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Coordinamento editoriale
Sergio Poli
Testi
Sergio Poli
ERSAF
Antonio Corti e Cinzia Valli
Cumpagnia di Nost
Grazia Garrone
e Francesca Soro
Architettura e Paesaggio
Giuliana Panzeri
Circolo Ambiente “Ilaria Alpi”
Foto
Archivio ERSAF
Disegni
Antonio Corti e Dante Gerosa
(i 12 mesi); Ietta Buttini (le 4 stagioni);
Luigi Bertazzoni (rendering)
In copertina
La fontana di Second’alpe, il tiglio
monumentale e il casello per la
conservazione del latte: perfetta simbiosi
fra uomo e natura
A lato
La Val Ravella con le tre Alpi circondate
dal bosco
SECOND’ALPE
DI CANZO
Un borgo
che rinasce
Presentazione
Chi avesse percorso qualche anno fa la Via delle Alpi, l’antico tracciato che risale la val Ravella partendo
da Canzo, passando davanti a Second’alpe non avrebbe notato praticamente nulla di particolare, se non
qualche sasso coperto di sterpaglie.
Lo stesso viandante, oggi, non può fare a meno di fermarsi e ammirare un vero e proprio paese, anche
se solo abbozzato, organizzato intorno alla corte, con il suo àndito d’ingresso, le case, le stalle, la
fontana, il forno del pane…
Ci è piaciuto chiamarlo “la piccola Pompei”, perché il borgo è riemerso dalle sue rovine, perfettamente
leggibile, dopo un lungo periodo di oblio.
Attorno a questa operazione di recupero si è concentrata una vera e propria comunità di tecnici, storici,
gruppi di volontariato, associazioni, semplici cittadini che hanno contribuito, ciascuno con il proprio
impegno, a raggiungere l’importante risultato di far rinascere il borgo di Second’alpe.
Regione Lombardia che ne è la proprietaria, ed ERSAF che gestisce la Foresta regionale dei Corni di
Canzo in cui il borgo si trova, hanno creduto in questo progetto, in funzione anche di un recupero della
memoria locale e hanno investito energie e risorse per realizzarlo. Ciò anche per tener fede agli impegni
presi con l’adozione della Carta delle Foreste, firmata nel 2004 dai Presidenti di Regione Lombardia e di
ERSAF. Fra gli altri, l’impegno di “conservare e valorizzare le testimonianze, anche minori, della storia,
della vita e della cultura umana nell’ambiente forestale e favorire il recupero dei fabbricati secondo
criteri di restauro architettonico attento alle tipologie locali”.
Il Gruppo di lavoro del Politecnico di Milano ha predisposto il progetto guardando anche al futuro
della “nuova” Second’alpe; le associazioni locali – la Cumpagnia di Nost in primis – hanno fornito
documenti, suggerimenti, consulenza storica; infine i giovani dei campi di volontariato hanno dato un
contributo decisivo lavorando ogni estate allo scavo e alla riapertura degli spazi abitativi.
Una sorta di patto fra le generazioni ha dunque caratterizzato questa esperienza, con i vecchi che ci
hanno messo la memoria, gli adulti il progetto e l’esperienza, i ragazzi l’entusiasmo e il lavoro pratico.
Second’alpe è l’esempio che si può lavorare insieme per migliorare l’ambiente e per consegnare alle
generazioni future il dono del passato.
Second’alpe rappresenta un esempio tangibile su cui lavorare nell’immediato futuro.
Alessandro Colucci
Assessore ai Sistemi verdi e Paesaggio
Regione Lombardia
Sopra: carta della val Ravella con i percorsi per raggiungere Second’alpe.
Riduzione dalla “Carta escursionistica della Foresta regionale dei Corni di Canzo” scala 1:15.000 – ERSAF, elab. Mottarella
Studio Grafico.
Roberto Albetti
Presidente ERSAF
Sotto: Apertura al pubblico di Second’alpe - 9 luglio 2010
A lato: mappa della zona di
Second’alpe - Catasto teresiano
(1722), con indicazione dei
toponimi dialettali.
Elab. dal libretto “Cargàa i Alp Cumpagnia di Nost, Canzo 1998.
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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Storia di Second’Alpe
Le origini.
L’insediamento del Secondo Alpe (m 795), in comune di Canzo (CO) si trova nella valle del torrente
Ravella, affluente di sinistra del Lambro, nel Triangolo lariano. É un tipico insediamento delle Prealpi
lombarde, di origine molto antica, ed era il più importante della valle. Come le altre due “Alpi” di
Canzo, era abitato tutto l’anno; fino alla prima metà del novecento vi risiedevano quattro grandi
famiglie della stirpe dei Paredi. Secondo la tradizione, nel Medioevo qui nacque San Miro Paredi,
molto caro ai canzesi.
Le attività erano soprattutto l’allevamento e l’agricoltura. Fondamentale era la presenza di una
sorgente, tuttora la più copiosa della valle, per l’abbeverata del bestiame, la conservazione del latte
e le esigenze domestiche. Quest’acqua andava poi ad alimentare la fontana, restaurata nel 1998
a cura della Cumpagnia di Nost e Casciadur da Canz, e le radici del monumentale Tiglio cresciuto
accanto, simbolo della foresta. Attorno all’abitato vi erano numerose piante da frutto, noci e parecchi
castagni: perciò esisteva una graa, locale adibito ad essiccatoio per le castagne. L’abitato era
circondato da campi, ancora riconoscibili dai terrazzamenti (oggi rimboschiti). Le coltivazioni erano
soprattutto granturco, patate e qualche orto. Il bestiame veniva lasciato pascolare libero a monte dei
campi; a Second’alpe c’era anche il toro, vale a dire che l’abitato era il punto di riferimento per tutti
gli allevatori della valle. Burro, uova e formaggi prodotti in alpe venivano portati settimanalmente in
paese.
La Foresta Regionale.
Second’Alpe sopravvisse fino agli anni ’50 del novecento, quando gli ultimi abitanti scesero in paese.
L’Alpe ed i terreni furono acquistati dall’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (ASFD), ed inclusi
nella nuova Foresta Demaniale dei Corni di Canzo, il cui primo nucleo venne costituito nel 1956.
Nel vivaio di Prim’Alpe si producevano le piantine per i rimboschimenti, che vennero iniziati sugli ex
pascoli vicini alle Alpi. Anche i campi ed i prati di Second’Alpe furono rimboschiti, soprattutto con
conifere: Abete rosso, Pino eccelso, Larice.
L’abbandono prima, e i rimboschimenti poi, mutarono radicalmente il paesaggio della Val Ravella: si è
passati da un ambiente aperto, ricco di prati e pascoli, ad una copertura boschiva totale.
Dal 1980 la proprietà della Foresta è passata a Regione Lombardia, che ne ha affidato la gestione
all’Azienda Regionale delle Foreste (ARF). Dal 2002 ARF è confluita in ERSAF.
A lato: un’immagine di vita
quotidiana a Second’Alpe (1940
ca.). Si riconoscono il portico
di ingresso al nucleo, la grande
Cà de San Mir al centro e Cà
Martina, sulla sinistra.
A lato: primi anni ’60 - foto delle
case dietro Second’Alpe (pus i cà),
già in parziale stato di abbandono.
Qui sotto: l’interno della Cà da
san Mir in una foto di inizio ‘900”
La struttura.
La struttura dell’abitato di Second’Alpe è andata evolvendosi nei secoli, come si può notare
confrontando le mappe del catasto teresiano (1720), del catasto cessato (1800) e del nuovo catasto
(1920). Il nucleo rurale venne sviluppandosi in senso longitudinale, al riparo dal vento orientale che
spira dalla Colma (ariàsc di Alp). Al centro c’era una corte (la curt), lo spazio comune più importante.
Si possono individuare tre fasi costruttive successive:
• Prima fase. Il nucleo medievale originario era probabilmente il fabbricato posto all’angolo
nord-ovest, tradizionalmente chiamato Cà da San Mir. Questo aveva a pianterreno due cucine,
due stalle e due caselli a volta (uno conservato), più il forno del pane: era perciò perfettamente
dimensionato per due famiglie. Al primo
piano aveva due stanze, due fienili e la löbia,
loggiato in legno aperto per l’essiccazione
delle pannocchie. Già in questa fase è
documentata l’esistenza dei caselli ancora
visibili lungo il torrente (la Val di casej).
All’interno vi scorreva la roggia, in cui
venivano immerse le conche di rame dove si
metteva al fresco il latte appena munto.
• Seconda fase. Nell’ottocento, periodo particolarmente florido, si aggiunsero altre stalle lungo
il torrente, caselli, fienili, che circondarono la corte su tre lati, meglio difendendola dal vento. A
questo periodo dovrebbe risalire l’àndito ad arco, aperto verso il torrente, ingresso principale del
nucleo. A valle della corte c’erano i campi, verso est il barch, termine celtico che sta ad indicare
un recinto per il bestiame.
• Terza fase. L’ultimo corpo edilizio aggiunto è quello chiamato pus i cà (dietro le case), nonché
il solaio sopra la graa nell’edificio originario, che raggiunse così l’altezza di tre piani. Si arrivò
così alla struttura definitiva che oggi si può ritrovare sul terreno, per una superficie occupata
complessiva di circa 1300 m2.
Notizie tratte da “Cargàa i Alp”, pubblicazione curata dalla Cumpagnia di Nost di Canzo - maggio 1998. Disegni, documentazione
e ricostruzioni grafiche: Antonio Corti (Cumpagnia di Nost). Testimonianze degli ultimi abitanti: i Paredi del Segunt’Alp.
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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San Miro, il Santo dell’acqua
La graa
La tradizione vuole che San Miro Paredi sia nato a Second’Alpe nel
Medioevo (1336?), da genitori molto anziani. Visse come eremita nella
valle dei Corunghei, gli attuali Corni di Canzo, alimentandosi con i frutti
del bosco e con le elemosine dei numerosi pellegrini che salivano da lui
per un consiglio, aiutando i più bisognosi non solo a Canzo ma in tutto il
Triangolo lariano. Si ritirò a Sòrico, in alto Lario, presso l’antica chiesa di
San Michele, dove secondo la tradizione, morì nel 1381(?). Le sue spoglie
sono lì conservate; la festa si celebra il secondo venerdì di maggio e la
seconda domenica di luglio.
Il culto. San Miro è una figura leggendaria, in cui si mescolano elementi
storici ad altri tradizionali legati all’acqua, e quindi alla fertilità. Il Santo
viene invocato per ottenere la pioggia durante la siccità, per protezione
dalle alluvioni, dalla peste e dalla morte di parto, e l’acqua della fonte a
lui dedicata era considerata miracolosa.
I luoghi di culto a Canzo. A Canzo si conservano diversi luoghi legati
alla vita del Santo.
A Second’Alpe si trova la cosiddetta casa natale del Santo.; la grotta dove egli dimorò si vede ancora,
alle falde del Cepp da l’Angua, vicino alla chiesa seicentesca a lui dedicata, che contiene affreschi
che ne illustrano la vita. Accanto si trova anche la sorgente considerata miracolosa.
Sul fondovalle del Ravella c’è il Sass dal Popp, il più grande masso erratico della valle: in una sua
concavità San Miro amava riposare. Perciò oggi il masso è più noto come Sass da San Mir.
La graa era il locale in cui avveniva il lento processo di essiccazione delle castagne, necessario
perché i preziosi frutti, alla base dell’alimentazione delle genti di montagna, potessero venir
conservati per tutto l’anno.
Il locale, a Second’alpe, era situato all’ultimo piano della Cà da San Mir (cà di Bass); dal camino,
situato al pian terreno, il fumo saliva nella canna fumaria e passava attraverso un graticcio in
nocciolo su cui erano stese le
castagne, che venivano così
seccate. Il camino restava
acceso ininterrottamente per
un mese, dai primi di ottobre
al periodo dei morti, vegliato
a turno dalle tre famiglie della
casa, essiccando circa 50
quintali di castagne.
Ricerche storiche: Cumpagnia di Nost, Canzo.
A lato: disegno della graa di
Second’alpe
Cà da San Mir (Cà di bass e di rich)
L’edificio rappresenta il nucleo originario dell’intera Alpe, in cui la tradizione vuole sia vissuto il
piccolo Miro. Vi si svolgeva anche parte della vita sociale della comunità, essendo il locale più grande
dell’Alpe.
Era un fabbricato a più piani: al pian terreno, la cà vera e propria, con il camino e due panche ai lati,
il forno per il pane e il casalet sul retro, per conservare gli alimenti. Al piano superiore, la stanza e
sul retro lo stanzin detto del salam. Al terzo piano si trovava anche la graa delle castagne (v. box).
Sotto: prospetto di Second’alpe visto dal
camp di ort (sud). Al centro si nota la corte,
cuore del nucleo.
Prospetto di Second’alpe visto dalla Val di
casej. Si riconosce a sin. la Cà de San Mir,
l’edificio più alto del borgo.
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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In questa pagina:
rendering, ricostruzione dell’aspetto di
Second’alpe e dei dintorni nella prima
metà del ‘900.
Elab. Ing. Luigi Bertazzoni
Studio Architetturapaesaggio - Milano).
In questa pagina:
planimetria dell’ultima fase
costruttiva di Second’alpe
(prima metà del ‘900).
Elab. arch. Antonio Corti
Cumpagnia di Nost -Canzo
“Al Segund Alp - lungo i mesi dell’anno”
In questo capitolo viene fatto qualche cenno sulla vita e i lavori che si svolgevano nel corso dell’anno
nell’alpeggio più grande della Valle dei Corni di Canzo, che ebbe l’onore, secondo la tradizione, di dare
i natali al Beato Miro Paredi, San Mir per i canzesi. Ci si basa sui ricordi di chi ci visse direttamente, o
ne sentì narrare dai propri “vecchi”, ricordi che coprono un arco di tempo che va dagli inizi del secolo
scorso fino alla metà degli anni ’50, quando il Secondo Alpe venne definitivamente abbandonato.
Questo lavoro è stato possibile soprattutto grazie alle testimonianze e ai ricordi di Ettore Paredi,
ultimo Alpee dal Segund Alp.
Nella descrizione dei lavori lungo i mesi viene ovviamente tralasciato il lavoro quotidiano che non
seguiva l’andamento stagionale ma andava svolto giorno dopo giorno, dalla mungitura mattutina
delle vacche, alla preparazione del cibo (panèl) per gli animali, alla lavorazione del latte per produrre
burro e formaggini (al büter e i furmagitt). Oppure la discesa in paese, due volte la settimana,
sia per l’approvvigionamento di cibo e merci non reperibili all’alpe che per la vendita dei latticini
prodotti; ed erano le donne (i donn) che, ciascuna col proprio asino, avevano questa incombenza
oltre che occuparsi dell’orto e degli animali da cortile e attendere alle quotidiane necessità della vita
famigliare. I disegni sono opera dell’artista Dante Gerosa di Canzo.
GENÁR - GENNAIO
L’occupazione prevalente dei nostri
Alpee, durante la stagione invernale,
era volta al taglio e rinnovo dei
boschi (taià i legn).
Le fascine di legna sottile, utilizzate
per far partire il fuoco del camino
e della stufa (i fasìn per al föch),
trovavano commercio in paese
soprattutto presso i fornai (prestinée),
che ne facevano grande consumo
per cuocere il pane. Particolarmente
ricercate erano le fascine in legno
di nocciolo (nisciöla), la cui fiamma
azzurrina non produce alcun odore.
Durante le giornate di maltempo invece (s’al fiucava), gli uomini capaci si dedicavano a lavori
artigianali finalizzati al ripristino o rinnovo delle parti in legno dei vari attrezzi agricoli, oppure
intagliavano nel legno gli zoccoli (zòcar), i collari per mucche e capre (canaur per i manzöö e i cavar) e
le museruole (müsarö) per i vitelli.
Con rami e corteccia di castagno e nocciola intrecciavano gerli, ceste (cavagnöö)
e i grandi gerli a maglia larga (càpie) per il trasporto di foglie e fieno.
Nel frattempo le donne, oltre agli usuali e quotidiani impegni domestici, filavano la lana con rocca e
fuso (la ruca e ‘l firel) per poi confezionare i pesanti calzettoni (scalfìn) da indossare con gli zoccoli, le
ruvide maglie intime (i gipunìn che pizigavan la pèl) e i coprispalle in lana bianca (scialèt).
Prima del giorno di Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio, ciascuna famiglia a turno dedicava una giornata
al maiale (sa mazava al purcél), i cui prodotti insaccati sarebbero entrati a far parte del nutrimento
quotidiano di tutto l’anno; al termine della giornata veniva cucinato un gustoso piatto a base di lombo
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SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
e lonza del maiale arrostiti con burro e salvia (rustida da lumbar e slunza cun büter e salvia), che
mangiavano tutti insieme.
Durante le giornate di tempo migliore, campi e prati venivano concimati con lo stallatico (cunt al liàm)
per arricchire il terreno e fornire nutrimento alle successive colture (per ingrasà patati e furmentun).
FEBRÁR - FEBBRAIO
L’inverno prosegue il proprio corso
e all’Alpe continuava il taglio della
legna e la preparazione delle fascine
che, con un apposito traino (al traìn
per i fasìn), venivano trascinate in
discesa nei boschi (busch).
A volte, quando le nevicate non
davano tregua, era necessario
aprire il passaggio attraverso la
neve trascinando fino a Gajum
lo spazzaneve di allora condotto
dagli asini (la calada cui àsan),
onde poter scendere in paese per
l’approvvigionamento.
Al disgelo cominciava il lavoro nei
campi destinati alle diverse colture; prima che giungessero dal paese i buoi con l’aratro, ognuno
vangava il proprio terreno a forza di braccia con il forcone in ferro a quattro denti (al furcun a quatar
dinc), rivoltando con cura le zolle che avrebbero in seguito accolto, custodito e nutrito le varie semine.
Terminata la vangatura i campi venivano concimati a dovere (ingrasaa), al fine di ottenere un
abbondante raccolto.
MARZ - MARZO
“A Sant’Agnes la lüserta süla sces“
Con l’arrivo della stagione primaverile cominciava il rinnovo delle siepi (sces) delimitanti i vari terreni
destinati a prato per impedire al bestiame di entrare a pascolare prima della fienagione. A tale scopo
cespugli di nocciolo, castagno, carpino, sambuco (nisciöla, castàn, càrpan e sambüch) piantati a
filare lungo le staccionate, venivano
legati alle traverse (brandör) della
staccionata stessa e ai pali verticali
(piantàn). Come legaccio si utilizzava
la “tòrta”, una vera e propria corda
ottenuta attorcigliando su sé stesso,
con notevole maestrìa, un ramo verde
di nocciolo, castagno o salice (sàras)
in modo tale che la corteccia esterna
non si rompesse ma le fibre interne
del legno si piegassero agevolmente.
Un cancelletto in legno (purtea)
permetteva l’accesso al prato. Nei
boschi fiorivano i cornioli.
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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APRÍL - APRILE
“April: cascia ‘l manich dal baìl“
All’Alpe continuavano i lavori
primaverili e veniva completata
la vangatura dei campi (camp),
pronti ad accogliere le semine delle
piccole patate da semina (sumènza)
e del cereale per eccellenza delle
popolazioni prealpine: il mais (al
furmentùn).
Le semine interessavano anche i
piccoli orti nei pressi delle abitazioni
ed erano soprattutto le donne ad
occuparsene. Prima degli anni ’20
non esistevano terreni destinati
ad orto e fu proprio una donna,
proveniente dall’Emilia Romagna e andata in sposa ad un alpee, ad introdurne l’uso.
Nei giorni antecedenti la Pasqua i capretti novelli, destinati alla vendita per imbandire il desco
pasquale, venivano messi in apposite ceste (sgorbi) e condotti in paese sui basti degli asini (purtavan
i cavrìtt a suma d’asan in di sgorbi).
Dal 25 aprile in poi, stagione permettendo, i bovini venivano fatti uscire dalle stalle dopo il lungo
riposo forzato dell’inverno e condotti al pascolo.
MAG - MAGGIO
Con la primavera nel pieno fulgore, le
macchie bianche dei fiori del ciliegio
selvatico (galbina) e delle robinie
(rübìn), interrompevano a tratti il
verde intenso dalle mille sfumature,
di cui si rivestivano la valle e le
pendici dei monti attorno al Segund
alp.
Dalle brune zolle dei campi coltivati
spuntavano le piantine del granturco
e delle patate; per favorirne la
crescita venivano zappate con cura
(zapavan i patati e ‘l furmentun).
Le capre, accompagnate dal capretto
migliore della cucciolata (al spandrèl), risparmiato dalla vendita pasquale, venivano condotte in
montagna (ai munt) insieme al caprone (al bech), signore indiscusso del proprio gregge.
Verso fine mese, tempo permettendo, si dava inizio allo sfalcio del maggese (segavan al magèng) con
cui costruivano i pagliai alla Cua, sopra i caselli (fasevan i paéé ala Cua, sura i caséi).
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SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
GIÜGN - GIUGNO
L’arrivo dell’estate dava inizio alla
stagione più faticosa la cui principale
attività consisteva nella fienagione:
taglio, trasporto e stoccaggio
del fieno, foraggio essenziale
per gli animali da cui dipendeva
la possibilità di vita stessa per
l’insediamento.
Gli attrezzi necessari allo sfalcio
venivano assemblati e trasportati
a spalla dagli uomini, legati con la
corda di salice (ligaa cun la tòrta
da sàras): falce fienaia, forca a due
denti, falce messoria, cote, portacote,
rastrello, martello (rànza, furchét,
seghéz, cut, cudée, restèl, martèl).
Il martello, accompagnato ad un particolare cuneo in ferro, veniva impiegato per picà la ranza ovvero
affilarne la lama colpendola ripetutamente lungo il filo con magistrale perizia.
Il porta cote (cudée), legato alla cintura (curengia) dei calzoni, sul fianco anteriore o posteriore del
falciatore, diede origine ad un sapiente proverbio che non necessita di spiegazioni:
“la cuscienza l’è cume ‘l cudée, gh’è quij ca la met dananz e quij ca la met d’adree”.
La fienagione iniziava nei prati intorno all’insediamento: i òman di buon mattino iniziavano a sfalciare
(segà) e a distendere l’erba che veniva poi rivoltata (vultà ‘l fen) durante la giornata in modo da
favorirne la rapida essiccazione.
Il fieno ottenuto e trasportato ove possibile con carretto e asino o, nei prati non accessibili, sulle
spalle legato in fasci (mazöö) o nelle grandi gerle a maglia larga (capie), veniva accumulato nel fienile
(la cassina) che occupava in genere il piano superiore delle stalle.
Nei boschi intorno cominciava la bianca fioritura dei castagni (castàn).
LÜJ - LUGLIO
“Lüj, la tera la büj“
Nel mese del solleone il taglio del fieno interessava via via i prati a monte, di pertinenza del Secondo
Alpe: prà Pagan, Nurala, Scigulìn,
Frach, Piuvera, pian Barìa, prà Invers,
Prasant, Seradura, val di Muiàch....
Alcuni tratti di corda (tir da corda)
sollevavano un po’ gli Alpee dalla
fatica del trasporto, ma buona parte
del fieno andava trasportata a mazöö
sulle spalle calzando gli zoccoli dalla
suola chiodata (zòcar di ciod) per non
scivolare lungo i pendii scoscesi.
I ragazzini (bagaj) durante la giornata
accudivano gli animali (cüravan i
besti) al pascolo.
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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AGÚST - AGOSTO
“Agust, giò ‘l su l’è fusc“
I campi di mais (furmentùn) venivano
spesso visitati nottetempo dal tasso
(al tas), particolarmente ghiotto della
pannocchia (la löa), che in questo
periodo iniziava ad ingrossare.
Nei pascoli in cui l’erba cominciava
a scarseggiare, le mucche si
trasformavano da tranquilli ruminanti
in scalpitanti scavalca siepi
(saltascès) per poter entrare nei prati
recintati a brucare l’erba ancora
verde. Gli uomini completavano lo
stoccaggio del fieno e cominciavano
a raccogliere le patate (trepà i
patati).
SETÈMBAR - SETTEMBRE
Al camp dala Cua maturavano le
prime castagne barucàn e rusèr.
Il bestiame scendeva dai pascoli a
monte e veniva temporaneamente
lasciato libero nei prati da sfalcio
(praa gras) per brucare l’ultimo
foraggio fresco. Le capre invece,
assai ghiotte delle prime castagne,
venivano rinchiuse nelle stalle.
UTÚBAR - OTTOBRE
Il sopraggiungere della stagione
autunnale portava all’Alpe una serie
di attività: nei boschi aveva inizio la
raccolta delle foglie (con le càpie da
föi), supporto indispensabile per lo
strame delle lettiere del bestiame;
ciascuna famiglia dell’insediamento
possedeva il proprio deposito (fuiée),
un locale appositamente destinato
a tale scopo. In ottobre cominciava
poi la preparazione delle castagne
affumicate (castègn dala graa).
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SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
La graa, una gratticcia intrecciata in legno di castagno e di nocciola, era posta in un idoneo locale in
cui le castagne subivano un lento processo di essiccazione che le rendeva conservabili per parecchio
tempo. Il camino che alimentava il soprastante locale della graa era quello della cà da San Mir e
doveva funzionare, bruciando lentamente la legna, per diversi giorni consecutivi; dai primi di ottobre
fino al periodo dei morti venivano affumicati circa 300 stai (stee) di castagne corrispondenti all’incirca
ad una cinquantina di quintali, che ciascuna famiglia dell’Alpe divideva in parti uguali.
Al termine dell’essiccazione, alle castagne andava tolta la buccia (la güza): a tale scopo queste,
raccolte in una lunga bisaccia, venivano prima battute su di un ceppo (sciùch), poi setacciate (cribiaa),
quindi, ripulite dai frammenti delle bucce, erano pronte per la conservazione.
Sempre in ottobre aveva luogo la raccolta del granoturco: si sfogliavano le pannocchie (sfuià al
furmentun) che, raccolte in mazzi (basc), venivano appese sotto i portici o addirittura nelle camere
(in di càmar). Il cartoccio della pannocchia (la sföia), mescolato con il fieno, entrava a far parte del
foraggio del bestiame.
Iniziava inoltre la stagione venatoria e la vendita della selvaggina contribuiva all’economia
dell’alpeggio.
NUVÈMBAR - NOVEMBRE
L’arrivo dei primi freddi e delle
prime nevicate rallentava le attività
lavorative esterne.
Nei campi di granoturco si
estirpavano le stoppie (sa trepava
‘l melgasc), che, legate in cumuli
verticali (méde), venivano disposte
a spirale attorno ad un albero per
difenderle dal vento “quand al
bufava” in attesa che si seccassero.
Le stoppie costituivano un ottimo
combustibile per il camino (per pizà
al camìn).
In questo mese, per un certo periodo, si seminava anche un particolare tipo di grano, nei Pian Nöf,
sopra il Löch dala Cua. Continuava ancora il periodo della caccia.
DICÈMBAR - DICEMBRE
Iniziava il taglio della legna nei
boschi ma le giornate, ormai
cortissime e sempre più fredde,
venivano spesso dedicate ai lavori
all’interno delle stalle nell’attesa
che ritornasse la “luce” e che
ricominciasse quell’infinito ciclo della
natura di cui noi, oggi, abbiamo ormai
perduto il significato.
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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Second’alpe - l’evoluzione di un luogo
Ogni epoca ha visto a Second’Alpe un luogo diverso; li accomuna la suggestione e il valore che hanno
saputo esprimere, testimoni di una cultura materiale che plasma i suoi territori.
Il nucleo ha subìto nel corso dei secoli varie trasformazioni:
• nel Medioevo, leggendario luogo di nascita del veneratissimo San Miro
• fino agli anni ’30 del secolo scorso, popoloso alpeggio di mezza costa ricco di attività agricole e
di allevamento che produceva burro, uova e formaggi per i Canzesi;
• a metà novecento il borgo, divenuto proprietà dell’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali,
subisce la demolizione dei fabbricati rurali, mentre pascoli e orti vengono rimboschiti a conifere
dando luogo ad un denso bosco;
L’attuale vita di Second’Alpe vuole dare nuova forma e uso ai luoghi, celebrando e dando dignità ai
ricordi e alle trasformazioni del passato affinché siano pienamente riconoscibili.
Luogo di testimonianza e di tutela della memoria, di raccolta ed elaborazione di materiale
naturale e storico Second’Alpe diventa spazio didattico per i giovani della zona ma anche polo
d’attrazione per artisti e ricercatori di tutto il mondo.
La memoria è intesa come spunto creativo anzichè nostalgica riproduzione delle forme del passato, e
diventa tema fondante del progetto di recupero, che vuole essere un’occasione di rinnovamento per il
messaggio artistico, di celebrazione per uno spazio ricco di storia naturale ed umana, inserito in un
ambiente di straordinario interesse.
L’intervento si pone come progetto aperto; la sfida è quella di trasformare il territorio di Second’Alpe
e i suoi dintorni in un luogo dove il personale Ersaf e i visitatori, in uno scambio di conoscenza,
creatività e manodopera, siano tesi a salvaguardare la natura e la memoria del luogo trasformandola
in materiale per la creazione di immagini artistiche e fantastiche.
L’intervento di Second’alpe si definisce come importante capitolo di quel museo diffuso di arte e
natura che già trova in Prim’Alpe e Terz’alpe i suoi completamenti, e all’interno del territorio dei Corni
di Canzo il corretto inserimento ambientale e culturale e che prevede ed auspica la collaborazione
continuativa fra ERSAF, artisti, ricercatori, studenti, insegnanti, amministrazioni.
In questo modo Second’Alpe torna ad essere luogo di vita.
Sotto, da sinistra: durante i lavori di recupero e il punto informativo
Le quattro stagioni di Ietta Buttini. In senso orario: primavera, estate, autunno e inverno
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SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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Second’alpe - il progetto ambientale
Second’alpe - Il progetto di recupero
Il recupero dell’alpeggio di Second’Alpe svolto all’interno della Foresta Regionale dei Corni di Canzo
rappresenta un esempio eccellente di adesione alla più attuale idea di salvaguardia ambientale, che
individua nel sistema territoriale della montagna un ambito insieme privilegiato e fragile, meritevole
di particolare cura, al centro dell’attenzione degli attuali strumenti di pianificazione territoriale alle
diverse scale.
Second’Alpe ha continuato ad esistere, ancorché demolita, nel ricordo della popolazione locale, quale
serbatoio dei loro caratteri identitari, depositaria dei valori della cultura materiale della montagna
che qui erano rappresentati; il recupero del borgo restituisce un luogo fisico a questi contenuti,
restituendone pieno valore e consentendone la conservazione nel tempo.
Il paesaggio rurale del pascolo di mezza costa, a causa del progressivo abbandono di questi luoghi,
è attualmente pressoché scomparso dalle montagne lombarde; il recupero che ne è stato fatto a
Second’Alpe, ripristina un importante elemento ambientale a pieno titolo meritevole di salvaguardia.
Da un punto di vista ecologico il limitato diboscamento di conifere che è stato eseguito per riaprire i
terrazzamenti del maggengo, è ampiamente ricompensato dal recupero di un elemento fondamentale
del mosaico ambientale, con conseguente
arricchimento della biodiversità.
Inoltre, il pensare ad una nuova funzione per
Second’Alpe ha significato ricercare un nuovo
contenuto che potesse rappresentare per il luogo
occasione di nuova e diversa frequentazione, senza
smentirne la memoria, ma inserendola in un nuovo
obiettivo che garantirà ai luoghi interesse e vitalità.
Le opere sono state infine realizzate secondo criteri
di sostenibilità, nel rispetto dell’alta naturalità
dei luoghi, utilizzando i materiali di recupero ed
inserendo elementi puntuali composti in un armonico
disegno che ne migliori la fruibilità spaziale.
Tutti questi aspetti hanno trovato adeguata
risposta nel progetto di recupero e ripristino
paesaggistico e ambientale ad oggi realizzato;
per questo motivo Second’alpe può a buon titolo
rappresentare un’eccellenza tra i progetti realizzati
nelle valli lombarde, modello ispiratore per interventi
analoghi in ambiti di altissima salvaguardia.
Il progetto è rivolto a recuperare uno stato dei luoghi
capace di dare nuova dignità a un sito che durante gli
ultimi decenni, dopo la problematica dipartita degli
abitanti e l’intervento di demolizione delle costruzioni, è
rimasto abbandonato a se stesso ed è entrato a far parte
della storia locale con accenti di forte drammaticità e
tristezza.
Ad una prima fase di ricerca e didattica al Politecnico
di Milano è seguita l’elaborazione di un progetto
architettonico, paesaggistico e artistico, a cura di
Grazia Garrone e Francesca Soro Architettura Paesaggio,
Alter Studio e l’artista Anna Ramasco.
Il Progetto è stato condiviso ed approvato dalla
Soprintendenza per i beni Architettonici e Paesaggistici
della Lombardia. L’attiva partecipazione di ERSAF e di
tutte le realtà locali ne ha permesso una verifica continua
e la costruzione di un senso locale delle nuove idee sulla
cultura della montagna e sulle specificità locali.
Le prime azioni del progetto partono dall’intervento sui
ruderi e sul bosco piantato negli anni ‘60, attraverso la
pulitura e la messa in luce dei resti dell’edificato
In alto: il punto espositivo e le canne
e l’abbattimento delle piante di conifere per tutto il
d’organo, il terrazzo riaperto, con le
grande terrazzamento prospiciente l’alpeggio sul versante
installazioni di land-art; intorno, i
sud, in modo da riaprire la visuale sulla valle e recuperare il
rimboschimenti
paesaggio originario di questi spazi.
In questo processo di cambiamento del territorio, sono stati creati esempi di arte nella natura con
il recupero di una parte del materiale prodotto dal taglio, sia in ricordo dello ‘schianto’ delle piante
durante l’abbattimento – l’opera è composta da una quindicina di tronchi caduti a terra e anneriti -,
che in ricordo del bosco come piantagione consolidata - “organo” frutto dello sfrondamento dei rami
e dallo scortecciamento dei tronchi di una trentina di alberi lasciati a dimora, dipinti d’oro.
L’intervento relativo ai manufatti ha previsto il riutilizzo degli elementi e dei materiali del passato in
un nuovo disegno esaltandone la bellezza e la semplicità.
L’intervento sui ruderi si caratterizza con il recupero del sedime dei locali che componevano il borgo
in modo da rendere chiara la lettura dell’impianto; le stanze, recuperate nei loro perimetri murari,
consolidati nella struttura e tenuti ognuno all’altezza dettata dal loro stato conservativo, sono definite
spazialmente dalla conservazione del selciato originario.
Anche le pietre e i sassi derivanti dalla pulitura dei ruderi diventano lo spunto per la realizzazione
di un nuovo scenario. L’area didattica di nuova realizzazione è formata da muri con andamento
longitudinale nord-sud, realizzati in gabbioni di tondini di ferro con l’inserimento delle pietre reperite
dagli scavi; la copertura è realizzata con una griglia di ferro a passo variabile sulla quale si arrampica
la vegetazione spontanea andando a creare vere cortine, in un effetto di passaggio della luce variabile
e suggestivo.
Progetto paesaggistico e ambientale: ERSAF,
Garrone e Soro Architettura e Paesaggio, Alter
Studio
A lato: planimetria dell’area di Second’alpe oggi.
In alto, la Via delle Alpi, l’insediamento, il punto
espositivo; al centro, il terrazzo riaperto, con le
installazioni di land-art; intorno, i rimboschimenti
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SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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Il prima e il dopo
Cà Martina. E’ uno degli edifici del vecchio borgo di Second’alpe, l’unico situato a monte della strada
delle alpi. Ben riconoscibile è il casalèt, piccolo locale a volta usato come dispensa.
Cà Martina nell’inverno 2006
Cà Martina durante i lavori di recupero, estate 2011
Il rimboschimento artificiale di conifere sotto Second’alpe, prima dell’intervento di riapertura del terrazzo
L’àndito. Passaggio selciato situato lungo la val di casèj, costituiva l’ingresso principale al borgo, cui
si accedeva attraverso il portico a volta. Recuperato, è ora percorribile in sicurezza, passando per la
Cà di san Mir, la fontana, la corte.
Panoramica del terrazzo di Second’alpe riportato al suo antico aspetto
L’àndito di Second’Alpe prima e dopo i lavori di recupero
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SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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Panoramiche di Second’Alpe
prima e dopo il recupero
A lato, dall’alto: la zona del
barch (recinto del bestiame)
prima e dopo i lavori
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SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
I campi di Volontariato Internazionale di Second’alpe
Il percorso alla scoperta delle strutture di Second’Alpe, luogo simbolo dell’economia agricolopastorale di montagna del passato, è oggi una realtà: i visitatori sono guidati dai cartelli esplicativi
che segnalano la posizione e la funzione dei diversi vani che componevano il borgo, mentre il piccolo
museo all’aperto espone reperti della vita quotidiana degli antichi abitanti, con pannelli che ne
illustrano le attività stagionali.
Indicato dalla tradizione come il luogo di nascita di San Miro, di cui nella valle a poca distanza sorge
il santuario, Second’Alpe costituisce un elemento concreto di tutela della memoria del passato ed
insieme un presidio per la salvaguardia ambientale, paesaggistica e delle biodiversità.
Il ritorno alla vita dello storico insediamento, abbandonato e poi demolito negli anni ’50, ha
visto come protagonisti i giovani volontari che hanno partecipato ai Campi di Volontariato
Internazionale per il recupero archeologico del sito, promossi ogni estate, a partire dal 2006, dal
Circolo Ambiente “Ilaria Alpi” di Merone (www.circoloambiente.org) in collaborazione con ERSAF
Lombardia e con la Cooperativa Sociale META di Monza.
Provenienti da tutta Europa, ma anche da Corea del Sud, Messico, Turchia e altri Paesi extra-europei,
i partecipanti sono coinvolti in attività di scavo e ripulitura dei vani che costituivano le abitazioni, le
stalle, la corte e gli altri spazi comuni, con l’uso di attrezzi semplici quali picconi, badili e carriole.
Il lavoro dei volontari consiste nel rimuovere pietre, calcinacci e sterpaglie, detriti depositati dopo il
crollo delle strutture, che erano state demolite nel 1956. Durante gli scavi vengono classificati reperti
SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
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quali gradini, soglie, pilastri, elementi della pavimentazione originale e sono stati ritrovati anche
oggetti appartenuti agli antichi abitanti: scarpe, stoviglie, attrezzi agricoli, scatole di latta, interessanti
testimonianze della vita quotidiana di un tempo.
Le attività sono state seguite inizialmente da un archeologo, e costantemente da dipendenti
dell’ERSAF; all’impegno sul campo vengono alternati momenti ludici e visite ai luoghi più significativi
del territorio lariano, con il coordinamento del Circolo Ambiente “Ilaria Alpi”.
I Campi Internazionali hanno coinvolto finora (2010) più di 50 volontari, condotti a questa scelta
innanzitutto dall’amore per la natura e la montagna e poi unanimemente conquistati dalla magica
atmosfera della Foresta Regionale dei Corni di Canzo e dell’antico Prim’Alpe che li ospita, il centro di
educazione ambientale ERSAF appositamente ristrutturato.
Il lavoro dei giovani partecipanti, umile e a volte faticoso, è stato animato dall’entusiasmo della
scoperta e dalla soddisfazione di riportare alla luce i segni di un mondo in gran parte sconosciuto: un
mondo raccolto in una dimensione locale, in stretta simbiosi con l’ambiente naturale, ma capace di
esprimere un’armonia difficile da ritrovare nei più concitati ed omologati sistemi di vita attuali.
Un volontario venuto da lontano, Seungwook Lee, ventitreenne sud-coreano, ha commentato così
questa esperienza: “Lavorando fra queste montagne, sento sotto le mie mani il passato degli abitanti
dell’Alpe, la loro vita, il loro lavoro, e sono orgoglioso di dare il mio piccolo contributo a questa parte
della cultura italiana, che per me è un simbolo della cultura europea”.
Second’alpe - domani
Questa nuova era di Second’Alpe unisce la cultura della montagna, depositaria di storia e tradizioni,
a quella del mondo dell’arte promuovendo un connubio in grado di valorizzare i luoghi, celebrarne il
ricordo e rinnovarne le frequentazioni.
Le attuali tendenze culturali riconoscono nelle esperienze artistiche svolte al di fuori dei circuiti
tradizionali, che rimangono così strettamente riferite al territorio, una singolare rilevanza per vitalità
e potenza del messaggio insieme ad una grande capacità di confronto con il pubblico che ne fruisce
in modo diretto. Svariati esempi di parchi d’arte con opere di Land Art o Arte Naturale hanno ottenuto
negli anni numerosi riconoscimenti.
E’ intenzione di ERSAF promuovere questo progetto in un processo di confronto e collaborazione con
enti territoriali istituzionali e privati, con il coinvolgimento della popolazione e di operatori a pieno
titolo riconosciuti nel settore.
Giuliana Panzeri
Sopra: La passerella nel mare d’erba, che si incontra sul
Sopra: Le canne d’organo ricordano il bosco di conifere, qui
sentiero dello Spirito del Bosco in prossimità di Second’alpe
cresciuto per cinquant’anni.
Sotto: “Madre natura” di Sandro Cortinovis, l’ultima scultura
Sotto: Lo shangaj testimonia gli alberi abbattuti per riaprire il prato
lungo lo Spirito del Bosco, vicino a Terz’alpe
La Fontana di Second’alpe
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SECOND’ALPE DI CANZO | Un borgo che rinasce
La Cà da san Mir oggi
Per saperne di più
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ERSAF - Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste, P.O. Promozione e
Valorizzazione dei Sistemi Forestali e Naturali - Corso Promessi Sposi, 132 - 23900 Lecco (LC)
- tel. 02/67404.451; e-mail: [email protected], sito: www.ersaf.lombardia.it
Riserva Naturale Sasso Malascarpa: www.parks.it/riserva.sasso.malascarpa
Comunità Montana Triangolo Lariano, via V. Veneto, 16 - 22035 Canzo (CO) tel. 031/67.20.00,
sito: www.triangololariano.it
Cumpagnia di Nost - 22035 Canzo (CO). Tel/fax: 031/68.18.21; 031/68.41.38; e-mail: biofera@
alice.it
Centro di educazione ambientale di Prim’Alpe 031/68.20.02; Legambiente Lombardia - Silvia
Savarè, email [email protected]
Numeri utili
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Agriturismo Terz’Alpe: 031/68.27.70
Comune di Canzo: Via Mazzini, 28 - Canzo. Tel. 031/67.41.11
Associazione di promozione turistica “NonSoloTurismo” Piazza Garibaldi, 5 – 22035 Canzo
(CO) Tel/Fax 031/68.45.63 - Tel 331/99.39.726 [email protected]
Pronto intervento - 118
Segnalazione incendi boschivi - 1515
Carabinieri di Asso - 031/68.13.33
Corpo Forestale dello Stato – Comando Stazione di Asso - 031/68.11.67
Corpo Forestale dello Stato – Comando Stazione di Lecco - 0341/49.46.68
Collana Sul filo della memoria
1.
2.
Lo scrigno dei ricordi- Un secolo di storia dell’alpe regionale Boron (Valdidentro – SO)
Second’alpe di Canzo (CO) – Un borgo che rinasce.
Itinerari tematici
1.
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4.
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6.
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8.
9.
10.
La pietra e l’acqua – Il sentiero geologico Giorgio Achermann in Val Ravella- Canzo (CO)
Habitat e fauna – Sentiero delle tracce in Val Negrini (BS)
La Guerra di pietra – Il Percorso delle Trincee “Luigi Mario Bellloni” in Valle Intelvi (CO)
Dall’albero al bosco – Sentiero forestale della Valle di Archesane (BS)
Il sentiero dell’Orso – Percorso eco-didattico a Castello Orsetto – Foresta Valle di Scalve (BS)
Ambiente e paesaggio – Sentiero dei Lodroni a Toscolano Maderno (BS)
Paesaggi sonori- Suoni e rumori nella foresta della Valsolda (CO)
La Foresta dei Sassi – Sport e Natura nella faggeta dei Bagni di Masino (SO)
Memorie di legno – Il sentiero dei Grandi Alberi di Morterone (LC)
Il Legnone racconta – Storia, usi e costumi lungo i sentieri della Val Lesina (SO)
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second alpe di canzo