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I Am Here Now – Racconti dei giovani esuli dalle terre dell'Ex Yugoslavia
Intendo esaminare qui i ricordi di esperienze estreme, di offese subite o inflitte. In questo caso sono all’opera tutti o
quasi i fattori che possono obliterare o deformare la registrazione mnemonica: il ricordo di un trauma, patito o inflitto,
è esso stesso traumatico, perché richiamarlo duole o almeno disturba: chi è stato ferito tende a rimuovere il ricordo per
non rinnovare il dolore; chi ha ferito ricaccia il ricordo nel profondo, per liberarsene, per alleggerire il suo senso di
colpa.
Primo Levi
I sommersi e i salvati
I AM HERE NOW
Racconti sui giovani esuli dalle terre dell'ex Jugoslavia
http://www.iamherenow.ch
PRESS KIT: https://www.dropbox.com/sh/8k10mpi7sj0m8h4/JsTK6kYI0Z
Progetto multidisciplinare – radio / teatro / arte / musica
1. Il progetto
2. Il presente permanente
3. Obiettivi e Cicatrici
4. Il progetto nel dettaglio
− 4.1 I racconti
− 4.2 La mostra itinerante “I Am Here Now”
− 4.2.1 Distribuzione
− 4.3 I Quaderni di Nisveta
− 4.4 I am here now – EP
5. Traduzione e valenza nazionale
6. Organizzazione
7. Sponsor e contributi
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http://www.iamherenow.ch - © Alan Alpenfelt 2013 - 2016
pag 2
pag 3
pag 4
pag 6
pag 6
pag 10
pag 12
pag 14
pag 18
pag 19
pag 20
Pag 22
I Am Here Now – Racconti dei giovani esuli dalle terre dell'Ex Yugoslavia
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I've seen things you people wouldn't believe,
attack ships on fire off the shoulder of Orion,
I watched the c-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gates.
All those moments will be lost in time,
like tears in rain.
Roy Batty – Blade Runner
1. Il progetto
Ogni uomo è caratterizzato dalla sua storia e da questa dipendono le sue scelte e il destino che si
crea, conoscere la storia di chi ci circonda, ci permette di conoscere meglio noi stessi. Bombardati
dalle immagini di guerre e tragedie nel resto del mondo, un po’ assuefatti dal male, non ci si chiede
cosa succeda alle persone che le tragedie le vivono.
Nel 1991 nell’Ex Jugoslavia è scoppiata una guerra che ha colto tutti impreparati. Lo stupore di
fronte alla violenza e all’odio della guerra e’ uno dei sentimenti che accomuna le persone scampate
al conflitto.
In Europa il velo vergognoso della pulizia etnica sembrava essere sepolto con la fine del nazismo, o
almeno la magnitudine con cui si è abbattuto sul continente. La guerra nei Balcani ha dimostrato il
contrario e ha ricordato che le tragedie più drammatiche possono accadere anche davanti alla
propria porta.
All’improvviso, nei paesi dell’Europa occidentale sono arrivati una grande quantità di profughi che
cercavano asilo politico. Il ricordo di chi era a scuola nei primi anni ’90 è quello di nuovi bambini
che si sedevano nei banchi, con nomi strani, sguardi diversi, una lingua sconosciuta. Tutti sapevano
da dove venissero e cosa stesse succedendo, tutti vedevano la TV. Ma nessuno poteva dire di
sapere cosa fosse la guerra e cosa avessero passato quei bambini, prima di varcare l’entrata della
nostra aula.
Questo lavoro vorrebbe mostrare cosa sia successo alle persone che la guerra l’hanno vissuta, nelle
sue diverse sfaccettature e da parti differenti, ma che hanno un punto in comune, cioè essere
rimaste nel paese che le ha ospitate durante il conflitto.
A vent’anni dall’ultimo grande conflitto europeo ricostruiamo alcune storie di esuli moderni, che
hanno ormai trascorso la maggior parte della loro vita in Svizzera. In questo luogo per loro
sconosciuto, mischiati agli altri cittadini e lasciandosi apparentemente scomparire le tracce del loro
passato, si sono dovuti reinventare un’identita’, malgrado il vissuto dell’esperienza piu’ tragica per
l’essere umano: la guerra.
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2. Il Presente Permanente
La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei
contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni
del novecento. La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente
permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono. Questo fa sì
che gli storici, il cui compito è di ricordare ciò che gli altri dimenticano, siano più essenziali alla fine del secondo
millennio di quanto lo siano mai stati prima. Ma proprio per questo devono essere più che semplici coronisti e
compilatori di memorie sebbene anche questa sia la loro necessaria funzione.
Eric Hobsbawn
Come dice Eric Hobsbawn, viviamo un presente permanente, che inevitabilmente ci distacca dal
“già vissuto” diminuendo la possibilità di poter imparare dagli errori commessi. Solo un approccio
benedettiniano volto a salvaguardare il patrimonio della memoria può riscattare e sostenere il
significato della bellezza umana.
La definizione di giovane europeo è molto discussa. Il continente che intende muoversi come un
unico organismo da un punto di vista finanziario e politico vede però un doloroso sgretolarsi alle
fondamenta: la perdita di fiducia nelle istituzioni politiche tra i giovani li porta a desiderare un
cambiamento contrario, che valorizza l’appartenenza linguistica e la coesione tra simili, tra chi non
ha lavoro o chi vede promesse di carriera svanire. A causa della crisi interna e della mancanza di
memoria, le nuove generazioni sono portate a cercare le cause del proprio malessere cedendo a
facili inclinazioni xenofobe. Si prova un forte senso di impotenza nell’osservare gli eventi scatenanti
come qualcosa di più grande e inafferrabile.
Le domande Chi siamo? Cosa consumiamo? Come giudichiamo? Come e in che cosa crediamo?
sono declinate dal rapporto con l’altro e da quello con il passato. Non sapere come rispondere a
queste domande significa far parte del presente permanente e, di conseguenza, essere alla mercé
di un chi o un cosa che muove e definisce gli eventi. L’effetto è una terribile chiusura e ignoranza di
fronte alle storie umane che intorno a noi avvengono con drammatica frequenza e intensità.
Il progetto I Am Here Now vuole chiamare il giovane pubblico e partecipanti a chiedersi se siamo
capaci di cogliere il pericolo dell'ignoranza e se riusciamo a specchiarci nella storia dell'altro.
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3. Obiettivi
Definiamo cultura la trasmissione del bagaglio di conoscenze di un gruppo di persone al prossimo.
Le conoscenze ci definiscono come uomini, ci permettono di muoverci nel mondo con una
maggiore consapevolezza di come funziona il sistema in cui esistiamo, delle persone che la
compongono, delle dinamiche che lo attivano. La trasmissione di cultura definirà il livello di
consapevolezza umanistica di un cittadino e gli permette di pensare e scegliere con maggior
capacità di giudizio critico.
La cultura in questo senso permette di posizionare ognuno nella propria storia e ci aiuta a capire
che ogni esperienza personale è, in realtà, parte di una condivisione di esperienza umana.
Il lavoro permetterà in questo senso di portare alla luce e condividere con la popolazione le storie
dei cittadini del nostro paese che hanno vissuto l'esperienza della guerra, della pulizia etnica, della
fuga e dell'esilio. Cittadini che hanno oggi acquisito la cittadinanza svizzera ma anche coloro che
pur non avendo richiesto la nazionalità, sono ormai parte integrante della società e sono, come
esiliati, pressocché irriconoscibili.
Il lavoro è indirizzato a chiunque sia interessato; tuttavia verrà indirizzato particolarmente a chi è in
età giovane, ovvero ha la stessa età di coloro che durante le guerre hanno dovuto scegliere l'esilio.
È fondamentale per questo progetto che il target dei giovani sia raggiunto, in quanto è proprio
questa generazione che ha un grande bisogno di confrontarsi con la crisi identitaria, i pericolosi
nazionalismi, la storia contemporanea.
Questo preciso obiettivo culturale si traduce quindi in una concreta comunicazione: mostrare che
la guerra non è solo fisica, ma prosegue ben oltre i suoi confini tangibili e si trasforma in uno stato
mentale, declinato di volta in volta a dipendenza del momento storico personale che stai vivendo.
Un po’ più forte ogni tanto, un po’ più debole in altri momenti. Rimane attivo per molto tempo
dopo, nelle persone che la guerra l'hanno subita, a volte anche per tutta la vita. La violenza
inaudita che si è vissuto non può nascondersi o sparire: occorre rielaborarla.
“La metafora dell’albero dice che non è facile trapiantarne uno già cresciuto, bisogna stare attenti
a non ferirne le radici, bisogna trasportarlo bene e con cura, trovare un terreno adatto a lui per
ripiantarlo, quindi con almeno un po’ di terra simile a quella dove ha vissuto in precedenza, poi
bisogna aspettare che attecchiscano le radici e così via. Ci vuole tempo e forse nemmeno il tempo è
sufficiente.”
Storia 02 – Una metafora biologica
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Cicatrici
Dall’inizio del ventesimo secolo i Balcani sono stati stigmatizzati come “polveriere d’Europa”, come
se l’incendiarsi della violenza e la nascita di conflitti fossero attribuibili ad un’atavica propensione
alla violenza delle popolazioni slave.
Durante il conflitto jugoslavo degli anni ’90, media e politici europei hanno dipinto gli avvenimenti
come inevitabile espressione della propensione slava alla violenza. Spesso la stigmatizzazione è
stata interiorizzata dalle persone stesse, con conseguenze gravissime.
I profughi arrivati nell’Europa occidentali, portatori di storie di sofferenza, si sono scontrati con il
pregiudizio, che ha ostacolato oltremodo il loro percorso di integrazione e elaborazione del lutto.
Un lutto profondo, per la perdita di una parte di loro stessi, di una parte della loro vita che né
sarebbe tornata né sarebbe stato più possibile ricostruirla così come la conoscevano fino a quel
momento. Chi fugge da una guerra cerca vita, cerca la possibilità di ricominciare, ma anche di
riposarsi un po’, di capire cosa sia successo, di poter trovare una spiegazione che aiuti a dare un
senso a quello che si è vissuto. Tanti bisogni, tanti vissuti e soprattutto tante storie che hanno un
percorso in comune, un filo che conduce i loro protagonisti a dovercela fare, a dover ricrearsi un
mondo. Questo lavoro vuole condurre l’ascoltatore a fare un passo verso la storia dell’altro, del
vicino, dell’amico, dello sconosciuto per riconoscersi e conoscersi meglio, per non poter più fingere
di non sapere.
Comprendere come lo scatenarsi della violenza abbia stupito le persone, come sia facile
immedesimarsi nelle reazioni, nelle scelte compiute dalla maggior parte di loro, avvicina e
contribuisce ad abbattare i muri dell’indifferenza.
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4. Il progetto nel dettaglio
4.1 I Racconti
A vent’anni dall’ultimo grande conflitto europeo, la guerra nell'ex Jugoslavia, ricostruiamo alcune
storie di esuli moderni, che hanno ormai trascorso la maggior parte della loro vita in un paese non
loro e che si sono dovuti reinventare un’identità in un luogo sconosciuto. Si sono mimetizzati alla
moltitudine di persone che vivono in Svizzera lasciando apparentemente scomparire le tracce del
proprio passato, nonostante portino i segni di un'esperienza devastante: la guerra.
Alan Alpenfelt tra il 2012 e 2013 ha ascoltato le storie di 20 persone fuggite a causa del conflitto
balcanico quando avevano tra 10 e 20 anni e che tutt'ora vivono in Ticino, integrandosi e cercando
di superare lo strappo subito. Le testimonianze sono state trasformate anonimamente in una serie
di storie audio rilette da degli attori permettendo al racconto di acquisire valore universale. Ogni
vissuto personale è il vissuto di tutti, passato, presente o che verrà.
Le 20 storie sono co-prodotte con la RSI Rete Due.
La raccolta delle testimonianze ruota intorno a sette punti:
1. Chi sono ora
Il lavoro, le passioni, i passatempi. La città e luoghi considerati casa, gli amici, le relazioni, le
abitudini di vita. L’intento è portare subito in primo piano un dialogo che avviene in primis con una
persona.
2. La provenienza
Il luogo di provenienza, i ricordi d’infanzia, della propria casa, gli oggetti, le persone, i desideri
d’allora.
3. La partenza
I motivi per cui si è deciso di partire. Come si è viaggiato, quali persone si sono incontrate. Il
percorso effettuato.
4. L’arrivo
Il momento d’arrivo, attraverso quale dogana si è passati, l’impatto e i primi ricordi, i suoni della
lingua nuova, i centri d'accoglienza.
5. La prima intergrazione
I momenti dell’inserimento scolastico, i primi amici, come si è imparata la lingua. La “nuova”
infanzia, i ricordi degli altri bambini, di come ci si sentiva ad essere “slavi”.
6. La seconda integrazione
Il pericolo è passato? Come è avvenuta l’integrazione da adulti. I problemi che ancora si
riscontrano in termini di razzismo, disequilibri linguistici, religiosi, culturali e lavorativi. Il rapporto
con la lingua di provenienza e quella della terra ospite. Il rapporto con la propria storia.
7. Il futuro
I desideri di adesso.
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L’intento è dare un’immagine artistica della condizione di chi è forzatamente esule. Sarà uno
strumento in più per capire il proprio posto nel mondo, sia per coloro a cui queste storie
appartengono, sia per chi le ascolta.
4.1.2 Le storie (estratti):
01 – Il sapore delle fragole
C'è una cosa molto forte che mi ricordo di quando sono arrivata in Svizzera, dei primi anni, mi ricordo il silenzio. Perché
in famiglia non si poteva ascoltare la musica.
Per via del lutto.
Noi abbiamo fatto un lungo lutto.
Questa è un’usanza.
02 – Una metafora biologica
Penso che una pianta possa continuare a vivere su un terreno diverso da quello in cui è nata, ma per farlo ha bisogno di
cure, di attenzioni e di amore... Bisogna aspettare che le radici attecchiscano bene al terreno, che non si rompano
trapiantandola... Questa “metafora biologica” mi sembra esemplificativa rispetto a quel che penso dell’integrazione.
03 – Giocare alla guerra
Sono arrivata con il bus nel 1992. Sarajevo, Novi Sad, Budapest, Graz, Klagenfurt, Udine, Verona, Milano, Chiasso,
Faido. E oggi vivo a Lugano.
A Sarajevo la guerra per me era un gioco. Ma quando sono dovuta partire il gioco era finito. Dalla partenza da quella
stazione iniziò la brutalità. Uno strappo forte. Da quando presi quel bus, tutto d'un colpo, sono diventata adulta.
04 – Una vita normale
Abbiamo iniziato a giocare a basket, a conoscere le persone, a cercare lavoro. Gli sguardi accusatori stavano
diventando troppi, persone che ci guardavano male perché non facevamo nulla. Era come sentirsi un leone in una
gabbia.
05 – La luce della salvezza
Il fatto di essere scappata, per me è stata una fortuna. È brutto da dire, me ne rendo conto.
Ma poi non so, è come il film Sliding Doors. Se fossi ancora giù non conoscerei questa vita e sarei probabilmente
contenta. Chi lo sa.
Credo sia una domanda che si pongono tante persone.
06 – I cavalli nel grande prato verde
Mio papà è uscito, volevo seguirlo a tutti i costi, sono scappato fuori, bramavo di vedere cosa fosse successo. C'era una
gioielleria, un'oreficeria, mi ricordo tutte le scatolette e l'oro fuori, la gente che prendeva, saccheggiavano, in piena
guerra, vetrine spaccate. Io, camminavo sopra i vetri.
07 – Mi sum da chi
Noi siamo esuli. In Svizzera ci sono molti ragazzi dall'ex Jugoslavia: kosovari, croati, bosniaci, serbi, montenegrini… che
si sono integrati, ma anche no. Tutti hanno avuto dei problemi. Mi da fastidio che molti hanno accantonato la loro
storia. Devi sapere da dove sei partito. Se non conosci bene la tua storia, come fai allora a conoscere quella del paese
in cui stai, quella svizzera?
08 – Cosmopolita
Quando tu cammini sulla strada principale del tuo quartiere dove prima riconoscevi la metà delle perone, torni dopo
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una guerra e non conosci piu nessuno. Si crea una percezione di profonda ambiguità, magari riconosci tutto, ogni
sassolino di quella strada, ma comunque capisci che quella strada non ti appartiene più e tu non appartieni più a
quella strada.
Hai un’altra percezione di un altro mondo.
09 – Le pesche sulle ginocchia
Stavo in classe, non capivo niente, e poi mi prelevavano e mi mettevano in quest'altra aula per imparare l'italiano, io,
una ragazzina francese e una ragazzina indiana. La mia maestra, Giovanna, era bellissima, ci portava a fare dei giretti
per ordinare o comprare il pane. Così utilizzavamo quello che imparavamo. Grazie a lei era diventato tutto un po' un
gioco.
10 – Ra je nekom mama a nekom je maceha
Siamo usciti per capodanno. La città era piena di luce e di decorazioni natalizie. Non avevo mai visto tanta bellezza,
tanta luce. Era il mio primo contatto con il mondo vero dopo molto tempo.
La via Nassa era incredibile con le sue vetrine, i gioielli, i vestiti e questi orologi che costavano tantissimo. Ero
completamente stupito da tutta la bellezza.
11 – Le impronte sulla finestra
Quel periodo della mia vita, è come se non ci fosse, come se non la considerassi. Ci sono solo i ricordi. Quando sei
piccola, ci sono i sogni, gli incubi ricorrenti. Uno di quelli era che c'erano i miei genitori che partivano su un autobus,
questo partiva e loro sparivano. Io li salutavo piangendo.
12 – Camminare con l'erba sotto i piedi
Come adesso siamo qua tranquilli seduti a mangiare questi dolci, così era anche a casa mia, tranquilli. Cioè io non sarei
mai venuta di mia spontanea volontà qua, ad abitare e a vivere se non ci fosse stata quella guerra. Perchè avevo una
bella famiglia, un'infanzia felice, perché mai sarei venuta qua?
13 – Johnny
Vedo che il problema principale era che la nostra gente non si rendeva conto che non sarebbe quasi mai più tornata
giù. I miei genitori non avevano neanche tanta voglia di integrarsi. Gli offrivano dei corsi di lingua e noi invece
imparavamo a scuola. Però non la prendevano molto sul serio, vivevamo i giorni con il pensiero che la guerra sarebbe
prima o poi finita e noi ce ne tornati.
14 – Sotto l'albero dei ciliegi
Le vittime rimangono vittime anche dopo la guerra. Non ci sentiamo vittime, siamo vittime. Ma si va avanti a vivere.
Perdonare, è difficile. Io non ci penso a queste cose. Penso a me e al futuro dei figli, un futuro senza odio e che loro non
odino nessuno. Per essere persone complete e oneste.
15 – Vivere come dei piccioni
Quando siamo tornati, mio papà si è messo a cercare il nonno, e ha chiesto alla gente dicendo che doveva essere stato
ucciso in quel punto preciso. E ha provato a scavare. Non ha trovato niente. Poi quando siamo tornati dalle ferie, nel
sonno, mio nonno gli ha detto "io sono a 4 metri da dove tu mi hai cercato". Siamo andati giu l'estate dopo e abbiamo
trovato il corpo del nonno. Proprio li dove aveva detto.
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16 – Il tacchino nel forno
Poi sono arrivati gli spari. Mi mamma stava preparando il pranzo. Lei e le mie tre sorelle e altra gente del vicinato
siamo scesi nella cantina sotto casa nostra, per ripararci. La mamma ha chiuso la casa a chiave e il pranzo è rimasto in
forno. Sono corso a liberare Johnny dal recinto, non avremmo potuto prestargli cure adeguate. Da quella volta non l'ho
più rivisto.
17 – Quelle stelle nel cielo
Ogni tanto esco di sera a fare una passeggiata nei dintorni di Besso e guardo le stelle. Guardo l'azzurro scuro, che è
come una grande apertura. Significa tanta libertà, e mi fa piacere il pensiero che nello stesso momento altre persone
nel mondo magari fanno lo stesso gesto. È la stessa sensazione che avevo da piccolo quando scoprivo che esistevano
persone anche negli altri continenti, che quando io andavo a letto, loro si alzavano.
18 – Politica Bulgara
Durante lo stage lavoravo con colleghe adulte, di una certa età. E in quel periodo ne ho sentite parecchie. Mi hanno
anche paragonato ai tedeschi di Hitler. In casa anziani, in momenti di pausa, le infermiere continuavano a commentare
noi jugoslavi e sparlarci dietro. Sono cose che ti toccano nel profondo. Poi soprattutto detto a una bambina di quindici
anni.
19 – Montreal
Non riesco a capire, è stata una guerra in cui nessuno si è identificato. Una guerra stupida, tutta uguale. Mia nonna
aveva dovuto lasciare le mucche, le pecore, la fattoria. Mio nonno, l’hanno ucciso davanti alla stalla, colpendolo
all’occhio. È rimasto 16 giorni sul prato, è andato poi mio papà, con i caschi blu, lo hanno preso e portato via per
indentificarlo, era tutto ghiacciato. Volevo vedere anch’io, era avvolto nel cellofan, ma ho solo visto il suo braccio, con
l'orologio.
20 – I colori di una bandiera
Vedi, io non potevo immaginare che se qualcuno mi diceva "guarda che vivrai qua tra 20 e avrai una famiglia " per me
era "ma sei scemo?". Veramente, nessuno ci ha detto "voi siete qua, questo è il vostro paese, il vostro futuro". Se fosse
stato chiaro, magari sceglievo un'altra strada, magari avrei studiato, magari chissà che cosa per stare meglio". Oggi eri
in questo centro, un mese dopo ti portavano in una altro posto, e giù là continuavano a farsi sta guerra. Eri li come un
numero ad aspettare che tutto finisse per tornare.
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4.2 I AM HERE NOW – mostra itinerante audio-pittorica
L'artista Ravi Tironi dipinge le storie degli esuli raccolte da Alan Alpenfelt ascoltandone le voci
senza mai conoscerne l'identità. Egli utilizza diverse tecniche per trasportare su quadro ciò che
sente. Assembla il quadro alla maniera rinascimentale preparando il fondo del tessuto ed il
supporto in legno permettendo una totale creazione. Il materiale usato varia a seconda della
storia, ma ognuna ha in comune l'utilizzo del gesso fresco: come avviene per la vita, esso può
essere lavorato attraverso l'incisione di solchi che plasmano la nostra esperienza. In essi il gesso
accoglie polvere di pigmento che stringe a sé prima di seccare, come si fa con le gioie più grandi o
col dolore più profondo. I colori in trasparenza sono le memorie di ogni esule, coperte dagli strati
di gesso come una censura, un forzato impedimento di espressione culturale e storico. Ma il colore
si fa strada celando la sua luce: una grande indomita forza vitale.
L'sposizione implica l’abbinamento di ogni quadro con la sua storia audio che è possibile ascoltare
seduti e rivolti verso l’opera. L’effetto diventa un’esperienza multimediale ed immaginativa diversa
per ogni persona: la storia raccontata evoca immagini proprie e le forme astratte del quadro
prendono forme concrete.
Le esposizioni che propone il progetto prevede un numero di 20 esemplari (quadro + storia audio
su supporto CD con CD player e cuffie). A dipendenza dello spazio noi offriamo un pacchetto
espositivo a scelta da un minimo di 5 a un massimo di 20 esemplari.
La scelta delle singole storie viene caratterizzata da un equilibrio tra le storie femminili, maschili e
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di
provenienza
(ad
esempio,
non
solo
storie
bosniache
o
storie
serbe).
4.2.1 Distribuzione 2014
Maggio 2014
Mostra: Biblioteca Cantonale di Bellinzona
Media: RSI Rete Due
Biblioteca Cantonale di Bellinzona
Inaugurazione 10 maggio ore 14.00!
Dal 10 maggio 2014 al 7 giugno 2014 la mostra I AM HERE NOW verrà allestita presso la Biblioteca
Cantonale di Bellinzona con 20 postazioni audio-pittoriche.
Responsabili:
Direttore Stefano Vassere
Theo Mossi
La Biblioteca Cantonale di Bellinzona si presenta come un luogo molto suggestivo e
territorialmente centrale in occasione del lancio ufficiale delle mostre nel lungo termine. Poiché il
progetto ha avuto inizio in Ticino, la capitale di Bellinzona insieme al suo centro culturale si pone
come miglior spazio per presentare la prima esposizione al pubblico dopo l'anteprima durante il
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festival di Chiassoletteraria nel 2013. La Biblioteca ha il grande vantaggio di essere un luogo
pubblico e perciò non caratterizzato da cornici artistici o curatori. Esso è un luogo sia di ritrovo ma
anche di passaggio in cui possono avvenire incontri inaspettati, tra giovani, tra diverse etnie, tra
diverse generazioni. Per il progetto I Am Here Now è una perfetta soluzione in quanto mantiene la
sua condotta a-politica e rivolta a sensibilizzare la popolazione sulla memoria e sulla storia delle
migrazioni contemporanee.
Durante il mese espositivo, noi insieme alla direzione della Biblioteca Cantonale organizzeremo
l'inaugurazione con approfondimenti sui seguenti temi:
−
Saluto del Municipio di Bellinzona
−
I Am Here Now – presentazione progetto
Intervento di Alan Alpenfelt
Esplicazione del progetto
− La propria storia
Intervento di Milica Miladinović
La difficoltà di superare il trauma e la presa di coscienza dell'importanza delle propria storia. Come
essa serve a rendere una società più cosciente.
−
Il viaggio.
Interviene Aldo Sofia - giornalista
L'esperienza di viaggio come la vita: la ricerca continua di una provenienza e quella di un arrivo.
− Ascolto collettivo
Il pubblico ascolterà simultaneamente tramite cuffie wireless una storia audio.
−
Identità.
Interviene Stefano Malpangotti – Ufficio Federale della Migrazione
Il conflitto Jugoslavo come tragedia di un'Europa ancora alla ricerca di un'identità.
Cause: un rimescolamento etnico in paesi di migrazione.
−
La migrazione contemporanea.
Interviene Stefano Malpangotti – Ufficio Federale della Migrazione
Chi sono i migranti di oggi? E quale sarà il loro futuro?
Infine un ringraziamento da parte del direttore Vassene della Biblioteca Cantonale di Bellinzona
Trasmissione sulla radio nazionale RSI Rete Due
La Radio della Svizzera italiana, dipartimento dei radiodrammi sotto la direzione di Francesca Giorzi
ha confermato la produzione di 20 puntate audio di I Am Here Now in occasione delle due mostre I
Am Here Now. Ci sarà una speciale settimana di Colpo di scena, dal 5 al 9 maggio durante la quale
agli ascoltatori di Rete Due verrà proposta una selezione di racconti, in onda dalle 13.30.
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Novembre 2014
Mostra: LUGANO
Media: Radio Gwendalyn – Gwenstival V
Nella seconda parte del 2014 la mostra I AM HERE NOW si sposterà nel centro di Lugano. Il nostro
interesse è di avvicinare i temi anche verso i più giovani in un ambiente metropolitano e facilmente
accessibile. L'aspetto artistico della mostra è molto diversa da altre mostre classiche: la forza
estetica non si ritrova nel quadro ma piuttosto nella relazione tra la storia audio e il quadro.
L'intimità che si crea nell'ascolto parallelo alla visione nasconde la bellezza estetica che in altri casi
avverebbe esclusivamente sull'esecuzione artistica. Il valore estetico perciò non è del quadro ma è
nel rapporto. Questo rapporto è la vera propulsione artistica della mostra, dimostra un senso
nell'arte come supporto sensibile ai problemi sociali ed esistenziali che circondano la vita degli
uomini.
Trasmissione sulla radio locale indipendente
Durante il periodo dell'esposizione, la radio indipendente ticinese Radio Gwendalyn trasmetterà le
20 puntate audio in occasione del loro 5° festival internazionale di musica e radiofonia. Il festival
riceve per un breve periodo le frequenze FM che coprono il Mendrisiotto e Lugano.
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4.3 I Quaderni di Nisveta – basta che non venga la guerra
Scritto da Elvira Mujčić
Trailer spettacolo:
http://youtu.be/vW8nK_WrAGk
Ad accompagnare il progetto è uno spettacolo teatrale sulla guerra, la fuga dal proprio paese e
sulla fragilità dell’essere sospesi tra due mondi. Sarà la riflessione visiva e letteraria della
documentazione audio.
La prima internazionale è stata portata in scena con 530 spettatori il:
1° MAGGIO 2013
Ore 17.30
In occasione di Chiassoletteraria VIII edizione
CinemaTeatro di Chiasso
Prefazione di Elvira Mujčić
Ogni volta che ritorno a scrivere di certe tematiche e certi eventi che hanno condizionato la mia
esistenza, mi ritrovo imbrigliata in una rete di ricordi, emozioni e sentimenti, che non sapevo
nemmeno fossero ancora lì, dentro di me, sepolti dalla quotidianità normale di oggi. I quaderni di
Nisveta mi ha di nuovo permesso di scendere in profondità, recuperare qualcosa e se non proprio
dargli un senso, almeno vederlo da un altro punto di vista. Tutto la storia gira intorno a una frase di
Nisveta: “Il fatto è che uno non se ne va mai del tutto, però non può nemmeno ritornare davvero.
Ecco il dramma dell'emigrare”. L’identità, la memoria, la rimozione, la ricerca, il conflitto sono tutti
aspetti facilmente comprensibili quando li si colloca in quella dimensione di mezzo, di chi non è mai
andato via del tutto, ma nemmeno può tornare e quindi vive un eterno esilio interiore.
È un mondo precario e può bastare poco per spezzare tutto; a Nisveta basta che qualcuno pronunci
male il suo nome o che non sappia dove si trova il suo Paese di provenienza. Basta una canzone,
sentita per caso in una metropolitana a migliaia di chilometri dal suo Paese d’origine, per riaprire le
porte del passato, rivivere la guerra e rimettere tutto in discussione. Ma questa dimensione di
mezzo è anche un mondo ricco di vita, identità, consapevolezza, lingue e linguaggi. È ricco di
possibilità.
Sinossi
La memoria è polvere fine, polvere che copre i quaderni d’infanzia e con essi i sogni che li
animavano, una coltre che copre le ferite. Ma a volte basta un odore, un suono, un soffio di vento
per svelare ciò che era sepolto e trasformare la memoria in una scintilla che deflagra nel presente e
costringe a fare i conti con il passato. Con ciò che ci segnò, ci marchiò, con ciò da cui fuggiamo.
I Quaderni di Nisveta vede al centro la storia di una giovane donna prossima ai trent'anni la cui
esistenza è segnata da una doppia vertigine: da una parte un presente in piena crisi economica
ossessionato dalla rincorsa alla carriera rassicurante, in una società in costante crisi d’identità.
Dall'altra un passato lontano, segnato da una paura diversa, da emozioni indicibili, dalla violenza
estrema, dalla guerra.
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Nisveta, bosniaca, è avvocato di professione e a distanza di molti anni dal conflitto in Jugoslavia, si
è costruita una nuova esistenza in un paese non suo, mischiandosi alla moltitudine di persone e
lasciando scomparire le tracce della propria storia.
Una mattina si dirige a lavoro e scende a prendere la metropolitana. Sottoterra, immersa nella luce
innaturale dei neon, accade un evento inaspettato che apre una scatola chiusa da troppo tempo.
Di fronte ad una realtà dimenticata e frammenti di un puzzle smarrito sarà costretta ad affrontare il
fantasma di un sé altro, vivo e graffiante, dove una sorella impressa in un'immagine sbiadita
diventa il tramite fondamentale con la propria storia più intima.
È un percorso senza il quale correrebbe il rischio di ritrovarsi tritata in un presente permanente,
distaccato dal “già vissuto”.
In scena tre donne: Nisveta e le figure da lei evocate ,vorticanti in un ring di emozioni.
Il pubblico compierà un proprio viaggio attraverso lo sguardo di Nisveta. Si confronterà con le
domande che
definiscono la nostra esistenza e sarà chiaro che solo il rapporto con l’altro e con il passato può
renderci individui
consapevoli e liberi.
A noi la scelta.
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Scritto da
Elvira Mujčić
Coordinazione registica:
Valentina Bartolo
Interpreti:
Valentina Bartolo, Silvia Grande, Giulia Valenti
In collaborazione con
Chiasso, culture in movimento
Commenti allo spettacolo:
Questo spettacolo mi ha emozionato da morire. Mi ha fatto piangere e sorridere. Nello stesso
tempo ha dato spazio alla mia immaginazione, al nero più profondo che terrorizza ma anche alla
leggerezza più pura, che innalza, che apre, che fa respirare. Il tutto senza invadere, senza
costringere. Ha lasciato spazio alle emozioni che l'evocazione ed il racconto suscitano, in ognuno di
noi. Ha lasciato spazio, guidando..percorrendo..raccontando. E' difficile fare questo. Il rischio può
essere quello di costringere..di imporre. Ma non è accaduto.
Lo spettacolo mi ha trasmesso un'insieme di emozioni forti e contraddittorie, ma con la delicatezza
di una danza, arrivando piano piano dritto dove doveva arrivare..a raccontare il dolore e la paura
con gli occhi di un bambino. Bello davvero. Complimenti.
Sandra
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Nisveta Mehmedovic, un nome e un cognome che non sono altro più che una formalità, un
annoiamento burocratico che salta fuori allo sportello dell’ ufficio postale, quando meno ce lo si
aspetta. Una cosa insolita, ma niente di più. Sembrano aver perso, da qualche parte la loro storia,
che siano stati sepolti da qualcuno sotto una coltre di qualcosa.
Incontriamo Nisveta nell’oscuro budello della Metropolitana, un metaforico non-luogo per
eccellenza, lontano dalla luce del sole. N, chiamiamola così ora, è una rampante corazzata in
tailleur, un'avvocatessa pendolare metropolitana sulla Linea 1, una donna che si è fatta da sé e che
non dipende da nessuno. Senza rimpianti, forse anche senza ricordi, perché sono poco più che
zavorra.
Ma basta una eco lieve, una musica che si infila fra le pieghe, a far risuonare e poi collassare
questa fortezza in gonnella. Crollano i muri, intesi come separazioni che allontanano, fortificano
ma nascondono. Crollano e il passato (prima solo tenebroso sullo sfondo) e il presente iniziano un
dialogo fitto, una confusione costruttiva tra tempo e spazio.
Allora il tunnel della metropolitana sfocia fra le innevate colline balcaniche, nel 1992, con una
Nisveta bambina e la sorella Suada. Due ragazze che tentano di sfidare l’illogica spietatezza della
guerra incombente con un’ altra illogicità, quella candida e ludica dell’infanzia. Nascono così “i
quaderni” con i quali le due Mehmedovic separano nettamente i buoni (tanti), quelli contrari al
conflitto, dai cattivi (pochi) che sono a favore. Ma allora com’è che la violenza esplode lo stesso?
E con il conflitto e l’abbandono della terra natìa anche i ricordi della Nisveta di oggi si fanno più
rarefatti ma fluidi e ricominciano, dopo essersi sbrigliati, a scorrere e sfilarsi naturalmente. E così al
posto di una stretta maglia che trattiene e separa, abbiamo un unico lunghissimo filo che collega
presente e passato e invita, tanto noi quanto la stessa protagonista, a ricordare, approfondire per
riscoprirsi.
Filippo
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4.4. EP + Libretto
I musicisti della label Pulver&Asche Records (http://www.pulverundasche.com) comporranno la
colonna sonora del progetto. Essa sarà presente nello spettacolo I Quaderni di Nisveta e nei
racconti audio.
Il lavoro confluirà in un EP incluso nel libro stampato in numero limitato di Elvira Mučić.
Il prezioso prodotto sarà creato dalla agenzia di design ROSSI&MAZZEI
http://www.rossimazzei.com
Qui di seguito un esempio di un audio-libro della P&A Records.
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5. Traduzione e valenza nazionale
l progetto vuole essere distribuito su tutto il territorio elvetico. L'importanza dei racconti merita
una valenza nazionale. Il problema trattato è una questione che concerne tutto il Paese, la sua
popolazione e il rapporto con chi è esiliato.
Per questo motivo, il progetto prevede una seconda fase.
A partire da settembre 2014 fino al 2016, le puntate saranno tradotte in tedesco, francese, (se le
forze lo permettono anche in romancio) e pubblicate sul sito iamherenow.ch.
La mostra I Am Here Now dopo essere stata distribuita nel suo cantone di concepimento, TICINO, si
allarga nel 2015 e 2016 alle rimamenti zone linguistiche. Ogni mostra viene accompagnata dalla
radio nazionale e da radio indipendenti.
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6. Organizzazione
Un progetto di
Alan Alpenfelt
Collaboratrice progetto
Milica Miladinović
Pittura e scultura:
Ravi Tironi
I Quaderni di Nisveta:
Testo di Elvira Mujčić
Musica:
Jakob Ullmann
Black Fluo
Storie prodotte da
RSI Rete Due
registrate allo studio 4 della Radiotelevisione svizzera da Thomas Chiesa
Un particolare ringraziamento a:
Lucia Ceccato
Flavia Cereghetti
Thomas Chiesa
Francesca Giorzi
Tiziana Mona-Magni
Adele Raes
e tutte le persone che hanno contribuito con le loro storie.
Per maggiori informazioni, documentazione e ascolti:
http://www.iamherenow.ch
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8. Contributi e Partner:
FSRC/SRKS – Fondazione svizzera per la radio e la cultura
RSI Rete Due
Ufficio federale delle migrazioni - UFM
Servizio per la lotta al razzismo - SRL
Repubblica e Cantone Ticino - Fondo Swisslos
Migros Percento Culturale
Ernst Göhner Stiftung
Città di Bellinzona
Radio Gwendalyn
Biblioteca Cantonale di Bellinzona
Nucleo Meccanico Produzioni
ChiassoLetteraria
Dicastero Servizi e attività sociali: Chiasso, culture in movimento
V XX ZWEETZ Creative Company
APG/SGA
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“Ovunque nel mondo, in qualsiasi posto il
mio pensiero vada o si arresti, trova fedeli e
operosi ponti, come eterno e mai soddisfatto
desiderio dell'uomo di collegare, pacificare e
unire tutto ciò che appare davanti al nostro
spirito, ai nostri occhi, ai nostri piedi,
affinché non ci siano divisioni, contrasti,
distacchi.”
Ivo Andrić
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