Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989. Sped. in abb. postale - Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia - IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TASSA - REINVIARE ALL’UFFICIO PAVIA-FERROVIA 2/2001 Infermiere P A V I A a Gu er ra e l u L Ultime notizie A.I.Ur.O. DITORIALE E 2 PAGINA Infermiere a Pavia Così come ogni cosa cambia, anch’io sono cambiata e sento la necessità di orientare le mie risorse ad altre dimensioni e ad altri obiettivi. Gli impegni di famiglia poi assorbendo sempre più energia, esasperano il bisogno di recuperare spazi. Così lascio la responsabilità di dirigere “Infermiere a Pavia” ad altri, che sapranno più puntualmente ed energicamente portare avanti, il testimone di quella stupenda avventura che è sempre comporre e far vivere le pagine della rivista. Continuerò a collaborare per quanto possibile ma senza essere assillata da doveri che per ora sento come un peso. Molte sono le persone che vorrei ringraziare, primi fra tutti coloro che hanno puntualmente letto articoli e servizi che la Infermiere a Pavia Rivista trimestrale del Collegio IP.AS.VI. di Pavia Anno XI n. 2/2001 aprile/settembre 2001 Editore Collegio Infermiere professionali, Assiatenti Sanitarie, Vigilatrici d’Infanzia della Provincia di Pavia Direttore Responsabile Enrico Frisone Capo Redattore Giuseppe Braga Segreteria di Redazione M. Bergognoni, L. Littarru, A.M. Tanzi Comitato di Redazione M. Bergognoni, M.L. Botticini, G. Braga, M. Cattanei, S. Giudici, L. Littarru, R. Rizzini, A.M. Tanzi Hanno collaborato a D. Antoniotti, M.L. Bassi, E. Boerci, M. Borri, M. Berlinese, A. Carducci, A. Di Palma, G. Enoch, M. Filiali, S. Fusetti, S. Giovanetti, L. Maldarelli, N. Intini, F. La Torre, A. Massola, G. Milza, A. Minoia, S. Odato, E. Pistoia, S. Pontone, R. Prazzoli, M.V. Tardino, D. Tegoni, M.G. Trimarchi Impianti e stampa Gemini Grafica snc - Melegnano (MI) Direzione, Redazione, Via Lombroso, 3/B - 27100 Pavia Amministrazione Tel. 0382/525609, Fax 0382/528589 CCP n. 10816270 I punti di vista e le opinioni espressi negli articoli sono degli autori e non rispettano necessariamente quelli dell’Editore. Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989. Spedizione. in abb. postale - Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia. La rivista è inviata gratuitamente agli iscritti al Collegio IP.AS.VI. di Pavia. Finito di stampare nell’ottobre 2001 presso Gemini Grafica snc di S. & A. Girompini, Melegnano (MI) redazione ha prodotto talvolta superando molte difficoltà; per loro per i lettori, l’impegno e la tensione ideale che non sono mai venuti meno. Un grazie di cuore a Giuse Ferrato che ha sempre collaborato ampiamente andando ben oltre i suoi doveri di segretaria esecutiva del Collegio. Ed infine ai componenti della redazione passati e presenti, al loro esserci per un obiettivo comune pur con grandi differenze ideologiche e culturali, un saluto che non è un addio, ma l’inizio di un nuovo rapporto da costruire, se vorremo. A tutti gli auguri più sinceri per trovare nel quotidiano gusto, significato, appagamento. Maria Luigia Botticini I n d i c e S p a z i o concentrato Un’attività di vita quotidiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5 Incontinenza urinaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7 L’incontinenza urinaria e fecale nell’anziano . . . . . . . . . . . . .9 Un percorso tortuoso... quello del materiale fecale . . . . . . .12 Incontinenza fecale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14 Imparare a convivere con una stomia . . . . . . . . . . . . . . . . . .15 Un posticino tranquillo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18 PERCORSI A l t r i A.I.Ur.O. Associazione Infermieri di Urologia Ospedaliera . .22 Associazione Lule . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .23 LA MERIDIANA Valutazione dell’ansia e del dolore in un paziente ricoverato d’urgenza in Unità Coronarica . . . . . . . . . . . . . . .26 Ministero della Sanità, Decreto 3 agosto 2001 Approvazione del registro carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope per le unità operative . .31 L ottavo giorno “Un mare” per Amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .33 Aggiornamento I cateteri venosi centrali in emodialisi: aspetti di gestione .37 Numero 2/2001 Permettetemi di aprire questo primo editoriale in qualità di Direttore, assumendomi la responsabilità di fare da cassa di risonanza ad un messaggio giunto presso la mia casella di posta elettronica. I recenti avvenimenti mondiali non possono e non devono lasciarci indifferenti, soprattutto ora che la fortissima emozione provocata dall’attentato alle Twin Towers si affievolisce e, com’è naturale, col passare dei giorni sembra sbiadire, tanto più sta crescendo la paura. Basta salire su un autobus o entrare in un bar o chiamare un amico per capire che gli italiani hanno paura. E’ una paura indistinta e indefinita, è una paura che ci cresce dentro ogni giorno che passa. Ecco perché desidero condividere con voi questa e-mail. P.S. al termine dell’articolo c’è una mappa che può aiutarci a capire l’entità del problema. Da zeta.net, newsletter di una pacifista americana Ho sentito parlare molto della possibilità di “ricacciare l’Afghanistan nell’ètà della pietra a suon di bombe”. Ron Owens, parlando al Kgo Talk Radio, ha ammesso che ciò significherebbe uccidere persone innocenti, che non hanno nulla a che fare con queste atrocità, ma “siamo in guerra e dobbiamo accettare i danni collaterali”. Qualche minuto dopo ho sentito esperti che in tv si chiedevano 3 PAGINA “se abbiamo il fegato di fare quel che va fatto”. Ci ho pensato molto, perché vengo dall’Afghanistan, e anche se vivo qui da 35 anni, non ho perso contatto con ciò che avviene laggiù. Io parlo come una persona che odia i talebani e Osama Bin Laden. Non ho alcun dubbio che siano loro i responsabili del massacro di New York. Sono convinto che sia necessario fare qualcosa contro questi mostri. Ma i talebani e Bin Laden non sono l’Afghanistan: sono un gruppo di ignoranti psicotici che hanno preso il sopravvento in Afghanistan nel 1997. Bin Laden è un criminale politico con un piano. Quando pensate ai talebani, pensate ai nazisti. Quando pensate a Bin Laden, pensate a Hitler. E quando pensate al popolo afghano, pensate agli ebrei nei campi di concentramento. Non è solo che la gente afghana non ha nulla a che fare con queste atrocità, è che sono loro le prime vittime di chi le ha perpetrate. Il popolo afghano esulterebbe se qualcuno arrivasse e ripulisse il Paese dai covi di questi assassini. Qualcuno si chiede perché gli afghani non si ribellano e non rovesciano i talebani. La risposta è: sono denutriti, esausti, feriti, sofferenti. Pochi anni fa, l’Onu stabilì che c’erano 500 mila orfani disabili in Afghanistan - un Paese senza economia, senza cibo. 4 PAGINA Ci sono milioni di vedove, e i talebani hanno seppellito vive le vedove in fosse comuni. Il terreno è disseminato di mine, le fattorie sono state distrutte dai sovietici. Questi sono alcuni dei motivi per cui il popolo non ha rovesciato i talebani. Veniamo al fatto di bombardare l’Afghanistan “indietro all’età della pietra”. Il problema è che ciò è già stato fatto. I russi hanno avuto cura di farlo. Fare soffrire gli afghani? Stanno già soffrendo. Abbattere le loro case? Fatto. Ridurre le scuole a cumuli di macerie? Fatto. Distruggere i loro ospedali? Fatto. Privarli di medicine e assistenza medica? Troppo tardi. Qualcuno ha già provveduto. Le nuove bombe non farebbero che rimescolare le macerie. Alla fine prenderebbero i talebani? Difficile. Oggi in Afghanistan mangiano solo i talebani, solo loro avrebbero i mezzi per muoversi, fuggirebbero. Forse le bombe colpirebbero qualcuno di quegli orfani mutilati, loro non si muovono in fretta, non hanno neppure sedie a rotelle. Volare sopra Kabul sganciando bombe significherebbe fare causa comune con i talebani: violentare la gente che loro hanno violentato per tutto questo tempo. Lasciatemi dire, con paura: l’unico modo per prendere Bin Laden è andare lì con le truppe di terra. Quando la gente parla “del fegato di fare ciò che va fatto”, pensa in termini di avere il fegato di superare gli scrupoli morali a uccidere degli innocenti. Infermiere a Pavia Tiriamo fuori la testa dalla sabbia. Quel che è in ballo in realtà è la possibile morte di americani. E non solo perché morirebbero degli americani durante la caccia ai nascondigli di Bin Laden. È perché per far entrare le truppe in Afghanistan dovremmo passare dal Pakistan. Ce lo permetterebbero? Non penso. Dovremmo prima conquistare il Pakistan. Le altre nazioni islamiche starebbero a guardare? Stiamo flirtando con una guerra mondiale tra Islam e Occidente. E questo è il progetto di Bin Laden, quello che lui vuole. Lui pensa che l’Islam sconfiggerà l’Occidente. Può suonare ridicolo, ma lui calcola che polarizzando il mondo in Islam e Occidente, avrebbe un miliardo di soldati. Probabilmente ha torto, e alla fine l’Occidente vincerebbe, ma la guerra durerebbe anni e milioni morirebbero, non solo dei suoi, ma dei nostri. Chi ha il fegato di fare questo? Bin Laden l’ha. Qualcun altro? Gino Strada con alcuni nostri colleghi infermieri di Emergency stanno da tempo lavorando in quelle zone pericolose: hanno bisogno di noi, del nostro aiuto. Parliamone, contattateci per esprimere le Vs. opinioni e perché no, per pensare insieme a quali iniziative “l’Infermiere a Pavia” possa intraprendere. Direttore Responsabile Enrico Frisone 5 PAGINA Numero 2/2001 S p a z i o concentrato Un’attività di vita quotidiana Annamaria Tanzi* L’eliminazione, un’attività di vita quotidiana, un bisogno di base dell’uomo, un bisogno di sopravvivenza come il cibo, l’aria, l’acqua … e per questo predominante a mantenere il benessere fisico e il normale equilibrio fisiologico. L’eliminazione è un bisogno del corpo ma investe anche la corporeità della persona, una dimensione più complessa rispetto alla fisicità, perché deputati di questa funzione sono gli organi genitali legati alla sfera intima e privata che rimanda alla protezione, al senso del pudore, al tabù e anche alla sensazione di un’attività indecente o spiacevole, un’attività che si svolge in un luogo appartato e i cui prodotti devono essere tenuti nascosti. Questi ultimi aspetti sono pressoché universali nel senso che sono presenti in quasi tutte le culture del mondo. Quando l’eliminazione diventa un bisogno di assistenza infermieristica, questi … Maudie era gelata, era malata, era debole - ma sentivo qualcosa pulsare dentro di lei: la vita. Com’è tenace, la vita. Non ci avevo mai pensato prima, non l’avevo mai recepita in quel modo, non come in quel momento, mentre lavavo Maudie Fowler, una vecchietta arrabbiata e indomita. E lo era davvero, arrabbiata. All’improvviso ho capito che tutta la sua vitalità risiede in quella rabbia. Non devo non devo assolutamente risentirmene, non devo reagire violentemente…. … Poi si è presentato il problema della parte inferiore del corpo. Ho deciso di aspettare istruzioni. Le ho infilato la maglia “pulita” dalla testa, le ho avvolto il cardigan ‘pulito’ intorno al torace, e ho visto che lei intanto si stava sfilando lo spesso strato di sottane. È stato allora che mi ha colpita dritta in faccia: la puzza. Oh, non serve che non ci pensi, mi è impossibile far finta di nulla. Troppo debole o troppo stanca per muoversi, ha cacato nelle mutande, ha cacato dappertutto. Mutande, luride... Be’, non ho intenzione di continuare, nemmeno per sfogarmi, mi sento ancora male solo a pensarci. Ma stavo guardando la maglia e le sottovesti che si era tolta, ed erano gialle e marroni di merda. Comunque. Se ne stava là in piedi, la metà inferiore del corpo completamente nuda. Le ho fatto scivolare dei giornali, uno spesso strato, sotto i piedi. E ho cominciato a lavare e lavare, la parte inferiore del corpo. Lei si teneva al bordo del tavolo con quelle mani forti. Quando sono arrivata al sedere, Maudie l’ha spinto in fuori, come avrebbe fatto una bambina, e io ho lavato anche quello, pieghe e rughe comprese. Poi ho buttato via tutta Il acqua, ho riempito di nuovo la bacinella, ho rimesso in fretta i bollitori sul fuoco. Le ho lavato le parti intime, e per la prima volta ho pensato davvero al significato e di quell’espressione: Maudie soffriva orribilmente Proprio perché una “valori” superiori devono guidare l’agire infermieristico in termini di discrezione, tatto e rispetto. Un’assistenza personalizzata ed olistica è rivolta alla persona che in quanto tale è unità e totalità e per questo l’eliminazione è un’attività influenzata da meccanismi diversi che riguardano tutti gli ambiti dell’essere umano: la psiche, il soma, gli organi di senso, l’ambiente di vita, la società in cui si sviluppa e la cultura ossia il sistema di norme, comportamenti, usi, costumi, tradizioni, credenze e pregiudizi propri della comunità che lo accoglie. La minzione e la defecazione sono funzioni escretorie dell’organismo che nel corso della vita presentano importanti modifiche legate alle fasi dello sviluppo dell’individuo dalla nascita alla vecchiaia, passando da una fase senza controlli degli organi escretori (lattante, bambino sino al terzo anno di età circa) all’appren- sconosciuta stava invadendo la sua intimità… … Io e Maudie facciamo delle gran litigate, come se fossimo madre e figlia, o sorelle, e lei dice, “Vattene allora, vattene pure. lo non le voglio quelle donne dell’Assistenza, qua dentro,” e io, “Maudie, sei impossibile, sei tremenda, non so più cosa fare, con te. Poi una volta sono scoppiata a ridere, la scena era così ridicola, Maudie in piedi vicino al tavolo nuda come un verme, e io che le lavavo via la merda e dicevo, “E le orecchie, eh?” Lei si è zittita e si è messa a tremare. Poi, “Perché ridi di me?” “Non rido di te, rido di noi. Ma guardami, guardati, stiamo litigando come matte!” Lei è uscita dal catino nel quale l’avevo messa in piedi, mi ha guardata, con aria tra il supplichevole e l’arrabbiato. Io l’ho avvolta nel grande asciugamano che avevo portato da casa mia, una nuvola di spugna rosa, e ho cominciato ad asciugarla delicatamente. Si è messa a piangere. Le lacrime scendevano giù lungo le rughe... “Suvvia, Maudie, per l’amor di Dio, prendiamola sul ridere, è meglio che mettersi a piangere.” “Che orrore, che orrore, che orrore,” ha mormorato lei, con gli occhi, lucenti, dilatati, fissi davanti a sé. Tremava come una foglia, “Orrore, orrore”. Durante le ultime tre settimane ho buttato via tutte le mutande nuove che le avevo comperato, ormai sporche, disgustose, e ne ho comperate altre due dozzine, le ho fatto vedere come riempirle di cotone idrofilo, prima di infilarsele. E così, è tornata ai pannolini. Orrore, orrore, orrore... Da “Diario di Jane Somers” di Doris Lessing, ed. Feltrinelli 6 PAGINA Infermiere a Pavia dimento del controllo degli stimoli della minzione e della defecazione (intorno al terzo anno di vita), alla regolarizzazione successiva sino ad una possibile involuzione delle funzioni escretorie a causa del processo di invecchiamento della vescica e dell’intestino. Altri fattori a livello biofisiologico che influiscono sulle funzioni escretorie sono l’alimentazione come quantità di liquidi assunti e cibi sani, cioè cosa e quanto si mangia, il movimento ed il sistema neurovegetativo. Sane abitudini di vita possono educare l’organismo a rispondere efficacemente e con ritmi regolari durante la giornata al bisogno di eliminazione e nondimeno prevenire la patologia delle funzioni escretorie. I disturbi o disfunzioni quali disuria, pollachiuria, oliguria, anuria, poliuria, nicturia, ritenzione urinaria, incontinenza urinaria e fecale, stipsi, diarrea, tenesmo, in tale ambito sono di diversa natura e molto soggettivi, possono riconoscere cause organiche ed essere secondarie per cui si presentano come sintomi di malattia, avere origine da intossicazioni e infezioni, derivare da cattive abitudini di vita soprattutto per quanto riguarda l’alimentazione e l’attività fisica ma anche l’igiene personale ed ambientale, o essere causati da situazioni di disagio psico-sociale, stress del vivere quotidiano. Ed infine, traumi psichici o fisici, paura, spavento, tensione, ansia, emozioni che se somatizzate spesso possono avere ricadute sulle funzioni escretorie con bisogno continuo di minzione e/o defecazione, diarrea, enuresi notturna. Nel modello psicoanalitico, Freud definiva le fasi di sviluppo del bambino con i concetti di “fase anale” e “fase orale” mettendo in risalto il rapporto diretto fra alimentazione e funzioni escretorie e fra lo sviluppo e la personalità, per cui impressioni recepite nella prima infanzia possono diventare per l’individuo un modello di vita positivo o negativo a seconda delle esperienze vissute. È evidente che esiste una interdipendenza fra eventi psichici, psicosociali, ambientali ed organici per un efficace mantenimento dell’attività di minzione e di defecazione, un’attività e un bisogno della persona che nell’esercizio della professione infermieristica richiede non soltanto la conoscenza tecnicistica e l’uso di strumenti adeguati ma soprattutto richiede una relazione supportiva (fiducia, empatia, interessamento, autonomia e reciprocità) con l’assitito e l’informazione necessaria al paziente per garantirgli il rispetto della sfera intima, il diritto alla privacy, la riduzione del possibile imbarazzo, il massimo confort e sicurezza e favorire la giusta collaborazione. L’assistenza infermieristica è rivolta all’individuo nella sua interezza, l’infermiere soprattutto in ambito ospedaliero ha di fronte una persona con problemi di salute e perciò vulnerabile dal punto di vista fisico, fisiologico e psicologico, l’infermiere quindi, deve saper riconoscere e individuare questi problemi nella loro complessità per saper essere, saper ascoltare e attivare tutte le risorse disponibili. LA MONOGRAFIA che presentiamo affronta alcune tematiche intorno al bisogno universale dell’eliminazione, per non dimenticare un bisogno di assistenza infermieristico che rappresenta un’attività intimamente collegata con la vita, essenziale per il benessere fisico, psichico e sociale di ogni persona. E’ un’occasione per conoscere le novità in uroriabilitazione, un momento di confronto sui problemi che alterano il normale funzionamento escretorio: dall’incontinenza urinaria a quella fecale, uno spazio per riproporre alcune pratiche come il cateterismo e l’irrigazione intestinale e una possibilità di avere a disposizione un glossario di strumenti che favoriscono l’eliminazione con le implicazioni infermieristiche. A chiusura del lavoro, “Un posticino tranquillo”… offre una simpatica lettura, una rivisitazione storica sull’evoluzione del WC. L’autore * Infermiera Professionale SPDC ASL Pavia 7 PAGINA Numero 2/2001 Incontinenza urinaria Maria Luisa Bassi * L’incontinenza è la perdita involontaria dell’urina in tempi e luoghi inappropriati e costituisce un problema igienico sociale e socio-economico di rilevante importanza a livello mondiale, confermato dalla Intemational Continence Society, nell’ordine di migliaia di miliardi. In Italia oggi sono stimati oltre tre milioni di incontinenti urinari, anche se tale prevalenza è abbondantemente sottostimata. Le cause dell’incontinenza urinaria sono diverse se a soffrire di tale disturbo sono gli uomini oppure le donne e, pur non dando per scontato che l’incontinenza sia una conseguenza inevitabile della vecchiaia, è pur vero che gli anziani sono i più vulnerabili. La prevalenza dell’incontinenza urinaria è femminile: l’8,5% nell’età compresa tra i 15 ed i 64 anni, passa all’11,6% dopo i 65 anni, aumentando al 16,2% oltre gli 85 anni; negli uomini aumenta dall’1,6% tra i 15 ed i 64 anni, aumentando al 6,9% sopra i 65 anni per raggiungere il 15,4% oltre gli 85 anni. Si è appurato che solo il 25,5% delle donne che soffrono di incontinenza si rivolge al medico per individuarne la causa e trovare l’idoneo trattamento per risolvere il problema. L’incontinenza urinaria è uno stato fisico spesso inconfessabile, tanto che il paziente affetto da tale disturbo, anche in forma lieve, tende all’isolamento a causa dell’abbassamento dell’autostima dovuta all’alterazione corporale con limitazione dei rapporti familiari e sociali. La prima regola è parlarne con il proprio medico, il quale invierà l’assistito dallo specialista urologo che avvierà le procedure per individuare il tipo di incontinenza e le cause che l’hanno determinata, ed imposterà la terapia riabilitativa più idonea. È importante conoscere i tipi di incontinenza e le tecniche diagnostiche e riabilitative. Le caratteristiche dell’incontinenza possono essere diverse e si distinguono in: Enuresi, Incontinenza urinaria da sforzo, Incontinenza urinaria da Urgenza, Incontinenza da Over-flaw, Incontinenza Neurogena, Incontinenza geriatrica. Enuresi Incontinenza notturna presente prevalentemente nei bambini in età in cui dovrebbero essere in grado di mantenere il controllo dello sfintere. Tale sintomo scompare con la crescita e quasi sempre entro il periodo puberale. Sono le bambine a soffrire maggiormente di tale disturbo. Incontinenza urinaria da Sforzo Perdita di urina che avviene durante uno sforzo fisico, un colpo di tosse o condizioni simili (gli starnuti sono acerrimi nemici). Quasi sempre il fenomeno coinvolge il sesso femminile. Le condizioni favorenti tale tipo di incontinenza urinaria sono le gravidanze, ma anche il periodo perimenopausale può rappresentare il momento rivelatore di tale sintomo; può comunque apparire in donne molto giovani anche se non hanno ancora avuto gravidanze e può manifestarsi in occasione di pratiche sportive o eseguendo esercizi ginnici. Agli uomini tale disturbo può comparire dopo interventi di chirurgia tradizionale o endoscopica, prevalentemente per patologia prostatiche. Incontinenza urinaria da Urgenza Impossibilità di trattenere le urine quando si avverte lo stimolo. Il sesso maggiormente coinvolto è quello femminile anche in giovane età; minore il numero degli uomini, anche se non più giovani, che soffrono di questa forma di incontinenza. Al sopraggiungere dello stimolo non sempre si riesce a raggiungere una toilette. È una forma di incontinenza capricciosa e necessita di protezione con assorbenti o pannoloni. Il fenomeno può disturbare il paziente anche durante le ore notturne, tanto da causarne il risveglio. I rapporti sessuali possono accentuare tale sintomo. Incontinenza da Over-flaw o del nonno È la perdita di urina che si ha quando la vescica è troppo piena (ritenzione cronica). La perdita può essere continua oppure a goccia a goccia, pur conservando piccole minzioni, sia durante il giorno che di notte. È un fenomeno tipico del sesso maschile, specialmente in età geriatrica, affetto da patologia ostruttiva del basso 8 PAGINA apparato urinario come l’ipertrofia prostatica o la stenosi dell’uretra. Incontinenza neurogena Incontinenza urinaria in paziente affetto da lesioni neurologiche congenite, acquisite o post-traumatiche. Incontinenza geriatrica Incontinenza urinaria capricciosa derivante da varie cause, tipica dei pazienti anziani, spesso ricoverati in case di riposo o in reparti di lungo degenza in condizione di non auto-sufficienza. L’incontinenza urinaria da Sforzo e quella da Urgenza possono coesistere ed essere presenti nello stesso paziente. Le cause dell’incontinenza urinaria possono essere organiche, funzionari o entrambe; sarà l’urologo ad individuarle con gli strumenti diagnostici in suo possesso. Gli esami normalmente indicati dal medico specialista per individuare le cause dell’Incontinenza urinaria sono: Esame urine con eventuale Urinocoltura, Ecografia (renale, vescicale, prostatica, utero-ovarica), Cistografia (studio radiologico della vescica), Uretrografia (studio radiologico dell’uretra), Urografia (studio radiologico di tutto l’apparato urinario), Studio Urodinamico (studio funzionale che studia il comportamento della vescica e di tutto il basso apparato urinario). Anche il Diario Minzionale ed il PadTest, sono strumenti utilizzati per individuare le cause dell’Inocntinenza urinaria. Diario Menzionale Una descrizione delle minzioni nelle 24 ore. Deve essere indicata l’ora, la quantità, le eventuali difficoltà avute al momento della minzione, quante volte si è dovuta cercare una toilette con urgenza, quante volte si è persa l’urina prima di raggiungere un luogo appropriato, quante volte ci è sfuggita a causa di un colpo di tosse o facendo uno sforzo, quanti e quali tipi di assorbenti sono stati utilizzati nelle 24 ore. Pad-Test o Test del Pannolino Può essere eseguito in ambulatorio in un lasso di tempo di un’ora, con il controllo del personale infermieristico, che indicherà gli esercizi che si devono eseguire; è possibile seguirlo al proprio domicilio, in un periodo di tempo (normalmente giorni) indicato dal medico, continuando a vivere la propria vita normalmente. Individuate le cause è importante trovare la soluzione del problema individuando la terapia più idonea e personalizzata, che può essere rieducativa, farmacologia o chirurgica. Infermiere a Pavia La terapia rieducativa comprende: La bladder training o rieducazione vescicale Utilizzata nella instabilità detrusoriale e nell’ipersensibilità della vescica. Il paziente, viene a conoscenza delle abitudini minzionali scorrette e di conseguenza a rieducarsi, imparando alcune regole che vanno dalla regolare assunzione di liquidi alla regolarizzazione degli orari delle minzioni. L’obiettivo è quello di raggiungere la continenza grazie all’educazione nelle minzioni non troppo ravvicinate e non troppo lontane, ma regolate nell’arco della giornata. La fisiokinesiterapia pelvi-perineale Si prefigge l’elettivo utilizzo del gruppo muscolare dell’elevatore dell’ano. Il programma è di tipo sequenziale ed è preceduto da un training di apprendimento. Il Biofeed-back Ha l’obiettivo migliorare la performance perineale in modo da permettere al perineo di esplicare le sue funzioni di supporto ai visceri pelvici e di rinforzare il meccanismo sfintero-uretrale. Viene utilizzato uno strumento elettrico che permette al paziente, di evidenziare l’attività muscolare del piano perineale al fine di educarla, attraverso stimoli visivi ed acustici. La Stimolazione Elettrica funzionale Viene associata alla fisiokinesiterapia ed al Biofeed-back per migliorare attenuare l’instabilità detrusoriale e per migliorare il tono della muscolatura sfinterica. Il cateterismo intermittente È la possibilità di svuotare la vescica e raggiungere la continenza tramite il cateterismo a intermittenza. Farmacologica Disponiamo di due grandi categorie di farmaci: quelli che aiutano a ridurre lo stato di ipercontrattilità della vescica e quelli che rinforzano le strutture sfinteriche. Proprio perché sono farmaci, sono di assoluta competenza medica sia per la prescrizione che per la gestione. Si devono evitare le auto-prescrizioni di farmaci che hanno prodotto beneficio all’amico, parente, ecc. Interventi chirurgici Si distinguono in tre categorie: per via addominale, via vaginale e quelli combinati (addominale e vaginale). I più noti sono la colposospensione: anteriori o pubiche, posteriori o sacrali e le sling: applicazione di fionde di tessuto che abbracciano l’uretra dall’esterno e comprimendola si ottiene una compressione uretrale. Gli interventi endoscopici stanno ottenendo un discreto successo. Con la tecnica endoscopica è possibile iniettare delle sostanze bio-compatibili all’interno dell’uretra per ridurre il calibro; eseguire incisioni in caso di stenosi uretrali per migliorare le performance minzionali; praticare sfinterotomia ai pazienti neurologici. Vi sono pazienti che presentano incontinenza urinaria ai quali non è possibile eseguire riabilitazione o praticare interventi chirurgici per riattivare la continenza. È importante che gli operatori sanitari siano a conoscenza dei presidi che possano mantenere la dignità personale con il miglior comfort. La scelta degli ausili sarà orientata a soddisfare le esigenze individuali ed in base al: sesso, volume della perdita urinaria, grado di mobilità ed autosufficienza, disponibilità economica e disponibilità del materiale (Nomenclatore Tariffario). Gli ausili principalmente usati e facilmente reperibili sono gli assorbenti, sistemi di raccolta per gli uomini, protezioni da letto, cateteri per autocateterismo e a permanenza. L’utilizzo del catetere a permanenza dovrebbe essere limitato solo nei casi non gestibili in altro modo. Le persone che soffrono di incontinenza urinaria hanno diritto a ricevere gli ausili dal Servizio Sanitario Nazionale, elencati in un apposito documento chiamato Nomenclatore Tariffario delle Protesi, e vengono richiesti dal medico specialista ASL mediante una prescrizione contenente: diagnosi, Codice di riferimento del Nomenclatore Tariffario e Programma terapeutico. Il Nomenclatore Tariffario inoltre, definisce la quantità mensile e l’importo massimo di spesa per ciascun prodotto. Bibliografia Riabilitazione Uro-Ginecologica - P. Di Benedetto – ed. Minerva Medica – 1995 Gestione del Paziente incontinente: dispositivo per incontinenti - M.R. Basso – Atti XXI Congresso Nazionale SIUD – 1997 Gestione dell’incontinenza urinaria - C. Pennetta - Uro-Nursing n. 10, Dic. 1999 L’autore * Infermiera ADF Direzione Sanitaria Policlinico San Matteo Pavia 9 PAGINA Numero 2/2001 L’incontinenza urinaria e fecale nell’anziano Enrica Pistoia* La normale eliminazione delle scorie, dei prodotti terminali della combustione organica è uno dei fattori più importanti per il mantenimento della salute e per il recupero di essa quando si è ammalati. L’eliminazione dei prodotti della combustione avviene attraverso la cute, l’apparato intestinale e quello renale. Attraverso la cutenoi eliminiamo, con la traspirazione, parte dei prodotti della combustione, così come attraverso la respirazione, però la maggior quantità viene eliminata attraverso l’apparato urinario con le urine. Anche nel piccolo e grosso intestino avvengono atrofie dei tessuti sebbene tali cambiamenti siano abbastanza limitati; comunque insorgono problemi come la costipazione, molto comune nelle persone anziane, dovuta ad una diminuzione della peristalsi del colon. Alcune ricerche hanno evidenziato un’assenza di riflessi nell’orifizio anale esterno, causa questa molto comune di incontinenza fecale, Diminuisce anche la massa renale e ciò è attribuibile alla perdita di nefroni. Una diminuzione della funzione tubolare causa anche un difficoltoso riassorbimento del filtrato, determinando facilmente una proteinuria. La vescica subisce dei cambiamenti durante l’invecchiamento, tra cui una ipotenia dei muscoli, della parete ed aumento della capacità. Lo svuotamento vescicale è più difficoltoso e si ha più facilmente una ritenzione urinaria. La funzione della vescica deve essere esaminata prestando particolare attenzione ad eventuali episodi di nicturia, alla frequenza della minzioni, a piccoli bruciori, ad incontinenza o ritenzione. Il grado di svuotamento della vescica deve essere rappresentato alla frequenza ed alla qualità delle minzioni, consigliando eventualmente l’applicazione di un catetere vescicale. Devono essere accertate la frequenza e le caratteristiche dei movimenti intestinali ed osservare se si sono verificati recenti cambiamenti; bisogna inoltre indagare se recentemente si sono avuti periodi di diarrea alternati a costipazione, quindi è importante anche vedere se vi è presenza di emorroidi, incontinenza fecale o di un ano pretenaturale. LA FUNZIONE DI ELIMINAZIONE URINARIA L’urina è un escrezione che libera l’organismo da scorie che sono molto dannose se, per cause patologiche vengono trattenute dell’organismo. L’urina è escreta dai reni attraverso gli uteri, trasportata nella vescica urinaria e da lì espulsa attraverso l’uretra; è un liquido di colore giallo paglia a reazione leggermente acida, con densità tra i 1015÷1020, con odore aromatico appena emessa, ed ammoniacale a distanza di tempo; contiene sostanze inorganiche (sali di sodio, Ca, K,P, solfati) e sostanze organiche (urea, che deriva dalle proteine, acido urico che proviene dagli acidi nucleici, creatinina derivante dall’usura dei tessuti corporei, ammoniaca). I problemi urinari nell’anziano sono vari tra essi ricordiamo l’incontinenza urinaria. Nell’anziano l’incontinenza urinaria è un sintomo rivelatore di una malattia che richiede un’adeguata diagnosi; è un disturbo notevolmente limitante e sgradevole tanto che da solo, può etichettare un anziano non autosufficiente. Per incontinenza urinaria si intende la fuoriuscita dal meato urinario in qualsiasi momento del giorno e/o della notte: questo inconveniente causa all’anziano ansietà frustrazione ed esclusione dai rapporti sociali. E’ importante che l’infermiera sostenga l’anziano psicologicamente, lo tranquillizzi, lo incoraggi e lo stimoli a recuperare cercando di prevenire stati depressivi, si dovrà fare in modo da permettere all’anziano di uscire dalla propria abitazione senza che sia reso pubblico il suo problema privato; dovrà cercare di collaborare e coinvolgere i famigliari con lo scopo di aumentare il grado di autonomia; dovrà assicurasi che non vi siano fattori ambientali o comportamentali responsabili dell’incontinenza; dovrà valutare il grado di collaborazione. Sono state fatte molte classificazioni del sintomo incontinenza allo scopo di facilitare la diagnosi differenziale delle affezioni che possono determinarla, la terapia ed anche l’assistenza infermieristica. 10 PAGINA Infermiere a Pavia Sedi dove è collocata ed il tipo di incontinenza: • disfunzione del pavimento pelvico INCONTINENZA DA SFORZO • disfunzione dell’uretra e del collo vescicale INCONTINENZA DA SFORZO O DA RIGURGITO • disfunzione della vescica INCONTINENZA DA URGENZA • disfunzione del controllo nervoso VESCICA NEUROLOGICA Di solito le cause di incontinenza urinaria sono: 1. incontinenza urinaria transitoria (recente uso di catetere vescicale, infezioni, stato confusionale, fecaloma ecc. 2. incontinenza urinaria stabile (donna) ipotonia del pavimento pelvico, prolasso uterino, ecc. 3. incontinenza stabile (nell’uomo) ipertrofia prostatica, sclerosi del collo vescicale, prostatectomia; 4. incontinenza nei due sessi (demenza, parkinsonismio, ictus celebrali, lesioni midollari, neuropatie, diabete). Numerose sono le cause neurologiche; si può trattare di incidente vascolare celebrale, di tumori celebrali o del midollo; spesso gli stati demenziali sono accompagnati da incontinenza, la sua comparsa è progressiva e diventa irreversibile. Ogni permanenza a letto può essere determinata dall’astenia che comporta il decubito, ma anche da lasciarsi andare dall’anziano in queste condizioni possiamo distinguere: 1. incontinenza acuta, si riconoscono come cause principali: a) delirio b) riduzione mobilità, ritenzione c) infezioni, infiammazione d) poliuria, (diabete, farmaci) Tutti questi fattori sono potenzialmente reversibili: 2. incontinenza permanente, causa principale: a) stimolo b) urgenza c) eccesso d) funzionale Ricordiamo che il problema dell’incontinenza nell’anziano non è mai così schematico, ma esistono sovente associazioni fra le forme predette. Provvedimento di cura associato ai processi di eliminazione. DEFICIT: Alterato nodello di eliminazione urinaria collegata a: 1. fattori fisiologici 2. anomalie congenite 3. ridotta capacità vescicale (infezioni, trauma, carcinoma) 4. ridotti segni vescicali, compromessa capacità di riconoscerli (infezioni, tumori, ictus cerebri, neuropatia, Parkinson) 5. correlati trattamenti (intervento chirurgico, strumentazione diagnostica, post cateterismo a permanenza) 6. situazioni personali ed ambientali (invecchiamento). INTERVENTO: Funzione curativa: 1. accettare la presenza di fattori correlati 2. accettare il modello di minzione, incontinenza e di assunzione dei liquidi 3. aiutare la persona a sviluppare strategie di risoluzione dei problemi 4. favorire la minzione 5. promuovere l’integrità personale e fornire motivazioni per un maggior controllo della vescica. INCONTINENZA FECALE Anche la defecazione avviene con duplice meccanismo, volontario ed automatico: i centri ortosimpatici e parasimpatici lombari e sacrali sono localizzati più caudamente rispetto a quelli vescicali. Sia gli stimoli afferenti che quelli efferenti vanno dalla mucosa rettale al plesso emorroidario ed al midollo attraverso i nervi pudendi ed il plesso ipogastrico, realizzando un arco riflesso. Lo sfintere anale è sotto controllo volontario, ma la sua azione è meno importante dello sfintere anale interno; la distensione delle pareti del retto per la massa fecale provoca automaticamente la contrazione della muscolatura rettale e il rilasciamento dello sfintere anale interno che si attua tramite il sistema nervoso parasimpatico, avendo quello ortosimpatico una funzione secondaria. 11 PAGINA Numero 2/2001 Le feci sono il residuo degli elementi ingeriti e sottoposti ai processi digestivi nell’apparato gastrointestinale: sono composte da residui alimentari ingeriti, elementi della flora batterica intestinale ed acqua per il 60/80% circa. Il materiale fecale procede lungo l’intestino grazie ai movimenti peristaltici della parete; nel tragitto viene sottoposto a continui movimenti di rimescolamento che favoriscono l’assorbimento attraverso la parete intestinale. La distensione dell’ampolla rettale determina la contrazione del retto sigma ed il rilasciamento della muscolatura degli sfinteri e dei muscoli del pavimento pelvico con emissione del materiale fecale. Per quanto riguarda l’incontinenza fecale, che è pure fastidiosa, il discorso è diverso in quanto la sua frequenza è minore. Esistono condizioni favorenti o predisponenti analoghe a quelle dell’incontenenza urinaria, ma anche irregolarità dell’alvo, specie la diarrea, ed inoltre le affezioni ano-rettali come emorroidi, le neoplasie, ed il prolasso rettale. E’ una situazione sgradevole e degradante per il paziente e può essere sintomo di una malattia. Essa può presentarsi in due modi, con perdite di feci semiformate o con perdita di feci formate una o due volte al dì. Anche per l’incontinenza fecale possiamo parlare di cause generali e cause locali. Come cause generali possiamo indicare l’uso eccessivo di purganti o altri farmaci, oppure carcinoma del colon o del retto, ecc. Un’altra causa di incontinenza che si riscontra particolarmente nei pazienti affetti da malattie cerbovascolari avviene in conseguenza di un’involontaria evacuazione dovuta ad un difetto di inibizione corticale. In questo caso bisognerà cercare di sboccare il riflesso di svuotamento del colon e cercare di provocare la funzione intestinale in condizione controllate. Come cause locali possiamo indicare la stitichezza, che è frequente negli anziani immobilizzati in quanto è strettamente correlata con l’invalidità fisica e l’immobilità. In conseguenza della mancata evacua- zione si possono raccogliere nel retto masse di feci che provocano irritazioni della mucosa e fuoriuscita continua di un secreto simili per odore e colore alle feci stesse; in questi casi, per risolvere il problema sarà utile praticare clisteri fino allo svuotamento del retto. Notevole importanza riveste l’assistenza infermieristica sia tecnica sia psicologica, infatti non va dimenticato che l’incontinenza fecale colpisce particolarmente gli anziani che vengono istituzionalizzati rispetto a quelli non istituzionalizzati. Sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico può risultare utile un inquadramento dalle caratteristiche dell’incontinenza fecale. Quindi possiamo dire ed affermare che l’assistenza all’anziano è un processo significativo, terapeutico ed interpersonale, che mira a favorire il processo di guarigione. Alterazione dell’eliminazione intestinale correlata a: Stipsi da: 1. innervazione difettosa debolezza della muscolatura ed immobilità (demenza senile) 2. riduzione del metabolismo 3. dolore (emorroidi) 4. effetti collaterali da farmaci 5. uso abituale dei lassativi Bibliografia Dott. A. Volpi, Gerontologia e Geriatria, Ed. Goliardica Pavese L’infermiere – settembre/ottobre 1998 Diarrea 1. malassorbimento o infiammazione 2. aumento metabolismo 3. processo infettivo 4. intervento chirurgico 5. effetti collaterali Funzione curativa 1. accertare la presenza dei fattori eziologici 2. promuovere misure correttive 3. ridurre il dolore rettale, se possibile insegnando misure correttive 4. proteggere la cute circostante da lesioni 5. spiegare gli effetti sulla peristalsi. In conclusione possiamo affermare che la soluzione del problema di incontinenza nell’anziano è innanzitutto quello di determinare accuratamente le cause e di conseguenza di ottimizzare l’assistenza verso questi pazienti. L’autore * Infermiera Professionale Poliambulatori - Vigevano 12 PAGINA Infermiere a Pavia Un percorso tortuoso quello del materiaSilvia Giudici * Il riflesso della defecazione inizia quando la massa fecale o i gas passano dal sigma al retto. Le feci entrano nel retto in seguito ad un movimento propulsivo della massa nel colon, oppure volontariamente attraverso un aumento della pressione intraddominale, mediante la contrazione dei muscoli addominali e l’ispirazione forzata a glottide chiusa che spinge il diaframma verso il basso. Ne consegue una distensione del retto, una aumentata pressione intrarettale e quindi il bisogno di evacuare. Le persone in grado di controllare lo sfintere anale possono ritardare l’atto della defecazione, mediante la costrizione dell’ano. Se l’atto della defecazione viene interrotta, le feci rimangono nel retto finché viene di nuovo stimolato il riflesso di defecazione. Caratteristiche delle feci Il materiale fecale è composto da residui di cibo, batteri, leucociti, cellule epiteliali, secrezioni intestinali e acqua. Delle feci occorre considerare: Frequenza È un fattore individuale. Normalmente varia da 1-2 v/die a 1-3 volte la settimana per un adulto. Un bambino piccolo (neonato) invece evacua 3-4 v/die. Per alcune persone l’evacuazione quotidiana è considerata, per inadeguate conoscenze, essenziale per un vivere bene, a tal punto che diventano ansiose se non raggiungono questo obiettivo. Solo un’evacuazione maggiore a 3v/die o inferiore a 1v/sett. può indicare un problema per quanto riguarda la frequenza. In questo caso l’educazione verso il paziente costituisce l’intervento fondamentale dell’infermiere per aiutarlo nei propri bisogni di eliminazione. Circa le conoscenze errate sulla defecazione, molte persone ricorrono a lassativi, supposte e persino enteroclismi per raggiungere l’o- biettivo dell’evacuazione se dall’ultima scarica sono passati appena due giorni. L’uso continuo di questi farmaci dà origine ad un ciclo che porta alla dipendenza fisica. È responsabilità dell’infermiere dare al paziente accurate informazioni sulle normali funzioni del corpo. Quantità La quantità di feci varia con la quantità ed il tipo di cibo ingerito, l’introduzione di liquidi e la frequenza di evacuazione. Normalmente è di circa 150 gr./die. Una certa percentuale di feci non è di origine dietetica; pertanto l’infermiere deve ricordarsi che, anche se è a digiuno, un paziente può comunque continuare ad evacuare. Possono passare alcuni giorni prima che il bolo alimentare attraversa tutto l’intestino e venga eliminato. Per cui il colon potrebbe non essere libero da feci anche se il paziente è da giorni che non mangia. Colore Il normale colore delle feci è marrone. Questa colorazione è prodotta dai pigmenti biliari. A volte le feci possono assumere una diversa colorazione da quella così definita “normale” e di conseguenza si possono avere: - Feci biancastre. Sono feci acoliche. Si riscontrano in caso di ostruzione biliare, mancata produzione di bile, ma anche in seguito ad assunzioni orali di bario. - Feci chiare. Sono feci steatorroiche solitamente miste a grassi o a muco ed indicano malassorbimento dei grassi. Si presentano lucide e di consistenza viscida. - Feci nerastre. Sono feci di colore molto scuro e possono essere il risultato di un’introduzione supplementare di ferro. Sono anche indice di sanguinamento del tratto gastro-intestinale, specialmente se hanno consistenza della pece. Molto spesso rnaleodoranti e non formate, quest’ ultime vengono definite “melena”. - Feci verdastre. Nel neonato vengono chiamate meconio e sono di colore verde scuro o nerastre per ingestione di liquido amniotico, presenza di cellule epiteliali e bile. - Feci rossastre. Possono essere causate dall’ingestione di barbabietole o posso- 13 PAGINA Numero 2/2001 no essere il risultato di un sanguinamento del tratto gastro-intestinale, dove i globuli rossi non sono stati emolizzati dai processi digestivi nell’intestino. Se invece le feci sono striate di sangue, la causa potrebbe risalire alla presenza di emorroidi. Mentre il sangue miscelato nelle feci sta ad indicare un sanguinamento in un punto alto del colon. Consistenza La consistenza delle feci è il fattore più significativo per determinare la presenza di stipsi o diarrea. La consistenza varia da liquide a soffici, da non formate a consistenti, da formate a dure e dipende dalla quantità di acqua in esse contenuta. L’acqua viene assorbita a livello del colon. Se il transito intestinale è veloce, le feci saranno molli; se il transito è lento, allora le feci saranno molto secche. A seconda della consistenza si avranno: - feci liquide e quindi diarrea; - feci soffici cioè feci con un normale contenuto d’acqua; - feci dure ovvero feci povere d’acqua. Questa condizione porta a maggiori difficoltà di eliminazione a volte accompagnata da dolore (feci caprine); - fecalomi o ammasso di feci dure. che si raccolgono nel retto ostacolandone l’uscita dallo stesso. Portano ad una condizione di stipsi o in alcuni casi alla subocclusione intestinale. A volte è necessaria la rimozione meccanica. Da ricordare che la presenza prolungati di feci nell’intestino porta a distensione addominale e sensazione di gonfiore. Anche un’eccessiva presenza di gas nel tratto gastro-intestinale fa insorgere questa sintomatologia. Si definisce flatulenza o distensione gassosa la presenza di anormali quantità d’aria nel digerente. Il gas in eccesso viene eliminato attraverso la bocca mediante le eruttazioni e attraverso l’ano con il meteorismo. Se ciò non avviene possono insorgere dolori addominali crampiformi e se la distensione addominale è tale da comprimere il diaframma anche difficoltà respiratoria. Quando l’addome è disteso, la sua percussione, produce un suono timpanico. Forma Ricalca grossolanamente il diametro del retto (forma cilindrica). Un reperto anomalo, ristretto a forma di matita (feci nastriformi), è indice di una ostruzione/alterazione strutturale della porzione terminale dell’intestino probabilmente per la presenza di una neoplasia Odore L’odore è prodotto dall’azione dei batteri nel colon e generalmente è influenzato dal tipo di flora batterica in esso presente, dal cibo ingerito e eventuali farmaci assunti. Infezioni o sanguinamenti del tratto gastrointestinale provocano notevoli cambiamenti dell’odore. Elementi patologici nelle feci Sangue, pus, muco, cibi non digeriti, grumi di amído, parassiti e uova di parassiti sono indice di malattia. Lassativi e catartici Sono farmaci che inducono lo svuotamento dell’intestino ma, mentre i primi hanno una blanda azione, i secondi sono più potenti. Vi sono quattro categorie di lassativi e precisamente: - Stimolanti: agiscono direttamente sulle fibre che innervano l’intestino provocando la peristalsi. Esempi di lassativi stimolanti sono l’olio di castoro e la senna; - Lubrificanti: agiscono direttamente sulla massa fecale rendendone scivolosa la superficie esterna in modo che possa facilmente passare nel tratto intestinale. Ne sono un esempio gli oli minerali a base di solfosuccinato di sodio o di calcio. Sono in grado di ridurre la tensione di superficie della massa fecale permettendo all’acqua di penetrarvi; - Rieducanti: si chiamano così in quanto si usano per la rieducazione di pazienti abituati a prendere lassativi. Queste sostanze aumentano il volume della massa fecale, assorbendone l’acqua. È quindi essenziale che vengano assunti con abbondanti liquidi onde evitare ostruzioni del tratto intestinale. Sono dei derivati naturali o sintetici di polisaccaridi e cellulosa. Esempi sono l’agar, metilcellulosa o sodio, carboxi-metilcellulosa; - Salini: hanno attività osmotica. Attirano acqua nell’intestino aumentando la massa fecale e lubrificandola. Ne è un esempio il latte di magnesio. Questo lassativo agisce naturalmente entro 1-3 ore e viene usato come purgante per completare lo svuotamento intestinale. Oltre all’assunzione orale di oli, pappine, polveri, pastiglie lassative esistono dei preparati che vengono somministrati per via rettale. A questa categoria appartengono le supposte, le perette o enteroclismi o clisteri. Questi si differenziano tra di loro a seconda della consistenza e della quantità usata. Supposte Sono farmaci di consistenza solida, di forma ovoidale, usati per stimolare l’evacuazione. Le supposte hanno la capacità di sciogliersi a una volta introdotte nel retto. Le più frequentemente usate sono quelle di glicerina e di bisacodyl. La glicerina agisce come irritante locale stimolando la secrezione della mucosa, mentre il bisacodyl stimola la peristalsi andando ad agire direttamente sulle terminazioni nervose. Altre supposte, una volta sciolte, sono in grado di distendere il retto e stimolare la defecazione. Ne sono un esempio le supposte all’anitride carbonica le quali sono capaci di rilasciare 200 ml di C02 nel retto. Enteroclismi Prevedono l’introduzione di liquidi nel retto per mezzo di una sonda, generalmente o allo scopo di stimolare la peristalsi e la delegazione andando a distendere l’intestino. In questo caso l’enteroclisma viene chiamato Enteroclisma di pulizia. È indicato per trattare la stipsi o un fecaloma; pulire l’intestino prima di effettuare esami radiologia ed endoscopici; interventi; o come preparazione al parto; aiutare l’intestino durante un programma di educazione all’evacuazione di feci e svuotamento dei gas dall’intestino. Possono essere soluzioni ipotoniche (es. l’acqua potabile), isotoniche (es. la soluzione fisiologica), ipertoniche (es. la soluzione di fosfato di sodio o bifosfato di sodio). Esiste anche un enteroclisma medicamentoso detto anche Enteroclisma di ritenzione. Serve per lubrificare o ammorbidire la massa fecale facilitandone così l’espulsione. Questo tipo di preparato (solitamente sono degli oli) deve essere trattenuto nell’intestino per un periodo prolungato di tempo. Meno frequentemente può essere eseguito per somministrare farmaci a ne proteggere a membrana mucosa dell’intestino. In questo caso viene chiamato: antielmintico se usato per distruggere i parassiti intestinali; carminativo se usato per alleviare la distensione intestinale; nutritivo se usato come apporto di liquidi e sostanze nutritive (oggi ormai sostituito dalla terapia parenterale). Altri tipi di enteroclismi sono: - Enteroclisma saponoso, viene usato sapone di Marsiglia in un litro d’acqua. Agisce per irritazione chimica della mucosa intestinale. Oggi non più utilizzato in quanto causa frequente di infiammazioni rettali e coliti. Altri enteroclismi saponosi a contenuto di esaclorofene possono invece provocare discrasie ematiche. - Enteroclisma con latte e bicarbonato usato nelle stipsi ostinate. - Enteroclisma con lattulosio usato nelle iperammoniemie. - Enteroclisma con latte e melassa (non più usato). - Enteroclisma con oli vegetali (raramente usato). L’autore *Infermiera Fondazione Salvatore Maugeri, Centro Medico di Pavia - Medicina Generale 14 PAGINA Infermiere a Pavia Incontinenza fecale S. Fusetti * F. La Torre ** S. Pontone *** L’incapacità di controllare l’atto della defecazione in spazi e tempi socialmente appropriati, in altre parole l’incontinenza fecale, è un sintomo che, proprio per l’impatto psicologico che ha sull’individuo ed il conseguente isolamento sociale, spesso risulta essere sottostimato rispetto ad altri sintomi cosiddetti “puliti”. Tale sintomatologia può essere paragonata alla punta di un iceberg, che cela sotto di sé un così vasto e vario numero di cause da rendere necessaria una pausa riflessiva riguardo alla classificazione eziologica. Nonostante l’atto del defecare possa sembrare cosa semplice e naturale, le strutture neuromuscolari e non che vi partecipano, sono molto complesse e necessitano di una coordinazione motoria che spesso vive su equilibri molto delicati e facilmente attaccabili, proprio per la scarsa considerazione della quale godono. Le patologia che vanno ad intaccare i meccanismi principali della continenza (consistenza del materiale fecale, capacità o compliance dell’ampolla rettale, strutture recettoriali, muscolatura del pavimento pelvico e sfintere anale nelle sue due componenti volontaria ed involontaria), sono talmente tante e di natura così differente che cercare di schematizzarle potrebbe risultare arbitrario. Fondamentale per la riuscita di qualsiasi trattamento e terapia che si decida utilizzare è che quest’ultima sia adatta al paziente in questione. Ci si trova infatti di fronte a diverse tipologie di malati. Non è detto che la terapia migliore o più efficace per il medico sia poi quella migliore o più efficace per il paziente. Le condizioni generali dell’ammalato, infatti, devono essere prese in considera- zione e rivestire un ruolo importante, spesso, più importante della patologia che ha effettivamente portato all’incontinenza. Le diverse soluzioni terapeutiche che possono essere adottate quindi, devono essere accettate dalla persona che per prima ne usufruisce. Il paziente deve essere rassicurato, istruito e reso partecipe, così da essere in grado di collaborare al meglio con il personale sanitario. Le modalità terapeutiche adottabili per il trattamento dell’incontinenza possono essere diversificate in base alla propria invasività. Qualora non si riesca a raggiungere risultati significativi attraverso gli adeguati presidi dietetici e farmacologici, si può restituire all’apparato sfinterico la coordinazione motoria ed il trofismo attraverso l’uso di apparecchiature cosiddette riabilitative che, mediante l’utilizzo di impulsi elettrici di amperaggio e frequenza adeguati a protocolli ormai ampiamente e approfonditamente sperimentati, hanno dimostrato dare ottimi risultati sulla risoluzione del sintomo. L’elettrostimolazione infatti, associata ove necessario al biofeedback, restituisce al paziente la coscienza del proprio apparato sfinterico, restituendo inoltre a quest’ultimo il trofismo necessario alla continenza. Al potenziamento ottenuto attraverso l’elettrostimolazione si aggiunge l’effeto del biofeedback che, essendo una “ginnastica attiva”, consente al paziente di capire quali effettivamente sono le sue condizioni e quali gruppi muscolari è necessario attivare per ottenere il miglior risultato possibile. Lo schermo del computer in questo caso rappresenta, secondo per secondo, una continua spia di come tutte le strutture del pavimento pelvico vengano utilizzate dal paziente. Nel caso in cui i presidi terapeutici meno invasivi non possano essere adottati, o diano risultati sfavorevoli, la chirurgia assume un ruolo importante, ponendo nel tempo soluzioni innovative. Già da tempo la sfinteroplastica ed altre tecniche ricostruttive, sono state utilizzate per consentire nuovamente al paziente di dettare tempi e modalità socialmente adeguati alla defecazione. Ad oggi la ricerca e lo studio dei materiali, hanno portato nuove soluzioni. Si tratta delle tecniche di sostituzione sfinterica: la gracileplastica; lo sfintere anale artificiale. La gracileplastica consiste nell’impianto a fionda intorno al retto di uno od entrambi i muscoli gracili, i quali, per la loro struttura, possono sostituire gli sfinteri anali. Allo scopo di evitarne l’incontinenza vengono elettrostimolati da una batteria o, dall’esterno, da un elettrostimolatore. Lo sfintere anale artificiale invece è un sistema idraulico chiuso costituito da una cuffia solidale con un a valvola; la prima viene posizionata intorno all’ano mentre la valvola è situata in un grande labbro o nello scroto e consente al liquido in esso contenuto di transitare in un serbatoio sito nello spazio sovrapubico e o da esso refluire, a seconda che si voglia riempire o svuotare la cuffia stessa. Tutti i sistemi elencati in questo articolo consentono di aiutare i pazienti a risolvere il grave sintomo in esame, raggiungendo a tutt’oggi percentuali di successo superiori al 30%. L’autore * Infermiera AFD, Terapista della riabilitazione enterostomale, II Padiglione Uomini - Policlinico Umberto I Roma ** Dirigente Responsabile Dipartimento di Coloproctologia Policlinico Umberto I - Roma *** Medico Riabilitatore Dipartimento di Coloproctologia Policlinico Umberto I - Roma 15 PAGINA Numero 2/2001 Imparare a convivere con una stomia Angela Minoia * Dario Antoniotti ** La costante evoluzione delle tecniche chirurgiche e la crescente diffusione di interventi, che nel tentativo di salvare o più semplicemente di prolungare la vita umana, hanno portato alla attuazione di interventi demolitivi che provocano un handicap. La stomia, in particolare, è un handicap molto perturbante in quanto evoca la sensazione di un intervento “non finito”, di una ferita “non guarita”, che determina nei pazienti sensi di colpa e angoscia e quindi il rifiuto di questa parte del proprio corpo. L’Infermiere, e ancora di più lo specializzato enterostomista, deve essere consapevole di tutto ciò, alla luce del momento in cui tale professionista viene a contatto con il paziente, che frequentemente avviene, purtroppo, dopo l’effettuazione dell’intervento chirurgico e della dimissione dalla struttura di ricovero. Il confezionamento di una stomia altera il vissuto di uno schema corporeo, il paziente stomizzato non si sente più integro, ma inconsciamente, la stomia, rappresenta per lui una zona di debolezza, un corpo estraneo che tenderà ad accettare come definitivo solo quando l’avrà integrato nel suo nuovo schema corporeo. Ci si trova infatti di fronte ad una persona il più delle volte depressa, ansiosa, potenzialmente aggressiva che tende a “scaricare” sul professionista sanitario tutta la sua angoscia; obiettivo primario sarà quello di ricostruire, con il paziente, la nuova immagine corporea, dando modo di “ricucire” la ferita, assumendo nei sui confronti una posizione di empatia, ascolto e disponibilità, rispettando i tempi propri del soggetto. La perdita della continenza rappresenterà uno dei problemi più importanti ed angoscianti che rende più difficile l’adattamento alla nuova condizione, psicologicamente il paziente regredisce alla condizione infantile quando cioè non era ancora in grado di controllare la continenza fecale. Che cosa significa in questo caso Riabilitazione? Il dizionario riporta queste definizioni: “Ritornare in buone condizioni o in grado di lavorare”; “Essere in grado dopo una malattia, di svolgere il proprio ruolo nel mondo”. La riabilitazione degli operati per una neoplasia del grosso intestino e portatori di una stomia ha, come obiettivo finale, il reinserimento dei pazienti nella vita di tutti i giorni e il miglioramento delle loro condizioni esistenziali. Si realizza attraverso: a) l’intervento interdisciplinare di componenti mediche, infermieristiche e sociali; b) la predisposizione di spazi operativi all’interno delle strutture ospedaliere e di base; c) la formazione e l’aggiornamento sulla riabilitazione del personale medico, infermieristico e sociale. Le soluzioni chirurgiche a molti mali in realtà non sempre sono delle soluzioni in senso assoluto. Spesso sono solo parziali e, talvolta, rappresentano il punto di partenza di una serie di problematiche nuove. Nel campo specifico delle malattie del grosso intestino spesso capita che la chirurgia demolitiva debba servirsi della costruzione di una nuova via anale preternaturale e mai come nel caso di questa tipo di intervento, l’informazione da dare al paziente prima dell’atto operatorio e il posizionamento corretto della futura stomia è una sostanziale necessità. L’errore più grave e purtroppo ancora tanto diffuso che si può commettere in questa fase è quello di tacere al malato che egli avrà uno stoma. Un paziente consapevole e responsabile di ciò che dovrà affrontare costituisce indubbiamente la piú valida collaborazione per raggiungere un’assistenza ottimale e quindi con tutta probabilità, un miglior decorso dove l’iter riabilitativo può essere iniziato precocemente e con maggiori risultati ai fini del reinserimento. Il significato della riabilitazione é soprattutto apprendimento ed é giusto che appena le condizioni del malato lo consentano, le manovre di accudimento dello stoma prese in carico dallo staff infermieristico, devono essere eseguite con adeguate spiegazioni in modo tale che presto il paziente sia in grado di svolgerle da 16 PAGINA Infermiere a Pavia solo. In ogni caso deve essere chiaro che la responsabilità della cura dello stoma è del paziente a meno che non sia afflitto da gravi limitazioni, dove la cura sarà affidata ad un membro della sua famiglia. La prima medicazione eseguita dall’infermiera deve consistere nell’applicazione di una placca di protezione con una sacca raccoglitrice, oppure di una sacca con placca già inserita; questo materiale può essere scelta tra una vasta gamma di prodotti attualmente in commercio, ma ciò che fondamentalmente é da tener presente, é che la sacca deve avere un foro i cui contorni corrispondano precisamente alla circonferenza dello stoma, in modo tale che nessun contatto avvenga tra i prodotti di deiezione e la cute. Un altro criterio importante che riguarda la preservazione della cute é quello di non ricorrere mai a detergenti irritanti come l’etere e la benzina, per cui si deve insegnare al malato a servirsi semplicemente di acqua e sapone per la pulizia della stoma. Non appena le condizioni fisiche e psicologiche del paziente lo consentano, si può iniziare la vera fase della rieducazione intestinale per ovviare all’inevitabile incontinenza che costituisce il principale assillo dello stomizzato. A tal fine viene sfruttata una delle funzioni fisiologiche del colon: la continenza colica. Tale continenza potenziata con le metodiche riabilitative, dovrà supplire alla perdita dell’altra forma di continenza, quella cioè retto-sfinterica. INDICAZIONI ALL’IRRIGAZIONE Perché l’irrigazione possa esplicare i suoi benefici effetti e necessario che il paziente abbia conservato un tratto di colon sufficientemente ampio. Infatti solo nelle stomie più distali l’affluente fecale e formato da feci solide e l’emissione e ritmica. Non possono perciò trarre vantaggio dall’irrigazione le ileostomie o le ciecostomie, dove il ruolo di serbatoio svolto dal colon e del tutto abolito. Anche le trasversostomie non garantiscono risultati apprezzabili, infatti uno stoma confezionato sul colon trasverso emette in genere feci poltacee senza però alcun ritmo. In definitiva quindi le stomie che si prestano meglio a una riabilitazione mediante irrigazione sono quelle in cui sia stato conservato almeno un tratto di colon sinistro, perciò è evidente che la “sigmoidostomia” soprattutto se terminale, è certamente lo storna meglio gestibile Non tutti i pazienti portatori dì colostomia terminale sinistra risultano adatti alla pratica dell’irrigazione, esistono infatti: CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE 1) Dipendenti dal paziente: * Ritmicità normale di evacuazione * Inabilità fisica o psichica 2) Dipendenti da patologia colica associata: * Morbo di Crohn * malattia diverticolare 3) Dipendenti da una complicanza stomale: * Stenosi * Prolasso * Ernia peristomale * Recidiva neoplastica stomale CONTROINDICAZIONI RELATIVE * Colon irritabile * Chemioterapia * Radioterapia 17 PAGINA Numero 2/2001 L’IRRIGAZIONE Il più grande handicap per il colostomizzato è certamente la perdita della continenza, spesso necessario tributo per il conseguimento di una maggiore radicalità chirurgica. Per questo, se da un lato si tende a ridurre al minimo le indicazioni alla confezione di una colostomia, dall’altro si cerca di affinare sempre più le metodiche fisiche, i principi igienico-dietetici e le tecniche chirurgiche volte al conseguimento di una maggiore regolarità nello svuotamento del colon. A differenza dell’intestino tenue in cui gli effluenti sono liquidi per l’elevato contenuto idrico, nel colon il progressivo riassorbimento dell’acqua li rende semisolidi e ne riduce notevolmente la quantità. Per questo motivo e grazie anche alla sua peculiare attività motoria, il colon può contenere le feci, fungendo da serbatoio, e determinando una certa ritmicità nelle evacuazioni. Anche in assenza dello sfintere anale, perciò dopo qualche tempo dall’intervento, le feci non vengono emesse continuamente, ma con un ritmo spesso vicino a quello precedente all’operazione chirurgica. il ruolo dell’irrigazione e quindi, più che altro, quello di ripristinare più rapidamente e mantenere poi questa ritmicità. TECNICA DELL’IRRIGAZIONE L’irrigazione può essere iniziata quasi subito dopo l’intervento, ma in genere e meglio attendere almeno 15 giorni per dare modo alla stomia di consolidarsi maggiormente. Si può comunque aggiungere che non vi sono limiti massimi all’intervallo di tempo intercorso fra l’operazione e l’applicazione del “wash out”; l’irrigazione può infatti essere iniziata anche a distanza di anni dalla confezione della colostomia, senza che questo ne pregiudichi i risultati. L’esecuzione di questa tecnica è semplice: si tratta in pratica di un enteroclisma eseguito con modalità ed attrezzature specifiche. Il paziente stomizzato, in bagno e in posizione seduta, scopre il suo stoma. Fatto ciò, applica alla stomia una partico- lare sacca molto ampia e priva di fondo, che servirà a convogliare le feci nel recipiente di raccolta Per l’irrigazione vera e propria viene utilizzato un contenitore in materiale plastico che abbia una capacità di circa due litri d’acqua e che sia connesso, mediante un tubo, ad una particolare cannula di forma troncoconica. La cannula viene lubrificata ed introdotta delicatamente nello stoma. A questo punto sì inizia a far defluire il liquido (in genere 500-700 cc di acqua potabile tiepida) posto nel contenitore plastico che viene sospeso ad un apposito gancio, all’altezza di circa un metro dallo stoma. L’acqua di lavaggio e il contenuto intestinale vengono poi fatti defluire attraverso la sacca di scarico nel water. Dopo un’accurata toilette peristomale il paziente può applicare sullo stoma una qualunque copertura igienica “stomacap” che ha l’unico scopo di proteggerlo dal contatto con gli indumenti. A questa tecnica, di per se molto semplice, vanno poi associati tutti quei piccoli artifici che la personalizzano, adattandola a ciascun paziente. Così la periodicità di irrigazione (che per alcuni sarà di 24 ore, mentre per altri di 48 o 72 ore), la posizione migliore (seduta, supina, semisdraiata o ortostatica), l’uso di oli o altri additivi da aggiungere all’acqua, gli stessi riflessi condizionati che innescano la defecazione (l’orario, l’assunzione di bevande preliminari, ecc.) sono tutti piccoli accorgimenti tecnici che differiscono da soggetto a soggetto, ma che vanno attentamente rispettati in quanto possono garantire risultati migliori. In conclusione si può perciò affermare che l’introduzione di questa tecnica riabilitativa ha rivoluzionato la vita del colostomizzato, fornendogli la possibilità di un reinserimento sociale pieno e sicuro riportandolo ad una vita di relazione attiva ed efficiente: cosa del tutto impossibile nei tempi passati, quando il portatore di stoma, per la sua infermità, era spesso ghettizzato da tutto l’ambiente esterno. Bibliografia Procedure, protocolli e linee guida di assistenza infermieristica – ANIN – MASSON – cap. 17 “Protocollo per una corretta gestione delle stomia” di Angela Minoia e Dario Antoniotti Relazione tenuta ad un corso di aggiornamento per Infermieri – Angela Minoia – Pavia 1999 L’autore * Infermiera Poliambulatorio ASL - Pavia Ambulatorio Infermieristico Stomizzati ** Infermiere Poliambulatorio ASL Pavia Ambulatorio Infermieristico Stomizzati 18 PAGINA Infermiere a Pavia Un posticino tranquillo Maura Cattanei * Vi siete mai trovati a passeggiare per le vie di una delle nostre stupende città d’arte quando, all’improvviso, vi sorge un impellente bisogno di soddisfare una necessità improrogabile ma… Da anni sono sparite dalle nostre città , rimosse per ragioni di sanità pubblica, tutte le latrine e gli orinatoi di romana memoria. Purtroppo non sono state sostituite, i tentativi fatti sono spesso abortiti e rimangono solo degli orribili gabinetti chimici. Entrare in quella specie di cella di rigore, anche se spinti da un bisogno forte e chiaro, dà spesso una brutta sensazione: la puzza, la sporcizia imperanti e la sensazione di claustrofobia vengono esaltate da una domanda che sicuramente sorge in tutti: riuscirò ad uscire da qui? Solo da pochi anni è stato determinato l’obbligo, da parte di esercizi commerciali quali bar e anche negozi, di dare ai propri clienti la possibilità di poter soddisfare i propri, non delegabili, bisogni di evacuazione e sempre da pochi anni è possibile anche ai portatori di handicap usufruire di queste toilette. Nel nostro concetto di civiltà è compresa, ormai in modo inderogabile, la necessità di disporre di un locale appartato dove espletare la funzione dell’evacuazione, l’assenza di un luogo siffatto ci causa grande imbarazzo, accettiamo alternative solo in situazioni e luoghi esotici od estranei alla nostra cultura. L’acquisizione del concetto che ciò che viene espulso dal nostro corpo è potenzialmente pericoloso per la nostra salute, se non adeguatamente trattato, non è recente, ma è solo con la civiltà industriale che si è arrivati ad avere la possibilità, ma solo in Occidente, di un corretto smaltimento di rifiuti organici. È nel XIX secolo che si sviluppa la tecnologia necessaria a garantire l’allontanamento immediato dei liquami ed è bene ricordare che la stessa Florence Nightingale si batté a lungo per assicurare a tutti, e in particolar modo ai più poveri, quelle che lei descriveva come le caratteristiche essenziali per una casa salubre: aria pulita, acqua pulita, sistema fognario efficiente, pulizia ambientale e illuminazione naturale. L’uomo ha sempre considerato tutto ciò che entra, esce, e attornia la propria persona sacro, solo la nostra civiltà, prettamente materialista, ha dimenticato questo semplice assunto. Anche i prodotti dell’evacuazione hanno, per questo, una loro valenza simbolica, in molte tradizioni i significati dell’oro e degli escrementi sono collegati; gli escrementi rappresenterebbero la potenza biologica sacra che risiede nell’uomo che, evacuata, può essere recuperata. Ciò che in apparenza è privo di valore ne sarebbe, al contrario, carico. Presso i Bambara del Mali, la classe degli iniziati che pratica la coprofagia, è quella degli avvoltoi, deglutire gli escrementi, associati alla notte, come il cibo ingerito viene associato alla luce, ha il significato di assimilare le forze profonde dell’universo; in molti popoli dell’Africa Nera i rifiuti sono considerati carichi di forze provenienti dall’uomo, per questo, offerti agli dei, essi recherebbero la pioggia o sarebbero dimora delle anime in attesa di reincarnazione. Fra gli escrementi considerati segno di abbondanza ci sono quelli del serpente dell’arcobaleno del Dahomey; l’escremento è perciò “una sintesi fra colui che mangia e ciò che è mangiato” (D. Zahan, Societès d’initiation Bambara, Le N’domo, le Kore, Parigi-L’Aia 1960) da questo il suo potere vitalizzante che spiega il suo utilizzo nella medicina tradizionale di molti popoli. Per gli Atzechi gli escrementi sono associati all’idea di peccato; il nome della dea Tlazolteotl, che rappresenta l’amore carnale, la fecondità, la confessione, significa mangiatrice di sporcizia o dea dell’immondizie, essa assolve al compito di divorare i peccati. Anche nella civiltà ebraica troviamo associato il concetto di escrementi con quello di impurità e peccato. Nella Bibbia, Levitico, leggiamo (5, 2-3): “Così, quando gli sarà accaduto di toccare un escremento umano, qualunque esso sia, dal quale egli possa essere contaminato, anche se non l’abbia fatto volontariamente, tuttavia, se poi viene a saperlo e non si purifica, egli è colpevole.” Le leggi dettate dai libri sacri delle civiltà medio ed estremo-orientali vanno considerate attraverso, sì, un’ottica religiosa, ma anche come prescrizioni 19 PAGINA Numero 2/2001 di carattere igienico: il liberarsi dalle impurità, le abluzioni, il rifuggire dagli escrementi hanno lo scopo di rendersi accettabili al Divino, l’uomo, essere creato dalla polvere e imprigionato nella materia, sente la necessità di liberarsi almeno della parte meno nobile di questa e rendersi meno colpevole di fronte al suo creatore, ma i sacerdoti, custodi della sanità spirituale e materiale del popolo, sapevano quanto queste regole fossero importanti per il mantenimento della salute. La concezione di un sistema che consentisse agli abitanti delle città di poter smaltire i rifiuti organici non è estranea alle civiltà del passato. Scavi archeologici effettuati a MohenjoDaro, località appartenente alla civiltà della valle dell’Indo, situata a sud di Larnaka (Pakistan) hanno evidenziato la presenza di vasti bagni pubblici e piccoli locali usati, forse, per le abluzioni rituali. Le strade non erano lastricate e disponevano di un efficiente sistema di scarico. Tutte le abitazioni avevano canali di scolo sotto il pavimento, un locale per il pozzo, un bagno e sembra che alcune fossero dotate di gabinetti con sedili. Questa civiltà viene collocata nel 25001700 a.C. ma anche tra le rovine della civiltà cretese e mesopotanica sono stati rinvenuti piccoli fossi dove venivano convogliate le acque nere. In occidente furono i romani, con grandiose opere d’ingegneria idraulica, ad attuare la diffusione di una cultura delle terme e a propagare in tutt’Europa il concetto di smaltimento dei liquami e dei liquidi organici. La parte di Roma dove vivevano le famiglie nobili, era dotata di un ottimo sistema di fognature, che confluivano nella Cloaca Massima; questa costruzione, considerata ancora oggi come il maggiore esempio di opera idraulica, scaricava le sue acque nere nel Tevere; essa venne costruita nel periodo regio, la leggenda vuole, durante il regno di Tarquinio Prisco, quinto re di Roma, le cui origini erano etrusche, per questo motivo è facile pensare che già gli etruschi e prima di loro i greci possedessero le conoscenze per dotare le abitazioni cittadine di locali adibiti alla funzione dell’evacuazione, teoria supportata dall’esistenza di vocaboli greci che li designano. La Cloaca Massima era lunga più di seicento metri, la razionalità della sua costruzione e la sua portata erano tali che essa si ostruì solamente nell’XI secolo d.C. La cultura dei romani per l’igiene trova- va la sua massima espressione nelle terme. Ovunque andasse il popolo dei romani costruiva gli accampamenti vicino a corsi d’acqua o a fonti e se la permanenza era lunga in quei luoghi sorgevano stabilimenti termali. Percorrendo l’Italia se ne trovano a centinaia, dalla famosa Fiuggi ai piccoli centri immersi nel verde delle nostre colline. I molteplici successi militari dell’impero erano sicuramente supportati dal fatto che il bisogno di igiene dei suoi cittadini li aiutasse a mantenere in buona salute le truppe, in ogni accampamento alla costruzione di valli e fossati difensivi seguiva da presso la preparazione delle latrine (termine ipoteticamente derivato da lavatrina: lavare). Sul luogo di questi accampamenti sono poi sorte molte delle nostre città e i canali di scolo delle acque piovane costruite dai nostri progenitori funzionano ancora come sistema di drenaggio. Nella città di Roma c’erano più di trecento bagni pubblici, intesi come luogo per la pulizia personale e come pubblico ritrovo, dapprima esse erano riservati alle classi nobili e solo in seguito furono aperti al resto della popolazione; nel secolo IV c’erano inoltre almeno 154 orinatoi pubblici, costruzioni a edicola chiamati in epoca successiva vespasiani e scomparsi solo da pochi anni dalle strade delle nostre città. Il nome “vespasiano” deriva dal nome dell’imperatore, Vespasiano appunto, che pose su di essi una tassa a carico degli artigiani che raccoglievano l’urina per ricavarne ammoniaca. I fullones o i coriarii, raccoglievano l’urina dalle anfore o doli spezzati (dolia curta) presenti negli orinatoi, essa veniva utilizzata da questi artigiani per tingere e conciare pelli e stoffe. A proposito di questo è famosa, a Pompei, una piazza in cui i passanti venivano invitati ad urinare, la sua forma concava consentiva la raccolta dell’urina. La latrina, nella casa privata, era molto semplice, essa era ricavata da uno spazio attiguo alla cucina, sistema che consentiva l’uso dello stesso canale di scarico, era costituita da uno zoccolo in muratura su cui era disposta una tavoletta con un foro centrale e un piano inclinato che consentiva il defluire degli escrementi verso il 20 PAGINA canale di scolo, in alcune case esistevano fosse o pozzi neri. Nelle case nobili le latrine potevano essere molto eleganti, nel Palazzo Palatino sono state trovate tracce di un ambiente semicircolare con sedili di marmo divisi da braccioli marmorei, davanti ai sedili c’era una vaschetta di acqua corrente. In mancanza della latrina si ricorreva a recipienti mobili posti sotto alla sedietta, cioè a sedie fisse o mobili con un foro al centro chiamate lasanum o sella pertusa: le antenate delle nostre comode. Le latrine pubbliche erano situate in un ambiente rettangolare o semicircolare, lungo le pareti erano disposti sedili di marmo sospesi sopra un canale di scolo, ad Ostia è stata rinvenuta una struttura dotata di una porta girevole che garantiva un po’ di privacy. Anche allora, come oggi, si usava coprire i muri delle latrine pubbliche con iscrizioni, queste scritte d’epoca hanno fornito spesso, agli storici, utili e interessanti indicazioni. Nei secoli successivi il bisogno di disporre di una stanza adibita alla funzione dell’evacuazione sembra scomparire, neppure nelle dimore più lussuose si pensava ad usare spazio per questo. La popolazione contadina non aveva problemi, poteva disporre di ambi e boscosi Infermiere a Pavia spazi, defecare e urinare significava restituire alla terra parte dei suoi doni; la parte più povera della popolazione cittadina, invece, vedeva scorrere in cloache a cielo aperto tutta la produzione corporale della città, le epidemie erano di casa e le malattie la normalità. Abbiamo testimonianza di ciò attraverso un’ordinanza del balivo di Versailles che nel XVIII secolo impediva “a tutte le persone di gettare materiale fecale, acqua e altre immondizie dalla finestra”. Solo in pochi casi si ha notizia di provvedimenti per lo sgombero dei rifiuti. A Norimberga i geheime Gremacher (luoghi segreti) venivano ripuliti da operai durante la notte, in molte città francesi le strade erano percorse da vetture adibite al ritiro, casa per casa, dei rifiuti e col secolo XVI furono emanate in Francia delle ordinanze parlamentari che obbligavano i proprietari ad avere in ogni casa dei retraits o privès. Verso la fine del Medioevo, in Europa, alcuni privati si fecero costruire vasche per la raccolta dei liquami domestici. Il contenuto di queste vasche, prototipo dei futuri pozzi neri, veniva svuotato nei fiumi o usato come concime nei campi. Il Viollet-le-Duc cita come modello il castello di Coucy, esso disponeva di latrine in ogni piano disposte in modo da evitare gli inconvenienti dell’uso. Le latrine erano spesso costruite in modo che i rifiuti cadessero nel fossato del castello, non si trattava di posti molto comodi, capitava che con gli escrementi precipitasse anche l’escretore. In Italia, negli scrittori dal XII secolo in poi si trovano riferimenti a locali adibiti a uso latrina, scrive Dante nella Divina Commedia “Quivi venimmo e quindi giù nel fosso vidi genti attuffate in uno sterco che dagli uman privati parea mosso” (Inferno, XVIII). Nel “Trattato di Architettura” di Francesco Martini, del XV sec., si accenna esplicitamente alla convenienza di collocare nei palazzi “destri ovvero necessari”. Destri e necessari sono ricordati nelle poesie del Berni e del Lippi, mentre nei trattati di agricoltura di P. de’ Crescenzi (1605) e di D. Vitale Mazzini (1625) si raccomanda che i necessari non siano costruiti vicino alle stanze di preparazione del vino. Non sappiamo come fossero costruiti questi locali, ma è facile immaginarlo vedendo quelli che ancora esistono nelle nostre campagne. Fino agli anni ’70 del nostro secolo molte abitazioni non disponevano di un gabinetto, ricordo ancora il pitale di mia nonna e la mia difficoltà, piccola come ero, ad usarlo, e vedo ancora il bugigattolo, separato dalla casa 21 PAGINA Numero 2/2001 e costruito come le latrine romane, in cui avevo paura di entrare: chissà cosa poteva uscire da quel buco nero! Ma ricordo anche la terribile puzza che scaturiva da un grosso buco scavato nel cortile di casa mia quando un tizio veniva a svuotarlo con una pompa. Nei secoli seguenti il problema di dove defecare e urinare sembra diventare argomento tabù. Nel 1500 Enrico VIII decretò la chiusura di tutti i bagni pubblici a causa della credenza che gli umori del corpo venissero dispersi dall’acqua e che questo divenisse causa di malattie. La regina Elisabetta I si vantava di fare il bagno solo una volta al mese e solo se strettamente necessario. I pitali o orinarli costituiti dai materiali più vari, dall’oro alla porcellana passando per il ferro smaltato, erano l’unico metodo per raccogliere feci e urina e solo nelle comunità rurali si trovavano pozzi neri. Fu solo agli inizi del XIX secolo che si comprese che lo scarico degli escrementi umani in canali dilavati dalle piogge sarebbe stata una buona norma igienica, tra il 1859 e il 1875 a Londra si realizzò il primo sistema di canali artificiali per lo smaltimento dei liquami e delle acque piovane. Successivamente la scienza idraulica mise a punto i primi impianti di depurazione a fanghi attivi a cui fecero seguito trattamenti chimici delle acque, ma questo solo nel XX secolo. Lo sviluppo di sistemi più avanzati di erogazione delle acque ci diede la possibilità di avere l’acqua direttamente nelle nostre abitazione e questo stimolò la creazione dei moderni gabinetti dotati di sciacquone (gabinetto: dal francese cabinet, qualsiasi piccola stanza di uso riservato, parola usata per indicare vani, talvolta riccamente decorati, di antichi palazzi, adibiti a spogliatoio, guardaroba, ripostiglio; ha assunto anche la valenza di studio privato per lavoro, colloqui riservati e anche di insieme di ministri e amministratori). Dapprima solo chi abitava in grandi palazzi poteva averne uno personale, nelle case popolari si era fortunati se il gabinetto situato alla fine della ringhiera era funzionante: tutto dipendeva da quanto aveva mangiato il nostro vicino di casa. All’inizio del XX sec. le latrine comuni, usate dagli abitanti lo stesso palazzo o nelle comunità, seguivano regole precise: non erano più separate dal corpo centrale dell’edificio ma erano disposte agli angoli degli edifici in maniera che fossero ben areate e ventilate e avevano un’antilatrina. Il numero di sedili richiesti per le latrine collettive variavano secondo la destinazione dell’edificio: nelle scuole maschili occorreva un sedile ogni cento individui, in quelle fem- minili uno ogni cinquanta; nelle caserme i posti sono da sei a otto ogni cento persone e negli ospedali cinque o sei; in quest’ultimo caso nello stesso ambiente erano previsti una serie di svuotatoi per i recipienti mobili. Nelle comunità s’impiegavano generalmente i cosiddetti cessi alla turca perché presentavano una grande facilità di pulizia ed eliminavano cause di contagio. Negli ospedali, specie nei padiglioni di malattie infettive, si applicavano speciali fornelli alle tubature per garantire l’immediata distruzione delle deiezioni, oppure si utilizzavano bottini mobili di qualche centinaio di litri che venivano rimossi, svuotati e disinfettati. Le latrine pubbliche erano situate presso gli edifici a grande affluenza di pubblico ed erano generalmente situati al di sotto del livello del suolo di piazze o giardini, alcune di queste strutture sono ancora presenti nelle nostre città. Sempre dei primi decenni del XX secolo sono i primi regolamenti edilizi che obbligano ad avere ambienti speciali per le latrine; allora come oggi essi non dovevano aprirsi su altre stanze bensì nel corridoio e dovevano essere areate, l’Enciclopedia Italiana del 1932 dice che “solo nelle case operaie e del ceto medio è oggi invalso l’uso di disporre le latrine nel medesimo ambiente del bagno; disposizione certo infelice dal lato igienico, ma suggerita da evidenti ragioni di economia”. Da questo sembra evidente che l’edilizia popolare dell’immediato dopo guerra ha fatto, in un certo senso, scuola: ora in tutte le nostre case la “stanza da bagno” comprende anche la tazza del cesso (cesso: derivato da cessare, nel significato antico di “allontanare”, cessarsi “ritirarsi”). Nei Paesi europei più settentrionali, Francia, Olanda Germania, Danimarca ecc., sembra che sia rimasto l’uso di separare la latrina dalla stanza da bagno, anche se, dato lo spazio carente nelle città, questo costringe i costruttori a destinare a questo uso ambienti completamente interni, privi di aria e di luce, tutto ciò ha favorito lo sviluppo di accorgimenti nel sistema di ventilazione usati anche in Italia, questi sistemi hanno favorito i lavori di ristrutturazione di alloggi, alberghi, antichi palazzi in cui sarebbe stato impossibile creare una stanza da bagno. Di tutta la parte di mondo occidentalizzato, i Paesi in via di sviluppo stanno ancora lottando per avere un minimo di condizioni igieniche, solo i giapponesi paiono non aver compreso la bellezza di una “stanza da bagno”. In Giappone sono ancora numerosi i sentos , bagni pubblici a conduzione famigliare che si stanno “modernizzando” con Karaoke e piano- bar, d’altra parte le case giapponesi sono piccolissime e i gabinetti lo sono di conseguenza. Sembra che i giapponesi abbiano da poco scoperto il gabinetto e lo stiano adattando alla loro cultura. In un articolo scritto nel 1988, Tiziano Terzani descrive gli studi, le idee e le innovazioni che i giapponesi stavano apportando ai loro gabinetti. Dislocati per lo più in luoghi pubblici i gabinetti giapponesi sono dotati di numerosi e fantasiosi comfort, per esempio: un sistema simula lo scorrere dell’acqua dallo sciacquone; questo accorgimento assolve a due funzioni, permette di coprire i rumori che accompagnano l’evacuazione e, contemporaneamente, consente di risparmiare l’acqua che veniva usata dall’utente allo stesso scopo. Una grande innovazione è il gabinetto higt-tech, questa meraviglia della tecnica è dotato di uno schermo su cui compaiono, in tempo reale, i risultati dell’analisi del prodotto. Dopo secoli di oscurantismo, e di puzza, chi, tra noi, saprebbe ora rinunciare al piacere di avere nella propria casa una bella “stanza da bagno”! Oltre a garantirci una vita igienicamente più sana, la nostra stanza da bagno diventa un luogo di relax e di raccoglimento. Chiusa la porta possiamo occuparci di noi stessi, del nostro corpo e dei nostri pensieri: il mondo, tutto il mondo, resta fuori. Bibliografia J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Bur. La Sacra Bibbia, Levitico AA.VV.: Encarta enciclopedia informatica in cd-rom, Microsoft C.G. Argan: Storia dell’arte italiana AA.VV.: Enciclopedia Italiana Treccani, 1932 T. Terzani: “La cultura del gabinetto”, da: In Asia, ed. Superpocket L’autore * Infermiera Professionale A.S.L. Pavia 22 PAGINA Infermiere a Pavia A l t r i PERCORSI A.I. Ur.O. Associazione Infermieri di Urologia Ospedaliera L’Associazione degli Infermieri Urologia ospedaliera nasce in Italia l’ 8 maggio 1995, come associazione affiliata all’associazione urologi ospedalieri dalla quale però nel 2000 si stacca divenendo entità autonoma e completamente indipendente. L’Associazione è costituita principalmente da infermieri che operano e/o hanno operato in ambito urologico ospedaliero sia del Servizio Sanitario Nazionale, sia negli Istituti Universitari, senza peraltro dimenticare gli operatori delle strutture territoriali pubbliche e private. L’obbiettivo, che sin dall’origine continua ad ispirare l’Associazione, è la valorizzazione della attività infermieristica di carattere ed interesse urologico attraverso attività e strumenti che favoriscono l’interscambio di informazioni tecnico-scientifiche quali incontri, seminari, corsi di aggiornamento, meeting. I mezzi di comunicazione utilizzati sono il notiziario “Uro-Nursing” ed il sito internet della stessa Associazione. Si agisce inoltre proponendo la pubblicazione di lavori e di ricerche sia con la collaborazione di ditte specialistiche oppure con il contributo di Società “mediche-urologiche” sia in riviste specialistiche ove l’Associazione ha acquisito spazio e credito professionale. L’Associazione è riconosciuta sia a livello di Federazione dei Collegi I.P.A.S.V.I. che di Ministero della Salute. Tale riconoscimento è giunto a seguito del contributo che i suoi affiliati hanno portato in diversi corsi di specializzazione in ambito urologico. Nel 1999 infatti ha dato il proprio patrocinio alla realizzazione di un corso complementare sull’Assistenza in Urologia, tenutosi presso all’Università Tor Vergata di Roma, partecipando all’interno del comitato tecnico-scientifico nell’elaborazione dei contenuti e degli obbiettivi prefissi. Il corso ha visto la partecipazione di venti corsisti che hanno affrontato un per- corso di studio strutturato in cinquecento ore di tirocinio e teoria. A livello europeo vanta notevoli crediti nei confronti dell’E.N.A.U. (Associazione Europea di Infermieri di Urologia). Negli ultimi anni si è fatta conoscere anche in America con la S.U.N.A. (Socety of Uroligyc Nurses and Associated), partecipando attivamente ad alcuni congressi.Inoltre si sono poste le basi di una futura collaborazione con gli infermieri dei Paesi del Centro e Sud America (Cuba, Brasile, Messico). Nonostante la recente costituzione l’Associazione propone una raccolta di lavori in infermieristica urologica che vanno dal 1995 al 1999 i quali sono il nucleo centrale delle conoscenze formali in questo ambito. Si tratta di un tentativo di sistemizzazione delle conoscenze disponibili utili agli infermieri impegnati nell’attività clinica. L’Associazione vuole infatti offrire la possibilità di confronto delle tecniche e delle metodiche utilizzate nella pratica con i risultati dell’esperienza, della riflessione e della ricerca di altri colleghi. Questo contributo è utile a fini didattici per garantire la trasmissione di tali conoscenze ed infine l’elaborazione di una struttura teorica del nursing urologica risulta necessaria per impostare le strategie di una ricerca scientifica. In questo senso la A.I.U.R.O. proseguirà nell’impegno di estendere a tutti gli ambiti assistenziali il campo di applicazione del nursing urologico, consapevole di arricchire l’assistenza al malato nell’ambito elettivo della sua applicazione. Segreteria Nazionale Via G. Nel 3, 10023 Chieri (TO) Tel/fax 011-9427901 e-mail: [email protected] www.aiuro.it 23 PAGINA Numero 2/2001 Associazione Enrico Boerci * Lule L’associazione LULE o.n.l.u.s. si occupa di attività di prima accoglienza finalizzata a gestire l’avvio dei percorsi di abbandono della prostituzione delle donne e minori che chiedono di uscire dal circuito della tratta attraverso colloqui di orientamento e verifica e inserendo le ragazze in una pronta accoglienza tutelata e protetta che può essere rappresentata: dalla casa di fuga gestita dall’associazione, da famiglie con formazione ed esperienza specifica, dalle comunità di prima accoglienza in rete. Ciò viene realizzato attraverso l’impiego di risorse umane: 1 coordinatore 1 assistente sociale 1 psicologa 2 educatrici 1 operatore di base 1 infermiera 3 mediatrici culturali 5 volontari specificamente formati 4 famiglie con formazione ed esperienza specifica 1 consulente legale 1 supervisore metodologico 1 supervisore psicologico 1 valutatore forze dell’ordine, dei servizi sociali e delle amministrazioni del territorio, nonché il collegamento con analoghi progetti attuati sul territorio nazionale ed europeo per favorire lo scambio di esperienze e potenziare l’efficacia dell’intervento. E’ gestito dal gruppo di coordinamento del progetto. Le risorse strumentali sono: sede per colloqui sedi per l’accoglienza 1 appartamento finalizzato, gli appartamenti di 4 famiglie, posti reperibili presso le comunità di prima accoglienza in rete La gestione della struttura di pronta accoglienza ha permesso di consolidare i rapporti con le Questure, i Carabinieri, le Procure e i Tribunali per i Minori in quanto tutti questi Enti, ognuno per la parte che gli compete, possono essere coinvolti nelle varie fasi del percorso di inserimento sociale di chi sceglie di sfuggire al circuito della tratta. La LULE ha inoltre avviato percorsi di abbandono della prostituzione indirizzando le ragazze al percorso di comunità e ha avviato percorsi finalizzati a promuovere l’integrazione sociale e lavorativa delle donne e dei minori che hanno avviato percorsi di abbandono della prostituzione. L’attività di rete è finalizzata a raccordare e integrare i soggetti e i servizi coinvolti nel progetto, nonché ad armonizzare l’azione locale con quella nazionale ed europea. E’ realizzata tramite azioni informative, di scambio e di confronto. Prevede il coinvolgimento negli ambiti operativi delle istituzioni sanitarie, delle Rapporti con le amministrazioni locali Il Regolamento attuativo D. Lgs. 286/98 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) investe gli Enti locali di un ruolo di responsabilità nei confronti delle ragazze che avviano programmi di assistenza e integrazione sociale; le relazioni costruite con gli Enti locali del territorio operativo nei precedenti tre anni di attività dell’associazione hanno consentito di elaborare per il 2000 un progetto che copre i diversi aspetti dell’intervento nell’ambito della tratta e li rende soggetti partecipanti, attingendo proprio ai finanziamenti previsti dal suddetto decreto. Rapporti con le Forze dell’Ordine Rapporti con le Istituzioni sanitarie La Regione Lombardia ha approvato i progetti proposti dalle ASL 1, 2 e 12 della Provincia di Milano nell’ambito del programma triennale di prevenzione dell’infezione da HIV allo scopo di intervenire nel settore della prostituzione di strada. L’associazione LULE sarà il soggetto attuatore di tali iniziative su 9 distretti sanitari complessivi. Il consolidamento delle attività progettuali ha permesso di allargare ulterior- 24 PAGINA mente la rete di servizi sanitari di riferimento per gli accompagnamenti delle ragazze e, in alcuni casi, di strutturare le collaborazioni già avviate. Rapporti con altri Enti e coordinamenti L’associazione LULE fa parte del “Coordinamento interregionale tratta” lombardo, condotto dalla Caritas Ambrosiana, e del “Gruppo ad hoc prostituzione e tratta” del C.N.C.A. (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), rete nazionale delle associazioni e delle cooperative attive nel campo della tratta di cui l’associazione LULE rientra tra i soggetti coordinatori. Ripetute sono state le occasioni di collaborazione operativa della LULE, in particolare con: l’Ufficio Stranieri del Comune di Milano, la Segreteria Donne della Caritas Ambrosiana, i Padri Somaschi di Milano, la Caritas di Bergamo, la Casa del Giovane di Pavia, l’Associazione Porta Aperta di Mantova, le associazioni Welcome e Mimosa di Padova, l’Ufficio Stranieri del Comune di Torino, l’associazione Liberazione e Speranza di Novara, l’associazione Arcobaleno di Firenze, l’associazione On the Road di Teramo e la cooperativa Compagni di strada di Trani. Rapporti con gli Istituti di formazione per operatori sociali Le convenzioni attivate con gli Istituti di formazione per operatori sociali hanno permesso l’ingresso di tirocinanti nell’associazione LULE per favorire la formazione degli studenti nel settore d’intervento. Il numero Verde Nazionale contro la tratta L’associazione LULE è stata coinvolta dalla provincia di Milano nella gestione del call center lombardo del Numero Verde nazionale contro la tratta, iniziativa promossa congiuntamente dal dipartimento per le Pari opportunità e dal dipartimento per gli Affari Sociali per offrire informazione, orientamento e sostegno a favore delle vittime del traffico a scopo di sfruttamento sessuale. Autovalutazione dello stato del progetto Il progetto nel suo complesso e le sue attività sono accompagnati da un costante e diversificato processo di verifica e Infermiere a Pavia valutazione. La valutazione avviene durante la realizzazione del progetto e alla conclusione dello stesso, utilizzando indicatori di risultato e di processo. Per quanto attiene la azione indicate nel programmo proposto al Dipartimento per le Pari Opportunità, essa viene effettuata attraverso la modalità della valutazione partecipata, secondo l’approccio costruttivista, grazie all’interazione tra l’équipe operativa e un valutatore esterno. In questa sede proponiamo una sintetica autovalutazione dell’andamento del progetto nei termini seguenti: Punti di forza • L’esperienza maturata dall’associazione nel settore specifico della prostituzione e della tratta. • La disponibilità di una consolidata équipe di operatori e volontari che garantisce: competenze diversificate, l’opportunità di un arricchimento reciproco e la possibilità di far fronte a difficoltà individuali. • Il coinvolgimento della comunità locale nei termini di: volontari attivi nel progetto, famiglie disponibili all’accoglienza, associazioni di sostegno. • Il rapporto proficuo con gli organi di comunicazione che favorisce l’opera di informazione e sensibilizzazione. • La presenza capillare e costante degli operatori sulle strade di un’area territoriale estesa, che garantisce un forte riconoscimento di ruolo e il poter mantenere il contatto con la medesima ragazza anche a fronte del turn over. • La disponibilità di mediatrici culturali di riferimento per ognuna delle etnie più rappresentative: un’educatrice rumena, una mediatrice nigeriana ed un’assistente sociale albanese. • La possibilità di far fronte a richieste di accoglienza 24 ore su 24 grazie alla costante presenza di operatori nella struttura di pronta accoglienza. • La dislocazione del pronto intervento in una località protetta da un lato, ma non eccessivamente isolata dall’altro, in grado di trasmettere alle ragazze senso di tranquillità e sicurezza, ma anche opportunità di socializzazione. • Il consolidamento di forti legami di rete con realtà che fanno accoglienza su tutto il territorio nazionale e, quindi, l’opportunità di trasferire le ragazze in strutture con caratteristiche differenti e adatte alle singole individualità. • Le connessioni di rete avviate con le istituzioni e gli enti attivi nel settore. In particolare con le Questure al fine di rendere più lineare il percorso sociale. • L’integrazione nel progetto di ambiti operativi diversi e consequenziali che permette di ottimizzare le risorse impiegate. Punti di debolezza • La scarsa integrazione tra i diversi enti e Istituzioni chiamati ad intervenire nel fenomeno. • La vacatio temporis fra la denuncia sporta dalla ragazza sfruttata e il rilascio del permesso di soggiorno che condiziona negativamente il percorso di integrazione. • La difficoltà ad intervenire tempestivamente sulle minori presenti sulla strada e ad attivare i servizi preposti alla loro tutela, soprattutto nei casi in cui la maggior età è alle porte e le istituzioni manifestano la tendenza a non adottare provvedimenti. • La crescente necessità di sicurezza e protezione da parte degli operatori del progetto conseguente all’attività di pronta accoglienza che può creare in condizioni di rischio. L’Associazione LULE o.n.l.u.s. Corso San Pietro. 62 20081 Abbiategrasso (MI) tel. e fax. 02.94965244-02.94966897, email: , sito web: risulta iscritta alla terza sezione del registro degli Enti e Associazioni che svolgono attività a favore degli immigrati con il numero di iscrizione C/4/2000/MI e può di conseguenza gestire programmi di assistenza e integrazione sociale per vittime della tratta secondo quanto previsto dall’articolo 18 del D.Lgs. 286/98 L’autore * Collaboratore gruppo LULE San Martino Siccomario 25 PAGINA Numero 2/2001 Lettera aperta agli Infermieri Il progetto contro lo sfruttamento sessuale che il comune di San Martino Siccomario sta portando avanti con una apposita convenzione con l’Associazione LULE di Abbiategrasso, compie due anni. Sono particolarmente soddisfatto di alcuni risultati già ottenuti. In primo luogo la costituzione di una sezione locale dell’Associazione LULE composta da volontari che si sono progressivamente avvicinati all’attività “di strada”. Altro positivo risultato sono i due corsi di formazione per volontari, che hanno rappresentato un indispensabile momento di informazione, sensibilizzazione ed orientamento. Voglio poi ricordare i concreti risultati ottenuti con il contatto settimanale con decine di donne mirati non solo a interventi di controllo sanitario, ma anche ad un primo percorso di accompagnamento verso l’autonomia. Ed infine, fatto estremamente positivo, la nostra iniziativa ha suscitato notevole curiosità ed interesse anche in altre Amministrazioni Comunali del territorio, che hanno stipulato convenzioni con l’Associazione LULE ed hanno organizzato convegni pubblici sul tema della prostituzione. I contenuti del progetto sono molteplici e partono dalla necessità di coinvolgere il tessuto sociale, oggi indifferente od insofferente per dare risposte di carattere preventivo. Siamo convinti che occorre evitare il radicarsi di fenomeni collegati alla malavita e realizzare un duplice obiettivo: il recupero delle situazioni umane fortemente degradate nello spirito di una autentica solidarietà e fornire una risposta al bisogno di sicurezza espresso dai cittadini. Il fenomeno si è purtroppo ampliato in modo forte negli ultimi anni, con crescita delle connessioni con la criminalità organizzata, un aumento degli introiti della malavita, l’amplificazione del rischio sanitario per le donne, i clienti e le loro famiglie, il terribile degrado umano e sociale rappresentato da strade e quartieri insicuri per i cittadini e teatro dello sfruttamento sessuale. Il nostro progetto si articola in interventi culturali (informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica, incontri pubblici, campagne educative nelle scuole, coinvolgimento della stampa locale); attività di strada con le unità mobili e l’intervento degli operatori che svolgono un’azione informativa sanitaria, di avvio ai controlli medici, di valorizzazione dell’identità personale e del senso dell’autonomia delle donne sfruttate; attività di accoglienza e sostegno al recupero con progetti individuali; attività di raccordo con i Paesi di origine e le Organizzazioni non Governative; attività di rete degli interventi per favorire l’integrazione delle risorse. La collaborazione con la LULE è stata veramente preziosa: le donne complessivamente contattate nel primo anno di attività sono state 97 di cui 73 nigeriane, 11 albanesi e 13 di altre nazionalità. I contatti con le donne sono stati 14 per ognuna delle serate settimanali di uscita dell’unità mobile ed i contatti medi per ciascuna sono stati 7. E’ stata svolta una mappatura con la rilevazione delle caratteristiche del territorio, la presentazione degli operatori e del progetto alle donne, la distribuzione di materiale informativo ed un lavoro di “counselling” a tema, proposte di accesso ed accompagnamento ai servizi sanitari, la raccolta di campioni ematici per le diagnosi, la consulenza e l’orientamento su temi sociali, la distribuzione di questionari per valutare in particolare la conoscenza del tema HIV, il sostegno relazionale per costruire rapporti significativi, la presentazione mirata di percorsi alternativi alla vita di strada e l’avvio degli stessi. Il 3 dicembre dello scorso anno abbiamo poi organizzato un convegno pubblico al quale hanno partecipato il vice presidente del Gruppo Abele dott.ssa Mirta DaPra, il giornalista RAI santo della Volpe ed il coordinatore del progetto LULE dott. Stefano Montorfano. Lo scopo era quello di presentare i risultati che ho prima descritto ed avviare le iniziative del secondo anno di attività. I risultati come ricordavo all’inizio del mio intervento, sono arrivati. Vogliamo ora concentrarci su un nuovo problema, che sarà oggetto di un convegno pubblico che intendiamo organizzare alla fine del mesi di marzo 2001 anche per presentare il resoconto del secondo anno di attività. Si tratta del problema del “cliente” che rappresenta l’autentico nodo della questione prostituzione. Fino ad oggi ci si è scarsamente occupati di capire ed intervenire sul fenomeno del cliente. Vorremmo pertanto comprendere più a fondo le motivazioni sociali e psicologiche che creano tale fenomeno ed attivare le strategie efficaci che possono informare e sensibilizzare che si presta al mercato dello sfruttamento sessuale, sui terribili rischi sociali, umani e sanitari e sulle dirette conseguenze sull’arricchimento dei poteri criminali e sull’ordine pubblico. Concludo questo mio scritto ringraziando il comitato di Redazione del giornale per avermi dato la possibilità di esporre seppur schematicamente i contenuti del progetto avviato dal Comune di San Martino Siccomario su un tema così scottante e delicato e nello stesso tempo mi sento di rivolgere un invito a tutti gli operatori sanitari a cui questo giornale viene inviato di contattare l’Associazione LULE – tel. 02.94965244 o il Comune di San Martino Siccomario – Assessorato alla Solidarietà Sociale – tel. 0382.496190-159-160 nel caso fossero interessati a prestare aiuto come volontari di strada. Enrico Boerci Comune di San Martino Siccomario 26 PAGINA Infermiere a Pavia La Meridiana Esperienze di assistenza infermieristica dai lettori Michele Borri * Marina Berlinese * Agnese Carducci * Albert Di Palma * Michele Filiali * Silvia Giovanetti * Lorena Maldarelli * Nadia Intini * Adriana Massola * Stella Odato * Roberto Prazzoli * Maria Vincenza Tardino * Daniela Tegoni * Maria Grazia Trimarchi * Valutazione dellíansia e del dolore in un paziente ricoverato díurgenza in Unit‡ Coronarica PRESENTAZIONE Premessa a cura di Marisa Bergognoni Il Servizio di Cure Intensive Coronariche è un reparto adibito alla cura di : Quanto verrà esposto qui di seguito rappresenta un interessante lavoro svolto dall’equipe infermieristica del Servizio Cure Intensive Coronariche (U.T.I.C.) del I.R.C.C.S. San Matteo di Pavia. • • • • I colleghi hanno dimostrato di essere un gruppo di lavoro dinamico ed all’avanguardia nello studio delle problematiche infermieristiche connesse con la valutazione dell’ansia e del dolore in quanto hanno affrontato in maniera metodica e scientifica, ma allo stesso tempo comprensibile, un argomento particolarmente delicato, critico e complesso per i suoi connotati di soggettività. Tutti i pazienti che vengono ricoverati in Unità Coronarica sono degenti in condizioni sanitarie gravi, in fase acuta ed in pericolo di vita. La struttura è costituita da 6 letti. In essa operano 13 infermieri, 4 operatori tecnici, coordinati da una A.F.D.. Per ogni turno di lavoro sono previsti almeno 2 infermieri. L’aspetto pregnante dello studio effettuato dai colleghi dell’ U.T.I.C. è infatti connesso con la difficoltà di individuazione e valutazione da parte di un operatore sanitario dell’intensità della sensazione dolorosa provata dai pazienti che risentono anche, inevitabilmente, di stati d’animo di natura emozionale. Nella sensazione dolorosa si distinguono due componenti : una puramente sensitiva, per la quale l’applicazione di uno stimolo, come il caldo o il freddo, determina una data sensazione, ed una componente emozionale ed affettiva per cui questa sensazione viene vissuta in modo diverso dai singoli pazienti a seconda del carattere, dell’educazione, della cultura e dello stato d’animo di maggiore o minore depressione in cui si trovano in quel momento. Questo succede perché le vie nervose di trasmissione del dolore proiettano le sensazioni nei centri nervosi del sistema limbico e del talamo, sede della persona- Tenuto conto dell’importanza dell’argomento che viene trattato, l’articolo è stato anche integrato alla fine con la descrizione delle recenti innovazioni introdotte nell’ambito legislativo nel campo dei farmaci stupefacenti. Infarto del miocardio in fase acuta Angina instabile Aritmie gravi Edema polmonare acuto di origine ischemica • Shock cardiogeno DOLORE 27 PAGINA Numero 2/2001 lità, dove esse vengono fuse con la altre emozioni. Mentre il dolore acuto, con durata limitata nel tempo, non ha una grave incidenza sulla personalità dell’individuo, quello cronico determina disgregazione psichica con gravi conseguenze sul piano familiare e sociale. Dolore cardiaco Il sangue circolante, con il passare del tempo, lascia sulle pareti interne delle arterie coronarie, delle incrostazioni (aterosclerosi), che sono prevalentemente costituite da grassi (colesterolo ). Il flusso del sangue, subirà una riduzione nelle coronarie colpite e darà luogo ad una sofferenza in una porzione del cuore (ischemia). Se l’ostruzione di una coronaria per aterosclerosi, supera un limite critico di intensità, può accadere che nella sede dell’ostruzione si formino dei coaguli che bloccano ulteriormente la coronaria, provocando così delle alterazioni gravi ,non più recuperabili, che prendono il nome di infarto. L’infarto quindi è la morte di una porzione di muscolo cardiaco, per grave difetto di apporto di sangue da parte della sua coronaria. Il segno più importante di un attacco cardiaco è rappresentato dal dolore, di solito è al centro del petto, dietro allo sterno. Può irradiarsi al braccio sinistro, ad entrambe le braccia, al collo, alla mandibola, alle spalle, all’addome alto (stomaco). Altri segni che possono associarsi al dolore cardiaco sono il sudore, la nausea, la dispnea, l’agitazione psichica. ANSIA Sul versante soggettivo l’ansia è un fenomeno diffuso: ogni persona sa, con riferimento alla propria esperienza, che cosa è l’ansia ed è anche in grado di prevedere con discreta approssimazione le situazioni che possono generarla. Può essere considerata un problema di natura medico-psichiatrica o psicologica e quindi un disturbo da curare ma può avere un ruolo di stimolo, funge da pungolo per superare situazioni difficili, per affrontare un compito e creare i presupposti per equilibri più soddisfacenti e garantire delle buone performance; può esercitare una sorta di risveglio di alcune facoltà, come l’attenzione, la memoria, la volontà. Altre volte lo stato d’ansia può insorgere in assenza di una minaccia oggettiva, o può assumere un’intensità eccessiva, sproporzionata rispetto alla reale entità del pericolo finendo così per indurre una grave sofferenza e inibire le risorse e abilità del soggetto. Dal punto di vista psichico l’ansia è uno stato d’animo, una sensazione spiacevole di insicurezza e di irrequietezza, una paura immotivata. Essa si differenzia però dalla paura vera e propria poiché questa rappresenta la risposta emotiva ad un pericolo conosciuto: pertanto, mentre l’ansia anticipa un pericolo ignoto, la paura deriva da un pericolo noto. Sia l’ansia sia la paura, sono accompagnate da alterazioni fisiologiche simili e legate ad una rapida preparazione dell’organismo alla lotta o alla fuga dal pericolo. Queste alterazioni consistono principalmente in un aumento della gittata cardiaca con contemporanea ridistribuzione della massa sanguigna dalle regioni cutanea e intestinale al miocardio ed alla muscolatura scheletrica. I cambiamenti fisiologici sono seguiti da tachicardia, dispnea, sudorazione fredda, tremore diffuso, secchezza delle fauci, tensione muscolare. L’ansia poi, influisce sia in modo acuto sia nel tempo, sul comportamento con segnali osservabili. L’ansia ad un livello esasperato è comunemente definita “angoscia”, mentre la paura trova al suo estremo il corrispettivo nel panico, vale a dire in quella reazione al pericolo in cui dominano elementi di irra- 28 PAGINA zionalità, di disordine, di massiccia confusione nella scelta delle risposte più adeguate per fronteggiare il pericolo stesso. Per concludere, la condizione ansiosa può essere legata ad eventi reali o non riconoscere alcuna causa per questo si parla di stato d’ansia immotivato che è ricondotto all’ambito della psicopatologia, d’altra parte si è portati a credere che lo stato d’ansia motivato sia meno preoccupante ma naturalmente i confini non sono così netti per cui è anche difficile distinguere l’ansia fisiologica da quella patologica e la distinzione dovrebbe in ogni caso considerare il relativismo culturale e l’ambiente sociale in cui un individuo vive. Infermiere a Pavia come conseguenza adottare tutti quei comportamenti che mettono a proprio agio il degente. Campione L’indagine è stata condotta nei mesi di ottobre e novembre del 2000. Sono stati arruolati 50 degenti, di cui 28 maschi e 22 femmine. L’età media dei degenti è di 66 anni. Tenendo presente che in Unità Coronarica annualmente vengono ricoverati circa 650 pazienti, il campione rappresenta il 7,7% del totale dei ricoveri, pertanto il campione è da considerarsi rappresentativo. Scopo Metodo Questo studio è nato dalla necessità di avere un metodo oggettivo per rilevare lo stato d’ansia ed il dolore nei pazienti che giungono presso la nostra unità operativa. Obiettivo Il lavoro intrapreso dall’equipe infermieristica, si pone come obiettivo la capacità di migliorare l’osservazione degli infermieri, attraverso un esercizio che dia la possibilità all’operatore di confrontare le proprie valutazioni con i dati forniti dal paziente. Una corretta valutazione del malato sin dall’arrivo in reparto, da parte dell’infermiere, ci permette di entrare immediatamente in empatia con il nuovo arrivato e In una scheda il paziente autovaluta la propria ansia ed il proprio dolore utilizzando una scala analogo-lineare con valori da 0 a 10 ( 0 nessuna, 10 intensa ). In un’altra scheda l’infermiere ,utilizzando una scala analogo-lineare assolutamente identica alla precedente, valuta lo stato d’ansia ed il dolore del paziente. Criteri • Il paziente deve essere collaborante. • Vengono inseriti solo i pazienti con infarto del miocardio. • La compilazione del questionario deve avvenire entro 5 minuti dall’arrivo in UTIC. • L’infermiere non deve chiedere nulla al paziente. • La compilazione deve avvenire autonomamente. • Il questionario deve essere compilato dall’infermiere nello stesso momento in cui lo compila il degente. • E’ possibile effettuare la valutazione dello stesso paziente da parte di più infermieri, purchè in autonomia. • Inserire il numero di identificazione su entrambe le valutazioni. • Depositare il questionario in due raccoglitori distinti. • Il questionario dei degenti è anonimo, quello dell’infermiere deve essere firmato dall’operatore che ha fatto la valutazione. Risultati I questionari compilati dai degenti sono stati 50, quelli compilati dagli infermieri sono stati 81, questo perché alcuni degenti sono stati valutati da più di un infermiere. La scheda analogo-lineare è stata così suddivisa • da 0 a 3 assenza o lieve intensità • da 4 a 7 media intensità • da 8 a 10 forte intensità Ansia I pazienti hanno fornito, riguardo l’ansia, le seguenti autovalutazioni : • ansia lieve 20 pz 40% • ansia media 19 pz 38% • ansia intensa 11 pz 22% Gli infermieri hanno così compilato gli 81 questionari : • valutazioni corrette 45 55.6% • valutazioni sottostimate 13 16.0% • valutazioni sovrastimate 23 28.4% Dolore I pazienti riguardo al dolore si sono così espressi : • dolore lieve 31 pz 62% • dolore medio 14 pz 28% • dolore elevato 5 pz 10% Gli infermieri hanno fornito i seguenti dati: • valutazioni corrette 62 76.5% • valutazioni sottostimate 14 17.3% • valutazioni sovrastimate 5 6.2% I pazienti che hanno, nel corso della propria autovalutazione riferito di avere una sintomatologia dolorosa medio/alta con uno stato di ansia, anch’esso media/alta, sono stati 18. Per quanto riguarda il dolore, la valutazione corretta degli infermieri (76.5%) si è maggiormente avvicinata a quanto espresso dai degenti, probabilmente perché più tangibile, mentre per l’ansia le valutazioni corrette degli infermieri, 55.6%, dimostrano quanto sia difficile capire lo stato d’animo del malato al momento del ricovero in urgenza. Numero 2/2001 29 PAGINA Nuove Disposizioni in materia di Somministrazione di Stupefacenti GLI INFERMIERI E I FARMACI ANTI-DOLORE La Commissione Sanità del Senato ha approvato definitivamente, il 24 gennaio 2001, in sede deliberante, il disegno di legge che consente ai malati terminali di ottenere più facilmente dal medico antidolorifici a base di morfina. In particolare il provvedimento - approvato in prima lettura il 21 dicembre 2000 dalla Camera - modifica le norme in vigore, prevedendo che la consegna di farmaci a base di oppiacei possa essere effettuata anche da operatori sanitari, nell’ambito di azioni di assistenza domiciliare a pazienti affetti da patologie neoplastiche con sintomatologia dolorosa grave. Conclusioni Ansia e dolore sono in stretta connessione, in molti casi l’ansia si produce proprio sulla base di segnali di potenziali situazioni di dolore, ma anche l’ansia genera dolore. L’attività intrapresa dal Gruppo Infermieristico, voleva migliorare la capacità di osservazione del personale, al momento in cui un malato arriva in UTIC. Occorre considerare le possibili variabili che entrano in gioco quando un paziente entra in Terapia intensiva: • si giunge in urgenza ,solitamente con il 118 • la sequenza degli eventi è rapida • si ha la percezione della gravità • si è spaventati • si ha dolore • si paura della morte • il ricovero è un fatto non pianificato dal paziente • si vedono numerosi operatori sanitari che assistono il malato • sono molte le procedure intraprese dal personale • sono poche le informazioni che vengono fornite nei primi minuti • la struttura della Terapia Intensiva non è un ambiente tranquillizzante • c’è l’isolamento dai familiari • il malato e gli operatori non si conoscono. Bisogna sottolineare, che in questa fase dello studio, non si voleva impostare un piano di nursing, ma capire se le operazioni che normalmente svolgiamo all’atto Il testo della nuova legge, composta di un solo articolo, apporta sostanziali modifiche ed integrazioni al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni. Due sono le modifiche ad impronta professionale infermieristica che individuano con precisione compiti e responsabilità. 1) l’aggiunta, all’articolo 43 del testo unico, del comma 5-ter: “Gli infermieri professionali che effettuano servizi di assistenza domiciliare nell’ambito dei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali e i familiari dei pazienti, opportunamente identificati dal medico o dal farmacista, sono autorizzati a trasportare le quantità terapeutiche dei farmaci di cui all’allegato 111-bis, accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive la posologia e l’utilizzazione a domicilio di pazienti affetti da dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa, ad esclusione del trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza da oppiacei”. L’allegato 111-bis, anch’esso introdotto dalla nuova legge, prevede i seguenti farmaci: Buprenorfina; Codeina; Diidrocodeina; Fentanyl; Idrocodone; Idromorfone; Metadone; Morfina; Ossicodone; Ossimorfone; 2) l’aggiunta, all’articolo 60 del testo unico, dopo il comma due, dei seguenti commi: “2-bis. Le unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e private, nonché le unità operative dei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali sono dotate di registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, Il, III e IV previste dall’articolo14. 2-ter. Il registro di carico e scarico deve essere conforme al modello di cui al comma 2 ed è vidimato dal direttore sanitario, o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione. Ti registro di carico e scarico è conservato, in ciascuna unità operativa, dal responsabile dell’assistenza infermieristica per due anni dalla data dell’ultima registrazione. 2-quater. Il dirigente medico preposto all’unità operativa è responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza contabile e quella reale delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, Il, III e IV previste dall’articolo 14. 2-quinquies. Il direttore responsabile del servizio farmaceutico compie periodiche ispezioni per accertare la corretta tenuta dei registri di carico e scarico di reparto e redige apposito.“ 30 PAGINA Infermiere a Pavia del ricovero in urgenza, sono idonee per lenire il dolore e diminuire il comprensibile stato di ansia. E’ necessario conoscere e comprendere le problematiche del malato, ma anche conoscerci, mettendo in risalto le potenzialità dell’infermiere, in grado di promuovere iniziative che possono rispondere ai bisogni del nuovo arrivato. Interventi già adottati Nella nostra Terapia Intensiva, si è cercato di dare risalto alla corretta informazione, in modo da diminuire lo stato ansioso del malato, spiegandogli ogni operazione che si intraprende. L’infermiere che si prende carico dell’urgenza si presenta al nuovo arrivato. All’atto del ricovero l’infermiere deve stare vicino al paziente per rassicurarlo. L’infermiere è la figura che viene ricercata immediatamente in caso di difficoltà del paziente, per cui deve essere facilmente reperibile. Un’altra attenzione che il personale infermieristico adotta è quella di chiedere al malato che cosa vuol sapere, parlando con frasi semplici e comprensibili. Si è notato che il ricovero, situazione permettendo, è meno traumatico se accompagnato da una introduzione graduale degli avvenimenti ed ai ritmi della Terapia Intensiva. E’ stato predisposto un libretto di informazioni con notizie che riguardano la vita in Unità Coronarica, con una parte informativa per il degente ed una parte per i familiari. Non appena la situazione lo permette, si acconsente subito alla visita dei familiari. Il tempo per la visita dei congiunti negli orari consentiti è stato aumentato, sia per favorire i familiari, sia per il degente che ha così più tempo per stare i propri cari. Si è cercato di rendere l’ambiente sicuro e confortevole, allontanando gli stimoli eccessivi. Un altro accorgimento che adottiamo è quello di focalizzare la nostra attenzione sulla persona piuttosto che sulla malattia. Dialogo, comprensione, senso di sicurezza, sono quindi componenti fondamentali da utilizzare e trasmettere per un rapporto infermiere-paziente positivo. Obiettivi futuri • Predisporre un piano di nursing che consideri tutta la durata della degenza in Unità Coronarica sia per l’ansia sia per il dolore. • Elaborare nuove tecniche in grado di prevenire stress inutili ai pazienti per aiutarli ad adattarsi alla malattia ed al trattamento. • Dare sollievo dal dolore durante la notte, in quanto un paziente riposato reagisce meglio dopo un buon sonno notturno. • Adozione di una scheda di monitoraggio del dolore con la raccolta dati, le rilevazione della sede, la persistenza, l’intensità, il tempo di comparsa. • Controllo della sintomatologia dolorosa attraverso procedure antalgiche. • Coinvolgimento dei familiari. Orari Biblioteca • Istruire il personale in modo da condividere un fine comune, procurare sollievo al paziente. • Attuare un processo integrato medicoinfermiere sia per la riduzione dell’ansia, sia per diminuire il dolore. • Adozione di un protocollo per l’uso di farmaci antidolorifici. • Favorire la collaborazione dell’utente attraverso un lavoro di responsabilizzazione. • Miglior utilizzo dei supporti informativi. • Migliorare la ricerca infermieristica in Unità Coronarica intesa come un processo sistemico tendente ad aumentare le conoscenze degli Infermieri. Per ulteriori informazioni: IRCCS S. Matteo, Servizio Cure Intensive Coronariche 0382/503972 Bibliografia L. Fossati, Enciclopedia della Medicina Ufficiale e Naturale, Armando Curcio Editore 1990 Forlani, Orlandi, Bonazzi, Bertelli, Manzalini, Guidi, Fiorini, Indagine sulla stato d’ansia dei pazienti in endoscopia digestiva, A.N.C.T.E. 1° Ottobre 2000 Harrison, Principi di Medicina Interna Volume I (XXII Edizione), MC Graw Hill Editore 1002 A causa di problemi legati alla dimissione di alcuni componenti del Gruppo Biblioteca, si comunica che il servizio di consultazione in tempo reale con apertura al pubblico verrà effettuato esclusivamente il primo venerdì di ogni mese dalle ore 16.30 alle ore 18.00 Verrà comunque garantito il servizio di ricerca bibliografica con l’evasione delle richieste nell’arco di una settimana. Grazie Il Gruppo Biblioteca Gli autori * Infermieri UTIC Policlinico San Matteo - Pavia 31 PAGINA Numero 2/2001 Ministero della Sanità DECRETO 3 agosto 2001 Approvazione del registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope per le unità operative IL MINISTRO DELLA SANITÀ Visto l’art. 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2001, n. 12, concernente le “Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore”, che integra e modifica il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309; Visti in particolare i commi 2-bis, 2-ter, 2-quarter e 2-quinquies dell’art. 60 del citato testo unico, introdotti dall’articolo 1, comma 1, della legge n. 12 del 2001, concernenti il modello di registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui devono dotarsi le unità operative del Servizio sanitario nazionale; Rilevato che, per le sue caratteristiche, il predetto modello di registro di carico e scarico non può coincidere con il registro di entrata e uscita di cui al comma 2 dello stesso art. 60, anche se deve essere approvato con le stesse modalità, secondo quanto previsto dal comma 2-ter; Ritenuta l’opportunità di consentire l’impiego di tabulati elettrocontabili a quelle unità operative del Servizio sanitario nazionale che sono dotate di sistemi informatici per la gestione delle sostanze stupefacenti e psicotrope: Decreta: Art. 1. 1. È approvato l’allegato modello di registro di carico e scari(Stampate sulla seconda pagina di copertina del registro) NORME D’USO DEL REGISTRO DI CARICO E SCARICO DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI E PSICOTROPE PER LE UNITÀ OPERATIVE 1. Il registro di carico e scarico in dotazione alle unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e private, nonché delle unità operative dei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali, è l’unico documento su cui annotare le operazioni di approvvigionamento, somministrazione e restituzione dei farmaci stupefacenti e psicotropi di cui alle tabelle I, Il, III, e IV previste dall’articolo 14 del testo unico delle leggi in materia di stupefacenti (decreto del Presidente della Repubblica n. 309/1990). 2. Il registro, costituito da cento pagine prenumerate, è vidimato dal direttore sanitario o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione. 3. Il responsabile dell’assistenza infermieristica è incaricato della buona conservazione del registro. Dopo due anni dalla data dell’ultima registrazione, il registro può essere distrutto. 4. Il dirigente medico dell’unità operativa è responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza contabile e reale delle sostanze stupefacenti e psicotrope. 5. Il direttore responsabile del servizio farmaceutico, attraverso periodiche ispezioni, accerta la corretta tenuta del registro di carico e scarico di reparto. Di tali ispezioni verrà redatto apposito verbale che sarà trasmesso alla direzione sanitaria. 6. Ogni pagina del registro deve essere intestata co delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV previste dall’art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, con le relative norme d’uso, destinato alle unità operative. 2. Il registro di carico e scarico è costituito da cento pagine numerate progressivamente e vidimato in ogni pagina dal direttore sanitario a da un suo delegato, ai sensi dell’art. 60, comma 2-ter, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 e successive modificazioni. 3. In alternativa il registro può essere costituito da un modulo continuo, adatto ad essere utilizzato come supporto cartaceo per sistemi informatici, fermo restando gli obblighi di numerazione delle pagine e di vidimazione di cui al comma 2. Art. 2. 1. Il registro di carico e scarico è stampato e venduto tramite i normali canali commerciali presenti nel territorio nazionale. Art. 3. 1. Le unità operative devono dotarsi del registro in parola nei tempi necessari affinché il suo utilizzo sia possibile a far data dal 1o gennaio 2002. Art. 4. 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 3 agosto 2001 Il Ministro: Sirchia ad una sana preparazione medicinale, indicandone la forma farmaceutica e il dosaggio. Inoltre si deve riportare l’unità di misura adottata per la movimentazione. 7. Le registrazioni, sia in entrata sia in uscita, devono essere effettuate cronologicamente, entro le 24 ore successive alla movimentazione, senza lacune di trascrizione. 8. Dopo ogni movimentazione, deve essere indicata la giacenza. 9. Per le registrazioni deve essere impiegato un mezzo indelebile; le eventuali correzioni, effettuate senza alcuna abrasione e senza uso di sostanze coprenti, dovranno essere controfirmate. 10. Nel caso di somministrazione parziale di una forma farmaceutica il cui farmaco residuo non può essere successivamente utilizzato (come ad esempio una fiala iniettabile), si procederà allo scarico dell’unità di forma farmaceutica. Nelle note sarà specificata l’esatta quantità di farmaco somministrata, corrispondente a quella riportata nella cartella clinica del paziente. La quantità residua del farmaco è posta tra i rifiuti speciali da avviare alla termodistruzione. 11. Il registro non è soggetto alla chiusura annuale, pertanto non deve essere eseguita la scritturazione riassuntiva di tutti i dati comprovanti i totali delle qualità e quantità dei medicinali movimentati durante l’anno. PRESCRIZIONI D’USO 1. Indicare: il nome della specialità medicinale o del prodotto generico o della preparazione galenica, la forma farmaceutica (compresse, fiale, soluzione orale ecc.), il dosaggio e l’unità di misura adottata per la movimentazione (ml, mg o unità di forma farmaceutica). 2. Indicare il numero progressivo della registrazione. 3. Indicare il giorno, mese ed anno della registrazione. 4. Indicare il numero del buono di approvvigionamento o di restituzione del farmaco. La movimentazione di farmaci tra diverse unità operative dello stesso presidio, deve essere specificata nelle note. 5. Indicare la quantità di farmaco ricevuta in carico. 6. Indicare il nome e il cognome o il numero della cartella clinica o altro sistema di identificazione del paziente. Indicare l’unità operativa, in caso cessione a quest’ultima. Indicare la farmacia, in caso di reso. 7. Indicare la quantità di farmaco somministrata o consegnata o ceduta o resa. 8. Indicare la quantità di farmaco giacente presso l’unità operativa dopo ogni movimentazione. 9. Firma di chi esegue la movimentazione. 10. Indicare, oltre ai casi già evidenziati, specifiche annotazioni atte a fornire maggiore chiarezza in casi particolari. (Intestazione frontespizio del registro prima di copertina) REGISTRO DI CARICO E SCARICO DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI E PSICOTROPE DELLE UNITÀ OPERATIVE DELLE STRUTTURE SANITARIE PUBBLICHE E PRIVATE, NONCHÈ DELLE UNITÀ OPERATIVE DEI SERVIZI TERRITORIALI DELLE AZIENDE SANITARIE LOCALI. 32 PAGINA Infermiere a Pavia 33 PAGINA Numero 2/2001 L ottavo giorno “Un mare” per Aurora Graziella Milza * Giorgio Enoch * Per fare un prato bastano un trifoglio, un ape, un trifoglio, un ape o un sogno. Può bastare il sogno se le api sono poche. E. Dikinson Aurora (naturalmente un nome fittizio) amava l’acqua, si lasciava accarezzare dalle onde ed esprimeva la sua gioia con grida e sguardi che si imprimevano nella mente di chi la osservava. Questa era la Aurora dello scorso anno nelle vacanze di Alassio mentre da alcuni mesi (novembre ‘99) tutto le “aveva giocato contro”. La persona che conoscevamo non riusciva più ad uscire da uno stato psichico di intensità tale da non poterla inserire nuovamente tra i partecipanti delle vacanza che la Comunità aveva programmato per gli ospiti ad Alassio e Spotorno. Gli operatori si sentivano sconfitti davanti al “suo modo di essere”. A partire dall’inizio dell’autunno la maggior parte delle sue giornate trascorreva in atteggiamenti chiusi e distaccati. Il suo mare era il letto, il suo sguardo era assente e a poco erano valse le attenzioni degli operatori che cercavano di stimolarla. Il “male” che la pervadeva dava spazio solo a qualche breve momento di benessere. Si trovava a sperare, ma quando questo lampo appariva non sempre veniva colto, perché i brutali meccanismi dell’istituzione non prevedono tempi adeguati e non lasciano spazio per “cogliere l’attimo”. L’inverno di Aurora era trascorso senza tregua, i parenti non l’avevano portata a casa per Natale e dentro di lei rimaneva solo un vuoto triste e freddo che rischiava di intorpidire tutto quanto la circondava. Le energie degli operatori che fino ad allora si erano attivate per mettere in atto una pluralità di interventi, rivolti a far emergere in Aurora una serie di abilità e potenzialità sopite, dismesse e forse mai completamente sviluppate, si erano arrese. All’arrivo della primavera Aurora cominciava a dare i primi sintomi di “risveglio”: qualche uscita sporadica per un caffè; una visita ad un’altra Comunità ed il ritorno a casa il giorno di Pasqua permettevano così di sperare che stesse lentamente uscendo dal suo isolamento. In uno dei tentativi di accelerare questo processo, giugno 2000, in cui Aurora aveva accettato di uscire con due operatori per recarsi a Voghera a visitare giostre e bancarelle, manifestò atteggiamenti di una tale aggressività da costringere gli operatori a ritornare in fretta dopo pochi chilometri alla Comunità. Grande fu l’amarezza per il fallimento che si prospettava, forse si era osato troppo…. Sembrava quasi che Aurora avesse sancito che era fatta “così” e così bisognava rassegnarsi a tenerla. Dieci mesi trascorsi con un malessere che non dà tregua sono tanti per chiunque, ma per una persona con tanti anni di cronicità alle spalle, sono una vita e lo spettro di un meccanismo a spirale che risucchia i più deboli è sempre in agguato. Arrivò finalmente l’estate che sembrò abbracciare con il suo calore Aurora che rientrò ad essere parte integrante della Comunità. Ma come era già accaduto si trattava di una fase estemporanea che era destinata ad essere spazzata via come un ciclone. Iperattiva, accumulava tutto quello che si trovava nella sua traiettoria, dispettosa con gli ospiti ed il personale, capricciosa per attirare l’attenzione di chi la circondava. Passava notti insonni e dopo aver tentato ripetutamente di fuggire dalla Comunità si resero necessari un paio di ricoveri in SPDC. La chiave di lettura, che portò a rivedere la situazione dell’ospite in Comunità, fu dovuta alla constatazione della reazione che Aurora aveva non appena metteva piede sull’autoambulanza: si tranquillizzava. Il suo atteggiamento era di sfida, il suo sorriso quasi beffardo… Gli operatori vivevano con frustrazione questa situazione, i ricoveri duravano qualche ora o qualche giorno e non si sentivano creduti. Aurora creava un tale scompiglio in Comunità che quando veniva dimessa “così presto” la tensione non ancora stemprata lasciava il posto all’incredulità. Come risposta a tale situazione uscirono di rimando alcune supposizioni tra gli operatori: forse Aurora stava male in Comunità, forse non era solo una questione di terapia farmacologica, forse nel suo “letargo” era rimasta troppo sola e le attenzioni erano poche in questo difficile momento, forse le nostre risposte non erano adeguate a fronteggiare il suo 34 PAGINA malessere. La risposta positiva alla situazione venne proprio dal fatto che questo “andare e venire” in SPDC, non aveva prodotto risultati positivi né per noi e neppure per lei. Tanto valeva allora, rivedere dove le “maglie” della Comunità permettevano che la situazione sfuggisse al controllo degli operatori e cercare le risorse per una “nuova gestione”. Spesso il gruppo si divise, Aurora aveva bisogno di maggiori attenzioni, di vivere in un clima più dinamico. Per far fronte ai suoi bisogni, le energie del personale in molti casi divennero insufficienti poiché rivolti anche a fronteggiare i bisogni primari degli altri ospiti della Comunità. Il problema si fece più grave in quanto Aurora, con la sua “volubilità” aveva rotto intorno a sé ogni argine ed era stata per questo motivo esclusa da molte attività ricreative. All’inizio di settembre ebbe qualche momento di benessere: manifestava maggiore tranquillità ed affettività forse cercava di “rientrare tra noi”. Un’operatrice aveva espresso il desiderio di farle rivivere l’emozione di essere accarezzata dalle onde, di riprovare il gusto di sentirla vociare di gioia. Un altro operatore, approfittando dell’imminente vacanza di un gruppo di ospiti ad Arenzano, aveva proposto di raggiungere con Aurora gli amici. Le due proposte vennero fatte combaciare e si stabilì il giorno ma, considerata l’estrema volubilità dell’ospite, dopo avere sondato la sua disponibilità, si decise di non tornare sull’argomento sino al giorno prima della partenza. Abbigliamento adeguato (da viaggio e da spiaggia) era stato preparato in sordina, ma quando gli ope- Infermiere a Pavia ratori si presentarono in Comunità la risposta era palese: Aurora ci accolse con un sorriso, accettò di cambiarsi in fretta d’abito e si partì. Il tempo non prometteva bene, ma come rimandare una simile occasione? Dopo pochi chilometri intonò qualche abbozzo di canzone e spontaneamente le uscirono le parole di “ciao, ciao, mareee…”. A tratti intrecciava un colloquio immaginario con un ex-codegente in Ospedale Psichiatrico, a tratti si faceva sistemare la radiolina che l’infermiera le aveva portato e se la appoggiava all’orecchio. Questa radiolina aveva un significato simbolico, era legata ai momenti difficili attraversati da Aurora durante i soggiorni di Alassio e Spotorno. Lei ne possiede due, ma questa forse era un po’ magica. Piovve a dirotto quasi tutto il giorno ed il mare lo vedemmo solo dalla macchina, attendemmo gli amici che erano usciti e sostammo nel grande parco che circondava l’albergo. Qui Aurora incontrò Clint, uno splendido cane lupo la cui presenza fu provvidenziale in quanto l’amore che da sempre la lega a questi animali liberò in lei una grande affettività. Era eccitata, lo inseguì prima timida e poi lo accarezzò. Clint la gratificò rispondendo alle sue attenzioni. Noi operatori incassammo il colpo poiché ricordammo come lo scorso anno fu promesso a Aurora un cane, ma quando la realizzazione di questo “regalo” pareva concretizzarsi, sfumò. La burocrazia, la paura di non riuscire a far fronte all’impegno divise gli operatori e del progetto si sotterrarono le tracce. Aurora rimase con il suo “sogno” e forse si sottovalutò la crudeltà della beffa…. Questa divagazione non casuale riportò in noi un problema che sembrava sopito… Per tornare alla nostra “giornata al mare” verso le undici e mezzo arrivarono i nostri amici e, dopo i convenevoli, rimanemmo a pranzo con loro. L’inesistenza di uno spazio comune di soggiorno rese difficoltoso l’instaurarsi di un clima conviviale e disteso con gli altri ospiti. La pioggia ci impediva di uscire e rimanemmo relegati nel corridoio delle camere dell’albergo. Aurora si riposò sul letto che Santina gentilmente le aveva ceduto. A metà pomeriggio, per non creare ulteriore disagio ai nostri amici, intraprendemmo il viaggio di ritorno. A noi si era aggiunto un ospite che aveva deciso di lasciare il gruppo per rientrare in Comunità. Il mare che avevamo a due passi c’era parso in quel giorno di pioggia tanto lontano, fisicamente non l’avevamo toccato, ma forse “quel mare” era più vicino di quanto pensassimo. Forse lo sciabordare delle onde ci circondava, muoveva la nostra “barca” cullandola e suscitava in noi una sensazione simile ad una scarica d’adrenalina. Il costume lo riportavamo a casa asciutto, ma l’acqua di “quel mare” aveva inumidito l’aridità che rischiava di avvizzire le nostre risorse. Lasceremo sedimentare il tutto, con la promessa di discutere presto gli sviluppi dell’esperienza per una rilettura corretta del caso in modo da stimolarci a considerare ogni momento, anche il più banale, della vita di Aurora in Comunità. Tutto questo sarà possibile se gli operatori avranno il supporto di persone competenti, che li aiutino ad appropriarsi del concetto che certe attività, nella vita delle persone, sono da considerarsi ordinarie e non straordinarie. Desideriamo inoltre essere supportati a vivere come momento di maturazione le “crisi” di ogni ospite, per riuscire ad elaborare strategie più dinamiche che ci aiutino ad avvicinarci alle persone che si “allontanano” ed “irrompono” nella vita professionale di ogni operatore. Desideriamo appropriarci della consapevolezza di quanto la nostra fragilità o la nostra eccessiva sicurezza inneschi nelle situazioni di “crisi” vissute con i nostri ospiti dei meccanismi a spirale che spezzano in noi ogni speranza di ritorno. “È impossibile fare cose nuove e diverse senza sviluppare o utilizzare idee e metodi nuovi e diversi [...] Sono gli operatori impotenti a creare i pazienti senza speranze” (M. Spivak, 1988). * * * 35 PAGINA Numero 2/2001 Commento di Giacomo Mongodi ** Ci sono tanti modi di pensare i pazienti. Spesso tentiamo di colmare le nostre lacune nella teoria, nella prassi e nella relazione di cura attraverso comodi schematismi diagnostici e terapeutici, per non dire riabilitativi e risocializzanti, dietro ai quali nascondiamo la sofferenza alla nostra vista e la nostra ignoranza e incomprensione al loro sguardo, dei pazienti, degli “ospiti”. Aurora è un “residuo manicomiale”, come si sente dire. E’ arrivata in Comunità, con diversi altri, nel dicembre 1998, mentre le porte del manicomio si chiudevano alle loro spalle, definitivamente, per sempre. Qui di seguito è riportata la scheda di trasferimento dall’Ospedale Psichiatrico. Dal 1957 al 1961 è ricoverata presso l’Istituto Medico Psicopedagogico dell’OP con diagnosi di Frenastenia. Nel 1964 viene ricoverata per la prima volta in OP per la comparsa di anomalie comportamentali esplose all’interno del nucleo familiare e che di fatto si ripropongono ogni volta che viene dimessa. Anche all’interno dell’OP le note cliniche descrivono un alternarsi di fasi di tranquillità e di eccitamento, atteggiamenti provocatori, fughe, piccoli furti ai danni degli altri codegenti, dispettosità. Per questo ha difficoltà nei rapporti con gli altri ospiti dell’OP. Completamente dipendente sul piano dell’igiene personale; deve essere aiutata a tagliare la carne e sbucciare la frutta, dopo di che mangia da sola; deve essere stimolata ad indossare il pigiama; generalmente non disturba tranne nei periodi di irrequietezza. Non autosufficiente nella gestione economica, cui provvede l’ente. Nei momenti di agitazione tende a nascondersi, non risponde alla chiamata ed ha l’abitudine di scappare dalla finestra. Ama fare gite. La diagnosi finale è di Ritardo mentale medio-grave con gravi anomalie comportamentali. Così Aurora, che ama le gite, si è fatta 35 anni di manicomio… una passeggiata. Aurora è una persona che presenta un comportamento molto regredito, quando giunge in Comunità. Per lungo tempo il problema principale è determinato dal fumare accanitamente ogni sigaretta, per cui non ha solo le dita annerite, ma anche piagate, ustionate dal calore delle braci. Le lesioni guariscono lentamente, come la sua irrequietezza, aggressività e insonnia, il disorientamento nella nuova struttura di cui misura, con il suo vagare solitario e apparentemente afinalistico, spazi e valichi. Non mancano però esacerbazioni del delirio e delle allucinazioni, tentativi di fuga, aggressioni, episodi di angoscia e di agitazione, intense oscillazioni dell’umore sia in senso maniacale che depressivo. Aurora, a ogni buon conto, può fare assegnamento su operatori che non si arrendono facilmente, neppure di fronte a manifestazioni psicopatologiche così imponenti e durature, alle espressioni di una istituzionalizzazione protratta. Loro sanno, perché l’hanno sperimentato direttamente tante volte, che anche dietro i muri più spessi dell’incomprensibilità si mantengono attivi barlumi di vita, potenzialità nascoste e imprevedibili, slanci vitali in attesa di uno starter. Sanno che si possono passare anche anni nella malattia, tra gli ingranaggi spietati della “macchina” psicotica, ma, stando attenti, sempre si possono presentare spiragli di cambiamento, occasioni per “cogliere l’attimo” che compensa mesi di contrasti, frustrazioni e d’impotenza. Profondamente sanno, senza averla peraltro studiata, l’importanza sia del gruppo come costitutivo della realtà e dell’ambiente quotidiano, sia della funzione risanatrice dell’arte, potendo così affermare che il sogno dei terapeuti ha poeticamente “creato” qualcosa di nuovo per Aurora: “l’acqua di “quel mare” aveva inumidito l’aridità che rischiava di avvizzire le nostre risorse”. L’immersione nella rappresentazione corale (come Nietzsche ha descritto, in modo sublime, nella sua interpretazione della Grecia classica e della nascita della tragedia1), nella fusionalità sognante del collettivo, indica il bisogno umano fonda- mentale dell’azione risanatrice della grande arte e della comprensione della vita. Di fronte all’atrocità o all’assurdità dell’esistenza, come maga salvatrice, essa ripete che “in fondo alle cose la vita è, a dispetto di ogni mutare delle apparenze, indistruttibilmente potente e gioiosa” e che “in mezzo a questa sovrabbondanza di vita, di dolore e di piacere, in estasi sublime, ascolta un lontano e melanconico canto esso narra delle Madri dell’essere, i cui nomi suonano: follia, volontà, dolore”. Più recentemente, Antonino Ferro ci ha ricordato che gli artisti, come già aveva riconosciuto Freud, sanno descrivere semplicemente quello che gli scienziati con gran fatica tentano di analizzare: “Capì d’un tratto… che è dalla convinzione sommata di tutti che si crea il mondo, i corridoi, i palazzi, i ponti e che man mano che ci si addormenta questi vanno scomparendo; per poi sempre più vividi riformarsi al mattino. Tornò a letto aspettando che gli altri si svegliassero, era per questo che gli adulti si alzano presto, per preparare il mondo ai bambini”2. Bibliografia 1 NIETZSCHE F. (1876) La nascita della tragedia. Adelphi, Milano 1972. 2 FERRO A. (2000) Prima Altrove Chi. Borla, Roma. Gli autori * Infermieri Psichiatrici Comunità Protetta - Pavia ** Dirigente Responsabile Comunità Protetta - Pavia 36 PAGINA Infermiere a Pavia Aggiornamento Silvia Giudici * IN ITALIA ANDATA 7-10 Novembre 2001 – Venezia, Centro Congressi Palazzo del Cinema INFERMIERE E FUTURO TRA ASSISTENZA QUALIFICATA E QUALIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA. I CONFINI DELLE INFEZIONI V Congresso nazionale ANIPIO Organizzato da: ANIPIO - Associazione Nazionale Infermieri per la prevenzione delle Infezioni Ospedaliere Per informazioni rivolgersi a: Key Congress - tel. 049.659330 – sito Internet: http://www.keycongress.it Il Consiglio Direttivo ANIPIO ha contattato il nostro Collegio per favorire la partecipazione al V° Congresso Nazionale dei nostri iscritti. Offriranno la possibilità per accedere all’iniziativa, consentendo, un numero minimo di 10 iscrizioni, ad una quota agevolata ed espressamente a noi riservata pari a £. 200.000 più IVA, per un totale di £. 240.000 se dovuta, a fronte di £. 442.00 IVA esclusa per un totale di £. 530.400. 7-9 Novembre 2001 – Firenze I FATTORI STRATEGICI PER UN’ORGANIZZAZIONE DI QUALITÀ VII Congresso nazionale CNC Organizzato da: CNC – Coordinamento Nazionale Caposala Per informazioni: soluzioniom@tiscalinet 8 Novembre 2001 – Roma LA RESPONSABILITÀ E L’AUTONOMIA PROFESSIONALE DEGLI INFERMIERI TRA PRESENTE E FUTURO Organizzato da: USL Roma B Per informazioni: fax 06.41433221 9-10 Novembre 2001 – Sondrio LA MOVIMENTAZIONE DEI PAZIENTI NELLE STRUTTURE SANITARIE Organizzato da: ISPESL – ASL Sondrio - Per informazioni: [email protected] 14-15-16-17 novembre 2001 – Assisi (PG) LO SPECIFICO RELAZIONALE INFERMIERISTICO: MODELLI CONCETTUALI ED APPLICATIVI Organizzato da: CeF – CULTURA e FORMAZIONE Convegno nazionale per operatori Sanitari - Obiettivi: - Approfondire la ‘’natura relazionale’’ dell’assistenza infermieristica nelle sue manifestazioni ed applicazioni - Individuare la tipicità della relazione infermieristica e la sua applicazione nei diversi ambiti assistenziali - presentare i risultati di sperimentazioni infermieristiche riferite alle relazioni attuate nei principali ambiti assistenziali Per informazioni rivolgersi a: CeF Cultura e Formazione – Via Lodovico Chiesa 17, Pogliano Milanese tel/fax 02/93549225 - 02/93542802 – [email protected] 14-16 Novembre 2001 – Rimini – Palazzo dei Congressi QUALI CONFINI DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA IN AREA CRITICA XX Congresso nazionale ANIARTI Organizzato da: ANIARTI Per informazioni: consultare il sito web http://www.aniarti.it 16 novembre 2001 – Torino FLORENCE NON ABITA PIÙ QUI? Organizzato da: Change/Sicis - Primo convegno nazionale di counselling infermieristico: counselling e abilità comunicative nella nuova professionalità degli infermieri - Per informazioni rivolgersi a: Elisa Chechile, Istituto Change - tel. 011. 6695948 - lunedì e giovedì: ore 9.30 - 12.30 30 Novembre 2001 - Terni - Azienda Ospedaliara S.Maria, Aula Conferenze STRUMENTI INFERMIERISTICI PER UNA CORRETTA PIANIFICAZIONE DEL LAVORO Organizzato da: ANIN – Associazione Nazionale Infermieri Neuroscienze Per informazioni: consultare il sito web http://www.anin.it 5 dicembre 2001 - ore 9.30/13.30 - Pavia - Aula Magna della Questura, via Rismondo, 68 L’utente è soddisfatto dell’assistenza infermieristica? Valutazione di tre indagini conoscitive in merito Organizzato da: Collegio IPASVI della provincia di Pavia - Per informazioni: Collegio IPASVI di Pavia, via Lombroso, 3/B Tel. 0382525609 – fax 0382528589 - consultare il sito web http://www.ipasvipavia.it 37 PAGINA Numero 2/2001 I cateteri venosi centrali in emodialisi: aspetti di gestione A PAVIA RITORNO ASPETTI GENERALI Il 3 giugno 2000 presso l’aula didattica della Fondazione. S. Maugeri di Pavia si è tenuto un seminario di aggiornamento circa la gestione dei CVC in emodialisi: una giornata in cui si sono potute confrontare diverse realtà emodialitiche. Dagli inizi degli anni ’60 ad oggi si sono fatti dei notevoli passi in avanti. Anche gli accessi vascolari hanno avuto una loro evoluzione. Si è passati infatti dallo shount esterno, alla fistola arterovenosa (FAV); dalle protesi vascolari si è passati ai cateteri venosi centrali che rappresentano a tutt’oggi un’ accesso naturale. Il catetere in silicone è molto usato; l’unico inconveniente è che, dopo un lungo contatto col sangue, va incontro a denaturazione per la presenza di batteri o a causa di attività enzimatiche. Il CVC per dialisi nasce per trasportare massive quantità di sangue. Può essere temporaneo o permanente (il 36% dei cateterini viene messo in giugulare; il 32% in succlavia; il 32% in femorale), monolume, bilume o trilume a seconda dell’uso. È molto comodo per il paziente, rispetto ad uno shount esterno o ad una fistola arterovenosa, in quanto gli permette più libertà di movimento se posizionato in giugulare o in succlavia. Il buon funzionamento del CVC, così ha dichiarato il Dott. Galli, dipende dalle caratteristiche strutturali dello stesso. Esistono, infatti, CVC prodotti in diversi materiali come ad esempio in pebex, poliuretano, teflon, polietilene, PVC, silicone (sono preferibili i CVC in polietilene e non in PVC o altre sostanze clorurate in quanto quest’ultimi sono tossici ed inquinanti una volta smaltiti come rifiuti). Anche le manovre assistenziali e di gestione (eparinizzazione, medicazione, disostruzione del cateterino), la viscosità del sangue del paziente (è sempre bene tenere sotto controllo l’ematocrito), il giusto posizionamento del CVC nel lume vascolare, sono fattori determinanti per un buon funzionamento. Se il CVC è al centro del vaso, di regola non dovrebbero insorgere problemi. Se lo stesso è “a parete”, una oscillazione del vaso contro il CVC determina l’irritazione della vena. Questo viene definito “effetto frusta”. Anche i movimenti naturali del corpo, come ad esempio gli atti respiratori, potrebbero rilevarsi come un continuo stimolo. Il catetere venoso centrale si potrebbe ostruire per l’insorgenza di danni all’intima, in seguito ad un’insufficiente eparinizzazione, per uno stato di intrinseca ipercoagulabilità, per l’insorgenza di infezioni. Attenzione: all’interno del CVC esistono degli spazi non protetti dall’anticoagulante. Bisogna quindi eparinare ad alta pressione perché in quei punti c’è un elevato rischio di trombosi. La più grave è quella periluminale con trombo a “palla” formatasi sulla punta del CVC. Il Fibrin Sleeve, prosegue il Dott. Galli, è un manicotto di fibrina molto difficile da rimuovere con anticoagulanti; dapprima si forma un tessuto anomalo verso il quale migrano alcune cellule del vaso. Insieme formano così il Fibrin Sleeve. Ci sono poi le trombosi endoluminali. Queste si possono presentare in quanto vengono a formarsi dei trombi all’interno del CVC. Aspirando con una siringa non si risolvono. Essendo questi dei microtrombi, possono essere spinti nel sistema venoso senza procurare danni, oppure si può procedere alla pulizia del lume con apposita spazzolina sterile. Altro rimedio è l’utilizzo dell’urochinasi (UK), utilizzando da 5.000 a 12.500 U.I. di prodotto da lasciare in sede per 45 minuti per poi essere rimosso. L’operazione si ripete per due volte. Si possono anche usare 250.000 U.I. diluite in 100 ml di S.F. da infondere durante la seduta dialitica in 3 ore a gtt lenta (lavaggio con UK secondo protocollo Loock Tecnique). Ma come prevenire le trombosi? Usando: - CVC morbido; - materiale a bassa trombogenicità. Effettuando: - monitoraggio ACT durante la dialisi. Facendo: - prevenzione delle infezioni o loro trattamento; - somministrazione di anticoagulanti orali sin dall’inizio (sembrerebbe che la scoagulazione sia favorevole anche se ci sono dei pareri discordi). Le infezioni Le infezioni ospedaliere stanno aumentando non solo perché esistono tanti immunodepressi, ma anche perché sono sempre più numerose le tecniche invasive. Tra le fonti d’infezione: l’ambiente in cui si lavora. Esso deve essere un luogo pulito, possibilmente asettico e a bassa concentrazione di polvere, in quanto, come ben sappiamo, vettore nella trasmissione di germi. Le mani non deterse, i disinfettanti contaminati, le manovre settiche e le temperature inadeguate degli ambienti interni (vedi le sale operatorie) sono causa di trasmissione d’infezione. Il punto di attacco o d’infezione non è solo laddove il CVC esce dalla cute. Anche i tappini di chiusura dei cateterini, se manipolati scorrettamente, o le vie d’ingresso siliconate sfruttate per eseguire le terapie E.V. potrebbero veicolare microrganismi patogeni. Se mettiamo in atto tutto quello che abbiamo imparato e ci atteniamo all’osservanza delle manovre asettiche, facendole seguire anche da quel medico o primario che sia “dimenticone”, possiamo evitare di regalare febbre e degenze prolungate oltre il previsto. E’ importante quindi mantenere pulita la cute del paziente, soprattutto la zona accanto al punto d’inserzione del CVC (o CVP), provvedendo alla sua medicazione secondo protocollo; maneggiare i tappini con cura prestando attenzione a non toccare la 38 PAGINA parte che và connessa al cateterino tramite avvitamento (mai riutilizzare lo stesso tappino al termine di una terapia infusiva; mai lasciare tappini in giro, soprattutto sul comodino: potrebbero essere scambiati per delle pastiglie!); disinfettare i raccordi o i tappini siliconati preposti ad essere bucati per ricevere farmaci. Importante è mantenere stretti rapporti con il laboratorio analisi e quindi effettuare tamponi della cute, colture della punta del CVC una volta rimosso, segnalando data e ora del prelievo del campione. In attesa dei referti si può effettuare AB sistemica. Esistono però dei pareri discordi circa l’uso della profilassi antibiotica in quanto si potrebbero creare delle resistenze. Mai usare antibiotici locali. Usare invece disinfettanti appropriati e diluiti correttamente. In caso d’infezione si può sacrificare il catetere rimuovendolo (quello temporaneo), oppure preservandolo se si tratta di CVC definitivo sempre se non apporta eccessivi danni al paziente. Se dopo la dialisi il soggetto ha brividi, bisognerà avvisare il medico ed effettuare degli esami specifici che consistono in tre emocolture seriate più un tampone della cute. Nell’attesa dei referti e dell’antibiogramma, monitorare TC e somministrare antipirettici. Infermiere a Pavia Manutenzione ordinaria dei CVC Controllo del funzionamento del CVC A questo proposito è intervenuta l’I.P. Dell’Acqua della Dialisi della Fondaz. Maugeri sottolineando ulteriormente l’importanza delle manovre asettiche. Oltre le mani, si devono detergere gli avambracci successivamente asciugati con telo sterile. Si indosseranno mascherina, copricapo e guanti sterili. Si informerà il pz. circa l’importanza di queste manovre e anche lui farà uso di mascherina. Possibilmente questi passaggi prevedono la presenza di due I.P., un leader ed un servitore. Evitare l’utilizzo di disinfettanti alcolici. Usare Amuchina (solo su cute integra), Betadine ed H2O2. Prima si userà Perossido d’idrogeno passato sulla cute in senso centrifugo. In sostituzione può essere usata l’Amuchina. La stessa cosa viene ripetuta con lo Iodopovidone, lasciandolo agire ed asciugare. La zona disinfettata viene momentaneamente coperta con garze sterili. L’Amuchina può essere usata anche per disinfettare il CVC. Prima di iniziare la dialisi bisogna rimuovere l’eparina dal catetere e lavaggiare i suoi lumi con S.F. (per ogni lume usare una siringa diversa). Per tutto il tempo della seduta dialitica la parte viene poi coperta da un manicotto di garze imbevute di soluzione iodofora (Betadine). Al termine della dialisi viene rifatta la medicazione. Si tratta di una procedura “a piatto” che prevede l’uso di disinfettanti, garze sterili (quelle orlate per evitare sfilacciature) e cerotti quali il Mepore o il Tegaderm. Quest’ultimo (mod. HP o PAD) è molto indicato per quei pz. che sudano molto; inoltre, a differenza del Mepore, non lascia residui di colla. Con la medicazione a piatto i tubi d’ancoraggio, posizionati paralleli tra di loro, non si andranno a sovrapporre e non si impiglieranno accidentalmente tra gli indumenti o gli effetti letterecci provocando traumatismi al pz. o il disancoraggio del catetere. Il cerotto di fissaggio, Mepore o Tegaderm che sia, deve essere teso perfettamente in modo tale che aderisca bene alla cute. Prestare attenzione agli angoli del cerotto onde evitare arrotolamenti degli stessi. Effetuare educazione sanitaria al pz. che dovrà imparare a gestirsi il catetere a domicilio. Durante la seduta dialitica è bene controllare se tutto procede correttamente. In caso di ostruzione si interviene facendo una rapida ispezione esterna. Le connessioni sono state fatte in modo corretto? Le clamps sono aperte? La postura del pz. è corretta? Se è tutto regolare si procede allora all’ispezione interna, correlabile al CVC che va sconnesso dal circuito fermando la macchina e sottoposto a prova. Prima cosa da fare è lavaggiare il catetere con S.F. (10 ml per lume). Poi si prova ad aspirare per valutare la sua portata. Può accadere che un lume funzioni e l’altro non riceva bene. In questo caso si attua il così detto “colpo d’ariete” che consiste nell’iniettare, ad alta pressione ed in breve tempo, una piccola quantità di S.F. (1,5 ml) usando siringhe di piccolo calibro. La pressione dipende dalla forza manuale e dalla superficie della siringa. Forza manuale PRESSIONE = ——————————— Superficie della siringa Come prevenzione si può usare l’Urokinasi prima della seduta dialitica, iniettando 12500 U.I. di eparina per lume portate a 10 cc. Si iniettano 2 cc di soluzione per volta ogni 10 minuti fino ad esaurimento del preparato stesso. A questo aggiornamento hanno partecipato, confrontandosi ed apportando le loro esperienze, rappresentanti di diverse realtà dialitiche e precisamente: l’Ospedale S. Matteo di Pavia, l’Ospedale di Melegnano, l’Ospedale di Vigevano e l’Ospedale di Brescia. In conclusione mancano delle vere e proprie linee guida circa l’impianto dei CVC e l’assistenza ai dializzati in quanto i cateteri in uso sono innumerevoli ed è quindi difficile standardizzare dei protocolli. Ma c’è chi a proposito ci stà studiando. L’autore * Infermiera Professionale Fondazione Salvatore Maugeri Centro Medico di Pavia Medicina Generale Le norme editoriali La rivista “Infermiere a Pavia” pubblica contributi (ricerche, esperienze, rassegne di aggiornamento, ecc.) riferiti alla teoria e alla prassi infermieristica, al campo delle discipline medico-biologiche e sociali, ad argomenti di organizzazione, economia e politica sanitarie. Gli articoli inviati per la pubblicazione debbono essere in duplice copia e indirizzati a: Redazione di “Infermiere a Pavia” c/o Collegio IP.AS.VI. di Pavia, Via Lombroso, 3/b - 27100 PAVIA, posta elettronica [email protected] Gli articoli devono essere inviati dattiloscritti o in grafia leggibile, ove possibile anche su floppy disk 3.5”, realizzati con programmi IBM compatibili. Il testo deve essere il più conciso possibile, compatibilmente con la massima chiarezza di esposizione; non si devono in ogni caso superare le 5 cartelle dattiloscritte di 30 righe a 60 battute per riga. Le parole che gli autori desiderano porre in evidenza debbono essere sottolineate con tratto continuo. Le figure e tabelle devono essere scelte secondo criteri di chiarezza e semplicità; saranno numerate progressivamente in cifre arabe e saranno accompagnate da brevi ed esaurienti didascalie. Nel testo deve essere chiaramente indicata la posizione di inserimento. Diagrammi e illustrazioni, allestiti allo scopo di rendere più agevole la comprensione del testo, dovranno essere sottoposti alla redazione in veste grafica accurata, tale da permettere la riproduzione senza modificazioni. La bibliografia, riferita a tutti gli autori citati nel testo, dovrà essere redatta secondo le norme riportate nell’Index Medicus. I modelli sotto riportati esemplificano rispettivamente come si cita un articolo, un libro, un capitolo preso da libro. • Cosi A. “L’ansia nei bambini sottoposti ad intervento di chirurgia elettiva: indagine descrittiva.” La Rivista dell’Infermiere 1997; 3: 144 - 150 • Ferrata A., Storti E., Mauri C. “Le malattie del sangue” (2 ed.) Milano, Vallardi 1958, pag. 74. • Volterra V. “Crisi di identità storica ed attuale dello psichiatra”. In: Gilberti E (ed) L’identità dello psichiatra. Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 1982. Ogni articolo è sotto la responsabilità diretta degli Autori che lo firmano. Quando il contenuto dell’articolo esprime o può coinvolgere responsabilità e punti di vista dell’Ente (o Istituto, Divisione, Servizi ecc.) nel quale l’Autore o gli Autori lavorano e quando gli Autori parlano a nome delle stesse istituzioni, dovrà essere fornita anche l’autorizzazione dei rispettivi Responsabili. Gli articoli inviati alla Rivista saranno sottoposti all’esame della redazione e dei collaboratori ed esperti di riferimento per i vari settori. L’accettazione, la richiesta di revisione, o la non-accettazione saranno notificati e motivati per iscritto agli Autori entro il più breve tempo possibile. La pubblicazione dei lavori è gratuita. Salvo diverse esigenze concordate con l’Autore, i testi in qualsiasi forma ed il materiale inviato non saranno restituiti. Se vengono utilizzati testi o materiali coperti da copyright deve esserne chiaramente indicato l’Autore e/o la fonte. 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