Dal tesoro del Vaticano II facendo commentare i testi del
Vaticano II (EDB; cf. qui sotto qualche estratto) perché ciascuno, «re-inventando l’esperienza stessa del Concilio nelle [proprie] Galilee», possa nuovamente riceverlo «come una grazia»
(Theobald).
Maria Elisabetta Gandolfi
segreto significa che è proprio per essa, la coscienza, che l’uomo decide di sé, ed è presso di
sé in ogni atto autenticamente umano. La coscienza, dunque, «fa sintesi» tra l’appello universale delle norme e la singolarità della situazione, nell’orizzonte di un ethos civile ed
ecclesiale che inclini alla vita buona.
Lino Casati (p. 195)
La Chiesa cattolica nulla rigetta
di quanto è vero e santo in queste
religioni
NOSTRA AETATE, n. 2
L
a Chiesa cattolica ha sempre conservato la
consapevolezza d’aver ricevuto e conservato
la verità sia su Dio, sia sull’uomo. Ciò nei secoli passati aveva portato a ritenere che ove
vi fosse un difetto di verità tutto il sistema religioso dovesse essere considerato falso (verità e integrità venivano strettamente congiunte).
Il Concilio cambia il tipo di lettura, pur
non affermando che i sistemi religiosi in quanto
tali siano «veri» e quindi luoghi e strumenti di
salvezza per coloro che vi appartengono. Fondandosi sull’idea che, nonostante il peccato, gli
umani sono in grado d’incontrare Dio grazie al
senso religioso che nativamente appartiene
loro e che sta all’origine dei sistemi religiosi, la
Nostra aetate riconosce che in tali sistemi vi
siano aspetti di verità e di santità, che «riflettono non raramente un raggio di quella verità
che illumina tutti gli uomini».
La verità, pur essendo accessibile nella
sua totalità nella Chiesa, non è un possesso
esclusivo di essa: la medesima verità può comunicare germi di sé anche al di fuori dei
confini della Chiesa. Sullo sfondo stanno la
dottrina della creazione mediante il Verbo e
la teologia protopatristica che aveva riconosciuto nella filosofia antica tracce del medesimo Verbo.
Tali tracce, germi, semi, diventano, per coloro che ne fruiscono, una preparazione ad accogliere la verità tutt’intera. Sulla base di detto
riconoscimento diventa possibile non solo affermare che Dio salva anche coloro che vivono al di fuori della Chiesa, ma pure avviare un
dialogo con gli appartenenti alle religioni diverse dal cristianesimo. Riuscire a cogliere le
tracce della verità facilita, peraltro, il compito
della Chiesa: esse sono, infatti, addentellati che
valorizzati possono aprire alla verità tutt’intera.
Giacomo Canobbio (p. 388)
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AA. VV.,
«NUOVI ATEISMI
E ANTICHE
IDOLATRIE»,
Hermeneutica.
Annuario
di filosofia
e teologia, 32(2012),
a cura di P. Grassi,
pp. 382, € 27,00.
9788837226251
I
l titolo di questo fascicolo di Hermeneutica
potrebbe essere anche capovolto, dal momento che ateismo e idolatria hanno accompagnato la storia del monoteismo sia nella versione ebraica sia in quella cristiana. Così formulato,
dice un preciso riferimento a quanto sta accadendo nel panorama culturale della modernità
avanzata. Si assiste a una polemica molto accentuata, e per certi aspetti inedita, nei confronti del
cristianesimo e in genere delle religioni, con argomentazioni che hanno un forte impatto sull’opinione pubblica.
Ci sono pensatori iconoclasti, come il francese Michel Onfray, che propongono una sorta di
teologia all’inverso (un’ateologia, come titola uno
dei libri di maggiore successo editoriale) e si avventano contro ogni forma di monoteismo, coinvolgendo in questa polemica questioni disparate:
dalla filosofia alla scienza, dalla morale alla vita sociale e politica. Anche se non mancano posizioni
più sfumate, come quella espressa da André
Comte-Sponville che, da ateo educato in contesti
cristiani, non intende sviluppare una critica frontale
nei confronti della sola religione – ché non si spiegherebbe la storia dell’Occidente senza il cristianesimo («essere atei non è una buona ragione per
perdere la memoria») – ma intende battersi («per la
tolleranza, la laicità, per la libertà di credere e di non
credere» e «dunque contro il dogmatismo, l’oscurantismo, l’integralismo, il fanatismo») prolungando
nell’oggi la battaglia dell’Illuminismo, intesa come
battaglia per la libertà tout court, ed elaborando
una spiritualità conseguente, perché gli atei «non
hanno meno spirito degli altri e tanto meno devono disinteressarsi della dimensione spirituale».
Se l’ateismo antimonoteistico accompagna da
tempo la storia del cristianesimo, sia pure in forme
nuove che sono prese largamente in considerazione in questo fascicolo, inedita è la ripresa di
forme idolatriche presenti nel contesto culturale
attuale, legittimate anche sul piano teorico. Nella
modernità avanzata sembra acquistare dignità
quello che Weber ha chiamato «politeismo dei
valori», dal momento che sono venuti a mancare
norme e valori universalmente riconosciuti, mentre è caduta la fiducia nella scienza in grado di offrire motivazioni utili a giustificare le scelte di carattere etico (...)
Ma la deriva idolatrica odierna – come nota
Luigi Alici nel saggio introduttivo di questo fasci-
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colo – è una sfida che «precede e attraversa la differenza tra politeismo e monoteismo e consente
di riconoscere l’antitesi profonda che investe la dinamica del credere». Se in un contesto culturale di
religiosità condivisa la sola opposizione era tra Dio
e gli dei, la modernità pluralistica conosce forme
più radicali di rifiuto del divino; Dio ha perso di evidenza ed è sempre più difficile, per dirla con Peter
Berger, avvertire persino «il brusio degli angeli».
L’ateismo poteva apparire come la forma di antitesi estrema alla fede religiosa, rispetto alla grossolana idolatria delle origini, che oggi riappare sotto
spoglie diverse e mette in discussione la fede in un
Dio personale e trascendente: «Il soggetto umano
onora solo le divinità che esso crea in una ricerca
insaziabile dello specchio adeguato a raccogliere e
a riflettere la proiezione infinita del proprio desiderio».
Se l’ateismo mantiene viva la questione fondamentale della trascendenza, l’atto idolatrico
cerca di scansarlo deliberatamente; oltrepassa le
frontiere del politeismo perché «è un investimento
salvifico sul finito, frutto di un atto umano disordinato», e non basta a fermarlo la mera riaffermazione del monoteismo «perché non accade infrequentemente che si pensi l’ultimo come se fosse
il penultimo» dello stesso ambito dei monoteismi.
In una prospettiva di diffusa idolatria sono molte
le questioni che si pongono sotto il profilo ontologico-metafisico e sotto quello antropologico.
Ché il venir meno della differenza metafisica,
mette in crisi anche la legittimazione della differenza interpersonale carattere distintivo dei legami
di reciprocità e mette in crisi la differenza strutturalmente costitutiva dell’umano (Kierkegaard). Il
rovesciamento inoltre dell’ordine creaturale, si capovolge nei processi autodistruttivi che corrodono
l’esistenza individuale e collettiva.
Per quanto riguarda il «nuovo ateismo», che
occupa sul piano dell’analisi e della critica gran
parte delle pagine che seguono – vale la pena di osservare come lo stesso Onfray manifesti spesso nostalgia verso l’antichità pagana, idealizzata come appagata e festosa, traboccante di saggezza e di gioia
di vivere, sostituita sfortunatamente dal cupo pessimismo introdotto dalla fede cristiana che ha
oscurato l’orizzonte del senso con la sua ostinata insistenza sull’uomo peccatore.
Onfray sembra riecheggiare Nietzsche che
esprimeva il suo risentimento contro Cristo poggiando sul fatto che la religione monoteista ha dissolto la pluralità degli dei e con essa il diritto alla
fantasia, alla molteplicità dei miti e delle forme. Per
questo nelle ultime parole di Ecce homo è indicato
il «suo stare contro» (in lui si è modellata la crisi antisistematica, antirazionalistica e, in sintesi, antimonoteistica) con il sintagma «Dioniso contro il
Crocifisso».
Le osservazioni di Onfray sono rese attraenti
da un sicuro senso della trovata e della volgarizzazione, il che accade anche in area anglossassone
con autori come Richard Dawkins, biologo, etologo
dell’Università di Oxford, dove è stata attivata per
lui una cattedra di Public Understatement of
Science; come il saggista Sam Harris, il cui testo The
End of Faith (2006) è stato dichiarato degno dallo
stesso Dawkins di prendere il posto della Bibbia;
come Christopher Hitchens, editorialista di quotidiani e riviste americane, autore di Dio non è
grande. Come la ragione avvelena ogni cosa (2007)
e come il filosofo della scienza e logico dell’Università di Tufts, Daniel Dennett, che ha raggiunto la
notorietà presso il grande pubblico con il libro
Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale (2006).
Dawkins con L’illusione Dio. Le ragioni per non
credere (2006), ha redatto un testo dalla precisa intenzionalità di convertire all’ateismo, perché ritiene che tutti i mali scomparirebbero se ci fosse
un’adesione di massa a esso. Per dirla con un suo
critico «egli non intende convertire a qualsiasi specie di ateismo, ma solo a un ateismo umano, liberale, per così dire britannico» (Richard Schroeder),
che è conseguenza dello sviluppo della scienza. Ma
quando Dawkins dice scienza, pensa a un darwinismo ampliato, sino a trasformarlo in una concezione del mondo.
Il biologo, insomma, si attribuisce una competenza capace di spiegare tutto con la sua teoria dei
geni e dei memi. Più in generale «i nuovi atei» dichiarano l’insostenibilità epistemologica dell’ipotesi
creazionista, negando alla religione ogni portata conoscitiva e mantenendo il dibattito solo sul piano
scientifico. Non balena loro l’idea di poter andare
oltre la scienza, naturalisticamente intesa, con il riconoscimento di questioni (come quelle morali o
filosofiche) nelle quali è in gioco il senso della totalità, «senso che non è un oggetto scientificamente trattabile, perché è un orizzonte che abbraccia la stessa esistenza interrogante e precede
la distinzione di soggetto e oggetto e come tale
non si può dire che sempre ecceda il detto» (Ciancio).
È pur vero che quelli ricordati qui come «nuovi
atei» – come si è detto – sono autori che hanno sì
un grande richiamo mediatico, senza che per questo ci sia il riconoscimento di un evidente profilo
scientifico; in particolare i dibattiti sulla negazione
di Dio non appaiono in articoli di riviste scientifiche
in senso stretto, quelle che per la comunità dei ricercatori costituiscono riferimento e nelle quali
sono pubblicate e comunicate teorie, interpretazioni e risultati.
Però, sia la riflessione filosofica sia quella teologica sono chiamate a prendere in esame criticamente quanto si dibatte nelle piazze mediatiche
utilizzando materiali che provengono dal mondo
della conoscenza scientifica, anche se volgarizzati
e semplificati.
Piergiorgio Grassi*
* Questo testo riproduce parzialmente l’Introduzione generale al citato fascicolo di Hermeneutica, rivista fondata da Italo Mancini – di cui nel 2013
si ricorderà il ventesimo della morte – e pubblicata
dall’editrice Morcelliana.
CLXXX
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CARLO MARIA
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Etiopia
AFRICA
d
opo Zenawi
Luci e ombre di una figura carismatica
L
e voci si rincorrevano già
dal giugno scorso: al vertice del G20 a Los Cabos, in Messico, Meles
Zenawi era apparso
smunto e smagrito. Inoltre, non era
passata inosservata la sua assenza a
un summit dell’Unione Africana che si
era svolto in luglio proprio ad Addis
Abeba, capitale dell’Etiopia. Tuttavia
le indiscrezioni su un suo presunto ricovero in un ospedale belga per cancro erano state seccamente smentite
dal portavoce del governo Bereket Simon. Un giornale locale che aveva azzardato previsioni sul suo stato di salute è stato costretto a chiudere i
battenti. E poi, dopo due mesi di assenza dalle scene, la notizia: Meles Zenawi, l’uomo che ha dominato la vita
politica del secondo paese più popoloso d’Africa dal 1991 al 2012,1 si è
spento tra il 20 e il 21 agosto all’estero,
per un’infezione non meglio specificata.
Il mistero che ha avvolto il rapido
decorso della malattia di Zenawi riflette il mistero di cui l’uomo forte del
Corno d’Africa ha ammantato la gestione della cosa pubblica per oltre
vent’anni. Zenawi è stato una personalità complessa e contraddittoria,
uomo brillante, rispettato per la sua
intelligenza e l’acume politico nelle
arene internazionali, temuto in patria
per la repressione dei dissidenti e la
deriva autoritaria, accentuatasi dopo
le elezioni legislative del 2005.
Di etnia tigrè, nato nel 1955 in
quella Adua in cui le truppe italiane
furono duramente sconfitte dalle forze
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dell’imperatore Menelik II nel 1896,
Legesse Zenawi abbandona la facoltà
di medicina a 19 anni per unirsi al
Fronte di liberazione del popolo del
Tigrè. Nel maquis Legesse assume il
nome di battaglia di Meles, in onore di
un compagno giustiziato da Menghistu nel 1975. Di dottrina marxista-leninista, ideologicamente più vicino all’Albania di Enver Hoxha che alla
Cina o all’URSS, Zenawi si batte contro il Derg, giunta militare, anch’essa
di matrice comunista, che aveva defenestrato l’imperatore Hailé Selassié,2
instaurando, sotto Menghistu, quel
«terrore rosso» che mieterà mezzo milione di vittime. Meles scala rapidamente i gradi della guerriglia armata,
fondando la Lega marxista-leninista
del Tigrè e diventando capo non solo
del Fronte di liberazione del popolo
del Tigrè ma anche del Fronte democratico rivoluzionario del popolo
etiope, partito raggruppante tutti i
movimenti di opposizione al «Negus
rosso» (come Menghistu era soprannominato).
Dopo 17 anni di lotta, il Derg sarà
finalmente sconfitto nel 1991 e Menghistu fuggirà, trovando rifugio in
Zimbabwe. Presidente di transizione
dal 1991 al 1995, Zenawi assume la
carica di primo ministro nel 1995 e la
manterrà fino alla sua morte.
Sotto il suo lungo governo l’Etiopia
ha raggiunto considerevoli traguardi:
la percentuale di popolazione che attualmente vive in condizioni di estrema povertà (ossia con meno di 60 centesimi di dollaro al giorno) è diminuita
del 15% (passando dal 45% della po-
polazione al 30%). L’Etiopia, un tempo tristemente famosa per le carestie
che periodicamente colpivano il paese
(come quella, devastante, del 198485), dispone ora di avanzati programmi di sicurezza alimentare.
L’economia del paese ha mostrato
nell’ultimo decennio tassi di crescita a
due cifre. Il PIL nel 2011 ha sfiorato
una crescita del 7,5 %,3 un dato eccezionale considerata la crisi finanziaria
globale e il fatto che l’Etiopia non ha
rendite petrolifere. La ricchezza del
paese infatti deriva dall’agricoltura,
che concorre per circa il 45% alla formazione del PIL (e che impiega circa
l’85% della forza lavoro). Secondo
produttore di caffè in Africa, l’Etiopia
è anche recentemente diventata il secondo produttore di fiori recisi del
continente dopo il Kenya, grazie ai
consistenti investimenti stranieri (soprattutto indiani) nel settore.
Accanito lettore dell’autorevole settimanale britannico di stampo liberista
The Economist, Zenawi ha gradualmente abbandonato il marxismo-leninismo giovanile e, pur senza rinnegare il comunismo, ha abbracciato un
capitalismo di stato di stampo cinese.
Come in Cina, le industrie statali o a
partecipazione statale in Etiopia dominano la scena. Come in Cina, Zenawi ha aperto il paese agli investimenti esteri, sebbene soltanto nei
settori che necessitano di un’ingente
disponibilità di capitale (agricoltura e
infrastrutture). Non sono stati invece
liberalizzati compartimenti considerati strategici come il settore finanziario, le telecomunicazioni e i trasporti.4
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L’ultimo piano quinquennale, varato nel 2010, si ripromette di potenziare la rete viaria: i 49.000 km di
strade attualmente esistenti diventeranno 136.000 nel 2015 e nuove, imponenti infrastrutture idroelettriche
(con possenti dighe) sono allo stato di
progetto o già in costruzione grazie
all’appoggio e ai prestiti cinesi.
Il prestigio internazionale
Zenawi ha saputo costruirsi un’ottima reputazione all’estero, diventando
un partner diplomatico indispensabile
nella regione per gli Stati Uniti e la
Gran Bretagna. Bill Clinton ha lodato
l’ex guerrigliero come uno dei leader
del «Rinascimento africano», mentre
Tony Blair lo ha voluto con sé nella sua
Commission for Africa. L’Etiopia è il
maggior destinatario di aiuti allo sviluppo del continente: al paese sono infatti destinati dai donatori internazionali circa 4 miliardi di dollari l’anno, di
cui all’incirca 800 milioni provenienti
dai soli Stati Uniti. La ragione di tale
solidarietà è presto detta: l’Etiopia è un
alleato fondamentale nella lotta al terrorismo nel Corno d’Africa.
I droni americani che pattugliano
l’Africa orientale e in particolare la Somalia decollano da una base in territorio etiope. Inviando a più riprese
truppe in territorio somalo, l’Etiopia
ha contrastato l’affermazione dell’islamismo radicale delle Shabab. La recente elezione di Hassan Sheikh Mohamud a nuovo presidente della
Somalia è un successo che si deve in
parte anche a Zenawi.
Indiscusso leader a livello regionale
e continentale, portavoce della delegazione africana alle conferenze di
Durban e Copenhagen sul cambiamento climatico, Zenawi ha sempre
saputo portare avanti con decisione le
istanze africane nei grandi forum mondiali, come il G20. Nella sua lunga
carriera politica Meles è stato a capo
dell’Unione Africana, dell’Inter Governmental Authority on Development, del New Partnership for African Development.
Zenawi ha inoltre svolto un cruciale ruolo di mediazione nei negoziati
in corso tra Khartoum e Jiuba. In
buoni rapporti sia con Omar al Bashir5 sia con il suo omologo del Sud Sudan Salva Kiir, Zenawi ha fatto sì che
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le negoziazioni sui punti lasciati in sospeso al momento della separazione si
tenessero sotto la sua egida ad Addis
Abeba.6 I suoi buoni uffici sono stati essenziali nel portare a buon fine l’accordo – firmato il 28 settembre scorso
– sulla questione delle rendite petrolifere tra il Nord e il Sud del Sudan.
Affascinante affabulatore, fine politico, erudito (si dice fosse in grado di
citare interi brani di Shakespeare a
memoria) e istruito (ha colmato la lacuna degli studi universitari prematuramente interrotti laureandosi brillantemente all’Open University in Gran
Bretagna nel 1995 e conseguendo nel
2004 un master in Economia dell’Erasmus University in Olanda), Meles Zenawi ha condotto una vita modesta,
senza indulgere al lusso e allo sfarzo.
Austero, dedito al lavoro, i suoi rarissimi sorrisi erano immortalati dai media nazionali e celebrati come eventi
eccezionali. Padre di tre figli, sposato
con l’ex guerrigliera (e attualmente
membro del Parlamento) Azeb Mesfin,
la sua immagine di politico e lavoratore
indefesso presenta però anche molti
lati oscuri.
Il dispotismo
Se le elezioni del 2010 sono state
prevedibilmente un plebiscito per la
coalizione al potere (il suo FRDPE ha
guadagnato 545 seggi su 547 aggiudicandosi il 99% dei suffragi), quelle del
2005 sono state caratterizzate da violenze e brogli. In quell’occasione, l’opposizione per la prima volta era riuscita ad accaparrarsi 1/4 dei seggi e,
forte di questo storico risultato, aveva
tacciato (non senza fondamento) il partito al potere di aver truccato lo scrutinio. Nelle manifestazioni seguite al
voto, la polizia ha sparato sulla folla uccidendo 200 persone mentre 20.000
oppositori, compresi i leader delle
maggiori formazioni d’opposizione,
sono stati imprigionati. Tra il 2007 e il
2009 sono state promulgate una serie
di leggi liberticide, tra cui una sulla
stampa a dir poco draconiana. L’opposizione è stata zittita, i dissidenti imprigionati, accusati di terrorismo o esiliati, il lavoro di ONG a favore dei
diritti umani ostacolato.
Quel federalismo etnico di cui egli
si fece promotore, ponendolo a fondamento della nuova Costituzione varata
nel 1995, si è rivelato un’arma a servizio di una politica del «divide et impera» finalizzata a mantenere saldamente al potere la minoranza tigrè cui
il primo ministro appartiene.
La politica energetica promossa da
Zenawi, basata sulla costruzione di
grandi bacini idroelettrici, è stata severamente contestata dagli ambientalisti, preoccupati per il possibile inaridimento dei laghi kenyoti, mentre le
organizzazioni a favore dei diritti
umani hanno criticato l’evacuazione
forzata della popolazione per la realizzazione delle dighe. Nell’ultimo anno si
sono anche moltiplicate le proteste da
parte della consistente minoranza musulmana (il paese conta circa il 60% di
cristiani, per lo più di confessione ortodossa copta, e il 34% di musulmani)
che lo accusa di voler minare la loro indipendenza religiosa, interferendo sul
piano del culto e incoraggiando l’Al
Abash, una versione «apolitica» dell’islam d’origine etiope-libanese, che
si discosta dalla tradizione sufi dominante in Etiopia.
La fragilità
Al di là della repressione, del dispotismo e della censura, il più grave
errore di Zenawi è stato però quello
d’aver costruito uno stato incardinato
sulla sua forte personalità di tecnocrate
competente e di politico dall’alto profilo internazionale. Infatti, come Obama ha recentemente ricordato, l’Africa
di domani «ha bisogno di istituzioni
forti, non di uomini forti».7 E l’Etiopia,
nonostante alcuni progressi, soprattutto in campo economico, resta un
paese poco sviluppato, con un’inflazione galoppante, soffocato dalla censura, con fragili strutture democratiche.
Il successore di Zenawi, Hailemariam Desalegn, che prima era vicepremier e ministro degli Esteri, garantirà
una transizione morbida fino al 2015,
anno in cui sono previste le elezioni legislative (a cui Zenawi aveva detto di
non voler partecipare). Il nuovo premier ad interim è espressione del Sud
del paese, non appartenente quindi a
quell’etnia tigrè del Nord che ha monopolizzato per 20 anni la vita politica
dell’Etiopia. Tuttavia, con la sua origine geografica ed etnica, lontana dall’establishment tigrè, rappresenta un
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Kenya-Somalia
Islamisti
debole tentativo di accontentare le minoranze tenute sotto scacco durante il
lungo «regno» di Zenawi.
Hailemariam, delfino designato dal
defunto leader dell’FRDPE, appare infatti a molti commentatori manipolato
dai tigrè, una scelta quindi nella continuità senza il carisma del predecessore. Colmare il vuoto lasciato da Zenawi non sarà facile. Il suo successore
ideale dovrebbe essere in grado di procedere, oltre che sul binario della crescita economica, anche su quello del
rafforzamento delle istituzioni, della
separazione tra stato e partito e del rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e delle minoranze.
Il rischio di scompaginamento che
potrebbe derivare dalla scomparsa di
una leadership ventennale e le fragilità
di quella attuale dovranno essere superati in fretta, pena pericolosi contraccolpi. Infatti, se è improbabile che
la frammentata opposizione si ricompatti fino a minacciare le deboli basi
istituzionali del paese, è possibile invece che la vicina Eritrea approfitti
della transizione precaria per riavviare
un conflitto che, dopo la sanguinosa
guerra del 1998-2000, ancora cova
sotto la cenere, con episodiche recrudescenze. Una tale incertezza di prospettive non è quello che il giovane popolo etiope, affamato di democrazia e
in rapida crescita, merita.
Francesca Datola
1
Con i suoi 84 milioni di abitanti (e ben 87
gruppi etnici) l’Etiopia è il secondo stato più popoloso dell’Africa, dopo la Nigeria.
2
La lotta tra il Derg e il Fronte rivoluzionario, entrambi di fede comunista, viene interpretata come una lotta tra «comunisti intellettuali» (come Meles) e «comunisti militari» (gli
ufficiali del Derg, come Menghistu).
3
Secondo i dati della Banca mondiale e del
World Factbook della CIA.
4
Ad esempio, la compagnia di bandiera
Ethiopian Airlines è controllata dallo stato: le
sue casse sono floride ed è una delle poche compagnie aeree al mondo, oltre a quelle giapponesi, a poter vantare nella propria flotta gli avveniristici Boeing 787 Dreamliner.
5
Al Bashir, presidente del Sudan, è stato
condannato nel 2009 dal Tribunale penale internazionale dell’Aja per genocidio, crimini di
guerra e crimini contro l’umanità; cf. Regnoatt. 8,2009,238.
6
Soprattutto sull’utilizzo degli oleodotti e
sulla delimitazione dei confini tra i due stati. Cf.
Regno-att. 2,2011,14; 14,2011,441; 6,2012,202.
7
Come ha dichiarato ad Accra (Ghana),
durante il viaggio del luglio 2009.
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Vendette
N
essuna rivendicazione per l’attentato che lo scorso 30 settembre ha
turbato una tranquilla domenica di
preghiera, imbrattando di sangue la messa riservata ai bambini, nella chiesa anglicana di
San Polycarp in Juja Road, periferia di Nairobi. Un bambino di 9 anni è perito nell’attacco, tre sono stati a lungo sospesi tra la
vita e la morte, mentre decine di persone
sono rimaste ferite più o meno gravemente
nella disordinata e frenetica fuga per guadagnare l’uscita della Chiesa e mettersi in
salvo.
Nello stesso giorno due poliziotti sono
stati uccisi in un’imboscata a Garissa, città
del Kenya orientale a soli 180 chilometri
dalla frontiera con la Somalia e abitata in
maggioranza da popolazioni di etnia somala.
Garissa era già stata di recente teatro di
un’altra tragedia: in luglio alcuni uomini mascherati avevano fatto irruzione in due
chiese cittadine, uccidendo 17 persone.
Anche se nessuna rivendicazione è ancora pervenuta, dietro questa scia di attentati sanguinosi si può facilmente leggere in
filigrana un’azione di Al-Shabab o più probabilmente dei suoi simpatizzanti e sostenitori in Kenya. La situazione è precipitata da
circa un anno e precisamente dal 16 ottobre
2011, quando truppe keniote hanno varcato
la frontiera con la Somalia in un’offensiva
contro gli islamisti radicali di Al-Shabab, rei
di una serie di rapimenti di cooperanti e turisti occidentali avvenuti in territorio keniota (cf. Regno-att. 20,2011,660). Da allora gli
attentati di matrice islamica radicale in Kenya si sono moltiplicati.
Le azioni terroristiche attribuibili a AlShabab e ai suoi sostenitori sono diventate
particolarmente violente a fine agosto 2012,
a seguito dell’uccisione a Mombasa di Abud
Rogo Mohammed, predicatore fondamentalista. Rogo, da luglio nella lista nera delle
sanzioni dell’ONU e degli Stati Uniti, sarebbe stato l’ispiratore e il leader del movi-
mento keniota al-Hijra legato alle Shabab
somale, cui avrebbe offerto direttamente o
indirettamente supporto economico e logistico.
L’assassinio di Rogo resta avvolto nel mistero: i suoi sostenitori lo imputano alla polizia keniota, quest’ultima smentisce seccamente, ventilando anzi l’ipotesi che l’attentato sia stato orchestrato dagli stessi miliziani di Al-Shabab nell’intento di mobilitare
la propria base attorno al nuovo «martire».
Qualunque sia la verità, certo è che la morte
di Rogo è stata all’origine di violenti tumulti,
con altri morti e feriti
Gli ultimi tre attentati a Nairobi e a
Garissa rientrano quindi in una strategia di
terrore più ampia, già rodata e riconducibile a una vendetta di Al-Shabab in risposta all’intervento keniota in Somalia ed
esacerbata dall’uccisione di Rogo. Inoltre
gli attentati perpetrati fra il 30 settembre
e il 1° ottobre sono avvenuti in coincidenza
con una grande avanzata delle truppe keniote in territorio somalo, ai danni di
un’importante roccaforte delle Shabab, il
porto di Chisimaio, cruciale per gli approvvigionamenti dei miliziani islamisti e
dunque ripetutamente contesa tra questi
e le forze regolari (cf. ancora Regno-att.
20,2011,660). Dopo l’attacco, Al-Shabab è
stata costretta a ripiegare, abbandonando
la città costiera.
La comunità internazionale spera che la
definitiva presa di Chisimaio sia il primo
passo verso una rapida e definitiva neutralizzazione di Al-Shabab, cui dovrebbe contribuire anche l’elezione in agosto del nuovo
presidente, Hassan Sheikh Mohamud, determinato a porre fine all’anarchia che da
due decenni imperversa nel paese. Solo arginando l’entropia somala si potranno infatti scongiurare nuovi attentati e interrompere la pericolosa spirale di ritorsioni che
avvelena la pace sociale in Kenya.
La violenza purtroppo porta sempre con
sé altra violenza a meno che questo crudele
determinismo di vendette settarie incrociate non lasci spazio al dialogo e alla solidarietà. In luglio, a seguito del feroce attentato nelle chiese di Garissa, in occasione
di una riunione del «Consiglio interreligioso
del Kenya»(organo di consultazione e coordinamento che riunisce tutte le confessioni
religiose del paese), la comunità musulmana
keniota aveva deciso, in un generoso gesto
di solidarietà nei confronti di quella cristiana, di distaccare alcuni giovani musulmani a protezione delle chiese. C’è da sperare che questi semi di dialogo non vengano
soffocati e che anzi continuino a germogliare.
F. D.
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Ve n e z u e la
Elezioni
Chávez fino al 2019
I
l presidente della Repubblica del Venezuela, Hugo Chávez, leader della coalizione
di centrosinistra «Grande polo democratico», ha ottenuto il 7 ottobre il quarto mandato col 55% dei suffragi, contro il 44% raccolto da Henrique Capriles, dell’alleanza di
centrodestra «Tavola di unità democratica»
(MUD). In elezioni che hanno registrato una
partecipazione senza precedenti, pari all’81%
degli aventi diritto, solo pochi decimali in percentuale sono andati agli altri quattro candidati in lizza, tra cui Luis Reyes del partito evangelico Organizzazione rinnovatrice autentica,
consolidando un chiaro bipolarismo nel sistema politico venezuelano.
Nonostante una campagna elettorale
tesa, le votazioni si sono svolte in un clima pacifico e il risultato è stato subito accettato dall’opposizione, grazie all’affidabilità da tutti riconosciuta al modernissimo meccanismo
elettronico di voto, che garantisce estrema
trasparenza e rapidità, all’iscrizione quasi totale
dei cittadini nelle liste elettorali e alla quintuplicazione dei seggi, nonché all’autorevolezza
acquisita dal Consiglio nazionale elettorale
nelle 14 consultazioni (presidenziali, politiche,
amministrative, referendarie) svoltesi dal 1998,
tanto da configurare quello che la Conferenza
episcopale venezuelana (CEV) aveva definito
«uno dei migliori sistemi elettorali del continente» e il Centro Carter, organismo fondato
dall’ex presidente degli Stati Uniti e specializzato nel monitoraggio elettorale, «il migliore
del mondo».
Chávez, che resterà ai vertici dell’esecutivo fino al 2019, ha potuto contare sul consenso degli strati popolari, beneficiati dal calo
della povertà (dal 51% del 1998 al 32 di oggi, secondo l’Istituto nazionale di statistica) e della
miseria (dal 20% all’8), dall’incremento del salario minimo, quadruplicatosi in un quindicennio, dall’estensione delle prestazioni pensionistiche da 350.000 a 1.900.000 persone,
dalla quasi scomparsa dell’analfabetismo nonché da numerosi programmi pubblici in campo
sanitario, educativo, creditizio e, specie nell’ultimo anno, abitativo, che hanno aumentato di due anni la speranza di vita e reso il Venezuela il paese meno diseguale del continente. Lo stesso Capriles aveva promesso
che queste iniziative sociali non sarebbero
state toccate, criticandone però le inefficienze
e la gestione clientelare, secondo lui superabili con una maggiore apertura all’iniziativa
privata; si era invece concentrato sulla denuncia della corruzione, dell’inflazione (30%
annuo), della concentrazione del potere nelle
mani di Chávez e dell’insicurezza dei cittadini, essendo Caracas una delle capitali più
pericolose del continente.
Il risultato ottenuto dimostra che questi
problemi sono sentiti da un’ampia fascia della
popolazione, ma anche che l’opposizione, pur
essendosi presentata per la prima volta unita
e avendo cercato di prendere le distanze dallo
screditato neoliberismo, non è riuscita a svestirsi della tradizionale immagine «borghese».
Senza scalfire l’egemonia del governo tra le
classi popolari appare però improbabile che il
MUD possa diventare un’effettiva alternativa
politica e Capriles un leader credibile, sebbene a ciò potrebbero contribuire lo stato di
salute di Chávez – cui nel 2011 era stato diagnosticato un tumore alla zona pelvica, dal
quale, dopo essersi sottoposto a diverse operazioni chirurgiche e a trattamenti chemioterapici, ha dichiarato di essere guarito – e il
fatto che nel chavismo non sia finora emersa
alcuna personalità in grado di sostituirlo.
I richiami dell’episcopato
Le elezioni regionali e municipali, previste
tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, offriranno qualche chiarimento in tal
senso, anche perché Capriles cercherà di essere rieletto governatore dello stato di Miranda, dovendo vedersela con Diosdado Cabello, presidente del Partito socialista unificato
del Venezuela fondato da Chávez. Al contrario, per il governo «bolivariano» la sfida appare
quella di riconquistare almeno parte del ceto
medio e, al contempo, consolidare il proprio
radicamento popolare, superando le inefficienze di molti interventi sociali e contrastando l’arricchimento della «boliborghesia»,
una burocrazia parassitaria legata allo stato e
a una parte dell’impresa privata.
Riconoscendo «l’esistenza di due visioni di
paese evidenziata dai risultati elettorali», l’episcopato ha sollecitato «il dialogo e la riconciliazione tra i venezuelani», chiamando governo
e opposizione a condividere «il rispetto della
Costituzione e delle leggi, la difesa dei diritti
delle persone, in particolare dei più poveri e
bisognosi, la promozione del bene comune e
un progetto di paese caratterizzato dall’inclusione». Negli ultimi mesi la tensione tra vescovi
e governo si è un po’ allentata, in seguito a due
incontri tra i presuli e una rappresentanza dell’esecutivo. Tuttavia mons. Diego Padrón, arcivescovo di Cumaná e presidente della CEV,
aveva criticato «la segretezza sulla malattia
del presidente della Repubblica»; mons. Mariano Parra, ordinario di Ciudad Guayana, aveva
lamentato «il tentativo del governo di creare
una divisione tra parroci e gerarchia»; il card.
Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas,
pur giudicando «molto positivo il fatto che
l’esecutivo abbia reso protagonisti i più poveri», aveva stigmatizzato «l’indebito uso di
una grande quantità di risorse dello stato per
la campagna elettorale delle forze governative» e mons. Baltazar Porras, arcivescovo di
Mérida, aveva descritto le presidenziali come
«una scelta tra un sistema sociale con libertà
più ristretta e uno autenticamente democratico», accusando il presidente uscente di aver
suscitato «un clima di violenza».
D’altro canto nella comunità ecclesiale
sono presenti opposti orientamenti politici,
rappresentati, per esempio, da una parte, da p.
Luis Ugalde, gesuita ex rettore dell’Università
cattolica «Andrés Bello» (UCAB) il quale, alla vigilia del voto, parlava di Chávez come di «un
leader che oggi giunge al tramonto» dopo
aver nascosto «l’inettitudine amministrativa
con un’ideologia “rivoluzionaria” antiquata e
venduta come religione»; dall’altra, p. Miguel
Matos, anch’egli gesuita, convinto che una vittoria di Capriles avrebbe consegnato il Venezuela alle «grandi corporation interessate a
controllarne le risorse energetiche», anche a
costo di imporne la privatizzazione «con un’invasione militare». Il riconoscimento della sconfitta da parte di Capriles e la disponibilità a discutere con l’opposizione dichiarata da Chávez
potrebbero però costituire il primo passo
verso quel «negoziato politico» che l’attuale
rettore della UCAB, p. José Virtuoso, aveva
auspicato «dall’8 ottobre per superare la polarizzazione».
Mauro Castagnaro
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Paraguay
Crisi istituzionale
Lugo destituito
I
l 22 giugno scorso, dopo un «giudizio
politico» previsto dalla Costituzione, ma
durato meno di 24 ore e conclusosi con
un voto plebiscitario (76 a 1 alla Camera per
la messa in stato d’accusa, 39 a 4 al Senato
per la rimozione) per la convergenza dell’Associazione nazionale repubblicana (ANR,
più nota come Partito colorato, al potere
dal 1947 al 2008, compresi i 35 anni del regime militare del generale Alfredo Stroessner) e del Partito liberale radicale autentico
(PLRA, fino a quel momento principale forza
della governativa «Alleanza patriottica per il
cambiamento»), il presidente della Repubblica, Fernando Lugo, è stato destituito e al
suo posto è stato nominato il vicepresidente Luis Federico Franco Gómez.
Nel «processo express», come è stato
definito l’impeachment (il ventiquattresimo
tentato in quattro anni!), a Lugo è stato rimproverato un «cattivo esercizio delle sue
funzioni»; tra gli addebiti – che, secondo gli
accusatori, «non hanno bisogno di essere
provati» perché «di pubblico dominio» –, il
principale è quello di essere responsabile
della non chiarita morte violenta, il 15 giugno, di 11 contadini e 6 poliziotti durante il
tentativo di sgombero di un’azienda agricola occupata da braccianti su terreni ottenuti illegalmente durante la dittatura dall’ex
presidente dell’ANR, Blas Riquelme.
Dietro la rimozione di Lugo fanno in realtà capolino alcune imprese transnazionali,
interessate allo sfruttamento delle ricchezze
naturali (Rio Tinto Alcan, Global Oil ecc.) o
dedite all’agrobusiness (Monsanto), l’oligarchia agraria paraguayana (quel 2% della popolazione che possiede l’80% delle terre
coltivabili, ma non paga tasse), nonché gli
Stati Uniti, desiderosi di controllare l’Acquifero Guaraní (la maggiore riserva di acqua
dolce del mondo). Non a caso, infatti, modificando scelte del precedente governo,
Franco ha subito preso dei provvedimenti
tesi a garantire gli interessi economici e politici di questi diversi soggetti.
D’altro canto la debole reazione popolare
ha dimostrato la fragilità politica di Lugo. L’ex
vescovo di San Pedro Apóstol gode ancora di
un consenso popolare considerevole, grazie
ad alcuni provvedimenti in materia sociale e
sanitaria, sostenuti finanziariamente dall’au-
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mento ottenuto dal Brasile del prezzo dell’energia prodotta dalla centrale idroelettrica
di Itaipù. Non ha però mai potuto contare su
una vera maggioranza parlamentare né su un
solido sostegno organizzato, essendo piccoli
i partiti progressisti e critici i movimenti contadini, per la mancata riforma agraria.
Lugo ha accettato il verdetto del Parlamento e invitato la popolazione alla calma,
per evitare scontri, ma ha comunque definito la sua rimozione «una rottura dell’ordinamento democratico finalizzata a bloccare
il processo di cambiamento avviato nel
2008», facendo poi appello alla «resistenza
pacifica contro il governo illegittimo», che ha
intanto licenziato 1.500 dipendenti pubblici
per motivi politici e sgomberato violentemente alcuni fondi occupati. Immediata la
reazione di molti paesi latinoamericani, a cominciare da Argentina, Brasile e Uruguay, che
hanno parlato esplicitamente di «colpo di
stato» e deciso di «sospendere» il Paraguay
dal MERCOSUR, come ha fatto l’Unione
delle nazioni sudamericane (UNASUR), fino
alle presidenziali dell’aprile 2013.
I vescovi, prima e dopo
La crisi istituzionale ha suscitato reazioni diverse nella Chiesa cattolica. Alla vigilia dell’impeachment il presidente, il vicepresidente e il segretario della Conferenza
episcopale paraguayana (CEP), mons. Claudio
Giménez, vescovo di Caacupé, mons. Edmundo Valenzuela, arcivescovo coadiutore
di Asunción, e mons. Adalberto Martínez,
ordinario militare, avevano sollecitato Lugo
a dimettersi per «pacificare gli animi». Poi
mons. Giménez ha definito «del tutto conforme alla Costituzione» il procedimento
seguito dalle Camere per nominare Franco,
le cui foto in cui riceve la comunione da
mons. Valenzuela e lo saluta calorosamente
durante la messa, poche ore dopo l’insediamento, sono state ampiamente riportate
dai mass media, non meno di quelle del
nunzio apostolico, mons. Eliseo Ariotti,
primo diplomatico a far visita al nuovo capo
dello stato, che ha potuto così vantare «il
deciso appoggio della Chiesa». In un’intervista al cileno La Segunda, mons. Gimenez
ha inoltre attribuito la caduta di Lugo alla
«situazione immorale del suo governo», legata al riconoscimento di due figli, uno dei
quali concepito quando era ancora vescovo,
mentre mons. Rogelio Livieres, vescovo di
Ciudad del Este e membro dell’Opus Dei, ha
accusato il presidente deposto di aver mandato «adolescenti delle parrocchie a seguire
corsi di indottrinamento ideologico in Venezuela e a Cuba» e di «aver trasformato le
comunità cristiane in comitati politici»,
tanto che egli si era visto costretto a «pattugliarle per impedire ai preti di organizzare
incontri a favore di Lugo».
Invece mons. Mario Melanio Medina,
ordinario di San Juan Bautista de las Misiones, ha parlato di «golpe parlamentare», promosso dalla «struttura neoliberale capitalista» perché Lugo «voleva lottare a favore dei
poveri». La Conferenza dei religiosi del Paraguay ha denunciato «la complicità dei tre
poteri dello stato nell’abbandono di una riforma agraria integrale» e manifestato perplessità sull’impeachment «nei confronti del
presidente, che, pur essendo un procedimento costituzionale, è realizzato in modo
da creare fondati sospetti di manipolazione,
danneggiando gravemente il processo legittimamente instaurato per elezione popolare». Lapidario, poi, il giudizio del gesuita p.
Bartomeu Meliá, teologo: «In un minuto
siamo tornati ai tempi di Stroessner». Anche
la Pastorale sociale nazionale, oltre a parlare
senza mezzi termini di «colpo di stato», ha
sostenuto che «l’invito a dimettersi rivolto
da alcuni vescovi al presidente della Repubblica ha causato sorpresa, confusione, dolore e indignazione nei fedeli, i quali giudicano tale posizione un allontanamento della
Chiesa dai più poveri», chiedendo ai presuli
«una dichiarazione che rettifichi l’immagine
della Chiesa data in questo frangente e riaffermi il loro impegno di pastori a favore dei
più umili e indifesi».
Un’autocritica episcopale è arrivata il 31
agosto con la Lettera della CEP alla comunità ecclesiale: «Se si ritiene che abbiamo
commesso errori, chiediamo la comprensione e il perdono. L’iniziativa di alcuni vescovi del Consiglio permanente della CEP la
sera del 21 giugno è stata dovuta alla notizia
di un imminente spargimento di sangue. Si
voleva evitare un altro evento fratricida. Noi
vescovi, sapendo che la nostra missione primaria è creare un ambiente di pace e comunione, ci assumiamo le nostre responsabilità
nel caso non abbiamo dato testimonianza di
comunione. Riconosciamo i nostri limiti ed
errori. Forse abbiamo messo l’accento più
sull’aspetto umano che su quello divino, il
che ci ha reso difficile, in alcuni momenti, incontrare il Dio della storia».
M. C.
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Chiesa e violenze su minori
AUSTRALIA
l
a guarigione è lontana
E l’opinione pubblica incalza i vescovi
E
ra il fiore all’occhiello del
continente: uno dei primi
protocolli al mondo su
come trattare in diocesi i
casi di pedofilia commessi
da sacerdoti o personale legato alle istituzioni ecclesiastiche. Era infatti il dicembre 1996, quando Towards Healing
(Verso la guarigione) veniva approvato
per tutte le diocesi australiane (operativo
nel marzo 1997), mentre a Melbourne
entrava in vigore The Melbourne Response (entrambi pubblicati nella loro
versione rivista del 2000 in Regno-doc.
15,2001,492). Documenti caratterizzati
da una forte attenzione alle vittime e da
un tratto stilistico fortemente empatico.
Eppure, a 16 anni di distanza da questo impegno pionieristico, la Chiesa cattolica australiana è ora sotto il fuoco dell’accusa sia delle forze politiche di diversi
parlamenti federali – in particolare di
quello del New South Wales e del Victoria – sia da parte delle associazioni
delle vittime, per come ha gestito i casi di
cui è venuta a conoscenza.
Allo stesso tempo una serie di figure
episcopali che si sono impegnate in
prima persona su questo fronte e che a
partire da questo impegno hanno più
volte formulato la richiesta di riforme
strutturali all’interno della Chiesa si sono
dimesse prima della fine del proprio
mandato canonico, a norma del § 2 del
can. 401. In un caso vi è stata anche
una situazione di vero e proprio «stress».
L’episodio recente che ha ravvivato
la polemica si riferisce ai primi mesi del
2012, quando è stato fatto trapelare un
rapporto della polizia dello stato del Victoria, di cui Melbourne è capitale, che
affermava che il tasso dei suicidi tra le
vittime delle violenze da parte di sacerdoti cattolici era più elevato che per altre categorie e che la Chiesa, pur conoscendo il dato, avrebbe «scelto di tacere».
L’arcivescovo di Melbourne, che è dal
2001 mons. Denis Hart, ha smentito che
la Chiesa fosse a conoscenza di questo
dato.
Inoltre, la Chiesa è accusata di aver
creato una figura di referente – «il Commissario indipendente» – che nei fatti
avrebbe portato le diocesi a gestire esclusivamente al proprio interno le denunce,
in alcuni casi a minimizzarle e soprattutto a non portarle a conoscenza –
come sarebbe d’obbligo secondo il diritto
vigente in molti stati australiani – alle autorità di polizia e giudiziarie.
Dimissioni episcopali
Tuttavia i malumori hanno una radice lontana anche nella diocesi di Sidney (capitale del New South Wales),
guidata dal presidente della Conferenza
episcopale, card. George Pell, che pure
aveva compiuto un gesto esemplare e
unico nel 2002 quando venne accusato
da un ex seminarista di violenze nei
suoi confronti: si «autosospese» dall’esercizio attivo dell’episcopato fin
tanto che non venne appurato che si
trattava di una calunnia.
Nello stesso anno, assieme all’arcivescovo di Melbourne e suo successore,
mons. Hart, firmò una dichiarazione
sui quotidiani di entrambe le città in
cui compariva una richiesta di perdono
«sincera e senza riserve a tutte le vittime di violenze e alla comunità australiana per gli errori e le ferite patiti»,
dopo essere stato accusato di aver imposto alle vittime, durante transazioni
extragiudiziali (lecite) il silenzio, comportamento censurato dal testo del
1996 Verso la guarigione e che egli ha
sempre negato d’aver attuato (Regnoatt. 16,2002,524).
Poi Pell ha dovuto gestire, nel 2004,
le dimissioni del suo ausiliare, mons.
Geoffrey Robinson, che si occupava attivamente da una decina d’anni degli
organismi ecclesiali preposti alla gestione delle denunce. Robinson in particolare appuntava la sua dura critica –
poi messa nero su bianco in un libro del
2007 Confronting Power and Sex in the
Catholic Church: Reclaiming the Spirit of
Jesus – su un punto nodale: a suo avviso
non era sufficiente che la Chiesa «gestisse» le denunce; essa doveva «lasciarsi
interrogare» nel profondo del suo essere
e delle sue strutture da questa crisi.
Un’idea non condivisa dall’episcopato,
che nel 2008 tentò d’impedire un suo
ciclo di conferenze negli Stati Uniti.
In una diocesi suffraganea di Sidney,
Maitland – Newcastle, nell’aprile 2011 vi
è stato un altro caso di dimissioni anzitempo accolte dal papa: quelle del vescovo mons. Michael J. Malone, in carica
dal 1995. L’occasione ultima sarebbe
stato un reintegro nel ministero di un sacerdote accusato di violenze prima che il
procedimento canonico fosse terminato.
Malone aveva subito in diocesi contestazioni su come aveva gestito i diversi
casi ed era stato particolarmente amareggiato dalla reazione del clero alla sua
decisione di pubblicare su un quotidiano
locale, nel 2010, una pubblica richiesta
di scuse alle vittime per la quale i sacer-
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doti si erano sentiti non protetti dal vescovo; il tutto lo ha portato a dichiarare
d’aver chiesto di essere sollevato dall’incarico in quanto molto «provato dal
punto di vista emotivo».
Tuttavia i conti della diocesi con la
pedofilia non sono ancora conclusi. Il
successore di Malone, mons. Bill
Wright, appena a un anno dall’insediamento si è trovato ad affrontare la rabbia delle vittime di un sacerdote, John
Denham, ora ridotto allo stato laicale,
che ha insegnato in un collegio della
diocesi. In particolare vi è stata forte risonanza mediatica per il suicidio di un
quarantenne padre di famiglia avvenuto nel luglio scorso e riconducibile alle violenze da lui subite a opera di
Denham quando era undicenne, rivelate alla propria famiglia solo nel 2008.
Mons. Wright si è comunque detto
favorevole alla richiesta, a cui questo
evento ha dato ancor più forza, dell’istituzione di una Royal Commission
che indaghi sulla gestione delle denunce
da parte della Chiesa cattolica, richiesta
che ha via via acquisito adesioni anche
nel clero locale, convinto che sia necessario «ripulire l’aria» in diocesi e nella
Chiesa cattolica in generale.
Un corollario della vicenda relativa
al caso Denham si è poi avuto a fine
agosto scorso, quando sempre il vescovo
Wright ha dovuto dichiarare «con profonda tristezza» che uno dei propri sacerdoti, Tom Brennan, non solo ha
omesso di denunciare l’ex sacerdote
quando era suo preside ma che egli
stesso è colpevole di violenze e atti di
pedofilia.
Secondo Sean Tynan, direttore del
Centro diocesano per la protezione dell’infanzia, la diocesi «ha una storia di
violenze sessuali su minori molto travagliata. Questa storia ha causato e continua a causare dolore alle vittime delle
violenze, alle loro famiglie e alla più
ampia comunità dei fedeli».
Sempre in ordine di tempo, dopo le
controverse e forzate dimissioni nel maggio 2011 del vescovo William Morris,
della diocesi di Toowoomba (Queensland), sollevato dall’incarico dal papa
per aver chiesto pubblicamente di riaprire il dibattito sul sacerdozio agli uomini sposati o alle donne (Regno-att.
10,2011,338; caso per altro slegato dalle
vicende della pedofilia), altre dimissioni
hanno pesato sulla Chiesa australiana:
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quelle, accolte il 7 giugno scorso, di
mons. Pat Power, ausiliare di Melbourne
da 25 anni. Compiuti i 70 anni, ha chiesto e ottenuto di tornare a essere un semplice sacerdote.
Convinto da sempre che «l’intera
questione delle violenze sessuali abbia
portato un colpo terribile alla vita della
Chiesa», come non se ne vedeva da
«500 anni a questa parte», non ha mai
fatto anch’egli mistero del suo pensiero:
della necessità, cioè, di una profonda riforma della Chiesa.
Terreno di bat taglie
In questo panorama, i temi intraecclesiali, grazie alla mediatizzazione della
questione-pedofilia, si prestano a divenire un terreno anche per battaglie extraecclesiali, dal sapore anticlericale. E
spesso le vittime costituiscono, loro malgrado e in forza della propria disperazione, una sorta di testa di ponte.
È anche per questo che la risposta dei
presuli di Sidney e Melbourne deve in
qualche modo avere carattere difensivo.
Nel lungo testo apparso il 20 agosto su
The Catholic Weekly, infatti, il card. Pell
ammette che, pur essendo sempre stati «i
diritti e le necessità delle vittime» al
primo posto, «sono stati fatti in passato
gravi errori»; anche se «le procedure che
sono attualmente in atto sono pensate
per far sì che questi errori non accadano
nuovamente. La Chiesa in Australia è
costantemente impegnata nel riesame e
nel miglioramento di queste procedure»,
così com’è avvenuto con le due revisioni
(effettuate da organismi indipendenti)
del 1999-2000 e del 2008-2009.
Seguono poi le risposte a tutte le accuse, ribadite in un libretto stampato in
100.000 copie e distribuito da metà settembre nelle parrocchie di Sidney, dal titolo Sexual Abuse.
Innanzitutto sulla questione del riferire alla polizia o alla magistratura.
«Verso la guarigione non sostituisce le
indagini della polizia. Le accuse di violenze sessuali sono riportate alla polizia», così come richiede la legge dello
stato. E non è vero che l’arcidiocesi fa sapere ai propri sacerdoti se la polizia sta
indagando su di loro. Inoltre «quando la
polizia sta investigando l’inchiesta di
Verso la guarigione viene sospesa».
Non è vero – prosegue Pell – che gli
aiuti alle vittime vengono dati «in cambio del silenzio». Né che l’arcidiocesi
«copra le violenze sessuali o protegga
chi viene accusato»; né tantomeno che
«“passi la patata bollente” ad altre autorità ecclesiastiche»: dai toni della risposta si comprende anche quanto sia
sempre meno conosciuta nel suo funzionamento interno l’istituzione ecclesiale: una progressiva distanza che produce un dialogo tra sordi.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche
la risposta di Melbourne. Il Parlamento
del Victoria ha infatti istituito (aprile
2012) un’«Inchiesta sul trattamento delle
violenze sui minori da parte delle organizzazioni religiose e non governative»
che verrà presentata entro l’aprile 2013.
Nella dichiarazione del 21 settembre dell’arcivescovo mons. Hart intitolata Facing the true (Affrontare la verità), si ribadisce la disponibilità della Chiesa a
«collaborare pienamente all’inchiesta»
e si parla anche degli «errori» che essa ha
compiuto nell’affrontare il problema.
Tuttavia «la Chiesa ha imparato dagli errori del passato» e ha cambiato le
modalità con cui si rapporta alle vittime.
Infatti i dati relativi sia al numero delle
denunce sia al numero dei nuovi casi a
partire dagli anni Ottanta «sono decisamente in calo».
In particolare la risposta della Chiesa
non è sempre stata all’altezza – dichiara
Hart – quando «ha preso troppo tempo
nel dare una risposta decisa ed efficace»;
quando «non ha creduto alle vittime»
ma «ha creduto ai perpetratori»; quando
«ha chiesto il silenzio durante alcune
transazioni con le vittime»; quando «ha
privilegiato una risposta legale a una pastorale»; quando «ha operato in contesti
non trasparenti».
Se tutto questo basterà ad abbassare
i toni di un clima rovente è difficile da
dire: il 19 ottobre è stato reso noto un
dato a cura di un docente di giurisprudenza dell’Università di Sidney secondo
il quale i sacerdoti cattolici sarebbero
colpevoli di pedofilia sei volte il dato medio di tutti i ministri di culto; lo stesso
giorno Patrick Parkinson, docente di Diritto di famiglia della stessa università,
che ha partecipato a entrambe le revisioni di Verso la guarigione, dopo che le
conclusioni di una sua inchiesta sui salesiani australiani sono state lasciate cadere
nel nulla, ha manifestato la volontà di
uscire dalla Chiesa cattolica.
Maria Elisabetta Gandolfi
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diario ecumenico
SETTEMBRE
Muore il rev. Moon. Sun Myung Moon, predicatore coreano
e autoproclamato messia, che aveva fondato nel 1954 un movimento
religioso – la Chiesa dell’unificazione – noto soprattutto per i matrimoni di massa, e un impero economico tra Corea, Giappone e
Stati Uniti, muore il 2 settembre nella nativa Corea del Sud a 92 anni.
Nel 2001 aveva celebrato anche il matrimonio tra la coreana Maria
Sung e il vescovo cattolico Emmanuel Milingo, il quale di conseguenza era stato scomunicato dalla Santa Sede. La sua dottrina è
un misto di filosofie orientali, insegnamenti biblici e quella che egli
ha chiamato una rivelazione privata di Dio. Con la sua morte si apre
per i fedeli – che sono probabilmente qualche centinaio di migliaia
e non i tre milioni che la setta di Moon s’intesta – il problema della
successione, tra il permanere di un riferimento forte alla moglie Hak
Ja Han, «vera madre», e i dissidi tra i figli, soprattutto Hyung (Sean)
Jin e Hyun (Preston) Jin.
Firenze – Concordia di Leuenberg. È Firenze a ospitare,
dal 20 al 26 settembre, la VII Assemblea della comunione delle
Chiese protestanti in Europa (CCPE), forse più nota come Concordia di Leuenberg, comunione costituita da un centinaio di
Chiese luterane, riformate, unite e metodiste europee che si riconoscono reciprocamente quanto a ministeri e sacramenti pur
rimanendo indipendenti le une dalle altre. L’Assemblea, che si
riunisce ogni sei anni, ha come titolo «Liberi per il futuro», e durante i lavori esamina una serie di documenti dottrinali e teologici elaborati nei diversi gruppi di lavoro sulle tematiche della
giustizia, della comprensione del ministero, della formazione
pastorale, i quali poi vengono inviati alle singole Chiese membro
per una valutazione.
Il 25 settembre viene eletto il nuovo presidente: è il vescovo
luterano tedesco del Braunschweig Friedrich Weber, che succede al pastore riformato svizzero Thomas Wipf, mentre viene
confermato segretario generale Michael Bünker, luterano austriaco.
L’assemblea di Firenze assume due forti impegni ecumenici,
con la firma di un Memorandum con le quattro Chiese anglicane della Gran Bretagna per un approfondimento delle questioni che ancora ostacolano il pieno riconoscimento reciproco,
in primis il ministero episcopale, e con la composizione di una
delegazione che dal prossimo febbraio condurrà una serie di
consultazioni con il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in particolare sulla comprensione della
Chiesa e sui modelli ecumenici di unità.
Il principale dei temi che la CCPE mette nell’agenda dei
prossimi anni è la celebrazione del giubileo della Riforma, ossia
il 500° anniversario dell’affissione delle 95 tesi di Martin Lutero,
nel 2017. A questo proposito, intervenendo all’assemblea, mons.
Matthias Türk, rappresentante del Pontificio consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani, auspica che il giubileo della
Riforma «possa essere festeggiato in una dimensione ecumenica e internazionale. Possiamo tentare di guarire i 500 anni di
divisione che ci separano enfatizzando le preoccupazioni positive portate dalla Riforma». Il primo passo in questa direzione
dovrebbe essere un «sincero riconoscimento delle colpe accumulate».
Dialogo teologico anglicano-ortodosso. Dal 3 al 10 settembre ha luogo presso l’Università di Exeter nel Regno Unito un incontro della Commissione internazionale per il dialogo teologico
anglicano-ortodosso, che sta portando avanti uno studio approfondito sull’antropologia cristiana, in specie su che cosa significhi essere
persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. Diverse relazioni all’interno di questo tema si concentrano sulle questioni legate
a sessualità e matrimonio, in quanto le due confessioni attualmente si
trovano su posizioni opposte riguardo alla visione sull’omosessualità.
La Commissione discute la bozza di un documento teologico sul tema.
Il prossimo incontro si terrà a Novi Sad, in Serbia, nel settembre 2013,
ospite la Chiesa ortodossa serba guidata da Irinej.
Germania – Appello «Ecumenismo adesso». Il 5 settembre
a Berlino 23 personalità cattoliche e protestanti di spicco in ambito
politico e sociale pubblicano un appello dal titolo Ecumenismo
adesso. Un solo Dio, una sola fede, una sola Chiesa. Cf. in questo
numero a p. 583.
Bose – Spiritualità ortodossa. Dal 5 all’8 settembre il monastero di Bose ospita il XX Colloquio ecumenico internazionale di
spiritualità ortodossa, dedicato al tema «L’uomo custode del creato».
Negli ultimi trent’anni, e soprattutto sotto l’impulso dell’attuale patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, le Chiese ortodosse hanno sviluppato un’intensa riflessione sull’ecologia come problema spirituale.
A Bose inviano rappresentanti ufficiali tutte le Chiese ortodosse e altre
Chiese cristiane, e inoltre partecipano teologi, patrologi e scienziati.
Nelle conclusioni lette da p. Michel Van Parys a nome del comitato
scientifico, si afferma: «Il servizio della preservazione e del risanamento
dell’ambiente deve diventare una diaconia comune delle Chiese. Questa diaconia è un’opportunità che può associare le Chiese avvicinandole all’umanità sofferente e alla natura sfigurata dal nostro peccato».
Cf., per molti materiali e testi, www.monasterodibose.it.
CEC – Pakistan. Dal 17 al 19 settembre il Consiglio ecumenico
delle Chiese (CEC) organizza nella propria sede di Ginevra un’audizione pubblica su «Abuso della legge sulla blasfemia e minoranze
religiose in Pakistan». La mancanza di democrazia, la storia della partecipazione pakistana alla guerra contro l’URSS in Afghanistan e gli
sviluppi seguiti all’11 settembre 2001 sono individuati come i principali fattori che stanno dietro alla violenza perpetrata nel nome dell’islam. L’iniziativa vuole incoraggiare una maggiore presa in carico
del problema da parte della comunità internazionale.
Patriarcato di Mosca – Battesimi danesi. Il Patriarcato di
Mosca non riconoscerà più i battesimi celebrati dalla Chiesa luterana danese, come conseguenza della decisione di quest’ultima di
consentire alle coppie omosessuali di sposarsi in chiesa (cf. Regnoatt. 14,2012,485). L’agenzia Kath.de il 20 settembre riferisce l’affermazione di un rappresentante del Patriarcato di Mosca, apparsa sui
media danesi, secondo la quale «un riconoscimento senza un nuovo
battesimo è per noi impossibile, perché le relazioni omosessuali
nella teologia ortodossa sono un peccato». La dichiarazione ha un
suo peso, dal momento che il riconoscimento comune del battesimo tra tutte le confessioni cristiane è uno dei principali traguardi
raggiunti sinora dal movimento ecumenico. Analoga decisione era
stata presa nel 2006 dalla Chiesa ortodossa russa nei confronti dei
battesimi amministrati nella Chiesa luterana svedese.
Daniela Sala
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agenda vaticana
SETTEMBRE
Ecumenismo adesso. «Non possiamo fare già da domani
l’unità tra le Chiese perché molte sono le domande e le questioni
teologiche non ancora risolte»: così il card. Kurt Koch, presidente
del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani,
parla il 7 settembre all’agenzia SIR in risposta al manifesto «Ecumenismo adesso! Un solo Dio, una sola fede, una sola Chiesa» lanciato il 5 a Berlino da 23 firmatari, per lo più rappresentanti della
società civile e politici, in occasione del 50° del concilio Vaticano
II (cf. in questo numero a p. 583). Sono contento – dice il cardinale
– nel vedere che molti sono motivati alla causa ecumenica. Ma ho
l’impressione che i sottoscrittori vedano la situazione da un punto
di vista politico e non ne vedano le ragioni teologiche. Inoltre non
è possibile superare la separazione tra le Chiese soltanto in Germania. Questo è un appello per la Germania e con la Chiesa luterana. Ma la Chiesa cattolica è una Chiesa universale per cui tutte
le altre realtà sono implicate in questa situazione».
«Provocazioni» – film su Maometto. «Il rispetto profondo
per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse
religioni è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei
popoli. Le conseguenze gravissime delle ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani sono ancora una
volta evidenti in questi giorni, per le reazioni che suscitano, anche
con risultati tragici, che a loro volta approfondiscono tensione e
odio, scatenando una violenza del tutto inaccettabile. Il messaggio di dialogo e di rispetto per tutti i credenti delle diverse religioni
che il santo padre si accinge a portare nel prossimo viaggio in Libano indica la via che tutti dovrebbero percorrere per costruire
insieme la convivenza comune delle religioni e dei popoli nella
pace»: così il portavoce vaticano, p. Federico Lombardi, il 12 settembre in riferimento al film di produzione USA L’innocenza dei
musulmani che sta provocando violente reazioni nei paesi a maggioranza islamica.
Attentato di Bengasi. «Il gravissimo attentato organizzato
contro la rappresentanza diplomatica statunitense in Libia, con
l’uccisione dello stesso ambasciatore e di altri funzionari, merita
la più ferma condanna da parte della Santa Sede. Nulla può infatti
giustificare l’attività delle organizzazioni terroristiche e la violenza
omicida»: così il 13 settembre il portavoce vaticano in riferimento
all’assalto al consolato USA di Bengasi, condotto da estremisti intenzionati a vendicare l’onore del Profeta offeso da un recente
film statunitense (cf. sopra).
Libano. Dal 14 al 16 il papa è in Libano per la consegna ai vescovi del Medio Oriente dei risultati del Sinodo del 2010 (cf. sotto).
Così Benedetto in aereo, volando verso Beirut, risponde a una domanda sul contesto di guerra e agitazione in cui avviene la visita:
«Nessuno mi ha consigliato di rinunciare a questo viaggio e per
parte mia non ho mai pensato a questa ipotesi. Perché so che se
la situazione diventa più complicata diventa ancora più necessario
dare questo segno di fraternità, d’incoraggiamento, di solidarietà».
Sulla Primavera araba. «Di per sé la Primavera araba è una
cosa positiva: è il desiderio di più democrazia, di più libertà, di più
cooperazione, di una rinnovata identità araba. E questo grido della
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libertà che viene da una gioventù più formata culturalmente e professionalmente, che desidera più partecipazione nella vita politica
e nella vita sociale, è un progresso, una cosa molto positiva e salutata anche da noi cristiani. Naturalmente, dalla storia delle rivoluzioni noi sappiamo che il grido della libertà (…) è sempre nel
pericolo di dimenticare un aspetto fondamentale, (…) cioè la tolleranza dell’altro e il fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa, e che solo nella condivisione, nella solidarietà, nel
vivere insieme con determinate regole può crescere»: così il papa
in aereo ai giornalisti il 14 settembre (cf. sopra).
Fondamentalismo. «Il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione, è contro l’essenza della religione che
vuole consigliare e creare la pace e dunque il compito della Chiesa
e delle religioni è: purificarsi. La purificazione delle religioni da queste tentazioni è sempre necessaria. Ogni uomo è un’immagine di
Dio e noi dobbiamo rispettare nell’altro non solo la sua alterità,
ma nell’alterità l’essenza comune, l’altro come immagine di Dio.
Dunque il messaggio fondamentale è contro la violenza che è una
falsificazione come i fondamentalismi, e per l’educazione, l’illuminazione e la purificazione delle coscienze»: così il papa in aereo ai
giornalisti il 14 settembre (cf. sopra).
Ecclesia in Medio Oriente. Il 16 settembre, durante una
grande celebrazione sul lungomare di Beirut, Benedetto XVI consegna ai vescovi della regione l’esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Medio Oriente (cf. Regno-doc. 17,2012,513) da lui
elaborata sulla base delle conclusioni dell’Assemblea speciale per
il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi celebrata nel 2010, e firmata il 14 settembre, primo giorno della visita in Libano.
Nomine per il Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Il
18 settembre viene pubblicato l’elenco dei membri di nomina papale per la XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi su «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede
cristiana» (7-28 ottobre), dei quali 7 sono italiani: i cardd. Sodano
e Vallini; gli arcivescovi Francesco Moraglia (Venezia) e Filippo Santoro (Taranto), i vescovi Luigi Negri (San Marino-Montefeltro) ed
Enrico Dal Covolo (rettore della Lateranense), p. Renato Salvatore,
superiore generale dei Chierici regolari ministri degli infermi (Camilliani).
Premio Ratzinger. Il 28 settembre vengono annunciati i nomi
dei due studiosi ai quali è stato assegnato il Premio Ratzinger 2012,
promosso per il secondo anno consecutivo dalla Fondazione vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI: Rémi Brague, 65 anni, sposato, quattro figli, docente emerito di Filosofia medievale e araba
presso l’Università Panthéon-Sorbonne (Parigi I); il gesuita Brian E.
Daley, docente di Teologia presso l’Università di Notre Dame (Indiana, USA) sulla cattedra intitolata a «Catherine F. Huisking».
Processo al «maggiordomo». Il 29 settembre prima udienza del processo a Paolo Gabriele, aiutante di camera del papa accusato di «furto aggravato» per aver fotocopiato e passato a un
giornalista – Gianluigi Nuzzi – una grande quantità di documenti
prelevati dalla scrivania papale: sarà condannato il 6 settembre a
tre anni di reclusione, ridotti per attenuanti a un anno e mezzo.
Luigi Accattoli
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Unione Europea:
una crisi più
che economica
L’Europa
imbalsamata,
mentre la storia
precipita
Per tanti aspetti i conflitti che attraversano
l’Europa, mentre la crisi del debito sovrano
sembra non finire, ci riportano indietro
nella storia di decenni: a delle relazioni
pre-comunitarie, alla competizione tra stati
sovrani, alla dittatura economica del
thatcheriano «non c’è alternativa», alla messa
in discussione dello stato sociale, pilastro
del modello europeo. Mentre il Comitato
per il Nobel assegna il prestigioso premio per la
pace proprio all’Unione Europea, perché negli
ultimi 60 anni il suo ruolo di stabilità «ha aiutato
a trasformare la gran parte d’Europa da un
continente di guerra a un continente di pace».
Ma la storia precipita. Decostruendo
e riclassificando i termini «conflitti»
e «solidarietà» Barbara Spinelli risale
alle origini dell’ispirazione europeista
e dell’avventura dell’Unione, per dimostrare che
in realtà «quello che è avvenuto dopo il 2007-2009
ha esasperato una crisi che c’era già, perché
è da molto tempo che la sovranità degli stati
nazionali… è fittizia».
Non c’è alternativa all’ultimo passo necessario,
quello dell’unione politica.
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C
onflitti e solidarietà: con queste due
parole vorrei cominciare, tentando un
piccolo glossario. Che cosa intendiamo
precisamente, quando parliamo di
«conflitto»? E «solidarietà» è parola
adatta, per descrivere il rapporto che
può nascere tra esseri umani – che immaginiamo debba sussistere fra cittadini europei –,
quando sorgono conflitti che non sono scambi di opinioni,
anche aspri ma comunque fruttuosi, ma che generano disuguaglianza, povertà, ingiustizia, sofferenza degli inermi?
Non sono le uniche parole da approfondire, e se vi fosse
lo spazio il glossario ne dovrebbe includere altre, molto
usate quando si parla di crisi europea della solidarietà ma
raramente pensate a fondo. Penso a parole entrate nel
gergo comunitario come «bailout», o «spread», o «sussidiarietà», ma anche parole più classiche come «diritti» o
«valori».
Conf lit to fra stati: ritorno al passato
I conflitti, innanzitutto. È un vocabolo che per forza
crea confusione, perché a seconda del contesto in cui
viene adoperato muta natura. Ci può essere un conflitto
fra stati, tuttora potenti per il peso che hanno nel formarsi
delle decisioni comunitarie, e ci può essere un conflitto fra
i cittadini appartenenti alle popolazioni che si sono unite
nel secondo dopoguerra ma che si muovono in qualcosa
che non è ancora un’autentica Unione, essendo incompiuta, priva di un potere centrale di natura federale.
Il primo conflitto ha radici nell’idea che ogni stato si
fa della propria sovranità, della propria forza e della propria storia: se quest’idea ha radici forti (non importa se antiche o recenti, se fantasticate o vere) è ovvio che il conflitto assumerà tratti molto volitivi, dirompenti, arroganti.
Perché esso sia frenato non basta infatti la buona volontà,
e ancor meno un sentimento di amicizia: occorre che gli
stati in questione riconoscano un potere superiore al proprio, anche se ristretto, non onnicomprensivo, e che questo potere si sostanzi in un’istituzione comune, e in una comune Costituzione. Ambedue le soluzioni sono state fin
qui scartate, ed è il motivo per cui i sentimenti e gli interessi a breve (le due cose vanno insieme, in genere) prendono tutto lo spazio disponibile, lasciando fuori la ragione
e la politica.
Luigi Einaudi disse una cosa giusta a proposito della
differenza fra sentimenti, legge, istituzioni, quando
l’Unione era ancora molto di là da venire: «Da questo stadio imperfetto in cui una sola delle sei potenze colla sua
opposizione può mandare a vuoto i piani accettati da tutte
le altre, si giungerà a poco a poco a un punto in cui la
maggioranza potrà imporsi alla minoranza, e questa ne
accetterà i deliberati senza ricorrere all’ultima ratio della
guerra. In tal modo avvengono le grandi e durevoli creazioni storiche, non secondo i piani prestabiliti dai pensatori, ma per l’attrito fecondo delle opposte forze. Allora gli
stati uniti europei, adesso avvolti in un’incerta nebbia,
avranno acquistato una forma precisa; e la nascita della
federazione europea non sarà meno gloriosa solo perché
sarà nata dal timore e dalla sfiducia reciproca e non invece
dall’amore fraterno e da ideali umanitari».1
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Dal che vediamo che il conflitto, che Einaudi chiama
«attrito fecondo delle opposte forze», può diventare lievito
che fa crescere le opere comuni e ne è la premessa. Che
il timore e addirittura la sfiducia nei confronti dell’altro
possono – in politica – essere più fecondi dell’amore e degli ideali umanitari. Se regna infatti amore fraterno, che
bisogno c’è di unire gli stati e i loro popoli? Se il demos già
esiste nella sua forma compiuta e compatta, a che serve
l’Unione? Se aspiriamo a un’unione in Europa, è perché
non esiste il demos europeo, e neppure molta fiducia reciproca.
Il fatto è che abbiamo bisogno di un’Unione che abbia un fondamento statuale diverso da quello che caratterizza le nazioni etnico-linguistiche (o razziali) sorte nell’Ottocento: che sia simile piuttosto alle nazionalità
territoriali e politiche che hanno visto la luce, prima del romanticismo, in Gran Bretagna o nella Confederazione
svizzera. In ambedue i casi fu lo stato a creare la nazionalità, e non viceversa: è una distinzione essenziale, su cui
ha ragionato in maniera molto lucida lo storico Lewis Namier.2 Questa statualità oggi in Europa deve sovrastare le
diverse nazionalità, in aree di azione sempre più vaste anche se limitate, e il potere che detiene deve essere visibile,
legittimato democraticamente, e possedere le risorse (politiche, finanziarie, militari) atte a dirimere i conflitti: non
quelli fra idee, non l’attrito fecondo tra forze opposte, ma
quelli che nascono dalla disuguaglianza, dall’ingiustizia o
dalla prepotenza (dalla mancanza di solidarietà, come vedremo in seguito).
Questo potere superiore non è riconosciuto né legittimato, perché l’Unione è un ibrido. In parte la sua natura
è già federale, e più di quello che immaginiamo. Non lo
sono solamente alcune politiche, come la politica agricola
o quella commerciale o il Trattato di Schengen, non solo
abbiamo istituzioni sovranazionali come la Commissione,
il Parlamento europeo, la Banca centrale europea (BCE),
ma è federale – dunque preminente sulle leggi delle singole nazioni – gran parte della legislazione comunitaria,
comprese le sentenze della Corte di giustizia. Può piacerci
oppure no, ma oggi la maggior parte delle norme in settori chiave del nostro vivere comune vengono da leggi europee: una realtà non facile da abolire nel caso l’euro finisse. Al tempo stesso l’Unione è ancora una lega di
nazioni sovrane. Talmente sovrane che basta il «liberum
veto» d’un solo stato per condannare la comune impresa
all’inconsistenza.
In assenza di tale potere superiore, quel che serve a superare i conflitti o le guerre – l’arbitrato – diventa impossibile. Lo abbiamo visto nella crisi dell’euro: più rapidamente di quel che si pensi, gli stati possono tornare alla
lotta di tutti contro tutti, in cui è il più forte a vincere sul
più debole, o peggio ancora è l’arrogante, capace di comandare ma non di guidare, di federare (è il caso della
Germania). È profondamente errato dire che l’Europa
non serve più, perché non più confrontata con scelte di
pace o di guerra. Possiamo avere guerre d’altro tipo – le
chiamano «conflitti a bassa intensità» –, ma pur sempre
di guerre si tratta, anche se le armi sono economiche o
ideologiche, e come sappiamo nelle guerre le prime vittime sono la verità e la cittadinanza bene informata.
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Mettiamo il caso del conflitto creatosi dal 2009-2010
fra stati virtuosi dell’Unione (Germania in testa) e dall’altra parte non solo Grecia ma Spagna, Italia, Irlanda:
non è guerra ma di certo è un rapporto pre-comunitario,
è una divisione che sta divenendo costitutiva dell’Unione
fra paesi creditori a Nord e paesi debitori in quelle che
vengono ormai chiamate periferie; e il rapporto ha poco
a che vedere con l’originaria idea d’Europa. Si torna al
vecchio «balance of power», equilibrio fra potenze nazionali, che in genere premia il più agguerrito. Lì dove gli
stati mantengono la loro (peraltro fittizia) sovranità, ci
sono magari leggi comuni, ma chi «pon mano ad esse», affinché l’arbitrato sia realizzabile? Siamo nello stato di
natura hobbesiano, lo stesso che regna nelle relazioni fra
stati nel mondo, anche se corretto da convenzioni e istituzioni leggermente migliori della vecchia Lega delle nazioni. Quella che viene chiamata «comunità internazionale», di cui conosciamo ogni tanto i severi verdetti, in
realtà non esiste: è una finzione escogitata dalla potenza
americana e da chi di volta in volta è alleato con essa (anche quando di crediti democratici o laici ne ha pochi,
come l’Arabia Saudita).
Conflitto fra cittadini: la democrazia sospesa
Diverso il conflitto fra cittadini europei. Vedremo
quanto pesino, sul suo presente acuirsi, la disinformazione, la scarsa educazione dei popoli, l’insipienza dei partiti nazionali, dei vertici dei capi di governo o dei loro incontri bilaterali. Le decisioni che contano, nella crisi di
questi anni, son venute quasi esclusivamente da istituzioni
già sovranazionali, come la BCE. Ma sono cadute dall’alto, con un ritardo dannosissimo, e hanno smorzato di
tanto in tanto lo spread ma non il conflitto fra cittadini
d’Europa: perché la questione della democrazia non è risolta, perché la partecipazione e il controllo cittadino
continuano a organizzarsi dentro le polis che sono gli
stati e non – anche – nella nuova cosmopoli europea. Perché i prìncipi che pretendono di governare l’Europa sembrano animati da un sogno neppure troppo segreto: abolire o comunque sospendere la democrazia, per decidere
meglio e più rapidamente – così dicono e credono – quel
che tocca fare affinché l’Unione non si sfracelli. In realtà
non riescono a esser né più efficaci né più rapidi, viste le
procedure di decisioni che continuano ad adottare: mantengono sovranità nazionali che sono parvenze, e sospendendo la democrazia operano contro i loro stessi interessi. A forza di schivare la questione democratica
accentuano quel conflitto fra cittadini che ci avvelena e avvelena l’impresa europea.
Fin qui i conflitti inter-statali, e fra cittadini. C’è poi un
terzo conflitto, legato alla questione democratica di cui si
è appena detto, ed è quello, dentro i singoli stati, attorno
all’appropriatezza o meno delle politiche adottate oggi per
salvare l’euro, domani per far fronte a eventuali altre
crisi. È uno dei conflitti più temuti dalle autorità europee
e dalla stragrande maggioranza dei governi, perché viene
dal basso e mette in questione le granitiche certezze di chi
pretende di possedere la ricetta giusta. Sono programmi
giusti? Portano davvero a una soluzione? Tengono viva la
speranza che per decenni l’Europa ha suscitato nelle sue
genti, a cominciare dalla speranza di non cadere nella povertà e nella soggezione?
Una delle cose più tristi e inquietanti del tempo presente in Europa è che la materia stessa di cui è fatta la democrazia (l’attrito fecondo fra idee diverse) vien vista come
ostacolo, ben più insopportabile dei conflitti fra stati e fra
popolazioni, e guardata con stizza e paura. Viene eliminato quel che ci nutre, viene favorito quel che ci uccide.
Anche qui, si usano parole a sproposito: si invoca la nascita di un’agorà europea, ma non si tollera che l’agorà
esprima una varietà di idee e proposte. Non si tollerano
alternative, e nemmeno che le alternative siano tentate.
Così, piano piano, i piani di austerità si trasformano in
mappe che coincidono perfettamente con la mappa europea, diventano la personificazione dell’Europa. Sei contro l’Europa, se vuoi sperimentare vie diverse. Bisogna
mangiare quel determinato piatto, al massimo puoi metterci qualche spezia in più o in meno, ma l’alternativa –
cioè la scelta – è inconcepibile. Perché inconcepibile, dal
momento che il piatto oltre a essere molto indigesto non
crea che povertà, e inoltre erode la democrazia? La risposta non viene in genere data.
Da sempre è questa la forza delle ortodossie dogmatiche, dei valori non negoziabili (il linguaggio della Chiesa
ha fatto proseliti!), e per questo ho parlato di scarsa educazione dei popoli e di disinformazione. Ogni volta che i
politici o i partiti parlano di imposizioni esterne, di commissariamenti, disinformano e diseducano. Per esser precisi, scindono quel che non andrebbe scisso: il potere e la
responsabilità. Il potere sarebbe dei politici e dei partiti, la
responsabilità niente affatto: sarebbe di altri, esterni alla
politica e ai partiti che conosciamo. In realtà non è vero
affatto: gli stati decidono nei consigli ministeriali europei,
poi dicono che la decisione è forestiera. Perfino le leggi
anti-corruzione, che dovrebbero scaturire dalle coscienze
dei governi e dei cittadini, «ce le chiede l’Europa». È il
massimo della mistificazione.
Solidarietà e stato sociale
Il secondo vocabolo da rimeditare è solidarietà. La solidarietà che cos’è? Tecnicamente, chi è solidale è obbligato con altri per intero, in solidum, come dice il linguaggio giuridico. Su un piano etico e sociale, più che
un’obbligazione viene inteso come un sentimento. Si apparenta alla compassione, all’amore, alla pietà verso il più
debole, il meno fortunato. È un sentimento di fratellanza,
di vicinanza, di sostegno. Dobbiamo dare qualcosa al
più debole e al più svantaggiato, perché è ingiusto che i
più ricchi o fortunati abbiano quel che dovrebbe equamente esser distribuito fra tutti i membri della comunità
nazionale o sovranazionale. In questa seconda accezione,
il termine solidarietà tuttavia è insidioso. Dipende dal
buon volere – e dal buon valore – del ricco, del potente, del
più forte, non da un obbligo in solidum. Dipende dalla carità, e infatti prima dell’assistenza pubblica era la Chiesa
a gestire la solidarietà, e negli stati deboli o falliti del
mondo sono associazioni religiose, più o meno integraliste, ad assicurare un’assistenza che lo stato non può o non
vuole garantire.
La legge della giungla permane: il più ricco e potente
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– se non ti elimina – allunga la mano e ti dà aiuto per
compassione o quieto vivere. Tutto si decide in base al
rapporto che io povero avrò col ricco, se sarò cioè buono
e servizievole con lui. E dal rapporto che io, senza potere
o reso impotente perché non rappresentato, avrò col potere politico: se sarò cioè obbediente e accetterò le «imposizioni» doverose. Ovvio che in simili condizioni non
può sorgere una normativa che sia indipendente da corporazioni sociali o sette religiose, che faccia del cittadino
un contribuente garantendogli in cambio l’uso automatico
di beni comuni come strade, scuole, ospedali, acqua e aria
pulite. Non può sorgere il welfare, che è il sistema di protezione sociale cui ogni cittadino ha un diritto per cui
paga, un diritto che non deve ogni volta implorare o accampare (senza dunque dover essere particolarmente servizievole o particolarmente obbediente).
Forse si ricorderà la Leggenda del santo Inquisitore,
quell’apologo perturbante sul potere assoluto e sulla libertà che è un capitolo de I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Gesù fa apparizione a Siviglia, nei tempi delle monarchie assolute e dei roghi degli eretici, quindici secoli
dopo la sua prima apparizione in Palestina. Il Cardinale
lo incarcera con l’intenzione di mandare anche lui al
rogo come eretico, e cerca di spiegare al prigioniero il perché di un potere teocratico esercitato con tanta spietatezza
sugli uomini. Non è l’amore del potere fine a se stesso –
dice l’Inquisitore –, non è nemmeno la brama di ricchezze e di privilegi. Non è simonia. È una superiore conoscenza dell’animo umano che la teocrazia (oggi la tecnocrazia) pretende di possedere: una capacità psicologica
raffinata, che il Potere condivide coscientemente con il
Diavolo. Il Diavolo che per tre volte tentò Gesù sulla
terra, e «in quelle tre domande – spiega l’Inquisitore – è
come riepilogata in un tutto unico e pronosticata l’intera
storia futura dell’umanità».
La tesi del Cardinale è che l’uomo il più delle volte non
è all’altezza della libertà che il Cristo ha voluto insegnare,
propagare. Il peso della libertà è troppo gravoso, la solitudine che essa comporta troppo difficile da reggere, le responsabilità che implica troppo esorbitanti per l’individuo
singolo. Con la libertà puoi guadagnarti il pane celeste,
forse, non quello terreno. Brecht fa dire a Mackie Messer,
nell’Opera da tre soldi: «Erst kommt das Fressen, dann die
Moral», «Prima viene l’abbuffata, poi la morale».
L’assioma della teologia politica sarà superato in Europa solo dopo i due conflitti mondiali del Novecento – la
lunga guerra dei trent’anni che dal 1914 va al 1945 – e in
particolare dopo la seconda, quella cominciata a seguito
della grande crisi economica del 1929. È in pieno conflitto
che nasce, in Inghilterra, l’idea del welfare state, dello
stato che si assume il compito di assicurare la vita del propri cittadini, di «proteggerli dalla culla alla tomba», disse
Churchill. Un’idea che prenderà la forma di un piano circostanziato – il piano Beveridge – e che diverrà il modello
per lo stato sociale in tutta l’Europa democratica del dopoguerra.
A partire dalla costruzione del welfare la solidarietà diventa un comune obbligo, un’istituzione essenziale dello
stato, un perno della sua Costituzione. Uno dei perni, perché non esistono stati sociali equi, se vengono meno gli al-
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tri elementi delle Costituzioni liberali: la separazione tra
stato e Chiesa, dunque la laicità e il prevalere di norme comuni a tutti, Chiese comprese. E la separazione dei poteri:
esecutivo, legislativo e giudiziario. Non è più il samaritano
solitario che soccorre il malcapitato percosso e abbandonato semi-morto sul ciglio della strada. Come diceva Federico Caffè, «l’equità è una forma di cittadinanza»», e
questo vale anche per la cittadinanza europea: non c’è
qualcuno che è equo nei confronti di un altro (che ha compassione, che stende la mano dall’alto). Il diritto al lavoro
in condizioni di sicurezza fisica e psichica non è una pretesa soggettiva. È un fondamento dello stato di diritto, che
i mercati non possono ignorare.
Per questo suona assurdo quando gli economisti liberali se la prendono con lo stato sociale o sistemi giusti di
tassazione, magari richiamandosi ad Adam Smith. Hanno
dimenticato che Smith era un filosofo della morale, prima
ancora che un economista o addirittura un inventore del
capitalismo. Ecco cosa dice nella Teoria dei sentimenti
morali: «Per quanto egoista si possa ritenere un uomo, ci
sono evidenti principi nella sua natura per cui è interessato alle sorti degli altri, e che gli rendono necessaria l’altrui felicità, benché egli non ne guadagni nulla se non il
piacere di contemplarla. Di questo genere è la pietà o
compassione, l’emozione che proviamo per la miseria altrui... Il sentimento della pietà non è affatto prerogativa
del virtuoso o del compassionevole, sebbene forse essi lo
provino con più spiccata sensibilità. Nemmeno il più gran
furfante, il più incallito trasgressore delle leggi della società
ne è privo».
La solidarietà (la «simpatia», nel linguaggio di Smith)
è parte della Costituzione europea alla quale si dovrà lavorare, perché è in Europa che il nuovo potere si va formando, ed è il potere europeo – e non più solo il potere nazionale – che i partiti debbono creare e poi conquistare se
vogliono che i loro programmi non siano, per inapplicabilità nazionale, aria fritta. Le stesse Costituzioni nazionali garantiscono sempre meno i cittadini. È un dato che
i partiti non hanno ancora appreso, in nessuno dei paesi
membri.
Il tempo imbalsamato,
mentre la storia precipita
Fin qui il glossario, fatto di parole da rivedere, da riclassificare. I «conflitti» che non trovano modo né di
esprimersi né di esser accolti o respinti sulla base di vere
gerarchie; la «solidarietà» che è in declino fra ceti sociali
e anche fra stati associati dell’Unione Europea: se sono
temi così urgenti e drammatici vuol dire che la crisi che
traversiamo non è solo economica, dei mercati. Quello
che è avvenuto dopo il 2007-2009 ha esasperato una crisi
che c’era già, perché è da molto tempo che la sovranità
degli stati nazionali (sovranità degli stati ma anche dei popoli, delle singole Costituzioni) è fittizia, tenuta in piedi per
la platea, per il compiacimento dei servizi diplomatici o
di partiti che hanno la veduta corta non solo nel tempo
ma nello spazio geografico. Sovranità che gli stati, in particolare, hanno perduto – senza mai ammetterlo – sin
dalla fine della guerra dei trent’anni (intendo sempre
quella del secolo scorso). Solo la Germania postbellica
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l’ammise, perché dopo il 1945 fu trattata esplicitamente
come nazione vinta, defraudata di sovranità. I vinti imparano dalla storia più rapidamente e saggiamente,
spesso, dei vincitori. Anche se poi riscoprono la vecchia
nazionalità con tanto più zelo.
Quando dico che non c’è democrazia europea, non intendo quello che da anni si va dicendo, e cui ho già accennato: che un’unione vera non può formarsi se è sprovvista di demos, di un popolo omogeneo, con un passato
condiviso lungo i secoli, addirittura con un’unica lingua.
Non c’è democrazia perché i popoli non esercitano più un
controllo sulle azioni dei propri governi, per quanto riguarda quella parte della politica (sempre più vasta) che
essi decidono assieme agli altri governi europei, e in particolare assieme a quelli che hanno in comune la moneta.
Non stupisce che la Corte costituzionale tedesca, non da
oggi ma dal Trattato di Maastricht del ’92, si occupi con
meticolosa insistenza della compatibilità fra Costituzione,
ovvero stato di diritto, e impegni presi nell’Unione o nell’eurozona. Gli accordi su Fiscal compact e Fondo salvastati sono compatibili, in special modo, con il principio di
democrazia che nell’art. 20 della Legge fondamentale tedesca fa discendere il potere dello stato dalla sovranità del
popolo e dai suoi rappresentanti? Stupisce che sia solo la
Germania a occuparsene.
Il tempo imbalsamato, mentre la storia precipita. La
nefasta lentezza con cui si muovono i politici, con cui agisce la BCE: nei libri di storia, se finisse l’euro, si parlerà
di «strana disfatta» dovuta a questo tempo che s’insabbia: strana, perché essendo una disfatta politica e legata
alla volontà più che finanziaria, poteva essere evitata. È
il motivo per cui da molto tempo credo che la storia, contrariamente a quello che si dice, si debba fare proprio con
i «se». Se la democrazia di Weimar fosse stata più forte
e l’economia mondiale fosse stata risanata, se i potenti di
allora avessero ascoltato Keynes, non è detto che
avremmo avuto Hitler. Se la BCE fosse intervenuta non
questo settembre ma subito, con le sue risorse, come un
istituto d’emissione che si rispetti, non è detto che sarebbero state prese tutte assieme le misure di austerità
che hanno provocato una contrazione dei redditi, in
Grecia, che in genere prende più generazioni. Invece,
per colpa dei ritardi, siamo non solo divenuti più poveri
ma più incarogniti, acuendo i conflitti fra popoli dell’Unione, erodendo le democrazie, facendo di Atene un
exemplum di nazione paria. Alcuni dicono che l’espulsione serve a sfamare un sotterraneo bisogno di punire,
più che di aggiustare. Di sfasciare e comandare, più che
di ricostruire e guidare. Anche per questo, incerti più che
mai sulla voglia europea d’esistere, i mercati sono impazziti e forse impazziranno ancora. Sono assetati di sangue, è vero, ma perché da qualche parte si sta sgozzando un capro espiatorio.
L’Unione già si trasforma
Non sono dilemmi secondari, quelli trattati alla Corte
di Karlsruhe: sono in gioco la sovranità del popolo, il suo
inalienabile diritto di influire sulle politiche di bilancio nazionali. È in gioco il dovere di mantenere in vita un modello, nel nostro continente, che non è solo basato sul su-
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peramento politico delle sovranità nazionali ma anche su
istituzioni stabili di solidarietà e welfare. Certo gli occhiali
che usa la Corte sono fortemente nazionali: nulla pesa, nei
suoi calcoli, la sovranità dell’intero popolo europeo, rappresentato con insufficiente forza e visibilità dal Parlamento europeo ma pur sempre rappresentato. Tuttavia è
troppo facile tacciare i giudici di nazionalismo. Da quasi
vent’anni essa s’accanisce su materie tutt’altro che inessenziali per noi tutti. Che sovranità possiedono esattamente gli stati, e come pesa l’Unione sulle sovranità dei
popoli? Il Parlamento europeo ha la potenza indispensabile a incarnare un interesse generale europeo, cogente
come quello delle nazioni e non percepito come forza
esterna? Quel che è in questione è il profilo giuridico, costituzionale, politico che dovrà darsi l’Unione, ed è la direzione che vuol prendere, il «che fare», l’idea del mondo
che vuole avere: sempre che la si voglia salvare (non lo sappiamo). Sempre che si voglia dire ai popoli il mondo che
abitano e come evolverà.
La cosa grave è che la Corte tedesca pensa, discute,
sentenzia in totale isolamento. Nessun’altra Corte in Europa, o partito, o governo, ragiona su tali problemi. Ci si
lamenta del peso abnorme dei giudici tedeschi, ma su
Unione e sovranità democratica non circolano idee alternative, né tantomeno comuni. Neanche il Parlamento
si lascia scuotere da accordi (Fiscal compact, Meccanismo
di stabilità europeo ovvero Fondo salva-stati) che di fatto
l’estromettono, non essendo trattati comunitari ma interstatali. L’Unione già si trasforma, determinando sempre
più le vite dei cittadini, ma fino a quando non saranno
sciolti i due nodi vitali – quello della democrazia, quello
di un governo politico verso cui la BCE si senta responsabile – il suo potere sovranazionale (teocratico o tecnico
che sia) sarà considerato illegittimo dai cittadini e dai
mercati. L’indipendenza della BCE è importante, ma
come giustificarla se il sovrano politico – a differenza dell’America, del Giappone, dell’Inghilterra – perde il dominio della propria moneta? Uno scettro è stato tolto
agli stati, e giace per terra nella polvere.
Solo in Germania è forte, in alcuni dirigenti, la coscienza che sia urgente codificare le presenti mutazioni: lo
impone il principio di non contraddizione (non si può
avere una moneta unica e 27 bilanci, 27 constituencies,
elettorati). Il ministro del Tesoro Schäuble, ripetutamente
descritto in Italia come il «falco», lo ha detto in piena crisi
dell’euro, il 18 novembre 2011 a Francoforte: «Dall’8
maggio 1945 la Germania non è mai stata pienamente sovrana (...) e da almeno un secolo la sovranità è finita
ovunque in Europa». Di qui la necessità di istituire una sovranità federale superiore: prospettiva invocata in Germania sin dal Trattato di Maastricht, e a quel tempo rifiutata dalla Francia di Mitterrand.
Nel frattempo non sappiamo se la Germania voglia
ancora l’unione politica che reclamava. Schäuble ad
esempio evita la parola «governo»: usa l’opaco termine
«governance». Ecco un’altra parola sospetta, costituzionalmente insignificante. Se è chiamato governance, non è
vero governo. Ci sono vocabolari fatti per codificare l’impotenza dei cittadini e la perdita – questa sì grave – della
loro sovranità. Viene in mente la risposta che Humpty
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Dumpty dà ad Alice, a proposito del potere sui vocabolari: «Quando uso una parola – dice – essa significa esattamente quel che scelgo che significhi, né più ne meno».
La questione, obietta Alice, è se puoi far sì che le parole
«significhino tante cose così differenti». Al che Humpty
Dumpty: «La questione è chi è il padrone: tutto qui».
Parlando dell’austerità in Grecia, e delle riforme strutturali utili al ritorno della crescita, il presidente della
BCE Mario Draghi è ricorso a un’immagine forte. In
un’intervista al Wall Street Journal, il 23 febbraio, ha detto
che quel che si profila nell’Unione è un «nuovo mondo».
Generalmente quando si annunciano nuovi mondi se ne
seppelliscono di vecchi, malgovernati e dunque falliti.
Goethe, ad esempio, era convinto che la Rivoluzione
francese non avrebbe spazzato via i monarchi come «vecchie scope», se questi fossero stati veri monarchi. Lo stesso
si può dire oggi dell’Europa, che versa in condizioni ancora peggiori di quei re: la corona non l’ha persa; non l’ha
mai pienamente avuta. Non esiste un governo europeo
che governi il caos. Non esistono partiti europei che si battano contro l’impotente potenza dei nazionalismi, letale
per l’Unione e per loro stessi.
Draghi ne trae la conclusione che l’Ancien régime abbattuto dal «nuovo mondo» è lo stato sociale, quasi quest’ultimo fosse simile ai sepolcri imbiancati descritti da
Nietzsche, dove giacciono divinità ancora onorate, ma defunte: «All’esterno paiono belli, i sepolcri, ma dentro
sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume», di ipocrisia e iniquità. Il sepolcro è il welfare: cioè quel sistema
di protezione universale dai rischi della malattia, del lavoro, della vecchiaia, che gli europei si sono dati dopo il
1945. «Lo stato sociale è morto – is gone», annuncia il presidente della BCE, perché perde senso se non copre tutti
i cittadini e se il lavoro resta duale: da una parte i giovani
costretti alla flessibilità, dall’altra i protetti con salari basati sull’anzianità e non sulla produttività.
Che cosa muore
Naturalmente c’è del vero, nella denuncia del sepolcro-idolo. Lo stato sociale fallisce, a partire dal momento
in cui non mantiene più la parola. Ma perché dire che
come promessa è morto, gone? Perché nessun accenno al
fatto che, essendo un patrimonio essenziale dell’Europa,
va riorganizzato, ma non ucciso? In Germania, ricordiamolo, i sindacati hanno fatto sì che non morisse. Possibile
che debba emergere da un certificato di decesso, il mirabile nuovo mondo che vedremo dopo austerità e liberalizzazioni? Il «brave new world» di Huxley – ricordiamocelo – è una distopia, un’utopia da ogni punto di vista
negativa.
In realtà sono decenni che lo stato sociale è sotto attacco, quasi che la solidarietà intesa come comune obbligazione in solido fosse un lusso ormai insano. Più fondamentalmente è sotto attacco lo stato: considerato esso
stesso un rischio morale – un moral hazard – da politici ed
economisti (i «pensatori» di Einaudi) abituati a nutrirsi di
dottrine antistataliste. Su quel che accadrà nel nuovo
mondo non ci si sofferma. Parole come povertà, penuria,
declino demografico scompaiono, sostituite dal pulito,
clinico eufemismo: «Ci sarà una contrazione». Torna in
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PRIMO MAZZOLARI
auge perfino la famosa certezza esibita dalla Thatcher:
«Non c’è alternativa». Anche quest’affermazione è sbalorditiva, perché l’ideologia inglese e americana degli
anni Ottanta è finita infelicemente. Il mercato-padrone,
che da solo si equilibra, s’è infranto nel 2007-2008. Oppure no?
Quel che conta è sapere che cosa muore, e che cosa si
mette nel vuoto che resta. Rischia la morte quel che gli europei appresero nella crisi degli anni Trenta, e nel mezzo
dell’ultima guerra mondiale. La prima cosa che scoprirono fu l’Unione europea, il «no» alle rovinose sovranità
assolute degli stati nazionali: il Manifesto di Ventotene fu
scritto nell’agosto 1941. La seconda fu il welfare, il «no»
alla povertà che aveva colpito le genti negli anni Trenta,
gettandole nelle dittature e nelle guerre: il Piano Beveridge
che promette la pace sociale a completamento della tregua delle armi è presentato al governo inglese nel novembre 1942. Si tratta di due polizze d’assicurazione, offerte ai popoli per far fronte ai sinistri del passato, e tra esse
c’è un nesso. Basti ricordare che Beveridge fu un militante
dell’Europa federale.
Come si tiene insieme una società? Come s’inverte l’attuale perverso ordine di priorità, scongiurando le guerre
(civili o tra stati) senza distruggere lo scontro di idee nell’agorà? La duplice risposta europea (unione politica dotata di un comune Parlamento e welfare) fu data per evitare che la questione della povertà divenisse di nuovo
mortifera. Nella Nascita della biopolitica, Michel Foucault sostiene che il welfare nasce come patto di guerra.
Alle persone «che avevano attraversato una crisi economica e sociale gravissima», i governanti dissero in sostanza: «Ora vi chiediamo di farvi uccidere, ma vi promettiamo che, una volta fatto questo, conserverete il posto
di lavoro sino alla fine dei vostri giorni». Cinque erano i
«giganti» nei quali Beveridge vedeva i nemici della pace
e della ricostruzione postbellica: Bisogno, Malattia, Ignoranza, Squallore, Svogliatezza o Indolenza. Tutti insieme
andavano abbattuti, mentre ora pare si debba abbattere
solo l’Indolenza: unico male temibile, fratello non più del
bisogno o dello squallore ma di quel welfare che era stato
escogitato proprio per evitare la caduta nella disperata
svogliatezza cittadina. L’essere umano non è guardato
con apprensione: è guatato con sospetto, ridotto a minorenne, e sul sospetto non si edificano polizze né patti. Nel
glossario andrebbe messa anche la parola azzardo morale,
nuovo supremo disvalore. Tale è la sfiducia nell’essere
umano: ogni polizza d’assicurazione non farà che accentuare la sua malvagia tendenza ad approfittarne, a diminuire l’autodisciplina. È un vocabolo da Grande inquisitore.
Per la verità anche Foucault denunciò la «coppia infernale sicurezza sociale – dipendenza», negli anni Ottanta. Di fronte a una «domanda infinita», s’ergeva (e andava riconosciuta) la «finitudine» del welfare. La sua
finitudine, le sue auto-limitazioni: non la sua morte, non
la diffidenza reciproca e fatale fra uomini. Il welfare è nato
come contrappeso a processi economici selvaggi, ed era
assurdo gettarlo via. Altrimenti crescita e benessere sarebbero dipesi solo da concorrenza e privatizzazioni:
un’ennesima utopia, lo si era visto negli anni Trenta-
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La Via crucis
del povero
Edizione critica a cura di Giorgio Campanini
L
a Fondazione Don Primo Mazzolari e le
EDB proseguono nell’edizione critica
delle opere del parroco di Bozzolo. Egli qui
espone una prolungata meditazione sulla
Passione e focalizza il problema della povertà: rivestita di un senso nuovo, la pia
pratica diviene l’esame di coscienza di una
comunità cristiana interpellata dal dramma
del Venerdì Santo.
«PRIMO MAZZOLARI»
pp. 200 - € 15,00
Edizioni Edizioni
Dehoniane
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Bologna Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
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JEAN-LOUIS SKA
«I nostri padri
ci hanno raccontato»
Introduzione all’analisi dei racconti dell’Antico Testamento
I
racconti biblici non sono nati per informare sul passato, né per elaborare una
teologia sistematica, ma per trasmettere
esperienze vitali. Analogamente l’autore,
tra i massimi esperti di Antico Testamento,
non fornisce analisi compiute ma una «cassetta degli attrezzi»: il significato di un racconto è infatti inseparabile dall’esperienza
della lettura.
«BIBLICA»
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S
tudio del mese
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Quaranta. La crisi di oggi ci riporta a quegli anni di
presa di coscienza sull’orlo del disastro. È il «patto di
guerra» che stavolta è assente, in Europa. È la memoria
di quel che escogitarono uomini come Keynes, Beveridge, Roosevelt con il suo New Deal.
La necessità di una federazione politica
Ci sono momenti nella vicenda europea dei debiti sovrani in cui si ha l’impressione, netta, che sulla pelle dei greci
si stia ingaggiando una prova di forza più dottrinale che pratica, una specie di regolamento dei conti con Keynes e Beveridge. Si vuol capire sin dove regga un paese, se impoverito e sfrondato di stato sociale. È la tesi di Michael Hudson,
economista dell’Università del Missouri a Kansas City: «La
crisi greca è usata come esperimento di laboratorio, per vedere fino a che punto la finanza può spingere verso il basso
i salari e privatizzare il settore pubblico (…). È come nutrire
sempre meno un cavallo per vedere se sarà più efficiente,
fino a quando le gambe gli si piegano e muore».3
Con decenni di ritardo, molti economisti e politici sembrano riesumare l’illusione del 1989, quando Francis Fukuyama dichiarò finita la Storia. I patti sociali del dopoguerra son giudicati inservibili, ora che è naufragato lo
stimolo che fu il comunismo. Quel che prevale è una sorta
di spirito anti-conciliare: allo stesso modo in cui la Chiesa
disattende sovente la sua stessa dottrina sociale (meno in
Europa, più in America, dove appoggia l’avversario di
Obama e l’offensiva contro l’assistenza pubblica), gli stati
affossano la giustizia sociale che essi stessi si diedero come
medicina. Pensano di poter fare l’Europa così, sognando di
sospendere lo stato sociale e l’agorà democratica con le sue
sempre possibili alternative. Non riusciranno, perché
un’Europa siffatta è costruzione vana, dietro la quale non
ci sono più comunità di uomini, ma cavalli cui vengono
spezzate le gambe.
Vorrei finire evocando un autore poco noto, un federalista inglese dell’Ottocento, Robert Seeley, storico dell’Impero britannico. In un discorso tenuto nel 1871, Seeley discute la possibilità di finire le guerre in Europa e di
inaugurare una pace duratura, attraverso forme di arbitrato
che tolgano le controversie dalle mani dei contendenti,
deferendole a un terzo di accertata perspicacia, imparzialità e diligenza, e convincendo le parti ad adottare la decisione di questo terzo, con impegno vincolante. Il terzo
deve essere a suo parere una Corte suprema europea:
un’autorità superiore a stati incapaci altrimenti di convivere
in pace. È straordinario come i problemi si ripropongano
tali e quali, un secolo e mezzo dopo: basta che al posto della
Corte immaginata da Seeley mettiamo la BCE, o gli strumenti comuni che dovrebbero gestire oggi la crisi e garantire la solidarietà: Fondo salva-stati, eurobond, messa in comune delle politiche finanziarie degli stati membri
attraverso il Fiscal compact.
Ebbene, che cosa diceva Seeley a proposito della Corte
cui doveva essere affidato l’arbitrato? Diceva che da sola
tale Corte era destinata a fallire, perché l’organizzazione
politica del mondo attorno a lei non mutava: «È evidente
che il sistema giudiziario è strettamente legato alle altre istituzioni di uno stato; che esso cresce con la crescita del sistema nel suo complesso, e che si modifica nel corso di tale
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sviluppo».4 Una Corte isolata (una banca centrale solitaria,
un fondo anti-crisi) è inimmaginabile, se avulsa dagli altri
organi dello stato ai quali essa deve essere strettamente connessa. Se non rende conto ad alcun potere esecutivo o legislativo. Se non è legittimata democraticamente, dunque
controllata da un Parlamento comune, diverso dai Parlamenti nazionali.
Di qui la necessità di una federazione politica, di cui la
Corte diventa parte e che s’incarichi di dare esecuzione alle
decisioni giudiziarie: «Un giudice – scrive Seeley – non è
semplicemente una persona che valuta le prove ed emette
verdetti: è una persona che è stata investita di quell’ufficio
da un potere riconosciuto competente a conferirlo, ed è anche una persona le cui decisioni vengono regolarmente rese
esecutive da un potere cui è riconosciuta tale competenza.
I giudici, perciò, o i tribunali, non possono esistere isolati,
ma sono necessariamente collegati ad altri poteri: un potere di nomina, un potere di disciplina e un potere di attuazione. Là dove s’incontrano tutti questi poteri – un potere di nominare i funzionari, un potere di regolazione o
legislativo, un potere giudiziario e un potere di eseguire le
sentenze – si ha l’organizzazione completa dello stato; ciò dimostra che la Corte implica lo stato e, come conseguenza necessaria, che una Corte internazionale implica uno stato internazionale o federale». Lo stesso – sia detto per inciso – si
potrebbe affermare a proposito della Corte penale internazionale. Anche prescindendo dal fattore debilitante che
è l’assenza di stati come Stati Uniti o Israele, come può tale
tribunale conquistarsi prestigio e legittimità senza un governo mondiale?
Per finire, Seeley indicava una cosa molto importante
per tutti noi, sia di metodo sia di politica: «È un equivoco
giudicare la possibilità di riuscita di un’impresa solo in
base agli ostacoli da rimuovere: ciò che conta è il rapporto
fra tali ostacoli e le forze di cui si dispone. Un progetto quale
la Federazione europea merita forse un po’ di quell’entusiasmo che rifiuta di scorgere gli ostacoli, e non vede altro
che l’auspicabilità del fine da raggiungere. Quando accettiamo di essere schiacciati dal peso di ciò che dobbiamo rimuovere, teniamo sufficientemente conto delle leve che abbiamo a disposizione?». Ecco quel che diceva.
È difficile? Certo che è difficile. Ogni cosa grande lo è.
O siamo qui per fare e pensare solo cose facili e per giunta
inutili?
Barbara Spinelli*
* Questa conferenza su «L’Europa tra solidarietà e conflitti», di cui
qui proponiamo il testo per gentile concessione dell’autrice, è stata pronunciata a Piacenza il 30 settembre 2012, nell’ambito del Festival del diritto. L’immagine a p. 633 ritrae un particolare del Wall Project organizzato dal Wende Museum di fronte al Los Angeles County Museum
of Art per il ventennale della caduta del Muro di Berlino (2009; foto di
P.-S. Thomas); quella di p. 637 ritrae una parte del Muro di Berlino presso
la Porta di Brandeburgo durante una manifestazione (marzo del 1990;
foto attribuita a E. Kolodziej).
1
L. EINAUDI, articolo su La Stampa, 20.8.1897.
2
Cf. L. NAMIER, La rivoluzione degli intellettuali e altri saggi sull’Ottocento europeo, Einaudi, Torino 21972, 166.169.
3
Cf. michael-hudson.com, «Greek strategy», 15 febbraio 2012.
4
J.R. SEELEY, «Gli Stati Uniti d’Europa», testo del 1871, in Il Federalista 31(1989) 2.
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CINEMA
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I colori della passione
d’
arte, di storia e di fede
È
possibile fare di un dipinto del Cinquecento la
materia di un film? I colori della passione del regista polacco Lech Majewski fornisce alla domanda una
risposta senz’altro positiva. Del resto
non è la prima volta che il cinema
trae ispirazione dalla storia dell’arte
«ricostruendo» con i propri mezzi audio-visivi veri e propri «quadri viventi» (tableaux vivants) all’interno
delle proprie narrazioni: anzi, si può
dire che fa questo fin dalle sue origini.
Ma qui l’operazione è compiuta con
una coscienza e una maestria tali da
lasciare impressionati. La complessità
che investe tanto le intenzioni iniziali
dell’artista quanto i risultati effettivamente conseguiti richiede di essere almeno in parte sciolta da una lettura
che dia qualche ausilio interpretativo.
Cerchiamo anzitutto di fornire
una breve descrizione dell’opera,
per intendere di cosa effettivamente
tratta. Il testo presenta se stesso attraverso una cornice nella quale Pieter Bruegel (comunemente noto come
Bruegel il Vecchio) parla a un amico
(banchiere e collezionista di sue opere)
di un dipinto a cui sta lavorando: si
tratta di uno dei suoi lavori più celebri, L’andata al Calvario, realizzata
nel 1564. Questo dialogo iniziale fornisce la chiave per intendere non solo
il dipinto conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna ma anche il
film: «Questo potrebbe essere un
gruppo di santi, che torna dal passato
per piangere l’attuale sorte delle Fiandre». La battuta stabilisce una con-
L’ a n d a t a a l C a l v a r i o d i P. B r u e g e l ( 1 5 6 4 )
protagonista del film di Majewski
nessione forte tra un presente «attuale» di cui piangere, da collocarsi
appunto nelle Fiandre della seconda
metà del XVI secolo, durante l’occupazione spagnola, e un passato «mitico» da cui provengono i santi evocati, da collocarsi nella Gerusalemme
dell’andata al Calvario.
Esattamente come l’opera di Bruegel apre uno squarcio nel tempo per
consentire ai santi di tornare dal passato per piangere l’attualità, così il
film altro non fa che aprire un se-
condo squarcio nel tempo per consentire allo stesso dipinto di Bruegel di
tornare dal suo passato e parlare allo
spettatore d’oggi: è da intendersi in
quest’ottica l’ultima sequenza (anch’essa di cornice) ambientata nella
sala del Kunsthistorisches. All’interno
di questa doppia cornice (quella più
esterna costituita dall’odierna sala del
museo, quella più interna costituita
dal dialogo tra Bruegel e l’amico banchiere ambientato nelle Fiandre) si dipana la ricostruzione de L’andata al
P. Bruegel, L’andata al Calvario.
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tamente veicolato proprio dalla vicenda dei due giovani sposi che, dopo
aver mangiato la loro colazione, si recano al mercato per vendere un loro
vitellino. Al momento dell’arrivo dei
soldati a cavallo, serve poco che
l’uomo cerchi di scappare: accusato di
essere un eretico, viene massacrato di
botte e legato a una ruota issata su un
alto palo dove il suo corpo è dato in
pasto agli uccelli rapaci. Alla moglie
non resta che piangere, come una
Maria ai piedi della croce.
C. Rampling in una scena de I colori della passione.
Calvario. Siamo insomma di fronte a
un complesso gioco di scatole cinesi,
nel cui cuore pulsa «la più grande storia mai raccontata» (per dirla con il titolo di un altro film), vale a dire la Passione di Gesù.
Con una scelta di grande efficacia
il film sviluppa la narrazione bloccata
e senza tempo del dipinto bruegeliano
con propri mezzi specifici: il che significa dare alle immagini il movimento, collocandole in un tempo continuo. Da qui l’idea di trasformare
l’attimo assoluto di Bruegel in un’intera giornata, scandita nei suoi momenti forti: l’alba, il meriggio, la notte.
Nel corso di questa giornata assistiamo alla vita di un borgo contadino ai piedi di una rupe sulla cui
cima, imponente, è collocato un mulino a vento. Governato da gendarmi
a cavallo in casacca rossa (gli occupanti spagnoli), il corteo che accompagna Gesù al patibolo attraversa tale
borgo, popolato di centinaia di personaggi per nulla coinvolti dall’evento
straordinario che sta accadendo sotto
i loro occhi indifferenti. Esattamente
come accade nel dipinto di Bruegel.
Il racconto della giornata che vide
la morte di Gesù si apre su due ta-
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glialegna che, nel buio della notte,
attraversano il bosco alla ricerca di
un lungo tronco che servirà, scopriremo, per mettere a morte un eretico;
si sposta poi su una squadra minacciosa di soldati spagnoli a cavallo,
per soffermarsi poco dopo sul risveglio del villaggio. Quest’ultimo ci è
restituito nel corso di tre bellissime
sequenze di stampo descrittivo che
non vanno assolutamente intese
come digressioni fini a sé stesse, ma
che invece «ambientano» il dipinto,
fornendo con il vigoroso realismo tipico del mezzo cinematografico il
contesto nel quale collocare l’evento
della Passione. In particolare la macchina da presa entra in tre case per
mostrarci i primi attimi della giornata di tre coppie tutte, a loro modo,
protagoniste del film: la casa, piena
di amore, di due giovani sposi; la
casa, carica di responsabilità, del vecchio mugnaio, che appena alzato dal
letto sveglia il garzone affinché faccia
partire le pale del mulino; la casa,
colma di esuberante fantasia... e di figli, di Bruegel.
Il parallelismo tra le sofferenze di
Gesù e quelle del popolo fiammingo
sotto la dominazione spagnola è aper-
Un groviglio di fonti
Ma il film segue anche il pittore
durante le diverse fasi del suo lavoro:
lo vediamo aggirarsi tra la folla riempiendo di schizzi i grandi fogli di un
libro che porta sempre con sé.
Quanto osserva e ritrae trova una
sua collocazione all’interno del dipinto: ma come farci stare tutto? È lo
stesso Bruegel a spiegarlo, dopo aver
a lungo osservato un ragno tessere
una grande e robusta tela: «Il mio
dipinto – precisa – dovrà raccontare
molte storie ed essere grande abbastanza da contenere tutto: ogni cosa
e ogni persona. Lavorerò come il ragno che questa mattina ho visto costruire la sua tela. Per prima cosa,
esso trova un punto di ancoraggio».
Il punto cui tutto si àncora, al centro
della tela, è proprio quello dove trova
collocazione la Passione di Gesù.
Così accade nel dipinto di Bruegel,
così anche nel film di Majewski.
Si è già detto della complessità
che risiede nella concezione e nella
realizzazione di quest’opera. Tale
complessità emerge con chiarezza dal
groviglio di fonti che l’hanno originata: il dipinto di Bruegel rappresenta infatti la fonte primaria del film
ma non certo l’unica. A un secondo
livello, il film di Majewski trae il proprio materiale ispiratore dal volume
The Mill e and the Cross (una dettagliata analisi de L’andata al Calvario
di Bruegel) dello storico dell’arte Michael Francis Gibson, direttamente
coinvolto nel progetto in qualità di
sceneggiatore. La natura della collaborazione tra Majewski e Gibson è
spiegata da quest’ultimo in questi termini: «Ho incontrato Majewski nel
(…) 2004. Gli ho detto che qualche
anno prima (2001) avevo pubblicato
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questo libro in inglese, dopo averlo
tradotto dall’originale francese uscito
nel 1996. Quando gliel’ho dato si è
dimostrato entusiasta, così gli ho
mandato una proposta che avevo
scritto (non specificamente pensando
a lui) per un film sull’argomento, ma
io avevo in mente un documentario.
Lui è venuto da me dicendo, no, non
un documentario, ma un film con gli
attori! Sceglieremo una dozzina di
personaggi all’interno del dipinto e
seguiremo la loro giornata dall’alba
al tramonto».1
Guardando a Tarkovskij
L’approccio all’opera di Bruegel è
insomma tutt’altro che ingenuo e impressionistico, al contrario si fonda su
un approfondito studio. L’intellettualismo che ne deriva, piuttosto che
urtare (se ne avverte il rischio solo in
pochi isolati momenti didascalici),
fornisce al film solidità d’impianto,
chiarezza di prospettive, coerenza interpretativa. Questo non significa tuttavia che l’elaborazione creativa, il
guizzo della fantasia e il piacere della
narrazione siano esclusi da un’opera
che ha sempre saputo di essere un
film di finzione e non un documentario.
Vi è poi un ulteriore livello (più
sfuggente e difficile da decifrare ma
forse ancor più determinante sul
piano della resa estetica del film) che
definisce le fonti di ispirazione del
regista: se il primo livello è pittorico,
il secondo letterario (sebbene di un
genere preciso, quello del saggio),
questo terzo livello è prettamente cinematografico e si compone di più riferimenti amalgamati in una sintesi
originale e fascinosa. Mi limito a indicarne due, quelli che mi paiono i
più pregnanti: da un lato Tarkovskij,
dall’altro Pasolini, per il modo con
cui entrambi hanno rappresentato
nei loro film la Passione di Gesù.
Si torni con la mente al terzo episodio di Andrej Rublev (1966) di Tarkovskij, intitolato La Passione secondo
Andrej, nel corso del quale il protagonista del film (anch’egli pittore), in
occasione di un serrato confronto di
natura estetico-religiosa con il collega Teofane sullo scopo e sul valore
dell’arte, immagina una rappresentazione popolare della Passione:
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Teofane: «Il giorno del giudizio
s’avvicina e noi bruceremo tutti come
tante candele e io lo vedo già che
cosa succederà quel giorno: ognuno
darà la colpa di quello che ha fatto
agli altri e giurerà di essere innocente».
Andrej: «Come fai a dipingere se
hai queste idee non lo capisco e ad
accettare le lodi che ti fanno. Io mi
farei eremita e andrei a vivere in una
caverna per sempre».
Teofane: «Io servo Dio, non gli
uomini. Oggi gli uomini ci lodano,
domani ci copriranno di insulti e il
giorno dopo si dimenticheranno di
noi completamente. (…) Se Gesù tornasse sulla terra io credo che sarebbe
crocifisso di nuovo, tale e quale come
allora».
Mentre l’artista per Teofane è al
servizio di Dio, per Rublev è al servizio del popolo, che diviene infatti il
vero protagonista della sequenza (immediatamente successiva) della Passione:
Andrej: «È vero, Giuda vendette
Cristo. Ma chi lo comprò? Il popolo?
I farisei e gli scribi! Ma non trovarono un testimone contro l’innocente. E chi avrebbe diffamato un innocente? Ma i farisei erano maestri
dell’inganno. Avevano il potere e lo
mantenevano sfruttando l’ignoranza
del popolo. I popoli hanno bisogno
che qualcuno ricordi loro che sono
popoli: come i russi che hanno un
solo sangue, una sola terra. Il male è
dappertutto, c’è sempre qualcuno
che ti vende per trenta denari. La
sventura si accanisce sempre sui poveri, come i Tartari, le carestie, la
peste. E la gente lavora e lavora e lavora… porta la sua croce con rassegnazione, senza ribellarsi, senza tentare di difendersi. Prega il Signore
perché gliene dia la forza. Come può
non perdonarci, il Signore? Certo
che lo farà!».
guinati e così facendo sovrappone
l’archetipo al presente, la sofferenza
di Gesù alla sofferenza del popolo
sotto la dominazione straniera. Il film
di Majewski si colloca nel solco di
questa tradizione attualizzante guardando, oltre che a Tarkovskij, quasi
certamente anche al nostro cinema
italiano. In particolare mi pare possa
aver in qualche modo funzionato da
modello il cinema religioso di Pasolini: la tecnica del tableau vivant, le
suggestioni coloristiche dalla forte attrattiva, l’intellettualismo dell’impianto, l’idea di costruire un discorso
che si sviluppa su più livelli in dialogo
tra loro, il continuo rispecchiamento
di senso tra quanto è interno e
quanto è esterno, tra la storia e il
mito, tutto ciò potrebbe essere stato
in qualche modo suggestionato da
una celebre Passione pasoliniana,
quella de La ricotta (1963).
Gli eterogenei materiali di questo
film, vale a dire le sue variegate fonti
pittoriche, saggistiche ed estetiche, si
compongono dunque in una complessa riflessione che, prendendo
spunto dall’opera di Bruegel, mette
in scena un quadro storico illuminandolo con la luce del mito cristiano. Tutto ciò appare di un’evidenza quasi sconcertante nella sequenza della morte di Gesù, dove gli
stratificati piani del discorso messo in
gioco da Majewski si fondono nel
momento in cui lo spettatore sente i
soldati, che giocano ai dadi sotto la
croce, parlare tra loro spagnolo.
Tutto insomma, anche quanto di terribile è storicamente accaduto nelle
Fiandre della seconda metà del XVI
secolo, è preso in carico dal piano
del mito (o, se si vuole, della fede),
che assegna un senso all’insensato.
E Dio? «Dio – come dice Bruegel
nel film – guarda: è il Grande mugnaio del cielo che macina il pane
della vita e del destino».
Dio, grande mugnaio
Tali parole suonano a commento
di una delle salite al calvario più liberamente ispirate, e insieme più
strazianti, della storia del cinema.
Messa da parte ogni preoccupazione
di verosimiglianza, Tarkovskij trasforma l’arido Golgota in una innevata collina russa dai fianchi insan-
Tomaso Subini
1
«Michael Francis Gibson on The Mill
and the Cross», intervista a cura di Colette de
Castro e Moritz Pfeifer pubblicata sul sito web
all’indirizzo http://eefb.org/archive/march2011/michael-gibson-on-the-mill-and-thecross/. Nostra traduzione dall’inglese.
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delle religioni
Il Dio creatore
Sui ricorrenti tentativi di cercare
confer me scientifiche nella Bibbia
A
nche i teologi, al pari di tutti gli esseri umani, sognano.
A volte però anche i loro sogni sono teologici e ciò non
è da tutti.
Un illustre esponente di questa nobile categoria sognò di
morire e di giungere alle porte del Paradiso. Bussò e si presentò
al custode qualificandosi come un uomo giusto che, attraverso il
suo lavoro, aveva fatto crescere la gloria di Dio. Ottenne una risposta sconcertante: come potrebbe, un essere buffo come lui, aumentare la gloria dell’Altissimo? E poi, cosa mai significa questa
strana parola “uomo”?
Il custode non l’aveva mai sentita; si rivolse perciò al bibliotecario, un essere globulare dotato di mille occhi. Gli pose la questione di cosa volesse dire il termine “uomo” e che cosa s’intendesse
per abitare su un pianeta sconosciuto chiamato “Terra”. Anche il
bibliotecario non lo sapeva, inoltre ignorava l’espressione “Sistema
solare”. Anche “Via lattea” non gli disse nulla.
Il termine “galassia” gli risuonò più famigliare, sapeva che
nell’universo ce n’era qualche centinaio di milioni. Ma appunto
per questo era impossibile ricordarle tutte. Affidò l’indagine a un
sottobibliotecario specializzato in materia.
Quest’ultimo, dopo estenuanti ricerche di archivio, s’imbattè
in un riferimento alla Via lattea. Trovata la galassia giusta, il suo
compito non era ancora finito: tra i 300 miliardi di stelle che la
componevano doveva individuare il Sole. Il sotto-bibliotecario affidò il compito a un suo collaboratore il quale, dopo vari anni di
duro lavoro, trovò finalmente il Sole, stupendosi peraltro non poco
per quello spasmodico interesse riservato a una stella molto simile a miliardi di altre. Invero essa era circondata da alcuni pianeti; inoltre su uno di essi vi erano dei parassiti e ipotizzò che lo
scopo dell’indagine li riguardasse.
Il nostro teologo fu costretto a prendere atto d’essere un microbo di un minuscolo corpo celeste che ruota attorno a un piccolo astro appartenente a un insieme di 300 miliardi di stelle
sperso tra molti milioni di altre galassie. La sua reazione fu violenta: “Non posso sopportarlo, e non posso adorare il mio Creatore”. Il custode ne prese atto e invitò l’uomo a recarsi nell’“altro
posto”. A questo punto il teologo si svegliò e constatò con rammarico il tremendo potere che Satana ha sui nostri sogni».
Quel bat ter di ciglia della cultura occidentale
Questo immaginifico racconto, in cui Bertrand Russell1 dispiega la sua ironia britannica, espande, in modo narrativo, quanto
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asserito in maniera aforistica da Friedrich Nietzsche nelle Considerazioni inattuali: «In qualche remoto angolo dell’universo diffuso
e folgorante in innumerevoli sistemi solari c’era una volta un astro,
su cui degli intelligenti animali scoprirono la conoscenza. Fu il momento più orgoglioso e mendace della “storia del mondo”: un minuto soltanto. Dopo pochi respiri della natura l’astro s’irrigidì e gli
intelligenti animali dovettero morire».
Per la conoscenza umana – sia o non sia in se stessa mendace
– è un paradosso affermare il proprio non senso e lo sconcerto al
riguardo è giustificato. Rimane comunque incontrovertibile rendersi conto che la cultura occidentale, in virtù delle sue stesse elaborazioni, si è accorta di rappresentare solo l’ultimo, fuggevole
batter di ciglia della storia umana, per non parlare di quella, immensa, dell’intero universo.
Nel giro di due-tre secoli, in Occidente le maniere di concepire
lo spazio e il tempo si sono dilatate al di là d’ogni immaginazione
precedente. In effetti, l’ipotesi dell’infinità dell’universo ha avuto
sostenitori fin dall’antichità. Tuttavia essi andavano annoverati o
tra gli atomisti materialisti o tra i panteisti, stando ai quali una causa
infinita produce, per necessità, un effetto anch’esso infinito. Molto
raro era invece scovare i propugnatori di un universo infinito tra coloro che professavano la loro fede affermando di credere in Dio
«Padre onnipotente creatore del cielo e della terra».
Le dimensioni attuali dell’universo sono, in genere, stabilite in
13 miliardi e 700 milioni d’anni luce. Si tratta di una grandezza
spaziale, e di riflesso temporale, non infinita; essa è però tale da essere non rapportabile alla civiltà umana sviluppatasi su questa terra.
Di fronte a quell’abisso spazio-temporale ogni manifestazione dell’umano sembra perdere consistenza. All’interno dell’elaborazione
culturale occidentale è, quindi, sorta una sfida gigantesca (è il caso
di dirlo) che si può esprimere in questi termini: lo sviluppo della ricerca si è spinto fino a un punto in cui è obbligo concludere che
tanto la Terra quanto gli intelligenti animali che la abitano hanno
perso, per sempre, qualsiasi centralità.
Rispetto a tutto ciò vi sono risposte classiche. In età moderna
una delle più celebri è quella proposta da Kant nella Critica del
giudizio. Si potrebbe riassumerla così: di fronte all’infinita grandezza e potenza della natura siamo quasi nulla, eppure la possiamo
pensare e ciò attesta la nostra superiorità morale. A prescindere da
qualunque rigore filologico, si può affermare che Kant si muove in
un’area paragonabile a quella espressa da Pascal allorché definisce
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l’uomo una canna pensante. In ogni caso si tratta di una dimensione soggettiva – il «sublime» kantiano – impossibile da trascrivere nell’ambito della conoscenza, sia essa scientifica o metafisica.
Le cose visibili e quelle invisibili
«Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili». Il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 326) si preoccupa di
spiegare che questa espressione nella Bibbia significa «tutto ciò che
esiste, l’intera creazione»; mentre cielo è anche il «luogo» di Dio e
«delle creature spirituali, angeli». La Genesi inizia, come tutti
sanno, proprio così: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen
1,1) (il secondo racconto della creazione capovolge però l’ordine:
«Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo»; Gen 2,4b).
Non vi è dubbio che lì si volesse dire la totalità del creato; l’affermazione, però, faceva tutt’uno con il dichiarare la centralità della
Terra. Il quadro cosmologico d’allora comportava una terra piatta
circondata dalle acque inferiori al di sopra delle quali si estendeva
il cielo a sua volta separato dalle acque superiori dalla calotta solida
del firmamento. In ebraico cielo si dice shamayim che significa appunto «tra le acque». Quando recitiamo il Padre nostro sappiamo
che la specificazione «che sei nei cieli» va intesa in senso metaforico;
allorché pronunciamo il Credo la questione non è molto diversa.
Definire alla lettera l’universo come «cielo e terra» è improprio
quanto intendere il cielo fisico come effettiva sede di Dio.
«Di tutte le cose visibili e invisibili». La frase, di derivazione non
biblica, fu aggiunta a suo tempo in funzione antignostica. Con essa
ci si voleva opporre a coloro che, da un lato, ritenevano Dio autore
delle realtà spirituali, mentre, dall’altro, assegnavano a un Demiurgo malvagio la plasmazione dell’universo materiale. Il Credo
vuole quindi affermare che un solo Dio è la fonte prima di tutto
quanto esiste. Tuttavia il discorso esige di concludere che le cose
invisibili sono spirituali mentre quelle visibili sono materiali. Anche
tutto ciò è ormai metaforico.
Si sa che al giorno d’oggi è proprio l’invisibile a essere il regno
predominante della fisica. È tuttora arduo definire con precisione
cosa sia la materia oscura; tuttavia si sostiene che il suo contributo
all’energia dell’universo è almeno cinque volte maggiore di quello
della materia normale, mentre, a quanto ne sappiamo, l’energia
oscura costituisce il 73% dell’intero universo, contro il 27% dovuto
alla materia (normale e oscura). La consapevolezza di parlare attraverso metafore comporta la rinuncia di trovare nella Genesi (e
in qualunque parte della Bibbia) nozioni che abbiano ancora a che
fare con la nostra descrizione fisica dell’universo. In linea di principio l’affermazione è condivisa da gran tempo.
Nel Dibattito con Felice Manicheo, Agostino afferma che: «Non
si legge nel Vangelo che il Signore abbia detto: Vi manderò il Paraclito che vi insegnerà come vanno il Sole e la Luna. Voleva fare
dei cristiani, non dei matematici».2 Tuttavia a essa è difficile rimaner fedeli fino in fondo. Ciò avviene perché ogni riferimento antico
al Dio creatore collega il suo operare a quella maniera di concepire
il mondo (o ad altre visioni cosmologiche anch’esse anacronistiche).
L’accostamento rivela la grande difficoltà di pensare Dio, sulla
scorta dell’eredità biblica, come il creatore dell’universo così come
ora lo conosciamo.
La Bibbia presenta Dio creatore del cielo e della terra in quanto
lo colloca in relazione con le sue creature ed è in questo contesto
che l’Adam occupa un posto particolare. Finché si raccontano le
storie bibliche si riesce ancora a pensare che Dio sia in relazione con
il suo mondo e con noi. Tuttavia ciò diviene assai poco pertinente
quando si vogliono incrociare quelle narrazioni con i modi contemporanei di descrivere il sorgere e l’espandersi del cosmo.
Eppure sembra di essere di fronte a una specie di coazione a ripetere: quasi ogni volta che ci si occupa dei primi capitoli della Genesi si affaccia l’ombra del confronto con la scienza.3 Di norma si
ripeterà che i discorsi vanno distinti, i piani separati e si aggiungerà
che non c’è opposizione tra fede e scienza e così via. Ma perché, allora, si continua a riproporre il problema? Forse semplicemente
perché ancora non ci si rassegna a considerare le storie della Genesi per quel che soprattutto sono: non una descrizione del sorgere
dell’universo ma una possibilità che ci è data di guardare al cielo e
alla terra con occhi consapevoli e benedicenti (il che, in effetti, costituisce una specie di variante «teologica» del sublime).
Piero Stefani
1
B. RUSSELL, L’incubo del teologo in Dio e la ragione, a cura di A. Seckel, Newton Compton, Roma 1994, 299-301 (il breve scritto risale al 1961).
2
Opere di Sant’Agostino, vol. XII/2, Città Nuova, Roma 2000, 124.
3
Non fanno eccezione al riguardo gli atti della XLI Settimana biblica nazionale (Roma, 6-10.9.2010), «Genesi 1-11 e le sue interpretazioni canoniche: un caso
di teologia biblica», in Ricerche storico bibliche 24(2012) 1-2, che si aprono con una
tavola rotonda dedicata a «Gen 1-11 tra esegesi e scienza» con interventi di U.
AMALDI, «Gen 1-11 e il “naturalismo duale”», e di G. RAVASI «L’uomo biblico e
la scienza moderna».
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Il n. 17 è stato spedito il 15.10.2012;
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In copertina:
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i lettori ci scrivono
Siria: una guerra regionale
con ramificazioni globali?
Caro direttore,
come contributo alla discussione sulla crisi siriana le invio questo
testo, tradotto dall’arabo e dall’inglese, che è stato pubblicato l’8 ottobre nel blog (http://amersabaileh.blogspot.com) di Amer Al Sabaileh.
«Mentre il percorso della crisi siriana si sta sempre più indirizzando
verso una soluzione politica, ci si aspetta un aumento della violenza. In
questi giorni la Siria sta diventando il bersaglio sempre più frequente di
attacchi terroristici.
Questi attentati riflettono gli sforzi da parte dei “nemici della Siria”
di far fallire il processo di transizione pacifica del paese portando a un
confronto militare diretto. Questo gruppo di paesi “anti-Siria” (Turchia, Qatar, Arabia Saudita) hanno la convinzione che una transizione
politica potrebbe avere un effetto destabilizzante per i loro paesi.
Porre fine alla violenza in Siria è stato il primo passo nella road map
dell’inviato dell’ONU a Damasco, Lakhdar Brahimi. Se non riuscisse a
porre fine alla violenza cadrebbe anche l’ultima speranza di trovare una
soluzione alla crisi.
Cosi l’attacco turco contro la Siria arriva in un momento in cui i
turchi si sentono abbandonati dai loro alleati coinvolti nella crisi siriana.
Né gli Stati Uniti né la NATO hanno espresso alcun interesse per
un’escalation militare della crisi siriana. In Turchia, molti sono consapevoli delle conseguenze dannose della crisi siriana all’interno della Turchia, sia sul piano politico sia su quello della sicurezza. Si comincia a
vedere che il governo di Recep Tayyip Erdogan sta portando la Turchia verso un futuro ignoto. Molte dichiarazioni del principale partito
d’opposizione, il Partito repubblicano del popolo, hanno evidenziato
questo rischio.
A partire dall’abbattimento del jet turco da parte della Siria nel giugno scorso, il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) attualmente al
potere ha cercato d’istigare a un atteggiamento “nazionalista” turco,
come unica via d’uscita dalla sua crisi interna.
Oggi, la risposta militare turca, dopo i colpi di mortaio provenienti
dai territori siriani, ha fornito il tanto atteso pretesto per trasformare
l’assetto del governo di Erdogan verso una forma simile a quello di unità
nazionale, essendo egli riuscito a ottenere l’appoggio del Parlamento
turco a ogni futuro intervento militare.
Questo via libera a un attacco alla Siria ha due vantaggi strategici:
innanzitutto, far ottenere al partito di Erdogan il consenso nazionale
riducendo la pressione interna. In secondo luogo, consente una maggiore libertà e spazio alla Turchia all’interno della Siria per creare nuovi
corridoi all’interno del paese che possano rafforzare la sua posizione in
Siria sostenendo i combattenti di Aleppo. Di fatto la Turchia non vuole
la guerra, ma ha un disperato bisogno di migliorare la propria situazione attuale.
Dopo gli scontri sui confini siro-turco, è chiaro che la crisi siriana ha
raggiunto un bivio decisivo, mettendo a rischio la missione di Brahimi.
Pertanto secondo numerosi osservatori, è facile che in un futuro ormai
prossimo la “lunga” crisi siriana si espanda nella regione, anche se a
nessuno è chiaro sin dove ciò avverrà.
Detto questo, il compito dell’intera comunità internazionale è
quello di decidere se andare a un nuovo “vertice di Yalta”, che potrebbe
garantire una transizione politica pacifica sotto l’egida internazionale,
o se invece rimanere spettatrice di una crudelissima guerra regionale
che ha imprevedibili conseguenze distruttive».
Lettera firmata
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Violenze sui minori:
una cultura della prevenzione
Su Regno-doc. 11,2012,362 ho letto le Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici, rese note il 22 maggio 2012
in apertura dell’Assemblea generale della CEI. Spero che il documento
pubblicato sia una bozza, stilata in fretta per rispettare la scadenza fissata
entro il mese di maggio e che i vescovi diocesani l’applichino con le necessarie integrazioni, nel rispetto della giustizia umana e del Vangelo. Nella
premessa il documento afferma che è compito della comunità ecclesiale affrontare la questione con spirito di giustizia. In tale prospettiva mi permetto
di presentare ai vescovi alcune osservazioni di un padre di 4 figli e con 10
nipoti, pensando ai quali sono rimasto turbato dalla lettura del testo CEI.
Quando avviene un abuso sessuale nei confronti di minori, o in quanto
di età inferiore ai 18 anni o in quanto mentalmente non in grado d’intendere e di volere, si è di fronte a un oppresso e a un oppressore. Il documento si occupa prevalentemente dell’oppressore e, per quanto riguarda
l’oppresso, si dice che «il vescovo dev’essere sempre disponibile ad ascoltare
la vittima e i suoi familiari», ma nulla si precisa poi in merito; poche parole
vaghe, inserite nella premessa, e poi nulla.
Nel Vangelo di Luca (cf. Lc 10,30-37) Gesù spiega che cosa dobbiamo
fare per mettere in pratica la legge dell’amore per Dio e per il prossimo. Di
fronte all’uomo oppresso e lasciato mezzo morto dai briganti, il sacerdote
e il levita che passano oltre forse sarebbero stati disposti ad ascoltare il ferito, ma questi non parlò. Gesù poi non si sofferma sui briganti, non dice
che sarebbe bene andarli a cercare per farli rinsavire, ma racconta l’esempio di un samaritano che si fa vicino all’oppresso, lo rialza e ha cura di lui.
Il 3 maggio 2011 il prefetto della Congregazione per la dottrina della
fede, il card. William Levada, aveva indirizzato alle conferenze episcopali
una circolare esplicativa «al fine di facilitare la retta applicazione» del motu
proprio del papa circa i delitti più gravi. I vescovi, ricorda la circolare,
hanno «il dovere di dare una risposta adeguata ai casi di eventuale abuso
sessuale» e «tale risposta comporta l’istituzione di procedure adatte ad assistere le vittime di tali abusi, nonché la formazione della comunità ecclesiale in vista della protezione dei minori» (Regno-doc. 11,2011,334).
Il documento della CEI non rispetta queste indicazioni, e con atteggiamento molto clericale ne recepisce solo un parte, quella relativa agli oppressori. La circolare ricorda anche che «in particolare va sempre dato
seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento
dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale» (ivi, 335). Il documento della CEI si nasconde dietro a una norma
del Concordato con lo stato italiano, in base alla quale il vescovo può esimersi dal fornire qualsiasi collaborazione, anche quando non si tratti del
foro interno sacramentale. Il vescovo, pastore, nel quale è presente il Signore Gesù Cristo (LG 21; EV 1/334) può lavarsene le mani, non occuparsi dell’oppresso, ma benignamente lasciargli la libertà, che non gli può
togliere, «d’intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà opportune». E
se è povero, poco istruito o se teme il discredito della società ed è bloccato
dalla vergogna, si arrangi. Infine, se occuparsi del problema è compito della
comunità ecclesiale, sarebbe interessante sapere quanti laici con prole,
quanti psicologi e sociologi, quanti consigli pastorali diocesani sono stati
ascoltati, per un consiglio, prima della stesura del documento.
Mi auguro che l’argomento non venga sepolto in silenzio ma che nelle
diocesi se ne parli, perché, con maggior sensibilità, si cerchi di prevenire il
verificarsi di abusi e s’instauri una prassi di attenzione e di cura per gli eventuali abusati.
Chivasso, 3 luglio 2012.
Gianfranco Pipino
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Nel fuoco della malattia
«Accettazione senza rassegnazione», le parole di Lina Biora
“
IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
S
tavolta narro con
poche parole mie e
molte sue la storia
di una cristiana dei giorni nostri da
me conosciuta quasi casualmente:
Lina Sorrenti Biora, torinese, morta
di tumore il 13 giugno 2012 a 65 anni.
Un comune amico, Luigi Amigoni,
padre somasco, fu all’origine della nostra conoscenza che poi trovò vie sue
negli anni della malattia. Riporto qualcosa dei messaggi di posta elettronica
scambiati dall’aprile del 2009 al maggio del 2012. Ci sono stati anche degli
incontri, sei in tutto, tre a Torino e tre
a Roma. Ma la sostanza della nostra
corrispondenza è nella ricerca dell’atteggiamento del cristiano nella malattia. Una ricerca che lei, colta e umile,
conduceva con docilità e che io – come
potevo – accompagnavo.
Il primo accenno al male è dell’11
gennaio 2009: «È questa una fase
molto speciale della mia vita, che ha
aperto nuovi orizzonti e che al momento riesco a vivere, nonostante
tutto, come una benedizione».
STO VIVENDO TUTTO
CON SERENITÀ
Tre mesi più tardi mi scrive le parole che ritengo centrali della sua vi-
cenda con i medici e con il Signore:
«Sto vivendo tutto con serenità, dopo
aver superato le varie fasi ed essere
arrivata all’accettazione, senza rassegnazione. La malattia è comunque
una grande esperienza che se vissuta
in un certo modo, ti fa cambiare, ti
arricchisce e porta del bene anche a
chi ti è accanto» (12.4.2009). Accettazione senza rassegnazione mi pare
un buon motto, lo leggo nello spirito
di Paolo, 2Cor 6,10: «Afflitti ma sempre lieti».
Già quattro mesi prima aveva inviato auguri di Natale con parole
analoghe a un’amica romana di
nome Elvira, che me le ha trasmesse:
«Mai come quest’anno, per accadimenti diversi, mi sono sentita pacificata e ho avuto la sensazione di vivere in pienezza il Natale. Sono
approdata alla fase dell’accettazione
e dell’offerta della malattia. Riesco,
ora, a considerare anche questo una
benedizione, da cui mi sento avvolta».
Il 5 agosto 2009 avviene il primo
incontro romano a una messa del padre Amigoni che tre giorni dopo così
commenta: «La cripta di sant’Alessio
e le mani alzate per la preghiera del
Padre nostro sono il ricordo che custodirò (…). La recidiva della mia
malattia è stata per il momento neutralizzata, questo vuol dire che nell’immediato futuro non ci sarà più
chemio. E il resto sarà... vita, da vivere con gioia e in rendimento di
grazie». Lina fa consistere il suo rendimento di grazie nell’onorare la
vita, nel goderla.
Torna presto la chemio e torna
la parola «accettazione»: «Non voglio renderti triste, non lo sono neanch’io in questo momento. Semplicemente mi sembrava giusto farti
partecipe. Sono fiduciosa di poter superare ancora questo passaggio accettandolo e vivendolo, cercando di
trarne insegnamento. Sono circon-
data da grande, grandissimo affetto a
cui attingo a piene mani» (12.
11.2009).
Altra parola chiave è «affidamento», qui compare negli auguri
per il Natale 2009: «In questi giorni
ho visto e raccolto lacrime di persone care ma anche gioia e trepidazione di bimbi in attesa. Buon Natale
di speranza, di fiducia, di affidamento».
Lina segue il mio blog. In esso
pubblico una Parabola del medico che
poteva operare miracoli (30.7.2009)
nella quale nomino «quelli che la
chemio aveva fatto calvi». Lei vi si
riconosce e giusto un anno dopo mi
dà questo riscontro: «Caro Luigi, è
passato un anno, i capelli sono tornati e insieme a essi, alcuni semi di
speranza che ben lasciano immaginare prospettive di risanamento. Per
tutto ho ringraziato il Signore e lo
faccio anche ora, insieme a te» (30.7.
2010).
L’ATTESA PIÙ GRANDE:
VEDERE CRESCERE I NIPOTI
Con incredibile libertà mi regala
libri che parlano di malattie e io la ricambio con la stessa libertà e lei così
reagisce: «Che bello e che gioia leggerti! Sto bene, nonostante tutto! Il
problema non è ancora risolto ma
sono tranquilla. Tanti sono i motivi e
le circostanze che mi spronano ad
accettare pienamente e a vivere al
meglio quanto accade» (14.9.2010).
Con i post del mio blog sviluppo
una specie di novena sull’attesa del
Natale e lei – nonna affettuosa – mi
confida «l’attesa più grande: la possibilità di avere discreta salute per
vedere crescere e continuare ad
amare i miei nipoti» (24.12.2010).
Un pellegrinaggio in Terra Santa
la riempie di gratitudine ma è grata
anche di una nevicata piemontese,
capace sempre di restare «serena»
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nella precarietà: «Ho trascorso una
settimana incredibile, densa di emozioni, pensieri, preghiere, ricordi, con
balzi tra passato e presente e qualche
incerto ma sereno pensiero sul futuro. Ho letto che sei tornato in Piemonte e hai gioito per il paesaggio
sotto la neve. Sono riuscita anch’io a
vedere la nevicata, forse l’ultima di
questo inverno» (5.3.2011).
Il male si aggrava. Le chiedo se
posso vederla in occasione di una mia
puntata a Torino per la Fiera del libro e lei – gioiosa – organizza il nostro ultimo incontro: «Io purtroppo
da due mesi a questa parte non guido
più e sono limitata nei miei movimenti. È felice però di fare la tua conoscenza e di accompagnarmi in
questo giro, mia figlia. Quindi veniamo a prenderti in albergo per le
8.15…». (9.5.2012).
CON L’AIUTO DI TUTTI
VADO AVANTI
Sono state ore di luce, lievitate dall’arte di vivere pellegrina che aveva
maturato e che in un testo riportato
sopra denomina come «vivere al meglio quanto accade».
Rientrato a Roma le ho inviato in
ringraziamento questa email: «Lina
cara è stato bello incontrarci ancora
una volta pur nella tua fatica. “È stata
un’ottima proposta quella di stare insieme a messa perché quest’anno non
penso che potrò venire a Sant’Alessio”
– hai detto subito –. Ogni momento di
quelle due ore e mezza è stato fruttuoso. Grazia che sposta il seggiolino
dal sedile posteriore dell’automobile
perché io mi possa sedere accanto a te.
Tu che mi spieghi sveltamente il percorso e gli orari e mi mostri la tua casa
e il Castello di Moncalieri e dici “questo è il nostro quartiere, questa la nostra chiesa”. Hai rievocato il nostro
primo incontro a “Torino Spiritualità”
nel 2005 e come ti eri decisa – con
l’aiuto di un’amica – a presentarti e a
salutarmi. “Per fortuna che l’ho fatto”
dicevi. Mi avevi stampato da Internet
le notizie sulla chiesa alla quale mi hai
portato, Santa Maria di Testona: “Così
le potrai leggere con comodo”.
Quando siamo arrivati al centro di
Moncalieri hai commentato che “sarebbe stato più bello venire a messa
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IL REGNO -
AT T UA L I T À
18/2012
Pagina 648
qui ma bisogna salire troppi gradini”.
Hai mandato Grazia a comprare i
gianduiotti da regalarmi e hai scelto il
bar: “Andiamo a salire più avanti ché
ci sono meno gradini”. Cadeva qualche goccia di pioggia, la banda suonava. “Più tardi ci saranno le prime
comunioni” – mi dicevi –. Un poco ti
appoggiavi a Grazia e un poco a me.
“Con l’aiuto di tutti vado avanti” dicevi. E ancora: “Ci vuole pazienza
ma va bene anche così”. Ti avevo portato i due libri che nella giornata avrei
presentato al Salone.
“Ho pensato di trattarti come se tu
stessi bene” – ho detto – e ti sei fatta
una bella risata dicendo “ma sì, anche
in queste situazioni è bene ridere un
po’ di noi stessi”. Infine il Lingotto
dove hai detto: “Luigi io non scendo,
ti saluto da qui”. E mi spiegavi come
avrei dovuto fare al ritorno, con i taxi
o con la metropolitana».
HO PENSATO DI TRATTARTI
COME SE TU STESSI BENE
Rispose festosa al mio messaggio
narrativo: «Luigi caro, riassumo il
tuo scritto, che mi ha lasciata letteralmente senza fiato e con grande
commozione, con le parole: “Ho
pensato di trattarti come se tu stessi
bene”. Grazie Luigi per questa tua
sapiente scelta che ho messo accanto
alla tua mano che stringeva la mia,
già al momento del canto d’inizio
della messa. Ogni altra parola sarebbe superflua» (15.5.2012).
Le scrivo ancora il 21 maggio per
dirle che il giorno prima, l’avevamo
ricordata a messa, Isa e io. Risponde
il 22 che anche lei a messa ci ha ricordati «rinnovando in me, gli stessi
“
IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
647-648_vergogno:Layout 2
sentimenti di gioia di partecipazione
e di gratitudine al buon Dio». Sono
le ultime parole che mi ha donato.
Il marito Beppe, i figli Grazia e
Gabriele, l’amico p. Amigoni mi
hanno narrato altre sue parole, a partire da queste: «Oggi me la voglio
proprio prendere con calma», che
era diventato un suo motto nell’ultima stagione che la costringeva a ritagliare spazi vivibili in giornate tribolate.
«PERCHÉ PROPRIO A TE?»
«PERCHÉ NON A ME?»
Poi una parola più impegnativa,
quasi cristologica, da riferire cioè al
«do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia
carne» (Col 1,24). La dice a Grazia
in risposta a una sua protesta per le
sofferenze della mamma: «Perché
proprio a te?». Lina le risponde: «Ma
perché non a me?». «Come a dire:
“Chi sono io per non condividere le
sofferenze di tutti, per non essere degna di patire per il Signore?”».
Questo commento è del padre
Amigoni che mi ha passato due email
di Lina sulla capacità di nominare la
morte: «La parola “morte” non è
presente quando parlo con altri, e
pensandoci bene forse mi darebbe
anche fastidio» (7.11.2010). «La levità e il modo quasi gioioso con cui
parliamo, da tempo ormai, della malattia e della fine della vita non ha riscontro con altre persone. So che,
nonostante tutto questo, i momenti
tristi e insopportabili arriveranno ma
intanto vivo gioiosamente e serena»
(28.11.2010).
Infine l’ultima parola, nella difficoltà del respiro, poco prima del trapasso: «Aiutami». Le tenevano la
mano e le regolavano l’ossigeno
Beppe e Grazia ma la loro impressione è che quella parola avesse altro
destinatario. Le aggiustano il cuscino
e lei ripete: «Aiutami». «Il suo
sguardo però, assai provato, era rivolto non a noi che stavamo ai lati del
letto, ma un po’ verso l’alto davanti a
sé. Il tono della voce era dolce ma
fermo allo stesso tempo».
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
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quindicinale di attualità e documenti
! ! WA LT E R K A S P E R
A
ttualità
CHI CREDE
15.10.2012 - n. 18 (1131)
Libri del mese
577 (G. Brunelli)
Benedetto XVI – Anno della fede:
la fede e la riforma della Chiesa
578 (D. Sala)
Ecumenismo – Chiesa d’Inghilterra:
ministero di unione
{ Intervista all’arcivescovo
di Canterbury Rowan Williams }
Il dono di contemplare (D. S.)
581 (U. Ruh)
Germania – Vescovi cattolici:
se uno esce dalla Chiesa
{ Premesse e conseguenze
del nuovo Decreto generale }
583 (D. S.)
Germania – Ecumenismo
Un appello: unità ora
584 (D. S.)
Austria – Vienna
Comunità parrocchiali e filiali
Caro lettore,
presentandole questo nuovo numero de
Il Regno - attualità, che esce mentre
prende avvio l’Anno della fede, la
invitiamo ad accompagnarci anche nei
prossimi mesi nel nostro lavoro
d’informazione e ricerca. Questa
redazione le riconferma, da parte
sua, il desiderio e l’impegno di
accompagnare ciascuno di voi in
questo anno, offrendo uno sguardo il
più possibile documentato e incisivo
sugli avvenimenti che costruiscono il
cammino della Chiesa nella storia,
un’interpretazione – alla luce della
fede – dell’attualità, un aiuto alla
formazione di una coscienza cristiana
e responsabile. A voi lettori chiediamo
ancora una volta d’essere con noi,
rinnovando o sottoscrivendo
l’abbonamento.
Avervi con noi ci è necessario non
solo sotto l’aspetto economico, che
pure è indispensabile in quanto ci
permette quella libertà che è
riconosciuta da tutti. Ma anche per il
contributo di pensiero ed esperienza
di ciascuno di voi, perché – e anche
questo è un punto di forza – la
rivista la costruiamo insieme.
R
585 (D. S.)
Repubblica Ceca – Stato e Chiesa
Risarcimenti appesi a un filo
586 (M. B.)
Francia – Matrimonio omosessuale
Aprire il dibattito
587 (F. Strazzari)
Portogallo – Il fenomeno Fatima:
un luogo di cultura materna
{ Colloquio con il vescovo
Antonio dos Santos Marto }
590 (C. Sciuto)
Italia – Catechesi:
comunità formazione iniziazione
{ Tre parole chiave dai
convegni catechistici regionali }
594 (G. B.)
Calabria – Chiesa e mafia
Siete contro Dio: convertitevi
603 (S. Orth)
609
Schede (a cura di M.E. Gandolfi)
Segnalazioni
620 (M.E. Gandolfi)
Chiavi di lettura
L’affollato scaffale del Concilio
620 (Aa.Vv.)
M. Vergottini, Perle del Concilio
622 (P. Grassi)
Aa. Vv., «Nuovi ateismi
e antiche idolatrie» (Hermeneutica)
624 (F. Datola)
Africa – Etiopia: dopo Zenawi
{ Luci e ombre
di una figura carismatica }
626 (F. D.)
Kenya-Somalia – Islamisti
Vendette
627 (M. Castagnaro)
Venezuela – Elezioni
Chávez fino al 2019
628 (M. C.)
Paraguay – Crisi istituzionale
Lugo destituito
629 (M.E. Gandolfi)
Australia – Chiesa e violenze
sui minori: la guarigione è lontana
{ E l’opinione pubblica incalza }
631 (D. Sala)
Diario ecumenico
646
Italia-Convegni – 50° Vaticano II:
riaprire il cantiere
{ L’Assemblea nazionale
Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri }
601 (M. Neri)
Italia-Convegni – Teologia:
corpo e sacramento
{ Una lettura fenomenologica }
2. LA FEDE NELLA VITA CRISTIANA
pp. 264 - € 19,50
Studio del mese
599 (G. Forcesi)
597 (Maria Bombardieri)
Italia – Islam a Milano
Un albo per il culto
pp. 224 - € 17,50
Agenda vaticana
598 (M. Bo.)
Italia-Islam – Satira sul Profeta
Reazioni composte
Volontariato – La proposta del MoVI:
le strade della prossimità
{ Un manifesto per andare oltre il
professionismo della solidarietà }
1. IL SÌ DI DIO E L’AGIRE CRISTIANO
632 (L. Accattoli)
{ Unione Europea: una crisi
più che economica }
633 (B. Spinelli)
L’Europa imbalsamata,
mentre la storia precipita
641 (T. Subini)
Cinema – I colori della passione:
d’arte, di storia e di fede
{ L’andata al Calvario di Bruegel }
644 (P. Stefani)
Parole delle religioni
Il Dio creatore
595 (MoVI)
NON TREMA
Disintossicare l’eros
{ La recente discussione teologica }
!
I lettori ci scrivono
647 (L. Accattoli)
Io non mi vergogno del Vangelo
Nel fuoco della malattia.
Accettazione senza rassegnazione,
le parole di Lina Biora
Colophon a p. 645
EDB
"! 
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