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Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86
00187 ROMA
ANNO XXII N. 2 Febbraio 1974
Spedizione in abbonamento postale Gruppo 111/70
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O R G A N O M E N S I L E D E L L ' A S S O C I A Z I O N E I T A L I A N A PER I L C O N S I G L I 0 D E I C O M U N I D ' E U R O P A
al Consiglio Nazionale dell'AICCE
Pluralismo politicoistituzionale per la
nuova Europa
Rappresentanti di tutte le Regioni italiane,
di Amniinistrarioni provinciali e comunali,
esponenti di organizzazioni europee e federaliste, responsabili di partiti politict, parlainerztari ed esperti, si sono riuniti a Roma
il 13 dicembre per un'importante seduta del
Consiglio Nazionale delllAICCE.
I n questo nunzero di « Conzuni d'Europa D
riportiamo le due relazioni di base, tenute
dal Prestdente della Regione Toscana, Lelio
Lagorio, e dal Presidente del Consiglio ituliano del Moviiizento europeo, Giuseppe Petrilli, rispettivameizte su « Problemi posti
dalle relaziorzi fra le Regioni italiane e la
Comunità ecorzonzica europea » e « Il Vertice europeo di Coperzaghen S .
Lagorio, in u n ampio quadro costituzionale, legislativo e politico, ha trattato il
rapporto CEE-Stato-Regioni mettendo i n evidenza gli anzpi spazi d i e il diritto comunitario lascia alle Regioni, sia nella fase di
preparazione delle decisioni europee, sia nella
fase di applicazione di quelle decisioni in
Italia, spazio che le autorità centrali dello
Stato nazionale nzirarzo invece a ridurre o
addirittura a cancellare, impedendo qualsiasi rapporto fra CEE e Regioni.
Petrilli, da parte szta, dopo aver illustrato
le origini e gli aspetti del cosiddetto « nzetodo dei Vertici n, ha affermato il carattere
del tutto prioritario da attribuirsi alla creazione dell'linione europea decisa dal precedente Vertice di Parigi e la necessitil di
compiere ttn deciso passo avanti in questa
direzione, attribuendo al Parlamento europeo il conlpito di redigere, entro il 1974, u n
progetto di Trattato capace di fondare gli
ulteriori siiiiuppi deil'iiztegrazioize politica ed
economica su di una precisa struttura istituzionale di tipo federale.
Oltre a queste due relaziorzi, alle quali seguono rispettivanzente gli interilenti del Segretario generale aggiztnto Gianfranco Martini, del Segretario generale Umberto Serafini, pubblicl~iamo anche il testo del rapporto predisposto dal prof. Sergio Carbone,
docente all'liniversità di Genova, su « A f f a r i
comunitari, competenze dello Stato e parteclpazione regionale n, nonchg una sintesi del
dibattito e il documento conclusivo approvato sul primo tema.
2
COMUNI D'EUROPA
febbraio 1974
La seduta del Consiglio Nazionale dell'AICCE
Roma, 13 dicembre 1973
Problemi posti dalle relazioni fra le Regioni italiane
e la Comuilità economica europea
di Lelio Lagorio
Ringrazio innanzi tutto il Consiglio Nazionale dell'associazione dei Comuni, delle Province e dellc Regioni, Sezione italiana del
Consiglio dei Comuni d'Europa, per avere
prcscelto un « operatore politico a livello di
Regionc » come relatore in questa importante
assise. Confido di poter portare qui non solo
la mia voce o quella della Regione toscana
donde provengo, ma la voce di tutte le Regioni italiane su un punto che considero essenzialc nel processo di edificazione di una
corretta Repubblica regionale, quale la Re-
SOMMARIO
Pag.
Pluralismo politico-istituzionale per
la nuova Europa . . . . . . .
1
La seduta del Consiglio Nazionale
dclllAICCE:
Probleiizi posti dalle relazioni fra
le Regioni italiane e la Conzunitu
econotnica europea, di Lelio Lagorio . . . . . . . . . . .
l'intcrvento di Martini . . . . .
2
6
Affari comunitari D, conzpetenze
dello Stato e partecipazione regionale, di Sergio Carbone . . .
7
Il Vertice europeo di Copenaghen,
di Giuseppe Petrilli . . . . .
l'intervento di Scrafini . . . . .
il dibattito . . . . . . . . . .
la risoluzione . . . . . . . . .
10
15
15
16
Dizionarietto: U.E.D.C., di Gianfranco Martini
. . . . . . . 17
L'azlone di massa del CCE, di G. M. 18
Cronaca delle Istituzioni europee:
L'evoluzio~ze istituzionale della Coi~zunità europea verso l'Unione
politica: rapporto dalle Zstitrlzioni conzunitarie, di Pier Virgilio
Dastoli
. . . . . . . . . . l9
Il
« progratiztna di azione sociale »
discusso nella sessione di dicembre del Parlamento Eurolieo, di
Andrea Chiti-Batelli . . . . . 27
pubblica italiana deve aspirare ad essere: un
punto sul quale le Regioni hanno già avuto
più di una occasione per verificare una sostanziale concordanza di vedute.
1. - A Siena, nello scorso febbraio, in un
convegno di studi patrocinato da quella UniFoto in prima pagina (in alto): Lagorio espone la sua relazione al Consiglio Nazionale delI'AICCE. Alla presidenza, da sinistra, Dozio,
Curci, Bufardeci, Serafini e Martini; (in basso):
la « Maison de 1'Europe D, a Strasburgo, ove si
svolgono le sedute del Parlamento Europeo, protagonista del dibattito sulllUnione europea.
versità sul problema Europa, Agricoltura e
Regioni dicemmo che bisognava « aiutare le
Regioni d'Italia a venire a capo di un importante problema, uno dei grossi nodi che
ogzi contribuiscono a frenare l'azione dei
nuovi Enti D. Intendevamo riferirci « all'intrecciato rapporto Regioni-Governo izaziotzale-Comuizità europea che è, sì, - dicevam o --anche un problema tecnico-giuridicoistituzionale, m a che in pratica si risolve
soprattutto in una questione squisitamente
politica n.
Più tardi a Firenze, nel luglio '73, in un
« Incontro tra la Commissione della CEE,
il Governo della Repubblica e le Regioni italiane D, su « Le politiche sociali e regionali
della Comunità europea» si ebbe cura da
parte nostra di sotto'lineare ancora una volta
alcuni interrogativi su quello che si può
chiamare « i l ruolo europeo delle Regioni
italiane n.
Allora ci preparavamo ad affrontare alcune
scadenze - prima fra tutte la c.d. legge
Natali per l'attuazione delle direttive comunitarie in agrico'ltura - che mettevano e
mettono in forse il rispetto e la fedele applicazione dei principi della nostra Costituzione in materia di o'rdinamento regionale.
Oggi come ieri, noi possiamo cominciare
col dire che non è il Trattato di Roma che
si tratta di mettere in discussione. Dall'angolo visuale nel quale ci mettiamo la revisione del Trattato non è necessaria. Forse
lo è per altri aspetti. Ma non è questo che
ora qui ci interessa. Ovviamente oggi il
Trattato è impegnativo per tutti i Paesi che
l'hanno sottoscritto. Ma l'avvento delle Regioni in Italia nel 1970 e il trasferimento ad
esse delle funzioni amministrative statali
avvenuto nel 1972 apre una nuova problematica.
I1 10 aprile 1972 lo Stato italiano', infatti,
ha trasferito alle Regioni una consistente
aliquota di poteri e funzioni che in precedenza erano esercitati dal Governo centrale.
Questo trasferimento ed il pieno ritmo che
ha conseguentemente assunto, sul piano sia
legislativo che amministrativo, la gestione
delle Regioni, hanno fatto diventare una
realtà di interesse immediato - per l'ordinato ed efficiente svolgersi dell'azione regionale stessa - la dimensione (internazionale
e comunitaria), nella quale collocare lo Stato
rcgionale e le Regioni medesime, momento
essenziale e fondamentale di tale Stato.
Quella che ieri poteva essere una esigenza
cono'scitiva e di sistematica è oggi urgente,
improcrastinabile, problema di prassi operativa e di scelte.
L'ottica tridimensionale - Comunità Economica Europea, Stato, Regioni - attraverso la quale guardare gran parte della
tematica regionale, diventa una costante necessaria per un giusto ruolo delle Regioni
nella vita del Paese.
Fuori di tale ottica, le Regioni sono svilite
a d istanza di mero decentramento statale,
e del più minuto e frammentario decentramento; lo Stato si colloca come unico interlocutore del discorso europeo e della costruzione dell'Europa. I n tale ottica, invece, si
rcalizzano sia il rispetto della nostra Carta
costituzionale, sia la valorizzazione dello
stesso ordinamento comunitario, con le Regioni che divengono protagoniste - per la
loro parte e sempre nei limiti costituzionali - delle scelte della politica comucitaria,
dell'attuazione di tali scelte all'interno, del
necessario, conseguente dialogo di « respiro »
internazionale e comunitario.
Ecco, dunque, la necessità di esaminare
più da vicino gli aspetti di questo complesso
problema.
2. - Ci sono due momenti del rapporto
CEE-Stato-Regioni che vanno analizzati: una
« fase ascendente » e una
fase discendente D.
La « f a s e ascendente » è relativa al processo di formazione delle decisioni comunitarie.
A questo processo, possono essere chiamate
le Regioni? La nostra risposta è « sì n.
E' pacifico che la stessa esperienza comunitaria nasce dalla esigenza di meglio aderire, nelle iniziative e nelle scelte politiche,
ai bisogni ed alle istanze regionali e locali
del territorio degli Stati membri. Questo
principio informatore del sistema comunitario non si evince soltanto dallo spirito
del Trattato di Roma, ma dagli stessi strumenti di intervento prescelti da tale Trattato
(art. 189), che - attraverso le direttive, in
particolare - mira proprio a lasciare uno
spazio all'interno degli ordinamenti statali
per una disciplina attuativa, da parte degli
Enti ed organi competenti in sede legislativa ed amministrativa, che si attagli appunto
alle peculiari esigenze regionali e locali. In
qucsto senso parlano alcuni documenti recenti di organi comunitari che auspicano un
diretto inserimento delle Regioni al livello
comunitario: a d es., la proposta di decisione
del Consiglio CEE n. 146 del 1969, che prevede una cooperazione sul piano comunitario
<< tra istituti ed enti che negli Stati membri
si consacrano. .. alla realizzazione dei piani
di sviluppo regionale »; il voto del Parlamento europeo, nel documento n. 29 del 1970,
che auspica la massima partecipazione degli
Enti regionali all'attività comunitaria; i vari
documenti che raccomandano che i Comitati
comunitari siano composti da rappresentanti delle organizzazioni europee rappre.
sentative degli enti medi e minori D o, ancora
una
attiva collaborazione degli ambienti
strettamente interessati D. Questi indirizzi
comunitari ai quali può ora aggiungersi
quanto si rinviene - in direzione della consultazione diretta e della collaborazione con
gli ambienti regionali » degli Stati membri - nelle proposte di regolamento della
Commissione relative al « fondo europeo di
sviluppo regionale D; sono indirizzi che vanno
assecondati, che debbono diventare più generalizzati e più sicuri e s u questa linea si
misura la consistenza e l'intelligenza delle
forze regionaliste ed autonomiste che si muovono nella realtà politica del nostro Paese.
((
COMUNI D'EUROPA
febbraio 1974
11 sistema comunitario consente dunque
una precisa valorizzazione del ruolo belle
Kegioni. Si tratta perciò di veciere quali possono essere le forme di partecipazione diretta delle Kegioni alla elaborazione e preparazione degli atti comunitari. Al riguardo,
come è stato giustamente affermato « niente
in via di principio inlpedisce una preventiva
consultazione cielle Kegioni » in ordine agli
atti comunitari. kssi vengono sottoposti al
Consiglio dei Ivlinistri su proposta della Conlniissione, che si avvale di regola del parere
del Parlamento europeo, nonché di vari comitati consultivi a carattere specializzato.
La preventiva consultazione delle Regioni è
possibile, anzi necessaria ogni qualvo'l~atali
atti sono destinati ad incidere sulle competenze delle Regioni, o addirittura ad essere
applicati da esse. Le Regioni, infatti, per
la loro vicinanza agii interessi locali sono
idonee ad esprimerli meglio di chiunque altro
e, pertanto, la partecipaziomne diretta delle
Regioni ad organi consultivi comunitari costituirebbe senz'altro uno strumento prezioso, atto a far sì che l'azione sopranazionale si basi su una piena conoscenza, e
perciò su una ricostruzione fedele e diretta,
di tutti gli interessi su cui essa è destinata
ad incidere profondamente. Quali le conseguenze? Che simili accorgimenti, non solo
valorizzerebbero il ruolo belle Regioni, ma
renderebbero più solida, efficace e democratica l'azione della Comunità. Non sono parole mie, sono parole di autorevo,li protagonisti della politica europea. Kesta allora
da chiedersi perché. e come mai? questa
saldatura Europa-Regioni ancora non c'è:
mancanza di rapporti, quanto mai sorprendente se si pensa che la Commissione comunitaria si avvale comunemente - « senza
scandalo di nessuno D - della consulenza di
comitati tecnici nei quali figurano i rappresentanti delle categorie sociali interessate
all'azione comunitaria (cfr. ad esempio, l'articolo 124 del Trattato per il Comitato del
Fondo sociale europeo, nonché l'art. 193 per
il Comitato economico e sociale). Un dato è
certo - purtroppo - ed è che ostacoli di
principio esistono e si perpetuano proprio
e solo per le Regioni n.
C'è un altro aspetto delle « forme di partecipaziomne indiretta delle Regioni al momento decisionale comunitario» che va visto
attentamente. Se è vero, infatti, che il potere decisio'nale effettivo è affidato al Consiglio dei Ministri, composto da rappresentanti dei Governi nazionali e che dunque gli
atti comunitari più importanti promanano
dalla volontà degli esecutivi nazionali riuniti
nell'oi-gano comunitario su indicato; se è
vero che al Consiglio dei Ministri CEE non
c'è certo posto per le Regioni, dal momento
che quella che vi si svolge è una attività di
sicura spettanza del Governo, confluente in
quel potere di relazione internazionale che
è tra i più indiscussi attributi dell'Esecutivo
Nazionale, in base al nostro sistema costituzionale (e non solo al nostro); se è vero
in sostanza che è del Governo, in qualità di
titolare del c.d. « potere estero P, « l'azione
di rappresentanza e tutela, in ogni sede internazionale idonea, degli interessi dell'intera comunità italiana D; il punto sul quale
è stata e deve essere particolarmente richiamata l'atteiizion~ è che il « potere estero
fa capo ad una Funzione strumentale, di
tramite, che implica per il Governo un
ampio margine di discrezionalità nella scelta
dei modi, dei tempi, delle forme per por>)
tare avanti l'azione internazionale a tutela
degli interessi italiani, ma non implica affatto altrettanta discrezionalità per quel che
concerne la scelta degli obiettivi da raggiungere mediante l'aziomne suddetta.
E' in questa fase precedente, « c h e non
riguarda dunque i rapporti internazionali,
bensì la preliminare individuazione degli
scopi che il Governo deve mirare a raggiungere mediante le relazioni internazionali (e
quindi anche in seno al Consiglio dei Ministri CEE) » che può, anzi deve trovare spazio
la partecipazione delle Regioni, nei limiti
naturalmente in cui gli interessi da curare
tramite l'azione internazionale coincidano
con quelli che, sul piano interno, so'no affidati alla cura delle Regioni. Attraverso questa strada possono trovare tutela contemporaneamente sia le esigenze comunitarie, sia
il potere esclusivo del Governo in materia di
rapporti internazionali, sia le istanze regionali.
A questo proposito fondamentale appare
il parere espresso dalla Commissione interparlamentare per le questioni regionali
quando discusse il decreto di trasferimento
delle funzioni statali alle Regioni in materia
di agricoltura. « Con separati provvedimenti
- disse - occorre assicurare alle Regioni,
i cui poteri nelle materie di loro competenza
vengono limitati dalle decisioni comunitarie ..., la possibilità di partecipare ad organismi consultivi in cui si forma la volontà
politica che deve essere espressa dal Governo
in rappresentanza di tutti gli interessi nazionali D.
3. - E veniamo al secondo momento del
rapporto CEE-Stato-Regioni, alla « fase discendente », cioè alla fase in cui si tratta di
dare attuazione all'interno dello Stato agli
atti comunitari una volta adottati dagli organi comunitari.
Se la ((fase ascendente » è una strada ancora tutta da percorrere in Italia, la seconda
- la « fase discendente » - registra già i
guasti dei decreti delegati di trasferimento
e di una azione condotta dal Governo su
atti inlportantissimi (direttive Mansholt per
l'agricoltura); ai quali occorre reagire con
la massima energia, se si vuole salvaguardare il dettato costituzionale e il ruolo della
Costituzione assegnato e garantito alle Regioni.
Alla luce delle esperienze fatte, non si può
non dire che estromettere le Regioni dalla
fase « attuativa » degli atti comunitari fa
parte di un disegno preordinato.
Guardiamo i decreti delegati di trasferimento. I1 D.P.R. n. 1111972 relativo all'agricoltura è esemplare: l'art. 4, lett. b ) riserva
allo Stato « l'applicazione di regolamenti,
direttive ed altri atti della CEE ... D.
Se si considera che, in prospettiva, l'azione
comunitaria e l'azione di attuazione degli
obblighi comunitari esauriranno senza residui l'intero settore agricolo, la riserva a
favore della competenza statale - fatta dal
decreto delegato n. 11 - si rivela per « un
congegno capace di provocare uno svuotamento, provvisoriamente parziale, ma domani totale delle competenze regionali in
agricoltura n.
Guardiamo il D.P.R. n. 1011972 di trasferimento àeile funzioni in materia di istruzione
artigiana e professionale; lo Stato da un
lato si riserva una funzione di C coordinamento, ai fini della presentazione » delle
domande delle Regioni al Fondo (art. 7,
lett. d), e dall'altra si riserva (art. 7, lett. f ) ,
per particolari corsi di qualificazione o riqualificazione professionale, la predisposizione,
l'assistenza tecnica ed il finanziamento di
tali corsi, anch'essi in certa misura rientranti tra i fini del Fondo sociale. Da un
canto, una misura esplicita che esautora le
Regioni e, dall'altro, un coordinamento che
consenta allo Stato di entrare nel merito
dell'azione regionale, laddove gli atti comunitari parlano per lo Stato di mere " trasmissioni ", lasciando alla Commissione l'esame
e l'approvazione delle domande e dei progetti ».
Tutto questo non concorda né col nostro
ordinamento costituzionale, né col diritto
comunitario. ilalla Costituzione emerge senza dubbio « l'esigenza unitaria che, impone
i1 rispetto scrupoloso degli obblighi internazionali dello Stato D, ma tale esigenza
non è assolutamente in contrasto con l'esigenza autonomistica, che ha spinto a creare,
con le Regioni, enti provvisti di competenze
costituzionalmente garantite in determinate
materie. I n un ordinamento democratico
fondato sulla separazione e distribuzione
dei poteri, il rispetto dei vincoli internazionali notz si ottiene attravcrso una generale
avocazione alla competenza del Governo di
tutti gli atti che potrebbero ingenerare una
responsabilità internazionale del nostro
Paese, cosa che sarebbe impossibile ed assurda; non si ottiene sovvertendo la separazione dei poteri e la distribuzione delle
competenze consacrata in Costituzione, ma
« mo'lto più semplicemente e correttamente,
ombbligando tutti gli organi, gli enti, i soggetti di diritto interno ad operare in conformità co'l diritto internazionale ( e comunitario) ». Ma mancano gli strumenti per
costringere eventualmente lc Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, si dice!
Non è vero. Gli strumenti ci sono, eccome,
in questa Patria dei Diritto che, sul piano
giuridico, è soprattutto la Patria dei controllo in onore dello Stato garantista. Ci
sono gli strumenti che servono ad indirizzare l'attività della Regione in un certo modo
(legislazione di principio per l'attività normativa, direttive di indirizzo e coordinamento per quella amministrativa); ci sono
gli strumenti - articolatissimi - che servono a rimuovere gli atti viziati posti eventualmente in essere dalla Regione « fino al
mezzo radicale previsto dall'art. 126 Costituzione, cio'è la dissoluzione dell'Assemblea
Regionale n.
Se questo discende da un corretto esame
della Co'stituzione, per altro verso l'azione
comunitaria sia essa legislativa che amministrativa, « postula comntinuamente, perché il
risultato cui mira possa essere raggiunto,
la collaborazione fedele e l'attuazione scrupolosa da parte di tutti gli organi e gli enti
che fanno capo agli Stati membri ». E' noto
infatti, che, da un canto l'attività » amministrativa richiesta dalle norme comunitarie
è di spettanza di ogni competente istanza
nazionale e dall'altro « lo stesso sistema
comunitario richiede frequentemente che all'interno di ogni Stato membro sia compiuta
un'opera di legislazione, diretta a svolgere
ed attuare le norme comunitarie
il che
peraltro si verifica abbastanza raramente
per i regolanienti comunitari, i quali di solito sono sufficientemente completi da impo'rre uri'esecuzione interna di tipo strettamente amministrativo », ma « si verifica invece normalmente per le direttive, le quali,
obbligatorie come sono per quel che con)),
febbraio 1974
cerne gli obiettivi da raggiungere, ma non
per le forme ed i mezzi rclativi (art. 189
Trattato CEE), richiedono proprio puntuali
integrazioni d'indolc legislativa ».
I1 diritto comunitario, in sostanza, lascia
ampi spazi per l'azione da svolgere all'interno degli Stati membri nei settori di interesse comunitario. I1 resto appartiene al
diritto costituzionale ed è il diritto costituzionale che definiscc e garantisce gli spazi
che debbono essere riservati alle Regioni.
E' partendo di qui che possiamo intanto
definire i giusti rapporti che debbono intercorrere fra CEE, Stato e Regioni in due
campi fondamentali della politica comunitaria: quella del « fondo sociale » e quella
del «fondo di sviluppo D. Ed è partendo di
qui che dobbiamo attaccare a fondo il modo
col quale si pretende di applicare in Italia
le direttive comunitarie in tema di agricoltura.
4. - 11 fondo sociale europeo nel settore clell'istruzionc artigiana e professionale
mira, non a fornire direttamente tale istruzione, bensì a finanziare i programmi collimanti con gli obiettivi comunitari. Si tratta
di uno strumento di intervento estrema.
mente duttile, rapido ed articolato al quale
può attingere chi è « competente in base
al riparto di competenze realizzato all'interno degli Stati membri. Da noi, le Regioni.
La Comunità dunque non intende sostituirsi
ad alcun ente interno che svolga attività nel
campo suddetto, n6 tantomeno alle Regioni.
Lo Stato italiano, essendo l'istruzione arti.
giana e professionale materia di competenza
costituzionale delle Regioni, deve farsi rispettoso, nei confronti delle Regio'ni, delle
articolazioni che lo stesso diritto comunitario configura in ordine a tale istituto. Per
il ((fondo di sviluppo D il discorso che può
farsi i: analogo. I documenti elaborati dalla
Commissione aprono notevoli spazi alla diretta collaborazione dclle Regioni e delle
autonomie locali. 11 « fondo » infatti è diretto
a finanziare progetti, per alcuni dei quali è
sicuro che le relative predisposizioni ed
attuazione rientrano nelle competenze costituzionali delle Regioni. C'è cioè una vasta
attività programmatoria interna di base,
prevista dai progetti di regolamento, che non
si vede come possa essere posta in essere
senza l'azione delle Regioni, se si
rispettare, ad un tempo, llimpostazione comuni.
taria della disciplina di cui trattasi e il ruolo
costituzionale delle Regioni, nel riparto interno delle competenze.
((
))
5. - E veniamo all'agricoltura - materia
di squisita competenza legislativa e amministrativa regionale per gli artt. 117 e 118
Cost. -, e che è anche il settore in cui
l'azione comunitaria, anche per l'eccezionale
sviluppo da essa assunto, si presenta come
più organica e penetrante. E' sufficiente precisare che, in tema di politica comunitaria
dei r17ercati agricoli, di norma è la CEE a
decidere nel dettaglio con lo strumento regolamentare, ragion per cui resta ben poco
da fare a livello nazionale, salvo che eseguire
materialmente i regolamenti comunitari. Invece, in tema di politica comunitaria delle
strutture agricole - e cioè nell'ambito della
problematica che assai più da vicino interessa le Regioni - la Comunità si è orientata per la « decentralizzazione D, ed ha di
norma prescelto infatti come strumento per
condurre avanti la sua politica, non il regolamento, ma la direttii~a.La Comunità, cioè,
costituzionalmente garantita, in organo budelinisce i principi e gli obiettivi da raggiungere, ma lascia alle competenti istanze
rocratico di decentramento amministrativo
dello Stato, in ufficio amministrativo perinazionali il compito cli sviluppare quei principi, di raggiungere quegli obiettivi con una
ferico del Ministero dell'Agricoltura.
Tutto quanto doveva farsi è stato fatto c
attività legislativa articolata e di dettaglio,
cui sono concessi margini d'azione abba- si sta facendo perché, in sede parlamentare
stanza ampi. L'intento è di rilasciare tali
e di Governo, si reagisca contro la presente
margini d'azione proprio perché si possa
iniziativa di legge. Avallarla significa avallare
tener conto delle peculiarità locali, delle
i tentativi di recupero da parte degli organi
diversificazioni emergenti nelle esigenze procentrali dello Stato delle funzioni che la
Costituzione ha voluto affidare alle Regioni.
prie delle varie zone agricole, delle varie
culture, e così via. Ecco allora che le Regioni, Avallarla significa sconfessare nei fatti
ancora una volta e centralmente, vengono
quella impostazione di rilancio regionalista
fuori nella loro qualità tipica di enti espo- che ha caratterizzato l'attuale Governo fin
nenziali di interessi localmente delimitati,
dalle dichiarazioni di investitura del Presienti perciò di gran lunga più idonei a svol- dente on. Rumor e che le Regioni tutte hanno
gere un'azione aderente a questi interessi.
sostenuto in questi mesi, non sempre facili,
In sostanza la CEE studia le sue direttive in
aiutando più volte il Governo a superare
materia di strutture agricole lasciando ampi
scogli infidi a cominciare dalla correzione
del bilancio di previsione dello Stato 1974
spazi all'azione nazionale; essa stessa vuole
colmati tali spazi mediante un'azione arti- per finire al « gentlemen agreement » sulla
colata e duttile, conscia delle peculiarietà e
aspra vertenza nazionale dei sindacati dei
delle diversità degli interessi locali. Le Re- lavoratori delle autolinee.
gioni, create proprio per simili scopi, si
I1 disegno di legge sulle direttive comupresentano, secondo l'assetto interno, come nitarie in agricoltura - ereditato dal pregli Enti idonei a realizzare tali finalità co- cedente Governo - va riveduto profondamunitarie. Soltanto facendo violenza al det- mente. Esso si fonda su un principio errato
tato costituzionale si potrebbero espropriare
e cioè che l'attuazione del diritto comunile Regioni dalle competenze per esse discen- tario sarebbe una autonoma materia riserdenti dalle direttive comunitarie in agricol- vata allo Stato. NO! Si tratta invece di un
tura. Se ciò si facesse, quando ciò si facesse compito spettante a chi (Stato o Regione),
si riuscirebbe anche a contrastare e snaturare
secondo il riparto costituzionale, è compe1, stesse previsioni della comunità.
tente in rapporto alla specifica materia su
cui il diritto comunitario incide.
6. - Eppure è ~ r o ~ r iino materia di agricoltura che 2 i n atto il tentativo più consi7. - Nella loro azione le Regioni hanno
stente di espropriazione, da parte dello Stato, già ottenuto qualche risultato positivo. La
delle competenze costituzionalmente previ- Commissione Affari costituzionali della Camera si è pronunciata in senso nettamente
ste e garantite per le Regioni.
I1 disegno di legge governativo in tema di
contrario al disegno di legge governativo ed
« Attuazione delle direttive del Consiglio
a favo're della salvaguardia di quanto in base
delle Communità europee per la riforma del- alla Costituzione spetta alle Regioni. Un conl'agricoltura » (presentato dal Ministro del- sistente schieramento di forze - lo si è visto
l'agricoltura on. Natali alla Presidenza della
nelle Commissioni parlamentari, lo si è visto
Camera dei depuiati il 12 giugno 1973, ed
dentro i partiti e, a quanto è dato sapere,
attualmente in discussione) appare infatti
si è manifestato anche in seno al Governo gravemente ed irrimediabilmente lesivo delle
è su tale linea. Le forze regionaliste si sono
autonomie regionali oltre a violare e snatu- fatte anche carico di individuare e affinare
rare le premesse stesse del diritto comunistrumenti politici e giuridici per garantire
allo Stato il rispetto degli obblighi internatario in materia.
Questo disegno di legge, pretende di attuare
zionali. Avete preoccupazioni? Che le Regioni
compiano atti contrari agli impegni interle direttive europee non limitandosi, come
nazionali? Che le Regioni restino inattive?
dovrebbe, ad una legislazione di principio,
ma sviluppando una normativa completa
Avete cioè paura dello straripamento e dell'inerzia? Ebbene i rimedi corretti ci sono.
fino al dettaglio, nonchC prevedendo per le
Regioni competenze esclusivamente delegate
C'è - e completo - il sistema repressivo
ed analiticamente regolate, da svolgere, sotto
del contro~llo per gli atti esorbitanti; per
l'inerzia si può pensare ad una normativa
la stretta sorveglianza del Ministro dell'agricoltura, al quale si accorda addirittura un
di dettaglio di fonte statale per il caso che
potere sostitutivo, non solo nei casi di ina- le Regioni non legiferino esse, e un potere
dempimento od inerzia delle Regioni, ma
sostitutivo del Governo per eventuale carenza
anche in caso di divergenti valutazioni ridi attività amministrativa sempre da parte
spetto agli obietivi da conseguire ». Dobdelle Regioni. E comunque non saranno certo
biamo dire, purtroppo, che questo disegno
le Regioni - il cui spirito costruttivo è già
di legge è eversivo dell'assetto costituzionale
stato dimostrato ampiamente in questi anni
in ordine al riparto di competenze tra Stato
di costituente regionale - a contrastare l'ule Regione. Con esso si cancella una parte
teriore messa a punto di strumenti per
dell'art. 117 Cost. nel senso che è tutta la
garantire i principi dell'unità dello Stato.
Ma quello che non si può accettare è il
materia ((agricoltura » ad essere eliminata
dal novero delle competenze regionali. E', principio che le Regioni sono impossibilitate
infatti, difficilissimo immaginare interventi
« a priori » ad agire in materia di attuazione di norme comunitarie. Chi solleva quein materia di agricoltura che non rientrino
tra quelli regolati dalle direttive comunitarie, s t o principio evoca due pilastri costituzionali
ed in conseguenza dal disegno di legge in
(l'unità e la indivisibilità della Repubblica
questione.
e l'autonomia) e pretende che uno prevarichi
Si può dire che, se il disegno di legge
sull'altro, mentre invecc vanno contemperati
andasse in porto, la Regione, con riguardo a e possono essere contemperati. Ma, nonomaterie tutte rientranti nelle sue funzioni
stante la chiara pronuncia della Commissione
si troverebbe trasformata, da ente con sfera Affari Costituzionali, siamo ancora lontani
d'autonomia legislativa ed amministrativa
d a una corretta conclusione di questa para-
5
COMUNI D'EUROPA
febbraio 1974
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p
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digmatica vicenda. Le resistenze in sede governativa e in sede politica sono ancora
notevoli e la battaglia perché sia resa giustizia allc Rcgioni e alllEuropa non si può
dire, purtroppo, ancora vinta.
Questa sede è un'occasione ancora per
richiamare l'attenzione di tutti su questa
battaglia, che è battaglia per il decollo delle
Regioni con ciò che questo significa per la
costruzione dello Stato regionale, per il rispetto e l'attuazione della Costituzione, per
il miglior funzionamento degli strumenti comunitari e la costruzione, quindi, delllEuropa
in cui crediamo.
8. - Qualcosa ora, brevemente, sulle vicende delle leggi regionali in quanto attuative
di direttive comunitarie.
E' nota l'interpretazione restrittiva che il
Governo centrale è venuto via via dando al
precetto enunciato dall'art. 93 del Trattato
di Roma.
Questa interpretaziane rischia di rendere
aleatoria la legislazione delle Rcgioni nei
settori dirimenti già ricordati e, con essa,
la politica degli impegni finan~iari regionali, vista anche sotto la minaccia dei residui
passivi. Accade che Commissariati di Governo, in presenza di leggi regionali che a
loro giudizio possono riguardare il Trattato
di Roma, non inoltrano queste leggi all'esame
della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
ma al Ministero dcgli Affari Esteri, perché
veda cosa c'è da fare con la Comunità Europea.
I1 contenzioso diplomatico del Ministero
degli Esteri - in un'Italia, che fra gli
Stati membri, è sempre stata la più inadempiente rispetto ai precetti comunitari diventa fiscalissimo con le Regioni. Bisogna
correggere questa prassi e ricorrere alla
« procedura d'urgenza », che implica un esame contenuto e in periodi di tempo r a g i e
nevoli.
La prassi instaurata dalle autorità centrali
italiane può essere in qualche modo superata, senza dilatare i poteri discrezionali del
Governo. Certo, mancano i regolamenti di
cui all'art. 94 del Trattato ed è probabile
che dobbiamo concentrare qui la nostra forza
d'urto. Ma già oggi sembra di poter dire
che le prescrizioni dell'art. 93 suggeriscono
una strada: quella di stabilire una collaborazio'ne informale e amichevole tra gli organi
comunitari e gli organi nazionali investiti
di potere legislativo, tra cui appunto l'Ente
Regione. Secondo le fonti comunitarie, infatti, il controllo da parte della Comunità ha
espressamente per oggetto C provvedimenti
ancora allo stato di proposta e mai provvedimenti già perfezionati ».
Questo meccanismo deve avere una sua
logica ed essa va ritrovata, appunto, nella
collaborazione preventiva » tra organo di
controllo comunitario e organo investito del
potere di normazione.
Ma qui si innestano due problemi: q u e l l o
della revoca di alcune stupefacenti disposizioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e quello del « c o m e e del d o v e
si curano e si stabiliscono i rapporti di
« collaborazione preventiva » fra Comunità e
Regioni.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri,
con circolare del 27 gennaio 1972, ebbe niodo
di scrivere: « Talune Regioni, in più occasioni e specialmente in sede di studio cd
elaborazione di provvedimenti legislativi ...
assumono diretti contatti - anche in via
ufficiosa - con i Servizi della Commissione
))
.
della Comunità Europea ... il Ministero degli
Esteri segnala che l'instaurazione di una
prassi del genere potrebbe dare origine ad
inconvenienti di varia natura e costituire
serio giudizio ... Non si possono che condividcrc lc preoccupazioni manifestate, concordando nella necessità che venga in avvenire evitato il ripetersi di tale irrcgolare ed
anormale procedimento ».
Tale disposizione non è corretta e non può
essere accettata. Essa va revocata e sostituita con altra che sia corrispondente alla
giusta interpretazione delle norme costituzionali e alla impostazione diversa che il
n u w o Presidente del Consiglio ha dichiarato
di voler dare a tutta la problematica regionale.
In proposito va affermato che, quando le
norme comunitarie ed in questo caso lo
stesso Trattato di Roma parlano di « Stato »
bisogna intendere non soltanto lo « Statoapparato » o lo « Statepersona » ma anche
lo a Stato-ordinamento » nel senso che la definizione dei poteri pubblici è rinviata alle
scelte costituzionali interne ai vari sistemi
e, in questa visioiie del diritto internazionale comunitario, le Regioni, in quanto soggetti investiti di potestà normativa, ben possono instaurare rapporti diretti con le autorità comunitarie, in particolare al fine del
controllo comunitario delle proprie leggi
quando esso è previsto.
Ecco che, allora, non solo l'attuazione
degli atti comunitari è di spettanza regionale nei casi e con i limiti visti, ma, quando
tale attuazione si realizza nella forma delle
leggi regionali, si configura uno spazio per
rapporti diretti Regioni-CEE, quanto al controllo comunitario su tali leggi, nelle forme
« collaborative e preventive » di cui alle norme comunitarie stesse.
Resta il « c o m e » e il « d o v e si saldano
questi rapporti. Se ne parla ormai da molti
mesi e le Regioni manifestano una comprensibile prudenza a definire una linea di
comportamento al riguardo. C'è sempre
- tutto sommato - quella circolare della
Presidenza dcl Consiglio e c'è senipre la
))
- -.
-
vigilanza non permissiva dei Commissariati
di Governo sulle c.d. attività internazionali
delle Regioni (sulle quali, ora, mi soffermerò un momento, in conclusione)! Ma credo
che possiamo dire che, se siamo convinti
di interpretare correttamente la Costituzione
e la legislazione comunitaria vigente, t: giunta
l'ora che le Regioni compiano qualche atto
risolutivo in questa qzterelle. Se la nostra
patria è l'Europa, Bruxelles non è niente
di più e niente di meno che Roma; e come
a Roma - capitale della Repubblica - abbiamo stabilito punti e momenti di presenza
regionale per svolgere compiutamente le nostre funzioni costituzionali altrettanto è venuto il momento di fare dove sta la capitale d'Europa.
10.
Infine un cenno al tema della c.d.
regionale di rilevanza internazionale ». Le circolari governative non sono mai
mancate su questo punto. I1 più recente
ritorno su di esso è la circolare n. 200 del
28 maggio 1973 della Presidenza del Consiglio
dei Ministri. I termini del problema sono
noti. 11 Governo si dichiara l'unica istanza
dcll'ordinamento abilitata a parlare all'estero, ad avere rapporti, a prendere iniziative.
Alle Rcgioni rimane escluso ogni contatto
nelle sedi internazionali c comunitarie « anche in via ufficiosa D.
Da parte delle Regioni sì sostiene correttamente che una cosa è impcgnarc lo
Stato all'estero con trattative e svolgere tutta
l'attività di « trattazione » relativa agli accordi internazionali, spendere cioè il c.d.
«potere estero » che è il potere di rappresentare e difendere nelle sedi internazionali
gli interessi nazionali - di assoluta, indiscussa spettanza del Governo -, ed altra
cosa è svolgere, in materie di propria competenza, attività che hanno un mero rilievo o K respiro » internazionale, un'attività
« meramentte lecita », come viene detto.
Appare assurdo che si contrasti alle Regioni ciò che è riconosciuto a Province,
Comuni, Enti pubblici e privati (si pensi ai
gemellaggi degli enti locali), Pino a negare
-
« attività
))
un settore della sala, mentre parla Lagorio
.
febbraio 1974
COMUNI D'EUROPA
alle Regioni - come è accaduto - il finanziamento necessario per partecipare a convegni di studio all'estero su materie di competenza regionale.
Anche su questo punto, naturalmente, le
Regioni sono pronte ad un franco discorso,
desiderose di individuare una soluzione, ineccepibile sul piano costituzionale, tale da sottrarre però i rapporti tra Governo e Regioni
alla angustia delle circolari riduttive o ultimative, e capace, invece, di favorire la costruzione di una Pubblica Amministrazione
nuova, nello spirito del dettato costituzionale.
11. - Per concludere, con la nascita delle
Regioni, il tradizionale quadro istituzionale
italiano è e deve risultare profondamente
mutato. Allo Stato centralizzato si è sostituita, e comunque deve sostituirsi, la Repub-
Nuovi Poteri locali
aderenti al1'AICCE
Regioni
Pop.
Abruzzo
1.166.694
Marche
1.359.907
Comuni:
Contarina (RQ)
Gaglione (MC)
Ginosa (TA)
S. Felice Circeo (LT)
San Salvo (CH)
7.628
661
17.373
6.547
7.502
Selargius (CA)
12.110
Sestino (AR)
Spinoso (PZ)
Ventotene (LT)
1.887
1.827
508
blica regionale e autonomistica. I1 nuovo
assetto statuale, che tanto fatica a consolidarsi e a dare i suoi frutti, trova in una
corretta definizione dei rapporti CEE-StatoRegioni, uno dei momenti essenziali e di
maggiore impegno costruttivo.
Ma proprio l'esame dello stato di questi
rapporti mette in luce che ogni volta che ci
sono stati dei « baiichi dz protJu » pcr dimostrare tre cose: la disponibilità della Comunità Europea ad avvalersi di questo potente
fatto innovativo che sono le Regioni, la capacità dell'Amministrazione Centrale italiana
di sostenerlo e spingerlo innanzi, la prontezza delle Regioni a comportarsi come un
livello di autentico potere politico in Italia,
non si t: marciato come si sarebbe dovuto.
La N tendenza riduttiva », che caratterizza
l'Amministrazione Centrale nei suoi rapporti
con le Regioni, è dura a morire, non cede
il passo, e gli uomini politici di Governo che
pure sono espressione di partiti regionalisti
non sempre - diciamolo francamente! - si
muovono bene per disperdere le resistenze
e le renitenze antiregionaliste che si trovano
di fronte. Anche la materia comunitaria
spinge a fo'rmulare la preoccupazione che
le Regioni, nate in un singolarissimo momento politico di forte spinta democratica
del Paese, siano state poi costrette ad una
logorante e troppo lunga guerra di trincea.
Da qui la necessità di ottenere rapidamente
qualche risultato positivo, qualitativamente
importante perché si possa avere e accelerare una inversione di tendenza.
La carta dei rapporti con l'Europa può
essere la carta giusta da giocare per un
rilancio delle Regioni.
Certo - m a non sta a me parlarne stamani in questa sede - neanche l'Europa
sta bene. Non penso tanto alla sua presenza
e al suo ruolo nella grande crisi di quest'autunno, che pure è stata una grande cartina
di tomrnasole. Penso di più alla lentezza e
alla stanchezza con la quale si adempie agli
impegni assunti appena un anno fa in un
Vertice solenne da tutti i Capi dell'Europa.
Penso di più a certi recenti capitoli di quella
storia che è stata chiamata il «processo di
emarginazione » dell'Italia dalllEuropa.
Non si tratta di esprimere amarezze di tipo
diplomatico. Un'Europa diplomatica esprime
un'immagine di sé che non conquista nessuno.
I1 problema è di dediplomatizzare al massimo quello che c'è, di inserire una spinta
popolare nelle politiche europee.
Ci sono proposte politiche precise che vengono avanti nel nostro paese, proprio in
questa direzione: dalla revisione del Trattato
ai più ampi poteri del Parlamento. A me
sembra che le Regioni - proprio per la
maggiore freschezza e immaginazione che
contraddistinguono la loro classe politica dirigente, proprio per il legame non casuale e
non episodico che le Regioni hanno stabilito
con due potenti realtà della vita nazionale
(il movimento delle Autonomie locali e il
movimento sindacale) - possono essere uno
strumento di avvicinamento dell'Europa-istituzione ai popoli europei. Ma allora dobbiamo tutti contribuire di più perché si stabiliscano rapporti prolfondi fra la CEE e le
Regioni.
Siamo pessimisti? Siamo ottimisti? Meglio
dire che vogliamo essere realisti.
I1 buon diritto è dalla parte delle Regioni:
esso nasce dallo spirito del diritto comunitario; dal dettato costituzionale che esalta
- nell'unità della Repubblica
tutte le
forme e i punti di autonomia della nostra
vita nazionale; nasce dalla assoluta, costante
fedeltà delle Regioni a questa unità della
Repubblica.
Una linea politica giusta sorregge l'azione
delle Regioni. Questa linea parte da due convincimenti: dal convincimento che la strada
del rafforzamento e dell'ammodernamento
dello Stato passa attraverso l'affermazione
piena del ruolo delle Regioni e delle autonomie locali; e dal convincimento che la
proposta che le Regioni fanno di essere
interlocutori integrati dellJEuropa può contribuire ad aiutare l'Europa nei momenti
difficili che attraversa.
Questa è la realtà. Ecco perché preferiamo ancorarci ad essa, piuttosto che indagare sui nostri sentimenti più privati, sul
pessimismo o sull'ottimismo dei nostri pensieri.
Abbiamo fatto quel che dovevamo, continueremo a farlo. Abbiamo preparato ciò
che doveva essere preparato. Ora avvenga
quel che può.
-
l'intervento di Martini
Martini, prendendo la parola subito dopo
la relazione Lagorio, lo ha ringraziato per
il contributo dato ai lavori del Coiisiglio
Nazionale nella sua qualità d i « operatore
politico » in grado d i richiamare ad esperienze e di esprimere valutazioni tratte dalla
concreta attività d i ogni giorno.
La relazione Lagorio - ha ricordato Martini - si inserisce puntualmente i n rin discorso coerente che I'AICCE sta si~ilitppando
da anni (") e del quale è stato riassr~tzto
l'« iter » essenziale, per cotizodità dei rizerizbri
del Consiglio Nazionale, in u n o schenzatico
docziii7eiito collocato nella cartella di lavoro.
Ciò iioii rispoiide a preoccupazioni di « filologia politica » m a è u n mezzo per verificare
oggi la bontà di certe intuizioni ed indicazioni
del passato, e quindi la coerenza di una azione politica. La volontà dell'AICCE di a f f e r rizare itn ruolo europeo, e n o n solo nazionale,
delle Regioni, emerse chiaramente f i n dal
l o Congresso nazionale dell'Associazione, tenutosi a Forlì nel 1955: la relazione f u tenuta
dal prof. Mortati, u n o dei nostri « consulenti » più stimati per la stia competenza giuridica e la sua carica politica. Nel 1960, agli
Stati generali di Cannes del CCE, il prof. Ambrosini, allora m e m b r o della Corte Costituzionale, delineava nella sua relazione generale
il significato dello « Stato regionale » italiano
nella prospettiva dell'integrazione europea.
Oggi quelle intuizioni e qitegli orientamenti
vanno calati nella realtb regionale finalmente
esistente. Questa battaglia delllAICCE in favore del regioiuzlisrno ha due aspetti complementari. Da itn lato la difesa, senza cedimenti - corize ci è stato giustamente ricordato nella relazione Lagorio -, delle prerogative costituzionali regionali nel contesto
dell'equilibrio dei poteri del nostro ordinamento interno. Dall'altro, la presenza delle
Regioni sul piano europeo e il consegzfente
dialogo tra esse e le Istituzioni comunitarie.
Le circolari del potere centrule che espriinon o u n o sforzo riduttivo di questo dialogo
( p e r la verità l'attuale Ministero per l'ordinamento regionale dimostra una maggiore
apertura per questi problemi) sono rizanifestazioni di una battaglia di retrogitardia. La
necessità di contatti, consultazioni, scatnbi
di iiiforniazioni tra Regioni e Comunità europea è orniai iiella realtà delle cose i n attesa che qzfeste esperienze confluiscano finalmente in qzfell'obiettivo politico che I'AICCE
( e il CCE) non cessano di evocare: la creazione di u n organismo ad hoc nel quadro
comunitario di rappresentanza e consultazione delle Regioni. Nel frattempo l'Ufficio
di collegarizento con le Conzunità che il CCE
(tratizite atzclze l'apporto determinante della
Sezione italiana) ha creato a Bruxelles potrà
costituire u n indispensabile punto di riferim e n t o di questo dialogo tra Enti territoriali
e Istituzioni europee.
Questo dialogo - ha prosegziito Martini hu due aspetti: politico-istitzf7io1zalc e funzionale. Tralasciando qui il priino aspetto, sul
quale abbiamo tante volte insistito e che
costituisce lo stesso presupposto del secondo
aspetto, va ricordato l'interesse degli enti
regionali e locali ad urz pii1 terripestivo, am(") V. in proposito il fondamentale volume
La Regione italiana nella Comunità europea »
- opera collegiale di amministratori locali e di
studiosi - edito dall'AICCE nel 1971.
«
febbraio 1974
pio e intelligente utilizzo di alcune possibilità finanziarie offerte dalla Comunità.
Parallelamente a questo dialogo diretto Regioni-Comiiiiità, I'AICCE intende farsi proinotrice di una iniziatiija legislatiiu delle
Regioni ( a sensi dell'art. 117 della Costitmzione) per porre su u n binario politicamente
corretto e giziridicanlente garantito la partecipazione delle Regioni alle attività dei
poteri centrali dello Stato (Parlamento e
Governo) ogniqmalvolta si affrontano problemi della Comunità clze toccano però materie di coinpetenza regionale. Per questo
I'AICCE è grata al prof. Sergio Carbone, dell'Università di Genova, di aver accettato il
nostro invito a prendere la parola in questo
Consiglio Nazionale, per fornirci più preci-
COMUNI D'EUROPA
si elementi pei- I'impostazione di questa
azione.
Concludendo, Martini ha sottolineato il
ruolo originale delllAICCE fondato da u n
lato sulla riforma istituzionale dello Stato
i n senso autonomistico e, dall'altro, sulla
partecipazione attiva degli Enti territoriali
al processo di integrazione europea. Legando
tra loro i due discorsi- compito clie nessun
altro organismo svolge in Italia - 1'AICCE
dà u n contributo essenziale all'inseriinento
della nostra democrazia in una più ampia
e moderna democrazia europea: al conseguimento di questo obiettivo non deve mancare
il necessario supporto degli Enti territoriali,
comrinali provinciali e regionali del nostro
Paese.
'' Affari comunitari ", compete:nze dello Stato
e partecipazione regionale
di Sergio Carbone
1. - A distanza di due anni dall'istituzione
e dal funzionamento degli enti regionali a
statuto ordinario è ancora molto difficile
definire con precisione lo spazio politico
loro riservato nell'ambito del nostro sistema
costituzionale. Trovare la dimensione esatta
in cui inquadrare i problemi relativi al funzionamento degli enti regionali è, infatti,
ancora oggi compito assai arduo anche se
precise tendenze in senso riduttivo delle au.
tonomie regionali si vanno progressivamente
affermando. Esempio molto significativo dell'evoluzione riduttiva ora accennata riguarda
proprio la progressiva sottrazione alle competenze regionali di tutti quegli aspetti delle
materie loro a f f i d a t e ex art. 117 Cost. che
sono in qualche modo riconducibili ad una
disciplina dettata ed elaborata nell'ambito
dell'ordinamento internazionale ed in particolare nell'ambito dell'ordinamento comunitario.
Limitiamoci a quest'ultimo aspetto, particolarmente rilevante sia per l'articolata proiezione della normativa comunitaria già in
vigore in materia di competenza regionale
(ad esempio, nel settore dell'agricoltura e
dei trasporti) sia per il progressivo sviluppo
dell'azione CEE attraverso una sempre più
ampia e frequente utilizzazione della norma
in bianco prevista dall'art. 235 Trattato di
Roma (ad esempio, a proposito della politica
regionale e della protezione dell'ambientel.
Ed è sufficiente ricordare, a questo proposito, quanto è stato previsto nei decreti di
trasferimento delle funzioni amministrative
dallo Stato alle Regioni, quanto è stato deciso
dalla Corte Costituzionale (specialmente in
occasione della famosa sentenza n. 142 del
24 luglio 1972) e quanto è stato proposto da
parte governativa in occasione della presentazione al Parlamento nazionale del progetto
di legge relativo all'attuazione ed alla integrazione normativa nel nostro ordinamento
delle direttive comunitarie n. 159, 160 e 161
del 17 aprile 1972. Come è noto, infatti, in
tali occasioni si è sempre ribadito che, sia
l'esigenza del rispetto degli obblighi internazionali ed in particolare degli impegni
comunitari, sia l'esigenza di una rappresentazione unitaria verso l'esterno di tutti gli
interessi della comunità nazionale, rappresentano un limite preclusivo dell'esercizio
di ogni competenza regionale in proposito:
così si affida agli organi centrali del nostro
ordinamento non solo il compito di essere
gli unici interlocutori della Comunità, m a
anche l'esclusiva responsabilità delle scelte
italiane in sede comunitaria oltrecl-ié della
loro attuazione nel nostro ordinamento.
Questa conclusione, è ben vero, sembra
trovare il suo fondamento giuridico sia nella
mancanza di un potere sostitutivo dello Stato
nei confronti delle Regioni in caso di loro
inattività sia nella connessione inscindibile
tra il momento di assunzione dell'impegno
comunitario ed il momento della sua attuazione, ma non è certamente coerente con le
legittime aspettative delle Regioni a godere
di quello spazio politico loro riservato dalla
stessa disciplina costituzionale. Né il solo
mezzo della c.d. delegazione dei poteri dallo
Stato alle Regioni, secondo le indicazioni che
emergono dalla stessa giurisprudenza della
Corte Costituzionale e dalla relazione alla
proposta governativa di attuazione delle direttive comunitarie in tema di agricoltura,
può consentire una reale soddisfazione di
tali esigenze.
I n realtà, se si vuole rispettare il riconoscimento costituzionale del valore delle comunità intermedie si deve, quanto meno,
ammettere che non è possibile una completa
estromissione delle Regioni sia dalla elaborazione sia dall'attuazione delle più importanti scelte relative ad interi settori di materie loro affidate ex art. 117 Cost. sulla
base del troppo semplice rilievo che tali
scelte riguardano gli « affari esteri » e, pertanto, devono appartenere esclusivamente
allo Stato. Invero, come d'altronde l-ia riconosciuto la stessa Commissione parlamentare
per le questioni regionali, il sistema costituzionale italiano, proprio perché costruito
secondo un modello pluralista che riconosce
a più centri di iniziativa, di controllo e di
forttzazione del consenso la N partecipazione »
alle decisioni politiclie, deve favorire l'inserimento delle Regioni nel procedimento di
formazione e di attuazione delle scelte di
politica comunitaria relative a materie di
loro competenza anche se spetta, poi, allo
Stato presentarle all'estcrno e garantirne
l'attuazione all'interno del nostro ordinamento, dopo la loro approvazione a livello
comunitario.
L'inserimento e la partecipazione regionale alle scelte politiche statali da far valere
a livello comunitario e/o in attuazione di
impegni assunti in tale sede sembra, d'altro
canto, quanto meno auspicabile anche sotto
il profilo della coerenza interna dello stesso
ordinamento comunitario. Infatti, procedure
nazionali sempre più sensibili ad una maggiore partecipazione e ad un maggior controllo delle scelte politiche da far valere in
sede europea non solo consentirebbero, in
attesa di una migliore distribuzione delle
competenze (e di una migliore organizzazione) degli organi comunitari, un certo recupero di credibilità democratica alle decisioni concordate nell'ambito del Consiglio
dei Ministri CEE, ma garantirebbero sia un
coefficiente minimo di spontaneità di osservanza alle norme comunitarie (ed alle norme
interne disposte pcr la loro eventuale integrazione) sia una più capillare raccolta delle
istanze locali interessate a molte materie di
competenza comunitaria. Tanto più che l'esigenza di favorire le preventive consultazioni
(e di ottenere il consenso) dei vari centri di
interesse e di decisione po'litica coinvolti
nell'azione di organismi internazionali da
parte delle varie delegazioni nazionali è stata
da più parti sollecitata, anche nell'ambito di
organizzazioni che ricalcano gli schemi classici della cooperazione internazionale (senza
preoccuparsi di realizzare una sempre maggiore integrazione dei sistemi dei vari Stati
membri), proprio al fine di garantirne il
miglior andamento ed il più corretto funzionamento.
2. - Sotto il profilo da ultimo indicato,
e cioè sotto il profilo della garanzia di una
efficace azione comunitaria del nostro governo (coerente ai reali interessi della comunità nazionale e risuondente alla necessità
dei relativi adempimenti) è opportuno precisare che quanto abbiamo osservato non
intende per nulla porre in discussione la
titolarità ( e la correlativa assunzione di responsabilità) da parte degli organi statali
delle competenze normative alla determinazione dell'atteggiamento del nostro paese in
sede comunitaria. Si tratta, invece, molto
più semplicemente, di riseri>are uno spazio
politico alle Regioni nella elaborazione di
tali scelte.
I n altri termini, è ben vero che sul piano
internazionale lo Stato (nel senso di Stato
centrale c/o Stato unitariamente considerato) compare quale unico portatore di interessi e di situazioni giuridiche soggettive
che si riferiscono a tutta la comunità internazionale essendo a d esso soltanto conferiti i
poteri a tal fine necessari. Ed è anche vero
che questa situazione è, almeno in grande
misura, ancora rispondente al concreto funzionamento dei principali organi dell'esecutivo comunitario. Ma è altrettanto vero che
il riconoscimento agli organi centrali dello
Stato italiano dei poteri esclusivi nella determinazione degli atteggiamenti del nostro
paese in sede comunitaria non esclude che le
Regioni debbano influire in modo assai vario
sugli indirizzi che i rappresentanti del governo devono far valere nelle riunioni in
cui si discutono problemi particolarmente
importanti per lo sviluppo di alcune regioni
o materie di esclusiva o concorrente competenza degli organi regionali. Anzi, a questo
proposito, non sembra possibile disconoscere
che alcune scelte degli obiettivi da perseguire (oltreché la determinazione dei mezzi
per tutelare gli interessi italiani) in sede
comunitaria dovranno essere particolarmente
sensibili alle posizioni evidenziate dalle varie
Regioni. I1 che, tra l'altro, sembra confer-
COMUNI D'EUROPA
ternazionale (ed in particolare in materia
comunitaria) non solo è coerente, ma risponde perfettamente ai principi del nostro
sistema costituzionale consentendo di giungere in forma semplice e piana a d importanti
risultati.
Peraltro, l'esperienza vissuta dal nostro
sistema, anche in settori diversi da quello
in esame, sconsiglia l'adozione del ~rzodello
partecipativo ora accennato che lascia, praticamente, ogni potere decisionale sulla opportunità, sui tempi e sul valore della consultazione regionale a quegli stessi organi
statali che dovrebbero essere da tale parere
influenzati nelle decisioni relative alla politica comunitaria. E la stessa attuazione pratica dell'art. 54 dello Statuto sardo ( e delle
altre norme di analogo contenuto che pur
prevedono espressamente la preventiva consultazione e la partecipazione regionale a
proposito della elaborazione delle decisioni
di politica internazionale rilevanti per gli
interessi regionali) rende evidente l'inefficacia di strumenti di questo tipo.
Più valida appare, pertanto, la ricerca di
una soluzione del problema in esame attraverso la formazione di organi consultivi e
deliberativi cui partecipino le rappresentanze
di tutte le Regioni e gli stessi organi governativi volta a volta interessati alle scelte di
politica comunitaria in discussione. Infatti, a
favore di questa soluzione si era già espressa
la Commissione parlamentare per le questioni regionali che ritenne, all'unanimita,
« che, con separati provvedimenti, occorre
(sse) assicurare alle Regioni, i cui poteri nelle
materie di loro competenza vengono limitati
dalle decisioni comunitarie ..., la possibilità
di partecipare a d organismi consultivi in cui
si formi la volontà politica che deve essere
espressa dal Governo in rappresentanza di
tutti gli interessi nazionali ».
D'altronde, questo modo di realizzare la
partecipazione regionale al funzionamento
di organi centrali dello Stato non solo appare coerente a modelli costituzionali adottati in altri ordinamenti pure partecipi dell'esperienza comunitaria, m a non è neppure
una novità assoluta per il nostro ordinamento. Basti pensare, infatti, per un verso,
alla esperienza vissuta di recente dall'ordinamento della Germania federale e, per alt r o verso, a quanto prevede l'art. 9 della
L. 27 febbraio 1967, n. 48 (il quale dispone
l'istituzione di una commissione interregionale per la discussione del programma economico nazionale) oppure alla disciplina
3. - I n particolare, per quanto riguarda
dell'art. 28 L. 12 febbraio 1968, n. 132 (in
la detcrminazione delle forme e dei modi
cui si regola la composizione ed il funzionaattraverso i quali le Regioni possono operare mento del Comitato nazionale per la pronel senso indicato nei paragrafi precedenti
grammazione ospedaliera cui partecipano,
a proposito dell'elaborazione delle scelte del come è noto, tutti gli assessori regionali
nostro paese da far valere in sede comunidella sanità). Si tratterà, quindi, di corregtaria, si potrebbe pensare all'obbligo da parte gere le carenze rilevate in occasione del fundegli organi statali, prcposti alla rappresen- zionamento di questi strumenti partecipativi
tanza delle istanze nazionali, di acquisire
regionali e/o di adeguarli alle particolari
preventivamente una esatta conoscenza delle esigenze e caratteristiche del funzionamento
concrete necessità ed aspettative delle Re- del modello comunitario. Ma non si tratterà
gioni attraverso la richicsta di un parere
di sperimentare istituti del tutto ignoti al
non vincolante. Tale soluzione è senz'altro nostro sistema e privi di un collaudo favoconforme a d una prassi che si sta, sia pure
revole in altri ordinamenti giuridici proprio
stentatamente, affermando e che trova nel- con riguardo alla specifica esperienza comul'art. 52 dello Statuto sardo, e di qualche nitaria.
altra Regione a statuto speciale, il più siA questo proposito, anzitutto, proprio a
gnificativo riscontro normativo. E, forse per
causa
della eterogeneità delle materie di
questo motivo, essa ha incontrato un certo
competenza
comunitaria, la Commissione infavore anche in una parte della dottrina la
terregionale ora accennata dovrebbe essere
quale non ha esitato ad affermare che questa
costituita presso la Presidenza del Consiglio
forma di partecipazione delle Regioni alle
decisioni politiche dello Stato in materia in- dei Ministri e dovrebbe essere composta dai
mato da quanto si è di recente osservato in
sede governativa proprio da parte dello stesso ministro dell'agricoltura il quale non ha
esitato a d affermare che lo Stato è ( e deve
essere) il punto centrale di riferimento per
ciò che concerne la politica comunitaria. Infatti, se lo Stato-ente devc intendersi come
ccntro di riferimento degli interessi nazionali per le politiche comunitarie è evidente
che esso potrà funzionare come tale solamente in quanto ad esso facciano riferimento
effettivo tutti gli altri enti che nell'ambito
dell'ordinamento interno sono responsabili
dei relativi settori sottoposti alla disciplina
comunitaria e, quindi, in modo particolare,
gli enti regionali.
Ma una volta affermata l'importanza che
in uno Stato pluralista la scelta ed il perseguimento dei fini (anche relativi alla politica internazionale ed in particolare alla
politica comunitaria) non siano unilateralmente imposti dallo Stato-ente, ma derivino
dal concorso e dal contributo (se pur in
forme e con valori diversi) di tutti i soggetti
e di tutti gli enti che operano nell'ordinamento (ed in particolare delle regioni in
quanto centri di partccipazione e di promozione delle attività degli organi statali), è
opportuno precisare meglio i modi attraverso
i quali un tale risultato può essere raggiunto
quanto meno con riguardo alle regioni.
Si tratta, così, in questa prospettiva, di
individuare gli strumenti attraverso i quali
l'csercizio dei poteri centrali dello Stato deve
essere correlato ai poteri regionali sia nelle
scelte degli obiettivi da pcrseguire (oltreché
nella determinazione dei mezzi per tutelare
gli interessi italiani) in sede comunitaria sia
nell'attuazione concreta delle scelte in tal
modo adottate al fine di renderle operative
senza che ciò contraddica l'unitarietà della
politica di fini e di obiettivi perseguita in
sede comunitaria d a parte dello Stato italiano. Ed a questo proposito, si deve subito
ribadire che, in tal modo, le Regioni non
possono pretendere di incidere sulla titolarità delle competenze (e sulla conseguente
assunzione di responsabilità) degli organi
dello Stato preposti a rappresentare in sede
comunitaria gli interessi nazionali dovendosi,
invece, limitare a condizionarne l'atteggiamento attraverso modalità che consentano
di evidenziare le istanze locali e di utilizzare il nuovo canale di partecipazione democratica alle scelte politiche del paese che
csse, appunto, rappresentano.
febbraio 1974
Presidenti delle Amministrazioni regionali e
dai Presidenti delle Province autonome di
Trento e Bolzano ( o da un assessore da essi
delegato, competente sugli argomenti all'ordine del giorno) oltreché dallo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri (o da un suo
delegato) e, volta a volta, dal Ministro ( o
un suo delegato) titolare del dicastero competente per materia sui problemi in discussione.
Per quanto riguarda, poi, l'oggetto delle
attribuzioni della Commissione interregionale per la elaborazione delle politiche comunitarie, ad essa dovrebbe spettare in primo luogo, il compito di esprimere il proprio
parere sia in relazione alle proposte della
Commissione della CEE pubblicate dalla
G.U. della CEE (ed in previsione dell'inserimento delle proposte stessc o di determinate
materie all'ordine del giorno del Consiglio
dei Ministri delle Comunità Europee) sia in
relazione ad affari attinenti agli accordi relativi alle Comunità Europee che incidano su
materie affidate alla competenza regionale
ex art. 117 Cost. I n secondo luogo, sembra
opportuno affidare a tale Commissione anche la competenza a prendere in esame gli
atti normativi ed amministrativi emanati
dal Consiglio dei Ministri delle Comunità
Europee al fine di esprimere in un documento il proprio avviso sulle possibilità di
conseguenti iniziative da parte del governo
e/o del Parlamento. I n terzo luogo la Commissione dovrebbe vagliare la opportunità
di rimettere i progetti di legge, approvati
dai Consigli regionali, ai competenti organi
comunitari per i relativi controlli di conformità previsti dalla normativa comunitaria.
E, nell'esercizio di tale funzione, la Commissione dovrebbe essere in grado di impegnare
il Ministero degli Affari Esteri a chiedere
agli organi comunitari l'adozione di procedure urgenti in riferimento a progetti di
legge regionale, preventivamente notificati
alla Commissione delle Comunità Europee,
che siano stati approvati dai Consigli regionali nel secondo semestre dell'anno al fine
di evitare il pericolo di ulteriori residui passivi nelle finanze regionali.
Per quanto riguarda, infine, i poteri affidati alla Commissione in esame, essi non
devono essere tali, è ben vero, da incidere
sulla titolarità delle competenze degli organi
statali che fanno parte di ( o sono preposti
alle relazioni con) organi co'munitari, ma
devono essere, per converso, sufficienti a garantire una reale partecipazione delle regioni
alle loro determinazioni. Ed un equilibrio
in questo senso potrebbe essere utilmente
realizzato vincolando l'azione comunitaria
del governo solamente nel caso in cui le
direttive emerse in sede di Commissione
interregionale abbiano conseguito una certa
maggioranza qualificata (ad esempio, la maggioranza dei 213 dei partecipanti ivi compresi i rappresentanti governativi) con facoltà, peraltro, di disattendere comunque
tali determinazioni previo voto favorevole
del Parlamento o delle Commissioni parlamentari competenti.
4. - Le forme ed i modi ora indicati per
la partecipazione regionale all'attività degli
organi centrali dello Stato in riferimento
alla elaborazione delle c.d. politiche co~nunitarie in materie incidenti sulle competenze
regionali può essere realizzato a livello normativo attraverso differenti strumenti legislativi. E cioè, da un lato, attraverso un
apposito provvedimento normativo espressa-
febbraio 1974
-
p
~
~
~~p~
inente ciedicato alla determinazione di tale
procedura, dall'altro, attraverso l'inserimento di alcune norme rivolte a tal fine
nelle stesse leggi-quadro relative alle materie
di interesse comunitario se di tali leggiquadro si accoglie una nozione non eccessivamente riduttiva e, pertanto, sufficientemente ampia da comprendere principi procedimentali e/o norme di struttura implicite
nel nostro sistema costituzionale anche se
non ancora espressamente evidenziate in alcun provvedimento normativo di tipo settoriale.
La prima alternativa, peraltro, appare la
più semplice e di rapida realizzazione non
solo perché garantisce immediatamente risultati omogenei per ogni materia di competenza comunitaria e di interesse regionale,
ma anche perché consente una chiara determinazione delle funzioni attribuite alle Regioni nella elaborazione delle politiche comunitarie la cui determinazione spetta, poi,
agli organi di governo. Tanto più che la
soluzione accennata permette agli stessi organi regionali di fare in proposito concrete
proposte operative al Parlamento nazionale.
Infatti, anche a voler accogliere la interpretazione più restrittiva dell'art. 121 I1 comma
Cost. l'interesse regionale all'approvazione di
una legge del tipo indicato appare indubbio.
5. - La Co~mmissione interregioaale indicata nei paragrafi precedenti e la procedura relativa al suo funzionamento potrebbero, inoltre, essere proficuamente utilizzate
anche in una differente prospettiva per
garantire la presenza regionale in occasione
dello svolgimento dell'attività di governo
per l'attu~nzione normativa nel nostro ordinamento degli atti comunitari la cui operatività nell'ambito dell'ordinamento nazionale
è co'ndizionata ad una ulteriore attività a
livello statale.
Sotto questo profilo, infatti, il sistema di
partecipazione regionale indicato nei paragrafi precedenti consentirebbe di non escludere le Regioni dal procedimento di formazione di quegli atti normativi nazionali che
normalmente riproducono e completano il
contenuto di atti co'munitari attraverso lo
strumento del decreto legislativo.
Non si tratta, in questa sede, di discutere
il problema di stretto diritto costituzionale
relativo alla legittimità dell'adozione di atti
normativi di questo tipo ed in particolare
del rispetto delle attribuzioni parlamentari
e della norma costituzionale che impone la
preventiva definizione di « principi e criteri
direttivi » nell'esercizio del potere delegato.
E non si tratta neppure di discutere l'esattezza dell'affermazione della Corte Castituzionale contenuta nella sentenza n. 142 del
24 luglio 1972 in cui, come è noto, si è affermato che, in difetto di un espresso strumento co~stituzionaleche consenta allo Stato
italiano di imporsi, ed eventualmente sostituirsi, all'ordinamento regionale illegittimamente carente nell'adeguamento e nella integrazione dei provvedimenti comunitari, è
necessario riconoscere una autonoma competenza statale nell'attuazione normativa dei
provvedimenti adottati a livello comunitario.
Si tratta, invece, molto più semplicemente,
di riaffermare che attività del tipo in esame,
allorché comprendano ed in grande misura
esauriscano la disciplina di materie contemplate dall'art. 117 Cost., siano svolte senza
ignorare la presenza regionale nel nostro
ordinamento. Ed a tal fine la tecnica partecipativa indicata nei paragrafi precedenti
sembra senz'altro assai congrua consentendo,
tra l'altro, una opportuna rivalutazione delle
competenze del Parlamento almeno nel caso
in cui la soluzione prevalente a livello di
Commissione interregionale non concordi con
la posizione governativa.
Né si può rilevare in senso contrario che
una soluzione di questo tipo, accettando
realisticamente la soluzione proposta dalla
Corte Costituzionale, escluda un minimo di
spazio operativo, da più parti esattamente
rivendicato, sia nell'ipotesi in cui la legislazione statale di attuazione degli impegni comunitari non sia del tutto coerente con la
tutela di alcuni interessi e/o esigenze locali
(e queste ultime possano essere facilmente
realizzate nel rispetto degli impegni comunitari e dei principi fondamentali ricavabili
dal nostro sistema e dalla stessa legislazione
statale di attuazione degli impegni comunitari) sia nell'ipotesi in cui la legislazione
statale di attuazione degli impegni comunitari manchi del tutto e la Regione intenda
adeguarsi autonomamente a questi ultimi nel
rispetto dei principi fondamentali del nostro
sistema.
Infatti, il riconoscimento della necessità
della partecipazione regionale all'elaborazione degli atti statali di integrazione normativa dei provvedimenti comunitari non
esclude, di per sé, il potere delle Regioni
di completare, nei limiti delle loro competenze ed in eventuale difformità dalle determinazioni degli organi statali, gli aspetti
normativi delle direttive comunitarie al fine
di renderle maggiormente coerenti alle esigenze dei rispettivi ambiti territoriali. Una
tale partecipazione, se mai, garantisce solamente che l'esercizio dei « poteri decisivi »
affidati allo Stato nell'attuazione degli impegni comunitari per evitare eventuali carenze normative regionali sia regolato in
modo da tenere debito conto degli equilibri
istituzionali del nostro ordinamento e delle
esigenze regionali.
6. - Si intende, così, tra l'altro affermare
che, per quanto riguarda l'attuazione nell'ordinamento italiano degli atti comunitari
attraverso una loro integrazione normativa,
il riconoscimento, effettuato dalla Corte Costituzionale e dalle proposte governative di
attuazione delle direttive sull'agricoltura, dei
poteri a tal fine necessari agli organi statali
non implica che l'esercizio di queste attività
sia completamente precluso agli organi regionali. Infatti, l'attribuzione agli organi statali dei poteri necessari per rendere operativi
nell'ordinamento italiano gli atti delle Comunità Europee che implicano una ulteriore
integrazione normativa può essere giustificato soltanto come momento necessario del
nostro sistema costituzionale rivolto ad impedire eventuali inadempimenti internazionali dello Stato e, non già, ad espropriare
interi settori di materie affidati alla competenza regionale dall'art. 117 Cost. e cioè,
il riconoscimento dei poteri ora accennati
agli organi centrali dello Stato può considerarsi coerente al nostro sistema costituzionale soltanto nella prospettiva di garantire
la effettività della K supremacy clause dello
Stato e degli impegni internazionali sulle
competenze e sui poteri regionali in man))
canza di istituti analoghi alla Bundes-execution che prevedano, nell'ambito del nostro
ordinamento, il potere sostitutivo dello Stato
nei confronti delle Regioni per eventuali inadempienze e carenze normative (e/o amministrative) di queste ultime.
Sotto il profilo indicato, così, non può
essere negato agli organi regionali il potere
di completare nei limiti delle loro competenze, ed autonomamente dalle determinazioni degli organi centrali dello Stato, gli
aspetti normativi delle disposizioni comunitarie al fine di renderle coerenti alle esigenze
ed agli interessi locali nei limiti e secondo
i principi previsti dall'art. 117 Cost. Pertanto,
se esiste una legislazione statale di integrazione normativa degli atti comunitari essa
Sergio Carbone
costituirà un limite alla legislazione regionale solo nella misura in cui determini ulteriori disposizioni di principio che si affiancano e specificano quelle già direttamente
previste nel provvedimento comunitario cui
si vuole conferire concreta operatività. E per
converso, non costituiranno un limite all'esercizio della legislazione regionale tutte quelle
disposizioni di dettaglio eventualmente previste nello stesso atto legislativo statale.
Esse, infatti, saranno operative nell'ambito
degli ordinamenti regionali solamente sino
a quando non provvedano a tal fine i rispettivi organi legislativi o nel caso in cui questi
ultimi omettano di provvedere al riguardo.
D'altronde, la soluzione in esame appare
conforme al nostro sistema anche se analizzato nella particolare prospettiva adottata
dalla Corte Costituzionale in occasione della
sentenza n. 142 del 24 luglio 1972. Infatti,
ogni impostazione che, al contrario, ammettesse, in presenza di un impegno comunitario,
la completa espropriazione dei poteri legislativi delle Regioni, più che agevolare,
ostacolerebbe l'adempimento degli impegni
comunitari e, comunque, favorirebbe il verificarsi di situazioni di completa paralasi
in interi settori affidati dalla Costituzione
alla competenza regionale. Si pensi, ad esempio, al caso in cui, nonostante l'esistenza
di una direttiva comunitaria che richieda
per il suo concreto operare una ulteriore
integrazione normativa da parte degli organi
febbraio 1974
COMUNI D'EUROPA
nazionali a tal fine competenti gli organi
statali difettino di intervenire legislativamente. In questa ipotesi, che certamente non
può considerarsi di scuola se si hanno a
mente i frequenti inadempimenti e, comunque, ritardi degli organi statali italiani nella
attuazione degli impegni comunitari, le Regioni si troverebbero nell'ingrata posizione
di favorire, anchc contro la loro volontà,
gli inadempimenti statali sia perché non
possono legiferare al riguardo sia perché
non possono far valere alcuno strumento
giuridico nei confronti della illegittima omissione operata dagli organi statali.
I n conclusione, pertanto, da un lato, è
opportuno ribadire che venga assicurata una
effettiva partecipazione regionale alle scelte
governative a proposito della elaborazione
e dell'integrazione normativa degli atti comunitari affidandone la disciplina (non già a
generiche e casuali richieste di parere secondo la prassi in atto) ma ad una legge ad
hoc, eventualnzente d i iniziativa regionale
conformemente a quanto previsto dall'articolo 121 Cost., che precisi la procedura di
consultazione, l'istituzione di una apposita
Commissione interregionale ed i relativi poteri. D'altro lato, è necessario tenere presente
che l'attuazione nell'ordinamento italiano di
impegni comunitari che esigono una ulteriore
fase di integrazione normativa non è, comunque, preclusa agli organi regionali anche
se, al fine di impedirc il sorgere di una eventuale responsabilità internazionale, tale attività può essere svolta anche dagli organi
statali sia al fine di meglio precisare le
esigenze di unitarietà di funzionamento (fissando i principi fondamentali) del nostro sistema sia al fine di consentire la concreta
operatività della normativa comunitaria in
quelle Regioni che non provvedono autonomamente in tal senso.
Appendice bibliografica
verno in occasione della elaborazione dei Decreti
Note st~ll'esecuzione degli
p. 417 ss.; LA PERGOL~,
Delegati sul trasferimento delle funzioni alle
obblighi internazionali nelle materie di competenza del legislatore regionale, in Gittr. cost., 1960, regioni sia dalla Corte Costituzionale in occasione della nota sentenza 24 luglio 1972, n. 142
p. 1051 ss. spec. p. 1069 ss.; MORT~TI,
I limiti
(in Foro it., 1972, I, p. 3345). Tra i contributi
della legge regioizale, in Jus, 1959, p. 451 ss.;
più significativi, orientati in vario senso, cfr.
BERKARDINI,
Norme internazionali e norme itaConsiderazioni s t ~ l rapporto fra
liane statali e regioizali, in Riv. dir. iizt., 1964, DE VERGOTTINI,
direttiva comunitaria ed autonomia regionale, in
p. 80 ss. spec. p. 100 ss. e SCERNI,
Ordinamento
Notiziario giuridico regionale dell'unione itzdtlregionale e diritto internazionale, in Annali della
L'atFacoltà di giurisprucienza dell'Università di Ge- striale di Torino, 1972, p. 167 ss.; CRISAFULLI
tuazione delle regioni di diritto comune e la
nova, 1966, p. 263 ss.
Corte Costituzionale, in Politica del diritto, 1972,
Con specifico riferimento ai problemi relativi
p. 665 ss.; ROMAGNOLI,
Stato, regioni e norme
al colleganlento tra enti locali d'Europa ed alla
coinunitarie in materia di strtltture agricole, in
loro collaborazione con gli organi comunitari vedi
Diritto dell'economia, 1970, p. 517 ss.; ID., La
MARTINI,
LO svilzlppo eqtlilibrato delle regioni in
Europa: condizioni e wiezzi, in Foro amm., 1970, programmazione regionale in agricoltura: limiti
di competenza in relazione all'interesse comup. 518 ss.; CARW~KE,
Regioni a statuto ordinario e
diritto delle Comunità Etlropee, in Giur. it., 1971, nitario, in Riv. dir. agr., 1971, p. 813 ss.; ELIA,
IV, p. 178 ss.; ID., Il ruolo delle regioni, cit.
Decreto e fttnzioni internazionali. Il trasferimento
dell'agricoltura alle regioni, in INEA-ISAP, Agrip. 41 ss.; CONDORELLI,
Le regioni a statuto ordinario e la riserva statale in materia di rapporti
coltura e regioni, n. 4, p. 35 ss.; A M ~ T Oe BASSAinterizazionali, in Politica del diritto, 1973, p. 223
N I N I , Dibattito sul trasferimento delle funzioni
ss. In una differente prospittiva, vedi QUADRI,amministrative alle regioni di diritto comune, in
Giur. cost., 1971, p. 459 ss.; GI~NKINI,
Un giuQualche considerazione stilla politica regionale
dizio stll decreto, in Agricoltura e regioni, n. 4,
della CEE, in Annuario di diritto internazionale,
1967-1968, p. 397 ss.
p. 33 ss.; MORTATI,
Istittlzioni di diritto pubblico,
I problemi relativi all'attuazione anlministra- Appendice alla VI11 ed., Padova, 1972, p. 48 ss.;
tiva ed alla integrazione normativa degli atti
CONDORELLI
e STROZZI,
L'agricolttlra tra CEE,
comunitari sono stati affrontati nella nostra lct- Stato e Regioni, in INEA-ISAP, Agricoltura e
teratura con riferimento specifico alle direttive
Regioni, n. 7, 1973; CONDORELLI,
Le Regioni a
CEE sulla struttura delle imprese agricole ed
statuto ordinario, cit., p. 223 ss.; CONFORTI
e
alla conseguente posizione negativa delle compe- CARBONE,
Regione a statuto ordinario, cit., p. 178
tenze regionali assunta in proposito sia dal Go- ss.; ID.,Il ruolo delle regioni, cit., p. 41 ss.
I1 Vertice europeo di Copenaghen
di Giuseppe Petrilli
Consentitemi anzitutto di esprimere la mia
viva soddisfazione per l'onore che mi è stato
fatto affidandomi il compito di introdurre
il dibattito politico che si terrà in questa
sede. Io mi sento a d u n tempo ospite e
padrone di casa, in quanto i vostri lavori si
svolgono nella sede del Movimento Europeo
e grande è il mio compiacimento nel constatare una volta di più l'interpenetrazione
reciproca realizzatasi nell'ambito del nostro
Consiglio tra il Movimento Europeo - quale
momento di sintesi politica tra le forze politiche e sociali e le associazioni impegnate
nel nostro Paese nella battaglia federalista -
Una indicazione della letteratura giuridica
relativa ai problemi della determinazione dello
spazio riservato alle Regioni, nella elaborazione
e le sue componenti, t r a le quali una funziodegli atti comunitari e nella loro attuazione nel
ne primaria, in linea di valore m a anche in
nostro ordinamento t: stata già in altra sede
sviluppata con la necessaria ampiezza (cfr. C ~ R - termini operativi, spetta senza alcun dubbio
E ~ N E , Il ruolo delle Regioni nella elaborazione
all'Assuciazione Italiana per il Consiglio dei
ed attuazione degli atti comunitari, in Foro it.,
Comuni d'Europa. La vostra Associazione,
1973, V, 41 ss.). D'altro canto, l'occasione partiche
rappresenta la più importante proiecolare di questo lavoro sconsiglia di elaborare
zione di massa dello schieramento federaun apparato di note e di riprendere indicazioni
bibliografiche che non siano specificamente e
lista italiano e che anche a livello europeo
direttamente rclative all'argomento in esame.
si caratterizza rispetto alle organizzazioni
Ci limiteremo, pertanto, a cenni bibliografici
similari degli altri Paesi per una accentuata
essenziali.
e intransigente coerenza ideale e politica, ha
Tra i contributi nei quali sono variamente
evidenziati i conlplessi problemi di diritto costistabilito in questi anni rapporti molto stretti
tuzionale C diritto iiiternazionalc rclativi alla
e solidi con tutte le componenti del nostro
posizione delle Regioni rispetto alla elaborazione
Consiglio. Ciò è senza dubbio una riprova
ed alla attuazione degli atti normativi internadel cammino percorso insieme, nella prozionali, alcuni saggi sono ormai classici. Punti
gressiva costruzione di una struttura orgadi riferimento bibliografici essenziali per un inquadramento generale di tutta la tematica in
nizzativa nella quale ai gruppi più direttaesame sono gli scritti di PIERANDREI,
Sui rapporti
mente impcgnati in senso federalista è ricotra ordinamento statuclle ed ordinamento internauna funzione di lievito e di stimolo
zionale, in Giur. it., 1949, 11, p. 285 ss.; P ~ L ~ D I Knosciuta
,
nei confronti dell'intero schieramento poliSulle competenze connesse dello Stato e delle
Regioni, in Riv. trim. dir. pubb., 1959, p. 431 ss.;
tico e sindacale, per quanto attiene al vasto
MAZZIOTTI,
Studi sulla potestà legislativa delle
arco dei problemi dell'integrazione europea.
regioni, Milano, 1961, spec. p. 241 ss.; PERASSI,
I n questa prospettiva, la mia esposizione
La Costituzione italiana e l'ordinamento internaintroduttiva di stamani deve essere vista
zionale, in Scritti giuridici, Milano, 1958, I,
come un contributo che intendo offrire al
dibattito tra i vostri e i nostri militanti,
ponendomi all'interno di una linea di riflessione e di proposta largamente comune.
Questo Consiglio Nazionale si riunisce,
come tutti sappiamo, in un momento particolarmente delicato, alla vigilia del nuovo
Vertice dei Capi di Stato e di Governo
della Comunità Europea che si terrà a Copenaghen alla fine della settimana in corso.
I n una congiuntura come questa, più che
soffermarci sulla cronaca di avvenimenti
recenti e meno recenti, non potremmo fare
a meno - io credo - di situare per quanto
possibile il nostro dibattito odierno in una
prospettiva storica, chiedendoci quale sia il
senso del momento che attraversiamo, nei
suoi elementi di rischio e di speranza. Sentiamo tutti che gli ultimi avvenimenti hanno
di colpo conferito nuova attualità al problema delllEuropa nella coscienza dell'opinione pubblica e hanno rimesso in moto,
come fanno tutte le grandi crisi, un processo
che molti giudicavano bloccato per sempre.
Non vi è dubbio che una fascia molto larga
della pubblica opinione si senta oggi, sia
pur vagamente, investita da preoccupazioni
inconsuete, di fronte a problemi manifestamente non risolvibili nel suo ambito nazionale. Forse si può dire che un'ondata di
interesse come questa non si verificava fin
dagli anni del primo europeismo post-bellico:
quello, per intenderci, conclusosi col fallimento della CED. Come allora, è oggi il
senso di una crisi comune, e quasi della
necessità di ripartire da zero, ciò che conferisce attualità al discorso europeo.
Per comprendere davvero il senso di quello
febbraio 1974
COMUNI D'EUROPA
p
.
.
p
-
che sta accadendo è indispcnsabile comunque andare al di là di queste constatazioni
epidermiche, ricercaildo appunto una definizione storica del momento che attraversiamo.
Per quanto mi riguarda, io penso che ci
troviamo oggi prossimi al termine di una
particolare fase della storia dell'integrazione
europea: quella che, iniziatasi con la Conferenza delllAia del dicenbrc '69, ha trovato
nel cosiddetto « metodo del Vertice » la sua
espressione istituzionale più caratterizzante.
Quella delllAja fu indubbiamente una svolta,
alla quale io ritcnni - in polemica contro
posizioni massimalistiche, incapaci di guardare ai fatti con un senso della relatività
storica sufficiente e discernerne evoluzioni
apparentementc modeste ma tuttavia significative - si dovesse attribuire rilevante importanza, più che per i suoi risvolti positivi
non del tutto trascurabili, per le contraddizioni che mi appariva destinata a provocare
a breve scadenza. I1 nuovo corso inaugurato
all'Aja nasceva infatti da due sconfitte:
quella del vecchio funzionalismo comunitario,
fondato sull'ipotesi di un passaggio quasi
automatico dall'integrazione di mercato all'integrazione politico-istituzionale - funzionalismo definitivamente naufragato durante
la memorabile crisi dell'estate 1965, di fronte
alla politica della « sedia vuota » della Francia gollista - e quella dello stesso gollismo
originario, per il quale la Comunità costituiva
un semplice accordo commerciale, mentre la
sola Europa reale era quella degli Stati nazionali, di cui la Francia aveva la primogenitura storica e l'investitura ideale, per una
sorta di diritto divino. Scomparso dalla scena
politica il vecchio generale, anche questa
seconda ipotesi si era rivelata ormai manifestamente inattuale agli occhi dei suoi stessi
successori, dopo i successi puramente negativi registrati in passato, che avevano avuto
il solo risultato di « ibernare » a lungo l'intero processo di integrazione. Attraverso il
metodo dei Vertici - che era stato anch'esso
inventato » da De Gaulle in funzione anticomunitaria - i suoi successori credettero
di aver trovato un marchingegno capace di
rimettere in moto il sistema comunitario
senza tuttavia rinunziare al fondamentale
principio gollista dell'assoluta intangibilità
della sovranità nazionale.
L'aspetto positivo del nuovo corso consisteva quindi in sostanza nell'avere in qualchc
modo accettato quella che era stata la principale premessa teorica della costruzione
comunitaria: cioè a dire l'impossibilità di
operare, nelle attuali condizioni storiche dell'economia di mercato, un processo di integrazione economica puramente negativo e
non accompagnato da un correlativo coordinamento politico. I1 limite risiedeva viceversa nel non avere tratto lc indispensabili
conseguenze istituzionali di tale constatazione, riproponendo attraverso il metodo del
Vertice un tipo di negoziato intergovernativo di cui l'esperienza avrebbe rapidamente
dimostrato la radicale inefficienza. In definitiva. si era creato un compromesso ibrido
tra la posizione funzionalista - rafforzata
attraverso le spinte periodiche degli incontri
al Vertice - e la posizione gollista ortodossa,
P
11
P~p-~
.
p--p-.
~~
~
che veniva in qualche modo calata per tale
del sistema verticistico di garantire all'invia nella realtà dell'integrazione comunitaria. terno del processo di integrazione il primato
Dal punto di vista dell'efficienza, è facile
del momento politico sul momento econoormai rilevare come le contraddizioni in- mico e, di conseguenza, un orientamento
terne a questo nuovo corso si siano manife- dello sviluppo rispondente alle reali esigenze
state in tutta crudezza attraverso le vicende
della società. E' chiaro infatti - ed è appena
delllUnione Economica e Monetaria, che necessario ricordarlo a dei militanti qualifiavrebbe dovuto appunto rappresentare la
cati come quelli che compongono questo
nuova frontiera del processo di integrazione Consiglio - che la pretesa di « controllare »
e che, in presenza di una difficile congiuntura il processo di integrazione in atto al livello
internazionale e di un rapido acuirsi dei delle strutture economiche e finanziarie attramotivi di contrasto economico t r a la Comu- verso strumenti istituzionali rimasti alla fase
nità e gli Stati Uniti, ha finito viceversa per
della cooperazione intergovernativa non può
manifestare coi suoi ricorrenti insuccessi
che risultare velleitaria e come tale destil'impotenza politica dell'attuale sistema co- nata a sicuro insuccesso; essa conduce quindi
munitario. Lo stesso allargamento geografico
di fatto ad affidare alle forze economiche e
della Comunità, che ha costituito indubbia- in primo luogo alle grandi società multinamente l'acquisizione più positiva del nuovo zionali a controllo americano l'orientamento
corso, ha contribuito per altro verso ad esa- politico del processo di integrazione, con la
sperarne le contraddizioni, minando alla base conseguenza di erodere, in modo sostanziale
la posizione egemone esercitata a lungo dalla anche su surrettizio, le basi stesse dell'orFrancia e rendendo pertanto ancor più labo- dine democratico. In quanto incapace di
rioso il funzionamento del meccanismo deci- garantire la creazione di nuove sedi di parsionale. L'espressione cmblematica della crisi
tecipazione popolare al processo decisionale,
del sistema è stata data tuttavia dal Vertice il metodo verticistico si risolve altresì per
di Parigi dell'ottobre 1972 che, pur avendo tale via in un fattore di involuzione tecnocratica delle nostre società nazionali. Infine,
suscitato molte speranze, si è limitato in
definitiva a « decidere di decidere », cioè la strutturale debolezza della cooperazione
ha elaborato bensì un programma di lavoro politica posta in essere dal metodo del Vertice si risolve necessariamente in un'assenza
ambizioso e particolareggiato, ma non ha
potuto andare oltre l'ambito puramente prodelllEuropa dalla scena internazionale, concedurale, con le conseguenze già oggi ma- correndo a consolidare un equilibrio sostannifes te.
zialmente conservatore, dominato dalla colA questi limiti di fatto si sono accompa- lusione autoritaria tra le due superpotenze.
Una precisa verifica della fondatezza di
gnati peraltro limiti non meno gravi di principio e di valore, sui quali non h a mancato questi rilievi può essere fornita ad ogni modo
di appuntarsi la denuncia dei federalisti. Mi
da un rapido esame dell'evoluzione intersembra indispensabile ricordarli anche nel
venuta finora nell'ambito delllUnione Ecocorso di una esposizione come questa, per
nomica e Monetaria. A questo riguardo, mi
conferire un significato più preciso alla no- sembra pos3ibile affermare che, al di là delle
stra linea di ferma opposizione, tanto più
inottemperanze di alcuni Paesi, l'approccio
che l'esperienza recente ne ha largamente
monetario ai problemi delllUnione non ha
riconfermato la validità. Espresse nella for- funzionato, in quanto la stabilità che si
ma più sintetica possibile, le nostre critiche intendeva consolidare tra le parità nazionali
non è stata di fatto maggiore, ma minore,
si riferivano in primo luogo all'incapacità
parla il Presidente del CIME, Petrilli
febbraio 1974
-- --
di quanto si fosse verificato in precedenza.
Basti dire in proposito che lo squilibrio tra
la lira e la sterlina, da una parte, e il marco,
dall'altra, è aumentato più che non lo squilibrio tra queste monete e il dollaro; così
pure, il franco francese si è deprezzato rispetto al marco più di quanto non sia cresciuto di valore rispetto al dollaro. Infine,
la stessa creazione di un Fondo europeo di
cooperazione monetaria, che era stata salutata come il fatto più importante verificatosi
finora in questo contesto, è risultata in pratica scarsamente significativa, data la modestia dei mezzi disponibili. Personalmente,
non mi considero un esperto di questioni
monetarie e non vorrei affrontare qui la delicata questione della ricerca delle responsabilità nella rottura della solidarietà comunitaria in questo campo, espressa dal cosiddetto « serpente monetario D. E neppure
vorrei pronunziarmi sulla questione - oggi
abbastanza controversa - relativa all'importanza di pietra di paragone della credibilità
europea che taluni attribuiscono ad uno
sforzo di ricomposizione di tale serpente da
parte dei Paesi che ne sono usciti. La
disputa tra coloro che insistono sulle responsabilità di questo o quel governo e quanti
invece ravvisano in quello che è accaduto
una prova di inefficienza dell'approccio monetaristico come tale potrebbe anche risultare abbastanza nominalistica, dal momento
che, di fatto, le politiche economiche e monetarie degli Stati membri hanno continuato
a divergere, sotto l'impulso di fattori esterni,
non controllabili allo stato attuale delle cose,
ma anche di una oggettiva diversità di situazioni, che imponeva priorità e politiche diverse.
Tra i fattori esterni vanno certamente
menzionati, ad esempio, lo sviluppo del mercato degli eurodollari, le liquidità controllate
dalle società multinazionali e dai Paesi produttori di petrolio, il mancato controllo
americano sulle esportazioni di capitali. Tra
i fattori interni, la diversità dei punti di
vista che ispirano le politiche economiche
degli Stati membri: quello tedesco, che considera assolutamente prioritaria la lotta
all'inflazione e giustamente si preoccupa che
un'integrazione prevalentemente monetaria
finisca con l'addossare all'economia tedesca
l'onere principale degli aggiustamenti necessari; quello francese, in cui la preoccupazione di proiettare nell'ambito comunitario
un sistema garantistico derivato da antiche
abitudini protezionistiche, con particolare
riguardo al settore agricolo, fa riscontro
alla volontà politica di favorire attraverso
la sottovalutazione della moneta una crescita industriale stimolata dalle esportazioni
e dai profitti; quello britannico, proprio di
un Paese che attraversa da anni una crisi
dovuta a un'insufficiente produttività e ad
una progressiva dislocazione delle correnti
tradizionali del proprio commercio estero,
dibattendosi in una situazione generale caratterizzata dalla coesistenza di tensioni inflazionistiche e di un basso saggio di sviluppo; quello italiano, infine, in cui alla
presenza dei ben noti squilibri territoriali si
accompagna la necessità di un progressivo
orientamento dell'attività produttiva verso
settori industriali più avanzati.
A tutti questi riguardi, il vero discorso
non può essere quello di negoziare un ritorno
dei secessionisti alla comune disciplina monetaria che abbia quale contropartita sostanziali concessioni sul piano delle politiche di
struttura. Anche se i compromessi sono sempre possibili, il discorso deve andare più a
fondo, toccando la sostanza dei problemi e
finendo col porre necessariamente in causa
le stesse condizioni istituzionali in cui si
sta svolgendo il processo di integrazione.
In questo senso, è indubbiamente accoglibile
la tesi tedesca che tende a porre l'accento
sulla priorità da attribuirsi al coordinamento
delle politiche economiche, anche se è legittima la preoccupazione che la netta preminenza accordata alla salvaguardia della stabilità monetaria possa condurre al prevalere di un orientamento tendenzialmente
deflazionistico, di per sé scarsamente compatibile con le esigenze di trasformazione
strutturale dell'economia comunitaria e incline a sacrificare altri importanti obiettivi,
quali la piena occupazione ed uno sviluppo
economico equilibrato. Ancor più valide sono
le preoccupazioni olandesi, che pongono risolutamente l'accento sull'indispensabile rafforzamento delle istituzioni comuni.
Si deve purtroppo constatare come anche
il piano di lotta contro l'inflazione approvato la settimana scorsa a Bruxelles in sede
di Consiglio dei Ministri delle Finanze, pur
presentando una vasta e articolata piattaforma di provvedimenti di intervento - la
cui definizione è stata resa probabilmente
più facile dalle stesse difficoltà attraversate
da tutti i Paesi membri in conseguenza della
crisi energetica - abbia lasciato volutamente nel vago proprio il problema cruciale
del passaggio alla seconda tappa delllUnione
Economica e Monetaria. Tale passaggio - sia
detto chiaramente - non ci interessa come
puro adempimento formale, ma piuttosto
per la possibilità che esso offriva di segnare
un reale progresso dal punto di vista del
potere decisionale delle istituzioni comuni,
da cui dipende in definitiva, come l'esperienza ha dimostrato ad usura, la credibilità
degli impegni assunti. Questo discorso si
ricollega d'altra parte strettamente a quello
delle politiche di struttura. Se non si adotteranno politiche comuni in campo regionale e industriale, che consentano di superare progressivamente gli attuali contrasti
di interesse, affrontando in prospettiva comunitaria i problemi che travagliano le singole economie, e se non si prenderanno
provvedimenti comuni nei confronti delle
pressioni destabilizzanti provenienti dall'estero, non soltanto qualsiasi tentativo di solidarietà monetaria rimarrà precario, ma la
stessa unione doganale rischierà continuamente di essere rimessa in questione. Ciò
che preoccupa a questo riguardo non è tanto
il conseguimento di un risultato tangibile
nel campo della politica regionale, per quanto
attiene all'entità dei fondi disponibili e ai
criteri della loro allocazione, ma ancor più
la mancanza di una visione d'insieme, in
assenza della quale qualsiasi intervento di
-
-
questa natura avrà necessariamente il valore
di un palliativo.
Tutta questa problematica è resa del resto
più grave dalle stesse attuali condizioni del
mercato mondiale, caratteri~zatodalla presenza di oligopoli multinazionali e da un
complesso di interventi economici degli Stati,
condizioni che impongono di concepire la
liberalizzazione degli scambi come un obiettivo da conseguire attraverso complessi negoziati tra i principali Paesi industriali e non
solamente attraverso riduzioni lineari delle
tariffe. Le dimensioni raggiunte dalle società
multinazionali a controllo americano, tanto
nel settore petrolifero, quanto in taluni settori economici d'avanguardia ove esse hanno
potuto avvalersi degli aiuti pubblici connessi
alla loro partecipazione ai programmi militari e spaziali, hanno consentito a tali società
di trarre largamente partito sul piano monetario dalla stessa posizione privilegiata del
dollaro quale moneta di riserva, dando luogo
a vasti movimenti speculativi e acquistando
posi7ioni dominanti all'interno stesso del
Mercato Comune, così da condizionare largamente le politiche economiche e monetarie
dei Paesi membri, e gli sviluppi del processo
d'integrazione. Una politica delle strutture
intesa anche come politica industriale, è
quindi indispensabile tra l'altro per favorire
una più larga partecipazione europea al
processo di transnazionalizzazione delle imprese. Tutto ciò comporta interventi articolati, in materia di localizzazione degli investimenti, di orientamento della ricerca,
d'armonizzazione fiscale ed anche di politica
monetaria, per quanto attiene alle possibilità
di intervento sui mercati dei capitali.
Paradossalmente, proprio la mancanza di
una strumentazione di questa natura ha fornito la giustificazione formale alle critiche
rivolte alla Comunità dall'attuale Amministrazione americana. I rapporti tra Europa
e Stati Uniti sono infatti giunti ad una crisi
perché gli USA consideravano, non a torto,
che la Comunità così com'è - ridotta cioè
quasi esclusivamente ad una unione doganale
e ad una politica agricola fortemente protezionistica - costituisce soltanto una fonte
di distorsioni negli scambi internazionali. I1
cosiddetto rilancio atlantico promosso dalla
diplomazia kissingeriana, nel quadro del1'. anno delllEuropa » - e riproposto in
questi giorni dallo stesso Kissinger in occasione del Consiglio Atlantico - tende in definitiva ad operare, nell'ambito di un equilibrio
mondiale bipolare, restaurato dall'intesa globale russo-americana, un rafforzamento anche politico della posizione egemone detenuta dagli Stati Uniti nel campo occidentale.
Ponendosi per la prima volta in termini
sostanzialmente, se non formalmente, alternativi rispetto al processo d'integrazione
europea, la sfida americana ha avuto il merito di costringerc i nostri Paesi a scegliere
tra un effettivo progresso verso l'Unione
Economica e Monetaria ed un progressivo
smantellamento della stessa unione doganale, destinata a dissolversi in una più generale liberalizzazione degli scambi tra i Paesi
industrializzati. In questo senso, le pressioni
esterne sono divenute nel corso degli ultimi
COMUNI D'EUROPA
febbraio 1974
P
p
p
mesi una spinta decisiva verso una maggior
coesione comunitaria. E' significativo, in
questa prospettiva, che si sia giunti da parte
dei nostri Paesi a d un'intesa intorno ad una
corta di controprogetto da contrapporre allo
schema americano di una nuova Carta
Atlantica, facendo largo posto al problema
dell'identità europea e chiedendo alla controparte il riconoscimento della Comunità
quale entità distinta nell'ambito dell'alleanza.
Su questa piattaforma c'è stata da parte
francese l'ammissione che ogni ipotesi di
iniziativa internazionale degli europei presuppone un certo grado di solidarietà istituzionale, ma è anche vero che dal canto
loro le cancellerie di Paesi tradizionalmente
atlantici si sono notevolmente avvicinate all'idea di una maggiore autonomia dei nostri
Paesi. Tale impostazione ha avuto un primo
collaudo a Tokio, in occasione dell'avvio dei
negoziati commerciali del cosiddetto « Nixonround », ma tende progressivamente ad investire anche i problemi della difesa ove, di
fronte alle rinnovate pressioni americane
per una più equa divisione degli oneri finan~ i a r i ,si va profilando la possibilità di una
risposta europea in termini di accresciuto
coordinamento comunitario e di maggiore
autonomia, almeno per quanto riguarda gli
armamenti convenzionali.
Anche la crisi energetica, che è oggi al
centro delle preoccupazioni degli uomini politici europei e nella quale taluni osservatori
hanno voluto ravvisare l'effetto di una manovra internazionale favorita dagli americani
per intaccare sostanzialmente la posizione
concorrenziale di europei e giapponesi, ha
indubbiamente contribuito a porre i Paesi
della Comunità di fronte alla brutale alternativa tra una solidarietà organica - necessariamente istituzionale - ed una rapida
disgregazione della stessa compagine comunitaria. Per gravi che siano le riserve che
taluno h a creduto di dover esprimere in
ordine alla posizione assunta dai Nove con
la loro risoluzione sul problema medio-orientale, di cui si è avuta di recente un'ulteriore
conferma, e per criticabile che appaia il loro
cedimento di fronte ai ricatti esterni, rimane
incontestabile, a mio modo di vedere, che
il fatto stesso di essere giunti comunque ad
una posizione comune intorno ad un problema di tanta gravità costituisce una chiara
riprova della funzione coesiva assolta da un
cerlo tipo di pressioni. E' grave viceversa
che ancora durante gli ultimi incontri sia
prevalso un atteggiamento di prudenza, incline a rinviare ulteriormente ogni decisione
in materia di politica energetica comune,
riella speranza inconfessata che il sollecito
ristabilirsi di una situazione di normalità
consenta ancora una volta di prorogare indefinitamente ogni decisione in proposito.
Ciò è tanto più preoccupante in quanto pro~ r i ol'attuale crisi energetica avrebbe dovuto
dimostrarci in termini concreti quanto sia
alto il prezzo di una politica di imprevidenza
e di facilità come quella che l'Europa h a
seguito finora in questo campo.
Si tratta evidentemente a questo riguardo
di diversificare maggiormente le fonti di
approvvigionamento e soprattutto di sfor-
i3
-
p
zarsi ai portare avanti a livello europeo un
deciso impegno in campo nucleare. Non va
dimenticato comunque che, data la parte preponderante occupata dai consumi delle industrie nella struttura del fabbisogno globale
--p-pp
di petrolio, in alcuni Paesi sono già stati
~ntrodotticriteri di priorità negli approvvigionamenti, a vantaggio di particolari settori. Una seria politica energetica sembra
quindi coinvolgere anche l'esigenza di un
La mozione del Consiglio regionale della Campania
sul Vertice di Copenaghen
Pubblichianzo il t e s t o integrale del d o c u m e n t o c h e il Consiglio regionale dell,a
C a ~ n p a n i ah a a p p r o v a t o all'unanimità nella seduta del 12 d i c e m b r e 1973, s u proposta del Consigliere Filippo Caria, il quale l'ha poi illustrato, il giorno successivo,
alla riunione del C.N. dell'AICCE.
La riunione dei Capi di Stato e di Governo dei nove
Paesi della Comunità europea, convocata per i prossimi
giorni a Copenaghen, cade in un momento particolarmente drammatico e preoccupante per le sorti dell'unione delllEuropa e delle relazioni internazionali.
Anche se si tratta di un Vertice che il Ministro Moro
ha definito come a un dialogo disteso ed amichevole »
l'occasione deve risultare utile non solo per uno scambio
di idee quanto più ampio ed approfondito sui maggiori
problemi comunitari e mondiali, ma anche per definire
una strategia e per impegnarsi su alcune linee di azione
chiare e precise e su determinate scadenze d'ordine programmatico ed istituzionale.
Senza unione politica no'n ci potrà essere una effettiva unione economica e monetaria né, frattanto, ci p@
tranno essere una politica congiunturale, una politica
regionale, una politica sociale ed una politica energetica soddisfacenti. E senza
istituzioni sopranazionali, fondate sul consenso e sulla partecipazione dei popoli,
e dotate di poteri reali, l'unione politica resta una mera enunciazione di
principio.
La Regione Campania, nel nome delle popolazioni che è tenuta ad amministrare ed alle quali ha il potere costituzionale di dare, nelle materie di competenza,
leggi e programmi idonei per lo sviluppo economico ed il progresso civile, ha il
diritto ed il dovere, in una circostanza come questa del Vertice dei Capi di Stato
e di Governo della Comunità europea, di far sentire la sua voce e di rappresentare
all'autorità centrale le proprie attese e le proprie sollecitazioni.
Pertanto, il Consiglio regionale ritiene - ed allo scopo invita la Giunta a rappresentare al Governo nazionale le indicazioni che seguono -:
a ) che il Vertice di Copenaghen debba verificare seriamente la volontà dei
Nove di restare e di procedere uniti e solidali nel fronteggiare la situazione internazionale sia per quanto attiene alla presente congiuntura economica, con particolare riferimento alla crisi energetica, monetaria, commerciale e, di qui a poco,
di generale recessione, sia per quanto attiene al reale superamento dei blocchi in
un quadro di distensione e di cooperazione mondiali;
b ) che il Vertice debba impegnare gli Stati membri della Comunità ad eleggere, entro sei mesi, a suffragio universale diretto il Parlamento europeo;
C ) che debba essere il Parlamento europeo, eletto a suffragio universale diretto, a redigere e ad approvare lo Statuto delllUnione europea;
d ) che la politica regionale comunitaria mobiliti risorse ed iniziative assai
più cosoicue ed incisive di quelle finora previste (la crisi scatenatasi ultimamenle
richiede uno sforzo assai più rilevante di quello preventivato in una congiuntura
non ancora precipitata agli attuali livelli: il pericolo è che, proprio a causa delle
presenti difficoltà, lo sforzo possa essere diminuito o dilazionato con le gravi
ripercussioni che solitamente, in casi del genere, colpiscono soprattutto le zone
meno sviluppate); sia prevalentemente indirizzata nelle regioni i cui fenomeni
di depressione e di sottosviluppo risultino tradizionalmente e chiaramente di rilevanza superiore; veda associati e direttamente impegnati, nelle responsabilità
programmatorie ed operative, le istanze locali, ed in particolare le Regioni laddove
queste, come in Italia, dispongano di effettiva potestà legislativa, finanziaria ed
amministrativa;
e ) che la politica sociale comunitaria gravi finanziariamente sui singoli Stati
in misura proporzionale alla ricchezza prodotta da ciascuno di essi; punti prevalentemente sull'incremento dell'occupazione nelle zone che presentino maggiori
disponibilità di mano d'opera disoccupata e sottoccupata; riservi ai lavoratori
migranti più soddisfacente e puntuale cura; acceleri la parificazione giuridica, a
livello comunitario, delle condizioni di vita e di lavoro.
COMUNI D'EUROPA
grado crescente di programmazione e di
orientamento della crescita economica, tenuto conto in particolare degli interrogativi
posti dall'attuale crisi in ordine alla stessa
possibilità di un proseguimento indefinito
dell'attuale modello di sviluppo. Nello stesso
ordine di idee, la crisi energetica sembra
ricliiedere infine, come pensa oggi un numero crescente di osservatori, una articolata
iniziativa comunitaria nei confronti dei Paesi
produttori. I n tale contesto, i1 conflitto del
vicino Oriente ripropone con forza ad una
Comunità Europea il cui baricentro si era
spostato verso il Nord in conseguenza dell'allargamento, la necessità di stabilire, pur
nel rigoroso rispetto dell'omogeneità politicoistituzionale tra gli Stati membri, un rapporto organico coi Paesi del bacino del Mediterraneo legati da tanti vincoli non solo
economici, ma anche sociali (si pensi alle
migrazioni di manodopera), a quelli della
Comunità.
Credo quindi di poter concludere questa
parte della mia esposizione affermando che
nell'attuale congiuntura storica un complesso
di pressioni esterne viene ad aggiungersi ad
un complesso di impegni assunti dagli Stati
membri in base alle decisioni del Vertice
di Parigi dell'ottobre '72, sollecitando la Comunità ad assumere decisioni fondamentali
per il proprio avvenire. Proprio queste sollecitazioni rendono peraltro più evidente il
mancato o difettoso funzionamento dell'attuale sistema comunitario, ponendo pertanto
con forza il problema di una sua revisione
ormai indilazionabile. A questo riguardo,
un primo test di un certo rilievo è stato
rappresentato dalle discussioni svoltesi nel
Parlamento Europeo in merito alle decisioni
da prendere per l'estensione dei poteri di
bilancio dello stesso Parlamento, estensione
connessa al passaggio ad un regime generale di finanziamento della Comunità sulla
base di risorse proprie che entrerà in vigore
nel 1975. Si è trattato in questo caso dell'applicazione di una decisione anteriore all'ultimo Vertice, e di cui lo stesso Governo
francese aveva a suo tempo favorito l'adozione allo scopo di rafforzare, coll'attribuirgli
un carattere più spiccatamente comunitario,
l'attuale meccanismo di finanziamento della
politica agricola comune. I1 prezzo politico
di tale decisione era stato peraltro un sostanziale rafforzamento della posizione del Parlamento Europeo, suscettibile di concorrere
ad alterare in un senso maggiormente democratico l'attuale equilibrio istituzionale. Particolarmente deludenti si sono rivelati in
questa circostanza, tanto le proposte formulate in proposito dalla Commissione (che
si limitavano a prevedere la necessità di una
seconda lettura per le decisioni di spesa
respinte dal Parlamento), quanto, soprattutto,
la sua reticenza e in un primo tempo la sua
opposizione all'idea, avanzata dal Parlamento
a titolo compromissorio, d'impegnare il Consiglio a deliberare all'unanimità quando le
sue decisioni si discostassero in materia di
bilancio da quelle dei parlamentari.
Se è vero che alcune voci si sono levate
negli ultimi tempi per chiedere un sostanziale mutamento di indirizzo (ricordiamo,
tra le più autorevoli, quella del Cancelliere
Brandt nel suo recente discorso al Parlamento Europeo, e quella dell'ex-Ministro gollista Schumann, che si è pronunciato per le
elezioni europee a suffragio universale diretto), la sola concreta prospettiva istituzionale che allo stato attuale sembra aperta
dal prossimo Vertice di Copenaghen, è quella
di una istituzionalizzazione del metodo del
Vertice, cioè appunto, del sistema di cui gli
ultimi avvenimenti hanno largamente dimostrato la strutturale inadeguatezza. I1 fatto
stesso che al Vertice non partecipino il Presidente del Parlamento Europeo e neppure
quello della Commissione e che anzi i Governi nazionali persistano a sottolineare pesantemente il suo carattere di Conferenza intergovernativa di tipo tradizonale, anche attraverso la distinzione formale tra le sue
competenze e quelle del Consiglio dei Ministri comunitario, non ci consentono di fondare grandi speranze sulla prossima riunione
di Copenaghen. Se infatti, non si risolve il
problema di metodo, creando uno strumento
efficiente e adeguato rispetto agli obiettivi
da raggiungere, non si risolve neppure quello
di valore. I1 primato della politica sull'economia, l'effettivo orientamento dello sviluppo
in un senso conforme alle aspettative della
società, la creazione di adeguati strumenti
di controllo popolare all'interno del processo
integrativo, I'instaurazione di un diverso e
« Comuni d'Europa » prega i
suoi abbonati di rinnovare con
sollecitudine l'abbonamento per
il 1974: essi appoggeranno. così
il più vecchio e agguerrito organo
di stampa della battaglia federalista.
più equo ordine internazionale, diventano
necessariamente obiettivi irraggiungibili.
Deriva appunto di qui l'interesse della
proposta Spinelli, che è stata fatta propria
dai federalisti e dallo stesso Movimento
Europeo. Tale proposta fa leva sulla parola
d'ordine di una non meglio precisata Unione
Europea, lanciata dal Vertice di Parigi nell'ultimo punto del suo comunicato finale. I1
Vertice di Parigi aveva affidato alle Istituzioni della Comunità nel loro complesso il
compito di elaborare entro il 1975 un rapporto in ordine a tale Unione, che avrebbe
dovuto entrare in vigore entro il 1980. Rilevando come la necessità di una risoluta svolta istituzionale s'imponga con carattere di assosluta urgenza, quale condizione di un durevole superamento delle presenti difficoltà, e
dell'ulteriore sviluppo dell'intera costruzione
comunitaria, esigendo una decisa anticipazione dei termini fissati a Parigi, e come, di
conseguenza, il problema vada affrontato fin
dall'inizio in termini costituzionali, Spinelli
ha proposto che il Vertice di Copenaghen
attribuisca al Parlamento Europeo e ad esso
solo il compito di elaborare entro il 1974
un progetto di Trattato istitutivo dell'unione
Europea, da sottoporre alla ratifica dei Parlamenti nazionali entro il primo semestre
dell'anno successivo. L'interesse della proposta non consiste soltanto nell'anticipare
nel tempo e nel rendere più concreto un
discorso che rischierebbe altrimenti di risolversi in un'ennesima mistificazione, ma ancor
più nel sottrarne la gestione alle diplomazie
nazionali, investendone direttamente le forze
politiche, anche attraverso la richiesta rivolta
ai Parlamenti nazionali di rinnovare rapidamente le proprie delegazioni nel Parlamento
Europeo per tener conto delle nuove responsabilità che gli verrebbero così attribuite.
I n tal modo, il sistema istituzionale comu-
febbraio 1974
nitario verrebbe ad essere sostanzialmente
modificato fin dalla fase costituente, consentendo di giungere alla formulazione di
proposte assai più avanzate di quelle che
sarebbe lecito attendersi allo stato attuale
delle cose.
Anche se non ci si possono fare soverchie
illusioni circa la disponibilità dei Governi
nazionali e quindi del Vertice a un discorso
di questa natura, la battaglia per l'unione
europea dovrà costituire in ogni ipotesi nel
prossimo futuro il punto focale dell'intera
azione dei gruppi di orientamento federalista, nel nostro Paese come altrove. Si tratta
infatti in questo caso di indurre i Governi
nazionali a prendere almeno delle decisioni
precise in ordine a quanto essi stessi avevano deliberato in precedenza. La strategia
di inserimento critico nelle contraddizioni
provocate dal nuovo corso europeo che abbiamo portato avanti fin dalla Conferenza
dell'Aja troverà in questo problema il suo
banco di prova decisivo. Ai fini di questa
azione si pone tuttavia un problema politico
strumentale: quello di come impegnare in
questa battaglia le forze politiche e sindacali, creando una mobilitazione europea in
qualche modo sostitutiva dell'assenza di
consultazioni elettorali e di una vera dialettica parlamentare, in una situazione in cui
l'obiettivo storico della lotta è appunto la
creazione di un quadro costituzionale. Credo
di poter dire senza iattanza che nel nostro
Paese questo ruolo di supplenza è stato assunto, nei limiti delle sue possibilità, dal
Movimento Europeo, come è apparso particolarmente chiaro nella contrastata vicenda
del progetto di legge di iniziativa popolare
per l'elezione a suffragio universale diretto
dei delegati italiani al Parlamento Europeo.
I1 vero problema è oggi quello di riprodurre
a livello europeo una mobilitazione analoga,
che utilizzi la proposta Spinelli come occasione di coagulo tra tutte le forze realmente
interessate ad una democratizzazione del
sistema.
E' mia convinzione che in questa prospettiva una particolare responsabilità spetti al
Consiglio dei Comuni d'Europa, quale organizzazione di massa di ispirazione federalista.
Anche a questo riguardo mi sembra particolarmente valida l'esperienza italiana, per
quanto attiene ad esempio all'azione di pressione svolta nel nostro Paese in sede regionale a sostegno del già ricordato progetto di
legge. La stessa emergenza nella base federalista di un interesse crescente per le contraddizioni generate a livello delle strutture
economiche e sociali da fenomeni come quelli
delle società multinazionali e delle correnti
migratorie interne e internazionali provocate
dalla stessa crescita economica verso le aree
di maggiore concentrazione industriale apre
a questo riguardo una vasta tematica di interventi, che possono consentire di saldare
l'azione di base a quella di vertice, permettendoci di guadagnare più larghi consensi
alle parole d'ordine della democratizzazione
delle istituzioni comuni c della creazione di
una Unione europea dotata di una solida
struttura istituzionale.
Sarebbe forse prematuro voler definire
qui le modalità concrete delle azioni future
da intraprendersi a questo riguardo. Mi sembra tuttavia importante che l'Unione dei Federalisti Europei e il Consiglio dei Comuni
d'Europa abbiano stabilito di portare avanti,
attraverso una procedura di contatti periodici, un approfondimento della tematica dell'Unione europea che si gioverà altresì di
febbraio 1974
diretti contatti con la Commissione Affari
Politici del Parlamento Europeo, presso la
quale il problema che ci interessa è da tempo
allo studio. Per quanto direttamente lo riguarda, il Consiglio Italiano del Movimento
Europeo è intervenuto presso i Segretari dei
Partiti aderenti che fanno parte dell'attuale
coalizione di Governo, ribadendo la richiesta
dei federalisti italiani che sia sollecitamente
approvato il progetto di legge di iniziativa
popolare e che il Governo italiano riproponga con decisione durante il Vertice di
Copenaghen l'esigenza di una vigorosa ripresa
dcl processo di integrazione nell'ambito delle
istituzioni comunitarie, facendo propria la
proposta Spinelli. E' questo soltanto il punto
di partenza di un'azione che ci riproponiamo
di condurre anche in sede internazionale, con
l'obiettivo di giungere al nostro prossimo
Consiglio Federale, previsto per la prossima
primavera, con una piattaforma comune in
ordine all'unione politica, da collegare strettamente allo stesso rinnovo delle cariche,
così da condizionarlo ad un risoluto impegno
nella direzione che riteniamo giusta. In questa prospettiva, molto ci attendiamo dai risultati dei prossimi Stati Generali di Vienna
del Consiglio dei Comuni d'Europa e, se mi
è consentito aggiungerlo, dal contributo personale che potrà dare l'amico Serafini nella
sua veste di relatore politico.
Le mie considerazioni, che non avevano
altra ambizione se non quella di fornire un
certo numero di spunti al vostro dibattito,
possono senz'altro concludersi a questo punto. Noi siamo - lo ripeto ancora una
volta - alla conclusione di un ciclo storico:
se fino a ieri potevamo talvolta avere l'impressione sconfortante che l'appello dei federalisti fosse quello di una voce clamante nel
deserto, isolata nell'astratto rigore delle sue
posizioni e perciò stesso esclusa dalla realtà
di un mondo sempre più lontano dalle nostre
aspirazioni, gli ultimi avvenimenti hanno confermato tragicamente l'esattezza dei nostri
giudizi e l'inesistenza di valide alternative.
Sappiamo purtroppo per esperienza che la
storia non passa e ripassa a nostro piacimento, nelle ore che ci fanno più comodo,
ma sopraggiunge improvvisa, come il ladro
notturno dell'immagine evangelica, ponendo
gli uomini e i popoli di fronte a scelte indifferibili. Le lezioni del passato ci insegnano
che ogni occasione di progresso perduta può
tramutarsi in un principio di regresso e di
involuzione, poiché, contro le illusioni del
vecchio determinismo positivistico, sono in
definitiva gli uomini a fare la storia, nella
misura in cui ne sono capaci. Quanto è accaduto in altre epoche alle città greche dinanzi
alla conquista romana e alle Signorie italiane
del tardo Quattrocento di fronte all'affermarsi in altri Paesi d'Europa delle grandi
monarchie unificatrici, destinate in breve
volgere di tempo a travolgere attraverso le
invasioni un equilibrio tanto apparentemente
calcolato quanto sostanzialmente precario,
dovrebbe ammonire gli Europei circa la gravità c l'imminenza del rischio. La stessa, sia
pur provvisoria, paralisi del traffico festivo
nelle nostre città dovrebbe d'altra parte avere
almeno il valore di un simbolo concreto della
nostra comune decadenza. Quale che sia per
essere la sorte della nostra battaglia, il dovere dei iederalisti è in questo momento,
ancor più che in qualsiasi altro, quello di
suonare Forte l'allarme per risvegliare la città
aggredita nel sonno.
COMUNI D'EUROPA
ribadire che le elezioni dirette del Parlaiiiento
Europeo, impegnando tutte le organizzazioni
Sulla relazione Petrilli è subito intervenuto di inassa in una dinlensione etiropea, creeper una chioscc il Segretario generale del- rebbero l'occasione principale di partecipazione delle popolazioni al processo di integraI'AICCE: breve, ha detto sclzerzosainente
Serafini, perché collocata nel momento che. zione. Non trascuriaino di ricordarci che u n
Parlamento i~ioderno,eletto a sutfragio unidato il tipo di dieta continentale, è quello del
versale e direrto, può avere rccdici sconoscitimassinzo tasso di ipoglicemia giornaliercc.
te ai Parlainentz ottocenteschi, legati a gruppi
Serafini ha ricordato la risolttzione della
Presidenza del CCE a Neu Isenbltrg e ha d'opinione.
Tuttavia, se l'obiettivo oggi deve essere istidetto di aver ascoltato volentieri Petrilli,
tuzionale - cioè non si fa l'Europa senza
in quanto Presidente del Consiglio nazionale
del Movitizento Europeo, che meglio di ogni istituzioni politiche sovranazionali, senza uncì
Costituzioize federale -, teniamo sempre
altro Consiglio tenta di realizzare l'alleanza
presente che, proprio perché i Governi sono
deiiiocratica europea richiesta dal CCE. Egli
ha poi sottolineato clze della rel'azione Petril- strutturalmente incapaci e bisogna utilizzare
l'urto dellc organizzazioni popolari (fronte
li lo ka colpit'o la serie di argomentazioni atte
a rafforzare, direttamei7te o indirettaii~erzte, democratico europeo), bisogna persuadere
queste organizzazioizi popolari che occorre
il suo convincimento circa la incapacità
strutturale dei goverrii nazionali di fare il far Z'Eztropa. Ci sono delle ragioni politiclze
salto di qiialità verso l'unità politica sovra- immediate, dette e ripetute, ma, in tina lotta
izazionale. I Governi ( lo ha confermato ap- rivolu:ionaria e tiella formaziorze di quadri
punto l'accenno di Petrilli alle inultinazio- idonei, occorre mostrare il traguardo piìi
nali, alle industrie di avanguardia, eccetera) lorztano, cioè il nzodello di una società europea, di una nuova società. Lo stesso Petrilli,
sono i rappresentanti di grossi comprotizessi
nazionali di interessi costituiti, con inoltepli- ha aggiunto Serafiiii, accenna sovente a u n
ci agganci trasnazionali (privati) e addirit- terzo niodello (europeo), che dovrebbe disegnarsi fra quello americano e quello sovietura extraeuropei. A u n Vertice si può solo
tico: ora bisognerà, in merito, tiscire dal nefare u!z baratto inteipsettoriale e fotografare
buloso e dalle ambiguità.
lo statu quo, cioè la coesistenza di società
Intanto l'Europa non potrà essere, secondo
nazionali corporative e sclerotiche. A parte
la corzdannahile ipotesi di Serijan Sckreiber,
l'unanimità, a un Vertice sui contenuti politici non si potrà mai avere neanclze una iizag- un duplicato dell'Ai7zerica neo-capitalistica,
gioranza costrmttiva, innovativa: dizlersamen- sltlla qunle recentei??ente ha tirato conclusioni ponderataiiierzte nelgative lo stesso Galte sarebbe con u n Parlamento Europeo eletto
a suffragio diretto e SU scala sovranazi'onale, braitk. D'altro canto la nuova Europa dovrà
godere di un pluralismo politico-istitti:ionale
ove si potrebbe cominciare ad ottenere, su
ignoto oggi al nzondo sovietico, del quale
deternzin'ati obiettivi concernenti l'interesse
generale, alnieno una nzaggioranza relativa. ultimo non potrà neanche accettare la ii~arzCon questo scetticismo cosa possiamo chie- cante dialettica fra i tempi brevi della polidere a un Vertice o a un Governo, piìt avan- tica e i teiilpi l t ~ n g h idella cult~tra (nonché
quella, ha precisato Serafiizi, che animetta
zato degli altri, clze partecipi al Vertice? Ma
- per rispettare i w a m e n t e i cristiani a cui
è chiaro: che questo Governo invece di parsi fa tanto la corte - anche i tenipi luntecipare al haratto corporativo chiarisca
opertanzente l'impossibilità di procedere ver- glzissimi della metafisica, o in parole povere
che dia una sua autonoinia alla persona nelso l'ttnità col metodo della cooperazione o
attraverso comunità funzionali ( c o m e vice- la Conzunità). Ciò preniesso, non è qui il caso
di addentrarci ora in questo discorso, che va
versa ha ripropost'o Brarzdt a novembre nel
pur fatto: il terzo inodello, irz ogni caso, doParlainento Europeo), perché tout se tient
vrà essere l'antitesi di una Europa corporae ormai l'esperienza ci dice che si può protiva, e dovrà tener presenti gli ainnlonimenti
cedere solo con u n patto federale, grirante di
di uiz filosofo tedesco, H o r k h e ~ m e r ,esule in
irreversibilità, e con u n Governo comune figlio di una 7naggioranza elettorale europea. America sotto il nazismo e autore delle belS i dimentica che far l'Europa è una rivolu- lissinze lezioni raccolte nel libretto "Eclisse
della Ragione". Horkheinzer denuncia le efzione e che siamo izell'epoca dei mass media:
pertanto il Goverrzo coraggioso che, isolato, ficienti e spaventose razionalizzazioni struchiarisse queste cose, per i diplomatici sa- nieiztali ( l e "ottinzizzacioni" del profitto capirebbe u n Don Chisciotte, mentre al contr'ario talistico, del potere gestito tirannicamente
darebbe u n valido contributo, presso l'opi- per il potere, ecc.) e la iiiarzcata afferinazionione pubblica, popolare, all'avanzata del ne di qztella Ragione globale, che ha coiiie
suo punto di riferiiiierzlo la ricetza di una
fronte dei7zocratico europeo.
I n ogni caso, ha proseguito Serafini, se si migliore condi,'710ne umana.
Anni fa, ha conclmso il Segretario generale
doi~esseverificare tin Vertice iniracoloso, non
delllAICCE, era di moda parlare in Europc~
bloccato in partenza dalla preoccupazione di
interessi e storie particolari, sarebbe auspi- di gap tecnologico: ci si scordava di precisare
ccìbile che i Capi di Stato e di Governo, in- a! servizio di quali ideali l'Europa unita
ilece di calarsi subito in n e ~ o z i a t idi basso avrebbe dovuto superare questo gap. Più tarlivello, corzfrontassero alla luce del sole le dz si è cominciato ci piangere sull'inquinadiverse loro visioni sulla soluzione dei nodi
europei (difesa, moneta, coiiirnercio internazionale, eccetera), spiegando come esse potrebbero servire non a zrn solo Paese conso- il dibattito
ciato, nia all'intera Comunità europea. E' eviIl dibattito, presieduto nella inattinata dal
dente che sui vari izorli ciascun Paese dovreb- Vice presidente Giuseppe Bufardeci, e nel
be presentare una serie di soluzioni com- pomeriggio dal Vice presidente Angelo Vinpossibili.
cenzo Curci, si è articolato su ciascuna delle
Conzz~izque,ha ripreso Serafini, detto del- due re1a;ioni dopo gli interilenti, come abbianzo detto all'inizio, di Martini e di Seral'esigeizza di itn Governo europeo, occorre
l'intervento di Serafini
febbraio 1974
COMUNI D'EUROPA
fini. In particolare, sulla relazione Lagorio
sono intervenuti Curci, che ha sottolineato
l'esigenza di uno stretto collegamento tra i
Poteri comunali e provinciali con le Regioni,
per rafforzare il dialogo con le Comunità
europee, soprattutto nei temi che interessano
più da vicino gli Enti locali; Carbone, che
ha riassunto il documento da lui predisposto
per il Consiglio nazionale, che abbiamo pubblicato integralmente; Bufardeci, che ha sottolineato il valore della proposta di legge
suggerita da Carbone e ha ricordato la validità dell'azione che il CCE va da sempre
conducendo nel campo europeo; Serafini,
che ha sostenuto come sia necessario continuare ed intensificare il colloquio tra le
Regioni e la CEE senza aspettare il parere
del Governo centrale; Panizzi, che ha denunciato la limitazione dei poteri regionali ad
opera non solo del Governo centrale (attraverso i decreti delegati e le leggi di attuazione delle direttive comunitarie) ma anche
ad opera degli organi comunitari che, proi?zuovendo politiche settoriali, esautorano le
Regioni; infine, Satanassi, che ha chiesto
che I'AICCE si adoperi per stabilire rapporti
più diretti sia con le forze parlamentari
rappresentate a Strasburgo, sia con i partiti
e i sindacati dell'arco costituzionale.
Nel pomeriggio il dibattito è ripreso sulla
relazione Petrilli e sull'intervento di Serafini.
Sono intervenuti: Pistone, che ha sostenuto
la priorità dell'elezione diretta del Parlamento europeo, attraverso u n processo eietforale popolare, rispetto al conferimento ad
esso del potere costituente (gli Stati generali di Vienna potrebbero costituire, per la
presenza di tutte le forze democratiche federaliste, il punto di partenza per questa
battaglia federale); Orsello, che dopo aver
criticato i Vertici perché affidati agli stessi
uomini politici che hanno dato vita al sistema funzionalistico (fallito per l'assenza
del « salto di qualità n), ha richiamato l'indispensabilità del « fronte democratico europeo »; Caria, che ha illustrato la inozione
politica della Regione Calnpania, che pubblichiamo a parte, ed infine Bufardeci, che
ha proposto, in vista degli Stati generali di
Vienna, di tenere una conferenza di esponenti del « fronte democratico europeo »
anche solo a livello italiano.
la risoluzione
PER UNA PIU' DIRETTA E REALE PARTECIE'AZIONE
INTEGRAZIONE COMUNITARIA
DELLE
REGIONI ITALIANE ALLA
- prende atto con soddisfazione del consenso sempre più ampio manifestato dalle Regioni
italiane alla complessa strategia proposta dalI'AICCE, consenso testimoniato dalla loro adesione alllAssociazione, dalla creazione nel loro
ambito di « uffici » per i problemi comunitari
come auspicato dal Consiglio nazionale delI'AICCE del 20 giugno 1973, dal progressivo ricorso ai servizi dell'ufficio creato dal CCE a
Bruxelles per il collegamento con la Comunità
europea;
I1 Consiglio nazionale dell'AICCE, riunito a
Roma il 13 dicembre 1973:
- udita la relazione svolta dal Presidente
della Regione Toscana, Lagorio, sui problemi
posti dalle relazioni tra le Regioni italiane e la
Comunità economica europea e la discussione
che ne è seguita;
- constatato che I'AICCE, proprio a favore
dell'attiva partecipazione delle Regioni
intese
come momento di programmazione e di coordinamento delle istanze degli enti locali - alla
costruzione di unlEuropa democratica, ha sempre svolto una azione politica coerente che affonda le sue radici nella relazione Mortati al
primo Congresso ordinario dell'AICCE (Forlì,
maggio 1955) e nella relazione Ambrosini ai
V Stati generali del CCE di Cannes (marzo 1960)
sull'ordinamento regionale nella Repubblica italiana e la sua collocazione nel contesto europeo;
-
- ritiene che l'individuazione e l'attuazione
di questo ruolo delle Regioni nella Comunità.
diventino sempre più carichi di significato poli:
tic0 e pratico via via che si va realizzando
l'ordinamento regionale e che la Comunità va
estendendo il suo campo di azione: basti ricordare la politica regionale, sociale, di protezione dell'ambiente, di riforma delle strutture
agricole, di sostegno dell'agricoltura di montagna
e di altre zone sfavorite e l'utilizzo dei fondi
comunitari, in una parola tutti i settori che coinvolgono « materie » di competenza regionale o
comunque tali da ripercuotersi direttamente
sulla realtà regionale e locale;
- ribadisce la necessità di evitare, nell'attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, ogni
contrapposizione fra l'esigenza di osservanza degli impegni comunitari e il rispetto delle competenze costituzionali delle Regioni, contrapposizione che non ha ragione di essere e che finirebbe col rendere impopolari presso le Regioni
gli stessi obblighi imposti dal Trattato di Roma,
e quindi l'intero processo d'integrazione europea;
- ausvica che. in occasione del dibattito
(di valore esemplare) attualmente in corso dinnanzi alla comvetente Commissione della Camera dei ~ e p u t a t i ,il disegno di legge govemativo n. 2244 (riguardante appunto l'attuazione
delle direttive agricole comunitarie n. 159, 160
e 161 del 1972) venga modificato nel senso proposto nel « parere » espresso dalla Commissione
Affari Costituzionali della Camera in data 28 novembre 1973, adottando cioè soluzioni giuridiche
che garantiscano, anche al fine della tempestiva
e corretta attuazione delle direttive comunitarie
nell'interesse della nostra agricoltura, il pieno
rispetto del quadro costituzionale;
- invita, sulla base della comunicazione
Carbone, la Segreteria politica del19AICCE a
svolgere ogni opportuna azione di promozione
e di coordinamento delle competenze regionali
per quanto attiene ai problemi europei e, più
specificamente, a promuovere, utilizzando la
iniziativa regionale prevista dall'art. 121 della
Costituzione, una legge ad hoc che assicuri e
disciplini, precisandone le procedure di consultazione e le opportune sedi istituzionali, un effettivo ruolo ed una reale partecipazione regionale alle scelte governative nell'ambito della
elaborazione degli atti comunitari oltre che alla
attuazione ed integrazione delle politiche comunitarie nel nostro ordinamento.
(approvata all'unanimità)
I presenti al C.N.
Membri:
Ennio ABATE,Assessore al Comune di Trieste; Alberto
AIARDI,Assessore al Comune di Teramo; Mario ARPEA,
Assessore alla Provincia d e L'Aquila; Augusto ASSON,
Vicesindaco del Comune di Bressanone/Brisen; MargheVicepresidente del CIME; Gavino Bazzorita BARNABEI,
NI, Presidente della Provincia di Sassari; Guido BENEDETTI, Sindaco del Comune di Rovereto; Giuseppe BuFARDECI, Vicepresidente delegato dell'AICCE e Consigliere comunale di Forino; Bruno CAUETTO,
Sindaco del
Comune di Udine; Antonino CALARRETTA,
Sindaco del CoConsigliere regionale
mune di Soverato; Filippo CARTA,
della Campania; Vittorio CASCETTA,
Presidente della Regione Campania: Angelo V. CURCI, Vicepresidente delI'AICCE e Consigliere comunale di Taranto; Celso
DESTEFANIS,
esperto di problemi economici europei; Aurelio Doz~o, Co-Segretario dell'AICCE e Sindaco di Erve;
Consigliere provinciale di BeneFerdinando FACCIIIANO,
vento e Consigliere comunale di Ceppaloni; Pietro FALACIANI, Sindaco di Montevarchi; RaEEaele GALLUS,Presidente della Provincia di Cagliari; Luigi LADAGA,
Consigliere comunale di Taranto; Italo LAGORIO,
Sindaco di
Presidente della Regione ToValfenera; Lelio LAGORTO,
scana; Giovanni LANNA.della Regione Veneto; Jakob
LECHTIIALER,
Sindaco di Silandro/Schlanders; Pietro LoReLLo, Assessore al Comune di Palermo; Angelo LOTTI,
Segretario generale del CIME; Ferruccio LUSTRISSY,
Assessore alla Regione Valle d'Aosta; Eugenio MACCARI,
Sindaco di Pramollo; Walter MAL~EZZI,
Vicepresidente
della Regione Toscana; Vincenzo MANUELGISMONDI.
Assessore alla Provincia di Imperia; Gianfranco MIRTINI, Segretario generale aggiunto dell'AICCE e Consigliere comunale di Villanova del Ghebbo: Paolo MASCHEnuccr, Consigliere comunale di Frascati; Salvatore MEL?,
Assessore alla Provincia di Cagliari; Mario MELIS, Assessore alla Regione Sardegna; Giuseppe MOTTA,Assessore
alla Provincia di Pisa; Pier Enrico Monn, Sindaco del
Comune di Casale Monferrato; Giampiero ORSELLO,Responsabile dell'Ufficio Enti locali del PSDI; Edoardo
PAGGI, Assessore al Comune d i Pozzuoli; Alfredo PALADINO, Assessore al Comune di Napoli; Gabriele PANIZZI,
Consigliere comunale di Terracina; Salvatore PARIGI,
Assessore alla Regione Lombardia; Luciano PEDUZZI,
4ssessore al Comune di Milano; Giuseppe PI~ZZONI,
Segretario generale dell'UNCEM; Sergio PISTONE,Segretario generale del Centro regionale Piemonte del MFE;
Oscar PRINCIPE,Sindaco di Malvito; Paolo PULCI, Consigliere provinciale di Roma; Giuliano RICOTTI, Sindaco
Sindaco di Chieti; Angelo
di Ruino; Arduino ROCCIOLETTI,
S~TASASSI,
Sindaco di Forlì; Ernesto SCIIIANO,
Consigliere
provinciale di Napoli; Hermann SCHOEPF,
Vicesindaco di
Silandro/Schlanders; Umberto SERAFINI,Segretario generale dell'AICCE e Consigliere comunale di Vidracco;
Pietro Soccru, Consigliere comunale di Oristano; Elena
SONNINO,
Segretario generale dell'AEDE; on. Ferdinando
STORCHI;Pasquale T ~ o z z r ,Vice-responsabile dell'ufficio
Enti locali del PSI; Guido VARLESE,
Assessore alla Regione Lazio; Fernando VERA,Consigliere regionale del
Piemonte; Carlo VISONE, Assessore alla Regione PieVicesindaco di Nocera Terimonte; Pasquale VOCATURO,
nese; Mario ZUCCARINI,
Consigliere comunale di Chieti;
Invitali.
Anna ADDUCI,Capo di Gabinetto della Regione Toscana;
Carinelo AZZARA,Consigliere regionale della Basilicata;
Galileo BARBIROTTI,
Presidente del Consiglio regionale
della Campania; Franco BASSANINI,
Capo di Gabinetto
del Ministero per l'ordinamento regionale; Alfredo BER~ANTI,Presidente del Consiglio regionale Friuli VeneziaCapo dell'Ufficio Stampa
Giulia; Francesco BIANCHINI,
del Ministero per l'ordinamento regionale; Giovanni
BONCIORNO,
Responsabile Ufficio di Roma della Regione
Lombardia; Mauro BRESCI,della Regione Friuli VeneziaGiulia; Sergio CARBONE,
docente all'università di Genova
e consulente giuridico della Regione Liguria; Michele
CASCINO,Vicepresidente del Consiglio regionale della
Basilicata; Salvatore CHESSA, della Regione Sardegna;
Giovanni COCIANSI,
Assessore alla Regione Friuli VeneziaGiulia; Lucio CONTADINI,
della Regione Trentino AltoAdige; Pino CREA,della Sezione Enti locali del PSI;
Florindo D'AIhlhlO, Presidente del Consiglio regionale
del Molise; Carlo DE ANCELIS,Assessore alla Regione
Molise; Nicola DI GIOIA, dell'Ufficio p e r l'Italia delle
Co-Segretario della FeComunità europee; Tullio FORNO,
derazione regionale piemontese dell'AICCE; Ugo GRIPPO,
Assessore alla Regione Campania; Oswald HACER, von
STROBELE,
Segretario del Consiglio provinciale di Bolzano/Bozen: Giovanni L A ~ R E A N
Assessore
O.
alla Regione
Basilicata; Libero LUCCONI,Consigliere regionale delle
della Regione Emilia-Romagna;
Marche; Licia M~SERATI,
Carlo MERIANO,
membro della Commissione italiana del
MFE; Pietro MONNI, Vicepresidente del Consiglio regionale della Sardegna; Natalino PAONE,Consigliere regionale del Molise; Pasquale PERUCINI,Assessore alla Regione Calabria; Giuseppe PETRILLI,Presidente del CIME;
Tonino Piazzr, Vicepresidente dell'UNCEM; Michele RICCIARDI,della Regione Campania; I l a n o ROSATI,Consigliere regionale della Toscana; Alfredo SANSOI.INI,
Capo
dell'ufficio di Roina della Regione Valle d'Aosta; Eriberto STORTI,della Sezione Enti locali del PSI; Girolaino VAI.ENLA,della Regione Marche.
febbraio 1974
COMUNI D'EUROPA
dizionarietto
di Gianfranco Martini
Nel 1947, immediatamente dopo la nascita
( o rinascita per quei partiti che, come in
Italia, erano stati costretti alla clandestinità), i movimenti democratici cristiani europei si riunirono in una organizzazione interNouvelles équipes internanazionale: le
tionales » (NEI). Scopo delle NEI era quello
di « stabilire contatti regolari tra i gruppi
e le personalità politiche delle varie nazioni
che si ispirano ai principi della Democrazia
cristiana, al fine di considerare e studiare le
rispettive situazioni nazionali e i problemi
internazionali, confrontare le esperienze e
i programmi ricercando l'armonia nelle relazioni internazionali ».
Fino al 1965 le NEI hanno svolto un'attività notevole sul piano della collaborazione
diretta dei partiti democratici cristiani europei in favore della integrazione europea, che
ha costituito il tema centrale in quasi tutti i
Congressi internazionali. La presenza e il
contributo di tutti i leaders democratici
cristiani hanno posto le basi per una azione
comune anche in altri settori della politica
europea e mondiale. Ma l'incalzare dei problemi dell'integrazione europea e le prospettive di una sua organizzazione non solo
economica ma politica che sembrava trovare
nelle Comunità europee un preciso, anche se
parziale, punto di riferimento, imponevano
una radicale ristrutturazione dei rapporti
f r a partiti democratici cristiani su scala
europea. Nel 1965 le NEI si trasformavano,
pertanto, in « Unione europea dei democratici cristiani » (UEDC) nel cui statuto era
prevista espressamente la finalità di « sviluppare una collaborazione stretta e permanente tra i partiti democratici cristiani d'Europa, allo scopo di stabilire una politica
comune ». La differenza' tra le due organizzazioni è quindi evidente: mentre le NEI si
limitavano ad essere un organismo di contatto tra « Gruppi e personalità » d'ispirazione democratico-cristiana e di studio della
realtà internazionale, I'LlEDC si pone come
organo di stretta collaborazione tra i « partiti » di comune ispirazione. La nascita del1'UEDC coincide con una ripresa dell'iniziativa europea dei democratici cristiani, testimoniata da freauenti riunioni di consultazione reciproca (la conferenza dei Presidenti
e dei Segretari politici dei partiti membri)
e d a due importanti congressi, quello di
Taormina (1965) e quello di Venezia (1968).
L'UEDC è composta dai partiti DC di 11
Paesi (Austria, Belgio, Francia, Germania,
Italia, Lussemburgo, Malta Paesi Bassi, Repubblica di San Marino, Spagna, Svizzera),
dalllUnione europea dei giovani DC (UEJDC)
e dal gruppo DC del Parlamento europeo;
quest'ultimo, importante e fondamentale elemento nella struttura politica delllUnione.
Ma sono ancora una volta le vicende della
Comunità europea e i problemi internazionali che inducono I'LIEDC a rivedere i suoi
statuti in vista di una sua maggiore incidenza
e rappresentatività. Nel 1971 entra in vigore
il nuovo Statuto, in cui si precisa che
1'UEDC ha come scopi: promuovere e coordinare l'azione internazionale dei partiti democratici cristiani; condurre l'approfondimento dottrinale e promuovere gli studi po((
((
litici d'interesse generale per la Democrazia
cristiana; assicurare l'affermazione dei valori umanistici e cristiani, dei principi di
libertà, di democrazia e di giustizia sociale;
assicurare la diffusione degli orientamenti
e delle realizzazioni della Democrazia cristiana; più in particolare incrementare una
stretta e duratura collaborazione tra i partiti democratici cristiani d'Europa, collaborazione intesa ad attuare una politica comune
per la costruzione di una Europa Federale 9.
Gli organi dell'UEDC sono: il Congresso,
il Bureau politico, il Comitato Esecutivo, il
Presidente, il Segretario generale. Attualmente, dopo il Congresso di Bonn del novembre 1973, è Presidente il tedesco von Hassel.
L'on. Rumor, che è stato Presidente del1'UEDC dal 1965, è ora stato designato Presidente onorario. Segretario generale è l'on.
Forlani. I1 Presidente è coadiuvato da 4
Vicepresidenti: Colin (Francia), Kohlmaier
(Austria), Schmelzer (Paesi Bassi) e Tindemans (Belgio).
Una novità nella struttura dirigente del1'UEDC è rappresentata dal Comitato politico dei partiti DC dei Paesi membri delle
((
17
Comunità europee », costituito dai membri
del Bureau politico dei Paesi membri della
Comunità e dai componenti l'ufficio di Presidenza del gruppo DC del Parlamento europeo.
L'UEDC si vale dell'apporto del Centro
internazionale democristiano d'informazione
e documentazione » e di alcuni gruppi e
commissioni di lavoro: su « Pensiero e azione » (di riflessione ed elaborazione dei motivi ispiratori della Democrazia cristiana),
sulla « sicurezza europea » e sulla Regionalizzazione e politica regionale in Europa ».
L'Assenzblea dei Delegati del CCE, riunitasi a Montecatini Ternze nel maggio 1973,
dava mandato agli organi stattltari delllAssociazione di preparare una riunione comune
con le organizzazioni europee dei partiti politici e i gruppi politici del Parlatnento europeo. Questa decisione si collocava nella
tradizionale strategia del CCE tendente a
coagulare attorno ad una azione cotntlne, e
quindi più efficace, le varie forze reali che
operano nella società europea, primi fra
queste i partiti politici nelle loro strutture
associative a livello europeo.
E' parso quindi opportuno far conoscere,
ai lettori di « Comuni d'Europa », in questa
rubrica, i dati essenziali sulle Organizzazioni
europee dei partiti politici: i n questo numero
parliamo delllUnione europea dei democratici cristiani (UEDC).
COMUNI D'EUROPA
i8
politica organizzativa
L'azione di massa del CCE
A Mulhouse, in Francia, il 5 e 6 ottobre,
sotto la presidenza del Sindaco, on. Mueller,
si è riunita la terza Comrnissionc del CCE,
con la partecipazione, pcr I'AICCE, del Segretario generale, Umberto Serafini, del Consigliere regionale del Piemonte Corrado Calsolaro, del Consigliere comunale di Taranto,
Luigi Ladaga, membro dell'Esecutivo, e del
Direttore per l'organizzazione, Consigliere comunale, Dornenico Falconi.
La terza Commissione, detta anche « Commissioile per l'azione europea
ha il compito di Cortnulare proposte agli organi statutari del CCE per una più adeguata ed efficace diffusione dell'idea di un9Europa sovranazicnale tra gli enti locali e, più in generale,
nell'opinione pubblica, individuando i mezzi, gli strumenti e le procedure più adeg~iate
in relazione all'evolversi della situazione europea. In altre parole, detta Commissione non
ha il compito di operare delle scelte politiche
di fondo, ma di tradurre in indicazioni concrete ed operative la sua riflessione sui diversi campi di azione europea del CCE, in
modo d a renderla più efficace e più incisiva.
L'ordine del giorno della riunione di Mulhouse comprendeva infatti tre temi di grande rilievo: la diffusione delle tesi delle prese
di posizione del CCE, la formazione europea
degli eletti locali e regionali e dei funzionari
loro collaboratori, l'esame dell'evoluzione dei
gemellaggi. Aprendo i lavori, il Presidente
della Commissione ha tenuto a sottolineare
come il primo argomento all'ordine del giorno implicasse Lin serio esame di coscienza
- ed eventualmentc Lin processo di autocritica - di tutto il CCE nella sua organizzazione interna e nelle sue relazioni con l'opinione pubblica. A sua volta, la formazione
europea nelle amministrazicni territoriali
coinvolge una serie di problemi essenziali
per l'adempimento dclle finalità statutarie
del CCE. L'esame dell'cvoluzione dei gemellaggi, infine, riportava in primo piano l'importanza di questo tipo di iniziative, di cui
il CCE t: stato promotore e alle quali deve
essere mantenuto il suo irrinunciabile significato politico.
La discussione sul primo punto si t soffermata soprattutto sulle strutture interne delle
varie Sezioni nazionali del CCE: da esse. infatti, dipende anche la maggiore o minore
capacità di creare una rete di diffusione attraverso la quale comunicare e far conoscere
le prese di posizione dell'Associazione. I rappresentanti dclle varie Sezioni nazionali del
CCE hanno esposto con tnolta franchezza le
rispettive situazioni indicando anche le diverse priorità che ne derivano (politica regionale
pcr i Pacsi caratterizzati da gravi squilibri
territoriali, problemi degli immigrati pei
quelli che ospitano una forte percentuale di
mano d'opera proveniente dall'csterno, problemi della cooperariione tra regioni di frontiera nei Paesi, come quelli del Benelux, che
si trovano geograficamente inseriti nel corpo
dell'Europa) problemi pclitici e istituzionali
piìi generali dell'integrazione europea, là dove, cotne in Italia, gli enti territoriali, e in
particolare le Regioni, sono più politicizzate.
Su questo punto ha insistito Serafini, con ri-
.,
ferimento alla proposta di legge di iniziativa
regionale approvata da alcune Regioni italiane, in merito all'elezione a suffragio universale e diretto della delegazione italiana al
Parlamento europeo.
La Commissione di studio ha raccomandato
vivamente agli organi statutari del CCE una
azione di stitnolo nei confronti delle Sezioni
nazionali affinché esse coprano nella misura
più ampia possibile tutto il territorio mediante strutt~iredecentrate, capaci di assicurare una migliore informazione capillare e
una continuità di contatti con i vari eletti
locali. La discussione è proseguita poi sulle
relazioni tra le varie Sezioni del CCE da un
lato e le Organizzazioni politiche e sindacali, il Movimento Europeo e i Federalisti
dall'altro, nel quadro della risoluzione approvata dalllAssemblea dei Delegati del CCE
a Montecatini. Specie in un momento in cui
la costruzione europea incontra gravi remore ed ostacoli - è stato constatato - è tanto
più indispensabile serrare le fila e coordinare le azioni dei vari organismi in modo da
renderle più efficaci e coerenti. Un'attenzione
particolare è stata rivolta anche all'utilizzazione dei m~uss-mediu- soprattutto la stampa e la televisione - per una migliore diffusione della conoscenza dei problemi europei
e delle iniziative del Consiglio dei Comuni
d'Europa; t stato altresì constatato unanimemente il significato non solo politico, ma funzionale, della creazione a Bruxelles, da parte
del CCE, di un Ufficio di collegamento con
le Comunità europee che, tra l'altro, pubblica un bollettino in quattro lingue, utile struniento di informazione degli enti locali sui
vari aspetti delle politiche comunitarie. Di
fronte alle differenziate richieste degli amministratori locali di una loro migliore sensibilizzazione ai problemi europei, la Comtnissione di studio ha proposto l'elaborazionc di alcuni K schemi di relazioni >,che do-
febbraio 1974
vrebbero facilitare la moltiplicazione di incontri e convegni sull'attività svolta dal CCE
nel campo delle istituzioni europee, della politica regionale e dell'ainbiente, dei problemi
delle regioni periferiche, della libera circolazione dei lavoratori, della cooperazione tra
zone di confine, delle riforme amministrative
e di finanza locale in alcuni paesi della Comunità. Un « albo » di relatori potrebbe essere predisposto sia sul piano nazionale che
sul piano europeo, consentendo così, tra l'altro, un utile scambio e confronto di idee e
di esperienze.
Accanto alla formazione europea degli amministratori locali la Commissione di studio
si è preoccupata anche di quella dei funzionari dei poteri locali e regionali. Infatti questi costituiscono i più immediati collaboratori
degli eletti locali e una loro presa di coscienza delle responsabilità delle autorità territoriali nel processo d'integrazione europea non
può che rendere più pronta ed incisiva la
loro azione nell'ambito del CCE. Verrà quindi
condotto a termine un sondaggio presso le
varie sezioni nazionali per individuare le
concrete possibilità di formazione europea
sia degli eletti locali che dei funzionari nei
singoli paesi.
L'ultimo argomento all'ordine del giorno
della riunione di Mulhouse è stato riservato
ad un'attenta riflessione sulla situazione dei
gemellaggi e sui modi più opportuni per renderli più numerosi e più costruttivi dal punto
di vista politico. I1 numero dei gemellaggi
organizzati dal CCE in Europa è veramente
considerevole, ma la loro ripartizione geografica rivela notevoli squilibri. Infatti su
circa 3.000 gemellaggi effettuati, circa il
75% riguarda la Francia e la Germania. Ciò
si spiega non solo con la vicinanza dei due
Paesi, ma, soprattutto, con le provviden7e
legislative e finanziarie che fino ad oggi hanno favorito, tramite l'ufficio franco-tedesco
della gioventù, gli scambi e i contatti (e, in
questo quadro, anche i gemellaggi fra comuni), con la possibilità, per i comuni gemellati,
di mantenere un ritmo costante di relazioni
e di iniziative. E' giusto ricordare a tale proposito l'azione svolta in più occasioni dal(continua a pag. 31)
il Centro di relazioni internazionali di Mulhouse, sede dei lavori della terza Commissione del CCE
febbraio 1974
COMUNI D'EUROPA
19
Cronaca delle Istituzioni europee
L'evoluzione istituzionale della Comunità europea verso
l'unione politica: rapporto dalle I s t i t u ~ i ~ ncomunitarie
i
di Pier Virgilio Dastoli
I Capi di Stato e di governo della Comunità a nove, riuniti a Parigi nei giorni 19 e
20 ottobre 1972, formularono - al punto
n. 16 della Dichiarazione conclusiva - la
« preghiera D, rivolta « alle istituzioni della
Comunità n, di elaborare una relazione avente ad oggetto K l'insieme delle relazioni degli Stati membri » da trasformare, entro la
fine dei 1980, in una unione europea. Tale
relazione è destinata ad essere sottoposta
ad una successiva conferenza al vertice,
prevista per il 1975.
In tal modo veniva avviata, formalmente,
una procedura istituzionale che, per i fini
assegnati dai Capi di Stato e di governo,
va oltre i limiti giuridico-istituzionali contenuti nei Trattati di Roma.
L'obiettivo assunto dalla conferenza al vertice di Parigi si colloca comunque (conformandovisi) nell'ottica della c.d. « filosofia D
del Trattato istitutivo della Comunità
europea.
La filosofia del Trattato, che assegna ad
esso fini politici trascendenti i suoi intrinseci fini economici, .è stata via via confermata dai governi dei Paesi membri, da ultimo alla conferenza delllAja dei Capi di
Stato e di Governo (1 e 2 dicembre 1969).
Nel documento conclusivo « i Capi di
Stato e di governo tengono a riaffermare la
fede nelle finalità politiche che attribuiscono
alla Comunità ». Le Comunità europee - ribadiscono al punto 4 - « restano i l centro
originale u partire dal quale l'unità europea
si è sviluppata e ha preso il suo slancio ».
I n quella sede fu deciso di passare dal
periodo transitorio alla fase definitiva della
Comunità europea e di approvare di conseguenza i regolamenti finanziari definitivi
agricoli alla fine dell'anno P.
Per quanto conccrne, infine, l'unione economica e monetaria - da una parte - e
l'unione politica - dall'altra -: « essi hanno
riaffermato la loro volontà di far progredire
più rapidamente lo sviluppo ulteriore necessario al rafforzamento della Comunità e al
suo sviluppo in una unione economica
(punto n. 8 ) nonché « h a n n o incaricato i
Ministri degli Esteri di studiare la migliore
maniera per compiere progressi nel settore
dell'unificazione politica, nella prospettiva
dell'allargamento (n.d.r.: adesione del Regno Unito, Irlanda, Norvegia e Danimarca).
I ministri faranno alcune proposte a questo
riguardo prima della fine del giugno 1970
(punto n. 15).
La « filosofia » del Trattato - infine - si
colloca legittimamente nella linea degli impegni internazionalmente assunti dai Capi di
Stato e di governo con la sottoscrizione del
Preambolo al Trattato di Roma.
« La
dichiarazione - scriveva Trabucchi - è voluta come un prius che giustificherà le singole pattuizioni del Trattato, ma
che le trascende, nel senso che la sua natura
non è funzionale: essendo contenute nel
preambolo indicazicni del vero significato
dell'azione degli Stati, sono semmai le singole statuizioni del Trattato che devono adattarsi nell'interpretazione e nell'applicazione
alla dichiarazione programmatica ».
I1 1972 si era aperto sotto il segno del rinnovato dibattito sul problema del rafforzamento delle istituzioni. L'avvio - perlomeno
formale - di una Unione economica e monetaria (prevista in tre tappe: piano c.d.
Werner) e la contemporanea conclusione del
periodo transitorio, indicato dal Trattato di
Roma, avevano riproposto il problema della
democraficifci e dell'efficacia della azione comunitaria, di fronte al progressivo accrcscimento delle sue competenze.
Nella previsione del contemporaneo avviamento di tutta una serie di politiche comuni,
non espressamente contenute nel Trattato
istitutivo, veniva ad aggravarsi - inevitabilmente - lo squilibrio interno alle istituzioni
comunitarie, già causa capitale del farraginoso rapporto di cooperazione fra Consiglio,
Commissione e Parlamento e pesante ipoteca
sulla capacità comunitaria di prendere ed
imporre obiettivi ed impegni di natura
globale.
In questa situazione i termini apparentemente distinti - ed entrambi direttamente
afferenti al dibattito sul « rafforzamento delle istituzioni comunitarie » - di « democraticità » ed « efficacia n delle Comunità europee mostrano in tutta la loro logica, urgenza
e necessità di essere strettamente legati l'uno
all'altro.
I1 rapporto Vede1
La discussione su queste tematiche è ancora una volta innestata dalla Commissione
esecutiva che (canto del cigno?!) sembra
essere in grado di fungere da stimolo e f d a
coscienza critica delle istitu7ioni comunitarie.
La Commissione di Bruselles presenta, infatti, una relazione sui problemi attinenti all'ampliamento delle competenze del P.E. ed
all'evoluzione istituzionale delle Comunità,
nota come « rapporto Vede1 ».
Tale relazione, elaborata in piena indipendenza da un gruppo « ad hoc » di quattordici
personalità, presieduto dal decano Georges
Vedel (preside onorario della facoltà di giurisprudenza di Parigi), è resa pubblica e contemporaneamente inviata al Consiglio dei Ministri il 25 marzo 1972.
I1 gruppo ad hoc, nell'ambito del mandato
conferitogli dalla Commissione, ha esaminato
tutte le implicazioni derivanti dall'ampliamento delle competenze del P.E.:
i) nella prospettiva di un ampliamento
graduale delle competenze della Comunità e
di un trasferimento graduale di alcune prerogative delle istituzioni degli Stati alle istituzioni comunitarie, da realizzarsi con il libero accordo di tutti gli Stati membri;
« ii) allo scopo di dotare la Comunità di
un sistema istituzionale efficace;
"
"'lo
di garantire che le decisioni della Comunità siano prese in un quadro di legittimità democratica;
« iv) tenendo conto dei principi e delle
pratiche costituzionali dei singoli paesi membri della Comunità n.
Per assolvere tale mandato, l'esame svolto
dal gruppo ad hoc ha riguardato, in particolare:
i) l'attività costituente del P.E., cui partecipano in varia misura la Commissione, il
Consigiio, i Parlamenti ed i Governi nazionali,
nonché gli stessi popoli direttamente (ad
es. mediante referendum, n.d.r.);
ii) la partecipazione del P.E. al processo legislativo comunitario in tutti i campi che rientrano o rientreranno nelle competenze della Comunità;
« iii) la definizione della competenza del
P.E. in materia di bilancio;
iv) le funzioni del P.E. in materia di
controllo politico sul potere esecutivo della
Comunità (attualmente Commissione esecutiva);
v) le
dei poteri
istituzioni
tura e sul
conseguenze del rafforzamento
del P.E. sui rapporti fra le varie
delle Comunità sulla loro strutloro metodo di lavoro;
« vi) il rapporto fra il rafforzamento delle competenze del P.E. e la sua elezione a
suffragio universale e diretto n.
Al di là delle soluzioni tecniche e procedurali che il gruppo Vede1 dà ai problemi concernenti l'ampliamento delle competenze del
P.E., è opportuno sottolineare, in questa sede,
alcune affermazioni di principio che sono
state fatte proprie dalla Commissione esecutiva e come tali inviate al Consiglio dei
Ministri.
Tali principi, pur nell'ottica delle soluzioni
adottate dalla Commissione, sono la premessa necessaria per un reale sviluppo in senso
unitario (oserei quasi dire federale ») delle
istituzioni comunitarie (ammesso e non
concesso che le attuali istituzioni possano
avere, in sé, la capacità politica e giuridica
di evolvere in senso federalc).
« L a Comunità - scriveva il gruppo Vedel - per svolgere le sue funzioni che la
attendono nel periodo definitivo, ha bisogno
di una legittimazione democratica comunitaria, oltre quella che i governi responsabili le
conferiscono. La necessità di tale legittimazione aumenta con l'ampliamento di tali
compiti.
« L'ampliamento delle compctcnzc a carattere largamente discrezionale contenuto in
maniera esplicita od implicita nei Trattati
non può avvenire senza il sostegno delle
forze politiche e sociali ».
« Il rafforzamento del ruolo del P.E. - s ~ t tolinea più oltre la relazione Vede1 - colma
una lacuna non solo da un punto di vista
democratico, m a anche da quello del tunzionamento efficace della Comunità D.
Le proposte della Commissione, presentate
alla conferenza dei Capi di Stato e di go((
COMUNI D'EUROPA
verno di Parigi vengono senza esitazione relegate all'ultimo punto alllo.d.g. e come tali
fanno oggetto dell'ultimo paragrafo del ccmunicato finale (ricordato all'inizio) chc
giova qui riportare per esteso.
« I Capi di Stato e di governo, essendosi
assegnato come obiettivo capitale quello di
trasformare, entro la fine dell'attuale decennio, e nell'assoluto rispetto dei trattati
già sottoscritti, l'insieme delle relazioni degli Stati membri in una Unione europea,
pregano le istituzioni della Comunità di elaborare a questo riguardo, entro la fine del
1975, una relazione destinata ad essere sottoposta ad una successiva conferenza al
vertice D.
La dizione del comunicato finale, volutamente fumosa e generica, ha intenzionalniente acceso la miccia delle polemiche sull'attribuzione delle competenze istituzionali
per l'elaborazione del progetto di Unione
europea da presentare al vertice previsto
per il 1975 e sulla eventuale procedura di
concertazione fra le singole istituzioni.
Vi è comunque da sottolineare che - almeno fino all'autunno del 1973 - le istituzioni comunitarie si guardano bene dal farsi
coinvolgere nel dibattito relativo alle dette
competenze, dando la preferenza probabilmente ad una « abile » attività di temporeggiamento - in attesa dei primi passi che una
di esse, in maniera autonoma, avrebbe compiuto - c/o evitando di procedere avventatamente su un terreno tanto vasto quanto difficile come l'unione europea.
I1 silenzio è rotto (si fa per dire) dalla
Commissione esecutiva e dal Parlamento
(per bocca della sua con~missionepolitica)
che, significativamente in coincidenza con
l'ennesima svolta involutiva che trascina le
Comunità verso una perdurante paralisi
(complice stavolta la crisi energetica), danno
faticosamente inizio - ognuno per sé e con
risultati, come si vedrà, antitetici - alla
procedura di elaborazione delle relazioni sull'unione politica.
La Commissione esecutiva
La Con~missione esecutiva si t. riunita a
Duivcnvoord (Olanda) 1'11 cd il 12 ottobre
1973. « L'atmosfera di questo conclave
- scriveva "Agence Europe" - subisce logicamente l'influenza della divisione degli spiriti e degli orientamcnti che si è manifestata
ieri (il 10 ottobre, n.d.r.) quando è stato necessario prendere una decisione a proposito
dei poteri budgetari del Parlamento (v. più
oltre, nel paragrafo concernente il P.E.,
n.d.r.). I commissari hanno abbordato immediatamente il tema che si trova al centro delle
loro riflessioni, ossia quale potrebbc essere
il contenuto di un progetto di rapporto riguardante la trasformazione della Comunità
in Unione. Bisogna sapere qual è il contributo che la Commissione in quanto tale può
dare a questo lavoro, e sino a che punto questo contributo ha una vocazione "generalc",
o, in altre parole, politica D.
I commissari hanno converiuto che la realizzazione deve essere conforme ai principi
che hanno ispirato la costruzione dell'Europa, alla evoluzione dclla situazione mondiale
durante gli ultimi anni e alla vocazione dell'Europa nel mondo.
E' risultato evidentc che i problemi a lungc terminc, posti per la realizzazione delllUp,
(Unione politica), sono strettamente legati
alle soluzioni che riceveranno certi problemi che si pongono a breve termine, cioè
entro la fine dell'anno, fra l'altro nel settore
dell'uem (Unione economica e monetaria),
senza tralasciare gli aspetti istituzionali, la
cui importanza sembra essere sempre più
evidente, mano a mano che si avanza e che
le difficoltà da superare diventando più importanti.
Ma, al di sotto delle premesse generali sullc quali i commissari hanno trovato un accordo sostanziale, sulla procedura ( e men
che meno sulla sostanza del rapporto per
1'Up) la Commissione è riuscita a raggiungere un compromesso benché minimale.
La situazione all'interno della Commissione, infatti, si è notevolmente deteriorata,
come risulterà del resto nel prosieguo del
mio dire.
La struttura attuale della Commissione
- che .è forse la più politicizzata dalla nascita della Comunità - anziché essere di stimolo per una più energica azione della stessa
nei confronti del Consiglio dei Ministri, ha
al contrario funzionato da freno verso l'esterno e da moltiplicatore dei contrasti all'interno.
Le reazioni che la Commissione ha ufficializzato
di fronte all'immobilismo progressivo in seno al Consiglio dei Ministri
(causa prima il prevalere degli interessi nazionali sugli obiettivi comunitari) si sono fatte via via sempre più povere di a carica stimolante » e di « inventiva » riducendosi così
l'azione dell'esecutivo ad un C realismo minimale ». Le proposte della Commissione in
materia di poteri budgetari (e che hanno scatenato reazioni forse inimmaginabili in seno
a! Parlamento europeo) sono inequivocabilmente indicative del processo di deterioramento avvenuto nell'azione dell'Esecutivo
comunitario.
Con l'eccezione di Altiero Spinelli, ora completamente isolato e la cui K ideologia » di
base è oramai una voce che grida nel deserto
del più gretto funzionalismo comunitario e
della sclerosi dell'eurocra7ia brusselliana, il
resto dei commissari (pur ammettendo la
buona fede di alcuni di essi) si è fatto coinvolgere in un processo che ha già avuto
- quale risultato intermedio - la trasformazione della Commissione (un tempo motore
della Comunità) in un vero e proprio « searetariato politico del Consiglio dei Ministri ».
Si è così venuto a consolidare, di fatto, un
piano ispirato dalla filosofia dell'europeismo
gollista, avallato ora dall'azione frenante dei
conservatori inglesi, gli unici rappresentanti
britannici nelle Comunità ad ogni livello. I1
blocco progressivo delle più importanti politiche comuni - alcune delle quali ancora
non erano state avviate (v. la politica reqionale) - ha coinciso quindi con la cristallizzazione dello squilibrato sistema dei rapporti fra le istituzioni comunitarie, sistema
che vede in posizione preminente il Consiglio dei Ministri, organo legislativo e cassa
di risonanza degli interessi nazionali, con conseguente emarginazione delle altre due istituzioni (Commissione e P.E.) da ogni reale
processo decisionale della Comunità.
Vi è da registrare, Iast but not least, la
C( Dichiarazione sullo stato della Comunità
fatta in data 31 gennaio u.s. a nome della
Commissione esecutiva dal Presidente Ortoli.
I1 documento finale è stato elaborato sulla
base di alcune note presentate a tale riguardo dai commissari Ortoli, Scarascia Mugnozza, Spinelli ed Haferkamp.
febbraio 1974
La nota di Spinelli è rimasta, come risulta da un accostamento anche superficiale con il documento ufficiale della Commissione, assolutamente minoritaria.
Spinelli ha dichiarato che C( si avvicina il
momento in cui la rinazionalizzazione delle
politiche dei Paesi associati diverrà irreversibile D. Secondo il commissario italiano i
tempi delle risposte tecniche sono superati D.
Egli ha sollecitato la Commissione a chiedere
ai governi di dare al P.E. il mandato di approntare un progetto di costituzione comprendente le riforme istituzionali necessarie
per far funzionare un reale governo europeo.
Questo progetto dovrebbe poi essere ratificato dai Parlamenti nazionali o da referendum popolari.
Spinelli, infine, ha chiesto che (C la Commissione proponga che questa procedura costituente sia adottata senza ritardi, come è
tecnicamente possibile. Ma è evidente - conclude il commissario italiano - che uno o
due anni passeranno prima che il governo
europeo esista effettivamente D.
La posizione assunta da Spinelli si colloca
nella logica e nella strategia della sua battaglia necessaria, ma difficile per il posto
in cui egli si trova.
La sua richiesta di affidare al Parlamento
europeo la funzione costituente della Unione
politica europea è coerentemente legata alla
visione spinelliana n, della futura Comunità
politica.
K I n realtà, la Comunità - egli scriveva
ne «L'Avventura Europea P - non è solo
un'associazione di Stati; è anche un corpo
politico dotato di personalità propria, sovraordinato in certi campi agli Stati, dotato di
proprie istanze, produttore di decisioni che
devono essere adottate dagli Stati membri
e rispettate dai cittadini. Quel che per gli
Stati è quindi uri trattato, per la Comunità
è la sua costituzione; quel che per gli Stati
è una revisione del trattato, per la Comunità
è una revisione costituzionale.
« S e in quanto trattato internazionale la
revisione deve essere preparata da una conferenza diplomatica, il costume democratico
dei nostri paesi esige che, in quanto costituzione della Comunità, la revisione sia preparata dall'istituzione che ne rappresenta il popolo, cioè il Parlamento europeo D.
«Oltre che essere più corretta dal punto
di vista democratico - sottolineava ancora
Spinelli - questa procedura ha il grande e
fondamentale vantaggio politico di far partecipare alla costruzione europea tutte le forze
politiche popolari nell'ambito di una istituzione che per sua natura è interessata in
modo permanente e forte allo sviluppo della
Comunità ».
A fronte di questa posizione « spinelliana »
si pone la «dichiarazione sullo stato della
Comunità » della Commissione. Tale dichiarazione - è bene dirlo a chiare lettere può essere vista soltanto nell'ottica della strategia posta in essere da de Gaulle e praticamente avallata dalla complice inerzia dei
cinque (ora otto) pnrtners europei.
In sostanza dalla « dichiarazione sullo
stato della Comunità » si delinea con una
certa nettezza unlEuropa dotata sì di politiche comuni, ma non di organi comuni effettivamente in grado di gestirle.
K La situazione attuale delllEuropa - a
detta della Commissione - può avere soltanto una causa: un dubbio. anche inconsapevole (sic!), sul posto da dare alla costruzione europea come mezzo per vincere le dif-
febbraio 1974
COMLINI D'ELIROPA
21
definita come una « piccola rivoluzione » nel
La Commissione esecutiva assisterebbe ai
sistema dei rapporti tra istituzioni comu- lavori, m a senza diritto di voto.
nitarie.
- Sulle proposte della commissione di
La Commissione esecutiva, con le sue re- concertazionc, il Consiglio deciderebbe a
centi proposte « minimali » al Consiglio si è maggioranza qualificata cd il P.E. con la
volontariamente (in materia di bilancio) pri- maggioranza dei suoi membri ed a maggiovata di quella parvenza di legittimazione de- ranza semplice dei voti espressi.
mocratica che il Parlamento europeo dava
- I n caso che la proposta fosse respinta
alle sue proposte, con l'avallo della indiretta
dal Consiglio o dal Parlamento, la commismediazione tra opinione pubblica e Comunità.
sione di concertazione sarebbe nuovamente
I1 Parlamento, da parte sua, ha subito dato
incaricata dopo uno scambio di vedute fra il
inizio a d una autonoma procedura di collaParlamento europeo ed il Consiglio in seborazione con il Consiglio dei Ministri, tesa
duta plenaria.
alla ricerca di un procedimento di stretta
- In caso di sconfitta di questo secondo
concertazione fra le due istituzioni in matentativo di conciliazione e se il Parlamento
teria di bilancio.
I n seno al Parlamento europeo la discus- si pronunciasse con la metà più uno dei suoi
sione e i maggiori contrasti si sono avuti fra membri e con due terzi dei voti espressi, il
Commissione per il bilancio, da una parte, e Consiglio non potrebbe modificare questa
decisione se non con un voto unanime ed
Commissione politica, dall'altra.
in seduta pubblica. Un'astensione nel ConI punti principali e più controversi erano:
la creazione di nuove risorse proprie e il siglio impedirebbe l'unanimità
c.d. « dernier mot » sugli atti comunitari
Questa risoluzione del P.E. necessita, nel
aventi un rilievo finanziario.
Per ciò che concerne questo punto, il Par- caso sia accolta dal Consiglio dei Ministri,
lamento europeo, nella seduta del 4 e 5 ot- di una revisione del Trattato.
Per quel che concerne le nuove risorse protobre 1973, aveva esaminato due proposte
prie, il P.E. ha respinto la formula della
alternative: 1) rapporto Spénale, a nome
della Commissione per il bilancio, che pre- Commissione per il bilancio, che tendeva a
limitare l'aumento della T.V.A. (Imposta sul
vedeva il potere del « dernier mot » a favore
Valore
Aggiunto) (in percentuale) a un solo
del P.E.; 2) rapporto Kirk, a nome della
Commissione politica, che proponeva l'istitu- punto.
L'Assemblea ha proposto che le decisioni in
zionalizzazione della procedura di concertamerito
a questo problema siano prese dal
zione (c.d. « navette » o « concertation au
Parlamento europeo, su proposta della Comfinish
n).
I1 Parlamento europeo
missione, ma dopo un accordo unanime del
Nella ricordata seduta del 4 e 5 ottobre, il
Consiglio.
L'azione del Parlamento europeo, al con- Parlamento europeo adottava una risoluzione
Sulla base delle conclusioni alle quali il
trario di quella della Commissione, si è fatta emendata dall'on. Aigner, a nome del grupè pervenuto al termine del dibattito del
P.E.
nel corso del 1973 ed ancora nel 1974, più po democratico-cristiano, che veniva accolta
4
e
5
ottobre 1973, la Commissione esecutiva
decisa.
dalllAssemblea.
ha messo a punto delle nuove proposte che
Se si dovesse individuare oggi a Bruxelles
I n seguito a questa risoluzione, il Consi- h; trasmesso al Consiglio ed al Parlamento.
uri interlocutore da privilegiare nella battaglio dei Ministri avrebbe mantenuto il poLa Commissione h a preparato inoltre il seglia che il CCE si prepara a condurre per
tere del « dernier mot », ma solamente a que- guente « Progetto di una Dich~arazionecorrzula Comunità federata, bisognerebbe guardare
ne del Parlanzento europeo, del Consiglio e
con attenzione l'evoluzione politica all'inter- ste condizioni:
«
in
caso
di
disaccordo,
una
"
commisCoinrrzissione relativa all'instaurazione
della
no del P.E. e nei suoi rapporti con le altre
sione di concertazione" sarebbe stata istitui- di una procedura di concertazione D :
istituzioni.
L'Assemblea di Strasburgo - costretta a ta al fine di ricercare una soluzio'ne di com1) E' istituita una procedura di co'ncertavestire un abito non suo: il consulente auto- promesso. Tale commissio~ne sarebbe com- zione fra il Parlamento europeo ed il Conrevole della Commissione e del Consiglio -,
posta in modo paritario dal Consiglio e dal siglio, con il concorso attivo della Comha subito, in misura maggiore delle altre isti- P.E.
missione.
tuzioni, l'inevitabile usura derivante dal già
ricordato squilibrio nel sistema di rapporti
e competenze intracomunitarie.
La progressiva trasformazione delle componenti politiche all'interno dell'Assemblea,
il maggiore impegno europeista di molti suoi
deputati, la ritrovata consapevolezza della
essenziale funzione di tramite fra forze politiche e sociali (l'opinione pubblica, indirettamente rappresentata) e le decisioni comunitarie (anche se solo a livello consultivo); non
ultima la recente presa di coscienza da parte
di un vasto arco delle forze democratiche
di sinistra della urgenza e della necessità di
una loro più incisiva azione sul piano dell'evoluzione e della legittimazione democratica
delllEuropa comunitaria, tutto ciò ha indubbiamente contribuito a dare all'assise di
Strasburgo quel minimo di coraggio per battersi a favore di un progressivo accrescimento delle sue funzioni (specialmente in materia di bilancio e di risorse finanziarie).
ficoltà, oggi o a termine, e di assicurare ai
nostri popoli l'avvenire ».
In tal modo si sposta abilmente l'ottica
del dibattito dal rafforzamento e dall'evoluione delle istituzioni comunitarie in un'unione politica al problema della collocazione
della comunità: come se a monte di tutto ciò
non debba esserci una volontà politlca comune espressa da un organo politico comune
(goveri?~e10 Parlarrzento).
E' indispensabile - a giudizio della Commissione - far convergere (e non unificare!
n.d.r.) le politiche. I n alcuni casi, occorre
compiere (bontà loro!) azioni comuni D.
« 11 rilancio delllEuropa esige - conclude
il documento della Commissione - un cambiamento duraturo del comportamento degli
Stati membri, un atteggiamento nuovo, più
deciso, che ponga maggiormente in risalto il
posto della politica europea nell'avvenire dei
nostri popoli e che sia sentito come tale all'interno ed all'esterno delle nostre frontiere.
Ma ciò non basta. I1 grado di unità di cui
l'Europa ha bisogno richiede istituzioni capaci di attuare costantemente e senLa ritardi
una politica vera. Da questo punto di vista
le istituzioni attuali sono al limite delle loro
possibilità. Gli indispensabili miglioramenti
permetteranno soltanto di assicurare una
maggiore efficienza di funzionamento, in attesa che venga raggiunto l'obiettivo che i nostri nove Paesi già si sono prefissi: la creazione di una unione europea ».
I poteri in nzateria di bilancio
La questione relativa all'accrescimento dei
poteri del P.E. in materia finanziaria ha innescato la miccia di quella che può essere
)).
22
come previsto dall'emendamento dell'onorevole Aigner.
In effetti, il Consiglio che partecipa in
quanto tale alla commissione di concertazione non sarà assolutamente disposto a fare
3) La Cominissione indica al momento del- delle concessioni poiché esso dispone del
la sua proposta se l'atto considerato è suscet- « dernier mot ». I n queste condizioni, la concertazione non è - secondo l'on. Spénale tibile, a suo parere, di essere oggetto della
che una farsa.
procedura di concertazione. I1 Parlamento
Nel dibattito che è seguito, tutti i parlapuò egualmcnte domandare l'apertura di
mentari,
tranne l'on. Terrenoire, hanno adequesta procedura fino al momento in cui
rito alle tesi dell'on. Spénale.
formula il suo parere.
L'on. Aigner (D.C. tedesco), in particolare
4) La procedura si apre sc il Consiglio in- ha sostenuto che non aveva mai visto prentende discostarsi dal parere adottato con una
dere dalla Commissione una decisione C così
maggioranza significativa del Parlamento.
stupida e così irresponsabile n.
5) La concertazione ha luogo in seno ad
La risoluzione della Commissione è, a suo
una comrnissione di concertazione, che raggiudizio, l'inizio del processo di dissolu~ione
gruppa i membri del Consiglio ed i rappre- del Parlamento.
sentanti del Parlamento. La Commissione
L'on. Rossi (liberale francese) ha appoggiapartecipa ai lavori della commissione di con- to il punto di vista difeso da Spénale e
certazione.
Aigner; egli ha dichiarato che, se dovesse essere
presentata la mozione di censura nei
6) La proccdura ha come obiettivo il raggiungimento di un accordo fra le due istitu- confronti della Commissione, tale mozione
dovrà essere redatta in forma « positiva » in
zioni (Parlamento e Consiglio, n.d.r.).
niodo tale che opinione pubblica e Consiglio
7) Quando la commissione di concertaziosappiano ciò che vuole il Parlamento.
ne ritiene che le posizioni delle due istituL'on. Fabrini (comunista italiano) ha dozioni sono molto vicine per permettere un
mandato che fosse immediatamente esamiaccordo, la proposta è so'ttoposta al Parlanato il solo mezzo assegnato al Parlamento
mento europeo - in seconda lettura -, ed
per difendersi: cioè la mozione di censura.
in seguito al Consiglio S .
L'on. Gerlach (socialista tedesco) ha pro
posto
che il problema (della mozione di
In scstanza, la proposta della Commissione prevede che il potere del « dernier mot » censura, n.d.v.) fosse rimesso al giudizio dei
sia affidato al Consiglio (punto 7) con garan- gruppi politici.
L'on. Spénale (presidente della Commiszie e condizioni notevolmente inferiori a
sione), concludendo, ha aderito a tale proquelle previste dalla risoluzione Aigner.
posta a nome della Commissione per il biIn seguito a tale progetto di risoluzione colancio.
niune, si è riunita il 24 ottobre 1973 la ComSuccessivamente, il 26 ottobre 1973, si riumissione per il bilancio del P.E., sotto la
niva a Bruxelles la Commissione politica del
presidenza dell'on. Spénale.
P.E., presieduta dall'on. Giraudo.
I1 Presidente della Commissione, in apertu11 Presidente della Commissione dichiarava
ra di seduta, ha espresso la propria amarezza
che la Commissione politica doveva difendere
e delusione per la decisione presa dall'Esecula risoluzione del P.E. che si trovava sul tativo comunitario. Egli ha poi attaccato viovolo del Consiglio dei Ministri e che, nonolentemente la Commissione, esprimendo il
stante le proposte dell'Esecutivo comunitasuo rammarico perché i commissari avevano
partecipato alle discussioni negli organi del rio, continuava a conservare il suo valore.
L'on. Giraudo invitava poi la Commissione
P.E. e, successivamente, avevano preso una
esecutiva
a continuare le sue riflessioni e ad
decisione così rapida e senza appello, danusare, eventualmente, l'art. 149, 2/CEE, per
done oltre tutto per prima cosa notizia alla
emendare le sue proposte e permettere al
stampa.
Parlamento di essere associato più strettaL'on. Spénale ha poi fatto notare come la
Commissione, sia nel 1965 che nel 1970, aveva
mente al processo legislativo della Comunità.
Successivamente è intervenuto, nel corso
proposto il c.d. « dernier mot » a favore del
del dibattito, l'on. Patjin. Egli ha giudicato la
P.E. e che, oltre tutto, aveva in precedenza
decisione della Commissione esecutiva un
annunciato delle nuovc proposte, perché la
decisione presa nel 1970 dal Consiglio non
fatto politico molto importante. I1 Parlamenpoteva darle soddisfazione e perché era nelle to, a suo giudizio, sarà chiamato a valutarlo
sue intenzioni e speranze che fosse attri- e, eventualmente, a sanzionarlo usando i
buito al P.E. ciò che il Consiglio aveva ri- mezzi che gli sono propri.
fiutato alla Commssione.
Da parte sua, l'on. Faure ha giudicato che,
Ora - ha continuato Spénale, - le propocon le sue proposte, la Commissione esecuste della Commissione lasciano il « dernier tiva ha rotto la propria solidarietà (la Commot » al Consiglio. Quanto alla sostanza, v~ission s'est désolidarisée) con il Parlal'on Spénale ha criticato molto vivacemente
mento.
la proposta della Commissione che mette a
Concludendo il dibattito, i rappresentanti
suo giudizio il Parlamento in una situazione dei gruppi politici si sono riservati di prendi estrema debolezza.
dere una posizione sull'e\entualità di una
L'on. Spénale ha criticato in particolare la
mozione di censura.
procedura di concertazione prevista nella
Con lettera del Presidente del P.E., 1'Asquinta parte delle proposte della Com- semblea ha richiesto al potere legislativo
missione.
(Consiglio) di poter partecipare con propri
La concertazione prevista dalla Commissio- membri delegati ai lavori del COREPER sul
ne non ha alcun valore se essa non è sanzio- problema dei poteri budgetari. I1 Presidente
nata dallo strumento del « dernier mot », di turno del Consiglio dei Ministri, da parte
2) La procedura è suscettibile di essere applicata per l'adozione degli atti comunitari
di portata generale aventi implicazioni finanziarie rilevanti e la cui adozione non si
impone in virtù di atti preesistenti.
febbraio 1974
COMUNI D'EUROPA
sua, ha già dato assicurazione che tale richiesta sarà esaminata al più presto (1).
Vi è da registrare infine - a margine dell'ultima sessione plenaria del P.E. (svoltasi
a Strasburgo dall'll al 15 febbraio 1974) la presa di posizione dei partiti di sinistra
contro la Commissione esecutiva.
L'on. Vals, presidente francese del gruppo
socialista, ha espresso la sua convinzione
che K la pusillanimità istituzionale del Consiglio e della Commissione non può più essere
accettata dal Parlamento » ed ha annunciato
che il suo gruppo depositerà una mozione di
censura contro la Commissione esecutiva,
chiedendo al Parlamento europeo di pronunciarsi formalmente su questo tema.
Dato che quest'ipotesi ha tutte le possibilità di verificarsi, è possibile prevedere che in
marzo il gruppo socialista proporrà al Parlamento di usare la facoltà che gli l: data dal
Trattato di « rovesciare » la Commissione
con un voto di censura.
Le relazioni del P.E. per l'Unione politica
A fronte della crisi di fiducia, di iiolonlà,
di lucidità (per dirla con le parole del Presidente Ortoli) che ha investito l'attività della
Commissione esecutiva, determinandone la
paralisi nel conseguimento dei suoi compiti istituzionali
in special modo per ciò
che concerne l'elaborazione del rapporto
sul-l'evoluzione istituzionale verso 1'Up - si pone
oggi il tentativo della Commissione politica
del P.E. di precostituire una relazione-base
sull'Up, da presentare alla Conferenza al vertice di Bonn, quale contributo « costituente D
dell'assemblea parlamentare europea.
Sono infatti in gestazione, tutti dinnanzi
alla summenzionata Commissione politica
(Presidente il sen. Giraudo), le relazioni seguenti:
-+
- rapporto Bertrand: sull'ulteriore evoluzione istituzionale della Comunità europea
verso l'Unione europea (Unione politica);
- rapporto Patijn: sul problema dell'elezione a suffragio diretto dei membri del Parlamento Europeo;
- rapporto Bourges: sulla politica esteri< della Comunità;
- rapporto Kirk: sulle procedure di evoluzione delle singole istituzioni comunitarie.
( 1 ) Nella sessione di marzo, il Consiglio dei
Ministri degli esteri affronterà il problema dei
poteri del P.E. Le prospettive di successo delle
richieste dell'Assen~blea sono comunque nulle;
anche dopo le dichiarazioni del ministro francese Jobert, della fine di febbraio.
Jobert ha respinto il punto di vista del P.E.
sulle decisioni che il Consiglio dei Ministri comunitario dovrà prendere prossimamente sul
rafforzaniento dei poteri del Parlamento in materia di bilancio. Nel corso di un colloquio avuto
a Parigi con lo stesso Jobert, una delegazione
del P.E. - composta dal Presidente Berkhouwer
e dai deputati francesi Colin, Spenale e Cousté - ha sostenuto la tesi che l'equilibrio comunitar-io si romperebbe se un rafforzamento sostanziale dei poteri di bilancio non desse al P.E.
la possibilità di esercitare un efficace controllo
sulle entrate e sullc spese della Comunità. Se
il Consiglio rifiutasse i poteri richiesti - rirerisce l'Agenzia Europa Unita - si renderebbe
responsabile di una grave crisi: il P.E. potrebbe
rifiutare l'esame del bilancio per il 1975 o presentare una mozione di censura nei confronti
della Commissione esecutiva.
Jobert si è dichiarato personalmente favorcvole ad una concertazioiie approfondita con
il P.E. sul rafforzamento dei suoi poteri in
materia di bilancio, ma si è opposto a concedergli l'ultinia parola.
COMUNI D'EUROPA
febbraio 1974
I1 progetto di relazione di maggior respiro e di immediato interesse per il processo di
Unione europea t: indubbiamente il primo,
affidato al deputato democratico-cristiano
belga on. Bertrand.
La Commissione politica, riunitasi a Roma
il 31 gennaio ed il 1" febbraio, ha già iniziato
l'esame di tale progetto di relazione. Le discussioni di questi due giorni hanno avuto
comunque per oggetto il solo aspetto procedurale della relazione Bertrand. La conclusione alla quale sono giunti i parlamentari
europei t: stata che nella relazione dovranno
essere indicati i principi, i fini, le competenze e gli organi delllUp, ma non in modo
troppo dettagliato.
Ai lavori ha partecipato, di sua iniziativa,
il ministro degli esteri tedesco Walter Scheel,
presidente di turno del Consiglio delle Comunità. Scheel, da parte sua, ha info'rmato
la commissione parlamentare che il Consiglio si appresta a prendere molto presto delle decisioni (2) sulla procedura da adottare
per la preparazione del documento ministeriale sull'Unione europea che sarà presentato
al prossimo vertice.
Scheel si è anche augurato che le consultazioni previste tra le quattro istituzioni
- Consiglio, Commissione, Parlamento
e
Corte di Giustizia - abbiano luogo al più
presto.
Dal canto suo il vicepresidente dell'Esecutivo Scarascia-Mugnozza ha comunicato che
la Commissione ha deciso di instaurare una
procedura di contatto con il P a r l ~ m e n t o
europeo - ed in particolare con la Commissione politica - per meglio seguire i vari
stadi della preparazione del documento sull'Unione europea, che la Commissione (esecutiva, n.d.r.) auspica possa diventare un
documento comune del Parlamento europeo
e suo.
Nel quadro di questa procedura di contatto, il presidente della Commissione politica
sen. Giraudo ed il relatore Bertrand si sono
poi recati a Bruxelles, dove hanno incontrato il Presidente Ortoli e lo stesso ScarasciaMugnozza.
Nel corso dell'incontro sono state poste le
basi per una concreta procedura di concertazione fra le due istituzioni. E' per il momento esclusa la formazione di una commissione paritetica, stante il non avanzato stato
dei lavori della Commissione politica e la paralisi che ha colpito attualmente l'Esecutivo.
L'iniziativa di Scarascia-Mugnozza ha comunque contribuito a far decantare, almeno
in seno alla Commissione politica, la tensione
esistente per la dura polemica in materia
di poteri budgetari del P.E.
A giudizio del sen. Giraudo il progetto di
relazione Bertrand, emendato sulla base delIc indicazioni della Commissione politica c
dei suggerimenti dell'Esecutivo comunitario,
23
sarà approvato dal P.E. nella sessione plcnaria di fine maggio, per permettere la sua
presentazione alla conferenza al vertice prevista per il mese di giugno (3).
Nella sostanza il progetto di relazione Bertrand seinbra essere il frutto di una serie di
dibattiti in seno al gruppo DC del P.E. e
di alcuni suggerimenti ed indicazioni presentati nell'ambito del Congresso UEDC dello
scorso novembre a Bonn.
Da informazioni assunte anche presso lo
stesso relatore, l'on. Bertrand ricorda ncl
suo progetto che le grandi linee dell'unione
europea sono già state indicate dalla Conferenza al vertice di Parigi allorché è stata
ribadita la volontà di fondare lo sviluppo
della Comunità sulla democrazia, sulla libertà delle opinioni, sulla libera circolazione
delle persone e delle idee, sulla partecipazione dei popoli per il trainite dei loro rappresentanti liberamente eletti ».
A giudizio dell'on. Bertrand l'Unione europea, da un punto di vista qualitativo, dovrà
essere più che una semplice estrapolazione
dell'attuale Comunità. Essa non sarà né u n
I Z L L O V O stato unitario né una nuova orgunizzuzione internazionale.
( 3 ) Nella riunione della Commissione politica
del 21 e 22 febbraio u.s. si è esaminata la relazione Bei-trand nella sostanza, oltre che sulla
procedura. Si è deciso comunque di elaborare
una risoluzione interlocutoria, da presentare alla
sessione plenaria del prossimo aprile. Si è poi
posto il problema di coinvolgere le forze politiche all'azione del P.E. per 1'Up. I1 presidente
Giraudo, da parte sua, con lettera inviata ai
presidenti dei gruppi parlamentari, ha proposto
la con,,ocazione di un vertice di
le forze
politiche per il prossimo autunno.
Al di là della proposta Giraudo - che ha realisticamente poche possibilità di essere accolta vi è il proposito di convocare comunque una
riunione delle varie forze politiche presenti nel
P.E. Der discutere ampiamente dei oroblemi relativi all'Up europea.
Nello stabilire le misure necessarie per il
rafforzamento delle istituzioni comunitarie
e l'evoli-izionc verso I'Up, l'on. Bertrand ritiene poco realistico attendersi che l'obiettivo finale possa essere raggiunto con un
grande balzo qualitativo. Nel suo progetto
di relazione viene quindi proposto un piano
a tappe.
11 piano graduale, a suo giudizio, potrebbe
prevedere tre fasi:
1st fase: un periodo transitorio fino alla
fine del 1974, durante il quale si apportcranno alla struttura istituzionale - senza alcuna
modifica dei trattati - quei miglioramenti
sostanziali per il funzionamento della Comunità ormai avviata a trasformarsi in Unione
europea;
2" fase: un periodo intcrmedio, dopo la
prima ( « piccola n) revisione dei trattati;
3' fase: la fase finale, durante la quale attraverso una « grande >,riforma del trattato,
da attuare tempestivamente entro il 1980,
si creeranno gli organi delllUnionc europea,
si stabiliranno le loro competenze cd entrerà
finalmente in funzione l'Unione stessa.
Per quanto concerne la prima fase, l'on.
Bertrand ritiene necessario che vengano adottate alcune decisioni relative al funzionamento ed alle competenze delle istituzioni
comunitarie.
I1 Consiglio, in primo luogo, deve tornarc
progressivamente al rispetto delle disposizioni del trattato che prevedono decisioni
prese a maggioranza,
Alla Commissione, inoltre, dovrebbero essere affidati generalmente i regolamenti di
attuazione, come alcune decisioni di carattere
tecnico,
per le quali è necessario un organo
e tecnicamente più adatto.
più
Ma, ciò che è particolarmente necessario
a giudizio dell'on. Bertrand, è un più ampio
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(2) « Nell'ambito dei lavori relativi al rafforzamento dei poteri in materia di bilancio, il Consiglio dei Mii-iistri [nella seduta del 4 e 5 febbraio 1974, n.d.r.1 ha proceduto ad un ampio
dibattito che, in particolare, verteva sui problemi relativi all'introduzione di una procedura di
consultazione tra il Consiglio ed il Parlamento
Europeo relativamente a quegli atti che comportano implicazioni finanziarie notevoli, nonché
a talune modificazioni della procedura vigente
in materia di bilancio.
Su una serie di punti si è delineata una convergenza di opinioni in seno al Consiglio. Tuttavia il Consiglio si è riservato di proseguire in
una prossima riunione il dibattito su taluni problemi, allo scopo di definire i suoi orientamenti
in questo settore D.
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COMUNI D'EUROPA
potere di intervento del Parlamento nelle
decisioni relative agli atti normativi.
I1 potere di codecisione, in particolare, deve essere esteso mediante le seguenti misure:
- obbligo di far ricorso alla procedura
della « seconda lettura » ogniqualvolta il
Consiglio si discosti dal parere del P.E.;
- impossibilità del Consiglio di discostarsi da un parere espresso in seconda lettura dal P.E. se non con decisione unanime;
tale decisione, inoltre, dovrebbe essere adottata in seduta pubblica;
- attribuzione di un diritto di veto sospensivo (analoga proposta era stata fatta dal
gruppo Vedel, n.d.r.);
- miglioramento della c.d. procedura
Luns per la ratifica dei trattati internazionali.
Per quanto riguarda la seconda fase, a giudizio dell'on. Bertrand le modifiche del trattato dovranno entrare in vigore a partire dal
10 gennaio 1975, data in cui la Comunità sarà
finanziata esclusivamente mediante risorse
proprie ed accederà alla seconda fase dell'Unione economica e monetaria.
Le modifiche del trattato, su indicazione
della relazione Bertrand, dovranno comportare:
- effettivi poteri in materia di bilancio;
la trasformazione del diritto di codecisione del P.E. in un diritto di approvazione
in virtù del quale le leggi della Comunità
potranno essere promulgate soltanto allorché abbiano ottenuto la maggioranza sia in
Consiglio che in Parlamento;
- la ratifica obbligatoria delle decisioni
di revisione del trattato e di estensione delle
attività della Comunità;
- l'intervento del P.E. nella investitura
della Commissione o del suo Presidente;
l'estensione della mozione di censura,
dando la possibilità di destituire singoli
membri della Commissione;
- il diritto di codecisione del P.E. in
materia di politica estera;
- l'elezione del P.E. a suffragio universale diretto.
-
-
Per quanto concerne la terza fase, la relazione Bertrand prevede, entro il 1980, la creazione di:
- un governo europeo, unico centro di
decisione;
- un Parlamento europeo dotato di tutti i poteri propri di un'assemblea d e m e
cratica;
- la Camera degli Stati, che tuteli i legittimi interessi degli Stati membri.
Passando ad alcune considerazioni di principio sul contenuto dell'unione europea,
l'on. Bertrand suggerisce la creazione di basi
giuridiche ulteriori (al trattato) per il raggiungimento di alcuni obiettivi, quali:
- l'unione
sociale;
la politica regionale comune;
- la politica estera comunc.
-
Oltre alle competenze attualmente assegnate alla Comunità dal trattato, la « grande
riforma dei trattati n, a giudizio del relatore,
dovrebbe prevedere:
- la politica economica e monetaria;
- la politica sociale;
febbraio 1974
- la politica energetica;
- la politica estera;
- la politica in materia di difesa (per
la quale è necessario garantire una difesa
atomica propria alllEuropa).
I1 trattato dovrebbe poi prevedere alcune
autorità amministrative europee, direttamente subordinate al governo, quali:
- l'ufficio europeo delle intese;
- l'ufficio
europeo del lavoro;
- l'ufficio per il fondo sociale europeo;
- l'ufficio
per il fondo
regionale
eu-
ropeo.
Nell'esaminare la struttura del futuro governo europeo, il relatore ritiene opportuno
che esso sia composto da ministri che non
esercitano alcuna carica negli Stati membri
di origine.
I1 Presidente del Consiglio europeo viene
eletto da una conferenla dei Capi di Stato o
di governo. I1 P.E. dovrà partecipare nella
forma opportuna alla sua investitura.
I1 Presidente del Consiglio pronuncia din a n ~ ialle due Camere (Parlamento e Camera degli Stati) la sua dichiarazione governativa; il P.E., approvando la dichiarazione
governativa, esprime la sua fiducia al Presidente del Consiglio.
Se, infine, una mozione di sfiducia viene
approvata dal P.E. a maggioranza, il governo europeo si dimette.
La struttura del Parlamento europeo,
come si è più sopra ricordato, deve essere
- a giudizio del relatore - bicamerale.
La Camera degli Stati rappresenta i legittimi interessi degli Stati aderenti, ed i suoi
membri vengono inviati dai governi nazionali e di essi governi fanno parte come ministri o segretari di Stato.
La « Camera dei rappresentanti » (o Parlamento propriamente detto) rappresenta i popoli dell'unione e viene liberamente eletta a
suffragio universale e diretto. Si deve inoltre
garantire che anche lo Stato più piccolo sia
rappresentato da deputati appartenenti alle
sue più importanti forze politiche.
L'ultima parola fra le due « camere (durante il periodo transitorio) spetta di diritto
alla Camera degli Stati.
Accanto al progetto di relazione Bertrand
(che, nella sua stesura definitiva, dovrà formare la « struttura portante » delle proposte
che il Parlamento europeo formulerà alla
conferenza al vertice), si pongono le summenzionate relazioni Patijn, Kirk e Bourges.
Per quanto concerne queste ultime due, la
loro elaborazione è ancora in alto mare.
I1 rapporto Bourges, del resto, ripercorrer à la linea seguita anche dal 20 rapporto
Davignon. I temi e le proposizioni di cui il
relatore sarà portavoce si legano logicamente, in un relazione di causa ed effetto, con
il rafforzamento, prima, delle istituzioni comunitarie e, poi, con l'accrescimento delle
competenze comunitarie e l'evoluzione verso
l'Unione politica.
I1 rapporto Kirk, invece, risentirà ancora
più direttamente dell'iter seguito dalla relazione Bertrand.
La situazione politica interna alla Comunità, così come gli sviluppi della situazione
britannica (Kirk è deputato conservatore
britannico) avranno un'influenza determinante sull'elaborazione di tale rapporto.
Molto importante ai fini di un chiarimento della volontà politica degli Stati membri
di perseguire effettivamente il disegno di
un'evoluzione della Comunità verso l'unione
politica, risulta essere il progetto preliminare di relazione Patijn sul problema dell'elezione a suffragio diretto dei membri del
lamento europeo.
La legittimazione democratica dell'Assemblea di Strasburgo, attraverso l'elezione diretta dei suoi membri resta ancora oggi una
tappa importante sulla via dell'unione, più
per innegabili fini tattici, che per gli originari fini strategici delle battaglie federaliste.
L'ipotetica buona fede dei governi nazionali, tanto retoricamente sbandierata dai vertici delllAja e di Parigi (oltre all'ultimo vertice di Copenaghen), potrebbe misurarsi proprio sul terreno dell'elezione diretta del Parlamento Europeo.
Un'Assemblea con piena legittimazione democratica (si vuole qui accennare soltanto
superficialmente alla tematica relativa a
questo problema) potrà con maggiore autorevolezza proclamare il proprio diritto ad assumere su di sé l'incombenza di Assemblea
Costituente dell'unione politica.
La relazione dell'on. Patijn accantona comunque, nella sua stesura iniziale, tutta la
problematica politica, per affrontare partitamente i controversi problemi tecnici che da
anni (precisamente dal 1960, quando fu presentato il c.d. rapporto Schuijt) si agitano intorno alla questione.
L'art. 138, par. 3 del trattato CEE -ricorda
Patijn - prevede aprogetti intesi a permettere l'elezione a suffragio universale diretto,
secondo una procedura uniforme in tutti
gli Stati membri ».
La relazione dell'on. Schuijt sulla procedura proposta nel progetto di accordo originario, dopo la consultazione di esperti e sulla
base di un approfondito esame di tale problema - e in particolare dei suoi aspetti
politici - si concludeva con la proposta di
tenere elezioni del Parlamento europeo seguendo una procedura la cui elaborazione doveva essere demandata ai singoli Stati
membri.
L'on. Patijn pone quindi, a sé ed ai suoi interlocutori (ricordiamo che la relazione è
stata elaborata nella forma di questionario),
alcuni problemi sulla scelta di alcune disposizioni da adottare:
- contemporaneità dell'elezione in tutti
i paesi;
- età minima identica per votare (diritt~ di elettorato attivo);
- limiti di età identici per l'eleggibilità
(diritto di elettorato passivo);
- ammissione dei partiti.
Per quanto riguarda le relazioni con i
Parlamenti nazionali, il sistema attualmente
in vigore prevede che tutti i membri del
P.E. siano contemporaneamente membri del
proprio Parlamento nazionale dal cui seno
vengono eletti. Tale doppio mandato - sottolinea il relatore - comporta una lunga serie di oneri.
L'on. Patijn propone quindi l'alternativa
fra l'abolizione del doppio mandato ed il suo
mantenimento.
I n quest'ultimo caso si porrebbero le seguenti forme alternative:
a ) il sistema attuale;
b ) l'appartenenza
dei membri del P.E.
febbraio 1974
COMUNI D'EUROPA
25
anche al proprio Parlamento nazionale, con
o senza diritto di voto;
C ) l'esenzione dei membri del P.E. dalla
partecipazione attiva ai lavori del proprio
Parlamento nazionale;
d ) la facoltà dei membri del P.E. di delegare il proprio diritto di voto in seno al Parlamento nazionale ad un altro deputato.
L'art. 8 del progetto del 1960 - ricorda il
relatore - prevedeva un'esauriente regolamentazione in base alla quale la qualità di
deputato del P.E. è incompatibile con varie
qualità fra cui, ad es.:
Mario Albertini
Andrea Chiti-Batelli
Giuseppe Petrilli
Sophie e Hans Scholl
- membro del governo nazionale;
- commissario CEE;
- giudice o avvocato alla Corte di Giustizia CEE;
- funzionario CEE o BEI, ecc.
E' necessario ora sottoporre ad esame la
sufficienza di tale regolamentazione in relazione alle mutate condizioni.
La relazione Patijn pone poi, in successione, tutta una serie di altri problemi che riportiamo di seguito, soltanto accennati:
Storia del
federalismo
europeo
a cura di Edmondo Paolini
Prefazione d i Altiero Spinelli
- durata del mandato parlamentare e
della legislatura del P.E.;
- numero dei deputati;
I N D I C E
- passaggio dalla fase transitoria alla
fase definitiva.
A chiusura dello schema di relazione (in
forma di questionario) sul problema dell'elezione a suffragio diretto dei membri del P.E.,
l'on. Patijn riporta i progetti degli onn. Westerterp, del gennaio 1971; Stewart, del 1972;
Sir Tufton Beamish, sempre del 1972, sulle
procedure di elezioni delle delegazioni nazionali in seno al P.E. (4)
Sempre in seno alla Commissione politica
è da riportare la discussione che la stessa
Commissione ha intrapreso su un progetto
di relazione dell'on. Lord Gladwyn sulla pclitica estera di difesa.
La relazione e la discussione relativa assumono maggiore importanza oggi, dopo la pubblicazione delle rispettive relazioni dellJAssemblea NATO e di quella dell'UEO e nella
più vasta disamina delle relazioni globali fra
USA ed Europa.
La relazione G l a d w y n sulla politica estera
d i difesa
Lord Gladwyn premette che sarebbe desiderabile operare nel senso di una entità di
difesa delllEuropa occidentale nell'ambito
delllAlleanza del Nord Atlantico (NATO).
La ragione principale per la quale il P.E.
si è sentito indotto ad esaminare questo problema - ha ricordato il relatore - è stata
l'intuizione che se i ministri si accingevano ad
armonizzare le loro politiche estere, essi
avrebbero quasi senz'altro cercato di armonizzare anche le loro politiche sulla sicurezza.
I1 relatore ricorda ancora il paragrafo 8
della dichiarazione d'identità europea approvata in margine al vertice di Copenaghen
(per la quale si veda oltre) e, pur sottolineando i termini « deplorevolmente poco
(4) Nella riunione della Commissione del 21 e
22 febbraio la relazione Patijn non è stata ancora presa in esame ed è stata messa al1'o.d.g.
della riunione del 4 e 5 marzo.
pag.
PREFAZIONE di Altiero Spinelli
PREMESSA di E. P.
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7
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17
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43
49
64
75
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93
Parte Prima
Edmondo Paolini
Introduzione: DALLE ORIGINI A L 1939
.
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Mario Albertini
LE RADICI STORICHE DEL FEDERALISMO EUROPEO
I
La teoria del federalismo
. . . . . . . . . . . .
Il Lo Stato federale .
. . . . . . . . . . . . . .
Il1 Nascita del federalismo europeo .
. . . . . . . .
IV Il federalismo come superamento de'lla divisione del genere umano .
Parte Seconda
Edmondo Paolini
Introduzione: DAL 1939 A L 1957
.
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.
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.
Andrea Chiti-Batelli
IL FEDERALISMO EUROPEO DALLF. RESISTENZA Al TRATTATI D I ROMA
I
Valori e l i m i t i della Resistenza federalista . . . . . . . . . .
Il
L'idea federalista i n Francia, Belgio e Inghilterra .
. . . . . . .
111 11 federalismo nella Resistenza tedesca . . . . . . . . . .
IV Il federalismo nella Resistenza olandese . . . . . . . . . .
V
Spunti federalisti nella Resistenza polacca .
.
.
.
VI I federalisti italiani .
. . . . . . . . . . . . . .
VI1 Il federalismo nel primo dopoguerra .
. . . . . . . . . . .
VIII Il Piano Marshall e l'OECE . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . .
IX La CECA .
x La CED e I'UEO . . .
. . . . . . . . . . . . .
XI Le comunità pseudo-sovrannaz~onali . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . .
XII L'evoluzionedellasituazione i n t e r n a z i o n a l e .
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Appendice
125
132
143
161
165
178
205
220
232
242
255
265
281
Parte Terza
Edmondo Paolini
Introduzione: DAL 1957 A D OGGI
.
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.
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.
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.
.
Giuseppe Petrilli
VALIDITA' E LIMITI DELL'ESPERIENZA COMUNITARIA
ALLA LUCE DEL PENSIERO FEDERALISTA
I
Il metodo delle Comunità
. . . . . . . . . . .
Il L'automatismo economico e gii squilibri territoriali . . . . . . . .
111 1 m o t i v i dell'insuccesso . . . . . . . . . . . . . . .
IV Il nuovo corso della politica comunitaria . . . . . . . . . .
V
Il nostro obiettivo: l'unità federale .
. . . . . . . . . .
VI Federalismo e autonomie locali .
. . . . . . . . .
. .
VI1 Simultaneità della programmazione economica e della sistemazione d e l territorio .
. .
. . . . . . . . . . . . . . .
. . . .
VIII Piccola, media e grande Europa nella politica internazionale .
IX Il Parlamento europeo e la sua elezione . . . . . . . . . . .
Conclusioni
. . . . . . . . . . . . . . . .
L. 2.100 Eri edizioni rai radiotelevisione italiana Classe unica
313
355
359
366
372
382
386
396
403
413
417
febbraio 1974
COMUNI D'EUROPA
26
divario esistente tra il lato politico del lavoro
chiari del testo D, dichiara che in linea di
dei Ministri e quello collegato con la Coprincipio bisognerebbe escogitare un metodo
per armonizzare le politiche europee in ma- munità;
teria di sicurezza.
- per altri, invece, si andrebbe verso
a giu- un'eccessiva accentuazione della separazione
La difesa delllEuropa occidentale
dizio di Lord Gladwyn - deve essere Pro- di tale tipo di difesa (UEO) dall'apparato
gettata da quei membri della CEE che sono
centrale della NATO, favorendo così il condisposti a far ciò con l'obiettivo principale
,etto di « terza forza» europea che si condi elaborare un comune Programma europeo
trappone al concetto di « socio » europeo
per la disponibilità e la produzione di arma- degli USA.
menti convenzionali, onde sostituire quelli in
uso attualmente e per il loro spiegamento b ) - Un'altra soluzione riguarderebbe il
conformemente ad un piano comune.
c.d, EURONAD (&e f a parte dell1EUROGROUP). Si potrebbe, con buona volontà e
Ma dato che, ancor a per un certo tempo
perlomeno, non si potrà attuare nelllEuropa con un'attiva partecipazione francese, trasforoccidentale un sistema di difesa « credibile » mare I'EURONAD in qualcosa di più vicino
all'organo per gli armamenti previsto nella
senza il poderoso sostegno, sia convenzionale
che nucleare, degli USA, tale programma e relazione NATO dell'ottobre '70, oppure neltale piano dovrebbero ad un certo livello
l'organo proposto da Burrows e Invin in
essere concertati al comando USA ed in K I,a sicurezza dell'Europa occidentale D.
seguito concordati con gli altri membri dell'Alleanza.
I n che modo quindi - si chiede il relatoIn altre parole - sempre a giudizio del re- re - muovere verso un progetto europeo di
latore - il molo di un'incipiente Comunità difesa? Se si esclude I'UEO (per i motivi
Europea di Difesa dovrebbe essere generai- dianzi accennati), la sola possibilità consiste
mente accettabile per i membri dell'Alleanza,
in un rafforzamento della procedura relativa
la quale dovrebbe essere rafforzata dalla alla cooperazione politica.
creazione di un valido socio dell'America
I Ministri della difesa di quegli Stati meme non indebolita dalla presenza di un potere bri della Comunità disposti a prendere in
apparentemente rivale degli USA 0 anche di
considerazione la costituzione di un sistema
una « terza forza » potenzialmente neutrale
dl sicurezza europeo nell'ambito della NATO
t r a le due superpotenze (sic!).
potrebbero unirsi ai loro colleghi degli Affari
Del resto non è ossib bile - ammette il re- Esteri e avere con essi uno scambio generale
latore - che un sistema di difesa specificata- d, opinioni. Potrebbe così emergere - a giumente europeo « nell'ambito della NATO p
dizio di Lord Gladwyn - un progetto comufunzioni correttamente sen7a la piena ed at- ne per uno schema difensivo proprio deltiva partecipazione di tutti e quattro i ~ r i n - l'Europa occidentale, a proposito del quale
cipali Stati membri della Comunità ampliata
occorrerebbe, naturalmente, raggiungere lo
(ivi compresa quindi la Francia, n.d.r.).
accordo con gli USA.
In ogni caso, comunque, sino a che l'LJni0Giungendo alle conclusioni del suo vrone europea non diverrà una realtà, è diffi- getto di relazione, lVon. Gladwn dichiara
cile prevedere come un nuovo apparato di si- che, se si esclude la possibilità di un disarmo
CurezZa (nell'ambito dellJA1leanza dell'Atlan- unilaterale, si aprono davanti alla Comunità
quello
tic0 del Nord) Possa essere
considerata come entità, le seguenti strade:
della CEE: saranno per forza due organizza- inazione: i membri della Comunità
zioni separate.
aver esaminato tutta una serie di op- potrebbero volere mantenere le loro forze
più o meno al livello attuale, senza miglio7ioni, il relatore si chiede se « è possibile
rare O standardizzare l'attuale armamento dicostruire un'entità di difesa sulla base del
nleccanismo di cooperaz~one politica dei
fensivo, dando piena fiducia alla disponibilità americana di mantenere indefinitamente
nove ,,,
alcun dubbio che, in linea
questa sarebbe la soluzione miil proprio ombrello atomico » sull'Europa;
di
gliore, essendo del resto la più logica.
- neutrali7zazione: i membri della COSi pongono quindi alcune soluzioni, che munità potrebbero spingersi oltre e sostenere che tanto la NATO quanto il patto
- convenzionalmente - possiamo chiamare:
di Varsavia sono ormai superflui e sarebbe
a) UEO
dai francesi):
meqlio giungere alla creazione di una u zona
questa organizzazione potrebbe essere consi- cmilitarizTata tra il R~~~ e l'oder, garanderata il nucleo del progettato sistema di
t;ta da entrambe le superpotenze;
difesa delllEuropa occidentale: più in parti- terza forza: adottando un atteggiacolare questa sarebbe la soluzione indicata,
mento completamente diverso essi potrebpoiché I'UEO possiede un ufficio che si ocber0 cominciare a costruire, tanto sul piacupa della standardiz7azione degli armamenno
strategico che tattico, una forza nucleare
ti ed t: basata sul trattato, la cui clausola
europea
sotto un comando unificato, la quaoperativa (il causes foederis) è più vincole, unitamente ai necessari armamenti « conlante del corrispondente articolo del Tratvenzionali », permetterebbe alla Comunità di
tato NATO.
rendersi completamente indipendente da
Vi sono comunque dellc obiezioni rilevanti
appoggio
che si oppongono a d una ristrutturazione
UEO nel senso sopra proposto:
Dopo aver sottolineato che - a SUO giudi- il trattato di Bruxelles (UEO) contiene
zio - la prima soluzione è pericolosa, la seclausole discriminatorie nei confronti della
conda disastrosa e la terza impossibile, il relatore sottopone all'esame della CommissioR.F.T.;
pcrmanenlc degli arma- ne politica il progetto seguente, in via speri- il
-
menti non ha realizzato
da quando esiste;
- la
niente
prassi di lavoro dell'UEO per gli
scopi suggeriti tenderebbe ad accentuare il
mentale:
a')
EURONAD dovrebbe divenire
l'organo europeo responsabile per l'acquisto
e la produzione degli armamenti standardiz-
zati convenzionali necessari per difendere in
modo nuovo e accorto l'Europa occidentale;
b ) la Francia dovrebbe partecipare attivamente al funzionamento di quest'organo;
C) i membri dell'EURONAD che sono
membri della Comunità dovrebbero agire sulla base di direttive emanate da una Commissione per la politica della sicurezza
(composta dai direttori politici del ministero
della difesa);
d ) il FINABEL dovrebbe essere istituzionalizzato e trasformato in un organo in cui
siano rappresentati i capi di stato maggiore
di tutti i paesi membri della Comunità desiderosi di armonizzare la loro difesa comune.
ESSO dovrebbe essere strettamente collegato
all'EURONAD.
La Struttura generale sarebbe, quindi, una
struttura triangolare.
e) sulla « direttiva » inviata alllEURONAD occorrerebbe quindi, dopo aver consultato la commissione e averne valutato il parere, raggiungere l'accordo con gli americani
e con gli altri alleati;
f ) una volta che tale procedura ad interim fosse stata attuata e messa in funzione,
il P.E. potrebbe costituire una comm~ss~one
per la sicurezza la quale elaborerebbe raccomandazioni al consiglio dei ~ i ~ i ~ ~ ~ i
I ministri potrebbero quindi adottare la
pratica, qualora fossero in discussione i problemi della sicurezza europea, di comparire
davanti al Parlamento, il quale li potrebbe
così interrogare (ogni commento è superfluo!) ( 5 ) .
~
~
~
~
l
~
~
i
~
~ b b giài detto
~ ~del ~consiglio dei ~ i ~ i stri e della sua naturale funzione di cassa
di risonanza ,, degli interessi nazionali.
Il fatto che tutto il potere legislativo sia
accentrato nelle mani del Consiglio è - incontestabilmente - uno dei fattori principali
della paralisi delle politiche comunitarie e
dello squilibrio istituzionale. Vi è poi da aggiungere che il Consiglio dei Ministri - in
quanto organo legislativo - approfitta vergognosamente di una prassi irregolare e non
riscontrabile in alcun sistema istituzionale
nloderno: in quanto organo legislativo, infatti, le sue discussioni e le sue delibera,;,,; deliono essere pubbliche e a maggioranza (semplice o qualificata),
((
Non v'è chi non veda come l'attuale prassi
di tenere riunioni a porte chiuse e di prendere decisioni esclusivamente all'unanimità
sia tutta a vantaggio dell'azione di « rinazionalizzazione » delle politiche comunitarie
e, in definitiva, dell'avvilente fallimento della
globalità dell'azione comune.
Tutto ciò non viene contraddetto - ed anzi
ne è palese conferma - dalle più recenti vicende in seno al Consiglio dei Ministri.
I1 fallimento continuo dell'azione diplomatica in margine alle discussioni per la creazione di un Fondo reqionale.
le vivissime polemiche f r a i Nove alla Conferenza di
Washington sui problemi energetici, perpetuatesi anche alla fine di questa e che hanno
( 5 ) La relazione Gladwyn, al1'o.d.g. della riunione della Commissione politica del 21 e 22 febbraio., è- stata rinviata alla discussione che si terrà in una sessione della stessa Commissione del
prossimo maggio.
~
COMUNI D'EUROPA
febbraio 1974
~ o s t o una seria i ~ o t e c a sulla possibilità
- seppur minima - di dare finalmente avvio ad alcune politiche comuni (2.a fase dell'unione economica, politica regionale, politica energetica), I'opposizione dichiarata ed
irriducibile della Francia ad un ampliamento
dei poteri del P.E. almeno in materia di bilancio (v. quanto dicevamo in proposito nel
paragrafo dedicato a tale problema); quanti
altri elementi di disgregazione si sono avvicendati sullo scenario europeo negli ultimi
tempi hanno dato il colpo definitivo alle
speranze di un'evoluzione delle istituzioni
europee in senso « funzionalista D.
I risultati della Conferenza al vertice di
Copenaghen, del resto, lungi dall'accendere nuove speranze sull'impegno dei Nove
e sulla volontà politica dei governi nazionali di proseguire sulla via delllUnione europea, hanno al contrario accentuato le
preoccupazioni che le pattuglie europeiste
sparse sul territorio comunitario nutrivano
per l'avvenire dell'Europa unita.
Le dichiarazioni contenute nel comunicato
finale di Copenaghen - che qui di seguito
riportiamo - nella loro vuota vaghezza rappresentano probabilmente un asso indietro
rispetto alle dichiarazioni delle Conferenze
di Parigi e dell'Aia.
I2 documento su2l'« identità europea
I Capi di Stato e di Governo (in merito all'unione, n.d.r.) « hanno deciso di accelerare
i lavori necessari alla definizione delllUnione europea della quale ne hanno fatto I'argomento principale in occasione della Conferenza di Parigi. Essi hanno chiesto alla
presidenza di fare, senza indugio, proposte
utili a questo fine n.
I n merito a tale problema la Conferenza
ha altresì approvato un documento sulla
K identità europea » preparato dal Consiglio
dei Ministri degli Esteri.
K I nove - dice la dichiarazione - hanno
la volontà politica di portare felicemente a
termine la costruzione europea.
« Essi sono decisi a salvaguardare gli elementi costitutivi della loro unità e gli obiettivi fondamentali della loro evoluzione futura quali sono stati definiti in occasione
delle Conferenze al Vertice delllAja e di
Parigi.
« Conformemente alle decisioni della Conferenza di Parigi, i Nove riaffermano la loro
intenzione di trasformare, prima della fine
del decennio in corso, l'insieme delle loro
relazioni in una Unione europea n.
K Essi - dicevano nella premessa - intendono salvaguardare i principi della democrazia rappresentativa, dello Stato di diritto,
finalità del progresdella giustizia sociale
so economico - e del rispetto dei diritti dell'uomo, che costituiscono elementi fondamentali dell'identità europea » (6).
-
(6) « I1 Consiglio dei Ministri [nella seduta del
4 e 5 febbraio 1974 n.d.r.1 ha convenuto di in-
caricare il Comitato dei Rappresentanti Permanenti di intraprendere senza indugio la preparazione. relativamente al Consiglio, del progetto
di relazione previsto al paragrafo 16 del Comunicato della Conferenza dei Capi di Stato o di
Governo tenuta a Parigi nell'ottobre 1972.
A tal fine il Comitato dei Rappresentanti Permanenti potrà farsi assistere da un Gruppo ad
hoc, i cui membri saranno designati dai Governi
degli Stati membri.
I1 lavoro del Comitato dei Rappresentanti Permanenti dovrà essere presentato al Consiglio in
tempo utile perché quest'ultimo possa presentare
,.
27
,.
a questo appuntamento, senza sfruttare nella
giusta direzione le indicazioni dell'assise di
Per completare questo quadro della situaVienna e l'innegabile effetto moltiplicatore
zione istituzionale delle Comunità europee e
che gli Stati generali dei Comuni d'Europa
delle possibilità di evoluzione delle stesse
posseggono in potenza.
istituzioni comunitarie verso l'Unione poliSe la strategia della lotta è comune tica è necessario tenere naturalmente conto
come nessuno può negare - è questo il model « background » politico nazionale entro
mento di lavorare insieme anche sul piano
il quale le forze impegnate nell'azione eurotattico.
pea debbono muoversi.
La crisi delle istituzioni è anche crisi delLa complessità delle singole situazioni nale classi politiche al potere nazionale e nazionali è purtroppo nota e non è dato in
zionaliste. E' la crisi di quelli che abbiamo
questa sede approfondirne gli elementi eschiamato a i nemici dell'unificazione eusenziali ed indicarne le prospettive di svilupropea D.
po (involutivo o evolutivo).
x I nemici più importanti dell'unificazione
La crisi che travaglia alcuni sistemi naeuropea - scriveva lucidamente Spinelli
zionali può divenire crisi delle istituzioni e
nella sua relazione al 30 congresso del Motravolgere con sé quei principi a cui faceva
vimento Federalista nell'aprile 1949 - sono
riferimento la dichiarazione dei Capi di Stato
tutti coloro i cui interessi, sia economici,
e di Governo sulll« identità europea n.
sia politici, sia militari, sono collegati con il
« Solo unlUnione Federale permetterà la
mantenimento delle sovranità nazionali. I n
salvaguardia degli Istituti democratici in
ogni paese ci sono gruppi il cui prestigio ed
modo da impedire che paesi privi di suffii cui privilegi sarebbero danneggiati da una
ciente maturità politica possano mettere in
limitazione delle sovranità. I loro interessi
pericolo l'ordine generale » scrivevano nel
sono meschini e sono pregiudizievoli ai poluglio 1944 i resistenti europei.
poli nei loro complesso. Mantenendoli essi
E' necessario ora individuare, per il procontribuiscono alla rovina dellfEuropa e del
sieguo dell'azione del Consiglio dei Comuni
loro paese n.
d'Europa e dei Federalisti, da una parte, i
K Ciascuno pensa al suo particolare. Sono
« nemici dell'unificazione europea » e, dalgli industriali e gli operai delle industrie
l'altra, quelle forze politiche e sociali che,
protette; sono i burocrati che pianificano e
anche solo potenzialmente, possono essere
che dispensano favori, che sempre più hanno
coinvolte nella battaglia che ci si appresta
il senso della loro potenza e sono convinti
a combattere.
di essere divenuti indispensabili; sono i geGli Stati generali di Vienna sono, in
nerali che sognano di avere forti eserciti;
quest'ottica, l'occasione migliore per contare
sono i ministri che si contemplano soddisfatlc forze sinceramente europeistiche e per
coalizzarle intorno ad uno schema di Costi- ti nelle loro vesti di signori della guerra e
del paese e di potenti della terra, e che si
tuzione federale.
sentono umiliati dalla prospettiva che le loro
I n questo senso sarebbe estremamente
funzioni si riducano a quelle di amministradannoso se le forze federaliste mancassero
tori di regioni autonome, ma non più pieuna relazione provvisoria alla prossima Confe- namente sovrane; è la mezza cultura naziorenza presidenziale.
nalista che considera il proprio paese portaI1 Consiglio ha del pari convenuto di invitare
tore dello spirito universale ed inorridisce al
il Presidente a mantenere i contatti con le altre
Istituzioni della Comunità, onde facilitare l'ar- pensiero di sottomettere la propria gloriosa
monizzazione dei lavori in questo settore ».
nazione ad una qualsiasi autorità superiore n.
9-.
L
.
9.-
Il a Programma di azione sociale discusso nella sessione
di dicembre del Parlamento Europeo
di Andrea Chiti-Batelli
Alla sintesi dei lavori del Parlamento Europeo nel 1973 di Emilia Sarogni ("1 aggiungeremo come di consueto, a mo' di codicillo,
un commento politico su due fatti importanti: uno, più ampio, sull'atteggiamento del
Parlamento Europeo di fronte al Vertice; un
altro, per cominciare - assai più breve sull'ultima iniziativa sociale in campo comunitario, e sull'atteggiamento in merito del
Parlamento Europeo nella sessione di dicembre: appunto il « Programma di azione
sociale » della Commissione (1).
La relazione dell'on. Girardin (doc. 256173)
ha detto tutto l'essenziale in argomento
quando, nel rilevare che tale Programma
« è certamente insufficiente e carente sotto
molti aspetti n, e che resta in più punti al
di qua degli stessi «lineamenti di un programma d'azione sociale » precedentemente
(") Vedi il n . 1 - gennaio 1974 di
.
Comuni d'Europa D.
(1) Completeremo e d aggiorneremo così quanto abbiamo già avuto occasione di scrivere, dando un giudizio d'insieme su tutta la politica sociale comunitai-ia,
in <C Comuni d'Europa n dei geiinaio 1960, aprile 1971
e luglio-agosto 1973.
presentati dalla stessa Commissione, ha mesSO in luce il suo difetto di fondo, che è poi
il difetto di fondo, ormai, di tutta l'attività comunitaria: di non costituire, cioè,
un piano organico, contenente un sistema
ordinato di iniziative e di azioni entro il
quale l'attività degli Stati membri in materia sociale sia subordinata e sussunta; ma
proprio, all'inverso, qualche correttivo marginale di questa, accompagnato da tutta una
enunciazione di principi a cui quelle singole politiche nazionali dovrebbero ispirarsi.
C'è, ancora una volta, il nome della politica
sociale comune, e non la cosa.
Tale difetto di fondo è come simboleggiato
e riassunto dal capovcrso di tale « Programma » che, nel testo suggerito dalla Commissione esecutiva, propone, tra gli altri
obiettivi sociali della Comunità, quello di
« promuovere un miglior funzionamento degli
uffici nazionali del lavoro, attraverso la loro
collaborazione, così da contribuire all'attuazione
della politica del pieno e miglior impiego tanto
nell'intera Comunità quanto a livello regionale D.
febbraio 1974
COMIJNI D'EUROPA
28
Perfino il Parlamento Europeo, che pure
si muove con i piedi di piombo, ha proposto, nella relazione Girardin (ma non ha
poi approvato) che a tali parole siano aggiunte le altre:
« questa collaborazione potrà essere rafforzata
attraverso la creazione di un Ufficio Europeo
del lavoro, i cui compiti sarano precisati in una
proposta che la Commissione presenterà entro
la fine del 1974 ».
Più particolareggiatamente quel difetto di
fondo che dicevo è stato illustrato da Girardin quando ha detto che in ordine a tutti
e tre i punti fondamentali che un Programma sociale dovrebbe toccare - stabilire
le priorità; prevedere i mezzi finanziari occorrenti; indicare chiararnentc gli strumenti
giuridici ai quali ricorrere - il K Programma n della Commissione lascia mo'lto a desi.
derare:
s In esso l'indicazione dci niezzi finanziari
occorrenti è limitata al 1974 C riguarda praticamentc soltanto la dotazione per l'articolo 4
del Fondo sociale [...l. Le priorità sembrano indicate non tanto sulla base delle effettive necessità sociali esistcnti nella Comunità, quanto
sulla base delle possibilità pratiche di attuazione delle varie azioni da parte degli organi
comunitari [...l. Per quanto riguarda poi i mezzi
giuridici, non sono per ora previste soluzioni
innovatrici, quali ad esempio il ricorso all'articolo 235 del trattato n.
E dov'è chiara la lettera, non fare oscura
glossa.
O per dir meglio una piccola glossa si
può fare: riassumendo telegraficamente i
commenti formulati a Strashiirgo dagl'intervenuti nel dibattito ( è un programma, è
stato detto, che è in realtà un inventario
dei problemi sociali attuali; che stabilisce
le priorità solo tenendo conto dei progetti
già in atto; che in conseguenza non implica
impegni e misure comunitarie concreti se
non per certi N intervcnti di categoria » come il reinserimento nel lavoro delle donne
al dilà dei 35 anni o dcgl'invalidi); e soprattutto riferire le conclusioni della signorina Lulling, socialista del Lussemburgo,
che ci è sembrata ancora una volta quella
chc, in materia sociale, formula, nel consesso
strasburghese, le critiche più acute e pertinenti.
« Di froiitc allc gravi carenze del programma
al nostro esamc, essa ha dctto, occorre, per
restare obiettivi, chiederci - constatando lo
squilibrio istituzionalc attualc della nostra Comunità e il fatto che, come abbiamo potuto
constatare in qucsti ultimi mesi, il Consiglio dei
Ministri non k praticamente più capace di prenderc decisioni - fino a qual punto gli Stati
mcinbri e i pal-tp~erssociali siano disposti ad
abbandonare la loro sovranità nazionale, in matei-ia di politica sociale, a istituzioni comunitaric chc, attraverso regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni (o, pcr quanto rigunrda le parti sociali, attraverso convenzioni collettive europee) sarebbero incaricate di realizzare - esse, C non più gli stati e le parti sociali a livello nazionale - gli obiettivi di qucsto programma: i l pieno e il migliore impicgo.
il miglioranlento delle condizioni di vita c di
lavoro che consentano la loro eeualizzazione nel
progrcsso. la partecipazione cosciente dclle parti
sociali allc decisioni economiche e sociali della
Comunità S .
E' una domanda a cui anche la signorina
Lulling non ha saputo dar risposta. E in
assenza di tale risposta, la situazione re.
sterà auella descritta da ~ i ~ nel ~ suo
~
ma viceversa, e che una politica sociale non raggia, nell'atteggiamento di questa di fronpuò essere il correttivo e il rimedio delle con- tc al Vertice, e ai problemi che il Vertice
seguenze e ingiustizie create dalla politica economica in espansione, oggi lo scontiamo in un avrebbe dovuto affrontare, è la sostanziale
modo brutale, anzi purtroppo lo scoriteranno i concordia delle opinioni, e la radicale assenlavoratori e particolarmente i lavoratori emi- za di progetti. Sotto questo profilo il casograti che devono rientrare ai paesi di origine, limite - che dico, l'esempio più tipico e
oppure sono sotto la minaccia di doverlo fare.
I1 modello di sviluppo assunto dai paesi mem- probante, l'ab uno disce omnes - è quello
bri e pcrciò dalla Comunità economica europea, di Theo Sommer in « Die Zeit », che, alla
con l'irrazionale e indiscriminata espansione dei vigilia di Copenaghen, in un articolo signiconsumi privati, a scapito particolarmente di ficativo anche nel titolo (Europa - bloss ein
quelli pubblici, dunque delle più elementari
esigenze collcttive, con una industrializzazione Spektakel?), dopo aver indicato la duplice
che ha sempre avuto il pdvileqio
nelle scelte linea di condotta che il nostro continente
economiche senza organizzarle in un contesto dovrebbe seguire, se sapesse reagire virildi crescita civile dei nostri popoli, ci ha portato
mente e responsabilmente di fronte ai due
ora a correre il rischio che gli aspetti disuproblemi
dell'ora (rispetto all'energia, unenmani dello sviluppo economico pesino sulle spallc dcll'Europa, scriLa avere diminuito gli svan- dosi in un vasto programma di ricerca di
taggi che da questo sviluppo potevano derivare. fonti alternative (3) rispetto all'America, presentandosi come partner unico e capace di
Ma a chi deve rivolgersi tale severa cri- trattar da pari a pari), e dopo aver affertica, se non a quellc forze di cui lo stesso mato con estrema decisione che ciò non riGirardin è rappresentante, e che non hanno chiede vaghe affermazioni e aspirazioni, ma
mai avuto altra politica comunitaria se non
« concreti programmi di volontà politica n,
non ha saputo dar la minima indicazione
quella?
Vedremo qui di scguilo come un'indagine in tal senso, cadendo anch'egli appunto
sull'atteggiamento del Parlamento Europeo nel « vago » che rivela - medice cura te
nei confronti del Vertice di Copenaghen in- ipsum - che di volontà politica, dietro
duca alla stessa critica e svuoti i dibattiti di quelle parole, non c'è neppur l'ombra. CoStrasburgo di ogni rcalc significato politico. me credere allora a questi falsi profeti?
Era logico che i risultati fossero conformi
a tale stato d'animo, dei partiti, della stampa,
IL PARLAMENTO EUROPEO DI FRONTE dell'opinione pubblica: in fondo i governi ne
sono lo specchio, e non vi è nessuno, fra
AL VERTICE DI COPENAGHEN
i loro membri, che sappia essere un trascinatore. Perciò, se il « modello » dell'atteg1. La situazione
giamento pre-vertice è quello del Sommer,
il modello dell'atteggiamento post-vertice è
I1 commento più laconico e più efficace
quello
un po' di tutta la stampa - che
fatto a proposito del Vertice di Copenaghen
ha scritto e ripetuto: siano nonostante tutto
è quello del corrispondente del « Monde »,
soddisfatti, perché, malgrado la grave situaPhilippe Lemaitre. Esso si riferisce al co- zione, la Comunità non si è disintegrata.
municato sulla politica energetica, ma può
Non si è disintegrata, certo; ma ha fatto
essere esteso a tutte le decisioni dei Nove:
un altro passo importante verso la sua disin« On démande à la Commission de sortir
tegrazione. Senza dubbio - ha scritto il « Fide ses tiroirs des testes déjà prets », cioè nancial Times » - i capi di governo sono riudi tirar fuori proposte già da tempo pre- sciti ad accordarsi su tre dichiarazioni; ma
sentate e a tutti note: e, anche queste, a non vi è molto che consenta di ritenere che
condizione che non siano cogenti, si limi- vi sia un accordo profondo sui problemi
tino a proporre una concertazione e lascino fondamentali che la Comunità deve affrondi fatto mani libere agli stati, come appunto tare. E infatti, appena tre giorni dopo, si
è avvenuto per l'energia.
è avuto un altro caso paradigmatico: nessun
I n assenza di volontà politica, e fidando accordo fra i ministri competenti, circa la
sulla poca memoria degli europei, si ridanno
creazione del Fondo regionale, e il rinvio di
continuamente mandati di studio su questio- ogni decisione, nonostante che quello fosse
ni su cui nulla vi è più da indagarc, e non forse il solo punto su cui il Vertice aveva
resterebbe se non da decidere. E le decisio- preso un impegno preciso: nascita del Fonni, invecc, si prendono solo quando vi si è do col primo gennaio del 1974.
costretti dagli altri: per esempio dagli arabi,
I1 K Monde » - un giornale per altro vcrso
e nel senso di uno squallido appeasemeni sempre gravemente responsabile, nel pasche fa pensare come la finladizzazione del sato prossimo comc meno prossimo (proprio
nostro continente sia ormai irreversibile.
come « Die Zeit n), della progressiva decadenPer il resto, un'innocua dichiarazione di in- za dcll'idea europea, e al quale perciò vanno
tenzioni sulla « identità europea », piena sola rivolte le critiche che abbiamo mosse sodi generiche banalità (in mancanza di ogni pra al Sommer - ha descritto lucidamente
fatto nuovo, tutto quello che si è riusciti a tale tarlo che rode in profondità, e sempre
inventare S qucsta nuova parola, in rcaltà più, quella che ancora si chiama « integrasenza significato alcuno), completerà la cor- zione comunitaria », quando ha scritto, ncltina fumogcna dcstinata a coprire il vuoto, l'editoriale del 18 dicembre che, al di là dei
di programmi come di propositi.
comunicati ufficiali.
Ma se questa politica dello struzzo, da
non solo a la diffidenza fra i partners europei
parte dei governi, era scontata ( 2 ) , ancor
non si è dissipata, rria tende ad accrescersi.
più dcludcnte appare la reazione dell'opi- E, poco dire che il ,,clima ,, a Copenaghen era
malsano. i Nove si sono accordati solo perché
"ione pubblica, nel senso più lato della
d
parola.
i ~Ciò chc soprattutto colpisce, e sco- ----
-
intervento orale:
«
sempre detto c mai messo in pra-
tica, nella politica
che il sociale
non doveva csserc a rimorchio dcll'econoniico,
(2) Anche noi l'avevamo largamente, e facilmente,
prevista, in un articolo apparso, alla vigilia del Vertice,
in " Iniziativa Europea n di dicembre, col titolo L'nn
via d i uscita (il titolo che noi gli ave\.amo dato era
appunto Aspettando il Vertice d i Copenaghen).
(3) Ho trattato di propositv il tema della crisi energetica vista da un federalista ne cc L'Europa » del
13-31 gennaio 1974. Qui, se lo spazio me lo consentisse,
acgiuiigerei un'analisi dell'importantissimo discorso, pronunciato all'Assemblea Curisulliva il 23 gennaio scorso.
dal Segretario generale tlell'OCSE, signor Emile van
Lennep.
febbraio 1974
costretti: le coeur n'y dtait pus. E \,i è da dubitare sulla solidità di imprese comuni, per ragionevoli che siano, quando non sono fondate sztr
1111 esprit d'équipe spontané D.
Ma che cosa propone anche N Le Monde N,
per superare questo stato di cose? Nulla.
Neppure il suo collaboratore più informato
e competente in materia, Pierre Drouin, sa
dire una parola sul punto, decisivo, delle
istituzioni (si veda il suo articolo alla vigilia del Vertice nel numero del 15 dicembre 1973). E lo stesso congresso straordinario socialista tenutosi alla metà di quel
mese, che ha affermato solennemente, per
bocca di Mitterand, che cc il faut faire 1'Europe pour faire le socialisme n, e che l'Europa politica sarebbe qualitativamente di-
COMUNI D'EUROPA
dei Parlamenti na~ionali (o, tramite referendum, dei singoli popoli) saltando le diplomazie (5). Ha osato il Parlamento Europeo qualcosa di simile, di così coraggioso,
di così coerente? E' una domanda importante per quei federalisti che puntano tutte
le loro carte sulla sua clezionc diretta, indipendentemente da qualsiasi aumento dei
suoi poteri. Ed è una domanda importante
per lo stesso Spinelli: giacché se neppure
un barlume delle sue idee trova credito nel
consesso strasburghese, allora è chiaro che
queste mancano di ogni base politica e dovranno trovarsene una altrove.
Anziché ricpondcre noi stessi, lasciamo
rispondere ai testi.
I n previsione del Vertice, il 13 novem-
versa dalla CEE - e come tale, egli ha
aggiunto, è temuta e combattuta dalle grandi
forze economiche e dalle multinazionali non è andato oltre, nella mozione finale, a
una richiesta di rafforzamento e democratizzazione delle istituzioni esistenti: parole
che non hanno ormai più gran significato,
stante la condizione di progressivo disarmo
in cui tutta la costruzione comunitaria si
trova da anni: il che vale anche per il successivo convegno dei comunisti europei a
Bruxelles (4).
bre 1973, il Parlamento Europeo ha rivolto
a questo una risoluzione in cui
2. L'atteggiamento del Parlamento Europeo:
prima
I1 Parlamento Europeo, come si vede, accetta passivamente la nuova « aria fritta »
alla moda, l'identità europea, e per il resto
si accontenta che non si facciano regressi
anche formali, e non si torni a parlare di
segretariato politico a Parigi, diverso e scisso dalle Comunità. Nelle situazioni disperate
la politica puramente difensiva è sicuramente perdente: eppure a Strasburgo non si
è capaci di esprimerne altra.
Peggio: quarantott'ore prima del Vertice,
il 13 dicembre, il Parlamento Europeo è tornato in argomento, in una risoluzionc che
...
Ebbene, cosa ha fatto il Parlamento Europeo di fronte a una tale situazione? Quale
è stato il suo contributo particolare e originale in proposito?
Spinelli, che pur ha una importante posizione di responsabilità in seno alla Commissione comunitaria, ha a più riprese indicato una via: elezione diretta del Parlamento Europeo; mandato a questo per elaborare un nuovo statuto di una Comunità
realmente politica e realmente sovrannazionale; passaggio immediato a una ratifica
(4) SU! quale riferisco nel numero del febbraio 1974
d i s Iniziativa Europea P .
K chiede con insistenza agli Stati membri di i-iconoscere che la Comunità europea deve affermarsi come entità distinta nel contesto internazionale e di dedicarsi senza indugio, in uno
spirito di solidarietà, all'elaborazione di una
politica comunitaria in tutti i campi, compreso
quello della politica estera;
sottolinea in questo contesto la necessità di
utilizzare efficacemente le strutture comunitarie
esistenti ed esige che tutti gli sforzi per l'attuazione delllUnione europea si iscrivano nell'ambito della Comunità D.
(5) Ci sia sominessamei~it consentito di Far rilcvare
che anche noi, almeno fin dal 1969, avevamo fatto una
proposta analoga (p. es. in x L'Europa n del 7 giugno 1969,
Una proposta per I'Eliropa politica).
29
compie un altro passo indietro. L'essenziale
di essa sta nella affermazione seguente:
e Il Pai-lamento Europeo ritienc che occasionali Conlcrenze di Capi di Stato o di governo
possano costituir.c auspicabili momenti di impulso n, pcrché e l'aumento dellc responsabilità
comunitarie, tanto all'interno che di fronte agli
avveiiimenti internazionali, richiede seniprc più
la costituzione di un centro coinunitario di decisione politica capacc di assumere i compiti
di u n xrr.ro e proprio governo curopeo ».
E' esattamente il contrario di quello che
chiedeva Spinelli: la cancellazione anche
delle ultime tracce della sovrannazionalità.
E non ci venga a dire - come I-ia ripetuto ancora, dopo Copcnaghen, Francesco
Rossolillo in
Milano Federalista » del dicembre scorso - che con questo si mcttc,
sì, in soffitta ogni residuo di sovrannazionalità e di spirito comunitario, ma si entra
in una fase « confederale », da cui l'idea
federalista potrà, dialetticamente C per opposizione, prender le mosse: giacché una
confederazione è pur sempre una precisa
realtà politica e giuridica - ed in particolare nel campo della diplomazia e della difesa -, mentre di ciò non vi è oggi traccia
alcuna in Europa, sì che i «Nove » non
entrano affatto in una fase confederale, ma
semplicemente regrediscono definitivamente
al mero « internazionale ».
Si sono certo scntite, nel corso del dibattito strasburghese, belle parole sull'urgenza dell'ora e sulla necessità di affrettare
la costruzionc delllEuropa politica; e anche
la risoluzione teste citata ha rivolto il suo
bravo omaggio verbale alle istituzioni comunitarie e alla loro esperienza. Ma il concetto di fondo è stato quello: e tutti sono
stati d'accordo nel consigliare « d'institutionnaliser en quelque sorte les réunions au
sommet n. Così si è espresso, a nome del
suo gruppo, il comunista francese Bordu,
manifestando un'opinione che ha trovato
concordi tutti, dai conservatori britannici ai
democristiani continentali fino ai gollisti C
ai missini, passando per i socialisti.
((Occorre rendcrsi conto - ha affermato a
nome di questi ultimi il belga Radoux, dicendo
ad alta voce quello che tutti gli altri pensavano
dcntro di loro - che non vi è più, oggi, un
centro di decisione comunitario, e che lo stesso
Consiglio dei Ministri delle Comunità, pur investito di potcri legislativi cd esecutivi, n e joue
pltrs sol? rble
a.
Cib è incontestabilmente vero: ma accettare questo fatto, e rimettersi ormai solo
ai Vertici, significa appunto contcntarsi del
peggio e f a r propria, come dicevo, una politica puramente difensiva.
3.
...e dopo
I risultati dcl Vcrtice hanno infatti dato
ragione Al'« Express » che - facile profeta - aveva previsto che « gli europei, non
avendo nulla da dire, avevano deciso di
dirlo insieme, a Copenaghen ». I1 « nuovo
impulso », sostitutivo delle istituzioni comunitarie paralizzate, non c'è stato. La sola
decisione presa - l'entrata in vigorc dcl
Fondo regionale a partire dal 1" gennaio non ha potuto esser mantenuta.
Ebbene, comc ha reagito il Parlamento
Europeo?
Un modo serio di reagire avrebbe potuto
esser quello di chiedersi le ragioni dell'im-
COMIJNI D'EUROPA
potenza attuale delllEuropa, ormai « satellizzata D non solo dai grandi, ma perfino dagli
arabi.
Non è vero infatti che l'Europa non potrebbe rispondere alle pressioni arabe se
non, come avrebbe detto la perpetua manzoniana « calandosi le ... P. Anzitutto - cito
da un documento che il Governo olandese
ha trasmesso, alla vigilia del Vertice, agli
altri governi membri della Comunità (6)
« non va dimenticato che almeno 1'80 per
cento delle forniture militari ai Paesi arabi,
Egitto e Siria esclusi, proviene tuttora dall'Europa, mentre il 70 per cento del commercio
arabo, Egitto e Siria compresi, è diretto verso
il nostro continente n.
Così l'Europa « fa affari » vendendo armi
a coloro stessi che attivamente la combattono (7). Era un'occasione per agire in modo
meno suicida.
I n secondo luogo sarebbe astrattamente
ipotizzabile ove vi fossero un concerto europeo ed una strategia continentale - che si
ottenesse dalla Svizzera un blocco dei capitali versati nelle sue banche (quasi tutte
le royalties percepite dagli sceicchi finiscono lì) e si studiasse poi un controllo continentale dei relativi investimenti - da estendere ai capitali provenienti da tutti i Paesi,
e in particolare ai capitali americani - in
modo da evitare l'alienazione di complessi
industriali che si ritenga debbano restare
in mani europee, e più in generale per indirizzare quelle somme a fini di pubblica
utilità continentale, in conformità di un preciso piano economico federale.
Ora le ragioni per cui tutto ciò non può
esser fatto sono, senza dubbio, molteplici:
ma quella essenziale e di fondo resta la
disunione, resta che sotto il profilo della
politica estera, commerciale e della difesa
l'Europa è tuttora, ed è soltanto, un'espressione geografica, un puro non essere politico
e non è mai stata « così divisa come oggi e
così incerta sul suo avvenire comune » (8).
(6) Documento di cui desumo i l testo da una Conferenza fiorentina dell'on. Vedovato, che apparirà nel
prossimo numero della sua .P Rivista di studi politici
internazionali D.
(7) Si veda, fra i tanti scritti in materia, l'interessante inchiesta iniziata nel numero del 20 gennaio 1974
di Epoca n.
(8) Sono ancora parole di Vedovato, nel citato scritto. Questo autore ne trae però una conclusione opposta
alla nostra: e cioè che si debbano, almeno per ora, abbandonare completamente i sogni dell'integrazione europea, e rifugiarsi solo nella solidarietà atlantica. Come
se questa non fosse altrettanto in crisi quanto l'integrazione europea, e in buona parte proprio a causa
di questa seconda crisi! ...
Leggete:
14 MoNTANA@O
d ' Italia
Rivista dellPUnione Nazionale
Comuni ed Enti Montani
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S.r.l. « I1 Montanaro D
Viale del Castro Pretorio, 116 - Roma
I1 che dovrebbe essere di stimolo a riproporre - meglio tardi che mai - il piano
Spinelli - l'elezione diretta, la Costituente
europea.
Ecco invece la parte essenziale della risoluzione che il Parlamento Europeo ha approvato nella sessione di gennaio, e che non
ha bisogno di ulteriore commento.
« I1 Parlamento Europeo si compiace della decisione di accelerare la realizzazione dell'unione
europea e domanda alle istituzioni comunitarie
di concentrarsi e di presentare le loro proposte
concrete a questo proposito entro il più breve
termine;
prende atto con soddisfazione dei principi sull'identità europea solennemente affermati dai
Capi di Stato o di governo, ma insiste affinché
essi siano rapidamente tradotti nei fatti attraverso procedure più efficaci e vincolanti di azioni comuni, in particolare nel settore della politica estera e della difesa;
sottolinea che spetta ormai allo Stato che esercita la presidenza del Consiglio delle Comunità
di convocare, quando lo ritenga opportuno, delle
" riunioni presidenziali ". Detta procedura deve
permettere, allorquando circostanze eccezionali
lo esigano:
a) di dare gli orientamenti politici necessari
per continuare a stimolare e a sviluppare la
Comunità;
b) di fornire delle linee d'azione suscettibili
di risolvere i problemi più importanti, grazie
ad una preparazione minuziosa da parte degli
organi comunitari adeguati D.
Anche questa volta si sono certo sentite
qua e là, nel corso del dibattito, delle critiche, in particolare da parte del sen. Scelba,
che ha sottolineato l'indebolimento della
struttura comunitaria, per l'istituzione di un
quarto potere di fatto - i Vertici semestrali,
ribattezzati « Conferenze presidenziali » -,
o dei comunisti francesi. che hanno ribadito la loro opposizione alllEuropa capitalistica e delle multinazionali ( m a non hanno
detto verbo su questa involuzione intergovernativa, che essi anzi gollisticamente auspicano). Nel complesso però la risoluzione
è passata senza difficoltà: etsi coactus volui.
Nulla, nemmeno un vago cenno alla straordinaria gravità della crisi comunitaria che
ha fatto chiedere a Emanuele Gazzo, nella
Stampa n , del 23 gennaio 1974, che la Commissione si dimetta, per protestare contro
il sabotaggio dei Governi (come se non fossero gli stessi Governi a scegliere i membri
della Commissione).
I1 Parlamento Europeo non può perciò
essere credibile, quando su singoli punti
- della politica sociale, poniamo, o di quella
regionale, o di quella agricola - enuncia
critiche e talvolta anche severe, od esprime
giudizi ed auspici validi. Dato che accetta,
e anzi approva e fa sua, la premessa politica di fondo di quelle carenze e di quelle
storture, esso ne è in pieno corresponsabile,
e non costituisce affatto un organo a partir dal quale si possa sperar di attuare
una riforma della Comunità.
L'elezione diretta non potrebbe modificare
sostanzialmente questo stato di cose: nemmeno se i poteri fossero diversi da quelli
attuali, praticamente solo consultivi (ma ciò
presuppone appunto la riforma già attuata);
e nemmeno se il mandato europeo non fosse
più cumulabile con il mandato nazionale
(condizione assoluta, ad ogni modo, perché
l'elezione diretta abbia un senso, e si possa
almeno in astratto sperare che la funzione
crei l'organo); argomento, tutto questo, così
importante - è al centro dell'attività dell'europeismo italiano, e non vi abbiamo mai
febbraio 1974
fatto cenno, nelle nostre « Cronache n - che
ci sembra opportuno trattarne più diffusamente in nota (9).
4. Conclusione
Tutto questo ci richiama a quanto abbiamo ripetuto, ancora una volta, nel citato
scritto apparso in « Iniziativa Europea » alla
vigilia del Vertice: non potersi più contare
in una mutazione delle Comunità « d a l di
dentro », perché non è possibile contare sui
partiti e le forze, economiche e politiche,
che in quell'integrazione furono, almeno in
parte, impegnate negli anni '501, e che invece
oggi sono attivamente interessate a non procedere verso l'unione politica, che ridurrebbe il loro potere di sottogoverno nazionale. E non è nemmeno possibile contare
sulle forze che allora si opponevano frontalmente, da sinistra, a tale integrazione,
perché ancora in larga misura prigioniere
dell'idea del « socialismo in un solo Paese D.
(9) L'affermazione incondizionata alla base della campagna per le elezioni dirette del Parlamento Europeo
che, come che sia, N il voto crea il potere n, è frutto,
secondo noi, di un
uso incontrollato n delle parole
i,oto e potere. Diversissimi sono anzitutto - per cominciare dal voto - così il senso come gli effetti di
esso per l'elezione di un organo deliberante (che i.
nella logica democratica) e per l'elezione invece di un
organo senza poteri (che è invece al di fuori di
questa): sicchf, attribuire a questo secondo tipo di
voto le caratteristiche, e le conseguenze dell'altro è
solo effetto di confusione insieme verbaie e mentale.
Distinguo n, diceva S. Tommaso: nell'ambito di uno
Stato esistente, con un suo Parlamento e un sistema
elettorale già costituito, il voto elettorale relativo crea
un'infltrenza politica per i partiti che vi hanno partecipato, maggiore o minore secondo i risultati ottenuti.
Per questo, in un determinato momento della loro
storia, i partiti socialisti hanno potuto, con ragione,
giudicar utile concentrare tutte le loro rivendicazioni
nella richiesta formale del suffragio universale, convinti che una presenza molto maggiore di loro rappresentanti in un organo dotato di competenze effettive
(altro significato della parola potere, il quale, in tal
senso, non è creato dal voto, giacché anzi il voto
presuppone l'esistenza del potere, cioè appunto di un
organo legiferante) avrebbe consentito loro di acquistare quella maggiore influenza necessaria a far passare
anche i contenuti, o almeno alcuni contenuti del loro
programma (anche se l'immobilismo di fondo dello
Stato nazionale ha oggi ridimensionato di molto le loro
speranze).
Altro è il caso di uno Stato - nel nostro caso uno
Stato federale - inesistente, in cui per potere da creare
si intende ancora una terza cosa: non più l'influenza
politica, e nemmeno le competenze dell'organo parlamentare di uno Stato esistente. ma appunto la capacità di pressione per dar vita a quel nuovo Stato. Ora
qui, a voler continuare nell'uso controllato delle parole,
si deve dire, direttamente almeno (si veda il caso
statunitense della Convenzione di Filadelfia), che non è
vero che il potere (il nuovo Stato federale) è creato
dalla violenza o dal voto, ma dalla violenza o da altro
potere legittimo: appunto i futuri Stati membri (purché
sottoposti ad una pressione tale, da vincere la tendenza
di ogni organismo sociologico a persistere nel proprio
essere: in quel caso la minaccia di collasso insieme
militare ed economico.
ove l'unione federale non fosse
- - s t a t i ;aggiunta).
In questo terzo significato, dunque - che è quello
che qui c'interessa - la tesi che il voto crea un'influenza politica potrebbe esser valida solo mediatamente. nel senso che una vartecivazione dei federalisti
alle elezioni nazionali pot;ebbe Servire a determinare
quel condizionamento, quella pressione che dicevo. e
che oggi, ahimè, manca (ma anche qui in realtà non
è vero che i metodi siano solo la violenza o il voto:
i socialisti, come si è visto, ottennero il voto attraverso
un'azione di pressione che non passava essa stessa
essenzialmente per il voto). Non è invece concepibile,
ed è puro sofisma. che l'elezione dell'organo più impotente e sempre meno influente e senza poteri di un
sistema comunitario anch'esso, a sua volta, impotente
ed in crescente disarmo, e per di più senza che si
scinda mandato nazionale ed europeo, e senza che si
eserciti praticamente nessuna pressione sulle forze che
dell'organo eletto dovranno far parte, tutte ormai contrarie di fatto, a sviluppi federali ( e sarebbe questo
invece. il punto centrale di una strategia federalista).
anzi corteggiandole, si possa vincere la strozzatura di
fondo della sovranità nazionale, allo stesso modo di
come i socialisti riuscirono a vincere la strozzatura
che li teneva ai margini dello Stato. Si tratta solo,
come ormai deve essere chiaro, di una falsa analogia,
che un'attenta distinzione insieme logica e semantica
distrugge, mi sembra. in radice. Certo, esclusa unanimemente la violenza, la via è quella della Convenzione di Filadelfia, è quella dell'Assemblea ad hoc, è
quella della Costituente, è, in questo senso s ì , quella
del voto europeo. Ma ciò presuppone tutto un lavorio
per fare acquistare influenza politica al federalismo,
all'interno degli Stati nazionali, tale appunto da imporre quel voto europeo decisivo, e non un voto praticamente senza oggetto, in contrasto ed in ispregio
delle regole democratiche (che vogliono appunto che
ad un atto solenne come il suffragio universale si
ricorra solo per organi dotati di poteri reali): una
gratuita fuga in avanti che non può produrre risultati - ed infatti non ne ha prodotti e non ne produrrà
-.
febbraio 1974
E' questo che ci divide dalla politica attuata dai movimenti europeistici, e ce la fa
ritenere illusoria.
Ciò dimostra come non abbia ormai più
alcun senso nemmeno il tema - dal quale
anche noi ci siamo lasciati altre volte suggestionare - di quale dovrebbe essere la
politica europea di un governo italiano che
intendesse rinverdire la tradizione degasperiana, e non si contentasse dell'eterna funzione di « mezzano », che cerca di barcamenarsi e di trovar compromessi fra le diverse
posizioni, senza averne mai una propria, e
finisce per accettar sempre, passivamente,
quello che il parallelogramma delle forze
sembra suggerire.
Non esiste, infatti - e anche qui non a
caso, m a per quella profonda ragione che
sopra dicevo - una posizione dello Stato e
del governo italiano, e nemmeno delle forze
politiche ed economiche che lo controllano,
che si possa sperare essere sostanzialmente
diversa da quella di Pompidou o di Heath,
se non a parole, e soprattutto che sia capace di opporsi energicamente ad essa.
Si può certo in astratto mostrare - lo ha
fatto Spinelli al Convegno IAI, e lo fanno
i federalisti - che il nostro Paese, anello
più debole della catena comunitaria, h a
Cari lettori,
« Comuni d'Europa D, ornai giunto al
XXII anno di vita, è senz'altro una delle
decane tra le riviste federaliste che si
stampano in Europa.
Con la sua rilevante penetrazione capillare e con i suoi 11 numeri l'amo,
Comuni d'Europa » vuole restare un
giornale soprattutto stimolante, di lotta
e di ripensamento della problematica federalista. La sua caratteristica fondamentale consiste nell'essere il tramite diretto
fra tutti i centri decisionali della battaglia comunitaria ed europeista e le popolazioni di ogni regione, i giovani e coloro
che sono trascurati dall'oligopolio dell'informazione.
Proprio per questa sua funzione, nonostante gli aumenti vertiginosi dei costi
della carta e tipografici, « Comuni d'Europa » non solo ha conservato invariato
da diversi anni il suo prezzo, ma ha addirittura notevolmente aumentato il numero
medio delle pagine, ed è riuscito a contenere entro limiti estremamente modesti
l'aumento delle tariffe di abbonamento,
che si è visto costretto a ritoccare per
il 1974. Naturalmente questa situazione
potrà essere mantenuta solo se gli abbonati e gli inserzionisti, cui va il nostro
più vivo ringraziamento, continueranno a
sostenerci e se altri lettori vorranno portare il loro contributo sottoscrivendo abbonamenti.
tutto da guadagnare da unlEuropa realmente
sovrannazionale, dalla politica regionale al
controllo del fenomeno migratorio, e tutto
da perdere dal mantenimento delle sovranità, ivi compresa la libertà politica. Ma
anche qui non sono necessarie conferme del
fatto che ormai da anni simili preoccupazioni non sono tali da suggerire ai « principi che ci governano » un'iniziativa seria,
e tanto meno la tenacia occorrente a riproporla ad ogni occasione favorevole.
I1 problema dunque non è italiano, ma
europeo e sovrannazionale: quello della crea
COMUNI D'EUROPA
zione di una forza federalista a livello continentale che i Movimenti europeisti e federalisti - è bene dircelo con franchezza non hanno finora saputo essere, e che riesca
a cogliere il legame profondo tra strutture
federali e riforma della società, e a d affermarlo nella pratica, mettendo in piedi una
strategia coerente, e gestendola in prima persona e in proprio, e non affidandola in appalto a forze politiche nazionali a d essa
costituzionalmente ripugnanti.
Basta porre il problema per rendersi conto
fino a che punto si è lontani dall'aver uno
strumento adatto - oggi e nell'immediato
futuro - per condurre una battaglia europea che non sia solo il continuo pestar
l'acqua nel mortaio che ci caratterizza da
trent'anni.
L'azione di massa del CCE
(continuazione da pag. 18)
1'AICCE sul governo italiano perché si facesse promotore di una politica multilaterale
analoga a quella dell'ufficio franco-tedesco
della gioventù, inserendola in una prospettiva
comunitaria, proprio per consentire al nostro
Paese, certamente il più periferico (geograficamente e psicologicamente) rispetto allJEuropa, di tessere legami sempre più stretti
con gli altri Paesi membri a livello di comunità di base, di giovani, di operatori scolastici, di imprenditori e di lavoratori.
Serafini ha rilanciato, a Mulhouse, il problema, essenziale per il CCE, dell'orientamento politico dei gemellaggi e dell'importanza di fare in modo che essi diventino,
sempre più, il « veicolo dell'idea di unlEuropa sovranazionale D.
Sull'estensione territoriale dei gemellaggi
e degli altri incontri fra città si è quindi
sviluppata una vivace polemica fra i delegati delle diverse Sezioni nazionali. I delegati italiani - trovando interlocutori non
sempre aperti al loro ragionamento e viceversa ambiguamente possibilisti - hanno
insistito sul fatto che, mentre è perfettamente logica una Ostpolitik del CCE nel
campo degli incontri intermunicipali (saranno semmai i regimi dell'Est a doversi
preoccupare di una diffusa infezione di nonconformismo e di spirito critico attraverso
il contatto con gli amministratori locali
occidentali), non si giustificano poi in alcun
modo gemellaggi coi Paesi fascisti dell'Europa occidentale. I n questo secondo caso,
infatti, prevarrebbe sulla buona intenzione
di convertire i podestà dei Paesi fascisti alla
democrazia, la realtà dell'avallo di base a
un compromesso mercantile che diversi
Paesi della Comunità sono pronti a fare con
la Grecia e i generali (ex-colonnelli), con la
Spagna e col Portogallo fascisti, dimenticando gli scopi prioritari democratici del
progetto di integrazione delllEuropa occidentale. I n altri termini, mentre non è in alcun
modo prevista né prevedibile un'associazione della Cecoslovacchia o dell'ungheria
al MEC, è a tutti nota la pressione che
alcuni Paesi europei compiono ( e sono praticamente i t r e grandi del MEC) per avere
« piena libertà sovranazionale di affari »
coi Paesi fascisti europei. La Comunità europea, hanno ribadito i delegati italiani, o
sarà antifascista o non sarà: essi in ogni
caso non sono pronti ad accettarc una linea
diversa.
I membri della Commissione hanno poi
rivolto la loro attenzione ai contenuti dei
gemellaggi, alla partecipazione a d essi delle
varie categorie sociali, agli strumenti più
opportuni per far conoscere agli enti locali
la possibilità e la tecnica organizzativa dei
gemellaggi. Anche il problema dei costi finanziari dei gemellaggi per i piccoli comuni
ha fornito motivo di discussione. E' stata
così fatta la proposta di associare più comuni interessati al gemelaggio nel quadro di
un consorzio intercomunale o in forme analoghe di coordinamento e cooperazione. Al
termine la Commissione ha approvato le
decisioni seguenti relative ai gemellaggi:
1) la convocazione di una riunione a livello europeo dei « comitati di gemellaggio »
esistenti nei comuni interessati;
2) rilancio del contenuto politico dei gemellaggi in modo che essi divengano un'occasione di mobilitazione europea delle popolazioni;
3) redazione del testo di un « appello »
che potrà essere diffuso in occasione dei
prossimi Stati generali di Vienna, rivolto ai
comuni gemellati e contenente una vigorosa
denuncia dei pericoli insiti nell'attuale momento di stallo della Comunità europea;
4) un invito alle sezioni nazionali del
CCE ad intensificare i gemellaggi verso la
Gran Bretagna e a prendere analoghe iniziative anche verso i Paesi scandinavi.
La Commissione di studio si riunirà nuovamente nel mese di giugno 1974. Essa potrà
così verificare la realizzazione delle decisioni
prese a Mulhouse ed esaminare il progetto
dt una apposita pubblicazione riguardante il
CCE, i suoi obiettivi e la sua azione, destinata
ad essere largamente diffusa nclle varie lingue tra gli enti territoriali dei diversi Paesi.
I
COMUNI
I
I
D'EUROPA
Organo del1'A.I.C.C.E.
ANNO XXII - N. 2 - Febbraio 1974
Direttore resp.: UMBERTO SERAFINI
Redattore capo: EDMONDO PAOLINI
DIREZIONE,
REDAZIONE
E AMMINISTRAZIONE
Piazza di Trevi, 86 - Roma
I
-
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6.795.712
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Roma
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Comuni d'Europa, periodico mensile Piazza di Trevi, 86 - Roma » (specificand o la causale del versamento), oppure
a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a u Comuni d'Europa D.
Aut. del Trib. di Roma n. 4696 dell'll-6-1955
Associato all'USP1
Unione Stampa
Periodica Italiana
I
TIPOGRAFlCA CASTALDI
- ROMA-1974
Un'altra Fiat che consuma poco, anzi pochissimo,
che ha i più bassi costi di esercizio, che paga
le tariffe più basse di bollo, di assicurazione,
in autostrada, in garage, dal meccanico.
Un'altra Fiat che mantiene il suo valore
nel tempo. Un'altra Fiat molto attesa.
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Anno XXII Numero 2 - renatoserafini.org