47
CAP. V
La finzione
1) Interpretazione e restituzione dei motivi narrativi
All’interpretazione Giampaolo Lai ha cercato di sostituire la
restituzione dei motivi narrativi.
Penso che conosciate un po’ l’ultimo marchingegno laiano: la
raccolta dei motivi narrativi costituisce l’apporto della semantica, la
raccolta delle morfologie grammaticali, quello della grammatica; se
esistono delle corrispondenze tra gli approdi della semantica e quelli
della grammatica, si può sperare di avere imboccato la strada giusta.
1a) Due esempi di analisi grammaticale
Ma interrompiamo il nostro discorso per dare due esempi di
analisi grammaticale (congiunta con quella semantica).
La “conta” dei predicati porta ad ipotizzare un “costrutto”; si
tratterà di andare a verificare se l’ipotesi è fondata o no!
Facciamo due esempi; presentiamo, quindi, l’esempio del
costrutto di “forza dell’io” (dialogante) e quello di “apertura al
possibile”.
A.
Consideriamo il seguente turno verbale di Giulia:1
GIULIA: No, parlo io, spero... poi ne parla anche lei, dice il suo punto di
vista, io spiego. No, niente, dopo una seduta con la [Omissis] io, l’effetto
di questa seduta, per dei motivi che io non so spiegare, eeee, niente,
decisi di smettere di mangiare, la mattina mi svegliai in uno stato
particolare, con uno stato d’animo particolare e decisi diiii... Sicuramente
all’inizio, infatti, la [Omissis] la prima cosa che mi disse è che il fatto che
io fossi stata presa da lei in terapia aveva avuto un effetto non di...
impegno di lavoro su me stessa... ma un effetto scatenante di qualcosa
che c’era... e poi... inizialmente era un fatto provocatorio nei confronti di
tutti... e dopo... è diventato un fatto mio... con la bilancia... di attacchi
di...
1
Da Il dialogo interiore di una paziente designata, 2002: 39 e segg.
48
Giulia anticipa la madre (che potrà parlare, ma dopo).
Per due volte usa un’espressione tipica del linguaggio
sistemico: “decisi”, di smettere di mangiare. Questa decisione
sembra scaturire dal nulla. Una cosa colpisce: Giulia non è in grado
di raggranellare i “motivi” della sua decisione (“per motivi che io non
so spiegare”), ma
1.
vuole parlare lei al posto della madre (“No, parlo io, spero”);
2.
vuole spiegare (“io spiego”). Giulia si impone, sia con
l’anticipazione che con l’affermazione dei predicati afferenti
all’io (“parlo io”; “io spiego”); l’impressione è che, nel turno
verbale di Giulia, attraverso l’uso di predicati afferenti all’io (che
sono predicati afferenti a Giulia), il soggetto, Giulia, si affermi;
3.
la spiegazione è strana: “io spiego”, che, dopo una seduta, “per
dei motivi che io non so spiegare”, “decisi”.
Comunque, se non è chiaro il propter hoc è chiaro il post hoc:
dopo una seduta con (omissis). Anzi, dopo la seduta, Giulia dorme;
si sveglia in “uno stato particolare” (“particolare” è ripetuto due volte)
e decide.
Il post hoc è esplicitato così:
1) dopo la seduta;
2) dopo il risveglio dal sonno (dopo la seduta).
La seduta sembra aver provocato, nel sonno, “uno stato
particolare”; questo ha portato alla decisione di non mangiare più.
Questo non mangiare più sembra approdare alla trasformazione
dei problemi familiari in un problema suo (di Gulia): “È diventato un
fatto mio” (ulteriore afferenza al soggetto). Uno strano processo di
individuazione.
È come se, dato il significato simbolico del cibo, Giulia “decida”
di estraniarsi dalla famiglia, dal desco familiare; infatti dorme.
Giulia continua il dialogo interiore ma, questa volta, esprime una
sua scelta che la rende responsabile delle sue azioni. Non cerca una
risposta dagli altri; la sua attenzione è rivolta esclusivamente su di
lei.
Proviamo a cercare la conferma della auto-responsabilizzazione
di Giulia attraverso la conta del numero dei predicati afferenti all’io
contenuti nella micro-sequenza che inizia con ”No, parlo io…” fino a
“… di attacchi di…”.
1
2
3
io parlo
io spero
parla
pres.
pres.
pres.
49
4
5
6
7
dice
io spiego
io (non) so spiegare
io decisi
8smettere
pres.
pres.
pres.
pass. rem
inf.
8
9mangiare
9
10
io svegliai
11
io decisi
12
disse
13
14
15
16
17
18
è
che io fossi stata presa
aveva avuto
era
era
è diventato (un fatto mio)
inf.
pass.
rem.
pass.
rem.
pass.
rem.
pres.
cong.
pass. pr.
imperf.
imperf.
pass. pr.
La tabella riassuntiva dei predicati è la seguente:
Predicati
Afferenti all’io
Infinito
Congiuntivo
Presente
Passato
Negazioni
Imperfetto
Frequenza
18
9
2
1
7
6
1
2
Proporzione
0.50
0.11
0.055
0.38
0.33
0.055
0.11
Nell’ambito dell’analisi grammaticale, una frequenza di 9
predicati afferenti all’io su un totale di 18 (espressa sotto forma di
proporzione equivale allo 0.50) è molto alta (La conversazione
immateriale,2 e dimostra il protagonismo del soggetto (contra la sua
eclissi). Questo dato, quindi, conferma la nostra ipotesi: il processo di
individuazione, attraverso il quale Giulia riuscirà a “svincolarsi” dalla
famiglia, è già in corso; è iniziato attraverso la scelta inconsapevole
2
Torino, Bollati Boringhieri, 1995: 4 e 77.
50
di non mangiare, ma sta proseguendo con quella della responsabilità
della propria condotta alimentare e non.
B.
Esaminiamo la “micro-microsequenza” seguente:3
33a) CLAUDIO: [...]. [Pausa di 23”.] E poi c’è un’altra cosa, cioè, io continuo
a pensare, io ho fiducia forse, a lei la farà ridere questa cosa, ma io
[pausa di 10”] forse… non so, insomma, mi vergogno anche un po’ a
dirlo perché è, è un po’ naif, ma io mi, mi attendo, mi aspetto che quello
[sospira], insomma, [inizia a piangere], io spero [pausa di 10”] spero
tanto che lei mi aiuti. [Singhiozza e respira affannosamente. Pausa di
24”.] Spero veramente che lei… capisca che per me è difficile mettermi,
rimettermi così a lei. Perché anche se ho fatto tante schifezze nella mia
vita, in realtà [pausa di 8”] non me lo sono mai perdonato… [pausa di
9”.]
[Squilla il telefono.]
33a) CLAUDIO: [Singhiozza disperato, le parole sono coperte dal pianto.]
Se avessi un coltello e sapessi dov’è il male, me lo taglierei da solo.
33b) PSICOTERAPEUTA: Se, se sapessi?
34a) CLAUDIO: [Continuando a piangere e singhiozzare.] Se avessi un
coltello, e sapessi dov’è il mio male, me lo leverei da solo… ma non lo
so dov’è.
È la prima volta che ho pensato all’analisi grammaticale nel bel
mezzo dell’infuriare delle emozioni di una conversazione
psicoterapeutica. Non mi sono messo, certo, a contare i predicati
finzionali... E, intendiamoci bene, non avrei avuto neppure bisogno di
accorgermi che c’erano e che ce n’erano in tale quantità... Infatti,
subito e nettamente, dalla stessa semantica, mi è risultato chiaro che
Claudio, per la prima volta e con intensità inaudita (cioè mai udita da
me), cercava di affidarsi a me come a una persona che avrebbe
potuto aiutarlo.
Ma mi ha entusiasmato-divertito l’essermi accorto di poter
vedere, in diretta, come co-funzionavano la semantica e la
grammatica.4
3
Da Predicati finzionali e predicati apodittici, di Salvatore Cesario, “Tecniche
Conversazionali, n. 25, 2001: 29-37.
4
Anche qui un’AGGIUNTA volante. Leggete un testo straordinario, Grammatiche
della creazione, di Gorge Steiner… In sintesi
1) l’autore recupera il funzionale laiano, in modo particolare il tempo futuro e il
“se” (o “come se”) ecc.: “Il tempo futuro, la capacità di discutere fatti che
potrebbero succedere il giorno dopo il proprio funerale o fra un milione di
anni nello spazio interstellare sembrano caratteristiche specifiche
dell’homo sapiens. Lo stesso vale per il congiuntivo o per i modi
51
Contiamo i predicati finzionali, in questo caso rappresentati
anche dall’avverbio “forse”, dalla congiunzioni “se”, oltre che dalle
voci del verbo sperare, attendersi e dai predicati ai modi
condizionale, congiuntivo, futuro.
I predicati, nella loro totalità sono 35;5 la quantità dei predicati
finzionali è variabile; nel senso che, se consideriamo la micromicrosequenza scelta, sono 18, cioè il 51,50 %, che è una bella
percentuale rispetto a quella del 13 %, spartiacque tra significatività e
non significatività.
Ma possiamo rendere più micro la micro-microsequenza;
questa sarebbe, secondo me, la scelta migliore; la micromicrosequenza non deve, infatti, individuare uno snodo
conversazionale, e solo tale snodo (in questo caso, quello che ci
segnala che Claudio si sta aprendo all’universo del possibile)?
Ebbene, possiamo ridurre la sequenza facendola partire da “mi,
mi attendo”, e facendola terminare con “lo leverei”; possiamo anche
attribuire ai predicati “mi, mi attendo”, “spero tanto”, “spero
veramente” un valore doppio; in questo caso i predicati finzionali
sono 18 su un totale di 21: il 95.50 %.
Una percentuale strabiliante, vicinissima al I00%
Comunque, è del tutto evidente che Claudio si mette nelle mani
dello psicologo; esprime qualche riserva prima del gran balzo
(nell’incipit della sequenza che abbiamo poi deciso di stralciare) e
alla fine della medesima (“me lo taglierei da solo”, “me lo leverei da
‘controfattuali’ che sono anch’essi collegati, in un certo senso, ai tempi
futuri. Soltanto l’uomo, per quanto possiamo concepire, dispone dei mezzi
per modificare il proprio mondo attraverso le subordinate ipotetiche,
generando espressioni come: ‘Se Cesare non si fosse recato al
campidoglio quel giorno’. Mi sembra che questa ‘grammatologia’
immaginaria, formalmente incommensurabile, dei futuri verbali, dei
congiuntivi e degli ottativi abbia svolto un ruolo indispensabile, ieri come
oggi, per la sopravvivenza e per l’evoluzione dell’“animale linguistico” di
fronte allo scandalo incomprensibile della morte dell’individuo, In un senso
ben reale, ogni uso del futuro del verbo essere è una negazione, anche se
soltanto parziale, della mortalità [il testo di Giampaolo Lai, il secondo della
trilogia sulla conversazione, Conversazionalismo, porta il sottotitolo o si
prolunga nel sottotitolo: Le straordinarie avventure del soggetto
grammaticale]. E ogni subordinata ipotetica è un rifiuto dell’inevitabilità
brutale, del dispotismo dei fatti. I ‘farò’, i ‘sarò’ e i ‘se’, nel loro gravitare in
campi intricati di forza semantica intorno a un centro o nucleo nascosto di
potenzialità, sono le password verso la speranza” (2001, tr. it. 2003: 11-12;
2) ma la speranza, che attraverso tutte le forme di “messianismo”, anche
quelle laiche come la marxista, stanno tramontando. Che fare?
5
Evidentemente, in questo caso la “conta” viene fatta senza esibire l’elenco dei
predicati!
52
solo... ma non lo so dov’è”, dove, forse, aleggia un piccolo rimpianto:
se sapessi dov’è... ce la farei da solo!).
Teniamo presente che, proprio in questa occasione, risulterà
evidente – in un contesto che il lettore è invitato a scoprire andandosi
a leggere l’articolo –che Claudio, non solo è diffidente – cosa che lo
psicologo ha sempre sentito-saputo – ma è anche paranoide!
1b) Di nuovo: Interpretazione e restituzione dei motivi narrativi
Il motivo narrativo è “l’unità significativa minimale del testo,
orale o scritto, che consente a un ascoltatore o a un lettore di un
testo lungo — come un romanzo — o relativamente breve — come
un turno verbale conversazionale — di cogliere, per così dire,
l’essenza, il nocciolo, il messaggio, del testo stesso”.6
Per esempio, un motivo narrativo del romanzo I promessi sposi
può essere: “C’è la Provvidenza”, un altro: “La virtù è premiata e la
cattiveria punita”.
In una più recente definizione, Lai aggiunge un particolare
interessante: i motivi narrativi sono le unità minimali di significato di
un testo, “nel senso di una frase musicale”.7
Il motivo narrativo è l’“unità significativa minimale”, ma
significativa; quindi, fa parte della semantica, quella semantica di cui
l’analisi grammaticale cercherà di verificare la fondatezza o meno.8
A lungo ho pensato che la differenza tra motivi narrativi e
interpretazione stesse nel numero plurale dei motivi rispetto al
numero singolare dell’interpretazione la quale, anche se “debole”, è
sempre una sola (si declina, cioè, sempre al singolare). Il
conversazionalista dovrà, con un gesto comunque arbitrario,
decidere su quale dei motivi narrativi, che gli appariranno significativi,
puntare nella mossa conversazionale che farà.
6
Lai e Vetuli, 1997: 191.
Forme poetiche nella conversazione, 1996: 64.
8
Giampaolo Lai riconosce che a Chaïm Perelman, in particolare al suo Trattato
dell’argomentazione, sicuramente un piccolo capolavoro nel settore, è debitore
del primo spunto per la costruzione del marchingegno dell’analisi grammaticale
(1958, tr. it. 1989: 163, 169); trascurando altri spunti, ricordiamo quello relativo
alle tecniche; vedi la terza parte del volume, quella più ampia (ivi: 195-538)
intitolata Le tecniche argomentative. (Per i finzionali, vedi lo spunto di Bateson
ne La tesi contro la tesi a favore del dualismo mente-corpo, 1976, tr. it. 1997:
435). Sull’analisi grammaticale, nella cornice dei vari filoni di ricerca nell’ambito
della verifica dei risultati, vedi, a cura di Wally Festini Cucco, Metodologia della
ricerca in psicologia clinica.
7
53
Recentemente ho dovuto ricredermi.
Leggo, infatti, che “l’insieme dei motivi narrativi, nel loro
succedersi in un certo ordine, costituisce l’intreccio di una
narrazione”;9 ancora: “Caratteristica essenziale, per la nostra
presentazione dei motivi narrativi, è lo spartiacque fra il loro
presentarsi relativamente isolati oppure il loro essere ricorrenti,
iterati, ripetitivi”.10
In un articolo coevo, Pierrette Lavanchy toglie ogni dubbio
quando distingue tra “motivi narrativi parziali”11 e “motivo narrativo
globale”.12
Risulta abbastanza chiaro che l’“essenziale” non è nel numero
ma nella qualità.
Ma quale qualità?
Penso che l’essenziale stia nel fatto che il testo, in cui il
ricercatore individua i motivi narrativi parziali e quello globale, è un
testo letterario o è trattato come un equivalente d’un testo letterario.
Sì, lo “spartiacque”, è tra ricerca scientifica e ricerca letteraria;
anche se su questa, ad un certo punto, si impianta quella scientifica.
Ma la ricerca scientifica avviene, come dire, a carico di un testo
letterario.
2) La svolta linguistica13
Ciò che accomuna le nostre ricerche – sulla validazione delle
psicoterapie (che, almeno lato sensu, è il settore di massima
applicazione della psicologia dinamica, di quella che noi coltiviamo) –
è un fatto ordinario capace di produrre effetti straordinari!
Ci riferiamo al fatto che i ricercatori nell’ambito della verifica dei
risultati e dei processi fanno sempre ricorso alle trascrizioni dei testi
delle conversazioni psicoterapeutiche. Si tratta di un fatto ordinario;
basta pensare che i sistemici hanno ereditato dal gruppo di Palo Alto,
che era un gruppo di ricerca, insieme a ciò che ha loro permesso di
costruire l’approccio sistemico–relazionale, anche il setting di ricerca:
lo specchio unidirezionale e la videoregistrazione…
9
Ivi: 64; corsivo mio.
Ivi: 65-66.
11
L’intercalare “ecco” e la sua funzione conversazionale,1996: 81-2.
12
Ivi: 82.
13
Sto citando ampiamente da La svolta linguistica, la mia introduzione a La verifica
di una terapia dinamica sui generis di Chiara Barni e di Salvatore Cesario, 2002:
16 e sgg.
10
54
Ma tale fatto ordinario, a ben guardare, ha degli effetti
straordinari…
Ad esempio, quello di far virare la psicologia dinamica – quella
che noi insegniamo… ma, a nostro parere, tutte le discipline che
ruotano intorno alla psicoterapia – verso la semantica, la linguistica;
verso quello che Giampaolo Lai ha definito “conversazionalismo”.14
Ricordate che, secondo Freud, l’“interpretazione dei sogni è la
via regia per la conoscenza dell’inconscio”;15 ebbene, più volte
Giampaolo Lai ha segnalato che non possiamo mai lavorare sul
sogno ma solo ed esclusivamente sul “racconto” del sogno (vedi tra
poco).
Questo fatto, ripetiamo, fa virare la psicologia dinamica, erede
della psicoanalisi, verso la linguistica, la semiotica, il
conversazionalismo; col risultato che viene, inevitabilmente, almeno
nella psicologia dinamica applicata alla verifica dei risultati e dei
processi, privilegiato lo studio dei processi; e lo studio di questi come
processi linguistici, forme retoriche.16
14
Non a caso il suo ultimo trittico è tutto centrato sulla conversazione: La
conversazione felice, Milano, Il Saggiatore, 1985; Conversazionalismo, Torino,
Bollati–Boringhieri, 1993; La conversazione immateriale, Torino, Bollati–
Boringhieri, 1995. Vedi, del 1996, La nuova epistemologia in psicoanalisi dopo la
svolta linguistica.
15
L’interpretazione dei sogni, 1900, tr. it. 1996: 553. A Jung capita di citare quasi
letteralmente Freud; ad esempio in Considerazioni sulla psicologia del sogno:
“L’analisi dei sogni è lo strumento per eccellenza del trattamento analitico” (1916–
1948, 1976: 297). Qui l’analisi sta per l’interpretazione… Ma, molto spesso, capita
che lo citi, come dire, proponendo una sorta di scorciatoia verso l’inconscio che
salta sia lo strumento, l’”interpretazione” del sogno, che l’approdo: la “conoscenza”
dell’inconscio; come se il sogno fosse un trampolino di lancio da cui tuffarsi
direttamente nel sogno; vedi, ad esempio nel Necrologio in cui, proprio in sede di
valutazione conclusiva – fatta post mortem –, attribuisce a Freud la sua propria
scorciatoia: “Il sogno è la via regia alla conoscenza dell’inconscio” (1939, tr. it.
1991: 220); vedi anche nel Saggio di esposizione della teoria psicoanalitica: “Come
giustamente dice Freud, il sogno è la ‘via regia per accedere all’inconscio’” (191255, tr. it. 1976: 169)… Si tratta di un’oscillazione in cui c’è tutto Jung! Ho tolto
queste poche informazioni da un mio testo che ho inspiegabilmente conservato, il
testo di una lezione su Jung – all’epoca, quando si facevano i corsi monografici,
scrivevo le lezioni –; ho detto “inspiegabilmente” perché, pur avendo all’epoca (nei
primi anni ‘80) programmato, su uno spunto di Franco Rella, una ricerca sulla
precarietà – la “caducità” freudiana – in Jung, e pur avendo letto magnis cum
itineribus l’opera omnia di Jung da questo “vertice”, non ho mai portato a
conclusione quella ricerca; addirittura, recentemente, ho gettato i faldoni che
contenevano i “materiali”.
16
Non a caso, come abbiamo già segnalato, un grande ispiratore di Giampaolo Lai,
soprattutto nella costruzione del marchingegno che opera sulle possibili
concordanze tra gli esiti dell’analisi semantica e quelli dell’analisi grammaticale
55
Lo sbobinato – o la “trascrizione” –, che Lai definisce
“conversazione immateriale”, è un testo. Ma ritorniamo al sogno =
racconto del sogno…
3) Sogno e racconto del sogno. L’ordine del discorso
Teniamo bene in mente che non abbiamo mai un sogno, ma
solo il racconto di un sogno.17 Ebbene, consideriamo il racconto di un
paziente in cui si mescolano una serie di sogni, impressioni, fatti
recenti e lontanissimi.
Per semplificare, consideriamo soltanto i sogni che il paziente
ha raccontato, secondo un ordine cronologico che solo
successivamente ha corretto. Ebbene, l’analista, quando gli risponde,
se gli risponde, gli dice qualcosa di simile: “Lei, mi ha detto che…” e
individua i motivi narrativi parziali e quello globale del racconto del
paziente, non rispettando l’ordine cronologico corretto, cioè quello in
cui sono stati fatti i sogni, ma quello, stravolto, in cui essi sono stati
raccontati!
Il paziente può obiettare che l’ordine corretto era diverso… E
che, quindi, il senso configurato, i motivi narrativi parziali e quello
globale restituiti, sono destituiti di fondamento perché…
L’analista gli contro-obietterà dicendo che lui, nel suo lavoro, si
attiene all’ordine del racconto!
Sì, all’ordine del racconto!
Aderendo alla Regola Fondamentale, il paziente ha fatto una
sorta di andirivieni attraverso il passato, il presente e il futuro e ha
raccolto materiali eterocliti, provenienti, cioè, in vario modo, dal
passato, dal presente e dal futuro.
In termini un po’ più tecnici, linguistici e non psicoanalitici, si
dice ch’egli ha dissolto l’ipotassi e ha prodotto una paratassi. Egli,
cioè, ha distrutto l’ordine (sin-taxis = posizione-insieme, ma, più
chiaramente, ipo-taxis = posizione-sotto) in cui i vari avvenimenti
erano stati organizzati in un’ipotetica cronaca o in un’ipotetica storia
già consacrata. Successivamente, tramite la paratassi (para-taxis =
posizione-accanto), ha collocato l’uno accanto all’altro i pezzi
costitutivi della vecchia ipotassi.
(sintattica ecc.), è il Trattato dell’argomentazione di Chaïm Perelman e Lucie
Olbrechts–Tyteca.
17
Vedi, di Lai, Un sogno di Freud, 1977: 15 e sgg.; La conversazione felice, 1985:
119 e sgg, 135 e sgg; Un sogno e il racconto di un sogno, del 1992; Il labile sogno
di dell'interpretazione, del 1995.
56
Apriamo una parentesi per dare un’esemplificazione di ipotassi
e di paratassi; cito da un lavoro di Lai e di Fioravanzo, Dall’attenzione
fluttuante all’ascolto paratattico, del 1994. In questo scritto che vi
invito a leggere, incontriamo il racconto del sogno seguente: “Ho fatto
un sogno stanotte. Ero con mia moglie, a fare non so se una specie
di gita in campagna, una passeggiata, non ricordo se in bicicletta, a
piedi, come, in una specie di campo, e a un certo punto trovavamo
un cane, un cagnolino legato con una corda a un cespuglio, a un
albero. Allora ci fermavamo, e non so se lo slegavamo, cosa
facevamo con questo cane. E lì vicino c’era una cascina, una specie
di rudere, abbandonato, una casa semidistrutta, andavamo dentro a
vedere in questa casa. Dove però c’erano non so come delle tracce
di abitazione, di, una specie di poltrona sgangherata, un camino cioè
sembrava abitata, però era vuota. E a un certo punto facevo per
uscire da questa casa e trovavo la porta chiusa, cioè mi avevano
chiuso dentro, rinchiuso. E arrivano tre specie di delinquenti i quali,
non so, ho la sensazione che ci avessero sequestrato, ci barricano
dentro in questa catapecchia. E mi ricordo che uno di questi era un
po’ gobbo, e gli dicevo, con quella schiena, per cercare di rabbonirli,
gli facevo come una specie di massaggio alla schiena, di
manipolazione alla gobba. E devo dire che non era una situazione
molto piacevole. Chissà cosa vuol dire”.
Segue la paratassi; ogni forma proposizionale semanticamente
significativa viene posta su una nuova riga e ne vengono segnalati i
legami ordinativi con l'artificio grafico di allineare le frasi di pari ordine
a sinistra e di incolonnare quelle subordinate, alcuni spazi più a
destra:
ho fatto un sogno
ero con mia moglie
a fare una gita in campagna
non ricordo
se (eravamo) in bicicletta, a piedi
trovavamo un cane legato
ci fermavamo
non so
se lo slegavano
cosa facevano
c'era una cascina
andavamo dentro
a vedere
c'erano
non so
57
sembrava abitata
però era vuota
facevo per uscire
trovavo la porta chiusa
mi avevano chiuso dentro
arrivano tre specie di delinquenti
non so
ho la sensazione
che ci avessero sequestrato
ci barricavano dentro
mi ricordo
che uno di questi era un po' gobbo
gli dicevo
per cercare
di rabbonirli
gli facevo una specie di massaggio
devo dire
che era una situazione molto piacevole
cosa vuol dire (1994: 81-83).
Il risultato di una serie di operazioni e di rilievi è la seguente
trasformazione del testo ipotattico in un testo paratattico: "Giulio mi
dice che non sa e mi dice che slegavano il cane e mi dice cosa
facevano con il cane e mi dice che andava e che vedeva e che ha
sensazioni e che era sequestrato e che ricorda e che uno è gobbo e
che diceva e che cercava e che rabboniva e che doveva dire e che
non era piacevole" (ivi: 85-6).
Chiusa la parentesi.
4) Il coraggio di fingere
Stavamo descrivendo le varie operazioni del paziente in
obbedienza alla regola fondamentale...
Continuiamo.
Procedendo e guidato dal fascino su di lui esercitato da chissà
quale nuovo motivo narrativo, volendolo o non volendolo,
consapevole o inconsapevole, egli ha organizzato una nuova
ipotassi.
Quella, per l’appunto, che l’analista cerca di restituirgli,
eventualmente perfezionandola con suoi ritocchi personali.
Straordinario!
58
Il nuovo racconto – la nuova ipotassi – stravolge il racconto
precedente, quello che o rassomigliava ad una semplice cronaca
familiare o si era già organizzato in una storia sacra.
Ma qual è il racconto vero?
La risposta, in sede di psicologia dinamica, è che il problema è
un problema spurio. È, cioè, un problema di capitale importanza, ma
altrove, non nell’ambito della conversazione psicoterapeutica o a
forte valenza psicoterapeutica.
Quindi, in ambito clinico.
Che cosa è di capitale importanza in questo ambito?
La finzione!
Sull’onda di Jaynes, diremmo, addirittura: il coraggio di
fingere.18
Perché di coraggio si tratta!
Molto spesso il paziente non riesce ad associare niente!
L’analista, o per non scoraggiarsi o per incoraggiare il paziente o per
altre ragioni ancora, se ne esce con la trovata, più o meno
intelligente, talvolta addirittura geniale, che il paziente ha associato il
niente!
Di fatto, l’elemento più interessante delle libere associazioni è la
loro libertà.
E sappiamo che ci vuole del coraggio per essere liberi!
Freud ha precisato che le libere associazioni non sono
assolutamente libere.19 La sua idea è, infatti, che le libere
associazioni obbediscano ad un determinismo inconscio che
l’analista si incarica di scovare. Noi non lo seguiamo su questa
strada. Riteniamo, invece, che le associazioni siano veramente
libere! L’impresa freudiana di mettere l’ordine nel caos può essere
benemerita. Ma in origine c’è il caos.
Tanto più, quando è intervenuta la paratassi che è, per
antonomasia, apportatrice di caos.
Diciamo questo, perché sappiamo che la finzione, in ambito
clinico, è fondamentale.
Giampaolo Lai ha fatto una serie di ricerche e, quindi, di
precisazioni su quelli ch’egli chiama “predicati finzionali”; questi sono
“i predicati della serie credo, fingo, immagino, sogno, come se, che
afferiscono al Soggetto Grammaticale e aprono all’universo del
possibile” (1993: 150); sono i predicati al tempo futuro e al modo
18
Vedi più avanti.
L’interpretazione dei sogni, 1900, tr. it. 1966: 485, 541-542; Breve compendio di
psicoanalisi, 1924, tr. it. 1978: 591.
19
59
condizionale e congiuntivo; i predicati finzionali “forniscono una delle
soluzioni più eleganti alla questione ‘come se ne esce?’” (ibidem).
5) Fate un esperimento
Ma… fate un esperimento che, chiariamolo subito, non
concerne l’autoanalisi…
“Eigentliche Selbstanalyse ist unmöglich”, l’autoanalisi è in
verità impossibile; lo scrive a Fliess Freud il 14 novembre del 1897; il
medico non può curare se stesso! “La mia autoanalisi rimane
interrotta. Ora vedo il perché. Posso analizzare me stesso solo
mediante conoscenze acquisite obiettivamente (come se fossi un
estraneo)”.
Wie ein Fremender!
L’estraneo, l’altro se stesso, capace d’uno sguardo oggettivo,
non solo fornito di conoscenze oggettive, è il disidentico di Freud,
uno dei tanti.
Perché non esiste l’inconscio; esistono gli inconsci!
Dicevo, fate un esperimento!
Scrivete un racconto autoanalitico…
In psicoanalisi si racconta la propria storia; in letteratura si
racconta la propria storia come quella di un altro.
In psicoanalisi si cerca “il” bandolo della propria matassa; in
letteratura si cerca “un altro” bandolo e si ringrazia la musa, quando
lo concede.
Per questo le storie che curano (healing, Hillman) di più sono
quelle letterarie;20 quelle psicoanalitiche creano – costruiscono
(Kostruktionen, Freud) – per isbaglio; le altre a bella posta.
Il finzionale di Giampaolo Lai!
La presenza dei predicati finzionali segnala un’apertura, anche
se fragile, all’universo del possibile; suggerisce che il modello è
diventato rimodellabile, il copione21 risceneggiabile.
Prima di verificare negli sbobinati, si sprona alla finzione a
bisdosso della terapia…
Ma raccontare la propria vita, solo un pezzo della propria vita,
come in un romanzo, porta la finzione all’estremo!
20
21
Vedi i tentativi di finzione di Octave Mannoni in Fictions freudiennes, del 1978.
O script; vedi A che gioco giochiamo?, del 1964, di Eric Berne.
60
“Per fare ciò”, per capire ciò che non si riesce a capire,
“sarebbe necessario raccontare una storia (Tabucchi)22.
Sì, ricostruire o costruire, anche. Ma fingere soprattutto.
Simenon diceva che tutti portano in grembo un romanzo; se
sanno scrivere, possono scriverlo, diversamente si affidano al lavoro
di un negro (Denise, sua moglie, durante le feroci battaglie per il
divorzio, a un negro fece scrivere contro il marito un romanzo e un
pamphlet).
La differenza tra lo scrittore e chi scrittore non è starebbe nel
fatto che lo scrittore è capace di andare oltre il primo romanzo. Infatti,
quando ha scritto il secondo romanzo e il terzo, il quarto e gli altri
seguono quasi inevitabilmente.23
Quel che non condivido in questa ipotesi è l’idea che il secondo
romanzo e i seguenti non siano autobiografici. Penso che siano tutti
autobiografici. Si tratta solo di saper cogliere la differenza tra
trasferimento della propria vita – tale e quale – e dispiegamento di
essa nel romanzo. Perché, comunque, de te fabula narratur.
(Eventualmente: de te plurimo fabula narratur; mesdames Bovary ce
sont moi).
Fate un esperimento…
Prendete un fatto significativo della vostra vita – forse funziona
anche un fatto non significativo, ma non ho ancora fatto
quest’esperienza – e mettetelo in una trama, in un intrico.
La mossa iniziale, quella gravida di tutte le successive,
perlomeno di molte delle successive, è cambiare il nome dell’eroe.
Ma non si tratta di un’operazione meccanica.
Fondamentale è restare sulla soglia, sul bordo, sulla linea di
confine: l’eroe siete voi, ma è anche un altro; è un altro da voi, ma
con voi coincide.
Prima o poi vi succederà qualcosa di sconvolgente!
22
La gastrite di Platone, 1997: 83.
“Ogni uomo è un personaggio di romanzo, perché la vita di ogni uomo è un
romanzo... [...]. Ciascuno porta in sé un romanzo. Sì, solo ch’egli non ne porta per
forza altri. Ma, in realtà, ogni uomo è capace di descrivere la propria giovinezza,
l’incontro con sua moglie e il loro primo mese di coabitazione, e di farne un vero e
proprio romanzo. Ma, in seguito, quando non si tratterà più di lui, ma di altri
personaggi, egli si scontrerà con grandi difficoltà. Creare dei personaggi e condurli
per mano, questo richiede di mettersi nella pelle degli altri, ed è talmente
stancante!” (dalle Conversations avec Simenon di Francis Lacassin, 1990: 64-65).
23
61
Ad esempio, costruite un dialogo tra l’eroe – che siete voi, ma è
anche un altro, che è un altro, ma siete anche voi... – e un suo
interlocutore.
Alla fine rileggetelo!
Ebbene, quel dialogo non è mai avvenuto!
Ritornate alla carica e scoprite che sarebbe potuto avvenire!
Forse è anche avvenuto, ma non ve ne siete accorti!
Così, ciò che non è avvenuto, ma sarebbe potuto avvenire, ciò
che è avvenuto, ma di cui non vi siete accorti, è stato tolto dalle
pieghe dei fatti passati alla cronaca, se non addirittura consacrati
dalla storia, della vostra vita!
Ecco, fate solo un calcolo – la quantità, sulle prime, fa aggio
sulla qualità –; contate le pagine che la relazione di quel fatto – una
sorta di promemoria – avrebbe impegnato (forse tre?) e quelle
impegnate dal racconto (forse novanta?) e scoprite che, per
l’appunto, la vostra vita si è dispiegata!
Lo scrittore tocca vertici di longevità non concessi ai non
scrittori?
Forse ha solo, ma vi sembra poco?, una vita più larga, più
ossigenata...
Ma torniamo al “plurimo” inserito in “de te fabula narratur”.
Infatti, prendete sempre – sembra una ricetta di cucina – un episodio
della vostra vita e raccontatelo come se l’eroe foste voi, ma anche
come s’egli fosse un altro, un estraneo.
Può succedere che l’episodio – quindi, non soltanto un dialogo
– si concluda diversamente da come si è concluso nella realtà.
Ad esempio, con un omicidio che voi non avete commesso né
vi siete mai sognati di commettere.
Ma pensateci!
Quasi sicuramente un voi disidentico avrebbe potuto
commetterlo benissimo; anzi, in qualche modo, lo ha realmente
commesso!
E voi stessi se, quando vi siete trovati all’altezza di quel trivio o
quadrivio, aveste scelto di piegare a destra invece che a sinistra, in
fondo a quella strada vi sareste scoperti con le mani piene di
sangue!24
24
Quest’anno sono usciti due film sul tema, Sliding Doors, di Peter Howitt, e, molto
più bello, anzi bellissimo, Lola corre, di Tom Tykwer; ma entrambi sono, dal punto
di vista in cui mi pongo qui, consolatori. Comunque, infatti, una e una sola è la
trama che vince sulla rosa possibile di trame.
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Quindi, non solo il racconto dispiega la vostra vita
esplicitandone tutto ciò che è rimasto silente, ma anche la moltiplica
per il numero dei vostri disidentici replicanti.
Come dire, non solo la storia parla di te, ma consente, infine,
agli altri te, almeno ad alcuni di essi, di prendere la parola e di
firmarsi.
Simenon non sapeva della possibilità di una autobiografia
disidentica? Non ci posso credere!
Sì, se Goethe non si suicidò, perché, al posto suo, lo aveva
fatto il giovane Werther, l’eroe di un suo romanzo, ogni scrittore può,
infine, suicidarsi, uccidere ecc., se riesce a reperire-costruire-fingere
un suo disidentico compatibile con questi esiti.
(Non riserva sorprese solo il racconto di quei fatti che, senza
parere, hai già raccontati e in un modo che non vuoi-puoi superare.
In questi casi la sorpresa è nel fatto che un racconto è stato già fatto,
perfetto. Ti devi limitare a correggere le bozze!).
6) È praticabile una Regola Fondamentale della finzione?
Massimamente al punto si avvicina Lai col battesimo, per
l’appunto, dei disidentici replicanti.
È possibile andare oltre?
La regola fondamentale psicoanalitica è liberamente associare.
La regola fondamentale della finzione? Fingi di raccontare la
storia di un altro. Associa, ma non su di te.
Eventualmente, dopo che hai associato su di te, utilizza gli
eterocliti prodotti della paratassi come mattoni per l’ipotassi, ma di un
altro.
Ma, ahimè, è troppo arduo proporre una tale regola
fondamentale a chi può fingere solo il peggio del peggio.
Il peggio del peggio?
Soprattutto il medesimo!
Che differenza c’è, infatti, tra un male psicosomatico o una
perversione e la salute psicosomatica o psicosessuale?
Nel primo caso qualcuno si è presa una fissa, nel secondo la
libido è mobile.
Perverso è colui che si è presa la fissa; quindi, può essere
benissimo colui che si posiziona “sempre” come buon samaritano
come colui che “sempre” cerca il nuovo; anche la libido di
63
quest’ultimo, paradossalmente, è fissa; in mezzo al variare all’infinito,
egli ha raggiunto le acque immobili del Mar dei Sargassi.25
Lo psicosomatico è colui che sa fingere, eccome! Il medico che
lo visita gli dice che nella sua pancia, ad esempio, non c’è “niente”,
capito!, niente! Tutto inventato, finto! Ma oltre quel mal di pancia
finto, inventato, lo psicosomatico non sa andare! La sua capacità di
fingere è rimasta come imbottigliata in quell’invenzione che rimane
unica oltreché imperfetta (incompiuta).
Anch’egli si è assunto una responsabilità – è sempre questione
di sapersi assumere le proprie responsabilità –, quella di fingere; la
responsabilità è sempre, infatti, responsabilità di fingere!
Perché non c’è niente di vero!
Ma ha saputo solo ribellarsi al giogo; non ha saputo evitare che
un altro giogo, quello della ribellione invano perpetuata, lo rendesse
di nuovo schiavo.
Un po’ come l’uditore di voci (l’uomo bicamerale di Jaynes)26
che, come tutti, ha introiettato il super-io del super-io dei genitori, lo
schema della sottomissione, quello che serve a udire e ubbidire a
coloro – per l’appunto: i genitori dei genitori... – che si sono assunta e
si assumono, per noi, la responsabilità di dettare le regole del gioco;
ma alla voce, alle voci, si ribella inutilmente e indefinitamente.
L’uditore di voci affida ad altri l’invenzione delle storie;
specialmente di quella della sua vita. Salvp ribellarsi invano contro la
sua sorte!
Lo scrittore, invece, trova una strada con tante uscite su tante
storie possibili.
Se egli scrive sotto dettatura – quel che (e come) gli detta
dentro! – non è perché passivamente subisca l’invenzione di un altro,
ma perché sa ascoltare anche voci remote e inserirle nel coro di
quelle contemporanee.
25
Se stiamo ad un libretto divertente del Reverendo Cooper, Il sesso estremo,
possiamo considerare perverso tutto ciò che non obbedisce alla regola della
consensualità; per cui sono perverse sicuramente le pratiche pedofiliche, perché il
bambino non è in grado di fare delle scelte oculate, e quelle necrofiliche, perché i
morti, per motivi differenti, neanche loro sono in grado di scegliere. Al di là di questi
limiti, tutto è consentito, perché nulla è perverso. Addirittura, il perseverare nella
posizione del buon samaritano, proprio perché è un perseverare, una mancanza di
quella che Freud chiama mobilità della libido, è perverso. L’esatto pendant di
questo perseverare e di questa perseverazione sarebbe la ricerca continua, e a
tutti i costi, della novità. Ribaltamento non dialettico, direbbe Marx, della
perseverazione in loco.
26
Vedi più avanti.
64
No, non è praticabile la regola fondamentale della finzione: fingi
di raccontare la storia di un altro! Associa, ma non su di te!
Eventualmente, dopo che hai associato su di te, utilizza gli eterocliti
prodotti della paratassi come mattoni per l’ipotassi, ma di un altro!
Non si può scambiare l’esito di un lungo lavoro con la regola
che informa quel lavoro per produrre quell’esito!
Fondamentale, però, è non interpretare le associazioni
chiudendole in una storia definitiva; sostituendo uno schema
autoriale-genitoriale con un altro.
L’eventuale interpretazione deve conseguire il fine di rilanciare
la libertà dell’associare, la libertà comunque.
Contenti, ma un po’ scettici, assistiamo ad una sorta di
guarigione.
Che sembra avvenire sul set della catarsi.
Ma chi ha paura di Virginia Woolf?, della catarsi, cioè?
Si tratta di una catarsi che ritorna all’origine aristotelica?
Perché tenta di ricostituire l’intero impianto scenico di allora: i
teatranti imitano fatti accaduti – “tragedia è imitazione di un’azione
seria e compiuta in se stessa in forma drammatica e narrativa la
quale, mediante avvenimenti che suscitano pietà e terrore, produce
nell’anima purificazione da tali passioni” (Poetica, 1449, b) –; gli
spettatori assistono alla tragedia nel quadro di un ciclo di eventi
sociali straordinario.
Un ritorno, quindi, a ciò che è successo, ma nel pieno d’una
Mitwelt ricostituita.
Una novità: si purifica colui che imita i fatti suoi – seri e compiuti
in se stessi; compiuti al massimo, per questo in forma drammatica e
narrativa finti –, non quelli d’altri o di tutti, della polis. Imita i fatti suoi
come fossero i fatti d’un altro, eventualmente della polis.
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47 CAP. V La finzione 1) Interpretazione e restituzione