Pontificia Università Lateranense Teologia spirituale sistematica (a. a. 2012-2013) I semestre Prof. Alvaro Cacciotti ANTOLOGIA 1 BERNARDO DI CHIARAVALLE S. BERNARDO DI CHIARAVALLE, De diligendo Deo, in Opere di San Bernardo, Trattati, I, Milano 1984, pp. 269-331. I quatto gradi dell’amore: (p. 271). I, 1. Volete dunque sapere da me perché e in che modo si debba amare Dio. E io vi rispondo:la causa per cui si deve amare Dio è Dio stesso; il modo è amarlo oltremodo (sine modo diligere). E’ sufficiente una risposta siffatta? Forse sì, ma per chi è già esperto. Ma dato che peraltro io sono in debito verso gl’ignoranti, se ho dato una risposta sufficiente agli esperti, debbo pure usare u riguardo a quegli altri. Perciò non mi peserà diffondermi più a lungo, ma certo più a fondo, a beneficio dei più sprovveduti. 1) Amor sui propter se = amor carnalis 2) Amor Dei propter se = amor servilis 3) Amor Dei propter Deum = amor spiritualis 4) Amor sui propter Deum = amor nuptialis ---*--2 JAN VAN RUUSBROEC JAN VAN RUUSBROEC, Die geestelike brulocht, ed. J. Alaerst and trans. H. Rolfson, introd. by P. Mommaerts, CCCM 103, Turnhout 1988. (Trad. Ital. JAN VAN RUUSBROEC, L’ornamento delle nozze spirituali, in Mistici del XIV secolo, a c. di S. Simoni, Torino 1972, pp. 293-463). Libro Primo – Capitolo XXVI: Il desiderio di conoscere lo sposo in persona, pp. 345 Quando l’uomo raggiunge la perfezione che abbiamo terminato di descrivere, consacrando tutta la sua vita e tutte le sue opere ad onore e lode di Dio, ricercandolo ed amandolo al di sopra di ogni cosa, è spesso preso dal desiderio di vedere, di sapere e di conoscere chi è questo Sposo, il Cristo che per lui s’è fatto uomo e, per amore, ha sopportato la fatica sino alla morte; che ha sconfitto il peccato ed il demonio, e che si è donato a noi con la sua grazia ed i suoi sacramenti, promettendoci il suo regno e se stesso in ricompensa eterna, il sostentamento corporale, la consolazione e la dolcezza interiore ed altri innumerevoli doni, secondo quel che può essere utile a ciascuno. Considerando tutto questo, l’uomo prova, dunque, in sé un desiderio smisurato di vedere il Cristo, suo Sposo, e di conoscerlo qual è in se stesso ; poiché non gli basta più conoscerlo attraverso le sue opere. Deve fare allora come il pubblicano Zaccheo, che desiderava conoscere Gesù. Come lui deve correre davanti alla folla, cioè al di là della moltitudine delle creature, poiché queste ci fanno piccoli e bassi di statura e ci impediscono di vedere Dio. Poi gli è necessario salire sull’albero della fede, che cresce dall’alto in basso, poiché le sue radici sono nella divinità. Questo albero ha dodici rami, i dodici articoli della fede, di cui gli ultimi, che sono più a nostra portata, parlano dell’umanità di Nostro Signore e di quel che riguarda la nostra salvezza, tanto dell’anima che del corpo. La parte superiore dell’albero di cui parliamo è unita alla divinità, alla Trinità delle persone e all’unità della natura divina. E’ su questa unità che l’uomo deve fermarsi, come sulla cima dell’albero; perché di là egli vedrà passare Gesù con tutti suoi doni. Là, infatti, Gesù viene, vede l’uomo e gli rivolge la parola nella luce della fede, dicendogli che, per la sua divinità, è anche luyi senza misura ed incomprensibile, inaccessibile, insondabile e al di fuori del raggiungimento di ogni luce creata e di ogni comprensione finita. La più alta conoscenza di Dio che l’uomo possa avere nella vita attiva è infatti quella di comprendere, nella luce della fede, che Dio è al di fuori della comprensione e della conoscenza. In questa luce, il Cristo dice all’uomo pieno di desiderio: “Scendi presto, perché oggi voglio fermarmi in casa tua”. Discendere presto, in modo che Dio sia il nostro convitato, non è altro che discendere, per mezzo del desiderio e dell’amore, nell’abisso della divinità, dove nessuna intelligenza, con la sola luce creata può penetrare. Ma là dove l’intelligenza deve restare al di fuori, può penetrare il desiderio e l’amore. Quando dunque l’anima s’inclina così in Dio per mezzo dell’amore e dell’intenzione, al di sopra di tutto quel che comprende, essa trova il riposo ed abita in Dio e Dio in lei. Quando con il desiderio essa s’innalza al di sopra della molteplicità delle creature, al di sopra del travaglio dei sensi e della luce naturale, essa incontra il Cristo nella luce della fede, ne rimane illuminata e riconosce che Dio è al di sopra della conoscenza e della comprensione. Quando essa s’inclina in questo Dio incomprensibile, ritrova il Cristo ed è ricolmata dei suoi doni. Quando essa pone il suo amore ed il suo riposo al di sopra di tutti i doni, al di sopra di se stessa e di tutte le creature, essa abita in Dio e Dio in lei. E’ così che noi dobbiamo incontrare il Cristo nel punto culminante della vita attiva. Se dunque voi avete stabilito come fondamento la giustizia, la carità e l’umiltà; se voi avete poi costruito là un’abitazione, cioè le virtù che abbiamo esposto fin’ora, e se voi avete incontrato il Cristo attraverso la fede, l’intelligenza e l’amore, allora voi abitate in Dio e Dio in voi, e siete in possesso di una vita attiva: è la prima cosa di cui vi abbiamo voluto parlare. Libro Secondo – Capitolo XIV: La doppia pena che nasce dall’intima gratitudine, pp. 362-363 La gratitudine e la lode intima generano una doppia sofferenza di cuore e pena affettiva. La prima è il vedere che si è impotenti a ringraziare, lodare, onorare e servire Dio, come si dovrebbe. La seconda è che non si cresce, come si vorrebbe, nella carità, nella virtù, nella fedeltà, nella perfezione della vita, in modo da rendere a Dio degne azioni di grazie, lodi e servizio. Tale è la seconda pena, ed ambedue sono, nel contempo, radice e frutto, principio e termine di ogni virtù interiore. Soffrire così interiormente e sentire con pena la propria impotenza a praticare le virtù e a lodare Dio, è l’opera più alta ed il compimento del primo modo di esercizi interiori. ---*--3 HADEWIJCH D’ANVERSA HADEWIJCH D’ANVERSA, Brieven, ed. J. Van Merlo, 2 vol., Antwerp 1947. (Trad. ital., HADEWIJCH D’ANVERSA, Lettere, a cura di R. Berardi, Cinisello Balsamo, 1992) Dalla Lettera IV, p. 67: 32. Per dirla in breve, la ragione cade in errore nella paura, nella speranza, nell’amore per il prossimo, nell’osservanza delle prescrizioni, nelle lacrime, nel desiderio della devozione spirituale, nell’avvertire le dolcezze, nel terrore delle minacce divine, nella divisione delle intenzioni, nel prendere e nel dare: la ragione erra in qualsiasi cosa ritenuta per buona. 39. La ragione sa bene che si deve temere Dio, che Dio è grande e l’uomo è piccolo. Ma se la ragione ha paura della grandezza divina a causa della sua piccolezza, se essa rinuncia ad afferrare la grandezza di Dio, se comincia a dubitare di essere la figlia prediletta di dio e le sembra che non possa esistere un Essere così immenso, allora molte persone non tentano più di cogliere un Essere immenso. Dalla Lettera XVIII, pp. 137-139: 63. Comprendi ora l’essenza più profonda della tua anima, proprio ciò che è l’anima. L’anima è un essere che può esser visto da Dio e da cui Dio, a sua volta, può essere visto. L’anima è un essere che vuole contentare Dio: mantiene il suo nobile stato d’essere, finché non cade sotto qualche cosa ad essa estranea, oltre che inferiore alla propria dignità. Se mantiene questo stato degno, l’anima è un abisso senza fondo in cui Dio stesso è contento, trovando sempre la fruizione di sé al massimo, così che l’anima per sua parte trova in lui la sua gioia. L’anima è una via per il passaggio di Dio nella libertà delle sue profondità; e Dio è la via per il passaggio dell’anima nella sua libertà, vale a dire nel suo essere più profondo, che non può essere toccato se non dalle profondità dell’anima. E finché Dio non appartiene all’anima nella sua totalità, egli non la soddisfa. ---*--4 GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Epistola ad Fratres de Monte Dei, PL 184, 379-408. (Trad. ital., GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, La Lettera d’oro, a c. di C.Leonardi, Firenze, 1983). L’uomo animale, la preghiera, pp. 179-181: 172. Gli si metteranno innanzi anche gesta o passioni di santi, dove, senza troppo affaticarsi nel campo della storia, egli possa sempre imbattersi in qualche passo che ecciti nella sua anima novizia l’amore di Dio e il disprezzo di sé. Altri racconti storici sono interessanti per il lettore, ma non edificano, anzi contaminano la mente; e all’ora dell’orazione o della meditazione spirituale, fanno affiorare dalla memoria pensieri inutili o nocivi. La meditazione suole essere conforme alla lettura che la precede. La lettura delle pagine difficili stanca, non ristora un’anima alquanto fragile; disperde l’attenzione, fiacca il cuore o l’intelligenza. 173. Gli va insegnato anche ad elevare il suo cuore nella preghiera (Lam. 3,41), a pregare in modo spirituale, ad allontanarsi il più possibile dai corpi o dalle fantasie corporee quando pensa a Dio. Va esortato a concentrare la sua attenzione, con quanta purezza di cuore è capace, su Colui al quale offre il sacrificio della sua preghiera, ad osservarsi attentamente lui stesso, autore dell’offerta, a valutare la sostanza e la qualità di ciò che offre. Più egli vede, infatti o comprende Colui cui si rivolge la sua offerta, più questi gli è presente nel cuore, e in lui l’amore stesso è conoscenza. Più Dio gli è presente nel cuore, più egli prende gusto alla sua stessa offerta, se tuttavia è degna di Dio e in essa trova appagamento. 174. Nondimeno, come si è già detto, per quanto riguarda l’orazione e la meditazione è cosa migliore e più sicura proporre a un uomo in questa condizione la rappresentazione dell’umanità del Signore, della sua Natività, della sua Passione, della sua Resurrezione, così che la sua anima debole, che non sa pensare se non a corpi e a sostanze corporee, abbia un oggetto su cui fissarsi, qualcosa a cui, secondo la sua misura, possa aderire con il suo sguardo d’amore. Egli invero è in forma di Mediatore; nel quale, come si legge in Giobbe 5,24 l’uomo che contempla la sua propria immagine, non pecca. Poiché quando dirige verso il Salvatore l’attenzione del suo sguardo e contempla con il pensiero l’umana specie in Dio, non è tanto lontano dalla verità; e così, per mezzo della fede, egli non separa Dio dall’uomo e finalmente impara ad afferrare Dio nell’uomo. 175. Ne nascono di solito agli inizi, nei poveri di spirito e nei più semplici figli di Dio, sentimenti tanto più dolci quanto più vicini alla natura umana. Successivamente la loro fede si trasforma in amore; essi afferrano allora nel loro cuore, nella dolce stretta di un amplesso d’amore, il Cristo Gesù, interamente uomo a causa della avvenuta assunzione della natura umana; interamente Dio a causa della natura divina che assume l’umana; cominciano già a conoscerlo non più secondo la carne (2 Cor. 5,16), malgrado la loro impotenza a pensarlo pienamente secondo la divinità; onorandolo poi santamente nel loro cuore (1Pietr. 3,15), amano offrirgli “le preghiere che hanno dischiuso le loro labbra” (Ps. 65,14): suppliche, orazioni, domande, in conformità del tempo e delle occasioni. L’uomo spirituale, pp. 235-245: 256. Per tornare a quel che l'uomo vuole in modo assoluto, l'anima deve prima esaminare che cosa sia ciò che essa vuole così; in seguito, in che misura in che modo lo voglia. Se ciò che essa vuole assolutamente è Dio, bisogna che essa vagli bene in che misura e in quale maniera voglia Dio, se fino al disprezzo di sé, di tutto ciò che esiste o può esistere, e ciò non soltanto in virtù di un giudizio della ragione, ma ancora per un affetto dell'animo, in modo che la volontà sia più che volontà: sia amore, dilezione, carità, unità dello spirito. 257. E' così infatti che bisogna amare Dio. Una volontà grande tesa verso Dio, è amore la dilezione, è l'aderenza o l'unione con Dio; la carità ne è il godimento. Quanto all'unità dello spirito con Dio, per l'uomo che volge il cuore in alto, è la perfezione della volontà nella sua ascesa verso Dio; non soltanto l'anima vuole ciò che Dio vuole, ma tale è non tanto la sua affezione, quanto la perfezione della sua affezione, che non può voler altro che ciò che Dio vuole. 258. Ora, volere ciò che Dio vuole, è già somigliare a Dio; essere incapace di volere altro che ciò che Dio vuole, è già essere ciò che Dio è; per cui essere e volere sono la stessa cosa. Onde ben si dice (1 Giov. 3,2) che Lo vedremo pienamente come Egli è quando saremo simili a Lui, cioè quando noi saremo ciò che Egli è. Infatti quelli che hanno ricevuto il potere di diventare figli di Dio (Giov. 1,12), hanno ricevuto il potere, non certamente di essere Dio, ma di essere ciò che Dio è: santi, e in futuro pienamente beati, ciò che Dio è: e quaggiù non vi sono santi e non vi saranno lassù dei beati che lo siano d'altra origine che da Dio, che è la loro santità e beatitudine. 262. Ma al disopra di questa vi è ancora un'altra somiglianza con Dio, della quale abbiamo già detto alcune parole, talmente particolare in ciò che ha di singolare, che non le si dà più il nome di somiglianza, ma di unità dello spirito. Quando l'uomo si fa uno con Dio, un solo spirito, non soltanto per l'unità di una medesima volontà, ma ancora per una certa quale espressione più vera della virtù di non essere più capaci, come si è già detto, di volere altro. 263. Si chiama unità dello spirito non tanto perché lo Spirito Santo la dispone o vi oppone lo spirito dell'uomo, ma perché essa è lo stesso Spirito Santo, Dio amore. Si produce quando Colui che è l'Amore del Padre e del Figlio, la loro Unità, la loro Soavità, il loro Bene, il loro Bacio, il loro Amplesso e tutto quello che può essere comune ad entrambi in tale Unità sovrana della Verità, e nella Verità dell'Unità, diviene per l'uomo a suo modo riguardo a Dio ciò che in virtù dell'unione consustanziale è per il Figlio riguardo al Padre e per il Padre riguardo al Figlio; quando la coscienza beata si trova in qualche modo in mezzo all'amplesso e al bacio del Padre e del Figlio; quando in modo ineffabile, inimmaginabile, l'uomo di Dio merita di diventare, non Dio, ma tuttavia ciò che Dio è: l'uomo essendo per grazia ciò che Dio è per natura. 271. In nessuna parte, infatti, la misura dell’imperfezione umana si sorprende meglio che nel lume del volto di Dio (Ps. 4,7), nello specchio della visione divina. Là nella luce che è, alla vista sempre più chiara di ciò che gli manca, l’animo emenda di giorno in giorno in somiglianza tutto quanto gli è mancato in dissimiglianza; e si avvicina in somiglianza a colui, da cui in dissimiglianza si era allontanato; e in questo modo una somiglianza sempre più precisa accompagna una visione più precisa. 272. Impossibile, invero, che il sommo Bene sia visto e non sia amato, e che non sia amato nella misura in cui è stato dato di vederLo, fino a che l’amore dell’uomo progredisca in qualche somiglianza di questo amore che ha reso Dio simile all’uomo, tramite l’umiliazione della condizione umana, per costituire l’uomo simile a Dio tramite la glorificazione della partecipazione divina. E allora è dolce per l’uomo farsi umile con la somma Maestà, farsi povero con il Figlio di Dio, conformarsi alla Sapienza divina, provando in se stesso i sentimenti del Cristo Gesù nostro Signore (Fil. 2,5). 273. E’ qui appunto Sapienza con pietà, amore con timore, esultanza con tremore (Ps 2,11), quando il pensiero e l’intelligenza si rappresentano Dio umiliato sino alla morte, e sino alla morte in croce, affinché l’uomo sia elevato sino alla somiglianza divina (Fil. 2,8). Di qui sgorga “la corrente impetuosa che rallegra la città di Dio”. (Ps. 45,5), “il ricordo dell’abbondanza della sua dolcezza” (Ps 144, 7), nell’intelligenza e nella considerazione dei suoi benefici per noi. 274. Come la considerazione o la contemplazione di quante cose in Dio siano degne d’amore (la sua potenza, la sua forza, la gloria, la maestà, la bontà, la beatitudine, qualità che di per sé risplendono nell’atto di chi contempla) portano senza fatica l’uomo che vi si sofferma all’amore divino, ciò che soprattutto rapisce nello spirito l’amante nell’Amabile, è il fatto che l’Amabile si trova ad essere in sé tutto quello che è amabile in Lui, che è il tutto di ciò che egli è, se pure esiste un tutto dove non è parte alcuna. 275. A questo Bene, per amore del bene stesso, un cuore pio si attacca con tanto ardore che non può richiamarsene fino a che egli non sia diventato una cosa sola o un solo spirito con lui. E quando questo sia stato compiuto in lui, ormai soltanto per il velo di questa esistenza mortale viene diviso e separato dal santo dei santi, dalla beatitudine somma di quelli che sono in cielo. Ma come già nella fede e per la speranza di quegli che ama ne gode nella sua coscienza, anche quanto gli resta ancora da vivere sopporta con una pazienza più tollerante. ---*--5 IACOPONE DA TODI IACOPONE DA TODI, Laude, a cura di F. Mancini, Bari 1974. Lauda 64 – Il cantico della natività di Gesù Cristo, pp. 187-190. E’ parafrasi del racconto di Luca 2, 8-20 sulla nascita di Cristo, arricchita di motivi biblici e liturgici tutti convergenti nell’ufficio dei tre notturni della notte di Natale. Per cui il canto (Laudelode) si può raccogliere in tre parti corrispondenti (nei notturni: oggi ufficio della meditazione) a S. Stefano coi martiri, a S. Giovanni Evangelista coi confessori e ai Santi Innocenti. A questi personaggi biblici e santi sono dedicati nella liturgia i tre giorni che seguono il Natale. Ma è anche il cantico della fede, della speranza e della carità di colui che celebra il Natale di Cristo. O novo canto, c'ài morto el planto de l'omo enfermato! Sopr'el 'fa' acuto me pare en paruto tal canto se pona e nel 'fa' grave descenda suave, ché el Verbo resòna. Cotal desciso non fo ancor viso sì ben concordato. Li cantaturi iubilaturi che tengo lo coro, so' l'angeli santi, che fo dulci canti al diversoro, denant'el fantino, ch'el Verbo divino ce veio encarnato! 1 5 10 Audito un canto: 'Gloria enn alto, a l'altissimo Deo! E pace en terra, ch'è 'strutta la guerra et onne reo; unde laudate et benedicate Cristo adorato!'. En carta ainina la nota devina veio c'è scripta, là v'è el nostro canto ritto e renfranto a chi ben ci affitta; e Deo è lo scrivano, c'à operta la mano, ch'el canto à ensegnato! Loco se canta (chi ben se nne amanta) fede formata; divinitate en sua maiestate ce vede encarnata là und'esce speranza, che dà baldanza al cor ch'è levato. Canto d'amore ce trova a tuttore a chi ce sa entrare; con Deo se conforma e ['m]prende la norma de ben Lo disiare; co' serafino deventa divino, d'amore enflammato. El primo notturno è dato a lo sturno de martirizzati; Stefano è el primo, che canta sollimo con soi acompagnati, che posta ò la vita, en Cristo l'ò insita ch'è flor de granato. El secondo sequente è dato a la gente de confessori; lo vagnelista la lengua ci à mista, c'adorna li cori, ché null'om con canto volò tanto ad alto sì ben consonato. El terzo sequente a li 'nnocente me par che sse dìa, che co 'l Garzone a onne stasone so' en sua compagnia: 'A tte, Deo, laudamo, con voce cantamo, ché Cristo oggi è nato!'. O peccaturi, c'a mali signuri 15 20 25 30 35 40 45 50 55 avete servuto, venite a ccantare, ché Deo pò om trovare, ch'en terra è apparuto en forma [i] garzone, e tello en presone chi ll'à disiato. 60 Omeni errati, che site vocati a ppenetenza, la quale onne errore vo tolle de core e dà entelligenza de veretate per pietate a chi è umiliato; 65 omeni iusti, che site endusti, venite a ccantare, ché sit' envitati, da Deo vocati, a gloriare ad renno celesto, che comple onne festo ch'el core à bramato. 70 Lauda 36, Della santa povertà e suo triplice cielo, pp. 97-102: O amor de povertate, renno de tranquillitate! Povertat'è via secura, non n'à lite né rancura, de latrun' non n'à pagura né de nulla tempestate. Povertate more en pace, nullo testamento face; larga el monno como iace e le gente concordate. 5 10 Non n'à iudece né notaro, a ccorte non porta salaro, ridesse de l'omo avaro, che sta 'n tanta ansietate. Povertate, alto sapere, a nnulla cosa suiacere e 'n desprezzo possedere tutte le cose create. Chi desprezza, sé possede; possedenno, non se lede; nulla cosa i piglia el pede che non faccia so iornate. 15 20 Chi descidra è posseduto, a cquel c'ama s'è venduto; se ll'om pensa que n'à auto, ànne aute rei derrate. Troppo so' de vil coraio ad entrar en vassallaio, simiglianza de Deo c'aio detorpirla en vanetate! 25 30 Deo no n'aberga 'n core stretto; tant'è granne, quant'ài affetto. Povertate à sì gran petto che cci aberga Deitate. Povertat'è cel celato a chi è 'n terra ottenebrato. Chi è nel terzo cel su entrato ode arcana profunditate. El primo cel è fermamento, d'onne onor espogliamento; granne presta empedemento a envinir securitate. A ffar l'onore en te morire, le recchezze fa esbannire, la scienzia tacere e ffuir fama de santetate. Le recchezze el tempo tolle, la scienzia en vento estolle, la fama aberga et arcoglie l'epocresia d'onne contrate. 35 40 45 50 Pareme celo stellato chi de queste tre è espogliato. Ècce un altro cel velato, acque clare sollidate. Quatro vènti movo el mare, che la mente fo turbare; lo temere e lo sperare, el dolere e 'l gaudiate. Queste quatro espogliature plu ca le prime tre so' dure; s'e' llo dico pare errore a chi non n'a capacitate. De l'onferno non temere 55 60 néd en cel spen non n'avere e de nullo ben gaudire e non doler d'aversitate. La vertù non n'è 'mproquene cà 'l proquene è for de téne; sempre encognito te tene, ad curar tua infirmitate. Se so' nude le vertute e lle vizia non vestute, mortale sento ferute, caio en terra vulnerate. 65 70 75 Po' le vizia so' morte, le vertute so' resorte, confortate de la corte d'onne empassibilitate. Lo terzo celo è de plu altura, non n'à termene nné mesura, for de la 'magenatura 'n fantasì' morteficate. Da onne ben sì tt'à spogliato et de vertut'espropiato; tesaurizzat'el so mercato en propia tua vilitate. Questo celo è fabrecato, enn un nichil è fundato, o l'amor purificato viv'ennela Veretate. Ciò che tte parìa non ène, tanto è 'n alto quel ched ène; la Superbia en celo s'ène e dànnase l'Umilitate. Enfra la vertut'e l'atto multi ci odo êl ioco: 'Matto!'; tal sse pensa aver bon patto che sta 'n terr'alienate. 80 85 90 95 100 Questo celo à nome None (mozz'a lengua entenzione), là ve l'Amore sta en presone en quelle luce ottenebrate. Onne luc'è 'n tenebra e ['n] onne tenebre c'è dia; 105 la nova filosafia l'utre vecchi à descipate. Là 'v'è Cristo ensetato, tutto 'l vecchio ènne mozzato, l'uno en l'altro trasformato en mirabele unitate. Vive amore senz'affetto et saper senza entelletto; lo voler de De' òl eletto a ffar la sua voluntate. 110 115 Vivar eo e[n] non eo e l'esser meo e[n] non esser meo! Questo è 'n un tal travieo che non ne so difinitate. 120 Povertat'è null'avere e nulla cosa poi volere e onne cosa possedere en spirito de libertate. ---*--6 GIOVANNI DELLA CROCE SAN JUAN DE LA CRUZ, Llama de amor viva, in Obras completas, ed. a cura di L. Ruano de la Iglesia Madrid 1982, pp. 741-869. (Trad. ital., Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore B, in S. Giovanni della Croce, Opere, a cura di P. F. di S. Maria, Roma 1985, pp. 726- 830). Llama de amor viva (canciones que hace el alma en la intima union en Dios su esposo amado) ¡Oh llama de amor viva que tiernamente hieres de mi alma en el más profundo centro! Pues ya no eres esquiva acaba ya si quieres, ¡rompe la tela de este dulce encuentro! ¡Oh cauterio süave! ¡Oh regalada llaga! ¡Oh mano blanda! ¡Oh toque delicado que a vida eterna sabe y toda deuda paga! Matando, muerte en vida has trocado. 5 10 ¡Oh lámparas de fuego en cuyos resplandores las profundas cavernas del sentido, que estaba oscuro y ciego, con estraños primores color y luz dan junto a su querido! ¡Cuán manso y amoroso recuerdas en mi seno donde secretamente solo moras, y en tu aspirar sabroso de bien y gloria lleno, cuán delicadamente me enamoras! 15 20 Traduzione strofe 3: O lampade di fuoco, nel cui vivo splendore, gli antri profondi dell’umano senso, che era oscuro e cieco con mirabili finezze danno calore e luce al suo Amato. Commento alle terza strofe: pp. 781ss: 8. […] O lampade di fuoco! Tutto ciò che si può dire in questa strofa è inferiore ala realtà, poiché la trasformazione dell’anima in Dio è indicibile (ineffabile). Tutto si dice in questa parola: l’anima è diventata Dio per partecipazione di Dio e dei suoi attributi, che qui sono chiamati lampade di fuoco Nel cui (vivo) splendore (Todo se dice en esta calabra: que el alma está hecha Dios de Dios por partecipatión de El yde sus atributos, que son los que aquí llama lámparas de fuego). […] 27. Che momento opportuno è questo, anche se esula da ciò di cui stiamo parlando, per avvisare le anime, a cui Dio dona queste unzioni delicate, perché guardino quello che fanno e in che mani si mettono, affinché non tornino indietro! Ma è tanto il dolore e la pena che provo nel mio cuore quando vedo le anime tornare indietro, non solo perché non si lasciano ungere in modo da progredire nell’unzione, ma anche perché perdono gli effetti di questa, che non posso fare a meno di avvertirle riguardo a ciò che debbono fare per evitare un danno così grave. Quindi indugeremo un poco prima di tornare all’argomento principale, al quale tuttavia torneremo, sebbene tutto ciò sia utile anche per una maggiore comprensione delle proprietà di questa caverna. Voglio parlare inoltre, poiché è necessario, non solo a quelle anime che avanzano sicure, ma anche a tutte le altre che cercano il loro Amato. 28. In primo luogo bisogna sapere che se l’anima cerca Dio, ancor di più il suo Amato cerca lei. E se essa gli rivolge i suoi desideri amorosi, che per lui sono tanto profumati quanto le fragranze che emanano le spezie aromatiche della mirra e dell’incenso (Ct 3,6), egli le invia il profumo dei suoi unguenti, con il quale l’attrae e la fa correre verso di lui (Ct 1,2-3), che sono le ispirazioni e i tocchi divini. E questi, ogni volta che provengono da Dio, vanno scelti e ordinati guardando alla perfezione della legge divina e della fede, poiché è grazie a questa che l’anima deve avvicinarsi sempre di più a Dio. E così, l’anima deve capire che il desiderio di Dio, che egli le concede con le sue grazie, con le sue unzioni e con i profumi dei suoi unguenti, serve a prepararla ad altri unguenti più sublimi e delicati, più simili alla natura divina, finché essa non diventa così delicata e pura da meritare l’unione con Dio e la trasformazione sostanziale in tutte le sue potenze. 29. Sappia l’anima che in questa opera Dio è l’agente principale e la guida da cui esse deve lasciarsi condurre come un cieco colà dove non saprebbe andare da sola, cioè verso i beni soprannaturali di cui né il suo intelletto, né la sua volontà, né la sua memoria possono conoscere la natura. Perciò ogni cura principale sia quella di non porre ostacoli alla guida che la conduce secondo il cammino voluto da Dio, ordinato alla perfezione della legge divina e della fede. Ella può porre tali impedimenti se si lascia condurre da un altro cieco; e i ciechi che la potrebbero portare fuori strada sono tre, ossia: il maestro spirituale, il demonio e se stessa. Affinché l’anima capisca come ciò avvenga, parlerò un poco di ciascuno. 30. Per quanto riguarda il primo, conviene all’anima che vuole progredire nel raccoglimento e nella perfezione guardare in quali mani si affida, poiché il discepolo sarà uguale al maestro, così come il figlio al padre. Bisogna sapere che, per quanto riguarda questo cammino, per lo meno per la parte più elevata, e anche per quella di mezzo, non sarà facile trovare una guida adatta e che possieda tutte le caratteristiche di cui c’è bisogno, perché oltre a essere saggia e discreta, è necessario che sia esperta. Poiché per guidare lo spirito, sebbene sono fondamentali la scienza e il discernimento, se non vi è esperienza di ciò che è puro e vero spirito, non sarà possibile condurvi l’anima quando Dio lo concederà, e neppure si potrà capirlo. 31. In questo modo molti maestri spirituali danneggiano gravemente numerose anime poiché, non conoscendo le vie e le proprietà dello spirito, fanno perdere alle anime l’unzione di quei delicati unguenti con i quali lo Spirito Santo le unge e le prepara a sé, insegnando loro quei modi vili che hanno usato o letto da qualche parte e che servono solo ai principianti. Poiché, non sapendo se non ciò che serve a questi, non vogliono lasciare che le anime vadano oltre quei principi e quei modi discorsivi e immaginativi, sebbene Dio vorrebbe condurle oltre questi modi, affinché non superino né escano fuori dalle capacità naturali, cosicché l’anima può progredire ben poco. 32. Perché comprendiamo più chiaramente in cosa consista questa condizione di principianti, bisogna sapere che lo stato e la pratica di costoro è meditare e fare atti ed esercizi discorsivi con l’immaginazione. In questa condizione è necessario dare all’anima materia per meditare e ragionare, ed essa per proprio conto deve fare atti interiori approfittando del sapore sensibile nei beni spirituali, affinché, nutrendo l’appetito con il sapore delle cose spirituali, si allontani da quello delle cose sensibili e abbandoni definitivamente le cose mondane. Ma quando l’appetito è già in parte nutrito e abituato alle cose dello Spirito, con forza e costanza, comincia Dio a svezzare l’anima e a porla in stato di contemplazione; questo passaggio suole avvenire molto velocemente in alcune persone, soprattutto in quelle che hanno abbracciato la vita religiosa, perché, negate le cose mondane, più rapidamente dispongono il senso e l’appetito a Dio e ne trasferiscono l’esercizio allo spirito, operando Dio in loro. Ciò avviene quando cessano gli atti discorsivi e riflessivi dell’anima, così come i gusti e i fervori sensibili del passato. L’anima infatti non può più discorrere come prima, né trovare alcun appoggio nel senso, trovandosi questo in uno stato di aridità ed essendo mutata la sua capacità di ricevere lo spirito, il quale non può cadere sotto il senso. E poiché, per natura, tutte le operazioni che può da sé compiere l’anima avvengono attraverso i sensi, ne consegue che in questo stato Dio è l’agente e l’anima la paziente; infatti essa si comporta solamente come colei che riceve e in cui viene fatto qualcosa, e Dio come colui che dà e che agisce in lei, comunicandole i beni spirituali nella contemplazione, la quale è notizia e amore divino al tempo stesso, ossia notizia amorosa, senza che lei faccia uso dei suoi atti e ragionamenti naturali, poiché ora non può più occuparsene come prima. 33. Ora però l’anima deve essere guidata in modo contrario a quello di prima. Se prima le venivano dati argomenti da meditare, ora invece devono esserle sottratti e impedita la meditazione, poiché anche se vorrà non potrà meditare e, invece di raccogliersi in se stessa, si distrarrà. E se prima cercava, trovandoli, sapore e fervore, ora invece non li deve volere né cercare, poiché non solo non li troverà nonostante l’impegno, ma ne ricaverà solo aridità, poiché si distrae dal bene pacifico e quieto che segretamente le stanno dando nello spirito, a causa dell’attività che essa vuole svolgere attraverso i sensi, e così perdendo una cosa non farà l’altra. Infatti, ora, i beni non le vengono comunicati per mezzo del senso come una volta. Per questo motivo, in tale stato non bisogna imporle in nessun modo di meditare né di agire, né di procurarsi gusti o fervori, perché in questo modo si ostacolerebbe l’agente principale che, come dico, è Dio, il quale, segretamente e pacificamente, infonde sapienza e notizia amorosa senza atti specifici, anche se a volte fa sì che nell’anima essi si determinino per un breve momento. Allora l’anima deve solo camminare con attenzione amorosa a Dio, senza fare atti particolari, comportandosi, come abbiamo detto, in modo passivo, senza porre alcuna diligenza, con l’attenzione amorosa semplice e pura, come chi apre gli occhi disposto all’amore. 34. Poiché Dio comunica con lei con notizia semplice e amorosa, anche l’anima si dispone verso di Lui in modo da ricevere per mezzo di una attenzione o notizia semplice e amorosa, affinché in questo modo si unisca notizia con notizia e amore con amore. Infatti è conveniente che chi riceve si adatti alla cosa ricevuta e non viceversa, per poterla ricevere e ritenere come gli viene data, poiché, come dicono i filosofi, qualsiasi cosa si riceva si riceve al modo del recipiente. Da ciò si deduce che, se l’anima non abbandonasse il suo modo naturale di agire, riceverebbe quel bene solo in modo naturale, ossia non lo riceverebbe, rimanendo solamente con un atto naturale; poiché il soprannaturale non può essere contenuto in ciò che è naturale né ha niente a che vedere con quello. E così se l’anima volesse agire da sé, comportandosi in modo differente dall’attenzione amorosa passiva di cui ho parlato, cioè senza fare atti naturali, se non quando Dio la unisse a sé con un certo atto, essa ostacolerebbe i beni che in modo soprannaturale Dio le sta comunicando nella notizia amorosa, passivamente e tranquillamente. Ciò avviene all’inizio con un esercizio di purificazione interiore nel quale essa soffre, come abbiamo detto prima, e poi successivamente con soavità d’amore. E se, come è vero, l’anima riceve tale notizia amorosa passivamente, secondo il modo soprannaturale di Dio e non secondo il modo naturale dell’anima, ne consegue che per riceverla essa deve essere annichilita nelle sue azioni naturali, svuotata, oziosa, quieta, pacifica e serena, come vuole Dio. Così come l’aria, la quale più è libera dai vapori, limpida e serena, più il sole la illumina e riscalda. Perciò l’anima non deve attaccarsi a nulla, né all’esercizio della meditazione, né a gusto sia sensibile sia spirituale; né a qualsiasi altra apprensione, poiché si richiede per questo stato che lo spirito sia libero e annichilito riguardo a qualsiasi cosa. Infatti qualsiasi pensiero, discorso o gusto a cui essa volesse appoggiarsi costituirebbe per lei un impedimento, una rovina, un rumore nel profondo silenzio che ci deve essere nell’anima secondo il senso e lo spirito, silenzio indispensabile per un così profondo e delicato ascolto. Infatti, come dice Osea, in questa solitudine Dio parla al cuore (2,14), in somma pace e tranquillità, ascoltando e sentendo l’anima ciò che il Signore le dice, poiché in questa solitudine, secondo David, Egli le comunica pace (Sal 84,9). 35. Se dovesse quindi accadere all’anima di sentirsi mettere in questo modo in silenzio e in ascolto, essa deve dimenticare, come dissi, anche l’avvertenza amorosa, per potere essere totalmente libera per ciò che allora il Signore vuole da lei. Infatti, l’anima deve servirsi di quella avvertenza amorosa solo quando non sente di essere messa in solitudine, riposo interiore, dimenticanza o ascolto spirituale. Tutto ciò, affinché sia più chiaro quando avvenga, è accompagnato da una condizione di pace o rapimento interiore. 36. Perciò, in tutto questo periodo, quando l’anima ha cominciato a entrare in questo stato di contemplazione semplice e tranquillo, che avviene quando non può né riesce a meditare, non deve preoccuparsi di farlo, né deve appoggiarsi a sapori e gusti spirituali, ma piuttosto deve rimanere senza alcun sostegno, lo spirito completamente distaccato da tutto, come fece Abacuc per ascoltare quello che Dio gli diceva: Starò in piedi sul posto di guardia e fermerò il passo sul forte e contemplerò ciò che mi dirà (2,1). E così è come se dicesse: innalzerò l’anima sopra tutte le azioni e notizie che possono cadere sotto i miei sensi e su quanto essi possono ritenere in sé e custodire, lasciando tutto ciò più in basso; fermerò il passo delle mie potenze, impedendo ogni loro operazione, affinché possa ricevere attraverso la contemplazione ciò che mi sarà comunicato da parte di Dio, poiché, come abbiamo detto, la contemplazione pura consiste nel ricevere. 37. È possibile infatti ricevere l’altissima sapienza e parola di Dio, quale è la contemplazione, solo con uno spirito silenzioso e distaccato da gusti e notizie discorsive. Lo afferma Isaia con queste parole: A chi insegnerà la scienza e a chi farà udire le sue parole? A coloro che sono svezzati dal latte, cioè dai gusti e dai sapori, e a coloro che si sono staccati dal petto (28,9), ossia dalle notizie e apprensioni particolari. 38. O anima spirituale, togli i bruscoli, i peluzzi e la nebbia e pulisci l’occhio, il sole brillerà luminoso davanti a te e vedrai chiaramente. O maestro spirituale, poni l’anima nella pace, traendola fuori e liberandola dal giogo e dalla servitù delle deboli operazioni delle sue capacità, che è la sua schiavitù d’Egitto, dove tutto si riduce a mettere insieme la paglia per cuocere la creta (Es 1,14; 5,719), e guidala alla terra promessa dove scorrono latte e miele (Es 3,8.17; 13,5; 33,3; Lv 20,24; Dt 6,3; 26,9; Sir 46,10); e considera che per questa libertà dei figli di Dio e per questo riposo santo Dio la chiama nel deserto, dove si vestirà a festa e si adornerà con gioielli d’oro e d’argento (Es 32,2-3; 33,5), avendo già spogliato l’Egitto, lasciandolo privo delle sue ricchezze (Es 12,33-36), cioè la parte sensitiva. E non solo questo, ma ha anche affogato i gitani nel mare (Es 14,27-30) della contemplazione, dove il gitano del senso, non trovando spazio per posare il piede né sostegno, affoga e lascia libero il figlio di Dio, il quale è lo spirito uscito ormai fuori dai limiti angusti della sensibilità e libero dalla schiavitù dell’amore dei sensi. Infatti il suo modo limitato di intendere, il suo rozzo modo di sentire, il suo povero modo di amare e gustare è troppo poco perché Dio gli dia la soave manna (Es 16,14), il cui sapore – al quale tu vorresti condurre faticosamente l’anima –, sebbene abbia in sé tutti i sapori e gusti (Sap 16,20-21), essendo così delicata che si disfa in bocca, non si potrà assaporare se si cercherà di sentire insieme il gusto di qualche altra cosa. Quando l’anima si avvicina a questo stato, cerca di distoglierla da tutti i desideri di piacere, sapore, gusto e meditazione spirituale, e non inquietarla con la cura e la sollecitudine di cose superiori e tanto meno di cose inferiori, rendendola il più possibile distaccata e solitaria; infatti quanto prima raggiungerà questa oziosa tranquillità, con tanta più abbondanza si infonderà in lei lo spirito della divina sapienza, che è amoroso, tranquillo, solitario, pacifico, soave, inebriante, nel quale essa si sente rapita e piagata teneramente e dolcemente, senza sapere da chi né da dove né come. Ciò accade perché la comunicazione è avvenuta senza l’aiuto delle sue facoltà. 39. Una piccola parte di ciò che Dio opera nell’anima in questo santo ozio e solitudine è un bene inestimabile molto più grande di quello che l’anima, e colui che si occupa di lei, possano pensare. E sebbene ciò ora non si comprenda pienamente, risplenderà a suo tempo. Quello che ora l’anima può percepire è un senso di distacco e di straniamento, alcune volte maggiore, altre minore, verso tutte le cose, con un’inclinazione alla solitudine e al tedio per tutte le creature e per il mondo. Tutto ciò però avviene nel respiro soave di amore e di vita nello spirito. Cosicché, tutto quello che non fa parte di questa solitudine diventa per lei insipido, poiché, come dicono, una volta gustato lo spirito, la carne risulta insipida. 40. Ma i beni che questa silenziosa comunicazione e contemplazione lascia impressi nell’anima senza che essa allora li senta sono, come dico, inestimabili, perché sono unzioni segretissime, e perciò delicatissime, dello Spirito Santo, che segretamente riempiono l’anima di ricchezze, doni e grazie spirituali, giacché, essendo Dio che li fa, Egli opera come Dio. 41. Queste unzioni e sfumature tanto delicate e sublimi dello Spirito Santo che, per la loro soavità e per la loro sottile purezza non possono essere intese dall’anima né da colui che la guida, bensì solo da colui che le infonde per compiacersi maggiormente in lei, è sufficiente che l’anima voglia fare da sé anche il minimo atto con la memoria, l’intelletto, la volontà, o usare il senso o l’appetito o una qualche notizia, o ricercare qualche piacere o gusto, perché vengano disturbate e impedite. E ciò è un grave danno, dolore e perdita grande per l’anima. 42. Questa circostanza è grave e degna di nota, poiché, non sembrando importante ciò che si frappose in quelle sante unzioni, il danno è maggiore e più doloroso che se si danneggiassero e perdessero molte anime comuni che non si trovano in una condizione di tanto sublime splendore e sfumatura! Se un volto dipinto con cura e in modo delicato fosse ritoccato da una mano rozza e con colori volgari e grossolani, il danno sarebbe maggiore e più rilevante e più grave il peccato, che se quella mano avesse rovinato molti altri volti dipinti di minore valore. Chi riuscirà a imitare quella mano tanto delicata, che era quella dello Spirito Santo, la cui opera fu rovinata da quella rozza mano? 43. Pur essendo un danno più grave di quello che si possa descrivere, è così comune e frequente che molto difficilmente si troverà un maestro spirituale che non lo faccia con quelle anime che Dio comincia ad accogliere nello stato di contemplazione. Infatti, quante volte mentre Dio sta ungendo delicatamente l’anima contemplativa con notizia amorosa, serena, pacifica, solitaria, estranea ai sensi e a ciò che si può pensare, cosicché essa non può né meditare, né pensare a nulla, né provare piacere in alcuna cosa del cielo e della terra, poiché Dio la tiene occupata in quell’unzione solitaria, inclinandola all’ozio e alla solitudine, verrà un maestro spirituale che saprà solo dare martellate e colpire le potenze come un fabbro, e dal momento che non sa insegnare che quello e non sa fare altro che meditare, dirà: su, lasciate questi riposi che non sono altro che ozi e perdite di tempo, meditate invece facendo atti interiori, poiché è necessario che voi da parte vostra facciate ciò che dipende da voi, mentre queste altre cose sono illusioni e sciocchezze. 44. E così, non intendendo né i gradi dell’orazione né le vie dello spirito, costoro non riescono a capire se non quegli atti che vogliono imporre all’anima, desiderando che questa cammini con il ragionamento, il che è già accaduto visto che quell’anima è arrivata alla negazione e al silenzio del senso e del discorso; ed è giunta alla via dello spirito, cioè alla contemplazione, in cui cessa l’azione del senso e del discorso proprio dell’anima, e Dio è il solo agente e colui che parla segretamente all’anima solitaria e muta. E così essendo entrata quest’anima nelle vie dello spirito come abbiamo detto, se la vogliono ancora fare camminare per le vie del senso, tornerà indietro e si distrarrà; infatti chi è arrivato al traguardo, se si rimette a camminare per raggiungerlo, oltre a essere ridicolo, necessariamente se ne allontana. E così, essendo arrivato per mezzo delle potenze al raccoglimento quieto cui aspira ogni spirituale, in cui cessa l’opera delle stesse potenze, non solo sarebbe cosa inutile tornare ad agire con quelle stesse potenze per arrivare al raccoglimento, ma sarebbe per lei anche dannoso, in quanto si distrarrebbe e perderebbe il raccoglimento che già possiede. 45. Questi maestri spirituali, non comprendendo, come ho già detto, che cosa sia il raccoglimento e la solitudine spirituale dell’anima, né le sue proprietà, solitudine nella quale Dio infonde nell’anima queste sublimi unzioni, sovrappongono e frappongono altri unguenti di più basso esercizio spirituale, facendo operare l’anima come abbiamo detto. Tra ciò e quello che l’anima aveva vi è tanta differenza quanta ce n’è tra l’operare umano e quello divino, tra il naturale e il soprannaturale; poiché nell’un caso Dio opera nell’anima in modo soprannaturale, nell’altro è l’anima a operare solo naturalmente. E la cosa peggiore è che, per esercitare la sua operazione naturale, perde la solitudine e il raccoglimento interiore e, conseguentemente, l’opera sublime che Dio sta dipingendo in lei; e così tutto si riduce a dar colpi al ferro, facendo danno da una parte e senza guadagnare dall’altra. 46. I direttori spirituali riflettano e ricordino come lo Spirito Santo, e non essi, è l’agente e la guida principale delle anime, delle quali non tralascia mai di prendersi cura; essi invece non sono agenti ma solo strumenti per guidarle per mezzo della fede e della legge di Dio, secondo lo spirito che Dio concede a ciascuna di loro. Perciò l’unica loro preoccupazione non deve essere quella di renderle conformi al loro punto di vista e alla loro natura, ma si devono preoccupare di sapere per quale via il Signore le conduce: se non lo sanno, le lascino stare senza disturbarle. […] 47. Dio sta come il sole sulle anime per donarsi a loro. Perciò coloro che le guidano si accontentino di disporle a questo secondo la perfezione evangelica, che è la nudità e il vuoto del senso e dello spirito, e non vogliano passare oltre a edificare, ufficio che è proprio del Padre delle luci, da cui discende ogni dono buono e perfetto (Gc 1,17). Perché come dice David: Se il Signore non edifica la casa, invano lavora chi la edifica (Sal 126,1). E colui che è l’artefice soprannaturale edificherà soprannaturalmente in ogni anima l’edificio che vorrà, se tu la disporrai, cercando di annichilire le sue operazioni e affetti naturali, con i quali non ha capacità né forza per costruire l’edificio soprannaturale, anzi in questa circostanza più che aiutarla la disturbano. Tuo compito è quindi disporre l’anima, mentre quello di Dio è, come dice il Saggio, dirigerne i passi (Pr 16,9) verso i beni soprannaturali per vie e modi che né tu né l’anima potete intendere. Perciò non dire che l’anima non procede oltre poiché non fa nulla; perché se è vero che non fa nulla, io ti dimostrerò che, proprio perché non fa nulla, fa molto. Infatti se l’intelletto si va allontanando da conoscenze particolari, naturali e spirituali, avanza, e quanto più si allontana da esse e dagli atti della conoscenza, tanto più l’intelletto si avvicina al sommo bene soprannaturale. 48. Dirai che l’anima non intende distintamente nessuna cosa e così non può progredire. Ma io ti rispondo che, se intendesse distintamente, non potrebbe andare avanti, poiché Dio, a cui va l’intelletto, trascende l’intelletto e, dunque, è incomprensibile e inaccessibile all’intelletto, cosicché, quando l’intelletto intende, non si avvicina a Dio, anzi si allontana da Lui. Perciò bisogna allontanare l’intelletto da se stesso e dal suo atto, per giungere a Dio, camminando in fede, credendo senza intendere. […] 53. Questi maestri spirituali non comprendono le anime che avanzano in questa contemplazione quieta e solitaria, per non essere arrivati a essa, e per non sapere che cosa significhi abbandonare il ragionamento della meditazione, come ho detto, pensano che queste anime stiano in ozio, cosicché le disturbano impedendo la pace della contemplazione tranquilla e quieta che Dio gratuitamente concede loro, e le spingono nel cammino della meditazione, a discorrere con l’immaginazione, obbligandole a compiere atti interiori. Nel fare ciò esse provano ripugnanza, aridità e distrazione, volendo rimanere nel loro ozio santo e nel raccoglimento quieto e pacifico. E poiché qui il senso non trova nulla cui attaccarsi, né cosa da gustare o da fare, essi le persuadono a ricercare gusti e fervori, mentre dovrebbero consigliarle di fare il contrario. Non potendo esse fare ciò, né dedicarvisi come prima, poiché è passato quel momento e quello non è più il loro cammino, si turbano molto ritenendo di essere perdute, e ancor di più questi maestri le aiutano a crederlo inaridendo il loro spirito e privandole delle unzioni preziose che nella solitudine e tranquillità Dio infonde loro; e ciò, come dissi, è un grave danno poiché getta queste anime nel dolore e nel fango, cosicché da una parte non progrediscono e dall’altra soffrono inutilmente. 54. Costoro non sanno che cosa sia lo spirito: offendono Dio e gli mancano di rispetto mettendo la loro rozza mano dove Egli opera. E costato infatti molto sforzo a Dio condurre le anime fino a quel punto ed Egli considera molto importante averle portate fino alla solitudine e al vuoto delle loro potenze e operazioni per potere parlare al loro cuore, che è ciò che Egli sempre desidera. […] 61. I maestri spirituali devono, dunque, lasciare libere le anime, anzi sono obbligati a mostrare loro buon viso quando esse volessero cercare qualcosa di meglio. Poiché non sanno per quali sentieri Dio vorrà condurre tali anime, soprattutto quando non provano più gusto per la loro dottrina, il che è segno che non ne hanno più vantaggio, o perché Dio le conduce oltre o per un altro cammino rispetto a quello del maestro, o perché quest’ultimo ha cambiato metodo. E questi maestri glielo devono consigliare, mentre qualsiasi altro comportamento nasce da superbia, presunzione o da qualche altra pretesa. 62. In tal modo il maestro è un cieco che può disturbare la vita dell’anima, che è lo Spirito Santo. Ciò accade nei maestri spirituali in diversi modi, alcuni sapendolo, altri non sapendolo; ma gli uni e gli altri non rimarranno senza castigo poiché, essendo il loro officio, è loro dovere sapere e guardare bene ciò che fanno. ---*--7 JEAN-JOSEPH SURIN JEAN-JOSEPH SURIN, Guide spirituel, ed. a cura di M. de Certeau, Paris 1963. (Trad. ital., JEAN-JOSEPH SURIN, Guida spirituale, a cura di G. Ferrero, Cinisello Balsamo 1988). Capitolo III – La lettura: pp. 207-208: Resta da parlare dei mistici. I principali sono, in primo luogo san Dionigi Areopagita che fa conoscere i segreti della profonda economia della grazia e le operazioni dello Spirito Santo. E’ diffiile capirlo senza l’aiuto di coloro che hanno scritto in seguito, specialmente di san Bonaventura, di Dionigi il Certosino, di Gerson il Cancelliere e di Blosio. Inoltre vi sono alcuni autori profondi che hanno trattato la stessa materia; la lettura di costoro per qualcuno è pericolosa a causa dei loro termini e del modo che usano per spiegare le cose soprannaturali. Ve ne sono quattro principali: Taulero, Ruysbroeck, Herp ed Enrico Susone. Non è conveniente che chiunque, tranne le persone versate, legga questi autori a causa della loro profondità ed astrazione, benché a sproposito siano stati biasimati da alcuni dottori scolastici che hanno creduto, per la loro cultura, di avere diritto di giudicare simili autori e, dato che non li capivano, li hanno condannati non potendo accettare che vi fosse qualcosa che portasse il nome di teologia e non potesse essere sottoposto al loro giudizio. Può accadere che un dottore scolastico, molto esperto e capace nella materia che insegna, non capisca ciò che dice un dottore mistico? Sì, certamente, se è soltanto dottore scolastico, perché oltre a ciò bisognerebbe che avesse il gusto e l’esperienza delle cose spirituali; altrimenti non ci capirà più che in un libro che parlasse dell’arte del navigare o di geometria, poiché questa scienza mistica ha i suoi oggetti propri e particolari, completamente sconosciuti alle altre scienze. Pertanto come una persona non può capire ciò che riguarda il pilotaggio o la scienza della medicina o la geometria se non è versata in tali cose, analogamente non può capire le cose mistiche, pur essendo teologo scolastico. ---*--8 DAG HAMMARSKJÖLD DAG HAMMARSKJÖLD, Vägmärken, Stockholm 1963. (Trad. ital., DAG HAMMARSKJÖLD, Tracce di Cammino, a cura di G. Dotti, Milano 1992). 1925-1930 (p. 39ss.) E vengo spinto oltre, verso una terra sconosciuta. Il terreno si fa più duro l’aria più fredda e pungente. Le corde dell’attesa vibrano mosse dal vento della mia meta ignota. Non accettare mai quanto otterresti per concessione. La vita dona solo al conquistatore. Vivresti di refurtiva e i muscoli si atrofizzerebbero. Il silenzio è lo spazio che avvolge ogni atto e ogni umana convivenza. L’amicizia non ha bisogno di parole: è una solitudine liberata dall’angoscia della solitudine. 1941-1942 (p. 43ss.) Come potresti conservare la facoltà di udire, tu che non vuoi ascoltare: che Dio abbia tempo per te lo reputi altrettanto scontato quanto la tua mancanza di tempo per Dio. “Alle mie condizioni”. Vivere sotto questo segno significa comprare la conoscenza della linea della vita, al prezzo della solitudine. 1945-1949 (p. 49ss.) Imploravi fardelli da portare…E ti lamentasti quando ti vennero messi sulle spalle. Ti eri forse immaginato un fardello diverso? Credevi nell’anonimato del sacrificio? Il sacrificio del sacrificarsi consiste nel suo contrario. O Cesarea Philippi: accettare la condanna come frutto e presupposto del proprio intervento, accettarla nel momento in cui la comprendi e la scegli. 1950 (p. 67ss.) Nel vorticoso fuoco dell’annientamento, nel gelido sacrificio della completa distruzione, puoi dare il benvenuto alla morte. Ma quando cresce lentamente in te, giorno dopo giorno ti angosci, ti angosci per il tacito verdetto che incombe sulla tua vita, mentre cadono le foglie in the fool’s paradise (nel paradiso dei folli). L’angoscia della solitudine porta con sé raffiche di vento dal cuore della tempesta dell’angoscia mortale. Esiste veramente solo ciò che è di altri, perché soltanto quel che hai donato-sia pure nella gratitudine del ricevere-si innalzerà dal nulla che un giorno sarà la tua vita. 1951 (p. 90ss.) Vi è un punto in cui tutto diviene semplice, in cui non c’è più alternativa, poiché tutto quello che hai puntato è perso se ti guardi indietro. Il point of no return, proprio della vita. Che il nostro desideri angosciato abbia mille facce e possa essere sedato in mille modi è una verità altrettanto banale quanto che l’angoscia sia una, e che vi sia un solo modo per vincerla. Quello che soprattutto hai bisogno di sentire – o di credere di sentire – è che si ha bisogno di te. Costrizione o scelta: alla fine la prospettiva della solitudine futura ci lascia solo scegliere tra la desolata disperazione e il puntare tutto sulla “possibilità”, così da conquistare il diritto alla vita in una comunione oltre l’individuo. Per quest’ultima alternativa non ci vuole forse una fede che smuova le montagne? La condanna cadrà sulla continua viltà e sulle ripetute menzogne il giorno in cui uno sfogo della tua debolezza, forse insignificante di per sé, ti priverà di altre occasioni di fare la scelta, giusta. Sei almeno riconoscente per la grazia che ti viene concessa di essere sempre in prova, di non essere stato preso in parola? Ti colpisce questo barlume: avresti potuto non essere mai esistito. Però,con lo stipendio fisso,il libretto in banca e la cartella sotto il braccio si presuppone che tu consideri scontata la tua esistenza. Può interessare cosa sei, non il fatto che tu ci sia. La pensione – non la morte- è ciò cui pensare “finché dura il giorno”. Ora. dopo aver vinto la paura degli altri, di me stesso, del buio lì fuori: al limite dell’imponderabile. Qui termina il noto. Ma al di là di esso qualcosa colma il mio essere della possibilità della sua origine. Qui il desiderio viene purificato e reso trasparente: ogni atto una preparazione, ogni scelta un sì all’ignoto. I doveri della vita superficiale mi impediscono di chinarmi sull’abisso, ma attraverso di essi mi addestro e mi conformo lentamente alla discesa nel caos, dal quale la fragranza del centonchio bianco reca la promessa di una nuova comunione. Al limite… 1952 (p. 110ss.) Il lavoro come anestetico contro la solitudine, i libri come surrogato degli esseri umani! Dici di essere in attesa, che tieni la porta aperta. Ma lo è per degli uomini? L’Etna per cui attende Empedocle, non è forse un destino al di là degli uomini? La cosa più difficile: morire bene. L’esame che nessuno può evitare, e quanti lo superano? Tu, implora il dono della forza per sostenere la prova, ma anche la clemenza da parte del giudice. E poi, quando le preoccupazioni del lavoro allentano la loro stretta, questa sensazione di luce, calore e forza. Da fuori…Un elemento portante, come l’aria per il pilota dell’aliante, come l’acqua per il nuotatore. Un’esitazione da intellettuale che chiede prove e mi impedisce di “ credere “, anche in questo. Mi impedisce di elaborare questo in termini scientifici, ampliandolo a interpretazione della realtà. Ma in me scorre la visione di un campo di forza dell’anima, creato in un eterno presente, creato dai molti che costantemente pregano con parole e opere, da coloro che vivono in santa volontà. …“la comunione dei santi” e-in questa-una vita eterna. Prega perché la tua solitudine sia di sprone a trovare qualcosa per cui vivere, abbastanza grande per cui morire. La stanchezza stordisce il dolore e invoglia alla morte. In questo modo potresti essere tentato di sconfiggere la solitudine, e invitato alla fuga ultima dalla vita. –No, questo no! Sia la morte il tuo ultimo dono alla vita, non un suo tradimento. “Dare se stessi…”. Nel lavoro, per gli altri; d’accordo, basta che non sia un darsi tanto per darsi (magari con la pretesa che gli altri ti stimino). Chiedo l’assurdo: che la vita abbia un senso. Mi batto per l’impossibile: che la mia vita ottenga un senso. Non oso credere, non saprei come poter credere: di non essere solo. “… un senso”. Quando un diciassettenne dice così, alla sua età, è ridicolo: non sa di cosa parla. Con trent’anni di più, anch’io sono ridicolo; la piena consapevolezza di ciò che sto scrivendo non mi impedisce di farlo. La solitudine non è una malattia mortale. No, ma non potrà essere sconfitta solo dalla morte? E non si fa forse più amara, quanto più quest’ultima si avvicina? 1953 (p. 116ss.) Quando Dio interviene nei momenti cruciali –come ora- è con severa determinazione e raffinatezza sofoclea. Quando giungerà l’ora, prenderà quanto è suo. Ma tu cos’hai da dire? Tu sei già stato esaudito. Dio si serve di te, anche quando al momento non ti aggrada. Dio, “welcoer den Menschoen zermalmt, wenn er den Menschoen “. (“che schiaccia l’uomo nell’atto stesso di sollevarlo”) Dunque, così è venuto il giorno in cui il dolore era lieve. Perché le mie difficoltà erano insignificanti alla luce delle richieste avanzate da Dio. Ma quanto arduo dover riconoscere che era anche –e proprio per questo- il giorno in cui la gioia fu grande. Non io, ma Dio in me. Io sono il recipiente. La bevanda è di Dio. E Dio l’assetato. Quale senso ha alla fin fine la parola sacrificio? Oppure la parola dono? Chi non ha niente, niente potrà dare. Il dono è di Dio, a Dio. Chi si è arreso al proprio destino sa che la via della vocazione finisce sulla croce, anche quando passa attraverso le grida di giubilo di Genesareth o l’ingresso trionfale in Gerusalemme. Nessuno è fiero, se non nella fede. Perché le variazioni sul tema della superbia dell’immaturo non sono fierezza. Umile e fiero nella fede: ecco cosa è vivere: in Dio io sono nulla, ma Dio è in me. La tua vita è senza un fondamento se, in qualunque cosa, tu scegli nel tuo stesso interesse. …così vidi che il muro non c’era mai stato, che “l’inaudito” è qui e questo, non altro, che il “sacrificio” è qui e ora, sempre e ovunque; questo essere “surrendered” (rassegnato, abbandonato) a quanto in me Dio dà di sé a se stesso. Essere governati da ciò che viene alla vita quando noi abbiamo cessato di vivere come persone interessate o come chi capisce tutto lui. “L’inaudito”: essere nelle mani di Dio. Di nuovo un richiamo all’unico valore che dura nella tua vita… e di nuovo questa delusione che mostra quanto sei lento nell’apprendere. 1955 (p. 130ss.) Così hai scelto di nuovo te stesso, e aperto la porta al caos. Questo caos che sei tu quando la mano di Dio non riposa sul tuo capo. C’è un’alterigia della fede, più imperdonabile e pericolosa di quella dell’intelletto. Manifesta una scissione della personalità in cui la fede viene “osservata” e valutata, negando quell’unità dell’annientamento dell’io, che è l’essenza della fede. Valutata, come una formula magica di metafisica, i cui vantaggi dovrebbero forse essere riservati ai prescelti? La preghiera, cristallizzata in parola, consiste nel fissare sempre e di nuovo una lunghezza d’onda sulla quale sviluppare il dialogo, anche quando la nostra mente è rivolta ad altri fini. Cos’è mai quest’ inquietudine? Non è forse evidente la concatenazione causale? Cercando furtivamente la tua gloria, non eri più in grado di mutare la tua debolezza in forza. Così sei stato “indotto in tentazione”, e hai perso la condizione essenziale per l’accettazione franca del destino da parte della fede, che presuppone che nessuna parte di esso sia intessuta di menzogne simili. Rispettare la parola è la prima regola nella disciplina che può educare una persona alla maturità intellettuale, emotiva e morale. Rispettare la parola; usarla con estrema cura e incorruttibile amore per la verità, ecco una condizione perché maturino la società e la specie umana. Abusare della parola equivale a disprezzare l’essere umano. Mina i ponti, avvelena le fonti. Ci rimanda indietro nella lunga via dell’evoluzione umana. “Ma io vi dico che di ogni parola infondata …” La missione sceglie noi, non noi la missione. Perciò le sei fedele se resti in attesa, pronto. E se agirai, non appena te lo chiederà. “L’esperienza mistica”. Sempre: qui e ora …in quella libertà che è tutt’uno con il distacco, in quel silenzio che nasce dalla quiete. Ma questa libertà è una libertà nell’azione, questa quiete è quiete tra gli uomini. Il mistero è perenne realtà per chi è libero da se stesso nel mondo, è realtà in una tranquilla maturità nell’attenzione ricettiva e acconsenziente. Nel nostro tempo la via della santità passa necessariamente attraverso l’azione. Il faut donner tout pour tout. (bisogna dare tutto per tutto). 1956 (p. 150ss.) Dinnanzi a te, padre, in rettitudine e umiltà, con te, fratello, in fedeltà e coraggio, in te, spirito, in quiete. Tuo, perché la tua volontà è il mio destino, votato, perché il mio destino è di essere usato e consumato, secondo la tua volontà. Il perdono è la risposta al sogno del bambino: un miracolo grazie al quale l’oggetto in frantumi è ancora intatto e quello sporco è ancora pulito. In questo senso abbiamo bisogno di perdonare e di essere perdonati. Nella percezione di Dio nulla si frappone tra lui e noi: noi siamo perdonati. Ma non possiamo avere questa percezione se lasciamo qualcosa in sospeso tra noi e il nostro prossimo. Gioire del successo è ben diverso dal trarne vantaggio. Negarsi la prima cosa è da ipocriti, da negatori della vita. Per mettersi la seconda è un divertimento da bambini che impedirà loro di diventare uomini. Oltre il raccogliersi in obbedienza al fine: la libertà dal timore. Oltre il timore: l’apertura. E ancora oltre: l’amore. In autodifesa, contro i costruttori di sistemi… Troverai che la libertà del continuo commiato e della momentanea rinuncia a te stesso dà alla tua percezione della realtà una purezza e una nitidezza che sono la realizzazione di te stesso. Troverai che l’atto di consapevole subordinazione richiede di essere continuamente ripetuto, e viene smentito se in qualcosa permetti alla tua vita individuale di reinsinuarsi al centro. “… con Te: con fedeltà e coraggio”: No … “con autodisciplina, fedeltà e coraggio”. Fu quando Lucifero si vantò di quanto faceva nelle sue angeliche vie, che divenne lo strumento del male. Faulkner: alla fin fine il nostro desiderio resta quello di aver scribacchiato sulla parete il nostro “Kilroy è stato qui”. L’ultima spiaggia del nemico… Oh contraddizione! Oh ultima resistenza! Se solo il fine può giustificare il sacrificio, come puoi dedicare anche un’ombra di importanza al fatto che l’intervento venga legato al tuo nome nel ricordo? Evidentemente il tuo agire è stato influenzato anche dal vano e morto sogno del “ricordo”. Sia santificato il tuo nome non il mio, Venga il tuo regno non il mio, Sia fatta la tua volontà non la mia, Ti chiedi se questi appunti alla fin fine non siano un tradimento della linea della vita che loro stessi vorrebbero tracciare? Questi appunti? Erano tracce di cammino che ponevi quando giungevi a un punto in cui ne avevi bisogno, un punto fermo da non perdere di vista. E così sono rimasti. Ma la tua vita è cambiata e ora prendi in considerazione possibili lettori. Forse addirittura te li auguri! E forse per qualcuno può essere utile vedere un cammino di cui da vivo l’interessato non voleva parlare. Sì, ma solo se le tue parola avranno un’onestà al di là della vanità e dell’autocompiacimento. Avanti! I tuoi ordini sono impartiti in segreto. Possa io sentirli sempre…e rispondere. Avanti! Qualunque sia la distanza da me percorsa, non mi darà il diritto di fermarmi. Avanti! E’ la cura prestata agli ultimi passi prima di raggiungere la vetta che determina il valore di tutti i precedenti. 1957 (p. 194) Nel tuo vento. Nella tua luce… Com’è piccolo tutto il resto, come siamo piccoli noi, e felici, in colui che solo è grande. Vigilia di Natale 1960 (p. 231) Com’è giusto che il Natale segua l’Avvento: per chi guarda davanti a sé, il Golgota è il luogo del presepe e la croce è già innalzata a Betlemme. Pentecoste 1961 (p. 237) Non so chi – o che cosa – pose la domanda. Non so quando sia stata posta. Non ricordo cosa risposi. Ma una volta risposi sì a qualcuno – o a qualcosa. A quel momento risale la certezza che l’esistenza ha un senso e che perciò la mia vita, nella sottomissione, ha un fine. Da quel momento ho saputo cos’è “non volgersi indietro”, “non affannarsi per il domani”.