Subacquea
Introduzione alle
attrezzature
principali
EROGATORI
Parte fondamentale nell’equipaggiamento di un subacqueo la svolge l’erogatore (non a caso in molti lo
definiscono il "fedelissimo compagno d’immersione") è quindi importante che esso sia sempre mantenuto in
costante efficienza al fine di garantirci tante immersioni sicure e divertenti. Solo un minimo di cura ed
attenzione sono necessarie per mantenere la vostra unità scuba in perfette condizioni. La manutenzione
ordinaria consiste , dopo essersi assicurati che l’ingresso d’aria al primo stadio sia stato chiuso dal relativo
tappo di protezione , nel tenere immerso l’erogatore in acqua dolce leggermente tiepida per circa 10 minuti
senza premere il pulsante di erogazione, dopo ogni giornata di immersione.
Altri accorgimenti ci consentiranno di preservare il nostro erogatore da guasti o malfunzionamenti:
1) Assicurarsi ,all’atto del montaggio dell’unità scuba, che non vi siano residui di acqua nei rubinetti della
bombola
2) Tenere premuto il pulsante di erogazione ogni volta che si dà pressione al sistema.
3) Vuotare da eventuali residui di acqua il tappo di protezione del 1° stadio.
Il lavoro di manutenzione , che vada oltre i semplici accorgimenti sopra descritti, va demandato ad un centro
tecnico abilitato e dovrà essere effettuato con scadenza annuale o ogni 50 immersioni.
Tipologia e funzionamento degli erogatori
Come detto prima l’erogatore consente di ridurre la pressione dell’aria contenuta nella bombola ad un valore
corrispondente a quello ambiente. Se la riduzione avviene con un unico balzo di pressione l’erogatore sarà
detto "Monostadio", se invece tale riduzione viene effettuata in due fasi avremo l’erogatore "Bistadio" .
Inventato nel lontano 1942 da Cousteau e Gagnan, l’erogatore monostadio oggi non viene più prodotto,
tralasceremo quindi il suo funzionamento, per dare più spazio ai ben più innovativi Bistadio.
L’erogatore Bistadio, lo dice anche il nome, si
compone
di
due
parti
principali
:
il primo stadio, più massiccio generalmente
costruito in ottone cromato o satinato ed il
secondo stadio , collegato al primo tramite una
frusta, è una scatola in ottone cromato o fibre
plastiche
ad
alta
resistenza.
Il primo stadio riduce la pressione dell’aria ad un
valore 8/12 atmosfere rispetto alla pressione
ambiente, tale riduzione avviene mediante un
pistone o una membrana bilanciate da una molla
pretarata : in sostanza , all’interno del corpo del
primo stadio, c’è una camera detta di
espansione dove appunto l’aria ad alta pressione
proveniente
dalla
bombola
si
espande
riducendosi; quando questa raggiunge un valore di 8/12 bar superiore alla
pressione ambiente (che si somma alla pressione della molla) agisce sul
pistone o la membrana , spostandoli , fino a chiudere il foro stesso di
mandata.
I primi stadi si suddividono in due tipi : Non Bilanciati e Bilanciati.
In un primo stadio non bilanciato l’erogazione è consentita dall’azione dell'alta
pressione sulla superficie P1 della pastiglia. Se la pressione della bombola
diminuisce, si riduce la spinta esercitata su P1e proporzionalmente diminuisce
la pressione intermedia e l’erogazione. La pressione ambiente agisce sulla
superficie P2 , un suo incremento determina un aumento della pressione intermedia esercitata sulla faccia
superiore della testa del pistone P3. Questi incrementi sono uguali ma si esercitano su superfici di
grandezza differente (la superficie interna della testa del pistone P2 è più piccola di quella esterna P3).
La pressione intermedia subisce così un aumento proporzionalmente
inferiore a quello della pressione ambiente, perchè la stessa forza agisce su
una superficie maggiore . Si avrà quindi una minore erogazione a profondità
maggiori.
Nel primo stadio bilanciato sono stati eliminati tali problematiche staccando
semplicemente la pastiglia dal pistone che ha il gambo a sezione cava; di
conseguenza la pressione della bombola non viene più esercitata su di una
superficie , ma l’aria scorre liberamente nel gambo del pistone; perciò
l’erogazione è indipendente dalle variazioni dell’alta pressione.
Le due superfici P2 e P3 sono pressochè uguali, ciò riduce al minimo la
differenza tra l’aumento della pressione ambiente e l’incremento della
pressione intermedia.
Il secondo stadio è composto di:
1) una scatola o corpo
2) un pistoncino
3) una molla pretarata
4) una leva
5) una membrana
6) una valvola di non ritorno
7) un boccaglio
L’aria , proveniente dal primo stadio tramite la frusta, arriva al secondo stadio con una pressione che va
dagli 8 ai 12 bar (a seconda degli erogatori) e si arresta in prossimità del pistoncino che , coadiuvato dalla
spinta di una molla pretarata, chiude il sistema . Il pistone è collegato alla leva posta sotto la membrana ,
che come un coperchio chiude ermeticamente la scatola del secondo stadio . Possiamo definire questo
sistema a richiesta d’aria. L’erogatore a richiesta d’aria , comunque congeniato , eroga aria soltanto a
richiamo e questo non solo all’atto del distacco (cioè l’allontanamento del pistoncino dalla sede di chiusura)
ma anche per l’intera fase inspiratoria; in altre parole, il sub deve esercitare un prolungato ed intenso sforzo
polmonare che aumenta in proporzione alla quantità d’aria richiesta ed alla profondità.
La spiegazione del fenomeno è semplice, se si schematizza l’atto inspiratorio nelle due seguenti fasi.
Prima fase (Fig. 1): con l’atto inspiratorio si crea una leggera depressione all’interno della scatola del
secondo stadio e ciò fa introflettere la membrana che, agendo sulla leva, provoca l’apertura del pistoncino
posto alla fine della frusta , l’aria affluisce nella scatola di equilibrio e può essere respirata.
Seconda fase (Fig. 2): l’aria erogata , oltre ad uscire dal boccaglio invade la scatola del secondo stadio e,
creando un controflusso, tende a provocare il sollevamento della membrana e della leva, provocando
l’arresto dell’erogazione .Per vincere questo effetto il sub deve continuare a "succhiare" aria, il che provoca
un lavoro polmonare intenso, prolungato, ed altamente faticoso.
Fig. 2
Fig. 1
Prima fase: si crea una leggera depressione all’interno
della scatola del secondo stadio
Seconda fase: l’aria erogata invade la scatola del
secondo stadio creando un controflusso
Misurando al banco prova i valori dello sforzo d’inspirazione che sono necessari per ottenere le varie
quantità d’aria, si ottiene la curva caratteristica dell’erogatore a richiamo (Fig. 3) che , ovviamente, varia
secondo la profondità di impiego. Sull’asse verticale sono indicati i valori della "Portata" cioè della quantità
d’aria fornita dall’erogatore ; sull’asse orizzontale i valori dello sforzo d’inspirazione. Risulta chiaro che le
curve saranno tanto più faticose e di scarsa portata, quanto più risulteranno a destra ed in basso.
Fig. 3
Fig. 4
Erogatore a richiamo : diagramma dello sforzo polmonare
Erogatore a richiamo : curva dello sforzo di inspirazione
Dal diagramma (Fig. 4) risulta che lo sforzo polmonare è tanto maggiore quanto più grande è la quantità
d’aria richiesta. In profondità le cose peggiorano perchè la quantità di aria necessaria aumenta
drasticamente e l’accresciuta densità e viscosità dell'aria stessa rende intollerabile lo sforzo inspiratorio.
Con il passare degli anni , le aziende costruttrici, nel tentativo di migliorare le prestazioni, hanno cercato, con
successo, di ridurre al minimo questo sforzo respiratorio al fine di rendere le immersioni più sicure e
divertenti.
Il sistema di erogazione ad offerta, più comunemente chiamato "iniezione", non deve costringere il sub a
succhiare l’aria, ma deve invece "offrirla" secondo l’esigenza e senza richiedere sforzo.
La respirazione ad offerta si ottiene mediante lo sfruttamento del principio Venturi (Fig. 5): all’apertura del
pistoncino del 2 stadio il getto d’aria , a pressione ambiente, viene guidato direttamente verso il boccaglio
mediante un tubetto iniettore e, per l’effetto Venturi, provoca una depressione nella scatola del 2 stadio,
questa depressione mantiene abbassata la membrana ED ELIMINA OGNI SUCCESSIVO SFORZO
INSPIRATORIO (Fig. 6).
Fig.
6
Fig. 5
Erogatore ad offerta : all’apertura del pistoncino del 2
stadio il getto d’aria viene guidato direttamente verso
il boccaglio mediante un tubetto iniettore
Erogatore ad offeta : diagramma dello sforzo polmonare
Per illustrare il sottostante diagramma (Fig. 7) dobbiamo precisare che il leggero sforzo di inspirazione che
figura a destra dello zero è quello necessario al "distacco", cioè corrisponde all’impulso iniziale che "innesca"
l’erogazione provocando l’apertura del pistone. Successivamente subentra l’iniezione e l’erogatore fornisce
aria senza sforzo e con un ottima sensibilità. Per raffigurare questa azione favorevole, è stato necessario
estendere il diagramma a sinistra dello "sforzo zero" e creare la nuova zona della "inspirazione agevolata".
Fig. 7
Erogatore ad offerta : curva dello sforzo di inspirazione
Per arrestare l’erogazione sarà sufficiente una leggera contropressione, che in pratica si crea cessando
l’inspirazione
.
Un esempio di quanto essa sia minima si può avere
avvicinando il pollice al boccaglio durante la fase di innesco :
qualche millimetro prima di toccarlo, l’effetto "Venturi" cessa a
causa dell’ostacolo che fa subito equilibrare la pressione,
risollevare la membrana e cessare l’erogazione. L’elevata
sensibilità dei secondi stadi ad iniezione ha portato, al fine di
gestire al meglio l’effetto Venturi, alla creazione di "deflettori di
flusso"
regolabili
atti
a
consentirci
una
migliore
personalizzazione" di tale effetto.
La Revisione periodica
L’importanza di una periodica revisione delle attrezzature scuba, è fondamentale per chi pratica l’immersione
subacquea sia essa ricreativa, tecnica o commerciale . Il malfunzionamento o peggio ancora la rottura,
dell’apparato scuba, potrebbe mandare a monte la giornata, magari dopo esserci imposti una levataccia ed
aver percorso svariati chilometri per arrivare al luogo d’immersione.Ma il guaio peggiore sarebbe quello di
avere un’improvvisa rottura del sistema magari mentre stiamo tranquillamente osservando una parete a - 33
mt.Anche se le conseguenze fossero ridotte al solo spavento, nessun subacqueo vorrebbe vivere una tale
esperienza; ed è per questo motivo che un sub coscienzioso, che pratichi l’attività con frequenza costante
per tutto l’arco dell’anno, faccia controllare e/o revisionare il suo erogatore presso un centro di assistenza
tecnica specializzato, di sua fiducia, almeno una volta l’anno. La tendenza, purtroppo, è quella di portare
l’erogatore non a revisionare, ma a riparare, una buona percentuale di subacquei affida i propri erogatori ad
un tecnico, quando ormai la loro condizione di utilizzo è ridotta ad un bel fiorire di ossido e concrezioni, ed il
loro impiego risulta impossibile.
All’interno degli erogatori vi sono delle parti in movimento, generalmente in
ottone o acciaio, la cui tenuta alla pressione interna ed esterna, è
demandata a delle guarnizioni di tipo"O-RING", la formazione di
incrostazioni dovuta all’ingresso accidentale di acqua salmastra, l’usura
stessa delle guarnizioni o-ring, la scarsa lubrificazione delle parti di
scorrimento, una errata manutenzione, un lungo periodo di inattività, sono
tutte condizioni che possono contribuire al malfunzionamento
dell’erogatore.
L’erogatore, come una macchina, deve essere calibrato su determinati
valori dati dal costruttore stesso, quindi portare l’erogatore ad un centro
specializzato, ci garantirà la competenza e l’ausilio di una
strumentazione adatta per una taratura ottimale del sistema.
Inoltriamoci ora in una officina , la prima cosa che ci colpisce è
una macchina cromata con acclusa una rubinetteria tipo
bibombola, e quattro strumenti che indicano: pressione di
alimentazione, pressione minima di alimentazione (20 bar),
pressione di taratura del 1 stadio e indicatore di sforzo di
inspirazione.
Notiamo poi una serie di chiavi "dedicate" per lo smontaggio dei
più svariati modelli di erogatori.
Un tecnico al lavoro ci illustra come viene effettuata una revisione:
come prima operazione si scollega il primo stadio dal secondo, vengono tolte eventuali fruste (jacket,
manometro, octopus, etc.) e si comincia lo smontaggio del corpo del primo stadio (in questo caso un
"pistone bilanciato") togliendo tutti i tappi delle uscite ausiliarie, viene poi posizionata una chiave alla presa di
alta pressione che consente di : bloccare il corpo dell’erogatore in morsa senza danneggiarlo, svitare il
cappuccio dove ha sede la camera di bilanciamento ed estrarre il pistone; poi il trattenitore della brida da cui
si estrae il filtro sinterizzato, ed infine il tappo portapastiglia.
pezzi componenti il
primo stadio
pezzi componenti il
secondo stadio
Tolte tutte le guarnizioni O-ring dalle loro sedi, l’erogatore
(a pezzi) finisce dentro una vasca ad ultrasuoni con una
soluzione disincrostante atta a neutralizzare l’azione
salina; lo stesso procedimento lo subisce il secondo
stadio dopo essere stato separato da tutto le parti in
gomma, che verranno lavate con un semplice detergente.
Terminato il lavaggio, tutte le parti componenti l’erogatore
vengono immerse in acqua e poi asciugate, le guarnizioni
vengono sostituite con delle nuove (tassativamente originali) ,e si inizia il procedimento di assemblaggio
delle parti (un primo stadio a pistone è composto da ben 42 tra pezzi e guarnizioni).
Terminato il montaggio inizia la fase più delicata dell’intera operazione: la taratura del primo e del secondo
stadio.
L’erogatore viene collegato alla macchina, il primo
stadio viene portato alla pressione di esercizio ottimale
(data dal costruttore), poi è la volta del secondo stadio,
qui con l’ausilio di "Dime" di regolazione e di un
sensibilissimo
indicatore
di
sforzo
inspiratorio/espiratorio, chiamato MAGNHELIC, si
regola lo sforzo ottimale di innesco del sistema di
respirazione, viene provata l’alimentazione minima a 20
bar, poi il tutto viene lasciato in pressione per circa 30
minuti, allo scopo di verificare se nel sistema ci sia una
perdita.
Tutti gli erogatori sottoposti a revisione dovrebbero essere accompagnati da una scheda che, oltre a
funzionare da garanzia, indichi : il tipo e la matricola dell’erogatore, il lavoro effettuato ed eventuali parti
sostituite, pressione di taratura, sforzo respiratorio, data di presa in carico, giorni di lavorazione, data di resa,
sede nella quale viene effettuata la revisione ed infine nome e firma del tecnico. Questa scheda seguirà
passo passo l’erogatore, come una cartella clinica e consentirà di sapere il tipo di interventi effettuati, le parti
sostituite, e l’ultima revisione effettuata.
DOWNSTREAM O UPSTREAM ?
La quasi totalità degli erogatori oggi in commercio, utilizza nel 2° stadio il sistema "Downstream". Questo
sistema, con un meccanismo molto semplice che consiste nel movimento di un singolo componente, venne
introdotto agli inizi degli anni 60 solamente nei 1° stadi. Questo concetto è sopravvissuto a 30 anni di
evoluzione, rimanendo praticamente inalterato.
Il design del pistone "Downstream" fa si che l’estremità del pistone
sia direttamente esposta alla forza dell’aria proveniente dalla
bombola, questa forza diminuisce in proporzione alla diminuzione
della pressione della bombola. La variabilità della pressione in
entrata influenza la quantità di pressione intermedia richiesta per
stabilizzare completamente il pistone e fermare il flusso d’aria alla
fine del ciclo di inspirazione.
Questo tipo di primo stadio è detto: non bilanciato.
Le ragioni della sua longevità (viene a tutt’oggi costruito ed
utilizzato) stanno nella sua affidabilità ed economicità; la
mancanza di controllo della pressione intermedia viene
compensata da un’affidabilità a prova di bomba.
Lo stesso concetto venne applicato, nella metà degli anni 60,
anche ai secondi stadi: fu così creata la valvola "Downstream
Classica" e, se si fa eccezione per alcuni piccoli ritocchi, è rimasta praticamente inalterata fino ad oggi.
Il termine "downstream" si riferisce alla direzione in cui si apre la valvola. Infatti il sistema downstream si
apre nella stessa direzione del flusso d’aria proveniente dal primo stadio. Questa aria in entrata esercita una
spinta sull’estremità del poppet (testa della valvola) che costringe la valvola ad aprirsi (downstream); tale
forza viene contrastata da una molla, pretarata, che spinge nella
direzione opposta (upstream) cioè verso la posizione di chiuso. La
spinta esercitata dalla molla deve essere leggermente superiore
alla forza di entrata del flusso in modo che l’ingresso rimanga
chiuso fino all’inspirazione da parte del subacqueo.
Lo sforzo di inspirazione richiesto per aprire una valvola
downstream è direttamente proporzionale alla resistenza della
molla.
Questo sistema consente di proteggere il sub nel caso improbabile
(ma non impossibile) di sovrappressione intermedia, infatti ad un
aumento della media pressione la forza downstream aggiuntiva
farà aprire il poppet spingendolo contro la molla e provocando un flusso d’aria continuo nel secondo stadio.
SECONDI STADI BILANCIATI PNEUMATICAMENTE
Abbiamo visto che nei secondi stadi classici lo sforzo di inspirazione è direttamente proporzionale alla
resistenza della molla, quindi al fine di ridurre lo sforzo di distacco (innesco) e di conseguenza il lavoro
respiratorio, venne sviluppata, alla fine degli anni sessanta, una valvola downstream detta a "Flusso lineare",
questa
consentiva
di
diminuire
la
compattezza
dell’aria
ed
il
coefficiente
di
attrito
globale.
La leva posta al centro della sede del secondo stadio permetteva un comando più efficiente del flusso
dell’aria, la valvola invece, forata al centro del poppet, consentiva all’aria di passare nel suo interno per finire
in una camera di espansione posta all’estremità della valvola stessa, che andava a contribuire alla spinta
della molla di chiusura. Questo sistema consentiva, e consente tuttora, di avere una molla più piccola e più
morbida e di ridurre lo sforzo di distacco. Con il passare degli anni questo sistema è stato perfezionato fino
ad arrivare ad un erogatore con le stesse caratteristiche di valvola, ma con in più una regolazione che
permetteva di indurire od ammorbidire, anche durante l’immersione, la spinta esercitata dalla molla sul
poppet.
EROGATORI SERVOASSISTITI
Erroneamente considerati "upstream", gli erogatori con secondo stadio con valvola servoassistita sono dei
sistemi con elevate prestazioni di erogazione e affidabilità, grandi portate d’aria e semplicità di costruzione. Il
più conosciuto è il "Jetstream" della svedese Poseidon, di cui andiamo ad analizzare le caratteristiche
tecniche.
PRIMO STADIO
a membrana bilanciata con sistema di sovrappressione
PORTATA ARIA
1.500 litri al minuto
1° STADIO
PORTATA ARIA
1.500 litri al minuto, sistema di sovrapressione integrato nella frusta
2° STADIO
PROVENIENZA
2° STADIO
destro/sinistro
USCITE L.P.
4, di cui una preferenziale
USCITE H.P.
2
ATTACCO DIN
di serie a 300 bar
Il primo stadio Poseidon si avvale di un sistema a membrana con valvola di alta pressione conica inox
battente su una pastiglia di teflon; la camera d’espansione, che ospita della membrana, funziona anche da
taratura, quindi il serraggio va eseguito con una chiave dinamometrica al fine di avere una taratura più
precisa.
1
1°
Stadio
2
2°
Stadio
3
Commutatore
4 Valvola di sicurezza
Il secondo stadio, come già detto, è servoassistito. L’aria proveniente dal primo stadio passa attraverso una
valvola espandibile ed un condotto che termina con una servovalvola, non trovando sfogo (nel momento in
cui il sub non respira) l’aria riempie tutto il condotto ed espande la valvola, la quale andrà ad occludere dei
fori collegati alla stessa scatola del secondo stadio, quindi direttamente al boccaglio.
Quando il sub compie l’atto inspiratorio creerà una variazione della pressione all’interno della scatola, il
sistema sbilanciato consentirà alla valvola di collassare e quindi aprire il condotto che porta aria al
subacqueo.
Questo sistema consente di muovere masse d’aria notevoli (1.500 litri al minuto) con uno sforzo minimo
d’apertura da parte del subacqueo a qualsiasi profondità.
Un erogatore con queste portate d’aria e con questo sistema di secondo stadio deve avere dei sistemi di
sicurezza da sovrapressione. Il Jetstream ne incorpora due. Uno sitrova nel primo stadio. Una valvola si apre
automaticamente quando la pressione intermedia supera i 16 bar, consentendo di scaricare l’aria in eccesso
(circa 6 bar) e di mantenere la media pressione più vicina possibile ai valori ottimali.
Il secondo sistema di sicurezza è costituito da una valvola di sovrapressione incorporata nella frusta
all’altezza dell’innesto al 2° stadio. Questa valvola si attiva quando la media pressione supera i 16 bar
scaricando automaticamente l’aria in eccesso ed evitando getti di sovraflusso indesiderati, consentendo
quindi al sub di mantenere in bocca il secondo stadio.
Nota: il termine "jetstream" deriva dalle enormi correnti d’aria che si incontrano ad alta quota e che corrono a
svariate centinaia di chilometri orari.
Continuando l'analisi tecnica degli erogatori, dopo aver analizzato il Poseidon Jetstream, passiamo ora al
Kirby Morgan.
Erogatore per uso professionale, viene impiegato (il 2° stadio) sui caschi
della D.S.I. per immersioni lavorative che vanno dal basso fondale fino a
50 mt. o per altofondale con sistemi di saturazione. La sua peculiarità è la
semplicità su cui si basa il suo funzionamento.
Il primo stadio del tipo a pistone bilanciato è composto essenzialmente
da 3 parti fondamentali: il corpo dove alloggia la battuta di teflon di H.P. e
la brida di montaggio alle bombole; il pistone pre assemblato con la
molla, il piattello e il dado di regolazione; la calotta che funge da camera
di bilanciamento.
Come abbiamo detto il sistema è a pistone bilanciato, ma il sistema
di battuta sulla pastiglia è più simile ai migliori modelli a membrana.
Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, nei sistemi a pistone
bilanciato, lo stesso pistone termina a battuta sulla pastiglia
determinando la chiusura del sistema; nel Kirby Morgan il pistone
termina conicamente e chiude su di un anello in teflon. Questa
soluzione ci assicura un'ottima tenuta ed una minima usura dello
stesso pistone, oltre ad una più rapida manutenzione.
Il primo stadio non presenta la classica torretta girevole delle prese di bassa pressione, seguendo i criteri
adottati nell'immersione professionale dove si cerca di ridurre al minimo indispensabile i punti di giunzione
con Oring al fine di aumentare la sicurezza. Il secondo stadio,
completamente in ottone cromato, acciaio inox (in alcuni
componenti) e bronzo (per il deflettore di flusso), già alla prima
occhiata da una sensazione di robustezza assoluta confermata
anche dal peso alquanto elevato rispetto ai più diffusi erogatori
commerciali in metallo. Nel secondo stadio un regolatore di
flusso ci da la possibilità di personalizzare il sistema secondo le
nostre esigenze, consentendoci di ridurre lo sforzo di distacco al
minimo e di ottenere un leggero sovrafflusso in massima
apertura, utile in caso di affanno o lavoro pesante.
Il Kirby Morgan viene equipaggiato di serie con Oring in viton
(originali) e può essere usato con miscele che usino elio come
diluente.
L'analisi generale è quella di un erogatore in classe "A" affidabile
e robusto anche in situazioni di lavoro molto pesante ed a profondità da tech-diver ed oltre, infatti il suo
secondo stadio viene impiegato su sistemi professionali del tipo Exo26 o Kirby Lite 16-17 e Superlite.
Negli argomenti trattati precedentemente abbiamo visto che esistono diversi sistemi di bilanciamento del 2°
stadio: meccanico, down stream a flusso lineare, bilanciamento pneumatico e servoassistito.
Quello che analizzeremo ora è invece un secondo stadio a bilanciamento coassiale: il D400 della Scubapro.
Nipote del ben noto Air 1 e figlio del più attuale Pilot (nome derivato dalla valvola
del 2° stadio, detta appunto "pilot valve") il D400 è un secondo stadio che
incorpora una valvola di bassa pressione tecnologicamente tra le più avanzate,
definita a bilanciamento coassiale. Il termine in se stesso ci dice poco, ma
proviamo, con l'ausilio delle immagini, a capire quali siano le caratteristiche che
fanno di questo sistema un secondo stadio dalle prestazioni assai elevate a
"prova di corallaro". Intanto, quello che ci salta subito all'occhio è la forma
inusuale rispetto alla maggioranza degli
altri secondi stadi. Il corpo è protetto da
una calotta in gomma in cui alloggia il
secondo
stadio
vero
e
proprio.
Il D400 si discosta totalmente dagli erogatori convenzionali anche per
quello che riguarda il sistema membrana/valvola di scarico, che sono
inglobate in un unico elemento; questo fa si che lo sforzo di esalazione
dell'aria rimanga a livelli bassissimi proprio per le dimensioni generose
della valvola di scarico, inoltre tutta la superficie
anteriore funziona da pulsante di erogazione consentendo un facile utilizzo anche con
guanti di elevato spessore o addirittura con moffole a tre dita.
Immediatamente sopra la calotta troviamo un pulsante a cursore che permette di
regolare la posizione su "Dive" o "Pre dive" per consentire di ridurre la sensibilità
qualora si intendesse usare il D400 come fonte d'aria alternativa.
La tecnica di costruzione della valvola di questo secondo stadio fa si che le parti esposte alla pressione
intermedia (circa 10 bar) siano quasi di uguale superficie, quindi la forza esercitata dalla pressione sulle due
facce contrapposte della valvola è praticamente la stessa, ciò crea un esatto equilibrio ed un annullamento
della forza stessa: basterà perciò una pressione minima della molla per tenere chiuso il flusso dell'aria e di
conseguenza
occorrerà
anche
una
minima
differenza
di
pressione
per
aprirlo.
Questo secondo stadio così costruito non ha bisogno di sistemi di regolazione di flusso.
UN EROGATORE CHIAMATO “OCTOPUS”
Quando ci si accinge ad immergersi per la prima volta, uno dei dubbi che angosciano i neofiti è sicuramente
la possibilità che, ad un certo punto, si possa rimanere senz’aria mentre si è ancora sommersi dall’acqua.
Tuttavia, come si apprende in breve frequentando un apposito corso subacqueo, questa è in realtà
un’evenienza quanto mai rara e per evitarla è sufficiente attenersi alle procedure insegnate: check
dell’attrezzatura prima dell’immersione e frequente controllo del manometro mentre si è in acqua.
Qualora, comunque, per un qualsiasi e sia pur improbabile motivo, ci si trovasse in immersione con poca o
addirittura senz’aria, qualunque corso base prevede l’insegnamento delle procedure standard per poter
raggiungere la superficie in sicurezza. Tra queste, l’utilizzo di una fonte d’aria alternativa è la soluzione più
comoda ed efficace. Da diversi anni, ormai, il suo impiego è stato infatti reso obbligatorio da numerose
organizzazioni didattiche non soltanto durante i corsi, ma anche nelle immersioni a carattere ricreativo.
La fonte d’aria alternativa consiste semplicemente in un erogatore supplementare che il subacqueo deve
sempre portare con sè in immersione; diversi, comunque, sono i sistemi che possono essere utilizzati per
raggiungere questo scopo:
• l’octopus,
• un secondo erogatore completo di I° e II° stadio,
• un II° stadio collegato alla frusta di bassa pressione del GAV,
• un bombolino secondario dotato di I° e II° stadio (pony tank),
• lo Spare Air (che consta anch’esso di una piccola bombola aggiuntiva con erogatore incorporato).
Se questi ultimi tre sistemi non sono poi così diffusi, vuoi per motivi di scomodità, ingombro o costi, un
numero sempre crescente di subacquei ha adottato invece l’abitudine di utilizzare due secondi stadi montati
su di un unico I° stadio. Questo sistema è stato denominato “octopus”, per la vaga somiglianza che assume
nei confronti dell’omonimo animale marino quando completo e cioè dotato anche di frusta a bassa pressione
per il GAV e di quella ad alta pressione per il manometro o la consolle. L’octopus offre sicuramente molti
vantaggi pratici quali minor ingombro e peso (importanti soprattutto in viaggio), necessità di un solo attacco
sulla rubinetteria della bombola, oltre ad una maggior comodità e velocità nell’assemblaggio.
Ne consegue anche un suo ridotto costo d’acquisto e, successivamente, per la sua corretta e periodica
manutenzione.
L’uso, invece, di un secondo erogatore separato, completo di I° e II° stadio, è stato molto più diffuso fino a
qualche anno fa, tant’è che per molti risulta ancora la scelta preferita. Esso richiede che la bombola sia
dotata di rubinetteria bi-attacco, ha un costo maggiore (necessita infatti dell’acquisto di due primi stadi
separati), ma è ritenuto più sicuro e rimane comunque di prima scelta, se non addirittura obbligatorio nel
caso si effettuino d’abitudine immersioni piuttosto profonde, impegnative o in situazioni particolari, come
nelle immersioni definite “tecniche” (in grotta, nei relitti, con l’uso di miscele). Molto spesso abbiamo avuto
modo di sentire opinioni a sfavore dell’utilizzo dell’octopus, per lo svantaggio che ne può derivare in termini
di sicurezza: un qualsiasi inconveniente all’unico I° stadio, infatti, si trasmetterebbe ad entrambi i II° stadi,
escludendo la possibilità di chiudere il rubinetto dell’erogatore difettoso e poter raggiungere tranquillamente
la superficie indipendentemente dall’aiuto di un compagno di immersione. Questo problema si è fatto
oggigiorno alquanto trascurabile, data l’elevata affidabilità degli attuali erogatori, l’obbligo della fonte d’aria
alternativa per tutti i subacquei e l’applicazione del sistema di coppia.
OCTOPUS: PRO E CONTRO
PRO
CONTRO
• minor costo d’acquisto e
manutenzione
• impossibilità di escludere un
• minor peso ed ingombro solo erogatore in caso di
• più facile assemblaggio guasto
• sufficiente la rubinetteria
mono-attacco
L’entrata in vigore della normativa europea EN 250, nel marzo ‘93, ha oltretutto di fatto eliminato dal mercato
i modelli meno efficienti. Essa infatti, tra le altre cose, stabilisce limiti ben precisi per quanto riguarda le
performances che un erogatore deve dimostrare di possedere per poter essere accettato; queste norme
molto severe hanno fatto sì che qualunque erogatore “omologato” sia perfettamente idoneo a supplire le
nostre esigenze respiratorie in qualsiasi situazione e sia “fail safe”, cioè “a prova di rottura”, così che in caso
di guasto, evenienza estremamente rara se l’attrezzatura viene opportunamente “manutenzionata” e
revisionata, non blocchi il passaggio dell’aria bensì vada in erogazione continua, permettendo così la
respirazione da parte del sub. Queste opportunità, oltre alla non meno importante abitudine di immergersi
rigorosamente in coppia, hanno fatto sì che la scelta di utilizzare l’octopus stia man mano prendendo il
sopravvento, considerato soprattutto il fatto che spesso nei mari tropicali (a meno di non appoggiarsi a
Centri italiani) non è possibile utilizzare altro sistema, dato che le bombole sono tutte del tipo monoattacco,
quindi anche coloro che preferiscono utilizzare i due primi stadi indipendenti sono costretti a modificare ad
hoc il proprio erogatore, a meno di portare con sé anche uno sdoppiatore da collegare alla rubinetteria della
bombola.
COMPUTER SUBACQUEI
cenni sulla teoria di funzionamento
INTRODUZIONE
L’utilizzo di computer subacquei sta diventando sempre più diffuso nell’immersione sportiva. Si può forse
affermare che la grande diffusione che la subacquea sta vivendo in questi anni ed il prolificare di centri di
immersione in tutto il mondo siano in parte legati a questi strumenti ed in particolare ai vantaggi ed alla
flessibilità che essi consentono prima, durante e dopo l’immersione. Scopo dell’utilizzo di un computer
subacqueo è infatti quello di "delegare" ad uno strumento, sicuramente più preciso e vigile di noi, la
pianificazione, il controllo e la memoria dell’immersione, calcolando "in modo puntuale" l’assunzione e
l’eliminazione dell’azoto dai tessuti, responsabile delle malattie da decompressione (MDD). In questa
relazione sono presentati alcuni concetti generali relativi al funzionamento dei computer subacquei di
generazione attuale, dove per generazione attuale si intendono quei computer che calcolano l'assorbimento
ed il rilascio dell'azoto mediante un programma di calcolo basato su di un algoritmo matematico (e che
quindi non sono più dei semplici interpolatori di tabelle di immersione), cercando di individuare gli aspetti
peculiari dell'uso di questi strumenti. Le considerazioni che seguono si riferiscono alle situazioni tipiche della
immersione con aria compressa, dove è la parte inerte del miscuglio gassoso, l'azoto, a rappresentare il
problema maggiore sul fenomeno della compressione e decompressione del corpo umano.
CONCETTI GENERALI
Struttura di un computer subacqueo
Da un punto di vista logico, i computer subacquei non differiscono di molto dai computer con i quali abbiamo
a che fare, sempre più spesso, negli uffici e nelle case: così come i computer tradizionali, anche i computer
subacquei sono costituiti, essenzialmente, dagli stessi elementi. Si possono, infatti, distinguere:
•
•
•
•
•
•
un processore, preposto ad effettuare i calcoli;
una memoria volatile destinata ad accogliere i risultati parziali delle operazioni (Random Acces
Memory);
una memoria non volatile utile per immagazzinare i dati della immersione o delle immersioni
precedenti;
alcuni dispositivi per l'ingresso di dati, quali temperatura e pressione (dell’ambiente ma
eventualmente anche della fonte d’aria alternativa), nel caso della pressione, pertanto, un
trasduttore, o convertitore analogico/digitale, che trasformi quest’ultima in un segnale digitale
interpretabile dal microprocessore;
un dispositivo per la lettura di dati da parte del subacqueo (il display LCD);
un programma di calcolo che simula l'assorbimento dell'azoto da parte del corpo del subacqueo
basandosi su di un algoritmo, che altro non e' se non un modello matematico ritenuto
rappresentativo del comportamento del corpo umano durante l'immersione.
Naturalmente il computer subacqueo differisce fisicamente moltissimo da un personal computer,
quantomeno per la notevole differenza di dimensione: tuttavia la dimensione non deve trarre in inganno, la
dimensione davvero ridottissima di questi strumenti è massimamente legata, oltre che alla tecnologia, alla
specificità dell’uso, cosa che consente di ridurre moltissimo le dimensioni dei vari componenti pur
mantenendo inalterate le caratteristiche architetturali di un computer da tavolo.
La tastiera ed il mouse del personal computer, strutturati per un grandissima varietà di dati in ingresso si
trasformano nei sensori di pressione, di temperatura e nei tasti di accensione ed intervento sulle funzioni del
computer; il monitor, dovendo mostrare solo i dati essenziali per la immersione, si riduce ad un display di
pochi centimetri quadrati; il processore e le memorie, dovendo eseguire solo i calcoli relativi al programma
preimpostato dal progettista del computer possono essere specializzati e ottimizzati in termini sia di
prestazioni che di spazio.
Il cuore del funzionamento di tutti i computer è il processore, ma la sua "intelligenza" è rappresentata dal
programma, ossia dalla sequenza di istruzioni che il processore deve eseguire: sulla base dei dati di tempo,
profondità ed aria consumata il programma calcola sulla base di un ben preciso algoritmo l'assorbimento ed
il rilascio dell'azoto da parte del corpo del subacqueo sottoposto alle diverse pressioni. Come già accennato
un algoritmo è un modello matematico ritenuto rappresentativo del comportamento del corpo umano durante
la respirazione di gas compressi: per meglio comprendere il funzionamento di un algoritmo di un computer
subacqueo e come sia possibile calcolare l’assorbimento ed il rilascio di azoto, è necessario innanzitutto
vedere come il corpo umano viene schematizzato, o per meglio dire, "modellizzato".
SCHEMATIZZAZIONE DEL CORPO UMANO IN TESSUTI
E MODELLO MATEMATICO
L’assorbimento di azoto: aspetti fisiologici.
Il corpo umano è composto da una grande varietà di tessuti di diverso tipo come il sangue, le cartilagini, le
ossa, il grasso, la pelle, ecc., ciascuno con caratteristiche profondamente diverse per quanto riguarda il
comportamento nei confronti dell'assorbimento e del rilascio dell'azoto. Da un punto di vista fisiologico, si
può dire che ogni tessuto assorba e rilasci azoto in base a diversi criteri quali l’irrorazione di sangue di
ciascun tessuto (il sangue è il principale veicolo per la distribuzione dell’azoto all’interno del corpo) e l’affinità
chimica di ogni tessuto con l'azoto, dove per affinità si intende la maggiore o minore capacità del tessuto di
legarsi chimicamente con un gas. Per fare un esempio, il sangue il cervello, il fegato sono parti del corpo
umano fortemente irrorati di sangue e quindi, per quanto detto poc’anzi, molto veloci ad assorbire e rilasciare
l'azoto, mentre il grasso, con un ridotto flusso sanguigno, rappresenta un esempio di tessuto lento ad
arrichirsi e rilasciare il gas. Viceversa, i tessuti grassi hanno una buona affinità con l'azoto e quindi
tenderanno certamente ad assorbirlo lentamente a causa della minore irrorazione di sangue, ma per effetto
della affinità sarà possibile disciogliere nei tessuti grassi una grande quantità di azoto, fino a cinque volte
maggiore che nei tessuti acquosi. Quanto detto ci fa subito capire che non è possibile calcolare il valore di
assorbimento di azoto per il corpo umano in genere, ma sarà necessario schematizzare il corpo in una serie
di tessuti diversi, ciascuno con proprie caratteristiche e comportamenti durante l’immersione.
L’assorbimento di azoto: aspetti fisici.
Il secondo passo necessario alla formulazione del modello matematico ci richiede ora di ipotizzare un
andamento per la funzione che schematizza l’assorbimento ed il rilascio di azoto. Sappiamo che il passaggio
di un gas all’interno di una soluzione segue la legge di Henry: tale legge stabilisce che la quantità di gas che
si scioglie in una soluzione è proporzionale alla pressione esercitata dal gas sulla soluzione.
Nell’immersione, quindi, in virtù di tale legge l’organismo subirà un processo di assorbimento di quantità
azoto direttamente proporzionali alla pressione alla quale il subacqueo è esposto. La legge di Henry è molto
importante poiché stabilisce la quantità di gas che ciascun tessuto del corpo umano assorbirà sottoposto a
pressioni maggiori di quella ambiente; tuttavia, ai fini della modellizzazione è necessario conoscere non solo
quanto azoto si discioglie, ma anche il modo con cui l’azoto viene assorbito dai tessuti. A tal fine è noto che
la saturazione è un fenomeno di diffusione che si verifica tanto più velocemente quanto maggiore è la
differenza di pressione e via via più lento al diminuire dello squilibrio pressorio.
Giunti a questo punto, possiamo applicare i comportamenti descritti dalla legge di Henry e dal fenomeno
della saturazione ai tessuti con i quali è stato schematizzato, nel precedente paragrafo, il corpo umano:
schematizzando i tessuti come soluzioni, possiamo dire che tali tessuti assorbiranno, o cederanno, azoto in
quantità e con velocità tanto maggiori quanto maggiore sarà lo squilibrio pressorio a cui sono sottoposti. In
altre parole più il subacquei si troverà in profondità, tanto più azoto assorbiranno i suoi tessuti (fino
naturalmente alla completa saturazione) e tanto più veloce sarà il passaggio dell’azoto dall’aria respirata ai
tessuti quanto maggiore sarà la differenza di pressione parziale tra l’azoto respirato e quello contenuto nei
tessuti.
Matematicamente possiamo descrivere illustrare questo comportamento con la seguente equazione
differenziale:
(1)
dove Pt è la pressione del gas nel tessuto, Pi è ,la pressione del gas respirato e k un valore costante che
dipende esclusivamente dalle caratteristiche del tessuto. Questa equazione ci dice che al trascorrere
dell’intervallo tempo dt la pressione Pt all’interno del tessuto varia in funzione della differenza di pressione
parziale dell’azoto respirato e azoto contenuto nel tessuto e in funzione delle caratteristiche specifiche di
quel tessuto, caratterizzato dal valore costante k. E’ bene notare che questa equazione indica un aumento di
pressione Pt all’interno del tessuto se la pressione parziale dell’azoto inspirato Pi è maggiore della pressione
parziale dell’azoto Pt all’interno del tessuto, ma se la pressione parziale dell’azoto inspirato è minore di quella
presente all’interno del tessuto, l’equazione dimostra che la pressione parziale dell’azoto nel tessuto
diminuisce.
Il fisiologo inglese Jhon Scott Haldane fu il primo studioso a formulare, attorno al 1907, un completo modello
matematico analizzando i problemi di malattia da decompressione che si verificavano sui cassonisti che
lavoravano esposti a pressioni superiori a quella atmosferica. Haldane schematizzò il corpo umano come
detto nel paragrafo precedente suddividendolo in tessuti e raggruppando i diversi tessuti con un
comportamento tra loro assimilabile nei confronti dell'azoto, in cinque compartimenti tissutali. A ciascuno di
questi cinque compartimenti tissutali Haldane assegnò un proprio tempo tipico per la saturazione e
desaturazione completa. La possibilità di assegnare a ciascun compartimento tissutale un tempo di
saturazione tipico e quindi costante è legata alle due considerazioni sperimentali che di seguito elenchiamo
e che furono alla base della formulazione del modello matematico di Haldane.
1. Il tempo necessario alla saturazione al 50% oppure alla saturazione completa (100%) è
sempre lo stesso qualunque sia la quantità di gas che i tessuti assorbono , ossia qualunque
sia la profondità dell’immersione.
2. I diversi compartimenti tissutali impiegano per saturarsi di azoto al 50% un sesto del tempo
complessivo necessario per saturarsi completamente, seguono cioè un andamento, detto
esponenziale, come illustrato nella figura seguente:
Figura 1 - Assorbimento dell'azoto nei compartimenti tissutali
Dalla figura si evince che nel primo sesto di tempo, il compartimento tissutale si satura al 50% di azoto; nel
secondo sesto, il compartimento si satura del 50% del quantitativo di azoto ancora assorbibile, ossia del
25% (e quindi fino a raggiungere il 75%); nel terzo sesto del 50% dell’azoto assorbibile, ossia del 12,5% e
così via fino all’ultimo sesto, dove il tessuto si considera convenzionalmente saturo al 100%. Ricordiamo
come tale comportamento dipenda soltanto dal tipo di tessuto considerato, in quanto ogni compartimento
tissutale impiega lo stesso tempo per saturarsi al 100% indipendentemente dalla pressione parziale
dell’azoto (e quindi dalla profondità della immersione) e dalla quantità di gas assorbito dai tessuti. Il tempo
necessario per saturarsi del 50% di azoto di ciascun tessuto è quindi una caratteristica propria, e costante, di
ogni tessuto: tale tempo viene definito tempo di emisaturazione o, più semplicemente, emitempo.
Haldane per i suoi studi utilizzò compartimenti tissutali con emitempi di 5, 10, 20, 40 e 75 minuti: poiché
ciascuno di questi emitempi rappresenta un sesto del tempo necessario a ciascun compartimento tissutale
per saturarsi completamente, i tempi di saturazione completa per i compartimenti definiti da Haldane sono
rispettivamente di 30, 60, 120, 240 e 450 minuti. Se il valore dell'emitempo è piccolo, il gruppo di tessuti che
rappresenta è detto veloce in quanto assorbirà l'azoto più velocemente, mentre se il valore dell’emitempo è
grande il tessuto è detto lento in quanto assorbirà l'azoto più lentamente.
Tornando ora alla equazione (1), per quanto abbiamo or ora detto diventa chiaro che per poter tenere conto
delle caratteristiche del tessuto, il valore della costante k dovrà essere proporzionale all’emitempo di ciascun
tessuto. Più in dettaglio, il valore di k può essere calcolato per ciascun tessuto secondo la formula:
(2)
dove Te è il tempo di emisaturazione del compartimento tissutale e
è il logaritmo naturale di 2.
Nel caso della schematizzazione di Haldane avremo quindi cinque valori costanti k ricavabili dai cinque
diversi tempi di emisaturazione che ci daranno, tramite la integrazione della equazione differenziale (1)
(3)
il modello matematico per il calcolo dell’assorbimento di azoto per ogni compartimento tissutale al
trascorrere del tempo P0 rappresenta la pressione dell’azoto all’istante iniziale (all’inizio cioè
dell’immersione).
Questo modello, così come e' in grado di calcolare l'assorbimento di azoto di un gruppo di compartimenti
tissutali sottoposti ad un certa pressione, (fase della discesa e della permanenza sul fondo) è in grado di
calcolare il rilascio di azoto durante la risalita se si suppone che il rilascio segua un andamento analogo a
quello dell’assorbimento. Nella fase di risalita, tuttavia, sorgono altri problemi, in quanto sappiamo bene che
la velocità non può essere arbitraria pena il rischio dell'insorgenza di malattia da decompressione. Haldane
affrontò anche questo problema osservando che nei cassonisti non si verificavano sintomi di malattia da
decompressione se durante la risalita la pressione assoluta veniva dimezzata, ossia se si passava da 30m a
10m oppure se si risaliva direttamente da 10m alla superficie.
A questo punto le basi dell'algoritmo sono pronte: abbiamo schematizzato il corpo umano in compartimenti
tissutali ed abbiamo assegnato a ciascun compartimento un tempo di emisaturazione caratteristico; abbiamo
la espressione matematica (3) che rappresenta il nostro modello di assorbimento e di rilascio dell'azoto;
conosciamo i valori massimi di squilibrio pressorio a cui sottoporre ciascun compartimento tissutale e quindi
la strategia di risalita: aggiungendo a tutto questo un moderno microprocessore ecco che il nostro computer
da immersione è pronto.
L’evoluzione del modello di Haldane
La schematizzazione di Haldane, pur gettando le basi di un modello matematico tuttora attuale, è stata
approfondita e completata nel tempo arricchendo gli attuali programmi di flessibilità e sicurezza, acquistando
il nome di modello Haldaniano modificato; non solo, molti computer si basano su modelli matematici diversi,
frutto di tecniche e di studi di altri ricercatori. Uno dei maggiori limiti del modello di Haldane, così come
originariamente concepito, era rappresentato da un numero troppo esiguo di compartimenti tissutali e tra
l'altro solo quelli con i tempi di emisaturazione più veloci. La moderna ricerca ha dimostrato invece che per
una più adeguata modellizzazione del corpo umano durante l'immersione è necessario utilizzare un più
ampio numero di modelli di tessuto con tempi di emisaturazione assai più lenti e che possono impiegare
anche 24 ore per desaturarsi completamente, quindi con emitempi di 120 e 240 minuti. Molti computer attuali
vanno oltre e calcolano l'assorbimento di azoto su un numero di compartimenti pari ad 8, 12 o addirittura 16,
con tempi di emisaturazione molto alti per tenere conto di immersioni ripetitive eseguite per più giorni di
seguito, ed in ogni caso, quale che sia il numero di compartimenti, il campione dei tempi di emisaturazione
spazia dai valori più bassi (saturazione veloce) a quelli più alti (saturazione lenta).
L’altro limite del modello di Haldane era rappresentato dal rapporto 2:1 dello squilibrio pressorio massimo
all’interno di ciascun compartimento tissutale. Haldane, nello stabilire questo rapporto, non faceva differenza
tra i diversi compartimenti tissutali considerandolo sempre valido indipendentemente dalle differenti
caratteristiche proprie di ogni tessuto. Successivi studi, condotti dalla marina americana e da altri ricercatori,
hanno invece dimostrato l’esistenza di diversi rapporti di squilibrio pressorio massimo sopportabili dai diversi
compartimenti tissutali, i cosiddetti "valori M" che altro non sono se non valori costanti propri di ogni tessuto
che indicano i corretti rapporti di squlibrio pressioro a cui ciascun compartimento tissutale può essere
sottoposto senza dar luogo alla formazione di bolle. I valori M sono forse l’elemento che differenzia
maggiormente i computer subacquei in commercio: i diversi algoritmi, infatti, tengono conto di
"compartimenti" di tessuti che si differenziano, oltre che per la velocità di assorbimento e rilascio dell’azoto,
anche per i loro valori M; ciascuno dei vari compartimenti (che comunque hanno sempre natura teorica) avrà
una pressione parziale massima di azoto che potrà tollerare senza dar luogo alla formazione di bolle Questo
valore prende il nome di pressione critica. Va segnalato, infine, come tale rapporto possa, e debba,
comunque essere ridotto nel caso di immersioni profonde o prolungate, in relazione quindi al tipo ed alla
difficoltà delle immersioni svolte.
COMPUTER SUBACQUEI
considerazioni sull'uso
.USO DEI COMPUTER: VANTAGGI
I motivi per cui è vantaggioso utilizzare un computer subacqueo durante una immersione sono molti e ne
abbiamo di seguito riportati alcuni; la sequenza con la quale tali motivazioni sono riportate non rappresenta
assolutamente un ordine di importanza: ogni lettore potrà individuare le motivazioni più adatte al proprio
profilo abituale di immersione e volendo, aggiungere di nuove.
Tempo di superficie
La capacità di un computer di calcolare con la massima precisione il tempo trascorso sul fondo e la
saturazione dei tessuti durante una immersione si riflette interamente nella capacita' di misurare il tempo
trascorso in superficie tra una immersione e la successiva. Questa caratteristica, spesso trascurata,
consente di conoscere con la massima esattezza il residuo di azoto prima di affrontare una immersione
ripetitiva e fuga ogni possibile errore che si può commettere durante la consultazione delle tabelle di
immersione o nel calcolo del tempo trascorso tra le immersioni, aumentando la nostra sicurezza.
Velocità di risalita
Utilizzare le tabelle di immersione, ed in particolare le tabelle U.S. Navy,
implica l'utilizzo di una velocità' di risalita ben determinata. Risalire più
lentamente o peggio più velocemente crea in entrambi i casi dei problemi.
Usando le tabelle, nel caso di risalita con velocità più lenta di quella
prescritta, il tempo trascorso nella risalita non può essere più considerato
come tempo di immersione ma andrà a sommarsi al tempo di fondo,
rendendo meno preciso il criterio di determinazione del gruppo di
appartenenza e, soprattutto nel caso di immersioni che necessitano di
decompressione, si modificano i tempi di permanenza alle varie quote in
un modo che è sì possibile desumere dalle tabelle, ma non con calcoli
immediati. Nel secondo caso, ossia risalendo più velocemente di quanto
prescritto, sappiamo bene quali siano i problemi a cui possiamo andare
incontro, in particolare considerando che già alla velocità di 18 metri al
minuto, a velocità prescritta dalla tabelle U.S. Navy, esiste la formazione
di microbolle asintomatiche all'interno dell'organismo del subacqueo.
Aumentando la velocità di risalita, si può incorrere in seri casi di MDD. In entrambi i casi descritti l'uso di un
computer subacqueo aumenta la nostra sicurezza: nel primo caso, il subacqueo potrà scegliere la velocità di
risalita che preferisce, in quanto il computer calcolerà con precisione l'aumento o il rilascio dell'azoto alle
varie profondità al trascorrere del tempo tenendo conto delle variazioni di quota del subacqueo. Nel caso di
risalita troppo veloce, sarà sempre il computer a segnalarci che stiamo risalendo troppo in fretta con segnali
visivi ed acustici.
Saturazione di tessuti su immersioni ripetitive
La capacità dei computer subacquee di calcolare il livello di saturazione dei diversi tessuti è di importanza
molto rilevante nel caso di immersioni ripetitive, multilivello ed in particolare nel caso di immersioni ripetitive,
multilivello, svolte per più giorni di seguito. Le tabelle U.S. Navy prevedono 12 ore dalla emersione come
tempo limite per la desaturazione totale dei tessuti dell'organismo del subacqueo, ossia un emitempo
massimo pari a 120 minuti: in realtà questo tipo di approccio mostra dei limiti quando consideriamo il caso di
immersioni ripetitive per più giorni consecutivi. In questo caso infatti, i tessuti più lenti ad assorbire azoto
(quelli meno irrorati dal sangue, come ossa, tessuti adiposi ecc..) e quindi anche a rilasciarlo, tendono ad
accumulare azoto nei vari giorni di immersione senza avere la possibilità di desaturarsi completamente,
come invece avviene in un minor numero di ore per i tessuti più veloci, (sangue, tessuti cerebrali..): la
moderna ricerca ha dimostrato che i tessuti più lenti possono impiegare 24 o più ore per desaturarsi
completamente. Il calcolo esatto di questi valori, per tutti i compartimenti tissutali, è garanzia di maggiore
sicurezza se si effettuano questo tipo di immersioni ed in particolare se si deve volare dopo molti giorni di
immersioni.
Semplicità d'uso
Tutti i computer subacquei di generazione attuale possono essere utilizzati con grande semplicità dopo aver
letto con attenzione il libretto di istruzione. Conoscere esattamente i parametri fondamentali dell’immersione
nel momento in cui servono rappresenta una sicurezza ulteriore, in particolare se i dati forniti sono mostrati
chiaramente e con logica. Se l'immediatezza del riscontro dei dati è fonte di sicurezza durante l'immersione,
può essere vitale in situazioni critiche. Alcuni computer forniscono interfacce verso il subacqueo frutto di
studi approfonditi volti a rendere il più possibile immediata la lettura e la comprensione dei dati mostrati.
Immersione multilivello
La gran parte delle immersioni svolte dai subacquei sportivi è una
immersione condotta a diverse quote per tempi variabili: i computer
consentono di calcolare il credito di desaturazione che il subacqueo
guadagna quando trascorre del tempo a profondità inferiori alla profondità
massima raggiunta durante l’immersione: questa caratteristica consente
di allungare la permanenza sotto la superficie senza per questo
oltrepassare i limiti della curva di sicurezza, aumentando la flessibilità sia
durante l'immersione che durante la risalita. Inoltre, il credito di
saturazione se gestito correttamente consente un considerevole aumento del tempo complessivo
dell'immersione.
Immersioni in quota
La maggior parte dei computer di generazione attuale hanno la capacità di auto compensarsi alla
accensione in funzione della quota a cui si trovano con una precisione dell'ordine di grandezza del metro:
questa funzione favorisce la possibilità di effettuare immersioni in quota con livelli di sicurezza analoghi a
quelli delle immersioni a livello del mare.
USO DEI COMPUTER: LIMITI
Unicità dell’algotitmo
Due o più subacquei possono utilizzare uno stesso modello di computer e, se i subacquei seguono
esattamente lo stesso profilo di immersione, i dati che il computer fornirà sulla saturazione di azoto e sul
credito di desaturazione saranno esattamente identici. Questo rappresenta forse il limite maggiore degli
attuali computer subacquei: al di là della validità dell’algoritmo scelto, il computer calcola l’assorbimento ed il
rilascio dell’azoto in funzione del tempo di immersione e delle diverse esposizioni alle diverse quote toccate
dal subacqueo, prescindendo completamente dalle caratteristiche fisiche e metaboliche di chi lo sta usando.
Sappiamo infatti che sforzi durante l’immersione, affanno, cattive condizioni di salute oppure obesità
comportano modificazioni nei meccanismi di assorbimento e rilascio dell’azoto in alcuni casi in maniera
determinante e tali da compromettere la validità del calcolo eseguito dal computer. E’ bene tuttavia
aggiungere che anche la tabelle di immersione presentano lo stesso limite.
Temperatura dell'acqua
L’aspetto relativo alla temperatura dell’acqua rappresenta un dato tutt’altro che trascurabile: durante
l’immersione in acque fredde (al di sotto di 21° C) il nostro corpo perde costantemente calore specialmente
se ci stiamo immergendo con una muta umida. Tale perdita di calore modifica in aumento le caratteristiche di
assorbimento dell’azoto alterando al validità dei calcoli eseguiti dal computer. Questo limite è stato superato
dai modelli di computer più recenti che utilizzano algoritmi di calcolo in grado di tenere conto della variazione
dell’assorbimento di azoto in funzione della temperatura dell’acqua e del tempo di esposizione.
Violazione dei limiti
Ciascun modello di computer possiede proprie caratteristiche che
definiscono l’operatività di quello specifico modello di: è
fondamentale conoscere con esattezza tali caratteristiche poiché
se il subacqueo eccede i limiti definiti dal costruttore il computer
non fornirà più i dati necessari alla riemersione, demandando
tutta la responsabilità del calcolo del profilo di risalita e di
decompressione al subacqueo. Questa situazione deve essere
assolutamente evitata ma deve essere il subacqueo a conoscere
le caratteristiche del proprio computer per evitare di imbattersi in
uno strumento praticamente inutilizzabile proprio quando servirebbe maggiormente.
Fase libera
La modellizzazione matematica presentata in questo documento è una modellizzazione che tiene conto
esclusivamente dell’azoto disciolto all’interno dei tessuti. In realtà durante la risalita si sviluppano delle
microbolle asintomatiche all’interno del circolo sanguigno. A seconda del tipo di immersione effettuata ed in
particolare nel caso di immersioni ripetitive la formazioni di microbolle può essere cospicua e tale da inficiare
la validità della velocità di risalita universalmente adottata di 10 metri al minuto. La valutazione della fase
libera richiede algoritmi matematici aggiuntivi che non sono generalmente inclusi nella maggioranza dei
computer subacquei attualmente in commercio. Solo alcuni dei modelli di computer più recenti possiede
algoritmi che cercano di modellizzare questo aspetto e suggerire al subacqueo una velocità di risalita più
bassa.
SVILUPPI
I limiti visti nella sezione precedente rappresentano le attuali sfide che la moderna tecnologia unitamente alla
ricerche di medicina iperbarica stanno affrontando. Il primo passo è quello di utilizzare computer con
algoritmi adattivi, in grado cioè di adattarsi alle diverse condizioni esterne o al lavoro compiuto durante
l’immersione. Sono già in commercio da tempo computer che consentono di selezionare la severità
dell’algoritmo da parte del subacqueo. Attualmente è disponibile la nuova generazione di computer in grado
di auto adattarsi senza interventi esterni da parte del subacqueo, il quale potrebbe compiere errori di
valutazione: questi tipi di computer, che in alcuni casi tengono conto anche della fase libera, si stanno
diffondendo rapidamente nel mondo della subacquea sportiva e rappresentano certamente il vertice della
attuale capacità tecnologica dei costruttori e della sicurezza per il subacqueo sportivo.
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Subacquea Introduzione alle attrezzature principali