DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww il pentagramma & De gustibus obscenis et de gloriis futuris di Patrizia Venucci Merdžo Gentilissimi, l’estate se n’è andata e con essa le calure, i suoi clangori...ed i suoi “suonatori di strada”. Per modo di dire. Perché i nostri musicanti urbani non sono come quei menestrelli che si possono incontrare sui vecchi ponti di Praga, nelle calli di Montmartre, per le strade della Alt Wien - complessini suggestivi di chitarra, fisarmonica, violino, contrabbasso, flauto ecc, con i loro repertori di evergreen o di vecchie canzoni locali - o nella metropolitana di Milano, dove l’orchestra da camera del Conservatorio teneva concerto per i tanti passanti e curiosi. Da noi no; da noi, in Corso c’è il “tulum”, il tulum da discoteca; il “tulum che è un’istituzione; perché da noi vige la sacrosanta e la santasacra equazione einstainiana “fracasso = allegria”. Allegriaaa ! Allegriaaa ! Dunque, c’è un disgraziato alla chitarra elettrica, con tanto di amplificatori a 150 decibel, che ti violenta i timpani e la psiche dal polo nord al polo sud del Corso. Mettici i lavori in centrocittà (naturalmente bisogna farli in estate; quando sennò?!!) con le “mitragliatrici” pneumatiche, mettici il traffico, mettici la calura infernale...! Insomma, si salvi chi può ! Decisamente, dovrà passarci di acqua sotto i ponti dell’Eneo per superare la paleolitica mentalità del “tulum”! Per non parlare della Perla del Quarnero!, della Nizza austriaca!, della Montecarlo dell’Adriatico!, della Regina di Saba (oops!), tutta fiocchetti, merletti, lungomare e parchetti viennesi... e, la sera, “impreziosita e valorizzata” con un sottofondo musicale da fiera paesana. Tra “ribarske noći“ a 500 decibel, e il “sublime“ repertorio delle terrazze abbaziane in prevaricante contrappunto con le musiche vivaldiane della Scena estiva, siamo veramente al massimo della „goduria“. Ma io mi chiedo, carissimi, un turista italiano, austriaco, tedesco, magari di una certa età e di un livello appena decente - inclusa la gente no- musica An 07 no III • e 20 r b m n. 5 • Mercoledì, 26 sette strana- , in che misura si riconosce nelle „nenie“ dalmuše o peggio nelle involute cacofonie delle „stars“ nazionali croate? Dico, almeno in certi ambienti un repertorio più variato, più internazionale, anche più classico, di un certo livello ce lo potremmo aspettare. Eh, ce ne vorrà di tempo per affinare i gusti ed i criteri musicali. Ma non è il caso di disperare!; infatti in questo paesaggio di desolazione, in questa brughiera di ottusità spirituale, in questo mare di miseranda grosso- lanità (novella emula di Geremia, tsh!), un certo conforto ci viene dalla trascorsa seconda edizione del Festival di Musica da Camera di Fiume (genere totalmente ignorato nelle Notti estive fiumane) che ha offerto non solo nomi di valenti musicisti stranieri, ma ha pure messo in luce le giovani forze nostrane rivelatesi non inferiori rispetto ai colleghi esteri e regolarmente seguite con massima attenzione da un numeroso pubblico. Un altro raggio di luce e di vita (!) ci viene pure dal quel Faro di Cultura (così almeno dovrebbe essere) che si appella Teatro NC Ivan de Zajc, il quale dopo quattro anni di esperimenti lirici moderni disgraziati (e costosissimi) e di frustrante mutismo sinfonico, “sta risorgendo dalle ceneri come una Fenice”! Sostituito il Capitano pure la rotta si sta invertendo; e di trecentosessanta gradi. Amen. Dunque; quattro prime d’opera, sei concerti sinfonici, i concerti d’occasione, due balletti, tra i quali due “classici”, (Romeo e Giulietta e il Mandarino meraviglioso) dopo un quadriennio di danza limitata al repertorio moderno, il quale di certo non ha determinato una crescita nel Corpo di ballo. Era ora. Tutto sommato un programma – nell’ambito delle nostre possibilità – del tutto rispettabile che si spera, riporterà al recupero di quella considerazione e reputazione delle quali il Teatrale NAZIONALE di Fiume quasi sempre ha goduto. Speranzosamente Vostra 2 musica Mercoledì, 26 settembre 2007 IL PERSONAGGIO Conversazione con Cristina Miatello, una delle prime interpreti Cantare il barocco significa libr di Alessandro Boris Amisich C onosco Cristina Miatello da tanti anni. “Da troppi!” aggiunge lei, sorridendo. Probabilmente scherza; in effetti lo fa spesso: è una donna di spirito e dotata di molta ironia. O forse è proprio stufa di conoscermi! E magari ha ragione. Ci siamo diplomati al Conservatorio “Pollini” di Padova nello stesso anno, il 1979. “Sì, mi sono diplomata in Canto - ramo didattico, e infatti - aggiunge subito - non mi sembra assoluta- mento che avevo studiato ai corsi pomeridiani dell’istituto magistrale e poi anche per un anno privatamente, al fine di preparare l’esame di ammissione al Conservatorio. La commissione mi riconobbe buone doti musicali, ma mi sconsigliò decisamente lo strumento, essendo troppo ‘vecchiotta’ per cominciare un percorso serio a livello professionale. Così finii per studiare canto, ma, devo confessare, con poco amore per l’opera lirica e con pa- Ogni concerto vive di una sua emozione particolare, ma non posso dimenticare l’emozione di aver cantato nelle antiche chiese delle missioni gesuitiche, nella foresta boliviana, durante il festival Misiones des Chiquitos, con un pubblico di indios arrivati a piedi da chissà dove, spesso scalzi, compresi i bambini mente un caso la mia passione e dedizione all’insegnamento”. Approfondiamo subito questo aspetto della sua attività, che lei non considera assolutamente un ripiego: “Ho sempre insegnato, anche se è molto faticoso unire la professione concertistica con l’attività didattica”. Mi incuriosisce sapere come è arrivata al canto, dapprima, e al canto barocco poi. “Non posso nascondere di essere partita dal pianoforte, stru- recchia esperienza corale alle spalle, (anche come direttrice). Il mio primo insegnante di canto, il M° Sante Rosolen, di origine istriana, che aveva studiato a Vienna, cambiò radicalmente la mia idea della voce, e mi aprì al mondo della musica cameristica e soprattutto all’idea fondamentale che, per lavorare, non si dovesse cantare solo l’opera lirica. E così in effetti fu. Il barocco e la liederistica furono e sono il mio passato, il presente e… il futuro, spero! Mi sono per- l’Ensemble vocale veneto, il gruppo di solisti composto dalla Miatello (prima a sinistra) fezionata con Elisabeth Schwarzkopf, prima ai corsi alla Radio di Trieste, e poi a casa sua a Zurigo. L’emozione più grande la provai un giorno che, mentre cantavo il duetto della lettera dalle “Nozze di Figaro” di Mozart, nella parte di Susanna, lei cominciò ad accennare la parte della Contessa; le gambe mi cedevano: stavo cantando insieme a quello che era il mio idolo incontrastato…”. D’accordo. Ma “cantare il barocco” che significato ha? Con che spirito, con che approccio ci si avvicina a questo vasto repertorio, così lontano dal nostro tempo e dalla nostra estetica (sempre che oggi si possa dire di avere un’estetica…)? Cantare il barocco è, per me, anche una liberazione della fantasia. Essendo un periodo storico vasto e lontano dalla nostra sensibilità, tra la fine del ‘500 e la fine del ‘700, mi piace immergermi in tutto ciò che può aiutarmi a capirlo di più, e quindi di conseguenza anche a cantare meglio. Leggo, vado alle mostre, al cinema (quando è buono), a vedere film in costume (ma non solo), possibilmente basati su fedeli ricostruzioni di ambienti, luoghi, ecc. Ovviamente mi piace viaggiare, Italia e fuori, e scoprire quei bei borghi pieni d’arte, magari senza tanti turisti in giro. Mi piace andare a piedi con calma e curiosità, guardarmi intorno, immergermi in quei luoghi. Quindi stiamo parlando di un periodo piuttosto ampio, e certamente non omogeneo. Hai ragione: a me piace il Seicento perché è un secolo pieno di passioni e di contrasti. E anche nella musica tutto ciò è molto evidente. Il Settecento invece è una sfida dell’intelletto. Veniamo alla carriera concertistica; una carriera brillante, intensa, ricca di tappe importanti. La carriera professionale mi ha riservato grandi soddisfazioni. Ho fatto concerti ovunque in Europa, nei maggiori festivals, ho registrato per radio e televisioni di vari paesi, ho partecipato all’incisione di una quarantina di CD, alcuni dei quali hanno avuto premi internazionali della critica discografica. Soddisfazioni, certo. Anche fatica? Stress? Non mancano mai, nella nostra professione, i picchi positivi e negativi: i viaggi intercontinentali sono faticosi e a volte, cambiando anche i ritmi sonno-veglia, clima e alimentazione, la voce non dimostra contentezza e arrendevolezza, ma si vendica ferocemente, soprattutto cercando ad esempio Che sensazioni si provano in un momento del genere? Allora mi parve di essere schiava del mio lavoro, che non mi permette nemmeno di stare male in pace e di curarmi senza preoccupazioni. Ma se io non avessi cantanto, quella sera, sarebbe saltato il concerto per tutti. Passiamo a qualche ricordo particolarmente ricco sul piano emotivo… Ogni concerto vive di una sua emozione particolare, ma non posso dimenticare l’emozione di aver cantato nelle antiche chiese delle missioni gesuitiche, nella foresta boliviana, durante il festival Misiones des Chiquitos, con un pubblico di indios arrivati a piedi da chissà dove, spesso scalzi, compresi i bambini. Cosa hai pensato in quella situazione? Che l’Europa civilizzata oramai non si emoziona più per nulla…”. Torniamo al barocco. Oggi sono in tanti a fare il barocco, ma quando sei uscita dal Conservatorio tu… Penso veramente di essere sempre stata una pioniera, e lo dico senza alcuna falsa modestia; quando Partitura dell’Orfeo di Monteverdi (1607) di riposare quando tu la vorresti far lavorare! Anche delusioni? Episodi negativi? Inevitabili, in tanti anni di attività: ad esempio capita, dopo aver tanto studiato, di fare un concerto con un pubblico di 20 persone. Frontespizio dell’Orfeo di Monteverdi Succede anche questo. Ricordo di aver cantato con una fifa blu alla sala Verdi del Conservatorio di Milano, reduce da una colica per calcoli alla colicisti. E i risultati naturalmente non furono dei migliori. ho cominciato a cantare barocco, in Italia eravamo giusto due o tre, non di più, e sono stata la prima ad avere un vero insegnamento di canto barocco in una istituzione scolastica, la ex Scuola Civica di Milano, ora Accademia Internazionale della Musica, dove poi ho anche insegnato per quasi 15 anni. Ora insegno al Conservatorio di Verona e di Padova, sempre nei corsi sperimentali di 1° e 2° livello di strumenti antichi. Penso che l’apertura dei Conservatori al barocco sia arrivata un po’ troppo tardi, quando già il più interessante era accaduto, ma soprattutto in un momento di crisi generale della musica, come occasione di farne la propria professione. Parlami ancora di che cosa significhi cantare barocco. Ieri come oggi?, o qualcosa è cambiato? Dedicarsi al barocco, soprattutto per un cantante, voleva dire, ieri più di oggi, criticare anche l’atteggiamento esteriore (noi eravamo i “frichettoni”, quelli che facevano i concerti in camicia…..), nonché la preparazione di base e la cultura generale di chi affrontava altri repertori, più classici. E soprattutto aveva il senso di riequilibrare i repertori eseguiti, richiamando il rispetto e l’attenzione del pubblico nei confronti di un’epoca storica in cui l’Italia era stata proprio gran- musica 3 Mercoledì, 26 settembre 2007 del repertorio barocco in Italia arsi sulle ali della fantasia de, molto più grande che nei secoli successivi. Tutti, in quei secoli, venivano in Italia per imparare, tutte le corti europee, e non solo, volevano gli italiani…Come si poteva pensare di continuare a trascurare tutto co, duttile, dominandola e piegandola a tutte le necessità della linea vocale e del testo. Soprattutto per la musica del Seicento si nota quanto un cantante lirico possa restare spiazzato dalla mancanza della li- Quest’anno, in occasione del 4° centenario dell’Orfeo di Monteverdi ho concepito una ricostruzione della storia di Euridice e del suo infelice amante, attraverso la musica di due opere, una di Luigi Rossi e l’altra di Antonio Sartorio, composte entrambe nel Seicento avanzato ciò? Poi anche il barocco è diventato di moda: da un lato è stato un bene, ma dall’altro ha anche troppo annacquato quel bell’istinto verso lo studio serio e la ricerca, che era stato la base di tutto il risveglio degli anni ‘80. A proposito del lavoro di fantasia di cui ti accennavo prima, certo non si può dire che nessuno abbia la verità in tasca sulla filologia del barocco, ma esistono trattati, documenti, cronache dell’epoca, e da queste fonti possiamo cercare di ricavare un’idea abbastanza prossima al reale. Ma il mercato comunque ha le sue leggi, e premia, tendenzialmente, ma questo non vale solo per l’epoca antica, chi sa ammaliare il pubblico, al di là delle sue reali qualità, o della serietà di ricerca. Mi sembra che, mai come in questo momento, ciò sia profondamente vero. Rimaniamo su questa contrapposizione tra chi faceva barocco e chi repertorio lirico… C’è stato un periodo in cui si erano creati quasi due bacini a cui attingere, i cantanti lirici e quelli barocchi. E i due mondi si guardavano magari con un po’ di sospetto reciproco, quando non anche di ostilità. Oggi il limite non è più così tracciato. Potendo, tutti fanno tutto, anche per necessità di lavoro. Sono tempi abbastanza grami: se ti propongono qualcosa da fare, è meglio prenderlo, senza star a guardare troppo per il sottile…E comunque quando si fa un’opera barocca in un grande teatro, certe voci, magari meno grandi, ma più specialistiche e curate, non bastano più. Comunque in Italia abbiamo anche davvero dei bravi cantanti, se escludiamo qualche “fenomeno”, che si vende bene, ma che è più fumo che arrosto. Ti propongo un altro argomento: insegnamento. Hai già detto che dedichi molte delle tue energie in campo didattico. Mi piacerebbe sapere che differenze trovi tra gli allievi barocchi puri e i lirici? Ho sempre pensato che ci sia innanzitutto necessità di buoni insegnanti, soprattutto per un repertorio che, dal punto di vista tecnico e musicale, era tutto una scoperta da fare. C’è molto interesse (la mia classe a Verona è sempre piena di allievi e con una bella lista di domande d’ammissione) e penso che, ancora oggi, chi si dedica a questo studio lo faccia anche per avere un’alternativa alla solita “opera lirica”, dove ormai rimane poco da scoprire di nuovo. Noto che una delle prerogative forse più importanti che caratterizzano la tecnica barocca è la capacità di usare la voce in modo estremamente elasti- nea melodica, alla quale si sostituisce più facilmente il recitativo o l’arioso. E naturalmente anche lo scopo di avere sempre una quantità di suono ragguardevole, per riempire un teatro, rende inevitabilmente meno flessibile anche l’emissione vocale. Mi è successo spesso, soprattutto negli ultimi anni, di tenere corsi anche ad allievi di canto lirico, e li ho visti affascinati, molto spesso, proprio dalla novità del repertorio e da ciò che si chiede alla voce. E poi la diffusione dei concerti ha creato anche una maggiore apertura mentale nei riguardi delle alternative. Aggiungo che oggi si guarda a repertori diversi anche come buone occasioni di lavoro supplemen- Scenografia per Il pomo d’oro di Marcantonio Cesti, rappresentato a Vienna nel 1666 pertorio antico abbiamo la distinzione tra musica da camera, da chiesa e da teatro. E quindi? Quindi non è detto che una voce possa o debba affrontare tut- Costume del ’600 di L. Burnacini tare, e si è imparato a non snobbare come minore nessuna occasione. Questo vale anche per gli insegnanti, benchè resista ancora il concetto (pregiudizio) che si debbano dedicare al barocco solo quegli allievi che hanno la voce piccola, oppure che non ce la fanno a sostenere la fatica del teatro. Ma anche nel re- to ciò. E comunque si dovrebbe scegliere, in base alle caratteristiche vocali di ciascuno. La lirica ti è rimasta un mondo estraneo? Non dico questo; non posso cioè dire che io la lirica l’abbia, alla fine, disdegnata, ma ho sempre amato (ed ero più a mio agio, sia vocal- mente che psicologicamente) maggiormente il ‘700, fino a Mozart, incontestabilmente il beneamato. Ho cantato Vivaldi, Cimarosa e Rossini, ma non mi sono mai lanciata più oltre, se non verso il contemporaneo, saltando a piè pari tutto l’ottocento. Una scelta convinta? Un caso? Una scelta. Penso sia stata una scelta saggia. Oltre tutto, questo mi ha permesso di essere qualcuno nel mio ambito, piutosto che un’ennesima comprimaria, dove tanti – ne sono ben consapevole - hanno una voce più adatta della mia al gran teatro. Mettiamo che non ti fosse possibile fare la cantante o la musicista… In realtà ciò che mi è sempre stato chiaro è che, se non avessi fatto la cantante, mi sarebbe piaciuto fare l’attrice, e infatti sono attirata da tutti quei repertori dove il testo è fondamentale (liederistica, con Goethe, Schiller e tutti gli altri, madrigali con Petrarca, Guarini, ecc.), e dove la voce si possa usare in modo più libero e meno codificato, cioè la musica moderna o contemporanea. Che cos’altro ti piace? Puoi andare a ruota libera... Mi piace la danza moderna; il balletto classico lo trovo un po’ stucchevole e troppo formale! Amo cantare “insieme”: mi è rimasto dal coro il desiderio di compartecipazione, mi diverto di più, anche se canto molto spesso come solista. Quindi il repertorio madrigalistico resta forse, per quanto riguarda il barocco, il mio preferito. Ho cantato in vari Ensemble, e dal ’97 ne ho anche fondato uno, che si chiama Ensemble Vocale Veneto, con cui abbiamo fatto e facciamo vari programmi di musica italiana”. Qualche progetto particolarmente stimolante? Sì: nel 2007 il nostro progetto più ambizioso riguarda musiche dedicate ad Orfeo. Infatti nel 1607 Monteverdi compose il suo, che venne messo in scena a Mantova, all’interno di Palazzo Ducale. Poiché il mito di Orfeo dura da secoli, ininterrottamente celebrato, quest’anno, in occasione del 4° centenario della prima opera musicale a lui dedicata, ho concepito una ricostruzione della storia di Euridice e del suo infelice amante, attraverso la musica di due opere, una di Luigi Rossi e l’altra di Antonio Sartorio, composte entrambe nel Seicento avanzato. E’ un programma bellissimo, che spero di replicare in vari luoghi. Per il momento abbiamo concerti in Spagna, Polonia e qualcosa in Italia. Mi piacerebbe lavorare anche un po’ più a casa mia, ma, si sa,” nemo propheta in patria!” Ecco una connotazione negativa. Devi spararmene altre? Noi tutti musicisti penso viviamo oggi un momento di difficoltà, soprattutto per aspettative deluse, non tanto e non solo, per la diminuzione del lavoro, ma per la sensazione che abbiamo dedicato tanto tempo ed energia di studio a qualcosa che, almeno a livello istituzionale, interessa a pochi. Il pubblico, nella maggioranza dei casi, c’è. Quello che manca è la volontà politica, ma, sappiamo che i problemi sono altri. Spero solo, prima di andare in pensione, di togliermi ancora qualche soddisfazione, e di smettere di insegnare quando mi sarà passata la voglia, per evitare di annoiare per primi i miei allievi, oltre che me stessa. Ho spesso idealizzato il mondo della musica, pensando che fossimo dei puri. Ho sbagliato: l’arrivismo e la sete di potere si scatenano dovunque e ci vorrebbero dei bei denti da coccodrillo per sopravvivere. Beh, ma non concluderemo mica con un pensiero negativo, vero? No di certo: l’età mi ha reso più saggia, in questo senso, ma la delusione di avere dato fiducia a certe persone, che non la meritavano e che non l’hanno ricambiata, mi rimane sempre dentro come un nodo irrisolto. E comunque continuo a guardare avanti. Spero di avere sempre la curiosità e la voglia di pensare a qualcosa di nuovo, a progetti positivi e stimolanti: è il più bell’augurio che mi posso fare per il futuro, sia dal punto di vista umano che professionale”. Lascia che io sottoscriva il tuo augurio, Cristina. 4 musica Mercoledì, 26 settembre 2007 Mercoledì, 26 settembre 2007 5 MUSICAUSTERITY Celebrazioni per la Callas ma riflettori su Big Luciano di Fabio Vidali I l 16 novembre 1977 si spegneva prematuramente a Parigi Maria Callas e da tempo si preparavano le celebrazioni di questo trenten- che, pettegolezzi ed “esclusive” sulla stampa e le onde dell’etere. Ciò in conformità con i fasti della vigente “civiltà informatica” del sensazionalismo “usa e getta”. A chi coltiva la Cabala sarà dif- la e all’Opera di Roma, per poi spiccare il volo in tutto il mondo, sempre però accompagnata dagli strali dei “tradizionalisti” legati a convenzioni di origine settecentesca circa le varie “categorie vocali”, prescriventi I “tradizionalisti” ritenevano inammissibile che la stessa cantante interpretasse “Norma” e “Sonnambula” (lo facevano tranquillamente la Pasta e la Malibran) e lo fece la Callas che si impegnava alternativamente in “Walkiria” e “Puritani”, in “Norma” e “Tristano”, in “Traviata” ed in “Anna Bolena” ecc. nale. La Scala, in tale giornata, ha disposto la presentazione, in prima assoluta gratuita per i suoi abbonati, del documentario a lei dedicato dal regista francese Philippe Kohly, che vi sarà proiettato tre volte e successivamente andrà in onda su Sky Clas- ficile non sottolineare la strana assonanza dei numeri 6, 9 e 7 coincidenti con le due morti, magari per concludere che il mese di settembre pare infausto ai miti dell’Opera Lirica. Anche se si tratta di pure coincidenze. Ma coincidenza non è il lascito di “timbri omogenei” e “carezzevoli” e repertori circoscritti e delimitati secondo le dette ed invalicabili “categorie”. Questi “tradizionalisti” ritenevano inammissibile che la stessa cantante interpretasse “Norma” e “Sonnambula” (lo facevano tranquillamente la Pasta e la Malibran) e lo fece la Callas che si impegnava alternativamente in “Walkiria” e “Puritani”, in “Norma” e “Tristano”, in “Traviata” ed in “Anna Bolena” ecc. Era invece ammissibile, per questi signori, che soprani tutti ciccia e gemiti e tenori panciuti ed obesi centellinassero accenti di eroismo e di passione. Donde la deriva del Melodramma (Scala compresa) declassato e spettacolo per soli béceri, al quale il pubblico più “intellettuale” si guardava bene dall’assistere. Anche la “prima” Callas, in verità, non era proprio un “figurino” e lei stessa si definiva “pingue e sgraziata”. Ma, in uno con l’assiduo studio vocale e drammatico, si sottopose a feroci cure dimagranti fino a divenire aitante e snella come una star del cinema. Ciò non fu solo “cura di immagine” ma esigenza interiore di “costruirsi” secondo un “ideale” aspetto, adatto ai suoi ruoli d’artista che teneva a fare un tutt’uno di vita ed arte. Un’autotrasformazione faticosa della quale, però, Maria andava orgogliosissima. Soccorre, al proposito, un gustoso e poco noto aneddoto che appresi da chi ne fu coinvolto. In un istitu- to di bellezza, una giovane magrissima signora appassionata fan della Callas, riuscì ad avvicinare Maria per ottenerne un autografo. Maria la squadrò con superbia e le disse: “La sua snellezza è chiaramente costituzionale e d’essa lei non ha alcun merito. Io invece me la sono duramente guadagnata ed è solo merito mio”. Quale la caratteristica unica che fece della Callas e della sua esigenza di donna un personaggio “mito” sulle scene ed anche nella vita? L’innata drammaticità del carattere, il suo privilegiare la “sostanza” sulla “forma” ripulita d’una generica vocalità fino a rimanerne posseduta anche nella quotidianità dove continuò a rappre- rockettari “veri”. Ma, malgrado tali accomodamenti, non risulta che statisticamente il pubblico dell’Opera sia significativamente aumentato. Nemmeno i “Vincerò” mondiali ed olimpionici sono riusciti ad insegnare ai “massificati” che provengono da un’Opera di Puccini. sentare integralisticamente il “personaggio” che recitava sulle scene. E ne fu umanamente distrutta, fino al suicidio. Per lei il Teatro e la Vita furono la stessa cosa. E morì abbandonata, povera e sola. I suoi irriducibili detrattori le rimproveravamo di non possedere “una voce” ma “tante voci” perché mirava al sodo dell’espressione, riuscendo a rendere drammaticamente espressive anche quelle che tradizionalmente si ritenevano solo “vocalizzazioni virtuosistiche” di astratta “bravura”. I suoi estimatori considerarono (giustamente) ciò un suo esclusivo merito tale da originare un vero e proprio “movimento cultura- Intonazione e calibrature perfet- A differenza della Callas, non Come Norma alla Scala, il 7 dicembre 1955. Dietro alle quinte succes- possibilità di averlo per più di due se un furibondo litigio con Del Monaco per l’applauso finale serate, fatto che avrebbe imbufalito le” che rese “attuali” i tesori d’un re- cistica scandalistica internazionale gli abbonati esclusi. Mi si disse dipertorio, prima di lei confinato nelle per la sua disastrosa vicenda priva- sponibile per un concerto (anche col soffitte e negli archivi, come la “Me- ta con Onassis, Pavarotti entrò nello solo pianoforte), da collocarsi fuori dea” di Cherubini, tanto Donizetti e “star system” già quando, negli Anni abbonamento. Ma anche tale ripieRossini “serio”. Ed ispirò gestualità Sessanta, sostituì inaspettatamente go qui fu scartato dai responsabili e “riletture” registiche come quelle Giuseppe Di Stefano al Covent Gar- del Teatro. Fu però, pochi anni fa, di Visconti e Zeffirelli. Fu regista lei den. Non innescò alcun “movimento all’Arena di Pola e a Lubiana. Occastessa (con Di Stefano) al Regio di culturale” ma “restaurò” l’immagine sioni che Trieste non seppe sfruttare. del “tenore italiano” (alla Gigli e Ta- Eppure vi avrebbe cantato volentieri Torino (1973). Conformemente all’antica sa- gliavini). Sangue romagnolo, padre dato che aveva in grande stima Triepienza dei vignaioli, Maria privile- tenore corista, lui stesso, agli inizi, ste ed il suo pubblico e questa “piazgiò la consistenza dei grappoli alla corista e chierichetto nel Duomo di za” mancava al suo carnet. Non revisualità dei pampini (virtuosismi) Modena, incarnò tosto il ruolo del sta che rimpiangerlo fra le occasioni “tenore italiano d’esportazione” dal- perdute. E ricordarlo per la cordialiche crescono a discapito dell’uva. Se l’attore di prosa si misura sul- la voce tornita e rotonda come l’O tà e la generosità di cui sempre detla ricchezza di voci ed inflessioni di di Giotto, tutto buoni sentimento ed te prova. cui è capace, perché molti non volle- acuti e sopracuti lunghissimi ed irreI bagni di folla ro riconoscere ciò come pregio alla sistibili. Se ne fregò degli intellettuali, “riabilitando” la tradizionale figuCallas? Pavarotti, già quand’era al verTrieste l’osannò due volte: nel ra del tenore pinguamente obeso cui 1951 in un concerto di arie d’ope- si “perdona” l’impacciata figura per tice del successo e della popolarità ra e nel 1953 in “Norma”, (diretto- l’eccellenza dei suoni vocali. Fece come cantante lirico, comprese che re Votto, con Corelli e Christoff). Ma anzi di più: riuscì a fare anche della il suo obiettivo di “allargare il publa critica locale brillò per prudenti riserve. La restaurazione di «Lucianone» Memorabile Tosca con Tito Gobbi al Covent Garden di Londra. Gobbi disse di lei:”La Callas era Floria Tosca” Se Maria Callas divenne un mito mediatico proprio negli anni in cui diradò la sua attività sulle scene e divenne goloso boccone della pubbli- Quella voce aspra, demoniaca e fenomenale Da ciabattona grassa e sgraziata a silfide affascinante sica. Nel Foyer dello stesso teatro è allestita la mostra “Maria Callas alla Scala”, visitabile fino al prossimo 31 gennaio. Torino ha ricordato la diva con un convegno al Conservatorio. Case editrici affollano le librerie con nuove pubblicazioni sul tema Callas, dalle immagini alle sue ricette di cucina, e vanno a ruba nei negozi le sue registrazioni. Quasi a rompere le uova nel paniere di tanto impegno mediatico e commerciale callassiano, il 6 novembre 2007 si spegneva un altro mito dell’Opera Lirica, il tenore Luciano Pavarotti. Il triste evento, pur prevedibile, dato il male che rodeva “Big Luciano”, ha creato nella pubblicistica internazionale un’onda anomala così potente da quasi azzittire le a lungo covate celebrazioni callassiane. Assalto ai negozi per assicurarsi il possesso di qualche sua registrazione, alluvione di crona- queste due eminenti personalità nell’ambito del Teatro Musicale. Due personalità diversissime, addirittura spesso agli antipodi, delle quali, al di là dei servili encomii e dei codardi oltraggi, potrà essere utile approfondire il portato storico. La «rivoluzione» di Maria Callas La vocalità di Maria Callas non fu mai accettata dai “tradizionalisti”. Se la carriera lirica di Maria Kalogeropulos appena quindicenne iniziò con “Cavalleria rusticana” ad Atene nel 1938, solo nel 1947 in “Gioconda” all’Arena di Verona, la Kalogeropulos iniziò a trasformarsi in Callas. E fu una trasformazione lunga e sofferta. Ancora tre anni dopo, al Còlon di Buenos Aires e alla Scala passò quasi inosservata. I suoi primi successi li ottenne nel 1951 alla Sca- Maria Callas? Uno dei personaggi più complessi, turbolenti e discussi nel firmamento dell’arte lirica del Novecento; un’artista che al suo passaggio – al pari di una cometa – lasciava strascichi di osannanti entusiasmi e acri polemiche, rivalità feroci, scandali mondani e tenere amicizie...Ma al di là delle apparenze, dei luoghi comuni delle facili ed ingenue deificazioni ed edulcorate esagerazioni, l’”enigma Callas”, dalla sua meteorica e breve ascesa, alla sua infelice parabola artistica e personale discendente, chi era? Al pari di tanti altri grandi scienziati ed artisti nel corso della storia – da Leonardo a Michelangelo, da Einstein a Marie Curie - questa Musa della lirica aveva una tremenda e tormentosa coscienza dei propri limiti, della propria imperfezione, che erano causa di profonda sofferenza psicologica: “Nel canto vorrei che la voce mi obbedisse sempre, come voglio io... l’organo vocale è ingrato e non rende come vorrei, non vuole essere dominato...e io soffro... il pubblico mi applaude... Serafin è arcicontento della mia ‘Norma’ ma.. io non lo sono per niente...sono convinta di poter fare cento volte di più...sono pessimista e ogni cosa mi affligge... arrivo al punto da invocare la morte per liberarmi dai tormenti e dalle angosce...” confessava in una lettera al marito la grande artista. tra folle di paparazzi e mobilitazione di media internazionali. Salutato anche dalle “Frecce tricolori”. Alla “divina” Callas, grazie alla quale la classe intellettuale “scoperse” l’Opera, fu fatto ben più squallido affronto “post mortem”. La RAI dei miliardari “quiz spazzatura” te- Maria Callas ebbe voce bellissima? Nemmeno per sogno. Non aveva gli splendori, il cristallo e la potenza della Tebaldi, della Simionato, della Cigna. Non era una “voce italiana”; aveva un timbro nasale, gli acuti striduli e affetti da un vibrato eccessivo, i suoni bassi spesso ruvidi, e all’inizio sudò sangue per affermarsi. Toscanini - sebbene la cosa non andò in porto - la volle come lady Mac Beth perché aveva finalmente trovato una voce “diabolica, aspra, soffocata”, come la voleva Verdi. La Callas aveva una voce interessante, ma soprattutto... “fenomenale”! Una voce “ottocentesca”, paragonabile per duttilità ed estensione (tre ottave) a quelle della della Malibran, della Pasta le quali cantavano sia da soprano che da mezzosoprano. La specializzazione in soprano drammatico, lirico e leggero è posteriore. Maria Callas con il suo grande virtuosismo vocale, la sua intelligenza musicale superiore e straordinaria versatilità, l’eccezionale e raffinatissima personalità scenica e il suo grande animo, contribuì in maniera decisiva alla rinascita della fulgida tradizione belcantistica nel Novecento, affermandosi clamorosamente pure in ruoli romantici e oltre. Norma, Medea, Tosca... scivolò, misteriosamente, nell’inesorabile abancora oggi sono sinonimi di Maria Callas. La Callas perse la voce? Perse soprattutto la braccio della Morte. Patrizia Venucci Merdžo gioia di vivere, e dalla morsa della depressione Pavarotti a Pola Forse se ne rese conto quando la sua giornata era agli sgoccioli e fra le sue ultime volontà, chiese d’essere levisivi distrusse, per micragnosa “economia” sui nastri magnetici, l’ultima intervista della “divina”. Pavarotti incarnò tosto il ruolo del “tenore italiano d’esportazione” dalla voce tornita e rotonda come l’O di Giotto, tutto buoni sentimento ed acuti e sopracuti lunghissimi ed irresistibili. Se ne fregò degli intellettuali, “riabilitando” la tradizionale figura del tenore pinguamente obeso cui si “perdona” l’impacciata figura per l’eccellenza dei suoni vocali ricordato come “cantante d’Opera”. Cioè per quello che è stato veramente. Un’estrema ammissione di sconfitta che commuove. Ma sarebbe stato diverso se avesse suscitato, come la Callas, un “mo- E se ne accorsero appena recentemente, quando il regista francese Kohly la richiese per inserirla nel suo documentario “Callas Assoluta”. L’Italia ha scoperto finalmente l’austerity. Del resto anche il presi- Pavarotti e Bono sua stazza fisica un marchio di successo sottolineandone con bizzarrie d’abbigliamento la poderosità: lenzuola per fazzoletto, sciarpe come copriletti. I suoi atteggiamenti sempre pii e timorati, da buon cattolico. La Callas, invece, ebbe la spocchia di contraddire anche Sua Santità Papa Pio XII, che le rimproverò l’eresia di cantare Wagner in italiano: gli rispose che, per comprendere a fonda la musica, è indispensabile capire il senso delle parole che si cantano. Quell’udienza avvenne nel 1954. Pavarotti fu, coreografie e “clameur” a parte, una natura istintiva musicalissima ed un autentico Mae- blico dell’Opera a strati sempre più vasti” non poteva essere realizzato, in assenza d’un “movimento culturale” che lo assecondasse come avvenne per la Callas. Così pensò di prendere le folle per il loro verso optando per eventi musicali di massa da ospitarsi in stadii, arene, luoghi aperti vastissimi. La formula dei “Tre Tenori” non poteva protrarsi in eterno. Occorreva lo “zuccherino” del rock per un più vasto richiamo dei renitenti alla Lirica. A questi dedicò gli ultimi anni della sua attività. Richiamò numeri favolosi di persone che, attirate dal rock, si mostrarono disponibili ad ascoltare anche le sue canzoni e romanze, meglio se in “due” con i Il Lucianissimo vimento culturale”? Temiamo di no, se non per pochissimi. Lui non è morto povero, ma multimiliardario. Non è morto solo, ma dente Napolitano ha soppresso i tradizionali Concerti del Quirinale per ragioni d’economia. Siamo finalmente… sulla buona strada. 6 musica Mercoledì, 26 settembre 2007 IL PROFILO Beppe Gambetta, virtuoso coerente alla tradizione americana Fare del vagabondaggio un’arte di Lucio Vidotto «C edere alla tentazione di suonare delle cover come quelle dei Beatles mi renderebbe sicuramente più semplice il compito di trovare lavoro. Comunque sia, non intendo cedere. Non ho mai suonato quello che non mi piace suonare e non intendo farlo in futuro»; ci ha raccontato Beppe Gambetta, chitarrista genovese, cittadino del mondo e padrone di un’arte raffinata. Quest’anno lo abbiamo potuto seguire in più frangenti dalle nostre parti, tra Fiume, Abbazia, Dramalj, e quindi a Čakovec e Zagabria. Da quindici anni, poi, lo ritroviamo in agosto ad Ambrož pod Krvavcem, un paesino di montagna in Slovenia, scelto da Poi c’è la Slovenia dove ho trovato il posto giusto per il mio workshop, diventato un appuntamento tradizionale che mi fa conoscere tanti amici. Il mio primo viaggio verso l’America, curiosamente, è iniziato a Zagabria. Era l’86 e avevo i soldi contati. Cercavo il modo di risparmiare qualcosa e ho scoperto che mi sarebbe costato meno volare con la JAT, compagnia di bandiera dell’ex Jugoslavia”. Un mosaico personale di suoni e sapori Ci sono tanti modi per tracciarne un profilo artistico e non solo quello. Gira continuamente per il mondo, assieme alla moglie, e continua a divertire e a divertirsi: “È il mio In un mondo dominato dalle logiche del mercato e in cui a imperversare è la musica “plastificata”, tutta glamour e look, così fashion e trendy, Gambetta propone la sua musica, intimamente sentita e vissuta, fatta di emozioni, immediatezza comunicativa, ricerca timbrica, sobrietà lui per un workshop internazionale frequentato da chitarristi di tutto il mondo. Ora è negli States dove “rivende” con successo la tradizione americana. Per chi non avesse avuto l’occasione di ascoltarlo, possiamo assicurare che presto tornerà da noi. In primavera è stato coinvolto e apprezzato nell’ambito della “Hal’s all star guitar summit”, che nella sua seconda edizione ha portato ancora una volta nomi prestigiosi della musica internazionale. “Ho dei legami con queste terre – dice Gambetta – con un nonno nato a Imotski e una nonna triestina. lavoro e per vivere devo pur guadagnare, ma quello che mi dà una grande soddisfazione è il poter conoscere tanta gente e di continuare a fare nuove amicizie un po’ dovunque”. Il filo dell’orizzonte come sfida e irresistibile richiamo, Beppe Gambetta ha fatto del vagabondaggio un’arte, componendo il suo personale mosaico di suoni e sapori. In giovanile pellegrinaggio lungo le mitiche “blue highways” della profonda America cantate da Woody Guthrie, quel giovane chitarrista genovese sulle tracce del country e del bluegrass, ne ha macinata, è proprio il caso di dirlo, di strada. Virtuoso dello stile “flatpicking” consacrato, ormai, a livello internazionale, autore di dieci dischi, quattro libri di- –, Gambetta nel corso della sua carriera ha avuto l’opportunità di suonare con i più grandi artisti della scena folk internazionale, quali, per citarne alcuni, Doc Watson, Tony Virtuoso dello stile “flatpicking” consacrato, ormai, a livello internazionale, autore di dieci dischi, quattro libri didattici, tre video e un DVD, Gambetta è oggi considerato dagli stessi maestri americani un loro pari, degno continuatore di una tradizione musicale sempre viva e rinnovantesi dattici, tre video e un DVD, Gambetta è oggi considerato dagli stessi maestri americani un loro pari, degno continuatore di una tradizione musicale sempre viva e rinnovantesi. Di casa negli States (è di quattro mesi, in media, la sua permanenza annuale in terra americana), una fama consolidata grazie alle numerose tournée, alle partecipazioni ai più prestigiosi festival, dal Walnut Valley Festival di Winfield in Kansas al Merlefest di Wilkesboro in North Carolina, da quello di Chico in California ai Festivals canadesi di Edmonton e Winnipeg, e all’attività didattica nell’ambito di seguitissimi workshop – uno su tutti: lo Steve Kaufman Flatpicking Camp di Maryville nel Tennessee Trischka, Gene Parsons, Norman Blake, David Grisman. E, naturalmente, Dan Crary, Tony McManus e Don Ross, membri insieme a Beppe dei Men of Steel, il fantastico quartetto chitarristico che più cosmopolita non si può – Usa, Scozia, Canada, Italia sono infatti le nazioni di provenienza di questi “fab four” delle sei corde – e che ha mietuto unanimi consensi di pubblico e critica in tutto il mondo. Una koinè musicale... interattiva In un mondo dominato dalle logiche del mercato e in cui a imperversare è la musica “plastificata”, tutta glamour e look, così fashion e trendy (ma chi parla male, parafrasando qualcuno, ascolta male), Gambetta propone la sua musica, intimamente sentita e vissuta, fatta di emozioni, immediatezza comunicativa, ricerca timbrica, sobrietà. Una musica ispirata, ma quasi pudica nello svelare sino in fondo i più riposti moti dell’animo, refrattaria a quelle ostentazioni virtuosistiche fini a sé stesse che costituiscono una tentazione in costante agguato a tali livelli di eccellenza tecnica: ad altri, non a lui, meticoloso artigiano dei sentimenti, i funambolici esercizi “a miracol mostrare”. L’America nel cuore, le radici tra il sole e gli ulivi del Mediterraneo, è con estrema naturalezza che Gambetta riesce a saldare le sponde dei due continenti, creando, alla faccia di quell’oceano frapposto lì in mezzo, una “koinè” musicale in cui country e tradizione ligure, canti dell’emigrazione e ballate popolari, mandolini e chitarre-arpa non solo coesistono ma vanno a interagire, intrecciando un fitto dialogo, ignaro di ogni rigida (e supponente) classificazione. Musica popolare in cammino, fiera del suo passato ma con lo sguardo rivolto al futuro, capace di parlare al nostro presente perché radicata nella storia di generazioni di uomini e donne così diversi e così uguali a noi. Musica girovaga, insofferente di frontiere e passaporti, esclusioni e ossessioni. Musica vitale, appassionata, sobria. Che ci fa un cenno. Seguiamola. musica 7 Un festival e un’Accademia Musicale per il leggendario Dino Ciani Mercoledì, 26 settembre 2007 L’ Associazione Dino Ciani ha organizzato a Cortina d’Ampezzo (BL), nell’agosto scorso una serie di eventi finalizzati a promuovere il Festival e Accademia Dino Ciani che qui prenderanno piede a partire da quest’anno con una frequenza annuale. Nati per tenere viva la memoria del grande pianista di origini fiumane Dino Ciani, scomparso prematuramente nel 1974 all’età di 32 anni, il Festival e Accademia Dino Ciani aprono un’innovativa e inedita sfida musicale per gli anni a venire. Dino era particolarmente affezionato a Cortina e alle sue montagne: qui veniva per riprendere energia, ristorarsi a contatto con la natura e studiare nuovi repertori. Cortina d’Ampezzo, la regina delle Dolomiti, per la sua posizione strategica e la sua particolare bellezza,è la sede più adatta ad accogliere un’iniziativa ambiziosa come il festival dedicato a uno dei più importanti interpreti degli ultimi cinquant’anni. Il direttore artistico del Festival e Accademia Dino Ciani è Jeffrey Swann, che fu anche il primo vincitore nel 1975 del Concorso Internazionale per Giovani Pianisti “Dino Ciani” Teatro alla Scala . Il calendario dell’anno zero ha visto la partecipazione della grande Martha Argerich (pianoforte), che, dopo aver generosamente accettato di inaugurare la manifestazione in ricordo della sua A compimento del programma musicale di quest’anno, hanno fatto seguito un concerto dedicato ai giovani talenti con il duo formato da Victor e Luis Del Valle; una tavola rotonda aperta al pubblico e dedicata a Dino Ciani con amici e musicologi; una serata di ascolto guidato di alcune registrazioni di Ciani, diverse della quali inedite. Il Festival e Accademia Dino Ciani ha un duplice intento.Il primo, rivolto più direttamente al pubblico dei residenti e degli ospiti di Cortina, consiste nel creare un festival di musica classica di altissimo rilievo, nazionale e internazionale, capace di attirare un pubblico esigente attraverso la partecipazione di artisti di grande fama; in secondo luogo l’Associazione Dino Ciani si rivolge alla formazione e alla valorizzazione di giovani artisti attraverso il progetto dell’Accademia Musicale, che ha come obiettivo quello di organizzare “masterclasses” tenuti da maestri di altissima esperienza, di allestire conferenze e mostre su temi musicali, infine di offrire la possibilità a molti giovani e dotati pianisti di esibirsi in concerto. Il pianista Dino Ciani di origini fiumane venuto a mancare tragicamente nel 1974 grande amicizia con Dino, ha in- Andrea Lucchesini (pianoforte), terpretato, assieme all’Orchestra vincitore, quest’ultimo, del predi Padova e del Veneto, il Concer- mio Ciani nel 1983. Il duo ha eseto per pianoforte e orchestra n.1 guito un programma con brani di in Do maggiore di Ludwig Van Bach–Busoni, Johannes Brahms, Beethoven. Hanno fatto segui- Robert Schumann e di Sergej Rato Mario Brunello (violocello) e chmaninov. giro giro tondo quanto canta e danza il mondo TEATRO LA SCALA PRIME DI OPERA E BALLETTO Richard Wagner - Tristan und Isolde P.I. Čajkovskij - Il lago dei cigni Gala Čajkovskij Gaetano Donizetti - Maria Stuarda Franco Alfano - Cyrano de Bergerac Sergej Prokofjev - Romeo e Giulietta Alban Berg - Wozzeck Giacomo Puccini - Il Tabarro, Suor Angelica, Gianni Schicchi Cyrano de Bergerac ALTRI SPETTACOLI IN CARTELLONE Mediterranea - serata di danza Giuseppe Verdi - Macbeth Lorin Maazel - 1984 Luigi Dallapiccola - Il prigioniero Béla Bartók - Il castello del duca Barbablù Umberto Giordano - Andrea Chénier Sergej Prokofjev - Il giocatore Giacomo Puccini - La bohème Serata di danza - Serata Petit L’Arlésienne Le Jeune homme et la Mort Carmen La Dame aux camélias (balletto) Wolfgang Amadeus Mozart - Le nozze di Figaro Franz Lehár - Die lustige Witwe WIENER STAATOPER STAGIONE LIRICA E DI BALLETTO Lo Schiaccianoci - P. Čajkovskij La Dama di di Picche - P.I. Čajkovskij L’anello del Nibelungo - R. Wagner La Walkiria - R. Wagner La forza del destino - G. Verdi Gran Galà di balletto Sigfrido - R. Wagner Capriccio - R. Strauss Foyer del Teatro di Vienna TEATRO NAZIONALE DI ZAGABRIA PRIME D’OPERA BERGAMO - Il Festival Organistico Internazionale “Città di Bergamo” (5-11 ottobre) taglia il nastro della quindicesima edizione: tre lustri di grande musica sugli organi più pre- Giuseppe Verdi - Traviata Giuseppe Verdi - Nabucco Gioacchino Rossini - Il barbiere di Sivigflia Wolfgang Amadeus Mozart Don Giovanni Giuseppe Verdi - Un ballo in maschera Francis Poulenc - I dialoghi delle carmelitane PRIME DI BALLETTO Sergej Sergejevič Prokofjev - Cenerentola Marjan Nekak - Staša Zurovac Danse Macabre Nacho Duato, Vasco Wellenkamp, Leo Mujić - Serata d’autore ALTRI SPETTACOLI DI DANZA IN CARTELLONE Fran Lhotka - Il diavolo nel villaggio Petar Iljič Čajkovski - Lo schiaccianocir Petar Iljič Čajkovski - La bella addormentata Adolphe Adam - Giselle Leo Delibes - Youri Vamos Coppélia a Montmartre Gustav Mahler - Milko Šparemblek - Canti d’amore e di morte Georges Bizet - Carmen Giacomo Puccini - Il Trittico Josip Mandić - Mirjana Claudio Monteverdi - Orfeo ALTRI SPETTACOLI LIRICI IN CARTELLONE Wolfgang Amadeus Mozart - Il flauto magico Appuntamento organistico internazionale Città di Bergamo La bella addormentata Chiesa di S.Alessandro della Croce in Pignolo.Organo Serassi n° 659 (1860) stigiosi della città, onorati da un crescendo Rossiniano di consensi, con il supporto di alcune fra le più autorevoli istituzioni del territorio e l’amicizia di primarie aziende. L’importante traguardo verrà festeggiato in due modi diversi. Il primo, con l’allestimento d’un cartellone di straordinaria qualità, rinnovando le caratteristiche peculiari e distintive della rassegna che privilegiano la messa a fuoco della personalità degli interpreti, il loro carisma, la loro ‘vis’ comunicativa, con particolare enfasi per l’arte dell’improvvisazione organistica. Il secondo, con la stampa dell’intero libretto di sala anche in lingua inglese, al fine di rendere le serate più fruibili ed accoglienti ai numerosissimi ospiti stranieri che ormai abitualmente frequentano il Festival. Come noto, il Festival si svolge su cinque degli strumenti più significativi della città, coprendo più di tre secoli d’arte organaria. Si va da un por- tativo seicentesco per giungere all’organo tardo romantico della Basilica di S.Maria Maggiore o quello ceciliano delle Grazie, passando dalle migliori espressioni costruttive delle botteghe storiche del territorio: i Bossi ed i Serassi. Della ricca programmazione di quest’anno va segnalata la presenza di due musicisti a tutto tondo del calibro di Michael Radulescu e David Briggs, entrambi non solo organisti, ma direttori d’orchestra e compositori, con i rispettivi omaggi a Dietrich Buxtehude e Jean Langlais; le preziosissime e raffinate scelte dell’ensemble Accordone, con l’affascinante voce di Marco Beasley e la sapienza tastieristica di Guido Morini; la novità di un autore novecentesco come Franz Schmidt e l’esecuzione della sua poderosa misconosciuta Ciaccona; l’intri- Basilica di S.Maria Maggiore. Organo Vegezzi Bossi 1915 Ruffatti 1948 gante proposta della poliedrica jazzista Barbara Dennerlein. Tutti i concerti sono ad ingresso libero e gratuito. 8 musica Mercoledì, 26 settembre 2007 aneddoti...aneddoti...aneddoti...aneddoti Rossini e il nipote di Meyerbeer In occasione della morte dell’illustre musicista G. Mayerbeer, un suo nipote scrisse una marcia funebre ed ebbe l’idea di chiedere a Rossini che cosa ne pensasse. Il celebre Maestro, con aria compunta, gli disse: “Vedete, caro mio, sarebbe stato meglio che foste morto voi, e che la marcia funebre l’avesse scritta vostro zio”. Il primo incontro di due Geni Ludovico van Beethoven, ancora ragazzo, fu condotto da alcuni amici a Vienna da Mozart per l’audizione. Il futuro astro fu bene accolto dall’illustre Maestro, il quale gentilmente lo invitò ad improvvisare sul pianoforte. Finito di suonare Beethoven attese con ansia il responso: “Buona, non c’è male – poi Mozart soggiunse – non mi venga a dire che questa musica è improvvisata. Si tratta evidentemente di una fal- sa improvvisazione: di un brano composto chi sa con quanta fatica e imparato a memoria”. Beethoven, risentito, prega il Maestro di assegnarli un tema. Mozart accondiscendendo glielo assegna. Il musicista novellino improvvisa così magnificamente che Mozart ne rimane sbalordito e, dopo averlo abbracciato e chiesto scusa, annuncia ai presenti: “Attenti a costui, perché farà parlare di se il mondo”. G. Rossini fu stimato moltissimo anche da Napoleone III. Una Durante la rappresentazione sera l’imperatore, che assisteva dal della “Sonnambula” in un teatro suo palco allo spettacolo dell’opedi Londra mentre la Malibran, ra, vide seduto in platea il Rossini. celebre soprano, cantava l’aria Mandò un suo aiutante di campo “Ah, mi abbraccia!” un giovane a dirgli che salisse a fargli visita. da un palco, al colmo dell’entu- L’illustre Maestro, che non era in abito da cerimonia, ubbidì ugualsiasmo gridò: “Brava! Brava!”. Il pubblico inglese che ascol- mente ed entrato nel palco dell’imtava in religioso silenzio prote- peratore si scusò di doversi presenstò vivacemente contro il distur- tare a quel modo; ma Napoleone, senza lasciarlo finire, gli rispose: batore. - Fuori! Alla porta! Chi è co- “Sedete, sedete caro Maestro; fra noi ‘Sovrani’ a queste cose non si stui? Subito si seppe chi era. Era bada”. Vincenzo Bellini, autore del- Fede – Speranza – Carità gno di una notte di mezza estate” nel 1826, all’età di... a) 17 anni b) 20 anni c) 25 anni 2. Il cantautore Don McLean è l’autore di un delicato brano dedicato al grande pittore Vincent Van Gogh. Il brano si intitola... a) Starry night b) Vincent c) Van Gogh 3. In una delle versioni della famosa opera rock “Jesus Christ Superstar”, nel ruolo di Gesù Cristo troviamo una delle voci più potenti della storia del rock, conosciuto come vocalist del gruppo britannico “Deep Purple”... a) Freddie Mercury b) David Bowie c) Ian Gillan Ian Gillan 4. Chi è l’autore del bellissimo brano “Imagine”, scritto negli Anni ’70? a) John Lennon b) Paul McCartney c) George Harrison 5. Quale dei seguenti compositori, autore dell’opera “Orfeo”, è considerato capostipite del barocco, avendo introdotto nuovi elementi nel tessuto musicale dei suoi madrigali e melodrammi? a) Domenico Scarlatti b) Alessandro Stradella c) Claudio Monteverdi 6. Uno dei geni del romanticismo, F.Mendelssohn-Bartholdy, compose il suo capolavoro “Il so- Gioacchino Rossini e Napoleone III Bellini e Malibran QUIZ chissà chi lo sa? 1. Nel 1984 il celebre attore americano F.Murray Abraham è stato premiato con l’Oscar per il ruolo di quale personaggio nel grande successo cinematografico “Amadeus” di Milos Forman? a) Antonio Salieri b) Leopold Mozart c) W.A.Mozart l’opera che si rappresentava. All’istante il pubblico cambiò umore: furono applausi talmente fragorosi che l’illustre Maestro dovette recarsi in palcoscenico e presentarsi alla ribalta. A trascinarlo fu la Malibran che gettandogli le braccia al collo ripetè: “Ah, mi abbraccia!”. In occasione della prima rappresentazione dell’Opera “Silvano” di P. Mascagni, un critico descrisse la cronaca dell’insuccesso in questo modo: “Prima che il sipario si alzasse, il pubblico applaudì l’autore per un atto di fede. Calato il sipario sul primo atto, il pubblico applaudì ancora… per un atto di speranza, sperando cioè che il secondo atto fosse migliore del primo. Ma alla fine del secondo ed ultimo atto, il pubblico applaudì solo in parte, per un atto… di carità”. Nomi di prestigio per Giovani interpreti e grandi maestri TRIESTE - Giunto alla VI edizione, il Festival Pianistico “Giovani Interpreti e Grandi Maestri” (1-11 ottobre) offrirà quest’anno, nella Sala Ridotto del Teatro Verdi di Trieste, un prezioso valore aggiunto alla consueta formula della manifestazione: è infatti previsto l’inserimento di due prestigiosissime orchestre d’archi, una svizzera e terpretazione di J.S.Bach e “messaggero” della pace nel mondo attraverso la musica. Accanto a loro la giovanissima russa Irina Zahhrenkova, raffinata vincitrice dell’ultimo Concorso Casagrande di Terni, e il grande maestro e didatta brasiliano Arnaldo Cohen, eccellente interprete del mondo di Liszt e di Chopin, ora docente all’Università dell’Indiana oltre che Arnaldo Cohen l’altra italiana: il Festival String Lucerne e I Virtuosi Italiani di Verona. Due realtà di altissimo profilo e di riconosciuta qualità, che valorizzeranno, come nella cifra stilistica del festival, la presenza di pianisti giovani ma già acclamati dalla critica internazionale, l’ormai celebre Roberto Plano, ospite due anni fa della Chamber Music con un recital che ha infiammato il pubblico triestino, e l’altrettanto apprezzato Ramin Bahrami, pianista iraniano originalissimo, “specialista” nell’in- solista con le più importanti grandi orchestre americane. Vincitore nel ’72 del Concorso Busoni da allora è diventato una vera star internazionale. Cohen si è esibito con grandi orchestra e maestri di prestigio; ogni sua esibizione viene salutata da critica e pubblico per la naturalezza tecnica intrisa di magica musicalità. Cohen terrà nei giorni 12 e 13 ottobre pure una master class per 6 allievi pianisti, selezionati dai Conservatori di Trieste e Udine e dalla Scuola del Trio di Trieste di Duino. DAL VECCHIO ALBUM Felix B. Mendelssohn 7. Una delle scrittrici più famose e controverse del XIX secolo, George Sand, ebbe un’appassonata relazione con uno dei maggiori compositori del romanticismo... a) Robert Schumann b) Frederyk Chopin c) Franz Liszt Parazibum-zibum-zibum Toh! Per tutte le trombe del Giudizio! I baldi fanfaroni della Fanfara di Buie! Foto ricordo in occasione dell’istituzione del complesso avvenuta il 15 set- tembre 1912; cioè esattamente 95 anni fa! Il baffuto personaggio centrale con il cappellaccio - sarà il Maestro probabilmente - pare piutto- sto inbufalito. Che tutto questo po’ po’ di trombe e tromboni lo abbiano assordato con qualche accordo dissonante? Pazienza Maestro; la vita non è tutta armonia! (pvm) 8. Fu autore del balletto “Uccello di fuoco” e de “La sagra di primavera”, si trasferì a Hollywood nel 1939, divenne cittadino americano e visse come una stella cinematografica. In America compose musica per la televisione. Parliamo del compositore russo... a) Sergej Prokofjev b) Dmitrij Šostakovič c) Igor Stravinski 9. Il compositore ceco Leoš Janaček (1854-1928), autore di nove opere e una serie di brani strumentali, rimase completamente sconosciuto come autore prima del suo... a) settantesimo compleanno b) cinquantesimo compleanno c) sessantesimo compleanno 10. Il compositore francese François Couperin (1668-1733) è considerato il “padre” della musica per strumenti a tastiera, come pure uno dei più grandi musicisti barocchi. È autore di addirittura 230 composizioni per ... a) pianoforte b) clavicembalo (clavecin) c) organo Anno III / n. 5 26 settembre 2007 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Andrea Malnig Collaboratori: Alessandro Boris Amisich, Fabio Vidali, Lucio Vidotto e Helena Labus Foto: Lucio Vidotto Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n.1868 del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana. b). Soluzioni: 1. a), 2. b), 3. c), 4. a), 5. c), 6. a), 7. b), 8. c), 9. b), 10.