Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989. Sped. in abb. postale - Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia - IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TASSA - REINVIARE ALL’UFFICIO PAVIA-FERROVIA
2/2001
Infermiere
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Ultime notizie
A.I.Ur.O.
DITORIALE
E
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Infermiere a Pavia
Così come ogni cosa cambia, anch’io
sono cambiata e sento la necessità di
orientare le mie risorse ad altre dimensioni e ad altri obiettivi.
Gli impegni di famiglia poi assorbendo sempre più energia, esasperano il bisogno di recuperare spazi.
Così lascio la responsabilità di dirigere “Infermiere a Pavia” ad altri, che
sapranno più puntualmente ed energicamente portare avanti, il testimone di quella stupenda avventura che è sempre comporre e far vivere le pagine della rivista.
Continuerò a collaborare per quanto
possibile ma senza essere assillata da
doveri che per ora sento come un peso.
Molte sono le persone che vorrei ringraziare, primi fra tutti coloro che hanno
puntualmente letto articoli e servizi che la
Infermiere a Pavia
Rivista trimestrale del Collegio IP.AS.VI. di Pavia
Anno XI n. 2/2001 aprile/settembre 2001
Editore Collegio Infermiere professionali,
Assiatenti Sanitarie, Vigilatrici d’Infanzia
della Provincia di Pavia
Direttore Responsabile Enrico Frisone
Capo Redattore Giuseppe Braga
Segreteria di Redazione M. Bergognoni, L. Littarru, A.M. Tanzi
Comitato di Redazione M. Bergognoni, M.L. Botticini, G. Braga,
M. Cattanei, S. Giudici, L. Littarru, R. Rizzini,
A.M. Tanzi
Hanno collaborato a D. Antoniotti, M.L. Bassi, E. Boerci, M. Borri, M.
Berlinese, A. Carducci, A. Di Palma, G. Enoch,
M. Filiali, S. Fusetti, S. Giovanetti, L. Maldarelli,
N. Intini, F. La Torre, A. Massola, G. Milza, A.
Minoia, S. Odato, E. Pistoia, S. Pontone, R. Prazzoli, M.V. Tardino, D. Tegoni, M.G. Trimarchi
Impianti e stampa Gemini Grafica snc - Melegnano (MI)
Direzione, Redazione, Via Lombroso, 3/B - 27100 Pavia
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I punti di vista e le opinioni espressi negli articoli sono degli
autori e non rispettano necessariamente quelli dell’Editore.
Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati,
non saranno restituiti.
Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989.
Spedizione. in abb. postale - Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia.
La rivista è inviata gratuitamente agli iscritti al Collegio IP.AS.VI. di
Pavia. Finito di stampare nell’ottobre 2001 presso
Gemini Grafica snc di S. & A. Girompini, Melegnano (MI)
redazione ha prodotto talvolta superando
molte difficoltà; per loro per i lettori,
l’impegno e la tensione ideale che non
sono mai venuti meno.
Un grazie di cuore a Giuse Ferrato
che ha sempre collaborato ampiamente
andando ben oltre i suoi doveri di segretaria esecutiva del Collegio.
Ed infine ai componenti della redazione passati e presenti, al loro esserci per
un obiettivo comune pur con grandi differenze ideologiche e culturali, un saluto
che non è un addio, ma l’inizio di un
nuovo rapporto da costruire, se vorremo.
A tutti gli auguri più sinceri per trovare nel quotidiano gusto, significato, appagamento.
Maria Luigia Botticini
I n d i c e
S p a z i o concentrato
Un’attività di vita quotidiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .5
Incontinenza urinaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7
L’incontinenza urinaria e fecale nell’anziano . . . . . . . . . . . . .9
Un percorso tortuoso... quello del materiale fecale . . . . . . .12
Incontinenza fecale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14
Imparare a convivere con una stomia . . . . . . . . . . . . . . . . . .15
Un posticino tranquillo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18
PERCORSI
A l t r i
A.I.Ur.O. Associazione Infermieri di Urologia Ospedaliera . .22
Associazione Lule . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .23
LA MERIDIANA
Valutazione dell’ansia e del dolore in un paziente
ricoverato d’urgenza in Unità Coronarica . . . . . . . . . . . . . . .26
Ministero della Sanità, Decreto 3 agosto 2001
Approvazione del registro carico e scarico delle
sostanze stupefacenti e psicotrope per le unità operative . .31
L ottavo giorno
“Un mare” per Amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .33
Aggiornamento
I cateteri venosi centrali in emodialisi: aspetti di gestione
.37
Numero 2/2001
Permettetemi di aprire questo primo editoriale in qualità di
Direttore, assumendomi la responsabilità di fare da cassa di risonanza ad un messaggio giunto presso la mia casella di posta elettronica.
I recenti avvenimenti mondiali non possono e non devono
lasciarci indifferenti, soprattutto ora che la fortissima emozione
provocata dall’attentato alle Twin Towers si affievolisce e,
com’è naturale, col passare dei giorni sembra sbiadire, tanto più
sta crescendo la paura.
Basta salire su un autobus o entrare in un bar o chiamare un
amico per capire che gli italiani hanno paura.
E’ una paura indistinta e indefinita, è una paura che ci cresce
dentro ogni giorno che passa.
Ecco perché desidero condividere con voi questa e-mail.
P.S. al termine dell’articolo c’è una mappa che può aiutarci
a capire l’entità del problema.
Da zeta.net, newsletter di una pacifista americana
Ho sentito parlare molto della possibilità di “ricacciare l’Afghanistan nell’ètà della pietra a suon di bombe”. Ron Owens,
parlando al Kgo Talk Radio, ha ammesso che ciò significherebbe uccidere persone innocenti, che non hanno nulla a che fare
con queste atrocità, ma “siamo in guerra e dobbiamo accettare
i danni collaterali”.
Qualche minuto dopo ho sentito esperti che in tv si chiedevano
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“se abbiamo il fegato di fare quel che va fatto”.
Ci ho pensato molto, perché vengo dall’Afghanistan, e anche se
vivo qui da 35 anni, non ho perso contatto con ciò che avviene
laggiù.
Io parlo come una persona che odia i talebani e Osama Bin
Laden.
Non ho alcun dubbio che siano loro i responsabili del massacro
di New York. Sono convinto che sia necessario fare qualcosa
contro questi mostri.
Ma i talebani e Bin Laden non sono l’Afghanistan: sono un
gruppo di ignoranti psicotici che hanno preso il sopravvento in
Afghanistan nel 1997. Bin Laden è un criminale politico con un
piano. Quando pensate ai talebani, pensate ai nazisti.
Quando pensate a Bin Laden, pensate a Hitler.
E quando pensate al popolo afghano, pensate agli ebrei nei
campi di concentramento.
Non è solo che la gente afghana non ha nulla a che fare con
queste atrocità, è che sono loro le prime vittime di chi le ha perpetrate.
Il popolo afghano esulterebbe se qualcuno arrivasse e ripulisse
il Paese dai covi di questi assassini.
Qualcuno si chiede perché gli afghani non si ribellano e non
rovesciano i talebani.
La risposta è: sono denutriti, esausti, feriti, sofferenti. Pochi
anni fa, l’Onu stabilì che c’erano 500 mila orfani disabili in
Afghanistan - un Paese senza economia, senza cibo.
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Ci sono milioni di vedove, e i talebani hanno seppellito vive le
vedove in fosse comuni.
Il terreno è disseminato di mine, le fattorie sono state distrutte
dai sovietici.
Questi sono alcuni dei motivi per cui il popolo non ha rovesciato i talebani.
Veniamo al fatto di bombardare l’Afghanistan “indietro all’età
della pietra”.
Il problema è che ciò è già stato fatto. I russi hanno avuto cura
di farlo.
Fare soffrire gli afghani? Stanno già soffrendo.
Abbattere le loro case? Fatto.
Ridurre le scuole a cumuli di macerie? Fatto.
Distruggere i loro ospedali? Fatto.
Privarli di medicine e assistenza medica? Troppo tardi. Qualcuno ha già provveduto.
Le nuove bombe non farebbero che rimescolare le macerie.
Alla fine prenderebbero i talebani? Difficile.
Oggi in Afghanistan mangiano solo i talebani, solo loro avrebbero i mezzi per muoversi, fuggirebbero.
Forse le bombe colpirebbero qualcuno di quegli orfani mutilati,
loro non si muovono in fretta, non hanno neppure sedie a rotelle.
Volare sopra Kabul sganciando bombe significherebbe fare
causa comune con i talebani: violentare la gente che loro hanno
violentato per tutto questo tempo.
Lasciatemi dire, con paura: l’unico modo per prendere Bin Laden
è andare lì con le truppe di terra. Quando la gente parla “del
fegato di fare ciò che va fatto”, pensa in termini di avere il fegato di superare gli scrupoli morali a uccidere degli innocenti.
Infermiere a Pavia
Tiriamo fuori la testa dalla sabbia. Quel che è in ballo in realtà
è la possibile morte di americani. E non solo perché morirebbero degli americani durante la caccia ai nascondigli di Bin
Laden.
È perché per far entrare le truppe in Afghanistan dovremmo
passare dal Pakistan.
Ce lo permetterebbero? Non penso. Dovremmo prima conquistare il Pakistan.
Le altre nazioni islamiche starebbero a guardare?
Stiamo flirtando con una guerra mondiale tra Islam e Occidente.
E questo è il progetto di Bin Laden, quello che lui vuole.
Lui pensa che l’Islam sconfiggerà l’Occidente.
Può suonare ridicolo, ma lui calcola che polarizzando il mondo
in Islam e Occidente, avrebbe un miliardo di soldati.
Probabilmente ha torto, e alla fine l’Occidente vincerebbe, ma
la guerra durerebbe anni e milioni morirebbero, non solo dei
suoi, ma dei nostri.
Chi ha il fegato di fare questo?
Bin Laden l’ha.
Qualcun altro?
Gino Strada con alcuni nostri colleghi infermieri di Emergency stanno da tempo lavorando in quelle zone pericolose:
hanno bisogno di noi, del nostro aiuto.
Parliamone, contattateci per esprimere le Vs. opinioni e perché no, per pensare insieme a quali iniziative “l’Infermiere a
Pavia” possa intraprendere.
Direttore Responsabile
Enrico Frisone
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Numero 2/2001
S p a z i o concentrato
Un’attività di vita quotidiana
Annamaria Tanzi*
L’eliminazione, un’attività di vita quotidiana, un bisogno di base dell’uomo, un
bisogno di sopravvivenza come il cibo,
l’aria, l’acqua … e per questo predominante a mantenere il benessere fisico e il
normale equilibrio fisiologico.
L’eliminazione è un bisogno del corpo
ma investe anche la corporeità della persona, una dimensione più complessa
rispetto alla fisicità, perché deputati di
questa funzione sono gli organi genitali
legati alla sfera intima e privata che rimanda alla protezione, al senso del pudore, al
tabù e anche alla sensazione di un’attività
indecente o spiacevole, un’attività che si
svolge in un luogo appartato e i cui prodotti devono essere tenuti nascosti.
Questi ultimi aspetti sono pressoché
universali nel senso che sono presenti in
quasi tutte le culture del mondo.
Quando l’eliminazione diventa un bisogno di assistenza infermieristica, questi
… Maudie era gelata, era malata, era debole - ma sentivo qualcosa
pulsare dentro di lei: la vita. Com’è tenace, la vita. Non ci avevo mai
pensato prima, non l’avevo mai recepita in quel modo, non come in
quel momento, mentre lavavo Maudie Fowler, una vecchietta arrabbiata e indomita. E lo era davvero, arrabbiata. All’improvviso ho
capito che tutta la sua vitalità risiede in quella rabbia.
Non devo non devo assolutamente risentirmene, non devo reagire
violentemente….
… Poi si è presentato il problema della parte inferiore del corpo. Ho
deciso di aspettare istruzioni.
Le ho infilato la maglia “pulita” dalla testa, le ho avvolto il cardigan
‘pulito’ intorno al torace, e ho visto che lei intanto si stava sfilando lo
spesso strato di sottane. È stato allora che mi ha colpita dritta in faccia: la puzza. Oh, non serve che non ci pensi, mi è impossibile far finta
di nulla. Troppo debole o troppo stanca per muoversi, ha cacato nelle
mutande, ha cacato dappertutto.
Mutande, luride... Be’, non ho intenzione di continuare, nemmeno
per sfogarmi, mi sento ancora male solo a pensarci. Ma stavo guardando la maglia e le sottovesti che si era tolta, ed erano gialle e marroni di merda. Comunque. Se ne stava là in piedi, la metà inferiore
del corpo completamente nuda. Le ho fatto scivolare dei giornali, uno
spesso strato, sotto i piedi. E ho cominciato a lavare e lavare, la parte
inferiore del corpo. Lei si teneva al bordo del tavolo con quelle mani
forti. Quando sono arrivata al sedere, Maudie l’ha spinto in fuori,
come avrebbe fatto una bambina, e io ho lavato anche quello, pieghe e
rughe comprese. Poi ho buttato via tutta Il acqua, ho riempito di nuovo
la bacinella, ho rimesso in fretta i bollitori sul fuoco. Le ho lavato le
parti intime, e per la prima volta ho pensato davvero al significato e di
quell’espressione: Maudie soffriva orribilmente Proprio perché una
“valori” superiori devono guidare l’agire
infermieristico in termini di discrezione,
tatto e rispetto.
Un’assistenza personalizzata ed olistica
è rivolta alla persona che in quanto tale è
unità e totalità e per questo l’eliminazione
è un’attività influenzata da meccanismi
diversi che riguardano tutti gli ambiti dell’essere umano: la psiche, il soma, gli
organi di senso, l’ambiente di vita, la
società in cui si sviluppa e la cultura ossia
il sistema di norme, comportamenti, usi,
costumi, tradizioni, credenze e pregiudizi
propri della comunità che lo accoglie.
La minzione e la defecazione sono funzioni escretorie dell’organismo che nel
corso della vita presentano importanti
modifiche legate alle fasi dello sviluppo
dell’individuo dalla nascita alla vecchiaia,
passando da una fase senza controlli
degli organi escretori (lattante, bambino
sino al terzo anno di età circa) all’appren-
sconosciuta stava invadendo la sua intimità…
… Io e Maudie facciamo delle gran litigate, come se fossimo madre
e figlia, o sorelle, e lei dice, “Vattene allora, vattene pure. lo non le
voglio quelle donne dell’Assistenza, qua dentro,” e io, “Maudie, sei
impossibile, sei tremenda, non so più cosa fare, con te.
Poi una volta sono scoppiata a ridere, la scena era così ridicola,
Maudie in piedi vicino al tavolo nuda come un verme, e io che le
lavavo via la merda e dicevo, “E le orecchie, eh?” Lei si è zittita e si
è messa a tremare. Poi, “Perché ridi di me?”
“Non rido di te, rido di noi. Ma guardami, guardati, stiamo litigando come matte!”
Lei è uscita dal catino nel quale l’avevo messa in piedi, mi ha guardata, con aria tra il supplichevole e l’arrabbiato.
Io l’ho avvolta nel grande asciugamano che avevo portato da casa
mia, una nuvola di spugna rosa, e ho cominciato ad asciugarla
delicatamente.
Si è messa a piangere. Le lacrime scendevano giù lungo le rughe...
“Suvvia, Maudie, per l’amor di Dio, prendiamola sul ridere, è
meglio che mettersi a piangere.”
“Che orrore, che orrore, che orrore,” ha mormorato lei, con gli
occhi, lucenti, dilatati, fissi davanti a sé. Tremava come una
foglia, “Orrore, orrore”.
Durante le ultime tre settimane ho buttato via tutte le mutande nuove
che le avevo comperato, ormai sporche, disgustose, e ne ho
comperate altre due dozzine, le ho fatto vedere come riempirle di
cotone idrofilo, prima di infilarsele.
E così, è tornata ai pannolini. Orrore, orrore, orrore...
Da “Diario di Jane Somers” di Doris Lessing, ed. Feltrinelli
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Infermiere a Pavia
dimento del controllo degli stimoli della
minzione e della defecazione (intorno al
terzo anno di vita), alla regolarizzazione
successiva sino ad una possibile involuzione delle funzioni escretorie a causa del
processo di invecchiamento della vescica
e dell’intestino.
Altri fattori a livello biofisiologico che
influiscono sulle funzioni escretorie sono
l’alimentazione come quantità di liquidi
assunti e cibi sani, cioè cosa e quanto si
mangia, il movimento ed il sistema neurovegetativo. Sane abitudini di vita possono
educare l’organismo a rispondere efficacemente e con ritmi regolari durante la
giornata al bisogno di eliminazione e nondimeno prevenire la patologia delle funzioni escretorie.
I disturbi o disfunzioni quali disuria, pollachiuria, oliguria, anuria, poliuria, nicturia,
ritenzione urinaria, incontinenza urinaria e
fecale, stipsi, diarrea, tenesmo, in tale
ambito sono di diversa natura e molto
soggettivi, possono riconoscere cause
organiche ed essere secondarie per cui si
presentano come sintomi di malattia,
avere origine da intossicazioni e infezioni,
derivare da cattive abitudini di vita soprattutto per quanto riguarda l’alimentazione
e l’attività fisica ma anche l’igiene personale ed ambientale, o essere causati da
situazioni di disagio psico-sociale, stress
del vivere quotidiano. Ed infine, traumi
psichici o fisici, paura, spavento, tensione, ansia, emozioni che se somatizzate
spesso possono avere ricadute sulle funzioni escretorie con bisogno continuo di
minzione e/o defecazione, diarrea, enuresi notturna.
Nel modello psicoanalitico, Freud definiva le fasi di sviluppo del bambino con i
concetti di “fase anale” e “fase orale” mettendo in risalto il rapporto diretto fra alimentazione e funzioni escretorie e fra lo
sviluppo e la personalità, per cui impressioni recepite nella prima infanzia possono diventare per l’individuo un modello di
vita positivo o negativo a seconda delle
esperienze vissute.
È evidente che esiste una interdipendenza fra eventi psichici, psicosociali,
ambientali ed organici per un efficace
mantenimento dell’attività di minzione e di
defecazione, un’attività e un bisogno
della persona che nell’esercizio della professione infermieristica richiede non soltanto la conoscenza tecnicistica e l’uso di
strumenti adeguati ma soprattutto richiede una relazione supportiva (fiducia,
empatia, interessamento, autonomia e
reciprocità) con l’assitito e l’informazione
necessaria al paziente per garantirgli il
rispetto della sfera intima, il diritto alla privacy, la riduzione del possibile imbarazzo,
il massimo confort e sicurezza e favorire la
giusta collaborazione.
L’assistenza infermieristica è rivolta
all’individuo nella sua interezza, l’infermiere soprattutto in ambito ospedaliero ha di
fronte una persona con problemi di salute
e perciò vulnerabile dal punto di vista fisico, fisiologico e psicologico, l’infermiere
quindi, deve saper riconoscere e individuare questi problemi nella loro complessità per saper essere, saper ascoltare e
attivare tutte le risorse disponibili.
LA MONOGRAFIA
che presentiamo affronta alcune tematiche intorno al bisogno universale dell’eliminazione, per non dimenticare un bisogno di assistenza infermieristico che rappresenta un’attività intimamente collegata
con la vita, essenziale per il benessere fisico, psichico e sociale di ogni persona.
E’ un’occasione per conoscere le novità
in uroriabilitazione, un momento di confronto sui problemi che alterano il normale funzionamento escretorio: dall’incontinenza urinaria a quella fecale, uno spazio
per riproporre alcune pratiche come il
cateterismo e l’irrigazione intestinale e
una possibilità di avere a disposizione un
glossario di strumenti che favoriscono l’eliminazione con le implicazioni infermieristiche.
A chiusura del lavoro, “Un posticino
tranquillo”… offre una simpatica lettura,
una rivisitazione storica sull’evoluzione
del WC.
L’autore
* Infermiera Professionale
SPDC ASL Pavia
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Numero 2/2001
Incontinenza urinaria
Maria Luisa Bassi *
L’incontinenza è la perdita involontaria
dell’urina in tempi e luoghi inappropriati e
costituisce un problema igienico sociale e
socio-economico di rilevante importanza
a livello mondiale, confermato dalla Intemational Continence Society, nell’ordine
di migliaia di miliardi.
In Italia oggi sono stimati oltre tre milioni di incontinenti urinari, anche se tale prevalenza è abbondantemente sottostimata.
Le cause dell’incontinenza urinaria
sono diverse se a soffrire di tale disturbo
sono gli uomini oppure le donne e, pur
non dando per scontato che l’incontinenza sia una conseguenza inevitabile della
vecchiaia, è pur vero che gli anziani sono
i più vulnerabili.
La prevalenza dell’incontinenza urinaria
è femminile: l’8,5% nell’età compresa tra i
15 ed i 64 anni, passa all’11,6% dopo i 65
anni, aumentando al 16,2% oltre gli 85
anni; negli uomini aumenta dall’1,6% tra i
15 ed i 64 anni, aumentando al 6,9%
sopra i 65 anni per raggiungere il 15,4%
oltre gli 85 anni.
Si è appurato che solo il 25,5% delle
donne che soffrono di incontinenza si
rivolge al medico per individuarne la
causa e trovare l’idoneo trattamento per
risolvere il problema.
L’incontinenza urinaria è uno stato fisico
spesso inconfessabile, tanto che il paziente affetto da tale disturbo, anche in forma
lieve, tende all’isolamento a causa dell’abbassamento dell’autostima dovuta
all’alterazione corporale con limitazione
dei rapporti familiari e sociali.
La prima regola è parlarne con il proprio
medico, il quale invierà l’assistito dallo
specialista urologo che avvierà le procedure per individuare il tipo di incontinenza
e le cause che l’hanno determinata, ed
imposterà la terapia riabilitativa più idonea. È importante conoscere i tipi di
incontinenza e le tecniche diagnostiche e
riabilitative.
Le caratteristiche dell’incontinenza possono essere diverse e si distinguono in:
Enuresi, Incontinenza urinaria da sforzo,
Incontinenza urinaria da Urgenza, Incontinenza da Over-flaw, Incontinenza Neurogena, Incontinenza geriatrica.
Enuresi
Incontinenza notturna presente prevalentemente nei bambini in età in cui
dovrebbero essere in grado di mantenere
il controllo dello sfintere. Tale sintomo
scompare con la crescita e quasi sempre
entro il periodo puberale. Sono le bambine a soffrire maggiormente di tale disturbo.
Incontinenza urinaria da Sforzo
Perdita di urina che avviene durante
uno sforzo fisico, un colpo di tosse o condizioni simili (gli starnuti sono acerrimi
nemici). Quasi sempre il fenomeno coinvolge il sesso femminile. Le condizioni
favorenti tale tipo di incontinenza urinaria
sono le gravidanze, ma anche il periodo
perimenopausale può rappresentare il
momento rivelatore di tale sintomo; può
comunque apparire in donne molto giovani anche se non hanno ancora avuto gravidanze e può manifestarsi in occasione
di pratiche sportive o eseguendo esercizi
ginnici.
Agli uomini tale disturbo può comparire
dopo interventi di chirurgia tradizionale o
endoscopica, prevalentemente per patologia prostatiche.
Incontinenza urinaria da Urgenza
Impossibilità di trattenere le urine quando si avverte lo stimolo. Il sesso maggiormente coinvolto è quello femminile anche
in giovane età; minore il numero degli
uomini, anche se non più giovani, che soffrono di questa forma di incontinenza. Al
sopraggiungere dello stimolo non sempre
si riesce a raggiungere una toilette. È una
forma di incontinenza capricciosa e
necessita di protezione con assorbenti o
pannoloni. Il fenomeno può disturbare il
paziente anche durante le ore notturne,
tanto da causarne il risveglio. I rapporti
sessuali possono accentuare tale sintomo.
Incontinenza da Over-flaw o del nonno
È la perdita di urina che si ha quando la
vescica è troppo piena (ritenzione cronica). La perdita può essere continua oppure a goccia a goccia, pur conservando
piccole minzioni, sia durante il giorno che
di notte. È un fenomeno tipico del sesso
maschile, specialmente in età geriatrica,
affetto da patologia ostruttiva del basso
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apparato urinario come l’ipertrofia prostatica o la stenosi dell’uretra.
Incontinenza neurogena
Incontinenza urinaria in paziente affetto
da lesioni neurologiche congenite, acquisite o post-traumatiche.
Incontinenza geriatrica
Incontinenza urinaria capricciosa derivante da varie cause, tipica dei pazienti
anziani, spesso ricoverati in case di riposo
o in reparti di lungo degenza in condizione di non auto-sufficienza.
L’incontinenza urinaria da Sforzo e
quella da Urgenza possono coesistere ed
essere presenti nello stesso paziente.
Le cause dell’incontinenza urinaria possono essere organiche, funzionari o
entrambe; sarà l’urologo ad individuarle
con gli strumenti diagnostici in suo possesso.
Gli esami normalmente indicati dal
medico specialista per individuare le
cause dell’Incontinenza urinaria sono:
Esame urine con eventuale Urinocoltura, Ecografia (renale, vescicale, prostatica, utero-ovarica), Cistografia (studio
radiologico della vescica), Uretrografia
(studio radiologico dell’uretra), Urografia
(studio radiologico di tutto l’apparato urinario), Studio Urodinamico (studio funzionale che studia il comportamento della
vescica e di tutto il basso apparato urinario).
Anche il Diario Minzionale ed il PadTest, sono strumenti utilizzati per individuare le cause dell’Inocntinenza urinaria.
Diario Menzionale
Una descrizione delle minzioni nelle 24
ore. Deve essere indicata l’ora, la quantità, le eventuali difficoltà avute al momento della minzione, quante volte si è dovuta cercare una toilette con urgenza, quante volte si è persa l’urina prima di raggiungere un luogo appropriato, quante volte ci
è sfuggita a causa di un colpo di tosse o
facendo uno sforzo, quanti e quali tipi di
assorbenti sono stati utilizzati nelle 24 ore.
Pad-Test o Test del Pannolino
Può essere eseguito in ambulatorio in
un lasso di tempo di un’ora, con il controllo del personale infermieristico, che
indicherà gli esercizi che si devono eseguire; è possibile seguirlo al proprio domicilio, in un periodo di tempo (normalmente giorni) indicato dal medico, continuando a vivere la propria vita normalmente.
Individuate le cause è importante trovare la soluzione del problema individuando
la terapia più idonea e personalizzata, che
può essere rieducativa, farmacologia o
chirurgica.
Infermiere a Pavia
La terapia rieducativa comprende:
La bladder training o rieducazione
vescicale
Utilizzata nella instabilità detrusoriale e
nell’ipersensibilità della vescica. Il paziente, viene a conoscenza delle abitudini
minzionali scorrette e di conseguenza a
rieducarsi, imparando alcune regole che
vanno dalla regolare assunzione di liquidi
alla regolarizzazione degli orari delle minzioni. L’obiettivo è quello di raggiungere la
continenza grazie all’educazione nelle
minzioni non troppo ravvicinate e non
troppo lontane, ma regolate nell’arco
della giornata.
La fisiokinesiterapia pelvi-perineale
Si prefigge l’elettivo utilizzo del gruppo
muscolare dell’elevatore dell’ano. Il programma è di tipo sequenziale ed è preceduto da un training di apprendimento.
Il Biofeed-back
Ha l’obiettivo migliorare la performance
perineale in modo da permettere al perineo di esplicare le sue funzioni di supporto ai visceri pelvici e di rinforzare il meccanismo sfintero-uretrale. Viene utilizzato
uno strumento elettrico che permette al
paziente, di evidenziare l’attività muscolare del piano perineale al fine di educarla,
attraverso stimoli visivi ed acustici.
La Stimolazione Elettrica funzionale
Viene associata alla fisiokinesiterapia
ed al Biofeed-back per migliorare attenuare l’instabilità detrusoriale e per migliorare
il tono della muscolatura sfinterica.
Il cateterismo intermittente
È la possibilità di svuotare la vescica e
raggiungere la continenza tramite il cateterismo a intermittenza.
Farmacologica
Disponiamo di due grandi categorie di
farmaci: quelli che aiutano a ridurre lo
stato di ipercontrattilità della vescica e
quelli che rinforzano le strutture sfinteriche. Proprio perché sono farmaci, sono di
assoluta competenza medica sia per la
prescrizione che per la gestione. Si devono evitare le auto-prescrizioni di farmaci
che hanno prodotto beneficio all’amico,
parente, ecc.
Interventi chirurgici
Si distinguono in tre categorie: per via
addominale, via vaginale e quelli combinati (addominale e vaginale). I più noti
sono la colposospensione: anteriori o
pubiche, posteriori o sacrali e le sling:
applicazione di fionde di tessuto che
abbracciano l’uretra dall’esterno e comprimendola si ottiene una compressione
uretrale.
Gli interventi endoscopici stanno ottenendo un discreto successo. Con la tecnica endoscopica è possibile iniettare delle
sostanze bio-compatibili all’interno dell’uretra per ridurre il calibro; eseguire incisioni in caso di stenosi uretrali per migliorare le performance minzionali; praticare
sfinterotomia ai pazienti neurologici.
Vi sono pazienti che presentano incontinenza urinaria ai quali non è possibile
eseguire riabilitazione o praticare interventi chirurgici per riattivare la continenza.
È importante che gli operatori sanitari
siano a conoscenza dei presidi che possano mantenere la dignità personale con
il miglior comfort.
La scelta degli ausili sarà orientata a
soddisfare le esigenze individuali ed in
base al: sesso, volume della perdita urinaria, grado di mobilità ed autosufficienza, disponibilità economica e disponibilità
del materiale (Nomenclatore Tariffario). Gli
ausili principalmente usati e facilmente
reperibili sono gli assorbenti, sistemi di
raccolta per gli uomini, protezioni da letto,
cateteri per autocateterismo e a permanenza.
L’utilizzo del catetere a permanenza
dovrebbe essere limitato solo nei casi non
gestibili in altro modo.
Le persone che soffrono di incontinenza
urinaria hanno diritto a ricevere gli ausili
dal Servizio Sanitario Nazionale, elencati
in un apposito documento chiamato
Nomenclatore Tariffario delle Protesi, e
vengono richiesti dal medico specialista
ASL mediante una prescrizione contenente: diagnosi, Codice di riferimento del
Nomenclatore Tariffario e Programma
terapeutico.
Il Nomenclatore Tariffario inoltre, definisce la quantità mensile e l’importo massimo di spesa per ciascun prodotto.
Bibliografia
Riabilitazione Uro-Ginecologica - P. Di
Benedetto – ed. Minerva Medica – 1995
Gestione del Paziente incontinente:
dispositivo per incontinenti - M.R.
Basso – Atti XXI Congresso Nazionale
SIUD – 1997
Gestione dell’incontinenza urinaria - C.
Pennetta - Uro-Nursing n. 10, Dic. 1999
L’autore
* Infermiera ADF
Direzione Sanitaria Policlinico San Matteo Pavia
9
PAGINA
Numero 2/2001
L’incontinenza
urinaria e fecale
nell’anziano
Enrica Pistoia*
La normale eliminazione delle scorie,
dei prodotti terminali della combustione
organica è uno dei fattori più importanti
per il mantenimento della salute e per il
recupero di essa quando si è ammalati.
L’eliminazione dei prodotti della combustione avviene attraverso la cute, l’apparato intestinale e quello renale. Attraverso la
cutenoi eliminiamo, con la traspirazione,
parte dei prodotti della combustione, così
come attraverso la respirazione, però la
maggior quantità viene eliminata attraverso l’apparato urinario con le urine. Anche
nel piccolo e grosso intestino avvengono
atrofie dei tessuti sebbene tali cambiamenti siano abbastanza limitati; comunque insorgono problemi come la costipazione, molto comune nelle persone anziane, dovuta ad una diminuzione della peristalsi del colon.
Alcune ricerche hanno evidenziato
un’assenza di riflessi nell’orifizio anale
esterno, causa questa molto comune di
incontinenza fecale,
Diminuisce anche la massa renale e ciò
è attribuibile alla perdita di nefroni. Una
diminuzione della funzione tubolare causa
anche un difficoltoso riassorbimento del
filtrato, determinando facilmente una proteinuria. La vescica subisce dei cambiamenti durante l’invecchiamento, tra cui
una ipotenia dei muscoli, della parete ed
aumento della capacità. Lo svuotamento
vescicale è più difficoltoso e si ha più facilmente una ritenzione urinaria.
La funzione della vescica deve essere
esaminata prestando particolare attenzione ad eventuali episodi di nicturia, alla frequenza della minzioni, a piccoli bruciori,
ad incontinenza o ritenzione. Il grado di
svuotamento della vescica deve essere
rappresentato alla frequenza ed alla qualità delle minzioni, consigliando eventualmente l’applicazione di un catetere vescicale. Devono essere accertate la frequenza e le caratteristiche dei movimenti intestinali ed osservare se si sono verificati
recenti cambiamenti; bisogna inoltre indagare se recentemente si sono avuti periodi di diarrea alternati a costipazione, quindi è importante anche vedere se vi è presenza di emorroidi, incontinenza fecale o
di un ano pretenaturale.
LA FUNZIONE DI ELIMINAZIONE URINARIA
L’urina è un escrezione che libera l’organismo da scorie che sono molto dannose se, per cause patologiche vengono
trattenute dell’organismo. L’urina è escreta dai reni attraverso gli uteri, trasportata
nella vescica urinaria e da lì espulsa attraverso l’uretra; è un liquido di colore giallo
paglia a reazione leggermente acida, con
densità tra i 1015÷1020, con odore aromatico appena emessa, ed ammoniacale
a distanza di tempo; contiene sostanze
inorganiche (sali di sodio, Ca, K,P, solfati)
e sostanze organiche (urea, che deriva
dalle proteine, acido urico che proviene
dagli acidi nucleici, creatinina derivante
dall’usura dei tessuti corporei, ammoniaca).
I problemi urinari nell’anziano sono vari
tra essi ricordiamo l’incontinenza urinaria.
Nell’anziano l’incontinenza urinaria è un
sintomo rivelatore di una malattia che
richiede un’adeguata diagnosi; è un
disturbo notevolmente limitante e sgradevole tanto che da solo, può etichettare un
anziano non autosufficiente.
Per incontinenza urinaria si intende la
fuoriuscita dal meato urinario in qualsiasi
momento del giorno e/o della notte: questo inconveniente causa all’anziano
ansietà frustrazione ed esclusione dai rapporti sociali. E’ importante che l’infermiera
sostenga l’anziano psicologicamente, lo
tranquillizzi, lo incoraggi e lo stimoli a
recuperare cercando di prevenire stati
depressivi, si dovrà fare in modo da permettere all’anziano di uscire dalla propria
abitazione senza che sia reso pubblico il
suo problema privato; dovrà cercare di
collaborare e coinvolgere i famigliari con
lo scopo di aumentare il grado di autonomia; dovrà assicurasi che non vi siano fattori ambientali o comportamentali responsabili dell’incontinenza; dovrà valutare il
grado di collaborazione.
Sono state fatte molte classificazioni del
sintomo incontinenza allo scopo di facilitare la diagnosi differenziale delle affezioni che possono determinarla, la terapia ed
anche l’assistenza infermieristica.
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Infermiere a Pavia
Sedi dove è collocata ed il tipo di incontinenza:
• disfunzione del pavimento pelvico
INCONTINENZA DA SFORZO
• disfunzione dell’uretra e del collo vescicale INCONTINENZA DA SFORZO O
DA RIGURGITO
• disfunzione della vescica INCONTINENZA DA URGENZA
• disfunzione del controllo nervoso
VESCICA NEUROLOGICA
Di solito le cause di incontinenza urinaria sono:
1. incontinenza urinaria transitoria (recente uso di catetere vescicale, infezioni,
stato confusionale, fecaloma ecc.
2. incontinenza urinaria stabile (donna)
ipotonia del pavimento pelvico, prolasso uterino, ecc.
3. incontinenza stabile (nell’uomo) ipertrofia prostatica, sclerosi del collo vescicale, prostatectomia;
4. incontinenza nei due sessi (demenza,
parkinsonismio, ictus celebrali, lesioni
midollari, neuropatie, diabete).
Numerose sono le cause neurologiche;
si può trattare di incidente vascolare celebrale, di tumori celebrali o del midollo;
spesso gli stati demenziali sono accompagnati da incontinenza, la sua comparsa
è progressiva e diventa irreversibile.
Ogni permanenza a letto può essere
determinata dall’astenia che comporta il
decubito, ma anche da lasciarsi andare
dall’anziano in queste condizioni possiamo distinguere:
1. incontinenza acuta, si riconoscono
come cause principali:
a) delirio
b) riduzione mobilità, ritenzione
c) infezioni, infiammazione
d) poliuria, (diabete, farmaci)
Tutti questi fattori sono potenzialmente
reversibili:
2. incontinenza permanente, causa principale:
a) stimolo
b) urgenza
c) eccesso
d) funzionale
Ricordiamo che il problema dell’incontinenza nell’anziano non è mai così schematico, ma esistono sovente associazioni
fra le forme predette.
Provvedimento di cura associato ai processi di eliminazione.
DEFICIT: Alterato nodello di eliminazione urinaria collegata a:
1. fattori fisiologici
2. anomalie congenite
3. ridotta capacità vescicale (infezioni,
trauma, carcinoma)
4. ridotti segni vescicali, compromessa
capacità di riconoscerli (infezioni, tumori, ictus cerebri, neuropatia, Parkinson)
5. correlati trattamenti (intervento chirurgico, strumentazione diagnostica, post
cateterismo a permanenza)
6. situazioni personali ed ambientali
(invecchiamento).
INTERVENTO: Funzione curativa:
1. accettare la presenza di fattori correlati
2. accettare il modello di minzione, incontinenza e di assunzione dei liquidi
3. aiutare la persona a sviluppare strategie
di risoluzione dei problemi
4. favorire la minzione
5. promuovere l’integrità personale e fornire motivazioni per un maggior controllo
della vescica.
INCONTINENZA FECALE
Anche la defecazione avviene con
duplice meccanismo, volontario ed automatico: i centri ortosimpatici e parasimpatici lombari e sacrali sono localizzati più
caudamente rispetto a quelli vescicali.
Sia gli stimoli afferenti che quelli efferenti vanno dalla mucosa rettale al plesso
emorroidario ed al midollo attraverso i
nervi pudendi ed il plesso ipogastrico,
realizzando un arco riflesso. Lo sfintere
anale è sotto controllo volontario, ma la
sua azione è meno importante dello sfintere anale interno; la distensione delle
pareti del retto per la massa fecale provoca automaticamente la contrazione della
muscolatura rettale e il rilasciamento dello
sfintere anale interno che si attua tramite il
sistema nervoso parasimpatico, avendo
quello ortosimpatico una funzione secondaria.
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Numero 2/2001
Le feci sono il residuo degli elementi
ingeriti e sottoposti ai processi digestivi
nell’apparato gastrointestinale: sono composte da residui alimentari ingeriti, elementi della flora batterica intestinale ed
acqua per il 60/80% circa.
Il materiale fecale procede lungo l’intestino grazie ai movimenti peristaltici della
parete; nel tragitto viene sottoposto a continui movimenti di rimescolamento che
favoriscono l’assorbimento attraverso la
parete intestinale. La distensione dell’ampolla rettale determina la contrazione del
retto sigma ed il rilasciamento della
muscolatura degli sfinteri e dei muscoli
del pavimento pelvico con emissione del
materiale fecale. Per quanto riguarda l’incontinenza fecale, che è pure fastidiosa, il
discorso è diverso in quanto la sua frequenza è minore. Esistono condizioni
favorenti o predisponenti analoghe a
quelle dell’incontenenza urinaria, ma
anche irregolarità dell’alvo, specie la diarrea, ed inoltre le affezioni ano-rettali come
emorroidi, le neoplasie, ed il prolasso rettale.
E’ una situazione sgradevole e degradante per il paziente e può essere sintomo di una malattia. Essa può presentarsi
in due modi, con perdite di feci semiformate o con perdita di feci formate una o
due volte al dì.
Anche per l’incontinenza fecale possiamo parlare di cause generali e cause
locali. Come cause generali possiamo
indicare l’uso eccessivo di purganti o altri
farmaci, oppure carcinoma del colon o del
retto, ecc.
Un’altra causa di incontinenza che si
riscontra particolarmente nei pazienti
affetti da malattie cerbovascolari avviene
in conseguenza di un’involontaria evacuazione dovuta ad un difetto di inibizione
corticale. In questo caso bisognerà cercare di sboccare il riflesso di svuotamento
del colon e cercare di provocare la funzione intestinale in condizione controllate.
Come cause locali possiamo indicare la
stitichezza, che è frequente negli anziani
immobilizzati in quanto è strettamente
correlata con l’invalidità fisica e l’immobilità.
In conseguenza della mancata evacua-
zione si possono raccogliere nel retto
masse di feci che provocano irritazioni
della mucosa e fuoriuscita continua di un
secreto simili per odore e colore alle feci
stesse; in questi casi, per risolvere il problema sarà utile praticare clisteri fino allo
svuotamento del retto.
Notevole importanza riveste l’assistenza
infermieristica sia tecnica sia psicologica,
infatti non va dimenticato che l’incontinenza fecale colpisce particolarmente gli
anziani che vengono istituzionalizzati
rispetto a quelli non istituzionalizzati. Sia
dal punto di vista diagnostico che terapeutico può risultare utile un inquadramento dalle caratteristiche dell’incontinenza fecale.
Quindi possiamo dire ed affermare che
l’assistenza all’anziano è un processo
significativo, terapeutico ed interpersonale, che mira a favorire il processo di guarigione.
Alterazione dell’eliminazione intestinale
correlata a:
Stipsi da:
1. innervazione difettosa debolezza della
muscolatura ed immobilità (demenza
senile)
2. riduzione del metabolismo
3. dolore (emorroidi)
4. effetti collaterali da farmaci
5. uso abituale dei lassativi
Bibliografia
Dott. A. Volpi, Gerontologia e Geriatria,
Ed. Goliardica Pavese
L’infermiere – settembre/ottobre 1998
Diarrea
1. malassorbimento o infiammazione
2. aumento metabolismo
3. processo infettivo
4. intervento chirurgico
5. effetti collaterali
Funzione curativa
1. accertare la presenza dei fattori eziologici
2. promuovere misure correttive
3. ridurre il dolore rettale, se possibile
insegnando misure correttive
4. proteggere la cute circostante da lesioni
5. spiegare gli effetti sulla peristalsi.
In conclusione possiamo affermare che
la soluzione del problema di incontinenza
nell’anziano è innanzitutto quello di determinare accuratamente le cause e di conseguenza di ottimizzare l’assistenza verso
questi pazienti.
L’autore
* Infermiera Professionale
Poliambulatori - Vigevano
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Infermiere a Pavia
Un percorso tortuoso
quello del materiaSilvia Giudici *
Il riflesso della defecazione inizia quando la massa fecale o i gas passano dal
sigma al retto. Le feci entrano nel retto in
seguito ad un movimento propulsivo della
massa nel colon, oppure volontariamente
attraverso un aumento della pressione
intraddominale, mediante la contrazione
dei muscoli addominali e l’ispirazione forzata a glottide chiusa che spinge il diaframma verso il basso. Ne consegue una
distensione del retto, una aumentata pressione intrarettale e quindi il bisogno di
evacuare. Le persone in grado di controllare lo sfintere anale possono ritardare
l’atto della defecazione, mediante la
costrizione dell’ano. Se l’atto della defecazione viene interrotta, le feci rimangono
nel retto finché viene di nuovo stimolato il
riflesso di defecazione.
Caratteristiche delle feci
Il materiale fecale è composto da residui di cibo, batteri, leucociti, cellule epiteliali, secrezioni intestinali e acqua. Delle
feci occorre considerare:
Frequenza
È un fattore individuale. Normalmente
varia da 1-2 v/die a 1-3 volte la settimana
per un adulto. Un bambino piccolo (neonato) invece evacua 3-4 v/die.
Per alcune persone l’evacuazione quotidiana è considerata, per inadeguate
conoscenze, essenziale per un vivere
bene, a tal punto che diventano ansiose
se non raggiungono questo obiettivo.
Solo un’evacuazione maggiore a 3v/die o
inferiore a 1v/sett. può
indicare un problema
per quanto riguarda la
frequenza. In questo
caso
l’educazione
verso il paziente costituisce l’intervento fondamentale dell’infermiere per aiutarlo nei
propri bisogni di eliminazione. Circa le conoscenze errate sulla
defecazione,
molte
persone ricorrono a
lassativi, supposte e
persino enteroclismi
per raggiungere l’o-
biettivo dell’evacuazione se dall’ultima
scarica sono passati appena due giorni.
L’uso continuo di questi farmaci dà origine ad un ciclo che porta alla dipendenza
fisica. È responsabilità dell’infermiere dare
al paziente accurate informazioni sulle
normali funzioni del corpo.
Quantità
La quantità di feci varia con la quantità
ed il tipo di cibo ingerito, l’introduzione di
liquidi e la frequenza di evacuazione. Normalmente è di circa 150 gr./die.
Una certa percentuale di feci non è di origine dietetica; pertanto l’infermiere deve
ricordarsi che, anche se è a digiuno, un
paziente può comunque continuare ad
evacuare. Possono passare alcuni giorni
prima che il bolo alimentare attraversa tutto
l’intestino e venga eliminato. Per cui il colon
potrebbe non essere libero da feci anche
se il paziente è da giorni che non mangia.
Colore
Il normale colore delle feci è marrone.
Questa colorazione è prodotta dai pigmenti biliari. A volte le feci possono assumere una diversa colorazione da quella
così definita “normale” e di conseguenza
si possono avere:
- Feci biancastre. Sono feci acoliche. Si
riscontrano in caso di ostruzione biliare,
mancata produzione di bile, ma anche
in seguito ad assunzioni orali di bario.
- Feci chiare. Sono feci steatorroiche solitamente miste a grassi o a muco ed
indicano malassorbimento dei grassi. Si
presentano lucide e di consistenza
viscida.
- Feci nerastre. Sono feci di colore molto
scuro e possono essere il risultato di
un’introduzione supplementare di ferro.
Sono anche indice di sanguinamento
del tratto gastro-intestinale, specialmente se hanno consistenza della pece.
Molto spesso rnaleodoranti e non formate, quest’ ultime vengono definite
“melena”.
- Feci verdastre. Nel neonato vengono
chiamate meconio e sono di colore
verde scuro o nerastre per ingestione di
liquido amniotico, presenza di cellule
epiteliali e bile.
- Feci rossastre. Possono essere causate
dall’ingestione di barbabietole o posso-
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Numero 2/2001
no essere il risultato di un sanguinamento del tratto gastro-intestinale, dove
i globuli rossi non sono stati emolizzati
dai processi digestivi nell’intestino. Se
invece le feci sono striate di sangue, la
causa potrebbe risalire alla presenza di
emorroidi. Mentre il sangue miscelato
nelle feci sta ad indicare un sanguinamento in un punto alto del colon.
Consistenza
La consistenza delle feci è il fattore più
significativo per determinare la presenza
di stipsi o diarrea. La consistenza varia da
liquide a soffici, da non formate a consistenti, da formate a dure e dipende dalla
quantità di acqua in esse contenuta. L’acqua viene assorbita a livello del colon. Se
il transito intestinale è veloce, le feci
saranno molli; se il transito è lento, allora
le feci saranno molto secche. A seconda
della consistenza si avranno:
- feci liquide e quindi diarrea;
- feci soffici cioè feci con un normale contenuto d’acqua;
- feci dure ovvero feci povere d’acqua.
Questa condizione porta a maggiori difficoltà di eliminazione a volte accompagnata da dolore (feci caprine);
- fecalomi o ammasso di feci dure. che si
raccolgono nel retto ostacolandone l’uscita dallo stesso. Portano ad una condizione di stipsi o in alcuni casi alla
subocclusione intestinale. A volte è
necessaria la rimozione meccanica.
Da ricordare che la presenza prolungati
di feci nell’intestino porta a distensione
addominale e sensazione di gonfiore.
Anche un’eccessiva presenza di gas nel
tratto gastro-intestinale fa insorgere questa sintomatologia. Si definisce flatulenza
o distensione gassosa la presenza di
anormali quantità d’aria nel digerente. Il
gas in eccesso viene eliminato attraverso
la bocca mediante le eruttazioni e attraverso l’ano con il meteorismo. Se ciò non
avviene possono insorgere dolori addominali crampiformi e se la distensione
addominale è tale da comprimere il diaframma anche difficoltà respiratoria.
Quando l’addome è disteso, la sua percussione, produce un suono timpanico.
Forma
Ricalca grossolanamente il diametro del
retto (forma cilindrica). Un reperto anomalo, ristretto a forma di matita (feci nastriformi), è indice di una ostruzione/alterazione
strutturale della porzione terminale dell’intestino probabilmente per la presenza di
una neoplasia
Odore
L’odore è prodotto dall’azione dei batteri nel colon e generalmente è influenzato
dal tipo di flora batterica in esso presente,
dal cibo ingerito e eventuali farmaci
assunti. Infezioni o sanguinamenti del tratto gastrointestinale provocano notevoli
cambiamenti dell’odore.
Elementi patologici nelle feci
Sangue, pus, muco, cibi non digeriti,
grumi di amído, parassiti e uova di parassiti sono indice di malattia.
Lassativi e catartici
Sono farmaci che inducono lo svuotamento dell’intestino ma, mentre i primi
hanno una blanda azione, i secondi sono
più potenti. Vi sono quattro categorie di
lassativi e precisamente:
- Stimolanti: agiscono direttamente sulle
fibre che innervano l’intestino provocando
la peristalsi. Esempi di lassativi stimolanti
sono l’olio di castoro e la senna;
- Lubrificanti: agiscono direttamente sulla
massa fecale rendendone scivolosa la
superficie esterna in modo che possa
facilmente passare nel tratto intestinale.
Ne sono un esempio gli oli minerali a base
di solfosuccinato di sodio o di calcio.
Sono in grado di ridurre la tensione di
superficie della massa fecale permettendo all’acqua di penetrarvi;
- Rieducanti: si chiamano così in quanto
si usano per la rieducazione di pazienti
abituati a prendere lassativi. Queste
sostanze aumentano il volume della
massa fecale, assorbendone l’acqua. È
quindi essenziale che vengano assunti
con abbondanti liquidi onde evitare ostruzioni del tratto intestinale. Sono dei derivati naturali o sintetici di polisaccaridi e
cellulosa. Esempi sono l’agar, metilcellulosa o sodio, carboxi-metilcellulosa;
- Salini: hanno attività osmotica. Attirano
acqua nell’intestino aumentando la massa
fecale e lubrificandola. Ne è un esempio il
latte di magnesio. Questo lassativo agisce
naturalmente entro 1-3 ore e viene usato
come purgante per completare lo svuotamento intestinale.
Oltre all’assunzione orale di oli, pappine, polveri, pastiglie lassative esistono dei
preparati che vengono somministrati per
via rettale. A questa categoria appartengono le supposte, le perette o enteroclismi o clisteri. Questi si differenziano tra di
loro a seconda della consistenza e della
quantità usata.
Supposte
Sono farmaci di consistenza solida, di
forma ovoidale, usati per stimolare l’evacuazione. Le supposte hanno la capacità di
sciogliersi a una volta introdotte nel retto.
Le più frequentemente usate sono quelle di
glicerina e di bisacodyl. La glicerina agisce
come irritante locale stimolando la secrezione della mucosa, mentre il bisacodyl stimola la peristalsi andando ad agire direttamente sulle terminazioni nervose.
Altre supposte, una volta sciolte, sono in
grado di distendere il retto e stimolare la
defecazione. Ne sono un esempio le supposte all’anitride carbonica le quali sono
capaci di rilasciare 200 ml di C02 nel retto.
Enteroclismi
Prevedono l’introduzione di liquidi nel
retto per mezzo di una sonda, generalmente o allo scopo di stimolare la peristalsi e la delegazione andando a distendere l’intestino. In questo caso l’enteroclisma viene chiamato Enteroclisma di pulizia. È indicato per trattare la stipsi o un
fecaloma; pulire l’intestino prima di effettuare esami radiologia ed endoscopici;
interventi; o come preparazione al parto;
aiutare l’intestino durante un programma
di educazione all’evacuazione di feci e
svuotamento dei gas dall’intestino. Possono essere soluzioni ipotoniche (es. l’acqua potabile), isotoniche (es. la soluzione
fisiologica), ipertoniche (es. la soluzione
di fosfato di sodio o bifosfato di sodio).
Esiste anche un enteroclisma medicamentoso detto anche Enteroclisma di
ritenzione. Serve per lubrificare o ammorbidire la massa fecale facilitandone così
l’espulsione. Questo tipo di preparato
(solitamente sono degli oli) deve essere
trattenuto nell’intestino per un periodo
prolungato di tempo. Meno frequentemente può essere eseguito per somministrare farmaci a ne proteggere a membrana mucosa dell’intestino. In questo caso
viene chiamato: antielmintico se usato per
distruggere i parassiti intestinali; carminativo se usato per alleviare la distensione
intestinale; nutritivo se usato come apporto di liquidi e sostanze nutritive (oggi
ormai sostituito dalla terapia parenterale).
Altri tipi di enteroclismi sono:
- Enteroclisma saponoso, viene usato
sapone di Marsiglia in un litro d’acqua.
Agisce per irritazione chimica della
mucosa intestinale. Oggi non più utilizzato in quanto causa frequente di
infiammazioni rettali e coliti. Altri enteroclismi saponosi a contenuto di esaclorofene possono invece provocare
discrasie ematiche.
- Enteroclisma con latte e bicarbonato
usato nelle stipsi ostinate.
- Enteroclisma con lattulosio usato nelle
iperammoniemie.
- Enteroclisma con latte e melassa (non
più usato).
- Enteroclisma con oli vegetali (raramente usato).
L’autore
*Infermiera
Fondazione Salvatore Maugeri,
Centro Medico di Pavia - Medicina Generale
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PAGINA
Infermiere a Pavia
Incontinenza
fecale
S. Fusetti *
F. La Torre **
S. Pontone ***
L’incapacità di controllare l’atto della
defecazione in spazi e tempi socialmente
appropriati, in altre parole l’incontinenza
fecale, è un sintomo che, proprio per l’impatto psicologico che ha sull’individuo ed
il conseguente isolamento sociale, spesso risulta essere sottostimato rispetto ad
altri sintomi cosiddetti “puliti”.
Tale sintomatologia può essere paragonata alla punta di un iceberg, che cela
sotto di sé un così vasto e vario numero di
cause da rendere necessaria una pausa
riflessiva riguardo alla classificazione eziologica.
Nonostante l’atto del defecare possa
sembrare cosa semplice e naturale, le
strutture neuromuscolari e non che vi partecipano, sono molto complesse e necessitano di una coordinazione motoria che
spesso vive su equilibri molto delicati e
facilmente attaccabili, proprio per la scarsa considerazione della quale godono.
Le patologia che vanno ad intaccare i
meccanismi principali della continenza
(consistenza del materiale fecale, capacità o compliance dell’ampolla rettale,
strutture recettoriali, muscolatura del pavimento pelvico e sfintere anale nelle sue
due componenti volontaria ed involontaria), sono talmente tante e di natura così
differente che cercare di schematizzarle
potrebbe risultare arbitrario.
Fondamentale per la riuscita di qualsiasi trattamento e terapia che si decida utilizzare è che quest’ultima sia adatta al
paziente in questione.
Ci si trova infatti di fronte a diverse tipologie di malati. Non è detto che la terapia
migliore o più efficace per il medico sia
poi quella migliore o più efficace per il
paziente.
Le condizioni generali dell’ammalato,
infatti, devono essere prese in considera-
zione e rivestire un ruolo importante,
spesso, più importante della patologia
che ha effettivamente portato all’incontinenza. Le diverse soluzioni terapeutiche
che possono essere adottate quindi,
devono essere accettate dalla persona
che per prima ne usufruisce.
Il paziente deve essere rassicurato,
istruito e reso partecipe, così da essere in
grado di collaborare al meglio con il personale sanitario. Le modalità terapeutiche
adottabili per il trattamento dell’incontinenza possono essere diversificate in
base alla propria invasività.
Qualora non si riesca a raggiungere
risultati significativi attraverso gli adeguati
presidi dietetici e farmacologici, si può
restituire all’apparato sfinterico la coordinazione motoria ed il trofismo attraverso
l’uso di apparecchiature cosiddette riabilitative che, mediante l’utilizzo di impulsi
elettrici di amperaggio e frequenza adeguati a protocolli ormai ampiamente e
approfonditamente sperimentati, hanno
dimostrato dare ottimi risultati sulla risoluzione del sintomo.
L’elettrostimolazione infatti, associata
ove necessario al biofeedback, restituisce
al paziente la coscienza del proprio apparato sfinterico, restituendo inoltre a quest’ultimo il trofismo necessario alla continenza.
Al potenziamento ottenuto attraverso
l’elettrostimolazione si aggiunge l’effeto
del biofeedback che, essendo una “ginnastica attiva”, consente al paziente di
capire quali effettivamente sono le sue
condizioni e quali gruppi muscolari è
necessario attivare per ottenere il miglior
risultato possibile.
Lo schermo del computer in questo
caso rappresenta, secondo per secondo,
una continua spia di come tutte le strutture del pavimento pelvico vengano utilizzate dal paziente.
Nel caso in cui i presidi terapeutici
meno invasivi non possano essere adottati, o diano risultati sfavorevoli, la chirurgia
assume un ruolo importante, ponendo nel
tempo soluzioni innovative. Già da tempo
la sfinteroplastica ed altre tecniche ricostruttive, sono state utilizzate per consentire nuovamente al paziente di dettare
tempi e modalità socialmente adeguati
alla defecazione.
Ad oggi la ricerca e lo studio dei materiali, hanno portato nuove soluzioni. Si
tratta delle tecniche di sostituzione sfinterica:
la gracileplastica;
lo sfintere anale artificiale.
La gracileplastica consiste nell’impianto
a fionda intorno al retto di uno od entrambi i muscoli gracili, i quali, per la loro struttura, possono sostituire gli sfinteri anali.
Allo scopo di evitarne l’incontinenza vengono elettrostimolati da una batteria o,
dall’esterno, da un elettrostimolatore.
Lo sfintere anale artificiale invece è un
sistema idraulico chiuso costituito da una
cuffia solidale con un a valvola; la prima
viene posizionata intorno all’ano mentre la
valvola è situata in un grande labbro o
nello scroto e consente al liquido in esso
contenuto di transitare in un serbatoio sito
nello spazio sovrapubico e o da esso
refluire, a seconda che si voglia riempire o
svuotare la cuffia stessa.
Tutti i sistemi elencati in questo articolo
consentono di aiutare i pazienti a risolvere
il grave sintomo in esame, raggiungendo
a tutt’oggi percentuali di successo superiori al 30%.
L’autore
*
Infermiera AFD,
Terapista della riabilitazione enterostomale,
II Padiglione Uomini - Policlinico Umberto I
Roma
** Dirigente Responsabile
Dipartimento di Coloproctologia
Policlinico Umberto I - Roma
*** Medico Riabilitatore
Dipartimento di Coloproctologia
Policlinico Umberto I - Roma
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Numero 2/2001
Imparare a convivere
con una
stomia
Angela Minoia *
Dario Antoniotti **
La costante evoluzione delle tecniche
chirurgiche e la crescente diffusione di
interventi, che nel tentativo di salvare o più
semplicemente di prolungare la vita
umana, hanno portato alla attuazione di
interventi demolitivi che provocano un
handicap.
La stomia, in particolare, è un handicap
molto perturbante in quanto evoca la sensazione di un intervento “non finito”, di
una ferita “non guarita”, che determina nei
pazienti sensi di colpa e angoscia e quindi il rifiuto di questa parte del proprio
corpo.
L’Infermiere, e ancora di più lo specializzato enterostomista, deve essere consapevole di tutto ciò, alla luce del momento in cui tale professionista viene a contatto con il paziente, che frequentemente
avviene, purtroppo, dopo l’effettuazione
dell’intervento chirurgico e della dimissione dalla struttura di ricovero.
Il confezionamento di una stomia altera
il vissuto di uno schema corporeo, il
paziente stomizzato non si sente più integro, ma inconsciamente, la stomia, rappresenta per lui una zona di debolezza,
un corpo estraneo che tenderà ad accettare come definitivo solo quando l’avrà
integrato nel suo nuovo schema corporeo.
Ci si trova infatti di fronte ad una persona il più delle volte depressa, ansiosa,
potenzialmente aggressiva che tende a
“scaricare” sul professionista sanitario
tutta la sua angoscia; obiettivo primario
sarà quello di ricostruire, con il paziente,
la nuova immagine corporea, dando
modo di “ricucire” la ferita, assumendo
nei sui confronti una posizione di empatia,
ascolto e disponibilità, rispettando i tempi
propri del soggetto.
La perdita della continenza rappresenterà uno dei problemi più importanti ed
angoscianti che rende più difficile l’adattamento alla nuova condizione, psicologicamente il paziente regredisce alla condizione infantile quando cioè non era ancora in
grado di controllare la continenza fecale.
Che cosa significa in questo caso Riabilitazione? Il dizionario riporta queste definizioni: “Ritornare in buone condizioni o in
grado di lavorare”; “Essere in grado dopo
una malattia, di svolgere il proprio ruolo
nel mondo”.
La riabilitazione degli operati per una
neoplasia del grosso intestino e portatori
di una stomia ha, come obiettivo finale, il
reinserimento dei pazienti nella vita di tutti
i giorni e il miglioramento delle loro condizioni esistenziali.
Si realizza attraverso:
a) l’intervento interdisciplinare di componenti mediche, infermieristiche e sociali;
b) la predisposizione di spazi operativi
all’interno delle strutture ospedaliere e
di base;
c) la formazione e l’aggiornamento sulla
riabilitazione del personale medico,
infermieristico e sociale.
Le soluzioni chirurgiche a molti mali in
realtà non sempre sono delle soluzioni in
senso assoluto. Spesso sono solo parziali e, talvolta, rappresentano il punto di partenza di una serie di problematiche
nuove.
Nel campo specifico delle malattie del
grosso intestino spesso capita che la chirurgia demolitiva debba servirsi della
costruzione di una nuova via anale preternaturale e mai come nel caso di questa
tipo di intervento, l’informazione da dare
al paziente prima dell’atto operatorio e il
posizionamento corretto della futura stomia è una sostanziale necessità.
L’errore più grave e purtroppo ancora
tanto diffuso che si può commettere in
questa fase è quello di tacere al malato
che egli avrà uno stoma.
Un paziente consapevole e responsabile di ciò che dovrà affrontare costituisce
indubbiamente la piú valida collaborazione per raggiungere un’assistenza ottimale
e quindi con tutta probabilità, un miglior
decorso dove l’iter riabilitativo può essere
iniziato precocemente e con maggiori
risultati ai fini del reinserimento.
Il significato della riabilitazione é soprattutto apprendimento ed é giusto che
appena le condizioni del malato lo consentano, le manovre di accudimento dello
stoma prese in carico dallo staff infermieristico, devono essere eseguite con adeguate spiegazioni in modo tale che presto
il paziente sia in grado di svolgerle da
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Infermiere a Pavia
solo. In ogni caso deve essere chiaro che
la responsabilità della cura dello stoma è
del paziente a meno che non sia afflitto da
gravi limitazioni, dove la cura sarà affidata
ad un membro della sua famiglia.
La prima medicazione eseguita dall’infermiera deve consistere nell’applicazione
di una placca di protezione con una sacca
raccoglitrice, oppure di una sacca con
placca già inserita; questo materiale può
essere scelta tra una vasta gamma di prodotti attualmente in commercio, ma ciò
che fondamentalmente é da tener presente, é che la sacca deve avere un foro i cui
contorni corrispondano precisamente alla
circonferenza dello stoma, in modo tale
che nessun contatto avvenga tra i prodotti di deiezione e la cute.
Un altro criterio importante che riguarda
la preservazione della cute é quello di non
ricorrere mai a detergenti irritanti come
l’etere e la benzina, per cui si deve insegnare al malato a servirsi semplicemente
di acqua e sapone per la pulizia della
stoma. Non appena le condizioni fisiche e
psicologiche del paziente lo consentano,
si può iniziare la vera fase della rieducazione intestinale per ovviare all’inevitabile
incontinenza che costituisce il principale
assillo dello stomizzato. A tal fine viene
sfruttata una delle funzioni fisiologiche del
colon: la continenza colica. Tale continenza potenziata con le metodiche riabilitative, dovrà supplire alla perdita dell’altra
forma di continenza, quella cioè retto-sfinterica.
INDICAZIONI ALL’IRRIGAZIONE
Perché l’irrigazione possa esplicare i
suoi benefici effetti e necessario che il
paziente abbia conservato un tratto di
colon sufficientemente ampio.
Infatti solo nelle stomie più distali l’affluente fecale e formato da feci solide e
l’emissione e ritmica. Non possono perciò
trarre vantaggio dall’irrigazione le ileostomie o le ciecostomie, dove il ruolo di serbatoio svolto dal colon e del tutto abolito.
Anche le trasversostomie non garantiscono risultati apprezzabili, infatti uno
stoma confezionato sul colon trasverso
emette in genere feci poltacee senza però
alcun ritmo.
In definitiva quindi le stomie che si prestano meglio a una riabilitazione mediante irrigazione sono quelle in cui sia stato
conservato almeno un tratto di colon sinistro, perciò è evidente che la “sigmoidostomia” soprattutto se terminale, è certamente lo storna meglio gestibile
Non tutti i pazienti portatori dì colostomia terminale sinistra risultano adatti alla
pratica dell’irrigazione, esistono infatti:
CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE
1) Dipendenti dal paziente:
* Ritmicità normale di evacuazione
* Inabilità fisica o psichica
2) Dipendenti da patologia colica associata:
* Morbo di Crohn
* malattia diverticolare
3) Dipendenti da una complicanza stomale:
* Stenosi
* Prolasso
* Ernia peristomale
* Recidiva neoplastica stomale
CONTROINDICAZIONI RELATIVE
* Colon irritabile
* Chemioterapia
* Radioterapia
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L’IRRIGAZIONE
Il più grande handicap per il colostomizzato è certamente la perdita della continenza, spesso necessario tributo per il
conseguimento di una maggiore radicalità
chirurgica. Per questo, se da un lato si
tende a ridurre al minimo le indicazioni
alla confezione di una colostomia, dall’altro si cerca di affinare sempre più le metodiche fisiche, i principi igienico-dietetici e
le tecniche chirurgiche volte al conseguimento di una maggiore regolarità nello
svuotamento del colon.
A differenza dell’intestino tenue in cui gli
effluenti sono liquidi per l’elevato contenuto idrico, nel colon il progressivo riassorbimento dell’acqua li rende semisolidi e
ne riduce notevolmente la quantità. Per
questo motivo e grazie anche alla sua
peculiare attività motoria, il colon può
contenere le feci, fungendo da serbatoio,
e determinando una certa ritmicità nelle
evacuazioni.
Anche in assenza dello sfintere anale,
perciò dopo qualche tempo dall’intervento, le feci non vengono emesse continuamente, ma con un ritmo spesso vicino a
quello precedente all’operazione chirurgica.
il ruolo dell’irrigazione e quindi, più che
altro, quello di ripristinare più rapidamente e mantenere poi questa ritmicità.
TECNICA DELL’IRRIGAZIONE
L’irrigazione può essere iniziata quasi
subito dopo l’intervento, ma in genere e
meglio attendere almeno 15 giorni per
dare modo alla stomia di consolidarsi
maggiormente. Si può comunque aggiungere che non vi sono limiti massimi all’intervallo di tempo intercorso fra l’operazione e l’applicazione del “wash out”; l’irrigazione può infatti essere iniziata anche a
distanza di anni dalla confezione della
colostomia, senza che questo ne pregiudichi i risultati.
L’esecuzione di questa tecnica è semplice: si tratta in pratica di un enteroclisma
eseguito con modalità ed attrezzature
specifiche.
Il paziente stomizzato, in bagno e in
posizione seduta, scopre il suo stoma.
Fatto ciò, applica alla stomia una partico-
lare sacca molto ampia e priva di fondo,
che servirà a convogliare le feci nel recipiente di raccolta
Per l’irrigazione vera e propria viene utilizzato un contenitore in materiale plastico
che abbia una capacità di circa due litri
d’acqua e che sia connesso, mediante un
tubo, ad una particolare cannula di forma
troncoconica. La cannula viene lubrificata
ed introdotta delicatamente nello stoma. A
questo punto sì inizia a far defluire il liquido (in genere 500-700 cc di acqua potabile tiepida) posto nel contenitore plastico
che viene sospeso ad un apposito gancio,
all’altezza di circa un metro dallo stoma.
L’acqua di lavaggio e il contenuto intestinale vengono poi fatti defluire attraverso la sacca di scarico nel water.
Dopo un’accurata toilette peristomale il
paziente può applicare sullo stoma una
qualunque copertura igienica “stomacap” che ha l’unico scopo di proteggerlo
dal contatto con gli indumenti. A questa
tecnica, di per se molto semplice, vanno
poi associati tutti quei piccoli artifici che la
personalizzano, adattandola a ciascun
paziente.
Così la periodicità di irrigazione (che
per alcuni sarà di 24 ore, mentre per altri
di 48 o 72 ore), la posizione migliore
(seduta, supina, semisdraiata o ortostatica), l’uso di oli o altri additivi da aggiungere all’acqua, gli stessi riflessi condizionati che innescano la defecazione (l’orario, l’assunzione di bevande preliminari,
ecc.) sono tutti piccoli accorgimenti tecnici che differiscono da soggetto a soggetto, ma che vanno attentamente rispettati
in quanto possono garantire risultati
migliori.
In conclusione si può perciò affermare
che l’introduzione di questa tecnica riabilitativa ha rivoluzionato la vita del colostomizzato, fornendogli la possibilità di un
reinserimento sociale pieno e sicuro riportandolo ad una vita di relazione attiva ed
efficiente: cosa del tutto impossibile nei
tempi passati, quando il portatore di
stoma, per la sua infermità, era spesso
ghettizzato da tutto l’ambiente esterno.
Bibliografia
Procedure, protocolli e linee guida di assistenza infermieristica – ANIN – MASSON – cap. 17 “Protocollo per una corretta gestione delle stomia” di Angela
Minoia e Dario Antoniotti
Relazione tenuta ad un corso di aggiornamento per Infermieri – Angela Minoia –
Pavia 1999
L’autore
* Infermiera
Poliambulatorio ASL - Pavia
Ambulatorio Infermieristico Stomizzati
** Infermiere
Poliambulatorio ASL Pavia
Ambulatorio Infermieristico Stomizzati
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Infermiere a Pavia
Un posticino tranquillo
Maura Cattanei *
Vi siete mai trovati a passeggiare per le
vie di una delle nostre stupende città d’arte quando, all’improvviso, vi sorge un
impellente bisogno di soddisfare una
necessità improrogabile ma… Da anni
sono sparite dalle nostre città , rimosse
per ragioni di sanità pubblica, tutte le latrine e gli orinatoi di romana memoria. Purtroppo non sono state sostituite, i tentativi
fatti sono spesso abortiti e rimangono
solo degli orribili gabinetti chimici. Entrare
in quella specie di cella di rigore, anche se
spinti da un bisogno forte e chiaro, dà
spesso una brutta sensazione: la puzza,
la sporcizia imperanti e la sensazione di
claustrofobia vengono esaltate da una
domanda che sicuramente sorge in tutti:
riuscirò ad uscire da qui? Solo da pochi
anni è stato determinato l’obbligo, da
parte di esercizi commerciali quali bar e
anche negozi, di dare ai propri clienti la
possibilità di poter soddisfare i propri, non
delegabili, bisogni di evacuazione e sempre da pochi anni è possibile anche ai
portatori di handicap usufruire di queste
toilette.
Nel nostro concetto di civiltà è compresa, ormai in modo inderogabile, la necessità di disporre di un locale appartato
dove espletare la funzione dell’evacuazione, l’assenza di un luogo siffatto ci causa
grande imbarazzo, accettiamo alternative
solo in situazioni e luoghi esotici od estranei alla nostra cultura.
L’acquisizione del concetto che ciò che
viene espulso dal nostro corpo è potenzialmente pericoloso per la nostra salute,
se non adeguatamente trattato, non è
recente, ma è solo con la civiltà industriale che si è arrivati ad avere la possibilità,
ma solo in Occidente, di un corretto smaltimento di rifiuti organici. È nel XIX secolo
che si sviluppa la tecnologia necessaria a
garantire l’allontanamento immediato dei
liquami ed è bene ricordare che la stessa
Florence Nightingale si batté a lungo per
assicurare a tutti, e in particolar modo ai
più poveri, quelle che lei descriveva come
le caratteristiche essenziali per una casa
salubre: aria pulita, acqua pulita, sistema
fognario efficiente, pulizia ambientale e
illuminazione naturale.
L’uomo ha sempre considerato tutto ciò
che entra, esce, e attornia la propria persona sacro, solo la nostra civiltà, prettamente materialista, ha dimenticato questo
semplice assunto. Anche i prodotti dell’evacuazione hanno, per questo, una loro
valenza simbolica, in molte tradizioni i
significati dell’oro e degli escrementi sono
collegati; gli escrementi rappresenterebbero la potenza biologica sacra che risiede nell’uomo che, evacuata, può essere
recuperata. Ciò che in apparenza è privo
di valore ne sarebbe, al contrario, carico.
Presso i Bambara del Mali, la classe degli
iniziati che pratica la coprofagia, è quella
degli avvoltoi, deglutire gli escrementi,
associati alla notte, come il cibo ingerito
viene associato alla luce, ha il significato
di assimilare le forze profonde dell’universo; in molti popoli dell’Africa Nera i rifiuti
sono considerati carichi di forze provenienti dall’uomo, per questo, offerti agli
dei, essi recherebbero la pioggia o sarebbero dimora delle anime in attesa di reincarnazione. Fra gli escrementi considerati
segno di abbondanza ci sono quelli del
serpente dell’arcobaleno del Dahomey;
l’escremento è perciò “una sintesi fra
colui che mangia e ciò che è mangiato”
(D. Zahan, Societès d’initiation Bambara,
Le N’domo, le Kore, Parigi-L’Aia 1960) da
questo il suo potere vitalizzante che spiega il suo utilizzo nella medicina tradizionale di molti popoli. Per gli Atzechi gli escrementi sono associati all’idea di peccato; il
nome della dea Tlazolteotl, che rappresenta l’amore carnale, la fecondità, la confessione, significa mangiatrice di sporcizia
o dea dell’immondizie, essa assolve al
compito di divorare i peccati.
Anche nella civiltà ebraica troviamo
associato il concetto di escrementi con
quello di impurità e peccato. Nella Bibbia,
Levitico, leggiamo (5, 2-3): “Così, quando
gli sarà accaduto di toccare un escremento umano, qualunque esso sia, dal quale
egli possa essere contaminato, anche se
non l’abbia fatto volontariamente, tuttavia,
se poi viene a saperlo e non si purifica,
egli è colpevole.” Le leggi dettate dai libri
sacri delle civiltà medio ed estremo-orientali vanno considerate attraverso, sì, un’ottica religiosa, ma anche come prescrizioni
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di carattere igienico: il liberarsi dalle impurità, le abluzioni, il rifuggire dagli escrementi hanno lo scopo di rendersi accettabili al Divino, l’uomo, essere creato dalla
polvere e imprigionato nella materia,
sente la necessità di liberarsi almeno della
parte meno nobile di questa e rendersi
meno colpevole di fronte al suo creatore,
ma i sacerdoti, custodi della sanità spirituale e materiale del popolo, sapevano
quanto queste regole fossero importanti
per il mantenimento della salute.
La concezione di un sistema che consentisse agli abitanti delle città di poter
smaltire i rifiuti organici non è estranea
alle civiltà del passato.
Scavi archeologici effettuati a MohenjoDaro, località appartenente alla civiltà
della valle dell’Indo, situata a sud di Larnaka (Pakistan) hanno evidenziato la presenza di vasti bagni pubblici e piccoli
locali usati, forse, per le abluzioni rituali.
Le strade non erano lastricate e disponevano di un efficiente sistema di scarico.
Tutte le abitazioni avevano canali di scolo
sotto il pavimento, un locale per il pozzo,
un bagno e sembra che alcune fossero
dotate di gabinetti con sedili.
Questa civiltà viene collocata nel 25001700 a.C. ma anche tra le rovine della
civiltà cretese e mesopotanica sono stati
rinvenuti piccoli fossi dove venivano convogliate le acque nere.
In occidente furono i romani, con grandiose opere d’ingegneria idraulica, ad
attuare la diffusione di una cultura delle
terme e a propagare in tutt’Europa il concetto di smaltimento dei liquami e dei
liquidi organici.
La parte di Roma dove vivevano le famiglie nobili, era dotata di un ottimo sistema
di fognature, che confluivano nella Cloaca
Massima; questa costruzione, considerata ancora oggi come il maggiore esempio
di opera idraulica, scaricava le sue acque
nere nel Tevere; essa venne costruita nel
periodo regio, la leggenda vuole, durante
il regno di Tarquinio Prisco, quinto re di
Roma, le cui origini erano etrusche, per
questo motivo è facile pensare che già gli
etruschi e prima di loro i greci possedessero le conoscenze per dotare le abitazioni cittadine di locali adibiti alla funzione
dell’evacuazione, teoria supportata dall’esistenza di vocaboli greci che li designano.
La Cloaca Massima era lunga più di seicento metri, la razionalità della sua costruzione e la sua portata erano tali che essa
si ostruì solamente nell’XI secolo d.C.
La cultura dei romani per l’igiene trova-
va la sua massima espressione nelle
terme. Ovunque andasse il popolo dei
romani costruiva gli accampamenti vicino
a corsi d’acqua o a fonti e se la permanenza era lunga in quei luoghi sorgevano
stabilimenti termali. Percorrendo l’Italia se
ne trovano a centinaia, dalla famosa Fiuggi ai piccoli centri immersi nel verde delle
nostre colline. I molteplici successi militari dell’impero erano sicuramente supportati dal fatto che il bisogno di igiene dei
suoi cittadini li aiutasse a mantenere in
buona salute le truppe, in ogni accampamento alla costruzione di valli e fossati
difensivi seguiva da presso la preparazione delle latrine (termine ipoteticamente
derivato da lavatrina: lavare). Sul luogo di
questi accampamenti sono poi sorte
molte delle nostre città e i canali di scolo
delle acque piovane costruite dai nostri
progenitori funzionano ancora come
sistema di drenaggio.
Nella città di Roma c’erano più di trecento bagni pubblici, intesi come luogo
per la pulizia personale e come pubblico
ritrovo, dapprima esse erano riservati alle
classi nobili e solo in seguito furono aperti al resto della popolazione; nel secolo IV
c’erano inoltre almeno 154 orinatoi pubblici, costruzioni a edicola chiamati in
epoca successiva vespasiani e scomparsi
solo da pochi anni dalle strade delle
nostre città. Il nome “vespasiano” deriva
dal nome dell’imperatore, Vespasiano
appunto, che pose su di essi una tassa a
carico degli artigiani che raccoglievano
l’urina per ricavarne ammoniaca. I fullones
o i coriarii, raccoglievano l’urina dalle
anfore o doli spezzati (dolia curta) presenti negli orinatoi, essa veniva utilizzata da
questi artigiani per tingere e conciare pelli
e stoffe. A proposito di questo è famosa, a
Pompei, una piazza in cui i passanti venivano invitati ad urinare, la sua forma concava consentiva la raccolta dell’urina. La
latrina, nella casa privata, era molto semplice, essa era ricavata da uno spazio attiguo alla cucina, sistema che consentiva
l’uso dello stesso canale di scarico, era
costituita da uno zoccolo in muratura su
cui era disposta una tavoletta con un foro
centrale e un piano inclinato che consentiva il defluire degli escrementi verso il
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canale di scolo, in alcune case esistevano
fosse o pozzi neri. Nelle case nobili le latrine potevano essere molto eleganti, nel
Palazzo Palatino sono state trovate tracce
di un ambiente semicircolare con sedili di
marmo divisi da braccioli marmorei,
davanti ai sedili c’era una vaschetta di
acqua corrente. In mancanza della latrina
si ricorreva a recipienti mobili posti sotto
alla sedietta, cioè a sedie fisse o mobili
con un foro al centro chiamate lasanum o
sella pertusa: le antenate delle nostre
comode.
Le latrine pubbliche erano situate in un
ambiente rettangolare o semicircolare,
lungo le pareti erano disposti sedili di
marmo sospesi sopra un canale di scolo,
ad Ostia è stata rinvenuta una struttura
dotata di una porta girevole che garantiva
un po’ di privacy. Anche allora, come
oggi, si usava coprire i muri delle latrine
pubbliche con iscrizioni, queste scritte
d’epoca hanno fornito spesso, agli storici,
utili e interessanti indicazioni.
Nei secoli successivi il bisogno di
disporre di una stanza adibita alla funzione dell’evacuazione sembra scomparire,
neppure nelle dimore più lussuose si pensava ad usare spazio per questo. La
popolazione contadina non aveva problemi, poteva disporre di ambi e boscosi
Infermiere a Pavia
spazi, defecare e urinare significava restituire alla terra parte dei suoi doni; la parte
più povera della popolazione cittadina,
invece, vedeva scorrere in cloache a cielo
aperto tutta la produzione corporale della
città, le epidemie erano di casa e le malattie la normalità. Abbiamo testimonianza di
ciò attraverso un’ordinanza del balivo di
Versailles che nel XVIII secolo impediva “a
tutte le persone di gettare materiale fecale, acqua e altre immondizie dalla finestra”. Solo in pochi casi si ha notizia di
provvedimenti per lo sgombero dei rifiuti.
A Norimberga i geheime Gremacher (luoghi segreti) venivano ripuliti da operai
durante la notte, in molte città francesi le
strade erano percorse da vetture adibite al
ritiro, casa per casa, dei rifiuti e col secolo XVI furono emanate in Francia delle
ordinanze parlamentari che obbligavano i
proprietari ad avere in ogni casa dei
retraits o privès.
Verso la fine del Medioevo, in Europa,
alcuni privati si fecero costruire vasche
per la raccolta dei liquami domestici. Il
contenuto di queste vasche, prototipo dei
futuri pozzi neri, veniva svuotato nei fiumi
o usato come concime nei campi. Il Viollet-le-Duc cita come modello il castello di
Coucy, esso disponeva di latrine in ogni
piano disposte in modo da evitare gli
inconvenienti dell’uso. Le latrine erano
spesso costruite in modo che i rifiuti
cadessero nel fossato del castello, non si
trattava di posti molto comodi, capitava
che con gli escrementi precipitasse anche
l’escretore.
In Italia, negli scrittori dal XII secolo in
poi si trovano riferimenti a locali adibiti a
uso latrina, scrive Dante nella Divina Commedia “Quivi venimmo e quindi giù nel
fosso vidi genti attuffate in uno sterco che
dagli uman privati parea mosso” (Inferno,
XVIII). Nel “Trattato di Architettura” di
Francesco Martini, del XV sec., si accenna
esplicitamente alla convenienza di collocare nei palazzi “destri ovvero necessari”.
Destri e necessari sono ricordati nelle
poesie del Berni e del Lippi, mentre nei
trattati di agricoltura di P. de’ Crescenzi
(1605) e di D. Vitale Mazzini (1625) si raccomanda che i necessari non siano
costruiti vicino alle stanze di preparazione
del vino. Non sappiamo come fossero
costruiti questi locali, ma è facile immaginarlo vedendo quelli che ancora esistono
nelle nostre campagne. Fino agli anni ’70
del nostro secolo molte abitazioni non
disponevano di un gabinetto, ricordo
ancora il pitale di mia nonna e la mia difficoltà, piccola come ero, ad usarlo, e vedo
ancora il bugigattolo, separato dalla casa
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e costruito come le latrine romane, in cui
avevo paura di entrare: chissà cosa poteva uscire da quel buco nero! Ma ricordo
anche la terribile puzza che scaturiva da
un grosso buco scavato nel cortile di casa
mia quando un tizio veniva a svuotarlo
con una pompa.
Nei secoli seguenti il problema di dove
defecare e urinare sembra diventare argomento tabù. Nel 1500 Enrico VIII decretò
la chiusura di tutti i bagni pubblici a causa
della credenza che gli umori del corpo
venissero dispersi dall’acqua e che questo divenisse causa di malattie. La regina
Elisabetta I si vantava di fare il bagno solo
una volta al mese e solo se strettamente
necessario. I pitali o orinarli costituiti dai
materiali più vari, dall’oro alla porcellana
passando per il ferro smaltato, erano l’unico metodo per raccogliere feci e urina e
solo nelle comunità rurali si trovavano
pozzi neri.
Fu solo agli inizi del XIX secolo che si
comprese che lo scarico degli escrementi
umani in canali dilavati dalle piogge
sarebbe stata una buona norma igienica,
tra il 1859 e il 1875 a Londra si realizzò il
primo sistema di canali artificiali per lo
smaltimento dei liquami e delle acque piovane. Successivamente la scienza idraulica mise a punto i primi impianti di depurazione a fanghi attivi a cui fecero seguito
trattamenti chimici delle acque, ma questo solo nel XX secolo.
Lo sviluppo di sistemi più avanzati di
erogazione delle acque ci diede la possibilità di avere l’acqua direttamente nelle
nostre abitazione e questo stimolò la creazione dei moderni gabinetti dotati di sciacquone (gabinetto: dal francese cabinet,
qualsiasi piccola stanza di uso riservato,
parola usata per indicare vani, talvolta riccamente decorati, di antichi palazzi, adibiti a spogliatoio, guardaroba, ripostiglio; ha
assunto anche la valenza di studio privato
per lavoro, colloqui riservati e anche di
insieme di ministri e amministratori). Dapprima solo chi abitava in grandi palazzi
poteva averne uno personale, nelle case
popolari si era fortunati se il gabinetto
situato alla fine della ringhiera era funzionante: tutto dipendeva da quanto aveva
mangiato il nostro vicino di casa. All’inizio
del XX sec. le latrine comuni, usate dagli
abitanti lo stesso palazzo o nelle comunità, seguivano regole precise: non erano
più separate dal corpo centrale dell’edificio ma erano disposte agli angoli degli
edifici in maniera che fossero ben areate e
ventilate e avevano un’antilatrina. Il numero di sedili richiesti per le latrine collettive
variavano secondo la destinazione dell’edificio: nelle scuole maschili occorreva un
sedile ogni cento individui, in quelle fem-
minili uno ogni cinquanta; nelle caserme i
posti sono da sei a otto ogni cento persone e negli ospedali cinque o sei; in quest’ultimo caso nello stesso ambiente
erano previsti una serie di svuotatoi per i
recipienti mobili. Nelle comunità s’impiegavano generalmente i cosiddetti cessi
alla turca perché presentavano una grande facilità di pulizia ed eliminavano cause
di contagio. Negli ospedali, specie nei
padiglioni di malattie infettive, si applicavano speciali fornelli alle tubature per
garantire l’immediata distruzione delle
deiezioni, oppure si utilizzavano bottini
mobili di qualche centinaio di litri che venivano rimossi, svuotati e disinfettati. Le
latrine pubbliche erano situate presso gli
edifici a grande affluenza di pubblico ed
erano generalmente situati al di sotto del
livello del suolo di piazze o giardini, alcune di queste strutture sono ancora presenti nelle nostre città.
Sempre dei primi decenni del XX secolo sono i primi regolamenti edilizi che
obbligano ad avere ambienti speciali per
le latrine; allora come oggi essi non dovevano aprirsi su altre stanze bensì nel corridoio e dovevano essere areate, l’Enciclopedia Italiana del 1932 dice che “solo
nelle case operaie e del ceto medio è oggi
invalso l’uso di disporre le latrine nel
medesimo ambiente del bagno; disposizione certo infelice dal lato igienico, ma
suggerita da evidenti ragioni di economia”.
Da questo sembra evidente che l’edilizia popolare dell’immediato dopo guerra
ha fatto, in un certo senso, scuola: ora in
tutte le nostre case la “stanza da bagno”
comprende anche la tazza del cesso
(cesso: derivato da cessare, nel significato antico di “allontanare”, cessarsi “ritirarsi”). Nei Paesi europei più settentrionali,
Francia, Olanda Germania, Danimarca
ecc., sembra che sia rimasto l’uso di
separare la latrina dalla stanza da bagno,
anche se, dato lo spazio carente nelle
città, questo costringe i costruttori a destinare a questo uso ambienti completamente interni, privi di aria e di luce, tutto
ciò ha favorito lo sviluppo di accorgimenti
nel sistema di ventilazione usati anche in
Italia, questi sistemi hanno favorito i lavori
di ristrutturazione di alloggi, alberghi, antichi palazzi in cui sarebbe stato impossibile creare una stanza da bagno.
Di tutta la parte di mondo occidentalizzato, i Paesi in via di sviluppo stanno
ancora lottando per avere un minimo di
condizioni igieniche, solo i giapponesi
paiono non aver compreso la bellezza di
una “stanza da bagno”. In Giappone sono
ancora numerosi i sentos , bagni pubblici
a conduzione famigliare che si stanno
“modernizzando” con Karaoke e piano-
bar, d’altra parte le case giapponesi sono
piccolissime e i gabinetti lo sono di conseguenza. Sembra che i giapponesi
abbiano da poco scoperto il gabinetto e lo
stiano adattando alla loro cultura. In un
articolo scritto nel 1988, Tiziano Terzani
descrive gli studi, le idee e le innovazioni
che i giapponesi stavano apportando ai
loro gabinetti. Dislocati per lo più in luoghi
pubblici i gabinetti giapponesi sono dotati di numerosi e fantasiosi comfort, per
esempio: un sistema simula lo scorrere
dell’acqua dallo sciacquone; questo
accorgimento assolve a due funzioni, permette di coprire i rumori che accompagnano l’evacuazione e, contemporaneamente, consente di risparmiare l’acqua
che veniva usata dall’utente allo stesso
scopo. Una grande innovazione è il gabinetto higt-tech, questa meraviglia della
tecnica è dotato di uno schermo su cui
compaiono, in tempo reale, i risultati dell’analisi del prodotto.
Dopo secoli di oscurantismo, e di
puzza, chi, tra noi, saprebbe ora rinunciare al piacere di avere nella propria casa
una bella “stanza da bagno”! Oltre a
garantirci una vita igienicamente più sana,
la nostra stanza da bagno diventa un
luogo di relax e di raccoglimento. Chiusa
la porta possiamo occuparci di noi stessi,
del nostro corpo e dei nostri pensieri: il
mondo, tutto il mondo, resta fuori.
Bibliografia
J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dizionario dei
simboli, Bur.
La Sacra Bibbia, Levitico
AA.VV.: Encarta enciclopedia informatica
in cd-rom, Microsoft
C.G. Argan: Storia dell’arte italiana
AA.VV.: Enciclopedia Italiana Treccani,
1932
T. Terzani: “La cultura del gabinetto”, da:
In Asia, ed. Superpocket
L’autore
* Infermiera Professionale
A.S.L. Pavia
22
PAGINA
Infermiere a Pavia
A l t r i
PERCORSI
A.I.
Ur.O.
Associazione Infermieri di
Urologia Ospedaliera
L’Associazione degli Infermieri Urologia
ospedaliera nasce in Italia l’ 8 maggio
1995, come associazione affiliata all’associazione urologi ospedalieri dalla quale
però nel 2000 si stacca divenendo entità
autonoma e completamente indipendente. L’Associazione è costituita principalmente da infermieri che operano e/o
hanno operato in ambito urologico ospedaliero sia del Servizio Sanitario Nazionale, sia negli Istituti Universitari, senza
peraltro dimenticare gli operatori delle
strutture territoriali pubbliche e private.
L’obbiettivo, che sin dall’origine continua
ad ispirare l’Associazione, è la valorizzazione della attività infermieristica di carattere ed interesse urologico attraverso attività e strumenti che favoriscono l’interscambio di informazioni tecnico-scientifiche quali incontri, seminari, corsi di
aggiornamento, meeting.
I mezzi di comunicazione utilizzati sono
il notiziario “Uro-Nursing” ed il sito internet
della stessa Associazione. Si agisce inoltre proponendo la pubblicazione di lavori
e di ricerche sia con la collaborazione di
ditte specialistiche oppure con il contributo di Società “mediche-urologiche” sia in
riviste specialistiche ove l’Associazione ha
acquisito spazio e credito professionale.
L’Associazione è riconosciuta sia a livello di Federazione dei Collegi I.P.A.S.V.I.
che di Ministero della Salute. Tale riconoscimento è giunto a seguito del contributo che i suoi affiliati hanno portato in diversi corsi di specializzazione in ambito urologico.
Nel 1999 infatti ha dato il proprio patrocinio alla realizzazione di un corso complementare sull’Assistenza in Urologia,
tenutosi presso all’Università Tor Vergata
di Roma, partecipando all’interno del
comitato tecnico-scientifico nell’elaborazione dei contenuti e degli obbiettivi prefissi.
Il corso ha visto la partecipazione di
venti corsisti che hanno affrontato un per-
corso di studio strutturato in cinquecento
ore di tirocinio e teoria.
A livello europeo vanta notevoli crediti
nei confronti dell’E.N.A.U. (Associazione
Europea di Infermieri di Urologia). Negli
ultimi anni si è fatta conoscere anche in
America con la S.U.N.A. (Socety of Uroligyc Nurses and Associated), partecipando attivamente ad alcuni congressi.Inoltre
si sono poste le basi di una futura collaborazione con gli infermieri dei Paesi del
Centro e Sud America (Cuba, Brasile,
Messico).
Nonostante la recente costituzione l’Associazione propone una raccolta di lavori
in infermieristica urologica che vanno dal
1995 al 1999 i quali sono il nucleo centrale delle conoscenze formali in questo
ambito.
Si tratta di un tentativo di sistemizzazione delle conoscenze disponibili utili agli
infermieri impegnati nell’attività clinica.
L’Associazione vuole infatti offrire la
possibilità di confronto delle tecniche e
delle metodiche utilizzate nella pratica
con i risultati dell’esperienza, della riflessione e della ricerca di altri colleghi.
Questo contributo è utile a fini didattici
per garantire la trasmissione di tali conoscenze ed infine l’elaborazione di una
struttura teorica del nursing urologica
risulta necessaria per impostare le strategie di una ricerca scientifica.
In questo senso la A.I.U.R.O. proseguirà
nell’impegno di estendere a tutti gli ambiti assistenziali il campo di applicazione del
nursing urologico, consapevole di arricchire l’assistenza al malato nell’ambito
elettivo della sua applicazione.
Segreteria Nazionale
Via G. Nel 3, 10023 Chieri (TO)
Tel/fax 011-9427901
e-mail: [email protected]
www.aiuro.it
23
PAGINA
Numero 2/2001
Associazione
Enrico Boerci *
Lule
L’associazione LULE o.n.l.u.s. si occupa di attività di prima accoglienza finalizzata a gestire l’avvio dei percorsi di
abbandono della prostituzione delle
donne e minori che chiedono di uscire dal
circuito della tratta attraverso colloqui di
orientamento e verifica e inserendo le
ragazze in una pronta accoglienza tutelata e protetta che può essere rappresentata: dalla casa di fuga gestita dall’associazione, da famiglie con formazione ed
esperienza specifica, dalle comunità di
prima accoglienza in rete.
Ciò viene realizzato attraverso l’impiego
di risorse umane:
1 coordinatore
1 assistente sociale
1 psicologa
2 educatrici
1 operatore di base
1 infermiera
3 mediatrici culturali
5 volontari specificamente formati
4 famiglie con formazione ed esperienza
specifica
1 consulente legale
1 supervisore metodologico
1 supervisore psicologico
1 valutatore
forze dell’ordine, dei servizi sociali e delle
amministrazioni del territorio, nonché il
collegamento con analoghi progetti attuati sul territorio nazionale ed europeo per
favorire lo scambio di esperienze e potenziare l’efficacia dell’intervento.
E’ gestito dal gruppo di coordinamento
del progetto.
Le risorse strumentali sono:
sede per colloqui
sedi per l’accoglienza
1 appartamento finalizzato, gli appartamenti di 4 famiglie, posti reperibili presso
le comunità di prima accoglienza in rete
La gestione della struttura di pronta
accoglienza ha permesso di consolidare i
rapporti con le Questure, i Carabinieri, le
Procure e i Tribunali per i Minori in quanto
tutti questi Enti, ognuno per la parte che
gli compete, possono essere coinvolti
nelle varie fasi del percorso di inserimento sociale di chi sceglie di sfuggire al circuito della tratta.
La LULE ha inoltre avviato percorsi di
abbandono della prostituzione indirizzando le ragazze al percorso di comunità e
ha avviato percorsi finalizzati a promuovere l’integrazione sociale e lavorativa delle
donne e dei minori che hanno avviato percorsi di abbandono della prostituzione.
L’attività di rete è finalizzata a raccordare e integrare i soggetti e i servizi coinvolti nel progetto, nonché ad armonizzare l’azione locale con quella nazionale ed europea.
E’ realizzata tramite azioni informative,
di scambio e di confronto.
Prevede il coinvolgimento negli ambiti
operativi delle istituzioni sanitarie, delle
Rapporti con le amministrazioni locali
Il Regolamento attuativo D. Lgs. 286/98
(Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero) investe
gli Enti locali di un ruolo di responsabilità
nei confronti delle ragazze che avviano
programmi di assistenza e integrazione
sociale; le relazioni costruite con gli Enti
locali del territorio operativo nei precedenti tre anni di attività dell’associazione
hanno consentito di elaborare per il 2000
un progetto che copre i diversi aspetti dell’intervento nell’ambito della tratta e li
rende soggetti partecipanti, attingendo
proprio ai finanziamenti previsti dal suddetto decreto.
Rapporti con le Forze dell’Ordine
Rapporti con le Istituzioni sanitarie
La Regione Lombardia ha approvato i
progetti proposti dalle ASL 1, 2 e 12 della
Provincia di Milano nell’ambito del programma triennale di prevenzione dell’infezione da HIV allo scopo di intervenire nel
settore della prostituzione di strada.
L’associazione LULE sarà il soggetto
attuatore di tali iniziative su 9 distretti sanitari complessivi.
Il consolidamento delle attività progettuali ha permesso di allargare ulterior-
24
PAGINA
mente la rete di servizi sanitari di riferimento per gli accompagnamenti delle
ragazze e, in alcuni casi, di strutturare le
collaborazioni già avviate.
Rapporti con altri Enti e coordinamenti
L’associazione LULE fa parte del “Coordinamento interregionale tratta” lombardo, condotto dalla Caritas Ambrosiana, e
del “Gruppo ad hoc prostituzione e tratta”
del C.N.C.A. (Coordinamento Nazionale
Comunità di Accoglienza), rete nazionale
delle associazioni e delle cooperative attive nel campo della tratta di cui l’associazione LULE rientra tra i soggetti coordinatori.
Ripetute sono state le occasioni di collaborazione operativa della LULE, in particolare con: l’Ufficio Stranieri del Comune
di Milano, la Segreteria Donne della Caritas Ambrosiana, i Padri Somaschi di Milano, la Caritas di Bergamo, la Casa del
Giovane di Pavia, l’Associazione Porta
Aperta di Mantova, le associazioni Welcome e Mimosa di Padova, l’Ufficio Stranieri
del Comune di Torino, l’associazione
Liberazione e Speranza di Novara, l’associazione Arcobaleno di Firenze, l’associazione On the Road di Teramo e la cooperativa Compagni di strada di Trani.
Rapporti con gli Istituti di formazione
per operatori sociali
Le convenzioni attivate con gli Istituti di
formazione per operatori sociali hanno
permesso l’ingresso di tirocinanti nell’associazione LULE per favorire la formazione degli studenti nel settore d’intervento.
Il numero Verde Nazionale contro la
tratta
L’associazione LULE è stata coinvolta
dalla provincia di Milano nella gestione
del call center lombardo del Numero
Verde nazionale contro la tratta, iniziativa
promossa congiuntamente dal dipartimento per le Pari opportunità e dal dipartimento per gli Affari Sociali per offrire
informazione, orientamento e sostegno a
favore delle vittime del traffico a scopo di
sfruttamento sessuale.
Autovalutazione dello stato del progetto
Il progetto nel suo complesso e le sue
attività sono accompagnati da un costante e diversificato processo di verifica e
Infermiere a Pavia
valutazione.
La valutazione avviene durante la realizzazione del progetto e alla conclusione
dello stesso, utilizzando indicatori di risultato e di processo.
Per quanto attiene la azione indicate nel
programmo proposto al Dipartimento per
le Pari Opportunità, essa viene effettuata
attraverso la modalità della valutazione
partecipata, secondo l’approccio costruttivista, grazie all’interazione tra l’équipe
operativa e un valutatore esterno.
In questa sede proponiamo una sintetica autovalutazione dell’andamento del
progetto nei termini seguenti:
Punti di forza
• L’esperienza maturata dall’associazione
nel settore specifico della prostituzione
e della tratta.
• La disponibilità di una consolidata équipe di operatori e volontari che garantisce: competenze diversificate, l’opportunità di un arricchimento reciproco e la
possibilità di far fronte a difficoltà individuali.
• Il coinvolgimento della comunità locale
nei termini di: volontari attivi nel progetto, famiglie disponibili all’accoglienza,
associazioni di sostegno.
• Il rapporto proficuo con gli organi di
comunicazione che favorisce l’opera di
informazione e sensibilizzazione.
• La presenza capillare e costante degli
operatori sulle strade di un’area territoriale estesa, che garantisce un forte
riconoscimento di ruolo e il poter mantenere il contatto con la medesima
ragazza anche a fronte del turn over.
• La disponibilità di mediatrici culturali di
riferimento per ognuna delle etnie più
rappresentative: un’educatrice rumena,
una mediatrice nigeriana ed un’assistente sociale albanese.
• La possibilità di far fronte a richieste di
accoglienza 24 ore su 24 grazie alla
costante presenza di operatori nella
struttura di pronta accoglienza.
• La dislocazione del pronto intervento in
una località protetta da un lato, ma non
eccessivamente isolata dall’altro, in
grado di trasmettere alle ragazze senso
di tranquillità e sicurezza, ma anche
opportunità di socializzazione.
• Il consolidamento di forti legami di rete
con realtà che fanno accoglienza su
tutto il territorio nazionale e, quindi, l’opportunità di trasferire le ragazze in strutture con caratteristiche differenti e adatte alle singole individualità.
• Le connessioni di rete avviate con le istituzioni e gli enti attivi nel settore. In particolare con le Questure al fine di rendere più lineare il percorso sociale.
• L’integrazione nel progetto di ambiti
operativi diversi e consequenziali che
permette di ottimizzare le risorse impiegate.
Punti di debolezza
• La scarsa integrazione tra i diversi enti e
Istituzioni chiamati ad intervenire nel
fenomeno.
• La vacatio temporis fra la denuncia
sporta dalla ragazza sfruttata e il rilascio
del permesso di soggiorno che condiziona negativamente il percorso di integrazione.
• La difficoltà ad intervenire tempestivamente sulle minori presenti sulla strada
e ad attivare i servizi preposti alla loro
tutela, soprattutto nei casi in cui la maggior età è alle porte e le istituzioni manifestano la tendenza a non adottare
provvedimenti.
• La crescente necessità di sicurezza e
protezione da parte degli operatori del
progetto conseguente all’attività di
pronta accoglienza che può creare in
condizioni di rischio.
L’Associazione LULE o.n.l.u.s. Corso
San Pietro. 62 20081 Abbiategrasso (MI)
tel. e fax. 02.94965244-02.94966897, email: , sito web: risulta iscritta alla terza
sezione del registro degli Enti e Associazioni che svolgono attività a favore degli
immigrati con il numero di iscrizione
C/4/2000/MI e può di conseguenza gestire programmi di assistenza e integrazione
sociale per vittime della tratta secondo
quanto previsto dall’articolo 18 del D.Lgs.
286/98
L’autore
* Collaboratore gruppo LULE
San Martino Siccomario
25
PAGINA
Numero 2/2001
Lettera aperta agli Infermieri
Il progetto contro lo sfruttamento sessuale che il comune di San Martino Siccomario sta portando
avanti con una apposita convenzione con l’Associazione LULE di Abbiategrasso, compie due anni. Sono
particolarmente soddisfatto di alcuni risultati già ottenuti. In primo luogo la costituzione di una sezione locale dell’Associazione LULE composta da volontari che si sono progressivamente avvicinati all’attività “di strada”. Altro positivo risultato sono i due corsi di formazione per volontari, che hanno rappresentato un indispensabile momento di informazione, sensibilizzazione ed orientamento. Voglio poi
ricordare i concreti risultati ottenuti con il contatto settimanale con decine di donne mirati non solo
a interventi di controllo sanitario, ma anche ad un primo percorso di accompagnamento verso l’autonomia. Ed infine, fatto estremamente positivo, la nostra iniziativa ha suscitato notevole curiosità ed
interesse anche in altre Amministrazioni Comunali del territorio, che hanno stipulato convenzioni con
l’Associazione LULE ed hanno organizzato convegni pubblici sul tema della prostituzione. I contenuti
del progetto sono molteplici e partono dalla necessità di coinvolgere il tessuto sociale, oggi indifferente od insofferente per dare risposte di carattere preventivo. Siamo convinti che occorre evitare il radicarsi di fenomeni collegati alla malavita e realizzare un duplice obiettivo: il recupero delle situazioni
umane fortemente degradate nello spirito di una autentica solidarietà e fornire una risposta al bisogno di sicurezza espresso dai cittadini. Il fenomeno si è purtroppo ampliato in modo forte negli ultimi
anni, con crescita delle connessioni con la criminalità organizzata, un aumento degli introiti della
malavita, l’amplificazione del rischio sanitario per le donne, i clienti e le loro famiglie, il terribile
degrado umano e sociale rappresentato da strade e quartieri insicuri per i cittadini e teatro dello sfruttamento sessuale. Il nostro progetto si articola in interventi culturali (informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica, incontri pubblici, campagne educative nelle scuole, coinvolgimento della
stampa locale); attività di strada con le unità mobili e l’intervento degli operatori che svolgono un’azione informativa sanitaria, di avvio ai controlli medici, di valorizzazione dell’identità personale e del
senso dell’autonomia delle donne sfruttate; attività di accoglienza e sostegno al recupero con progetti
individuali; attività di raccordo con i Paesi di origine e le Organizzazioni non Governative; attività di
rete degli interventi per favorire l’integrazione delle risorse. La collaborazione con la LULE è stata
veramente preziosa: le donne complessivamente contattate nel primo anno di attività sono state 97 di
cui 73 nigeriane, 11 albanesi e 13 di altre nazionalità. I contatti con le donne sono stati 14 per ognuna delle serate settimanali di uscita dell’unità mobile ed i contatti medi per ciascuna sono stati 7.
E’ stata svolta una mappatura con la rilevazione delle caratteristiche del territorio, la presentazione
degli operatori e del progetto alle donne, la distribuzione di materiale informativo ed un lavoro di
“counselling” a tema, proposte di accesso ed accompagnamento ai servizi sanitari, la raccolta di campioni ematici per le diagnosi, la consulenza e l’orientamento su temi sociali, la distribuzione di questionari per valutare in particolare la conoscenza del tema HIV, il sostegno relazionale per costruire
rapporti significativi, la presentazione mirata di percorsi alternativi alla vita di strada e l’avvio degli
stessi.
Il 3 dicembre dello scorso anno abbiamo poi organizzato un convegno pubblico al quale hanno partecipato il vice presidente del Gruppo Abele dott.ssa Mirta DaPra, il giornalista RAI santo della Volpe
ed il coordinatore del progetto LULE dott. Stefano Montorfano.
Lo scopo era quello di presentare i risultati che ho prima descritto ed avviare le iniziative del secondo anno di attività. I risultati come ricordavo all’inizio del mio intervento, sono arrivati.
Vogliamo ora concentrarci su un nuovo problema, che sarà oggetto di un convegno pubblico che
intendiamo organizzare alla fine del mesi di marzo 2001 anche per presentare il resoconto del secondo anno di attività.
Si tratta del problema del “cliente” che rappresenta l’autentico nodo della questione prostituzione.
Fino ad oggi ci si è scarsamente occupati di capire ed intervenire sul fenomeno del cliente. Vorremmo pertanto comprendere più a fondo le motivazioni sociali e psicologiche che creano tale fenomeno
ed attivare le strategie efficaci che possono informare e sensibilizzare che si presta al mercato dello
sfruttamento sessuale, sui terribili rischi sociali, umani e sanitari e sulle dirette conseguenze sull’arricchimento dei poteri criminali e sull’ordine pubblico.
Concludo questo mio scritto ringraziando il comitato di Redazione del giornale per avermi dato la
possibilità di esporre seppur schematicamente i contenuti del progetto avviato dal Comune di San Martino Siccomario su un tema così scottante e delicato e nello stesso tempo mi sento di rivolgere un invito a tutti gli operatori sanitari a cui questo giornale viene inviato di contattare l’Associazione LULE –
tel. 02.94965244 o il Comune di San Martino Siccomario – Assessorato alla Solidarietà Sociale – tel.
0382.496190-159-160 nel caso fossero interessati a prestare aiuto come volontari di strada.
Enrico Boerci
Comune di San Martino Siccomario
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PAGINA
Infermiere a Pavia
La Meridiana
Esperienze di assistenza infermieristica dai lettori
Michele Borri *
Marina Berlinese *
Agnese Carducci *
Albert Di Palma *
Michele Filiali *
Silvia Giovanetti *
Lorena Maldarelli *
Nadia Intini *
Adriana Massola *
Stella Odato *
Roberto Prazzoli *
Maria Vincenza Tardino *
Daniela Tegoni *
Maria Grazia Trimarchi *
Valutazione dellíansia e
del dolore in un paziente
ricoverato díurgenza
in Unit‡ Coronarica
PRESENTAZIONE
Premessa a cura di
Marisa Bergognoni
Il Servizio di Cure Intensive Coronariche
è un reparto adibito alla cura di :
Quanto verrà esposto qui di seguito
rappresenta un interessante lavoro
svolto dall’equipe infermieristica del
Servizio Cure Intensive Coronariche
(U.T.I.C.) del I.R.C.C.S. San Matteo di
Pavia.
•
•
•
•
I colleghi hanno dimostrato di essere
un gruppo di lavoro dinamico ed
all’avanguardia nello studio delle
problematiche infermieristiche connesse con la valutazione dell’ansia e
del dolore in quanto hanno affrontato in maniera metodica e scientifica,
ma allo stesso tempo comprensibile,
un argomento particolarmente delicato, critico e complesso per i suoi
connotati di soggettività.
Tutti i pazienti che vengono ricoverati in
Unità Coronarica sono degenti in condizioni sanitarie gravi, in fase acuta ed in
pericolo di vita.
La struttura è costituita da 6 letti.
In essa operano 13 infermieri, 4 operatori tecnici, coordinati da una A.F.D..
Per ogni turno di lavoro sono previsti
almeno 2 infermieri.
L’aspetto pregnante dello studio
effettuato dai colleghi dell’ U.T.I.C. è
infatti connesso con la difficoltà di
individuazione e valutazione da parte
di un operatore sanitario dell’intensità della sensazione dolorosa provata dai pazienti che risentono anche,
inevitabilmente, di stati d’animo di
natura emozionale.
Nella sensazione dolorosa si distinguono due componenti : una puramente sensitiva, per la quale l’applicazione di uno
stimolo, come il caldo o il freddo, determina una data sensazione, ed una componente emozionale ed affettiva per cui questa sensazione viene vissuta in modo
diverso dai singoli pazienti a seconda del
carattere, dell’educazione, della cultura e
dello stato d’animo di maggiore o minore
depressione in cui si trovano in quel
momento.
Questo succede perché le vie nervose
di trasmissione del dolore proiettano le
sensazioni nei centri nervosi del sistema
limbico e del talamo, sede della persona-
Tenuto conto dell’importanza dell’argomento che viene trattato, l’articolo
è stato anche integrato alla fine con
la descrizione delle recenti innovazioni introdotte nell’ambito legislativo
nel campo dei farmaci stupefacenti.
Infarto del miocardio in fase acuta
Angina instabile
Aritmie gravi
Edema polmonare acuto di origine
ischemica
• Shock cardiogeno
DOLORE
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PAGINA
Numero 2/2001
lità, dove esse vengono fuse con la altre
emozioni.
Mentre il dolore acuto, con durata limitata nel tempo, non ha una grave incidenza sulla personalità dell’individuo, quello
cronico determina disgregazione psichica
con gravi conseguenze sul piano familiare
e sociale.
Dolore cardiaco
Il sangue circolante, con il passare del
tempo, lascia sulle pareti interne delle
arterie coronarie, delle incrostazioni (aterosclerosi), che sono prevalentemente
costituite da grassi (colesterolo ).
Il flusso del sangue, subirà una riduzione nelle coronarie colpite e darà luogo ad
una sofferenza in una porzione del cuore
(ischemia).
Se l’ostruzione di una coronaria per aterosclerosi, supera un limite critico di intensità, può accadere che nella sede dell’ostruzione si formino dei coaguli che bloccano ulteriormente la coronaria, provocando così delle alterazioni gravi ,non più
recuperabili, che prendono il nome di
infarto.
L’infarto quindi è la morte di una porzione di muscolo cardiaco, per grave difetto
di apporto di sangue da parte della sua
coronaria.
Il segno più importante di un attacco
cardiaco è rappresentato dal dolore, di
solito è al centro del petto, dietro allo sterno.
Può irradiarsi al braccio
sinistro, ad entrambe le
braccia, al collo, alla
mandibola,
alle
spalle, all’addome
alto (stomaco).
Altri segni che
possono associarsi al dolore
cardiaco sono
il sudore, la
nausea,
la
dispnea, l’agitazione psichica.
ANSIA
Sul versante soggettivo l’ansia è un
fenomeno diffuso: ogni persona sa, con
riferimento alla propria esperienza, che
cosa è l’ansia ed è anche in grado di prevedere con discreta approssimazione le
situazioni che possono generarla.
Può essere considerata un problema di
natura medico-psichiatrica o psicologica
e quindi un disturbo da curare ma può
avere un ruolo di stimolo, funge da pungolo per superare situazioni difficili, per
affrontare un compito e creare i presupposti per equilibri più soddisfacenti e garantire delle buone performance; può esercitare una sorta di risveglio di alcune facoltà,
come l’attenzione, la memoria, la volontà.
Altre volte lo stato d’ansia può insorgere
in assenza di una minaccia oggettiva, o
può assumere un’intensità eccessiva,
sproporzionata rispetto alla reale entità del
pericolo finendo così per indurre una
grave sofferenza e inibire le risorse e abilità del soggetto.
Dal punto di vista psichico l’ansia è uno
stato d’animo, una sensazione spiacevole
di insicurezza e di irrequietezza, una paura
immotivata. Essa si differenzia però dalla
paura vera e propria poiché questa rappresenta la risposta emotiva ad un pericolo conosciuto: pertanto, mentre l’ansia
anticipa un pericolo ignoto, la paura deriva da un pericolo noto.
Sia l’ansia sia la paura, sono accompagnate da alterazioni fisiologiche simili e
legate ad una rapida preparazione dell’organismo alla lotta o alla fuga dal pericolo.
Queste alterazioni consistono principalmente in un aumento della gittata cardiaca
con contemporanea ridistribuzione della
massa sanguigna dalle regioni cutanea e
intestinale al miocardio ed alla muscolatura scheletrica.
I cambiamenti fisiologici sono seguiti da
tachicardia, dispnea, sudorazione fredda,
tremore diffuso, secchezza delle fauci,
tensione muscolare.
L’ansia poi, influisce sia in modo acuto
sia nel tempo, sul comportamento con
segnali osservabili.
L’ansia ad un livello esasperato è comunemente definita “angoscia”, mentre la
paura trova al suo estremo il corrispettivo
nel panico, vale a dire in quella reazione al
pericolo in cui dominano elementi di irra-
28
PAGINA
zionalità, di disordine, di massiccia confusione nella scelta delle risposte più adeguate per fronteggiare il pericolo stesso.
Per concludere, la condizione ansiosa
può essere legata ad eventi reali o non
riconoscere alcuna causa per questo si
parla di stato d’ansia immotivato che è
ricondotto all’ambito della psicopatologia,
d’altra parte si è portati a credere che lo
stato d’ansia motivato sia meno preoccupante ma naturalmente i confini non sono
così netti per cui è anche difficile distinguere l’ansia fisiologica da quella patologica e la distinzione dovrebbe in ogni
caso considerare il relativismo culturale e
l’ambiente sociale in cui un individuo vive.
Infermiere a Pavia
come conseguenza adottare tutti quei
comportamenti che mettono a proprio
agio il degente.
Campione
L’indagine è stata condotta nei mesi di
ottobre e novembre del 2000.
Sono stati arruolati 50 degenti, di cui 28
maschi e 22 femmine.
L’età media dei degenti è di 66 anni.
Tenendo presente che in Unità Coronarica annualmente vengono ricoverati circa
650 pazienti, il campione rappresenta il
7,7% del totale dei ricoveri, pertanto il
campione è da considerarsi rappresentativo.
Scopo
Metodo
Questo studio è nato dalla necessità di
avere un metodo oggettivo per rilevare lo
stato d’ansia ed il dolore nei pazienti che
giungono presso la nostra unità operativa.
Obiettivo
Il lavoro intrapreso dall’equipe infermieristica, si pone come obiettivo la capacità
di migliorare l’osservazione degli infermieri, attraverso un esercizio che dia la possibilità all’operatore di confrontare le proprie
valutazioni con i dati forniti dal paziente.
Una corretta valutazione del malato sin
dall’arrivo in reparto, da parte dell’infermiere, ci permette di entrare immediatamente in empatia con il nuovo arrivato e
In una scheda il paziente autovaluta la
propria ansia ed il proprio dolore utilizzando una scala analogo-lineare con valori da
0 a 10 ( 0 nessuna, 10 intensa ).
In un’altra scheda l’infermiere ,utilizzando una scala analogo-lineare assolutamente identica alla precedente, valuta lo
stato d’ansia ed il dolore del paziente.
Criteri
• Il paziente deve essere collaborante.
• Vengono inseriti solo i pazienti con infarto del miocardio.
• La compilazione del questionario deve
avvenire entro 5 minuti dall’arrivo in
UTIC.
• L’infermiere non deve chiedere nulla al
paziente.
• La compilazione deve avvenire autonomamente.
• Il questionario deve essere compilato
dall’infermiere nello stesso momento in
cui lo compila il degente.
• E’ possibile effettuare la valutazione
dello stesso paziente da parte di più
infermieri, purchè in autonomia.
• Inserire il numero di identificazione su
entrambe le valutazioni.
• Depositare il questionario in due raccoglitori distinti.
• Il questionario dei degenti è anonimo,
quello dell’infermiere deve essere firmato dall’operatore che ha fatto la valutazione.
Risultati
I questionari compilati dai degenti sono
stati 50, quelli compilati dagli infermieri
sono stati 81, questo perché alcuni
degenti sono stati valutati da più di un
infermiere.
La scheda analogo-lineare è stata così
suddivisa
• da 0 a 3
assenza o lieve intensità
• da 4 a 7
media intensità
• da 8 a 10 forte intensità
Ansia
I pazienti hanno fornito, riguardo l’ansia,
le seguenti autovalutazioni :
• ansia lieve
20 pz
40%
• ansia media
19 pz
38%
• ansia intensa 11 pz
22%
Gli infermieri hanno così compilato gli
81 questionari :
• valutazioni corrette
45
55.6%
• valutazioni sottostimate 13
16.0%
• valutazioni sovrastimate 23
28.4%
Dolore
I pazienti riguardo al dolore si sono così
espressi :
• dolore lieve
31 pz 62%
• dolore medio
14 pz 28%
• dolore elevato
5 pz 10%
Gli infermieri hanno fornito i seguenti
dati:
• valutazioni corrette
62 76.5%
• valutazioni sottostimate
14 17.3%
• valutazioni sovrastimate
5
6.2%
I pazienti che hanno, nel corso della
propria autovalutazione riferito di avere
una sintomatologia dolorosa medio/alta
con uno stato di ansia, anch’esso
media/alta, sono stati 18.
Per quanto riguarda il dolore, la valutazione corretta degli infermieri (76.5%) si è
maggiormente avvicinata a quanto espresso dai degenti, probabilmente perché più
tangibile, mentre per l’ansia le valutazioni
corrette degli infermieri, 55.6%, dimostrano quanto sia difficile capire lo stato d’animo del malato al momento del ricovero in
urgenza.
Numero 2/2001
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Nuove Disposizioni in materia di Somministrazione di Stupefacenti
GLI INFERMIERI E I FARMACI
ANTI-DOLORE
La Commissione Sanità del Senato ha approvato definitivamente, il 24 gennaio
2001, in sede deliberante, il disegno di legge che consente ai malati terminali di
ottenere più facilmente dal medico antidolorifici a base di morfina. In particolare il provvedimento - approvato in prima lettura il 21 dicembre 2000 dalla Camera - modifica le norme in vigore, prevedendo che la consegna di farmaci a base
di oppiacei possa essere effettuata anche da operatori sanitari, nell’ambito di
azioni di assistenza domiciliare a pazienti affetti da patologie neoplastiche con
sintomatologia dolorosa grave.
Conclusioni
Ansia e dolore sono in stretta connessione, in molti casi l’ansia si produce proprio sulla base di segnali di potenziali
situazioni di dolore, ma anche l’ansia
genera dolore.
L’attività intrapresa dal Gruppo Infermieristico, voleva migliorare la capacità di
osservazione del personale, al momento
in cui un malato arriva in UTIC.
Occorre considerare le possibili variabili che entrano in gioco quando un paziente entra in Terapia intensiva:
• si giunge in urgenza ,solitamente con il
118
• la sequenza degli eventi è rapida
• si ha la percezione della gravità
• si è spaventati
• si ha dolore
• si paura della morte
• il ricovero è un fatto non pianificato dal
paziente
• si vedono numerosi operatori sanitari
che assistono il malato
• sono molte le procedure intraprese dal
personale
• sono poche le informazioni che vengono fornite nei primi minuti
• la struttura della Terapia Intensiva non è
un ambiente tranquillizzante
• c’è l’isolamento dai familiari
• il malato e gli operatori non si conoscono.
Bisogna sottolineare, che in questa fase
dello studio, non si voleva impostare un
piano di nursing, ma capire se le operazioni che normalmente svolgiamo all’atto
Il testo della nuova legge, composta di un solo articolo, apporta sostanziali
modifiche ed integrazioni al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni.
Due sono le modifiche ad impronta professionale infermieristica che individuano con precisione compiti e responsabilità.
1) l’aggiunta, all’articolo 43 del testo unico, del comma 5-ter: “Gli infermieri professionali che effettuano servizi di assistenza domiciliare nell’ambito dei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali e i familiari dei pazienti, opportunamente identificati dal medico o dal farmacista, sono
autorizzati a trasportare le quantità terapeutiche dei farmaci di cui all’allegato
111-bis, accompagnate dalla certificazione medica che ne prescrive la posologia e l’utilizzazione a domicilio di pazienti affetti da dolore severo in corso di
patologia neoplastica o degenerativa, ad esclusione del trattamento domiciliare
degli stati di tossicodipendenza da oppiacei”. L’allegato 111-bis, anch’esso
introdotto dalla nuova legge, prevede i seguenti farmaci:
Buprenorfina; Codeina; Diidrocodeina; Fentanyl; Idrocodone; Idromorfone;
Metadone; Morfina; Ossicodone; Ossimorfone;
2) l’aggiunta, all’articolo 60 del testo unico, dopo il comma due, dei seguenti
commi: “2-bis. Le unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e private,
nonché le unità operative dei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali sono
dotate di registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope di
cui alle tabelle I, Il, III e IV previste dall’articolo14. 2-ter. Il registro di carico e
scarico deve essere conforme al modello di cui al comma 2 ed è vidimato dal
direttore sanitario, o da un suo delegato, che provvede alla sua distribuzione. Ti
registro di carico e scarico è conservato, in ciascuna unità operativa, dal
responsabile dell’assistenza infermieristica per due anni dalla data dell’ultima
registrazione. 2-quater. Il dirigente medico preposto all’unità operativa è
responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza contabile e quella
reale delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, Il, III e IV previste dall’articolo 14. 2-quinquies. Il direttore responsabile del servizio farmaceutico compie periodiche ispezioni per accertare la corretta tenuta dei registri
di carico e scarico di reparto e redige apposito.“
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Infermiere a Pavia
del ricovero in urgenza, sono idonee per
lenire il dolore e diminuire il comprensibile stato di ansia.
E’ necessario conoscere e comprendere le problematiche del malato, ma anche
conoscerci, mettendo in risalto le potenzialità dell’infermiere, in grado di promuovere iniziative che possono rispondere ai
bisogni del nuovo arrivato.
Interventi già adottati
Nella nostra Terapia Intensiva, si è cercato di dare risalto alla corretta informazione, in modo da diminuire lo stato ansioso
del malato, spiegandogli ogni operazione
che si intraprende.
L’infermiere che si prende carico dell’urgenza si presenta al nuovo arrivato.
All’atto del ricovero l’infermiere deve
stare vicino al paziente per rassicurarlo.
L’infermiere è la figura che viene ricercata immediatamente in caso di difficoltà
del paziente, per cui deve essere facilmente reperibile.
Un’altra attenzione che il personale
infermieristico adotta è quella di chiedere
al malato che cosa vuol sapere, parlando
con frasi semplici e comprensibili.
Si è notato che il ricovero, situazione
permettendo, è meno traumatico se
accompagnato da una introduzione graduale degli avvenimenti ed ai ritmi della
Terapia Intensiva.
E’ stato predisposto un libretto di informazioni con notizie che riguardano la vita
in Unità Coronarica, con una parte informativa per il degente ed una parte per i
familiari.
Non appena la situazione lo permette, si
acconsente subito alla visita dei familiari.
Il tempo per la visita dei congiunti negli
orari consentiti è stato aumentato, sia per
favorire i familiari, sia per il degente che ha
così più tempo per stare i propri cari.
Si è cercato di rendere l’ambiente sicuro e confortevole, allontanando gli stimoli
eccessivi.
Un altro accorgimento che adottiamo è
quello di focalizzare la nostra attenzione
sulla persona piuttosto che sulla malattia.
Dialogo, comprensione, senso di sicurezza, sono quindi componenti fondamentali da utilizzare e trasmettere per un rapporto infermiere-paziente positivo.
Obiettivi futuri
• Predisporre un piano di nursing che
consideri tutta la durata della degenza in
Unità Coronarica sia per l’ansia sia per il
dolore.
• Elaborare nuove tecniche in grado di
prevenire stress inutili ai pazienti per aiutarli ad adattarsi alla malattia ed al trattamento.
• Dare sollievo dal dolore durante la notte,
in quanto un paziente riposato reagisce
meglio dopo un buon sonno notturno.
• Adozione di una scheda di monitoraggio
del dolore con la raccolta dati, le rilevazione della sede, la persistenza, l’intensità, il tempo di comparsa.
• Controllo della sintomatologia dolorosa
attraverso procedure antalgiche.
• Coinvolgimento dei familiari.
Orari Biblioteca
• Istruire il personale in modo da condividere un fine comune, procurare sollievo
al paziente.
• Attuare un processo integrato medicoinfermiere sia per la riduzione dell’ansia,
sia per diminuire il dolore.
• Adozione di un protocollo per l’uso di
farmaci antidolorifici.
• Favorire la collaborazione dell’utente
attraverso un lavoro di responsabilizzazione.
• Miglior utilizzo dei supporti informativi.
• Migliorare la ricerca infermieristica in
Unità Coronarica intesa come un processo sistemico tendente ad aumentare
le conoscenze degli Infermieri.
Per ulteriori informazioni:
IRCCS S. Matteo, Servizio Cure Intensive Coronariche 0382/503972
Bibliografia
L. Fossati, Enciclopedia della Medicina
Ufficiale e Naturale, Armando Curcio
Editore 1990
Forlani, Orlandi, Bonazzi, Bertelli, Manzalini, Guidi, Fiorini, Indagine sulla stato
d’ansia dei pazienti in endoscopia digestiva, A.N.C.T.E. 1° Ottobre 2000
Harrison, Principi di Medicina Interna Volume I (XXII Edizione), MC Graw Hill
Editore 1002
A causa di problemi legati alla dimissione di alcuni componenti del Gruppo
Biblioteca, si comunica che il servizio di consultazione in tempo reale con apertura al pubblico verrà effettuato esclusivamente il
primo venerdì di ogni mese
dalle ore 16.30 alle ore 18.00
Verrà comunque garantito il servizio di ricerca bibliografica con l’evasione delle
richieste nell’arco di una settimana.
Grazie
Il Gruppo Biblioteca
Gli autori
* Infermieri UTIC
Policlinico San Matteo - Pavia
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Numero 2/2001
Ministero della Sanità
DECRETO 3 agosto 2001
Approvazione del registro di carico e
scarico delle sostanze stupefacenti e
psicotrope per le unità operative
IL MINISTRO DELLA SANITÀ
Visto l’art. 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2001, n. 12, concernente le “Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore”, che integra e modifica il
testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309;
Visti in particolare i commi 2-bis, 2-ter, 2-quarter e 2-quinquies
dell’art. 60 del citato testo unico, introdotti dall’articolo 1, comma
1, della legge n. 12 del 2001, concernenti il modello di registro
di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope di
cui devono dotarsi le unità operative del Servizio sanitario nazionale;
Rilevato che, per le sue caratteristiche, il predetto modello di
registro di carico e scarico non può coincidere con il registro di
entrata e uscita di cui al comma 2 dello stesso art. 60, anche se
deve essere approvato con le stesse modalità, secondo quanto
previsto dal comma 2-ter;
Ritenuta l’opportunità di consentire l’impiego di tabulati elettrocontabili a quelle unità operative del Servizio sanitario nazionale che sono dotate di sistemi informatici per la gestione delle
sostanze stupefacenti e psicotrope:
Decreta:
Art. 1.
1. È approvato l’allegato modello di registro di carico e scari(Stampate sulla seconda pagina di copertina del
registro)
NORME D’USO DEL REGISTRO DI CARICO E
SCARICO DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI E PSICOTROPE PER LE UNITÀ OPERATIVE
1. Il registro di carico e scarico in dotazione alle
unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e
private, nonché delle unità operative dei servizi territoriali delle aziende sanitarie locali, è l’unico documento su cui annotare le operazioni di approvvigionamento, somministrazione e restituzione dei farmaci
stupefacenti e psicotropi di cui alle tabelle I, Il, III, e IV
previste dall’articolo 14 del testo unico delle leggi in
materia di stupefacenti (decreto del Presidente della
Repubblica n. 309/1990).
2. Il registro, costituito da cento pagine prenumerate, è vidimato dal direttore sanitario o da un suo
delegato, che provvede alla sua distribuzione.
3. Il responsabile dell’assistenza infermieristica è
incaricato della buona conservazione del registro.
Dopo due anni dalla data dell’ultima registrazione, il
registro può essere distrutto.
4. Il dirigente medico dell’unità operativa è responsabile della effettiva corrispondenza tra la giacenza
contabile e reale delle sostanze stupefacenti e psicotrope.
5. Il direttore responsabile del servizio farmaceutico, attraverso periodiche ispezioni, accerta la corretta tenuta del registro di carico e scarico di reparto. Di
tali ispezioni verrà redatto apposito verbale che sarà
trasmesso alla direzione sanitaria.
6. Ogni pagina del registro deve essere intestata
co delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I,
II, III e IV previste dall’art. 14 del decreto del Presidente della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, con le relative norme d’uso,
destinato alle unità operative.
2. Il registro di carico e scarico è costituito da cento pagine
numerate progressivamente e vidimato in ogni pagina dal direttore sanitario a da un suo delegato, ai sensi dell’art. 60, comma
2-ter, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309 e successive modificazioni.
3. In alternativa il registro può essere costituito da un modulo
continuo, adatto ad essere utilizzato come supporto cartaceo
per sistemi informatici, fermo restando gli obblighi di numerazione delle pagine e di vidimazione di cui al comma 2.
Art. 2.
1. Il registro di carico e scarico è stampato e venduto tramite i
normali canali commerciali presenti nel territorio nazionale.
Art. 3.
1. Le unità operative devono dotarsi del registro in parola nei
tempi necessari affinché il suo utilizzo sia possibile a far data dal
1o gennaio 2002.
Art. 4.
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a
quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana.
Roma, 3 agosto 2001
Il Ministro: Sirchia
ad una sana preparazione medicinale, indicandone la
forma farmaceutica e il dosaggio. Inoltre si deve riportare l’unità di misura adottata per la movimentazione.
7. Le registrazioni, sia in entrata sia in uscita, devono essere effettuate cronologicamente, entro le 24
ore successive alla movimentazione, senza lacune di
trascrizione.
8. Dopo ogni movimentazione, deve essere indicata la giacenza.
9. Per le registrazioni deve essere impiegato un
mezzo indelebile; le eventuali correzioni, effettuate
senza alcuna abrasione e senza uso di sostanze
coprenti, dovranno essere controfirmate.
10. Nel caso di somministrazione parziale di una
forma farmaceutica il cui farmaco residuo non può
essere successivamente utilizzato (come ad esempio
una fiala iniettabile), si procederà allo scarico dell’unità di forma farmaceutica. Nelle note sarà specificata l’esatta quantità di farmaco somministrata, corrispondente a quella riportata nella cartella clinica del
paziente. La quantità residua del farmaco è posta tra
i rifiuti speciali da avviare alla termodistruzione.
11. Il registro non è soggetto alla chiusura annuale, pertanto non deve essere eseguita la scritturazione riassuntiva di tutti i dati comprovanti i totali delle
qualità e quantità dei medicinali movimentati durante
l’anno.
PRESCRIZIONI D’USO
1. Indicare: il nome della specialità medicinale o
del prodotto generico o della preparazione galenica,
la forma farmaceutica (compresse, fiale, soluzione
orale ecc.), il dosaggio e l’unità di misura adottata per
la movimentazione (ml, mg o unità di forma farmaceutica).
2. Indicare il numero progressivo della registrazione.
3. Indicare il giorno, mese ed anno della registrazione.
4. Indicare il numero del buono di approvvigionamento o di restituzione del farmaco. La movimentazione di farmaci tra diverse unità operative dello stesso presidio, deve essere specificata nelle note.
5. Indicare la quantità di farmaco ricevuta in carico.
6. Indicare il nome e il cognome o il numero della
cartella clinica o altro sistema di identificazione del
paziente. Indicare l’unità operativa, in caso cessione
a quest’ultima. Indicare la farmacia, in caso di reso.
7. Indicare la quantità di farmaco somministrata o
consegnata o ceduta o resa.
8. Indicare la quantità di farmaco giacente presso
l’unità operativa dopo ogni movimentazione.
9. Firma di chi esegue la movimentazione.
10. Indicare, oltre ai casi già evidenziati, specifiche
annotazioni atte a fornire maggiore chiarezza in casi
particolari.
(Intestazione frontespizio del registro prima di
copertina)
REGISTRO DI CARICO E SCARICO DELLE
SOSTANZE STUPEFACENTI E PSICOTROPE DELLE
UNITÀ OPERATIVE DELLE STRUTTURE SANITARIE
PUBBLICHE E PRIVATE, NONCHÈ DELLE UNITÀ
OPERATIVE DEI SERVIZI TERRITORIALI DELLE
AZIENDE SANITARIE LOCALI.
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Infermiere a Pavia
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Numero 2/2001
L ottavo giorno
“Un mare”
per Aurora
Graziella Milza *
Giorgio Enoch *
Per fare un prato bastano
un trifoglio, un ape,
un trifoglio, un ape
o un sogno.
Può bastare il sogno
se le api sono poche.
E. Dikinson
Aurora (naturalmente un nome fittizio)
amava l’acqua, si lasciava accarezzare
dalle onde ed esprimeva la sua gioia con
grida e sguardi che si imprimevano nella
mente di chi la osservava.
Questa era la Aurora dello scorso anno
nelle vacanze di Alassio mentre da alcuni
mesi (novembre ‘99) tutto le “aveva giocato contro”. La persona che conoscevamo
non riusciva più ad uscire da uno stato
psichico di intensità tale da non poterla
inserire nuovamente tra i partecipanti
delle vacanza che la Comunità aveva programmato per gli ospiti ad Alassio e Spotorno.
Gli operatori si sentivano sconfitti
davanti al “suo modo di essere”. A partire
dall’inizio dell’autunno la maggior parte
delle sue giornate trascorreva in atteggiamenti chiusi e distaccati. Il suo mare era il
letto, il suo sguardo era assente e a poco
erano valse le attenzioni degli operatori
che cercavano di stimolarla. Il “male” che
la pervadeva dava spazio solo a qualche
breve momento di benessere. Si trovava a
sperare, ma quando questo lampo appariva non sempre veniva colto, perché i
brutali meccanismi dell’istituzione non
prevedono tempi adeguati e non lasciano
spazio per “cogliere l’attimo”.
L’inverno di Aurora era trascorso senza
tregua, i parenti non l’avevano portata a
casa per Natale e dentro di lei rimaneva
solo un vuoto triste e freddo che rischiava
di intorpidire tutto quanto la circondava.
Le energie degli operatori che fino ad
allora si erano attivate per mettere in atto
una pluralità di interventi, rivolti a far emergere in Aurora una serie di abilità e potenzialità sopite, dismesse e forse mai completamente sviluppate, si erano arrese.
All’arrivo della primavera Aurora cominciava a dare i primi sintomi di “risveglio”:
qualche uscita sporadica per un caffè;
una visita ad un’altra Comunità ed il ritorno a casa il giorno di Pasqua permettevano così di sperare che stesse lentamente
uscendo dal suo isolamento.
In uno dei tentativi di accelerare questo
processo, giugno 2000, in cui Aurora
aveva accettato di uscire con due operatori per recarsi a Voghera a visitare giostre
e bancarelle, manifestò atteggiamenti di
una tale aggressività da costringere gli
operatori a ritornare in fretta dopo pochi
chilometri alla Comunità. Grande fu l’amarezza per il fallimento che si prospettava,
forse si era osato troppo….
Sembrava quasi che Aurora avesse
sancito che era fatta “così” e così bisognava rassegnarsi a tenerla.
Dieci mesi trascorsi con un malessere
che non dà tregua sono tanti per chiunque, ma per una persona con tanti anni di
cronicità alle spalle, sono una vita e lo
spettro di un meccanismo a spirale che
risucchia i più deboli è sempre in agguato.
Arrivò finalmente l’estate che sembrò
abbracciare con il suo calore Aurora che
rientrò ad essere parte integrante della
Comunità. Ma come era già accaduto si
trattava di una fase estemporanea che era
destinata ad essere spazzata via come un
ciclone. Iperattiva, accumulava tutto quello che si trovava nella sua traiettoria,
dispettosa con gli ospiti ed il personale,
capricciosa per attirare l’attenzione di chi
la circondava. Passava notti insonni e
dopo aver tentato ripetutamente di fuggire
dalla Comunità si resero necessari un
paio di ricoveri in SPDC.
La chiave di lettura, che portò a rivedere la situazione dell’ospite in Comunità, fu
dovuta alla constatazione della reazione
che Aurora aveva non appena metteva
piede sull’autoambulanza: si tranquillizzava. Il suo atteggiamento era di sfida, il suo
sorriso quasi beffardo…
Gli operatori vivevano con frustrazione
questa situazione, i ricoveri duravano
qualche ora o qualche giorno e non si
sentivano creduti. Aurora creava un tale
scompiglio in Comunità che quando veniva dimessa “così presto” la tensione non
ancora stemprata lasciava il posto all’incredulità.
Come risposta a tale situazione uscirono di rimando alcune supposizioni tra gli
operatori: forse Aurora stava male in
Comunità, forse non era solo una questione di terapia farmacologica, forse nel suo
“letargo” era rimasta troppo sola e le
attenzioni erano poche in questo difficile
momento, forse le nostre risposte non
erano adeguate a fronteggiare il suo
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PAGINA
malessere.
La risposta positiva alla situazione
venne proprio dal fatto che questo “andare e venire” in SPDC, non aveva prodotto
risultati positivi né per noi e neppure per
lei. Tanto valeva allora, rivedere dove le
“maglie” della Comunità permettevano
che la situazione sfuggisse al controllo
degli operatori e cercare le risorse per una
“nuova gestione”. Spesso il gruppo si divise, Aurora aveva bisogno di maggiori
attenzioni, di vivere in un clima più dinamico. Per far fronte ai suoi bisogni, le
energie del personale in molti casi divennero insufficienti poiché rivolti anche a
fronteggiare i bisogni primari degli altri
ospiti della Comunità.
Il problema si fece più grave in quanto
Aurora, con la sua “volubilità” aveva rotto
intorno a sé ogni argine ed era stata per
questo motivo esclusa da molte attività
ricreative.
All’inizio di settembre ebbe qualche
momento di benessere: manifestava maggiore tranquillità ed affettività forse cercava di “rientrare tra noi”.
Un’operatrice aveva espresso il desiderio di farle rivivere l’emozione di essere
accarezzata dalle onde, di riprovare il
gusto di sentirla vociare di gioia. Un altro
operatore, approfittando dell’imminente
vacanza di un gruppo di ospiti ad Arenzano, aveva proposto di raggiungere con
Aurora gli amici.
Le due proposte vennero fatte combaciare e si stabilì il giorno ma, considerata
l’estrema volubilità dell’ospite, dopo avere
sondato la sua disponibilità, si decise di
non tornare sull’argomento sino al giorno
prima della partenza. Abbigliamento adeguato (da viaggio e da spiaggia) era stato
preparato in sordina, ma quando gli ope-
Infermiere a Pavia
ratori si presentarono in Comunità la
risposta era palese: Aurora ci accolse con
un sorriso, accettò di cambiarsi in fretta
d’abito e si partì.
Il tempo non prometteva bene, ma
come rimandare una simile occasione?
Dopo pochi chilometri intonò qualche
abbozzo di canzone e spontaneamente le
uscirono le parole di “ciao, ciao,
mareee…”.
A tratti intrecciava un colloquio immaginario con un ex-codegente in Ospedale
Psichiatrico, a tratti si faceva sistemare la
radiolina che l’infermiera le aveva portato
e se la appoggiava all’orecchio. Questa
radiolina aveva un significato simbolico,
era legata ai momenti difficili attraversati
da Aurora durante i soggiorni di Alassio e
Spotorno. Lei ne possiede due, ma questa forse era un po’ magica.
Piovve a dirotto quasi tutto il giorno ed il
mare lo vedemmo solo dalla macchina,
attendemmo gli amici che erano usciti e
sostammo nel grande parco che circondava l’albergo.
Qui Aurora incontrò Clint, uno splendido cane lupo la cui presenza fu provvidenziale in quanto l’amore che da sempre
la lega a questi animali liberò in lei una
grande affettività. Era eccitata, lo inseguì
prima timida e poi lo accarezzò. Clint la
gratificò rispondendo alle sue attenzioni.
Noi operatori incassammo il colpo poiché ricordammo come lo scorso anno fu
promesso a Aurora un cane, ma quando
la realizzazione di questo “regalo” pareva
concretizzarsi, sfumò.
La burocrazia, la paura di non riuscire a
far fronte all’impegno divise gli operatori e
del progetto si sotterrarono le tracce.
Aurora rimase con il suo “sogno” e forse
si sottovalutò la crudeltà della beffa….
Questa divagazione non casuale riportò
in noi un problema che sembrava sopito…
Per tornare alla nostra “giornata al
mare” verso le undici e mezzo arrivarono i
nostri amici e, dopo i convenevoli, rimanemmo a pranzo con loro. L’inesistenza
di uno spazio comune di soggiorno rese
difficoltoso l’instaurarsi di un clima conviviale e disteso con gli altri ospiti.
La pioggia ci impediva di uscire e rimanemmo relegati nel corridoio delle camere dell’albergo. Aurora si riposò sul letto
che Santina gentilmente le aveva ceduto.
A metà pomeriggio, per non creare ulteriore disagio ai nostri amici, intraprendemmo il viaggio di ritorno. A noi si era
aggiunto un ospite che aveva deciso di
lasciare il gruppo per rientrare in Comunità.
Il mare che avevamo a due passi c’era
parso in quel giorno di pioggia tanto lontano, fisicamente non l’avevamo toccato,
ma forse “quel mare” era più vicino di
quanto pensassimo. Forse lo sciabordare
delle onde ci circondava, muoveva la
nostra “barca” cullandola e suscitava in
noi una sensazione simile ad una scarica
d’adrenalina.
Il costume lo riportavamo a casa asciutto, ma l’acqua di “quel mare” aveva inumidito l’aridità che rischiava di avvizzire le
nostre risorse.
Lasceremo sedimentare il tutto, con la
promessa di discutere presto gli sviluppi
dell’esperienza per una rilettura corretta
del caso in modo da stimolarci a considerare ogni momento, anche il più banale,
della vita di Aurora in Comunità.
Tutto questo sarà possibile se gli operatori avranno il supporto di persone competenti, che li aiutino ad appropriarsi del
concetto che certe attività, nella vita delle
persone, sono da considerarsi ordinarie e
non straordinarie.
Desideriamo inoltre essere supportati a
vivere come momento di maturazione le
“crisi” di ogni ospite, per riuscire ad elaborare strategie più dinamiche che ci aiutino ad avvicinarci alle persone che si
“allontanano” ed “irrompono” nella vita
professionale di ogni operatore.
Desideriamo appropriarci della consapevolezza di quanto la nostra fragilità o la
nostra eccessiva sicurezza inneschi nelle
situazioni di “crisi” vissute con i nostri
ospiti dei meccanismi a spirale che spezzano in noi ogni speranza di ritorno.
“È impossibile fare cose nuove e diverse senza sviluppare o utilizzare idee e
metodi nuovi e diversi [...] Sono gli operatori impotenti a creare i pazienti senza speranze” (M. Spivak, 1988).
* * *
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Numero 2/2001
Commento di Giacomo Mongodi **
Ci sono tanti modi di pensare i pazienti.
Spesso tentiamo di colmare le nostre
lacune nella teoria, nella prassi e nella
relazione di cura attraverso comodi schematismi diagnostici e terapeutici, per non
dire riabilitativi e risocializzanti, dietro ai
quali nascondiamo la sofferenza alla
nostra vista e la nostra ignoranza e incomprensione al loro sguardo, dei pazienti,
degli “ospiti”.
Aurora è un “residuo manicomiale”,
come si sente dire. E’ arrivata in Comunità, con diversi altri, nel dicembre 1998,
mentre le porte del manicomio si chiudevano alle loro spalle, definitivamente, per
sempre.
Qui di seguito è riportata la scheda di
trasferimento dall’Ospedale Psichiatrico.
Dal 1957 al 1961 è ricoverata presso l’Istituto Medico Psicopedagogico dell’OP
con diagnosi di Frenastenia. Nel 1964
viene ricoverata per la prima volta in OP
per la comparsa di anomalie comportamentali esplose all’interno del nucleo
familiare e che di fatto si ripropongono
ogni volta che viene dimessa. Anche
all’interno dell’OP le note cliniche descrivono un alternarsi di fasi di tranquillità e di
eccitamento, atteggiamenti provocatori,
fughe, piccoli furti ai danni degli altri codegenti, dispettosità. Per questo ha difficoltà
nei rapporti con gli altri ospiti dell’OP.
Completamente dipendente sul piano
dell’igiene personale; deve essere aiutata
a tagliare la carne e sbucciare la frutta,
dopo di che mangia da sola; deve essere
stimolata ad indossare il pigiama; generalmente non disturba tranne nei periodi
di irrequietezza. Non autosufficiente nella
gestione economica, cui provvede l’ente.
Nei momenti di agitazione tende a
nascondersi, non risponde alla chiamata
ed ha l’abitudine di scappare dalla finestra. Ama fare gite.
La diagnosi finale è di Ritardo mentale
medio-grave con gravi anomalie comportamentali.
Così Aurora, che ama le gite, si è fatta
35 anni di manicomio… una passeggiata.
Aurora è una persona che presenta un
comportamento molto regredito, quando
giunge in Comunità. Per lungo tempo il
problema principale è determinato dal
fumare accanitamente ogni sigaretta, per
cui non ha solo le dita annerite, ma anche
piagate, ustionate dal calore delle braci.
Le lesioni guariscono lentamente, come la
sua irrequietezza, aggressività e insonnia,
il disorientamento nella nuova struttura di
cui misura, con il suo vagare solitario e
apparentemente afinalistico, spazi e valichi. Non mancano però esacerbazioni del
delirio e delle allucinazioni, tentativi di
fuga, aggressioni, episodi di angoscia e di
agitazione, intense oscillazioni dell’umore
sia in senso maniacale che depressivo.
Aurora, a ogni buon conto, può fare
assegnamento su operatori che non si
arrendono facilmente, neppure di fronte a
manifestazioni psicopatologiche così
imponenti e durature, alle espressioni di
una istituzionalizzazione protratta.
Loro sanno, perché l’hanno sperimentato direttamente tante volte, che anche dietro i muri più spessi dell’incomprensibilità
si mantengono attivi barlumi di vita,
potenzialità nascoste e imprevedibili,
slanci vitali in attesa di uno starter.
Sanno che si possono passare anche
anni nella malattia, tra gli ingranaggi spietati della “macchina” psicotica, ma, stando attenti, sempre si possono presentare
spiragli di cambiamento, occasioni per
“cogliere l’attimo” che compensa mesi di
contrasti, frustrazioni e d’impotenza.
Profondamente sanno, senza averla
peraltro studiata, l’importanza sia del
gruppo come costitutivo della realtà e
dell’ambiente quotidiano, sia della funzione risanatrice dell’arte, potendo così affermare che il sogno dei terapeuti ha poeticamente “creato” qualcosa di nuovo per
Aurora: “l’acqua di “quel mare” aveva inumidito l’aridità che rischiava di avvizzire le
nostre risorse”.
L’immersione nella rappresentazione
corale (come Nietzsche ha descritto, in
modo sublime, nella sua interpretazione
della Grecia classica e della nascita della
tragedia1), nella fusionalità sognante del
collettivo, indica il bisogno umano fonda-
mentale dell’azione risanatrice della grande arte e della comprensione della vita. Di
fronte all’atrocità o all’assurdità dell’esistenza, come maga salvatrice, essa ripete
che “in fondo alle cose la vita è, a dispetto di ogni mutare delle apparenze, indistruttibilmente potente e gioiosa” e che “in
mezzo a questa sovrabbondanza di vita, di
dolore e di piacere, in estasi sublime,
ascolta un lontano e melanconico canto esso narra delle Madri dell’essere, i cui
nomi suonano: follia, volontà, dolore”.
Più recentemente, Antonino Ferro ci ha
ricordato che gli artisti, come già aveva
riconosciuto Freud, sanno descrivere
semplicemente quello che gli scienziati
con gran fatica tentano di analizzare:
“Capì d’un tratto… che è dalla convinzione
sommata di tutti che si crea il mondo, i
corridoi, i palazzi, i ponti e che man mano
che ci si addormenta questi vanno scomparendo; per poi sempre più vividi riformarsi al mattino. Tornò a letto aspettando
che gli altri si svegliassero, era per questo
che gli adulti si alzano presto, per preparare il mondo ai bambini”2.
Bibliografia
1 NIETZSCHE F. (1876) La nascita della tragedia. Adelphi, Milano 1972.
2 FERRO A. (2000) Prima Altrove Chi. Borla,
Roma.
Gli autori
* Infermieri Psichiatrici
Comunità Protetta - Pavia
** Dirigente Responsabile
Comunità Protetta - Pavia
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PAGINA
Infermiere a Pavia
Aggiornamento
Silvia Giudici *
IN
ITALIA
ANDATA
7-10 Novembre 2001 – Venezia, Centro Congressi
Palazzo del Cinema
INFERMIERE E FUTURO TRA ASSISTENZA QUALIFICATA E QUALIFICAZIONE DELL’ASSISTENZA. I CONFINI DELLE INFEZIONI
V Congresso nazionale ANIPIO
Organizzato da: ANIPIO - Associazione Nazionale
Infermieri per la prevenzione delle Infezioni Ospedaliere
Per informazioni rivolgersi a: Key Congress - tel.
049.659330 – sito Internet: http://www.keycongress.it
Il Consiglio Direttivo ANIPIO ha contattato il nostro
Collegio per favorire la partecipazione al V° Congresso Nazionale dei nostri iscritti. Offriranno la possibilità per accedere all’iniziativa, consentendo, un
numero minimo di 10 iscrizioni, ad una quota agevolata ed espressamente a noi riservata pari a £.
200.000 più IVA, per un totale di £. 240.000 se dovuta, a fronte di £. 442.00 IVA esclusa per un totale di £.
530.400.
7-9 Novembre 2001 – Firenze
I FATTORI STRATEGICI PER UN’ORGANIZZAZIONE DI QUALITÀ
VII Congresso nazionale CNC
Organizzato da: CNC – Coordinamento Nazionale
Caposala
Per informazioni: soluzioniom@tiscalinet
8 Novembre 2001 – Roma
LA RESPONSABILITÀ E L’AUTONOMIA PROFESSIONALE DEGLI INFERMIERI TRA PRESENTE E
FUTURO
Organizzato da: USL Roma B
Per informazioni: fax 06.41433221
9-10 Novembre 2001 – Sondrio
LA MOVIMENTAZIONE DEI PAZIENTI NELLE
STRUTTURE SANITARIE
Organizzato da: ISPESL – ASL Sondrio - Per informazioni: [email protected]
14-15-16-17 novembre 2001 – Assisi (PG)
LO SPECIFICO RELAZIONALE INFERMIERISTICO: MODELLI CONCETTUALI ED APPLICATIVI
Organizzato da: CeF – CULTURA e FORMAZIONE Convegno nazionale per operatori Sanitari - Obiettivi:
- Approfondire la ‘’natura relazionale’’ dell’assistenza
infermieristica nelle sue manifestazioni ed applicazioni - Individuare la tipicità della relazione infermieristica e la sua applicazione nei diversi ambiti assistenziali - presentare i risultati di sperimentazioni infermieristiche riferite alle relazioni attuate nei principali
ambiti assistenziali
Per informazioni rivolgersi a: CeF Cultura e Formazione – Via Lodovico Chiesa 17, Pogliano Milanese tel/fax 02/93549225 - 02/93542802 – [email protected]
14-16 Novembre 2001 – Rimini – Palazzo dei Congressi
QUALI CONFINI DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA IN AREA CRITICA
XX Congresso nazionale ANIARTI
Organizzato da: ANIARTI
Per informazioni: consultare il sito web
http://www.aniarti.it
16 novembre 2001 – Torino
FLORENCE NON ABITA PIÙ QUI?
Organizzato da: Change/Sicis - Primo convegno
nazionale di counselling infermieristico: counselling
e abilità comunicative nella nuova professionalità
degli infermieri - Per informazioni rivolgersi a: Elisa
Chechile, Istituto Change - tel. 011. 6695948 - lunedì
e giovedì: ore 9.30 - 12.30
30 Novembre 2001 - Terni - Azienda Ospedaliara
S.Maria, Aula Conferenze
STRUMENTI INFERMIERISTICI PER UNA CORRETTA PIANIFICAZIONE DEL LAVORO
Organizzato da: ANIN – Associazione Nazionale
Infermieri Neuroscienze
Per informazioni: consultare il sito web
http://www.anin.it
5 dicembre 2001 - ore 9.30/13.30 - Pavia - Aula
Magna della Questura, via Rismondo, 68
L’utente è soddisfatto dell’assistenza infermieristica? Valutazione di tre indagini conoscitive in
merito
Organizzato da: Collegio IPASVI della provincia di
Pavia - Per informazioni: Collegio IPASVI di Pavia, via
Lombroso, 3/B
Tel. 0382525609 – fax 0382528589 - consultare il sito
web http://www.ipasvipavia.it
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PAGINA
Numero 2/2001
I cateteri venosi centrali
in emodialisi:
aspetti di gestione
A
PAVIA
RITORNO
ASPETTI GENERALI
Il 3 giugno 2000 presso l’aula didattica
della Fondazione. S. Maugeri di Pavia si è
tenuto un seminario di aggiornamento
circa la gestione dei CVC in emodialisi:
una giornata in cui si sono potute confrontare diverse realtà emodialitiche. Dagli
inizi degli anni ’60 ad oggi si sono fatti dei
notevoli passi in avanti. Anche gli accessi
vascolari hanno avuto una loro evoluzione. Si è passati infatti dallo shount esterno, alla fistola arterovenosa (FAV); dalle
protesi vascolari si è passati ai cateteri
venosi centrali che rappresentano a
tutt’oggi un’ accesso naturale.
Il catetere in silicone è molto usato; l’unico inconveniente è che, dopo un lungo
contatto col sangue, va incontro a denaturazione per la presenza di batteri o a
causa di attività enzimatiche.
Il CVC per dialisi nasce per trasportare
massive quantità di sangue. Può essere
temporaneo o permanente (il 36% dei
cateterini viene messo in giugulare; il 32%
in succlavia; il 32% in femorale), monolume, bilume o trilume a seconda dell’uso.
È molto comodo per il paziente, rispetto
ad uno shount esterno o ad una fistola
arterovenosa, in quanto gli permette più
libertà di movimento se posizionato in giugulare o in succlavia.
Il buon funzionamento del CVC, così ha
dichiarato il Dott. Galli, dipende dalle
caratteristiche strutturali dello stesso. Esistono, infatti, CVC prodotti in diversi materiali come ad esempio in pebex, poliuretano, teflon, polietilene, PVC, silicone (sono
preferibili i CVC in polietilene e non in PVC
o altre sostanze clorurate in quanto quest’ultimi sono tossici ed inquinanti una
volta smaltiti come rifiuti). Anche le manovre assistenziali e di gestione (eparinizzazione, medicazione, disostruzione del
cateterino), la viscosità del sangue del
paziente (è sempre bene tenere sotto
controllo l’ematocrito), il giusto posizionamento del CVC nel lume vascolare, sono
fattori determinanti per un buon funzionamento.
Se il CVC è al centro del vaso, di regola
non dovrebbero insorgere problemi. Se lo
stesso è “a parete”, una oscillazione del
vaso contro il CVC determina l’irritazione
della vena. Questo viene definito “effetto
frusta”. Anche i movimenti naturali del
corpo, come ad esempio gli atti respiratori, potrebbero rilevarsi come un continuo
stimolo.
Il catetere venoso centrale si potrebbe
ostruire per l’insorgenza di danni all’intima, in seguito ad un’insufficiente eparinizzazione, per uno stato di intrinseca ipercoagulabilità, per l’insorgenza di infezioni.
Attenzione: all’interno del CVC esistono
degli spazi non protetti dall’anticoagulante. Bisogna quindi eparinare ad alta pressione perché in quei punti c’è un elevato
rischio di trombosi.
La più grave è quella periluminale con
trombo a “palla” formatasi sulla punta del
CVC.
Il Fibrin Sleeve, prosegue il Dott. Galli, è
un manicotto di fibrina molto difficile da
rimuovere con anticoagulanti; dapprima si
forma un tessuto anomalo verso il quale
migrano alcune cellule del vaso. Insieme
formano così il Fibrin Sleeve.
Ci sono poi le trombosi endoluminali.
Queste si possono presentare in quanto
vengono a formarsi dei trombi all’interno
del CVC. Aspirando con una siringa non si
risolvono. Essendo questi dei microtrombi, possono essere spinti nel sistema
venoso senza procurare danni, oppure si
può procedere alla pulizia del lume con
apposita spazzolina sterile. Altro rimedio è
l’utilizzo dell’urochinasi (UK), utilizzando
da 5.000 a 12.500 U.I. di prodotto da
lasciare in sede per 45 minuti per poi
essere rimosso. L’operazione si ripete per
due volte. Si possono anche usare
250.000 U.I. diluite in 100 ml di S.F. da
infondere durante la seduta dialitica in 3
ore a gtt lenta (lavaggio con UK secondo
protocollo Loock Tecnique).
Ma come prevenire le trombosi?
Usando:
- CVC morbido;
- materiale a bassa trombogenicità.
Effettuando:
- monitoraggio ACT durante la dialisi.
Facendo:
- prevenzione delle infezioni o loro trattamento;
- somministrazione di anticoagulanti
orali sin dall’inizio (sembrerebbe che la
scoagulazione sia favorevole anche se ci
sono dei pareri discordi).
Le infezioni
Le infezioni ospedaliere stanno aumentando non solo perché esistono tanti
immunodepressi, ma anche perché sono
sempre più numerose le tecniche invasive.
Tra le fonti d’infezione: l’ambiente in cui
si lavora. Esso deve essere un luogo pulito, possibilmente asettico e a bassa concentrazione di polvere, in quanto, come
ben sappiamo, vettore nella trasmissione
di germi.
Le mani non deterse, i disinfettanti contaminati, le manovre settiche e le temperature inadeguate degli ambienti interni
(vedi le sale operatorie) sono causa di trasmissione d’infezione.
Il punto di attacco o d’infezione non è
solo laddove il CVC esce dalla cute.
Anche i tappini di chiusura dei cateterini,
se manipolati scorrettamente, o le vie d’ingresso siliconate sfruttate per eseguire le
terapie E.V. potrebbero veicolare microrganismi patogeni.
Se mettiamo in atto tutto quello che
abbiamo imparato e ci atteniamo all’osservanza delle manovre asettiche, facendole seguire anche da quel medico o primario che sia “dimenticone”, possiamo
evitare di regalare febbre e degenze prolungate oltre il previsto. E’ importante
quindi mantenere pulita la cute del
paziente, soprattutto la zona accanto al
punto d’inserzione del CVC (o CVP), provvedendo alla sua medicazione secondo
protocollo; maneggiare i tappini con cura
prestando attenzione a non toccare la
38
PAGINA
parte che và connessa al cateterino tramite avvitamento (mai riutilizzare lo stesso
tappino al termine di una terapia infusiva;
mai lasciare tappini in giro, soprattutto sul
comodino: potrebbero essere scambiati
per delle pastiglie!); disinfettare i raccordi
o i tappini siliconati preposti ad essere
bucati per ricevere farmaci.
Importante è mantenere stretti rapporti
con il laboratorio analisi e quindi effettuare tamponi della cute, colture della punta
del CVC una volta rimosso, segnalando
data e ora del prelievo del campione. In
attesa dei referti si può effettuare AB sistemica. Esistono però dei pareri discordi
circa l’uso della profilassi antibiotica in
quanto si potrebbero creare delle resistenze. Mai usare antibiotici locali. Usare
invece disinfettanti appropriati e diluiti correttamente.
In caso d’infezione si può sacrificare il
catetere rimuovendolo (quello temporaneo), oppure preservandolo se si tratta di
CVC definitivo sempre se non apporta
eccessivi danni al paziente. Se dopo la
dialisi il soggetto ha brividi, bisognerà
avvisare il medico ed effettuare degli
esami specifici che consistono in tre emocolture seriate più un tampone della cute.
Nell’attesa dei referti e dell’antibiogramma, monitorare TC e somministrare antipirettici.
Infermiere a Pavia
Manutenzione ordinaria dei CVC
Controllo del funzionamento del CVC
A questo proposito è intervenuta l’I.P.
Dell’Acqua della Dialisi della Fondaz.
Maugeri sottolineando ulteriormente l’importanza delle manovre asettiche. Oltre le
mani, si devono detergere gli avambracci
successivamente asciugati con telo sterile. Si indosseranno mascherina, copricapo e guanti sterili. Si informerà il pz. circa
l’importanza di queste manovre e anche
lui farà uso di mascherina.
Possibilmente questi passaggi prevedono la presenza di due I.P., un leader ed un
servitore.
Evitare l’utilizzo di disinfettanti alcolici.
Usare Amuchina (solo su cute integra),
Betadine ed H2O2.
Prima si userà Perossido d’idrogeno
passato sulla cute in senso centrifugo. In
sostituzione può essere usata l’Amuchina.
La stessa cosa viene ripetuta con lo Iodopovidone, lasciandolo agire ed asciugare.
La zona disinfettata viene momentaneamente coperta con garze sterili.
L’Amuchina può essere usata anche
per disinfettare il CVC.
Prima di iniziare la dialisi bisogna rimuovere l’eparina dal catetere e lavaggiare i
suoi lumi con S.F. (per ogni lume usare
una siringa diversa).
Per tutto il tempo della seduta dialitica
la parte viene poi coperta da un manicotto di garze imbevute di soluzione iodofora
(Betadine). Al termine della dialisi viene
rifatta la medicazione. Si tratta di una procedura “a piatto” che prevede l’uso di
disinfettanti, garze sterili (quelle orlate per
evitare sfilacciature) e cerotti quali il
Mepore o il Tegaderm. Quest’ultimo (mod.
HP o PAD) è molto indicato per quei pz.
che sudano molto; inoltre, a differenza del
Mepore, non lascia residui di colla.
Con la medicazione a piatto i tubi d’ancoraggio, posizionati paralleli tra di loro,
non si andranno a sovrapporre e non si
impiglieranno accidentalmente tra gli
indumenti o gli effetti letterecci provocando traumatismi al pz. o il disancoraggio
del catetere.
Il cerotto di fissaggio, Mepore o Tegaderm che sia, deve essere teso perfettamente in modo tale che aderisca bene alla
cute. Prestare attenzione agli angoli del
cerotto onde evitare arrotolamenti degli
stessi.
Effetuare educazione sanitaria al pz.
che dovrà imparare a gestirsi il catetere a
domicilio.
Durante la seduta dialitica è bene controllare se tutto procede correttamente. In
caso di ostruzione si interviene facendo
una rapida ispezione esterna. Le connessioni sono state fatte in modo corretto? Le
clamps sono aperte? La postura del pz. è
corretta? Se è tutto regolare si procede
allora all’ispezione interna, correlabile al
CVC che va sconnesso dal circuito fermando la macchina e sottoposto a prova.
Prima cosa da fare è lavaggiare il catetere con S.F. (10 ml per lume). Poi si prova
ad aspirare per valutare la sua portata.
Può accadere che un lume funzioni e l’altro non riceva bene. In questo caso si
attua il così detto “colpo d’ariete” che
consiste nell’iniettare, ad alta pressione
ed in breve tempo, una piccola quantità di
S.F. (1,5 ml) usando siringhe di piccolo
calibro. La pressione dipende dalla forza
manuale e dalla superficie della siringa.
Forza manuale
PRESSIONE = ———————————
Superficie della siringa
Come prevenzione si può usare l’Urokinasi prima della seduta dialitica, iniettando 12500 U.I. di eparina per lume portate
a 10 cc. Si iniettano 2 cc di soluzione per
volta ogni 10 minuti fino ad esaurimento
del preparato stesso.
A questo aggiornamento hanno partecipato, confrontandosi ed apportando le
loro esperienze, rappresentanti di diverse
realtà dialitiche e precisamente: l’Ospedale S. Matteo di Pavia, l’Ospedale di Melegnano, l’Ospedale di Vigevano e l’Ospedale di Brescia. In conclusione mancano
delle vere e proprie linee guida circa l’impianto dei CVC e l’assistenza ai dializzati
in quanto i cateteri in uso sono innumerevoli ed è quindi difficile standardizzare dei
protocolli. Ma c’è chi a proposito ci stà
studiando.
L’autore
* Infermiera Professionale
Fondazione Salvatore Maugeri
Centro Medico di Pavia
Medicina Generale
Le norme editoriali
La rivista “Infermiere a Pavia” pubblica contributi (ricerche, esperienze, rassegne di aggiornamento, ecc.) riferiti
alla teoria e alla prassi infermieristica, al campo delle discipline medico-biologiche e sociali, ad argomenti di organizzazione, economia e politica sanitarie. Gli articoli inviati per la pubblicazione debbono essere in duplice copia
e indirizzati a:
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Le parole che gli autori desiderano porre in evidenza debbono essere sottolineate con tratto continuo.
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indicata la posizione di inserimento. Diagrammi e illustrazioni, allestiti allo scopo di rendere più agevole la comprensione del testo, dovranno essere sottoposti alla redazione in veste grafica accurata, tale da permettere la riproduzione senza modificazioni.
La bibliografia, riferita a tutti gli autori citati nel testo, dovrà essere redatta secondo le norme riportate nell’Index
Medicus. I modelli sotto riportati esemplificano rispettivamente come si cita un articolo, un libro, un capitolo preso
da libro.
• Cosi A. “L’ansia nei bambini sottoposti ad intervento di chirurgia elettiva: indagine descrittiva.” La Rivista dell’Infermiere 1997; 3: 144 - 150
• Ferrata A., Storti E., Mauri C. “Le malattie del sangue” (2 ed.) Milano, Vallardi 1958, pag. 74.
• Volterra V. “Crisi di identità storica ed attuale dello psichiatra”. In: Gilberti E (ed) L’identità dello psichiatra.
Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 1982.
Ogni articolo è sotto la responsabilità diretta degli Autori che lo firmano.
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*Titolo di studio, titolo della rubrica nella quale desidera che l’articolo appaia, nomi dei collaboratori, note bibliografiche, indicazione delle parole chiave relative al contenuto dell’articolo, commento sintetico del contenuto dell’articolo.
Convegno
L’utente è soddisfatto dell’assistenza
infermieristica?
Valutazione di tre indagini conoscitive in merito
5 dicembre 2001
ore 9.00 – 13.30
Aula Magna della Questura
Via Rismondo, 68 – Pavia
Presenteranno le relazioni i Colleghi che hanno effettuato, analizzato
ed elaborato i dati delle rispettive indagini
Comitato Tecnico scientifico organizzatore:
Comitato di Redazione “Infermiere a Pavia”
La partecipazione è gratuita
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N. 2 del 2001