47 CAP. V La finzione 1) Interpretazione e restituzione dei motivi narrativi All’interpretazione Giampaolo Lai ha cercato di sostituire la restituzione dei motivi narrativi. Penso che conosciate un po’ l’ultimo marchingegno laiano: la raccolta dei motivi narrativi costituisce l’apporto della semantica, la raccolta delle morfologie grammaticali, quello della grammatica; se esistono delle corrispondenze tra gli approdi della semantica e quelli della grammatica, si può sperare di avere imboccato la strada giusta. 1a) Due esempi di analisi grammaticale Ma interrompiamo il nostro discorso per dare due esempi di analisi grammaticale (congiunta con quella semantica). La “conta” dei predicati porta ad ipotizzare un “costrutto”; si tratterà di andare a verificare se l’ipotesi è fondata o no! Facciamo due esempi; presentiamo, quindi, l’esempio del costrutto di “forza dell’io” (dialogante) e quello di “apertura al possibile”. A. Consideriamo il seguente turno verbale di Giulia:1 GIULIA: No, parlo io, spero... poi ne parla anche lei, dice il suo punto di vista, io spiego. No, niente, dopo una seduta con la [Omissis] io, l’effetto di questa seduta, per dei motivi che io non so spiegare, eeee, niente, decisi di smettere di mangiare, la mattina mi svegliai in uno stato particolare, con uno stato d’animo particolare e decisi diiii... Sicuramente all’inizio, infatti, la [Omissis] la prima cosa che mi disse è che il fatto che io fossi stata presa da lei in terapia aveva avuto un effetto non di... impegno di lavoro su me stessa... ma un effetto scatenante di qualcosa che c’era... e poi... inizialmente era un fatto provocatorio nei confronti di tutti... e dopo... è diventato un fatto mio... con la bilancia... di attacchi di... 1 Da Il dialogo interiore di una paziente designata, 2002: 39 e segg. 48 Giulia anticipa la madre (che potrà parlare, ma dopo). Per due volte usa un’espressione tipica del linguaggio sistemico: “decisi”, di smettere di mangiare. Questa decisione sembra scaturire dal nulla. Una cosa colpisce: Giulia non è in grado di raggranellare i “motivi” della sua decisione (“per motivi che io non so spiegare”), ma 1. vuole parlare lei al posto della madre (“No, parlo io, spero”); 2. vuole spiegare (“io spiego”). Giulia si impone, sia con l’anticipazione che con l’affermazione dei predicati afferenti all’io (“parlo io”; “io spiego”); l’impressione è che, nel turno verbale di Giulia, attraverso l’uso di predicati afferenti all’io (che sono predicati afferenti a Giulia), il soggetto, Giulia, si affermi; 3. la spiegazione è strana: “io spiego”, che, dopo una seduta, “per dei motivi che io non so spiegare”, “decisi”. Comunque, se non è chiaro il propter hoc è chiaro il post hoc: dopo una seduta con (omissis). Anzi, dopo la seduta, Giulia dorme; si sveglia in “uno stato particolare” (“particolare” è ripetuto due volte) e decide. Il post hoc è esplicitato così: 1) dopo la seduta; 2) dopo il risveglio dal sonno (dopo la seduta). La seduta sembra aver provocato, nel sonno, “uno stato particolare”; questo ha portato alla decisione di non mangiare più. Questo non mangiare più sembra approdare alla trasformazione dei problemi familiari in un problema suo (di Gulia): “È diventato un fatto mio” (ulteriore afferenza al soggetto). Uno strano processo di individuazione. È come se, dato il significato simbolico del cibo, Giulia “decida” di estraniarsi dalla famiglia, dal desco familiare; infatti dorme. Giulia continua il dialogo interiore ma, questa volta, esprime una sua scelta che la rende responsabile delle sue azioni. Non cerca una risposta dagli altri; la sua attenzione è rivolta esclusivamente su di lei. Proviamo a cercare la conferma della auto-responsabilizzazione di Giulia attraverso la conta del numero dei predicati afferenti all’io contenuti nella micro-sequenza che inizia con ”No, parlo io…” fino a “… di attacchi di…”. 1 2 3 io parlo io spero parla pres. pres. pres. 49 4 5 6 7 dice io spiego io (non) so spiegare io decisi 8smettere pres. pres. pres. pass. rem inf. 8 9mangiare 9 10 io svegliai 11 io decisi 12 disse 13 14 15 16 17 18 è che io fossi stata presa aveva avuto era era è diventato (un fatto mio) inf. pass. rem. pass. rem. pass. rem. pres. cong. pass. pr. imperf. imperf. pass. pr. La tabella riassuntiva dei predicati è la seguente: Predicati Afferenti all’io Infinito Congiuntivo Presente Passato Negazioni Imperfetto Frequenza 18 9 2 1 7 6 1 2 Proporzione 0.50 0.11 0.055 0.38 0.33 0.055 0.11 Nell’ambito dell’analisi grammaticale, una frequenza di 9 predicati afferenti all’io su un totale di 18 (espressa sotto forma di proporzione equivale allo 0.50) è molto alta (La conversazione immateriale,2 e dimostra il protagonismo del soggetto (contra la sua eclissi). Questo dato, quindi, conferma la nostra ipotesi: il processo di individuazione, attraverso il quale Giulia riuscirà a “svincolarsi” dalla famiglia, è già in corso; è iniziato attraverso la scelta inconsapevole 2 Torino, Bollati Boringhieri, 1995: 4 e 77. 50 di non mangiare, ma sta proseguendo con quella della responsabilità della propria condotta alimentare e non. B. Esaminiamo la “micro-microsequenza” seguente:3 33a) CLAUDIO: [...]. [Pausa di 23”.] E poi c’è un’altra cosa, cioè, io continuo a pensare, io ho fiducia forse, a lei la farà ridere questa cosa, ma io [pausa di 10”] forse… non so, insomma, mi vergogno anche un po’ a dirlo perché è, è un po’ naif, ma io mi, mi attendo, mi aspetto che quello [sospira], insomma, [inizia a piangere], io spero [pausa di 10”] spero tanto che lei mi aiuti. [Singhiozza e respira affannosamente. Pausa di 24”.] Spero veramente che lei… capisca che per me è difficile mettermi, rimettermi così a lei. Perché anche se ho fatto tante schifezze nella mia vita, in realtà [pausa di 8”] non me lo sono mai perdonato… [pausa di 9”.] [Squilla il telefono.] 33a) CLAUDIO: [Singhiozza disperato, le parole sono coperte dal pianto.] Se avessi un coltello e sapessi dov’è il male, me lo taglierei da solo. 33b) PSICOTERAPEUTA: Se, se sapessi? 34a) CLAUDIO: [Continuando a piangere e singhiozzare.] Se avessi un coltello, e sapessi dov’è il mio male, me lo leverei da solo… ma non lo so dov’è. È la prima volta che ho pensato all’analisi grammaticale nel bel mezzo dell’infuriare delle emozioni di una conversazione psicoterapeutica. Non mi sono messo, certo, a contare i predicati finzionali... E, intendiamoci bene, non avrei avuto neppure bisogno di accorgermi che c’erano e che ce n’erano in tale quantità... Infatti, subito e nettamente, dalla stessa semantica, mi è risultato chiaro che Claudio, per la prima volta e con intensità inaudita (cioè mai udita da me), cercava di affidarsi a me come a una persona che avrebbe potuto aiutarlo. Ma mi ha entusiasmato-divertito l’essermi accorto di poter vedere, in diretta, come co-funzionavano la semantica e la grammatica.4 3 Da Predicati finzionali e predicati apodittici, di Salvatore Cesario, “Tecniche Conversazionali, n. 25, 2001: 29-37. 4 Anche qui un’AGGIUNTA volante. Leggete un testo straordinario, Grammatiche della creazione, di Gorge Steiner… In sintesi 1) l’autore recupera il funzionale laiano, in modo particolare il tempo futuro e il “se” (o “come se”) ecc.: “Il tempo futuro, la capacità di discutere fatti che potrebbero succedere il giorno dopo il proprio funerale o fra un milione di anni nello spazio interstellare sembrano caratteristiche specifiche dell’homo sapiens. Lo stesso vale per il congiuntivo o per i modi 51 Contiamo i predicati finzionali, in questo caso rappresentati anche dall’avverbio “forse”, dalla congiunzioni “se”, oltre che dalle voci del verbo sperare, attendersi e dai predicati ai modi condizionale, congiuntivo, futuro. I predicati, nella loro totalità sono 35;5 la quantità dei predicati finzionali è variabile; nel senso che, se consideriamo la micromicrosequenza scelta, sono 18, cioè il 51,50 %, che è una bella percentuale rispetto a quella del 13 %, spartiacque tra significatività e non significatività. Ma possiamo rendere più micro la micro-microsequenza; questa sarebbe, secondo me, la scelta migliore; la micromicrosequenza non deve, infatti, individuare uno snodo conversazionale, e solo tale snodo (in questo caso, quello che ci segnala che Claudio si sta aprendo all’universo del possibile)? Ebbene, possiamo ridurre la sequenza facendola partire da “mi, mi attendo”, e facendola terminare con “lo leverei”; possiamo anche attribuire ai predicati “mi, mi attendo”, “spero tanto”, “spero veramente” un valore doppio; in questo caso i predicati finzionali sono 18 su un totale di 21: il 95.50 %. Una percentuale strabiliante, vicinissima al I00% Comunque, è del tutto evidente che Claudio si mette nelle mani dello psicologo; esprime qualche riserva prima del gran balzo (nell’incipit della sequenza che abbiamo poi deciso di stralciare) e alla fine della medesima (“me lo taglierei da solo”, “me lo leverei da ‘controfattuali’ che sono anch’essi collegati, in un certo senso, ai tempi futuri. Soltanto l’uomo, per quanto possiamo concepire, dispone dei mezzi per modificare il proprio mondo attraverso le subordinate ipotetiche, generando espressioni come: ‘Se Cesare non si fosse recato al campidoglio quel giorno’. Mi sembra che questa ‘grammatologia’ immaginaria, formalmente incommensurabile, dei futuri verbali, dei congiuntivi e degli ottativi abbia svolto un ruolo indispensabile, ieri come oggi, per la sopravvivenza e per l’evoluzione dell’“animale linguistico” di fronte allo scandalo incomprensibile della morte dell’individuo, In un senso ben reale, ogni uso del futuro del verbo essere è una negazione, anche se soltanto parziale, della mortalità [il testo di Giampaolo Lai, il secondo della trilogia sulla conversazione, Conversazionalismo, porta il sottotitolo o si prolunga nel sottotitolo: Le straordinarie avventure del soggetto grammaticale]. E ogni subordinata ipotetica è un rifiuto dell’inevitabilità brutale, del dispotismo dei fatti. I ‘farò’, i ‘sarò’ e i ‘se’, nel loro gravitare in campi intricati di forza semantica intorno a un centro o nucleo nascosto di potenzialità, sono le password verso la speranza” (2001, tr. it. 2003: 11-12; 2) ma la speranza, che attraverso tutte le forme di “messianismo”, anche quelle laiche come la marxista, stanno tramontando. Che fare? 5 Evidentemente, in questo caso la “conta” viene fatta senza esibire l’elenco dei predicati! 52 solo... ma non lo so dov’è”, dove, forse, aleggia un piccolo rimpianto: se sapessi dov’è... ce la farei da solo!). Teniamo presente che, proprio in questa occasione, risulterà evidente – in un contesto che il lettore è invitato a scoprire andandosi a leggere l’articolo –che Claudio, non solo è diffidente – cosa che lo psicologo ha sempre sentito-saputo – ma è anche paranoide! 1b) Di nuovo: Interpretazione e restituzione dei motivi narrativi Il motivo narrativo è “l’unità significativa minimale del testo, orale o scritto, che consente a un ascoltatore o a un lettore di un testo lungo — come un romanzo — o relativamente breve — come un turno verbale conversazionale — di cogliere, per così dire, l’essenza, il nocciolo, il messaggio, del testo stesso”.6 Per esempio, un motivo narrativo del romanzo I promessi sposi può essere: “C’è la Provvidenza”, un altro: “La virtù è premiata e la cattiveria punita”. In una più recente definizione, Lai aggiunge un particolare interessante: i motivi narrativi sono le unità minimali di significato di un testo, “nel senso di una frase musicale”.7 Il motivo narrativo è l’“unità significativa minimale”, ma significativa; quindi, fa parte della semantica, quella semantica di cui l’analisi grammaticale cercherà di verificare la fondatezza o meno.8 A lungo ho pensato che la differenza tra motivi narrativi e interpretazione stesse nel numero plurale dei motivi rispetto al numero singolare dell’interpretazione la quale, anche se “debole”, è sempre una sola (si declina, cioè, sempre al singolare). Il conversazionalista dovrà, con un gesto comunque arbitrario, decidere su quale dei motivi narrativi, che gli appariranno significativi, puntare nella mossa conversazionale che farà. 6 Lai e Vetuli, 1997: 191. Forme poetiche nella conversazione, 1996: 64. 8 Giampaolo Lai riconosce che a Chaïm Perelman, in particolare al suo Trattato dell’argomentazione, sicuramente un piccolo capolavoro nel settore, è debitore del primo spunto per la costruzione del marchingegno dell’analisi grammaticale (1958, tr. it. 1989: 163, 169); trascurando altri spunti, ricordiamo quello relativo alle tecniche; vedi la terza parte del volume, quella più ampia (ivi: 195-538) intitolata Le tecniche argomentative. (Per i finzionali, vedi lo spunto di Bateson ne La tesi contro la tesi a favore del dualismo mente-corpo, 1976, tr. it. 1997: 435). Sull’analisi grammaticale, nella cornice dei vari filoni di ricerca nell’ambito della verifica dei risultati, vedi, a cura di Wally Festini Cucco, Metodologia della ricerca in psicologia clinica. 7 53 Recentemente ho dovuto ricredermi. Leggo, infatti, che “l’insieme dei motivi narrativi, nel loro succedersi in un certo ordine, costituisce l’intreccio di una narrazione”;9 ancora: “Caratteristica essenziale, per la nostra presentazione dei motivi narrativi, è lo spartiacque fra il loro presentarsi relativamente isolati oppure il loro essere ricorrenti, iterati, ripetitivi”.10 In un articolo coevo, Pierrette Lavanchy toglie ogni dubbio quando distingue tra “motivi narrativi parziali”11 e “motivo narrativo globale”.12 Risulta abbastanza chiaro che l’“essenziale” non è nel numero ma nella qualità. Ma quale qualità? Penso che l’essenziale stia nel fatto che il testo, in cui il ricercatore individua i motivi narrativi parziali e quello globale, è un testo letterario o è trattato come un equivalente d’un testo letterario. Sì, lo “spartiacque”, è tra ricerca scientifica e ricerca letteraria; anche se su questa, ad un certo punto, si impianta quella scientifica. Ma la ricerca scientifica avviene, come dire, a carico di un testo letterario. 2) La svolta linguistica13 Ciò che accomuna le nostre ricerche – sulla validazione delle psicoterapie (che, almeno lato sensu, è il settore di massima applicazione della psicologia dinamica, di quella che noi coltiviamo) – è un fatto ordinario capace di produrre effetti straordinari! Ci riferiamo al fatto che i ricercatori nell’ambito della verifica dei risultati e dei processi fanno sempre ricorso alle trascrizioni dei testi delle conversazioni psicoterapeutiche. Si tratta di un fatto ordinario; basta pensare che i sistemici hanno ereditato dal gruppo di Palo Alto, che era un gruppo di ricerca, insieme a ciò che ha loro permesso di costruire l’approccio sistemico–relazionale, anche il setting di ricerca: lo specchio unidirezionale e la videoregistrazione… 9 Ivi: 64; corsivo mio. Ivi: 65-66. 11 L’intercalare “ecco” e la sua funzione conversazionale,1996: 81-2. 12 Ivi: 82. 13 Sto citando ampiamente da La svolta linguistica, la mia introduzione a La verifica di una terapia dinamica sui generis di Chiara Barni e di Salvatore Cesario, 2002: 16 e sgg. 10 54 Ma tale fatto ordinario, a ben guardare, ha degli effetti straordinari… Ad esempio, quello di far virare la psicologia dinamica – quella che noi insegniamo… ma, a nostro parere, tutte le discipline che ruotano intorno alla psicoterapia – verso la semantica, la linguistica; verso quello che Giampaolo Lai ha definito “conversazionalismo”.14 Ricordate che, secondo Freud, l’“interpretazione dei sogni è la via regia per la conoscenza dell’inconscio”;15 ebbene, più volte Giampaolo Lai ha segnalato che non possiamo mai lavorare sul sogno ma solo ed esclusivamente sul “racconto” del sogno (vedi tra poco). Questo fatto, ripetiamo, fa virare la psicologia dinamica, erede della psicoanalisi, verso la linguistica, la semiotica, il conversazionalismo; col risultato che viene, inevitabilmente, almeno nella psicologia dinamica applicata alla verifica dei risultati e dei processi, privilegiato lo studio dei processi; e lo studio di questi come processi linguistici, forme retoriche.16 14 Non a caso il suo ultimo trittico è tutto centrato sulla conversazione: La conversazione felice, Milano, Il Saggiatore, 1985; Conversazionalismo, Torino, Bollati–Boringhieri, 1993; La conversazione immateriale, Torino, Bollati– Boringhieri, 1995. Vedi, del 1996, La nuova epistemologia in psicoanalisi dopo la svolta linguistica. 15 L’interpretazione dei sogni, 1900, tr. it. 1996: 553. A Jung capita di citare quasi letteralmente Freud; ad esempio in Considerazioni sulla psicologia del sogno: “L’analisi dei sogni è lo strumento per eccellenza del trattamento analitico” (1916– 1948, 1976: 297). Qui l’analisi sta per l’interpretazione… Ma, molto spesso, capita che lo citi, come dire, proponendo una sorta di scorciatoia verso l’inconscio che salta sia lo strumento, l’”interpretazione” del sogno, che l’approdo: la “conoscenza” dell’inconscio; come se il sogno fosse un trampolino di lancio da cui tuffarsi direttamente nel sogno; vedi, ad esempio nel Necrologio in cui, proprio in sede di valutazione conclusiva – fatta post mortem –, attribuisce a Freud la sua propria scorciatoia: “Il sogno è la via regia alla conoscenza dell’inconscio” (1939, tr. it. 1991: 220); vedi anche nel Saggio di esposizione della teoria psicoanalitica: “Come giustamente dice Freud, il sogno è la ‘via regia per accedere all’inconscio’” (191255, tr. it. 1976: 169)… Si tratta di un’oscillazione in cui c’è tutto Jung! Ho tolto queste poche informazioni da un mio testo che ho inspiegabilmente conservato, il testo di una lezione su Jung – all’epoca, quando si facevano i corsi monografici, scrivevo le lezioni –; ho detto “inspiegabilmente” perché, pur avendo all’epoca (nei primi anni ‘80) programmato, su uno spunto di Franco Rella, una ricerca sulla precarietà – la “caducità” freudiana – in Jung, e pur avendo letto magnis cum itineribus l’opera omnia di Jung da questo “vertice”, non ho mai portato a conclusione quella ricerca; addirittura, recentemente, ho gettato i faldoni che contenevano i “materiali”. 16 Non a caso, come abbiamo già segnalato, un grande ispiratore di Giampaolo Lai, soprattutto nella costruzione del marchingegno che opera sulle possibili concordanze tra gli esiti dell’analisi semantica e quelli dell’analisi grammaticale 55 Lo sbobinato – o la “trascrizione” –, che Lai definisce “conversazione immateriale”, è un testo. Ma ritorniamo al sogno = racconto del sogno… 3) Sogno e racconto del sogno. L’ordine del discorso Teniamo bene in mente che non abbiamo mai un sogno, ma solo il racconto di un sogno.17 Ebbene, consideriamo il racconto di un paziente in cui si mescolano una serie di sogni, impressioni, fatti recenti e lontanissimi. Per semplificare, consideriamo soltanto i sogni che il paziente ha raccontato, secondo un ordine cronologico che solo successivamente ha corretto. Ebbene, l’analista, quando gli risponde, se gli risponde, gli dice qualcosa di simile: “Lei, mi ha detto che…” e individua i motivi narrativi parziali e quello globale del racconto del paziente, non rispettando l’ordine cronologico corretto, cioè quello in cui sono stati fatti i sogni, ma quello, stravolto, in cui essi sono stati raccontati! Il paziente può obiettare che l’ordine corretto era diverso… E che, quindi, il senso configurato, i motivi narrativi parziali e quello globale restituiti, sono destituiti di fondamento perché… L’analista gli contro-obietterà dicendo che lui, nel suo lavoro, si attiene all’ordine del racconto! Sì, all’ordine del racconto! Aderendo alla Regola Fondamentale, il paziente ha fatto una sorta di andirivieni attraverso il passato, il presente e il futuro e ha raccolto materiali eterocliti, provenienti, cioè, in vario modo, dal passato, dal presente e dal futuro. In termini un po’ più tecnici, linguistici e non psicoanalitici, si dice ch’egli ha dissolto l’ipotassi e ha prodotto una paratassi. Egli, cioè, ha distrutto l’ordine (sin-taxis = posizione-insieme, ma, più chiaramente, ipo-taxis = posizione-sotto) in cui i vari avvenimenti erano stati organizzati in un’ipotetica cronaca o in un’ipotetica storia già consacrata. Successivamente, tramite la paratassi (para-taxis = posizione-accanto), ha collocato l’uno accanto all’altro i pezzi costitutivi della vecchia ipotassi. (sintattica ecc.), è il Trattato dell’argomentazione di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts–Tyteca. 17 Vedi, di Lai, Un sogno di Freud, 1977: 15 e sgg.; La conversazione felice, 1985: 119 e sgg, 135 e sgg; Un sogno e il racconto di un sogno, del 1992; Il labile sogno di dell'interpretazione, del 1995. 56 Apriamo una parentesi per dare un’esemplificazione di ipotassi e di paratassi; cito da un lavoro di Lai e di Fioravanzo, Dall’attenzione fluttuante all’ascolto paratattico, del 1994. In questo scritto che vi invito a leggere, incontriamo il racconto del sogno seguente: “Ho fatto un sogno stanotte. Ero con mia moglie, a fare non so se una specie di gita in campagna, una passeggiata, non ricordo se in bicicletta, a piedi, come, in una specie di campo, e a un certo punto trovavamo un cane, un cagnolino legato con una corda a un cespuglio, a un albero. Allora ci fermavamo, e non so se lo slegavamo, cosa facevamo con questo cane. E lì vicino c’era una cascina, una specie di rudere, abbandonato, una casa semidistrutta, andavamo dentro a vedere in questa casa. Dove però c’erano non so come delle tracce di abitazione, di, una specie di poltrona sgangherata, un camino cioè sembrava abitata, però era vuota. E a un certo punto facevo per uscire da questa casa e trovavo la porta chiusa, cioè mi avevano chiuso dentro, rinchiuso. E arrivano tre specie di delinquenti i quali, non so, ho la sensazione che ci avessero sequestrato, ci barricano dentro in questa catapecchia. E mi ricordo che uno di questi era un po’ gobbo, e gli dicevo, con quella schiena, per cercare di rabbonirli, gli facevo come una specie di massaggio alla schiena, di manipolazione alla gobba. E devo dire che non era una situazione molto piacevole. Chissà cosa vuol dire”. Segue la paratassi; ogni forma proposizionale semanticamente significativa viene posta su una nuova riga e ne vengono segnalati i legami ordinativi con l'artificio grafico di allineare le frasi di pari ordine a sinistra e di incolonnare quelle subordinate, alcuni spazi più a destra: ho fatto un sogno ero con mia moglie a fare una gita in campagna non ricordo se (eravamo) in bicicletta, a piedi trovavamo un cane legato ci fermavamo non so se lo slegavano cosa facevano c'era una cascina andavamo dentro a vedere c'erano non so 57 sembrava abitata però era vuota facevo per uscire trovavo la porta chiusa mi avevano chiuso dentro arrivano tre specie di delinquenti non so ho la sensazione che ci avessero sequestrato ci barricavano dentro mi ricordo che uno di questi era un po' gobbo gli dicevo per cercare di rabbonirli gli facevo una specie di massaggio devo dire che era una situazione molto piacevole cosa vuol dire (1994: 81-83). Il risultato di una serie di operazioni e di rilievi è la seguente trasformazione del testo ipotattico in un testo paratattico: "Giulio mi dice che non sa e mi dice che slegavano il cane e mi dice cosa facevano con il cane e mi dice che andava e che vedeva e che ha sensazioni e che era sequestrato e che ricorda e che uno è gobbo e che diceva e che cercava e che rabboniva e che doveva dire e che non era piacevole" (ivi: 85-6). Chiusa la parentesi. 4) Il coraggio di fingere Stavamo descrivendo le varie operazioni del paziente in obbedienza alla regola fondamentale... Continuiamo. Procedendo e guidato dal fascino su di lui esercitato da chissà quale nuovo motivo narrativo, volendolo o non volendolo, consapevole o inconsapevole, egli ha organizzato una nuova ipotassi. Quella, per l’appunto, che l’analista cerca di restituirgli, eventualmente perfezionandola con suoi ritocchi personali. Straordinario! 58 Il nuovo racconto – la nuova ipotassi – stravolge il racconto precedente, quello che o rassomigliava ad una semplice cronaca familiare o si era già organizzato in una storia sacra. Ma qual è il racconto vero? La risposta, in sede di psicologia dinamica, è che il problema è un problema spurio. È, cioè, un problema di capitale importanza, ma altrove, non nell’ambito della conversazione psicoterapeutica o a forte valenza psicoterapeutica. Quindi, in ambito clinico. Che cosa è di capitale importanza in questo ambito? La finzione! Sull’onda di Jaynes, diremmo, addirittura: il coraggio di fingere.18 Perché di coraggio si tratta! Molto spesso il paziente non riesce ad associare niente! L’analista, o per non scoraggiarsi o per incoraggiare il paziente o per altre ragioni ancora, se ne esce con la trovata, più o meno intelligente, talvolta addirittura geniale, che il paziente ha associato il niente! Di fatto, l’elemento più interessante delle libere associazioni è la loro libertà. E sappiamo che ci vuole del coraggio per essere liberi! Freud ha precisato che le libere associazioni non sono assolutamente libere.19 La sua idea è, infatti, che le libere associazioni obbediscano ad un determinismo inconscio che l’analista si incarica di scovare. Noi non lo seguiamo su questa strada. Riteniamo, invece, che le associazioni siano veramente libere! L’impresa freudiana di mettere l’ordine nel caos può essere benemerita. Ma in origine c’è il caos. Tanto più, quando è intervenuta la paratassi che è, per antonomasia, apportatrice di caos. Diciamo questo, perché sappiamo che la finzione, in ambito clinico, è fondamentale. Giampaolo Lai ha fatto una serie di ricerche e, quindi, di precisazioni su quelli ch’egli chiama “predicati finzionali”; questi sono “i predicati della serie credo, fingo, immagino, sogno, come se, che afferiscono al Soggetto Grammaticale e aprono all’universo del possibile” (1993: 150); sono i predicati al tempo futuro e al modo 18 Vedi più avanti. L’interpretazione dei sogni, 1900, tr. it. 1966: 485, 541-542; Breve compendio di psicoanalisi, 1924, tr. it. 1978: 591. 19 59 condizionale e congiuntivo; i predicati finzionali “forniscono una delle soluzioni più eleganti alla questione ‘come se ne esce?’” (ibidem). 5) Fate un esperimento Ma… fate un esperimento che, chiariamolo subito, non concerne l’autoanalisi… “Eigentliche Selbstanalyse ist unmöglich”, l’autoanalisi è in verità impossibile; lo scrive a Fliess Freud il 14 novembre del 1897; il medico non può curare se stesso! “La mia autoanalisi rimane interrotta. Ora vedo il perché. Posso analizzare me stesso solo mediante conoscenze acquisite obiettivamente (come se fossi un estraneo)”. Wie ein Fremender! L’estraneo, l’altro se stesso, capace d’uno sguardo oggettivo, non solo fornito di conoscenze oggettive, è il disidentico di Freud, uno dei tanti. Perché non esiste l’inconscio; esistono gli inconsci! Dicevo, fate un esperimento! Scrivete un racconto autoanalitico… In psicoanalisi si racconta la propria storia; in letteratura si racconta la propria storia come quella di un altro. In psicoanalisi si cerca “il” bandolo della propria matassa; in letteratura si cerca “un altro” bandolo e si ringrazia la musa, quando lo concede. Per questo le storie che curano (healing, Hillman) di più sono quelle letterarie;20 quelle psicoanalitiche creano – costruiscono (Kostruktionen, Freud) – per isbaglio; le altre a bella posta. Il finzionale di Giampaolo Lai! La presenza dei predicati finzionali segnala un’apertura, anche se fragile, all’universo del possibile; suggerisce che il modello è diventato rimodellabile, il copione21 risceneggiabile. Prima di verificare negli sbobinati, si sprona alla finzione a bisdosso della terapia… Ma raccontare la propria vita, solo un pezzo della propria vita, come in un romanzo, porta la finzione all’estremo! 20 21 Vedi i tentativi di finzione di Octave Mannoni in Fictions freudiennes, del 1978. O script; vedi A che gioco giochiamo?, del 1964, di Eric Berne. 60 “Per fare ciò”, per capire ciò che non si riesce a capire, “sarebbe necessario raccontare una storia (Tabucchi)22. Sì, ricostruire o costruire, anche. Ma fingere soprattutto. Simenon diceva che tutti portano in grembo un romanzo; se sanno scrivere, possono scriverlo, diversamente si affidano al lavoro di un negro (Denise, sua moglie, durante le feroci battaglie per il divorzio, a un negro fece scrivere contro il marito un romanzo e un pamphlet). La differenza tra lo scrittore e chi scrittore non è starebbe nel fatto che lo scrittore è capace di andare oltre il primo romanzo. Infatti, quando ha scritto il secondo romanzo e il terzo, il quarto e gli altri seguono quasi inevitabilmente.23 Quel che non condivido in questa ipotesi è l’idea che il secondo romanzo e i seguenti non siano autobiografici. Penso che siano tutti autobiografici. Si tratta solo di saper cogliere la differenza tra trasferimento della propria vita – tale e quale – e dispiegamento di essa nel romanzo. Perché, comunque, de te fabula narratur. (Eventualmente: de te plurimo fabula narratur; mesdames Bovary ce sont moi). Fate un esperimento… Prendete un fatto significativo della vostra vita – forse funziona anche un fatto non significativo, ma non ho ancora fatto quest’esperienza – e mettetelo in una trama, in un intrico. La mossa iniziale, quella gravida di tutte le successive, perlomeno di molte delle successive, è cambiare il nome dell’eroe. Ma non si tratta di un’operazione meccanica. Fondamentale è restare sulla soglia, sul bordo, sulla linea di confine: l’eroe siete voi, ma è anche un altro; è un altro da voi, ma con voi coincide. Prima o poi vi succederà qualcosa di sconvolgente! 22 La gastrite di Platone, 1997: 83. “Ogni uomo è un personaggio di romanzo, perché la vita di ogni uomo è un romanzo... [...]. Ciascuno porta in sé un romanzo. Sì, solo ch’egli non ne porta per forza altri. Ma, in realtà, ogni uomo è capace di descrivere la propria giovinezza, l’incontro con sua moglie e il loro primo mese di coabitazione, e di farne un vero e proprio romanzo. Ma, in seguito, quando non si tratterà più di lui, ma di altri personaggi, egli si scontrerà con grandi difficoltà. Creare dei personaggi e condurli per mano, questo richiede di mettersi nella pelle degli altri, ed è talmente stancante!” (dalle Conversations avec Simenon di Francis Lacassin, 1990: 64-65). 23 61 Ad esempio, costruite un dialogo tra l’eroe – che siete voi, ma è anche un altro, che è un altro, ma siete anche voi... – e un suo interlocutore. Alla fine rileggetelo! Ebbene, quel dialogo non è mai avvenuto! Ritornate alla carica e scoprite che sarebbe potuto avvenire! Forse è anche avvenuto, ma non ve ne siete accorti! Così, ciò che non è avvenuto, ma sarebbe potuto avvenire, ciò che è avvenuto, ma di cui non vi siete accorti, è stato tolto dalle pieghe dei fatti passati alla cronaca, se non addirittura consacrati dalla storia, della vostra vita! Ecco, fate solo un calcolo – la quantità, sulle prime, fa aggio sulla qualità –; contate le pagine che la relazione di quel fatto – una sorta di promemoria – avrebbe impegnato (forse tre?) e quelle impegnate dal racconto (forse novanta?) e scoprite che, per l’appunto, la vostra vita si è dispiegata! Lo scrittore tocca vertici di longevità non concessi ai non scrittori? Forse ha solo, ma vi sembra poco?, una vita più larga, più ossigenata... Ma torniamo al “plurimo” inserito in “de te fabula narratur”. Infatti, prendete sempre – sembra una ricetta di cucina – un episodio della vostra vita e raccontatelo come se l’eroe foste voi, ma anche come s’egli fosse un altro, un estraneo. Può succedere che l’episodio – quindi, non soltanto un dialogo – si concluda diversamente da come si è concluso nella realtà. Ad esempio, con un omicidio che voi non avete commesso né vi siete mai sognati di commettere. Ma pensateci! Quasi sicuramente un voi disidentico avrebbe potuto commetterlo benissimo; anzi, in qualche modo, lo ha realmente commesso! E voi stessi se, quando vi siete trovati all’altezza di quel trivio o quadrivio, aveste scelto di piegare a destra invece che a sinistra, in fondo a quella strada vi sareste scoperti con le mani piene di sangue!24 24 Quest’anno sono usciti due film sul tema, Sliding Doors, di Peter Howitt, e, molto più bello, anzi bellissimo, Lola corre, di Tom Tykwer; ma entrambi sono, dal punto di vista in cui mi pongo qui, consolatori. Comunque, infatti, una e una sola è la trama che vince sulla rosa possibile di trame. 62 Quindi, non solo il racconto dispiega la vostra vita esplicitandone tutto ciò che è rimasto silente, ma anche la moltiplica per il numero dei vostri disidentici replicanti. Come dire, non solo la storia parla di te, ma consente, infine, agli altri te, almeno ad alcuni di essi, di prendere la parola e di firmarsi. Simenon non sapeva della possibilità di una autobiografia disidentica? Non ci posso credere! Sì, se Goethe non si suicidò, perché, al posto suo, lo aveva fatto il giovane Werther, l’eroe di un suo romanzo, ogni scrittore può, infine, suicidarsi, uccidere ecc., se riesce a reperire-costruire-fingere un suo disidentico compatibile con questi esiti. (Non riserva sorprese solo il racconto di quei fatti che, senza parere, hai già raccontati e in un modo che non vuoi-puoi superare. In questi casi la sorpresa è nel fatto che un racconto è stato già fatto, perfetto. Ti devi limitare a correggere le bozze!). 6) È praticabile una Regola Fondamentale della finzione? Massimamente al punto si avvicina Lai col battesimo, per l’appunto, dei disidentici replicanti. È possibile andare oltre? La regola fondamentale psicoanalitica è liberamente associare. La regola fondamentale della finzione? Fingi di raccontare la storia di un altro. Associa, ma non su di te. Eventualmente, dopo che hai associato su di te, utilizza gli eterocliti prodotti della paratassi come mattoni per l’ipotassi, ma di un altro. Ma, ahimè, è troppo arduo proporre una tale regola fondamentale a chi può fingere solo il peggio del peggio. Il peggio del peggio? Soprattutto il medesimo! Che differenza c’è, infatti, tra un male psicosomatico o una perversione e la salute psicosomatica o psicosessuale? Nel primo caso qualcuno si è presa una fissa, nel secondo la libido è mobile. Perverso è colui che si è presa la fissa; quindi, può essere benissimo colui che si posiziona “sempre” come buon samaritano come colui che “sempre” cerca il nuovo; anche la libido di 63 quest’ultimo, paradossalmente, è fissa; in mezzo al variare all’infinito, egli ha raggiunto le acque immobili del Mar dei Sargassi.25 Lo psicosomatico è colui che sa fingere, eccome! Il medico che lo visita gli dice che nella sua pancia, ad esempio, non c’è “niente”, capito!, niente! Tutto inventato, finto! Ma oltre quel mal di pancia finto, inventato, lo psicosomatico non sa andare! La sua capacità di fingere è rimasta come imbottigliata in quell’invenzione che rimane unica oltreché imperfetta (incompiuta). Anch’egli si è assunto una responsabilità – è sempre questione di sapersi assumere le proprie responsabilità –, quella di fingere; la responsabilità è sempre, infatti, responsabilità di fingere! Perché non c’è niente di vero! Ma ha saputo solo ribellarsi al giogo; non ha saputo evitare che un altro giogo, quello della ribellione invano perpetuata, lo rendesse di nuovo schiavo. Un po’ come l’uditore di voci (l’uomo bicamerale di Jaynes)26 che, come tutti, ha introiettato il super-io del super-io dei genitori, lo schema della sottomissione, quello che serve a udire e ubbidire a coloro – per l’appunto: i genitori dei genitori... – che si sono assunta e si assumono, per noi, la responsabilità di dettare le regole del gioco; ma alla voce, alle voci, si ribella inutilmente e indefinitamente. L’uditore di voci affida ad altri l’invenzione delle storie; specialmente di quella della sua vita. Salvp ribellarsi invano contro la sua sorte! Lo scrittore, invece, trova una strada con tante uscite su tante storie possibili. Se egli scrive sotto dettatura – quel che (e come) gli detta dentro! – non è perché passivamente subisca l’invenzione di un altro, ma perché sa ascoltare anche voci remote e inserirle nel coro di quelle contemporanee. 25 Se stiamo ad un libretto divertente del Reverendo Cooper, Il sesso estremo, possiamo considerare perverso tutto ciò che non obbedisce alla regola della consensualità; per cui sono perverse sicuramente le pratiche pedofiliche, perché il bambino non è in grado di fare delle scelte oculate, e quelle necrofiliche, perché i morti, per motivi differenti, neanche loro sono in grado di scegliere. Al di là di questi limiti, tutto è consentito, perché nulla è perverso. Addirittura, il perseverare nella posizione del buon samaritano, proprio perché è un perseverare, una mancanza di quella che Freud chiama mobilità della libido, è perverso. L’esatto pendant di questo perseverare e di questa perseverazione sarebbe la ricerca continua, e a tutti i costi, della novità. Ribaltamento non dialettico, direbbe Marx, della perseverazione in loco. 26 Vedi più avanti. 64 No, non è praticabile la regola fondamentale della finzione: fingi di raccontare la storia di un altro! Associa, ma non su di te! Eventualmente, dopo che hai associato su di te, utilizza gli eterocliti prodotti della paratassi come mattoni per l’ipotassi, ma di un altro! Non si può scambiare l’esito di un lungo lavoro con la regola che informa quel lavoro per produrre quell’esito! Fondamentale, però, è non interpretare le associazioni chiudendole in una storia definitiva; sostituendo uno schema autoriale-genitoriale con un altro. L’eventuale interpretazione deve conseguire il fine di rilanciare la libertà dell’associare, la libertà comunque. Contenti, ma un po’ scettici, assistiamo ad una sorta di guarigione. Che sembra avvenire sul set della catarsi. Ma chi ha paura di Virginia Woolf?, della catarsi, cioè? Si tratta di una catarsi che ritorna all’origine aristotelica? Perché tenta di ricostituire l’intero impianto scenico di allora: i teatranti imitano fatti accaduti – “tragedia è imitazione di un’azione seria e compiuta in se stessa in forma drammatica e narrativa la quale, mediante avvenimenti che suscitano pietà e terrore, produce nell’anima purificazione da tali passioni” (Poetica, 1449, b) –; gli spettatori assistono alla tragedia nel quadro di un ciclo di eventi sociali straordinario. Un ritorno, quindi, a ciò che è successo, ma nel pieno d’una Mitwelt ricostituita. Una novità: si purifica colui che imita i fatti suoi – seri e compiuti in se stessi; compiuti al massimo, per questo in forma drammatica e narrativa finti –, non quelli d’altri o di tutti, della polis. Imita i fatti suoi come fossero i fatti d’un altro, eventualmente della polis.