REGATT 18-2012 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/10/2012 11.27 Pagina 4 STORIA DEL CONCILIO VATICANO II diretta da Giuseppe Alberigo Edizione italiana a cura di Alberto Melloni CINQUE VOLUMI Per un evento epocale, una grande opera di storia In occasione del cinquantenario dell’apertura del concilio Vaticano II, il Mulino ripropone, in una nuova edizione a cura di Alberto Melloni, la grande Storia del concilio Vaticano II promossa dalla Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna e coordinata da Giuseppe Alberigo. quindicinale di attualità e documenti 2012 Sono disponibili i primi due volumi: I. Il cattolicesimo verso una nuova stagione L’annuncio e la preparazione (gennaio 1959-settembre 1962) ISBN 978-88-15-23971-6, pp. 632, € 40,00 18 II. La formazione della coscienza conciliare 16 Il primo periodo e la prima intersessione (ottobre 1962-settembre 1963) ISBN 978-88-15-23972-3, pp. 680, € 40,00 Attualità 578 581 590 603 633 una pietra miliare negli studi sul concilio una ricchissima base documentaria inedita una lettura classica e insieme attualissima nuova introduzione di Alberto Melloni nuovo apparato iconografico a cura di Federico Ruozzi Williams: ministero di unione Uscire dalla Chiesa? CEI, la catechesi al centro Disintossicare l’eros Studio del Mese Europa imbalsamata B. Spinelli: una crisi più che economica Anno LVII - N. 1131 - 15 ottobre 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO – Strada Maggiore 37 – 40125 Bologna – Tel. 051/256011 – E-mail: [email protected] – www.mulino.it pagina_ConcilioVaticanoII.indd 1 25/10/12 15.33 REGATT 18-2012 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/10/2012 11.27 Pagina 4 STORIA DEL CONCILIO VATICANO II diretta da Giuseppe Alberigo Edizione italiana a cura di Alberto Melloni CINQUE VOLUMI Per un evento epocale, una grande opera di storia In occasione del cinquantenario dell’apertura del concilio Vaticano II, il Mulino ripropone, in una nuova edizione a cura di Alberto Melloni, la grande Storia del concilio Vaticano II promossa dalla Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna e coordinata da Giuseppe Alberigo. quindicinale di attualità e documenti 2012 Sono disponibili i primi due volumi: I. Il cattolicesimo verso una nuova stagione L’annuncio e la preparazione (gennaio 1959-settembre 1962) ISBN 978-88-15-23971-6, pp. 632, € 40,00 18 II. La formazione della coscienza conciliare 16 Il primo periodo e la prima intersessione (ottobre 1962-settembre 1963) ISBN 978-88-15-23972-3, pp. 680, € 40,00 Attualità 578 581 590 603 633 una pietra miliare negli studi sul concilio una ricchissima base documentaria inedita una lettura classica e insieme attualissima nuova introduzione di Alberto Melloni nuovo apparato iconografico a cura di Federico Ruozzi Williams: ministero di unione Uscire dalla Chiesa? CEI, la catechesi al centro Disintossicare l’eros Studio del Mese Europa imbalsamata B. Spinelli: una crisi più che economica Anno LVII - N. 1131 - 15 ottobre 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO – Strada Maggiore 37 – 40125 Bologna – Tel. 051/256011 – E-mail: [email protected] – www.mulino.it pagina_ConcilioVaticanoII.indd 1 25/10/12 15.33 REGATT 18-2012 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/10/2012 11.27 Pagina 2 quindicinale di attualità e documenti ! ! WA LT E R K A S P E R A ttualità CHI CREDE 15.10.2012 - n. 18 (1131) Libri del mese 577 (G. Brunelli) Benedetto XVI – Anno della fede: la fede e la riforma della Chiesa 578 (D. Sala) Ecumenismo – Chiesa d’Inghilterra: ministero di unione { Intervista all’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams } Il dono di contemplare (D. S.) 581 (U. Ruh) Germania – Vescovi cattolici: se uno esce dalla Chiesa { Premesse e conseguenze del nuovo Decreto generale } 583 (D. S.) Germania – Ecumenismo Un appello: unità ora 584 (D. S.) Austria – Vienna Comunità parrocchiali e filiali Caro lettore, presentandole questo nuovo numero de Il Regno - attualità, che esce mentre prende avvio l’Anno della fede, la invitiamo ad accompagnarci anche nei prossimi mesi nel nostro lavoro d’informazione e ricerca. Questa redazione le riconferma, da parte sua, il desiderio e l’impegno di accompagnare ciascuno di voi in questo anno, offrendo uno sguardo il più possibile documentato e incisivo sugli avvenimenti che costruiscono il cammino della Chiesa nella storia, un’interpretazione – alla luce della fede – dell’attualità, un aiuto alla formazione di una coscienza cristiana e responsabile. A voi lettori chiediamo ancora una volta d’essere con noi, rinnovando o sottoscrivendo l’abbonamento. Avervi con noi ci è necessario non solo sotto l’aspetto economico, che pure è indispensabile in quanto ci permette quella libertà che è riconosciuta da tutti. Ma anche per il contributo di pensiero ed esperienza di ciascuno di voi, perché – e anche questo è un punto di forza – la rivista la costruiamo insieme. R 585 (D. S.) Repubblica Ceca – Stato e Chiesa Risarcimenti appesi a un filo 586 (M. B.) Francia – Matrimonio omosessuale Aprire il dibattito 587 (F. Strazzari) Portogallo – Il fenomeno Fatima: un luogo di cultura materna { Colloquio con il vescovo Antonio dos Santos Marto } 590 (C. Sciuto) Italia – Catechesi: comunità formazione iniziazione { Tre parole chiave dai convegni catechistici regionali } 594 (G. B.) Calabria – Chiesa e mafia Siete contro Dio: convertitevi 603 (S. Orth) 609 Schede (a cura di M.E. Gandolfi) Segnalazioni 620 (M.E. Gandolfi) Chiavi di lettura L’affollato scaffale del Concilio 620 (Aa.Vv.) M. Vergottini, Perle del Concilio 622 (P. Grassi) Aa. Vv., «Nuovi ateismi e antiche idolatrie» (Hermeneutica) 624 (F. Datola) Africa – Etiopia: dopo Zenawi { Luci e ombre di una figura carismatica } 626 (F. D.) Kenya-Somalia – Islamisti Vendette 627 (M. Castagnaro) Venezuela – Elezioni Chávez fino al 2019 628 (M. C.) Paraguay – Crisi istituzionale Lugo destituito 629 (M.E. Gandolfi) Australia – Chiesa e violenze sui minori: la guarigione è lontana { E l’opinione pubblica incalza } 631 (D. Sala) Diario ecumenico 646 Italia-Convegni – 50° Vaticano II: riaprire il cantiere { L’Assemblea nazionale Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri } 601 (M. Neri) Italia-Convegni – Teologia: corpo e sacramento { Una lettura fenomenologica } 2. LA FEDE NELLA VITA CRISTIANA pp. 264 - € 19,50 Studio del mese 599 (G. Forcesi) 597 (Maria Bombardieri) Italia – Islam a Milano Un albo per il culto pp. 224 - € 17,50 Agenda vaticana 598 (M. Bo.) Italia-Islam – Satira sul Profeta Reazioni composte Volontariato – La proposta del MoVI: le strade della prossimità { Un manifesto per andare oltre il professionismo della solidarietà } 1. IL SÌ DI DIO E L’AGIRE CRISTIANO 632 (L. Accattoli) { Unione Europea: una crisi più che economica } 633 (B. Spinelli) L’Europa imbalsamata, mentre la storia precipita 641 (T. Subini) Cinema – I colori della passione: d’arte, di storia e di fede { L’andata al Calvario di Bruegel } 644 (P. Stefani) Parole delle religioni Il Dio creatore 595 (MoVI) NON TREMA Disintossicare l’eros { La recente discussione teologica } ! I lettori ci scrivono 647 (L. Accattoli) Io non mi vergogno del Vangelo Nel fuoco della malattia. Accettazione senza rassegnazione, le parole di Lina Biora Colophon a p. 645 EDB "! 577_edit:Layout 2 26-10-2012 9:05 Pagina 577 e ditoriale BENEDETTO XVI Anno della fede La fede e la riforma della Chiesa L’omelia che Benedetto XVI ha pronunciato l’11 ottobre scorso in occasione dell’apertura dell’Anno della fede, nel 50° dell’inizio del concilio Vaticano II, di fronte ai padri sinodali radunati a Roma per il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, riassume il centro del suo pensiero sulla testimonianza della Chiesa nel mondo contemporaneo. Il testo prelude alla prossima enciclica sulla fede, annunciata entro l’anno celebrativo. E assieme al discorso sull’ermeneutica del Concilio, tenuto alla curia romana il 22 dicembre 2005, presenta i motivi fondamentali del pontificato di Benedetto. «In questi decenni è avanzata una “desertificazione” spirituale. Che cosa significasse una vita, un mondo senza Dio, al tempo del Concilio lo si poteva già sapere da alcune pagine tragiche della storia, ma ora purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi. È il vuoto che si è diffuso». Ma nel deserto «si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede (…). La fede vissuta apre il cuore alla grazia di Dio che libera dal pessimismo. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada». Il papa inserisce questo anno speciale nel cammino postconciliare della Chiesa: dall’Anno della fede indetto da Paolo VI nel 1967, al Grande giubileo del 2000 di Giovanni Paolo II. Egli rilegge con ciò il magistero dei papi conciliari e postconciliari, e lo fa definendo una scala di ur- genze e di priorità per la Chiesa. Benedetto XVI ha una percezione drammatica del destino del mondo attuale e delle sorti della fede, e l’interrogativo su quale fede per quale evangelizzazione è centrale nel suo magistero. «Il concilio Vaticano II – egli dice – non ha voluto mettere a tema la fede in un documento specifico. E tuttavia, esso è stato interamente animato dalla consapevolezza e dal desiderio di doversi, per così dire, immergere nuovamente nel mistero cristiano, per poterlo riproporre efficacemente all’uomo contemporaneo». Benedetto ritiene che la Chiesa abbia bisogno di una profonda riforma, dal momento che sembra non possedere più il linguaggio per parlare agli uomini di oggi, che il suo annuncio non venga udito, che vi sia come una frattura, per dir così, tra la domanda e l’offerta, tra il bisogno e la risposta. Si tratta per Benedetto di una riforma dal profilo prevalentemente spirituale, secondo la dinamica del pentimento e della purificazione, che ridia nuovo slancio e nuova passione ai cristiani, ma non riapra aspre discussioni dottrinali che rischiano di mettere in questione il depositum fidei. «Durante il Concilio vi era una tensione commovente nei confronti del comune compito di far risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né tenerla legata al passato (…). Perciò ritengo che la cosa più importante (…) sia ravvivare in tutta la Chiesa quella positiva tensione, quell’anelito a riannunciare Cristo all’uomo contemporaneo. Ma affinché questa spinta interiore alla nuova evangelizzazione non rimanga soltanto ideale e non pecchi di confusione, occorre che essa si appoggi a una base concreta e precisa, e questa base sono i documenti del concilio Vaticano II, nei quali essa ha trovato espressione. (…) Il riferimento ai documenti mette al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti, e consente di cogliere la novità nella continuità». Torna qui il tema dell’ermeneutica del Concilio come ermeneutica della riforma nella continuità, così come il papa l’ha definita, che mette in evidenza il primato della fede nella vita della Chiesa: «La fede stessa, in tutta la sua grandezza e ampiezza, è sempre nuovamente la riforma ecclesiale di cui noi abbiamo bisogno» (cf. anche il motu proprio Porta fidei). Il tema della riforma della Chiesa, nelle sue dimensioni spirituali, ma anche strutturali (non vanno dimenticate), è assai caro alla riflessione della tradizione cristiana e attraversa l’intera storia della Chiesa. Così come nei testi conciliari sono molteplici e piuttosto esigenti i riferimenti in merito. È forse utile in proposito richiamare anche la categoria di «sviluppo» utilizzata da John Henry Newman. Nel suo Lo sviluppo della dottrina cristiana (1845), egli configura il rapporto fra tradizione e riforma come una continuità di principi che anche in passato ha incluso nuove definizioni, recezioni creative e diverse inculturazioni. Dunque uno sviluppo nella comprensione, un rinnovamento che non è semplicemente innovazione, ma che esprime piuttosto il concetto biblico di «nuovo». Mantenere nuova, giovane la tradizione era in fondo l’ermeneutica roncalliana dell’evento conciliare, atteso da Giovanni XXIII come una «nuova Pentecoste». Gianfranco Brunelli IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 577 578-580_articolo sala:Layout 2 25-10-2012 18:53 Pagina 578 Chiesa d’Inghilterra ECUMENISMO m inistero di unione M I n t e r v i s t a a l l ’ a r c i v e s c o v o d i C a n t e r b u r y, Ro w a n Wi l l i a m s ancano poche settimane alla conclusione del suo decennio1 alla guida della Chiesa d’Inghilterra come 104° arcivescovo di Canterbury, primus inter pares tra i vescovi della Comunione anglicana, instancabile tessitore di «trame d’affetto» tra le anime liberal e conservatrice all’interno della sua Chiesa e dell’intera Comunione, ma anche tra le diverse confessioni dell’unica Chiesa di Cristo, in un tornante segnato dalla «crisi della comunione»2 per le Chiese anglicane e da un clima invernale nel movimento ecumenico. Teologo e poeta, Rowan Douglas Williams ha coniugato un tratto pro- fondamente spirituale3 con una capacità di leggere le vicende storiche, che si è tradotta in interventi pubblici talora critici nei confronti del governo inglese: è il caso della guerra in Iraq, nel 2003, o della riflessione sul progetto della «Big society» nel 2011, o del rapporto tra fede, democrazia e modello economico dello stato-mercato.4 L’ho incontrato il 16 settembre a Bose: in una sorta di ritorno all’origine, la comunità monastica ha voluto dedicare all’arcivescovo una giornata di ringraziamento in virtù del profondo legame di amicizia che li lega sin da quando, nel 2003, Rowan Williams vi soggiornò in ritiro spirituale prima di entrare a Canterbury. – Sua grazia, tra pochi mesi lei la- Rowan Douglas Williams, 104° arcivescovo di Canterbury. 578 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 scerà l’incarico di arcivescovo di Canterbury. Quali sono i suoi sentimenti? «Moltissima gratitudine per il sostegno e la preghiera della gente della mia Chiesa e di altre Chiese (nelle mie visite al monastero di Bose sono sempre stato consapevole del sostegno anche di questa comunità), ed entrambi sono stati qualcosa di molto importante per me in questi dieci anni. In secondo luogo penso a tutte le tensioni e difficoltà che ci sono state durante questo periodo nella nostra Comunione, e il mio sentimento è la speranza che questo sostegno continui a tenerla unita e a non farla spaccare. Personalmente cercherò di cogliere l’occasione per ritornare a scrivere, pregare, … provare a essere un cristiano». – Di che cosa ha bisogno la Chiesa d’Inghilterra? «Negli ultimi anni abbiamo fatto alcuni progressi importanti verso nuovi stili di missione. Abbiamo costituito nuove comunità, alcune delle quali s’incontrano nei giorni feriali, altre sono composte da giovani, nuovi tipi di aggregazioni costituite da piccoli gruppi con un’esperienza molto intensa di lettura della Parola e servizio vicendevole; sono circa 2.000. Spero che nel futuro la mia Chiesa continui su questo stile di missione. E penso che sia altrettanto importante che ricordi che cosa significhi essere Chiesa, qualcosa che esiste per la volontà di Dio e l’azione di Cristo, non solo un concetto sociologico. A volte in Inghilterra siamo tentati di proporre solo una cultura religiosa, mentre abbiamo bisogno di ricordare che siamo Chiesa. 578-580_articolo sala:Layout 2 WILLIAMS AL 25-10-2012 SINODO 18:53 Pagina 579 S U L L A N U O VA E VA N G E L I Z Z A Z I O N E Il dono di contemplare L’ intervento dell’arcivescovo Rowan Williams alla XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, il 10 ottobre a Roma (testo integrale sul sito web www.vatican.va), ha illuminato una prospettiva inconsueta rispetto a questo tema, che Benedetto XVI ha investito di grande attenzione ponendolo al culmine del proprio pontificato (cf. in questo numero a p. 517). «L’evangelizzazione, vecchia o nuova che sia, deve radicarsi in una profonda fiducia che tutti noi abbiamo uno specifico destino umano da mostrare e da condividere con il mondo», ha detto Williams, perché «proclamare il Vangelo equivale a proclamare che in definitiva è possibile essere veramente umani», e ciò corrisponde a un rinnovamento dell’antropologia cristiana portato dal concilio Vaticano II. E «l’umanità in cui cresciamo nello Spirito, l’umanità che cerchiamo di condividere con il mondo come frutto dell’opera redentrice di Cristo è un’umanità contemplativa». Questo è il dono che noi cristiani possiamo portare ai nostri «fratelli nell’umanità». La contemplazione «è ben lungi dall’essere semplicemente qualcosa che fanno i cristiani: è la chiave della preghiera, delle liturgia, dell’arte e dell’etica, la chiave dell’essenza dell’umanità rinnovata che è in grado di vedere il mondo ed altri soggetti nel mondo con libertà». Rappresenta «l’unica risposta definitiva al mondo irreale e folle che i nostri sistemi finanziari, la nostra cultura pubblicitaria e le nostre emozioni caotiche e incontrollate ci incoraggiano ad abitare. Imparare la pratica contemplativa significa imparare ciò di cui abbiamo bisogno per vivere fedelmente, onestamente e amorevolmente. Si tratta di un fatto profondamente rivoluzionario». La conversione alla fede «non significa semplicemente acquisire un nuovo bagaglio di credenze, ma diventare una persona nuova, una persona in comunione con Dio e con gli altri attraverso Gesù Cristo», e questo processo di trasformazione ha come elemento intrinseco l’esercizio della contemplazione. A mano a mano che esso si svolge, scopro la maniera in cui devo guardare altre persone e cose Dobbiamo tenere insieme questi due aspetti: approccio creativo e consapevolezza di essere Chiesa, chiamata da Dio». Arrivare alle persone – Qual è la condizione del cristianesimo nel Regno Unito? Quale ruolo può avere oggi? «Non penso che la situazione sia così negativa come alcuni la dipingono. La partecipazione al culto è certamente molto diminuita, se la paragoniamo a quella di 100 o anche di 50 anni fa, ma c’è ancora un interesse nei confronti della fede cristiana e del suo sguardo sulla realtà. Nella maggior parte dei casi è ben visto il coinvolgimento della parrocchia nella vita della comunità ci- per ciò che sono in relazione a Dio, non a me. Ed è qui che, come il vero amore, l’autentica giustizia trova le sue radici». Se dunque, ha proseguito l’arcivescovo di Canterbury, «l’evangelizzazione consiste nel mostrare “senza veli” al mondo il volto umano che riflette il volto del Figlio rivolto verso il Padre, allora deve accompagnarsi a un impegno serio per la promozione di tale preghiera e di tali pratiche». Si dà qui lo spazio per sviluppare l’ecumenismo spirituale come «una ricerca condivisa per promuovere e per sviluppare discipline di contemplazione con la speranza di svelare il volto della nuova umanità. E quanto più ci distanziamo gli uni dagli altri in quanto cristiani, tanto più quel volto apparirà meno convincente». «Ciò che la gente di ogni età riconosce in queste pratiche è, semplicemente, la possibilità di vivere in maniera più umana: vivere con un desiderio meno marcato di possedere, vivere con uno spazio di quiete, vivere nell’attesa di apprendere e, soprattutto, vivere con la consapevolezza che esiste una gioia salda e durevole, che va scoperta in quella disciplina del dimenticare sé stessi che è ben diversa dalla gratificazione di questo o di quell’impulso momentaneo. Se la nostra evangelizzazione non riesce ad aprire la porta a tutto ciò, rischierà di cercare di far poggiare la fede sul fondamento di un insieme non trasformato di abitudini umane, (...) e il risultato ben noto sarà che la Chiesa apparirà disgraziatamente altrettanto ansiosa, affaccendata, competitiva e dominante quanto molte altre istituzioni puramente umane. In un senso molto importante, un’autentica iniziativa di evangelizzazione sarà sempre anche una nuova evangelizzazione di noi stessi come cristiani, una riscoperta del motivo per cui la nostra fede è diversa, perché trasfigura; insomma, un ripristino della nostra nuova umanità». «Nelle nostre riflessioni su come fare affinché il Vangelo di Cristo torni ancora una volta a essere irresistibilmente attraente per gli uomini e per le donne del nostro tempo, spero – ha concluso il primate anglicano – che non perderemo mai di vista ciò che lo rende attraente per noi, per ognuno di noi nei nostri vari ministeri». vile. Le persone si rivolgono ancora al prete o alla parrocchia nei momenti di crisi. Nel Parlamento, nella Camera dei Lords, i vescovi hanno ancora un luogo dove possono sollevare questioni davanti al governo. Accanto a tutto questo, penso che un problema reale sia il fatto che molte persone che vogliono crescere spiritualmente non ritengono più che la Chiesa sia il luogo che le può aiutare. Dobbiamo cercare di arrivare alle persone là dove esse si trovano, per portare loro un nutrimento cristiano. Non so come, ma penso che su questo abbiamo molto da lavorare». – Che cosa pensa di questo momento dell’Europa? Qual è la vocazione delle Chiese europee? «È un momento di grande sfida per D. S. l’Europa, per la crisi finanziaria, per un senso di confusione culturale, e la Chiesa da sola non può pensare di risolvere questi problemi. Ma può – io credo – ricordare alla cultura europea che essa è solo una parte della cultura globale; ha portato molti doni nella sua storia, materiali e spirituali, doni condivisi, e deve ricordare che per quanto sia pesante la pressione della crisi finanziaria non possiamo dimenticare la situazione di quelli che sono veramente poveri in Africa, in Asia, in America Latina. In altre parole l’importanza della Chiesa in Europa è che essa è più grande dell’Europa, e l’Europa ha bisogno di ricordarsi che c’è un mondo intorno». IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 579 578-580_articolo sala:Layout 2 580 25-10-2012 18:53 Pagina 580 – Durante i 10 anni in cui lei è stato arcivescovo di Canterbury la Comunione anglicana è stata attraversata da profonde tensioni relativamente ai legami di comunione… Che cosa può dirci di questo decennio? Il Patto anglicano sarà uno strumento utile per affrontare le controversie? Crede che cambierà il ruolo dell’arcivescovo di Canterbury rispetto alla Comunione anglicana? «Non penso che il Patto anglicano modificherà il ruolo dell’arcivescovo di Canterbury, che non è mai stato un’autorità con potere esecutivo per tutta la Comunione. L’arcivescovo è uno che cerca di essere al servizio del collegamento, delle relazioni, tra le province. Certamente io sono un forte sostenitore del Patto, anche se non tutti nella mia Chiesa lo appoggiano, perché credo che abbiamo bisogno di un mezzo per gestire i nostri conflitti. Ma il presupposto è mantenere vive le relazioni, con un continuo e vitale scambio di idee, risorse e personale tra le Chiese, e ritengo che per molti aspetti la parte più importante del mio ruolo sia stata quella di viaggiare per mantenere viva la connessione, di accogliere vescovi e arcivescovi da tutte le sedi a Canterbury e a Londra non solo per la Conferenza di Lambeth, ma anche per vie più informali. Pochi mesi fa ho avuto ospiti per alcuni giorni a Canterbury tre nuovi primati di sedi d’oltremare per conoscerli, per mostrare loro la Chiesa d’Inghilterra e per stringere un’amicizia. Nell’ultima Conferenza di Lambeth e in alcuni incontri dopo di essa abbiamo cercato ardentemente di trovare un metodo che permetta a tutti di parlare e a ciascuno di essere ascoltato. Questo significa che quali che siano le difficoltà e le tensioni che si vivono al livello dell’istituzione, c’è una volontà di proseguire il lavoro insieme, perché ci uniscono legami di affetto e non intendiamo perdere l’amicizia. Altrettanto importanti sono i numerosi forum o network della Comunione, come la Mother’s Union, un’associazione di donne di tutto il mondo che è molto attiva ed efficace nel favorire i legami intra-anglicani specialmente nel campo dello sviluppo e dell’educazione. Recentemente abbiamo istituito l’Alleanza anglicana, che è un’altra rete per l’aiuto allo sviluppo e l’educazione. In queste reti sono coinvolte tutte le Chiese e a tutti i livelli, lavorando fianco a fianco anche quando tra noi vescovi si manifestano invece delle distanze». 1 Il 16 marzo Rowan Williams ha annunciato che si dimetterà il 31 dicembre 2012, e che tornerà a dedicarsi all’attività accademica come rettore del Magdalene College, Università di Cambridge. Seguendo l’esempio dei suoi due predecessori, Carey (1992-2002) e Runcie, ha scelto di ritirarsi al completamento di un decennio – aveva infatti assunto l’incarico nel 2003 – invece di arrivare al compimento dei 70 anni, per permettere al suo successore di guidare la preparazione della Conferenza di Lambeth, che è uno degli «strumenti di comunione» – insieme alla stessa figura dell’arcivescovo di Canterbury – che uniscono le 38 province anglicane e che dovrebbe tenersi nel 2018. La Crown Nomination Commission, che sta esaminando i candidati alla successione sotto la presidenza di lord Richard Luce, ha confermato che entro l’autunno adem- pirà al proprio compito, che è quello di esprimere due nomi. La scelta tra essi spetta al primo ministro, mentre è l’approvazione della regina a formalizzare la nomina. 2 Nell’anno stesso della sua «intronizzazione» la Chiesa episcopaliana, cioè la provincia anglicana statunitense, consacra vescovo Gene Robinson, un prete pubblicamente impegnato in una relazione omosessuale. È l’inizio di una frattura, all’interno della Comunione anglicana, tra le province liberal, che approvano e benedicono le unioni omosessuali, e le province del Sud del mondo, che considerano questa una deviazione dal principio dell’autorità della Scrittura. La mediazione proposta da Williams consiste in un documento, il Patto anglicano, che esplicita il ruolo degli «strumenti di comunione» e la procedura per affrontare le controversie tra le pro- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Imparare a riconoscersi – Quale passo avanti è possibile oggi nei rapporti ecumenici tra le nostre Chiese, anglicana e cattolica? «Non è un momento facile dal punto di vista istituzionale, perché la Chiesa cattolica romana vede negativamente l’ordinazione sacerdotale delle donne, per esempio, e questo comporta che dei progressi verso un vero riconoscimento dei ministeri non possano avvenire. Quindi non mi aspetto nessuna sorpresa nell’immediato futuro. Vedo però che a livello locale la cooperazione è stabile e regolare; in Gran Bretagna ormai teniamo ogni anno un incontro tra i vescovi anglicani e cattolici, condividiamo una profonda amicizia e collaboriamo molto in termini di testimonianza alla società. Anche a livello ecumenico ci sono molte reti ed esperienze interconfessionali come Taizé e il movimento dei Focolari, dove anglicani e cattolici s’incontrano costruttivamente e pregano insieme; penso che il lavoro lento di questi e simili gruppi, a volte anche piccoli, operi in profondità e aiuti a produrre il cambiamento. Credo che vada molto sviluppata la formazione comune dei nostri preti». – A che punto è la Chiesa nel suo cammino verso l’unità piena e visibile? «È importante ricordare che 50, 60 anni fa vivevamo in un mondo diverso. In Inghilterra era impossibile dire il Padre nostro insieme in pubblico. Il cammino che abbiamo compiuto è un miracolo, un dono di Dio. Recentemente ho indirizzato una lettera alla Conferenza internazionale degli abati benedettini, perché hanno invitato un membro anglicano della Commissione anglicana - cattolica romana (ARCIC) al loro incontro quadriennale (si è tenuto a Roma dal 17 al 25 settembre; ndr). Abbiamo questa stretta amicizia con la comunità monastica di Bose. Abbiamo pellegrinaggi ecumenici (quattro anni fa c’è stato un importante pellegrinaggio anglicano a Lourdes, un’occasione veramente splendida). Non sono sicuro di dove stiamo andando, ma guardo indietro e dico: quanta strada abbiamo fatto! Questo significa che tra 40 o 50 anni sarà tutto ancora molto diverso, se i cristiani saranno capaci di riconoscersi a vicenda. Abbiamo fatto un enorme passo avanti, mentre a livello istituzionale il movimento è più lento. Individualmente e spiritualmente il progresso continua con passo regolare: dobbiamo trovare il modo di agganciare il passo lento dell’istituzione con quello più costante delle esperienze spirituali». a cura di Daniela Sala vince, e che è attualmente in fase di valutazione. Al momento è stato firmato da otto province. 3 In Italia alcuni suoi volumi quali Lo Spirito, testimone silenzioso (2011), Un mondo spiritualmente credibile (2010), Ragioni per credere (2009), Resurrezione (2004), Il giudizio di Cristo (2003, cf. Regno-att. 6,2003,171) sono pubblicati dall’editrice Qiqajon. 4 Sulla guerra in Iraq cf. Regno-doc. 5,2003, 131; Regno-att. 8,2004,225. Sulla «Big society» cf. Regno-att. 22,2011,726. Sul rapporto tra fede, democrazia ed economia cf. Regno-doc. 3,2003,123; 19,2011,612. È appena uscito in Gran Bretagna, presso il prestigioso editore laico Continuum, il volume Faith in the public square, un volume che raccoglie i principali interventi dell’arcivescovo di Canterbury su temi di interesse pubblico in relazione alla fede cristiana. 581-583_articolo_ruh:Layout 2 25-10-2012 18:48 Pagina 581 Ve scov i cat to l i c i GERMANIA s e uno esce dalla Chiesa N el 2011, nella Repubblica federale di Germania, hanno formalmente lasciato la Chiesa cattolica 126.000 persone (su un totale di 24,5 milioni di membri). Lo hanno fatto negli uffici della pretura o dell’anagrafe, quindi di fronte a un’autorità statale, che poi ha normalmente informato la rispettiva comunità parrocchiale. Le modalità dell’uscita dalla Chiesa sono regolate da leggi statali a livello dei Land della Repubblica federale. Questo dipende dallo specifico quadro giuridico delle relazioni fra lo stato e la Chiesa esistente in Germania dal tempo della Repubblica di Weimar. Secondo la Costituzione tedesca (art. 140 della Legge fondamentale), le Chiese sono «enti di diritto pubblico». In quanto tali sono autorizzate a imporre tasse. Lo fanno sotto forma di «tassa per la Chiesa», che viene calcolata sulla base dell’imposta sul reddito e ammonta all’8 o 9% della stessa. La riscossione della tassa per la Chiesa viene effettuata in genere dagli uffici delle imposte statali; per questo servizio, lo stato riceve dalla Chiesa il 3% del gettito fiscale. Nel 2011, la Chiesa cattolica in Germania ha incassato attraverso questa tassa circa 5 miliardi di euro, la Chiesa evangelica un po’ meno. Per entrambe le Chiese la tassa per la Chiesa è di gran lunga la fonte di reddito più importante. Comunque oltre la metà dei membri delle Chiese Premesse e conseguenze del nuovo Decreto generale non versa questa tassa, perché chi non ha un lavoro retribuito o è pensionato è esentato dalla stessa. Diversamente, il dovere di versare questa tassa cessa con l’uscita dalla Chiesa. Nel Decreto generale della Conferenza episcopale tedesca sull’uscita dalla Chiesa, pubblicato il 20 settembre di quest’anno, si legge: «La dichiarazione di uscita dalla Chiesa davanti all’autorità civile competente costituisce come atto pubblico un abbandono cosciente e deliberato della Chiesa ed è una grave mancanza contro la comunione ecclesiale» (parte I; Regno-doc. 17,2012,567). Questo decreto, concordato con la Santa Sede, cerca di mettere la parola fine a una discussione sull’uscita dalla Chiesa e sulla tassa per la Chiesa che coinvolge da anni la Chiesa cattolica in Germania. Molto scalpore fece al riguardo il caso di Hartmut Zapp, allora docente di Diritto canonico all’Università di Freiburg. Egli aveva presentato la sua dichiarazione di uscita dalla Chiesa cattolica presso l’anagrafe del suo luogo di nascita, con la clausola di voler lasciare solo la Chiesa come «ente di diritto pubblico», non come comunità di fede. L’arcidiocesi di Freiburg era ricorsa in tribunale. In prima istanza, il tribunale aveva dato ragione a Zapp, ma non in seconda istanza e ora neppure in terza istanza (il supremo tribunale amministrativo tedesco). Nella sua sentenza, emessa alla fine di settembre a Leipzig, il Tribunale am- ministrativo federale è giunto alla conclusione che la dichiarazione di uscita dalla Chiesa munita di una clausola, presentata da Zapp, era certamente ammissibile, ma in realtà egli era uscito dalla Chiesa in senso globale. Perciò per la giustizia civile in Germania non esiste un’uscita dalla Chiesa graduale o limitata. In questo la Conferenza episcopale tedesca ha potuto vedere una conferma della posizione espressa nel suo Decreto generale, pubblicato poco prima della sentenza. Ma oltre al «caso Zapp», appartiene alla preistoria di questo decreto sull’uscita dalla Chiesa anche la lettera circolare inviata nel 2006 a tutte le conferenze episcopali dal Pontificio consiglio per i testi legislativi, il cui presidente allora era ancora il cardinale spagnolo Julián Herranz (Regnodoc. 5,2007,129). Tale lettera circolare descrive i criteri per un atto formale di abbandono della Chiesa cattolica. Il diritto canonico non conosce l’espressione «uscita dalla Chiesa»; perciò, nell’indice delle materie della traduzione ufficiale tedesca del Codice di diritto canonico (CIC) per la voce «Kirchenaustritt» (uscita dalla Chiesa) si rinvia alla voce «Glaubensabfall» (apostasia). Per l’actus defectionis il Pontificio consiglio per i testi legislativi richiedeva sia la decisione interiore sia la sua manifestazione esteriore, mediante una dichiarazione scritta presentata all’ordinario o parroco competente. La Conferenza episcopale tedesca reagì rapidamente alla lettera cir- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 581 581-583_articolo_ruh:Layout 2 25-10-2012 18:48 colare romana del 2006 con una dichiarazione nella quale si affermava che la chiarificazione del Pontificio consiglio per i testi legislativi non riguardava la normativa statale per l’uscita dalla Chiesa esistente nella tradizione giuridica tedesca. L’uscita dalla Chiesa secondo il diritto statale è in ogni caso un atto formale di abbandono della Chiesa. La scomunica non è automatica Negli ultimi anni si sono notoriamente intrattenuti molti dialoghi fra la Conferenza episcopale tedesca e i dicasteri competenti della curia romana per giungere a una chiarificazione consensuale delle diverse opinioni in materia di uscita dalla Chiesa. Già nella passata primavera c’erano chiari segni della possibilità di raggiungere un accordo con Roma in tempi brevi. Ora il frutto di quelle trattative è la pubblicazione del Decreto generale della Conferenza episcopale tedesca, con annessa una Lettera pastorale, che in avvenire riceverà ogni persona uscita dalla Chiesa cattolica «immediatamente dopo aver preso conoscenza della sua dichiarazione» (parte II, n. 6; Regno-doc. 17,2012,568, che a seguire riporta anche il testo della Lettera pastorale). Nella sua valutazione dell’uscita dalla Chiesa il Decreto generale si richiama al can. 209, § 1 del CIC («I fedeli sono tenuti all’obbligo di conservare sempre, anche nel loro modo di agire, la comunione con la Chiesa»), nonché al can. 222, § 1 («I fedeli sono tenuti all’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa, affinché essa possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l’onesto sostentamento dei ministri»). Si afferma che «la dichiarazione di uscita dalla Chiesa preoccupa quest’ultima e la spinge a seguire con sollecitudine pastorale la persona che ha dichiarato la propria uscita» (parte II). Vengono elencati gli effetti giuridici di un’uscita dalla Chiesa, dall’esclusione dalla partecipazione ai sacramenti della penitenza, dell’eucaristia, della confermazione e dell’unzione degli infermi, alla perdita del diritto di voto attivo e passivo 582 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Pagina 582 nella Chiesa, al rifiuto delle esequie cattoliche (se «non abbia manifestato, prima della morte, un qualche segno di pentimento»: parte II, n. 3). Particolarmente importante è l’affermazione da cui si evince che l’uscita dalla Chiesa, in base al diritto tedesco, non può essere automaticamente equiparata a un «atto scismatico, eretico o apostatico» (parte II, n. 6), a motivo del quale la persona, in base al can. 1364, § 1 del CIC, si addosserebbe la pena della scomunica. Bisogna invece stabilire caso per caso, con un colloquio al quale l’autorità ecclesiastica avrà invitato la persona uscita dalla Chiesa, se esista effettivamente un tale «atto scismatico, eretico o apostatico». Solo in questo caso, «l’ordinario avrà cura di prendere le misure corrispondenti» (ivi). La tassa per la Chiesa, un dovere dei cristiani La Lettera, che in futuro dovrà essere inviata a tutte le persone uscite dalla Chiesa, contiene in gran parte formulazioni tratte dal Decreto generale, specialmente riguardo alla lista degli effetti giuridici dell’uscita dalla Chiesa. Essa richiede un dialogo con il parroco o un altro pastore cattolico competente sui motivi che hanno indotto la persona a uscire dalla Chiesa e ricorda che il pastore ha il dovere di chiedere, e valutare, le ragioni che hanno indotto la persona a uscire dalla Chiesa. Inoltre, la lettera sottolinea che «i cristiani cattolici godono di tutti i diritti fondamentali per un’attiva partecipazione alla vita della Chiesa, ma questi diritti sono inseparabilmente collegati con il compimento dei doveri fondamentali nella comunità ecclesiale». Ma, in base alla comprensione dei vescovi, pur non essendo qui espressamente ricordato, in Germania uno di questi doveri fondamentali delle persone tenute a versare l’imposta sul reddito è il pagamento della tassa per la Chiesa. Come risulta dal Decreto generale e dalla Lettera, i vescovi tedeschi si preoccupano di collegare il più strettamente possibile l’uscita dalla Chiesa compiuta davanti a un ufficio statale (con la conseguente cancellazione del dovere di versare la tassa per la Chie- sa) con l’auto-comprensione della Chiesa come comunità di fede giuridicamente ordinata, indebolendo così le critiche degli avversari. Bisogna evitare di dare l’impressione che per la Chiesa cattolica in Germania si tratti soprattutto di incassare il più possibile attraverso quella tassa, senza preoccuparsi per così dire del legame vissuto dei suoi membri con la fede e con la Chiesa. Comunque la discussione sull’uscita dalla Chiesa e sulla tassa per la Chiesa continuerà, come ha già dimostrato un articolo del gesuita p. Hans Langendörfer, segretario della Conferenza episcopale tedesca (nel supplemento Christ und Welt del settimanale Die Zeit, 11.10.2012). Nell’articolo, Langendörfer sottolinea che la persona è cattolica, e tale resta come battezzata cattolica, anche dopo aver dichiarato la propria uscita dalla Chiesa, «comunque con minori diritti». Inoltre, a suo avviso, si può essere un buon cattolico o anche un cattolico meno attivo, senza versare la tassa per la Chiesa. Ma, anche in difesa del Decreto generale dei vescovi, il segretario della Conferenza episcopale tedesca sottolinea che «una separazione formale ed espressa davanti all’autorità competente deve avere, se si vuole prendere sul serio la persona, un effetto corrispondente: quella persona non è più un membro attivo». Secondo Langendörfer, nella loro critica del Decreto generale molti hanno espresso valutazioni sorprendentemente materialistiche e decisamente anguste. Una questione non decisiva La questione della tassa per la Chiesa non scuoterà in tempi brevi la Chiesa cattolica e neppure la Chiesa evangelica. Per questo non esistono neppure ragioni cogenti. La tassa per la Chiesa, nonostante la sua riscossione da parte degli uffici delle finanze statali, è un contributo versato dai membri della Chiesa, calcolato in base alla capacità finanziaria dei singoli membri (chi versa un’alta tassa sul reddito versa anche un’alta tassa per la Chiesa) e garantisce in qualche modo in notevole misura alle Chiese redditi affidabili. Non esiste alternativa al riguardo, finché la Chiesa vuole 581-583_articolo_ruh:Layout 2 25-10-2012 18:48 Pagina 583 Germania Ecumenismo mantenere il suo attuale impegno nei diversi campi (cultura, formazione, attività sociali, responsabilità nei riguardi della Chiesa universale) e retribuire il suo personale (ministri ordinati e collaboratori laici a tempo pieno) nel modo in cui ha fatto finora. Del resto, nella maggior parte dei casi, la tassa per la Chiesa non è il motivo decisivo per l’uscita dalla Chiesa in Germania. E finora nulla indica che la tassa per la Chiesa sia contestata da un alto numero di fedeli. Resta il modo in cui la Chiesa affronta il tema dell’uscita da essa. Al riguardo, occorrerà anzitutto attendere le esperienze concrete che le diocesi e le loro parrocchie faranno con la lettera che ora deve essere inviata alle persone che sono uscite. Varie dichiarazioni delle ultime settimane tradiscono un certo disagio riguardo al contenuto del testo prescritto dalla Conferenza episcopale tedesca. Anche qui dipenderà dall’applicazione di un atteggiamento sensibile da parte dei pastori nella relazione con le persone che vogliono uscire, o sono uscite, dalla Chiesa, ognuna delle quali ha fatto un’esperienza specifica con la Chiesa e non da ultimo con i suoi rappresentanti ufficiali. Bisognerà anche riflettere se continuare l’attuale prassi della presentazione della dichiarazione di uscita dalla Chiesa agli uffici dello stato o se non sia più opportuno prevedere la presentazione della dichiarazione di uscita agli uffici della Chiesa. Già ora, sulla base della Lettera dei vescovi, si dovrà tenere maggiormente conto della dimensione ecclesiale-pastorale di un’uscita dalla Chiesa. Attualmente la Chiesa cattolica in Germania deve affrontare molti problemi: calo del legame con la Chiesa; massiccia perdita della tradizione; ristrutturazioni in campo pastorale; mancanza di una cultura del dialogo al suo interno. Chiesa. Su questo sfondo, le questioni relative alle modalità dell’uscita dalla Chiesa e alla tassa per la Chiesa come la fonte di reddito più importante sono un aspetto del quadro generale. Certamente non quello più importante o decisivo. Ulrich Ruh Un appello: unità ora A ncora un tentativo, in Germania, di muovere le acque ferme della Chiesa attraverso un appello pubblico, con firme e riti mediatici di contorno. E a promuoverlo sono per la seconda volta personalità del mondo politico, alcune delle quali nel febbraio 2011 avevano lanciato l’esortazione a Ripensare il celibato nella Chiesa cattolica.1 Si tratta di Annette Schavan, dell’Unione cristiano-democratica (CDU), ministro dell’Istruzione, di Norbert Lammert (CDU), attuale presidente del Parlamento, e di Friedrich Kronenberg (CDU), ex segretario generale del Comitato centrale dei cattolici tedeschi. Ma, insieme a questi, tra i 23 primi firmatari dell’appello Ecumenismo adesso. Un solo Dio, una sola fede, una sola Chiesa2 figurano altri nomi di spicco, cattolici ed evangelici, quali Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico tedesco; Andreas Barner, membro del Consiglio per le scienze e presidente del Kirchentag evangelico; Gerda Hasselfeldt (CSU), vicepresidente del Parlamento; Richard von Weizsäcker, ex presidente della Repubblica; oltre ad artisti, giornalisti, personalità del mondo accademico come Hans Joas e Otto Hermann Pesch (che figura anche tra i firmatari del memorandum Chiesa 2011 dei teologi tedeschi del 2011).3 Unità vissuta L’iniziativa parte dalla volontà di non lasciare che – dopo la celebrazione di due straordinari giubilei, come sono il 50° del concilio Vaticano II (2012) e il 500° della Riforma protestante (2017) – «tutto rimanga com’era prima». La divisione tra le Chiese, osservano, «non ha avuto solo basi teologiche, ma anche tangibili motivazioni politiche (…). Per la lunga separazione delle Chiese le questioni legate al potere divennero più importanti di quelle legate alla fede». Oggi che la spaccatura non è più né voluta né fondata da ragioni politiche, «bastano motivi teologici, abitudini istituzionali, tradizioni ecclesiali e culturali per proseguirla? Crediamo di no». L’appello si conclude con l’affermazione: «Come cristiani nella terra della Riforma abbiamo la speciale responsabilità di porre dei segni e dare il nostro contributo a vivere la fede comune anche in una Chiesa comune». La sottovalutazione delle questioni soprattutto ecclesiologiche ancora irrisolte – in primis il riconoscimento dei ministeri, ma anche il primato petrino – è il punto debole dell’appello, come ha mostrato la reazione del card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: «Sono contento nel vedere che molti sono motivati alla causa ecumenica. Ma ho l’impressione che i sottoscrittori vedano la situazione da un punto di vista politico e non ne vedano le ragioni teologiche. Inoltre non è possibile superare la separazione tra le Chiese soltanto in Germania. Questo è un appello per la Germania e con la Chiesa luterana. Ma la Chiesa cattolica è una Chiesa universale per cui tutte le altre realtà sono implicate in questa situazione».4 E il card. Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia: «Resta da sperare che l’appello di questi esponenti dell’opinione pubblica non conduca all’errata convinzione che l’unità sia già raggiunta e che la si debba solo attuare. Un corridore che si ferma prima della meta ed esulta, perde la corsa». È difficile immaginare che i 23 firmatari dell’appello non siano consapevoli di questi aspetti, così come è plausibile ipotizzare che il richiamo alla «disobbedienza» nell’appello dei parroci austriaci5 avesse una portata retorica ben funzionale alle dinamiche della comunicazione mediatica. Forse qualche riflessione ulteriore andrebbe fatta da un lato sul riproporsi dello strumento-appello nel mondo tedesco come modalità per sottoporre ai pastori domande urgenti (fin dagli ultimi anni Novanta, con il movimento della «Chiesa-popolo»); e dall’altro sull’interventismo del laicato tedesco impegnato in politica in questioni specificamente ecclesiali. La Chiesa deve capire bene la domanda che viene anche dalla politica, per poter dare una risposta. D. S. 1 Regno-att. 4,2011,82; Regno-doc. 5,2011,188. Presentato in conferenza stampa a Berlino il 5 settembre, conta al 17 ottobre 6.103 firme ed è reperibile in tedesco sul sito www.oekumenejetzt.de. 3 Regno-att. 4,2011,82; Regno-doc. 5,2011,181. 4 SIR 7.9.2012. 5 Cf. Regno-att. 14,2011,455; Regno-doc. 15, 2011,455. 2 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 583 584-585_info_sala:Layout 2 25-10-2012 18:54 Pagina 584 Austria Vienna terminologia variabile. La riorganizzazione avviata dall’arcidiocesi di Vienna s’ispira a quella delle diocesi tedesche di Paderborn o Aachen, o ad analoghe sperimentazioni che si stanno compiendo a Salisburgo, Innsbruck e Linz. Nella francese Poitiers già da un decennio la pastorale è organizzata sulla base di team di collaboratori volontari che guidano a oggi più di 320 piccole comunità locali. Comunità parrocchiali e filiali L a riorganizzazione dell’assetto pastorale che l’arcidiocesi di Vienna affronterà nei prossimi 10 anni è secondo l’arcivescovo, il card. Christoph Schönborn che l’ha presentata lo scorso 19 settembre, «la più profonda ristrutturazione dalla riforma delle parrocchie attuata più di 200 anni fa dall’imperatore Giuseppe II». Giunge a compimento con questo atto il lungo processo avviato nel 2010 sotto il titolo «Atti degli apostoli 2010», che intendeva presentare gli Atti degli apostoli in chiave moderna, nella convinzione che la Chiesa debba aprirsi con coraggio alle istanze dell’uomo contemporaneo (cf. Regno-att. 18,2010,605). Il progetto si è concentrato su due fuochi principali: da un lato LUCIANO CANTINI Pompelmo, il circo e don Luciano Gente del viaggio, gente di Dio PRESENTAZIONE DI MONS. SERGIO PINTOR N ato come riflessione sulla lunga esperienza dell’autore nell’accompagnamento pastorale dei circensi, il libro introduce nell’ambiente con competenza e ironia, offrendo un gustoso e unico spaccato di questi uomini e donne perennemente in cammino e del loro mondo viaggiante. «ITINERARI» www.dehoniane.it pp. 192 - € 16,90 Via Nosadella, 6 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Fax 051 4290099 la centralità del battesimo nell’identità cristiana, dall’altro i necessari mutamenti strutturali per dare corpo alle comunità cristiane del futuro, e ha coinvolto tutte le parrocchie e gli ambiti pastorali della diocesi. Nello scorso giugno, nel corso di una «Giornata dei consigli» alla quale hanno partecipato circa 250 rappresentanti dei diversi organismi diocesani, sono state discusse le linee fondamentali della riforma diocesana. Modello Sud del mondo La riorganizzazione prevede nel corso dei prossimi 10 anni una riduzione nel numero delle parrocchie, che sono attualmente 660: «Molte “comunità filiali” locali guidate da laici formano insieme una nuova parrocchia, che viene guidata coralmente da preti e laici sotto la responsabilità finale di un parroco», ha affermato il card. Schönborn (www.themakirche.at, 19.9.2012). Una parrocchia sarà tanto grande da contenere da tre a cinque preti attivi al suo servizio; i laici saranno direttori a titolo volontario, assistiti dai collaboratori a tempo pieno della parrocchia: sacerdoti, diaconi, assistenti pastorali o personale amministrativo. Il proposito perseguito è quello di non sopprimere le comunità, anzi «nella nuova parrocchia devono potersi sviluppare più comunità vive», e la Chiesa deve in questo modo tornare a essere missionaria, capace di essere vicina alle persone là dove vivono. Accanto alla messa domenicale dev’essere anche possibile alle comunità radunarsi intorno alla parola di Dio nelle comunità filiali. Il modello esplicitamente richiamato è quello delle «piccole comunità cristiane», che caratterizzano soprattutto l’esperienza delle Chiese del terzo mondo. «L’idea che la Chiesa sia solo là dove c’è un prete è una rappresentazione radicatasi storicamente, ma che dev’essere corretta. La Chiesa è comunità, e anche le funzioni di governo in linea di principio devono essere esercitate coralmente». Datano ormai agli anni Novanta le prime sperimentazioni di riorganizzazione delle diocesi per far fronte alla carenza di preti: unità o comunità o zone pastorali, con una 584 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Centralizzazione dell’eucaristia Se la maggiore responsabilizzazione dei laici nella guida della comunità è stata generalmente apprezzata, qualche osservazione è stata però sollevata in merito al rapporto tra comunità cristiana ed eucaristia. Secondo il pastoralista viennese Paul Zulehner questo ridisegno mette in discussione il valore della celebrazione eucaristica come espressione centrale della fede cattolica (Die Presse, 21.9.2012). Dover percorrere lunghe distanze dalle comunità filiali per arrivare alla messa domenicale nella Chiesa parrocchiale potrebbe portare i fedeli a distaccarsi dall’eucaristia, dando alle comunità una caratterizzazione più «riformata». Invece di essere «centralizzata», l’eucaristia dovrebbe trovarsi «dove le persone vivono insieme come comunità credente». Per compensare l’allontanamento della Chiesa dalla base, occorre lavorare molto per costruire una forte coscienza comunitaria. Helmut Schüller, portavoce del movimento austriaco «Iniziativa dei parroci» che nel 2011 aveva pubblicato un Appello alla disobbedienza su alcuni problemi urgenti della Chiesa (tra cui la mancanza di preti; cf. Regno-doc. 15,2011,455; Regno-att. 16,2011,518), ha sollevato molte critiche alla riforma delle parrocchie. «Rispondere all’allontanamento di molti con un allontanamento non è una buona strada. Noi ci ritiriamo, invece di diventare più forti a livello locale». «In una Chiesa dalle grandi zone pastorali molti si disperderanno, andranno smarriti molti contatti, si perderà molto in vicinanza e presenza» (Die Presse, 21.9.2012). Per il movimento «Wir sind Kirche» (Noi siamo Chiesa) e per «Iniziativa dei laici» è positiva la maggiore responsabilizzazione dei laici, e c’è la speranza che attraverso la riforma diocesana si arrivi alla codecisione tra laici e preti. Ma l’accorpamento delle parrocchie in comunità più grandi sarà motivo di confusione, e in questo modo la Chiesa dimostra di non essere disponibile a risolvere in un modo diverso problemi come la mancanza di preti e l’erosione delle comunità. D. S. 584-585_info_sala:Layout 2 25-10-2012 18:54 Pagina 585 Repubblica Ceca Stato e Chiesa Rigurgiti anticlericali Risarcimenti appesi a un filo Q uando l’accordo pareva a portata di mano, ancora una volta sembra allontanarsi. Per la Cechia, l’unico paese dell’ex blocco sovietico a non aver ancora trovato un’intesa tra lo stato e le Chiese sulla restituzione dei beni nazionalizzati dal regime comunista tra il 1948 e il 1989, sarebbe l’ennesimo tentativo a fallire, a ormai più di vent’anni dalla «rivoluzione di velluto». Nel passato vi si erano misurati senza effetto i governi di Vaclav Klaus, Milos Ze- man, Mirek Topolanek. Il recente disgelo nei rapporti stato-Chiesa – anche in concomitanza con l’arrivo a Praga dell’arcivescovo Dominik Duka, capace di dialogo con il mondo politico e molto stimato dal presidente della Repubblica Klaus – aveva favorito un anno fa il raggiungimento di un accordo (cf. Regno-att. 4,2008,82, 18,2010,607; 16,2011,554), che però ora risulta appeso al filo delle sorti politiche del primo ministro, Petr Necas. Il disegno di legge all’esame del Parlamento, che recepisce i termini dell’accordo raggiunto tra le Chiese e comunità religiose e il governo di centro-destra di Necas, prevede che lo stato restituisca complessivamente alle Chiese 134 miliardi di corone (5,36 miliardi di euro) nell’arco di 30 anni. Una parte (75 miliardi) sarà costituita dai beni immobili: terre ed edifici, che le Chiese dimostreranno di aver posseduto tra il 25 febbraio 1948 e il 1° gennaio 1990, quindi fino alla confisca da parte del regime comunista. La restante parte, 59 miliardi di corone da rivalutare in base all’inflazione, sarà erogata sotto forma di compensazione finanziaria per i beni immobili che non possono essere restituiti in quanto nel frattempo venduti. Quest’ultima cifra per i primi tre anni si dovrebbe sommare all’attuale contributo che lo stato versa alle Chiese e organizzazioni religiose per le esigenze del culto e il sostentamento del clero, mentre successivamente si ridurrà del 5% su base annua fino a esaurimento, con una separazione completa fra stato e Chiese. Alla Chiesa cattolica andrà l’80% del totale. In un momento economicamente difficile per la Cechia, che risente della crisi europea anche se attenuata dalla forte connessione con l’economia tedesca e dal non essere ancora entrata nell’eurozona, il primo ministro Necas (Partito democratico civico) ha investito molto sull’approvazione di una serie di misure per stabilizzare il bilancio, tra cui la soluzione dell’annosa contesa sui beni ecclesiastici nazionalizzati dal comunismo. La questione ha infatti un rilievo economico oltre che storico, in quanto molte municipalità lamentano il blocco ventennale della progettazione urbanistica relativamente a terre o edifici già appartenuti alle Chiese, poiché il loro uso era ristretto per legge a causa della complessa questione della restituzione; e inoltre sul bilancio dello stato grava il mantenimento del personale ecclesiastico. Ma il governo si è trovato a dover superare molti ostacoli, potendo contare sulla necessaria maggioranza solo alla Camera e non al Senato, dove l’opposizione capeggiata dal Partito socialdemocratico (CSSD) si è ulteriormente rafforzata nelle elezioni del 21 ottobre. Dopo l’approvazione del disegno di legge alla Camera il 14 luglio, l’opposizione ha lanciato una campagna pubblicitaria molto aggressiva contro la restituzione dei beni ecclesiastici (cf. il manifesto riprodotto qui a lato). Ha cavalcato il sentimento diffuso della popolazione, che è la più anticlericale d’Europa in parte a causa dei decenni di propaganda comunista, ma in parte anche per ragioni preesistenti, che vanno dal nazionalismo ceco – che dal 1800 iniziò a vedere la Chiesa cattolica come l’emanazione del regime asburgico, di cui era la religione ufficiale – alle venature hussite di cui ancora si sente l’influenza. Anche il presidente Klaus, che in linea generale si è sempre manifestato favorevole alla restituzione, ha espresso la preoccupazione che la legge possa dare la stura alle rivendicazioni di altre vittime degli espropri, come i discendenti dei tre milioni di tedeschi dei Sudeti, che dopo la Seconda guerra mondiale furono espulsi in massa dalle loro abitazioni. Ma proprio per questo il disegno di legge ha posto come limite post quem invalicabile il 25 febbraio 1948. Era dunque abbastanza prevedibile che al Senato il testo legislativo non passasse, e infatti è stato respinto il 15 agosto. Oggi il premier Necas, che potrebbe superare il veto del Senato se riuscisse a far passare il disegno di legge alla Camera a maggioranza assoluta, non è in condizione di portarsi a casa questo risultato, perché sull’approvazione della legge di stabilità (che dovrebbe alzare l’IVA e le tasse sui redditi più elevati per abbassare il debito pubblico) un gruppo di deputati del suo partito non è più disponibile a votargli la fiducia. Molto probabilmente tutto è rimandato alla resa dei conti interna che il Partito civico democratico avrà durante il Congresso di novembre, e nella quale si deciderà delle sorti del governo. Quale che sia il governo in carica, il problema del risarcimento dei beni nazionalizzati tornerà inevitabilmente a porsi, tra le pressioni dell’Unione Europea su tutti i paesi coinvolti nel processo di allargamento – a chiudere il capitolo «1989» – e la sentenza della Corte costituzionale ceca dei primi di settembre, secondo la quale le Chiese e gli organismi religiosi hanno il diritto di pretendere la restituzione dei beni direttamente nei tribunali. D. S. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 585 586_info_bernardoni :Layout 2 26-10-2012 9:07 Pagina 586 Francia Matrimonio omosessuale Aprire il dibattito A prire «alle coppie omosessuali il diritto al matrimonio e all’adozione». Hollande lo aveva promesso in campagna elettorale. Dopo qualche mese di gestazione e non poche polemiche, il progetto di legge sembra pronto per affrontare, il prossimo 7 novembre, il suo primo passaggio in Consiglio dei ministri. La data è stata annunciata lo scorso 9 ottobre dal primo ministro Jean-Marc Ayrault, il quale ha definito il progetto di legge, già anticipato nelle sue linee fondamentali dal settimanale La Vie (21.9.2012), «una decisione di giustizia e di uguaglianza, che prende atto dell’evoluzione della nostra società». Nella stessa sede, Ayrault ha escluso di inserire nella proposta la questione dell’accesso alla procreazione medicalmente assistita per coppie dello stesso sesso, altra promessa elettorale di Hollande, rinviata a un successivo disegno di legge «sulla famiglia». Tale decisione ha provocato scontento e reazioni apertamente contrarie nelle file del Partito socialista, dove alcuni – tra cui Bruno Le Roux, presidente dei deputati – chiedono che il tema sia affrontato subito. L’intenzione del governo di superare l’attuale forma del Patto civile di solidarietà (PaCS) offrendo il diritto al «matrimonio civile» anche alle coppie omosessuali ha fatto registrare la presa di posizione contraria sia dell’Assemblea dei vescovi ortodossi di Francia (2 ottobre) sia della Federazione delle Chiese protestanti di Francia (15 ottobre). Tali iniziative erano state precedute, lo scorso 27 settembre, dalla pubblicazione di un documento intitolato Allargare il matrimonio alle persone dello stesso sesso? Apriamo il dibattito! (testo sul prossimo Regno-doc. 19,2012), in cui la posizione contraria della Chiesa cattolica era stata argomentata da membri qualificati del Consiglio famiglia e società della Conferenza episcopale francese. «L’allargamento del matrimonio civile alle persone dello stesso sesso e la possibilità per 586 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 queste di ricorrere all’adozione – si legge nell’introduzione – è questione molto seria. Una decisione in questo senso avrebbe conseguenze notevoli sui figli, sull’equilibrio delle famiglie e sulla coesione sociale». Nel documento, che inizia dalle posizioni «a favore e contro» il matrimonio per coppie omosessuali, si rileva l’assenza di «un dibattito politico argomentato all’interno della società francese fra queste posizioni». Affinché esso possa prodursi è necessario, anzitutto, «riconoscere il conflitto che esiste fra il significato del matrimonio eterosessuale e l’esperienza omosessuale contemporanea». Occorre inoltre «rispettare tutte le voci del dibattito e permettere a ognuno di riflettere più approfonditamente e di esprimere liberamente le proprie convinzioni. Se qualsiasi reticenza o interrogativo di fronte a questa riforma del diritto di famiglia vengono bollati a priori come “omofobi”, il dibattito è semplicemente impossibile. È così allo stesso modo quando viene squalificata a priori la richiesta delle persone omosessuali». Infine, si riconosce che per i cattolici non si tratta di «imporre un punto di vista religioso, ma di portare il proprio contributo a questo dibattito in quanto cittadini e sulla base di argomenti antropologici e giuridici». Prima il bene comune «Spetta all’autorità politica dare ascolto alla richiesta da parte di un certo numero di persone omosessuali di beneficiare di un quadro giuridico formale per iscrivere nel tempo una relazione affettiva, ma è in funzione del bene comune di cui è garante che tale autorità deve cercare una risposta». Il documento, pur riaffermando «l’importanza dell’alterità sessuale, e il fatto che i partner omosessuali si differenziano dalle coppie eterosessuali per l’impossibilità di procreare naturalmente», esprime sincero apprezzamento per «il desiderio di un impegno alla fedeltà di un affetto, di un attaccamento sincero, della cura dell’altro e di una solidarietà che va oltre la riduzione della relazione omosessuale a un semplice rapporto erotico». E mai prima d’ora, commenta La Croix (30.9.2012), un documento della Chiesa francese si era spinto così avanti. Tuttavia, in esso si sostiene che la domanda di allargamento del matrimonio civile «non può essere trattata unicamente sotto il profilo della non discriminazione, poiché ciò supporrebbe come punto di partenza una concezione individualista del matrimonio, che non è quella del diritto francese, per il quale il matrimonio ha una chiara vocazione sociale». Contrariamente a ciò che si afferma, infatti, «il matrimonio non è mai stato un semplice certificato di riconoscimento di un sentimento amoroso». Esso ha sempre avuto «la funzione sociale di inquadrare la trasmissione della vita regolando, nel campo personale e patrimoniale, i diritti e i doveri degli sposi, fra di essi e nei confronti dei figli a venire». Inoltre, regolare i problemi sociali di dominio e di abuso di potere «attraverso l’ignoranza delle differenze fra le persone appare un’opzione ideologica pericolosa. Le differenze esistono ed è buona cosa». Il documento tocca poi la questione dell’accesso all’adozione e alla procreazione assistita per le coppie omosessuali, ricordando che lo specifico del potere politico è «quello di difendere non solamente i diritti e le libertà individuali, ma anche e soprattutto il bene comune». Il vero problema «è allora sapere se, nell’interesse del bene comune, un’istituzione regolata dalla legge deve continuare ad affermare il legame fra coniugalità e procreazione, il legame fra l’amore fedele di un uomo e di una donna e la nascita di un figlio, per ricordare a tutti che: la vita è un dono; i due sessi sono uguali, ed entrambi indispensabili alla vita; la comprensibilità della filiazione è essenziale per la prole». Questi elementi antropologici e sociali, così come «la protezione dei diritti del bambino», prosegue il testo, rischiano infatti di essere passati sotto silenzio. Infine, riconoscendo possibile un’evoluzione del diritto di famiglia, si domanda al governo, «anziché cedere alle pressioni di gruppi diversi», di dare avvio a «un autentico dibattito sociale e di cercare una soluzione originale che accolga la domanda di riconoscimento delle persone omosessuali senza tuttavia andare a ledere i fondamenti antropologici della società». M. B. 587-589_articolo_strazzari:Layout 2 25-10-2012 19:31 Pagina 587 Il fenomeno Fatima PORTOGALLO u n luogo di cultura materna Colloquio con il vescovo Antonio dos Santos Marto M i diceva recentemente mons. Manuel da Silva Martins, emerito di Setubal e vescovo rosso della rivoluzione dei garofani in Portogallo (1975): «Fatima oggi è realmente un fenomeno che, per se stesso, merita l’attenzione di tutti i quadri della cultura. C’è una tesi di dottorato, difesa all’Università di Lovanio, in Belgio, che considera la fatimizzazione come qualcosa che fa parte dell’identità del popolo portoghese. Compresi coloro che negano Fatima». Nel libro-intervista Dialogo in tempo di macerie José Manuel Fernandes, noto giornalista portoghese, agnostico, si domanda quale sia il ruolo di Fatima nel cattolicesimo portoghese: «Un punto di incontro tra le componenti più popolari, più mistiche, le manifestazioni di religiosità talvolta quasi eccessive di molti pellegrini e un luogo di culto, che può essere anche un luogo di cultura. C’è qualche relazione speciale dei papi con Fatima? Occupa Fatima un luogo a parte, speciale, tra i santuari cattolici? Com’è che Fatima si distingue in Europa e fuori?».1 Mons. Manuel Clemente, vescovo Monumento ai pastorelli presso la rotonda Santa Teresa de Ourém a Fatima. di Porto, candidato numero uno a succedere al patriarca Policarpo nella sede di Lisbona, più avanti nel libro risponde così: «Fatima rappresenta per le strutture pastorali della Chiesa (…) un’opportunità rara di avvicinarsi alla “fede del popolo” (…). La cosa più importante a Fatima è tutto questo convivere positivamente in un ambiente che il riferimento mariano rende “materno”. D’altronde, il Portogallo non ha (…) un altro luogo nel quale tutto si congiunga e si offra così: dalla semplicità dei piccoli pastori che là hanno vissuto e trasmesso la loro esperienza religiosa fonda- 587-589_articolo_strazzari:Layout 2 25-10-2012 mentale, alle generazioni che là hanno portato le loro angosce e le loro speranze; dalle due guerre mondiali alle guerre d’Africa e dopo; dagli stranieri che si sentono a casa alle visite di Paolo VI e Giovanni Paolo II (…). Un luogo unico, (…) per molti l’unico luogo possibile nei tempi più difficili della vita».2 Il vescovo di Leiria-Fatima, mons. Antonio dos Santos Marto, teologo dogmatico formatosi sugli autori di lingua tedesca, mi cita Nietzsche: «“Il fulmine e il tuono hanno bisogno di tempo, la luce degli astri ha bisogno di tempo, le azioni hanno bisogno di tempo perché possano essere viste e sentite”. Benché riferita a un diverso contesto, questa frase può bene applicarsi al messaggio delle apparizioni della Madonna a Fatima nel 1917. Soltanto distanziandoci nel tempo, all’inizio di un nuovo secolo, siamo in grado di coglierne tutta la portata, la profondità e la rilevanza», precisa richiamandosi alla nota definizione del Novecento come «il secolo breve». 3 «È proprio l’arco di tempo che va dalla Prima guerra mondiale alla caduta del muro di Berlino a essere abbracciato dal messaggio di Fatima in modo speciale. Le apparizioni attingono il loro significato particolare dal momento storico, sociale, politico, culturale e religioso al quale rivolgono la loro interrogazione e che con il loro messaggio vogliono illuminare». Mons. Dos Santos Marto, trasferito da Viseu a Leiria-Fatima dallo stesso Benedetto XVI a motivo della sua cultura teologica, mi racconta che il capo del Partito comunista portoghese, Alvaro Cunhal (1914-2005), una volta chiese: come fate voi a riunire 500.000 persone a Fatima senza usare la pubblicità? «Conosco casi di persone – prosegue – che, pur avendo ricevuto un’educazione cattolica, si erano poi allontanati dalla fede e dalla Chiesa. Hanno voluto fare un pellegrinaggio a piedi a Fatima, come tanti fanno. Mi hanno confessato di aver ritrovato sé stessi, di essersi interrogati sulla fede. Nel 2010 è venuto a Fatima papa Benedetto XVI. Una settimana prima del suo arrivo, c’è stata una propaganda terribile contro la Chiesa e il clero a 588 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 19:31 Pagina 588 motivo dei casi di pedofilia emersi in altri paesi europei. Noi pensavamo che la gente non sentisse la visita del papa. E invece è capitato il contrario. A Lisbona, 250.000 persone, a Fatima più di 500.000, a Porto 200.000. Il papa ha usato un’espressione molto significativa riguardo a Fatima: l’ha definita “il cuore spirituale del Portogallo”». Mi parla poi della recente visita (4 maggio) del presidente del Pontificio consiglio della cultura, il card. Gianfranco Ravasi. «Ha avuto un’espressione molto bella: “Fatima è un luogo di cultura materna”. Mi ha fatto pensare, perché in questi tempi predomina la cultura del disincanto, la cultura del vuoto di ideali. Ma a Fatima le persone trovano la cultura dell’accoglienza, della tenerezza, della compassione, della riconciliazione, della pace. Anche il card. Tettamanzi è venuto a Fatima. E, vedendomi salutare la gente e stringere molte mani, mi ha detto: “Ma lei saluta tutti…”. “Sì, eminenza, la gente vuole parlare, dialogare, sentire l’affetto”. E gli ho raccontato che mio padre, quando fui ordinato, mi chiamò in disparte e mi disse: “Ricordati sempre che vieni da una famiglia povera e umile. Tratta bene gli umili e i poveri. Che il potere non ti monti la testa”. Non ho mai dimenticato quelle sagge parole». Qualcosa di differente «Qui al santuario, vedo con i miei occhi che si trova la pace. È un’oasi spirituale, dove le persone trovano un clima di raccoglimento, di preghiera, di pace interiore. Conosco gente che viene a Fatima non tanto per pregare, ma per trovare serenità. Ed è gente che fa chilometri e chilometri di notte. Qui si trova il silenzio. Anche in questo senso Fatima è un luogo di cultura e di cultura materna, oltre che di culto. Non propriamente di cultura artistica, ma di cultura di interiorità, di spiritualità, di pace. E la pace è un punto essenziale del messaggio della Madonna». Osserva ancora l’agnostico Fernandes che la dimensione annuale dei pellegrinaggi sfida anche i più scettici. Fatima continua a essere il maggior polo di aggregazione dei portoghesi, mentre le chiese sono vuote o frequentate solo da poche persone. Si domanda dunque: come spiegare questa apparente contraddizione, che cosa ha Fatima di differente? Gli stessi cattolici portoghesi non riescono a spiegarlo, anche perché non c’è più la curiosità nei confronti dei famosi «segreti». Ancora il vescovo dom Antonio: «Quando c’era la guerra coloniale, si pensava che la motivazione che muoveva le persone ad andare a Fatima fosse proprio la preghiera per i figli in guerra e si diceva: quando finirà la guerra, finiranno anche i pellegrinaggi. Ma questo non è avvenuto; anzi, i pellegrinaggi sono aumentati. Si calcola che i pellegrini, per il 75% portoghesi, raggiungano ogni anno i 4-5 milioni». «Ritornerei a parlare di “affetto mariano” – prosegue mons. Dos Santos Marto –, tipico dei portoghesi, che si esprime con i gesti, i simboli, non soltanto con le liturgie ben curate, le riflessioni, le omelie. Ad esempio, la fiaccolata è un mare di luce. Accompagnando il papa, l’ho sentito dire in tedesco: “Non c’è niente come Fatima nella Chiesa cattolica in tutto il mondo”. Un altro gesto tipico: alla fine del pellegrinaggio, l’addio della gente con i fazzoletti. È una scena commovente. Allora, è il pellegrinaggio che parla alla mente e al cuore. Anche la stessa devozione al Cuore immacolato, che a me, teologo razionalista, prima non diceva molto, oggi la capisco soprattutto alla luce di quello che diceva il card. Newman: cor ad cor loquitur. Il linguaggio del “cuore al cuore” arriva bene alla gente». Il messaggio è permanente Il vescovo di Fatima mi racconta la sua esperienza personale. «Fino agli anni Novanta, Fatima non destava in me particolari emozioni, né mi appassionavano i pellegrinaggi. Ma mi chiesero di tenere una conferenza, e dovetti leggere per la prima volta le “memorie” di suor Lucia. Ne rimasi profondamente impressionato. Vi erano in quelle pagine sincerità, autenticità, verità che non immaginavo. Contengono dei riferimenti all’umanità tra le due guerre, la denuncia della globalizzazione del male 587-589_articolo_strazzari:Layout 2 25-10-2012 e delle strutture di peccato, la condanna dei massacri di cristiani, oltre 26 milioni. Ma anche avvertimento e speranza. Benedetto XVI ha detto: “Qui Dio ha aperto una finestra di speranza sul mondo, quando gli uomini gli hanno chiuso la porta”. È possibile vincere il male; è possibile dominare le sorti della storia a partire dalla conversione dei cuori. Dio è nella solidarietà, è nel bene». «Dovetti allora trovare le chiavi ermeneutiche: il messaggio di misericordia attraverso la voce della madre, il cui amore grida a causa del dolore dei figli. L’orizzonte è cristologico e trinitario. Intende far capire la misericordia, la compassione di Dio, la vulnerabilità di Dio. Vado sempre più convincendomi, da convertito da Fatima, che il messaggio è permanente: non riguarda solo quell’epoca, ma anche e soprattutto i nostri giorni, perché fa emergere il primato di Dio nel suo mistero di amore trinitario. È la grande sfida per l’annuncio della fede. Si tratta oggi di far fronte con la testimonianza quotidiana all’indifferenza e alla rassegnazione di fronte al male. Ricordo l’espressione di Kierkegaard: se Cristo dovesse tornare, gli uomini forse non lo metterebbero in croce, ma lo esporrebbero al ridicolo». Che a Fatima non ci sia più curiosità riguardo al «segreto», me lo conferma il rettore del santuario, padre Carlos Cabecinhas, un dottorato in liturgia a Roma, esperto di apparizioni mariane: «Sì, fino al 2000 c’era questa ansia di sapere in che cosa consisteva il segreto, ma adesso non c’è più curiosità, il segreto è stato svelato. So che in Italia e negli Stati Uniti si scrive che ci sarebbe un quarto segreto. Quello che posso dire è che suor Lucia ha confermato che tutto il segreto è stato svelato e che, quindi, il problema non esiste. È interessante constatare come il numero dei pellegrini non è affatto diminuito, anzi, è cresciuto, dopo il 2000. Come ha detto papa Benedetto: si sbagliano coloro che pensano che la missione profetica di Fatima sia esaurita. Il messaggio della Madonna, che è un messaggio di conversione, di ritorno a Dio, della centralità di Dio nella nostra storia, rimane con tutta l’at- 19:31 Pagina 589 tualità che aveva nel momento delle apparizioni, forse più urgente di allora». Quello del «segreto» è un filone esaurito Chiedo a padre Carlos se l’insistenza sul quarto segreto non danneggi la vera devozione alla Madonna di Fatima. La risposta è secca: «Non è un problema che ci tolga il sonno e la tranquillità, però non ha senso che si continui a insistere. Quello che si dice e si scrive sul quarto segreto ha lo scopo di sfruttare un filone esaurito. Ho un’opinione del tutto negativa circa questi tentativi, che possono creare un’impressione sbagliata di Fatima». Un’altra precisa domanda al rettore del santuario: si fanno esorcismi? La risposta è ancora secca: «No, in modo assoluto. Qui non c’è nessun esorcista autorizzato. Se si presentano dei casi “speciali”, è il vicario generale che se ne occupa. Le assicuro che fino ad oggi non si è verificato nessun caso che si potesse dire che vi fosse bisogno di ricorrere all’esorcismo. C’è la preghiera prevista dal rituale, ma non si tratta di esorcismo. Pensiamo di costituire un’équipe di medici, psicologi, sacerdoti per quanti si trovano in particolari circostanze e sentono il bisogno di ritrovare sé stessi. Abbiamo anche in animo di costituire un gruppo di accoglienza e di accompagnamento per coloro che, essendo alla ricerca di Dio e interrogandosi sulla fede, vengono a Fatima per “ricominciare”». Fatima si prepara a festeggiare il centenario delle apparizioni: 19172017. Prima di tutto – ha scritto il vescovo dom Antonio – è un’occasione storica per esprimere lode e gratitudine a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, per questo segno particolare della benevolenza del suo amore, attraverso Maria. La celebrazione del centenario non si deve ridurre a una rievocazione. È, soprattutto, un momento in cui prendere coscienza che l’appello di nostra Signora di Fatima non è risuonato invano; che il suo messaggio continua a esercitare un’influenza benefica per l’oggi e per il futuro del nostro cammino di Chiesa e della storia dell’umanità». Si è presa come simbolo la menorah: sette braccia e sette lampade. Si è costituita una commissione teologica per articolare un itinerario attorno a sette grandi temi, che sono sette luci. La prima luce è la bellezza del volto di Dio, del suo amore trinitario. La seconda è quella di Dio salvatore, che ci chiama a collaborare nella storia di salvezza e nel mistero della redenzione del mondo in Cristo. La terza luce ci fa contemplare Dio, che nel corso della storia della salvezza conforta il suo popolo infondendogli coraggio e fiducia. La quarta luce illumina un Dio misericordioso e compassionevole, attento alle sofferenze dell’umanità. La quinta luce è lo splendore della santità, che irradia per noi dal volto di Cristo, di cui Maria è lo specchio. La sesta luce ci apre a Dio, pienezza di vita, offerta in Cristo. La settima completa il candelabro spirituale: Maria fu scelta dal Dio dell’alleanza per una missione unica nella storia della salvezza: essere la madre del Salvatore. «Un programma suggestivo ed esigente, che tuttavia non vincola le diocesi e le parrocchie», osserva il vescovo di Leiria e Fatima. «Fatima non vuol dire fatimizzazione del cattolicesimo portoghese. È una specie di cuore spirituale. Offre un programma di spiritualità e pastorale. Insegna che la storia può essere cambiata con la conversione, l’orazione, l’offerta di sé stessi, la riparazione del peccato del mondo, la solidarietà nella comunione dei santi. Fatima si presenta come un segno di Dio per la nostra generazione, una parola profetica per il nostro tempo, un intervento divino nella storia umana mediante il volto materno di Maria». Francesco Strazzari 1 J.M. FERNANDES, M. CLEMENTE, Diálogo em Tempo de Escombros. Uma conversa sobre Portugal, o Mundo e a Igreja Católica, Pedra da Lua, Lisboa 2010, 26. 2 F ERNANDES, C LEMENTE , Diálogo em Tempo de Escombros, 45. 3 Cf. E.J. HOBSBAWM, Il secolo breve – 1914-1991, Rizzoli-BUR, Milano 2006. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 589 590-593_articolo sciuto:Layout 2 25-10-2012 18:56 Pagina 590 Catechesi I TA L I A c omunità formazione iniziazione Tr e p a r o l e c h i a v e d a i c o n v e g n i c a t e c h i s t i c i r e g i o n a l i I sedici convegni catechistici regionali, che si sono svolti nel corso del 2012 e che si sono appena conclusi con l’incontro nazionale dei direttori degli uffici catechistici diocesani (UCD) ad Abano Terme, il 4 e 5 ottobre 2012, hanno permesso all’Ufficio catechistico nazionale (UCN) e alla sua Consulta di offrire alla comunità catechistica italiana un quadro di riferimento della catechesi in Italia quanto mai vicino alla realtà, tentando di rispondere alla richiesta di verifica e di confronto sulla dimensione dell’impegno educativo delle nostre Chiese e in particolare sul rinnovamento dell’iniziazione cristiana, proveniente dagli Orientamenti pastorali per il decennio, Educare alla vita buona del Vangelo, attraverso tre azioni: «discernere, valutare e promuovere».1 I convegni – secondo quando affermato dal direttore UCN don Guido Benzi nelle sue conclusioni ad Abano Terme – sono stati un «bel respiro» di Chiesa conciliare, in quanto, oltre ad aver coinvolto un largo numero di operatori pastorali (vescovi, sacerdoti, religiosi e laici), hanno mostrato la vitalità della catechesi italiana e anche la creatività di ciascun territorio nel ripensare e riproporre ciò che deve stare a cuore a ogni cristiano e quindi a ogni comunità parrocchiale: annunciare il Vangelo, educare, iniziare alla fede le nuove generazioni. La verifica e il confronto sono state quindi l’occasione per «fare il punto» sul rinnovamento catechistico italiano, senza abbandonarsi a quei facili pessimismi 590 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 che possono sorgere dalle pur presenti problematiche, dai ritardi e dalle stanchezze, ma con il desiderio di comprendere come le intuizioni più volte presentate nei documenti dei vescovi italiani siano realmente divenute prassi pastorale, così da rilanciarne il cammino. Il percorso vissuto lungo tutto questo anno pastorale ha permesso, inoltre, di individuare alcuni «nodi» della catechesi oggetto di riflessione della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi in vista della stesura di nuovi orientamenti che, riaffermando il valore del documento di base, Il rinnovamento della catechesi (1970), indichino le scelte pastorali delle Chiese in Italia per svolgere la loro missione evangelizzatrice, ed è stata anche un’attività di monitoraggio per giungere all’Anno della fede e al Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione consapevoli di quanto già si opera nelle nostre comunità, e di quanto bisogna ancora progredire. Durante l’incontro nazionale di Abano Terme è stata presentata un’ampia relazione di sintesi di tutto il materiale pervenuto all’UCN dalle regioni in questi mesi (sintesi delle riflessioni diocesane, relazioni ai convegni degli esperti, esperienze diocesane e parrocchiali, sintesi dei lavori di gruppo, introduzioni e conclusioni varie, omelie, sintesi dei direttori regionali, articoli di stampa nazionale e locale), compendiata in alcuni punti che hanno raccolto i dati emersi e allo stesso tempo hanno permesso di in- travedere delle scelte concrete da operare perché la «teoria» si traduca in «prassi pastorale».2 Comunità più missionarie Un primo dato emerso dai convegni è la presa di coscienza di non essere più in uno «stato di cristianità», ma di «missione permanente». Da Nord a Sud è chiaro il passaggio da una società con una cultura omogenea e in larga parte impregnata di cristianesimo, dove tutti condividevano sostanzialmente gli stessi valori e la stessa visione della vita, a una dove vi è in atto un crescente processo di secolarizzazione, divenuto ormai fenomeno di massa, che ha favorito una diffusa indifferenza religiosa e una scarsa pratica religiosa, con conseguenze negative sul processo di trasmissione della fede da una generazione all’altra. Le Chiese locali vivono, in un certo senso, una sorta di «dicotomia pastorale»: da un lato hanno ben chiaro che, nell’attuale contesto di pluralismo socioculturale, l’educazione alla fede è diventata sempre più complessa e problematica, avvertendo l’esigenza di operare una svolta da una pastorale «della cura e conservazione della fede» a una pastorale «missionaria», ma dall’altro non riescono a realizzarla per la fatica di tradurre le indicazioni del magistero in autentica prassi ecclesiale. Le parrocchie, luoghi fondamentali per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente,3 pur mantenendo in larga parte le attività pastorali «tradizionali», in- 590-593_articolo sciuto:Layout 2 25-10-2012 tuiscono l’esigenza di rinnovare la propria modalità di annuncio e iniziano a compiere dei timidi tentativi «missionari» verso gli adulti per favorire un loro «ricominciamento» nel cammino di fede. Si ritrovano, infatti, qua e là per l’Italia comunità parrocchiali che hanno già iniziato la revisione dei propri programmi per non essere considerate «stazioni di servizi», e neppure solo luoghi di pastorale ordinaria, di celebrazioni liturgiche, di amministrazione di sacramenti, di catechesi e catecumenato. Queste parrocchie, alla luce della nota pastorale dell’Episcopato italiano Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia (2004), desiderano diventare centri di irradiazione e di testimonianza dell’esperienza cristiana e tentano nuove vie per essere luoghi in cui l’ascolto delle persone e dei loro bisogni apre alla realizzazione del regno di Dio, in quanto strada perché la ricerca della verità introduca all’incontro con Cristo, nutra e rinforzi l’adesione a lui. Le esperienze di rinnovamento dell’iniziazione cristiana con il coinvolgimento attivo della famiglia, quelle di primo/secondo annuncio4 del pre- e post-battesimo, la promozione dei gruppi di ascolto della Parola, l’attenzione alle nuove povertà rendono le comunità parrocchiali più aderenti allo stato permanente di missione in cui anche la Chiesa italiana si trova. All’interno di questo positivo movimento di rinnovamento delle comunità, anche il volto della catechesi che ci viene restituito dai convegni è vivace: desideroso di rinnovarsi pur nelle difficoltà incontrate. È una catechesi che, a vari livelli e in diverse circostanze, dimostra il proprio desiderio di vivere «al passo con i tempi», anche se non mancano in certe zone d’Italia «desideri nostalgici» e tentativi di ritorno a forme desuete e «archeologiche» di una catechesi che, se allora rispondeva ai bisogni del tempo, oggi sarebbe inefficace e anacronistica. La promozione dei nuovi percorsi a volte fatica a causa dell’assenza di una reale mentalizzazione degli operatori (parroci, catechisti, operatori pastorali, famiglie), della necessità di un nuovo investimento di forze difficile da reperire o del mancato ricambio generazionale dei catechisti. In ogni caso, però, que- 18:56 Pagina 591 sto movimento di rinnovamento evita quell’atteggiamento rassegnato e stanco in cui si rischia di ritrovarsi se non ci si apre con fiducia al «nuovo» abbandonando le proprie «sicurezze» e «certezze» per ricercare nuove vie. La formazione degli adulti La verifica dei convegni regionali ha evidenziato che è in atto in Italia un graduale passaggio da una pastorale centrata sui «piccoli» a una sugli adulti, confermando quanto già scriveva il documento di base: «Gli adulti sono in senso più pieno i destinatari del messaggio cristiano».5 L’autenticità e l’efficacia dell’iniziazione cristiana dei piccoli, infatti, esige una reale priorità all’evangelizzazione e alla catechesi degli adulti, e in particolare dei genitori. Nonostante questa indicazione sia stata più volte riproposta dal magistero, nonostante si facciano timidi tentativi, è ancora valida l’affermazione della lettera Annuncio e catechesi per la vita cristiana (2010), secondo cui «di fatto, questo obiettivo primario di formare cristiani adulti […] è rimasto spesso disatteso».6 Per questo è necessario che le comunità parrocchiali riservino una maggiore attenzione alla formazione «adulta» degli adulti.7 Le nuove esperienze di iniziazione cristiana, in questo senso, attraverso il coinvolgimento dei genitori e della famiglia, diventano un’opportunità per far riscoprire a questi soggetti la fede ma anche il desiderio di trasmetterla alle nuove generazioni. Laddove le parrocchie hanno avviato percorsi formativi per i genitori l’effetto positivo, su un numero non quantitativamente alto ma qualitativamente significativo, è nella direzione del «secondo annuncio»: molti, infatti, testimoniano di aver riscoperto la fede, di concepirla comprensibile, sensata e culturalmente vivibile, di essersi «riconciliati» con la Chiesa e di aver ripreso la frequenza domenicale.8 Alla luce di ciò le parrocchie sono sollecitate a dare più attenzione al coinvolgimento reale, attivo e consapevole delle famiglie nel completamento dell’iniziazione cristiana dei figli, nella convinzione che la catechesi dei fanciulli e dei ragazzi, anche se dovesse essere realizzata in maniera ottimale da catechisti auten- tici e competenti, è destinata a rimanere sterile se non supporta la responsabilità educativa dei genitori, i quali sono i primi fondamentali educatori delle nuove generazioni con il loro stile di vita prima che con le loro parole.9 In questo contesto sarà importante anche un’attenzione particolare per i giovani genitori, che vanno evangelizzati già dalla preparazione al matrimonio e poi nella pastorale pre- e post-battesimale affinché, incontrato o riscoperto il Vangelo, possano essere aiutati a divenire realmente i primi educatori nella fede dei loro figli. Tra gli adulti da formare le verifiche regionali indicano i catechisti, gli operatori pastorali in genere, e gli stessi parroci che fanno fatica nel cambio di prospettiva. Alla «quantità» dei catechisti, per lo più impegnati quasi esclusivamente nella catechesi dei fanciulli e dei ragazzi, non sempre corrisponde la «qualità»: spesso hanno una preparazione inadeguata, non solo in ciò che è loro proprio, ma anche nei contenuti della fede, e non sempre ne hanno consapevolezza. Per questo è necessario dare più spazio e importanza alla formazione dei catechisti nelle nostre comunità ecclesiali, troppo spesso trascurata o sottovalutata. Deve crescere la convinzione che «investire» nella formazione è un’impresa di sicuro rendimento. Ciò permetterà anche di superare l’annosa questione dell’assenza di comunità adulte nella fede fin quando tutti i parrocchiani non sono adulti nella fede: occorre piuttosto partire dall’interno, da quegli «adulti implicati» di cui si è parlato nel Convegno dei direttori UCD di Pesaro (giugno 2011),10 da quei cristiani impegnati che ritornano a scoprire la fede mentre la propongono. In questo senso il Consiglio episcopale permanente di recente ha confermato che bisogna «mantenere prioritario l’impegno di formazione dei catechisti».11 La formazione dovrà essere diversificata in ordine: alla crescita permanente; ai destinatari del loro ministero (iniziazione cristiana, adulti, battesimo…); ai contenuti e metodi. È da proseguire (laddove è già iniziata) o promuovere la formazione dei formatori dei catechisti, in particolare gli animatori-coordinatori del gruppo-catechisti. Questo livello formativo implica IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 591 590-593_articolo sciuto:Layout 2 25-10-2012 un impegno diretto degli UCD sia nella promozione di formazione diocesana sia nel garantire che le parrocchie curino quella iniziale e permanente dei loro catechisti. Infine, è necessario promuovere un adeguato percorso formativo (iniziale e permanente) per i diaconi permanenti, i seminaristi e il clero affinché siano abilitati a operare il passaggio dalla pastorale «della cura della fede» a quella «missionaria», e si riapproprino del loro ruolo specifico e insostituibile nell’iniziazione cristiana in chiave catecumenale, consapevoli che l’appassionato impegno dei parroci – e dei preti in genere – nella catechesi non è in conflitto con la corresponsabilità di tutti nell’annunzio del Vangelo, ma è un servizio decisivo per sostenere i laici nella riscoperta della loro insostituibile vocazione di catechisti. Iniziazione cristiana L’attenzione dei convegni regionali, come era giusto, si è focalizzata maggiormente sull’iniziazione cristiana. Le relazioni sintetiche hanno evidenziato che è ormai diffusa tra gli operatori della catechesi, almeno in linea di principio, l’idea secondo cui l’iniziazione deve lasciarsi ispirare dalla logica catecumenale,12 non riproducendo mimeticamente il catecumenato battesimale antico, ma lasciandosi fecondare dai suoi principi elementari caratterizzanti. Questa ispirazione permette di favorire nei catechizzandi la progressiva consapevolezza della fede, mediante itinerari differenziati che conducono alla relazione con Cristo, formano alla globalità della vita cristiana e aprono alla conoscenza di Cristo nella vita della Chiesa. È convinzione comune, infatti, che l’impostazione dell’iniziazione cristiana ispirata a questo modello offra segni di speranza, in quanto toglie la catechesi iniziatica dalla semplice preparazione ai sacramenti, ma da sola non garantisce l’autenticità e l’efficacia del cammino per diventare cristiani. Il più delle volte anche i fanciulli e ragazzi che hanno seguito un percorso di questo tipo abbandonano la parrocchia e la stessa pratica religiosa. Naturalmente questo fenomeno può essere imputato a vari motivi: forse nel con- 592 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 18:56 Pagina 592 creto sono cambiati alcuni nomi, ma non sempre è cambiata la sostanza; non sempre i catechisti hanno ricevuto un’adeguata formazione (sotto altro nome continuano a fare la catechesi con la vecchia mentalità); è ancora carente l’apporto della famiglia e della comunità cristiana. In ogni caso, pur di fronte a queste constatazioni, dalle Chiese locali emerge l’invito a proseguire su questa strada intensificandola, nonostante i risultati quantitativi (oltre che qualitativi) spesso non siano esaltanti. I convegni evidenziano anche il recupero e la valorizzazione dell’intero arco iniziatico: dalla domanda dell’adulto alla pastorale pre-battesimale e delle prime età, dal completamento dell’iniziazione in età scolare alla mistagogia/pastorale dei preadolescenti. Il percorso richiede di non dare per scontata la fede. In questo senso il primo annuncio deve diventare sempre più la dimensione trasversale a tutto il processo iniziatico e catechistico in genere: a ogni «passaggio di vita» corrisponde un «passaggio di fede» che richiede un nuovo annuncio e una nuova adesione a Cristo.13 Il processo d’iniziazione vede nella pastorale pre- e post-battesimale una tappa importante perché mette in atto «alcune attenzioni pastorali per la formazione e l’accompagnamento delle famiglie nella missione educativa verso i bambini; in particolare, la centralità delle relazioni tra i soggetti coinvolti, la possibilità di un “primo annuncio” rivolto ai genitori, i legami con la vita della comunità».14 La pastorale delle prime età, che in quest’ultimo periodo sta facendo breccia nelle nostre comunità parrocchiali e diocesane, è uno dei luoghi prioritari per la nuova evangelizzazione e una pista da percorrere, in quanto rappresenta un’opportunità per un’azione missionaria nei confronti dei genitori, affinché anche i bambini siano educati nella fede. In questo senso il percorso di riflessione e di confronto iniziato in questi mesi con l’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia, che culminerà nel giugno 2013 con un Convegno nazionale dei direttori UCD e dei responsabili diocesani della pastorale familiare, potrà apportare quel contributo necessario al pensiero e alla prassi per una organica pastorale integrata della fascia d’età 0-6 anni inserita nel processo di rinnovamento dell’iniziazione. Riguardo al completamento dell’iniziazione cristiana in età scolare, oltre ai «criteri» suggeriti dal n. 54a di Educare alla vita buona del Vangelo, cioè la responsabilità primaria della comunità cristiana, le forme del primo annuncio, il coinvolgimento della famiglia, la centralità del giorno del Signore e dell’eucaristia, l’attenzione alle persone disabili e la catechesi degli adulti quale impegno di formazione permanente, sembra opportuno che il processo iniziatico favorisca nel ragazzo un’adeguata iniziazione: all’ascolto della Parola, alla vita liturgica e alla conoscenza del dato di fede perché si possa giungere alla personalizzazione dell’atto di fede. È importante dare attenzione alla riscoperta della domenica come «giorno del Signore», «giorno della comunità», ma anche giorno in cui tutta la comunità si pone in stato di iniziazione e assolve il suo compito di iniziare le nuove generazioni. In questo senso così si esprimeva il card. Bagnasco al convegno regionale della Liguria: «Sorge allora spontanea una domanda: perché non pensare alla domenica, giorno dell’assemblea liturgica, del riposo, dell’accoglienza nella carità e dell’anticipazione festosa del Regno, come giorno in cui incrociare la dimensione catechistica e la partecipazione fruttuosa alla liturgia? E insieme valorizzare l’anno liturgico come grande itinerario di catechesi? È proprio tale dimensione domenicale della vita comunitaria che potrebbe permettere di superare un’altra aporia, quella che vede contrapposti, e quasi concorrenziali nella proposta pastorale, l’impegno catechistico verso i piccoli e quello verso gli adulti».15 La verifica delle regioni, infine, è concorde nell’idea che anche il «dopo» iniziazione è essenziale per la riuscita di tutto l’intero processo iniziatico. Dopo il tempo della mistagogia, così com’è previsto dall’ispirazione catecumenale, è importante che l’iniziato sia inserito in una reale pastorale parrocchiale dei ragazzi/preadolescenti. Spesso si ritiene che l’abbandono dei ragazzi dopo i sacramenti dell’iniziazione sia prova evidente che l’impianto 590-593_articolo sciuto:Layout 2 25-10-2012 è errato, ma ciò non risponde totalmente a verità perché si dimentica di riflettere sulla pastorale giovanile e sulle caratteristiche peculiari della preadolescenza e dell’adolescenza. Occorre allora che, attraverso un’adeguata riflessione e una concertata progettazione pastorale, si giunga presto alla formulazione di itinerari per i preadolescenti capaci di essere in continuità con il percorso già fatto, ma anche in discontinuità rispetto alla catechesi dell’infanzia. L’esperienza mostra che nelle parrocchie dove è maturata una presenza vivace di gruppi giovanili, che vivono seriamente il loro cammino cristiano e che i ragazzi più piccoli incontrano nella vita parrocchiale, la continuità del cammino dopo l’iniziazione cristiana è possibile ed estremamente feconda. Un tempo di «novità» I convegni regionali lasciano ancora alcune questioni aperte bisognose di ulteriore riflessione, a partire da quei «nodi problematici» già enunciati nell’incontro nazionale dei direttori UCD del febbraio 2012 e riassunti nei cinque binomi: obbligatorietà/libertà della proposta delle nuove esperienze; ripristino/mantenimento dell’ordine teologico dei sacramenti; famiglia/comunità (la famiglia riferimento centrale ma non esclusivo, in quanto la comunità è più e oltre la famiglia); ragazzi/adulti, soggetti che vanno entrambi salvaguardati; mistagogia/pastorale giovanile (quale rapporto?).16 * Don Carmelo Sciuto ricopre l’incarico di aiutante di studio dell’Ufficio catechistico nazionale. 1 EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, 4.10.2010, n. 54s; Regno-doc. 19,2012,621. 2 La relazione di sintesi dei sedici Convegni regionali, C. SCIUTO, S. SORECA, Un quadro della catechesi in Italia. Una lettura dopo i Convegni catechistici regionali 2012, sarà pubblicata sul prossimo Regno-doc. 19,2012. Cf. G. BENZI, La stagione dell’annuncio. Il cammino dei Convegni catechistici regionali nel 2012, in Regno-att. 6,2012,161-163. 3 Cf. EPISCOPATO ITALIANO, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, 4.10.2010, n. 41; Regno-doc. 19,2010,617. 4 Cf. E. BIEMMI, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna 2011. 5 EPISCOPATO ITALIANO, Il rinnovamento della catechesi, documento pastorale di base per la redazione dei catechismi, 2.2.1970, n. 124; ECEI 1/2744. 18:56 Pagina 593 Inoltre, è emersa chiaramente, dopo un decennio vivace di «sperimentazioni», l’esigenza di convergere verso dei criteri di orientamento comuni a livello diocesano, regionale e quindi nazionale. Queste linee guida dei percorsi, che non devono rispondere al criterio dell’uniformità, ma dell’unità e della coralità a cui il progetto catechistico italiano ha notevolmente contribuito nel post-concilio, non sono chiamate a spegnere la creatività e l’originalità di ogni comunità parrocchiale, ma a orientarne ecclesialmente il cammino verso l’unico obiettivo che è il regno di Dio. Si esprime in tal senso il Consiglio episcopale permanente di settembre 2012 attraverso il Comunicato finale: «I vescovi hanno sottolineato l’importanza di concludere la fase delle sperimentazioni degli itinerari di iniziazione cristiana e di fare comunione e unità attorno al progetto catechistico e agli stessi catechismi della CEI. L’obiettivo di tale investimento è la formazione e l’assunzione del pensiero di Cristo».17 Dal Sinodo sulla nuova evangelizzazione, per il livello universale, e dagli Orientamenti per la catechesi della Commissione episcopale per la dottrina, l’annuncio e la catechesi, per il livello nazionale, emergeranno utili indicazioni: «sulla possibilità di configurare per il catechista un ministero stabile ed istituito dentro la Chiesa»;18 sul compito dei presbiteri nella catechesi; sull’importanza e la modalità del coinvolgimento della famiglia; sulla pastorale delle prime età; sull’ordine teologico dei sacramenti. I convegni catechistici regionali 2012 hanno inaugurato un tempo di «novità» per la catechesi italiana. È un’opportunità che ancora una volta lo Spirito dà alla sua Chiesa per intraprendere nuovi percorsi di evangelizzazione. Siamo chiamati ad accogliere il nostro tempo con lo stesso spirito di gioia evangelica con cui cinquant’anni fa Giovanni XXIII apriva il Concilio: «La madre Chiesa si rallegra… Tutti i concili – sia i venti ecumenici, sia gli innumerevoli e da non sottovalutare provinciali e regionali – che sono stati celebrati nel succedersi dei secoli, attestano con evidenza la vitalità della Chiesa cattolica».19 Come ha notato don Dionisio Candido, responsabile nazionale del settore Apostolato biblico, nel suo intervento a conclusione dell’incontro ad Abano, una vitalità similare si è concretizzata nei recenti convegni regionali e può essere letta alla luce dell’icona biblica di 1Pt 2,4: i credenti si riconoscono come «pietre viventi», strette intorno alla «pietra vivente» che è Cristo, per l’edificazione della Chiesa. Un’immagine paradossale, giocata tra stabilità e dinamicità, che traduce bene l’esperienza reale di quanti oggi in Italia sono impegnati nella sfida della catechesi, che richiede una volontà decisa per il Vangelo e una disponibilità di adattamento alle diverse situazioni esistenziali. 6 COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio 12 Cf. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio generale per la catechesi, 15.8.1997, nn. 68 e 90; EV 16/827.866. 13 Cf. COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio e catechesi per la vita cristiana, n. 14; ECEI 10/3580. 14 V. GATTI, «Massima cura del pre e post battesimo», in Settimana n. 33, 16.9.2012, 6. 15 A. BAGNASCO, Intervento al Convegno catechistico regionale della Liguria (2021.4.2012). 16 Cf. C. SCIUTO, «IC: qualcosa si muove. Così in Italia», in Settimana n. 9, 4.3.2012, 8-9. 17 CEI-CONSIGLIO PERMANENTE, Comunicato finale, Roma, 24-27.9.2012; Regno-doc. 17,2012,551. 18 XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI (2012), Instrumentum laboris, n. 108; Regno-doc. 13,2012,407. 19 GIOVANNI XXIII, discorso Gaudet Mater Ecclesia nella solenne apertura del Concilio, 11.10.1962; EV 1/26*-27*. e catechesi per la vita cristiana. Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento base Il rinnovamento della catechesi, 4.4.2010, n. 13; ECEI 10/3579. 7 Cf. M. TIBALDI, «Un “cantiere comune” per l’iniziazione cristiana», in Settimana n. 25, 24.6.2012, 3. 8 Cf. E. BIEMMI, «Catechesi e iniziazione cristiana», in G. ROUTHIER – L. BRESSAN – L. VACCARO, La catechesi e le sfide dell’evangelizzazione oggi, Morcelliana, Brescia 2012, 123. 9 Cf. B. PADOVANI, S. POZZOLI, «Per l’IC i genitori vanno sempre coinvolti», in Settimana n. 19, 13.5.2012, 13. 10 Il XLV Convegno UCN dei direttori degli UCD era intitolato: «Adulti testimoni della fede desiderosi di trasmettere speranza» e si è svolto a Pesaro il 20-23 giugno 2011. Gli atti in www.chiesacattolica.it/ucn. 11 CEI-CONSIGLIO PERMANENTE, Comunicato finale, Roma, 24-27 settembre 2012, in www.chiesacattolica.it; Regno-doc. 17,2012, 552. Carmelo Sciuto* IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 593 594_info_brunelli:Layout 2 25-10-2012 18:35 Pagina 594 Calabria Chiesa e mafia Siete contro Dio: convertitevi F ra settembre e ottobre la Calabria è stata oggetto di attenzione da parte dei media per alcuni eventi relativi al tema mafia e al rapporto Chiesa e mafia. L’episodio più recente e più grave riguarda la decisione del Ministero degli interni (9 ottobre) di sciogliere il Consiglio comunale di Reggio Calabria per contiguità mafiosa. È la prima volta di un comune di questa importanza. «È stato un atto sofferto – ha detto il ministro dell’interno Cancellieri – fatto però a favore della città». I risultati della Commissione di inchiesta istituita dal governo e presieduta dal prefetto di Reggio Calabria Vittorio Piscitelli non lasciavano dubbi. Non si tratta solo del rischio di infiltrazioni mafiose, ma di interi settori dell’amministrazione finiti in mano a persone riconducibili alla ‘ndrangheta. Sul sindaco Demetrio Arena grava l’accusa di non aver cercato in nessun modo di attivare le misure necessarie ad arginare il rischio. L’indagine svolta dal prefetto vede coinvolti diversi consiglieri, assessori e dipendenti comunali. In quegli stessi giorni, la Conferenza episcopale calabra, riunita sotto la presidenza dell’arcivescovo di Reggio Calabria, mons. Mondello, ha dichiarato che tra i vescovi della regione «c’è piena condivisione nel dichiarare la ‘ndrangheta anticristiana, ma anche nell’invitare i suoi affiliati alla conversione e alla giusta riparazione nella prospettiva del perdono cristiano che non si identifica con il corso della giustizia terrena». La dichiarazione, che riaccende l’attenzione dei media sul rapporto Chiesa e mafia, fa seguito a una contrapposizione piuttosto surreale impostata dai media sulle due distinte dichiarazioni che il vescovo di Cosenza (mons. Nunnari) e quello di Locri (mons. Morosini) avevano fatto sulla questione mafiosa. Entrambi erano intervenuti sul tema della condanna ai mafiosi e sulla richiesta rivolta direttamente a loro di conversione. Diverso stile, stessa sostanza. Di qui le polemiche che hanno spinto dapprima i due vescovi a una dichiarazione con- 594 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 giunta, alla quale ha fatto seguito la dichiarazione dell’intera Conferenza episcopale regionale. C’è una certa tradizione di interventi, cresciuti in consapevolezza e incisività, dei vescovi calabresi sulla mafia che non lascia dubbi. Basterà richiamare, tra gli altri, i documenti del 1975 (L’episcopato calabro contro la mafia, disonorante piaga della società) e quello più recente del 2007 (Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo; Regno-doc. 3,2008,113). Mi appello a voi, uomini di mafia Riprendiamo qui alcuni passi del testo di mons. Nunnari, reso noto l’8 settembre. Mi appello a voi, uomini di mafia, questo il titolo della riflessione pastorale nella quale, dopo un’analisi severa dei mali causati dalla ‘ndrangheta, il vescovo chiede ai mafiosi di convertirsi e porre fine alla lunga scia di sangue e di oppressione che sta uccidendo la comunità locale. «Ai suoi mali antichi – si legge nel documento – si sommano le vostre organizzazioni di cui la ‘ndrangheta è oggi la faccia più visibile e pericolosa. Una presenza che fa pagare alla nostra terra un prezzo alto a livello sociale, economico e religioso. Siete però minoranza e non rappresentate la storia e la civiltà millenaria dei nostri padri. Come Caino però portate il segno di Dio per non essere oggetto dell’odio e della vendetta: “Nessuno tocchi Caino” (cf. Gen 4,9-15). In lui potete riconoscere il progenitore. Nel suo cuore perverso, che abbatte il fratello Abele per avere la supremazia e il dominio sulle cose che Dio aveva messo a disposizione di tutti, il vostro cuore. I segni che vi distinguono sono l’arroganza del potere, la spregiudicatezza del possedere, l’animosità che acceca e annulla i vincoli di sangue e la mancanza assoluta di rispetto per la vita e la dignità umana. In questo contesto, avere la presunzione di appellarvi a tradizioni religiose, come spesso fate anche cercando di prendere parte alla preparazione di feste patronali, è semplicemente assurdo. Non c’è nulla nel Vangelo di Cristo a cui voi mafiosi potete richiamarvi, anzi la vostra stessa esistenza fatta di violenza e soprusi è una controtestimonianza allo spirito e alla norma etica della parola di Dio». Il vescovo interviene duramente anche sulla cosiddetta pratica cultuale dei mafiosi, dichiarando che non è pensabile definirsi cristiani e mafiosi. «Non è certo la partecipazione, anzi peggio l’inserimento subdolo nelle pratiche della pietà popolare, che vi abilita ad appartenere a una Chiesa che purtroppo, soprattutto nel passato, non sempre è riuscita a discernere i vostri atteggiamenti, a tal punto da cadere in questo imbroglio. Ciò ha permesso ad alcuni della vostra poco o per nulla onorata società di far parte di comitati per la realizzazione delle feste. Anche per questo alcune di esse hanno ancora molto dello spirito pagano (…). Basta con la strumentalizzazione della devozione alla Madonna e ai Santi a cui solo cuori purificati e semplici possono accostarsi. Se Cristo è la vita e la verità, il vostro agire vi mette dalla parte della morte e della menzogna. Se la Chiesa e l’esempio di santità di tanti uomini colpiti da voi vi indicavano la luce, voi avete scelto consapevolmente le tenebre. Se Dio è tenerezza, amore infinito e compassione per tutti gli uomini, un insano ed erroneo senso dell’onore arma la vostra mano contro i fratelli. E infine, vi ricordo che “la gloria di Dio è l’uomo vivente” (Salmo 21). Voi che seminate morte offendete invece Dio ogni giorno». Da ultimo l’invito al pentimento e alla conversione: «Le lacrime di tanti genitori e sposi in questi anni del mio ministero pastorale hanno reso arduo considerarvi ancora capaci di accogliere l’appello che nasce dal cuore di un padre (…). Il male non può essere l’assoluto nella vostra vita, aprite perciò il cuore al messaggio eterno del Vangelo che è annuncio di liberazione e di salvezza e non ha nulla a che fare con le false devozioni. Ecco allora, vi chiedo di farvi raggiungere dallo Spirito effuso dall’Alto, l’unico che ha il potere di mutare il deserto della vostra esistenza in un giardino dove fiorisce la giustizia e la pace.“Lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20), è ancora l’esortazione che Paolo rivolge ai cristiani e che è rivolta anche a voi oggi». Un invito secondo uno stile di condanna radicale del male e di richiesta di conversione agli uomini che fa eco al grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento (9.5.1993): «Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio». G. B. 595-596_articolo_movi:Layout 2 25-10-2012 18:58 Pagina 595 La proposta del MoVI V O LO N TA R I ATO l e strade della prossimità I l percorso è partito nel 2011, Anno europeo del volontariato. Di qui il Movimento di Volontariato italiano (MoVI) ha lanciato una serie di riflessioni culminate in un laboratorio nazionale che ha radunato a Roma dal 1° al 3 giugno scorso 350 volontari e giovani italiani. Nato nel 1978 a opera di don Giovanni Nervo e Luciano Tavazza (1927-2000; Regno-att. 10,2000,355), che associarono una serie di gruppi sparsi sul territorio nazionale, il MoVI con il laboratorio «Strade nuove per l’Italia» ha costatato che la crisi dei paesi occidentali spinge alla riformulazione di un nuovo modello di sviluppo. Per questo il volontariato deve fare tesoro, attraverso il rilancio della dimensione profetica della solidarietà che l’aveva caratterizzato nei suoi inizi, di quella «riserva di gratuità» che tuttora è presente nel paese per uscire dalla crisi e riavviare «il cammino della società italiana, orientandola verso il compimento di quella profezia» attraverso cinque «strade nuove» confluite nel manifesto che qui pubblichiamo. Prima strada: A L I M E N TA R E U N D I F F U S O V O L O N TA R I ATO D I P RO S S I M I T À , P E R S O ST E N E R E U N W E L FA R E D I C I T TA D I N A N Z A Abbiamo colto come, nella drammatica riduzione delle risorse pubbliche, non sia possibile rinunciare ai sistemi per il benessere e l’inclusione sociale, soprattutto perché questa crisi aumenterà i livelli di povertà e i rischi di esclusione. Ma non possiamo continuare a pensare che tutto dipenda dalle risorse pubbliche. Soprattutto, non possiamo pensare che tutte le situazioni di bisogno richiedano servizi professionali e strutturati. Attingendo alla «riserva di gratuità», dobbiamo rilanciare la pratica del «volonta- Un manifesto per andare oltre il professionismo della solidarietà riato di prossimità», di un volontariato diffuso fatto senza bisogno di organizzazioni complesse, attraverso il quale ciascuno possa accorgersi dei propri vicini e prendersene un po’ cura. Volontariato di prossimità è una forma di impegno nella quale non si diventa «specialisti del sociale», non si devono frequentare corsi, non è necessario iscriversi a registri o compilare moduli, non serve chiedere contributi… È una forma di impegno per la quale l’unica competenza richiesta è quella dell’essere persone, donne e uomini capaci di relazione. Se pensiamo, ad esempio, alla condizione di solitudine di tanti anziani, all’esigenza di prendersi cura dei bambini di un condominio nel tempo fuori dalla scuola, al disagio relazionale di giovani a rischio di depressione, ci rendiamo conto che è possibile alimentare forme di mutuo aiuto piccole e alla portata di tutti. Cose che già si fanno, ma che possono diventare cultura diffusa, contro la tentazione di «farsi i fatti propri». Questo non significa rinunciare ai servizi sociali che realmente servono, ma significa limitarli a quelli realmente necessari e concentrare su questi le risorse che si riescono a trovare. CONCRETAMENTE: far nascere, sperimentare e condividere a livello nazionale esperienze locali di volontariato di prossimità. Seconda strada: R I A P P RO P R I A R S I D E G L I S PA Z I CO M U N I La cura dei beni comuni (un edificio scolastico, un parco pubblico, un bene culturale, un bene ambientale…) è una straordinaria modalità per educarsi all’interesse generale. Comune è, infatti, un bene che è tale perché tutti possono fruirne senza che questo venga meno per gli altri, ma solo a patto che tutti se ne prendano cura. La cura per i beni comuni è, dunque, una forma di esercizio della cittadinanza attiva, un modo per rilanciare i valori della Costituzione. Ma i beni comuni sono anche una risorsa della comunità, un «capitale» che può contribuire a fare la ricchezza di un territorio. I volontari devono fare, della cura dei beni comuni, uno spazio proprio del loro impegno, una possibilità per coinvolgere altri cittadini intorno a progetti concreti di impegno, quindi uno strumento di cambiamento culturale, sapendo anche che i beni comuni sono invisi alle mafie, perché ne rappresentano concretamente e simbolicamente una riduzione del potere sociale. Una priorità su cui è significativo investire oggi è quella della cura delle scuole. La gestione degli edifici scolastici negli orari in cui non sono utilizzati per l’attività didattica, facendone luoghi di animazione dei quartieri, di educazione non formale, di aggregazione sociale, di integrazione fra culture diverse, di proposta culturale, ecc. può contribuire anche a riportare la scuola al centro dell’interesse di tutta la comunità, a superarne una visione individualistica e competitiva, a rilanciare l’impegno per la tutela del diritto all’istruzione pubblica. CONCRETAMENTE: favorire una rete nazionale di esperienze di gestione civica delle scuole in orario extra-scolastico, attraverso la nascita di associazioni di genitori, animate dai gruppi di volontariato. Terza strada: S O ST E N E R E F O R M E D I D E M O C R A Z I A PA RT E C I PAT I VA Diffondere la pratica del volontariato di prossimità è anche un modo per svilup- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 595 595-596_articolo_movi:Layout 2 25-10-2012 pare la propensione all’impegno civico, all’interessamento per i problemi della comunità. È, dunque, una strada per alimentare l’impegno politico e ridurre i rischi che oggi corre la democrazia. Cittadini consapevoli saranno più disponibili a mettersi in gioco in esperienze di democrazia partecipativa (consulte civiche, esperienze di partecipazione alla decisione su progetti comunali strategici, co-gestione di servizi e spazi comuni…). Nel tempo della crisi, la prima sfida della partecipazione politica riguarda i bilanci pubblici, a partire da quelli comunali, per poter contrastare tutti coloro che sostengono che non ci siano più risorse per il benessere della comunità. Soprattutto quando le risorse sono scarse, è importante controllare come si decide la spesa e influire su queste decisioni. È il modo fondamentale per riportare «i cittadini nella stanza dei bottoni». CONCRETAMENTE: rilanciare la pratica della lettura pubblica dei bilanci comunali, creando momenti formativi per imparare come si legge un bilancio e convocando assemblee per discuterne insieme, in vista delle decisioni dei Consigli comunali. Quar ta strada: S V I L U P PA R E L A S O L I DA R I E T À T R A P E R S O N E , LUOGHI E GENERAZIONI: U N A S O C I E T À E Q U A E S O ST E N I B I L E Affrontare l’impoverimento dell’Italia e dell’Occidente senza aumentare le disuguaglianze, senza ridurre l’impegno per la giustizia nel mondo, senza divorare il pianeta. Queste sfide ci stanno davanti e ci chiedono responsabilità, coraggio e fantasia. Cosa possiamo fare, da cittadini? Innanzitutto, dobbiamo contrastare la demonizzazione del fisco: impegnarci culturalmente per riaffermare l’idea che le tasse non sono un «furto dalle tasche degli italiani», sono uno strumento per ridistribuire la ricchezza, per riequilibrare la società. E di questo, nel tempo della crisi, c’è molto bisogno; pur con tutta l’attenzione necessaria perché le risorse raccolte non vengano sprecate. Dobbiamo rilanciare una cultura dei beni comuni, per la loro salvaguardia e per consegnarli non impoveriti alle future generazioni. Dobbiamo, poi, sostenere politiche di ridistribuzione mondiale della ricchezza: la Tobin tax sulle transazioni finanziarie, l’impegno dei governi per gli «obiettivi del Millennio» e la lotta alla fame, il rafforzamento degli organismi politici internazionali. Dobbiamo infine – ma, forse, è proprio da qui che 596 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 18:58 Pagina 596 dobbiamo partire – cambiare stili di vita: scegliere la sobrietà nei consumi, ridurre il nostro impatto ecologico, risparmiare acqua ed energia, usare meno l’automobile e più i mezzi pubblici, scegliere le banche che assicurano l’impiego etico del nostro denaro, acquistare i prodotti del commercio equo e solidale, aderire ai gruppi di acquisto solidale… CONCRETAMENTE: promuovere una campagna culturale per connettere giustizia sociale e responsabilità ambientale, a partire dagli stili di vita delle persone, delle famiglie e delle piccole comunità... ma anche delle nostre organizzazioni. Studiare e aumentare la consapevolezza sull’impatto delle nostre attività (ma anche delle politiche locali e delle altre attività sul territorio) sull’ambiente e sui consumi energetici. Quinta strada: S O ST E N E R E L E E CO N O M I E S O L I DA L I E D I CO M U N I T À Esistono significative esperienze di solidarietà in varie parti d’Italia che hanno compreso la necessità di costruire iniziative economiche, a livello comunitario, in grado di garantire nuove modalità di risposta ai bisogni delle persone basate sulla mutualità e sulla filiera corta (la cosiddetta economia a «chilometro zero»), garantendo posti di lavoro meno in balia delle bizze dell’economia globale. Ed esistono esperienze educative pensate per promuovere una nuova cultura nella ricerca del lavoro, meno individualista e più proiettata al modello cooperativo. Sono sfide importanti per rispondere al disagio diffuso nel nostro paese, alla disoccupazione, specialmente tra i giovani, alla vulnerabilità di persone ricche di risorse ma che rischiano di «diventare» inutili. Ma anche uno spazio per dare concretezza a un «nuovo modello di sviluppo» rispettoso dell’ambiente e più giusto, per far crescere un’«economia civile» capace di bilanciare gli eccessi del sistema liberista. Si possono avviare forme di scambio di informazioni ed esperienze, iniziative di formazione e sostegno alla nascita di nuove attività, messa in rete di azioni e campagne. CONCRETAMENTE: una campagna di sensibilizzazione per favorire scelte civiche di sostegno alle economie alternative: acquisto nei mercatini del «chilometro zero», partecipazione come sovventori alle imprese sociali che operano a vantaggio della comunità e «radicate» nella comunità, sostegno alle esperienze di «transition town»… UNA N U O VA ST R A DA P E R A P R I R E I C A N T I E R I D E L L E ST R A D E N U O V E CONCRETAMENTE: c’è qualcosa di importante che manca, che è importante affrontare per avvicinarci alla società che vorremmo? Le cinque strade disegnate insieme richiedono ora un paziente lavoro di costruzione. Non saranno transitabili in poco tempo, soprattutto non saranno transitabili senza un impegno a tracciarne il percorso e costruirne il selciato. Servono nuovi cantieri diffusi per disegnare insieme e costruire queste strade nuove. Questi cantieri potranno essere gruppi locali che sorgano in ogni luogo in cui si troveranno volontari, giovani e adulti inquieti che hanno voglia di farsi progettisti e operai di queste strade. Gruppi «Strade nuove per…», specificati con il nome del luogo in cui sorgeranno. Gruppi praticati da singole persone, da famiglie, da gruppi informali, da associazioni che vogliano mettersi in gioco senza confusioni e in piena libertà. La rete dei gruppi «Strade nuove per…», con il sostegno del Movimento di Volontariato italiano, ma in piena autonomia, potrà contribuire a costruire un’«infrastruttura immateriale» di una nuova società italiana, capace di coniugare l’impegno per il territorio (il locale) e quello per il cambiamento del mondo (il globale). In forma agile, movimentista, questa rete potrà raccordarsi attraverso strumenti telematici, occasioni periodiche di incontro, campagne condivise. Potrà darsi momenti di riflessione e formazione comune, con una costante attenzione a sfuggire il rischio dello schiacciamento sui partiti e le tentazioni del potere per se stesso. Ma anche evitando di accontentarsi del solo approfondimento culturale. Il MoVI, che ha assunto la responsabilità di formulare la proposta e avviare il cammino, metterà a disposizione la propria esperienza trentennale di collegamento leggero fra gruppi di base e la propria credibilità di soggetto impegnato per il cambiamento sociale, senza cedimenti agli interessi di parte. Il futuro che ci aspetta, le strade che dovremo costruire e percorrere insieme, chiedono uno spirito di novità e la disponibilità a cambiare sé stessi, conservando l’anima ma aprendo le strutture e rimuovendo anche le eventuali incrostazioni rassicuranti. Questa sfida ci riguarda tutti. Movimento di Volontariato italiano* * Per informazioni e contatti: stradenuove@ movinazionale.it; www.movinazionale.it. 597_info_bombardini_CAIM:Layout 2 25-10-2012 18:59 Pagina 597 Italia Islam a Milano Un albo per il culto L a Giunta Pisapia ha mantenuto fede ai buoni propositi espressi, in campagna elettorale, nei confronti della comunità islamica milanese, avviando un percorso di studi sulle problematiche legate al culto con l’obiettivo di farvi fronte nel pieno rispetto delle leggi sulla libertà religiosa. Lo scorso luglio, in un’ottica d’apertura e ascolto, ha emesso la delibera n. 447545 che precisa le linee di indirizzo per «la promozione del dialogo interreligioso e per il sostegno del diritto della libertà di culto di tutte comunità religiose presenti nel territorio», anche di quelle non munite d’intesa con lo stato. Impegnata a «rendere operative tutte le proprie competenze in materia di diritto di libertà religiosa per la costruzione di una cittadinanza condivisa», l’amministrazione comunale di Milano ha deciso di avvalersi della consulenza gratuita del «Gruppo di lavoro per il dialogo interreligioso» composto da esperti nelle discipline legate alle tematiche religiose sotto il profilo socio-culturale e giuridico (Paolo Branca, Alessandro Ferrari, Silvio Ferrari, Natascia Marchei), i quali hanno già incontrato i rappresentanti delle varie realtà confessionali, individuando in primis problematiche inerenti all’esercizio del culto in luoghi dignitosi. Il dialogo avviato ha condotto l’équipe di esperti a definire le caratteristiche che, in conformità alla legislazione vigente, devono essere proprie delle associazioni religiose che desiderano praticare il culto nei locali di loro proprietà. Il passo successivo prevede poi la costituzione di un «Albo pubblico delle associazioni e organizzazioni religiose» che, in possesso dei requisiti previsti, potranno richiedere la messa a norma dei locali adibiti al culto, ovvero il cambio di destinazione d’uso se già collocati in zona servizi; altrimenti accedere a un bando per l’assegnazione di aree pubbliche, appositamente individuate dall’amministrazione per le comunità religiose. Un simile intervento ha avuto precedenti solo nella città di Torino, dove l’assessore all’Urbanistica, integrazione e nuove cittadinanze Ilda Curti ha disposto la riqualificazione di un’area industriale dismessa, ricavandone sette ambienti, nessuno dei quali però è stato dato ai musulmani perché troppo numerosi. L’accesso all’Albo è condizionato non solo da precisi requisiti, ma anche dalla sottoscrizione di un «Protocollo d’impegno» con l’amministrazione comunale al fine di garantire un ordinato svolgimento del culto nel rispetto dell’ordinamento giuridico italiano e della civile convivenza, nonché la realizzazione di momenti di incontro, di dialogo e confronto. Nello specifico le associazioni iscritte all’Albo sono chiamate a partecipare alla costituzione di una «Conferenza permanente delle confessioni religiose». Il Coordinamento delle associazioni islamiche È proprio in quest’orizzonte di apertura e disponibilità politica che si colloca il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano (CAIM), attualmente composto da 14 realtà organizzate sunnite comprendenti centri islamici di differente riferimento etnico, gruppi giovanili e femminili.1 «Lo scopo del CAIM – spiega il coordinatore Davide Piccardo – è quello di elaborare insieme soluzioni, proposte e d’instaurare un dialogo costruttivo intra-musulmano e con le Istituzioni. In quanto cittadini milanesi, noi vogliamo giocare un ruolo positivo e attivo nella costruzione di una città equa, includente, tollerante e rispettosa delle legalità e della diversità attraverso un percorso di partecipazione, un rapporto di cooperazione costante ed efficace con l’amministrazione». Chiosa poi Piccardo: «E l’associazionismo islamico può con attività religiose, educative e culturali operare fungendo da integratore sociale e disattivando potenziali conflitti». L’8 agosto una delegazione del CAIM, ricevuta dal vice sindaco Maria Grazia Guida, ha sottoposto all’amministrazione quattro richieste che riflettono l’urgenza dell’avvio di un dialogo responsabile. Di fatto si chiede: un interlocutore unico; un impegno tempestivo per risolvere le situazioni più critiche (per es. quella di Viale Jenner che vede dal 2008 i fedeli al Palasharp per la preghiera del venerdì); un gruppo permanente per il dialogo; infine una commissione di studio sulle soluzioni giuridiche e urbanistiche. Pur soddisfatto della volontà e disponibilità politica, Piccardo evidenzia tuttavia l’incapacità delle istituzioni di pensare ed elaborare soluzioni in sinergia con la comunità musulmana, lamentando innanzitutto la mancanza di musulmani all’interno del «Gruppo di lavoro per il dialogo interreligioso». Ad ogni modo, tali istanze sono state già recepite da Palazzo Marino, che prevede di sottoporre al CAIM soluzioni concrete per i casi più urgenti e attivare la procedura per l’iscrizione all’Albo entro la fine dell’autunno. Il prossimo passo del CAIM, invece, consisterà nell’attivarsi anche a livello provinciale nella direzione Monza-Brianza. Infine, il sindaco Pisapia ha chiaramente manifestato la precisa volontà di trattare «la questione islamica» in termini tecnici, de-islamizzandola e slegandola dal turnover politico, così da porre fine alle strumentalizzazioni per meri interessi elettorali. Ha avviato un percorso di formalizzazione seria che responsabilizza le leadership musulmane (dovranno infatti garantire conformità ai requisiti per l’iscrizione all’Albo), senza ingerirsi nella gestione interna dell’associazione, nella scelta della ragione sociale, nei rapporti di affiliazione nazionale-internazionale, come invece era accaduto nelle amministrazioni precedenti e nei casi di Genova, Colle Val d’Elsa e Bologna. Il vantaggio di tale intervento amministrativo, che fa seguito all’istanza di una particolare realtà religiosa, giunge però a beneficio di diversi altri gruppi: per esempio gli evangelici, che vivono situazioni simili di «nascondimento» in garage e appartamenti. Milano, dunque, città-laboratorio nazionale dell’esercizio del diritto alla libertà di culto? Staremo a vedere. Maria Bombardieri 1 Si tratta di: Associazione islamica di Milano (Cascina Gobba), Istituto culturale islamico (Viale Jenner), Islamic Forum-Associazione culturale Bangladeshi, Associazione donne musulmane d’Italia (ADMI), Associazione di welfare islamica di Milano, Associazione culturale al Nur Italia, Comunità islamica di Milano (comunità turca), Giovani musulmani d’Italia (GMI), Nuova associazione culturale islamica Dar al Quran, Alleanza islamica d’Italia, Associazione Fajr (via Quaranta), Bangladesh cultural & welfare Association, Associazione Touba (comunità senegalese) e Associazione Asiam (comunità albanese). IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 597 598_info_bombardini_maometto:Layout 2 26-10-2012 9:07 Pagina 598 Italia-Islam Satira sul Profeta Reazioni composte S ono passati ormai più di sei anni dalla pubblicazione delle note vignette satiriche sul profeta Muhammad da parte della rivista danese Jyllands-Posten (cf. Regno-att. 4,2006,73) e dall’omicidio del regista olandese Theo Van Gogh, e sulla scena mediatica internazionale si presenta un nuovo caso di «manifestazione satirica del pensiero» o di «vilipendio del Profeta e dell’islam». Nel mese di settembre 2012, giusto 11 anni dopo il terribile attentato terroristico alle Torri Gemelle, viene fatto circolare su Youtube un trailer di 14 minuti su un presunto film intitolato Innocence of Muslims. Il video è stato prodotto da Nakoula Basseley Nakoula, cinquantenne egiziano di origini copte, residente a Los Angeles e attualmente agli arresti. Innocence of Muslims si presenta come una satira sulla vita del Profeta. Muhammad non solo è dipinto come un impostore ma è anche impersonato da un attore, contravvenendo così al divieto islamico di raffigurarlo. Si tratta in sostanza di un filmato amatoriale che solo in parte può racchiudere un vero storico, presentato in modo inattendibile e con il chiaro intento di provocare, gettare discredito sull’islam alimentando sterili polemiche ed esacerbando le relazioni con i musulmani. Non si lascia attendere la reazione di Muhammad al-Zawahiri e di molti altri esponenti della corrente salafita egiziana, i quali hanno invitato i musulmani a manifestare contro il film davanti alle ambasciate americane. Prende, così, avvio il dilagare della protesta fino a lambire la costa australiana, l’America e l’Europa. L’11 settembre, a Bengasi, la violenza prende il sopravvento e culmina nell’attacco della sede diplomatica americana, con l’assassinio di quattro funzionari tra cui l’ambasciatore Chris Stevens. A distanza di una settimana, del tutto sprezzante, rincara la dose il settimanale satirico francese Charlie Hebdo pubblicando nuove vignette satiriche su Muhammad. La condanna è prontamente emessa dalle massime cariche religiose e politiche islamiche: da Ahmed al Tayyeb, gran imam di al Azhar al 598 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Cairo a Mohamed Morsi, presidente egiziano del partito Fratelli Musulmani. Anche in Italia le comunità islamiche si sono espresse sull’accaduto in modalità diverse ma pacifiche. C’è stato chi ha emesso comunicati stampa, come l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia (UCOII), che stigmatizzando le provocazioni si mostra maggiormente preoccupata per possibili «trame destabilizzatrici tese a rinfocolare l’islamofobia e il sospetto nei confronti dei musulmani», il Consiglio delle relazioni islamiche in Italia e l’Associazione sciita Imam Mahdi. C’è stato poi chi ha preferito esprimere nel sermone del venerdì un sentimento di condanna sia verso il video anti-islam sia verso le reazioni violente puntualizzando sul comportamento e l’atteggiamento che deve avere il buon musulmano in queste situazioni, come l’Associazione islamica di Milano (Cascina Gobba); chi ancora come il Centro di solidarietà musulmana di Milano e la comunità bangladesh di Roma ha manifestato il proprio sdegno scendendo nelle strade con striscioni inneggianti il rispetto dovuto al Profeta: «Il Profeta noi l’amiamo e con l’anima lo difendiamo!». Il silenzio e il dialogo Il 30 settembre il Centro di solidarietà musulmana di Milano, che riunisce musulmani non legati ai centri islamici della città, insieme alla comunità pakistana di Desio, ha guidato un corteo di 1.300 persone, mentre nei giorni successivi ha allestito uno stand informativo in piazzale Cadorna dove ha distribuito libretti sul Profeta. Al contrario c’è chi ha proprio sconsigliato di reagire con sit-in di protesta, come il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano (CAIM), ritenendo che «le manifestazioni di piazza non facciano altro che dare maggiore pubblicità allo stesso film e non siano di utilità per la comunità e la sua immagine pubblica», da cui l’invito a tutti i musulmani a «non cadere in provocazioni». Della stessa opinione è la Comunità religiosa islamica (COREIS) italiana, la quale ha preferito rispondere con la carta del silenzio. Infine c’è chi ha voluto promuovere momenti di dialogo e di riflessione, come l’associazione pakistana Muhammadiyya: sabato 6 ottobre ha organizzato a Brescia un convegno sul diritto alla libertà di espressione e il reato di vilipendio in Europa, rivolto in particolar modo alla comunità islamica locale. Tra gli intervenuti vi erano anche due giuristi. Roberto Mazzola, professore di Diritto ecclesiastico all’Università del Piemonte orientale e direttore del Forum internazionale Democrazia e religioni, ha precisato il ruolo e la funzione della Corte europea dei diritti dell’uomo nel tutelare la libertà di espressione, quindi ammettendo la critica religiosa solo su un piano di crescita dialettica. Cristiana Cianitto, ricercatrice all’Università statale di Milano, ha evidenziato come nell’ordinamento giuridico italiano la confessione religiosa è sì tutelata, ma in modo mediato: il vilipendio della religione è punito quando investe i ministri, i luoghi e gli oggetti del culto (art. 403, 404, 405 Codice penale). La ricercatrice ha poi trattato il caso della legge sulla blasfemia in Pakistan, affermando che è data «da un ordinamento giuridico che, permeato da elementi religiosi, permette la condanna del vilipendio del Corano con l’ergastolo e del Profeta con la morte». Questi eventi non possono che indurre a una riflessione su due livelli: religioso e politico. Sul piano religioso si constata da un lato l’uso del vilipendio della religione, l’attacco contro il sacro compiuto con una certa dose di violenza verbale – che colpisce anche i cristiani, non solo i musulmani –, celato dietro al diritto alla libertà di espressione; dall’altro lato l’incapacità di alcuni musulmani di comprendere che vivere in Europa, secondo un ordinamento giuridico laico, significa anche accettare il rischio che la propria religione sia oggetto di critica e satira, che la religione non è un «tabù» e che dal vilipendio ci si difende con gli strumenti dati dalla democrazia, nei tribunali. Sul piano politico, invece, si osserva che rispetto al 2005 le manifestazioni di protesta violenta contro le ambasciate sono state tre, condotte da esigui gruppi salafiti o jihadisti, in paesi che hanno vissuto il rovesciamento delle dittature: Egitto, Tunisia e Libia. Di fatto la stragrande maggioranza della umma è rimasta passiva, in particolare quella componente che ha preso parte alla «Primavera araba» portando al potere i partiti islamici dei Fratelli Musulmani in Egitto e di Ennahda in Tunisia. Con ogni probabilità sarà proprio la linea moderata a giocare un ruolo decisivo nella costituzione di paesi democratici, isolando ed estirpando le correnti che fanno di tutto per imporre il terrore e la guerra civile. M. Bo. 599-600_articolo_forcesi:Layout 2 26-10-2012 I TA L I A- CO N V E G N I U r n avvenimento singolare. Che racconta di un tessuto ecclesiale più composito di quanto si potesse pensare. Più vitale. Più sereno. Certo minoritario, marginale, con la prevalenza della generazione che sta oltre i 50 e fors’anche i 60 anni. Ma non chiuso su stesso, e percorso per lo più da uno spirito costruttivo e dialogante. L’assemblea nazionale «Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri», che si è tenuta il 15 settembre a Roma nell’aula magna del Collegio Massimo dei gesuiti, era stata convocata nel mese di maggio con un documento che aveva in calce la firma di otto persone.1 Il documento indicava che l’assemblea era convocata anche da una serie di «gruppi ecclesiali, riviste e associazioni», il cui numero è andato via via crescendo fino a mettere insieme oltre un centinaio di soggetti.2 Convocata a 50 anni dall’inizio del concilio Vaticano II, l’assemblea intendeva non solo «ricordare» ma anche «interrogare» quell’evento, «capirne più a fondo il significato e farne scaturire eredità nuove e antiche e impegni per il futuro». La scelta di tenerla a settembre, e non a ottobre, è nata dal desiderio di rievocare, con il Concilio, anche il papa che lo volle, e in particolare quel passaggio del messaggio radiofonico dell’11 settembre 1962 in cui Giovanni XXIII parlò della Chiesa come «la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri». Di qui il titolo dell’assemblea. 9:08 Pagina 599 50° Vaticano II iaprire il cantiere L’ A s s e m b l e a n a z i o n a l e «Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri» Gli organizzatori contavano sull’arrivo di circa 300 persone. Ne sono arrivate oltre 700, riempiendo la sala dei gesuiti. Rosa Siciliano, direttrice di Mosaico di pace, ha presieduto l’incontro con sobrietà, introducendolo con poche parole: la dedica dell’assemblea a Carlo Maria Martini e ai tanti altri testimoni del rinnovamento conciliare che lo hanno preceduto, e l’auspicio che essa fosse l’inizio di un cammino da compiere insieme, un cammino certamente non facile – ha detto con schiettezza –, visto che erano convenute a Roma «le esperienze più disparate». L’architettura dell’assemblea prevedeva quattro relazioni (la biblista Rosanna Virgili, lo storico Giovanni Turbanti, il teologo Carlo Molari e la teologa Cettina Militello), uno spazio tra le relazioni per una serie di interventi, e le conclusioni affidate a Raniero La Valle. Un momento di preghiera ha introdotto l’assemblea. Si è letto tutti insieme un testo scritto appositamente per l’incontro da don Marco Campedelli, viceparroco a San Nicolò all’Arena, a Verona. Un filo conduttore ha effettivamente attraversato le relazioni e gli interventi. Ci si è interrogati non solo per capire meglio che cosa è accaduto nel Concilio, ma per chiedersi che cosa si deve fare per realizzare quello che il Concilio ha annunciato. Rosanna Virgili, docente di esegesi biblica all’Istituto teologico marchigiano, nella sua meditazione sul discorso di apertura del Concilio, «Gioisce la madre Chiesa», ha rifatto vibrare le ragioni della gioia di papa Giovanni nel convocare la Chiesa in Concilio e quelle del popolo di Dio nell’accogliere i cambiamenti e le novità che ne sono venuti. La biblista ha ricordato che il verbo più impiegato nella Scrittura è «ascoltare», e che la Chiesa di cui il Concilio ci ha parlato è una Chiesa «che non sta davanti al Signore», che non comanda ma invita, una Chiesa «discipula, diacona, mater», una Chiesa che «non chiude la bocca ai profeti». Lo storico Giovanni Turbanti, ricercatore presso la Fondazione per le scienze religiose (FSCIRE) di Bologna, ha incentrato il suo intervento su «La Chiesa e il mondo all’avvento del Concilio», indicando come le lettere inviate a Roma dai vescovi nella fase preparatoria fossero per lo più improntate a un forte senso di ostilità verso i tratti della modernità e come, invece, l’ansia pastorale di non perdere il contatto con la gente abbia prodotto, nel corso del Concilio, una ricomprensione del rapporto della Chiesa con la storia e dunque del suo ruolo di fronte alla modernità, e «una comprensione meno giuridica di se stessa e del proprio ruolo nella salvezza». Carlo Molari ha affascinato l’assemblea con una relazione complessa ma vivacissima su «Le diverse letture del Vaticano II». Premesso che «il Vaticano II è stato convocato per capire come la Chiesa dovesse cambiare», Molari ha osservato che leggere il Concilio secondo il modello continuità/rottura non è corretto: il IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 599 599-600_articolo_forcesi:Layout 2 26-10-2012 Concilio è stato sia continuità sia rottura, perché la Chiesa è un organismo vivente. Molari ha preferito parlare di «riforma nella continuità del cammino ecclesiale», in questo concordando con Benedetto XVI. Riforma, dunque cambiamento. Ecumenismo, rivoluzione incompiuta L’anziano teologo ha messo in luce cinque tipi di novità introdotti dal Concilio (lamentando però che sul tema «Chiesa dei poveri» il Concilio abbia detto poco e il postconcilio ancora meno): uno «stile nuovo» del porsi della Chiesa, che sostituisce l’affermazione autocratica della sua autorità e manifesta apprezzamento dell’«altro»; una nuova nozione di Tradizione, vista come una realtà vivente che si sviluppa nel tempo; il ricupero di elementi della Tradizione originaria trascurati o dimenticati e che riaprono la via all’ecumenismo (ad esempio la liturgia come atto ecclesiale per eccellenza, la collegialità episcopale, la dimensione escatologica); la riparazione di deviazioni rispetto alla Tradizione (ad esempio la negazione della libertà religiosa e della libertà di coscienza, un’ecclesiologia monarchica che svaluta le Chiese locali, la concezione giuridica della Chiesa); infine, la consapevolezza dell’irruzione dello Spirito nella storia attraverso i segni dei tempi e l’accettazione dei cambiamenti culturali realizzati dalle scienze e dalle esperienze storiche. Tra la dozzina di interventi che si sono succeduti in assemblea (tra gli altri Adriana Valerio, Giovanni Franzoni, Felice Scalia, il presidente della FUCI Stefano Nannini, Alex Zanotelli, Gianni Novello, Giorgio Campanini), e di messaggi letti (quello di mons. Bettazzi, quello di mons. Capovilla e quello di Arturo Paoli), uno ha particolarmente colpito per l’efficacia con cui ha indicato la «rivoluzione» conciliare, quello del valdese Paolo Ricca: «Per otto secoli – ha ricordato – siamo stati dichiarati eretici e scomunicati, con il Vaticano II siamo diventati “fratelli separati”; e le nostre Chiese da “strumenti di perdizione” sono diventate, per la Chiesa cattolica, “strumenti di salvezza”». 600 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 9:08 Pagina 600 Una rivoluzione, però, tutta ancora da tradurre in vita vissuta, dal momento che l’ecumenismo non ha fatto alcun passo avanti nel postconcilio. L’intervento di Luigi Sandri, della Comunità di base di San Paolo, ha dato voce a quanti auspicano un Vaticano III, che affermi senza remore la collegialità episcopale e che affronti i problemi nuovi maturati in questi cinquant’anni. Dalla tesi della necessità di un Vaticano III ha dissentito la relazione di Cettina Militello, «Speranze e prospettive future». La teologa ha detto che pensare a un nuovo concilio significherebbe rinunciare a credere che il Vaticano II abbia già elaborato tutta una serie di risposte alle istanze del nostro tempo. Risposte che ci sono state e che sono «nelle nostre mani». Piuttosto dobbiamo riconoscere che tutti abbiamo qualche responsabilità nella non attuazione del Concilio. Quat tro parole chiave «Oggi – ha detto Cettina Militello – non so indicarvi altra via se non quella di riaprire il cantiere dei documenti conciliari e metterli in atto». Quattro le parole chiave evidenziate dalla Militello per «riaprire il cantiere»: partecipazione attiva, che valorizzi i carismi di ciascuno; sinodalità, nelle relazioni tra vescovi e papa, sacerdoti e vescovi, laici e sacerdoti, e recupero della soggettività delle Chiese locali; ascolto, della parola di Dio e delle parole del popolo di Dio; dialogo, con il mondo ma anche dentro la Chiesa e con le culture. Insomma, ha detto la Militello, sta al popolo di Dio di re-inventare la Chiesa, spogliarla del suo «statuto imperiale» e renderla vicina agli uomini del nostro tempo. Raniero La Valle, nelle conclusioni, ha cercato di individuare il senso profondo del ritrovarsi nell’assemblea del Massimo. Lo ha chiamato «il segreto di questo convegno». Ha evocato la figura del discepolo sconosciuto di cui si parla alla fine del Vangelo di Giovanni, il discepolo che Gesù amava e che sarebbe rimasto fino al suo ritorno. «Noi siamo – ha detto – i discepoli che sono rimasti». Si può, infatti, parlare di una «successione laicale», che dai discepoli anonimi che Gesù amava giunge fino a noi, e che fa parte della Tradizione stessa che viene da Gesù. Si deve dunque parlare di «un ruolo dei discepoli nella formazione e nell’incremento della Tradizione apostolica». A ben guardare, infatti, del Vaticano II i discepoli non sono soltanto stati i destinatari, ma anche gli ispiratori. «Certamente – ha osservato La Valle – i vescovi e il papa sono stati gli autori e la fonte di autorità delle pronunzie conciliari, ma non si sono vergognati di fare appello al senso dei fedeli, di prenderli sul serio come adulti nella fede». Di questo sensus fidelium i vescovi si sono fatti forti, nel Concilio, per rovesciare gli schemi preparatori, riconsiderare la Chiesa come popolo di Dio e maturare un’antropologia finalmente positiva. Ora – ha concluso La Valle, interpretando lo stato d’animo dell’assemblea – «noi pensiamo che questo ruolo dei discepoli debba continuare; che esso debba essere presente e vivo nella ricezione del Concilio e nella sua trasmissione alle giovani generazioni». È il desiderio con cui si è chiusa l’assemblea: riaprire con più fiducia il cantiere della ricezione del Concilio, per disegnare una Chiesa nuova: Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri. Giampiero Forcesi 1 Vittorio Bellavite, portavoce dell’associazione «Noi siamo Chiesa», Emma Cavallaro, presidente della Conferenza permanente del volontariato, Giovanni Cereti, prete, teologo e fondatore del gruppo di spiritualità «Fraternità degli Anawim», Franco Ferrari, direttore del mensile saveriano Missione oggi e presidente dell’associazione «Viandanti», Raniero La Valle, giornalista, Alessandro Maggi, biblista carmelitano, Enrico Peyretti, fondatore del mensile torinese il foglio e membro del Movimento nonviolento, e Fabrizio Truini, membro del Centro interconfessionale per la pace (CIPAX) e della Comunità romana di San Paolo. 2 Vi troviamo, solo per fare qualche nome, Pax Christi, il Coordinamento delle teologhe italiane, Beati i costruttori di pace, Agire politicamente, La Rosa bianca, Ore undici, le Comunità cristiane di base italiane, la Rete dei Viandanti, i Preti operai della Lombardia, il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (CNCA), il Movimento Vocatio dei preti sposati. Tra le riviste ci sono Adista, CEM Mondialità, Confronti, Combonifem, Il Tetto, Il Gallo, Missioni Consolata, Missione oggi, Mosaico di pace, Popoli, Segno, Tempi di fraternità. 601-602_articolo_neri:Layout 2 25-10-2012 19:01 Pagina 601 Te o l o g i a I TA L I A- CO N V E G N I c orpo e sacramento Una lettura fenomenologica I l progetto di rilettura, al tempo stesso teologica e culturale, della sacramentaria cattolica, che l’Istituto teologico marchigiano ha intrapreso da alcuni anni, si è arricchito di un ulteriore approfondimento. Il IV Seminario specialistico organizzato dall’Istituto, svoltosi a Fabriano (1-3 luglio), ha messo a tema la questione del «Corpo celebrante: per una lettura fenomenologica della sacramentaria». La presenza cordiale e attenta del vescovo di Fabriano-Matelica, mons. G. Vecerrica, all’apertura dei lavori ha mostrato non solo la capacità dell’Istituto di radicarsi nella vita pastorale della regione; ma anche l’importanza della coltivazione delle relazioni umane per un proficuo rapporto fra teologia e magistero. L’intuizione di fondo, sulla quale si sono poi articolate le due relazioni principali del seminario,1 è stata quella dell’individuazione della fenomenologia come sapere adeguato del corpo nella sua materialità, finanche nella sua «animalità» (come ha rimarcato E. Falque), da un lato; e della lettura fenomenologica del corpo come ingresso pertinente allo spazio/spessore del sacramento cristiano. L’incrocio fra filosofia (Falque), antropologia culturale (Bonaccorso) e teologia ha mostrato tutta la sua fecondità in sede di dibattito – cui hanno contribuito i partecipanti a partire dalle proprie specifiche competenze di ricerca e docenza. Abbozzando una prima sintesi dei lavori, il prof. A. Grillo non ha esitato a metterne in risalto il «valore profetico e di prolessi». L’ingresso fenomenologico sembrerebbe mostrare, quindi, sia una coerenza interna, sia una portata critica, rispetto alla comprensione dell’evento cristiano di Dio e alla sua celebrazione liturgica nei gesti sacramentali della Chiesa. Il cantiere è aperto. Iniziano a profilarsi anche una serie di primi promettenti approcci alla questione; pur rimanendo ancora da calibrare con pertinenza, ma non potrebbe essere altrimenti visto che si è solo agli albori dell’impresa, il «senso» della fenomenologia nello spazio del sapere teologico. Tracciando gli orizzonti aperti dal seminario di Fabriano, Grillo, oltre a delineare esplicitamente le coordinate fondamentali di alcuni di questi tentativi, ha anche implicitamente disegnato una mappa culturale della ripresa fenomenologica della teologia cattolica. Nella sua ricostruzione, i due poli di riferimento principale si sono concentrati sulla Francia e sull’Italia. Indicando, così, la possibilità di una nuova stagione della teologia romanza, a fronte della persistente auto-referenzialità di quella tedesca – ancora poco incline ad assumere la questione fenomenologica all’interno della teologia accademica. D’altro canto, salvo qualche rara eccezione (B. Waldenfels, ad esempio), la fenomenologia tedesca sembrerebbe essersi spenta con la sua stessa nascita (E. Husserl). Lo sconfinamento in Francia della fenomenologia è stato rapido e senza ritorno – il Reno, su questo punto, sembrerebbe rappresentare oramai un vero e proprio spartiacque. Da Merleau- Ponty a Ricouer; da Derrida a Levinas e Henry; fino alle generazioni più recenti (D. Franck, F. Dastur, J.-L. Marion, J. Benoist – solo per fare alcuni nomi della scena francese di oggi). È nell’alveo di questo travaso della fenomenologia, dalla Germania alla Francia, che s’inserisce il percorso filosofico di E. Falque, che si caratterizza, in un dialogo critico con M. Henry, per un recupero dei percorsi fenomenologici ante litteram presenti nella tradizione teologica cristiana. L’impresa si poggia sulla convinzione che «il cristianesimo abbia in sé i mezzi culturali e concettuali per attingere al fondo dell’umano e trasformarlo dall’interno». Nel suo intervento a Fabriano Falque ha ripreso gli snodi essenziali della sua ultima pubblicazione,2 nella quale l’intreccio culturale fra fenomenologia e cristianesimo si attesta al livello del rapporto fra corpo ed eucaristia. Per uscire dal dualismo moderno della comprensione del corpo, tra estensione e vissuto intenzionale, Falque propone l’idea del «corpo espanso», portatore di quel «caos di passioni e pulsioni che Dio stesso viene ad assumere nel corpo a corpo eucaristico». La teologia, in generale, deve quindi tornare a dedicare attenzione allo «spessore del realismo» del corpo che Dio prende «a proprio carico» nell’irrevocabilità della sua incarnazione. E la sacramentaria, in particolare, non può dimenticare l’organicità che «l’eucaristia assume, senza la quale il Figlio dell’uomo non si sarebbe mai veramente incarnato». La celebrazione dell’eucaristia trova, quindi, «il suo contrappunto nel reali- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 601 601-602_articolo_neri:Layout 2 25-10-2012 smo». Questo ha una ricaduta sulla comprensione fenomenologica del corpo, rimettendone in circolo la «forza» attiva che lo sostanzia; controbilanciando così l’esposizione sul lato della passività che ha caratterizzato molti filoni della filosofia contemporanea sul corpo. Il correlato del corpo spinge Falque a cercare nella relazione uomodonna il fondamentale dell’umano nel cui orizzonte diventa possibile pensare il sacramento cristiano dell’eucaristia: «L’unione dei corpi non è fusione nell’erotico, né semplice unificazione nell’eucaristia (…). L’unione delle carni non accade senza la differenza dei corpi; e, anzi, la rafforza». Il corpo: modo d’intendere Il limite, dunque, rappresenta la forza stessa del corpo; «lo stesso vale per il sacramento eucaristico, il quale non fonde ma unisce differenziando». La differenza sessuale e la differenza teologica rinviano dunque, secondo Falque, l’una all’altra; e permettono di leggere l’una nell’altra: «Coloro che si accostano alla «mensa del Signore» umanizzano e abitano tanto più la loro umanità nell’assunzione del loro essere creato, quanto più Dio riconosce e misura, allo stesso tempo, lo scarto della sua divinità con la nostra umanità affinché noi siamo meglio rinviati a essa». Il corpo, pertanto, cambia posizione – sia sul piano fenomenologico, sia su quello teologico. All’illustrazione di questo passaggio, di questa revisione dello statuto complessivo del corpo, era dedicata la relazione del prof. Bonaccorso: due i perni fondamentali intorno a cui intessere le ricadute sulla sacramentaria. La prima, teologica, è l’impossibilità cristiana di concepire Dio senza il corpo: «Dio non si limita a parlare all’uomo fornendo informazioni mentali, ma si fa uomo assumendo consistenza corporea – il contenuto della fede è teosomatico». La seconda, fenomenologica, è una visione del corpo «come modo d’intendere»: il corpo è come l’umano è al mondo e sta in esso. Conseguentemente, la fede è il modo di essere corporeo della relazione teologale col corpo di Dio. Il sacramento «opera sul corpo» e, quindi, permette l’ingresso nello spazio corporeo del Dio cristiano, 602 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 19:01 Pagina 602 da un lato; ma opera anche, a sua volta, «come corpo», così da permettere una postura dell’umano corrispondente «alla forma corporea della fede» cristiana. Il sacramento cristiano si attesta sul piano sociale/comunitario della comunità: l’essere nella comunità è l’unica possibilità per il singolo credente di «incontrare Gesù» (lato della partecipazione sacramentaria); e «l’essere così parte di Cristo» è l’unica modalità per incontrare la trascendenza di Dio (lato della presenza sacramentale della comunità in Cristo). I due versanti devono essere entrambi operativi affinché il sacramento sia realisticamente efficace. Da un lato, «il corpo è ciò che si relaziona al mondo abitandolo: la partecipazione alla/della comunità è di tipo olistico, ossia è caratterizzata dallo stare dentro il tutto». D’altro lato, «il corpo è ciò che si relaziona al mondo differenziandolo: la trascendenza nella/rispetto alla comunità è di tipo intersoggettivo, ossia è caratterizzata dallo stare oltre il tutto pensato dal soggetto». Orizzonti a venire È così che il corpo intende il legame alla socialità credente e alla trascendenza di Dio. All’interno di questo spazio corporeo, il sacramento si contraddistingue per «un’inversione rituale tra la parola e l’azione» (trasformazione attraverso la parola e significazione attraverso l’azione), e per «l’intreccio rituale tra l’emozione e l’azione» (sentire affettivo e fare performativo sono strutturalmente legati fra di loro): «Il sacramento risulta un modo originario di vivere la fede in Cristo a condizione di non smarrire questo dispositivo rituale del corpo, ossia la stretta integrazione tra emozione e azione». Nelle sue conclusioni, Grillo ha individuato quattro modelli di presenza fenomenologica nella teologia contemporanea: la fenomenologia come «forma mentis (non solo strumento, non ancora fondamento)»; l’esercizio fenomenologico come «critica della riduzione del mondo e della storia a oggetto e concetto»; la fenomenologia «come strumento riflessivo di un’ermeneutica teologica» (senza immediata portata cristologica, né funzione metodologica rigorosa); la fenomenologia come sen- sibilità per i «fenomeni inaggirabili», quindi in funzione del pensiero antropologico. Il seminario, ha detto Grillo, ha messo in luce «il corpo come custode di una radice più antica e segnata costitutivamente da una relazione che lo definisce». Se la relazione (ossia la socialità dell’essere corporeo dell’umano, anche nel suo rapportarsi a Dio) costituisce il corpo come modo d’intendere, allora il cristiano può riscoprire di essere «corpo celebrante» solo se «riscopre la propria natura di animale politico: che «ha una parola» grazie alla famiglia, società e stato; e che con la parola può mediare l’immediatezza di una voce che «ha» e «non ha»». L’inclusione nella socialità di tutti è il luogo concreto in cui si celebra la singolarità del Dio di Gesù, come sua stessa destinazione. La dialettica post-conciliare sulla riforma liturgica (negazione della necessità – affermazione della sufficienza), e la scomposizione attuale della Chiesa che ne è conseguita, si frappongono a questa inclusione costitutiva del sacramento cristiano. Il cristianesimo non abita più se stesso, proprio perché sta pensando solo a se stesso. La responsabilità sta su entrambi i versanti del contendere, anche su quello dei rappresentanti della sufficienza della riforma liturgica per ridefinire il posizionamento culturale del cristianesimo nel contemporaneo. Essi si illudono infatti, ha concluso Grillo, «che un intellettualismo riformatore possa sostituire un atto corporeo di iniziazione e formazione. Qui né tradizionalismo né liberalismo possono farcela: solo una teologia “postliberale” del sacramento potrà recuperare la centralità corporea – animale, caotica e anche bestiale – del sacramento cristiano e dell’azione rituale che lo sostanzia». Marcello Neri 1 Svolte dal prof. E. FALQUE (preside della Facoltà di filosofia dell’Institut Catholique di Parigi), «Per una filosofia dell’eucaristia», e dal prof. G. BONACCORSO (docente presso l’Istituto S. Giustina di Padova), «Corpo e sacramento in prospettiva fenomenologica». 2 Cf. E. FALQUE, Les noces de l’Agneau. Essai philosophique sur le corps et l’eucharistie, Cerf, Paris 2011. L 603-608_saggio inizio_R161-166:Layout 2 26-10-2012 9:11 Pagina CLXI L ibri del mese Disintossicare l’eros La recente discussione teologica sulla morale sessuale cattolica questo aggrava il problema della credibilità della Chiesa, perché qui i precetti e i divieti morali sono presi molto sul serio. In presenza di una persistente e cospicua discrepanza fra le norme enunciate ufficialmente dalla Chiesa e la realtà, si avverte e sollecita la necessità di una chiarificazione. Alcuni docenti di teologia morale, che alla luce degli sviluppi della società hanno tentato una mediazione fra il messaggio cristiano e le attuali conoscenze di altre scienze, sono stati redarguiti, a volte fino alla perdita della facoltà d’insegnare. In molti casi questo ha indotto le generazioni più giovani dei teologi a non occuparsi di questi problemi. Il prezzo da pagare è comunque alto, perché in questo modo rischiano di finire nel dimenticatoio anche le potenzialità umanizzanti dell’etica sessuale cristiana. Infatti la sessualità umana continua a sollevare, e non solo fra gli adolescenti e i giovani, tutta una serie di domande, alle quali si cercano risposte altrove. D all’enciclica Humanae vitae (1968) di Paolo VI ai nostri giorni, la morale sessuale cattolica si trova, a livello mondiale, in una situazione difficile. A partire al più tardi da quel documento, l’insegnamento morale del magistero e la pratica quotidiana, non solo dei cattolici che hanno preso le distanze dalla CLXI Chiesa, hanno imboccato strade diverse, come hanno molto chiaramente potuto osservare i pastori. Di conseguenza in molti casi nella predicazione, nella catechesi e nella pastorale non si affronta praticamente più il tema della sessualità. Soprattutto nel mondo anglosassone e nei paesi di lingua tedesca, come in altri paesi dell’Europa occidentale, Il grande silenzio Recentemente questa situazione, che dura ormai da oltre 40 anni, è stata aggravata dallo scandalo delle violenze sessuali sui minori, che hanno messo a dura prova le Chiese locali negli Stati Uniti e in Europa occidentale. E riguardo alla sensibilità per la questione della credibilità non è affatto casuale che le violenze sessuali contro i bambini e gli adolescenti da parte di preti, religiosi e altri collaboratori della Chiesa cattolica siano emerse anzitutto in quei paesi e abbiano suscitato una forte indignazione sociale. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 603 603-608_saggio inizio_R161-166:Layout 2 L 26-10-2012 Pagina CLXII ibri del mese Anche se occorre essere prudenti a stabilire relazioni troppo dirette fra queste realtà, molti hanno attirato giustamente l’attenzione sull’aspetto problematico di un insegnamento sessuale della Chiesa che induce a passare sotto silenzio un tema di per sé importante, ma che tuttavia anche la maggior parte dei cattolici non può o non vuole osservare. Proprio al silenzio determinato dalla divergenza fra dottrina e prassi si è attribuita una parte della responsabilità di questo elevato numero di violenze sessuali, così come dell’insufficiente chiarimento di questi atti criminali. Sia la necessaria maturazione psico-sessuale, ad esempio di preti e altri collaboratori della Chiesa, sia la necessaria differenziazione del giudizio in caso di violenza sessuale sono infatti resi più difficili dall’imbarazzo nei riguardi di questa dimensione così importante dell’essere uomini. In concomitanza con l’elaborazione dello scandalo delle violenze sessuali pertanto si è più volte levata la richiesta che nella Chiesa ci si torni a occupare più intensamente del tabù della sessualità, nonché delle carenze della dottrina sessuale cattolica, come ha fatto, ad esempio, Stephan Ackermann, vescovo di Trier, incaricato dalla Conferenza episcopale tedesca di seguire il problema delle violenze sessuali sui minori. Nel frattempo sono uscite le prime pubblicazioni di docenti di teologia morale con la richiesta di nuove accentuazioni in materia di etica sessuale. Soprattutto negli Stati Uniti, dove lo scandalo delle violenze sessuali sui minori era scoppiato già nel 2000, ma anche in Germania, dove dal 2010 è emersa chiaramente l’entità del problema. Negli Stati Uniti le nuove pubblicazioni si sono già scontrate con la critica del magistero della Chiesa. Lì i vescovi si sono occupati in modo approfondito, in una dichiarazione del 2010, del volume The sexual person. Toward a renewed Catholic anthropology di Todd A. Salzman e Michael G. Lawler, due teologi dell’Università di Creighton.1 Ma il caso più celebre è quello della monografia di Margaret A. Farley, Just love. A framework for Christian sexual ethics, 2 604 9:11 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 che nel marzo 2012 è addirittura stata oggetto di una notificazione da parte della Congregazione per la dottrina della fede, dopo che uno scambio di lettere fra il Vaticano e la suora della congregazione Sisters of Mercy, a lungo docente all’Università di Yale, non aveva prodotto chiarificazioni soddisfacenti. Entrambe le opere ottennero importanti premi riservati ai libri teologici: The sexual person nel 2009 come miglior libro di teologia da parte della Catholic Press Association negli USA; Just love nel 2008 da parte del Louisville Grawemeyer Award in Religion. Di che cosa trattano queste opere? Quali sono i nuovi accenti più significativi che introducono nella discussione? Il denominatore comune di tutti i tentativi più recenti in materia di etica sessuale è la discussione di due affermazioni centrali del magistero, presenti anche nell’enciclica Humanae vitae: il luogo della sessualità vissuta è unicamente quello del matrimonio fra un uomo e una donna, per cui la morale sessuale è sempre morale coniugale; ogni atto sessuale deve essere aperto alla procreazione, per cui non è permessa la regolazione artificiale delle nascite. L’obiezione fondamentale contro questa posizione, come sottolineano anche Salzman e Lawler,3 è che un’argomentazione «taglia unica» non rende giustizia alla varietà dell’esistenza umana. Indipendentemente dal fatto di essere sposati, di convivere, di essere celibi o single, tutti devono sforzarsi di integrare la sessualità nel loro essere; al riguardo, ognuno deve essere giudicato alla luce delle sue concrete condizioni di vita. Anche Margaret Farley afferma che il ruolo della sessualità è molto importante per la riuscita di ogni vita umana. E questo sia in relazione alla realizzazione che la sessualità umana rende possibile, sia anche ai suoi lati oscuri, che possono a volte causare alle persone violenza non solo fisica. Data questa ambivalenza della sessualità è molto importante integrarla nella totalità della vita umana e consentire ad esempio un sano sviluppo psico-sessuale ai bambini e ai giovani. Tuttavia mentre in passato, quando l’insegnamento morale della Chiesa regolamentava le cose fin nei minimi dettagli, c’era troppa etica sessuale, oggi a causa del grande silenzio ci si occupa troppo poco di queste tematiche. Sostanzialmente la Farley, dopo un’analisi storica e interculturale del tema e alcune annotazioni metodologiche preliminari, elabora il suo approccio nel sesto capitolo del suo libro: la giustizia come categoria etica centrale deve essere posta in relazione con l’amore fra le persone quale cuore dell’etica sessuale. L’autrice affronta espressamente anche le riserve di chi pensa che con la sua forte sottolineatura del concetto di «giustizia» si sottovaluti la dimensione romantica dell’amore e il desiderio della sessualità.4 Ma alla fine afferma: «Ho cercato di mostrare che la giustizia non è una nozione fredda distinta dall’amore; è ciò che guida, protegge, alimenta e forma l’amore e ciò che lo rende giusto e vero».5 Il principio giustizia Ma quando la sessualità vissuta è adeguata, moralmente buona e giusta? Un’etica sessuale comprende da una parte norme minime (ad esempio il divieto della violenza), che non possono essere in alcun caso violate, e dall’altra valori, che sono piuttosto ideali (l’amore reciproco). Ne consegue che molestie sessuali, strumentalizzazione, sfruttamento, costrizione, stupro sono da respingersi, così come pornografia, prostituzione e pedofilia. Centrali sono anche le riflessioni sull’importanza della pari dignità e complementarità dei partner, che rinviano a un altro aspetto basilare delle attuali discussioni in materia di etica sessuale. Riguardo al tema sessualità nel suo complesso è importante, anzi decisivo, ricordare che non si tratta solo di singoli atti, ma della relazione fra persone. Margaret Farley illustra quest’aspetto trattando a fondo i singoli criteri necessari per una relazione riuscita: autonomia (il libero consenso dei partner, nonché la volontà di non trattare l’altro come un mezzo), uguaglianza, reciprocità, disponibilità a un legame affettivo, fecondità. Quest’ul- CLXII 603-608_saggio inizio_R161-166:Layout 2 tima non deve essere definita unicamente in termini di prole, per cui vale anche per le coppie che non possono avere figli.6 Senza una fecondità, di qualsiasi natura, ogni amore fra due persone diventa un égoisme à deux. Va da sé che questo induce a interrogarsi anche su altri aspetti dell’etica sociale relativi all’inserimento delle coppie nella struttura della società. In questo contesto la Farley afferma che le relazioni monogamiche continuano a offrire i migliori presupposti per l’amore romantico, l’intimità, l’amicizia, il partenariato e l’accoglienza e l’educazione dei figli, ma anche per quei momenti della sessualità umana che costituiscono vere e proprie esperienze di trascendenza. La notificazione del 14 dicembre 2011 (Regno-doc. 15,2012,458-461) critica specialmente le conseguenze di quest’approccio, applicato da Margaret Farley nel settimo capitolo del suo libro a questioni concrete. A disturbare la Congregazione per la dottrina della fede sono soprattutto la valutazione positiva dell’autoerotismo, la comprensione per i divorziati risposati, l’accettazione delle unioni omosessuali, che nel dibattito pubblico statunitense trova una decisa accoglienza. Secondo Farley i passi biblici contrari devono essere letti tenendo presente il contesto, alla luce del messaggio biblico nel suo complesso. Ella solleva inoltre la domanda se il recente riconoscimento di una predisposizione all’omosessualità non sollevi anche questioni collegate alla teologia della creazione, questioni che gettano nuova luce sull’etica delle relazioni fra persone dello stesso sesso. Da parte sua la notificazione sottolinea che Margaret Farley non comprende il ruolo del magistero, ignora il suo costante insegnamento o lo tratta come un’opinione fra le altre. Ella «rivela altresì una comprensione difettosa della natura oggettiva della legge morale naturale, scegliendo invece di argomentare sulla base di conclusioni selezionate da determinate correnti filosofiche e dalla sua propria comprensione dell’“esperienza contemporanea”» (Regno-doc. 15,2012,459). Si può sospettare che questo riguardi anche l’articolata discussione, da parte CLXIII 26-10-2012 9:11 Pagina CLXIII della Farley, delle scoperte della ricerca sul genere. Analogamente la Commissione per la dottrina della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti accusa Salzman e Lawler di relativismo e scarso rispetto della Scrittura, benché nel loro libro soppesino con grande cautela i rispettivi argomenti dell’approccio riformistico e di quello tradizionale. Sia pure con un’argomentazione poco polemica, chiara ma prudente, la Commissione per la dottrina, in una dichiarazione del 15 settembre 2010, mette in guardia dal libro, perché potrebbe «confondere» i lettori, e afferma che, alla luce della sua critica del diritto naturale, «resta ben poco della teologia morale cattolica».7 Dirit to naturale? In realtà riguardo alla mancanza di plausibilità dell’insegnamento della Chiesa sia Margaret Farley sia Salzman e Lawler rinviano molto spesso all’argomentazione del magistero basata sul diritto naturale. Essa non rende giustizia al fenomeno dell’amore umano, come afferma ad esempio anche Stephan Ernst, docente di Teologia morale all’Università di Würzburg, in uno dei contributi del volume miscellaneo Zukunftshorizonte katholischer Sexualethik,8 curato da Konrad Hilpert, docente di Teologia morale all’Università di Monaco. A suo avviso l’argomentazione basata sul diritto naturale ha prodotto una «relazione bloccata, puntigliosa e nevrotizzante verso la sessualità».9 Anche il modello dell’argomenta zione personalistica, sostenuto non da ultimo da Karol Wojtyla, poi papa Giovanni Paolo II, si è certamente ispirato al fenomeno della donazione personale totale, ma a livello normativo è rimasto in definitiva nel quadro del diritto naturale, come affermano anche Salzman e Lawler.10 Salzman e Lawler argomentano che la natura allo stato puro non esiste,11 ma è sempre interpretazione o costruzione sociale. Ma attirano soprattutto l’attenzione sul fatto che un approccio alle questioni etiche basato sul diritto naturale – anche nella versione della «new natural law theory» – non è così convincente come si crede. Lo dimostra non da ultimo la dottrina sociale cattolica, che ha avuto uno sviluppo significativo da parte dei papi, e nella quale trovano posto anche altre forme di argomentazione. A fare problema nella riflessione basata sul diritto naturale è soprattutto la sua mancanza di collegamento con la storia, che è stata messa in discussione, anche da parte del magistero, al più tardi al concilio Vaticano II. Dopo tutto, in seguito all’enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII (1943) e alla costituzione Dei verbum sulla divina rivelazione del concilio Vaticano II, è legittima una riflessione storica sulla sacra Scrittura. Lo stesso vale per lo sviluppo dei dogmi, da quando anche il magistero non considera più statica la fede cristiana (esempi tratti dalla storia della teologia sono i cambiamenti di posizione riguardo al divieto del prestito a interesse, alla schiavitù o alla libertà religiosa). Anche Salzman e Lawler, dopo le loro approfondite riflessioni generali, incentrano l’attenzione sulle questioni relative alla morale coniugale, alla sessualità e alle tecniche di riproduzione artificiali. I due autori ricordano, inoltre, che anche il concilio Vaticano II ha posto importanti accenti su contenuti di cui non si è ancora riconosciuta pienamente l’importanza. Dopo tutto, a partire dalla costituzione pastorale Gaudium et spes è evidente che la sessualità vissuta non è solo questione di procreazione; essa ha anche un proprio diritto (nn. 47-52), e questo cambia la prospettiva. Questo è un punto centrale anche nel volume di Martin Lintner, Den Eros entgiften! Plädoyer für eine zukunftsfähige Sexualmoral und Beziehungsethik, per la quale Karl Golser, già suo predecessore sulla cattedra di Teologia morale a Bressanone e poi nominato vescovo di Bolzano-Bressanone ha scritto la Prefazione.12 Nella sua monografia Lintner intende soprattutto sviluppare, a partire dai dati biblici e dai nuovi accenti posti dal concilio Vaticano II, invece che l’ostilità verso il corpo, che ha profondamente influenzato la tradizione cristiana, un atteggiamento più positivo verso la sessualità, che può diventare IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 605 603-608_saggio inizio_R161-166:Layout 2 L 26-10-2012 Pagina CLXIV ibri del mese anche – letteralmente – una «porta per l’irruzione di Dio».13 Prima di occuparsi dell’attuale «lista dei problemi», Lintner celebra l’eros nella sua integralità come l’esperienza significativa e gioiosa di quella forza che spinge la persona a oltrepassarsi ed entrare in relazione con altre persone, in un modo diametralmente opposto alla critica di Friedrich Nietzsche, per il quale il cristianesimo ha avvelenato l’amore. La «disintossicazione dell’eros» perseguita da Martin Lintner riguarda sia l’ostilità verso la sessualità e il corpo, sia la banalizzazione sociale della sessualità, ad esempio la sua riduzione a merce nel turismo sessuale e nella pornografia in Internet. Egli parte, come anche gli altri autori, dalle concezioni positive dell’amore sessuale nella Bibbia, dal racconto della creazione fino alle implicazioni delle azioni di Gesù, passando attraverso il Cantico dei cantici di Salomone, senza trascurare il fatto che nel Decalogo, come anche negli insegnamenti di Gesù, si rifiuta il divorzio, non l’intera sessualità umana. Nell’Antico Testamento le valutazioni negative della sessualità, considerata nella sua ambivalenza, sono molto spesso legate alla questione della purità cultuale. In seguito la patristica ha ripreso posizioni filosofiche del tempo, introducendo così nella concezione cristiana idee non corrispondenti all’immagine biblica dell’uomo e irrigidendo sotto molti aspetti la relazione fra il cristianesimo e la sessualità molto più di quanto avviene nelle altre religioni mondiali. Purezza e sessualità Recentemente anche Arnold Angenendt, docente di Storia della Chiesa all’Università di Münster, ha sottolineato che all’inizio del cristianesimo la «purità cultuale» non era una categoria importante, mentre in seguito la Chiesa ha ripreso le concezioni arcaiche (Süddeutsche Zeitung 9.2.2011). Analogamente Martin Lintner scrive: «Mentre per Paolo l’a more del prossimo concretamente vissuto e il rispetto degli altri nella partecipazione all’eucaristia erano decisivi, con il passare del tempo si collegò sempre più strettamente purezza 606 9:11 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 morale e continenza sessuale, determinando una fatale separazione fra religione e sessualità». 14 Egli attira espressamente l’attenzione anche sulla concomitante progressiva svalutazione della donna («tradimento del Vangelo!»), un aspetto che segue continuamente e coerentemente nella sua rassegna della storia della cultura cristiana. A suo avviso solo il concilio Vaticano II ha indebolito, nella Gaudium et spes, la potente influenza della premessa stoica, secondo cui la sessualità, per sua natura, è finalizzata unicamente alla procreazione. In questo modo il Concilio ha superato l’inadeguatezza della «visione naturalistica e funzionalistica della sessualità, che ha dominato per secoli nella storia della teologia, e ha anche posto l’accento sul concetto di coscienza. Ma Lintner, facendo autocritica, si chiede anche perché la teologia morale non abbia recepito i nuovi accenti fondamentali posti dal Concilio, con la sua richiesta alla Chiesa di «offrire un contributo costruttivo, orientato alla persona e alla vita, per una vita riuscita, liberata per amare».15 Anche per Lintner l’enciclica Humanae vitae ha offerto un contributo decisivo a questo blocco. Ancora una volta la Chiesa non si è preoccupata della maturità morale dei fedeli, con una conseguente perdita di autorità difficilmente valutabile. Così l’etica orientata all’obbedienza è fallita, e ora al suo posto deve subentrare un’etica orientata alla responsabilità, per mostrare gli «aspetti sempre validi della morale sessuale della Chiesa». L’autore afferma espressamente che ora, dopo gli scandali delle violenze sessuali sui minori, nella Chiesa bisogna assolutamente discutere anche i «temi che il magistero considera non negoziabili».16 Dell’ampia gamma di queste questioni tratta anche il grosso volume Zukunftshorizonte katholischer Sexualethik citato sopra, curato da Konrad Hilpert e pubblicato nella serie «Quaestiones disputatae», che raccoglie contributi di due dozzine di teologi, per lo più docenti di teologia morale e di etica sociale. Nella Prefazione si afferma che lo scandalo delle violenze sessuali su minori ha costretto i docenti di teologia morale a riconsiderare le tradizioni magisteriali della Chiesa, cioè le loro carenze in materia di etica teologica, e a ripensarle in dialogo con le conoscenze delle scienze umane, sottolineando così prudentemente anche il carattere provvisorio dei contributi del volume. E alla fine si afferma: «Le correzioni che vengono proposte non costituiscono eo ipso attacchi a modelli collaudati. Infatti, possono sussistere anche continuità, se non ci si limita semplicemente a ripetere o rendere più cogenti posizioni concrete, ma si accetta di svilupparle, ampliarle o migliorarle».17 Oltre a parecchi utili contributi generali del curatore e a una serie di testi fondamentali sulla morale sessuale, il volume contiene numerose analisi su questioni particolari anche molto recenti: dal classico tema del celibato a ricerche sul genere, sulla sessualità virtuale e sulla transessualità, passando attraverso vari contributi sulla problematica della violenza sessuale. Anche in questo volume, riguardo al matrimonio come unico luogo legittimo per l’attività sessuale si sottolinea che solo una minoranza dei contemporanei lo rifiuta in quanto tale, ma per varie ragioni esiste accanto a esso tutta una serie di nuove forme di convivenza che devono essere valutate singolarmente, soprattutto perché nella maggior parte di queste relazioni si tengono in alta considerazione valori quali la fedeltà, la sincerità, la rinuncia. Al contrario si critica in vari modi l’atteggiamento che da parte ecclesiale, di fronte alle unioni coniugali realmente esistenti, continua a idealizzare il matrimonio, come sottolinea ad esempio Marianne HeimbachSteins, docente di Etica sociale all’Università di Münster.18 Si tiene sufficientemente conto, non solo riguardo alla violenza a sfondo sessuale, del fatto che molto spesso anche gli sposi, nella loro vita di relazione, violano la morale e l’ethos? Continua a non essere comprensibile, come sottolinea anche Martin Lintner, perlomeno il fatto che in passato ad esempio la co- CLXIV 603-608_saggio inizio_R161-166:Layout 2 strizione nel matrimonio era tacitamente tollerata, mentre l’incontro sessuale libero prima del matrimonio fra due persone innamorate era considerato peccato grave. Inoltre la «morale del consenso» («è permesso tutto ciò su cui una coppia può trovarsi d’accordo»), guardata con scetticismo dalla Chiesa, è chiaramente più esigente dell’etica sessuale tradizionale. L’unione sessuale sopravvalutata In questo contesto Franz-Josef Bormann, docente di Teologia morale all’Università di Tübingen, chiede che il magistero della Chiesa nei suoi documenti consideri con maggiore realismo i fenomeni molto sfaccettati e assolutamente ambivalenti della sessualità umana, perché ogni presentazione stilizzata e romantica è problematica. 19 Si tratti delle violenze sessuali o dell’AIDS, molti collegano con la sessualità umana anche aspetti decisamente minacciosi. Anche Martin Lintner, riguardo all’«esperienza delle persone coinvolte», si chiede se il magistero, nella sua considerazione del matrimonio, non sottovaluti la «forza dell’amore, che spinge all’unione dei corpi», e non sopravvaluti invece la sessualità come il criterio determinante di ciò che costituisce in definitiva l’unione coniugale: «Bisogna chiedersi se l’unione sessuale non venga idealizzata, eccessivamente caricata di significati religiosi e sopraelevata, quando le viene attribuito un valore così alto per il carattere sacramentale del matrimonio».20 La contestazione della fissazione sull’attività sessuale nel matrimonio induce coerentemente Eberhard Schockenhoff, docente di Teologia morale all’Università di Freiburg, a perorare l’abbandono dell’attuale prassi dell’esclusione generale di tutti i divorziati risposati dalla ricezione della comunione. 21 Nel frattempo, l’autore ha trasformato il suo contributo in una vera e propria monografia, intitolata Chancen zur Versöhnung? Die Kirche und die wiederverheirateten Geschiedenen.22 Associandosi alla maggior parte dei teologi, anche Konrad Hilpert, curatore del volume, constata l’esistenza CLXV 26-10-2012 9:11 Pagina CLXV nei paesi di lingua tedesca, proprio riguardo al collegamento fra sessualità e procreazione, di un notevole accordo sui fondamenti morali: ad esempio necessità di una paternità/maternità responsabile; difesa della vita non nata; esigenza di una maggiore accoglienza e rispetto dei bambini nella società; importanza del ringraziamento per il dono della vita. La procreazione è un aspetto centrale della sessualità di due persone che si amano, ma non deve essere presentata come la «condizione per entrare in una relazione partenariale ed esercitare legittimamente l’attività sessuale».23 Klaus Arntz, già docente di Teologia morale all’Università di Augsburg, sottolinea che purtroppo i nuovi accenti posti dal Concilio sono rimasti in gran parte privi di conseguenze durante il pontificato di Giovanni Paolo II, proprio a causa dei numerosi documenti emanati dal magistero della Chiesa, fra cui il Catechismo della Chiesa cattolica. Nelle deviazioni dalle direttive della Chiesa, l’incontro sessuale fra uomo e donna è diventato un «atto ostile all’amore e alla vita». «Di conseguenza, l’osservanza della norma etica dell’enciclica Humanae vitae viene trasformata in una decisione pro o contro l’ordine divino della creazione. Da una questione discussa di teologia morale diventa una questione di fede, peggio una cartina di tornasole per testare l’ortodossia».24 Molti autori notano un certo ritegno di Benedetto XVI nei riguardi di questa posizione e vedono in esso un «significativo silenzio» e quindi anche un prudente cambiamento di prospettiva. Nella sua enciclica Deus caritas est il papa attuale si ricollega alla costituzione conciliare Gaudium et spes e pone al centro il comandamento dell’amore come chiave dell’insegnamento sul matrimonio – tanto più che, in altri contesti, mette in guardia dal fraintendere la fede cristiana come un sistema morale –. Si cita ripetutamente anche la sua affermazione nel volume-intervista Luce del mondo del 2010, secondo cui la dottrina sessuale cattolica deve mostrare «percorsi praticabili». Anche la maggior parte degli autori dei contributi raccolti nel volume miscellaneo curato da Konrad Hilpert si chiede se, tutto sommato, non sia più importante collocare al centro della riflessione teologica la relazione fra coloro che si amano personalmente, al di là della soddisfazione egoistica dei propri bisogni sessuali. Secondo Stephan Ernst, in ogni caso, si possono giustificare «divieti o riserve riguardo a determinati comportamenti sessuali» solo «quando si possono indicare reali conseguenze negative e danni, da essi causati»,25 senza per questo richiedere una pura morale del negoziato o del consenso. Infatti si può garantire una sessualità riuscita solo nel rispetto della dignità e del benessere delle persone coinvolte. Analogamente Franz-Josef Bormann auspica il passaggio da un «modo di pensare orientato al rifiuto e al divieto» a uno «sguardo orientato alla potenzialità e alla riuscita» in materia di etica sessuale.26 In un’etica della relazione Questo è importante, non da ultimo, per gli adolescenti e i giovani che – lamentano spesso gli autori dei contributi – sono dovuti crescere già da molto tempo in una sorta di vuoto etico. Nel suo libro Christliche Sexualpädagogik, Stephan Leimgruber, docente di Pedagogia della religione all’Università di Monaco, critica giustamente un silenzio che è calato non solo sulla teologia morale, ma anche sulla pedagogia della religione.27 Se la Chiesa volesse riprendere il dialogo con i giovani sul tema della sessualità così importante anche per loro, scoprirebbe che gli adolescenti nonostante la loro grande differenziazione non possono essere considerati anzitutto «abbrutiti» nella loro sessualità («generazione porno»). Diversamente dalla percezione corrente, i giovani, come risulta anche da una recente indagine tedesca, non hanno relazioni sessuali «sempre più precoci» e non c’è neppure, ad esempio, un aumento delle gravidanze fra le ragazze al di sotto dei 20 anni. Al contrario, anche i giovani continuano ad avvertire una grande nostalgia della relazione, dell’amore e del romanticismo, nonché il desiderio interiore di vicinanza e legame. Anche se il tema IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 607 603-608_saggio inizio_R161-166:Layout 2 L 608 26-10-2012 9:11 Pagina CLXVI ibri del mese matrimonio entra in gioco con un certo ritardo, sessualità e fedeltà sono ancora strettamente legate. Questo non significa che l’umanizzazione della sessualità non sia un compito importante, soprattutto nel dialogo con i giovani. Ma in questo campo molti si sentono lasciati soli dalla Chiesa. Di fatto, il filo del dialogo si è strappato. Molti valori continuano tuttora a interessare direttamente i giovani, ma, secondo Leimgrube, la Chiesa non è «ancora riuscita a trovare e a trasmettere un approccio alla sessualità che non sia ansioso, ma attento alla persona e sovrano».28 La domanda decisiva è questa: la Chiesa ha già fatto tutto ciò che era in suo potere o ha «lasciato semplicemente ad altre istanze importanti campi educativi?». 29 Se vuole riprendere con maggiore intensità il dialogo con i giovani, deve prendere sul serio anche il modo in cui essi si auto-comprendono. Oggi il richiamo alla propria coscienza, alla responsabilità personale propria di persone adulte e all’autodeterminazione fanno parte dell’ovvio repertorio d’azione dei giovani. In questo campo Leimgruber sottolinea come sia stata rifiutata la pedagogia sessuale cristiana sulla sessualità vincolante, sul corpo ideale immacolato e su un principio della prestazione in questo campo, mentre si sentirebbe necessaria una maggiore insistenza sulla rinuncia alla violenza. «Senza amore, la sessualità è deficitaria, probabilmente è esercizio di potere, o semplice divertimento».30 Molte cose inducono a ritenere che si renderebbe un valido servizio ai giovani e ai giovani adulti permettendo loro di riflettere e scambiarsi idee in modo sereno e disteso su queste alternative, a partire dal tesoro di esperienza della storia del cristianesimo. Proprio per questo nel volume miscellaneo si trovano, accanto alla riflessione sui fondamenti, anche capitoli sul lavoro concreto in mezzo ai giovani nella scuola, nell’insegnamento della religione e nelle attività della Chiesa. Tutte le riflessioni su un nuovo approccio all’etica sessuale rifiutano lo status di una morale cattolica speciale chiusa in se stessa, perché essa consente solo una comunicazione limitata. Serve quindi ben poco anche il richiamo all’autorità del magistero, i cui argomenti proposti finora non hanno più la capacità di persuadere. Invece di intimare divieti, si potrebbe mostrare come, a partire da una visione cristiana, alla luce dei temi amicizia e amore, sessualità e fedeltà, si può realizzare la propria vita, senza nascondere la realtà del fallimento. A p. 603: A. CANOVA, Amore e Psiche che si abbracciano, 1794. 1 T.A. SALZMAN, M.G. LAWLER, The sexual person. Toward a renewed Catholic anthropology, prefazione di C.E. Curran, Georgetown University Press, Washington D.C. 2008. 2 M.A. FARLEY, Just love. A framework for Christian sexual ethics, Continuum International Publishing Group, New York 2006. Sulla vicenda cf. Regno-att. 12,2012,378; Regno-doc. 15,2012,458. 3 Cf. SALZMAN, LAWLER, The sexual person, 54. 4 Cf. FARLEY, Just love, 207. 5 Cf. ivi, 311. 6 Cf. ivi, 227. 7 COMMITTEE ON DOCTRINE (USCCB), «Inadequacies in the theological methodology and conclusions of The sexual person. Toward a renewed Catholic anthropology, by Todd A. Salzman and Michael G. Lawler», 15.9.2010, 18, in old.usccb.org, «Doctrine». Nel frattempo i due autori hanno pubblicato un’edizione rielaborata, intitolata Sexual ethics, Georgetown University Press, Washington DC 2012. 8 Cf. S. ERNST, «Argumentationsmodelle in der theologischen Sexual- und Beziehun- gsethik», in K. HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte katholischer Sexualethik, «Quaestiones disputatae» 241, Herder, Freiburg i. Br. 2011, 162-184. 9 Ivi, p. 167. 10 Cf. SALZMAN, LAWLER, The sexual person, 88. 11 Cf. ivi, 48s. 12 Cf. M. LINTNER, Den Eros entgiften! Plädoyer für eine zukunftsfähige Sexualmoral und Beziehungsethik, prefazione di Karl Golser, Tyrolia, Innsbruck 2011. 13 Ivi, 23. 14 Ivi, 45s. 15 Ivi, 13s. 16 Ivi, 11. 17 K. H ILPERT , «Kontinuitäten, Problemfelder und Perspektiven kirchlicher Sexuallehre», in K. HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 473-489; qui 474. 18 Cf. M. HEIMBACH-STEINS, «Die Idealisierung von Ehe und Familie in der kirchlichen Moralverkündigung», in HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 300-309. 19 Cf. F.-J. BORMANN, «Von der “Verbotsmoral” zur christlichen “Liebeskunst”», in HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 454-472. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Non da ultimo per questo sarebbe più importante, in materia di etica sociale, offrire principi e atteggiamenti fondamentali come segnali per l’orientamento, piuttosto che formulare regole concrete, che del resto non vengono classificate in base alla loro importanza. La costruzione di singoli casi isolati, la cui casuistica non risulta mai sufficientemente differenziata, è stata controproducente in passato e ha prodotto una sopravvalutazione della morale sessuale nell’insieme dell’etica teologica. Una domanda che ritorna spesso è questa: perché in tutte le questioni deve esservi sempre una materia gravis, con l’inevitabile conseguenza di «colpa grave»? L’elemento decisivo non dovrebbe essere la corrispondenza di un atto a tutte le norme di condotta stabilite, ma dovrebbero essere – come ha sottolineato anche Margaret Farley – i valori che vengono perseguiti e realizzati, anche quando il senso di una norma non può essere pienamente tradotto in pratica. E si dovrebbe tener sempre conto anche dei processi individuali della maturità psico-sessuale. Perciò, secondo il tenore di tutti i contributi, bisogna continuare a sviluppare la morale sessuale cattolica in un’etica della relazione. Stefan Orth 20 LINTNER, Den Eros entgiften!, 112. Cf. E. SCHOCKENHOFF, «Ausgeschlossen vom Mahl der Versöhnung? Plädoyer für eine Revision der kirchlichen Praxis gegenüber wiederverheirateten Geschiedenen», in HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 279-287. 22 E. SCHOCKENHOFF, Chancen zur Versöhnung? Die Kirche und die wiederverheirateten Geschiedenen, Herder, Freiburg i. Br. 2011. 23 K. HILPERT, «Resultate, Kontrapunkte und bleibende Visionen», in HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 490-498, 494s. 24 K. ARNTZ, «Liebe und Sexualität», in HILPERT (a cura di), Zukunftshorizonte, 86102, 88s. 25 S. ERNST, «Argumentationsmodelle in der theologischen Sexual- und Beziehungsethik», 181. 26 BORMANN, «Von der “Verbotsmoral” zur christlichen “Liebeskunst”», 455. 27 S. LEIMGRUBER, Christliche Sexualpädagogik. Eine emanzipatorische Neuorientierung für Schule, Jugendarbeit und Beratung, Kösel, München 2011. 28 Ivi, 22. 29 Ivi, 18. 30 Ivi, 59. 21 CLXVI L 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 Pagina CLXVII L ibri del mese / schede I Libri del mese si possono ordinare indicando il numero ISBN a 13 cifre: per telefono, chiamando lo 049.8805313; per fax, scrivendo allo 049.686168; per e-mail, all’indirizzo [email protected] per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano, via Nosadella 6, 40123 Bologna. Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi divino (agape) e uno «impuro», corporeo, umano (eros) – per recuperare, tra l’altro, il significato del corpo e il ruolo del desiderio. MARTINI C.M., Non date riposo a Dio. Il primato della Parola nella vita della Chiesa, EDB, Bologna 2012, pp. 65, € 5,00. 9788810108932 lla Scrittura, che egli ha collocato al primo posto nella vita e nell’attiA vità intellettuale e pastorale – tratto fondamentale della sua eredità – , sono dedicati i quattro testi elaborati e pubblicati dalla rivista Il Regno in periodi diversi, dal 1993 al 2004, e ora qui raccolti. Vi sono le riflessioni per gli 80 anni di don G. Dossetti; la lectio magistralis tenuta a Forlì nel 2004, ove era stato chiamato a conclusione dell’anno pastorale dedicato al Vangelo di Luca; e due interventi per gli incontri che dal 1998 al 2007 Il Regno ha organizzato a Camaldoli sul rapporto tra Chiesa e responsabilità pubblica dei cristiani. Sacra Scrittura, Teologia NEUSNER J., Analizzando la Torah. Capitoli di autobiografia intellettuale, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 411, € 30,00. 9788837224745 FAUSTI S., Ermeneutica teologica. Fenomenologia del linguaggio per una ermeneutica teologica, EDB, Bologna 2012, pp. 276, € 21,00. Neusner, il rabbino noto non solo agli studiosi del giudaismo anJXVIacob tico ma anche in quanto protagonista di un dibattito con Benedetto su Gesù, documentato nel primo vol. di Benedetto XVI su Gesù di 9788810408360 o studio, il più importante lavoro teologico dell’a., conserva una granL de attualità (la 1 ed. è del 1973). Il problema della possibilità di un linguaggio religioso-teologico diviene il problema della possibilità e della rea altà dell’oggetto stesso della teologia, che è Dio. La lunga Introduzione affronta il problema dal punto di vista storico e contenutistico. La I parte è una fenomenologia del linguaggio inteso come espressività e si svolge in una brillante trattazione fenomenologica dei processi linguistici. La II ricerca, nel linguaggio, il luogo per la possibilità di un parlare su Dio, quali ne siano le regole e le leggi. Nella III, l’a. tratta del parlare di Dio in linguaggio umano e ne cerca la possibilità nel linguaggio stesso, esaminato nelle prime due parti. GIANAZZA P.G., Temi di teologia orientale 2, EDB, Bologna 2012, pp. 445, € 41,50. 9788810408339 Oriente cristiano racchiude in sé autentiche e antichissime tradizioL’ ni apostoliche, una componente essenziale della Chiesa di Cristo. Col proprio specifico approccio al mistero rivelato, la teologia d’Oriente propone una visione complementare a quella occidentale. L’opera, in 2 voll., ne presenta i fondamenti. Dopo una panoramica di tutte le Chiese orientali (1o vol.), il 2o vol. affronta le questioni relative a cosmologia e angelologia, antropologia teologica, cristologia, spiritualità, escatologia e offre un’ampia iniziazione all’icona. GRASSI P., Trascendenza fra i tempi. Dimensioni dell’esperienza religiosa, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 178, € 18,00. 9788837224684 engono qui tracciate le principali coordinate della teologia e della fiV losofia della religione del Novecento, a partire dalla storica disputa fra sostenitori della religione intesa come esperienza o intesa come rivelazione. Al tentativo d’«offrire un fondamento scientifico alla teologia», che però ha dato luogo a travisamenti del concetto di kerygma, si sono contrapposte correnti che ne valorizzano il senso autonomo, suscettibili di molteplici sviluppi sul piano del pluralismo religioso e della dimensione apocalittica. Altro punto centrale è la «questione della responsabilità del credente» nel presente. JEANROND W.G., Teologia dell’amore, Queriniana, Brescia 2012, pp. 317, € 29,00. 9788839904591 na teologia «fondamentale» dell’amore a partire dalla «prassi» cristiana. La riflessione è sostenuta dalla consapevolezza che, da un lato, la trattazione teologica del tema «necessiti d’essere analizzata con una buona dose di sospetto e di critica» e che, dall’altro, «ogni amore – e quindi ogni teologia dell’amore – abbia una storia», un’incarnazione. Lo studio, interessante e documentato, ripercorre le principali concezioni dell’amore nella tradizione cristiana, dalle «sfide bibliche» alle grandi dottrine alle «istituzioni dell’amore», facendo emergere alcune «ambiguità» da superare – prima fra tutte la separazione tra un amore «puro», spirituale, U CLXVII Nazaret, descrive le tappe principali dello svolgimento della sua cinquantennale ricerca, descrivendo i principali problemi e le tipologie di questioni trattate e i principali risultati conseguiti. PEVARELLO D., Il discorso eucaristico in Giovanni 6: unità e messaggio. Complessità e ricchezza di un caso di ipertestualità, EDB, Bologna 2012, pp. 153, € 15,00. 9788810206638 c. 6 del Vangelo di Giovanni si presenta in due parti ben distinte. La I Ine,lriferita più direttamente a Gesù e al credere in lui (la fede), la II al pacon andamento sacramentale (l’eucaristia). È un testo teologicamente complesso e letterariamente rilevante, tanto più considerando che Giovanni omette il racconto dell’ultima cena. Per l’a. siamo di fronte a un tipico esempio di «rilettura», cioè alla ripresa successiva di un tema in un altro testo, dilatandone il senso, come spesso accade nella Bibbia. In questa prospettiva l’attuale c. 6 vedrebbe confluire reminescenze e sfumature dei sinottici e costituirebbe un «ipertesto», con una elaborazione avvenuta all’interno del processo redazionale del Vangelo. SKA J.-L., «I nostri padri ci hanno raccontato». Introduzione all’analisi dei racconti dell’Antico Testamento, EDB, Bologna 2012, pp. 204, € 19,00. 9788810221624 racconti della Bibbia «non contengono verità, ma piuttosto indicazioni su Iscoprire strade da percorrere, le strade che hanno condotto il popolo di Israele a la sua identità» (dalla Prefazione). Se è vero che i racconti biblici sono usati ogni giorno per illustrare verità o confermare la validità di insegnamenti, si tratta tuttavia di un’utilizzazione dei racconti, non della loro interpretazione. Quest’ultima prende sul serio tutti gli ingredienti che entrano nella composizione del racconto e il loro legame, e presta attenzione anzitutto ai dettagli. Nel proporre un manuale sulla narrazione nella Bibbia, l’a. intende fornire una «cassetta degli attrezzi» e non analisi bell’e fatte. Il significato di un racconto è infatti inseparabile dall’esperienza della lettura. TUELL S.S., I e II Cronache, Claudiana, Torino 2012, pp. 284, € 24,50. 9788870168815 enendo insieme esegesi storico-critica e teologia biblica, vengono T commentati analiticamente i due libri delle Cronache, che sono una sintesi della storia della salvezza mettendo al centro il tempio e il suo culto, con quella che si potrebbe definire una nascente devozione per la Bibbia come luogo di rivelazione della volontà di Dio. «Il cronista si trova a un culmine importante della storia della religione israelita. Nel periodo del Secondo tempio, un’epoca che in definitiva avrebbe visto l’emergere sia del giudaismo sia del cristianesimo, si sarebbe giunti sempre più a supporre che Dio agisse nel regno della vita ordinaria e non attraverso rivelazioni straordinarie. I testi e la loro interpretazione avrebbero avuto sempre più la precedenza sull’esperienza estatica come mezzo per conoscere la volontà di Dio. Il cronista, con la sua enfasi sulle Scritture, indica la via verso quel futuro». IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 609 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 www.edizionimessaggero.it Pagina CLXVIII L ibri del mese / schede Pastorale, Catechesi, Liturgia BONNEAU N., Il Lezionario domenicale. Origine struttura teologia, EDB, Bologna 2012, pp. 220, € 23,00. 9788810416235 a via più semplice ed efficace per comprendere il senso teologico e liL turgico del Lezionario domenicale è quella di esaminare com’è nato e perché: una storia, ancora poco conosciuta. L’a. non intende proporre un ulteriore commento al Lezionario, ma di quest’ultimo esamina gli aspetti meno evidenti: la storia della sua recente riforma, i principi che hanno guidato la scelta e l’ordinamento delle letture, gli schemi che strutturano e informano i tempi costituitivi dell’anno liturgico. CONFICONI I., Preghiere a Maria. Liberamente ispirate agli scritti di don Tonino Bello, EDB, Bologna 2012, pp. 80, € 3,80. 9788810714119 Ugo Sartorio i Scenari della fede pag. 132 - € 10,00 Ogni crisi riconduce all’essenziale e apre a nuovi scenari: un libro che mostra come anche il nostro sia un tempo buono e stimolante per credere in Gesù Cristo e vivere nella sua Chiesa. Prefazione di Rino Fisichella. ivolgersi a Maria in modo semplice e diretto ripensando le tappe R della sua vita è anche un modo per sentirla accanto nelle vicende del quotidiano e può diventare forma viva e spontanea di preghiera. L’a. propone 50 riflessioni, grani di un ipotetico rosario, lasciandosi sollecitare dal vol. Maria. Donna dei nostri giorni (San Paolo 1993) di don Tonino Bello. DA SPINETOLI O., Io credo. Dire la fede adulta, Edizioni la meridiana, Molfetta (BA) 2012, pp. 336, € 18,00. 9788861532700 copo del libro «non è quello di distruggere la fede ma di purificarla». S Con un linguaggio molto chiaro, l’a. propone una riflessione dei principali articoli di fede contenuti nel Credo accessibile alle odierne esigenze di comprensione, che troppo spesso una concezione restrittiva e vincolata a idee e prassi antiche non asseconda e anzi talvolta svilisce. La fede non può essere «racchiusa in formulazioni stabilite una volta per sempre e per tutti», e non può essere confusa o identificata tout court con ciò che è stato inteso e vissuto da autori che si sono rapportati con i modi di pensare della loro epoca. FALAVEGNA E., VIVIAN D., La trasmissione della fede oggi. Iniziare alla vita cristiana, dono e compito, EMP – Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 179, € 14,00. 9788825029321 presentati nel vol. sono il frutto di un lavoro interdisciplinare svolIpostosaggi to dai docenti della Facoltà teologica del Triveneto in un seminario protra il 2008 e il 2009. È una proposta pastorale per l’evangelizzazione che i docenti hanno elaborato in dialogo con gli studenti stessi. «Non c’è trasmissione della fede se non viene toccato l’universo simbolico: sia quello che dice l’umano (...) sia quello che esprime il divino». In quest’ottica l’orizzonte entro cui si colloca la proposta è il rapporto tra pratiche pastorali e universo simbolico della fede, alla cui trasformazione è sotteso un passaggio di paradigma delle pratiche stesse: istruzione, apprendistato e iniziazione alla vita cristiana. Biagio Aprile A il (a ( cura)) La relazione educativa nella post-modernità pag. 480 - € 28,00 Raccolta di contributi provenienti dallo scibile della teologia, delle scienze umane e delle arti in generale: un autentico e concreto dialogo tra le culture che sviluppa il tema dell’educazione nella post-modernità. GRILLI M., Sulla via dell’incontro. Commento alle letture domenicali e festive. Anno C, EDB, Bologna 2012, pp. 270, € 19,00. 9788810416242 opo «Alla ricerca del volto (anno A) e In ascolto della voce (anno D B), concludo il trittico presentando Sulla via dell’incontro (anno C). Ho voluto chiudere con il motivo della via, non solo perché è un importante tema lucano (il Vangelo dell’anno) e, più in generale, storico-salvifico (dal viaggio di Abramo a quello di Israele nel deserto…), ma soprattutto perché evoca la condizione umana, la via che l’uomo percorre dall’uscita del ventre materno fino al compimento». GUGLIELMONI L., NEGRI F., Lo sport per la vita. Come risultare vincenti senza arrivare primi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, pp. 249, € 14,50. 9788821569630 ttraverso la realtà e la metafora dello sport gli aa. di questo vol., riA volgendosi in particolare ai giovani, intendono sottolinearne le potenzialità educative, quali l’impegno, la lealtà, il rispetto, la coscienza dei propri limiti. In ogni c. è presentata la figura di uno sportivo, seguita da testimonianze di atleti di diverse discipline, consigli, aneddoti, regole e cu- 610 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 CLXVIII 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 Pagina CLXIX MAURICE COCAGNAC I simboli biblici riosità per vivere lo sport non solo come occasione di crescita e autodisciplina personale, ma anche come fenomeno di condivisione sociale. LAMBIASI F., Sorpresi dalla gioia. I Vangeli delle domeniche e delle feste. Anno C, EDB, Bologna 2012, pp. 260, € 19,00. 9788810416228 eguendo la scansione del calendario liturgico, dal tempo di Avvento al S Natale, dalla quaresima alla Pasqua e alle feste che da essa scaturiscono, fino al tempo ordinario, l’a., vescovo di Rimini, propone delle riflessioni sui Vangeli festivi dell’anno liturgico C, per orientare quanti desiderano fare della Parola la guida del proprio cammino. Percorsi spirituali LAMBIASI F., Giovani, dove sta la felicità?. Lettera ai giovani e ai loro educatori, EDB, Bologna 2012, pp. 75, € 6,00. 9788810808757 una lettera, rivolta direttamente ai giovani e ai loro educatori, il veIghenscovo di Rimini, con linguaggio immediato ed efficace, entra nelle piedell’esistenza di chi, pur in mezzo a fragilità e insicurezze, desidera una vita piena e autentica, una vita felice. LODI E., Fede creduta perché celebrata?. Convergenza e divergenza delle due leggi della liturgia: lex credendi e lex orandi nel Credo ecumenico, EDB, Bologna 2012, pp. 117, € 11,00. 9788810416259 a tradizione bizantina considera la lex orandi come «fonte ed espresL sione» della lex credendi, ma nell’enciclica Mediator Dei Pio XII afferma la legge che proclama l’inverso della formula. Occorre quindi concludere che si tratta di complementarietà delle due leggi e non di alternativa. Ciò nondimeno esiste una divergenza della prima legge rispetto alla seconda, che lo studio intende provare con l’ausilio di alcuni testi liturgici delle due tradizioni. Per ciascuno degli articoli del Credo vengono così presentati dei testi liturgici più rappresentativi che illustrano le due tradizioni dottrinali e teologiche delle Chiese che professano lo stesso Credo ecumenico, soggetto a interpretazioni distinte e divergenti. NOCETI S., TOSCHI N., Giuseppe: la sapienza della vita. Riflessioni e preghiere per ogni giorno della Quaresima, EMP – Edizioni Messaggero, Padova 2012, pp. 110, € 8,50. 9788825029611 e due aa., teologhe, offrono un sussidio per il periodo quaresimale scegliendo come figura su cui riflettere quella del patriarca Giuseppe, le cui vicende sono narrate nei cc. 37-50 di Gen. Per ogni giorno feriale, vi è una meditazione aperta da un’invocazione allo Spirito Santo, seguita da un brano delle Scritture su Giuseppe, un breve commento, qualche versetto del Salmo 119 e una preghiera conclusiva. Ognuna delle 5 settimane è dedicata ha una chiave di lettura: «La vita, questione di rapporti», «la sapienza, capire la storia», «la vita, un cammino di riconciliazione», «la sapienza, riconoscersi fratelli» e «la benedizione, una vita in pienezza». L RUSTER T., Il Credo. Per una fede che fa la differenza, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 215, € 19,00. 9788801048025 na presentazione della fede cristiana breve e comprensibile per tutti. Questa l’intenzione dell’a., docente di teologia sistematica all’Università di Dortmund e apprezzato conferenziere. Sussidio interessante per la catechesi e la formazione personale che, dopo alcune questioni introduttive (quale Dio? perché la Bibbia?), si struttura secondo gli articoli del Simbolo apostolico. Il «libro si rivolge a cristiani, uomini e donne, che vogliono riacquistare la certezza e la gioia della loro fede. Che vogliono comprendere la propria fede. Che la vogliono testimoniare in pubblico». U TASSINARI P., L’anello perduto. Sulle orme di un percorso tracciato con separati/divorziati e conviventi/risposati che interrogano la comunità cristiana, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 222, € 13,50. 9788874027200 contributi qui raccolti sono il frutto di un progetto che su indicazione Istorali, del vescovo di Fossano – Cuneo, mons. G. Cavallotto, e dei consigli paha realizzato una commissione diocesana dedicata alle persone se- R iproposto in edizione economica, l’apprezzato volume raggruppa per affinità o per contrasto i principali simboli biblici, suddivisi per temi, con molteplici variazioni che determinano l’efficacia espressiva del testo. Non si tratta di un dizionario da consultare occasionalmente, ma piuttosto di un percorso per familiarizzare con l’immaginario biblico: le varie voci rivelano una visione del mondo non basata su concetti astratti, ma costruita a partire dalla realtà concreta che si offre all’esperienza dell’uomo. «ECONOMICA EDB» www.dehoniane.it Via Nosadella 6 parate, divorziate e risposate. L’intento è quello di sensibilizzare la comunità cristiana a una riflessione che di fronte a questa frattura dei legami familiari e del sacramento del matrimonio, non si blocchi tra imbarazzo e 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Edizioni Dehoniane Bologna CLXIX IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 611 pp. 776 - € 33,00 Fax 051 4290099 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 L 25-10-2012 19:07 Pagina CLXX ibri del mese / schede pregiudizi ma abbia la capacità di praticare una «fedeltà creativa» a Gesù Cristo nella Chiesa d’oggi. Interessanti nell’ultima parte del vol. le testimonianze sui lavori di gruppo con separati o divorziati e conviventi e/o risposati dove si è cercato di esplorare insieme il rapporto personale con Dio condividendo l’esperienza personale e di coppia. RIBBONS L., BERTOLINI GRUDINA P., La Bibbia per il tuo battesimo, EDB, Bologna 2012, pp. 141, € 9,90. 9788810769492 RUCCIA A., SCALERA M., Testimoni dell’educazione. Novena – Per prepararsi a vivere il Natale, EDB, Bologna 2012, pp. 48, € 2,50. 9788810710708 ZIMMERMANN J.A., «Preparate per me». Il manuale dell’ambiente liturgico, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 95, € 8,00. 9788801035452 gile manualetto dedicato «a tutti quei ministri “invisibili” che lavorano per rendere l’ambiente liturgico uno spazio adatto alle celebrazioni». Da una breve introduzione ai principi teologici generali, si passa a una presentazione dei luoghi dello «spazio sacro» e degli «oggetti» liturgici, descrizione che l’a. integra con raccomandazioni pratiche e un elenco di principi e domande per la riflessione. I cc. sull’estetica dello spazio sacro e sulla sua caratterizzazione nei diversi tempi dell’anno liturgico stanno al cuore del vol. Originale l’idea di riflettere anche sulla «spiritualità» e sulle «responsabilità» dei ministri dell’ambiente liturgico. A DI DANIELE E., La straordinaria storia della famiglia di Nazaret. Disegni L. Piovaccari, Cooperativa In Dialogo, Milano 2012, pp. 48 + ill., € 12,00. 9788881237654 In cammino verso il Natale 2012. Adulti, bambini, ragazzi, EDB, Bologna 2012, pp.51+47+47, € 4,30+3,60+3,60. Incontro a Gesù. I sacramenti dell’iniziazione cristiana spiegati ai ragazzi, Cooperativa In Dialogo, Milano 2012, pp. 55, € 5,80. 9788881237586 JAMES B., JOLLIFFE A., Il Natale. Gioca e impara, EDB, Bologna 2012, pp. 10, € 9,90. 9788810751114 Aldo Natale Terrin Il mito delle acque in Oriente Tra filosofia e storia delle religioni pp. 128, € 11,00 Luciano Monari La libertà cristiana Una meditazione pp. 72, € 9,00 Gabriella Caramore Nessuno ha mai visto Dio pp. 96, € 10,00 Carlo Ghidelli Se cerchi la sapienza Riflessioni bibliche pp. 152, € 12,00 Gabriel Marcel Il mistero della filosofia a cura di Roberto Celada Ballanti pp. 248 + 8 ill., € 16,00 SEMERARO M. (a cura di), Messa e preghiera quotidiana/novembre 2012. A cura di fratel MichaelDavide, EDB, Bologna 2012, pp. 313, € 3,90. 9788810713723 THOMAS M., BERTOLINI GRUDINA P., La Bibbia. Gioca e impara, EDB, Bologna 2012, pp. 10, € 9,90. 9788810751121 VICENTINI E., COCICOM KIDS, Beniamino racconta le storie della Bibbia, EDB, Bologna 2012, pp. 20 x 6 voll., € 22,00. 9788810751138 Spiritualità ARIOLI M.G., FIORI M., Il mondo in un raggio di luce. Dalla Regola di san Benedetto uno sguardo sapienziale sull’uomo e sulla storia, La scala, Noci (BA) 2011, pp. 207, € 10,00. 9788896688083 l vol. raccoglie alcune delle relazioni tenute negli anni presso la Scuola Ia tema di cultura monastica del Monastero di san Benedetto di Milano, aventi la Regola di san Benedetto e la sua spiritualità. Essa, infatti, ha ispirato tanti cristiani nel corso dei secoli e ancora continua a farlo «in virtù della sua essenzialità e dell’apertura di orizzonti che le consente adattamenti a contesti storici e geografici diversi». BARZAGHI G., L’intelligenza della fede. Credere per capire, sapere per credere, ESD – Edizioni studio domenicano, Bologna 2012, pp. 142, € 12,00. 9788870948073 quarci meditativi, redatti con un linguaggio semplice, accessibile e faS miliare, dove riferimenti biblici e filosofici vengono riversati in un discorso sovente colloquiale. I cc. si snodano in piccole sequenze narrative, tanti piccoli frammenti meditativi che segnano il carattere precipuo del volumetto, inteso alla valorizzazione dello studio e della filosofia. E di quest’ultima viene data questa definizione in forma di acrostico: «Fissare Intensamente L’Occhio Sopra Ogni Frammento Integrandolo Amorevolmente». BUZZONI G., La sapienza del giusto. Omelie di ispirazione patristica, EDB, Bologna 2012, pp. 371, € 24,00. 9788810416266 a 18 anni dalla 1 pubblicazione e a poco più di vent’anni dalla morte A di don Giovanni Buzzoni, vengono riproposte le omelie da lui tenute come canonico teologo nel duomo di Ravenna. Si tratta di testi d’ispirazione patristica che l’a. propone alla comunità cristiana, seguendo il percorso dell’anno liturgico. «In ogni pagina che don Buzzoni scrive emerge il coinvolgimento tra il messaggio evangelico e la coscienza che responsabilizza ogni uomo nell’amore verso Dio e il prossimo. Questa è saggezza, ciò che nell’antica tradizione dei padri viene chiamata “sapienza”» (dall’Introduzione di p. Benedetto Calati). CARRETTO C., Credere, sperare, amare. Motivi pedagogici e spirituali. A cura di L. Caimi, La scuola, Brescia 2012, pp. 167, € 11,00. 9788835028512 ntologia di testi di Carlo Carretto (1910-1988), tratti da voll. o articoA li e suddivisi in due sezioni: la I è dedicata al periodo in cui egli ha svolto un’instancabile opera di apostolato e animazione come insegnante, direttore didattico e militante, con ruoli di responsabilità, nelle file dell’Azione cattolica; la II si concentra invece sulla fase successiva della sua vita, caratterizzata dalla consacrazione religiosa e dall’attenzione alla riflessione spirituale. L’Introduzione ne ripercorre la biografia e commenta i testi in seguito riportati, evidenziandone i tratti salienti e inquadrandoli nel loro contesto storico. Via G. Rosa 71 - 25121 Brescia - Tel. 03046451 - Fax 0302400605 www.morcelliana.com 612 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 CLXX 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 CUCCI G., Il fascino del male. I vizi capitali. Prefazione di H. Zollner, ADP – Apostolato della preghiera, Roma 2012, pp. 367, € 19,00. 9788873575504 embro del collegio degli scrittori di Civiltà cattolica e docente alM l’Aloisianum di Padova, l’a. frequenta da tempo, nella sua ricerca, i temi del male e dei vizi capitali, potendo affrontarli da prospettive complementari per le sue competenze filosofiche, teologiche e psicologiche. La scelta dei vizi capitali si giustifica per il loro valore sintetico: essi «possono essere considerati una maniera di ricomprendere e unificare l’agire umano nelle sue derive negative, ma anche nei beni cercati attraverso di essi». I vizi capitali, infatti, pur ricordando infedeltà e trasgressioni, si richiamano a «una totalità di pienezza e bellezza che può dare senso alla vita e realizzarla». GRÜN A., Invito alla vita buona, Queriniana, Brescia 2012, pp. 184, € 12,50. 9788839922953 l libro è una raccolta di meditazioni che tracciano un percorso possibiIimmediate le e sperimentabile del «vivere in pienezza». Attraverso le riflessioni più sul senso e l’orientamento del vivere, sul cammino di libertà in- Pagina CLXXI UNIVERSITÀ STUDI DI URBINO “CARLO BO” DEGLI ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE “ITALO MANCINI” Anno Accademico 2012-2013 Corso biennale di alta specializzazione in Scienze religiose Direttore: Prof. PIERGIORGIO GRASSI teriore, sull’accettazione di sé stessi e degli altri, ogni c. vuole favorire la «consapevolezza che la vita è un dono» e che il senso di gratitudine per averla ricevuta può renderci persone attente a vivere il presente bene con noi stessi e con tutti. Il Corso rilascia un titolo in Scienze religiose che è valido a tutti gli effetti per l’insegnamento della religione nelle scuole di ogni ordine e grado. MARTIRANI G., Maria donna bellissima. Preghiere per sgranare i giorni allegri e tristi, e per fermarsi alle stazioni della vita. Per giovani da 15 a 90 anni., EMP – Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 103, € 12,00. 9788825028034 Le finalità del Corso biennale di Alta Specializzazione sono: testo è incentrato sulla figura di Maria, donna che c’era e che contiImilnua, nelle sembianze di altre storie umane, a essere presente nei dramdi questo mondo. La I parte è una raccolta di commenti al Rosario che pone l’accento sull’importanza della preghiera non solo come «im-pegno» e cura per il prossimo, ma soprattutto come offerta della propria vita per gli altri, essere «in-pegno» per loro. La II propone una Via crucis focalizzata sullo stare di Maria davanti alla croce. Un itinerario che ripercorre la Via dolorosa calandosi nei drammi dell’oggi. MAZZONI BENONI L., Meditare con Raimon Panikkar. Come presi per mano, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2012, pp. 72, € 10,00. 9788860991492 ercorso meditativo proposto dall’a. all’interno di una collana di «meP ditazioni cristocosmiche» e basato su spunti offerti dall’opera di R. Panikkar. Secondo le indicazioni del religioso indo-spagnolo, è necessario accostarsi alla meditazione recuperando un concetto adeguato di concentrazione, aliena tanto dalla dispersione quanto dall’astrazione e aperta alla presenza «non duale» di Dio, della dimensione cosmoteandrica dell’uomo, elemento essenziale per giungere alla unificazione a cui conduce la meditazione, e della cristofania, intesa come «manifestazione dell’unione misteriosa delle dimensioni divine, umane e cosmiche della realtà». MONDA A., Benedetta umiltà. Le virtù semplici di Joseph Ratzinger, Lindau, Torino 2012, pp. 182, € 14,00. 9788871809755 reve riflessione nella quale l’a. delinea un profilo della «virtù» paraB dossale dell’umiltà nella tradizione cristiana (I parte), e un profilo di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, il papa che si è definito «umile lavoratore nella vigna del Signore», per «vedere se i due profili combaciano o, almeno, si intrecciano da qualche parte» (II). Si tratta della tesi che l’a. sostiene raccontando la figura di Ratzinger – «papa dell’umorismo e della gioia» – attraverso i gesti, le parole e «il pensiero di autori a lui cari», come Agostino, Balthasar, Lewis e Chesterton. • la formazione di insegnanti di religione cattolica altamente qualificati per le scuole pubbliche (indirizzo pedagogico-didattico), • la ricerca scientifica nel campo delle discipline religiose e teologiche (indirizzo di introduzione alla ricerca). I docenti del Corso sono: Andrea Aguti; Khaled F. Allam; Marco Cangiotti; Gian Domenico Cova; Alberto Fabbri; Carlo Fantappié; Marco Gallizioli; Samuele Giombi; Franco Gori; Piergiorgio Grassi; Angelo Maffeis; Andrea Milano; Michele C. Minutiello; Gastone Mosci; Romano Penna; Giuseppe Pulcinelli; Graziano Ripanti; Maria Grazia Sassi; Manlio Sodi; Sofia Tavella; Natalino Valentini; Licia Zazzarini. Le iscrizioni si chiuderanno il 15 dicembre 2012. Saranno messi a disposizione degli iscritti, per concorso, assegni di studio. MYRE A., Per il futuro del mondo. La Risurrezione rivisitata, Borla, Roma 2012, pp. 286, € 32,00. 9788826318448 Per informazioni: oglio cercare di riformulare per l’oggi l’antica speranza». Saggio «V originale e coraggioso di un biblista canadese, rivolto a coloro che vivono «fuori le mura» della Chiesa-istituzione. Tenendo conto della vi- Istituto Superiore di Scienze Religiose “I. Mancini” Tel 0722/303536 – Fax 0722/303537 [email protected] http://www.uniurb.it/scirel CLXXI IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 613 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 PIER GIORGIO GIANAZZA Temi di Teologia Orientale 2 Pagina CLXXII L ibri del mese / schede sione del mondo, dell’uomo, della risurrezione attingibile dai testi della Scrittura (I parte), egli ne tenta – attraverso una riflessione ampia e consapevole dei suoi limiti – una radicale inculturazione al presente (II parte). «La fede nella risurrezione non riguarda né la realtà della tomba vuota, né una concezione della corporeità di un corpo risorto, né una concezione della stessa risurrezione. La fede è fiducia che Gesù è “al sicuro” (...) e che non ci si inganna ad ascoltare la spinta che sale dal più intimo di sé stessi a vivere come lui». PAOLI A., La pazienza del nulla, Chiarelettere, Milano 2012, pp. 111, € 8,00. 9788861903029 l deserto è stato un passaggio fondamentale nella mia vita, nell’aver «I capito di non vivere più per me e che negli anni precedenti avevo vissuto con egoismo, anche se non me ne rendevo conto». Il vol. è una riedizione di un testo pubblicato nel 1984 (Facendo verità, Gribaudi), nel quale l’a. – oggi quasi centenario – racconta con straordinaria efficacia l’esperienza del suo noviziato, coi Piccoli fratelli di Charles de Foucauld, nel deserto di El Abiodh. Una lettura avvincente e consigliabile in una stagione culturale come la nostra, segnata dalla diffusa percezione del vuoto e dell’«assenza di Dio». «Non esiste altro mezzo per liberare il nostro cuore (...). Questo è il rinascere che Gesù propone a Nicodemo». RADICE U., Il Gesù delle parabole. Alle origini del messaggio di salvezza, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2012, pp. 327, € 18,00. 9788860991515 l vol. raccoglie le trascrizioni di commenti alle parabole evangeliche traIzione, smessi da una radio privata brianzola oltre trent’anni fa. Nella Prefal’a. mette in risalto il valore del lavoro (in particolare l’attenzione S ulla via dell’ecumenismo, che la Chiesa cattolica è impegnata a percorrere, l’opera contribuisce alla conoscenza dell’Oriente cristiano, presentandone la teologia. Col proprio specifico approccio al mistero rivelato, la tradizione orientale è componente essenziale della Chiesa di Cristo, complementare a quella dell’Occidente cristiano. Il volume secondo tratta di cosmologia e angelologia, antropologia teologica, cristologia, escatologia e offre un’ampia iniziazione all’icona. «NUOVI SAGGI TEOLOGICI» pp. 448 - € 41,50 DELLO STESSO AUTORE TEMI DI TEOLOGIA ORIENTALE 1 Presentazione di Dimitrios Salachas esarca apostolico in Grecia pp. 536 - € 49,90 www.dehoniane.it Via Nosadella 6 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Edizioni Dehoniane Bologna ecumenica), senza nascondere i limiti che ha dovuto registrare: «Talvolta la dubbia congruenza tra la spiegazione teologica di un testo e lo stesso testo, talvolta l’imprecisione di alcuni termini relativi alla situazione storicoreligiosa della Palestina», una complessiva «mancanza di aggiornamenti» rispetto alla ricerca storica ed esegetica degli ultimi decenni. SANGALLI S., Fare esperienza di Dio. Presentazione del card. Dionigi Tettamanzi, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2012, pp. 164, € 12,00. 9788820987190 ntologia di meditazioni nate nel corso di un itinerario – della coA munità romana Oikia – di conoscenza della Scrittura attraverso una serie di incontri, tenuti dall’a. con studenti universitari, coppie e persone consacrate. In particolare, ogni c. propone un approfondimento sulla vita di alcuni dei più noti (12 in tutto) personaggi biblici, il cui esempio di fedeltà e accoglimento del volere di Dio mostra al contempo un’autentica esperienza di Chiesa e una profonda esperienza di vita. Testo adatto sia ai giovani in ricerca vocazionale sia alle persone consacrate. GUSMITTA P.L., Cronache sacerdotali. Quale prete sogna Dio?, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 92, € 9,00. 9788874027187 Storia della Chiesa CAFFIERO M., Legami pericolosi. Ebrei e cristiani tra eresia, libri proibiti e stregoneria, Einaudi, Torino 2012, pp. 390, € 34,00. 9788806196691 iene qui illuminato un capitolo importante della relazione fra criV stiani ed ebrei nell’Europa fra XVI e XVIII secolo, attinente agli scambi frequenti e profondi fra i membri delle due religioni, nonostante le interdizioni e le limitazioni. Da un’analisi di fonti archivistiche perlopiù inedite, emergono vari intrecci fra i membri delle due religioni, motivo di preoccupazione da parte del tribunale dell’Inquisizione, in particolare per quanto riguarda la circolazione di libri e di dottrine suscettibili di interpretazioni eretiche o applicazioni magiche, senza parlare delle relazioni proibite fra uomini e donne delle due comunità religiose. Fax 051 4290099 614 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 CLXXII 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 Pagina CLXXIII DE MATTEI R., Pio IX e la rivoluzione italiana, Cantagalli, Siena 2012, pp. 207, € 16,00. 9788882727635 iografia di papa Pio IX, dall’elevazione al soglio pontificio sino alla B morte, considerata con particolare riferimento alle vicende coeve riguardanti la formazione dello Stato unitario. L’a. si sofferma inoltre su tre eventi topici del pontificato di Mastai Ferretti: la definizione del dogma dell’immacolata Concezione, la proclamazione del Sillabo e la convocazione del concilio Vaticano I. Sin dal titolo del vol., è evidente il suo carattere apologetico, che influenza anche la selezione della bibliografia, indicativa dei modi di procedere di una storiografia militante ma a volte dai contorni piuttosto discutibili. FATTORINI E., Italia devota. Religiosità e culti tra Otto e Novecento, Carocci, Roma 2012, pp. 193, € 16,00. 9788843062584 e devozioni italiane, i santuari del nostro paese, le relazioni spirituali, L le politiche di beatificazione contemporanee, il «suicidio della religione», le apparizioni di fine millennio: sono le tappe percorse dall’a., docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma, in un pregevole studio delle caratteristiche e del ruolo storico della devozione rispetto alla formazione dell’identità nazionale italiana. ZAMAGNI G., La fine dell’era costantiniana. Retrospettiva genealogica di un concetto critico, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 197, € 17,00. 9788815138026 partire dal concetto di «era costantiniana», intesa come «un’epoca A caratterizzata da un’alleanza simbiotica fra il potere della teologia e il potere di imperatori e sovrani», e quindi come storia dell’intreccio e reciproca influenza fra Chiesa e potere civile in Europa, viene ripercorsa in prospettiva diacronica la riflessione, maturata in corrispondenza con l’apertura del Concilio, sul significato della fine di questo legame, a partire dagli scritti di M.-D. Chenu, per passare alla riflessione degli ambienti parigini della metà del secolo fino a quella di F. Heer, dell’ultimo E. Buonaiuti e di E. Peterson. Libro di notevole interesse storico-ecclesiologico. DAVID MARIA TUROLDO Attualità ecclesiale Laudario alla Vergine COMITATO SCIENTIFICO E ORGANIZZATORE DELLE SETTIMANE SOCIALI DEI CATTOLICI ITALIANI (a cura di), Cattolici nell’Italia d’oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del paese. Atti della 46a Settimana sociale dei cattolici italiani, EDB, Bologna 2012, pp. 670, € 26,50. 9788810140727 l vol. consegna i contributi di idee e d’elaborazione culturale scaturiti Id’arrivo dalla 46 Settimana sociale (Reggio Calabria, 14-17.10.2010), punto di un itinerario condiviso con le diocesi e con le aggregazioni eca «Via Pulchritudinis» clesiali lungo i due anni di preparazione. Un percorso di partecipazione e un metodo per il discernimento tesi a costruire, insieme, un’agenda di problemi su cui sperimentare la fede vissuta nella storia concreta. DAY D., Fede e radicalismo sociale. A cura di R. Fossati, La scuola, Brescia 2012, pp. 120, € 9,00. 9788835029588 onna, cattolica, giornalista, pacifista negli Stati Uniti della prima meD tà del Novecento. Nella collana «Maestri» viene proposta un’agile antologia dei suoi scritti, introdotta da un biografia. GABRIELI C., Uno scisma moderno. La comunità lefebvriana, EDB, Bologna 2012, pp. 305, € 27,00. 9788810140710 a Chiesa con la sua storia bimillenaria, con la ricchezza del suo pa«L trimonio spirituale e dottrinale, ma aperta al mondo per annunciare in modo adeguato il suo messaggio agli uomini del suo tempo, si è trovata nella difficile situazione di custode del suo passato e insieme promotrice di un coraggioso rinnovamento e aggiornamento, tra due punte estreme che correvano il rischio di dimenticare che i due poli devono essere ambedue salvati e armonizzati: tradizione e innovazione (…). Solo all’interno di questo grande tema si può comprendere tutta la vicenda le- CLXXIII IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 615 N U O V A E D I Z I O N E vent’anni dalla morte di p. Turoldo, le EDB rendono nuovamente disponibile il suo splendido laudario. Nella raccolta di poesie dedicate a Maria, egli s’ispira alla locuzione con cui Paolo VI si riferì alla Vergine: “via della bellezza” per raggiungere la beatitudine promessa. Infatti senza di lei la creazione sarebbe incompleta, e la storia dell’uomo disperata. A EDB Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna «MEDITAZIONI» pp. 136 - € 9,90 Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA CONSULTA ECCLESIALE DEGLI ORGANISMI SOCIO-ASSISTENZIALI CARITAS ITALIANA - UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SANITÀ Pagina CLXXIV L ibri del mese / schede Opere febvriana e anche l’interesse che la stessa vicenda ha destato nella Chiesa» (dalla Prefazione). per il bene comune GUGLIELMONI L., NEGRI F., «Un altro vedere». Don Primo Mazzolari e la fede, EDB, Bologna 2012, pp. 140, € 12,00. 9788810513217 Rilevazione dei servizi socio-assistenziali e sanitari ecclesiali in Italia persone don Primo, predicatore itinerante, ha risvegliato la Isuoinfede«quante latente e quanti adulti ha aiutato a credere, ieri e oggi, mediante i scritti che presentano una lungimirante attualità! Formare il laicato O biettivo della Rilevazione nazionale dei servizi collegati alla Chiesa, presentato nel volume, è promuovere una rete di assistenza più prossima ai bisogni delle persone, in un settore fondamentale. Il lavoro è volto a porre le basi per un dialogo con il servizio pubblico e con le pubbliche autorità nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà. «FEDE E ANNUNCIO» EDB ZUCCOLINI R., PIETROLUCCI R., Shahbaz Bhatti. Vita e martirio di un cristiano in Pakistan. Prefazione di Andrea Riccardi, Paoline, Milano 2012, pp. 167, € 14,00. 9788831541350 na biografia del ministro pakistano per le Minoranze religiose, ucciU so dai fondamentalisti islamici nel 2011 per aver insistentemente richiesto la riforma della legge sulla blasfemia, viene qui proposta a quattro mani da un giornalista del Corriere della sera, Roberto Zuccolini, e da un funzionario del Ministero dell’interno e membro della Comunità di Sant’Egidio, Roberto Pietrolucci, suo amico personale. pp. 192 - € 16,00 Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it YVES SIMOENS Le tre Lettere di Giovanni Credere per amare Una traduzione e un’interpretazione olti esegeti hanno rivolto l’attenzione a due composizioni della letteratura giovannea, mentre più rari sono quelli che si sono impegnati con tutte e tre: l’esegesi moderna infatti tende a dubitare dell’omogeneità di tale corpus. Il volume dell’autore, tra i massimi esperti della materia, è preceduto dai suoi fortunati commenti sul Vangelo e sull’Apocalisse. Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Filosofia BLONDEL M., BOSCO D., Che cos’è la mistica?, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 261, € 18,00. 9788837225421 edizione racchiude pagine inedite del filosofo francese sul tema delL’ la mistica che si innesta nella sua «filosofia dell’azione». Come ebbe a dichiarare il medesimo Blondel: «Ogni grande filosofia, ben lungi dall’essere una pura costruzione dello spirito, ha il suo principio e il suo fine in una concezione del destino umano: la pratica la orienta ed essa orienta a sua volta la pratica». Una filosofia che, però, non detta il suo monopolio su di noi, ma permette «di fare un passo al di là», nella mistica, dunque. Essa, pertanto, diviene il luogo per eccellenza in cui la raison mette in discussione se stessa proprio per essere il punto di incontro tra il finito e l’assoluto. Il vol. è arricchito da una eccellente Introduzione di Domenico Bosco. CENTRO DI DOCUMENTAZIONE INTERDISCIPLINARE DI SCIENZA E FEDE DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ DELLA SANTA CROCE (a cura di), Conversazioni su scienza e fede, Lindau, Torino 2012, pp. 228, € 18,50. 9788871809656 ove interviste a scienziati e teologi sui temi inerenti l’intersezione tra N pensiero scientifico, filosofico e teologico: il senso e il ruolo della vita umana nel cosmo, l’unità del sapere, i fondamenti filosofici della scienza, l’umanesimo scientifico ecc. Il vol. nasce dall’esperienza del «seminario permanente» che il Centro di documentazione rivolge, dal 2005, a giovani laureati interessati ai «grandi interrogativi» che emergono nel rapporto tra il sapere scientifico e quello della fede. Esso raccoglie alcuni dei dialoghi promossi dai partecipanti al seminario coi docenti invitati. M «TESTI E COMMENTI» cattolico è stato uno dei suoi obiettivi perseguiti con tenacia, certo che la rivoluzione cristiana è possibile solo se generata da una fede solida, matura» (dalla Prefazione di mons. V. Paglia). Il sussidio offre alcuni brani, tra i più significativi, circa l’atto di fede e le conseguenze pratiche del credere, di don Primo. KIERKEGAARD S., Briciole filosofiche. Ovvero un poco di filosofia, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 158, € 16,00. 9788837225681 l’a. si propone il superamento del «socratico», inteso coImeranmequest’opera insieme di verità universali, eterne e necessarie, di cui è possibile una «reminiscenza», ma assolutamente «irraggiungibile a partire dalla pp. 320 - € 32,00 non-verità in cui giace l’esistere nel tempo». Occorre quindi recuperare il senso del paradosso in virtù del quale «l’intelletto vuole appassionatamente il proprio tramonto perché non vuole che la propria esistenza tramonti nel socratico». Questa compresenza nell’esistente di intelletto e paradosso consente all’esistenza di rapportarsi con l’eterno, in un «momento» che «determina la rottura dell’indifferenziato scorrere del tempo». La presente edizione è stata curata da U. Regina e condotta sull’edizione critica dell’opera del noto filosofo. Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 616 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 CLXXIV 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 Pagina CLXXV ROLAND MEYNET La Lettera ai Galati RICCI SINDONI P., Franz Rosenzweig. L’altro, il tempo e l’eterno, Studium, Roma 2012, pp. 255, € 23,50. 9788838241468 a Stella della Redenzione è, non solo, uno dei testi fondamentali per L capire lo sviluppo del pensiero ebraico del Novecento, ma anche una delle traiettorie più suggestive per tutto l’attuale panorama filosofico occidentale tutto preso dal tentativo di fuoriuscire dalle secche del nichilismo postmoderno che lo ha sinora avviluppato. Con questo suo saggio, l’a. nota studiosa di etica, presenta un’antologia degli scritti di Rosenzweig composti prima della sua opera maggiore. La raccolta restituisce al lettore un’immagine più completa dello stesso R. Precede l’antologia un saggio sul suo pensiero nel qual è possibile seguire l’intreccio di tempo e di eterno che fanno del filosofo ebreo-tedesco uno degli dochakeiha-ketz («acceleratori della fine») di maggior fascino. Testo di studio da leggere. Storia, Saggistica BUBER M., Religione come presenza. A cura di F. Ferrari, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 192, € 16,00. 9788837225933 raduzione italiana di 8 lezioni, nelle quali vengono illustrati alcuni T punti essenziali del pensiero dell’a. sul significato della religione. Nelle prime 3 vengono smantellate alcune opinioni consolidate che vincolano il «religioso» ad altre sfere, come la dipendenza dall’idea nazionale, dalla biologia o dalla psicologia, impedendone il suo pieno dispiegamento come «qualcosa di assoluto»; nelle ultime 5, avvalendosi del concetto chassidico di Shekinah come presenza e di altri concetti poi ripresi in Io e Tu, è in quanto «presenza» che la religione viene definita nella sua essenza, indipendentemente dalle contingenze storiche. T esto breve ma decisivo per la fede cristiana, la Lettera ai Galati viene da decenni studiata applicando le regole della retorica classica greco-latina. L’originale commento colloca invece la chiave di composizione delle lettere paoline nelle leggi della retorica biblica e semitica, dando all’Epistola una rinnovata interpretazione. «RETORICA BIBLICA» pp. 256 - € 19,00 Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it COLANTONE R., Il sogno nella poesia greca. Dai poemi omerici al teatro, Studium, Roma 2012, pp. 276, € 14,50. 9788838241567 l sogno è uno dei luoghi ricorrenti della letteratura, della pittura e anIquesto che del cinema ultimamente. L’a., giovane e promettente studiosa, con vol. dallo stile elegante e coinvolgente, affronta il tema del sogno nella poesia e nel teatro della Grecia arcaica e classica offrendo al lettore la possibilità d’introdursi in uno degli universi letterari più affascinanti della storia della cultura occidentale. Polidoro, Ecuba, e altri ancora, vengono evocati, tradotti seguendone il lessico, il simbolo, l’«oggettivo» di una poesia a cui bisogna sempre ri-tornare. Piccolo testo, un grande sogno. CUBEDDU R., La Chiesa e i liberalismi, ETS, Pisa 2012, pp. 140, € 12,00. 9788846732071 questo vol., l’a. espone una serie di interrogativi sul rapporto della Istero,ndottrina sociale della Chiesa, così come emerge dal più recente magicon le concezioni liberali. L’a. segnala in particolare la problematicità della sussunzione dei principi liberali all’interno di una legge morale naturale «valida per tutti», incarnatasi nei diritti umani, ma d’ispirazione divina e conforme alla rivelazione cristiana, col risultato di una trasformazione del liberalismo in una forma secolarizzata di cristianesimo e la derivazione, molto contestabile, dei diritti naturali di Locke dalla legge naturale d’ispirazione tomista. Testo non privo d’interesse. PAIANO M. (a cura di), I cattolici e l’unità d’Italia. Tappe, esperienze, problemi di un discusso percorso, Cittadella, Assisi 2012, pp. 364, € 22,00. 9788830812420 n occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia abbiamo assistito al Icamente confrontarsi di letture diverse e talora reciprocamente polemiche, storifondate o viceversa dipendenti da opzioni culturali, politiche o ecclesiali dell’attualità. La Scuola di formazione teologica della Facoltà teologica dell’Emilia Romagna nell’inverno 2010-2011 ha cercato con un corso su «I cattolici e l’unità d’Italia», di cui sono qui raccolte in gran parte le lezioni rielaborate, di «diffondere presso un più largo pubblico un’informazione il più possibile ancorata alla ricerca scientifica su uno dei temi “caldi” dell’uso pubblico della storia nel nostro paese negli ultimi anni: quello del rapporto tra i cattolici e l’unità d’Italia» (dall’Introduzione). I CLXXV IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 617 JOËL PRALONG Combattere i pensieri negativi S balzi di umore, ansia, ritmi frenetici spesso rovinano le nostre giornate. Sull’esempio dei Padri del deserto, l’autore invita a lasciare che Dio respiri in noi per giungere all’esichia, in greco pace, tranquillità, silenzio. Un agile strumento contro le quotidiane fatiche interiori, per contrastare i pensieri negativi e ritrovare serenità. «FEDE E VITA» pp. 120 - € 9,90 Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 Pagina CLXXVI L MASSIMO GRILLI L’opera di Luca 1. Il Vangelo del viandante ibri del mese / schede contributi sono di M. Paiano, B. Bocchini Camaiani, P.D. Giovannoni, A. Deoriti, S. Marotta, R. Bottazzi, E. Mazzini, G. Turbanti, M. Malpensa, A. Guasco. PRODI P., Storia moderna o genesi della modernità?, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 239, € 22,00. 9788815238320 ilo conduttore del vol. è l’interrogazione circa gli elementi fondaF mentali della modernità, a partire dal problema della periodizzazione: a quale epoca può esser fatta risalire? E soprattutto, quali sono i ca- L a metafora della via regge tutta l’opera lucana: il Vangelo narra la storia di Gesù come un Dio che cammina con l’uomo fino alla meta finale. L’itinerario guida alla comprensione e all’approfondimento del Vangelo di Luca, rielaborando le apprezzate conferenze dell’autore al 30° convegno di Parola Spirito e Vita (Camaldoli, 27 giugno - 1° luglio 2011). «BIBLICA» ratteri costitutivi di un modello di civiltà che ha consentito agli europei l’espansione e la dominazione mondiale e che giustifica, a detta dell’a., un fondamentale «eurocentrismo» degli studi storici d’età moderna? Infine, in che misura potrà essere conservata questa eredità dell’uomo occidentale «che ora viene messa in discussione nell’età della globalizzazione?». ROUSSEAU J.-J., Lettere morali. A cura di Guglielmo Forni Rosa, Marietti, Milano 2012, pp. 125, € 17,00. 9788821161254 ccasione di questa raccolta di lettere, che contengono un abbozzo di O opere future fra cui l’Emilio, è la cessazione della relazione sentimentale tra l’a. e madame d’Houdetot, definita la propria Giulia, dal no- pp. 152 - € 14,00 Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it me della protagonista della Nouvelle Héloïse in gestazione nello stesso periodo. La relazione – che non avrebbe mai superato il livello della semplice «amicizia» – dovette terminare a causa delle dicerie pruriginose delle classi altolocate parigine; ne conseguì un isolamento nel quale l’a. poté riflettere sul significato di un sentimento amoroso destinato a non trovare realizzazione concreta. SARTORIO U., Fare la differenza. Un cristianesimo per la vita buona, Cittadella, Assisi 2011, pp. 254, € 15,80. 9788830811874 are la «differenza» come idea in grado d’esprimere la qualità e la feF condità propria del cristianesimo, anche in rapporto alla complessa cultura contemporanea. Questa la proposta del saggio che l’a., dal 2005 INNOCENZO GARGANO Lectio divina sul Vangelo di Luca 1 e 2 Ciclo di conferenze tenute a Camaldoli direttore de Il Messaggero di Sant’Antonio e di Credere oggi, articola in due parti: «Pensare la differenza» (teologia, contesto e annuncio); «Vivere la differenza» (chierici-laici, vita consacrata, celibato-matrimonio). La categoria di «stile», che ricorre oggi in teologi come Theobald o Salmann, è assunta come proposta dall’a.: «Senza ridurre il cristianesimo a fissa dottrina, se ne coglie la capacità di suscitare stili di vita in grado di abitare in modo condiviso e insieme originale il mondo». La Prefazione al vol. è di C. Dotolo; la Postfazione di A. Matteo. VALENTINI N., Volti dell’anima russa. Identità culturale e spirituale del cristianesimo slavo-ortodosso, Paoline, Milano 2012, pp. 404, € 38,00. 9788831540483 n «viaggio nel mondo interiore ortodosso russo», come lo definisce U Elia Citterio nell’Introduzione: la sua relazione con l’Europa, con la bellezza, con la conoscenza e la verità, con l’idea di persona, con il luogo simbolico del cuore e la sua preghiera, con la liturgia, con l’eros, con le icone e il culto dei santi, con l’amicizia, con la sofferenza e con la croce. L’anima russa qui contemplata con profondità e ammirazione ci permette di ampliare i confini dell’Europa che troppo spesso facciamo coincidere con il solo Occidente, e di rintracciare i fondamenti comuni della cultura cristiana e della Chiesa indivisa. due cofanetti indivisibili presentano in CD formato MP3 dieci lectio, già disponibili in audiocassette, che l’autore ha tenuto a Camaldoli per commentare il Vangelo di Luca. Uno strumento adeguato alla sensibilità di oggi, molto apprezzato da un vasto pubblico e spesso riproposto in trasmissioni radiofoniche su emittenti nazionali. I «LECTIO DIVINA» 2 Cofanetti CD/MP3 - € 34,80 Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna PANI E., PANI E., Se la musica è bellissima: Puglia, terra promessa della cultura. Il Festival della Valle d’Itria, Levante, Bari 2012, pp. 155, € 13,00. 9788879496049 Politica, Economia, Società BENHAMOU F., L’economia della cultura, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 170, € 12,50. 9788815239549 contiene ragguagli generali, redatti a uso didattico, ma sempre con I lunvol.linguaggio tecnico tale da non renderlo appetibile a non competen- Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 618 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 CLXXVI 609-619_R167-177_libri_schede:Layout 2 25-10-2012 19:07 Pagina CLXXVII ti, su una branca nascente dell’economia, riguardante la valutazione dell’impatto dei prodotti culturali in sede microeconomica così come la gestione della cultura nella politica economica degli stati. Occupandosi di alcuni aspetti essenziali, quali i consumi e l’occupazione, lo spettacolo dal vivo, il mercato dell’arte e le industrie culturali, l’a. traccia il profilo di una materia a cui solo recentemente è stata data una specifica attenzione da parte degli economisti. Pedagogia, Psicologia Diario di Haiti. Ricostruire l’umano dopo l’emergenza, Marietti, Milano 2012, pp. 150, € 15,00. 9788821177712 flessione sulla famiglia e sulle tipologie di relazioni di coppia e genitori-figli oggi più diffuse, per evidenziarne le «trappole» e per sostituirvi un modello che miri all’amore libero e gratuito, alla capacità di educare alla responsabilità e, infine, di costruire una famiglia che abbia come obiettivo la crescita d’ogni suo componente. urato e promosso dall’AVSI (Associazione volontari per il servizio C internazionale nata negli ani Settanta nell’alveo di Comunione e liberazione), presente ad Haiti dal 1999, il testo, corredato da numerose fotografie, raccoglie il diario della volontaria italiana che unica straniera è stata sull’isola durante il terremoto del 12.1.2010 che ha ucciso 230.000 persone, e una carrellata dei progetti che l’associazione ha dedicato ad Haiti. MERCURI M., TORELLI S.M., La primavera araba. Origini ed effetti delle rivolte che stanno cambiando il Medio Oriente, Vita e pensiero, Milano 2012, pp. 280, € 25,00. 9788834322208 engono qui analizzate le vicende che hanno contrassegnato le cosiddette «primavere arabe». Di ogni paese coinvolto vengono tracciati le coordinate storiche dalle quali sono sorti e si sono conservati gli assetti di potere smantellati dalle rivolte e le molteplici declinazioni assunte da queste ultime caso per caso. Segue una serie di analisi sulle ripercussioni di queste agitazioni nei paesi vicini. La collana alla quale appartiene il vol. motiva la sua prospettiva geo-politica, ma ci si domanda se quest’ultima possa ancora trascurare lo studio delle dinamiche interne alla religione islamica, che qui vengono toccate solo marginalmente. V BELLANTONI D., Dall’amore per bisogno al bisogno per amore. Per una fenomenologia della coppia e della famiglia, LAS, Roma 2011, pp. 182, € 12,00. 9788821308147 pplicando un approccio di tipo fenomenologico-esistenziale e riferenA dosi in particolare all’opera dello psichiatra Viktor Frankl, fondatore dell’analisi esistenziale, l’a., psicologo e psicoterapeuta, conduce una ri- CAMILLANI – CTF, CARITAS ITALIANA, OSPEDALE PEDIATRICO BAMBINO GESÙ, Oltre l’arcobaleno. Bambini e salute mentale in situazioni di emergenza e disastri naturali. A cura di P. Feo, M. Iazzolino, W. Nanni, EDB, Bologna 2012, pp. 159, € 11,50. 9788810203637 i tratta della prima indagine scientifica mai condotta nel territorio italiaS no sugli effetti del terremoto nella psiche dei bambini, a partire dal caso dell’Aquila (6.4.2009). L’indagine, promossa dai Camilliani, con il coordinamento scientifico dell’Ospedale pediatrico bambino Gesù e il sostegno della Caritas italiana, è stata realizzata in collaborazione coi pediatri abruzzesi che hanno aderito volontariamente alla ricerca, e ha coinvolto circa 2.000 bambini, d’età compresa tra i 3 e i 14 anni. Il tema della salute mentale dei bambini in situazioni di emergenza viene affrontato da diversi punti di vista: scientifico, pastorale e organizzativo. Viene poi data attenzione al ruolo dei diversi attori in campo: i servizi di sanità pubblica, il volontariato, le famiglie, la Chiesa e la comunità locale, gli istituti e i centri di ricerca. D’AURIA A., Comunicare è un’arte. Come trovare la strada giusta nel labirinto dei rapporti umani, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 140, € 12,00. 9788874027309 PISICCHIO P., Alle origini dell’antipolitica. «Sentimento» antipolitico, democrazia e Costituzione, Levante, Bari 2012, pp. 59, € 8,00. a. è psicologo ed esperto in processi comunicativi e su questo tema L’ ha tenuto anche una serie di interventi radiofonici. Da questa esperienza nasce la volontà di fornire una sintetica guida che, utilizzando al- a., deputato da più legislature, eletto nel 2008 per l’Italia dei valoL’ ri e ora nel Gruppo misto, compie un excursus storico su quello che egli definisce «un sentimento antico e polimorfo» che da sempre cune teorie e modelli di ambito comunicativo e psicologico, aiuti il lettore ad acquisire maggiore consapevolezza degli elementi e dei livelli che entrano in gioco in ogni scambio comunicativo e, di conseguenza, di alcune tecniche da adottare o evitare. L’obiettivo è di attuare una comunicazione efficace, ossia capace di costruire buone relazioni. 9788879496001 accompagna la storia italiana. E oggi a tal punto che esso ha messo «casa nella politica». Ma, conclude, ciò «non sembra destare presso gli attori della politica troppe preoccupazioni». Anzi, questi ultimi, «costretti a esprimersi quasi esclusivamente attraverso una gestualità mediatizzata e istantanea e non più con l’allestimento di visioni strategiche e lo svolgimento di pedagogie democratiche, sono i primi propalatori del messaggio antipolitico quando accettano di abbandonare le dinamiche democratiche (…) per accogliere le investiture dirette che si esprimono con le primarie o indulgere nella celebrazione di (…) “convention” mutuate dalla cultura politica americana». VAN DER HOFF F., Manifesto dei poveri. Il commercio equo e solidale: per non morire di capitalismo, Casa editrice Il Margine, Trento 2012, pp. 76, € 13,00. 9788860891006 a. è un teologo ed economista olandese che da una vita si dedica alL’ l’applicazione dei principi della teologia della liberazione e ha fondato nel 1989 il primo marchio equo e solidale, Max Havelaar (dal titolo del romanzo che nell’Ottocento fece conoscere a tutto il mondo l’ingiustizia del governo coloniale olandese). Il Manifesto dei poveri, che l’associazione Cristallo di Bolzano ha voluto tradurre in italiano e presentare al pubblico all’interno del percorso «Sulle orme di Ulisse», iniziativa dedicata ai grandi personaggi della storia che hanno costruito ponti tra culture, offre la prospettiva di «un pragmatico “sognatore” che ha unito Nord e Sud del mondo attraverso una nuova consapevolezza su come gestire in modo equo rapporti commerciali tra mondo ricco e mondo povero» (R. Dalvai). CLXXVII FIORIN I., Scuola accogliente, scuola competente. Pedagogia e didattica della scuola inclusiva, La scuola, Brescia 2012, pp. 186, € 13,00. 9788835028499 l sistema scolastico deve seguire l’evoluzione della società e le sfide che Ilungo essa pone, per questo lo stato italiano ha da anni avviato un difficile e processo di riforma. L’a., presidente del corso di laurea di Scienze della formazione primaria dell’Università LUMSA di Roma, ci aiuta a conoscere meglio la scuola italiana così come essa si è delineata dagli anni Sessanta in avanti dal punto di vista normativo, organizzativo e, soprattutto, delle teorie pedagogiche sottostanti. Vengono poi presentate le sfide attuali e proposte delle piste per l’innovazione, per rendere compatibili accoglienza e competenza e passare dalla semplice integrazione alla vera inclusione. MASONI M.V., Sono preoccupato per mio figlio. Le risposte dello psicologo, Erickson, Gardolo (TN) 2011, pp. 208, € 14,50. 9788861379213 n questo libro l’a., psicoterapeuta ed esperto di counseling per genitori Ispesso con figli in crescita, intende rivolgersi alle figure familiari con cui più intrattiene i propri colloqui, le madri. Nella I parte sono presentati, uno per ogni c., una serie di 32 casi esemplificativi relativi alle difficoltà giovanili analizzate per mezzo di prospettive e suggerimenti inediti, tesi a enfatizzare provvedimenti educativi non oppositivi né repressivi di fronte alle provocazioni dei figli. Tali esortazioni espresse attraverso una forma narrativa dialogica senza terminologie specialistiche, sono rafforzate nella II parte del vol., dove s’invitano i genitori a svolgere 5 importanti esercizi che riguardano le varie problematiche trattate. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 619 L 620-622_R178-180_Libri_segnalazioni:Layout 2 25-10-2012 19:08 Pagina CLXXVIII chiavi di lettura L ibri del mese / segnalazioni L’affollato scaffale del Concilio n questo mese d’ottobre 2012, l’editoria di matrice cattolica si sta dedicando a uno dei temi che più l’appassionano – e comprensibilmente visto che ha dato i natali a buona parte di essa – cioè il concilio Vaticano II, dopo gli «straordinari» fatti per l’improvvisa morte del cardinal Martini. Sforzo che ha incontrato il favore del mercato, visto che i libri che portano in copertina il suo nome sono da settimane stabili nei primi 10 posti delle classifiche di vendita del comparto «saggistica». Ma mentre nel caso di Martini persino le librerie laiche si sono trovate a dover allestire un banco a lui dedicato – anche perché tutti i grandi editori hanno tratto dal proprio cassetto un titolo sul porporato – non avverrà altrettanto per il Vaticano II, il quale occuperà al massimo qualche centimetro negli scaffali ordinari alla voce «religione». Anche nei blog in cui si discute di «cose di Chiesa», le impennate di visite e commenti non riguardano in modo particolare questo anniversario. A 50 anni dalla sua apertura, il Vaticano II sembra, nella percezione generale, meno evento di grande impatto sociale e culturale, quale fu nel suo accadere, e più oggetto di dibattito intraecclesiale, riservato a un pubblico che ama il lessico da specialisti o che ha l’età per ricordarlo. La stessa discussione sull’«ermeneutica della continuità o della discontinuità», riaperta nel 40o della conclusione del Concilio (2005) dal papa, rischia d’essere relegata all’angolo dei teologi o degli storici della Chiesa, o al confronto, questo davvero malinconico, tra «reduci» di quella stagione e «neoapologeti» della restaurazione. Per questo è un poco sorprendente l’abbondanza dell’offerta I L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo DEI VERBUM, n. 25 Le sacre Scritture hanno il loro apice e il loro centro in Cristo, nella sua vita storica e soprattutto nell’evento della sua Pasqua. tutto l’Antico Testamento rappresenta il cammino della parola di Dio che orienta a Cristo e ci conduce a Cristo come sua meta. Tutto il Nuovo Testamento ha origine dalla Pasqua di Cristo: i Vangeli raccontano la storia di Gesù, gli Atti la vita della Chiesa apostolica che si fonda su Gesù risorto, le lettere degli apostoli una profonda riflessione su Cristo risorto, l’Apocalisse la vita futura alla luce della Pasqua stessa. Non possiamo comprendere il significato e la realtà profonda delle Scritture se non alla luce di Cristo e della sua Pasqua; ne deriva che ignorare le Scritture è ignorare Cristo stesso, il suo messaggio e il dono della salvezza. La Scrittura, quando è compresa, amata e accolta in questo modo, è l’anima della stessa teologia. Non è senza significato che il grande teologo evangelico Karl Barth, in un breve scritto sulla Dei Verbum, apprezzi incondizionatamente la raccomandazione insistente del Concilio a uno studio costante e approfondito 620 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 di libri sul Concilio che gli editori – per lo più di matrice religiosa – hanno proposto. Non solo per la crisi che sta attraversando il mercato. Ma anche perché, come diverse inchieste confermano, in 50 anni il volto del lettore del libro religioso è davvero molto cambiato. Si ha come l’impressione che accanto a un insufficiente ritorno alle fonti del Concilio che attraversa il dibattito intraecclesiale si affianchi una mancanza di visione dei «segni dei tempi» editoriali. Ecco dunque buona parte dei titoli che affollano – solo per il 2012 – lo scaffale del Concilio. Sul fronte della ricerca storica troviamo la riedizione dei 5 volumi della Storia del concilioVaticano II diretta da G. Alberigo (con una nuova Introduzione di A. Melloni, curatore dell’ed. italiana, coedizione Il Mulino – Peeters a partire dal 1995) e della sua sintesi nella alberighiana Breve storia del concilio Vaticano II (Il Mulino, 1a ed. 2005); l’opera, a cui egli ha dedicato una vita di studi, è di gran lunga quella di più ampio respiro e anche per questo è stata oggetto di approfondite discussioni, in particolare sul punto dell’interpretazione dell’evento conciliare in rapporto alla Tradizione: cf., in particolare, A. Marchetto che oggi dà alle stampe Il concilio ecumenico Vaticano II. Per la sua corretta ermeneutica (LEV, Città del Vaticano), dopo Il Concilio ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia, pubblicato sempre da LEV nel 2005. Su un’immaginaria linea che misura la progressiva distanza critica dal lavoro dell’«Officina bolognese» possiamo posizionare i testi di: R. Burigana (Storia del concilio Vaticano II, pubblicato sorprendentemente da Lindau) che da tale scuola proviene; Ph. Chenaux (Il concilio Vaticano II, Carocci) che accenna qualche di- della Scrittura rivolto ai sacerdoti, ai diaconi, ai catechisti, ma anche a tutti i credenti, richiamando espressamente la «perla» di san Girolamo: «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (Comm. in Is., Prol.: PL 24,17). Luigi Maggiali (p. 61) Esercitano un vero ministero liturgico SACROSANCTUM CONCILIUM, n. 29 S i tratta non del prete, ma di «ministranti, lettori, commentatori e cantori». Una riscoperta ministerialità diffusa a rete si rifà alla Chiesa patristica. Nei primi secoli cristiani il ministero del lettore era prezioso a fronte dell’analfabetismo diffuso, come il catechista nelle scuole catecumenali del III secolo o i diaconi e le diaconesse nella carità giù giù fino ai fossores che preparavano le sepolture. L’epoca carolingia, innamorata dell’Antico Testamento, sul finire del I millennio provocò una concentrazione gerarchica e liturgica, riservando il «ministero» a vescovi e preti dotati di potere sacro. Il Vaticano II sparge una serie di semi che avviano ad allargare di nuovo la nozione di ministero e a situarlo in maniera diversa nella comunità. Il Concilio riporta l’accento sul popolo di Dio (cf. Lumen gentium, c. II), indica il valore della Chiesa locale (cf. Lumen gentium, n. 23), invita alla diaconia cristiana verso l’umanità (cf. Gaudium et spes, ma già Lumen gentium, nn. 1 e 8), riscopre la guida dello Spirito Santo in un cammino vario e molteplice convergente nella carità (cf. Lumen gentium, nn. 4.7.12-13.15.32.39.48). L’esistenza cristiana va ricompresa sul binario del servizio e ogni Chiesa concreta deve (dovrebbe) fisionomizzare i suoi ministeri come autentico servizio alla vita teologale e missionaria di quella comunità in cui il ministro è inserito, riconoscendo anche ai laici il sensus fidei e la gratia Verbi, il «fiuto» della fede e la grazia della Parola (cf. Lumen gentium, n. 35), oltre alla base sacramentale del battesimo-cresima e matrimonio. Roberto Tura (p. 77) La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo GAUDIUM ET SPES, n. 16 S empre la tradizione cristiana ha considerato la coscienza come il luogo che esprime la dignità profonda dell’uomo. Cifra della sua singolarità e unicità rispetto a ogni creatura, so- CLXXVIII 620-622_R178-180_Libri_segnalazioni:Layout 2 25-10-2012 stinguo; e via via quelli di: E. Casale (Il concilio Vaticano II. Eventi, documenti, attualità) e B. Gherardini (Il Vaticano 2. alle radici d’un equivoco) pubblicati da Lindau; W. Brandmuller, A. Marchetto, N. Bux (Le chiavi di Benedetto XVI per interpretare il Vaticano II), M.S. Lanzetta (Iuxta modum. Il Vaticano II riletto alla luce della tradizione della Chiesa) e la riproposta di M.-J. Le Guillou (Il volto del Risorto. Grandezza profetica, spirituale e dottrinale, pastorale e missionaria del concilio Vaticano II) tutti editi da Cantagalli; fino a quello di E. Finotti (Vaticano II. 50 anni dopo, Fede e cultura, Verona). Nuovi apporti giungono poi da studi su aspetti specifici, come quello di F. Ruozzi su Il Concilio in diretta. Il Vaticano II e la televisione tra partecipazione e informazione (Il Mulino); o quello di G. Sale su Giovanni XXIII e la preparazione del concilio Vaticano II nei diari inediti del direttore de La Civiltà cattolica (Jaca Book); o quello a cura di F. Ferrario, M. Vergottini, Karl Barth e il concilio Vaticano II (Claudiana). Interessanti anche i due volumi che studiano il ruolo che le (poche) donne chiamate al Concilio ebbero all’interno dell’assemblea: quello di A. Melloni, S. Noceti, M. Perroni (a cura di), Tantum aurora est. Donne e concilio Vaticano II (LIT Verlag) e quello di A. Valerio, Madri del Concilio. Ventitré donne al Vaticano II (Carocci). Dà, poi, voce ad alcuni protagonisti tuttora viventi del Concilio (cardinali, porporati, giornalisti) il testo di F. Rizzi, Quelli che fecero il Concilio (EDB). A seguire troviamo alcuni studi: sugli schemi preparatori, il testo a cura di S. Mazzolini, Vaticano II in rete. Una lunga preparazione andata in fumo? (Claudiana – Il Mulino); sulla Dei Verbum, C. Alves, Ispirazione e verità (Armando); sulla Lumen gentium, D. Vitali, Commento alla Lumen gentium (Studium); su un aspetto della Sacrosantum concilium, D. Estivill, La Chiesa e l’arte secondo il concilio ecumenico Vaticano II (Lateran University Press). prattutto manifestazione della sua trascendenza su ogni altro essere vivente. Dire che essa è il nucleo più segreto dell’uomo allude all’impossibilità di ridurre e oggettivare la coscienza nelle sue espressioni empiriche. Ciò non vuol dire, ovviamente, che non vi siano segni e forme attraverso i quali essa si manifesta. Dire che è il «sacrario» significa richiamare come in essa sia in gioco una dimensione trascendente della vita, cosa che del resto viene aggiunta subito dopo evocando l’immagine della voce di Dio. Connotare la coscienza come sacrario significa affermare come in essa venga custodita la preziosità della singolarità umana che è la libertà. Da qui, scaturiscono gli «abiti morali» del rispetto, della responsabilità, della prossimità e socialità senza i quali la coscienza stessa non può darsi. Da questo punto di vista si comprende come ogni autentica impresa d’educare alla vita buona sia, in ultima analisi, una pratica di formazione della coscienza morale. Sì, perché essa non si dà come pura facoltà che applica l’universale al particolare, bensì come coscienza morale in ordine a un senso buono che interpella e si dona all’uomo, appunto nel mistero della sua libertà. Affermare che la coscienza è il nucleo più CLXXIX 19:08 Pagina CLXXIX Ripropongono invece in nuova veste i testi dell’assise i volumi della LEV curato da C. Delpero (I documenti del concilio Vaticano II. 1962-1965) e quello delle EDB (Il concilio Vaticano II. Edizione del cinquantesimo) con una postfazione di C. Theobald (cf. Regnoatt. 12,2012,385) che invita a non farne un «mito». Questo è il punto. Se si vuole dare prospettiva – anche editoriale – al Vaticano II, occorre proiettarlo sul futuro e ipotizzare che la sua ombra delinei Una Chiesa contemporanea (Regno-att. 16,2012,538; cf. anche Regno-doc. 17,2012,538). È il tentativo fatto da un gruppo di amici legati a L. Pedrazzi, i cui corposi scambi via email sono stati pubblicati nel 3° volume de Vaticano II in rete. Migliorare e cambiare: come e perché (Claudiana – Il Mulino). È lo spirito con cui il giornalista L. Rolandi ha raccolto i testi di numerosi colleghi a commento delle costituzioni, delle dichiarazioni e dei decreti conciliari ne Il futuro del Concilio. I documenti del Vaticano II: un tesoro da riscoprire (Effatà); con cui M. Orizio s’inventa una storia per chi non ha vissuto il Concilio ne Una strana caccia al tesoro. Il Concilio raccontato ai ragazzi (Paoline); con cui G. Borsa interroga protagonisti del mondo ecclesiale su L’eredità viva del Concilio. Cristiani che guardano avanti (AVE); con cui G. Ruggieri pubblica per Einaudi – «Le vele» – Ritrovare il Concilio, dove, rivolgendosi a un lettore «non specialista», evoca la prospettiva rahneriana del Vaticano II come «inizio di un inizio»; e, infine, con cui il teologo M. Vergottini ha inanellato alcune Perle del Concilio. Dal tesoro del Vaticano II facendo commentare i testi del Vaticano II (EDB; cf. qui sotto qualche estratto) perché ciascuno, «re-inventando l’esperienza stessa del Concilio nelle [proprie] Galilee», possa nuovamente riceverlo «come una grazia» (Theobald). Maria Elisabetta Gandolfi segreto significa che è proprio per essa, la coscienza, che l’uomo decide di sé, ed è presso di sé in ogni atto autenticamente umano. La coscienza, dunque, «fa sintesi» tra l’appello universale delle norme e la singolarità della situazione, nell’orizzonte di un ethos civile ed ecclesiale che inclini alla vita buona. Lino Casati (p. 195) La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni NOSTRA AETATE, n. 2 L a Chiesa cattolica ha sempre conservato la consapevolezza d’aver ricevuto e conservato la verità sia su Dio, sia sull’uomo. Ciò nei secoli passati aveva portato a ritenere che ove vi fosse un difetto di verità tutto il sistema religioso dovesse essere considerato falso (verità e integrità venivano strettamente congiunte). Il Concilio cambia il tipo di lettura, pur non affermando che i sistemi religiosi in quanto tali siano «veri» e quindi luoghi e strumenti di salvezza per coloro che vi appartengono. Fondandosi sull’idea che, nonostante il peccato, gli umani sono in grado d’incontrare Dio grazie al senso religioso che nativamente appartiene loro e che sta all’origine dei sistemi religiosi, la Nostra aetate riconosce che in tali sistemi vi siano aspetti di verità e di santità, che «riflettono non raramente un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». La verità, pur essendo accessibile nella sua totalità nella Chiesa, non è un possesso esclusivo di essa: la medesima verità può comunicare germi di sé anche al di fuori dei confini della Chiesa. Sullo sfondo stanno la dottrina della creazione mediante il Verbo e la teologia protopatristica che aveva riconosciuto nella filosofia antica tracce del medesimo Verbo. Tali tracce, germi, semi, diventano, per coloro che ne fruiscono, una preparazione ad accogliere la verità tutt’intera. Sulla base di detto riconoscimento diventa possibile non solo affermare che Dio salva anche coloro che vivono al di fuori della Chiesa, ma pure avviare un dialogo con gli appartenenti alle religioni diverse dal cristianesimo. Riuscire a cogliere le tracce della verità facilita, peraltro, il compito della Chiesa: esse sono, infatti, addentellati che valorizzati possono aprire alla verità tutt’intera. Giacomo Canobbio (p. 388) IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 621 620-622_R178-180_Libri_segnalazioni:Layout 2 L 19:08 Pagina CLXXX ibri del mese / segnalazioni AA. VV., «NUOVI ATEISMI E ANTICHE IDOLATRIE», Hermeneutica. Annuario di filosofia e teologia, 32(2012), a cura di P. Grassi, pp. 382, € 27,00. 9788837226251 I l titolo di questo fascicolo di Hermeneutica potrebbe essere anche capovolto, dal momento che ateismo e idolatria hanno accompagnato la storia del monoteismo sia nella versione ebraica sia in quella cristiana. Così formulato, dice un preciso riferimento a quanto sta accadendo nel panorama culturale della modernità avanzata. Si assiste a una polemica molto accentuata, e per certi aspetti inedita, nei confronti del cristianesimo e in genere delle religioni, con argomentazioni che hanno un forte impatto sull’opinione pubblica. Ci sono pensatori iconoclasti, come il francese Michel Onfray, che propongono una sorta di teologia all’inverso (un’ateologia, come titola uno dei libri di maggiore successo editoriale) e si avventano contro ogni forma di monoteismo, coinvolgendo in questa polemica questioni disparate: dalla filosofia alla scienza, dalla morale alla vita sociale e politica. Anche se non mancano posizioni più sfumate, come quella espressa da André Comte-Sponville che, da ateo educato in contesti cristiani, non intende sviluppare una critica frontale nei confronti della sola religione – ché non si spiegherebbe la storia dell’Occidente senza il cristianesimo («essere atei non è una buona ragione per perdere la memoria») – ma intende battersi («per la tolleranza, la laicità, per la libertà di credere e di non credere» e «dunque contro il dogmatismo, l’oscurantismo, l’integralismo, il fanatismo») prolungando nell’oggi la battaglia dell’Illuminismo, intesa come battaglia per la libertà tout court, ed elaborando una spiritualità conseguente, perché gli atei «non hanno meno spirito degli altri e tanto meno devono disinteressarsi della dimensione spirituale». Se l’ateismo antimonoteistico accompagna da tempo la storia del cristianesimo, sia pure in forme nuove che sono prese largamente in considerazione in questo fascicolo, inedita è la ripresa di forme idolatriche presenti nel contesto culturale attuale, legittimate anche sul piano teorico. Nella modernità avanzata sembra acquistare dignità quello che Weber ha chiamato «politeismo dei valori», dal momento che sono venuti a mancare norme e valori universalmente riconosciuti, mentre è caduta la fiducia nella scienza in grado di offrire motivazioni utili a giustificare le scelte di carattere etico (...) Ma la deriva idolatrica odierna – come nota Luigi Alici nel saggio introduttivo di questo fasci- 622 25-10-2012 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 colo – è una sfida che «precede e attraversa la differenza tra politeismo e monoteismo e consente di riconoscere l’antitesi profonda che investe la dinamica del credere». Se in un contesto culturale di religiosità condivisa la sola opposizione era tra Dio e gli dei, la modernità pluralistica conosce forme più radicali di rifiuto del divino; Dio ha perso di evidenza ed è sempre più difficile, per dirla con Peter Berger, avvertire persino «il brusio degli angeli». L’ateismo poteva apparire come la forma di antitesi estrema alla fede religiosa, rispetto alla grossolana idolatria delle origini, che oggi riappare sotto spoglie diverse e mette in discussione la fede in un Dio personale e trascendente: «Il soggetto umano onora solo le divinità che esso crea in una ricerca insaziabile dello specchio adeguato a raccogliere e a riflettere la proiezione infinita del proprio desiderio». Se l’ateismo mantiene viva la questione fondamentale della trascendenza, l’atto idolatrico cerca di scansarlo deliberatamente; oltrepassa le frontiere del politeismo perché «è un investimento salvifico sul finito, frutto di un atto umano disordinato», e non basta a fermarlo la mera riaffermazione del monoteismo «perché non accade infrequentemente che si pensi l’ultimo come se fosse il penultimo» dello stesso ambito dei monoteismi. In una prospettiva di diffusa idolatria sono molte le questioni che si pongono sotto il profilo ontologico-metafisico e sotto quello antropologico. Ché il venir meno della differenza metafisica, mette in crisi anche la legittimazione della differenza interpersonale carattere distintivo dei legami di reciprocità e mette in crisi la differenza strutturalmente costitutiva dell’umano (Kierkegaard). Il rovesciamento inoltre dell’ordine creaturale, si capovolge nei processi autodistruttivi che corrodono l’esistenza individuale e collettiva. Per quanto riguarda il «nuovo ateismo», che occupa sul piano dell’analisi e della critica gran parte delle pagine che seguono – vale la pena di osservare come lo stesso Onfray manifesti spesso nostalgia verso l’antichità pagana, idealizzata come appagata e festosa, traboccante di saggezza e di gioia di vivere, sostituita sfortunatamente dal cupo pessimismo introdotto dalla fede cristiana che ha oscurato l’orizzonte del senso con la sua ostinata insistenza sull’uomo peccatore. Onfray sembra riecheggiare Nietzsche che esprimeva il suo risentimento contro Cristo poggiando sul fatto che la religione monoteista ha dissolto la pluralità degli dei e con essa il diritto alla fantasia, alla molteplicità dei miti e delle forme. Per questo nelle ultime parole di Ecce homo è indicato il «suo stare contro» (in lui si è modellata la crisi antisistematica, antirazionalistica e, in sintesi, antimonoteistica) con il sintagma «Dioniso contro il Crocifisso». Le osservazioni di Onfray sono rese attraenti da un sicuro senso della trovata e della volgarizzazione, il che accade anche in area anglossassone con autori come Richard Dawkins, biologo, etologo dell’Università di Oxford, dove è stata attivata per lui una cattedra di Public Understatement of Science; come il saggista Sam Harris, il cui testo The End of Faith (2006) è stato dichiarato degno dallo stesso Dawkins di prendere il posto della Bibbia; come Christopher Hitchens, editorialista di quotidiani e riviste americane, autore di Dio non è grande. Come la ragione avvelena ogni cosa (2007) e come il filosofo della scienza e logico dell’Università di Tufts, Daniel Dennett, che ha raggiunto la notorietà presso il grande pubblico con il libro Rompere l’incantesimo. La religione come fenomeno naturale (2006). Dawkins con L’illusione Dio. Le ragioni per non credere (2006), ha redatto un testo dalla precisa intenzionalità di convertire all’ateismo, perché ritiene che tutti i mali scomparirebbero se ci fosse un’adesione di massa a esso. Per dirla con un suo critico «egli non intende convertire a qualsiasi specie di ateismo, ma solo a un ateismo umano, liberale, per così dire britannico» (Richard Schroeder), che è conseguenza dello sviluppo della scienza. Ma quando Dawkins dice scienza, pensa a un darwinismo ampliato, sino a trasformarlo in una concezione del mondo. Il biologo, insomma, si attribuisce una competenza capace di spiegare tutto con la sua teoria dei geni e dei memi. Più in generale «i nuovi atei» dichiarano l’insostenibilità epistemologica dell’ipotesi creazionista, negando alla religione ogni portata conoscitiva e mantenendo il dibattito solo sul piano scientifico. Non balena loro l’idea di poter andare oltre la scienza, naturalisticamente intesa, con il riconoscimento di questioni (come quelle morali o filosofiche) nelle quali è in gioco il senso della totalità, «senso che non è un oggetto scientificamente trattabile, perché è un orizzonte che abbraccia la stessa esistenza interrogante e precede la distinzione di soggetto e oggetto e come tale non si può dire che sempre ecceda il detto» (Ciancio). È pur vero che quelli ricordati qui come «nuovi atei» – come si è detto – sono autori che hanno sì un grande richiamo mediatico, senza che per questo ci sia il riconoscimento di un evidente profilo scientifico; in particolare i dibattiti sulla negazione di Dio non appaiono in articoli di riviste scientifiche in senso stretto, quelle che per la comunità dei ricercatori costituiscono riferimento e nelle quali sono pubblicate e comunicate teorie, interpretazioni e risultati. Però, sia la riflessione filosofica sia quella teologica sono chiamate a prendere in esame criticamente quanto si dibatte nelle piazze mediatiche utilizzando materiali che provengono dal mondo della conoscenza scientifica, anche se volgarizzati e semplificati. Piergiorgio Grassi* * Questo testo riproduce parzialmente l’Introduzione generale al citato fascicolo di Hermeneutica, rivista fondata da Italo Mancini – di cui nel 2013 si ricorderà il ventesimo della morte – e pubblicata dall’editrice Morcelliana. CLXXX 623_pubb:Layout 2 25-10-2012 18:27 Pagina 623 CARLO MARIA MARTINI Londra, Gerusalemme, Assisi Appunti privati e pubblici di un padre della Chiesa pp. 36 - € 1,50 L’Europa, la fede e la Parola Tre interviste sulla Chiesa e il mondo pp. 48 - € 2,00 Non date riposo a Dio Il primato della Parola nella vita della Chiesa pp. 68 - € 5,00 PAROLA ALLA CHIESA PAROLA ALLA CITTÀ Lettere pastorali e discorsi di un padre della Chiesa pp. 1824 - € 65,90 www.dehoniane.it EDB Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 624-628_articolo_datola:Layout 2 25-10-2012 19:12 Pagina 624 Etiopia AFRICA d opo Zenawi Luci e ombre di una figura carismatica L e voci si rincorrevano già dal giugno scorso: al vertice del G20 a Los Cabos, in Messico, Meles Zenawi era apparso smunto e smagrito. Inoltre, non era passata inosservata la sua assenza a un summit dell’Unione Africana che si era svolto in luglio proprio ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia. Tuttavia le indiscrezioni su un suo presunto ricovero in un ospedale belga per cancro erano state seccamente smentite dal portavoce del governo Bereket Simon. Un giornale locale che aveva azzardato previsioni sul suo stato di salute è stato costretto a chiudere i battenti. E poi, dopo due mesi di assenza dalle scene, la notizia: Meles Zenawi, l’uomo che ha dominato la vita politica del secondo paese più popoloso d’Africa dal 1991 al 2012,1 si è spento tra il 20 e il 21 agosto all’estero, per un’infezione non meglio specificata. Il mistero che ha avvolto il rapido decorso della malattia di Zenawi riflette il mistero di cui l’uomo forte del Corno d’Africa ha ammantato la gestione della cosa pubblica per oltre vent’anni. Zenawi è stato una personalità complessa e contraddittoria, uomo brillante, rispettato per la sua intelligenza e l’acume politico nelle arene internazionali, temuto in patria per la repressione dei dissidenti e la deriva autoritaria, accentuatasi dopo le elezioni legislative del 2005. Di etnia tigrè, nato nel 1955 in quella Adua in cui le truppe italiane furono duramente sconfitte dalle forze 624 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 dell’imperatore Menelik II nel 1896, Legesse Zenawi abbandona la facoltà di medicina a 19 anni per unirsi al Fronte di liberazione del popolo del Tigrè. Nel maquis Legesse assume il nome di battaglia di Meles, in onore di un compagno giustiziato da Menghistu nel 1975. Di dottrina marxista-leninista, ideologicamente più vicino all’Albania di Enver Hoxha che alla Cina o all’URSS, Zenawi si batte contro il Derg, giunta militare, anch’essa di matrice comunista, che aveva defenestrato l’imperatore Hailé Selassié,2 instaurando, sotto Menghistu, quel «terrore rosso» che mieterà mezzo milione di vittime. Meles scala rapidamente i gradi della guerriglia armata, fondando la Lega marxista-leninista del Tigrè e diventando capo non solo del Fronte di liberazione del popolo del Tigrè ma anche del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope, partito raggruppante tutti i movimenti di opposizione al «Negus rosso» (come Menghistu era soprannominato). Dopo 17 anni di lotta, il Derg sarà finalmente sconfitto nel 1991 e Menghistu fuggirà, trovando rifugio in Zimbabwe. Presidente di transizione dal 1991 al 1995, Zenawi assume la carica di primo ministro nel 1995 e la manterrà fino alla sua morte. Sotto il suo lungo governo l’Etiopia ha raggiunto considerevoli traguardi: la percentuale di popolazione che attualmente vive in condizioni di estrema povertà (ossia con meno di 60 centesimi di dollaro al giorno) è diminuita del 15% (passando dal 45% della po- polazione al 30%). L’Etiopia, un tempo tristemente famosa per le carestie che periodicamente colpivano il paese (come quella, devastante, del 198485), dispone ora di avanzati programmi di sicurezza alimentare. L’economia del paese ha mostrato nell’ultimo decennio tassi di crescita a due cifre. Il PIL nel 2011 ha sfiorato una crescita del 7,5 %,3 un dato eccezionale considerata la crisi finanziaria globale e il fatto che l’Etiopia non ha rendite petrolifere. La ricchezza del paese infatti deriva dall’agricoltura, che concorre per circa il 45% alla formazione del PIL (e che impiega circa l’85% della forza lavoro). Secondo produttore di caffè in Africa, l’Etiopia è anche recentemente diventata il secondo produttore di fiori recisi del continente dopo il Kenya, grazie ai consistenti investimenti stranieri (soprattutto indiani) nel settore. Accanito lettore dell’autorevole settimanale britannico di stampo liberista The Economist, Zenawi ha gradualmente abbandonato il marxismo-leninismo giovanile e, pur senza rinnegare il comunismo, ha abbracciato un capitalismo di stato di stampo cinese. Come in Cina, le industrie statali o a partecipazione statale in Etiopia dominano la scena. Come in Cina, Zenawi ha aperto il paese agli investimenti esteri, sebbene soltanto nei settori che necessitano di un’ingente disponibilità di capitale (agricoltura e infrastrutture). Non sono stati invece liberalizzati compartimenti considerati strategici come il settore finanziario, le telecomunicazioni e i trasporti.4 624-628_articolo_datola:Layout 2 25-10-2012 L’ultimo piano quinquennale, varato nel 2010, si ripromette di potenziare la rete viaria: i 49.000 km di strade attualmente esistenti diventeranno 136.000 nel 2015 e nuove, imponenti infrastrutture idroelettriche (con possenti dighe) sono allo stato di progetto o già in costruzione grazie all’appoggio e ai prestiti cinesi. Il prestigio internazionale Zenawi ha saputo costruirsi un’ottima reputazione all’estero, diventando un partner diplomatico indispensabile nella regione per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Bill Clinton ha lodato l’ex guerrigliero come uno dei leader del «Rinascimento africano», mentre Tony Blair lo ha voluto con sé nella sua Commission for Africa. L’Etiopia è il maggior destinatario di aiuti allo sviluppo del continente: al paese sono infatti destinati dai donatori internazionali circa 4 miliardi di dollari l’anno, di cui all’incirca 800 milioni provenienti dai soli Stati Uniti. La ragione di tale solidarietà è presto detta: l’Etiopia è un alleato fondamentale nella lotta al terrorismo nel Corno d’Africa. I droni americani che pattugliano l’Africa orientale e in particolare la Somalia decollano da una base in territorio etiope. Inviando a più riprese truppe in territorio somalo, l’Etiopia ha contrastato l’affermazione dell’islamismo radicale delle Shabab. La recente elezione di Hassan Sheikh Mohamud a nuovo presidente della Somalia è un successo che si deve in parte anche a Zenawi. Indiscusso leader a livello regionale e continentale, portavoce della delegazione africana alle conferenze di Durban e Copenhagen sul cambiamento climatico, Zenawi ha sempre saputo portare avanti con decisione le istanze africane nei grandi forum mondiali, come il G20. Nella sua lunga carriera politica Meles è stato a capo dell’Unione Africana, dell’Inter Governmental Authority on Development, del New Partnership for African Development. Zenawi ha inoltre svolto un cruciale ruolo di mediazione nei negoziati in corso tra Khartoum e Jiuba. In buoni rapporti sia con Omar al Bashir5 sia con il suo omologo del Sud Sudan Salva Kiir, Zenawi ha fatto sì che 19:12 Pagina 625 le negoziazioni sui punti lasciati in sospeso al momento della separazione si tenessero sotto la sua egida ad Addis Abeba.6 I suoi buoni uffici sono stati essenziali nel portare a buon fine l’accordo – firmato il 28 settembre scorso – sulla questione delle rendite petrolifere tra il Nord e il Sud del Sudan. Affascinante affabulatore, fine politico, erudito (si dice fosse in grado di citare interi brani di Shakespeare a memoria) e istruito (ha colmato la lacuna degli studi universitari prematuramente interrotti laureandosi brillantemente all’Open University in Gran Bretagna nel 1995 e conseguendo nel 2004 un master in Economia dell’Erasmus University in Olanda), Meles Zenawi ha condotto una vita modesta, senza indulgere al lusso e allo sfarzo. Austero, dedito al lavoro, i suoi rarissimi sorrisi erano immortalati dai media nazionali e celebrati come eventi eccezionali. Padre di tre figli, sposato con l’ex guerrigliera (e attualmente membro del Parlamento) Azeb Mesfin, la sua immagine di politico e lavoratore indefesso presenta però anche molti lati oscuri. Il dispotismo Se le elezioni del 2010 sono state prevedibilmente un plebiscito per la coalizione al potere (il suo FRDPE ha guadagnato 545 seggi su 547 aggiudicandosi il 99% dei suffragi), quelle del 2005 sono state caratterizzate da violenze e brogli. In quell’occasione, l’opposizione per la prima volta era riuscita ad accaparrarsi 1/4 dei seggi e, forte di questo storico risultato, aveva tacciato (non senza fondamento) il partito al potere di aver truccato lo scrutinio. Nelle manifestazioni seguite al voto, la polizia ha sparato sulla folla uccidendo 200 persone mentre 20.000 oppositori, compresi i leader delle maggiori formazioni d’opposizione, sono stati imprigionati. Tra il 2007 e il 2009 sono state promulgate una serie di leggi liberticide, tra cui una sulla stampa a dir poco draconiana. L’opposizione è stata zittita, i dissidenti imprigionati, accusati di terrorismo o esiliati, il lavoro di ONG a favore dei diritti umani ostacolato. Quel federalismo etnico di cui egli si fece promotore, ponendolo a fondamento della nuova Costituzione varata nel 1995, si è rivelato un’arma a servizio di una politica del «divide et impera» finalizzata a mantenere saldamente al potere la minoranza tigrè cui il primo ministro appartiene. La politica energetica promossa da Zenawi, basata sulla costruzione di grandi bacini idroelettrici, è stata severamente contestata dagli ambientalisti, preoccupati per il possibile inaridimento dei laghi kenyoti, mentre le organizzazioni a favore dei diritti umani hanno criticato l’evacuazione forzata della popolazione per la realizzazione delle dighe. Nell’ultimo anno si sono anche moltiplicate le proteste da parte della consistente minoranza musulmana (il paese conta circa il 60% di cristiani, per lo più di confessione ortodossa copta, e il 34% di musulmani) che lo accusa di voler minare la loro indipendenza religiosa, interferendo sul piano del culto e incoraggiando l’Al Abash, una versione «apolitica» dell’islam d’origine etiope-libanese, che si discosta dalla tradizione sufi dominante in Etiopia. La fragilità Al di là della repressione, del dispotismo e della censura, il più grave errore di Zenawi è stato però quello d’aver costruito uno stato incardinato sulla sua forte personalità di tecnocrate competente e di politico dall’alto profilo internazionale. Infatti, come Obama ha recentemente ricordato, l’Africa di domani «ha bisogno di istituzioni forti, non di uomini forti».7 E l’Etiopia, nonostante alcuni progressi, soprattutto in campo economico, resta un paese poco sviluppato, con un’inflazione galoppante, soffocato dalla censura, con fragili strutture democratiche. Il successore di Zenawi, Hailemariam Desalegn, che prima era vicepremier e ministro degli Esteri, garantirà una transizione morbida fino al 2015, anno in cui sono previste le elezioni legislative (a cui Zenawi aveva detto di non voler partecipare). Il nuovo premier ad interim è espressione del Sud del paese, non appartenente quindi a quell’etnia tigrè del Nord che ha monopolizzato per 20 anni la vita politica dell’Etiopia. Tuttavia, con la sua origine geografica ed etnica, lontana dall’establishment tigrè, rappresenta un IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 625 624-628_articolo_datola:Layout 2 25-10-2012 19:12 Pagina 626 Kenya-Somalia Islamisti debole tentativo di accontentare le minoranze tenute sotto scacco durante il lungo «regno» di Zenawi. Hailemariam, delfino designato dal defunto leader dell’FRDPE, appare infatti a molti commentatori manipolato dai tigrè, una scelta quindi nella continuità senza il carisma del predecessore. Colmare il vuoto lasciato da Zenawi non sarà facile. Il suo successore ideale dovrebbe essere in grado di procedere, oltre che sul binario della crescita economica, anche su quello del rafforzamento delle istituzioni, della separazione tra stato e partito e del rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e delle minoranze. Il rischio di scompaginamento che potrebbe derivare dalla scomparsa di una leadership ventennale e le fragilità di quella attuale dovranno essere superati in fretta, pena pericolosi contraccolpi. Infatti, se è improbabile che la frammentata opposizione si ricompatti fino a minacciare le deboli basi istituzionali del paese, è possibile invece che la vicina Eritrea approfitti della transizione precaria per riavviare un conflitto che, dopo la sanguinosa guerra del 1998-2000, ancora cova sotto la cenere, con episodiche recrudescenze. Una tale incertezza di prospettive non è quello che il giovane popolo etiope, affamato di democrazia e in rapida crescita, merita. Francesca Datola 1 Con i suoi 84 milioni di abitanti (e ben 87 gruppi etnici) l’Etiopia è il secondo stato più popoloso dell’Africa, dopo la Nigeria. 2 La lotta tra il Derg e il Fronte rivoluzionario, entrambi di fede comunista, viene interpretata come una lotta tra «comunisti intellettuali» (come Meles) e «comunisti militari» (gli ufficiali del Derg, come Menghistu). 3 Secondo i dati della Banca mondiale e del World Factbook della CIA. 4 Ad esempio, la compagnia di bandiera Ethiopian Airlines è controllata dallo stato: le sue casse sono floride ed è una delle poche compagnie aeree al mondo, oltre a quelle giapponesi, a poter vantare nella propria flotta gli avveniristici Boeing 787 Dreamliner. 5 Al Bashir, presidente del Sudan, è stato condannato nel 2009 dal Tribunale penale internazionale dell’Aja per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità; cf. Regnoatt. 8,2009,238. 6 Soprattutto sull’utilizzo degli oleodotti e sulla delimitazione dei confini tra i due stati. Cf. Regno-att. 2,2011,14; 14,2011,441; 6,2012,202. 7 Come ha dichiarato ad Accra (Ghana), durante il viaggio del luglio 2009. 626 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Vendette N essuna rivendicazione per l’attentato che lo scorso 30 settembre ha turbato una tranquilla domenica di preghiera, imbrattando di sangue la messa riservata ai bambini, nella chiesa anglicana di San Polycarp in Juja Road, periferia di Nairobi. Un bambino di 9 anni è perito nell’attacco, tre sono stati a lungo sospesi tra la vita e la morte, mentre decine di persone sono rimaste ferite più o meno gravemente nella disordinata e frenetica fuga per guadagnare l’uscita della Chiesa e mettersi in salvo. Nello stesso giorno due poliziotti sono stati uccisi in un’imboscata a Garissa, città del Kenya orientale a soli 180 chilometri dalla frontiera con la Somalia e abitata in maggioranza da popolazioni di etnia somala. Garissa era già stata di recente teatro di un’altra tragedia: in luglio alcuni uomini mascherati avevano fatto irruzione in due chiese cittadine, uccidendo 17 persone. Anche se nessuna rivendicazione è ancora pervenuta, dietro questa scia di attentati sanguinosi si può facilmente leggere in filigrana un’azione di Al-Shabab o più probabilmente dei suoi simpatizzanti e sostenitori in Kenya. La situazione è precipitata da circa un anno e precisamente dal 16 ottobre 2011, quando truppe keniote hanno varcato la frontiera con la Somalia in un’offensiva contro gli islamisti radicali di Al-Shabab, rei di una serie di rapimenti di cooperanti e turisti occidentali avvenuti in territorio keniota (cf. Regno-att. 20,2011,660). Da allora gli attentati di matrice islamica radicale in Kenya si sono moltiplicati. Le azioni terroristiche attribuibili a AlShabab e ai suoi sostenitori sono diventate particolarmente violente a fine agosto 2012, a seguito dell’uccisione a Mombasa di Abud Rogo Mohammed, predicatore fondamentalista. Rogo, da luglio nella lista nera delle sanzioni dell’ONU e degli Stati Uniti, sarebbe stato l’ispiratore e il leader del movi- mento keniota al-Hijra legato alle Shabab somale, cui avrebbe offerto direttamente o indirettamente supporto economico e logistico. L’assassinio di Rogo resta avvolto nel mistero: i suoi sostenitori lo imputano alla polizia keniota, quest’ultima smentisce seccamente, ventilando anzi l’ipotesi che l’attentato sia stato orchestrato dagli stessi miliziani di Al-Shabab nell’intento di mobilitare la propria base attorno al nuovo «martire». Qualunque sia la verità, certo è che la morte di Rogo è stata all’origine di violenti tumulti, con altri morti e feriti Gli ultimi tre attentati a Nairobi e a Garissa rientrano quindi in una strategia di terrore più ampia, già rodata e riconducibile a una vendetta di Al-Shabab in risposta all’intervento keniota in Somalia ed esacerbata dall’uccisione di Rogo. Inoltre gli attentati perpetrati fra il 30 settembre e il 1° ottobre sono avvenuti in coincidenza con una grande avanzata delle truppe keniote in territorio somalo, ai danni di un’importante roccaforte delle Shabab, il porto di Chisimaio, cruciale per gli approvvigionamenti dei miliziani islamisti e dunque ripetutamente contesa tra questi e le forze regolari (cf. ancora Regno-att. 20,2011,660). Dopo l’attacco, Al-Shabab è stata costretta a ripiegare, abbandonando la città costiera. La comunità internazionale spera che la definitiva presa di Chisimaio sia il primo passo verso una rapida e definitiva neutralizzazione di Al-Shabab, cui dovrebbe contribuire anche l’elezione in agosto del nuovo presidente, Hassan Sheikh Mohamud, determinato a porre fine all’anarchia che da due decenni imperversa nel paese. Solo arginando l’entropia somala si potranno infatti scongiurare nuovi attentati e interrompere la pericolosa spirale di ritorsioni che avvelena la pace sociale in Kenya. La violenza purtroppo porta sempre con sé altra violenza a meno che questo crudele determinismo di vendette settarie incrociate non lasci spazio al dialogo e alla solidarietà. In luglio, a seguito del feroce attentato nelle chiese di Garissa, in occasione di una riunione del «Consiglio interreligioso del Kenya»(organo di consultazione e coordinamento che riunisce tutte le confessioni religiose del paese), la comunità musulmana keniota aveva deciso, in un generoso gesto di solidarietà nei confronti di quella cristiana, di distaccare alcuni giovani musulmani a protezione delle chiese. C’è da sperare che questi semi di dialogo non vengano soffocati e che anzi continuino a germogliare. F. D. 624-628_articolo_datola:Layout 2 25-10-2012 19:12 Pagina 627 Ve n e z u e la Elezioni Chávez fino al 2019 I l presidente della Repubblica del Venezuela, Hugo Chávez, leader della coalizione di centrosinistra «Grande polo democratico», ha ottenuto il 7 ottobre il quarto mandato col 55% dei suffragi, contro il 44% raccolto da Henrique Capriles, dell’alleanza di centrodestra «Tavola di unità democratica» (MUD). In elezioni che hanno registrato una partecipazione senza precedenti, pari all’81% degli aventi diritto, solo pochi decimali in percentuale sono andati agli altri quattro candidati in lizza, tra cui Luis Reyes del partito evangelico Organizzazione rinnovatrice autentica, consolidando un chiaro bipolarismo nel sistema politico venezuelano. Nonostante una campagna elettorale tesa, le votazioni si sono svolte in un clima pacifico e il risultato è stato subito accettato dall’opposizione, grazie all’affidabilità da tutti riconosciuta al modernissimo meccanismo elettronico di voto, che garantisce estrema trasparenza e rapidità, all’iscrizione quasi totale dei cittadini nelle liste elettorali e alla quintuplicazione dei seggi, nonché all’autorevolezza acquisita dal Consiglio nazionale elettorale nelle 14 consultazioni (presidenziali, politiche, amministrative, referendarie) svoltesi dal 1998, tanto da configurare quello che la Conferenza episcopale venezuelana (CEV) aveva definito «uno dei migliori sistemi elettorali del continente» e il Centro Carter, organismo fondato dall’ex presidente degli Stati Uniti e specializzato nel monitoraggio elettorale, «il migliore del mondo». Chávez, che resterà ai vertici dell’esecutivo fino al 2019, ha potuto contare sul consenso degli strati popolari, beneficiati dal calo della povertà (dal 51% del 1998 al 32 di oggi, secondo l’Istituto nazionale di statistica) e della miseria (dal 20% all’8), dall’incremento del salario minimo, quadruplicatosi in un quindicennio, dall’estensione delle prestazioni pensionistiche da 350.000 a 1.900.000 persone, dalla quasi scomparsa dell’analfabetismo nonché da numerosi programmi pubblici in campo sanitario, educativo, creditizio e, specie nell’ultimo anno, abitativo, che hanno aumentato di due anni la speranza di vita e reso il Venezuela il paese meno diseguale del continente. Lo stesso Capriles aveva promesso che queste iniziative sociali non sarebbero state toccate, criticandone però le inefficienze e la gestione clientelare, secondo lui superabili con una maggiore apertura all’iniziativa privata; si era invece concentrato sulla denuncia della corruzione, dell’inflazione (30% annuo), della concentrazione del potere nelle mani di Chávez e dell’insicurezza dei cittadini, essendo Caracas una delle capitali più pericolose del continente. Il risultato ottenuto dimostra che questi problemi sono sentiti da un’ampia fascia della popolazione, ma anche che l’opposizione, pur essendosi presentata per la prima volta unita e avendo cercato di prendere le distanze dallo screditato neoliberismo, non è riuscita a svestirsi della tradizionale immagine «borghese». Senza scalfire l’egemonia del governo tra le classi popolari appare però improbabile che il MUD possa diventare un’effettiva alternativa politica e Capriles un leader credibile, sebbene a ciò potrebbero contribuire lo stato di salute di Chávez – cui nel 2011 era stato diagnosticato un tumore alla zona pelvica, dal quale, dopo essersi sottoposto a diverse operazioni chirurgiche e a trattamenti chemioterapici, ha dichiarato di essere guarito – e il fatto che nel chavismo non sia finora emersa alcuna personalità in grado di sostituirlo. I richiami dell’episcopato Le elezioni regionali e municipali, previste tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, offriranno qualche chiarimento in tal senso, anche perché Capriles cercherà di essere rieletto governatore dello stato di Miranda, dovendo vedersela con Diosdado Cabello, presidente del Partito socialista unificato del Venezuela fondato da Chávez. Al contrario, per il governo «bolivariano» la sfida appare quella di riconquistare almeno parte del ceto medio e, al contempo, consolidare il proprio radicamento popolare, superando le inefficienze di molti interventi sociali e contrastando l’arricchimento della «boliborghesia», una burocrazia parassitaria legata allo stato e a una parte dell’impresa privata. Riconoscendo «l’esistenza di due visioni di paese evidenziata dai risultati elettorali», l’episcopato ha sollecitato «il dialogo e la riconciliazione tra i venezuelani», chiamando governo e opposizione a condividere «il rispetto della Costituzione e delle leggi, la difesa dei diritti delle persone, in particolare dei più poveri e bisognosi, la promozione del bene comune e un progetto di paese caratterizzato dall’inclusione». Negli ultimi mesi la tensione tra vescovi e governo si è un po’ allentata, in seguito a due incontri tra i presuli e una rappresentanza dell’esecutivo. Tuttavia mons. Diego Padrón, arcivescovo di Cumaná e presidente della CEV, aveva criticato «la segretezza sulla malattia del presidente della Repubblica»; mons. Mariano Parra, ordinario di Ciudad Guayana, aveva lamentato «il tentativo del governo di creare una divisione tra parroci e gerarchia»; il card. Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, pur giudicando «molto positivo il fatto che l’esecutivo abbia reso protagonisti i più poveri», aveva stigmatizzato «l’indebito uso di una grande quantità di risorse dello stato per la campagna elettorale delle forze governative» e mons. Baltazar Porras, arcivescovo di Mérida, aveva descritto le presidenziali come «una scelta tra un sistema sociale con libertà più ristretta e uno autenticamente democratico», accusando il presidente uscente di aver suscitato «un clima di violenza». D’altro canto nella comunità ecclesiale sono presenti opposti orientamenti politici, rappresentati, per esempio, da una parte, da p. Luis Ugalde, gesuita ex rettore dell’Università cattolica «Andrés Bello» (UCAB) il quale, alla vigilia del voto, parlava di Chávez come di «un leader che oggi giunge al tramonto» dopo aver nascosto «l’inettitudine amministrativa con un’ideologia “rivoluzionaria” antiquata e venduta come religione»; dall’altra, p. Miguel Matos, anch’egli gesuita, convinto che una vittoria di Capriles avrebbe consegnato il Venezuela alle «grandi corporation interessate a controllarne le risorse energetiche», anche a costo di imporne la privatizzazione «con un’invasione militare». Il riconoscimento della sconfitta da parte di Capriles e la disponibilità a discutere con l’opposizione dichiarata da Chávez potrebbero però costituire il primo passo verso quel «negoziato politico» che l’attuale rettore della UCAB, p. José Virtuoso, aveva auspicato «dall’8 ottobre per superare la polarizzazione». Mauro Castagnaro IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 627 624-628_articolo_datola:Layout 2 25-10-2012 19:12 Pagina 628 Paraguay Crisi istituzionale Lugo destituito I l 22 giugno scorso, dopo un «giudizio politico» previsto dalla Costituzione, ma durato meno di 24 ore e conclusosi con un voto plebiscitario (76 a 1 alla Camera per la messa in stato d’accusa, 39 a 4 al Senato per la rimozione) per la convergenza dell’Associazione nazionale repubblicana (ANR, più nota come Partito colorato, al potere dal 1947 al 2008, compresi i 35 anni del regime militare del generale Alfredo Stroessner) e del Partito liberale radicale autentico (PLRA, fino a quel momento principale forza della governativa «Alleanza patriottica per il cambiamento»), il presidente della Repubblica, Fernando Lugo, è stato destituito e al suo posto è stato nominato il vicepresidente Luis Federico Franco Gómez. Nel «processo express», come è stato definito l’impeachment (il ventiquattresimo tentato in quattro anni!), a Lugo è stato rimproverato un «cattivo esercizio delle sue funzioni»; tra gli addebiti – che, secondo gli accusatori, «non hanno bisogno di essere provati» perché «di pubblico dominio» –, il principale è quello di essere responsabile della non chiarita morte violenta, il 15 giugno, di 11 contadini e 6 poliziotti durante il tentativo di sgombero di un’azienda agricola occupata da braccianti su terreni ottenuti illegalmente durante la dittatura dall’ex presidente dell’ANR, Blas Riquelme. Dietro la rimozione di Lugo fanno in realtà capolino alcune imprese transnazionali, interessate allo sfruttamento delle ricchezze naturali (Rio Tinto Alcan, Global Oil ecc.) o dedite all’agrobusiness (Monsanto), l’oligarchia agraria paraguayana (quel 2% della popolazione che possiede l’80% delle terre coltivabili, ma non paga tasse), nonché gli Stati Uniti, desiderosi di controllare l’Acquifero Guaraní (la maggiore riserva di acqua dolce del mondo). Non a caso, infatti, modificando scelte del precedente governo, Franco ha subito preso dei provvedimenti tesi a garantire gli interessi economici e politici di questi diversi soggetti. D’altro canto la debole reazione popolare ha dimostrato la fragilità politica di Lugo. L’ex vescovo di San Pedro Apóstol gode ancora di un consenso popolare considerevole, grazie ad alcuni provvedimenti in materia sociale e sanitaria, sostenuti finanziariamente dall’au- 628 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 mento ottenuto dal Brasile del prezzo dell’energia prodotta dalla centrale idroelettrica di Itaipù. Non ha però mai potuto contare su una vera maggioranza parlamentare né su un solido sostegno organizzato, essendo piccoli i partiti progressisti e critici i movimenti contadini, per la mancata riforma agraria. Lugo ha accettato il verdetto del Parlamento e invitato la popolazione alla calma, per evitare scontri, ma ha comunque definito la sua rimozione «una rottura dell’ordinamento democratico finalizzata a bloccare il processo di cambiamento avviato nel 2008», facendo poi appello alla «resistenza pacifica contro il governo illegittimo», che ha intanto licenziato 1.500 dipendenti pubblici per motivi politici e sgomberato violentemente alcuni fondi occupati. Immediata la reazione di molti paesi latinoamericani, a cominciare da Argentina, Brasile e Uruguay, che hanno parlato esplicitamente di «colpo di stato» e deciso di «sospendere» il Paraguay dal MERCOSUR, come ha fatto l’Unione delle nazioni sudamericane (UNASUR), fino alle presidenziali dell’aprile 2013. I vescovi, prima e dopo La crisi istituzionale ha suscitato reazioni diverse nella Chiesa cattolica. Alla vigilia dell’impeachment il presidente, il vicepresidente e il segretario della Conferenza episcopale paraguayana (CEP), mons. Claudio Giménez, vescovo di Caacupé, mons. Edmundo Valenzuela, arcivescovo coadiutore di Asunción, e mons. Adalberto Martínez, ordinario militare, avevano sollecitato Lugo a dimettersi per «pacificare gli animi». Poi mons. Giménez ha definito «del tutto conforme alla Costituzione» il procedimento seguito dalle Camere per nominare Franco, le cui foto in cui riceve la comunione da mons. Valenzuela e lo saluta calorosamente durante la messa, poche ore dopo l’insediamento, sono state ampiamente riportate dai mass media, non meno di quelle del nunzio apostolico, mons. Eliseo Ariotti, primo diplomatico a far visita al nuovo capo dello stato, che ha potuto così vantare «il deciso appoggio della Chiesa». In un’intervista al cileno La Segunda, mons. Gimenez ha inoltre attribuito la caduta di Lugo alla «situazione immorale del suo governo», legata al riconoscimento di due figli, uno dei quali concepito quando era ancora vescovo, mentre mons. Rogelio Livieres, vescovo di Ciudad del Este e membro dell’Opus Dei, ha accusato il presidente deposto di aver mandato «adolescenti delle parrocchie a seguire corsi di indottrinamento ideologico in Venezuela e a Cuba» e di «aver trasformato le comunità cristiane in comitati politici», tanto che egli si era visto costretto a «pattugliarle per impedire ai preti di organizzare incontri a favore di Lugo». Invece mons. Mario Melanio Medina, ordinario di San Juan Bautista de las Misiones, ha parlato di «golpe parlamentare», promosso dalla «struttura neoliberale capitalista» perché Lugo «voleva lottare a favore dei poveri». La Conferenza dei religiosi del Paraguay ha denunciato «la complicità dei tre poteri dello stato nell’abbandono di una riforma agraria integrale» e manifestato perplessità sull’impeachment «nei confronti del presidente, che, pur essendo un procedimento costituzionale, è realizzato in modo da creare fondati sospetti di manipolazione, danneggiando gravemente il processo legittimamente instaurato per elezione popolare». Lapidario, poi, il giudizio del gesuita p. Bartomeu Meliá, teologo: «In un minuto siamo tornati ai tempi di Stroessner». Anche la Pastorale sociale nazionale, oltre a parlare senza mezzi termini di «colpo di stato», ha sostenuto che «l’invito a dimettersi rivolto da alcuni vescovi al presidente della Repubblica ha causato sorpresa, confusione, dolore e indignazione nei fedeli, i quali giudicano tale posizione un allontanamento della Chiesa dai più poveri», chiedendo ai presuli «una dichiarazione che rettifichi l’immagine della Chiesa data in questo frangente e riaffermi il loro impegno di pastori a favore dei più umili e indifesi». Un’autocritica episcopale è arrivata il 31 agosto con la Lettera della CEP alla comunità ecclesiale: «Se si ritiene che abbiamo commesso errori, chiediamo la comprensione e il perdono. L’iniziativa di alcuni vescovi del Consiglio permanente della CEP la sera del 21 giugno è stata dovuta alla notizia di un imminente spargimento di sangue. Si voleva evitare un altro evento fratricida. Noi vescovi, sapendo che la nostra missione primaria è creare un ambiente di pace e comunione, ci assumiamo le nostre responsabilità nel caso non abbiamo dato testimonianza di comunione. Riconosciamo i nostri limiti ed errori. Forse abbiamo messo l’accento più sull’aspetto umano che su quello divino, il che ci ha reso difficile, in alcuni momenti, incontrare il Dio della storia». M. C. 629-630_gandolfi:Layout 2 26-10-2012 9:12 Pagina 629 Chiesa e violenze su minori AUSTRALIA l a guarigione è lontana E l’opinione pubblica incalza i vescovi E ra il fiore all’occhiello del continente: uno dei primi protocolli al mondo su come trattare in diocesi i casi di pedofilia commessi da sacerdoti o personale legato alle istituzioni ecclesiastiche. Era infatti il dicembre 1996, quando Towards Healing (Verso la guarigione) veniva approvato per tutte le diocesi australiane (operativo nel marzo 1997), mentre a Melbourne entrava in vigore The Melbourne Response (entrambi pubblicati nella loro versione rivista del 2000 in Regno-doc. 15,2001,492). Documenti caratterizzati da una forte attenzione alle vittime e da un tratto stilistico fortemente empatico. Eppure, a 16 anni di distanza da questo impegno pionieristico, la Chiesa cattolica australiana è ora sotto il fuoco dell’accusa sia delle forze politiche di diversi parlamenti federali – in particolare di quello del New South Wales e del Victoria – sia da parte delle associazioni delle vittime, per come ha gestito i casi di cui è venuta a conoscenza. Allo stesso tempo una serie di figure episcopali che si sono impegnate in prima persona su questo fronte e che a partire da questo impegno hanno più volte formulato la richiesta di riforme strutturali all’interno della Chiesa si sono dimesse prima della fine del proprio mandato canonico, a norma del § 2 del can. 401. In un caso vi è stata anche una situazione di vero e proprio «stress». L’episodio recente che ha ravvivato la polemica si riferisce ai primi mesi del 2012, quando è stato fatto trapelare un rapporto della polizia dello stato del Victoria, di cui Melbourne è capitale, che affermava che il tasso dei suicidi tra le vittime delle violenze da parte di sacerdoti cattolici era più elevato che per altre categorie e che la Chiesa, pur conoscendo il dato, avrebbe «scelto di tacere». L’arcivescovo di Melbourne, che è dal 2001 mons. Denis Hart, ha smentito che la Chiesa fosse a conoscenza di questo dato. Inoltre, la Chiesa è accusata di aver creato una figura di referente – «il Commissario indipendente» – che nei fatti avrebbe portato le diocesi a gestire esclusivamente al proprio interno le denunce, in alcuni casi a minimizzarle e soprattutto a non portarle a conoscenza – come sarebbe d’obbligo secondo il diritto vigente in molti stati australiani – alle autorità di polizia e giudiziarie. Dimissioni episcopali Tuttavia i malumori hanno una radice lontana anche nella diocesi di Sidney (capitale del New South Wales), guidata dal presidente della Conferenza episcopale, card. George Pell, che pure aveva compiuto un gesto esemplare e unico nel 2002 quando venne accusato da un ex seminarista di violenze nei suoi confronti: si «autosospese» dall’esercizio attivo dell’episcopato fin tanto che non venne appurato che si trattava di una calunnia. Nello stesso anno, assieme all’arcivescovo di Melbourne e suo successore, mons. Hart, firmò una dichiarazione sui quotidiani di entrambe le città in cui compariva una richiesta di perdono «sincera e senza riserve a tutte le vittime di violenze e alla comunità australiana per gli errori e le ferite patiti», dopo essere stato accusato di aver imposto alle vittime, durante transazioni extragiudiziali (lecite) il silenzio, comportamento censurato dal testo del 1996 Verso la guarigione e che egli ha sempre negato d’aver attuato (Regnoatt. 16,2002,524). Poi Pell ha dovuto gestire, nel 2004, le dimissioni del suo ausiliare, mons. Geoffrey Robinson, che si occupava attivamente da una decina d’anni degli organismi ecclesiali preposti alla gestione delle denunce. Robinson in particolare appuntava la sua dura critica – poi messa nero su bianco in un libro del 2007 Confronting Power and Sex in the Catholic Church: Reclaiming the Spirit of Jesus – su un punto nodale: a suo avviso non era sufficiente che la Chiesa «gestisse» le denunce; essa doveva «lasciarsi interrogare» nel profondo del suo essere e delle sue strutture da questa crisi. Un’idea non condivisa dall’episcopato, che nel 2008 tentò d’impedire un suo ciclo di conferenze negli Stati Uniti. In una diocesi suffraganea di Sidney, Maitland – Newcastle, nell’aprile 2011 vi è stato un altro caso di dimissioni anzitempo accolte dal papa: quelle del vescovo mons. Michael J. Malone, in carica dal 1995. L’occasione ultima sarebbe stato un reintegro nel ministero di un sacerdote accusato di violenze prima che il procedimento canonico fosse terminato. Malone aveva subito in diocesi contestazioni su come aveva gestito i diversi casi ed era stato particolarmente amareggiato dalla reazione del clero alla sua decisione di pubblicare su un quotidiano locale, nel 2010, una pubblica richiesta di scuse alle vittime per la quale i sacer- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 629 629-630_gandolfi:Layout 2 26-10-2012 9:12 doti si erano sentiti non protetti dal vescovo; il tutto lo ha portato a dichiarare d’aver chiesto di essere sollevato dall’incarico in quanto molto «provato dal punto di vista emotivo». Tuttavia i conti della diocesi con la pedofilia non sono ancora conclusi. Il successore di Malone, mons. Bill Wright, appena a un anno dall’insediamento si è trovato ad affrontare la rabbia delle vittime di un sacerdote, John Denham, ora ridotto allo stato laicale, che ha insegnato in un collegio della diocesi. In particolare vi è stata forte risonanza mediatica per il suicidio di un quarantenne padre di famiglia avvenuto nel luglio scorso e riconducibile alle violenze da lui subite a opera di Denham quando era undicenne, rivelate alla propria famiglia solo nel 2008. Mons. Wright si è comunque detto favorevole alla richiesta, a cui questo evento ha dato ancor più forza, dell’istituzione di una Royal Commission che indaghi sulla gestione delle denunce da parte della Chiesa cattolica, richiesta che ha via via acquisito adesioni anche nel clero locale, convinto che sia necessario «ripulire l’aria» in diocesi e nella Chiesa cattolica in generale. Un corollario della vicenda relativa al caso Denham si è poi avuto a fine agosto scorso, quando sempre il vescovo Wright ha dovuto dichiarare «con profonda tristezza» che uno dei propri sacerdoti, Tom Brennan, non solo ha omesso di denunciare l’ex sacerdote quando era suo preside ma che egli stesso è colpevole di violenze e atti di pedofilia. Secondo Sean Tynan, direttore del Centro diocesano per la protezione dell’infanzia, la diocesi «ha una storia di violenze sessuali su minori molto travagliata. Questa storia ha causato e continua a causare dolore alle vittime delle violenze, alle loro famiglie e alla più ampia comunità dei fedeli». Sempre in ordine di tempo, dopo le controverse e forzate dimissioni nel maggio 2011 del vescovo William Morris, della diocesi di Toowoomba (Queensland), sollevato dall’incarico dal papa per aver chiesto pubblicamente di riaprire il dibattito sul sacerdozio agli uomini sposati o alle donne (Regno-att. 10,2011,338; caso per altro slegato dalle vicende della pedofilia), altre dimissioni hanno pesato sulla Chiesa australiana: 630 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Pagina 630 quelle, accolte il 7 giugno scorso, di mons. Pat Power, ausiliare di Melbourne da 25 anni. Compiuti i 70 anni, ha chiesto e ottenuto di tornare a essere un semplice sacerdote. Convinto da sempre che «l’intera questione delle violenze sessuali abbia portato un colpo terribile alla vita della Chiesa», come non se ne vedeva da «500 anni a questa parte», non ha mai fatto anch’egli mistero del suo pensiero: della necessità, cioè, di una profonda riforma della Chiesa. Terreno di bat taglie In questo panorama, i temi intraecclesiali, grazie alla mediatizzazione della questione-pedofilia, si prestano a divenire un terreno anche per battaglie extraecclesiali, dal sapore anticlericale. E spesso le vittime costituiscono, loro malgrado e in forza della propria disperazione, una sorta di testa di ponte. È anche per questo che la risposta dei presuli di Sidney e Melbourne deve in qualche modo avere carattere difensivo. Nel lungo testo apparso il 20 agosto su The Catholic Weekly, infatti, il card. Pell ammette che, pur essendo sempre stati «i diritti e le necessità delle vittime» al primo posto, «sono stati fatti in passato gravi errori»; anche se «le procedure che sono attualmente in atto sono pensate per far sì che questi errori non accadano nuovamente. La Chiesa in Australia è costantemente impegnata nel riesame e nel miglioramento di queste procedure», così com’è avvenuto con le due revisioni (effettuate da organismi indipendenti) del 1999-2000 e del 2008-2009. Seguono poi le risposte a tutte le accuse, ribadite in un libretto stampato in 100.000 copie e distribuito da metà settembre nelle parrocchie di Sidney, dal titolo Sexual Abuse. Innanzitutto sulla questione del riferire alla polizia o alla magistratura. «Verso la guarigione non sostituisce le indagini della polizia. Le accuse di violenze sessuali sono riportate alla polizia», così come richiede la legge dello stato. E non è vero che l’arcidiocesi fa sapere ai propri sacerdoti se la polizia sta indagando su di loro. Inoltre «quando la polizia sta investigando l’inchiesta di Verso la guarigione viene sospesa». Non è vero – prosegue Pell – che gli aiuti alle vittime vengono dati «in cambio del silenzio». Né che l’arcidiocesi «copra le violenze sessuali o protegga chi viene accusato»; né tantomeno che «“passi la patata bollente” ad altre autorità ecclesiastiche»: dai toni della risposta si comprende anche quanto sia sempre meno conosciuta nel suo funzionamento interno l’istituzione ecclesiale: una progressiva distanza che produce un dialogo tra sordi. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la risposta di Melbourne. Il Parlamento del Victoria ha infatti istituito (aprile 2012) un’«Inchiesta sul trattamento delle violenze sui minori da parte delle organizzazioni religiose e non governative» che verrà presentata entro l’aprile 2013. Nella dichiarazione del 21 settembre dell’arcivescovo mons. Hart intitolata Facing the true (Affrontare la verità), si ribadisce la disponibilità della Chiesa a «collaborare pienamente all’inchiesta» e si parla anche degli «errori» che essa ha compiuto nell’affrontare il problema. Tuttavia «la Chiesa ha imparato dagli errori del passato» e ha cambiato le modalità con cui si rapporta alle vittime. Infatti i dati relativi sia al numero delle denunce sia al numero dei nuovi casi a partire dagli anni Ottanta «sono decisamente in calo». In particolare la risposta della Chiesa non è sempre stata all’altezza – dichiara Hart – quando «ha preso troppo tempo nel dare una risposta decisa ed efficace»; quando «non ha creduto alle vittime» ma «ha creduto ai perpetratori»; quando «ha chiesto il silenzio durante alcune transazioni con le vittime»; quando «ha privilegiato una risposta legale a una pastorale»; quando «ha operato in contesti non trasparenti». Se tutto questo basterà ad abbassare i toni di un clima rovente è difficile da dire: il 19 ottobre è stato reso noto un dato a cura di un docente di giurisprudenza dell’Università di Sidney secondo il quale i sacerdoti cattolici sarebbero colpevoli di pedofilia sei volte il dato medio di tutti i ministri di culto; lo stesso giorno Patrick Parkinson, docente di Diritto di famiglia della stessa università, che ha partecipato a entrambe le revisioni di Verso la guarigione, dopo che le conclusioni di una sua inchiesta sui salesiani australiani sono state lasciate cadere nel nulla, ha manifestato la volontà di uscire dalla Chiesa cattolica. Maria Elisabetta Gandolfi 631_diario:Layout 2 25-10-2012 18:29 Pagina 631 diario ecumenico SETTEMBRE Muore il rev. Moon. Sun Myung Moon, predicatore coreano e autoproclamato messia, che aveva fondato nel 1954 un movimento religioso – la Chiesa dell’unificazione – noto soprattutto per i matrimoni di massa, e un impero economico tra Corea, Giappone e Stati Uniti, muore il 2 settembre nella nativa Corea del Sud a 92 anni. Nel 2001 aveva celebrato anche il matrimonio tra la coreana Maria Sung e il vescovo cattolico Emmanuel Milingo, il quale di conseguenza era stato scomunicato dalla Santa Sede. La sua dottrina è un misto di filosofie orientali, insegnamenti biblici e quella che egli ha chiamato una rivelazione privata di Dio. Con la sua morte si apre per i fedeli – che sono probabilmente qualche centinaio di migliaia e non i tre milioni che la setta di Moon s’intesta – il problema della successione, tra il permanere di un riferimento forte alla moglie Hak Ja Han, «vera madre», e i dissidi tra i figli, soprattutto Hyung (Sean) Jin e Hyun (Preston) Jin. Firenze – Concordia di Leuenberg. È Firenze a ospitare, dal 20 al 26 settembre, la VII Assemblea della comunione delle Chiese protestanti in Europa (CCPE), forse più nota come Concordia di Leuenberg, comunione costituita da un centinaio di Chiese luterane, riformate, unite e metodiste europee che si riconoscono reciprocamente quanto a ministeri e sacramenti pur rimanendo indipendenti le une dalle altre. L’Assemblea, che si riunisce ogni sei anni, ha come titolo «Liberi per il futuro», e durante i lavori esamina una serie di documenti dottrinali e teologici elaborati nei diversi gruppi di lavoro sulle tematiche della giustizia, della comprensione del ministero, della formazione pastorale, i quali poi vengono inviati alle singole Chiese membro per una valutazione. Il 25 settembre viene eletto il nuovo presidente: è il vescovo luterano tedesco del Braunschweig Friedrich Weber, che succede al pastore riformato svizzero Thomas Wipf, mentre viene confermato segretario generale Michael Bünker, luterano austriaco. L’assemblea di Firenze assume due forti impegni ecumenici, con la firma di un Memorandum con le quattro Chiese anglicane della Gran Bretagna per un approfondimento delle questioni che ancora ostacolano il pieno riconoscimento reciproco, in primis il ministero episcopale, e con la composizione di una delegazione che dal prossimo febbraio condurrà una serie di consultazioni con il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in particolare sulla comprensione della Chiesa e sui modelli ecumenici di unità. Il principale dei temi che la CCPE mette nell’agenda dei prossimi anni è la celebrazione del giubileo della Riforma, ossia il 500° anniversario dell’affissione delle 95 tesi di Martin Lutero, nel 2017. A questo proposito, intervenendo all’assemblea, mons. Matthias Türk, rappresentante del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, auspica che il giubileo della Riforma «possa essere festeggiato in una dimensione ecumenica e internazionale. Possiamo tentare di guarire i 500 anni di divisione che ci separano enfatizzando le preoccupazioni positive portate dalla Riforma». Il primo passo in questa direzione dovrebbe essere un «sincero riconoscimento delle colpe accumulate». Dialogo teologico anglicano-ortodosso. Dal 3 al 10 settembre ha luogo presso l’Università di Exeter nel Regno Unito un incontro della Commissione internazionale per il dialogo teologico anglicano-ortodosso, che sta portando avanti uno studio approfondito sull’antropologia cristiana, in specie su che cosa significhi essere persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio. Diverse relazioni all’interno di questo tema si concentrano sulle questioni legate a sessualità e matrimonio, in quanto le due confessioni attualmente si trovano su posizioni opposte riguardo alla visione sull’omosessualità. La Commissione discute la bozza di un documento teologico sul tema. Il prossimo incontro si terrà a Novi Sad, in Serbia, nel settembre 2013, ospite la Chiesa ortodossa serba guidata da Irinej. Germania – Appello «Ecumenismo adesso». Il 5 settembre a Berlino 23 personalità cattoliche e protestanti di spicco in ambito politico e sociale pubblicano un appello dal titolo Ecumenismo adesso. Un solo Dio, una sola fede, una sola Chiesa. Cf. in questo numero a p. 583. Bose – Spiritualità ortodossa. Dal 5 all’8 settembre il monastero di Bose ospita il XX Colloquio ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa, dedicato al tema «L’uomo custode del creato». Negli ultimi trent’anni, e soprattutto sotto l’impulso dell’attuale patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, le Chiese ortodosse hanno sviluppato un’intensa riflessione sull’ecologia come problema spirituale. A Bose inviano rappresentanti ufficiali tutte le Chiese ortodosse e altre Chiese cristiane, e inoltre partecipano teologi, patrologi e scienziati. Nelle conclusioni lette da p. Michel Van Parys a nome del comitato scientifico, si afferma: «Il servizio della preservazione e del risanamento dell’ambiente deve diventare una diaconia comune delle Chiese. Questa diaconia è un’opportunità che può associare le Chiese avvicinandole all’umanità sofferente e alla natura sfigurata dal nostro peccato». Cf., per molti materiali e testi, www.monasterodibose.it. CEC – Pakistan. Dal 17 al 19 settembre il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) organizza nella propria sede di Ginevra un’audizione pubblica su «Abuso della legge sulla blasfemia e minoranze religiose in Pakistan». La mancanza di democrazia, la storia della partecipazione pakistana alla guerra contro l’URSS in Afghanistan e gli sviluppi seguiti all’11 settembre 2001 sono individuati come i principali fattori che stanno dietro alla violenza perpetrata nel nome dell’islam. L’iniziativa vuole incoraggiare una maggiore presa in carico del problema da parte della comunità internazionale. Patriarcato di Mosca – Battesimi danesi. Il Patriarcato di Mosca non riconoscerà più i battesimi celebrati dalla Chiesa luterana danese, come conseguenza della decisione di quest’ultima di consentire alle coppie omosessuali di sposarsi in chiesa (cf. Regnoatt. 14,2012,485). L’agenzia Kath.de il 20 settembre riferisce l’affermazione di un rappresentante del Patriarcato di Mosca, apparsa sui media danesi, secondo la quale «un riconoscimento senza un nuovo battesimo è per noi impossibile, perché le relazioni omosessuali nella teologia ortodossa sono un peccato». La dichiarazione ha un suo peso, dal momento che il riconoscimento comune del battesimo tra tutte le confessioni cristiane è uno dei principali traguardi raggiunti sinora dal movimento ecumenico. Analoga decisione era stata presa nel 2006 dalla Chiesa ortodossa russa nei confronti dei battesimi amministrati nella Chiesa luterana svedese. Daniela Sala IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 631 a 632_agenda:Layout 2 25-10-2012 18:30 Pagina 632 agenda vaticana SETTEMBRE Ecumenismo adesso. «Non possiamo fare già da domani l’unità tra le Chiese perché molte sono le domande e le questioni teologiche non ancora risolte»: così il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, parla il 7 settembre all’agenzia SIR in risposta al manifesto «Ecumenismo adesso! Un solo Dio, una sola fede, una sola Chiesa» lanciato il 5 a Berlino da 23 firmatari, per lo più rappresentanti della società civile e politici, in occasione del 50° del concilio Vaticano II (cf. in questo numero a p. 583). Sono contento – dice il cardinale – nel vedere che molti sono motivati alla causa ecumenica. Ma ho l’impressione che i sottoscrittori vedano la situazione da un punto di vista politico e non ne vedano le ragioni teologiche. Inoltre non è possibile superare la separazione tra le Chiese soltanto in Germania. Questo è un appello per la Germania e con la Chiesa luterana. Ma la Chiesa cattolica è una Chiesa universale per cui tutte le altre realtà sono implicate in questa situazione». «Provocazioni» – film su Maometto. «Il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli. Le conseguenze gravissime delle ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani sono ancora una volta evidenti in questi giorni, per le reazioni che suscitano, anche con risultati tragici, che a loro volta approfondiscono tensione e odio, scatenando una violenza del tutto inaccettabile. Il messaggio di dialogo e di rispetto per tutti i credenti delle diverse religioni che il santo padre si accinge a portare nel prossimo viaggio in Libano indica la via che tutti dovrebbero percorrere per costruire insieme la convivenza comune delle religioni e dei popoli nella pace»: così il portavoce vaticano, p. Federico Lombardi, il 12 settembre in riferimento al film di produzione USA L’innocenza dei musulmani che sta provocando violente reazioni nei paesi a maggioranza islamica. Attentato di Bengasi. «Il gravissimo attentato organizzato contro la rappresentanza diplomatica statunitense in Libia, con l’uccisione dello stesso ambasciatore e di altri funzionari, merita la più ferma condanna da parte della Santa Sede. Nulla può infatti giustificare l’attività delle organizzazioni terroristiche e la violenza omicida»: così il 13 settembre il portavoce vaticano in riferimento all’assalto al consolato USA di Bengasi, condotto da estremisti intenzionati a vendicare l’onore del Profeta offeso da un recente film statunitense (cf. sopra). Libano. Dal 14 al 16 il papa è in Libano per la consegna ai vescovi del Medio Oriente dei risultati del Sinodo del 2010 (cf. sotto). Così Benedetto in aereo, volando verso Beirut, risponde a una domanda sul contesto di guerra e agitazione in cui avviene la visita: «Nessuno mi ha consigliato di rinunciare a questo viaggio e per parte mia non ho mai pensato a questa ipotesi. Perché so che se la situazione diventa più complicata diventa ancora più necessario dare questo segno di fraternità, d’incoraggiamento, di solidarietà». Sulla Primavera araba. «Di per sé la Primavera araba è una cosa positiva: è il desiderio di più democrazia, di più libertà, di più cooperazione, di una rinnovata identità araba. E questo grido della 632 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 libertà che viene da una gioventù più formata culturalmente e professionalmente, che desidera più partecipazione nella vita politica e nella vita sociale, è un progresso, una cosa molto positiva e salutata anche da noi cristiani. Naturalmente, dalla storia delle rivoluzioni noi sappiamo che il grido della libertà (…) è sempre nel pericolo di dimenticare un aspetto fondamentale, (…) cioè la tolleranza dell’altro e il fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa, e che solo nella condivisione, nella solidarietà, nel vivere insieme con determinate regole può crescere»: così il papa in aereo ai giornalisti il 14 settembre (cf. sopra). Fondamentalismo. «Il fondamentalismo è sempre una falsificazione della religione, è contro l’essenza della religione che vuole consigliare e creare la pace e dunque il compito della Chiesa e delle religioni è: purificarsi. La purificazione delle religioni da queste tentazioni è sempre necessaria. Ogni uomo è un’immagine di Dio e noi dobbiamo rispettare nell’altro non solo la sua alterità, ma nell’alterità l’essenza comune, l’altro come immagine di Dio. Dunque il messaggio fondamentale è contro la violenza che è una falsificazione come i fondamentalismi, e per l’educazione, l’illuminazione e la purificazione delle coscienze»: così il papa in aereo ai giornalisti il 14 settembre (cf. sopra). Ecclesia in Medio Oriente. Il 16 settembre, durante una grande celebrazione sul lungomare di Beirut, Benedetto XVI consegna ai vescovi della regione l’esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in Medio Oriente (cf. Regno-doc. 17,2012,513) da lui elaborata sulla base delle conclusioni dell’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi celebrata nel 2010, e firmata il 14 settembre, primo giorno della visita in Libano. Nomine per il Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Il 18 settembre viene pubblicato l’elenco dei membri di nomina papale per la XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi su «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana» (7-28 ottobre), dei quali 7 sono italiani: i cardd. Sodano e Vallini; gli arcivescovi Francesco Moraglia (Venezia) e Filippo Santoro (Taranto), i vescovi Luigi Negri (San Marino-Montefeltro) ed Enrico Dal Covolo (rettore della Lateranense), p. Renato Salvatore, superiore generale dei Chierici regolari ministri degli infermi (Camilliani). Premio Ratzinger. Il 28 settembre vengono annunciati i nomi dei due studiosi ai quali è stato assegnato il Premio Ratzinger 2012, promosso per il secondo anno consecutivo dalla Fondazione vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI: Rémi Brague, 65 anni, sposato, quattro figli, docente emerito di Filosofia medievale e araba presso l’Università Panthéon-Sorbonne (Parigi I); il gesuita Brian E. Daley, docente di Teologia presso l’Università di Notre Dame (Indiana, USA) sulla cattedra intitolata a «Catherine F. Huisking». Processo al «maggiordomo». Il 29 settembre prima udienza del processo a Paolo Gabriele, aiutante di camera del papa accusato di «furto aggravato» per aver fotocopiato e passato a un giornalista – Gianluigi Nuzzi – una grande quantità di documenti prelevati dalla scrivania papale: sarà condannato il 6 settembre a tre anni di reclusione, ridotti per attenuanti a un anno e mezzo. Luigi Accattoli 633-640_dossier:Layout 2 26-10-2012 9:27 S Pagina 633 studio del mese Unione Europea: una crisi più che economica L’Europa imbalsamata, mentre la storia precipita Per tanti aspetti i conflitti che attraversano l’Europa, mentre la crisi del debito sovrano sembra non finire, ci riportano indietro nella storia di decenni: a delle relazioni pre-comunitarie, alla competizione tra stati sovrani, alla dittatura economica del thatcheriano «non c’è alternativa», alla messa in discussione dello stato sociale, pilastro del modello europeo. Mentre il Comitato per il Nobel assegna il prestigioso premio per la pace proprio all’Unione Europea, perché negli ultimi 60 anni il suo ruolo di stabilità «ha aiutato a trasformare la gran parte d’Europa da un continente di guerra a un continente di pace». Ma la storia precipita. Decostruendo e riclassificando i termini «conflitti» e «solidarietà» Barbara Spinelli risale alle origini dell’ispirazione europeista e dell’avventura dell’Unione, per dimostrare che in realtà «quello che è avvenuto dopo il 2007-2009 ha esasperato una crisi che c’era già, perché è da molto tempo che la sovranità degli stati nazionali… è fittizia». Non c’è alternativa all’ultimo passo necessario, quello dell’unione politica. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 633 S tudio del mese 633-640_dossier:Layout 2 26-10-2012 9:27 Pagina 634 C onflitti e solidarietà: con queste due parole vorrei cominciare, tentando un piccolo glossario. Che cosa intendiamo precisamente, quando parliamo di «conflitto»? E «solidarietà» è parola adatta, per descrivere il rapporto che può nascere tra esseri umani – che immaginiamo debba sussistere fra cittadini europei –, quando sorgono conflitti che non sono scambi di opinioni, anche aspri ma comunque fruttuosi, ma che generano disuguaglianza, povertà, ingiustizia, sofferenza degli inermi? Non sono le uniche parole da approfondire, e se vi fosse lo spazio il glossario ne dovrebbe includere altre, molto usate quando si parla di crisi europea della solidarietà ma raramente pensate a fondo. Penso a parole entrate nel gergo comunitario come «bailout», o «spread», o «sussidiarietà», ma anche parole più classiche come «diritti» o «valori». Conf lit to fra stati: ritorno al passato I conflitti, innanzitutto. È un vocabolo che per forza crea confusione, perché a seconda del contesto in cui viene adoperato muta natura. Ci può essere un conflitto fra stati, tuttora potenti per il peso che hanno nel formarsi delle decisioni comunitarie, e ci può essere un conflitto fra i cittadini appartenenti alle popolazioni che si sono unite nel secondo dopoguerra ma che si muovono in qualcosa che non è ancora un’autentica Unione, essendo incompiuta, priva di un potere centrale di natura federale. Il primo conflitto ha radici nell’idea che ogni stato si fa della propria sovranità, della propria forza e della propria storia: se quest’idea ha radici forti (non importa se antiche o recenti, se fantasticate o vere) è ovvio che il conflitto assumerà tratti molto volitivi, dirompenti, arroganti. Perché esso sia frenato non basta infatti la buona volontà, e ancor meno un sentimento di amicizia: occorre che gli stati in questione riconoscano un potere superiore al proprio, anche se ristretto, non onnicomprensivo, e che questo potere si sostanzi in un’istituzione comune, e in una comune Costituzione. Ambedue le soluzioni sono state fin qui scartate, ed è il motivo per cui i sentimenti e gli interessi a breve (le due cose vanno insieme, in genere) prendono tutto lo spazio disponibile, lasciando fuori la ragione e la politica. Luigi Einaudi disse una cosa giusta a proposito della differenza fra sentimenti, legge, istituzioni, quando l’Unione era ancora molto di là da venire: «Da questo stadio imperfetto in cui una sola delle sei potenze colla sua opposizione può mandare a vuoto i piani accettati da tutte le altre, si giungerà a poco a poco a un punto in cui la maggioranza potrà imporsi alla minoranza, e questa ne accetterà i deliberati senza ricorrere all’ultima ratio della guerra. In tal modo avvengono le grandi e durevoli creazioni storiche, non secondo i piani prestabiliti dai pensatori, ma per l’attrito fecondo delle opposte forze. Allora gli stati uniti europei, adesso avvolti in un’incerta nebbia, avranno acquistato una forma precisa; e la nascita della federazione europea non sarà meno gloriosa solo perché sarà nata dal timore e dalla sfiducia reciproca e non invece dall’amore fraterno e da ideali umanitari».1 634 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Dal che vediamo che il conflitto, che Einaudi chiama «attrito fecondo delle opposte forze», può diventare lievito che fa crescere le opere comuni e ne è la premessa. Che il timore e addirittura la sfiducia nei confronti dell’altro possono – in politica – essere più fecondi dell’amore e degli ideali umanitari. Se regna infatti amore fraterno, che bisogno c’è di unire gli stati e i loro popoli? Se il demos già esiste nella sua forma compiuta e compatta, a che serve l’Unione? Se aspiriamo a un’unione in Europa, è perché non esiste il demos europeo, e neppure molta fiducia reciproca. Il fatto è che abbiamo bisogno di un’Unione che abbia un fondamento statuale diverso da quello che caratterizza le nazioni etnico-linguistiche (o razziali) sorte nell’Ottocento: che sia simile piuttosto alle nazionalità territoriali e politiche che hanno visto la luce, prima del romanticismo, in Gran Bretagna o nella Confederazione svizzera. In ambedue i casi fu lo stato a creare la nazionalità, e non viceversa: è una distinzione essenziale, su cui ha ragionato in maniera molto lucida lo storico Lewis Namier.2 Questa statualità oggi in Europa deve sovrastare le diverse nazionalità, in aree di azione sempre più vaste anche se limitate, e il potere che detiene deve essere visibile, legittimato democraticamente, e possedere le risorse (politiche, finanziarie, militari) atte a dirimere i conflitti: non quelli fra idee, non l’attrito fecondo tra forze opposte, ma quelli che nascono dalla disuguaglianza, dall’ingiustizia o dalla prepotenza (dalla mancanza di solidarietà, come vedremo in seguito). Questo potere superiore non è riconosciuto né legittimato, perché l’Unione è un ibrido. In parte la sua natura è già federale, e più di quello che immaginiamo. Non lo sono solamente alcune politiche, come la politica agricola o quella commerciale o il Trattato di Schengen, non solo abbiamo istituzioni sovranazionali come la Commissione, il Parlamento europeo, la Banca centrale europea (BCE), ma è federale – dunque preminente sulle leggi delle singole nazioni – gran parte della legislazione comunitaria, comprese le sentenze della Corte di giustizia. Può piacerci oppure no, ma oggi la maggior parte delle norme in settori chiave del nostro vivere comune vengono da leggi europee: una realtà non facile da abolire nel caso l’euro finisse. Al tempo stesso l’Unione è ancora una lega di nazioni sovrane. Talmente sovrane che basta il «liberum veto» d’un solo stato per condannare la comune impresa all’inconsistenza. In assenza di tale potere superiore, quel che serve a superare i conflitti o le guerre – l’arbitrato – diventa impossibile. Lo abbiamo visto nella crisi dell’euro: più rapidamente di quel che si pensi, gli stati possono tornare alla lotta di tutti contro tutti, in cui è il più forte a vincere sul più debole, o peggio ancora è l’arrogante, capace di comandare ma non di guidare, di federare (è il caso della Germania). È profondamente errato dire che l’Europa non serve più, perché non più confrontata con scelte di pace o di guerra. Possiamo avere guerre d’altro tipo – le chiamano «conflitti a bassa intensità» –, ma pur sempre di guerre si tratta, anche se le armi sono economiche o ideologiche, e come sappiamo nelle guerre le prime vittime sono la verità e la cittadinanza bene informata. 633-640_dossier:Layout 2 26-10-2012 9:27 Pagina 635 Mettiamo il caso del conflitto creatosi dal 2009-2010 fra stati virtuosi dell’Unione (Germania in testa) e dall’altra parte non solo Grecia ma Spagna, Italia, Irlanda: non è guerra ma di certo è un rapporto pre-comunitario, è una divisione che sta divenendo costitutiva dell’Unione fra paesi creditori a Nord e paesi debitori in quelle che vengono ormai chiamate periferie; e il rapporto ha poco a che vedere con l’originaria idea d’Europa. Si torna al vecchio «balance of power», equilibrio fra potenze nazionali, che in genere premia il più agguerrito. Lì dove gli stati mantengono la loro (peraltro fittizia) sovranità, ci sono magari leggi comuni, ma chi «pon mano ad esse», affinché l’arbitrato sia realizzabile? Siamo nello stato di natura hobbesiano, lo stesso che regna nelle relazioni fra stati nel mondo, anche se corretto da convenzioni e istituzioni leggermente migliori della vecchia Lega delle nazioni. Quella che viene chiamata «comunità internazionale», di cui conosciamo ogni tanto i severi verdetti, in realtà non esiste: è una finzione escogitata dalla potenza americana e da chi di volta in volta è alleato con essa (anche quando di crediti democratici o laici ne ha pochi, come l’Arabia Saudita). Conflitto fra cittadini: la democrazia sospesa Diverso il conflitto fra cittadini europei. Vedremo quanto pesino, sul suo presente acuirsi, la disinformazione, la scarsa educazione dei popoli, l’insipienza dei partiti nazionali, dei vertici dei capi di governo o dei loro incontri bilaterali. Le decisioni che contano, nella crisi di questi anni, son venute quasi esclusivamente da istituzioni già sovranazionali, come la BCE. Ma sono cadute dall’alto, con un ritardo dannosissimo, e hanno smorzato di tanto in tanto lo spread ma non il conflitto fra cittadini d’Europa: perché la questione della democrazia non è risolta, perché la partecipazione e il controllo cittadino continuano a organizzarsi dentro le polis che sono gli stati e non – anche – nella nuova cosmopoli europea. Perché i prìncipi che pretendono di governare l’Europa sembrano animati da un sogno neppure troppo segreto: abolire o comunque sospendere la democrazia, per decidere meglio e più rapidamente – così dicono e credono – quel che tocca fare affinché l’Unione non si sfracelli. In realtà non riescono a esser né più efficaci né più rapidi, viste le procedure di decisioni che continuano ad adottare: mantengono sovranità nazionali che sono parvenze, e sospendendo la democrazia operano contro i loro stessi interessi. A forza di schivare la questione democratica accentuano quel conflitto fra cittadini che ci avvelena e avvelena l’impresa europea. Fin qui i conflitti inter-statali, e fra cittadini. C’è poi un terzo conflitto, legato alla questione democratica di cui si è appena detto, ed è quello, dentro i singoli stati, attorno all’appropriatezza o meno delle politiche adottate oggi per salvare l’euro, domani per far fronte a eventuali altre crisi. È uno dei conflitti più temuti dalle autorità europee e dalla stragrande maggioranza dei governi, perché viene dal basso e mette in questione le granitiche certezze di chi pretende di possedere la ricetta giusta. Sono programmi giusti? Portano davvero a una soluzione? Tengono viva la speranza che per decenni l’Europa ha suscitato nelle sue genti, a cominciare dalla speranza di non cadere nella povertà e nella soggezione? Una delle cose più tristi e inquietanti del tempo presente in Europa è che la materia stessa di cui è fatta la democrazia (l’attrito fecondo fra idee diverse) vien vista come ostacolo, ben più insopportabile dei conflitti fra stati e fra popolazioni, e guardata con stizza e paura. Viene eliminato quel che ci nutre, viene favorito quel che ci uccide. Anche qui, si usano parole a sproposito: si invoca la nascita di un’agorà europea, ma non si tollera che l’agorà esprima una varietà di idee e proposte. Non si tollerano alternative, e nemmeno che le alternative siano tentate. Così, piano piano, i piani di austerità si trasformano in mappe che coincidono perfettamente con la mappa europea, diventano la personificazione dell’Europa. Sei contro l’Europa, se vuoi sperimentare vie diverse. Bisogna mangiare quel determinato piatto, al massimo puoi metterci qualche spezia in più o in meno, ma l’alternativa – cioè la scelta – è inconcepibile. Perché inconcepibile, dal momento che il piatto oltre a essere molto indigesto non crea che povertà, e inoltre erode la democrazia? La risposta non viene in genere data. Da sempre è questa la forza delle ortodossie dogmatiche, dei valori non negoziabili (il linguaggio della Chiesa ha fatto proseliti!), e per questo ho parlato di scarsa educazione dei popoli e di disinformazione. Ogni volta che i politici o i partiti parlano di imposizioni esterne, di commissariamenti, disinformano e diseducano. Per esser precisi, scindono quel che non andrebbe scisso: il potere e la responsabilità. Il potere sarebbe dei politici e dei partiti, la responsabilità niente affatto: sarebbe di altri, esterni alla politica e ai partiti che conosciamo. In realtà non è vero affatto: gli stati decidono nei consigli ministeriali europei, poi dicono che la decisione è forestiera. Perfino le leggi anti-corruzione, che dovrebbero scaturire dalle coscienze dei governi e dei cittadini, «ce le chiede l’Europa». È il massimo della mistificazione. Solidarietà e stato sociale Il secondo vocabolo da rimeditare è solidarietà. La solidarietà che cos’è? Tecnicamente, chi è solidale è obbligato con altri per intero, in solidum, come dice il linguaggio giuridico. Su un piano etico e sociale, più che un’obbligazione viene inteso come un sentimento. Si apparenta alla compassione, all’amore, alla pietà verso il più debole, il meno fortunato. È un sentimento di fratellanza, di vicinanza, di sostegno. Dobbiamo dare qualcosa al più debole e al più svantaggiato, perché è ingiusto che i più ricchi o fortunati abbiano quel che dovrebbe equamente esser distribuito fra tutti i membri della comunità nazionale o sovranazionale. In questa seconda accezione, il termine solidarietà tuttavia è insidioso. Dipende dal buon volere – e dal buon valore – del ricco, del potente, del più forte, non da un obbligo in solidum. Dipende dalla carità, e infatti prima dell’assistenza pubblica era la Chiesa a gestire la solidarietà, e negli stati deboli o falliti del mondo sono associazioni religiose, più o meno integraliste, ad assicurare un’assistenza che lo stato non può o non vuole garantire. La legge della giungla permane: il più ricco e potente IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 635 S tudio del mese 633-640_dossier:Layout 2 636 26-10-2012 9:27 Pagina 636 – se non ti elimina – allunga la mano e ti dà aiuto per compassione o quieto vivere. Tutto si decide in base al rapporto che io povero avrò col ricco, se sarò cioè buono e servizievole con lui. E dal rapporto che io, senza potere o reso impotente perché non rappresentato, avrò col potere politico: se sarò cioè obbediente e accetterò le «imposizioni» doverose. Ovvio che in simili condizioni non può sorgere una normativa che sia indipendente da corporazioni sociali o sette religiose, che faccia del cittadino un contribuente garantendogli in cambio l’uso automatico di beni comuni come strade, scuole, ospedali, acqua e aria pulite. Non può sorgere il welfare, che è il sistema di protezione sociale cui ogni cittadino ha un diritto per cui paga, un diritto che non deve ogni volta implorare o accampare (senza dunque dover essere particolarmente servizievole o particolarmente obbediente). Forse si ricorderà la Leggenda del santo Inquisitore, quell’apologo perturbante sul potere assoluto e sulla libertà che è un capitolo de I fratelli Karamazov di Dostoevskij. Gesù fa apparizione a Siviglia, nei tempi delle monarchie assolute e dei roghi degli eretici, quindici secoli dopo la sua prima apparizione in Palestina. Il Cardinale lo incarcera con l’intenzione di mandare anche lui al rogo come eretico, e cerca di spiegare al prigioniero il perché di un potere teocratico esercitato con tanta spietatezza sugli uomini. Non è l’amore del potere fine a se stesso – dice l’Inquisitore –, non è nemmeno la brama di ricchezze e di privilegi. Non è simonia. È una superiore conoscenza dell’animo umano che la teocrazia (oggi la tecnocrazia) pretende di possedere: una capacità psicologica raffinata, che il Potere condivide coscientemente con il Diavolo. Il Diavolo che per tre volte tentò Gesù sulla terra, e «in quelle tre domande – spiega l’Inquisitore – è come riepilogata in un tutto unico e pronosticata l’intera storia futura dell’umanità». La tesi del Cardinale è che l’uomo il più delle volte non è all’altezza della libertà che il Cristo ha voluto insegnare, propagare. Il peso della libertà è troppo gravoso, la solitudine che essa comporta troppo difficile da reggere, le responsabilità che implica troppo esorbitanti per l’individuo singolo. Con la libertà puoi guadagnarti il pane celeste, forse, non quello terreno. Brecht fa dire a Mackie Messer, nell’Opera da tre soldi: «Erst kommt das Fressen, dann die Moral», «Prima viene l’abbuffata, poi la morale». L’assioma della teologia politica sarà superato in Europa solo dopo i due conflitti mondiali del Novecento – la lunga guerra dei trent’anni che dal 1914 va al 1945 – e in particolare dopo la seconda, quella cominciata a seguito della grande crisi economica del 1929. È in pieno conflitto che nasce, in Inghilterra, l’idea del welfare state, dello stato che si assume il compito di assicurare la vita del propri cittadini, di «proteggerli dalla culla alla tomba», disse Churchill. Un’idea che prenderà la forma di un piano circostanziato – il piano Beveridge – e che diverrà il modello per lo stato sociale in tutta l’Europa democratica del dopoguerra. A partire dalla costruzione del welfare la solidarietà diventa un comune obbligo, un’istituzione essenziale dello stato, un perno della sua Costituzione. Uno dei perni, perché non esistono stati sociali equi, se vengono meno gli al- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 tri elementi delle Costituzioni liberali: la separazione tra stato e Chiesa, dunque la laicità e il prevalere di norme comuni a tutti, Chiese comprese. E la separazione dei poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario. Non è più il samaritano solitario che soccorre il malcapitato percosso e abbandonato semi-morto sul ciglio della strada. Come diceva Federico Caffè, «l’equità è una forma di cittadinanza»», e questo vale anche per la cittadinanza europea: non c’è qualcuno che è equo nei confronti di un altro (che ha compassione, che stende la mano dall’alto). Il diritto al lavoro in condizioni di sicurezza fisica e psichica non è una pretesa soggettiva. È un fondamento dello stato di diritto, che i mercati non possono ignorare. Per questo suona assurdo quando gli economisti liberali se la prendono con lo stato sociale o sistemi giusti di tassazione, magari richiamandosi ad Adam Smith. Hanno dimenticato che Smith era un filosofo della morale, prima ancora che un economista o addirittura un inventore del capitalismo. Ecco cosa dice nella Teoria dei sentimenti morali: «Per quanto egoista si possa ritenere un uomo, ci sono evidenti principi nella sua natura per cui è interessato alle sorti degli altri, e che gli rendono necessaria l’altrui felicità, benché egli non ne guadagni nulla se non il piacere di contemplarla. Di questo genere è la pietà o compassione, l’emozione che proviamo per la miseria altrui... Il sentimento della pietà non è affatto prerogativa del virtuoso o del compassionevole, sebbene forse essi lo provino con più spiccata sensibilità. Nemmeno il più gran furfante, il più incallito trasgressore delle leggi della società ne è privo». La solidarietà (la «simpatia», nel linguaggio di Smith) è parte della Costituzione europea alla quale si dovrà lavorare, perché è in Europa che il nuovo potere si va formando, ed è il potere europeo – e non più solo il potere nazionale – che i partiti debbono creare e poi conquistare se vogliono che i loro programmi non siano, per inapplicabilità nazionale, aria fritta. Le stesse Costituzioni nazionali garantiscono sempre meno i cittadini. È un dato che i partiti non hanno ancora appreso, in nessuno dei paesi membri. Il tempo imbalsamato, mentre la storia precipita Fin qui il glossario, fatto di parole da rivedere, da riclassificare. I «conflitti» che non trovano modo né di esprimersi né di esser accolti o respinti sulla base di vere gerarchie; la «solidarietà» che è in declino fra ceti sociali e anche fra stati associati dell’Unione Europea: se sono temi così urgenti e drammatici vuol dire che la crisi che traversiamo non è solo economica, dei mercati. Quello che è avvenuto dopo il 2007-2009 ha esasperato una crisi che c’era già, perché è da molto tempo che la sovranità degli stati nazionali (sovranità degli stati ma anche dei popoli, delle singole Costituzioni) è fittizia, tenuta in piedi per la platea, per il compiacimento dei servizi diplomatici o di partiti che hanno la veduta corta non solo nel tempo ma nello spazio geografico. Sovranità che gli stati, in particolare, hanno perduto – senza mai ammetterlo – sin dalla fine della guerra dei trent’anni (intendo sempre quella del secolo scorso). Solo la Germania postbellica 633-640_dossier:Layout 2 26-10-2012 9:27 Pagina 637 l’ammise, perché dopo il 1945 fu trattata esplicitamente come nazione vinta, defraudata di sovranità. I vinti imparano dalla storia più rapidamente e saggiamente, spesso, dei vincitori. Anche se poi riscoprono la vecchia nazionalità con tanto più zelo. Quando dico che non c’è democrazia europea, non intendo quello che da anni si va dicendo, e cui ho già accennato: che un’unione vera non può formarsi se è sprovvista di demos, di un popolo omogeneo, con un passato condiviso lungo i secoli, addirittura con un’unica lingua. Non c’è democrazia perché i popoli non esercitano più un controllo sulle azioni dei propri governi, per quanto riguarda quella parte della politica (sempre più vasta) che essi decidono assieme agli altri governi europei, e in particolare assieme a quelli che hanno in comune la moneta. Non stupisce che la Corte costituzionale tedesca, non da oggi ma dal Trattato di Maastricht del ’92, si occupi con meticolosa insistenza della compatibilità fra Costituzione, ovvero stato di diritto, e impegni presi nell’Unione o nell’eurozona. Gli accordi su Fiscal compact e Fondo salvastati sono compatibili, in special modo, con il principio di democrazia che nell’art. 20 della Legge fondamentale tedesca fa discendere il potere dello stato dalla sovranità del popolo e dai suoi rappresentanti? Stupisce che sia solo la Germania a occuparsene. Il tempo imbalsamato, mentre la storia precipita. La nefasta lentezza con cui si muovono i politici, con cui agisce la BCE: nei libri di storia, se finisse l’euro, si parlerà di «strana disfatta» dovuta a questo tempo che s’insabbia: strana, perché essendo una disfatta politica e legata alla volontà più che finanziaria, poteva essere evitata. È il motivo per cui da molto tempo credo che la storia, contrariamente a quello che si dice, si debba fare proprio con i «se». Se la democrazia di Weimar fosse stata più forte e l’economia mondiale fosse stata risanata, se i potenti di allora avessero ascoltato Keynes, non è detto che avremmo avuto Hitler. Se la BCE fosse intervenuta non questo settembre ma subito, con le sue risorse, come un istituto d’emissione che si rispetti, non è detto che sarebbero state prese tutte assieme le misure di austerità che hanno provocato una contrazione dei redditi, in Grecia, che in genere prende più generazioni. Invece, per colpa dei ritardi, siamo non solo divenuti più poveri ma più incarogniti, acuendo i conflitti fra popoli dell’Unione, erodendo le democrazie, facendo di Atene un exemplum di nazione paria. Alcuni dicono che l’espulsione serve a sfamare un sotterraneo bisogno di punire, più che di aggiustare. Di sfasciare e comandare, più che di ricostruire e guidare. Anche per questo, incerti più che mai sulla voglia europea d’esistere, i mercati sono impazziti e forse impazziranno ancora. Sono assetati di sangue, è vero, ma perché da qualche parte si sta sgozzando un capro espiatorio. L’Unione già si trasforma Non sono dilemmi secondari, quelli trattati alla Corte di Karlsruhe: sono in gioco la sovranità del popolo, il suo inalienabile diritto di influire sulle politiche di bilancio nazionali. È in gioco il dovere di mantenere in vita un modello, nel nostro continente, che non è solo basato sul su- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 637 S tudio del mese 633-640_dossier:Layout 2 638 26-10-2012 9:27 Pagina 638 peramento politico delle sovranità nazionali ma anche su istituzioni stabili di solidarietà e welfare. Certo gli occhiali che usa la Corte sono fortemente nazionali: nulla pesa, nei suoi calcoli, la sovranità dell’intero popolo europeo, rappresentato con insufficiente forza e visibilità dal Parlamento europeo ma pur sempre rappresentato. Tuttavia è troppo facile tacciare i giudici di nazionalismo. Da quasi vent’anni essa s’accanisce su materie tutt’altro che inessenziali per noi tutti. Che sovranità possiedono esattamente gli stati, e come pesa l’Unione sulle sovranità dei popoli? Il Parlamento europeo ha la potenza indispensabile a incarnare un interesse generale europeo, cogente come quello delle nazioni e non percepito come forza esterna? Quel che è in questione è il profilo giuridico, costituzionale, politico che dovrà darsi l’Unione, ed è la direzione che vuol prendere, il «che fare», l’idea del mondo che vuole avere: sempre che la si voglia salvare (non lo sappiamo). Sempre che si voglia dire ai popoli il mondo che abitano e come evolverà. La cosa grave è che la Corte tedesca pensa, discute, sentenzia in totale isolamento. Nessun’altra Corte in Europa, o partito, o governo, ragiona su tali problemi. Ci si lamenta del peso abnorme dei giudici tedeschi, ma su Unione e sovranità democratica non circolano idee alternative, né tantomeno comuni. Neanche il Parlamento si lascia scuotere da accordi (Fiscal compact, Meccanismo di stabilità europeo ovvero Fondo salva-stati) che di fatto l’estromettono, non essendo trattati comunitari ma interstatali. L’Unione già si trasforma, determinando sempre più le vite dei cittadini, ma fino a quando non saranno sciolti i due nodi vitali – quello della democrazia, quello di un governo politico verso cui la BCE si senta responsabile – il suo potere sovranazionale (teocratico o tecnico che sia) sarà considerato illegittimo dai cittadini e dai mercati. L’indipendenza della BCE è importante, ma come giustificarla se il sovrano politico – a differenza dell’America, del Giappone, dell’Inghilterra – perde il dominio della propria moneta? Uno scettro è stato tolto agli stati, e giace per terra nella polvere. Solo in Germania è forte, in alcuni dirigenti, la coscienza che sia urgente codificare le presenti mutazioni: lo impone il principio di non contraddizione (non si può avere una moneta unica e 27 bilanci, 27 constituencies, elettorati). Il ministro del Tesoro Schäuble, ripetutamente descritto in Italia come il «falco», lo ha detto in piena crisi dell’euro, il 18 novembre 2011 a Francoforte: «Dall’8 maggio 1945 la Germania non è mai stata pienamente sovrana (...) e da almeno un secolo la sovranità è finita ovunque in Europa». Di qui la necessità di istituire una sovranità federale superiore: prospettiva invocata in Germania sin dal Trattato di Maastricht, e a quel tempo rifiutata dalla Francia di Mitterrand. Nel frattempo non sappiamo se la Germania voglia ancora l’unione politica che reclamava. Schäuble ad esempio evita la parola «governo»: usa l’opaco termine «governance». Ecco un’altra parola sospetta, costituzionalmente insignificante. Se è chiamato governance, non è vero governo. Ci sono vocabolari fatti per codificare l’impotenza dei cittadini e la perdita – questa sì grave – della loro sovranità. Viene in mente la risposta che Humpty IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Dumpty dà ad Alice, a proposito del potere sui vocabolari: «Quando uso una parola – dice – essa significa esattamente quel che scelgo che significhi, né più ne meno». La questione, obietta Alice, è se puoi far sì che le parole «significhino tante cose così differenti». Al che Humpty Dumpty: «La questione è chi è il padrone: tutto qui». Parlando dell’austerità in Grecia, e delle riforme strutturali utili al ritorno della crescita, il presidente della BCE Mario Draghi è ricorso a un’immagine forte. In un’intervista al Wall Street Journal, il 23 febbraio, ha detto che quel che si profila nell’Unione è un «nuovo mondo». Generalmente quando si annunciano nuovi mondi se ne seppelliscono di vecchi, malgovernati e dunque falliti. Goethe, ad esempio, era convinto che la Rivoluzione francese non avrebbe spazzato via i monarchi come «vecchie scope», se questi fossero stati veri monarchi. Lo stesso si può dire oggi dell’Europa, che versa in condizioni ancora peggiori di quei re: la corona non l’ha persa; non l’ha mai pienamente avuta. Non esiste un governo europeo che governi il caos. Non esistono partiti europei che si battano contro l’impotente potenza dei nazionalismi, letale per l’Unione e per loro stessi. Draghi ne trae la conclusione che l’Ancien régime abbattuto dal «nuovo mondo» è lo stato sociale, quasi quest’ultimo fosse simile ai sepolcri imbiancati descritti da Nietzsche, dove giacciono divinità ancora onorate, ma defunte: «All’esterno paiono belli, i sepolcri, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume», di ipocrisia e iniquità. Il sepolcro è il welfare: cioè quel sistema di protezione universale dai rischi della malattia, del lavoro, della vecchiaia, che gli europei si sono dati dopo il 1945. «Lo stato sociale è morto – is gone», annuncia il presidente della BCE, perché perde senso se non copre tutti i cittadini e se il lavoro resta duale: da una parte i giovani costretti alla flessibilità, dall’altra i protetti con salari basati sull’anzianità e non sulla produttività. Che cosa muore Naturalmente c’è del vero, nella denuncia del sepolcro-idolo. Lo stato sociale fallisce, a partire dal momento in cui non mantiene più la parola. Ma perché dire che come promessa è morto, gone? Perché nessun accenno al fatto che, essendo un patrimonio essenziale dell’Europa, va riorganizzato, ma non ucciso? In Germania, ricordiamolo, i sindacati hanno fatto sì che non morisse. Possibile che debba emergere da un certificato di decesso, il mirabile nuovo mondo che vedremo dopo austerità e liberalizzazioni? Il «brave new world» di Huxley – ricordiamocelo – è una distopia, un’utopia da ogni punto di vista negativa. In realtà sono decenni che lo stato sociale è sotto attacco, quasi che la solidarietà intesa come comune obbligazione in solido fosse un lusso ormai insano. Più fondamentalmente è sotto attacco lo stato: considerato esso stesso un rischio morale – un moral hazard – da politici ed economisti (i «pensatori» di Einaudi) abituati a nutrirsi di dottrine antistataliste. Su quel che accadrà nel nuovo mondo non ci si sofferma. Parole come povertà, penuria, declino demografico scompaiono, sostituite dal pulito, clinico eufemismo: «Ci sarà una contrazione». Torna in 633-640_dossier:Layout 2 26-10-2012 9:27 Pagina 639 PRIMO MAZZOLARI auge perfino la famosa certezza esibita dalla Thatcher: «Non c’è alternativa». Anche quest’affermazione è sbalorditiva, perché l’ideologia inglese e americana degli anni Ottanta è finita infelicemente. Il mercato-padrone, che da solo si equilibra, s’è infranto nel 2007-2008. Oppure no? Quel che conta è sapere che cosa muore, e che cosa si mette nel vuoto che resta. Rischia la morte quel che gli europei appresero nella crisi degli anni Trenta, e nel mezzo dell’ultima guerra mondiale. La prima cosa che scoprirono fu l’Unione europea, il «no» alle rovinose sovranità assolute degli stati nazionali: il Manifesto di Ventotene fu scritto nell’agosto 1941. La seconda fu il welfare, il «no» alla povertà che aveva colpito le genti negli anni Trenta, gettandole nelle dittature e nelle guerre: il Piano Beveridge che promette la pace sociale a completamento della tregua delle armi è presentato al governo inglese nel novembre 1942. Si tratta di due polizze d’assicurazione, offerte ai popoli per far fronte ai sinistri del passato, e tra esse c’è un nesso. Basti ricordare che Beveridge fu un militante dell’Europa federale. Come si tiene insieme una società? Come s’inverte l’attuale perverso ordine di priorità, scongiurando le guerre (civili o tra stati) senza distruggere lo scontro di idee nell’agorà? La duplice risposta europea (unione politica dotata di un comune Parlamento e welfare) fu data per evitare che la questione della povertà divenisse di nuovo mortifera. Nella Nascita della biopolitica, Michel Foucault sostiene che il welfare nasce come patto di guerra. Alle persone «che avevano attraversato una crisi economica e sociale gravissima», i governanti dissero in sostanza: «Ora vi chiediamo di farvi uccidere, ma vi promettiamo che, una volta fatto questo, conserverete il posto di lavoro sino alla fine dei vostri giorni». Cinque erano i «giganti» nei quali Beveridge vedeva i nemici della pace e della ricostruzione postbellica: Bisogno, Malattia, Ignoranza, Squallore, Svogliatezza o Indolenza. Tutti insieme andavano abbattuti, mentre ora pare si debba abbattere solo l’Indolenza: unico male temibile, fratello non più del bisogno o dello squallore ma di quel welfare che era stato escogitato proprio per evitare la caduta nella disperata svogliatezza cittadina. L’essere umano non è guardato con apprensione: è guatato con sospetto, ridotto a minorenne, e sul sospetto non si edificano polizze né patti. Nel glossario andrebbe messa anche la parola azzardo morale, nuovo supremo disvalore. Tale è la sfiducia nell’essere umano: ogni polizza d’assicurazione non farà che accentuare la sua malvagia tendenza ad approfittarne, a diminuire l’autodisciplina. È un vocabolo da Grande inquisitore. Per la verità anche Foucault denunciò la «coppia infernale sicurezza sociale – dipendenza», negli anni Ottanta. Di fronte a una «domanda infinita», s’ergeva (e andava riconosciuta) la «finitudine» del welfare. La sua finitudine, le sue auto-limitazioni: non la sua morte, non la diffidenza reciproca e fatale fra uomini. Il welfare è nato come contrappeso a processi economici selvaggi, ed era assurdo gettarlo via. Altrimenti crescita e benessere sarebbero dipesi solo da concorrenza e privatizzazioni: un’ennesima utopia, lo si era visto negli anni Trenta- IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 639 La Via crucis del povero Edizione critica a cura di Giorgio Campanini L a Fondazione Don Primo Mazzolari e le EDB proseguono nell’edizione critica delle opere del parroco di Bozzolo. Egli qui espone una prolungata meditazione sulla Passione e focalizza il problema della povertà: rivestita di un senso nuovo, la pia pratica diviene l’esame di coscienza di una comunità cristiana interpellata dal dramma del Venerdì Santo. «PRIMO MAZZOLARI» pp. 200 - € 15,00 Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it JEAN-LOUIS SKA «I nostri padri ci hanno raccontato» Introduzione all’analisi dei racconti dell’Antico Testamento I racconti biblici non sono nati per informare sul passato, né per elaborare una teologia sistematica, ma per trasmettere esperienze vitali. Analogamente l’autore, tra i massimi esperti di Antico Testamento, non fornisce analisi compiute ma una «cassetta degli attrezzi»: il significato di un racconto è infatti inseparabile dall’esperienza della lettura. «BIBLICA» pp. 208 - € 19,00 Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it S tudio del mese 633-640_dossier:Layout 2 640 26-10-2012 9:27 Pagina 640 Quaranta. La crisi di oggi ci riporta a quegli anni di presa di coscienza sull’orlo del disastro. È il «patto di guerra» che stavolta è assente, in Europa. È la memoria di quel che escogitarono uomini come Keynes, Beveridge, Roosevelt con il suo New Deal. La necessità di una federazione politica Ci sono momenti nella vicenda europea dei debiti sovrani in cui si ha l’impressione, netta, che sulla pelle dei greci si stia ingaggiando una prova di forza più dottrinale che pratica, una specie di regolamento dei conti con Keynes e Beveridge. Si vuol capire sin dove regga un paese, se impoverito e sfrondato di stato sociale. È la tesi di Michael Hudson, economista dell’Università del Missouri a Kansas City: «La crisi greca è usata come esperimento di laboratorio, per vedere fino a che punto la finanza può spingere verso il basso i salari e privatizzare il settore pubblico (…). È come nutrire sempre meno un cavallo per vedere se sarà più efficiente, fino a quando le gambe gli si piegano e muore».3 Con decenni di ritardo, molti economisti e politici sembrano riesumare l’illusione del 1989, quando Francis Fukuyama dichiarò finita la Storia. I patti sociali del dopoguerra son giudicati inservibili, ora che è naufragato lo stimolo che fu il comunismo. Quel che prevale è una sorta di spirito anti-conciliare: allo stesso modo in cui la Chiesa disattende sovente la sua stessa dottrina sociale (meno in Europa, più in America, dove appoggia l’avversario di Obama e l’offensiva contro l’assistenza pubblica), gli stati affossano la giustizia sociale che essi stessi si diedero come medicina. Pensano di poter fare l’Europa così, sognando di sospendere lo stato sociale e l’agorà democratica con le sue sempre possibili alternative. Non riusciranno, perché un’Europa siffatta è costruzione vana, dietro la quale non ci sono più comunità di uomini, ma cavalli cui vengono spezzate le gambe. Vorrei finire evocando un autore poco noto, un federalista inglese dell’Ottocento, Robert Seeley, storico dell’Impero britannico. In un discorso tenuto nel 1871, Seeley discute la possibilità di finire le guerre in Europa e di inaugurare una pace duratura, attraverso forme di arbitrato che tolgano le controversie dalle mani dei contendenti, deferendole a un terzo di accertata perspicacia, imparzialità e diligenza, e convincendo le parti ad adottare la decisione di questo terzo, con impegno vincolante. Il terzo deve essere a suo parere una Corte suprema europea: un’autorità superiore a stati incapaci altrimenti di convivere in pace. È straordinario come i problemi si ripropongano tali e quali, un secolo e mezzo dopo: basta che al posto della Corte immaginata da Seeley mettiamo la BCE, o gli strumenti comuni che dovrebbero gestire oggi la crisi e garantire la solidarietà: Fondo salva-stati, eurobond, messa in comune delle politiche finanziarie degli stati membri attraverso il Fiscal compact. Ebbene, che cosa diceva Seeley a proposito della Corte cui doveva essere affidato l’arbitrato? Diceva che da sola tale Corte era destinata a fallire, perché l’organizzazione politica del mondo attorno a lei non mutava: «È evidente che il sistema giudiziario è strettamente legato alle altre istituzioni di uno stato; che esso cresce con la crescita del sistema nel suo complesso, e che si modifica nel corso di tale IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 sviluppo».4 Una Corte isolata (una banca centrale solitaria, un fondo anti-crisi) è inimmaginabile, se avulsa dagli altri organi dello stato ai quali essa deve essere strettamente connessa. Se non rende conto ad alcun potere esecutivo o legislativo. Se non è legittimata democraticamente, dunque controllata da un Parlamento comune, diverso dai Parlamenti nazionali. Di qui la necessità di una federazione politica, di cui la Corte diventa parte e che s’incarichi di dare esecuzione alle decisioni giudiziarie: «Un giudice – scrive Seeley – non è semplicemente una persona che valuta le prove ed emette verdetti: è una persona che è stata investita di quell’ufficio da un potere riconosciuto competente a conferirlo, ed è anche una persona le cui decisioni vengono regolarmente rese esecutive da un potere cui è riconosciuta tale competenza. I giudici, perciò, o i tribunali, non possono esistere isolati, ma sono necessariamente collegati ad altri poteri: un potere di nomina, un potere di disciplina e un potere di attuazione. Là dove s’incontrano tutti questi poteri – un potere di nominare i funzionari, un potere di regolazione o legislativo, un potere giudiziario e un potere di eseguire le sentenze – si ha l’organizzazione completa dello stato; ciò dimostra che la Corte implica lo stato e, come conseguenza necessaria, che una Corte internazionale implica uno stato internazionale o federale». Lo stesso – sia detto per inciso – si potrebbe affermare a proposito della Corte penale internazionale. Anche prescindendo dal fattore debilitante che è l’assenza di stati come Stati Uniti o Israele, come può tale tribunale conquistarsi prestigio e legittimità senza un governo mondiale? Per finire, Seeley indicava una cosa molto importante per tutti noi, sia di metodo sia di politica: «È un equivoco giudicare la possibilità di riuscita di un’impresa solo in base agli ostacoli da rimuovere: ciò che conta è il rapporto fra tali ostacoli e le forze di cui si dispone. Un progetto quale la Federazione europea merita forse un po’ di quell’entusiasmo che rifiuta di scorgere gli ostacoli, e non vede altro che l’auspicabilità del fine da raggiungere. Quando accettiamo di essere schiacciati dal peso di ciò che dobbiamo rimuovere, teniamo sufficientemente conto delle leve che abbiamo a disposizione?». Ecco quel che diceva. È difficile? Certo che è difficile. Ogni cosa grande lo è. O siamo qui per fare e pensare solo cose facili e per giunta inutili? Barbara Spinelli* * Questa conferenza su «L’Europa tra solidarietà e conflitti», di cui qui proponiamo il testo per gentile concessione dell’autrice, è stata pronunciata a Piacenza il 30 settembre 2012, nell’ambito del Festival del diritto. L’immagine a p. 633 ritrae un particolare del Wall Project organizzato dal Wende Museum di fronte al Los Angeles County Museum of Art per il ventennale della caduta del Muro di Berlino (2009; foto di P.-S. Thomas); quella di p. 637 ritrae una parte del Muro di Berlino presso la Porta di Brandeburgo durante una manifestazione (marzo del 1990; foto attribuita a E. Kolodziej). 1 L. EINAUDI, articolo su La Stampa, 20.8.1897. 2 Cf. L. NAMIER, La rivoluzione degli intellettuali e altri saggi sull’Ottocento europeo, Einaudi, Torino 21972, 166.169. 3 Cf. michael-hudson.com, «Greek strategy», 15 febbraio 2012. 4 J.R. SEELEY, «Gli Stati Uniti d’Europa», testo del 1871, in Il Federalista 31(1989) 2. 641-643_articolo_subini:Layout 2 25-10-2012 CINEMA 19:18 Pagina 641 I colori della passione d’ arte, di storia e di fede È possibile fare di un dipinto del Cinquecento la materia di un film? I colori della passione del regista polacco Lech Majewski fornisce alla domanda una risposta senz’altro positiva. Del resto non è la prima volta che il cinema trae ispirazione dalla storia dell’arte «ricostruendo» con i propri mezzi audio-visivi veri e propri «quadri viventi» (tableaux vivants) all’interno delle proprie narrazioni: anzi, si può dire che fa questo fin dalle sue origini. Ma qui l’operazione è compiuta con una coscienza e una maestria tali da lasciare impressionati. La complessità che investe tanto le intenzioni iniziali dell’artista quanto i risultati effettivamente conseguiti richiede di essere almeno in parte sciolta da una lettura che dia qualche ausilio interpretativo. Cerchiamo anzitutto di fornire una breve descrizione dell’opera, per intendere di cosa effettivamente tratta. Il testo presenta se stesso attraverso una cornice nella quale Pieter Bruegel (comunemente noto come Bruegel il Vecchio) parla a un amico (banchiere e collezionista di sue opere) di un dipinto a cui sta lavorando: si tratta di uno dei suoi lavori più celebri, L’andata al Calvario, realizzata nel 1564. Questo dialogo iniziale fornisce la chiave per intendere non solo il dipinto conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna ma anche il film: «Questo potrebbe essere un gruppo di santi, che torna dal passato per piangere l’attuale sorte delle Fiandre». La battuta stabilisce una con- L’ a n d a t a a l C a l v a r i o d i P. B r u e g e l ( 1 5 6 4 ) protagonista del film di Majewski nessione forte tra un presente «attuale» di cui piangere, da collocarsi appunto nelle Fiandre della seconda metà del XVI secolo, durante l’occupazione spagnola, e un passato «mitico» da cui provengono i santi evocati, da collocarsi nella Gerusalemme dell’andata al Calvario. Esattamente come l’opera di Bruegel apre uno squarcio nel tempo per consentire ai santi di tornare dal passato per piangere l’attualità, così il film altro non fa che aprire un se- condo squarcio nel tempo per consentire allo stesso dipinto di Bruegel di tornare dal suo passato e parlare allo spettatore d’oggi: è da intendersi in quest’ottica l’ultima sequenza (anch’essa di cornice) ambientata nella sala del Kunsthistorisches. All’interno di questa doppia cornice (quella più esterna costituita dall’odierna sala del museo, quella più interna costituita dal dialogo tra Bruegel e l’amico banchiere ambientato nelle Fiandre) si dipana la ricostruzione de L’andata al P. Bruegel, L’andata al Calvario. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 641 641-643_articolo_subini:Layout 2 25-10-2012 19:18 Pagina 642 tamente veicolato proprio dalla vicenda dei due giovani sposi che, dopo aver mangiato la loro colazione, si recano al mercato per vendere un loro vitellino. Al momento dell’arrivo dei soldati a cavallo, serve poco che l’uomo cerchi di scappare: accusato di essere un eretico, viene massacrato di botte e legato a una ruota issata su un alto palo dove il suo corpo è dato in pasto agli uccelli rapaci. Alla moglie non resta che piangere, come una Maria ai piedi della croce. C. Rampling in una scena de I colori della passione. Calvario. Siamo insomma di fronte a un complesso gioco di scatole cinesi, nel cui cuore pulsa «la più grande storia mai raccontata» (per dirla con il titolo di un altro film), vale a dire la Passione di Gesù. Con una scelta di grande efficacia il film sviluppa la narrazione bloccata e senza tempo del dipinto bruegeliano con propri mezzi specifici: il che significa dare alle immagini il movimento, collocandole in un tempo continuo. Da qui l’idea di trasformare l’attimo assoluto di Bruegel in un’intera giornata, scandita nei suoi momenti forti: l’alba, il meriggio, la notte. Nel corso di questa giornata assistiamo alla vita di un borgo contadino ai piedi di una rupe sulla cui cima, imponente, è collocato un mulino a vento. Governato da gendarmi a cavallo in casacca rossa (gli occupanti spagnoli), il corteo che accompagna Gesù al patibolo attraversa tale borgo, popolato di centinaia di personaggi per nulla coinvolti dall’evento straordinario che sta accadendo sotto i loro occhi indifferenti. Esattamente come accade nel dipinto di Bruegel. Il racconto della giornata che vide la morte di Gesù si apre su due ta- 642 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 glialegna che, nel buio della notte, attraversano il bosco alla ricerca di un lungo tronco che servirà, scopriremo, per mettere a morte un eretico; si sposta poi su una squadra minacciosa di soldati spagnoli a cavallo, per soffermarsi poco dopo sul risveglio del villaggio. Quest’ultimo ci è restituito nel corso di tre bellissime sequenze di stampo descrittivo che non vanno assolutamente intese come digressioni fini a sé stesse, ma che invece «ambientano» il dipinto, fornendo con il vigoroso realismo tipico del mezzo cinematografico il contesto nel quale collocare l’evento della Passione. In particolare la macchina da presa entra in tre case per mostrarci i primi attimi della giornata di tre coppie tutte, a loro modo, protagoniste del film: la casa, piena di amore, di due giovani sposi; la casa, carica di responsabilità, del vecchio mugnaio, che appena alzato dal letto sveglia il garzone affinché faccia partire le pale del mulino; la casa, colma di esuberante fantasia... e di figli, di Bruegel. Il parallelismo tra le sofferenze di Gesù e quelle del popolo fiammingo sotto la dominazione spagnola è aper- Un groviglio di fonti Ma il film segue anche il pittore durante le diverse fasi del suo lavoro: lo vediamo aggirarsi tra la folla riempiendo di schizzi i grandi fogli di un libro che porta sempre con sé. Quanto osserva e ritrae trova una sua collocazione all’interno del dipinto: ma come farci stare tutto? È lo stesso Bruegel a spiegarlo, dopo aver a lungo osservato un ragno tessere una grande e robusta tela: «Il mio dipinto – precisa – dovrà raccontare molte storie ed essere grande abbastanza da contenere tutto: ogni cosa e ogni persona. Lavorerò come il ragno che questa mattina ho visto costruire la sua tela. Per prima cosa, esso trova un punto di ancoraggio». Il punto cui tutto si àncora, al centro della tela, è proprio quello dove trova collocazione la Passione di Gesù. Così accade nel dipinto di Bruegel, così anche nel film di Majewski. Si è già detto della complessità che risiede nella concezione e nella realizzazione di quest’opera. Tale complessità emerge con chiarezza dal groviglio di fonti che l’hanno originata: il dipinto di Bruegel rappresenta infatti la fonte primaria del film ma non certo l’unica. A un secondo livello, il film di Majewski trae il proprio materiale ispiratore dal volume The Mill e and the Cross (una dettagliata analisi de L’andata al Calvario di Bruegel) dello storico dell’arte Michael Francis Gibson, direttamente coinvolto nel progetto in qualità di sceneggiatore. La natura della collaborazione tra Majewski e Gibson è spiegata da quest’ultimo in questi termini: «Ho incontrato Majewski nel (…) 2004. Gli ho detto che qualche anno prima (2001) avevo pubblicato 641-643_articolo_subini:Layout 2 25-10-2012 questo libro in inglese, dopo averlo tradotto dall’originale francese uscito nel 1996. Quando gliel’ho dato si è dimostrato entusiasta, così gli ho mandato una proposta che avevo scritto (non specificamente pensando a lui) per un film sull’argomento, ma io avevo in mente un documentario. Lui è venuto da me dicendo, no, non un documentario, ma un film con gli attori! Sceglieremo una dozzina di personaggi all’interno del dipinto e seguiremo la loro giornata dall’alba al tramonto».1 Guardando a Tarkovskij L’approccio all’opera di Bruegel è insomma tutt’altro che ingenuo e impressionistico, al contrario si fonda su un approfondito studio. L’intellettualismo che ne deriva, piuttosto che urtare (se ne avverte il rischio solo in pochi isolati momenti didascalici), fornisce al film solidità d’impianto, chiarezza di prospettive, coerenza interpretativa. Questo non significa tuttavia che l’elaborazione creativa, il guizzo della fantasia e il piacere della narrazione siano esclusi da un’opera che ha sempre saputo di essere un film di finzione e non un documentario. Vi è poi un ulteriore livello (più sfuggente e difficile da decifrare ma forse ancor più determinante sul piano della resa estetica del film) che definisce le fonti di ispirazione del regista: se il primo livello è pittorico, il secondo letterario (sebbene di un genere preciso, quello del saggio), questo terzo livello è prettamente cinematografico e si compone di più riferimenti amalgamati in una sintesi originale e fascinosa. Mi limito a indicarne due, quelli che mi paiono i più pregnanti: da un lato Tarkovskij, dall’altro Pasolini, per il modo con cui entrambi hanno rappresentato nei loro film la Passione di Gesù. Si torni con la mente al terzo episodio di Andrej Rublev (1966) di Tarkovskij, intitolato La Passione secondo Andrej, nel corso del quale il protagonista del film (anch’egli pittore), in occasione di un serrato confronto di natura estetico-religiosa con il collega Teofane sullo scopo e sul valore dell’arte, immagina una rappresentazione popolare della Passione: 19:18 Pagina 643 Teofane: «Il giorno del giudizio s’avvicina e noi bruceremo tutti come tante candele e io lo vedo già che cosa succederà quel giorno: ognuno darà la colpa di quello che ha fatto agli altri e giurerà di essere innocente». Andrej: «Come fai a dipingere se hai queste idee non lo capisco e ad accettare le lodi che ti fanno. Io mi farei eremita e andrei a vivere in una caverna per sempre». Teofane: «Io servo Dio, non gli uomini. Oggi gli uomini ci lodano, domani ci copriranno di insulti e il giorno dopo si dimenticheranno di noi completamente. (…) Se Gesù tornasse sulla terra io credo che sarebbe crocifisso di nuovo, tale e quale come allora». Mentre l’artista per Teofane è al servizio di Dio, per Rublev è al servizio del popolo, che diviene infatti il vero protagonista della sequenza (immediatamente successiva) della Passione: Andrej: «È vero, Giuda vendette Cristo. Ma chi lo comprò? Il popolo? I farisei e gli scribi! Ma non trovarono un testimone contro l’innocente. E chi avrebbe diffamato un innocente? Ma i farisei erano maestri dell’inganno. Avevano il potere e lo mantenevano sfruttando l’ignoranza del popolo. I popoli hanno bisogno che qualcuno ricordi loro che sono popoli: come i russi che hanno un solo sangue, una sola terra. Il male è dappertutto, c’è sempre qualcuno che ti vende per trenta denari. La sventura si accanisce sempre sui poveri, come i Tartari, le carestie, la peste. E la gente lavora e lavora e lavora… porta la sua croce con rassegnazione, senza ribellarsi, senza tentare di difendersi. Prega il Signore perché gliene dia la forza. Come può non perdonarci, il Signore? Certo che lo farà!». guinati e così facendo sovrappone l’archetipo al presente, la sofferenza di Gesù alla sofferenza del popolo sotto la dominazione straniera. Il film di Majewski si colloca nel solco di questa tradizione attualizzante guardando, oltre che a Tarkovskij, quasi certamente anche al nostro cinema italiano. In particolare mi pare possa aver in qualche modo funzionato da modello il cinema religioso di Pasolini: la tecnica del tableau vivant, le suggestioni coloristiche dalla forte attrattiva, l’intellettualismo dell’impianto, l’idea di costruire un discorso che si sviluppa su più livelli in dialogo tra loro, il continuo rispecchiamento di senso tra quanto è interno e quanto è esterno, tra la storia e il mito, tutto ciò potrebbe essere stato in qualche modo suggestionato da una celebre Passione pasoliniana, quella de La ricotta (1963). Gli eterogenei materiali di questo film, vale a dire le sue variegate fonti pittoriche, saggistiche ed estetiche, si compongono dunque in una complessa riflessione che, prendendo spunto dall’opera di Bruegel, mette in scena un quadro storico illuminandolo con la luce del mito cristiano. Tutto ciò appare di un’evidenza quasi sconcertante nella sequenza della morte di Gesù, dove gli stratificati piani del discorso messo in gioco da Majewski si fondono nel momento in cui lo spettatore sente i soldati, che giocano ai dadi sotto la croce, parlare tra loro spagnolo. Tutto insomma, anche quanto di terribile è storicamente accaduto nelle Fiandre della seconda metà del XVI secolo, è preso in carico dal piano del mito (o, se si vuole, della fede), che assegna un senso all’insensato. E Dio? «Dio – come dice Bruegel nel film – guarda: è il Grande mugnaio del cielo che macina il pane della vita e del destino». Dio, grande mugnaio Tali parole suonano a commento di una delle salite al calvario più liberamente ispirate, e insieme più strazianti, della storia del cinema. Messa da parte ogni preoccupazione di verosimiglianza, Tarkovskij trasforma l’arido Golgota in una innevata collina russa dai fianchi insan- Tomaso Subini 1 «Michael Francis Gibson on The Mill and the Cross», intervista a cura di Colette de Castro e Moritz Pfeifer pubblicata sul sito web all’indirizzo http://eefb.org/archive/march2011/michael-gibson-on-the-mill-and-thecross/. Nostra traduzione dall’inglese. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 643 p 644-645_parole:Layout 2 p arole 26-10-2012 9:15 Pagina 644 delle religioni Il Dio creatore Sui ricorrenti tentativi di cercare confer me scientifiche nella Bibbia A nche i teologi, al pari di tutti gli esseri umani, sognano. A volte però anche i loro sogni sono teologici e ciò non è da tutti. Un illustre esponente di questa nobile categoria sognò di morire e di giungere alle porte del Paradiso. Bussò e si presentò al custode qualificandosi come un uomo giusto che, attraverso il suo lavoro, aveva fatto crescere la gloria di Dio. Ottenne una risposta sconcertante: come potrebbe, un essere buffo come lui, aumentare la gloria dell’Altissimo? E poi, cosa mai significa questa strana parola “uomo”? Il custode non l’aveva mai sentita; si rivolse perciò al bibliotecario, un essere globulare dotato di mille occhi. Gli pose la questione di cosa volesse dire il termine “uomo” e che cosa s’intendesse per abitare su un pianeta sconosciuto chiamato “Terra”. Anche il bibliotecario non lo sapeva, inoltre ignorava l’espressione “Sistema solare”. Anche “Via lattea” non gli disse nulla. Il termine “galassia” gli risuonò più famigliare, sapeva che nell’universo ce n’era qualche centinaio di milioni. Ma appunto per questo era impossibile ricordarle tutte. Affidò l’indagine a un sottobibliotecario specializzato in materia. Quest’ultimo, dopo estenuanti ricerche di archivio, s’imbattè in un riferimento alla Via lattea. Trovata la galassia giusta, il suo compito non era ancora finito: tra i 300 miliardi di stelle che la componevano doveva individuare il Sole. Il sotto-bibliotecario affidò il compito a un suo collaboratore il quale, dopo vari anni di duro lavoro, trovò finalmente il Sole, stupendosi peraltro non poco per quello spasmodico interesse riservato a una stella molto simile a miliardi di altre. Invero essa era circondata da alcuni pianeti; inoltre su uno di essi vi erano dei parassiti e ipotizzò che lo scopo dell’indagine li riguardasse. Il nostro teologo fu costretto a prendere atto d’essere un microbo di un minuscolo corpo celeste che ruota attorno a un piccolo astro appartenente a un insieme di 300 miliardi di stelle sperso tra molti milioni di altre galassie. La sua reazione fu violenta: “Non posso sopportarlo, e non posso adorare il mio Creatore”. Il custode ne prese atto e invitò l’uomo a recarsi nell’“altro posto”. A questo punto il teologo si svegliò e constatò con rammarico il tremendo potere che Satana ha sui nostri sogni». Quel bat ter di ciglia della cultura occidentale Questo immaginifico racconto, in cui Bertrand Russell1 dispiega la sua ironia britannica, espande, in modo narrativo, quanto 644 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 asserito in maniera aforistica da Friedrich Nietzsche nelle Considerazioni inattuali: «In qualche remoto angolo dell’universo diffuso e folgorante in innumerevoli sistemi solari c’era una volta un astro, su cui degli intelligenti animali scoprirono la conoscenza. Fu il momento più orgoglioso e mendace della “storia del mondo”: un minuto soltanto. Dopo pochi respiri della natura l’astro s’irrigidì e gli intelligenti animali dovettero morire». Per la conoscenza umana – sia o non sia in se stessa mendace – è un paradosso affermare il proprio non senso e lo sconcerto al riguardo è giustificato. Rimane comunque incontrovertibile rendersi conto che la cultura occidentale, in virtù delle sue stesse elaborazioni, si è accorta di rappresentare solo l’ultimo, fuggevole batter di ciglia della storia umana, per non parlare di quella, immensa, dell’intero universo. Nel giro di due-tre secoli, in Occidente le maniere di concepire lo spazio e il tempo si sono dilatate al di là d’ogni immaginazione precedente. In effetti, l’ipotesi dell’infinità dell’universo ha avuto sostenitori fin dall’antichità. Tuttavia essi andavano annoverati o tra gli atomisti materialisti o tra i panteisti, stando ai quali una causa infinita produce, per necessità, un effetto anch’esso infinito. Molto raro era invece scovare i propugnatori di un universo infinito tra coloro che professavano la loro fede affermando di credere in Dio «Padre onnipotente creatore del cielo e della terra». Le dimensioni attuali dell’universo sono, in genere, stabilite in 13 miliardi e 700 milioni d’anni luce. Si tratta di una grandezza spaziale, e di riflesso temporale, non infinita; essa è però tale da essere non rapportabile alla civiltà umana sviluppatasi su questa terra. Di fronte a quell’abisso spazio-temporale ogni manifestazione dell’umano sembra perdere consistenza. All’interno dell’elaborazione culturale occidentale è, quindi, sorta una sfida gigantesca (è il caso di dirlo) che si può esprimere in questi termini: lo sviluppo della ricerca si è spinto fino a un punto in cui è obbligo concludere che tanto la Terra quanto gli intelligenti animali che la abitano hanno perso, per sempre, qualsiasi centralità. Rispetto a tutto ciò vi sono risposte classiche. In età moderna una delle più celebri è quella proposta da Kant nella Critica del giudizio. Si potrebbe riassumerla così: di fronte all’infinita grandezza e potenza della natura siamo quasi nulla, eppure la possiamo pensare e ciò attesta la nostra superiorità morale. A prescindere da qualunque rigore filologico, si può affermare che Kant si muove in un’area paragonabile a quella espressa da Pascal allorché definisce 644-645_parole:Layout 2 26-10-2012 9:15 Pagina 645 l’uomo una canna pensante. In ogni caso si tratta di una dimensione soggettiva – il «sublime» kantiano – impossibile da trascrivere nell’ambito della conoscenza, sia essa scientifica o metafisica. Le cose visibili e quelle invisibili «Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili». Il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 326) si preoccupa di spiegare che questa espressione nella Bibbia significa «tutto ciò che esiste, l’intera creazione»; mentre cielo è anche il «luogo» di Dio e «delle creature spirituali, angeli». La Genesi inizia, come tutti sanno, proprio così: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1) (il secondo racconto della creazione capovolge però l’ordine: «Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo»; Gen 2,4b). Non vi è dubbio che lì si volesse dire la totalità del creato; l’affermazione, però, faceva tutt’uno con il dichiarare la centralità della Terra. Il quadro cosmologico d’allora comportava una terra piatta circondata dalle acque inferiori al di sopra delle quali si estendeva il cielo a sua volta separato dalle acque superiori dalla calotta solida del firmamento. In ebraico cielo si dice shamayim che significa appunto «tra le acque». Quando recitiamo il Padre nostro sappiamo che la specificazione «che sei nei cieli» va intesa in senso metaforico; allorché pronunciamo il Credo la questione non è molto diversa. Definire alla lettera l’universo come «cielo e terra» è improprio quanto intendere il cielo fisico come effettiva sede di Dio. «Di tutte le cose visibili e invisibili». La frase, di derivazione non biblica, fu aggiunta a suo tempo in funzione antignostica. Con essa ci si voleva opporre a coloro che, da un lato, ritenevano Dio autore delle realtà spirituali, mentre, dall’altro, assegnavano a un Demiurgo malvagio la plasmazione dell’universo materiale. Il Credo vuole quindi affermare che un solo Dio è la fonte prima di tutto quanto esiste. Tuttavia il discorso esige di concludere che le cose invisibili sono spirituali mentre quelle visibili sono materiali. Anche tutto ciò è ormai metaforico. Si sa che al giorno d’oggi è proprio l’invisibile a essere il regno predominante della fisica. È tuttora arduo definire con precisione cosa sia la materia oscura; tuttavia si sostiene che il suo contributo all’energia dell’universo è almeno cinque volte maggiore di quello della materia normale, mentre, a quanto ne sappiamo, l’energia oscura costituisce il 73% dell’intero universo, contro il 27% dovuto alla materia (normale e oscura). La consapevolezza di parlare attraverso metafore comporta la rinuncia di trovare nella Genesi (e in qualunque parte della Bibbia) nozioni che abbiano ancora a che fare con la nostra descrizione fisica dell’universo. In linea di principio l’affermazione è condivisa da gran tempo. Nel Dibattito con Felice Manicheo, Agostino afferma che: «Non si legge nel Vangelo che il Signore abbia detto: Vi manderò il Paraclito che vi insegnerà come vanno il Sole e la Luna. Voleva fare dei cristiani, non dei matematici».2 Tuttavia a essa è difficile rimaner fedeli fino in fondo. Ciò avviene perché ogni riferimento antico al Dio creatore collega il suo operare a quella maniera di concepire il mondo (o ad altre visioni cosmologiche anch’esse anacronistiche). L’accostamento rivela la grande difficoltà di pensare Dio, sulla scorta dell’eredità biblica, come il creatore dell’universo così come ora lo conosciamo. La Bibbia presenta Dio creatore del cielo e della terra in quanto lo colloca in relazione con le sue creature ed è in questo contesto che l’Adam occupa un posto particolare. Finché si raccontano le storie bibliche si riesce ancora a pensare che Dio sia in relazione con il suo mondo e con noi. Tuttavia ciò diviene assai poco pertinente quando si vogliono incrociare quelle narrazioni con i modi contemporanei di descrivere il sorgere e l’espandersi del cosmo. Eppure sembra di essere di fronte a una specie di coazione a ripetere: quasi ogni volta che ci si occupa dei primi capitoli della Genesi si affaccia l’ombra del confronto con la scienza.3 Di norma si ripeterà che i discorsi vanno distinti, i piani separati e si aggiungerà che non c’è opposizione tra fede e scienza e così via. Ma perché, allora, si continua a riproporre il problema? Forse semplicemente perché ancora non ci si rassegna a considerare le storie della Genesi per quel che soprattutto sono: non una descrizione del sorgere dell’universo ma una possibilità che ci è data di guardare al cielo e alla terra con occhi consapevoli e benedicenti (il che, in effetti, costituisce una specie di variante «teologica» del sublime). Piero Stefani 1 B. RUSSELL, L’incubo del teologo in Dio e la ragione, a cura di A. Seckel, Newton Compton, Roma 1994, 299-301 (il breve scritto risale al 1961). 2 Opere di Sant’Agostino, vol. XII/2, Città Nuova, Roma 2000, 124. 3 Non fanno eccezione al riguardo gli atti della XLI Settimana biblica nazionale (Roma, 6-10.9.2010), «Genesi 1-11 e le sue interpretazioni canoniche: un caso di teologia biblica», in Ricerche storico bibliche 24(2012) 1-2, che si aprono con una tavola rotonda dedicata a «Gen 1-11 tra esegesi e scienza» con interventi di U. AMALDI, «Gen 1-11 e il “naturalismo duale”», e di G. RAVASI «L’uomo biblico e la scienza moderna». DIREZIONE E REDAZIONE Via Nosadella, 6 - 40123 Bologna tel. 051/3392611 - fax 051/331354 www.ilregno.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE Gianfranco Brunelli CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ Guido Mocellin CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI p. Marco Bernardoni SEGRETARIA DI REDAZIONE Chiara Scesa REDAZIONE p. Marco Bernardoni / Gianfranco Brunelli / Alessandra Deoriti / p. Alfio Filippi / Maria Elisabetta Gandolfi / p. Marcello Matté / Guido Mocellin / p. Marcello Neri / p. 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Il n. 17 è stato spedito il 15.10.2012; il n. 16 il 3.10.2012. In copertina: «Save our Planet», Graffito sul muro di Berlino. Registrazione del Tribunale di Bologna N. 2237 del 24.10.1957. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana L’editore è a disposizione degli aventi diritto che non è stato possibile contattare, nonché per eventuali e involontarie inesattezze e/o omissioni nella citazione delle fonti iconografiche riprodotte nella rivista. STAMPA IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 645 i 646_lettori:Layout 2 25-10-2012 19:27 Pagina 646 i lettori ci scrivono Siria: una guerra regionale con ramificazioni globali? Caro direttore, come contributo alla discussione sulla crisi siriana le invio questo testo, tradotto dall’arabo e dall’inglese, che è stato pubblicato l’8 ottobre nel blog (http://amersabaileh.blogspot.com) di Amer Al Sabaileh. «Mentre il percorso della crisi siriana si sta sempre più indirizzando verso una soluzione politica, ci si aspetta un aumento della violenza. In questi giorni la Siria sta diventando il bersaglio sempre più frequente di attacchi terroristici. Questi attentati riflettono gli sforzi da parte dei “nemici della Siria” di far fallire il processo di transizione pacifica del paese portando a un confronto militare diretto. Questo gruppo di paesi “anti-Siria” (Turchia, Qatar, Arabia Saudita) hanno la convinzione che una transizione politica potrebbe avere un effetto destabilizzante per i loro paesi. Porre fine alla violenza in Siria è stato il primo passo nella road map dell’inviato dell’ONU a Damasco, Lakhdar Brahimi. Se non riuscisse a porre fine alla violenza cadrebbe anche l’ultima speranza di trovare una soluzione alla crisi. Cosi l’attacco turco contro la Siria arriva in un momento in cui i turchi si sentono abbandonati dai loro alleati coinvolti nella crisi siriana. Né gli Stati Uniti né la NATO hanno espresso alcun interesse per un’escalation militare della crisi siriana. In Turchia, molti sono consapevoli delle conseguenze dannose della crisi siriana all’interno della Turchia, sia sul piano politico sia su quello della sicurezza. Si comincia a vedere che il governo di Recep Tayyip Erdogan sta portando la Turchia verso un futuro ignoto. Molte dichiarazioni del principale partito d’opposizione, il Partito repubblicano del popolo, hanno evidenziato questo rischio. A partire dall’abbattimento del jet turco da parte della Siria nel giugno scorso, il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) attualmente al potere ha cercato d’istigare a un atteggiamento “nazionalista” turco, come unica via d’uscita dalla sua crisi interna. Oggi, la risposta militare turca, dopo i colpi di mortaio provenienti dai territori siriani, ha fornito il tanto atteso pretesto per trasformare l’assetto del governo di Erdogan verso una forma simile a quello di unità nazionale, essendo egli riuscito a ottenere l’appoggio del Parlamento turco a ogni futuro intervento militare. Questo via libera a un attacco alla Siria ha due vantaggi strategici: innanzitutto, far ottenere al partito di Erdogan il consenso nazionale riducendo la pressione interna. In secondo luogo, consente una maggiore libertà e spazio alla Turchia all’interno della Siria per creare nuovi corridoi all’interno del paese che possano rafforzare la sua posizione in Siria sostenendo i combattenti di Aleppo. Di fatto la Turchia non vuole la guerra, ma ha un disperato bisogno di migliorare la propria situazione attuale. Dopo gli scontri sui confini siro-turco, è chiaro che la crisi siriana ha raggiunto un bivio decisivo, mettendo a rischio la missione di Brahimi. Pertanto secondo numerosi osservatori, è facile che in un futuro ormai prossimo la “lunga” crisi siriana si espanda nella regione, anche se a nessuno è chiaro sin dove ciò avverrà. Detto questo, il compito dell’intera comunità internazionale è quello di decidere se andare a un nuovo “vertice di Yalta”, che potrebbe garantire una transizione politica pacifica sotto l’egida internazionale, o se invece rimanere spettatrice di una crudelissima guerra regionale che ha imprevedibili conseguenze distruttive». Lettera firmata 646 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Violenze sui minori: una cultura della prevenzione Su Regno-doc. 11,2012,362 ho letto le Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici, rese note il 22 maggio 2012 in apertura dell’Assemblea generale della CEI. Spero che il documento pubblicato sia una bozza, stilata in fretta per rispettare la scadenza fissata entro il mese di maggio e che i vescovi diocesani l’applichino con le necessarie integrazioni, nel rispetto della giustizia umana e del Vangelo. Nella premessa il documento afferma che è compito della comunità ecclesiale affrontare la questione con spirito di giustizia. In tale prospettiva mi permetto di presentare ai vescovi alcune osservazioni di un padre di 4 figli e con 10 nipoti, pensando ai quali sono rimasto turbato dalla lettura del testo CEI. Quando avviene un abuso sessuale nei confronti di minori, o in quanto di età inferiore ai 18 anni o in quanto mentalmente non in grado d’intendere e di volere, si è di fronte a un oppresso e a un oppressore. Il documento si occupa prevalentemente dell’oppressore e, per quanto riguarda l’oppresso, si dice che «il vescovo dev’essere sempre disponibile ad ascoltare la vittima e i suoi familiari», ma nulla si precisa poi in merito; poche parole vaghe, inserite nella premessa, e poi nulla. Nel Vangelo di Luca (cf. Lc 10,30-37) Gesù spiega che cosa dobbiamo fare per mettere in pratica la legge dell’amore per Dio e per il prossimo. Di fronte all’uomo oppresso e lasciato mezzo morto dai briganti, il sacerdote e il levita che passano oltre forse sarebbero stati disposti ad ascoltare il ferito, ma questi non parlò. Gesù poi non si sofferma sui briganti, non dice che sarebbe bene andarli a cercare per farli rinsavire, ma racconta l’esempio di un samaritano che si fa vicino all’oppresso, lo rialza e ha cura di lui. Il 3 maggio 2011 il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il card. William Levada, aveva indirizzato alle conferenze episcopali una circolare esplicativa «al fine di facilitare la retta applicazione» del motu proprio del papa circa i delitti più gravi. I vescovi, ricorda la circolare, hanno «il dovere di dare una risposta adeguata ai casi di eventuale abuso sessuale» e «tale risposta comporta l’istituzione di procedure adatte ad assistere le vittime di tali abusi, nonché la formazione della comunità ecclesiale in vista della protezione dei minori» (Regno-doc. 11,2011,334). Il documento della CEI non rispetta queste indicazioni, e con atteggiamento molto clericale ne recepisce solo un parte, quella relativa agli oppressori. La circolare ricorda anche che «in particolare va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale» (ivi, 335). Il documento della CEI si nasconde dietro a una norma del Concordato con lo stato italiano, in base alla quale il vescovo può esimersi dal fornire qualsiasi collaborazione, anche quando non si tratti del foro interno sacramentale. Il vescovo, pastore, nel quale è presente il Signore Gesù Cristo (LG 21; EV 1/334) può lavarsene le mani, non occuparsi dell’oppresso, ma benignamente lasciargli la libertà, che non gli può togliere, «d’intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà opportune». E se è povero, poco istruito o se teme il discredito della società ed è bloccato dalla vergogna, si arrangi. Infine, se occuparsi del problema è compito della comunità ecclesiale, sarebbe interessante sapere quanti laici con prole, quanti psicologi e sociologi, quanti consigli pastorali diocesani sono stati ascoltati, per un consiglio, prima della stesura del documento. Mi auguro che l’argomento non venga sepolto in silenzio ma che nelle diocesi se ne parli, perché, con maggior sensibilità, si cerchi di prevenire il verificarsi di abusi e s’instauri una prassi di attenzione e di cura per gli eventuali abusati. Chivasso, 3 luglio 2012. Gianfranco Pipino 647-648_vergogno:Layout 2 25-10-2012 18:33 Pagina 647 Nel fuoco della malattia «Accettazione senza rassegnazione», le parole di Lina Biora “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ S tavolta narro con poche parole mie e molte sue la storia di una cristiana dei giorni nostri da me conosciuta quasi casualmente: Lina Sorrenti Biora, torinese, morta di tumore il 13 giugno 2012 a 65 anni. Un comune amico, Luigi Amigoni, padre somasco, fu all’origine della nostra conoscenza che poi trovò vie sue negli anni della malattia. Riporto qualcosa dei messaggi di posta elettronica scambiati dall’aprile del 2009 al maggio del 2012. Ci sono stati anche degli incontri, sei in tutto, tre a Torino e tre a Roma. Ma la sostanza della nostra corrispondenza è nella ricerca dell’atteggiamento del cristiano nella malattia. Una ricerca che lei, colta e umile, conduceva con docilità e che io – come potevo – accompagnavo. Il primo accenno al male è dell’11 gennaio 2009: «È questa una fase molto speciale della mia vita, che ha aperto nuovi orizzonti e che al momento riesco a vivere, nonostante tutto, come una benedizione». STO VIVENDO TUTTO CON SERENITÀ Tre mesi più tardi mi scrive le parole che ritengo centrali della sua vi- cenda con i medici e con il Signore: «Sto vivendo tutto con serenità, dopo aver superato le varie fasi ed essere arrivata all’accettazione, senza rassegnazione. La malattia è comunque una grande esperienza che se vissuta in un certo modo, ti fa cambiare, ti arricchisce e porta del bene anche a chi ti è accanto» (12.4.2009). Accettazione senza rassegnazione mi pare un buon motto, lo leggo nello spirito di Paolo, 2Cor 6,10: «Afflitti ma sempre lieti». Già quattro mesi prima aveva inviato auguri di Natale con parole analoghe a un’amica romana di nome Elvira, che me le ha trasmesse: «Mai come quest’anno, per accadimenti diversi, mi sono sentita pacificata e ho avuto la sensazione di vivere in pienezza il Natale. Sono approdata alla fase dell’accettazione e dell’offerta della malattia. Riesco, ora, a considerare anche questo una benedizione, da cui mi sento avvolta». Il 5 agosto 2009 avviene il primo incontro romano a una messa del padre Amigoni che tre giorni dopo così commenta: «La cripta di sant’Alessio e le mani alzate per la preghiera del Padre nostro sono il ricordo che custodirò (…). La recidiva della mia malattia è stata per il momento neutralizzata, questo vuol dire che nell’immediato futuro non ci sarà più chemio. E il resto sarà... vita, da vivere con gioia e in rendimento di grazie». Lina fa consistere il suo rendimento di grazie nell’onorare la vita, nel goderla. Torna presto la chemio e torna la parola «accettazione»: «Non voglio renderti triste, non lo sono neanch’io in questo momento. Semplicemente mi sembrava giusto farti partecipe. Sono fiduciosa di poter superare ancora questo passaggio accettandolo e vivendolo, cercando di trarne insegnamento. Sono circon- data da grande, grandissimo affetto a cui attingo a piene mani» (12. 11.2009). Altra parola chiave è «affidamento», qui compare negli auguri per il Natale 2009: «In questi giorni ho visto e raccolto lacrime di persone care ma anche gioia e trepidazione di bimbi in attesa. Buon Natale di speranza, di fiducia, di affidamento». Lina segue il mio blog. In esso pubblico una Parabola del medico che poteva operare miracoli (30.7.2009) nella quale nomino «quelli che la chemio aveva fatto calvi». Lei vi si riconosce e giusto un anno dopo mi dà questo riscontro: «Caro Luigi, è passato un anno, i capelli sono tornati e insieme a essi, alcuni semi di speranza che ben lasciano immaginare prospettive di risanamento. Per tutto ho ringraziato il Signore e lo faccio anche ora, insieme a te» (30.7. 2010). L’ATTESA PIÙ GRANDE: VEDERE CRESCERE I NIPOTI Con incredibile libertà mi regala libri che parlano di malattie e io la ricambio con la stessa libertà e lei così reagisce: «Che bello e che gioia leggerti! Sto bene, nonostante tutto! Il problema non è ancora risolto ma sono tranquilla. Tanti sono i motivi e le circostanze che mi spronano ad accettare pienamente e a vivere al meglio quanto accade» (14.9.2010). Con i post del mio blog sviluppo una specie di novena sull’attesa del Natale e lei – nonna affettuosa – mi confida «l’attesa più grande: la possibilità di avere discreta salute per vedere crescere e continuare ad amare i miei nipoti» (24.12.2010). Un pellegrinaggio in Terra Santa la riempie di gratitudine ma è grata anche di una nevicata piemontese, capace sempre di restare «serena» IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 647 25-10-2012 18:33 nella precarietà: «Ho trascorso una settimana incredibile, densa di emozioni, pensieri, preghiere, ricordi, con balzi tra passato e presente e qualche incerto ma sereno pensiero sul futuro. Ho letto che sei tornato in Piemonte e hai gioito per il paesaggio sotto la neve. Sono riuscita anch’io a vedere la nevicata, forse l’ultima di questo inverno» (5.3.2011). Il male si aggrava. Le chiedo se posso vederla in occasione di una mia puntata a Torino per la Fiera del libro e lei – gioiosa – organizza il nostro ultimo incontro: «Io purtroppo da due mesi a questa parte non guido più e sono limitata nei miei movimenti. È felice però di fare la tua conoscenza e di accompagnarmi in questo giro, mia figlia. Quindi veniamo a prenderti in albergo per le 8.15…». (9.5.2012). CON L’AIUTO DI TUTTI VADO AVANTI Sono state ore di luce, lievitate dall’arte di vivere pellegrina che aveva maturato e che in un testo riportato sopra denomina come «vivere al meglio quanto accade». Rientrato a Roma le ho inviato in ringraziamento questa email: «Lina cara è stato bello incontrarci ancora una volta pur nella tua fatica. “È stata un’ottima proposta quella di stare insieme a messa perché quest’anno non penso che potrò venire a Sant’Alessio” – hai detto subito –. Ogni momento di quelle due ore e mezza è stato fruttuoso. Grazia che sposta il seggiolino dal sedile posteriore dell’automobile perché io mi possa sedere accanto a te. Tu che mi spieghi sveltamente il percorso e gli orari e mi mostri la tua casa e il Castello di Moncalieri e dici “questo è il nostro quartiere, questa la nostra chiesa”. Hai rievocato il nostro primo incontro a “Torino Spiritualità” nel 2005 e come ti eri decisa – con l’aiuto di un’amica – a presentarti e a salutarmi. “Per fortuna che l’ho fatto” dicevi. Mi avevi stampato da Internet le notizie sulla chiesa alla quale mi hai portato, Santa Maria di Testona: “Così le potrai leggere con comodo”. Quando siamo arrivati al centro di Moncalieri hai commentato che “sarebbe stato più bello venire a messa 648 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2012 Pagina 648 qui ma bisogna salire troppi gradini”. Hai mandato Grazia a comprare i gianduiotti da regalarmi e hai scelto il bar: “Andiamo a salire più avanti ché ci sono meno gradini”. Cadeva qualche goccia di pioggia, la banda suonava. “Più tardi ci saranno le prime comunioni” – mi dicevi –. Un poco ti appoggiavi a Grazia e un poco a me. “Con l’aiuto di tutti vado avanti” dicevi. E ancora: “Ci vuole pazienza ma va bene anche così”. Ti avevo portato i due libri che nella giornata avrei presentato al Salone. “Ho pensato di trattarti come se tu stessi bene” – ho detto – e ti sei fatta una bella risata dicendo “ma sì, anche in queste situazioni è bene ridere un po’ di noi stessi”. Infine il Lingotto dove hai detto: “Luigi io non scendo, ti saluto da qui”. E mi spiegavi come avrei dovuto fare al ritorno, con i taxi o con la metropolitana». HO PENSATO DI TRATTARTI COME SE TU STESSI BENE Rispose festosa al mio messaggio narrativo: «Luigi caro, riassumo il tuo scritto, che mi ha lasciata letteralmente senza fiato e con grande commozione, con le parole: “Ho pensato di trattarti come se tu stessi bene”. Grazie Luigi per questa tua sapiente scelta che ho messo accanto alla tua mano che stringeva la mia, già al momento del canto d’inizio della messa. Ogni altra parola sarebbe superflua» (15.5.2012). Le scrivo ancora il 21 maggio per dirle che il giorno prima, l’avevamo ricordata a messa, Isa e io. Risponde il 22 che anche lei a messa ci ha ricordati «rinnovando in me, gli stessi “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ 647-648_vergogno:Layout 2 sentimenti di gioia di partecipazione e di gratitudine al buon Dio». Sono le ultime parole che mi ha donato. Il marito Beppe, i figli Grazia e Gabriele, l’amico p. Amigoni mi hanno narrato altre sue parole, a partire da queste: «Oggi me la voglio proprio prendere con calma», che era diventato un suo motto nell’ultima stagione che la costringeva a ritagliare spazi vivibili in giornate tribolate. «PERCHÉ PROPRIO A TE?» «PERCHÉ NON A ME?» Poi una parola più impegnativa, quasi cristologica, da riferire cioè al «do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne» (Col 1,24). La dice a Grazia in risposta a una sua protesta per le sofferenze della mamma: «Perché proprio a te?». Lina le risponde: «Ma perché non a me?». «Come a dire: “Chi sono io per non condividere le sofferenze di tutti, per non essere degna di patire per il Signore?”». Questo commento è del padre Amigoni che mi ha passato due email di Lina sulla capacità di nominare la morte: «La parola “morte” non è presente quando parlo con altri, e pensandoci bene forse mi darebbe anche fastidio» (7.11.2010). «La levità e il modo quasi gioioso con cui parliamo, da tempo ormai, della malattia e della fine della vita non ha riscontro con altre persone. So che, nonostante tutto questo, i momenti tristi e insopportabili arriveranno ma intanto vivo gioiosamente e serena» (28.11.2010). Infine l’ultima parola, nella difficoltà del respiro, poco prima del trapasso: «Aiutami». Le tenevano la mano e le regolavano l’ossigeno Beppe e Grazia ma la loro impressione è che quella parola avesse altro destinatario. Le aggiustano il cuscino e lei ripete: «Aiutami». «Il suo sguardo però, assai provato, era rivolto non a noi che stavamo ai lati del letto, ma un po’ verso l’alto davanti a sé. Il tono della voce era dolce ma fermo allo stesso tempo». Luigi Accattoli www.luigiaccattoli.it REGATT 18-2012 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 26/10/2012 11.27 Pagina 2 quindicinale di attualità e documenti ! ! WA LT E R K A S P E R A ttualità CHI CREDE 15.10.2012 - n. 18 (1131) Libri del mese 577 (G. Brunelli) Benedetto XVI – Anno della fede: la fede e la riforma della Chiesa 578 (D. Sala) Ecumenismo – Chiesa d’Inghilterra: ministero di unione { Intervista all’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams } Il dono di contemplare (D. S.) 581 (U. Ruh) Germania – Vescovi cattolici: se uno esce dalla Chiesa { Premesse e conseguenze del nuovo Decreto generale } 583 (D. S.) Germania – Ecumenismo Un appello: unità ora 584 (D. S.) Austria – Vienna Comunità parrocchiali e filiali Caro lettore, presentandole questo nuovo numero de Il Regno - attualità, che esce mentre prende avvio l’Anno della fede, la invitiamo ad accompagnarci anche nei prossimi mesi nel nostro lavoro d’informazione e ricerca. Questa redazione le riconferma, da parte sua, il desiderio e l’impegno di accompagnare ciascuno di voi in questo anno, offrendo uno sguardo il più possibile documentato e incisivo sugli avvenimenti che costruiscono il cammino della Chiesa nella storia, un’interpretazione – alla luce della fede – dell’attualità, un aiuto alla formazione di una coscienza cristiana e responsabile. A voi lettori chiediamo ancora una volta d’essere con noi, rinnovando o sottoscrivendo l’abbonamento. Avervi con noi ci è necessario non solo sotto l’aspetto economico, che pure è indispensabile in quanto ci permette quella libertà che è riconosciuta da tutti. Ma anche per il contributo di pensiero ed esperienza di ciascuno di voi, perché – e anche questo è un punto di forza – la rivista la costruiamo insieme. R 585 (D. S.) Repubblica Ceca – Stato e Chiesa Risarcimenti appesi a un filo 586 (M. B.) Francia – Matrimonio omosessuale Aprire il dibattito 587 (F. Strazzari) Portogallo – Il fenomeno Fatima: un luogo di cultura materna { Colloquio con il vescovo Antonio dos Santos Marto } 590 (C. Sciuto) Italia – Catechesi: comunità formazione iniziazione { Tre parole chiave dai convegni catechistici regionali } 594 (G. B.) Calabria – Chiesa e mafia Siete contro Dio: convertitevi 603 (S. Orth) 609 Schede (a cura di M.E. Gandolfi) Segnalazioni 620 (M.E. Gandolfi) Chiavi di lettura L’affollato scaffale del Concilio 620 (Aa.Vv.) M. Vergottini, Perle del Concilio 622 (P. Grassi) Aa. Vv., «Nuovi ateismi e antiche idolatrie» (Hermeneutica) 624 (F. Datola) Africa – Etiopia: dopo Zenawi { Luci e ombre di una figura carismatica } 626 (F. D.) Kenya-Somalia – Islamisti Vendette 627 (M. Castagnaro) Venezuela – Elezioni Chávez fino al 2019 628 (M. C.) Paraguay – Crisi istituzionale Lugo destituito 629 (M.E. Gandolfi) Australia – Chiesa e violenze sui minori: la guarigione è lontana { E l’opinione pubblica incalza } 631 (D. Sala) Diario ecumenico 646 Italia-Convegni – 50° Vaticano II: riaprire il cantiere { L’Assemblea nazionale Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri } 601 (M. Neri) Italia-Convegni – Teologia: corpo e sacramento { Una lettura fenomenologica } 2. LA FEDE NELLA VITA CRISTIANA pp. 264 - € 19,50 Studio del mese 599 (G. Forcesi) 597 (Maria Bombardieri) Italia – Islam a Milano Un albo per il culto pp. 224 - € 17,50 Agenda vaticana 598 (M. Bo.) Italia-Islam – Satira sul Profeta Reazioni composte Volontariato – La proposta del MoVI: le strade della prossimità { Un manifesto per andare oltre il professionismo della solidarietà } 1. IL SÌ DI DIO E L’AGIRE CRISTIANO 632 (L. Accattoli) { Unione Europea: una crisi più che economica } 633 (B. Spinelli) L’Europa imbalsamata, mentre la storia precipita 641 (T. Subini) Cinema – I colori della passione: d’arte, di storia e di fede { L’andata al Calvario di Bruegel } 644 (P. Stefani) Parole delle religioni Il Dio creatore 595 (MoVI) NON TREMA Disintossicare l’eros { La recente discussione teologica } ! I lettori ci scrivono 647 (L. Accattoli) Io non mi vergogno del Vangelo Nel fuoco della malattia. Accettazione senza rassegnazione, le parole di Lina Biora Colophon a p. 645 EDB "!