- Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86 00187 ROMA ANNO XXII N. 2 Febbraio 1974 Spedizione in abbonamento postale Gruppo 111/70 - - O R G A N O M E N S I L E D E L L ' A S S O C I A Z I O N E I T A L I A N A PER I L C O N S I G L I 0 D E I C O M U N I D ' E U R O P A al Consiglio Nazionale dell'AICCE Pluralismo politicoistituzionale per la nuova Europa Rappresentanti di tutte le Regioni italiane, di Amniinistrarioni provinciali e comunali, esponenti di organizzazioni europee e federaliste, responsabili di partiti politict, parlainerztari ed esperti, si sono riuniti a Roma il 13 dicembre per un'importante seduta del Consiglio Nazionale delllAICCE. I n questo nunzero di « Conzuni d'Europa D riportiamo le due relazioni di base, tenute dal Prestdente della Regione Toscana, Lelio Lagorio, e dal Presidente del Consiglio ituliano del Moviiizento europeo, Giuseppe Petrilli, rispettivameizte su « Problemi posti dalle relaziorzi fra le Regioni italiane e la Comunità ecorzonzica europea » e « Il Vertice europeo di Coperzaghen S . Lagorio, in u n ampio quadro costituzionale, legislativo e politico, ha trattato il rapporto CEE-Stato-Regioni mettendo i n evidenza gli anzpi spazi d i e il diritto comunitario lascia alle Regioni, sia nella fase di preparazione delle decisioni europee, sia nella fase di applicazione di quelle decisioni in Italia, spazio che le autorità centrali dello Stato nazionale nzirarzo invece a ridurre o addirittura a cancellare, impedendo qualsiasi rapporto fra CEE e Regioni. Petrilli, da parte szta, dopo aver illustrato le origini e gli aspetti del cosiddetto « nzetodo dei Vertici n, ha affermato il carattere del tutto prioritario da attribuirsi alla creazione dell'linione europea decisa dal precedente Vertice di Parigi e la necessitil di compiere ttn deciso passo avanti in questa direzione, attribuendo al Parlamento europeo il conlpito di redigere, entro il 1974, u n progetto di Trattato capace di fondare gli ulteriori siiiiuppi deil'iiztegrazioize politica ed economica su di una precisa struttura istituzionale di tipo federale. Oltre a queste due relaziorzi, alle quali seguono rispettivanzente gli interilenti del Segretario generale aggiztnto Gianfranco Martini, del Segretario generale Umberto Serafini, pubblicl~iamo anche il testo del rapporto predisposto dal prof. Sergio Carbone, docente all'liniversità di Genova, su « A f f a r i comunitari, competenze dello Stato e parteclpazione regionale n, nonchg una sintesi del dibattito e il documento conclusivo approvato sul primo tema. 2 COMUNI D'EUROPA febbraio 1974 La seduta del Consiglio Nazionale dell'AICCE Roma, 13 dicembre 1973 Problemi posti dalle relazioni fra le Regioni italiane e la Comuilità economica europea di Lelio Lagorio Ringrazio innanzi tutto il Consiglio Nazionale dell'associazione dei Comuni, delle Province e dellc Regioni, Sezione italiana del Consiglio dei Comuni d'Europa, per avere prcscelto un « operatore politico a livello di Regionc » come relatore in questa importante assise. Confido di poter portare qui non solo la mia voce o quella della Regione toscana donde provengo, ma la voce di tutte le Regioni italiane su un punto che considero essenzialc nel processo di edificazione di una corretta Repubblica regionale, quale la Re- SOMMARIO Pag. Pluralismo politico-istituzionale per la nuova Europa . . . . . . . 1 La seduta del Consiglio Nazionale dclllAICCE: Probleiizi posti dalle relazioni fra le Regioni italiane e la Conzunitu econotnica europea, di Lelio Lagorio . . . . . . . . . . . l'intcrvento di Martini . . . . . 2 6 Affari comunitari D, conzpetenze dello Stato e partecipazione regionale, di Sergio Carbone . . . 7 Il Vertice europeo di Copenaghen, di Giuseppe Petrilli . . . . . l'intervento di Scrafini . . . . . il dibattito . . . . . . . . . . la risoluzione . . . . . . . . . 10 15 15 16 Dizionarietto: U.E.D.C., di Gianfranco Martini . . . . . . . 17 L'azlone di massa del CCE, di G. M. 18 Cronaca delle Istituzioni europee: L'evoluzio~ze istituzionale della Coi~zunità europea verso l'Unione politica: rapporto dalle Zstitrlzioni conzunitarie, di Pier Virgilio Dastoli . . . . . . . . . . l9 Il « progratiztna di azione sociale » discusso nella sessione di dicembre del Parlamento Eurolieo, di Andrea Chiti-Batelli . . . . . 27 pubblica italiana deve aspirare ad essere: un punto sul quale le Regioni hanno già avuto più di una occasione per verificare una sostanziale concordanza di vedute. 1. - A Siena, nello scorso febbraio, in un convegno di studi patrocinato da quella UniFoto in prima pagina (in alto): Lagorio espone la sua relazione al Consiglio Nazionale delI'AICCE. Alla presidenza, da sinistra, Dozio, Curci, Bufardeci, Serafini e Martini; (in basso): la « Maison de 1'Europe D, a Strasburgo, ove si svolgono le sedute del Parlamento Europeo, protagonista del dibattito sulllUnione europea. versità sul problema Europa, Agricoltura e Regioni dicemmo che bisognava « aiutare le Regioni d'Italia a venire a capo di un importante problema, uno dei grossi nodi che ogzi contribuiscono a frenare l'azione dei nuovi Enti D. Intendevamo riferirci « all'intrecciato rapporto Regioni-Governo izaziotzale-Comuizità europea che è, sì, - dicevam o --anche un problema tecnico-giuridicoistituzionale, m a che in pratica si risolve soprattutto in una questione squisitamente politica n. Più tardi a Firenze, nel luglio '73, in un « Incontro tra la Commissione della CEE, il Governo della Repubblica e le Regioni italiane D, su « Le politiche sociali e regionali della Comunità europea» si ebbe cura da parte nostra di sotto'lineare ancora una volta alcuni interrogativi su quello che si può chiamare « i l ruolo europeo delle Regioni italiane n. Allora ci preparavamo ad affrontare alcune scadenze - prima fra tutte la c.d. legge Natali per l'attuazione delle direttive comunitarie in agrico'ltura - che mettevano e mettono in forse il rispetto e la fedele applicazione dei principi della nostra Costituzione in materia di o'rdinamento regionale. Oggi come ieri, noi possiamo cominciare col dire che non è il Trattato di Roma che si tratta di mettere in discussione. Dall'angolo visuale nel quale ci mettiamo la revisione del Trattato non è necessaria. Forse lo è per altri aspetti. Ma non è questo che ora qui ci interessa. Ovviamente oggi il Trattato è impegnativo per tutti i Paesi che l'hanno sottoscritto. Ma l'avvento delle Regioni in Italia nel 1970 e il trasferimento ad esse delle funzioni amministrative statali avvenuto nel 1972 apre una nuova problematica. I1 10 aprile 1972 lo Stato italiano', infatti, ha trasferito alle Regioni una consistente aliquota di poteri e funzioni che in precedenza erano esercitati dal Governo centrale. Questo trasferimento ed il pieno ritmo che ha conseguentemente assunto, sul piano sia legislativo che amministrativo, la gestione delle Regioni, hanno fatto diventare una realtà di interesse immediato - per l'ordinato ed efficiente svolgersi dell'azione regionale stessa - la dimensione (internazionale e comunitaria), nella quale collocare lo Stato rcgionale e le Regioni medesime, momento essenziale e fondamentale di tale Stato. Quella che ieri poteva essere una esigenza cono'scitiva e di sistematica è oggi urgente, improcrastinabile, problema di prassi operativa e di scelte. L'ottica tridimensionale - Comunità Economica Europea, Stato, Regioni - attraverso la quale guardare gran parte della tematica regionale, diventa una costante necessaria per un giusto ruolo delle Regioni nella vita del Paese. Fuori di tale ottica, le Regioni sono svilite a d istanza di mero decentramento statale, e del più minuto e frammentario decentramento; lo Stato si colloca come unico interlocutore del discorso europeo e della costruzione dell'Europa. I n tale ottica, invece, si rcalizzano sia il rispetto della nostra Carta costituzionale, sia la valorizzazione dello stesso ordinamento comunitario, con le Regioni che divengono protagoniste - per la loro parte e sempre nei limiti costituzionali - delle scelte della politica comucitaria, dell'attuazione di tali scelte all'interno, del necessario, conseguente dialogo di « respiro » internazionale e comunitario. Ecco, dunque, la necessità di esaminare più da vicino gli aspetti di questo complesso problema. 2. - Ci sono due momenti del rapporto CEE-Stato-Regioni che vanno analizzati: una « fase ascendente » e una fase discendente D. La « f a s e ascendente » è relativa al processo di formazione delle decisioni comunitarie. A questo processo, possono essere chiamate le Regioni? La nostra risposta è « sì n. E' pacifico che la stessa esperienza comunitaria nasce dalla esigenza di meglio aderire, nelle iniziative e nelle scelte politiche, ai bisogni ed alle istanze regionali e locali del territorio degli Stati membri. Questo principio informatore del sistema comunitario non si evince soltanto dallo spirito del Trattato di Roma, ma dagli stessi strumenti di intervento prescelti da tale Trattato (art. 189), che - attraverso le direttive, in particolare - mira proprio a lasciare uno spazio all'interno degli ordinamenti statali per una disciplina attuativa, da parte degli Enti ed organi competenti in sede legislativa ed amministrativa, che si attagli appunto alle peculiari esigenze regionali e locali. In qucsto senso parlano alcuni documenti recenti di organi comunitari che auspicano un diretto inserimento delle Regioni al livello comunitario: a d es., la proposta di decisione del Consiglio CEE n. 146 del 1969, che prevede una cooperazione sul piano comunitario << tra istituti ed enti che negli Stati membri si consacrano. .. alla realizzazione dei piani di sviluppo regionale »; il voto del Parlamento europeo, nel documento n. 29 del 1970, che auspica la massima partecipazione degli Enti regionali all'attività comunitaria; i vari documenti che raccomandano che i Comitati comunitari siano composti da rappresentanti delle organizzazioni europee rappre. sentative degli enti medi e minori D o, ancora una attiva collaborazione degli ambienti strettamente interessati D. Questi indirizzi comunitari ai quali può ora aggiungersi quanto si rinviene - in direzione della consultazione diretta e della collaborazione con gli ambienti regionali » degli Stati membri - nelle proposte di regolamento della Commissione relative al « fondo europeo di sviluppo regionale D; sono indirizzi che vanno assecondati, che debbono diventare più generalizzati e più sicuri e s u questa linea si misura la consistenza e l'intelligenza delle forze regionaliste ed autonomiste che si muovono nella realtà politica del nostro Paese. (( COMUNI D'EUROPA febbraio 1974 11 sistema comunitario consente dunque una precisa valorizzazione del ruolo belle Kegioni. Si tratta perciò di veciere quali possono essere le forme di partecipazione diretta delle Kegioni alla elaborazione e preparazione degli atti comunitari. Al riguardo, come è stato giustamente affermato « niente in via di principio inlpedisce una preventiva consultazione cielle Kegioni » in ordine agli atti comunitari. kssi vengono sottoposti al Consiglio dei Ivlinistri su proposta della Conlniissione, che si avvale di regola del parere del Parlamento europeo, nonché di vari comitati consultivi a carattere specializzato. La preventiva consultazione delle Regioni è possibile, anzi necessaria ogni qualvo'l~atali atti sono destinati ad incidere sulle competenze delle Regioni, o addirittura ad essere applicati da esse. Le Regioni, infatti, per la loro vicinanza agii interessi locali sono idonee ad esprimerli meglio di chiunque altro e, pertanto, la partecipaziomne diretta delle Regioni ad organi consultivi comunitari costituirebbe senz'altro uno strumento prezioso, atto a far sì che l'azione sopranazionale si basi su una piena conoscenza, e perciò su una ricostruzione fedele e diretta, di tutti gli interessi su cui essa è destinata ad incidere profondamente. Quali le conseguenze? Che simili accorgimenti, non solo valorizzerebbero il ruolo belle Regioni, ma renderebbero più solida, efficace e democratica l'azione della Comunità. Non sono parole mie, sono parole di autorevo,li protagonisti della politica europea. Kesta allora da chiedersi perché. e come mai? questa saldatura Europa-Regioni ancora non c'è: mancanza di rapporti, quanto mai sorprendente se si pensa che la Commissione comunitaria si avvale comunemente - « senza scandalo di nessuno D - della consulenza di comitati tecnici nei quali figurano i rappresentanti delle categorie sociali interessate all'azione comunitaria (cfr. ad esempio, l'articolo 124 del Trattato per il Comitato del Fondo sociale europeo, nonché l'art. 193 per il Comitato economico e sociale). Un dato è certo - purtroppo - ed è che ostacoli di principio esistono e si perpetuano proprio e solo per le Regioni n. C'è un altro aspetto delle « forme di partecipaziomne indiretta delle Regioni al momento decisionale comunitario» che va visto attentamente. Se è vero, infatti, che il potere decisio'nale effettivo è affidato al Consiglio dei Ministri, composto da rappresentanti dei Governi nazionali e che dunque gli atti comunitari più importanti promanano dalla volontà degli esecutivi nazionali riuniti nell'oi-gano comunitario su indicato; se è vero che al Consiglio dei Ministri CEE non c'è certo posto per le Regioni, dal momento che quella che vi si svolge è una attività di sicura spettanza del Governo, confluente in quel potere di relazione internazionale che è tra i più indiscussi attributi dell'Esecutivo Nazionale, in base al nostro sistema costituzionale (e non solo al nostro); se è vero in sostanza che è del Governo, in qualità di titolare del c.d. « potere estero P, « l'azione di rappresentanza e tutela, in ogni sede internazionale idonea, degli interessi dell'intera comunità italiana D; il punto sul quale è stata e deve essere particolarmente richiamata l'atteiizion~ è che il « potere estero fa capo ad una Funzione strumentale, di tramite, che implica per il Governo un ampio margine di discrezionalità nella scelta dei modi, dei tempi, delle forme per por>) tare avanti l'azione internazionale a tutela degli interessi italiani, ma non implica affatto altrettanta discrezionalità per quel che concerne la scelta degli obiettivi da raggiungere mediante l'aziomne suddetta. E' in questa fase precedente, « c h e non riguarda dunque i rapporti internazionali, bensì la preliminare individuazione degli scopi che il Governo deve mirare a raggiungere mediante le relazioni internazionali (e quindi anche in seno al Consiglio dei Ministri CEE) » che può, anzi deve trovare spazio la partecipazione delle Regioni, nei limiti naturalmente in cui gli interessi da curare tramite l'azione internazionale coincidano con quelli che, sul piano interno, so'no affidati alla cura delle Regioni. Attraverso questa strada possono trovare tutela contemporaneamente sia le esigenze comunitarie, sia il potere esclusivo del Governo in materia di rapporti internazionali, sia le istanze regionali. A questo proposito fondamentale appare il parere espresso dalla Commissione interparlamentare per le questioni regionali quando discusse il decreto di trasferimento delle funzioni statali alle Regioni in materia di agricoltura. « Con separati provvedimenti - disse - occorre assicurare alle Regioni, i cui poteri nelle materie di loro competenza vengono limitati dalle decisioni comunitarie ..., la possibilità di partecipare ad organismi consultivi in cui si forma la volontà politica che deve essere espressa dal Governo in rappresentanza di tutti gli interessi nazionali D. 3. - E veniamo al secondo momento del rapporto CEE-Stato-Regioni, alla « fase discendente », cioè alla fase in cui si tratta di dare attuazione all'interno dello Stato agli atti comunitari una volta adottati dagli organi comunitari. Se la ((fase ascendente » è una strada ancora tutta da percorrere in Italia, la seconda - la « fase discendente » - registra già i guasti dei decreti delegati di trasferimento e di una azione condotta dal Governo su atti inlportantissimi (direttive Mansholt per l'agricoltura); ai quali occorre reagire con la massima energia, se si vuole salvaguardare il dettato costituzionale e il ruolo della Costituzione assegnato e garantito alle Regioni. Alla luce delle esperienze fatte, non si può non dire che estromettere le Regioni dalla fase « attuativa » degli atti comunitari fa parte di un disegno preordinato. Guardiamo i decreti delegati di trasferimento. I1 D.P.R. n. 1111972 relativo all'agricoltura è esemplare: l'art. 4, lett. b ) riserva allo Stato « l'applicazione di regolamenti, direttive ed altri atti della CEE ... D. Se si considera che, in prospettiva, l'azione comunitaria e l'azione di attuazione degli obblighi comunitari esauriranno senza residui l'intero settore agricolo, la riserva a favore della competenza statale - fatta dal decreto delegato n. 11 - si rivela per « un congegno capace di provocare uno svuotamento, provvisoriamente parziale, ma domani totale delle competenze regionali in agricoltura n. Guardiamo il D.P.R. n. 1011972 di trasferimento àeile funzioni in materia di istruzione artigiana e professionale; lo Stato da un lato si riserva una funzione di C coordinamento, ai fini della presentazione » delle domande delle Regioni al Fondo (art. 7, lett. d), e dall'altra si riserva (art. 7, lett. f ) , per particolari corsi di qualificazione o riqualificazione professionale, la predisposizione, l'assistenza tecnica ed il finanziamento di tali corsi, anch'essi in certa misura rientranti tra i fini del Fondo sociale. Da un canto, una misura esplicita che esautora le Regioni e, dall'altro, un coordinamento che consenta allo Stato di entrare nel merito dell'azione regionale, laddove gli atti comunitari parlano per lo Stato di mere " trasmissioni ", lasciando alla Commissione l'esame e l'approvazione delle domande e dei progetti ». Tutto questo non concorda né col nostro ordinamento costituzionale, né col diritto comunitario. ilalla Costituzione emerge senza dubbio « l'esigenza unitaria che, impone i1 rispetto scrupoloso degli obblighi internazionali dello Stato D, ma tale esigenza non è assolutamente in contrasto con l'esigenza autonomistica, che ha spinto a creare, con le Regioni, enti provvisti di competenze costituzionalmente garantite in determinate materie. I n un ordinamento democratico fondato sulla separazione e distribuzione dei poteri, il rispetto dei vincoli internazionali notz si ottiene attravcrso una generale avocazione alla competenza del Governo di tutti gli atti che potrebbero ingenerare una responsabilità internazionale del nostro Paese, cosa che sarebbe impossibile ed assurda; non si ottiene sovvertendo la separazione dei poteri e la distribuzione delle competenze consacrata in Costituzione, ma « mo'lto più semplicemente e correttamente, ombbligando tutti gli organi, gli enti, i soggetti di diritto interno ad operare in conformità co'l diritto internazionale ( e comunitario) ». Ma mancano gli strumenti per costringere eventualmente lc Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, si dice! Non è vero. Gli strumenti ci sono, eccome, in questa Patria dei Diritto che, sul piano giuridico, è soprattutto la Patria dei controllo in onore dello Stato garantista. Ci sono gli strumenti che servono ad indirizzare l'attività della Regione in un certo modo (legislazione di principio per l'attività normativa, direttive di indirizzo e coordinamento per quella amministrativa); ci sono gli strumenti - articolatissimi - che servono a rimuovere gli atti viziati posti eventualmente in essere dalla Regione « fino al mezzo radicale previsto dall'art. 126 Costituzione, cio'è la dissoluzione dell'Assemblea Regionale n. Se questo discende da un corretto esame della Co'stituzione, per altro verso l'azione comunitaria sia essa legislativa che amministrativa, « postula comntinuamente, perché il risultato cui mira possa essere raggiunto, la collaborazione fedele e l'attuazione scrupolosa da parte di tutti gli organi e gli enti che fanno capo agli Stati membri ». E' noto infatti, che, da un canto l'attività » amministrativa richiesta dalle norme comunitarie è di spettanza di ogni competente istanza nazionale e dall'altro « lo stesso sistema comunitario richiede frequentemente che all'interno di ogni Stato membro sia compiuta un'opera di legislazione, diretta a svolgere ed attuare le norme comunitarie il che peraltro si verifica abbastanza raramente per i regolanienti comunitari, i quali di solito sono sufficientemente completi da impo'rre uri'esecuzione interna di tipo strettamente amministrativo », ma « si verifica invece normalmente per le direttive, le quali, obbligatorie come sono per quel che con)), febbraio 1974 cerne gli obiettivi da raggiungere, ma non per le forme ed i mezzi rclativi (art. 189 Trattato CEE), richiedono proprio puntuali integrazioni d'indolc legislativa ». I1 diritto comunitario, in sostanza, lascia ampi spazi per l'azione da svolgere all'interno degli Stati membri nei settori di interesse comunitario. I1 resto appartiene al diritto costituzionale ed è il diritto costituzionale che definiscc e garantisce gli spazi che debbono essere riservati alle Regioni. E' partendo di qui che possiamo intanto definire i giusti rapporti che debbono intercorrere fra CEE, Stato e Regioni in due campi fondamentali della politica comunitaria: quella del « fondo sociale » e quella del «fondo di sviluppo D. Ed è partendo di qui che dobbiamo attaccare a fondo il modo col quale si pretende di applicare in Italia le direttive comunitarie in tema di agricoltura. 4. - 11 fondo sociale europeo nel settore clell'istruzionc artigiana e professionale mira, non a fornire direttamente tale istruzione, bensì a finanziare i programmi collimanti con gli obiettivi comunitari. Si tratta di uno strumento di intervento estrema. mente duttile, rapido ed articolato al quale può attingere chi è « competente in base al riparto di competenze realizzato all'interno degli Stati membri. Da noi, le Regioni. La Comunità dunque non intende sostituirsi ad alcun ente interno che svolga attività nel campo suddetto, n6 tantomeno alle Regioni. Lo Stato italiano, essendo l'istruzione arti. giana e professionale materia di competenza costituzionale delle Regioni, deve farsi rispettoso, nei confronti delle Regio'ni, delle articolazioni che lo stesso diritto comunitario configura in ordine a tale istituto. Per il ((fondo di sviluppo D il discorso che può farsi i: analogo. I documenti elaborati dalla Commissione aprono notevoli spazi alla diretta collaborazione dclle Regioni e delle autonomie locali. 11 « fondo » infatti è diretto a finanziare progetti, per alcuni dei quali è sicuro che le relative predisposizioni ed attuazione rientrano nelle competenze costituzionali delle Regioni. C'è cioè una vasta attività programmatoria interna di base, prevista dai progetti di regolamento, che non si vede come possa essere posta in essere senza l'azione delle Regioni, se si rispettare, ad un tempo, llimpostazione comuni. taria della disciplina di cui trattasi e il ruolo costituzionale delle Regioni, nel riparto interno delle competenze. (( )) 5. - E veniamo all'agricoltura - materia di squisita competenza legislativa e amministrativa regionale per gli artt. 117 e 118 Cost. -, e che è anche il settore in cui l'azione comunitaria, anche per l'eccezionale sviluppo da essa assunto, si presenta come più organica e penetrante. E' sufficiente precisare che, in tema di politica comunitaria dei r17ercati agricoli, di norma è la CEE a decidere nel dettaglio con lo strumento regolamentare, ragion per cui resta ben poco da fare a livello nazionale, salvo che eseguire materialmente i regolamenti comunitari. Invece, in tema di politica comunitaria delle strutture agricole - e cioè nell'ambito della problematica che assai più da vicino interessa le Regioni - la Comunità si è orientata per la « decentralizzazione D, ed ha di norma prescelto infatti come strumento per condurre avanti la sua politica, non il regolamento, ma la direttii~a.La Comunità, cioè, costituzionalmente garantita, in organo budelinisce i principi e gli obiettivi da raggiungere, ma lascia alle competenti istanze rocratico di decentramento amministrativo dello Stato, in ufficio amministrativo perinazionali il compito cli sviluppare quei principi, di raggiungere quegli obiettivi con una ferico del Ministero dell'Agricoltura. Tutto quanto doveva farsi è stato fatto c attività legislativa articolata e di dettaglio, cui sono concessi margini d'azione abba- si sta facendo perché, in sede parlamentare stanza ampi. L'intento è di rilasciare tali e di Governo, si reagisca contro la presente margini d'azione proprio perché si possa iniziativa di legge. Avallarla significa avallare tener conto delle peculiarità locali, delle i tentativi di recupero da parte degli organi diversificazioni emergenti nelle esigenze procentrali dello Stato delle funzioni che la Costituzione ha voluto affidare alle Regioni. prie delle varie zone agricole, delle varie culture, e così via. Ecco allora che le Regioni, Avallarla significa sconfessare nei fatti ancora una volta e centralmente, vengono quella impostazione di rilancio regionalista fuori nella loro qualità tipica di enti espo- che ha caratterizzato l'attuale Governo fin nenziali di interessi localmente delimitati, dalle dichiarazioni di investitura del Presienti perciò di gran lunga più idonei a svol- dente on. Rumor e che le Regioni tutte hanno gere un'azione aderente a questi interessi. sostenuto in questi mesi, non sempre facili, In sostanza la CEE studia le sue direttive in aiutando più volte il Governo a superare materia di strutture agricole lasciando ampi scogli infidi a cominciare dalla correzione del bilancio di previsione dello Stato 1974 spazi all'azione nazionale; essa stessa vuole colmati tali spazi mediante un'azione arti- per finire al « gentlemen agreement » sulla colata e duttile, conscia delle peculiarietà e aspra vertenza nazionale dei sindacati dei delle diversità degli interessi locali. Le Re- lavoratori delle autolinee. gioni, create proprio per simili scopi, si I1 disegno di legge sulle direttive comupresentano, secondo l'assetto interno, come nitarie in agricoltura - ereditato dal pregli Enti idonei a realizzare tali finalità co- cedente Governo - va riveduto profondamunitarie. Soltanto facendo violenza al det- mente. Esso si fonda su un principio errato tato costituzionale si potrebbero espropriare e cioè che l'attuazione del diritto comunile Regioni dalle competenze per esse discen- tario sarebbe una autonoma materia riserdenti dalle direttive comunitarie in agricol- vata allo Stato. NO! Si tratta invece di un tura. Se ciò si facesse, quando ciò si facesse compito spettante a chi (Stato o Regione), si riuscirebbe anche a contrastare e snaturare secondo il riparto costituzionale, è compe1, stesse previsioni della comunità. tente in rapporto alla specifica materia su cui il diritto comunitario incide. 6. - Eppure è ~ r o ~ r iino materia di agricoltura che 2 i n atto il tentativo più consi7. - Nella loro azione le Regioni hanno stente di espropriazione, da parte dello Stato, già ottenuto qualche risultato positivo. La delle competenze costituzionalmente previ- Commissione Affari costituzionali della Camera si è pronunciata in senso nettamente ste e garantite per le Regioni. I1 disegno di legge governativo in tema di contrario al disegno di legge governativo ed « Attuazione delle direttive del Consiglio a favo're della salvaguardia di quanto in base delle Communità europee per la riforma del- alla Costituzione spetta alle Regioni. Un conl'agricoltura » (presentato dal Ministro del- sistente schieramento di forze - lo si è visto l'agricoltura on. Natali alla Presidenza della nelle Commissioni parlamentari, lo si è visto Camera dei depuiati il 12 giugno 1973, ed dentro i partiti e, a quanto è dato sapere, attualmente in discussione) appare infatti si è manifestato anche in seno al Governo gravemente ed irrimediabilmente lesivo delle è su tale linea. Le forze regionaliste si sono autonomie regionali oltre a violare e snatu- fatte anche carico di individuare e affinare rare le premesse stesse del diritto comunistrumenti politici e giuridici per garantire allo Stato il rispetto degli obblighi internatario in materia. Questo disegno di legge, pretende di attuare zionali. Avete preoccupazioni? Che le Regioni compiano atti contrari agli impegni interle direttive europee non limitandosi, come nazionali? Che le Regioni restino inattive? dovrebbe, ad una legislazione di principio, ma sviluppando una normativa completa Avete cioè paura dello straripamento e dell'inerzia? Ebbene i rimedi corretti ci sono. fino al dettaglio, nonchC prevedendo per le Regioni competenze esclusivamente delegate C'è - e completo - il sistema repressivo ed analiticamente regolate, da svolgere, sotto del contro~llo per gli atti esorbitanti; per l'inerzia si può pensare ad una normativa la stretta sorveglianza del Ministro dell'agricoltura, al quale si accorda addirittura un di dettaglio di fonte statale per il caso che potere sostitutivo, non solo nei casi di ina- le Regioni non legiferino esse, e un potere dempimento od inerzia delle Regioni, ma sostitutivo del Governo per eventuale carenza anche in caso di divergenti valutazioni ridi attività amministrativa sempre da parte spetto agli obietivi da conseguire ». Dobdelle Regioni. E comunque non saranno certo biamo dire, purtroppo, che questo disegno le Regioni - il cui spirito costruttivo è già di legge è eversivo dell'assetto costituzionale stato dimostrato ampiamente in questi anni in ordine al riparto di competenze tra Stato di costituente regionale - a contrastare l'ule Regione. Con esso si cancella una parte teriore messa a punto di strumenti per dell'art. 117 Cost. nel senso che è tutta la garantire i principi dell'unità dello Stato. Ma quello che non si può accettare è il materia ((agricoltura » ad essere eliminata dal novero delle competenze regionali. E', principio che le Regioni sono impossibilitate infatti, difficilissimo immaginare interventi « a priori » ad agire in materia di attuazione di norme comunitarie. Chi solleva quein materia di agricoltura che non rientrino tra quelli regolati dalle direttive comunitarie, s t o principio evoca due pilastri costituzionali ed in conseguenza dal disegno di legge in (l'unità e la indivisibilità della Repubblica questione. e l'autonomia) e pretende che uno prevarichi Si può dire che, se il disegno di legge sull'altro, mentre invecc vanno contemperati andasse in porto, la Regione, con riguardo a e possono essere contemperati. Ma, nonomaterie tutte rientranti nelle sue funzioni stante la chiara pronuncia della Commissione si troverebbe trasformata, da ente con sfera Affari Costituzionali, siamo ancora lontani d'autonomia legislativa ed amministrativa d a una corretta conclusione di questa para- 5 COMUNI D'EUROPA febbraio 1974 - p p - digmatica vicenda. Le resistenze in sede governativa e in sede politica sono ancora notevoli e la battaglia perché sia resa giustizia allc Rcgioni e alllEuropa non si può dire, purtroppo, ancora vinta. Questa sede è un'occasione ancora per richiamare l'attenzione di tutti su questa battaglia, che è battaglia per il decollo delle Regioni con ciò che questo significa per la costruzione dello Stato regionale, per il rispetto e l'attuazione della Costituzione, per il miglior funzionamento degli strumenti comunitari e la costruzione, quindi, delllEuropa in cui crediamo. 8. - Qualcosa ora, brevemente, sulle vicende delle leggi regionali in quanto attuative di direttive comunitarie. E' nota l'interpretazione restrittiva che il Governo centrale è venuto via via dando al precetto enunciato dall'art. 93 del Trattato di Roma. Questa interpretaziane rischia di rendere aleatoria la legislazione delle Rcgioni nei settori dirimenti già ricordati e, con essa, la politica degli impegni finan~iari regionali, vista anche sotto la minaccia dei residui passivi. Accade che Commissariati di Governo, in presenza di leggi regionali che a loro giudizio possono riguardare il Trattato di Roma, non inoltrano queste leggi all'esame della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma al Ministero dcgli Affari Esteri, perché veda cosa c'è da fare con la Comunità Europea. I1 contenzioso diplomatico del Ministero degli Esteri - in un'Italia, che fra gli Stati membri, è sempre stata la più inadempiente rispetto ai precetti comunitari diventa fiscalissimo con le Regioni. Bisogna correggere questa prassi e ricorrere alla « procedura d'urgenza », che implica un esame contenuto e in periodi di tempo r a g i e nevoli. La prassi instaurata dalle autorità centrali italiane può essere in qualche modo superata, senza dilatare i poteri discrezionali del Governo. Certo, mancano i regolamenti di cui all'art. 94 del Trattato ed è probabile che dobbiamo concentrare qui la nostra forza d'urto. Ma già oggi sembra di poter dire che le prescrizioni dell'art. 93 suggeriscono una strada: quella di stabilire una collaborazio'ne informale e amichevole tra gli organi comunitari e gli organi nazionali investiti di potere legislativo, tra cui appunto l'Ente Regione. Secondo le fonti comunitarie, infatti, il controllo da parte della Comunità ha espressamente per oggetto C provvedimenti ancora allo stato di proposta e mai provvedimenti già perfezionati ». Questo meccanismo deve avere una sua logica ed essa va ritrovata, appunto, nella collaborazione preventiva » tra organo di controllo comunitario e organo investito del potere di normazione. Ma qui si innestano due problemi: q u e l l o della revoca di alcune stupefacenti disposizioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri e quello del « c o m e e del d o v e si curano e si stabiliscono i rapporti di « collaborazione preventiva » fra Comunità e Regioni. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, con circolare del 27 gennaio 1972, ebbe niodo di scrivere: « Talune Regioni, in più occasioni e specialmente in sede di studio cd elaborazione di provvedimenti legislativi ... assumono diretti contatti - anche in via ufficiosa - con i Servizi della Commissione )) . della Comunità Europea ... il Ministero degli Esteri segnala che l'instaurazione di una prassi del genere potrebbe dare origine ad inconvenienti di varia natura e costituire serio giudizio ... Non si possono che condividcrc lc preoccupazioni manifestate, concordando nella necessità che venga in avvenire evitato il ripetersi di tale irrcgolare ed anormale procedimento ». Tale disposizione non è corretta e non può essere accettata. Essa va revocata e sostituita con altra che sia corrispondente alla giusta interpretazione delle norme costituzionali e alla impostazione diversa che il n u w o Presidente del Consiglio ha dichiarato di voler dare a tutta la problematica regionale. In proposito va affermato che, quando le norme comunitarie ed in questo caso lo stesso Trattato di Roma parlano di « Stato » bisogna intendere non soltanto lo « Statoapparato » o lo « Statepersona » ma anche lo a Stato-ordinamento » nel senso che la definizione dei poteri pubblici è rinviata alle scelte costituzionali interne ai vari sistemi e, in questa visioiie del diritto internazionale comunitario, le Regioni, in quanto soggetti investiti di potestà normativa, ben possono instaurare rapporti diretti con le autorità comunitarie, in particolare al fine del controllo comunitario delle proprie leggi quando esso è previsto. Ecco che, allora, non solo l'attuazione degli atti comunitari è di spettanza regionale nei casi e con i limiti visti, ma, quando tale attuazione si realizza nella forma delle leggi regionali, si configura uno spazio per rapporti diretti Regioni-CEE, quanto al controllo comunitario su tali leggi, nelle forme « collaborative e preventive » di cui alle norme comunitarie stesse. Resta il « c o m e » e il « d o v e si saldano questi rapporti. Se ne parla ormai da molti mesi e le Regioni manifestano una comprensibile prudenza a definire una linea di comportamento al riguardo. C'è sempre - tutto sommato - quella circolare della Presidenza dcl Consiglio e c'è senipre la )) - -. - vigilanza non permissiva dei Commissariati di Governo sulle c.d. attività internazionali delle Regioni (sulle quali, ora, mi soffermerò un momento, in conclusione)! Ma credo che possiamo dire che, se siamo convinti di interpretare correttamente la Costituzione e la legislazione comunitaria vigente, t: giunta l'ora che le Regioni compiano qualche atto risolutivo in questa qzterelle. Se la nostra patria è l'Europa, Bruxelles non è niente di più e niente di meno che Roma; e come a Roma - capitale della Repubblica - abbiamo stabilito punti e momenti di presenza regionale per svolgere compiutamente le nostre funzioni costituzionali altrettanto è venuto il momento di fare dove sta la capitale d'Europa. 10. Infine un cenno al tema della c.d. regionale di rilevanza internazionale ». Le circolari governative non sono mai mancate su questo punto. I1 più recente ritorno su di esso è la circolare n. 200 del 28 maggio 1973 della Presidenza del Consiglio dei Ministri. I termini del problema sono noti. 11 Governo si dichiara l'unica istanza dcll'ordinamento abilitata a parlare all'estero, ad avere rapporti, a prendere iniziative. Alle Rcgioni rimane escluso ogni contatto nelle sedi internazionali c comunitarie « anche in via ufficiosa D. Da parte delle Regioni sì sostiene correttamente che una cosa è impcgnarc lo Stato all'estero con trattative e svolgere tutta l'attività di « trattazione » relativa agli accordi internazionali, spendere cioè il c.d. «potere estero » che è il potere di rappresentare e difendere nelle sedi internazionali gli interessi nazionali - di assoluta, indiscussa spettanza del Governo -, ed altra cosa è svolgere, in materie di propria competenza, attività che hanno un mero rilievo o K respiro » internazionale, un'attività « meramentte lecita », come viene detto. Appare assurdo che si contrasti alle Regioni ciò che è riconosciuto a Province, Comuni, Enti pubblici e privati (si pensi ai gemellaggi degli enti locali), Pino a negare - « attività )) un settore della sala, mentre parla Lagorio . febbraio 1974 COMUNI D'EUROPA alle Regioni - come è accaduto - il finanziamento necessario per partecipare a convegni di studio all'estero su materie di competenza regionale. Anche su questo punto, naturalmente, le Regioni sono pronte ad un franco discorso, desiderose di individuare una soluzione, ineccepibile sul piano costituzionale, tale da sottrarre però i rapporti tra Governo e Regioni alla angustia delle circolari riduttive o ultimative, e capace, invece, di favorire la costruzione di una Pubblica Amministrazione nuova, nello spirito del dettato costituzionale. 11. - Per concludere, con la nascita delle Regioni, il tradizionale quadro istituzionale italiano è e deve risultare profondamente mutato. Allo Stato centralizzato si è sostituita, e comunque deve sostituirsi, la Repub- Nuovi Poteri locali aderenti al1'AICCE Regioni Pop. Abruzzo 1.166.694 Marche 1.359.907 Comuni: Contarina (RQ) Gaglione (MC) Ginosa (TA) S. Felice Circeo (LT) San Salvo (CH) 7.628 661 17.373 6.547 7.502 Selargius (CA) 12.110 Sestino (AR) Spinoso (PZ) Ventotene (LT) 1.887 1.827 508 blica regionale e autonomistica. I1 nuovo assetto statuale, che tanto fatica a consolidarsi e a dare i suoi frutti, trova in una corretta definizione dei rapporti CEE-StatoRegioni, uno dei momenti essenziali e di maggiore impegno costruttivo. Ma proprio l'esame dello stato di questi rapporti mette in luce che ogni volta che ci sono stati dei « baiichi dz protJu » pcr dimostrare tre cose: la disponibilità della Comunità Europea ad avvalersi di questo potente fatto innovativo che sono le Regioni, la capacità dell'Amministrazione Centrale italiana di sostenerlo e spingerlo innanzi, la prontezza delle Regioni a comportarsi come un livello di autentico potere politico in Italia, non si t: marciato come si sarebbe dovuto. La N tendenza riduttiva », che caratterizza l'Amministrazione Centrale nei suoi rapporti con le Regioni, è dura a morire, non cede il passo, e gli uomini politici di Governo che pure sono espressione di partiti regionalisti non sempre - diciamolo francamente! - si muovono bene per disperdere le resistenze e le renitenze antiregionaliste che si trovano di fronte. Anche la materia comunitaria spinge a fo'rmulare la preoccupazione che le Regioni, nate in un singolarissimo momento politico di forte spinta democratica del Paese, siano state poi costrette ad una logorante e troppo lunga guerra di trincea. Da qui la necessità di ottenere rapidamente qualche risultato positivo, qualitativamente importante perché si possa avere e accelerare una inversione di tendenza. La carta dei rapporti con l'Europa può essere la carta giusta da giocare per un rilancio delle Regioni. Certo - m a non sta a me parlarne stamani in questa sede - neanche l'Europa sta bene. Non penso tanto alla sua presenza e al suo ruolo nella grande crisi di quest'autunno, che pure è stata una grande cartina di tomrnasole. Penso di più alla lentezza e alla stanchezza con la quale si adempie agli impegni assunti appena un anno fa in un Vertice solenne da tutti i Capi dell'Europa. Penso di più a certi recenti capitoli di quella storia che è stata chiamata il «processo di emarginazione » dell'Italia dalllEuropa. Non si tratta di esprimere amarezze di tipo diplomatico. Un'Europa diplomatica esprime un'immagine di sé che non conquista nessuno. I1 problema è di dediplomatizzare al massimo quello che c'è, di inserire una spinta popolare nelle politiche europee. Ci sono proposte politiche precise che vengono avanti nel nostro paese, proprio in questa direzione: dalla revisione del Trattato ai più ampi poteri del Parlamento. A me sembra che le Regioni - proprio per la maggiore freschezza e immaginazione che contraddistinguono la loro classe politica dirigente, proprio per il legame non casuale e non episodico che le Regioni hanno stabilito con due potenti realtà della vita nazionale (il movimento delle Autonomie locali e il movimento sindacale) - possono essere uno strumento di avvicinamento dell'Europa-istituzione ai popoli europei. Ma allora dobbiamo tutti contribuire di più perché si stabiliscano rapporti prolfondi fra la CEE e le Regioni. Siamo pessimisti? Siamo ottimisti? Meglio dire che vogliamo essere realisti. I1 buon diritto è dalla parte delle Regioni: esso nasce dallo spirito del diritto comunitario; dal dettato costituzionale che esalta - nell'unità della Repubblica tutte le forme e i punti di autonomia della nostra vita nazionale; nasce dalla assoluta, costante fedeltà delle Regioni a questa unità della Repubblica. Una linea politica giusta sorregge l'azione delle Regioni. Questa linea parte da due convincimenti: dal convincimento che la strada del rafforzamento e dell'ammodernamento dello Stato passa attraverso l'affermazione piena del ruolo delle Regioni e delle autonomie locali; e dal convincimento che la proposta che le Regioni fanno di essere interlocutori integrati dellJEuropa può contribuire ad aiutare l'Europa nei momenti difficili che attraversa. Questa è la realtà. Ecco perché preferiamo ancorarci ad essa, piuttosto che indagare sui nostri sentimenti più privati, sul pessimismo o sull'ottimismo dei nostri pensieri. Abbiamo fatto quel che dovevamo, continueremo a farlo. Abbiamo preparato ciò che doveva essere preparato. Ora avvenga quel che può. - l'intervento di Martini Martini, prendendo la parola subito dopo la relazione Lagorio, lo ha ringraziato per il contributo dato ai lavori del Coiisiglio Nazionale nella sua qualità d i « operatore politico » in grado d i richiamare ad esperienze e di esprimere valutazioni tratte dalla concreta attività d i ogni giorno. La relazione Lagorio - ha ricordato Martini - si inserisce puntualmente i n rin discorso coerente che I'AICCE sta si~ilitppando da anni (") e del quale è stato riassr~tzto l'« iter » essenziale, per cotizodità dei rizerizbri del Consiglio Nazionale, in u n o schenzatico docziii7eiito collocato nella cartella di lavoro. Ciò iioii rispoiide a preoccupazioni di « filologia politica » m a è u n mezzo per verificare oggi la bontà di certe intuizioni ed indicazioni del passato, e quindi la coerenza di una azione politica. La volontà dell'AICCE di a f f e r rizare itn ruolo europeo, e n o n solo nazionale, delle Regioni, emerse chiaramente f i n dal l o Congresso nazionale dell'Associazione, tenutosi a Forlì nel 1955: la relazione f u tenuta dal prof. Mortati, u n o dei nostri « consulenti » più stimati per la stia competenza giuridica e la sua carica politica. Nel 1960, agli Stati generali di Cannes del CCE, il prof. Ambrosini, allora m e m b r o della Corte Costituzionale, delineava nella sua relazione generale il significato dello « Stato regionale » italiano nella prospettiva dell'integrazione europea. Oggi quelle intuizioni e qitegli orientamenti vanno calati nella realtb regionale finalmente esistente. Questa battaglia delllAICCE in favore del regioiuzlisrno ha due aspetti complementari. Da itn lato la difesa, senza cedimenti - corize ci è stato giustamente ricordato nella relazione Lagorio -, delle prerogative costituzionali regionali nel contesto dell'equilibrio dei poteri del nostro ordinamento interno. Dall'altro, la presenza delle Regioni sul piano europeo e il consegzfente dialogo tra esse e le Istituzioni comunitarie. Le circolari del potere centrule che espriinon o u n o sforzo riduttivo di questo dialogo ( p e r la verità l'attuale Ministero per l'ordinamento regionale dimostra una maggiore apertura per questi problemi) sono rizanifestazioni di una battaglia di retrogitardia. La necessità di contatti, consultazioni, scatnbi di iiiforniazioni tra Regioni e Comunità europea è orniai iiella realtà delle cose i n attesa che qzfeste esperienze confluiscano finalmente in qzfell'obiettivo politico che I'AICCE ( e il CCE) non cessano di evocare: la creazione di u n organismo ad hoc nel quadro comunitario di rappresentanza e consultazione delle Regioni. Nel frattempo l'Ufficio di collegarizento con le Conzunità che il CCE (tratizite atzclze l'apporto determinante della Sezione italiana) ha creato a Bruxelles potrà costituire u n indispensabile punto di riferim e n t o di questo dialogo tra Enti territoriali e Istituzioni europee. Questo dialogo - ha prosegziito Martini hu due aspetti: politico-istitzf7io1zalc e funzionale. Tralasciando qui il priino aspetto, sul quale abbiamo tante volte insistito e che costituisce lo stesso presupposto del secondo aspetto, va ricordato l'interesse degli enti regionali e locali ad urz pii1 terripestivo, am(") V. in proposito il fondamentale volume La Regione italiana nella Comunità europea » - opera collegiale di amministratori locali e di studiosi - edito dall'AICCE nel 1971. « febbraio 1974 pio e intelligente utilizzo di alcune possibilità finanziarie offerte dalla Comunità. Parallelamente a questo dialogo diretto Regioni-Comiiiiità, I'AICCE intende farsi proinotrice di una iniziatiija legislatiiu delle Regioni ( a sensi dell'art. 117 della Costitmzione) per porre su u n binario politicamente corretto e giziridicanlente garantito la partecipazione delle Regioni alle attività dei poteri centrali dello Stato (Parlamento e Governo) ogniqmalvolta si affrontano problemi della Comunità clze toccano però materie di coinpetenza regionale. Per questo I'AICCE è grata al prof. Sergio Carbone, dell'Università di Genova, di aver accettato il nostro invito a prendere la parola in questo Consiglio Nazionale, per fornirci più preci- COMUNI D'EUROPA si elementi pei- I'impostazione di questa azione. Concludendo, Martini ha sottolineato il ruolo originale delllAICCE fondato da u n lato sulla riforma istituzionale dello Stato i n senso autonomistico e, dall'altro, sulla partecipazione attiva degli Enti territoriali al processo di integrazione europea. Legando tra loro i due discorsi- compito clie nessun altro organismo svolge in Italia - 1'AICCE dà u n contributo essenziale all'inseriinento della nostra democrazia in una più ampia e moderna democrazia europea: al conseguimento di questo obiettivo non deve mancare il necessario supporto degli Enti territoriali, comrinali provinciali e regionali del nostro Paese. '' Affari comunitari ", compete:nze dello Stato e partecipazione regionale di Sergio Carbone 1. - A distanza di due anni dall'istituzione e dal funzionamento degli enti regionali a statuto ordinario è ancora molto difficile definire con precisione lo spazio politico loro riservato nell'ambito del nostro sistema costituzionale. Trovare la dimensione esatta in cui inquadrare i problemi relativi al funzionamento degli enti regionali è, infatti, ancora oggi compito assai arduo anche se precise tendenze in senso riduttivo delle au. tonomie regionali si vanno progressivamente affermando. Esempio molto significativo dell'evoluzione riduttiva ora accennata riguarda proprio la progressiva sottrazione alle competenze regionali di tutti quegli aspetti delle materie loro a f f i d a t e ex art. 117 Cost. che sono in qualche modo riconducibili ad una disciplina dettata ed elaborata nell'ambito dell'ordinamento internazionale ed in particolare nell'ambito dell'ordinamento comunitario. Limitiamoci a quest'ultimo aspetto, particolarmente rilevante sia per l'articolata proiezione della normativa comunitaria già in vigore in materia di competenza regionale (ad esempio, nel settore dell'agricoltura e dei trasporti) sia per il progressivo sviluppo dell'azione CEE attraverso una sempre più ampia e frequente utilizzazione della norma in bianco prevista dall'art. 235 Trattato di Roma (ad esempio, a proposito della politica regionale e della protezione dell'ambientel. Ed è sufficiente ricordare, a questo proposito, quanto è stato previsto nei decreti di trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni, quanto è stato deciso dalla Corte Costituzionale (specialmente in occasione della famosa sentenza n. 142 del 24 luglio 1972) e quanto è stato proposto da parte governativa in occasione della presentazione al Parlamento nazionale del progetto di legge relativo all'attuazione ed alla integrazione normativa nel nostro ordinamento delle direttive comunitarie n. 159, 160 e 161 del 17 aprile 1972. Come è noto, infatti, in tali occasioni si è sempre ribadito che, sia l'esigenza del rispetto degli obblighi internazionali ed in particolare degli impegni comunitari, sia l'esigenza di una rappresentazione unitaria verso l'esterno di tutti gli interessi della comunità nazionale, rappresentano un limite preclusivo dell'esercizio di ogni competenza regionale in proposito: così si affida agli organi centrali del nostro ordinamento non solo il compito di essere gli unici interlocutori della Comunità, m a anche l'esclusiva responsabilità delle scelte italiane in sede comunitaria oltrecl-ié della loro attuazione nel nostro ordinamento. Questa conclusione, è ben vero, sembra trovare il suo fondamento giuridico sia nella mancanza di un potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni in caso di loro inattività sia nella connessione inscindibile tra il momento di assunzione dell'impegno comunitario ed il momento della sua attuazione, ma non è certamente coerente con le legittime aspettative delle Regioni a godere di quello spazio politico loro riservato dalla stessa disciplina costituzionale. Né il solo mezzo della c.d. delegazione dei poteri dallo Stato alle Regioni, secondo le indicazioni che emergono dalla stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale e dalla relazione alla proposta governativa di attuazione delle direttive comunitarie in tema di agricoltura, può consentire una reale soddisfazione di tali esigenze. I n realtà, se si vuole rispettare il riconoscimento costituzionale del valore delle comunità intermedie si deve, quanto meno, ammettere che non è possibile una completa estromissione delle Regioni sia dalla elaborazione sia dall'attuazione delle più importanti scelte relative ad interi settori di materie loro affidate ex art. 117 Cost. sulla base del troppo semplice rilievo che tali scelte riguardano gli « affari esteri » e, pertanto, devono appartenere esclusivamente allo Stato. Invero, come d'altronde l-ia riconosciuto la stessa Commissione parlamentare per le questioni regionali, il sistema costituzionale italiano, proprio perché costruito secondo un modello pluralista che riconosce a più centri di iniziativa, di controllo e di forttzazione del consenso la N partecipazione » alle decisioni politiclie, deve favorire l'inserimento delle Regioni nel procedimento di formazione e di attuazione delle scelte di politica comunitaria relative a materie di loro competenza anche se spetta, poi, allo Stato presentarle all'estcrno e garantirne l'attuazione all'interno del nostro ordinamento, dopo la loro approvazione a livello comunitario. L'inserimento e la partecipazione regionale alle scelte politiche statali da far valere a livello comunitario e/o in attuazione di impegni assunti in tale sede sembra, d'altro canto, quanto meno auspicabile anche sotto il profilo della coerenza interna dello stesso ordinamento comunitario. Infatti, procedure nazionali sempre più sensibili ad una maggiore partecipazione e ad un maggior controllo delle scelte politiche da far valere in sede europea non solo consentirebbero, in attesa di una migliore distribuzione delle competenze (e di una migliore organizzazione) degli organi comunitari, un certo recupero di credibilità democratica alle decisioni concordate nell'ambito del Consiglio dei Ministri CEE, ma garantirebbero sia un coefficiente minimo di spontaneità di osservanza alle norme comunitarie (ed alle norme interne disposte pcr la loro eventuale integrazione) sia una più capillare raccolta delle istanze locali interessate a molte materie di competenza comunitaria. Tanto più che l'esigenza di favorire le preventive consultazioni (e di ottenere il consenso) dei vari centri di interesse e di decisione po'litica coinvolti nell'azione di organismi internazionali da parte delle varie delegazioni nazionali è stata da più parti sollecitata, anche nell'ambito di organizzazioni che ricalcano gli schemi classici della cooperazione internazionale (senza preoccuparsi di realizzare una sempre maggiore integrazione dei sistemi dei vari Stati membri), proprio al fine di garantirne il miglior andamento ed il più corretto funzionamento. 2. - Sotto il profilo da ultimo indicato, e cioè sotto il profilo della garanzia di una efficace azione comunitaria del nostro governo (coerente ai reali interessi della comunità nazionale e risuondente alla necessità dei relativi adempimenti) è opportuno precisare che quanto abbiamo osservato non intende per nulla porre in discussione la titolarità ( e la correlativa assunzione di responsabilità) da parte degli organi statali delle competenze normative alla determinazione dell'atteggiamento del nostro paese in sede comunitaria. Si tratta, invece, molto più semplicemente, di riseri>are uno spazio politico alle Regioni nella elaborazione di tali scelte. I n altri termini, è ben vero che sul piano internazionale lo Stato (nel senso di Stato centrale c/o Stato unitariamente considerato) compare quale unico portatore di interessi e di situazioni giuridiche soggettive che si riferiscono a tutta la comunità internazionale essendo a d esso soltanto conferiti i poteri a tal fine necessari. Ed è anche vero che questa situazione è, almeno in grande misura, ancora rispondente al concreto funzionamento dei principali organi dell'esecutivo comunitario. Ma è altrettanto vero che il riconoscimento agli organi centrali dello Stato italiano dei poteri esclusivi nella determinazione degli atteggiamenti del nostro paese in sede comunitaria non esclude che le Regioni debbano influire in modo assai vario sugli indirizzi che i rappresentanti del governo devono far valere nelle riunioni in cui si discutono problemi particolarmente importanti per lo sviluppo di alcune regioni o materie di esclusiva o concorrente competenza degli organi regionali. Anzi, a questo proposito, non sembra possibile disconoscere che alcune scelte degli obiettivi da perseguire (oltreché la determinazione dei mezzi per tutelare gli interessi italiani) in sede comunitaria dovranno essere particolarmente sensibili alle posizioni evidenziate dalle varie Regioni. I1 che, tra l'altro, sembra confer- COMUNI D'EUROPA ternazionale (ed in particolare in materia comunitaria) non solo è coerente, ma risponde perfettamente ai principi del nostro sistema costituzionale consentendo di giungere in forma semplice e piana a d importanti risultati. Peraltro, l'esperienza vissuta dal nostro sistema, anche in settori diversi da quello in esame, sconsiglia l'adozione del ~rzodello partecipativo ora accennato che lascia, praticamente, ogni potere decisionale sulla opportunità, sui tempi e sul valore della consultazione regionale a quegli stessi organi statali che dovrebbero essere da tale parere influenzati nelle decisioni relative alla politica comunitaria. E la stessa attuazione pratica dell'art. 54 dello Statuto sardo ( e delle altre norme di analogo contenuto che pur prevedono espressamente la preventiva consultazione e la partecipazione regionale a proposito della elaborazione delle decisioni di politica internazionale rilevanti per gli interessi regionali) rende evidente l'inefficacia di strumenti di questo tipo. Più valida appare, pertanto, la ricerca di una soluzione del problema in esame attraverso la formazione di organi consultivi e deliberativi cui partecipino le rappresentanze di tutte le Regioni e gli stessi organi governativi volta a volta interessati alle scelte di politica comunitaria in discussione. Infatti, a favore di questa soluzione si era già espressa la Commissione parlamentare per le questioni regionali che ritenne, all'unanimita, « che, con separati provvedimenti, occorre (sse) assicurare alle Regioni, i cui poteri nelle materie di loro competenza vengono limitati dalle decisioni comunitarie ..., la possibilità di partecipare a d organismi consultivi in cui si formi la volontà politica che deve essere espressa dal Governo in rappresentanza di tutti gli interessi nazionali ». D'altronde, questo modo di realizzare la partecipazione regionale al funzionamento di organi centrali dello Stato non solo appare coerente a modelli costituzionali adottati in altri ordinamenti pure partecipi dell'esperienza comunitaria, m a non è neppure una novità assoluta per il nostro ordinamento. Basti pensare, infatti, per un verso, alla esperienza vissuta di recente dall'ordinamento della Germania federale e, per alt r o verso, a quanto prevede l'art. 9 della L. 27 febbraio 1967, n. 48 (il quale dispone l'istituzione di una commissione interregionale per la discussione del programma economico nazionale) oppure alla disciplina 3. - I n particolare, per quanto riguarda dell'art. 28 L. 12 febbraio 1968, n. 132 (in la detcrminazione delle forme e dei modi cui si regola la composizione ed il funzionaattraverso i quali le Regioni possono operare mento del Comitato nazionale per la pronel senso indicato nei paragrafi precedenti grammazione ospedaliera cui partecipano, a proposito dell'elaborazione delle scelte del come è noto, tutti gli assessori regionali nostro paese da far valere in sede comunidella sanità). Si tratterà, quindi, di corregtaria, si potrebbe pensare all'obbligo da parte gere le carenze rilevate in occasione del fundegli organi statali, prcposti alla rappresen- zionamento di questi strumenti partecipativi tanza delle istanze nazionali, di acquisire regionali e/o di adeguarli alle particolari preventivamente una esatta conoscenza delle esigenze e caratteristiche del funzionamento concrete necessità ed aspettative delle Re- del modello comunitario. Ma non si tratterà gioni attraverso la richicsta di un parere di sperimentare istituti del tutto ignoti al non vincolante. Tale soluzione è senz'altro nostro sistema e privi di un collaudo favoconforme a d una prassi che si sta, sia pure revole in altri ordinamenti giuridici proprio stentatamente, affermando e che trova nel- con riguardo alla specifica esperienza comul'art. 52 dello Statuto sardo, e di qualche nitaria. altra Regione a statuto speciale, il più siA questo proposito, anzitutto, proprio a gnificativo riscontro normativo. E, forse per causa della eterogeneità delle materie di questo motivo, essa ha incontrato un certo competenza comunitaria, la Commissione infavore anche in una parte della dottrina la terregionale ora accennata dovrebbe essere quale non ha esitato ad affermare che questa costituita presso la Presidenza del Consiglio forma di partecipazione delle Regioni alle decisioni politiche dello Stato in materia in- dei Ministri e dovrebbe essere composta dai mato da quanto si è di recente osservato in sede governativa proprio da parte dello stesso ministro dell'agricoltura il quale non ha esitato a d affermare che lo Stato è ( e deve essere) il punto centrale di riferimento per ciò che concerne la politica comunitaria. Infatti, se lo Stato-ente devc intendersi come ccntro di riferimento degli interessi nazionali per le politiche comunitarie è evidente che esso potrà funzionare come tale solamente in quanto ad esso facciano riferimento effettivo tutti gli altri enti che nell'ambito dell'ordinamento interno sono responsabili dei relativi settori sottoposti alla disciplina comunitaria e, quindi, in modo particolare, gli enti regionali. Ma una volta affermata l'importanza che in uno Stato pluralista la scelta ed il perseguimento dei fini (anche relativi alla politica internazionale ed in particolare alla politica comunitaria) non siano unilateralmente imposti dallo Stato-ente, ma derivino dal concorso e dal contributo (se pur in forme e con valori diversi) di tutti i soggetti e di tutti gli enti che operano nell'ordinamento (ed in particolare delle regioni in quanto centri di partccipazione e di promozione delle attività degli organi statali), è opportuno precisare meglio i modi attraverso i quali un tale risultato può essere raggiunto quanto meno con riguardo alle regioni. Si tratta, così, in questa prospettiva, di individuare gli strumenti attraverso i quali l'csercizio dei poteri centrali dello Stato deve essere correlato ai poteri regionali sia nelle scelte degli obiettivi da pcrseguire (oltreché nella determinazione dei mezzi per tutelare gli interessi italiani) in sede comunitaria sia nell'attuazione concreta delle scelte in tal modo adottate al fine di renderle operative senza che ciò contraddica l'unitarietà della politica di fini e di obiettivi perseguita in sede comunitaria d a parte dello Stato italiano. Ed a questo proposito, si deve subito ribadire che, in tal modo, le Regioni non possono pretendere di incidere sulla titolarità delle competenze (e sulla conseguente assunzione di responsabilità) degli organi dello Stato preposti a rappresentare in sede comunitaria gli interessi nazionali dovendosi, invece, limitare a condizionarne l'atteggiamento attraverso modalità che consentano di evidenziare le istanze locali e di utilizzare il nuovo canale di partecipazione democratica alle scelte politiche del paese che csse, appunto, rappresentano. febbraio 1974 Presidenti delle Amministrazioni regionali e dai Presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano ( o da un assessore da essi delegato, competente sugli argomenti all'ordine del giorno) oltreché dallo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri (o da un suo delegato) e, volta a volta, dal Ministro ( o un suo delegato) titolare del dicastero competente per materia sui problemi in discussione. Per quanto riguarda, poi, l'oggetto delle attribuzioni della Commissione interregionale per la elaborazione delle politiche comunitarie, ad essa dovrebbe spettare in primo luogo, il compito di esprimere il proprio parere sia in relazione alle proposte della Commissione della CEE pubblicate dalla G.U. della CEE (ed in previsione dell'inserimento delle proposte stessc o di determinate materie all'ordine del giorno del Consiglio dei Ministri delle Comunità Europee) sia in relazione ad affari attinenti agli accordi relativi alle Comunità Europee che incidano su materie affidate alla competenza regionale ex art. 117 Cost. I n secondo luogo, sembra opportuno affidare a tale Commissione anche la competenza a prendere in esame gli atti normativi ed amministrativi emanati dal Consiglio dei Ministri delle Comunità Europee al fine di esprimere in un documento il proprio avviso sulle possibilità di conseguenti iniziative da parte del governo e/o del Parlamento. I n terzo luogo la Commissione dovrebbe vagliare la opportunità di rimettere i progetti di legge, approvati dai Consigli regionali, ai competenti organi comunitari per i relativi controlli di conformità previsti dalla normativa comunitaria. E, nell'esercizio di tale funzione, la Commissione dovrebbe essere in grado di impegnare il Ministero degli Affari Esteri a chiedere agli organi comunitari l'adozione di procedure urgenti in riferimento a progetti di legge regionale, preventivamente notificati alla Commissione delle Comunità Europee, che siano stati approvati dai Consigli regionali nel secondo semestre dell'anno al fine di evitare il pericolo di ulteriori residui passivi nelle finanze regionali. Per quanto riguarda, infine, i poteri affidati alla Commissione in esame, essi non devono essere tali, è ben vero, da incidere sulla titolarità delle competenze degli organi statali che fanno parte di ( o sono preposti alle relazioni con) organi co'munitari, ma devono essere, per converso, sufficienti a garantire una reale partecipazione delle regioni alle loro determinazioni. Ed un equilibrio in questo senso potrebbe essere utilmente realizzato vincolando l'azione comunitaria del governo solamente nel caso in cui le direttive emerse in sede di Commissione interregionale abbiano conseguito una certa maggioranza qualificata (ad esempio, la maggioranza dei 213 dei partecipanti ivi compresi i rappresentanti governativi) con facoltà, peraltro, di disattendere comunque tali determinazioni previo voto favorevole del Parlamento o delle Commissioni parlamentari competenti. 4. - Le forme ed i modi ora indicati per la partecipazione regionale all'attività degli organi centrali dello Stato in riferimento alla elaborazione delle c.d. politiche co~nunitarie in materie incidenti sulle competenze regionali può essere realizzato a livello normativo attraverso differenti strumenti legislativi. E cioè, da un lato, attraverso un apposito provvedimento normativo espressa- febbraio 1974 - p ~ ~ ~~p~ inente ciedicato alla determinazione di tale procedura, dall'altro, attraverso l'inserimento di alcune norme rivolte a tal fine nelle stesse leggi-quadro relative alle materie di interesse comunitario se di tali leggiquadro si accoglie una nozione non eccessivamente riduttiva e, pertanto, sufficientemente ampia da comprendere principi procedimentali e/o norme di struttura implicite nel nostro sistema costituzionale anche se non ancora espressamente evidenziate in alcun provvedimento normativo di tipo settoriale. La prima alternativa, peraltro, appare la più semplice e di rapida realizzazione non solo perché garantisce immediatamente risultati omogenei per ogni materia di competenza comunitaria e di interesse regionale, ma anche perché consente una chiara determinazione delle funzioni attribuite alle Regioni nella elaborazione delle politiche comunitarie la cui determinazione spetta, poi, agli organi di governo. Tanto più che la soluzione accennata permette agli stessi organi regionali di fare in proposito concrete proposte operative al Parlamento nazionale. Infatti, anche a voler accogliere la interpretazione più restrittiva dell'art. 121 I1 comma Cost. l'interesse regionale all'approvazione di una legge del tipo indicato appare indubbio. 5. - La Co~mmissione interregioaale indicata nei paragrafi precedenti e la procedura relativa al suo funzionamento potrebbero, inoltre, essere proficuamente utilizzate anche in una differente prospettiva per garantire la presenza regionale in occasione dello svolgimento dell'attività di governo per l'attu~nzione normativa nel nostro ordinamento degli atti comunitari la cui operatività nell'ambito dell'ordinamento nazionale è co'ndizionata ad una ulteriore attività a livello statale. Sotto questo profilo, infatti, il sistema di partecipazione regionale indicato nei paragrafi precedenti consentirebbe di non escludere le Regioni dal procedimento di formazione di quegli atti normativi nazionali che normalmente riproducono e completano il contenuto di atti co'munitari attraverso lo strumento del decreto legislativo. Non si tratta, in questa sede, di discutere il problema di stretto diritto costituzionale relativo alla legittimità dell'adozione di atti normativi di questo tipo ed in particolare del rispetto delle attribuzioni parlamentari e della norma costituzionale che impone la preventiva definizione di « principi e criteri direttivi » nell'esercizio del potere delegato. E non si tratta neppure di discutere l'esattezza dell'affermazione della Corte Castituzionale contenuta nella sentenza n. 142 del 24 luglio 1972 in cui, come è noto, si è affermato che, in difetto di un espresso strumento co~stituzionaleche consenta allo Stato italiano di imporsi, ed eventualmente sostituirsi, all'ordinamento regionale illegittimamente carente nell'adeguamento e nella integrazione dei provvedimenti comunitari, è necessario riconoscere una autonoma competenza statale nell'attuazione normativa dei provvedimenti adottati a livello comunitario. Si tratta, invece, molto più semplicemente, di riaffermare che attività del tipo in esame, allorché comprendano ed in grande misura esauriscano la disciplina di materie contemplate dall'art. 117 Cost., siano svolte senza ignorare la presenza regionale nel nostro ordinamento. Ed a tal fine la tecnica partecipativa indicata nei paragrafi precedenti sembra senz'altro assai congrua consentendo, tra l'altro, una opportuna rivalutazione delle competenze del Parlamento almeno nel caso in cui la soluzione prevalente a livello di Commissione interregionale non concordi con la posizione governativa. Né si può rilevare in senso contrario che una soluzione di questo tipo, accettando realisticamente la soluzione proposta dalla Corte Costituzionale, escluda un minimo di spazio operativo, da più parti esattamente rivendicato, sia nell'ipotesi in cui la legislazione statale di attuazione degli impegni comunitari non sia del tutto coerente con la tutela di alcuni interessi e/o esigenze locali (e queste ultime possano essere facilmente realizzate nel rispetto degli impegni comunitari e dei principi fondamentali ricavabili dal nostro sistema e dalla stessa legislazione statale di attuazione degli impegni comunitari) sia nell'ipotesi in cui la legislazione statale di attuazione degli impegni comunitari manchi del tutto e la Regione intenda adeguarsi autonomamente a questi ultimi nel rispetto dei principi fondamentali del nostro sistema. Infatti, il riconoscimento della necessità della partecipazione regionale all'elaborazione degli atti statali di integrazione normativa dei provvedimenti comunitari non esclude, di per sé, il potere delle Regioni di completare, nei limiti delle loro competenze ed in eventuale difformità dalle determinazioni degli organi statali, gli aspetti normativi delle direttive comunitarie al fine di renderle maggiormente coerenti alle esigenze dei rispettivi ambiti territoriali. Una tale partecipazione, se mai, garantisce solamente che l'esercizio dei « poteri decisivi » affidati allo Stato nell'attuazione degli impegni comunitari per evitare eventuali carenze normative regionali sia regolato in modo da tenere debito conto degli equilibri istituzionali del nostro ordinamento e delle esigenze regionali. 6. - Si intende, così, tra l'altro affermare che, per quanto riguarda l'attuazione nell'ordinamento italiano degli atti comunitari attraverso una loro integrazione normativa, il riconoscimento, effettuato dalla Corte Costituzionale e dalle proposte governative di attuazione delle direttive sull'agricoltura, dei poteri a tal fine necessari agli organi statali non implica che l'esercizio di queste attività sia completamente precluso agli organi regionali. Infatti, l'attribuzione agli organi statali dei poteri necessari per rendere operativi nell'ordinamento italiano gli atti delle Comunità Europee che implicano una ulteriore integrazione normativa può essere giustificato soltanto come momento necessario del nostro sistema costituzionale rivolto ad impedire eventuali inadempimenti internazionali dello Stato e, non già, ad espropriare interi settori di materie affidati alla competenza regionale dall'art. 117 Cost. e cioè, il riconoscimento dei poteri ora accennati agli organi centrali dello Stato può considerarsi coerente al nostro sistema costituzionale soltanto nella prospettiva di garantire la effettività della K supremacy clause dello Stato e degli impegni internazionali sulle competenze e sui poteri regionali in man)) canza di istituti analoghi alla Bundes-execution che prevedano, nell'ambito del nostro ordinamento, il potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle Regioni per eventuali inadempienze e carenze normative (e/o amministrative) di queste ultime. Sotto il profilo indicato, così, non può essere negato agli organi regionali il potere di completare nei limiti delle loro competenze, ed autonomamente dalle determinazioni degli organi centrali dello Stato, gli aspetti normativi delle disposizioni comunitarie al fine di renderle coerenti alle esigenze ed agli interessi locali nei limiti e secondo i principi previsti dall'art. 117 Cost. Pertanto, se esiste una legislazione statale di integrazione normativa degli atti comunitari essa Sergio Carbone costituirà un limite alla legislazione regionale solo nella misura in cui determini ulteriori disposizioni di principio che si affiancano e specificano quelle già direttamente previste nel provvedimento comunitario cui si vuole conferire concreta operatività. E per converso, non costituiranno un limite all'esercizio della legislazione regionale tutte quelle disposizioni di dettaglio eventualmente previste nello stesso atto legislativo statale. Esse, infatti, saranno operative nell'ambito degli ordinamenti regionali solamente sino a quando non provvedano a tal fine i rispettivi organi legislativi o nel caso in cui questi ultimi omettano di provvedere al riguardo. D'altronde, la soluzione in esame appare conforme al nostro sistema anche se analizzato nella particolare prospettiva adottata dalla Corte Costituzionale in occasione della sentenza n. 142 del 24 luglio 1972. Infatti, ogni impostazione che, al contrario, ammettesse, in presenza di un impegno comunitario, la completa espropriazione dei poteri legislativi delle Regioni, più che agevolare, ostacolerebbe l'adempimento degli impegni comunitari e, comunque, favorirebbe il verificarsi di situazioni di completa paralasi in interi settori affidati dalla Costituzione alla competenza regionale. Si pensi, ad esempio, al caso in cui, nonostante l'esistenza di una direttiva comunitaria che richieda per il suo concreto operare una ulteriore integrazione normativa da parte degli organi febbraio 1974 COMUNI D'EUROPA nazionali a tal fine competenti gli organi statali difettino di intervenire legislativamente. In questa ipotesi, che certamente non può considerarsi di scuola se si hanno a mente i frequenti inadempimenti e, comunque, ritardi degli organi statali italiani nella attuazione degli impegni comunitari, le Regioni si troverebbero nell'ingrata posizione di favorire, anchc contro la loro volontà, gli inadempimenti statali sia perché non possono legiferare al riguardo sia perché non possono far valere alcuno strumento giuridico nei confronti della illegittima omissione operata dagli organi statali. I n conclusione, pertanto, da un lato, è opportuno ribadire che venga assicurata una effettiva partecipazione regionale alle scelte governative a proposito della elaborazione e dell'integrazione normativa degli atti comunitari affidandone la disciplina (non già a generiche e casuali richieste di parere secondo la prassi in atto) ma ad una legge ad hoc, eventualnzente d i iniziativa regionale conformemente a quanto previsto dall'articolo 121 Cost., che precisi la procedura di consultazione, l'istituzione di una apposita Commissione interregionale ed i relativi poteri. D'altro lato, è necessario tenere presente che l'attuazione nell'ordinamento italiano di impegni comunitari che esigono una ulteriore fase di integrazione normativa non è, comunque, preclusa agli organi regionali anche se, al fine di impedirc il sorgere di una eventuale responsabilità internazionale, tale attività può essere svolta anche dagli organi statali sia al fine di meglio precisare le esigenze di unitarietà di funzionamento (fissando i principi fondamentali) del nostro sistema sia al fine di consentire la concreta operatività della normativa comunitaria in quelle Regioni che non provvedono autonomamente in tal senso. Appendice bibliografica verno in occasione della elaborazione dei Decreti Note st~ll'esecuzione degli p. 417 ss.; LA PERGOL~, Delegati sul trasferimento delle funzioni alle obblighi internazionali nelle materie di competenza del legislatore regionale, in Gittr. cost., 1960, regioni sia dalla Corte Costituzionale in occasione della nota sentenza 24 luglio 1972, n. 142 p. 1051 ss. spec. p. 1069 ss.; MORT~TI, I limiti (in Foro it., 1972, I, p. 3345). Tra i contributi della legge regioizale, in Jus, 1959, p. 451 ss.; più significativi, orientati in vario senso, cfr. BERKARDINI, Norme internazionali e norme itaConsiderazioni s t ~ l rapporto fra liane statali e regioizali, in Riv. dir. iizt., 1964, DE VERGOTTINI, direttiva comunitaria ed autonomia regionale, in p. 80 ss. spec. p. 100 ss. e SCERNI, Ordinamento Notiziario giuridico regionale dell'unione itzdtlregionale e diritto internazionale, in Annali della L'atFacoltà di giurisprucienza dell'Università di Ge- striale di Torino, 1972, p. 167 ss.; CRISAFULLI tuazione delle regioni di diritto comune e la nova, 1966, p. 263 ss. Corte Costituzionale, in Politica del diritto, 1972, Con specifico riferimento ai problemi relativi p. 665 ss.; ROMAGNOLI, Stato, regioni e norme al colleganlento tra enti locali d'Europa ed alla coinunitarie in materia di strtltture agricole, in loro collaborazione con gli organi comunitari vedi Diritto dell'economia, 1970, p. 517 ss.; ID., La MARTINI, LO svilzlppo eqtlilibrato delle regioni in Europa: condizioni e wiezzi, in Foro amm., 1970, programmazione regionale in agricoltura: limiti di competenza in relazione all'interesse comup. 518 ss.; CARW~KE, Regioni a statuto ordinario e diritto delle Comunità Etlropee, in Giur. it., 1971, nitario, in Riv. dir. agr., 1971, p. 813 ss.; ELIA, IV, p. 178 ss.; ID., Il ruolo delle regioni, cit. Decreto e fttnzioni internazionali. Il trasferimento dell'agricoltura alle regioni, in INEA-ISAP, Agrip. 41 ss.; CONDORELLI, Le regioni a statuto ordinario e la riserva statale in materia di rapporti coltura e regioni, n. 4, p. 35 ss.; A M ~ T Oe BASSAinterizazionali, in Politica del diritto, 1973, p. 223 N I N I , Dibattito sul trasferimento delle funzioni ss. In una differente prospittiva, vedi QUADRI,amministrative alle regioni di diritto comune, in Giur. cost., 1971, p. 459 ss.; GI~NKINI, Un giuQualche considerazione stilla politica regionale dizio stll decreto, in Agricoltura e regioni, n. 4, della CEE, in Annuario di diritto internazionale, 1967-1968, p. 397 ss. p. 33 ss.; MORTATI, Istittlzioni di diritto pubblico, I problemi relativi all'attuazione anlministra- Appendice alla VI11 ed., Padova, 1972, p. 48 ss.; tiva ed alla integrazione normativa degli atti CONDORELLI e STROZZI, L'agricolttlra tra CEE, comunitari sono stati affrontati nella nostra lct- Stato e Regioni, in INEA-ISAP, Agricoltura e teratura con riferimento specifico alle direttive Regioni, n. 7, 1973; CONDORELLI, Le Regioni a CEE sulla struttura delle imprese agricole ed statuto ordinario, cit., p. 223 ss.; CONFORTI e alla conseguente posizione negativa delle compe- CARBONE, Regione a statuto ordinario, cit., p. 178 tenze regionali assunta in proposito sia dal Go- ss.; ID.,Il ruolo delle regioni, cit., p. 41 ss. I1 Vertice europeo di Copenaghen di Giuseppe Petrilli Consentitemi anzitutto di esprimere la mia viva soddisfazione per l'onore che mi è stato fatto affidandomi il compito di introdurre il dibattito politico che si terrà in questa sede. Io mi sento a d u n tempo ospite e padrone di casa, in quanto i vostri lavori si svolgono nella sede del Movimento Europeo e grande è il mio compiacimento nel constatare una volta di più l'interpenetrazione reciproca realizzatasi nell'ambito del nostro Consiglio tra il Movimento Europeo - quale momento di sintesi politica tra le forze politiche e sociali e le associazioni impegnate nel nostro Paese nella battaglia federalista - Una indicazione della letteratura giuridica relativa ai problemi della determinazione dello spazio riservato alle Regioni, nella elaborazione e le sue componenti, t r a le quali una funziodegli atti comunitari e nella loro attuazione nel ne primaria, in linea di valore m a anche in nostro ordinamento t: stata già in altra sede sviluppata con la necessaria ampiezza (cfr. C ~ R - termini operativi, spetta senza alcun dubbio E ~ N E , Il ruolo delle Regioni nella elaborazione all'Assuciazione Italiana per il Consiglio dei ed attuazione degli atti comunitari, in Foro it., Comuni d'Europa. La vostra Associazione, 1973, V, 41 ss.). D'altro canto, l'occasione partiche rappresenta la più importante proiecolare di questo lavoro sconsiglia di elaborare zione di massa dello schieramento federaun apparato di note e di riprendere indicazioni bibliografiche che non siano specificamente e lista italiano e che anche a livello europeo direttamente rclative all'argomento in esame. si caratterizza rispetto alle organizzazioni Ci limiteremo, pertanto, a cenni bibliografici similari degli altri Paesi per una accentuata essenziali. e intransigente coerenza ideale e politica, ha Tra i contributi nei quali sono variamente evidenziati i conlplessi problemi di diritto costistabilito in questi anni rapporti molto stretti tuzionale C diritto iiiternazionalc rclativi alla e solidi con tutte le componenti del nostro posizione delle Regioni rispetto alla elaborazione Consiglio. Ciò è senza dubbio una riprova ed alla attuazione degli atti normativi internadel cammino percorso insieme, nella prozionali, alcuni saggi sono ormai classici. Punti gressiva costruzione di una struttura orgadi riferimento bibliografici essenziali per un inquadramento generale di tutta la tematica in nizzativa nella quale ai gruppi più direttaesame sono gli scritti di PIERANDREI, Sui rapporti mente impcgnati in senso federalista è ricotra ordinamento statuclle ed ordinamento internauna funzione di lievito e di stimolo zionale, in Giur. it., 1949, 11, p. 285 ss.; P ~ L ~ D I Knosciuta , nei confronti dell'intero schieramento poliSulle competenze connesse dello Stato e delle Regioni, in Riv. trim. dir. pubb., 1959, p. 431 ss.; tico e sindacale, per quanto attiene al vasto MAZZIOTTI, Studi sulla potestà legislativa delle arco dei problemi dell'integrazione europea. regioni, Milano, 1961, spec. p. 241 ss.; PERASSI, I n questa prospettiva, la mia esposizione La Costituzione italiana e l'ordinamento internaintroduttiva di stamani deve essere vista zionale, in Scritti giuridici, Milano, 1958, I, come un contributo che intendo offrire al dibattito tra i vostri e i nostri militanti, ponendomi all'interno di una linea di riflessione e di proposta largamente comune. Questo Consiglio Nazionale si riunisce, come tutti sappiamo, in un momento particolarmente delicato, alla vigilia del nuovo Vertice dei Capi di Stato e di Governo della Comunità Europea che si terrà a Copenaghen alla fine della settimana in corso. I n una congiuntura come questa, più che soffermarci sulla cronaca di avvenimenti recenti e meno recenti, non potremmo fare a meno - io credo - di situare per quanto possibile il nostro dibattito odierno in una prospettiva storica, chiedendoci quale sia il senso del momento che attraversiamo, nei suoi elementi di rischio e di speranza. Sentiamo tutti che gli ultimi avvenimenti hanno di colpo conferito nuova attualità al problema delllEuropa nella coscienza dell'opinione pubblica e hanno rimesso in moto, come fanno tutte le grandi crisi, un processo che molti giudicavano bloccato per sempre. Non vi è dubbio che una fascia molto larga della pubblica opinione si senta oggi, sia pur vagamente, investita da preoccupazioni inconsuete, di fronte a problemi manifestamente non risolvibili nel suo ambito nazionale. Forse si può dire che un'ondata di interesse come questa non si verificava fin dagli anni del primo europeismo post-bellico: quello, per intenderci, conclusosi col fallimento della CED. Come allora, è oggi il senso di una crisi comune, e quasi della necessità di ripartire da zero, ciò che conferisce attualità al discorso europeo. Per comprendere davvero il senso di quello febbraio 1974 COMUNI D'EUROPA p . . p - che sta accadendo è indispcnsabile comunque andare al di là di queste constatazioni epidermiche, ricercaildo appunto una definizione storica del momento che attraversiamo. Per quanto mi riguarda, io penso che ci troviamo oggi prossimi al termine di una particolare fase della storia dell'integrazione europea: quella che, iniziatasi con la Conferenza delllAia del dicenbrc '69, ha trovato nel cosiddetto « metodo del Vertice » la sua espressione istituzionale più caratterizzante. Quella delllAja fu indubbiamente una svolta, alla quale io ritcnni - in polemica contro posizioni massimalistiche, incapaci di guardare ai fatti con un senso della relatività storica sufficiente e discernerne evoluzioni apparentementc modeste ma tuttavia significative - si dovesse attribuire rilevante importanza, più che per i suoi risvolti positivi non del tutto trascurabili, per le contraddizioni che mi appariva destinata a provocare a breve scadenza. I1 nuovo corso inaugurato all'Aja nasceva infatti da due sconfitte: quella del vecchio funzionalismo comunitario, fondato sull'ipotesi di un passaggio quasi automatico dall'integrazione di mercato all'integrazione politico-istituzionale - funzionalismo definitivamente naufragato durante la memorabile crisi dell'estate 1965, di fronte alla politica della « sedia vuota » della Francia gollista - e quella dello stesso gollismo originario, per il quale la Comunità costituiva un semplice accordo commerciale, mentre la sola Europa reale era quella degli Stati nazionali, di cui la Francia aveva la primogenitura storica e l'investitura ideale, per una sorta di diritto divino. Scomparso dalla scena politica il vecchio generale, anche questa seconda ipotesi si era rivelata ormai manifestamente inattuale agli occhi dei suoi stessi successori, dopo i successi puramente negativi registrati in passato, che avevano avuto il solo risultato di « ibernare » a lungo l'intero processo di integrazione. Attraverso il metodo dei Vertici - che era stato anch'esso inventato » da De Gaulle in funzione anticomunitaria - i suoi successori credettero di aver trovato un marchingegno capace di rimettere in moto il sistema comunitario senza tuttavia rinunziare al fondamentale principio gollista dell'assoluta intangibilità della sovranità nazionale. L'aspetto positivo del nuovo corso consisteva quindi in sostanza nell'avere in qualchc modo accettato quella che era stata la principale premessa teorica della costruzione comunitaria: cioè a dire l'impossibilità di operare, nelle attuali condizioni storiche dell'economia di mercato, un processo di integrazione economica puramente negativo e non accompagnato da un correlativo coordinamento politico. I1 limite risiedeva viceversa nel non avere tratto lc indispensabili conseguenze istituzionali di tale constatazione, riproponendo attraverso il metodo del Vertice un tipo di negoziato intergovernativo di cui l'esperienza avrebbe rapidamente dimostrato la radicale inefficienza. In definitiva. si era creato un compromesso ibrido tra la posizione funzionalista - rafforzata attraverso le spinte periodiche degli incontri al Vertice - e la posizione gollista ortodossa, P 11 P~p-~ . p--p-. ~~ ~ che veniva in qualche modo calata per tale del sistema verticistico di garantire all'invia nella realtà dell'integrazione comunitaria. terno del processo di integrazione il primato Dal punto di vista dell'efficienza, è facile del momento politico sul momento econoormai rilevare come le contraddizioni in- mico e, di conseguenza, un orientamento terne a questo nuovo corso si siano manife- dello sviluppo rispondente alle reali esigenze state in tutta crudezza attraverso le vicende della società. E' chiaro infatti - ed è appena delllUnione Economica e Monetaria, che necessario ricordarlo a dei militanti qualifiavrebbe dovuto appunto rappresentare la cati come quelli che compongono questo nuova frontiera del processo di integrazione Consiglio - che la pretesa di « controllare » e che, in presenza di una difficile congiuntura il processo di integrazione in atto al livello internazionale e di un rapido acuirsi dei delle strutture economiche e finanziarie attramotivi di contrasto economico t r a la Comu- verso strumenti istituzionali rimasti alla fase nità e gli Stati Uniti, ha finito viceversa per della cooperazione intergovernativa non può manifestare coi suoi ricorrenti insuccessi che risultare velleitaria e come tale destil'impotenza politica dell'attuale sistema co- nata a sicuro insuccesso; essa conduce quindi munitario. Lo stesso allargamento geografico di fatto ad affidare alle forze economiche e della Comunità, che ha costituito indubbia- in primo luogo alle grandi società multinamente l'acquisizione più positiva del nuovo zionali a controllo americano l'orientamento corso, ha contribuito per altro verso ad esa- politico del processo di integrazione, con la sperarne le contraddizioni, minando alla base conseguenza di erodere, in modo sostanziale la posizione egemone esercitata a lungo dalla anche su surrettizio, le basi stesse dell'orFrancia e rendendo pertanto ancor più labo- dine democratico. In quanto incapace di rioso il funzionamento del meccanismo deci- garantire la creazione di nuove sedi di parsionale. L'espressione cmblematica della crisi tecipazione popolare al processo decisionale, del sistema è stata data tuttavia dal Vertice il metodo verticistico si risolve altresì per di Parigi dell'ottobre 1972 che, pur avendo tale via in un fattore di involuzione tecnocratica delle nostre società nazionali. Infine, suscitato molte speranze, si è limitato in definitiva a « decidere di decidere », cioè la strutturale debolezza della cooperazione ha elaborato bensì un programma di lavoro politica posta in essere dal metodo del Vertice si risolve necessariamente in un'assenza ambizioso e particolareggiato, ma non ha potuto andare oltre l'ambito puramente prodelllEuropa dalla scena internazionale, concedurale, con le conseguenze già oggi ma- correndo a consolidare un equilibrio sostannifes te. zialmente conservatore, dominato dalla colA questi limiti di fatto si sono accompa- lusione autoritaria tra le due superpotenze. Una precisa verifica della fondatezza di gnati peraltro limiti non meno gravi di principio e di valore, sui quali non h a mancato questi rilievi può essere fornita ad ogni modo di appuntarsi la denuncia dei federalisti. Mi da un rapido esame dell'evoluzione intersembra indispensabile ricordarli anche nel venuta finora nell'ambito delllUnione Ecocorso di una esposizione come questa, per nomica e Monetaria. A questo riguardo, mi conferire un significato più preciso alla no- sembra pos3ibile affermare che, al di là delle stra linea di ferma opposizione, tanto più inottemperanze di alcuni Paesi, l'approccio che l'esperienza recente ne ha largamente monetario ai problemi delllUnione non ha riconfermato la validità. Espresse nella for- funzionato, in quanto la stabilità che si ma più sintetica possibile, le nostre critiche intendeva consolidare tra le parità nazionali non è stata di fatto maggiore, ma minore, si riferivano in primo luogo all'incapacità parla il Presidente del CIME, Petrilli febbraio 1974 -- -- di quanto si fosse verificato in precedenza. Basti dire in proposito che lo squilibrio tra la lira e la sterlina, da una parte, e il marco, dall'altra, è aumentato più che non lo squilibrio tra queste monete e il dollaro; così pure, il franco francese si è deprezzato rispetto al marco più di quanto non sia cresciuto di valore rispetto al dollaro. Infine, la stessa creazione di un Fondo europeo di cooperazione monetaria, che era stata salutata come il fatto più importante verificatosi finora in questo contesto, è risultata in pratica scarsamente significativa, data la modestia dei mezzi disponibili. Personalmente, non mi considero un esperto di questioni monetarie e non vorrei affrontare qui la delicata questione della ricerca delle responsabilità nella rottura della solidarietà comunitaria in questo campo, espressa dal cosiddetto « serpente monetario D. E neppure vorrei pronunziarmi sulla questione - oggi abbastanza controversa - relativa all'importanza di pietra di paragone della credibilità europea che taluni attribuiscono ad uno sforzo di ricomposizione di tale serpente da parte dei Paesi che ne sono usciti. La disputa tra coloro che insistono sulle responsabilità di questo o quel governo e quanti invece ravvisano in quello che è accaduto una prova di inefficienza dell'approccio monetaristico come tale potrebbe anche risultare abbastanza nominalistica, dal momento che, di fatto, le politiche economiche e monetarie degli Stati membri hanno continuato a divergere, sotto l'impulso di fattori esterni, non controllabili allo stato attuale delle cose, ma anche di una oggettiva diversità di situazioni, che imponeva priorità e politiche diverse. Tra i fattori esterni vanno certamente menzionati, ad esempio, lo sviluppo del mercato degli eurodollari, le liquidità controllate dalle società multinazionali e dai Paesi produttori di petrolio, il mancato controllo americano sulle esportazioni di capitali. Tra i fattori interni, la diversità dei punti di vista che ispirano le politiche economiche degli Stati membri: quello tedesco, che considera assolutamente prioritaria la lotta all'inflazione e giustamente si preoccupa che un'integrazione prevalentemente monetaria finisca con l'addossare all'economia tedesca l'onere principale degli aggiustamenti necessari; quello francese, in cui la preoccupazione di proiettare nell'ambito comunitario un sistema garantistico derivato da antiche abitudini protezionistiche, con particolare riguardo al settore agricolo, fa riscontro alla volontà politica di favorire attraverso la sottovalutazione della moneta una crescita industriale stimolata dalle esportazioni e dai profitti; quello britannico, proprio di un Paese che attraversa da anni una crisi dovuta a un'insufficiente produttività e ad una progressiva dislocazione delle correnti tradizionali del proprio commercio estero, dibattendosi in una situazione generale caratterizzata dalla coesistenza di tensioni inflazionistiche e di un basso saggio di sviluppo; quello italiano, infine, in cui alla presenza dei ben noti squilibri territoriali si accompagna la necessità di un progressivo orientamento dell'attività produttiva verso settori industriali più avanzati. A tutti questi riguardi, il vero discorso non può essere quello di negoziare un ritorno dei secessionisti alla comune disciplina monetaria che abbia quale contropartita sostanziali concessioni sul piano delle politiche di struttura. Anche se i compromessi sono sempre possibili, il discorso deve andare più a fondo, toccando la sostanza dei problemi e finendo col porre necessariamente in causa le stesse condizioni istituzionali in cui si sta svolgendo il processo di integrazione. In questo senso, è indubbiamente accoglibile la tesi tedesca che tende a porre l'accento sulla priorità da attribuirsi al coordinamento delle politiche economiche, anche se è legittima la preoccupazione che la netta preminenza accordata alla salvaguardia della stabilità monetaria possa condurre al prevalere di un orientamento tendenzialmente deflazionistico, di per sé scarsamente compatibile con le esigenze di trasformazione strutturale dell'economia comunitaria e incline a sacrificare altri importanti obiettivi, quali la piena occupazione ed uno sviluppo economico equilibrato. Ancor più valide sono le preoccupazioni olandesi, che pongono risolutamente l'accento sull'indispensabile rafforzamento delle istituzioni comuni. Si deve purtroppo constatare come anche il piano di lotta contro l'inflazione approvato la settimana scorsa a Bruxelles in sede di Consiglio dei Ministri delle Finanze, pur presentando una vasta e articolata piattaforma di provvedimenti di intervento - la cui definizione è stata resa probabilmente più facile dalle stesse difficoltà attraversate da tutti i Paesi membri in conseguenza della crisi energetica - abbia lasciato volutamente nel vago proprio il problema cruciale del passaggio alla seconda tappa delllUnione Economica e Monetaria. Tale passaggio - sia detto chiaramente - non ci interessa come puro adempimento formale, ma piuttosto per la possibilità che esso offriva di segnare un reale progresso dal punto di vista del potere decisionale delle istituzioni comuni, da cui dipende in definitiva, come l'esperienza ha dimostrato ad usura, la credibilità degli impegni assunti. Questo discorso si ricollega d'altra parte strettamente a quello delle politiche di struttura. Se non si adotteranno politiche comuni in campo regionale e industriale, che consentano di superare progressivamente gli attuali contrasti di interesse, affrontando in prospettiva comunitaria i problemi che travagliano le singole economie, e se non si prenderanno provvedimenti comuni nei confronti delle pressioni destabilizzanti provenienti dall'estero, non soltanto qualsiasi tentativo di solidarietà monetaria rimarrà precario, ma la stessa unione doganale rischierà continuamente di essere rimessa in questione. Ciò che preoccupa a questo riguardo non è tanto il conseguimento di un risultato tangibile nel campo della politica regionale, per quanto attiene all'entità dei fondi disponibili e ai criteri della loro allocazione, ma ancor più la mancanza di una visione d'insieme, in assenza della quale qualsiasi intervento di - - questa natura avrà necessariamente il valore di un palliativo. Tutta questa problematica è resa del resto più grave dalle stesse attuali condizioni del mercato mondiale, caratteri~zatodalla presenza di oligopoli multinazionali e da un complesso di interventi economici degli Stati, condizioni che impongono di concepire la liberalizzazione degli scambi come un obiettivo da conseguire attraverso complessi negoziati tra i principali Paesi industriali e non solamente attraverso riduzioni lineari delle tariffe. Le dimensioni raggiunte dalle società multinazionali a controllo americano, tanto nel settore petrolifero, quanto in taluni settori economici d'avanguardia ove esse hanno potuto avvalersi degli aiuti pubblici connessi alla loro partecipazione ai programmi militari e spaziali, hanno consentito a tali società di trarre largamente partito sul piano monetario dalla stessa posizione privilegiata del dollaro quale moneta di riserva, dando luogo a vasti movimenti speculativi e acquistando posi7ioni dominanti all'interno stesso del Mercato Comune, così da condizionare largamente le politiche economiche e monetarie dei Paesi membri, e gli sviluppi del processo d'integrazione. Una politica delle strutture intesa anche come politica industriale, è quindi indispensabile tra l'altro per favorire una più larga partecipazione europea al processo di transnazionalizzazione delle imprese. Tutto ciò comporta interventi articolati, in materia di localizzazione degli investimenti, di orientamento della ricerca, d'armonizzazione fiscale ed anche di politica monetaria, per quanto attiene alle possibilità di intervento sui mercati dei capitali. Paradossalmente, proprio la mancanza di una strumentazione di questa natura ha fornito la giustificazione formale alle critiche rivolte alla Comunità dall'attuale Amministrazione americana. I rapporti tra Europa e Stati Uniti sono infatti giunti ad una crisi perché gli USA consideravano, non a torto, che la Comunità così com'è - ridotta cioè quasi esclusivamente ad una unione doganale e ad una politica agricola fortemente protezionistica - costituisce soltanto una fonte di distorsioni negli scambi internazionali. I1 cosiddetto rilancio atlantico promosso dalla diplomazia kissingeriana, nel quadro del1'. anno delllEuropa » - e riproposto in questi giorni dallo stesso Kissinger in occasione del Consiglio Atlantico - tende in definitiva ad operare, nell'ambito di un equilibrio mondiale bipolare, restaurato dall'intesa globale russo-americana, un rafforzamento anche politico della posizione egemone detenuta dagli Stati Uniti nel campo occidentale. Ponendosi per la prima volta in termini sostanzialmente, se non formalmente, alternativi rispetto al processo d'integrazione europea, la sfida americana ha avuto il merito di costringerc i nostri Paesi a scegliere tra un effettivo progresso verso l'Unione Economica e Monetaria ed un progressivo smantellamento della stessa unione doganale, destinata a dissolversi in una più generale liberalizzazione degli scambi tra i Paesi industrializzati. In questo senso, le pressioni esterne sono divenute nel corso degli ultimi COMUNI D'EUROPA febbraio 1974 P p p mesi una spinta decisiva verso una maggior coesione comunitaria. E' significativo, in questa prospettiva, che si sia giunti da parte dei nostri Paesi a d un'intesa intorno ad una corta di controprogetto da contrapporre allo schema americano di una nuova Carta Atlantica, facendo largo posto al problema dell'identità europea e chiedendo alla controparte il riconoscimento della Comunità quale entità distinta nell'ambito dell'alleanza. Su questa piattaforma c'è stata da parte francese l'ammissione che ogni ipotesi di iniziativa internazionale degli europei presuppone un certo grado di solidarietà istituzionale, ma è anche vero che dal canto loro le cancellerie di Paesi tradizionalmente atlantici si sono notevolmente avvicinate all'idea di una maggiore autonomia dei nostri Paesi. Tale impostazione ha avuto un primo collaudo a Tokio, in occasione dell'avvio dei negoziati commerciali del cosiddetto « Nixonround », ma tende progressivamente ad investire anche i problemi della difesa ove, di fronte alle rinnovate pressioni americane per una più equa divisione degli oneri finan~ i a r i ,si va profilando la possibilità di una risposta europea in termini di accresciuto coordinamento comunitario e di maggiore autonomia, almeno per quanto riguarda gli armamenti convenzionali. Anche la crisi energetica, che è oggi al centro delle preoccupazioni degli uomini politici europei e nella quale taluni osservatori hanno voluto ravvisare l'effetto di una manovra internazionale favorita dagli americani per intaccare sostanzialmente la posizione concorrenziale di europei e giapponesi, ha indubbiamente contribuito a porre i Paesi della Comunità di fronte alla brutale alternativa tra una solidarietà organica - necessariamente istituzionale - ed una rapida disgregazione della stessa compagine comunitaria. Per gravi che siano le riserve che taluno h a creduto di dover esprimere in ordine alla posizione assunta dai Nove con la loro risoluzione sul problema medio-orientale, di cui si è avuta di recente un'ulteriore conferma, e per criticabile che appaia il loro cedimento di fronte ai ricatti esterni, rimane incontestabile, a mio modo di vedere, che il fatto stesso di essere giunti comunque ad una posizione comune intorno ad un problema di tanta gravità costituisce una chiara riprova della funzione coesiva assolta da un cerlo tipo di pressioni. E' grave viceversa che ancora durante gli ultimi incontri sia prevalso un atteggiamento di prudenza, incline a rinviare ulteriormente ogni decisione in materia di politica energetica comune, riella speranza inconfessata che il sollecito ristabilirsi di una situazione di normalità consenta ancora una volta di prorogare indefinitamente ogni decisione in proposito. Ciò è tanto più preoccupante in quanto pro~ r i ol'attuale crisi energetica avrebbe dovuto dimostrarci in termini concreti quanto sia alto il prezzo di una politica di imprevidenza e di facilità come quella che l'Europa h a seguito finora in questo campo. Si tratta evidentemente a questo riguardo di diversificare maggiormente le fonti di approvvigionamento e soprattutto di sfor- i3 - p zarsi ai portare avanti a livello europeo un deciso impegno in campo nucleare. Non va dimenticato comunque che, data la parte preponderante occupata dai consumi delle industrie nella struttura del fabbisogno globale --p-pp di petrolio, in alcuni Paesi sono già stati ~ntrodotticriteri di priorità negli approvvigionamenti, a vantaggio di particolari settori. Una seria politica energetica sembra quindi coinvolgere anche l'esigenza di un La mozione del Consiglio regionale della Campania sul Vertice di Copenaghen Pubblichianzo il t e s t o integrale del d o c u m e n t o c h e il Consiglio regionale dell,a C a ~ n p a n i ah a a p p r o v a t o all'unanimità nella seduta del 12 d i c e m b r e 1973, s u proposta del Consigliere Filippo Caria, il quale l'ha poi illustrato, il giorno successivo, alla riunione del C.N. dell'AICCE. La riunione dei Capi di Stato e di Governo dei nove Paesi della Comunità europea, convocata per i prossimi giorni a Copenaghen, cade in un momento particolarmente drammatico e preoccupante per le sorti dell'unione delllEuropa e delle relazioni internazionali. Anche se si tratta di un Vertice che il Ministro Moro ha definito come a un dialogo disteso ed amichevole » l'occasione deve risultare utile non solo per uno scambio di idee quanto più ampio ed approfondito sui maggiori problemi comunitari e mondiali, ma anche per definire una strategia e per impegnarsi su alcune linee di azione chiare e precise e su determinate scadenze d'ordine programmatico ed istituzionale. Senza unione politica no'n ci potrà essere una effettiva unione economica e monetaria né, frattanto, ci p@ tranno essere una politica congiunturale, una politica regionale, una politica sociale ed una politica energetica soddisfacenti. E senza istituzioni sopranazionali, fondate sul consenso e sulla partecipazione dei popoli, e dotate di poteri reali, l'unione politica resta una mera enunciazione di principio. La Regione Campania, nel nome delle popolazioni che è tenuta ad amministrare ed alle quali ha il potere costituzionale di dare, nelle materie di competenza, leggi e programmi idonei per lo sviluppo economico ed il progresso civile, ha il diritto ed il dovere, in una circostanza come questa del Vertice dei Capi di Stato e di Governo della Comunità europea, di far sentire la sua voce e di rappresentare all'autorità centrale le proprie attese e le proprie sollecitazioni. Pertanto, il Consiglio regionale ritiene - ed allo scopo invita la Giunta a rappresentare al Governo nazionale le indicazioni che seguono -: a ) che il Vertice di Copenaghen debba verificare seriamente la volontà dei Nove di restare e di procedere uniti e solidali nel fronteggiare la situazione internazionale sia per quanto attiene alla presente congiuntura economica, con particolare riferimento alla crisi energetica, monetaria, commerciale e, di qui a poco, di generale recessione, sia per quanto attiene al reale superamento dei blocchi in un quadro di distensione e di cooperazione mondiali; b ) che il Vertice debba impegnare gli Stati membri della Comunità ad eleggere, entro sei mesi, a suffragio universale diretto il Parlamento europeo; C ) che debba essere il Parlamento europeo, eletto a suffragio universale diretto, a redigere e ad approvare lo Statuto delllUnione europea; d ) che la politica regionale comunitaria mobiliti risorse ed iniziative assai più cosoicue ed incisive di quelle finora previste (la crisi scatenatasi ultimamenle richiede uno sforzo assai più rilevante di quello preventivato in una congiuntura non ancora precipitata agli attuali livelli: il pericolo è che, proprio a causa delle presenti difficoltà, lo sforzo possa essere diminuito o dilazionato con le gravi ripercussioni che solitamente, in casi del genere, colpiscono soprattutto le zone meno sviluppate); sia prevalentemente indirizzata nelle regioni i cui fenomeni di depressione e di sottosviluppo risultino tradizionalmente e chiaramente di rilevanza superiore; veda associati e direttamente impegnati, nelle responsabilità programmatorie ed operative, le istanze locali, ed in particolare le Regioni laddove queste, come in Italia, dispongano di effettiva potestà legislativa, finanziaria ed amministrativa; e ) che la politica sociale comunitaria gravi finanziariamente sui singoli Stati in misura proporzionale alla ricchezza prodotta da ciascuno di essi; punti prevalentemente sull'incremento dell'occupazione nelle zone che presentino maggiori disponibilità di mano d'opera disoccupata e sottoccupata; riservi ai lavoratori migranti più soddisfacente e puntuale cura; acceleri la parificazione giuridica, a livello comunitario, delle condizioni di vita e di lavoro. COMUNI D'EUROPA grado crescente di programmazione e di orientamento della crescita economica, tenuto conto in particolare degli interrogativi posti dall'attuale crisi in ordine alla stessa possibilità di un proseguimento indefinito dell'attuale modello di sviluppo. Nello stesso ordine di idee, la crisi energetica sembra ricliiedere infine, come pensa oggi un numero crescente di osservatori, una articolata iniziativa comunitaria nei confronti dei Paesi produttori. I n tale contesto, i1 conflitto del vicino Oriente ripropone con forza ad una Comunità Europea il cui baricentro si era spostato verso il Nord in conseguenza dell'allargamento, la necessità di stabilire, pur nel rigoroso rispetto dell'omogeneità politicoistituzionale tra gli Stati membri, un rapporto organico coi Paesi del bacino del Mediterraneo legati da tanti vincoli non solo economici, ma anche sociali (si pensi alle migrazioni di manodopera), a quelli della Comunità. Credo quindi di poter concludere questa parte della mia esposizione affermando che nell'attuale congiuntura storica un complesso di pressioni esterne viene ad aggiungersi ad un complesso di impegni assunti dagli Stati membri in base alle decisioni del Vertice di Parigi dell'ottobre '72, sollecitando la Comunità ad assumere decisioni fondamentali per il proprio avvenire. Proprio queste sollecitazioni rendono peraltro più evidente il mancato o difettoso funzionamento dell'attuale sistema comunitario, ponendo pertanto con forza il problema di una sua revisione ormai indilazionabile. A questo riguardo, un primo test di un certo rilievo è stato rappresentato dalle discussioni svoltesi nel Parlamento Europeo in merito alle decisioni da prendere per l'estensione dei poteri di bilancio dello stesso Parlamento, estensione connessa al passaggio ad un regime generale di finanziamento della Comunità sulla base di risorse proprie che entrerà in vigore nel 1975. Si è trattato in questo caso dell'applicazione di una decisione anteriore all'ultimo Vertice, e di cui lo stesso Governo francese aveva a suo tempo favorito l'adozione allo scopo di rafforzare, coll'attribuirgli un carattere più spiccatamente comunitario, l'attuale meccanismo di finanziamento della politica agricola comune. I1 prezzo politico di tale decisione era stato peraltro un sostanziale rafforzamento della posizione del Parlamento Europeo, suscettibile di concorrere ad alterare in un senso maggiormente democratico l'attuale equilibrio istituzionale. Particolarmente deludenti si sono rivelati in questa circostanza, tanto le proposte formulate in proposito dalla Commissione (che si limitavano a prevedere la necessità di una seconda lettura per le decisioni di spesa respinte dal Parlamento), quanto, soprattutto, la sua reticenza e in un primo tempo la sua opposizione all'idea, avanzata dal Parlamento a titolo compromissorio, d'impegnare il Consiglio a deliberare all'unanimità quando le sue decisioni si discostassero in materia di bilancio da quelle dei parlamentari. Se è vero che alcune voci si sono levate negli ultimi tempi per chiedere un sostanziale mutamento di indirizzo (ricordiamo, tra le più autorevoli, quella del Cancelliere Brandt nel suo recente discorso al Parlamento Europeo, e quella dell'ex-Ministro gollista Schumann, che si è pronunciato per le elezioni europee a suffragio universale diretto), la sola concreta prospettiva istituzionale che allo stato attuale sembra aperta dal prossimo Vertice di Copenaghen, è quella di una istituzionalizzazione del metodo del Vertice, cioè appunto, del sistema di cui gli ultimi avvenimenti hanno largamente dimostrato la strutturale inadeguatezza. I1 fatto stesso che al Vertice non partecipino il Presidente del Parlamento Europeo e neppure quello della Commissione e che anzi i Governi nazionali persistano a sottolineare pesantemente il suo carattere di Conferenza intergovernativa di tipo tradizonale, anche attraverso la distinzione formale tra le sue competenze e quelle del Consiglio dei Ministri comunitario, non ci consentono di fondare grandi speranze sulla prossima riunione di Copenaghen. Se infatti, non si risolve il problema di metodo, creando uno strumento efficiente e adeguato rispetto agli obiettivi da raggiungere, non si risolve neppure quello di valore. I1 primato della politica sull'economia, l'effettivo orientamento dello sviluppo in un senso conforme alle aspettative della società, la creazione di adeguati strumenti di controllo popolare all'interno del processo integrativo, I'instaurazione di un diverso e « Comuni d'Europa » prega i suoi abbonati di rinnovare con sollecitudine l'abbonamento per il 1974: essi appoggeranno. così il più vecchio e agguerrito organo di stampa della battaglia federalista. più equo ordine internazionale, diventano necessariamente obiettivi irraggiungibili. Deriva appunto di qui l'interesse della proposta Spinelli, che è stata fatta propria dai federalisti e dallo stesso Movimento Europeo. Tale proposta fa leva sulla parola d'ordine di una non meglio precisata Unione Europea, lanciata dal Vertice di Parigi nell'ultimo punto del suo comunicato finale. I1 Vertice di Parigi aveva affidato alle Istituzioni della Comunità nel loro complesso il compito di elaborare entro il 1975 un rapporto in ordine a tale Unione, che avrebbe dovuto entrare in vigore entro il 1980. Rilevando come la necessità di una risoluta svolta istituzionale s'imponga con carattere di assosluta urgenza, quale condizione di un durevole superamento delle presenti difficoltà, e dell'ulteriore sviluppo dell'intera costruzione comunitaria, esigendo una decisa anticipazione dei termini fissati a Parigi, e come, di conseguenza, il problema vada affrontato fin dall'inizio in termini costituzionali, Spinelli ha proposto che il Vertice di Copenaghen attribuisca al Parlamento Europeo e ad esso solo il compito di elaborare entro il 1974 un progetto di Trattato istitutivo dell'unione Europea, da sottoporre alla ratifica dei Parlamenti nazionali entro il primo semestre dell'anno successivo. L'interesse della proposta non consiste soltanto nell'anticipare nel tempo e nel rendere più concreto un discorso che rischierebbe altrimenti di risolversi in un'ennesima mistificazione, ma ancor più nel sottrarne la gestione alle diplomazie nazionali, investendone direttamente le forze politiche, anche attraverso la richiesta rivolta ai Parlamenti nazionali di rinnovare rapidamente le proprie delegazioni nel Parlamento Europeo per tener conto delle nuove responsabilità che gli verrebbero così attribuite. I n tal modo, il sistema istituzionale comu- febbraio 1974 nitario verrebbe ad essere sostanzialmente modificato fin dalla fase costituente, consentendo di giungere alla formulazione di proposte assai più avanzate di quelle che sarebbe lecito attendersi allo stato attuale delle cose. Anche se non ci si possono fare soverchie illusioni circa la disponibilità dei Governi nazionali e quindi del Vertice a un discorso di questa natura, la battaglia per l'unione europea dovrà costituire in ogni ipotesi nel prossimo futuro il punto focale dell'intera azione dei gruppi di orientamento federalista, nel nostro Paese come altrove. Si tratta infatti in questo caso di indurre i Governi nazionali a prendere almeno delle decisioni precise in ordine a quanto essi stessi avevano deliberato in precedenza. La strategia di inserimento critico nelle contraddizioni provocate dal nuovo corso europeo che abbiamo portato avanti fin dalla Conferenza dell'Aja troverà in questo problema il suo banco di prova decisivo. Ai fini di questa azione si pone tuttavia un problema politico strumentale: quello di come impegnare in questa battaglia le forze politiche e sindacali, creando una mobilitazione europea in qualche modo sostitutiva dell'assenza di consultazioni elettorali e di una vera dialettica parlamentare, in una situazione in cui l'obiettivo storico della lotta è appunto la creazione di un quadro costituzionale. Credo di poter dire senza iattanza che nel nostro Paese questo ruolo di supplenza è stato assunto, nei limiti delle sue possibilità, dal Movimento Europeo, come è apparso particolarmente chiaro nella contrastata vicenda del progetto di legge di iniziativa popolare per l'elezione a suffragio universale diretto dei delegati italiani al Parlamento Europeo. I1 vero problema è oggi quello di riprodurre a livello europeo una mobilitazione analoga, che utilizzi la proposta Spinelli come occasione di coagulo tra tutte le forze realmente interessate ad una democratizzazione del sistema. E' mia convinzione che in questa prospettiva una particolare responsabilità spetti al Consiglio dei Comuni d'Europa, quale organizzazione di massa di ispirazione federalista. Anche a questo riguardo mi sembra particolarmente valida l'esperienza italiana, per quanto attiene ad esempio all'azione di pressione svolta nel nostro Paese in sede regionale a sostegno del già ricordato progetto di legge. La stessa emergenza nella base federalista di un interesse crescente per le contraddizioni generate a livello delle strutture economiche e sociali da fenomeni come quelli delle società multinazionali e delle correnti migratorie interne e internazionali provocate dalla stessa crescita economica verso le aree di maggiore concentrazione industriale apre a questo riguardo una vasta tematica di interventi, che possono consentire di saldare l'azione di base a quella di vertice, permettendoci di guadagnare più larghi consensi alle parole d'ordine della democratizzazione delle istituzioni comuni c della creazione di una Unione europea dotata di una solida struttura istituzionale. Sarebbe forse prematuro voler definire qui le modalità concrete delle azioni future da intraprendersi a questo riguardo. Mi sembra tuttavia importante che l'Unione dei Federalisti Europei e il Consiglio dei Comuni d'Europa abbiano stabilito di portare avanti, attraverso una procedura di contatti periodici, un approfondimento della tematica dell'Unione europea che si gioverà altresì di febbraio 1974 diretti contatti con la Commissione Affari Politici del Parlamento Europeo, presso la quale il problema che ci interessa è da tempo allo studio. Per quanto direttamente lo riguarda, il Consiglio Italiano del Movimento Europeo è intervenuto presso i Segretari dei Partiti aderenti che fanno parte dell'attuale coalizione di Governo, ribadendo la richiesta dei federalisti italiani che sia sollecitamente approvato il progetto di legge di iniziativa popolare e che il Governo italiano riproponga con decisione durante il Vertice di Copenaghen l'esigenza di una vigorosa ripresa dcl processo di integrazione nell'ambito delle istituzioni comunitarie, facendo propria la proposta Spinelli. E' questo soltanto il punto di partenza di un'azione che ci riproponiamo di condurre anche in sede internazionale, con l'obiettivo di giungere al nostro prossimo Consiglio Federale, previsto per la prossima primavera, con una piattaforma comune in ordine all'unione politica, da collegare strettamente allo stesso rinnovo delle cariche, così da condizionarlo ad un risoluto impegno nella direzione che riteniamo giusta. In questa prospettiva, molto ci attendiamo dai risultati dei prossimi Stati Generali di Vienna del Consiglio dei Comuni d'Europa e, se mi è consentito aggiungerlo, dal contributo personale che potrà dare l'amico Serafini nella sua veste di relatore politico. Le mie considerazioni, che non avevano altra ambizione se non quella di fornire un certo numero di spunti al vostro dibattito, possono senz'altro concludersi a questo punto. Noi siamo - lo ripeto ancora una volta - alla conclusione di un ciclo storico: se fino a ieri potevamo talvolta avere l'impressione sconfortante che l'appello dei federalisti fosse quello di una voce clamante nel deserto, isolata nell'astratto rigore delle sue posizioni e perciò stesso esclusa dalla realtà di un mondo sempre più lontano dalle nostre aspirazioni, gli ultimi avvenimenti hanno confermato tragicamente l'esattezza dei nostri giudizi e l'inesistenza di valide alternative. Sappiamo purtroppo per esperienza che la storia non passa e ripassa a nostro piacimento, nelle ore che ci fanno più comodo, ma sopraggiunge improvvisa, come il ladro notturno dell'immagine evangelica, ponendo gli uomini e i popoli di fronte a scelte indifferibili. Le lezioni del passato ci insegnano che ogni occasione di progresso perduta può tramutarsi in un principio di regresso e di involuzione, poiché, contro le illusioni del vecchio determinismo positivistico, sono in definitiva gli uomini a fare la storia, nella misura in cui ne sono capaci. Quanto è accaduto in altre epoche alle città greche dinanzi alla conquista romana e alle Signorie italiane del tardo Quattrocento di fronte all'affermarsi in altri Paesi d'Europa delle grandi monarchie unificatrici, destinate in breve volgere di tempo a travolgere attraverso le invasioni un equilibrio tanto apparentemente calcolato quanto sostanzialmente precario, dovrebbe ammonire gli Europei circa la gravità c l'imminenza del rischio. La stessa, sia pur provvisoria, paralisi del traffico festivo nelle nostre città dovrebbe d'altra parte avere almeno il valore di un simbolo concreto della nostra comune decadenza. Quale che sia per essere la sorte della nostra battaglia, il dovere dei iederalisti è in questo momento, ancor più che in qualsiasi altro, quello di suonare Forte l'allarme per risvegliare la città aggredita nel sonno. COMUNI D'EUROPA ribadire che le elezioni dirette del Parlaiiiento Europeo, impegnando tutte le organizzazioni Sulla relazione Petrilli è subito intervenuto di inassa in una dinlensione etiropea, creeper una chioscc il Segretario generale del- rebbero l'occasione principale di partecipazione delle popolazioni al processo di integraI'AICCE: breve, ha detto sclzerzosainente Serafini, perché collocata nel momento che. zione. Non trascuriaino di ricordarci che u n Parlamento i~ioderno,eletto a sutfragio unidato il tipo di dieta continentale, è quello del versale e direrto, può avere rccdici sconoscitimassinzo tasso di ipoglicemia giornaliercc. te ai Parlainentz ottocenteschi, legati a gruppi Serafini ha ricordato la risolttzione della Presidenza del CCE a Neu Isenbltrg e ha d'opinione. Tuttavia, se l'obiettivo oggi deve essere istidetto di aver ascoltato volentieri Petrilli, tuzionale - cioè non si fa l'Europa senza in quanto Presidente del Consiglio nazionale del Movitizento Europeo, che meglio di ogni istituzioni politiche sovranazionali, senza uncì Costituzioize federale -, teniamo sempre altro Consiglio tenta di realizzare l'alleanza presente che, proprio perché i Governi sono deiiiocratica europea richiesta dal CCE. Egli ha poi sottolineato clze della rel'azione Petril- strutturalmente incapaci e bisogna utilizzare l'urto dellc organizzazioni popolari (fronte li lo ka colpit'o la serie di argomentazioni atte a rafforzare, direttamei7te o indirettaii~erzte, democratico europeo), bisogna persuadere queste organizzazioizi popolari che occorre il suo convincimento circa la incapacità strutturale dei goverrii nazionali di fare il far Z'Eztropa. Ci sono delle ragioni politiclze salto di qiialità verso l'unità politica sovra- immediate, dette e ripetute, ma, in tina lotta izazionale. I Governi ( lo ha confermato ap- rivolu:ionaria e tiella formaziorze di quadri punto l'accenno di Petrilli alle inultinazio- idonei, occorre mostrare il traguardo piìi nali, alle industrie di avanguardia, eccetera) lorztano, cioè il nzodello di una società europea, di una nuova società. Lo stesso Petrilli, sono i rappresentanti di grossi comprotizessi nazionali di interessi costituiti, con inoltepli- ha aggiunto Serafiiii, accenna sovente a u n ci agganci trasnazionali (privati) e addirit- terzo niodello (europeo), che dovrebbe disegnarsi fra quello americano e quello sovietura extraeuropei. A u n Vertice si può solo tico: ora bisognerà, in merito, tiscire dal nefare u!z baratto inteipsettoriale e fotografare buloso e dalle ambiguità. lo statu quo, cioè la coesistenza di società Intanto l'Europa non potrà essere, secondo nazionali corporative e sclerotiche. A parte la corzdannahile ipotesi di Serijan Sckreiber, l'unanimità, a un Vertice sui contenuti politici non si potrà mai avere neanclze una iizag- un duplicato dell'Ai7zerica neo-capitalistica, gioranza costrmttiva, innovativa: dizlersamen- sltlla qunle recentei??ente ha tirato conclusioni ponderataiiierzte nelgative lo stesso Galte sarebbe con u n Parlamento Europeo eletto a suffragio diretto e SU scala sovranazi'onale, braitk. D'altro canto la nuova Europa dovrà godere di un pluralismo politico-istitti:ionale ove si potrebbe cominciare ad ottenere, su ignoto oggi al nzondo sovietico, del quale deternzin'ati obiettivi concernenti l'interesse generale, alnieno una nzaggioranza relativa. ultimo non potrà neanche accettare la ii~arzCon questo scetticismo cosa possiamo chie- cante dialettica fra i tempi brevi della polidere a un Vertice o a un Governo, piìt avan- tica e i teiilpi l t ~ n g h idella cult~tra (nonché quella, ha precisato Serafiizi, che animetta zato degli altri, clze partecipi al Vertice? Ma - per rispettare i w a m e n t e i cristiani a cui è chiaro: che questo Governo invece di parsi fa tanto la corte - anche i tenipi luntecipare al haratto corporativo chiarisca opertanzente l'impossibilità di procedere ver- glzissimi della metafisica, o in parole povere che dia una sua autonoinia alla persona nelso l'ttnità col metodo della cooperazione o attraverso comunità funzionali ( c o m e vice- la Conzunità). Ciò preniesso, non è qui il caso di addentrarci ora in questo discorso, che va versa ha ripropost'o Brarzdt a novembre nel pur fatto: il terzo inodello, irz ogni caso, doParlainento Europeo), perché tout se tient vrà essere l'antitesi di una Europa corporae ormai l'esperienza ci dice che si può protiva, e dovrà tener presenti gli ainnlonimenti cedere solo con u n patto federale, grirante di di uiz filosofo tedesco, H o r k h e ~ m e r ,esule in irreversibilità, e con u n Governo comune figlio di una 7naggioranza elettorale europea. America sotto il nazismo e autore delle belS i dimentica che far l'Europa è una rivolu- lissinze lezioni raccolte nel libretto "Eclisse della Ragione". Horkheinzer denuncia le efzione e che siamo izell'epoca dei mass media: pertanto il Goverrzo coraggioso che, isolato, ficienti e spaventose razionalizzazioni struchiarisse queste cose, per i diplomatici sa- nieiztali ( l e "ottinzizzacioni" del profitto capirebbe u n Don Chisciotte, mentre al contr'ario talistico, del potere gestito tirannicamente darebbe u n valido contributo, presso l'opi- per il potere, ecc.) e la iiiarzcata afferinazionione pubblica, popolare, all'avanzata del ne di qztella Ragione globale, che ha coiiie suo punto di riferiiiierzlo la ricetza di una fronte dei7zocratico europeo. I n ogni caso, ha proseguito Serafini, se si migliore condi,'710ne umana. Anni fa, ha conclmso il Segretario generale doi~esseverificare tin Vertice iniracoloso, non delllAICCE, era di moda parlare in Europc~ bloccato in partenza dalla preoccupazione di interessi e storie particolari, sarebbe auspi- di gap tecnologico: ci si scordava di precisare ccìbile che i Capi di Stato e di Governo, in- a! servizio di quali ideali l'Europa unita ilece di calarsi subito in n e ~ o z i a t idi basso avrebbe dovuto superare questo gap. Più tarlivello, corzfrontassero alla luce del sole le dz si è cominciato ci piangere sull'inquinadiverse loro visioni sulla soluzione dei nodi europei (difesa, moneta, coiiirnercio internazionale, eccetera), spiegando come esse potrebbero servire non a zrn solo Paese conso- il dibattito ciato, nia all'intera Comunità europea. E' eviIl dibattito, presieduto nella inattinata dal dente che sui vari izorli ciascun Paese dovreb- Vice presidente Giuseppe Bufardeci, e nel be presentare una serie di soluzioni com- pomeriggio dal Vice presidente Angelo Vinpossibili. cenzo Curci, si è articolato su ciascuna delle Conzz~izque,ha ripreso Serafini, detto del- due re1a;ioni dopo gli interilenti, come abbianzo detto all'inizio, di Martini e di Seral'esigeizza di itn Governo europeo, occorre l'intervento di Serafini febbraio 1974 COMUNI D'EUROPA fini. In particolare, sulla relazione Lagorio sono intervenuti Curci, che ha sottolineato l'esigenza di uno stretto collegamento tra i Poteri comunali e provinciali con le Regioni, per rafforzare il dialogo con le Comunità europee, soprattutto nei temi che interessano più da vicino gli Enti locali; Carbone, che ha riassunto il documento da lui predisposto per il Consiglio nazionale, che abbiamo pubblicato integralmente; Bufardeci, che ha sottolineato il valore della proposta di legge suggerita da Carbone e ha ricordato la validità dell'azione che il CCE va da sempre conducendo nel campo europeo; Serafini, che ha sostenuto come sia necessario continuare ed intensificare il colloquio tra le Regioni e la CEE senza aspettare il parere del Governo centrale; Panizzi, che ha denunciato la limitazione dei poteri regionali ad opera non solo del Governo centrale (attraverso i decreti delegati e le leggi di attuazione delle direttive comunitarie) ma anche ad opera degli organi comunitari che, proi?zuovendo politiche settoriali, esautorano le Regioni; infine, Satanassi, che ha chiesto che I'AICCE si adoperi per stabilire rapporti più diretti sia con le forze parlamentari rappresentate a Strasburgo, sia con i partiti e i sindacati dell'arco costituzionale. Nel pomeriggio il dibattito è ripreso sulla relazione Petrilli e sull'intervento di Serafini. Sono intervenuti: Pistone, che ha sostenuto la priorità dell'elezione diretta del Parlamento europeo, attraverso u n processo eietforale popolare, rispetto al conferimento ad esso del potere costituente (gli Stati generali di Vienna potrebbero costituire, per la presenza di tutte le forze democratiche federaliste, il punto di partenza per questa battaglia federale); Orsello, che dopo aver criticato i Vertici perché affidati agli stessi uomini politici che hanno dato vita al sistema funzionalistico (fallito per l'assenza del « salto di qualità n), ha richiamato l'indispensabilità del « fronte democratico europeo »; Caria, che ha illustrato la inozione politica della Regione Calnpania, che pubblichiamo a parte, ed infine Bufardeci, che ha proposto, in vista degli Stati generali di Vienna, di tenere una conferenza di esponenti del « fronte democratico europeo » anche solo a livello italiano. la risoluzione PER UNA PIU' DIRETTA E REALE PARTECIE'AZIONE INTEGRAZIONE COMUNITARIA DELLE REGIONI ITALIANE ALLA - prende atto con soddisfazione del consenso sempre più ampio manifestato dalle Regioni italiane alla complessa strategia proposta dalI'AICCE, consenso testimoniato dalla loro adesione alllAssociazione, dalla creazione nel loro ambito di « uffici » per i problemi comunitari come auspicato dal Consiglio nazionale delI'AICCE del 20 giugno 1973, dal progressivo ricorso ai servizi dell'ufficio creato dal CCE a Bruxelles per il collegamento con la Comunità europea; I1 Consiglio nazionale dell'AICCE, riunito a Roma il 13 dicembre 1973: - udita la relazione svolta dal Presidente della Regione Toscana, Lagorio, sui problemi posti dalle relazioni tra le Regioni italiane e la Comunità economica europea e la discussione che ne è seguita; - constatato che I'AICCE, proprio a favore dell'attiva partecipazione delle Regioni intese come momento di programmazione e di coordinamento delle istanze degli enti locali - alla costruzione di unlEuropa democratica, ha sempre svolto una azione politica coerente che affonda le sue radici nella relazione Mortati al primo Congresso ordinario dell'AICCE (Forlì, maggio 1955) e nella relazione Ambrosini ai V Stati generali del CCE di Cannes (marzo 1960) sull'ordinamento regionale nella Repubblica italiana e la sua collocazione nel contesto europeo; - - ritiene che l'individuazione e l'attuazione di questo ruolo delle Regioni nella Comunità. diventino sempre più carichi di significato poli: tic0 e pratico via via che si va realizzando l'ordinamento regionale e che la Comunità va estendendo il suo campo di azione: basti ricordare la politica regionale, sociale, di protezione dell'ambiente, di riforma delle strutture agricole, di sostegno dell'agricoltura di montagna e di altre zone sfavorite e l'utilizzo dei fondi comunitari, in una parola tutti i settori che coinvolgono « materie » di competenza regionale o comunque tali da ripercuotersi direttamente sulla realtà regionale e locale; - ribadisce la necessità di evitare, nell'attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, ogni contrapposizione fra l'esigenza di osservanza degli impegni comunitari e il rispetto delle competenze costituzionali delle Regioni, contrapposizione che non ha ragione di essere e che finirebbe col rendere impopolari presso le Regioni gli stessi obblighi imposti dal Trattato di Roma, e quindi l'intero processo d'integrazione europea; - ausvica che. in occasione del dibattito (di valore esemplare) attualmente in corso dinnanzi alla comvetente Commissione della Camera dei ~ e p u t a t i ,il disegno di legge govemativo n. 2244 (riguardante appunto l'attuazione delle direttive agricole comunitarie n. 159, 160 e 161 del 1972) venga modificato nel senso proposto nel « parere » espresso dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera in data 28 novembre 1973, adottando cioè soluzioni giuridiche che garantiscano, anche al fine della tempestiva e corretta attuazione delle direttive comunitarie nell'interesse della nostra agricoltura, il pieno rispetto del quadro costituzionale; - invita, sulla base della comunicazione Carbone, la Segreteria politica del19AICCE a svolgere ogni opportuna azione di promozione e di coordinamento delle competenze regionali per quanto attiene ai problemi europei e, più specificamente, a promuovere, utilizzando la iniziativa regionale prevista dall'art. 121 della Costituzione, una legge ad hoc che assicuri e disciplini, precisandone le procedure di consultazione e le opportune sedi istituzionali, un effettivo ruolo ed una reale partecipazione regionale alle scelte governative nell'ambito della elaborazione degli atti comunitari oltre che alla attuazione ed integrazione delle politiche comunitarie nel nostro ordinamento. (approvata all'unanimità) I presenti al C.N. Membri: Ennio ABATE,Assessore al Comune di Trieste; Alberto AIARDI,Assessore al Comune di Teramo; Mario ARPEA, Assessore alla Provincia d e L'Aquila; Augusto ASSON, Vicesindaco del Comune di Bressanone/Brisen; MargheVicepresidente del CIME; Gavino Bazzorita BARNABEI, NI, Presidente della Provincia di Sassari; Guido BENEDETTI, Sindaco del Comune di Rovereto; Giuseppe BuFARDECI, Vicepresidente delegato dell'AICCE e Consigliere comunale di Forino; Bruno CAUETTO, Sindaco del Comune di Udine; Antonino CALARRETTA, Sindaco del CoConsigliere regionale mune di Soverato; Filippo CARTA, della Campania; Vittorio CASCETTA, Presidente della Regione Campania: Angelo V. CURCI, Vicepresidente delI'AICCE e Consigliere comunale di Taranto; Celso DESTEFANIS, esperto di problemi economici europei; Aurelio Doz~o, Co-Segretario dell'AICCE e Sindaco di Erve; Consigliere provinciale di BeneFerdinando FACCIIIANO, vento e Consigliere comunale di Ceppaloni; Pietro FALACIANI, Sindaco di Montevarchi; RaEEaele GALLUS,Presidente della Provincia di Cagliari; Luigi LADAGA, Consigliere comunale di Taranto; Italo LAGORIO, Sindaco di Presidente della Regione ToValfenera; Lelio LAGORTO, scana; Giovanni LANNA.della Regione Veneto; Jakob LECHTIIALER, Sindaco di Silandro/Schlanders; Pietro LoReLLo, Assessore al Comune di Palermo; Angelo LOTTI, Segretario generale del CIME; Ferruccio LUSTRISSY, Assessore alla Regione Valle d'Aosta; Eugenio MACCARI, Sindaco di Pramollo; Walter MAL~EZZI, Vicepresidente della Regione Toscana; Vincenzo MANUELGISMONDI. Assessore alla Provincia di Imperia; Gianfranco MIRTINI, Segretario generale aggiunto dell'AICCE e Consigliere comunale di Villanova del Ghebbo: Paolo MASCHEnuccr, Consigliere comunale di Frascati; Salvatore MEL?, Assessore alla Provincia di Cagliari; Mario MELIS, Assessore alla Regione Sardegna; Giuseppe MOTTA,Assessore alla Provincia di Pisa; Pier Enrico Monn, Sindaco del Comune di Casale Monferrato; Giampiero ORSELLO,Responsabile dell'Ufficio Enti locali del PSDI; Edoardo PAGGI, Assessore al Comune d i Pozzuoli; Alfredo PALADINO, Assessore al Comune di Napoli; Gabriele PANIZZI, Consigliere comunale di Terracina; Salvatore PARIGI, Assessore alla Regione Lombardia; Luciano PEDUZZI, 4ssessore al Comune di Milano; Giuseppe PI~ZZONI, Segretario generale dell'UNCEM; Sergio PISTONE,Segretario generale del Centro regionale Piemonte del MFE; Oscar PRINCIPE,Sindaco di Malvito; Paolo PULCI, Consigliere provinciale di Roma; Giuliano RICOTTI, Sindaco Sindaco di Chieti; Angelo di Ruino; Arduino ROCCIOLETTI, S~TASASSI, Sindaco di Forlì; Ernesto SCIIIANO, Consigliere provinciale di Napoli; Hermann SCHOEPF, Vicesindaco di Silandro/Schlanders; Umberto SERAFINI,Segretario generale dell'AICCE e Consigliere comunale di Vidracco; Pietro Soccru, Consigliere comunale di Oristano; Elena SONNINO, Segretario generale dell'AEDE; on. Ferdinando STORCHI;Pasquale T ~ o z z r ,Vice-responsabile dell'ufficio Enti locali del PSI; Guido VARLESE, Assessore alla Regione Lazio; Fernando VERA,Consigliere regionale del Piemonte; Carlo VISONE, Assessore alla Regione PieVicesindaco di Nocera Terimonte; Pasquale VOCATURO, nese; Mario ZUCCARINI, Consigliere comunale di Chieti; Invitali. Anna ADDUCI,Capo di Gabinetto della Regione Toscana; Carinelo AZZARA,Consigliere regionale della Basilicata; Galileo BARBIROTTI, Presidente del Consiglio regionale della Campania; Franco BASSANINI, Capo di Gabinetto del Ministero per l'ordinamento regionale; Alfredo BER~ANTI,Presidente del Consiglio regionale Friuli VeneziaCapo dell'Ufficio Stampa Giulia; Francesco BIANCHINI, del Ministero per l'ordinamento regionale; Giovanni BONCIORNO, Responsabile Ufficio di Roma della Regione Lombardia; Mauro BRESCI,della Regione Friuli VeneziaGiulia; Sergio CARBONE, docente all'università di Genova e consulente giuridico della Regione Liguria; Michele CASCINO,Vicepresidente del Consiglio regionale della Basilicata; Salvatore CHESSA, della Regione Sardegna; Giovanni COCIANSI, Assessore alla Regione Friuli VeneziaGiulia; Lucio CONTADINI, della Regione Trentino AltoAdige; Pino CREA,della Sezione Enti locali del PSI; Florindo D'AIhlhlO, Presidente del Consiglio regionale del Molise; Carlo DE ANCELIS,Assessore alla Regione Molise; Nicola DI GIOIA, dell'Ufficio p e r l'Italia delle Co-Segretario della FeComunità europee; Tullio FORNO, derazione regionale piemontese dell'AICCE; Ugo GRIPPO, Assessore alla Regione Campania; Oswald HACER, von STROBELE, Segretario del Consiglio provinciale di Bolzano/Bozen: Giovanni L A ~ R E A N Assessore O. alla Regione Basilicata; Libero LUCCONI,Consigliere regionale delle della Regione Emilia-Romagna; Marche; Licia M~SERATI, Carlo MERIANO, membro della Commissione italiana del MFE; Pietro MONNI, Vicepresidente del Consiglio regionale della Sardegna; Natalino PAONE,Consigliere regionale del Molise; Pasquale PERUCINI,Assessore alla Regione Calabria; Giuseppe PETRILLI,Presidente del CIME; Tonino Piazzr, Vicepresidente dell'UNCEM; Michele RICCIARDI,della Regione Campania; I l a n o ROSATI,Consigliere regionale della Toscana; Alfredo SANSOI.INI, Capo dell'ufficio di Roina della Regione Valle d'Aosta; Eriberto STORTI,della Sezione Enti locali del PSI; Girolaino VAI.ENLA,della Regione Marche. febbraio 1974 COMUNI D'EUROPA dizionarietto di Gianfranco Martini Nel 1947, immediatamente dopo la nascita ( o rinascita per quei partiti che, come in Italia, erano stati costretti alla clandestinità), i movimenti democratici cristiani europei si riunirono in una organizzazione interNouvelles équipes internanazionale: le tionales » (NEI). Scopo delle NEI era quello di « stabilire contatti regolari tra i gruppi e le personalità politiche delle varie nazioni che si ispirano ai principi della Democrazia cristiana, al fine di considerare e studiare le rispettive situazioni nazionali e i problemi internazionali, confrontare le esperienze e i programmi ricercando l'armonia nelle relazioni internazionali ». Fino al 1965 le NEI hanno svolto un'attività notevole sul piano della collaborazione diretta dei partiti democratici cristiani europei in favore della integrazione europea, che ha costituito il tema centrale in quasi tutti i Congressi internazionali. La presenza e il contributo di tutti i leaders democratici cristiani hanno posto le basi per una azione comune anche in altri settori della politica europea e mondiale. Ma l'incalzare dei problemi dell'integrazione europea e le prospettive di una sua organizzazione non solo economica ma politica che sembrava trovare nelle Comunità europee un preciso, anche se parziale, punto di riferimento, imponevano una radicale ristrutturazione dei rapporti f r a partiti democratici cristiani su scala europea. Nel 1965 le NEI si trasformavano, pertanto, in « Unione europea dei democratici cristiani » (UEDC) nel cui statuto era prevista espressamente la finalità di « sviluppare una collaborazione stretta e permanente tra i partiti democratici cristiani d'Europa, allo scopo di stabilire una politica comune ». La differenza' tra le due organizzazioni è quindi evidente: mentre le NEI si limitavano ad essere un organismo di contatto tra « Gruppi e personalità » d'ispirazione democratico-cristiana e di studio della realtà internazionale, I'LlEDC si pone come organo di stretta collaborazione tra i « partiti » di comune ispirazione. La nascita del1'UEDC coincide con una ripresa dell'iniziativa europea dei democratici cristiani, testimoniata da freauenti riunioni di consultazione reciproca (la conferenza dei Presidenti e dei Segretari politici dei partiti membri) e d a due importanti congressi, quello di Taormina (1965) e quello di Venezia (1968). L'UEDC è composta dai partiti DC di 11 Paesi (Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Malta Paesi Bassi, Repubblica di San Marino, Spagna, Svizzera), dalllUnione europea dei giovani DC (UEJDC) e dal gruppo DC del Parlamento europeo; quest'ultimo, importante e fondamentale elemento nella struttura politica delllUnione. Ma sono ancora una volta le vicende della Comunità europea e i problemi internazionali che inducono I'LIEDC a rivedere i suoi statuti in vista di una sua maggiore incidenza e rappresentatività. Nel 1971 entra in vigore il nuovo Statuto, in cui si precisa che 1'UEDC ha come scopi: promuovere e coordinare l'azione internazionale dei partiti democratici cristiani; condurre l'approfondimento dottrinale e promuovere gli studi po(( (( litici d'interesse generale per la Democrazia cristiana; assicurare l'affermazione dei valori umanistici e cristiani, dei principi di libertà, di democrazia e di giustizia sociale; assicurare la diffusione degli orientamenti e delle realizzazioni della Democrazia cristiana; più in particolare incrementare una stretta e duratura collaborazione tra i partiti democratici cristiani d'Europa, collaborazione intesa ad attuare una politica comune per la costruzione di una Europa Federale 9. Gli organi dell'UEDC sono: il Congresso, il Bureau politico, il Comitato Esecutivo, il Presidente, il Segretario generale. Attualmente, dopo il Congresso di Bonn del novembre 1973, è Presidente il tedesco von Hassel. L'on. Rumor, che è stato Presidente del1'UEDC dal 1965, è ora stato designato Presidente onorario. Segretario generale è l'on. Forlani. I1 Presidente è coadiuvato da 4 Vicepresidenti: Colin (Francia), Kohlmaier (Austria), Schmelzer (Paesi Bassi) e Tindemans (Belgio). Una novità nella struttura dirigente del1'UEDC è rappresentata dal Comitato politico dei partiti DC dei Paesi membri delle (( 17 Comunità europee », costituito dai membri del Bureau politico dei Paesi membri della Comunità e dai componenti l'ufficio di Presidenza del gruppo DC del Parlamento europeo. L'UEDC si vale dell'apporto del Centro internazionale democristiano d'informazione e documentazione » e di alcuni gruppi e commissioni di lavoro: su « Pensiero e azione » (di riflessione ed elaborazione dei motivi ispiratori della Democrazia cristiana), sulla « sicurezza europea » e sulla Regionalizzazione e politica regionale in Europa ». L'Assenzblea dei Delegati del CCE, riunitasi a Montecatini Ternze nel maggio 1973, dava mandato agli organi stattltari delllAssociazione di preparare una riunione comune con le organizzazioni europee dei partiti politici e i gruppi politici del Parlatnento europeo. Questa decisione si collocava nella tradizionale strategia del CCE tendente a coagulare attorno ad una azione cotntlne, e quindi più efficace, le varie forze reali che operano nella società europea, primi fra queste i partiti politici nelle loro strutture associative a livello europeo. E' parso quindi opportuno far conoscere, ai lettori di « Comuni d'Europa », in questa rubrica, i dati essenziali sulle Organizzazioni europee dei partiti politici: i n questo numero parliamo delllUnione europea dei democratici cristiani (UEDC). COMUNI D'EUROPA i8 politica organizzativa L'azione di massa del CCE A Mulhouse, in Francia, il 5 e 6 ottobre, sotto la presidenza del Sindaco, on. Mueller, si è riunita la terza Comrnissionc del CCE, con la partecipazione, pcr I'AICCE, del Segretario generale, Umberto Serafini, del Consigliere regionale del Piemonte Corrado Calsolaro, del Consigliere comunale di Taranto, Luigi Ladaga, membro dell'Esecutivo, e del Direttore per l'organizzazione, Consigliere comunale, Dornenico Falconi. La terza Commissione, detta anche « Commissioile per l'azione europea ha il compito di Cortnulare proposte agli organi statutari del CCE per una più adeguata ed efficace diffusione dell'idea di un9Europa sovranazicnale tra gli enti locali e, più in generale, nell'opinione pubblica, individuando i mezzi, gli strumenti e le procedure più adeg~iate in relazione all'evolversi della situazione europea. In altre parole, detta Commissione non ha il compito di operare delle scelte politiche di fondo, ma di tradurre in indicazioni concrete ed operative la sua riflessione sui diversi campi di azione europea del CCE, in modo d a renderla più efficace e più incisiva. L'ordine del giorno della riunione di Mulhouse comprendeva infatti tre temi di grande rilievo: la diffusione delle tesi delle prese di posizione del CCE, la formazione europea degli eletti locali e regionali e dei funzionari loro collaboratori, l'esame dell'evoluzione dei gemellaggi. Aprendo i lavori, il Presidente della Commissione ha tenuto a sottolineare come il primo argomento all'ordine del giorno implicasse Lin serio esame di coscienza - ed eventualmentc Lin processo di autocritica - di tutto il CCE nella sua organizzazione interna e nelle sue relazioni con l'opinione pubblica. A sua volta, la formazione europea nelle amministrazicni territoriali coinvolge una serie di problemi essenziali per l'adempimento dclle finalità statutarie del CCE. L'esame dell'cvoluzione dei gemellaggi, infine, riportava in primo piano l'importanza di questo tipo di iniziative, di cui il CCE t: stato promotore e alle quali deve essere mantenuto il suo irrinunciabile significato politico. La discussione sul primo punto si t soffermata soprattutto sulle strutture interne delle varie Sezioni nazionali del CCE: da esse. infatti, dipende anche la maggiore o minore capacità di creare una rete di diffusione attraverso la quale comunicare e far conoscere le prese di posizione dell'Associazione. I rappresentanti dclle varie Sezioni nazionali del CCE hanno esposto con tnolta franchezza le rispettive situazioni indicando anche le diverse priorità che ne derivano (politica regionale pcr i Pacsi caratterizzati da gravi squilibri territoriali, problemi degli immigrati pei quelli che ospitano una forte percentuale di mano d'opera proveniente dall'csterno, problemi della cooperariione tra regioni di frontiera nei Paesi, come quelli del Benelux, che si trovano geograficamente inseriti nel corpo dell'Europa) problemi pclitici e istituzionali piìi generali dell'integrazione europea, là dove, cotne in Italia, gli enti territoriali, e in particolare le Regioni, sono più politicizzate. Su questo punto ha insistito Serafini, con ri- ., ferimento alla proposta di legge di iniziativa regionale approvata da alcune Regioni italiane, in merito all'elezione a suffragio universale e diretto della delegazione italiana al Parlamento europeo. La Commissione di studio ha raccomandato vivamente agli organi statutari del CCE una azione di stitnolo nei confronti delle Sezioni nazionali affinché esse coprano nella misura più ampia possibile tutto il territorio mediante strutt~iredecentrate, capaci di assicurare una migliore informazione capillare e una continuità di contatti con i vari eletti locali. La discussione è proseguita poi sulle relazioni tra le varie Sezioni del CCE da un lato e le Organizzazioni politiche e sindacali, il Movimento Europeo e i Federalisti dall'altro, nel quadro della risoluzione approvata dalllAssemblea dei Delegati del CCE a Montecatini. Specie in un momento in cui la costruzione europea incontra gravi remore ed ostacoli - è stato constatato - è tanto più indispensabile serrare le fila e coordinare le azioni dei vari organismi in modo da renderle più efficaci e coerenti. Un'attenzione particolare è stata rivolta anche all'utilizzazione dei m~uss-mediu- soprattutto la stampa e la televisione - per una migliore diffusione della conoscenza dei problemi europei e delle iniziative del Consiglio dei Comuni d'Europa; t stato altresì constatato unanimemente il significato non solo politico, ma funzionale, della creazione a Bruxelles, da parte del CCE, di un Ufficio di collegamento con le Comunità europee che, tra l'altro, pubblica un bollettino in quattro lingue, utile struniento di informazione degli enti locali sui vari aspetti delle politiche comunitarie. Di fronte alle differenziate richieste degli amministratori locali di una loro migliore sensibilizzazione ai problemi europei, la Comtnissione di studio ha proposto l'elaborazionc di alcuni K schemi di relazioni >,che do- febbraio 1974 vrebbero facilitare la moltiplicazione di incontri e convegni sull'attività svolta dal CCE nel campo delle istituzioni europee, della politica regionale e dell'ainbiente, dei problemi delle regioni periferiche, della libera circolazione dei lavoratori, della cooperazione tra zone di confine, delle riforme amministrative e di finanza locale in alcuni paesi della Comunità. Un « albo » di relatori potrebbe essere predisposto sia sul piano nazionale che sul piano europeo, consentendo così, tra l'altro, un utile scambio e confronto di idee e di esperienze. Accanto alla formazione europea degli amministratori locali la Commissione di studio si è preoccupata anche di quella dei funzionari dei poteri locali e regionali. Infatti questi costituiscono i più immediati collaboratori degli eletti locali e una loro presa di coscienza delle responsabilità delle autorità territoriali nel processo d'integrazione europea non può che rendere più pronta ed incisiva la loro azione nell'ambito del CCE. Verrà quindi condotto a termine un sondaggio presso le varie sezioni nazionali per individuare le concrete possibilità di formazione europea sia degli eletti locali che dei funzionari nei singoli paesi. L'ultimo argomento all'ordine del giorno della riunione di Mulhouse è stato riservato ad un'attenta riflessione sulla situazione dei gemellaggi e sui modi più opportuni per renderli più numerosi e più costruttivi dal punto di vista politico. I1 numero dei gemellaggi organizzati dal CCE in Europa è veramente considerevole, ma la loro ripartizione geografica rivela notevoli squilibri. Infatti su circa 3.000 gemellaggi effettuati, circa il 75% riguarda la Francia e la Germania. Ciò si spiega non solo con la vicinanza dei due Paesi, ma, soprattutto, con le provviden7e legislative e finanziarie che fino ad oggi hanno favorito, tramite l'ufficio franco-tedesco della gioventù, gli scambi e i contatti (e, in questo quadro, anche i gemellaggi fra comuni), con la possibilità, per i comuni gemellati, di mantenere un ritmo costante di relazioni e di iniziative. E' giusto ricordare a tale proposito l'azione svolta in più occasioni dal(continua a pag. 31) il Centro di relazioni internazionali di Mulhouse, sede dei lavori della terza Commissione del CCE febbraio 1974 COMUNI D'EUROPA 19 Cronaca delle Istituzioni europee L'evoluzione istituzionale della Comunità europea verso l'unione politica: rapporto dalle I s t i t u ~ i ~ ncomunitarie i di Pier Virgilio Dastoli I Capi di Stato e di governo della Comunità a nove, riuniti a Parigi nei giorni 19 e 20 ottobre 1972, formularono - al punto n. 16 della Dichiarazione conclusiva - la « preghiera D, rivolta « alle istituzioni della Comunità n, di elaborare una relazione avente ad oggetto K l'insieme delle relazioni degli Stati membri » da trasformare, entro la fine dei 1980, in una unione europea. Tale relazione è destinata ad essere sottoposta ad una successiva conferenza al vertice, prevista per il 1975. In tal modo veniva avviata, formalmente, una procedura istituzionale che, per i fini assegnati dai Capi di Stato e di governo, va oltre i limiti giuridico-istituzionali contenuti nei Trattati di Roma. L'obiettivo assunto dalla conferenza al vertice di Parigi si colloca comunque (conformandovisi) nell'ottica della c.d. « filosofia D del Trattato istitutivo della Comunità europea. La filosofia del Trattato, che assegna ad esso fini politici trascendenti i suoi intrinseci fini economici, .è stata via via confermata dai governi dei Paesi membri, da ultimo alla conferenza delllAja dei Capi di Stato e di Governo (1 e 2 dicembre 1969). Nel documento conclusivo « i Capi di Stato e di governo tengono a riaffermare la fede nelle finalità politiche che attribuiscono alla Comunità ». Le Comunità europee - ribadiscono al punto 4 - « restano i l centro originale u partire dal quale l'unità europea si è sviluppata e ha preso il suo slancio ». I n quella sede fu deciso di passare dal periodo transitorio alla fase definitiva della Comunità europea e di approvare di conseguenza i regolamenti finanziari definitivi agricoli alla fine dell'anno P. Per quanto conccrne, infine, l'unione economica e monetaria - da una parte - e l'unione politica - dall'altra -: « essi hanno riaffermato la loro volontà di far progredire più rapidamente lo sviluppo ulteriore necessario al rafforzamento della Comunità e al suo sviluppo in una unione economica (punto n. 8 ) nonché « h a n n o incaricato i Ministri degli Esteri di studiare la migliore maniera per compiere progressi nel settore dell'unificazione politica, nella prospettiva dell'allargamento (n.d.r.: adesione del Regno Unito, Irlanda, Norvegia e Danimarca). I ministri faranno alcune proposte a questo riguardo prima della fine del giugno 1970 (punto n. 15). La « filosofia » del Trattato - infine - si colloca legittimamente nella linea degli impegni internazionalmente assunti dai Capi di Stato e di governo con la sottoscrizione del Preambolo al Trattato di Roma. « La dichiarazione - scriveva Trabucchi - è voluta come un prius che giustificherà le singole pattuizioni del Trattato, ma che le trascende, nel senso che la sua natura non è funzionale: essendo contenute nel preambolo indicazicni del vero significato dell'azione degli Stati, sono semmai le singole statuizioni del Trattato che devono adattarsi nell'interpretazione e nell'applicazione alla dichiarazione programmatica ». I1 1972 si era aperto sotto il segno del rinnovato dibattito sul problema del rafforzamento delle istituzioni. L'avvio - perlomeno formale - di una Unione economica e monetaria (prevista in tre tappe: piano c.d. Werner) e la contemporanea conclusione del periodo transitorio, indicato dal Trattato di Roma, avevano riproposto il problema della democraficifci e dell'efficacia della azione comunitaria, di fronte al progressivo accrcscimento delle sue competenze. Nella previsione del contemporaneo avviamento di tutta una serie di politiche comuni, non espressamente contenute nel Trattato istitutivo, veniva ad aggravarsi - inevitabilmente - lo squilibrio interno alle istituzioni comunitarie, già causa capitale del farraginoso rapporto di cooperazione fra Consiglio, Commissione e Parlamento e pesante ipoteca sulla capacità comunitaria di prendere ed imporre obiettivi ed impegni di natura globale. In questa situazione i termini apparentemente distinti - ed entrambi direttamente afferenti al dibattito sul « rafforzamento delle istituzioni comunitarie » - di « democraticità » ed « efficacia n delle Comunità europee mostrano in tutta la loro logica, urgenza e necessità di essere strettamente legati l'uno all'altro. I1 rapporto Vede1 La discussione su queste tematiche è ancora una volta innestata dalla Commissione esecutiva che (canto del cigno?!) sembra essere in grado di fungere da stimolo e f d a coscienza critica delle istitu7ioni comunitarie. La Commissione di Bruselles presenta, infatti, una relazione sui problemi attinenti all'ampliamento delle competenze del P.E. ed all'evoluzione istituzionale delle Comunità, nota come « rapporto Vede1 ». Tale relazione, elaborata in piena indipendenza da un gruppo « ad hoc » di quattordici personalità, presieduto dal decano Georges Vedel (preside onorario della facoltà di giurisprudenza di Parigi), è resa pubblica e contemporaneamente inviata al Consiglio dei Ministri il 25 marzo 1972. I1 gruppo ad hoc, nell'ambito del mandato conferitogli dalla Commissione, ha esaminato tutte le implicazioni derivanti dall'ampliamento delle competenze del P.E.: i) nella prospettiva di un ampliamento graduale delle competenze della Comunità e di un trasferimento graduale di alcune prerogative delle istituzioni degli Stati alle istituzioni comunitarie, da realizzarsi con il libero accordo di tutti gli Stati membri; « ii) allo scopo di dotare la Comunità di un sistema istituzionale efficace; " "'lo di garantire che le decisioni della Comunità siano prese in un quadro di legittimità democratica; « iv) tenendo conto dei principi e delle pratiche costituzionali dei singoli paesi membri della Comunità n. Per assolvere tale mandato, l'esame svolto dal gruppo ad hoc ha riguardato, in particolare: i) l'attività costituente del P.E., cui partecipano in varia misura la Commissione, il Consigiio, i Parlamenti ed i Governi nazionali, nonché gli stessi popoli direttamente (ad es. mediante referendum, n.d.r.); ii) la partecipazione del P.E. al processo legislativo comunitario in tutti i campi che rientrano o rientreranno nelle competenze della Comunità; « iii) la definizione della competenza del P.E. in materia di bilancio; iv) le funzioni del P.E. in materia di controllo politico sul potere esecutivo della Comunità (attualmente Commissione esecutiva); v) le dei poteri istituzioni tura e sul conseguenze del rafforzamento del P.E. sui rapporti fra le varie delle Comunità sulla loro strutloro metodo di lavoro; « vi) il rapporto fra il rafforzamento delle competenze del P.E. e la sua elezione a suffragio universale e diretto n. Al di là delle soluzioni tecniche e procedurali che il gruppo Vede1 dà ai problemi concernenti l'ampliamento delle competenze del P.E., è opportuno sottolineare, in questa sede, alcune affermazioni di principio che sono state fatte proprie dalla Commissione esecutiva e come tali inviate al Consiglio dei Ministri. Tali principi, pur nell'ottica delle soluzioni adottate dalla Commissione, sono la premessa necessaria per un reale sviluppo in senso unitario (oserei quasi dire federale ») delle istituzioni comunitarie (ammesso e non concesso che le attuali istituzioni possano avere, in sé, la capacità politica e giuridica di evolvere in senso federalc). « L a Comunità - scriveva il gruppo Vedel - per svolgere le sue funzioni che la attendono nel periodo definitivo, ha bisogno di una legittimazione democratica comunitaria, oltre quella che i governi responsabili le conferiscono. La necessità di tale legittimazione aumenta con l'ampliamento di tali compiti. « L'ampliamento delle compctcnzc a carattere largamente discrezionale contenuto in maniera esplicita od implicita nei Trattati non può avvenire senza il sostegno delle forze politiche e sociali ». « Il rafforzamento del ruolo del P.E. - s ~ t tolinea più oltre la relazione Vede1 - colma una lacuna non solo da un punto di vista democratico, m a anche da quello del tunzionamento efficace della Comunità D. Le proposte della Commissione, presentate alla conferenza dei Capi di Stato e di go(( COMUNI D'EUROPA verno di Parigi vengono senza esitazione relegate all'ultimo punto alllo.d.g. e come tali fanno oggetto dell'ultimo paragrafo del ccmunicato finale (ricordato all'inizio) chc giova qui riportare per esteso. « I Capi di Stato e di governo, essendosi assegnato come obiettivo capitale quello di trasformare, entro la fine dell'attuale decennio, e nell'assoluto rispetto dei trattati già sottoscritti, l'insieme delle relazioni degli Stati membri in una Unione europea, pregano le istituzioni della Comunità di elaborare a questo riguardo, entro la fine del 1975, una relazione destinata ad essere sottoposta ad una successiva conferenza al vertice D. La dizione del comunicato finale, volutamente fumosa e generica, ha intenzionalniente acceso la miccia delle polemiche sull'attribuzione delle competenze istituzionali per l'elaborazione del progetto di Unione europea da presentare al vertice previsto per il 1975 e sulla eventuale procedura di concertazione fra le singole istituzioni. Vi è comunque da sottolineare che - almeno fino all'autunno del 1973 - le istituzioni comunitarie si guardano bene dal farsi coinvolgere nel dibattito relativo alle dette competenze, dando la preferenza probabilmente ad una « abile » attività di temporeggiamento - in attesa dei primi passi che una di esse, in maniera autonoma, avrebbe compiuto - c/o evitando di procedere avventatamente su un terreno tanto vasto quanto difficile come l'unione europea. I1 silenzio è rotto (si fa per dire) dalla Commissione esecutiva e dal Parlamento (per bocca della sua con~missionepolitica) che, significativamente in coincidenza con l'ennesima svolta involutiva che trascina le Comunità verso una perdurante paralisi (complice stavolta la crisi energetica), danno faticosamente inizio - ognuno per sé e con risultati, come si vedrà, antitetici - alla procedura di elaborazione delle relazioni sull'unione politica. La Commissione esecutiva La Con~missione esecutiva si t. riunita a Duivcnvoord (Olanda) 1'11 cd il 12 ottobre 1973. « L'atmosfera di questo conclave - scriveva "Agence Europe" - subisce logicamente l'influenza della divisione degli spiriti e degli orientamcnti che si è manifestata ieri (il 10 ottobre, n.d.r.) quando è stato necessario prendere una decisione a proposito dei poteri budgetari del Parlamento (v. più oltre, nel paragrafo concernente il P.E., n.d.r.). I commissari hanno abbordato immediatamente il tema che si trova al centro delle loro riflessioni, ossia quale potrebbc essere il contenuto di un progetto di rapporto riguardante la trasformazione della Comunità in Unione. Bisogna sapere qual è il contributo che la Commissione in quanto tale può dare a questo lavoro, e sino a che punto questo contributo ha una vocazione "generalc", o, in altre parole, politica D. I commissari hanno converiuto che la realizzazione deve essere conforme ai principi che hanno ispirato la costruzione dell'Europa, alla evoluzione dclla situazione mondiale durante gli ultimi anni e alla vocazione dell'Europa nel mondo. E' risultato evidentc che i problemi a lungc terminc, posti per la realizzazione delllUp, (Unione politica), sono strettamente legati alle soluzioni che riceveranno certi problemi che si pongono a breve termine, cioè entro la fine dell'anno, fra l'altro nel settore dell'uem (Unione economica e monetaria), senza tralasciare gli aspetti istituzionali, la cui importanza sembra essere sempre più evidente, mano a mano che si avanza e che le difficoltà da superare diventando più importanti. Ma, al di sotto delle premesse generali sullc quali i commissari hanno trovato un accordo sostanziale, sulla procedura ( e men che meno sulla sostanza del rapporto per 1'Up) la Commissione è riuscita a raggiungere un compromesso benché minimale. La situazione all'interno della Commissione, infatti, si è notevolmente deteriorata, come risulterà del resto nel prosieguo del mio dire. La struttura attuale della Commissione - che .è forse la più politicizzata dalla nascita della Comunità - anziché essere di stimolo per una più energica azione della stessa nei confronti del Consiglio dei Ministri, ha al contrario funzionato da freno verso l'esterno e da moltiplicatore dei contrasti all'interno. Le reazioni che la Commissione ha ufficializzato di fronte all'immobilismo progressivo in seno al Consiglio dei Ministri (causa prima il prevalere degli interessi nazionali sugli obiettivi comunitari) si sono fatte via via sempre più povere di a carica stimolante » e di « inventiva » riducendosi così l'azione dell'esecutivo ad un C realismo minimale ». Le proposte della Commissione in materia di poteri budgetari (e che hanno scatenato reazioni forse inimmaginabili in seno a! Parlamento europeo) sono inequivocabilmente indicative del processo di deterioramento avvenuto nell'azione dell'Esecutivo comunitario. Con l'eccezione di Altiero Spinelli, ora completamente isolato e la cui K ideologia » di base è oramai una voce che grida nel deserto del più gretto funzionalismo comunitario e della sclerosi dell'eurocra7ia brusselliana, il resto dei commissari (pur ammettendo la buona fede di alcuni di essi) si è fatto coinvolgere in un processo che ha già avuto - quale risultato intermedio - la trasformazione della Commissione (un tempo motore della Comunità) in un vero e proprio « searetariato politico del Consiglio dei Ministri ». Si è così venuto a consolidare, di fatto, un piano ispirato dalla filosofia dell'europeismo gollista, avallato ora dall'azione frenante dei conservatori inglesi, gli unici rappresentanti britannici nelle Comunità ad ogni livello. I1 blocco progressivo delle più importanti politiche comuni - alcune delle quali ancora non erano state avviate (v. la politica reqionale) - ha coinciso quindi con la cristallizzazione dello squilibrato sistema dei rapporti fra le istituzioni comunitarie, sistema che vede in posizione preminente il Consiglio dei Ministri, organo legislativo e cassa di risonanza degli interessi nazionali, con conseguente emarginazione delle altre due istituzioni (Commissione e P.E.) da ogni reale processo decisionale della Comunità. Vi è da registrare, Iast but not least, la C( Dichiarazione sullo stato della Comunità fatta in data 31 gennaio u.s. a nome della Commissione esecutiva dal Presidente Ortoli. I1 documento finale è stato elaborato sulla base di alcune note presentate a tale riguardo dai commissari Ortoli, Scarascia Mugnozza, Spinelli ed Haferkamp. febbraio 1974 La nota di Spinelli è rimasta, come risulta da un accostamento anche superficiale con il documento ufficiale della Commissione, assolutamente minoritaria. Spinelli ha dichiarato che C( si avvicina il momento in cui la rinazionalizzazione delle politiche dei Paesi associati diverrà irreversibile D. Secondo il commissario italiano i tempi delle risposte tecniche sono superati D. Egli ha sollecitato la Commissione a chiedere ai governi di dare al P.E. il mandato di approntare un progetto di costituzione comprendente le riforme istituzionali necessarie per far funzionare un reale governo europeo. Questo progetto dovrebbe poi essere ratificato dai Parlamenti nazionali o da referendum popolari. Spinelli, infine, ha chiesto che (C la Commissione proponga che questa procedura costituente sia adottata senza ritardi, come è tecnicamente possibile. Ma è evidente - conclude il commissario italiano - che uno o due anni passeranno prima che il governo europeo esista effettivamente D. La posizione assunta da Spinelli si colloca nella logica e nella strategia della sua battaglia necessaria, ma difficile per il posto in cui egli si trova. La sua richiesta di affidare al Parlamento europeo la funzione costituente della Unione politica europea è coerentemente legata alla visione spinelliana n, della futura Comunità politica. K I n realtà, la Comunità - egli scriveva ne «L'Avventura Europea P - non è solo un'associazione di Stati; è anche un corpo politico dotato di personalità propria, sovraordinato in certi campi agli Stati, dotato di proprie istanze, produttore di decisioni che devono essere adottate dagli Stati membri e rispettate dai cittadini. Quel che per gli Stati è quindi uri trattato, per la Comunità è la sua costituzione; quel che per gli Stati è una revisione del trattato, per la Comunità è una revisione costituzionale. « S e in quanto trattato internazionale la revisione deve essere preparata da una conferenza diplomatica, il costume democratico dei nostri paesi esige che, in quanto costituzione della Comunità, la revisione sia preparata dall'istituzione che ne rappresenta il popolo, cioè il Parlamento europeo D. «Oltre che essere più corretta dal punto di vista democratico - sottolineava ancora Spinelli - questa procedura ha il grande e fondamentale vantaggio politico di far partecipare alla costruzione europea tutte le forze politiche popolari nell'ambito di una istituzione che per sua natura è interessata in modo permanente e forte allo sviluppo della Comunità ». A fronte di questa posizione « spinelliana » si pone la «dichiarazione sullo stato della Comunità » della Commissione. Tale dichiarazione - è bene dirlo a chiare lettere può essere vista soltanto nell'ottica della strategia posta in essere da de Gaulle e praticamente avallata dalla complice inerzia dei cinque (ora otto) pnrtners europei. In sostanza dalla « dichiarazione sullo stato della Comunità » si delinea con una certa nettezza unlEuropa dotata sì di politiche comuni, ma non di organi comuni effettivamente in grado di gestirle. K La situazione attuale delllEuropa - a detta della Commissione - può avere soltanto una causa: un dubbio. anche inconsapevole (sic!), sul posto da dare alla costruzione europea come mezzo per vincere le dif- febbraio 1974 COMLINI D'ELIROPA 21 definita come una « piccola rivoluzione » nel La Commissione esecutiva assisterebbe ai sistema dei rapporti tra istituzioni comu- lavori, m a senza diritto di voto. nitarie. - Sulle proposte della commissione di La Commissione esecutiva, con le sue re- concertazionc, il Consiglio deciderebbe a centi proposte « minimali » al Consiglio si è maggioranza qualificata cd il P.E. con la volontariamente (in materia di bilancio) pri- maggioranza dei suoi membri ed a maggiovata di quella parvenza di legittimazione de- ranza semplice dei voti espressi. mocratica che il Parlamento europeo dava - I n caso che la proposta fosse respinta alle sue proposte, con l'avallo della indiretta dal Consiglio o dal Parlamento, la commismediazione tra opinione pubblica e Comunità. sione di concertazione sarebbe nuovamente I1 Parlamento, da parte sua, ha subito dato incaricata dopo uno scambio di vedute fra il inizio a d una autonoma procedura di collaParlamento europeo ed il Consiglio in seborazione con il Consiglio dei Ministri, tesa duta plenaria. alla ricerca di un procedimento di stretta - In caso di sconfitta di questo secondo concertazione fra le due istituzioni in matentativo di conciliazione e se il Parlamento teria di bilancio. I n seno al Parlamento europeo la discus- si pronunciasse con la metà più uno dei suoi sione e i maggiori contrasti si sono avuti fra membri e con due terzi dei voti espressi, il Commissione per il bilancio, da una parte, e Consiglio non potrebbe modificare questa decisione se non con un voto unanime ed Commissione politica, dall'altra. in seduta pubblica. Un'astensione nel ConI punti principali e più controversi erano: la creazione di nuove risorse proprie e il siglio impedirebbe l'unanimità c.d. « dernier mot » sugli atti comunitari Questa risoluzione del P.E. necessita, nel aventi un rilievo finanziario. Per ciò che concerne questo punto, il Par- caso sia accolta dal Consiglio dei Ministri, lamento europeo, nella seduta del 4 e 5 ot- di una revisione del Trattato. Per quel che concerne le nuove risorse protobre 1973, aveva esaminato due proposte prie, il P.E. ha respinto la formula della alternative: 1) rapporto Spénale, a nome della Commissione per il bilancio, che pre- Commissione per il bilancio, che tendeva a limitare l'aumento della T.V.A. (Imposta sul vedeva il potere del « dernier mot » a favore Valore Aggiunto) (in percentuale) a un solo del P.E.; 2) rapporto Kirk, a nome della Commissione politica, che proponeva l'istitu- punto. L'Assemblea ha proposto che le decisioni in zionalizzazione della procedura di concertamerito a questo problema siano prese dal zione (c.d. « navette » o « concertation au Parlamento europeo, su proposta della Comfinish n). I1 Parlamento europeo missione, ma dopo un accordo unanime del Nella ricordata seduta del 4 e 5 ottobre, il Consiglio. L'azione del Parlamento europeo, al con- Parlamento europeo adottava una risoluzione Sulla base delle conclusioni alle quali il trario di quella della Commissione, si è fatta emendata dall'on. Aigner, a nome del grupè pervenuto al termine del dibattito del P.E. nel corso del 1973 ed ancora nel 1974, più po democratico-cristiano, che veniva accolta 4 e 5 ottobre 1973, la Commissione esecutiva decisa. dalllAssemblea. ha messo a punto delle nuove proposte che Se si dovesse individuare oggi a Bruxelles I n seguito a questa risoluzione, il Consi- h; trasmesso al Consiglio ed al Parlamento. uri interlocutore da privilegiare nella battaglio dei Ministri avrebbe mantenuto il poLa Commissione h a preparato inoltre il seglia che il CCE si prepara a condurre per tere del « dernier mot », ma solamente a que- guente « Progetto di una Dich~arazionecorrzula Comunità federata, bisognerebbe guardare ne del Parlanzento europeo, del Consiglio e con attenzione l'evoluzione politica all'inter- ste condizioni: « in caso di disaccordo, una " commisCoinrrzissione relativa all'instaurazione della no del P.E. e nei suoi rapporti con le altre sione di concertazione" sarebbe stata istitui- di una procedura di concertazione D : istituzioni. L'Assemblea di Strasburgo - costretta a ta al fine di ricercare una soluzio'ne di com1) E' istituita una procedura di co'ncertavestire un abito non suo: il consulente auto- promesso. Tale commissio~ne sarebbe com- zione fra il Parlamento europeo ed il Conrevole della Commissione e del Consiglio -, posta in modo paritario dal Consiglio e dal siglio, con il concorso attivo della Comha subito, in misura maggiore delle altre isti- P.E. missione. tuzioni, l'inevitabile usura derivante dal già ricordato squilibrio nel sistema di rapporti e competenze intracomunitarie. La progressiva trasformazione delle componenti politiche all'interno dell'Assemblea, il maggiore impegno europeista di molti suoi deputati, la ritrovata consapevolezza della essenziale funzione di tramite fra forze politiche e sociali (l'opinione pubblica, indirettamente rappresentata) e le decisioni comunitarie (anche se solo a livello consultivo); non ultima la recente presa di coscienza da parte di un vasto arco delle forze democratiche di sinistra della urgenza e della necessità di una loro più incisiva azione sul piano dell'evoluzione e della legittimazione democratica delllEuropa comunitaria, tutto ciò ha indubbiamente contribuito a dare all'assise di Strasburgo quel minimo di coraggio per battersi a favore di un progressivo accrescimento delle sue funzioni (specialmente in materia di bilancio e di risorse finanziarie). ficoltà, oggi o a termine, e di assicurare ai nostri popoli l'avvenire ». In tal modo si sposta abilmente l'ottica del dibattito dal rafforzamento e dall'evoluione delle istituzioni comunitarie in un'unione politica al problema della collocazione della comunità: come se a monte di tutto ciò non debba esserci una volontà politlca comune espressa da un organo politico comune (goveri?~e10 Parlarrzento). E' indispensabile - a giudizio della Commissione - far convergere (e non unificare! n.d.r.) le politiche. I n alcuni casi, occorre compiere (bontà loro!) azioni comuni D. « 11 rilancio delllEuropa esige - conclude il documento della Commissione - un cambiamento duraturo del comportamento degli Stati membri, un atteggiamento nuovo, più deciso, che ponga maggiormente in risalto il posto della politica europea nell'avvenire dei nostri popoli e che sia sentito come tale all'interno ed all'esterno delle nostre frontiere. Ma ciò non basta. I1 grado di unità di cui l'Europa ha bisogno richiede istituzioni capaci di attuare costantemente e senLa ritardi una politica vera. Da questo punto di vista le istituzioni attuali sono al limite delle loro possibilità. Gli indispensabili miglioramenti permetteranno soltanto di assicurare una maggiore efficienza di funzionamento, in attesa che venga raggiunto l'obiettivo che i nostri nove Paesi già si sono prefissi: la creazione di una unione europea ». I poteri in nzateria di bilancio La questione relativa all'accrescimento dei poteri del P.E. in materia finanziaria ha innescato la miccia di quella che può essere )). 22 come previsto dall'emendamento dell'onorevole Aigner. In effetti, il Consiglio che partecipa in quanto tale alla commissione di concertazione non sarà assolutamente disposto a fare 3) La Cominissione indica al momento del- delle concessioni poiché esso dispone del la sua proposta se l'atto considerato è suscet- « dernier mot ». I n queste condizioni, la concertazione non è - secondo l'on. Spénale tibile, a suo parere, di essere oggetto della che una farsa. procedura di concertazione. I1 Parlamento Nel dibattito che è seguito, tutti i parlapuò egualmcnte domandare l'apertura di mentari, tranne l'on. Terrenoire, hanno adequesta procedura fino al momento in cui rito alle tesi dell'on. Spénale. formula il suo parere. L'on. Aigner (D.C. tedesco), in particolare 4) La procedura si apre sc il Consiglio in- ha sostenuto che non aveva mai visto prentende discostarsi dal parere adottato con una dere dalla Commissione una decisione C così maggioranza significativa del Parlamento. stupida e così irresponsabile n. 5) La concertazione ha luogo in seno ad La risoluzione della Commissione è, a suo una comrnissione di concertazione, che raggiudizio, l'inizio del processo di dissolu~ione gruppa i membri del Consiglio ed i rappre- del Parlamento. sentanti del Parlamento. La Commissione L'on. Rossi (liberale francese) ha appoggiapartecipa ai lavori della commissione di con- to il punto di vista difeso da Spénale e certazione. Aigner; egli ha dichiarato che, se dovesse essere presentata la mozione di censura nei 6) La proccdura ha come obiettivo il raggiungimento di un accordo fra le due istitu- confronti della Commissione, tale mozione dovrà essere redatta in forma « positiva » in zioni (Parlamento e Consiglio, n.d.r.). niodo tale che opinione pubblica e Consiglio 7) Quando la commissione di concertaziosappiano ciò che vuole il Parlamento. ne ritiene che le posizioni delle due istituL'on. Fabrini (comunista italiano) ha dozioni sono molto vicine per permettere un mandato che fosse immediatamente esamiaccordo, la proposta è so'ttoposta al Parlanato il solo mezzo assegnato al Parlamento mento europeo - in seconda lettura -, ed per difendersi: cioè la mozione di censura. in seguito al Consiglio S . L'on. Gerlach (socialista tedesco) ha pro posto che il problema (della mozione di In scstanza, la proposta della Commissione prevede che il potere del « dernier mot » censura, n.d.v.) fosse rimesso al giudizio dei sia affidato al Consiglio (punto 7) con garan- gruppi politici. L'on. Spénale (presidente della Commiszie e condizioni notevolmente inferiori a sione), concludendo, ha aderito a tale proquelle previste dalla risoluzione Aigner. posta a nome della Commissione per il biIn seguito a tale progetto di risoluzione colancio. niune, si è riunita il 24 ottobre 1973 la ComSuccessivamente, il 26 ottobre 1973, si riumissione per il bilancio del P.E., sotto la niva a Bruxelles la Commissione politica del presidenza dell'on. Spénale. P.E., presieduta dall'on. Giraudo. I1 Presidente della Commissione, in apertu11 Presidente della Commissione dichiarava ra di seduta, ha espresso la propria amarezza che la Commissione politica doveva difendere e delusione per la decisione presa dall'Esecula risoluzione del P.E. che si trovava sul tativo comunitario. Egli ha poi attaccato viovolo del Consiglio dei Ministri e che, nonolentemente la Commissione, esprimendo il stante le proposte dell'Esecutivo comunitasuo rammarico perché i commissari avevano partecipato alle discussioni negli organi del rio, continuava a conservare il suo valore. L'on. Giraudo invitava poi la Commissione P.E. e, successivamente, avevano preso una esecutiva a continuare le sue riflessioni e ad decisione così rapida e senza appello, danusare, eventualmente, l'art. 149, 2/CEE, per done oltre tutto per prima cosa notizia alla emendare le sue proposte e permettere al stampa. Parlamento di essere associato più strettaL'on. Spénale ha poi fatto notare come la Commissione, sia nel 1965 che nel 1970, aveva mente al processo legislativo della Comunità. Successivamente è intervenuto, nel corso proposto il c.d. « dernier mot » a favore del del dibattito, l'on. Patjin. Egli ha giudicato la P.E. e che, oltre tutto, aveva in precedenza decisione della Commissione esecutiva un annunciato delle nuovc proposte, perché la decisione presa nel 1970 dal Consiglio non fatto politico molto importante. I1 Parlamenpoteva darle soddisfazione e perché era nelle to, a suo giudizio, sarà chiamato a valutarlo sue intenzioni e speranze che fosse attri- e, eventualmente, a sanzionarlo usando i buito al P.E. ciò che il Consiglio aveva ri- mezzi che gli sono propri. fiutato alla Commssione. Da parte sua, l'on. Faure ha giudicato che, Ora - ha continuato Spénale, - le propocon le sue proposte, la Commissione esecuste della Commissione lasciano il « dernier tiva ha rotto la propria solidarietà (la Commot » al Consiglio. Quanto alla sostanza, v~ission s'est désolidarisée) con il Parlal'on Spénale ha criticato molto vivacemente mento. la proposta della Commissione che mette a Concludendo il dibattito, i rappresentanti suo giudizio il Parlamento in una situazione dei gruppi politici si sono riservati di prendi estrema debolezza. dere una posizione sull'e\entualità di una L'on. Spénale ha criticato in particolare la mozione di censura. procedura di concertazione prevista nella Con lettera del Presidente del P.E., 1'Asquinta parte delle proposte della Com- semblea ha richiesto al potere legislativo missione. (Consiglio) di poter partecipare con propri La concertazione prevista dalla Commissio- membri delegati ai lavori del COREPER sul ne non ha alcun valore se essa non è sanzio- problema dei poteri budgetari. I1 Presidente nata dallo strumento del « dernier mot », di turno del Consiglio dei Ministri, da parte 2) La procedura è suscettibile di essere applicata per l'adozione degli atti comunitari di portata generale aventi implicazioni finanziarie rilevanti e la cui adozione non si impone in virtù di atti preesistenti. febbraio 1974 COMUNI D'EUROPA sua, ha già dato assicurazione che tale richiesta sarà esaminata al più presto (1). Vi è da registrare infine - a margine dell'ultima sessione plenaria del P.E. (svoltasi a Strasburgo dall'll al 15 febbraio 1974) la presa di posizione dei partiti di sinistra contro la Commissione esecutiva. L'on. Vals, presidente francese del gruppo socialista, ha espresso la sua convinzione che K la pusillanimità istituzionale del Consiglio e della Commissione non può più essere accettata dal Parlamento » ed ha annunciato che il suo gruppo depositerà una mozione di censura contro la Commissione esecutiva, chiedendo al Parlamento europeo di pronunciarsi formalmente su questo tema. Dato che quest'ipotesi ha tutte le possibilità di verificarsi, è possibile prevedere che in marzo il gruppo socialista proporrà al Parlamento di usare la facoltà che gli l: data dal Trattato di « rovesciare » la Commissione con un voto di censura. Le relazioni del P.E. per l'Unione politica A fronte della crisi di fiducia, di iiolonlà, di lucidità (per dirla con le parole del Presidente Ortoli) che ha investito l'attività della Commissione esecutiva, determinandone la paralisi nel conseguimento dei suoi compiti istituzionali in special modo per ciò che concerne l'elaborazione del rapporto sul-l'evoluzione istituzionale verso 1'Up - si pone oggi il tentativo della Commissione politica del P.E. di precostituire una relazione-base sull'Up, da presentare alla Conferenza al vertice di Bonn, quale contributo « costituente D dell'assemblea parlamentare europea. Sono infatti in gestazione, tutti dinnanzi alla summenzionata Commissione politica (Presidente il sen. Giraudo), le relazioni seguenti: -+ - rapporto Bertrand: sull'ulteriore evoluzione istituzionale della Comunità europea verso l'Unione europea (Unione politica); - rapporto Patijn: sul problema dell'elezione a suffragio diretto dei membri del Parlamento Europeo; - rapporto Bourges: sulla politica esteri< della Comunità; - rapporto Kirk: sulle procedure di evoluzione delle singole istituzioni comunitarie. ( 1 ) Nella sessione di marzo, il Consiglio dei Ministri degli esteri affronterà il problema dei poteri del P.E. Le prospettive di successo delle richieste dell'Assen~blea sono comunque nulle; anche dopo le dichiarazioni del ministro francese Jobert, della fine di febbraio. Jobert ha respinto il punto di vista del P.E. sulle decisioni che il Consiglio dei Ministri comunitario dovrà prendere prossimamente sul rafforzaniento dei poteri del Parlamento in materia di bilancio. Nel corso di un colloquio avuto a Parigi con lo stesso Jobert, una delegazione del P.E. - composta dal Presidente Berkhouwer e dai deputati francesi Colin, Spenale e Cousté - ha sostenuto la tesi che l'equilibrio comunitar-io si romperebbe se un rafforzamento sostanziale dei poteri di bilancio non desse al P.E. la possibilità di esercitare un efficace controllo sulle entrate e sullc spese della Comunità. Se il Consiglio rifiutasse i poteri richiesti - rirerisce l'Agenzia Europa Unita - si renderebbe responsabile di una grave crisi: il P.E. potrebbe rifiutare l'esame del bilancio per il 1975 o presentare una mozione di censura nei confronti della Commissione esecutiva. Jobert si è dichiarato personalmente favorcvole ad una concertazioiie approfondita con il P.E. sul rafforzamento dei suoi poteri in materia di bilancio, ma si è opposto a concedergli l'ultinia parola. COMUNI D'EUROPA febbraio 1974 I1 progetto di relazione di maggior respiro e di immediato interesse per il processo di Unione europea t: indubbiamente il primo, affidato al deputato democratico-cristiano belga on. Bertrand. La Commissione politica, riunitasi a Roma il 31 gennaio ed il 1" febbraio, ha già iniziato l'esame di tale progetto di relazione. Le discussioni di questi due giorni hanno avuto comunque per oggetto il solo aspetto procedurale della relazione Bertrand. La conclusione alla quale sono giunti i parlamentari europei t: stata che nella relazione dovranno essere indicati i principi, i fini, le competenze e gli organi delllUp, ma non in modo troppo dettagliato. Ai lavori ha partecipato, di sua iniziativa, il ministro degli esteri tedesco Walter Scheel, presidente di turno del Consiglio delle Comunità. Scheel, da parte sua, ha info'rmato la commissione parlamentare che il Consiglio si appresta a prendere molto presto delle decisioni (2) sulla procedura da adottare per la preparazione del documento ministeriale sull'Unione europea che sarà presentato al prossimo vertice. Scheel si è anche augurato che le consultazioni previste tra le quattro istituzioni - Consiglio, Commissione, Parlamento e Corte di Giustizia - abbiano luogo al più presto. Dal canto suo il vicepresidente dell'Esecutivo Scarascia-Mugnozza ha comunicato che la Commissione ha deciso di instaurare una procedura di contatto con il P a r l ~ m e n t o europeo - ed in particolare con la Commissione politica - per meglio seguire i vari stadi della preparazione del documento sull'Unione europea, che la Commissione (esecutiva, n.d.r.) auspica possa diventare un documento comune del Parlamento europeo e suo. Nel quadro di questa procedura di contatto, il presidente della Commissione politica sen. Giraudo ed il relatore Bertrand si sono poi recati a Bruxelles, dove hanno incontrato il Presidente Ortoli e lo stesso ScarasciaMugnozza. Nel corso dell'incontro sono state poste le basi per una concreta procedura di concertazione fra le due istituzioni. E' per il momento esclusa la formazione di una commissione paritetica, stante il non avanzato stato dei lavori della Commissione politica e la paralisi che ha colpito attualmente l'Esecutivo. L'iniziativa di Scarascia-Mugnozza ha comunque contribuito a far decantare, almeno in seno alla Commissione politica, la tensione esistente per la dura polemica in materia di poteri budgetari del P.E. A giudizio del sen. Giraudo il progetto di relazione Bertrand, emendato sulla base delIc indicazioni della Commissione politica c dei suggerimenti dell'Esecutivo comunitario, 23 sarà approvato dal P.E. nella sessione plcnaria di fine maggio, per permettere la sua presentazione alla conferenza al vertice prevista per il mese di giugno (3). Nella sostanza il progetto di relazione Bertrand seinbra essere il frutto di una serie di dibattiti in seno al gruppo DC del P.E. e di alcuni suggerimenti ed indicazioni presentati nell'ambito del Congresso UEDC dello scorso novembre a Bonn. Da informazioni assunte anche presso lo stesso relatore, l'on. Bertrand ricorda ncl suo progetto che le grandi linee dell'unione europea sono già state indicate dalla Conferenza al vertice di Parigi allorché è stata ribadita la volontà di fondare lo sviluppo della Comunità sulla democrazia, sulla libertà delle opinioni, sulla libera circolazione delle persone e delle idee, sulla partecipazione dei popoli per il trainite dei loro rappresentanti liberamente eletti ». A giudizio dell'on. Bertrand l'Unione europea, da un punto di vista qualitativo, dovrà essere più che una semplice estrapolazione dell'attuale Comunità. Essa non sarà né u n I Z L L O V O stato unitario né una nuova orgunizzuzione internazionale. ( 3 ) Nella riunione della Commissione politica del 21 e 22 febbraio u.s. si è esaminata la relazione Bei-trand nella sostanza, oltre che sulla procedura. Si è deciso comunque di elaborare una risoluzione interlocutoria, da presentare alla sessione plenaria del prossimo aprile. Si è poi posto il problema di coinvolgere le forze politiche all'azione del P.E. per 1'Up. I1 presidente Giraudo, da parte sua, con lettera inviata ai presidenti dei gruppi parlamentari, ha proposto la con,,ocazione di un vertice di le forze politiche per il prossimo autunno. Al di là della proposta Giraudo - che ha realisticamente poche possibilità di essere accolta vi è il proposito di convocare comunque una riunione delle varie forze politiche presenti nel P.E. Der discutere ampiamente dei oroblemi relativi all'Up europea. Nello stabilire le misure necessarie per il rafforzamento delle istituzioni comunitarie e l'evoli-izionc verso I'Up, l'on. Bertrand ritiene poco realistico attendersi che l'obiettivo finale possa essere raggiunto con un grande balzo qualitativo. Nel suo progetto di relazione viene quindi proposto un piano a tappe. 11 piano graduale, a suo giudizio, potrebbe prevedere tre fasi: 1st fase: un periodo transitorio fino alla fine del 1974, durante il quale si apportcranno alla struttura istituzionale - senza alcuna modifica dei trattati - quei miglioramenti sostanziali per il funzionamento della Comunità ormai avviata a trasformarsi in Unione europea; 2" fase: un periodo intcrmedio, dopo la prima ( « piccola n) revisione dei trattati; 3' fase: la fase finale, durante la quale attraverso una « grande >,riforma del trattato, da attuare tempestivamente entro il 1980, si creeranno gli organi delllUnionc europea, si stabiliranno le loro competenze cd entrerà finalmente in funzione l'Unione stessa. Per quanto concerne la prima fase, l'on. Bertrand ritiene necessario che vengano adottate alcune decisioni relative al funzionamento ed alle competenze delle istituzioni comunitarie. I1 Consiglio, in primo luogo, deve tornarc progressivamente al rispetto delle disposizioni del trattato che prevedono decisioni prese a maggioranza, Alla Commissione, inoltre, dovrebbero essere affidati generalmente i regolamenti di attuazione, come alcune decisioni di carattere tecnico, per le quali è necessario un organo e tecnicamente più adatto. più Ma, ciò che è particolarmente necessario a giudizio dell'on. Bertrand, è un più ampio A B A N C O DI NAPOLI1 Istituto di credito di dlritto pubbllco Fondato nel 1539 I I I Fondi patrimoniali e riserve: L. 99.754.952.734 DIREZIONE GENERALE - I NAPOLI Tutte le operazioni ed i servizi di banca CREDITO AGRARIO - CREDITO FONDIARIO CREDITO INDUSTRIALE E ALL'ARTIGIANATO MONTE DI CREDITO SU PEGNO 498 FILIALI IN ITALIA (2) « Nell'ambito dei lavori relativi al rafforzamento dei poteri in materia di bilancio, il Consiglio dei Mii-iistri [nella seduta del 4 e 5 febbraio 1974, n.d.r.1 ha proceduto ad un ampio dibattito che, in particolare, verteva sui problemi relativi all'introduzione di una procedura di consultazione tra il Consiglio ed il Parlamento Europeo relativamente a quegli atti che comportano implicazioni finanziarie notevoli, nonché a talune modificazioni della procedura vigente in materia di bilancio. Su una serie di punti si è delineata una convergenza di opinioni in seno al Consiglio. Tuttavia il Consiglio si è riservato di proseguire in una prossima riunione il dibattito su taluni problemi, allo scopo di definire i suoi orientamenti in questo settore D. I ORGANIZZAZIONE ALL'ESTERO Filiali: Buenos Aires - New York Rappresentanze: Bruxelles Buenos Aires - Francoforte s / M Londra - New York - Parigi - Zurigo - I I I Banca affiliata Banco di Napoli (Ethiopia) Share Co. - Asmara Raffaello Ufficio cambio permanente a bordo T/N Corrispondenti in tutto il mondo I> I COMUNI D'EUROPA potere di intervento del Parlamento nelle decisioni relative agli atti normativi. I1 potere di codecisione, in particolare, deve essere esteso mediante le seguenti misure: - obbligo di far ricorso alla procedura della « seconda lettura » ogniqualvolta il Consiglio si discosti dal parere del P.E.; - impossibilità del Consiglio di discostarsi da un parere espresso in seconda lettura dal P.E. se non con decisione unanime; tale decisione, inoltre, dovrebbe essere adottata in seduta pubblica; - attribuzione di un diritto di veto sospensivo (analoga proposta era stata fatta dal gruppo Vedel, n.d.r.); - miglioramento della c.d. procedura Luns per la ratifica dei trattati internazionali. Per quanto riguarda la seconda fase, a giudizio dell'on. Bertrand le modifiche del trattato dovranno entrare in vigore a partire dal 10 gennaio 1975, data in cui la Comunità sarà finanziata esclusivamente mediante risorse proprie ed accederà alla seconda fase dell'Unione economica e monetaria. Le modifiche del trattato, su indicazione della relazione Bertrand, dovranno comportare: - effettivi poteri in materia di bilancio; la trasformazione del diritto di codecisione del P.E. in un diritto di approvazione in virtù del quale le leggi della Comunità potranno essere promulgate soltanto allorché abbiano ottenuto la maggioranza sia in Consiglio che in Parlamento; - la ratifica obbligatoria delle decisioni di revisione del trattato e di estensione delle attività della Comunità; - l'intervento del P.E. nella investitura della Commissione o del suo Presidente; l'estensione della mozione di censura, dando la possibilità di destituire singoli membri della Commissione; - il diritto di codecisione del P.E. in materia di politica estera; - l'elezione del P.E. a suffragio universale diretto. - - Per quanto concerne la terza fase, la relazione Bertrand prevede, entro il 1980, la creazione di: - un governo europeo, unico centro di decisione; - un Parlamento europeo dotato di tutti i poteri propri di un'assemblea d e m e cratica; - la Camera degli Stati, che tuteli i legittimi interessi degli Stati membri. Passando ad alcune considerazioni di principio sul contenuto dell'unione europea, l'on. Bertrand suggerisce la creazione di basi giuridiche ulteriori (al trattato) per il raggiungimento di alcuni obiettivi, quali: - l'unione sociale; la politica regionale comune; - la politica estera comunc. - Oltre alle competenze attualmente assegnate alla Comunità dal trattato, la « grande riforma dei trattati n, a giudizio del relatore, dovrebbe prevedere: - la politica economica e monetaria; - la politica sociale; febbraio 1974 - la politica energetica; - la politica estera; - la politica in materia di difesa (per la quale è necessario garantire una difesa atomica propria alllEuropa). I1 trattato dovrebbe poi prevedere alcune autorità amministrative europee, direttamente subordinate al governo, quali: - l'ufficio europeo delle intese; - l'ufficio europeo del lavoro; - l'ufficio per il fondo sociale europeo; - l'ufficio per il fondo regionale eu- ropeo. Nell'esaminare la struttura del futuro governo europeo, il relatore ritiene opportuno che esso sia composto da ministri che non esercitano alcuna carica negli Stati membri di origine. I1 Presidente del Consiglio europeo viene eletto da una conferenla dei Capi di Stato o di governo. I1 P.E. dovrà partecipare nella forma opportuna alla sua investitura. I1 Presidente del Consiglio pronuncia din a n ~ ialle due Camere (Parlamento e Camera degli Stati) la sua dichiarazione governativa; il P.E., approvando la dichiarazione governativa, esprime la sua fiducia al Presidente del Consiglio. Se, infine, una mozione di sfiducia viene approvata dal P.E. a maggioranza, il governo europeo si dimette. La struttura del Parlamento europeo, come si è più sopra ricordato, deve essere - a giudizio del relatore - bicamerale. La Camera degli Stati rappresenta i legittimi interessi degli Stati aderenti, ed i suoi membri vengono inviati dai governi nazionali e di essi governi fanno parte come ministri o segretari di Stato. La « Camera dei rappresentanti » (o Parlamento propriamente detto) rappresenta i popoli dell'unione e viene liberamente eletta a suffragio universale e diretto. Si deve inoltre garantire che anche lo Stato più piccolo sia rappresentato da deputati appartenenti alle sue più importanti forze politiche. L'ultima parola fra le due « camere (durante il periodo transitorio) spetta di diritto alla Camera degli Stati. Accanto al progetto di relazione Bertrand (che, nella sua stesura definitiva, dovrà formare la « struttura portante » delle proposte che il Parlamento europeo formulerà alla conferenza al vertice), si pongono le summenzionate relazioni Patijn, Kirk e Bourges. Per quanto concerne queste ultime due, la loro elaborazione è ancora in alto mare. I1 rapporto Bourges, del resto, ripercorrer à la linea seguita anche dal 20 rapporto Davignon. I temi e le proposizioni di cui il relatore sarà portavoce si legano logicamente, in un relazione di causa ed effetto, con il rafforzamento, prima, delle istituzioni comunitarie e, poi, con l'accrescimento delle competenze comunitarie e l'evoluzione verso l'Unione politica. I1 rapporto Kirk, invece, risentirà ancora più direttamente dell'iter seguito dalla relazione Bertrand. La situazione politica interna alla Comunità, così come gli sviluppi della situazione britannica (Kirk è deputato conservatore britannico) avranno un'influenza determinante sull'elaborazione di tale rapporto. Molto importante ai fini di un chiarimento della volontà politica degli Stati membri di perseguire effettivamente il disegno di un'evoluzione della Comunità verso l'unione politica, risulta essere il progetto preliminare di relazione Patijn sul problema dell'elezione a suffragio diretto dei membri del lamento europeo. La legittimazione democratica dell'Assemblea di Strasburgo, attraverso l'elezione diretta dei suoi membri resta ancora oggi una tappa importante sulla via dell'unione, più per innegabili fini tattici, che per gli originari fini strategici delle battaglie federaliste. L'ipotetica buona fede dei governi nazionali, tanto retoricamente sbandierata dai vertici delllAja e di Parigi (oltre all'ultimo vertice di Copenaghen), potrebbe misurarsi proprio sul terreno dell'elezione diretta del Parlamento Europeo. Un'Assemblea con piena legittimazione democratica (si vuole qui accennare soltanto superficialmente alla tematica relativa a questo problema) potrà con maggiore autorevolezza proclamare il proprio diritto ad assumere su di sé l'incombenza di Assemblea Costituente dell'unione politica. La relazione dell'on. Patijn accantona comunque, nella sua stesura iniziale, tutta la problematica politica, per affrontare partitamente i controversi problemi tecnici che da anni (precisamente dal 1960, quando fu presentato il c.d. rapporto Schuijt) si agitano intorno alla questione. L'art. 138, par. 3 del trattato CEE -ricorda Patijn - prevede aprogetti intesi a permettere l'elezione a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri ». La relazione dell'on. Schuijt sulla procedura proposta nel progetto di accordo originario, dopo la consultazione di esperti e sulla base di un approfondito esame di tale problema - e in particolare dei suoi aspetti politici - si concludeva con la proposta di tenere elezioni del Parlamento europeo seguendo una procedura la cui elaborazione doveva essere demandata ai singoli Stati membri. L'on. Patijn pone quindi, a sé ed ai suoi interlocutori (ricordiamo che la relazione è stata elaborata nella forma di questionario), alcuni problemi sulla scelta di alcune disposizioni da adottare: - contemporaneità dell'elezione in tutti i paesi; - età minima identica per votare (diritt~ di elettorato attivo); - limiti di età identici per l'eleggibilità (diritto di elettorato passivo); - ammissione dei partiti. Per quanto riguarda le relazioni con i Parlamenti nazionali, il sistema attualmente in vigore prevede che tutti i membri del P.E. siano contemporaneamente membri del proprio Parlamento nazionale dal cui seno vengono eletti. Tale doppio mandato - sottolinea il relatore - comporta una lunga serie di oneri. L'on. Patijn propone quindi l'alternativa fra l'abolizione del doppio mandato ed il suo mantenimento. I n quest'ultimo caso si porrebbero le seguenti forme alternative: a ) il sistema attuale; b ) l'appartenenza dei membri del P.E. febbraio 1974 COMUNI D'EUROPA 25 anche al proprio Parlamento nazionale, con o senza diritto di voto; C ) l'esenzione dei membri del P.E. dalla partecipazione attiva ai lavori del proprio Parlamento nazionale; d ) la facoltà dei membri del P.E. di delegare il proprio diritto di voto in seno al Parlamento nazionale ad un altro deputato. L'art. 8 del progetto del 1960 - ricorda il relatore - prevedeva un'esauriente regolamentazione in base alla quale la qualità di deputato del P.E. è incompatibile con varie qualità fra cui, ad es.: Mario Albertini Andrea Chiti-Batelli Giuseppe Petrilli Sophie e Hans Scholl - membro del governo nazionale; - commissario CEE; - giudice o avvocato alla Corte di Giustizia CEE; - funzionario CEE o BEI, ecc. E' necessario ora sottoporre ad esame la sufficienza di tale regolamentazione in relazione alle mutate condizioni. La relazione Patijn pone poi, in successione, tutta una serie di altri problemi che riportiamo di seguito, soltanto accennati: Storia del federalismo europeo a cura di Edmondo Paolini Prefazione d i Altiero Spinelli - durata del mandato parlamentare e della legislatura del P.E.; - numero dei deputati; I N D I C E - passaggio dalla fase transitoria alla fase definitiva. A chiusura dello schema di relazione (in forma di questionario) sul problema dell'elezione a suffragio diretto dei membri del P.E., l'on. Patijn riporta i progetti degli onn. Westerterp, del gennaio 1971; Stewart, del 1972; Sir Tufton Beamish, sempre del 1972, sulle procedure di elezioni delle delegazioni nazionali in seno al P.E. (4) Sempre in seno alla Commissione politica è da riportare la discussione che la stessa Commissione ha intrapreso su un progetto di relazione dell'on. Lord Gladwyn sulla pclitica estera di difesa. La relazione e la discussione relativa assumono maggiore importanza oggi, dopo la pubblicazione delle rispettive relazioni dellJAssemblea NATO e di quella dell'UEO e nella più vasta disamina delle relazioni globali fra USA ed Europa. La relazione G l a d w y n sulla politica estera d i difesa Lord Gladwyn premette che sarebbe desiderabile operare nel senso di una entità di difesa delllEuropa occidentale nell'ambito delllAlleanza del Nord Atlantico (NATO). La ragione principale per la quale il P.E. si è sentito indotto ad esaminare questo problema - ha ricordato il relatore - è stata l'intuizione che se i ministri si accingevano ad armonizzare le loro politiche estere, essi avrebbero quasi senz'altro cercato di armonizzare anche le loro politiche sulla sicurezza. I1 relatore ricorda ancora il paragrafo 8 della dichiarazione d'identità europea approvata in margine al vertice di Copenaghen (per la quale si veda oltre) e, pur sottolineando i termini « deplorevolmente poco (4) Nella riunione della Commissione del 21 e 22 febbraio la relazione Patijn non è stata ancora presa in esame ed è stata messa al1'o.d.g. della riunione del 4 e 5 marzo. pag. PREFAZIONE di Altiero Spinelli PREMESSA di E. P. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 11 . . . . . 17 . . . . . . . . 43 49 64 75 . . 93 Parte Prima Edmondo Paolini Introduzione: DALLE ORIGINI A L 1939 . . . . . . . Mario Albertini LE RADICI STORICHE DEL FEDERALISMO EUROPEO I La teoria del federalismo . . . . . . . . . . . . Il Lo Stato federale . . . . . . . . . . . . . . . Il1 Nascita del federalismo europeo . . . . . . . . . IV Il federalismo come superamento de'lla divisione del genere umano . Parte Seconda Edmondo Paolini Introduzione: DAL 1939 A L 1957 . . . . . . . . . . . . Andrea Chiti-Batelli IL FEDERALISMO EUROPEO DALLF. RESISTENZA Al TRATTATI D I ROMA I Valori e l i m i t i della Resistenza federalista . . . . . . . . . . Il L'idea federalista i n Francia, Belgio e Inghilterra . . . . . . . . 111 11 federalismo nella Resistenza tedesca . . . . . . . . . . IV Il federalismo nella Resistenza olandese . . . . . . . . . . V Spunti federalisti nella Resistenza polacca . . . . VI I federalisti italiani . . . . . . . . . . . . . . . VI1 Il federalismo nel primo dopoguerra . . . . . . . . . . . . VIII Il Piano Marshall e l'OECE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . IX La CECA . x La CED e I'UEO . . . . . . . . . . . . . . . . XI Le comunità pseudo-sovrannaz~onali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . XII L'evoluzionedellasituazione i n t e r n a z i o n a l e . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Appendice 125 132 143 161 165 178 205 220 232 242 255 265 281 Parte Terza Edmondo Paolini Introduzione: DAL 1957 A D OGGI . . . . . . . . . . . . . Giuseppe Petrilli VALIDITA' E LIMITI DELL'ESPERIENZA COMUNITARIA ALLA LUCE DEL PENSIERO FEDERALISTA I Il metodo delle Comunità . . . . . . . . . . . Il L'automatismo economico e gii squilibri territoriali . . . . . . . . 111 1 m o t i v i dell'insuccesso . . . . . . . . . . . . . . . IV Il nuovo corso della politica comunitaria . . . . . . . . . . V Il nostro obiettivo: l'unità federale . . . . . . . . . . . VI Federalismo e autonomie locali . . . . . . . . . . . . VI1 Simultaneità della programmazione economica e della sistemazione d e l territorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VIII Piccola, media e grande Europa nella politica internazionale . IX Il Parlamento europeo e la sua elezione . . . . . . . . . . . Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . L. 2.100 Eri edizioni rai radiotelevisione italiana Classe unica 313 355 359 366 372 382 386 396 403 413 417 febbraio 1974 COMUNI D'EUROPA 26 divario esistente tra il lato politico del lavoro chiari del testo D, dichiara che in linea di dei Ministri e quello collegato con la Coprincipio bisognerebbe escogitare un metodo per armonizzare le politiche europee in ma- munità; teria di sicurezza. - per altri, invece, si andrebbe verso a giu- un'eccessiva accentuazione della separazione La difesa delllEuropa occidentale dizio di Lord Gladwyn - deve essere Pro- di tale tipo di difesa (UEO) dall'apparato gettata da quei membri della CEE che sono centrale della NATO, favorendo così il condisposti a far ciò con l'obiettivo principale ,etto di « terza forza» europea che si condi elaborare un comune Programma europeo trappone al concetto di « socio » europeo per la disponibilità e la produzione di arma- degli USA. menti convenzionali, onde sostituire quelli in uso attualmente e per il loro spiegamento b ) - Un'altra soluzione riguarderebbe il conformemente ad un piano comune. c.d, EURONAD (&e f a parte dell1EUROGROUP). Si potrebbe, con buona volontà e Ma dato che, ancor a per un certo tempo perlomeno, non si potrà attuare nelllEuropa con un'attiva partecipazione francese, trasforoccidentale un sistema di difesa « credibile » mare I'EURONAD in qualcosa di più vicino all'organo per gli armamenti previsto nella senza il poderoso sostegno, sia convenzionale che nucleare, degli USA, tale programma e relazione NATO dell'ottobre '70, oppure neltale piano dovrebbero ad un certo livello l'organo proposto da Burrows e Invin in essere concertati al comando USA ed in K I,a sicurezza dell'Europa occidentale D. seguito concordati con gli altri membri dell'Alleanza. I n che modo quindi - si chiede il relatoIn altre parole - sempre a giudizio del re- re - muovere verso un progetto europeo di latore - il molo di un'incipiente Comunità difesa? Se si esclude I'UEO (per i motivi Europea di Difesa dovrebbe essere generai- dianzi accennati), la sola possibilità consiste mente accettabile per i membri dell'Alleanza, in un rafforzamento della procedura relativa la quale dovrebbe essere rafforzata dalla alla cooperazione politica. creazione di un valido socio dell'America I Ministri della difesa di quegli Stati meme non indebolita dalla presenza di un potere bri della Comunità disposti a prendere in apparentemente rivale degli USA 0 anche di considerazione la costituzione di un sistema una « terza forza » potenzialmente neutrale dl sicurezza europeo nell'ambito della NATO t r a le due superpotenze (sic!). potrebbero unirsi ai loro colleghi degli Affari Del resto non è ossib bile - ammette il re- Esteri e avere con essi uno scambio generale latore - che un sistema di difesa specificata- d, opinioni. Potrebbe così emergere - a giumente europeo « nell'ambito della NATO p dizio di Lord Gladwyn - un progetto comufunzioni correttamente sen7a la piena ed at- ne per uno schema difensivo proprio deltiva partecipazione di tutti e quattro i ~ r i n - l'Europa occidentale, a proposito del quale cipali Stati membri della Comunità ampliata occorrerebbe, naturalmente, raggiungere lo (ivi compresa quindi la Francia, n.d.r.). accordo con gli USA. In ogni caso, comunque, sino a che l'LJni0Giungendo alle conclusioni del suo vrone europea non diverrà una realtà, è diffi- getto di relazione, lVon. Gladwn dichiara cile prevedere come un nuovo apparato di si- che, se si esclude la possibilità di un disarmo CurezZa (nell'ambito dellJA1leanza dell'Atlan- unilaterale, si aprono davanti alla Comunità quello tic0 del Nord) Possa essere considerata come entità, le seguenti strade: della CEE: saranno per forza due organizza- inazione: i membri della Comunità zioni separate. aver esaminato tutta una serie di op- potrebbero volere mantenere le loro forze più o meno al livello attuale, senza miglio7ioni, il relatore si chiede se « è possibile rare O standardizzare l'attuale armamento dicostruire un'entità di difesa sulla base del nleccanismo di cooperaz~one politica dei fensivo, dando piena fiducia alla disponibilità americana di mantenere indefinitamente nove ,,, alcun dubbio che, in linea questa sarebbe la soluzione miil proprio ombrello atomico » sull'Europa; di gliore, essendo del resto la più logica. - neutrali7zazione: i membri della COSi pongono quindi alcune soluzioni, che munità potrebbero spingersi oltre e sostenere che tanto la NATO quanto il patto - convenzionalmente - possiamo chiamare: di Varsavia sono ormai superflui e sarebbe a) UEO dai francesi): meqlio giungere alla creazione di una u zona questa organizzazione potrebbe essere consi- cmilitarizTata tra il R~~~ e l'oder, garanderata il nucleo del progettato sistema di t;ta da entrambe le superpotenze; difesa delllEuropa occidentale: più in parti- terza forza: adottando un atteggiacolare questa sarebbe la soluzione indicata, mento completamente diverso essi potrebpoiché I'UEO possiede un ufficio che si ocber0 cominciare a costruire, tanto sul piacupa della standardiz7azione degli armamenno strategico che tattico, una forza nucleare ti ed t: basata sul trattato, la cui clausola europea sotto un comando unificato, la quaoperativa (il causes foederis) è più vincole, unitamente ai necessari armamenti « conlante del corrispondente articolo del Tratvenzionali », permetterebbe alla Comunità di tato NATO. rendersi completamente indipendente da Vi sono comunque dellc obiezioni rilevanti appoggio che si oppongono a d una ristrutturazione UEO nel senso sopra proposto: Dopo aver sottolineato che - a SUO giudi- il trattato di Bruxelles (UEO) contiene zio - la prima soluzione è pericolosa, la seclausole discriminatorie nei confronti della conda disastrosa e la terza impossibile, il relatore sottopone all'esame della CommissioR.F.T.; pcrmanenlc degli arma- ne politica il progetto seguente, in via speri- il - menti non ha realizzato da quando esiste; - la niente prassi di lavoro dell'UEO per gli scopi suggeriti tenderebbe ad accentuare il mentale: a') EURONAD dovrebbe divenire l'organo europeo responsabile per l'acquisto e la produzione degli armamenti standardiz- zati convenzionali necessari per difendere in modo nuovo e accorto l'Europa occidentale; b ) la Francia dovrebbe partecipare attivamente al funzionamento di quest'organo; C) i membri dell'EURONAD che sono membri della Comunità dovrebbero agire sulla base di direttive emanate da una Commissione per la politica della sicurezza (composta dai direttori politici del ministero della difesa); d ) il FINABEL dovrebbe essere istituzionalizzato e trasformato in un organo in cui siano rappresentati i capi di stato maggiore di tutti i paesi membri della Comunità desiderosi di armonizzare la loro difesa comune. ESSO dovrebbe essere strettamente collegato all'EURONAD. La Struttura generale sarebbe, quindi, una struttura triangolare. e) sulla « direttiva » inviata alllEURONAD occorrerebbe quindi, dopo aver consultato la commissione e averne valutato il parere, raggiungere l'accordo con gli americani e con gli altri alleati; f ) una volta che tale procedura ad interim fosse stata attuata e messa in funzione, il P.E. potrebbe costituire una comm~ss~one per la sicurezza la quale elaborerebbe raccomandazioni al consiglio dei ~ i ~ i ~ ~ ~ i I ministri potrebbero quindi adottare la pratica, qualora fossero in discussione i problemi della sicurezza europea, di comparire davanti al Parlamento, il quale li potrebbe così interrogare (ogni commento è superfluo!) ( 5 ) . ~ ~ ~ ~ l ~ ~ i ~ ~ b b giài detto ~ ~del ~consiglio dei ~ i ~ i stri e della sua naturale funzione di cassa di risonanza ,, degli interessi nazionali. Il fatto che tutto il potere legislativo sia accentrato nelle mani del Consiglio è - incontestabilmente - uno dei fattori principali della paralisi delle politiche comunitarie e dello squilibrio istituzionale. Vi è poi da aggiungere che il Consiglio dei Ministri - in quanto organo legislativo - approfitta vergognosamente di una prassi irregolare e non riscontrabile in alcun sistema istituzionale nloderno: in quanto organo legislativo, infatti, le sue discussioni e le sue delibera,;,,; deliono essere pubbliche e a maggioranza (semplice o qualificata), (( Non v'è chi non veda come l'attuale prassi di tenere riunioni a porte chiuse e di prendere decisioni esclusivamente all'unanimità sia tutta a vantaggio dell'azione di « rinazionalizzazione » delle politiche comunitarie e, in definitiva, dell'avvilente fallimento della globalità dell'azione comune. Tutto ciò non viene contraddetto - ed anzi ne è palese conferma - dalle più recenti vicende in seno al Consiglio dei Ministri. I1 fallimento continuo dell'azione diplomatica in margine alle discussioni per la creazione di un Fondo reqionale. le vivissime polemiche f r a i Nove alla Conferenza di Washington sui problemi energetici, perpetuatesi anche alla fine di questa e che hanno ( 5 ) La relazione Gladwyn, al1'o.d.g. della riunione della Commissione politica del 21 e 22 febbraio., è- stata rinviata alla discussione che si terrà in una sessione della stessa Commissione del prossimo maggio. ~ COMUNI D'EUROPA febbraio 1974 ~ o s t o una seria i ~ o t e c a sulla possibilità - seppur minima - di dare finalmente avvio ad alcune politiche comuni (2.a fase dell'unione economica, politica regionale, politica energetica), I'opposizione dichiarata ed irriducibile della Francia ad un ampliamento dei poteri del P.E. almeno in materia di bilancio (v. quanto dicevamo in proposito nel paragrafo dedicato a tale problema); quanti altri elementi di disgregazione si sono avvicendati sullo scenario europeo negli ultimi tempi hanno dato il colpo definitivo alle speranze di un'evoluzione delle istituzioni europee in senso « funzionalista D. I risultati della Conferenza al vertice di Copenaghen, del resto, lungi dall'accendere nuove speranze sull'impegno dei Nove e sulla volontà politica dei governi nazionali di proseguire sulla via delllUnione europea, hanno al contrario accentuato le preoccupazioni che le pattuglie europeiste sparse sul territorio comunitario nutrivano per l'avvenire dell'Europa unita. Le dichiarazioni contenute nel comunicato finale di Copenaghen - che qui di seguito riportiamo - nella loro vuota vaghezza rappresentano probabilmente un asso indietro rispetto alle dichiarazioni delle Conferenze di Parigi e dell'Aia. I2 documento su2l'« identità europea I Capi di Stato e di Governo (in merito all'unione, n.d.r.) « hanno deciso di accelerare i lavori necessari alla definizione delllUnione europea della quale ne hanno fatto I'argomento principale in occasione della Conferenza di Parigi. Essi hanno chiesto alla presidenza di fare, senza indugio, proposte utili a questo fine n. I n merito a tale problema la Conferenza ha altresì approvato un documento sulla K identità europea » preparato dal Consiglio dei Ministri degli Esteri. K I nove - dice la dichiarazione - hanno la volontà politica di portare felicemente a termine la costruzione europea. « Essi sono decisi a salvaguardare gli elementi costitutivi della loro unità e gli obiettivi fondamentali della loro evoluzione futura quali sono stati definiti in occasione delle Conferenze al Vertice delllAja e di Parigi. « Conformemente alle decisioni della Conferenza di Parigi, i Nove riaffermano la loro intenzione di trasformare, prima della fine del decennio in corso, l'insieme delle loro relazioni in una Unione europea n. K Essi - dicevano nella premessa - intendono salvaguardare i principi della democrazia rappresentativa, dello Stato di diritto, finalità del progresdella giustizia sociale so economico - e del rispetto dei diritti dell'uomo, che costituiscono elementi fondamentali dell'identità europea » (6). - (6) « I1 Consiglio dei Ministri [nella seduta del 4 e 5 febbraio 1974 n.d.r.1 ha convenuto di in- caricare il Comitato dei Rappresentanti Permanenti di intraprendere senza indugio la preparazione. relativamente al Consiglio, del progetto di relazione previsto al paragrafo 16 del Comunicato della Conferenza dei Capi di Stato o di Governo tenuta a Parigi nell'ottobre 1972. A tal fine il Comitato dei Rappresentanti Permanenti potrà farsi assistere da un Gruppo ad hoc, i cui membri saranno designati dai Governi degli Stati membri. I1 lavoro del Comitato dei Rappresentanti Permanenti dovrà essere presentato al Consiglio in tempo utile perché quest'ultimo possa presentare ,. 27 ,. a questo appuntamento, senza sfruttare nella giusta direzione le indicazioni dell'assise di Per completare questo quadro della situaVienna e l'innegabile effetto moltiplicatore zione istituzionale delle Comunità europee e che gli Stati generali dei Comuni d'Europa delle possibilità di evoluzione delle stesse posseggono in potenza. istituzioni comunitarie verso l'Unione poliSe la strategia della lotta è comune tica è necessario tenere naturalmente conto come nessuno può negare - è questo il model « background » politico nazionale entro mento di lavorare insieme anche sul piano il quale le forze impegnate nell'azione eurotattico. pea debbono muoversi. La crisi delle istituzioni è anche crisi delLa complessità delle singole situazioni nale classi politiche al potere nazionale e nazionali è purtroppo nota e non è dato in zionaliste. E' la crisi di quelli che abbiamo questa sede approfondirne gli elementi eschiamato a i nemici dell'unificazione eusenziali ed indicarne le prospettive di svilupropea D. po (involutivo o evolutivo). x I nemici più importanti dell'unificazione La crisi che travaglia alcuni sistemi naeuropea - scriveva lucidamente Spinelli zionali può divenire crisi delle istituzioni e nella sua relazione al 30 congresso del Motravolgere con sé quei principi a cui faceva vimento Federalista nell'aprile 1949 - sono riferimento la dichiarazione dei Capi di Stato tutti coloro i cui interessi, sia economici, e di Governo sulll« identità europea n. sia politici, sia militari, sono collegati con il « Solo unlUnione Federale permetterà la mantenimento delle sovranità nazionali. I n salvaguardia degli Istituti democratici in ogni paese ci sono gruppi il cui prestigio ed modo da impedire che paesi privi di suffii cui privilegi sarebbero danneggiati da una ciente maturità politica possano mettere in limitazione delle sovranità. I loro interessi pericolo l'ordine generale » scrivevano nel sono meschini e sono pregiudizievoli ai poluglio 1944 i resistenti europei. poli nei loro complesso. Mantenendoli essi E' necessario ora individuare, per il procontribuiscono alla rovina dellfEuropa e del sieguo dell'azione del Consiglio dei Comuni loro paese n. d'Europa e dei Federalisti, da una parte, i K Ciascuno pensa al suo particolare. Sono « nemici dell'unificazione europea » e, dalgli industriali e gli operai delle industrie l'altra, quelle forze politiche e sociali che, protette; sono i burocrati che pianificano e anche solo potenzialmente, possono essere che dispensano favori, che sempre più hanno coinvolte nella battaglia che ci si appresta il senso della loro potenza e sono convinti a combattere. di essere divenuti indispensabili; sono i geGli Stati generali di Vienna sono, in nerali che sognano di avere forti eserciti; quest'ottica, l'occasione migliore per contare sono i ministri che si contemplano soddisfatlc forze sinceramente europeistiche e per coalizzarle intorno ad uno schema di Costi- ti nelle loro vesti di signori della guerra e del paese e di potenti della terra, e che si tuzione federale. sentono umiliati dalla prospettiva che le loro I n questo senso sarebbe estremamente funzioni si riducano a quelle di amministradannoso se le forze federaliste mancassero tori di regioni autonome, ma non più pieuna relazione provvisoria alla prossima Confe- namente sovrane; è la mezza cultura naziorenza presidenziale. nalista che considera il proprio paese portaI1 Consiglio ha del pari convenuto di invitare tore dello spirito universale ed inorridisce al il Presidente a mantenere i contatti con le altre Istituzioni della Comunità, onde facilitare l'ar- pensiero di sottomettere la propria gloriosa monizzazione dei lavori in questo settore ». nazione ad una qualsiasi autorità superiore n. 9-. L . 9.- Il a Programma di azione sociale discusso nella sessione di dicembre del Parlamento Europeo di Andrea Chiti-Batelli Alla sintesi dei lavori del Parlamento Europeo nel 1973 di Emilia Sarogni ("1 aggiungeremo come di consueto, a mo' di codicillo, un commento politico su due fatti importanti: uno, più ampio, sull'atteggiamento del Parlamento Europeo di fronte al Vertice; un altro, per cominciare - assai più breve sull'ultima iniziativa sociale in campo comunitario, e sull'atteggiamento in merito del Parlamento Europeo nella sessione di dicembre: appunto il « Programma di azione sociale » della Commissione (1). La relazione dell'on. Girardin (doc. 256173) ha detto tutto l'essenziale in argomento quando, nel rilevare che tale Programma « è certamente insufficiente e carente sotto molti aspetti n, e che resta in più punti al di qua degli stessi «lineamenti di un programma d'azione sociale » precedentemente (") Vedi il n . 1 - gennaio 1974 di . Comuni d'Europa D. (1) Completeremo e d aggiorneremo così quanto abbiamo già avuto occasione di scrivere, dando un giudizio d'insieme su tutta la politica sociale comunitai-ia, in <C Comuni d'Europa n dei geiinaio 1960, aprile 1971 e luglio-agosto 1973. presentati dalla stessa Commissione, ha mesSO in luce il suo difetto di fondo, che è poi il difetto di fondo, ormai, di tutta l'attività comunitaria: di non costituire, cioè, un piano organico, contenente un sistema ordinato di iniziative e di azioni entro il quale l'attività degli Stati membri in materia sociale sia subordinata e sussunta; ma proprio, all'inverso, qualche correttivo marginale di questa, accompagnato da tutta una enunciazione di principi a cui quelle singole politiche nazionali dovrebbero ispirarsi. C'è, ancora una volta, il nome della politica sociale comune, e non la cosa. Tale difetto di fondo è come simboleggiato e riassunto dal capovcrso di tale « Programma » che, nel testo suggerito dalla Commissione esecutiva, propone, tra gli altri obiettivi sociali della Comunità, quello di « promuovere un miglior funzionamento degli uffici nazionali del lavoro, attraverso la loro collaborazione, così da contribuire all'attuazione della politica del pieno e miglior impiego tanto nell'intera Comunità quanto a livello regionale D. febbraio 1974 COMIJNI D'EUROPA 28 Perfino il Parlamento Europeo, che pure si muove con i piedi di piombo, ha proposto, nella relazione Girardin (ma non ha poi approvato) che a tali parole siano aggiunte le altre: « questa collaborazione potrà essere rafforzata attraverso la creazione di un Ufficio Europeo del lavoro, i cui compiti sarano precisati in una proposta che la Commissione presenterà entro la fine del 1974 ». Più particolareggiatamente quel difetto di fondo che dicevo è stato illustrato da Girardin quando ha detto che in ordine a tutti e tre i punti fondamentali che un Programma sociale dovrebbe toccare - stabilire le priorità; prevedere i mezzi finanziari occorrenti; indicare chiararnentc gli strumenti giuridici ai quali ricorrere - il K Programma n della Commissione lascia mo'lto a desi. derare: s In esso l'indicazione dci niezzi finanziari occorrenti è limitata al 1974 C riguarda praticamentc soltanto la dotazione per l'articolo 4 del Fondo sociale [...l. Le priorità sembrano indicate non tanto sulla base delle effettive necessità sociali esistcnti nella Comunità, quanto sulla base delle possibilità pratiche di attuazione delle varie azioni da parte degli organi comunitari [...l. Per quanto riguarda poi i mezzi giuridici, non sono per ora previste soluzioni innovatrici, quali ad esempio il ricorso all'articolo 235 del trattato n. E dov'è chiara la lettera, non fare oscura glossa. O per dir meglio una piccola glossa si può fare: riassumendo telegraficamente i commenti formulati a Strashiirgo dagl'intervenuti nel dibattito ( è un programma, è stato detto, che è in realtà un inventario dei problemi sociali attuali; che stabilisce le priorità solo tenendo conto dei progetti già in atto; che in conseguenza non implica impegni e misure comunitarie concreti se non per certi N intervcnti di categoria » come il reinserimento nel lavoro delle donne al dilà dei 35 anni o dcgl'invalidi); e soprattutto riferire le conclusioni della signorina Lulling, socialista del Lussemburgo, che ci è sembrata ancora una volta quella chc, in materia sociale, formula, nel consesso strasburghese, le critiche più acute e pertinenti. « Di froiitc allc gravi carenze del programma al nostro esamc, essa ha dctto, occorre, per restare obiettivi, chiederci - constatando lo squilibrio istituzionalc attualc della nostra Comunità e il fatto che, come abbiamo potuto constatare in qucsti ultimi mesi, il Consiglio dei Ministri non k praticamente più capace di prenderc decisioni - fino a qual punto gli Stati mcinbri e i pal-tp~erssociali siano disposti ad abbandonare la loro sovranità nazionale, in matei-ia di politica sociale, a istituzioni comunitaric chc, attraverso regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni (o, pcr quanto rigunrda le parti sociali, attraverso convenzioni collettive europee) sarebbero incaricate di realizzare - esse, C non più gli stati e le parti sociali a livello nazionale - gli obiettivi di qucsto programma: i l pieno e il migliore impicgo. il miglioranlento delle condizioni di vita c di lavoro che consentano la loro eeualizzazione nel progrcsso. la partecipazione cosciente dclle parti sociali allc decisioni economiche e sociali della Comunità S . E' una domanda a cui anche la signorina Lulling non ha saputo dar risposta. E in assenza di tale risposta, la situazione re. sterà auella descritta da ~ i ~ nel ~ suo ~ ma viceversa, e che una politica sociale non raggia, nell'atteggiamento di questa di fronpuò essere il correttivo e il rimedio delle con- tc al Vertice, e ai problemi che il Vertice seguenze e ingiustizie create dalla politica economica in espansione, oggi lo scontiamo in un avrebbe dovuto affrontare, è la sostanziale modo brutale, anzi purtroppo lo scoriteranno i concordia delle opinioni, e la radicale assenlavoratori e particolarmente i lavoratori emi- za di progetti. Sotto questo profilo il casograti che devono rientrare ai paesi di origine, limite - che dico, l'esempio più tipico e oppure sono sotto la minaccia di doverlo fare. I1 modello di sviluppo assunto dai paesi mem- probante, l'ab uno disce omnes - è quello bri e pcrciò dalla Comunità economica europea, di Theo Sommer in « Die Zeit », che, alla con l'irrazionale e indiscriminata espansione dei vigilia di Copenaghen, in un articolo signiconsumi privati, a scapito particolarmente di ficativo anche nel titolo (Europa - bloss ein quelli pubblici, dunque delle più elementari esigenze collcttive, con una industrializzazione Spektakel?), dopo aver indicato la duplice che ha sempre avuto il pdvileqio nelle scelte linea di condotta che il nostro continente economiche senza organizzarle in un contesto dovrebbe seguire, se sapesse reagire virildi crescita civile dei nostri popoli, ci ha portato mente e responsabilmente di fronte ai due ora a correre il rischio che gli aspetti disuproblemi dell'ora (rispetto all'energia, unenmani dello sviluppo economico pesino sulle spallc dcll'Europa, scriLa avere diminuito gli svan- dosi in un vasto programma di ricerca di taggi che da questo sviluppo potevano derivare. fonti alternative (3) rispetto all'America, presentandosi come partner unico e capace di Ma a chi deve rivolgersi tale severa cri- trattar da pari a pari), e dopo aver affertica, se non a quellc forze di cui lo stesso mato con estrema decisione che ciò non riGirardin è rappresentante, e che non hanno chiede vaghe affermazioni e aspirazioni, ma mai avuto altra politica comunitaria se non « concreti programmi di volontà politica n, non ha saputo dar la minima indicazione quella? Vedremo qui di scguilo come un'indagine in tal senso, cadendo anch'egli appunto sull'atteggiamento del Parlamento Europeo nel « vago » che rivela - medice cura te nei confronti del Vertice di Copenaghen in- ipsum - che di volontà politica, dietro duca alla stessa critica e svuoti i dibattiti di quelle parole, non c'è neppur l'ombra. CoStrasburgo di ogni rcalc significato politico. me credere allora a questi falsi profeti? Era logico che i risultati fossero conformi a tale stato d'animo, dei partiti, della stampa, IL PARLAMENTO EUROPEO DI FRONTE dell'opinione pubblica: in fondo i governi ne sono lo specchio, e non vi è nessuno, fra AL VERTICE DI COPENAGHEN i loro membri, che sappia essere un trascinatore. Perciò, se il « modello » dell'atteg1. La situazione giamento pre-vertice è quello del Sommer, il modello dell'atteggiamento post-vertice è I1 commento più laconico e più efficace quello un po' di tutta la stampa - che fatto a proposito del Vertice di Copenaghen ha scritto e ripetuto: siano nonostante tutto è quello del corrispondente del « Monde », soddisfatti, perché, malgrado la grave situaPhilippe Lemaitre. Esso si riferisce al co- zione, la Comunità non si è disintegrata. municato sulla politica energetica, ma può Non si è disintegrata, certo; ma ha fatto essere esteso a tutte le decisioni dei Nove: un altro passo importante verso la sua disin« On démande à la Commission de sortir tegrazione. Senza dubbio - ha scritto il « Fide ses tiroirs des testes déjà prets », cioè nancial Times » - i capi di governo sono riudi tirar fuori proposte già da tempo pre- sciti ad accordarsi su tre dichiarazioni; ma sentate e a tutti note: e, anche queste, a non vi è molto che consenta di ritenere che condizione che non siano cogenti, si limi- vi sia un accordo profondo sui problemi tino a proporre una concertazione e lascino fondamentali che la Comunità deve affrondi fatto mani libere agli stati, come appunto tare. E infatti, appena tre giorni dopo, si è avvenuto per l'energia. è avuto un altro caso paradigmatico: nessun I n assenza di volontà politica, e fidando accordo fra i ministri competenti, circa la sulla poca memoria degli europei, si ridanno creazione del Fondo regionale, e il rinvio di continuamente mandati di studio su questio- ogni decisione, nonostante che quello fosse ni su cui nulla vi è più da indagarc, e non forse il solo punto su cui il Vertice aveva resterebbe se non da decidere. E le decisio- preso un impegno preciso: nascita del Fonni, invecc, si prendono solo quando vi si è do col primo gennaio del 1974. costretti dagli altri: per esempio dagli arabi, I1 K Monde » - un giornale per altro vcrso e nel senso di uno squallido appeasemeni sempre gravemente responsabile, nel pasche fa pensare come la finladizzazione del sato prossimo comc meno prossimo (proprio nostro continente sia ormai irreversibile. come « Die Zeit n), della progressiva decadenPer il resto, un'innocua dichiarazione di in- za dcll'idea europea, e al quale perciò vanno tenzioni sulla « identità europea », piena sola rivolte le critiche che abbiamo mosse sodi generiche banalità (in mancanza di ogni pra al Sommer - ha descritto lucidamente fatto nuovo, tutto quello che si è riusciti a tale tarlo che rode in profondità, e sempre inventare S qucsta nuova parola, in rcaltà più, quella che ancora si chiama « integrasenza significato alcuno), completerà la cor- zione comunitaria », quando ha scritto, ncltina fumogcna dcstinata a coprire il vuoto, l'editoriale del 18 dicembre che, al di là dei di programmi come di propositi. comunicati ufficiali. Ma se questa politica dello struzzo, da non solo a la diffidenza fra i partners europei parte dei governi, era scontata ( 2 ) , ancor non si è dissipata, rria tende ad accrescersi. più dcludcnte appare la reazione dell'opi- E, poco dire che il ,,clima ,, a Copenaghen era malsano. i Nove si sono accordati solo perché "ione pubblica, nel senso più lato della d parola. i ~Ciò chc soprattutto colpisce, e sco- ---- - intervento orale: « sempre detto c mai messo in pra- tica, nella politica che il sociale non doveva csserc a rimorchio dcll'econoniico, (2) Anche noi l'avevamo largamente, e facilmente, prevista, in un articolo apparso, alla vigilia del Vertice, in " Iniziativa Europea n di dicembre, col titolo L'nn via d i uscita (il titolo che noi gli ave\.amo dato era appunto Aspettando il Vertice d i Copenaghen). (3) Ho trattato di propositv il tema della crisi energetica vista da un federalista ne cc L'Europa » del 13-31 gennaio 1974. Qui, se lo spazio me lo consentisse, acgiuiigerei un'analisi dell'importantissimo discorso, pronunciato all'Assemblea Curisulliva il 23 gennaio scorso. dal Segretario generale tlell'OCSE, signor Emile van Lennep. febbraio 1974 costretti: le coeur n'y dtait pus. E \,i è da dubitare sulla solidità di imprese comuni, per ragionevoli che siano, quando non sono fondate sztr 1111 esprit d'équipe spontané D. Ma che cosa propone anche N Le Monde N, per superare questo stato di cose? Nulla. Neppure il suo collaboratore più informato e competente in materia, Pierre Drouin, sa dire una parola sul punto, decisivo, delle istituzioni (si veda il suo articolo alla vigilia del Vertice nel numero del 15 dicembre 1973). E lo stesso congresso straordinario socialista tenutosi alla metà di quel mese, che ha affermato solennemente, per bocca di Mitterand, che cc il faut faire 1'Europe pour faire le socialisme n, e che l'Europa politica sarebbe qualitativamente di- COMUNI D'EUROPA dei Parlamenti na~ionali (o, tramite referendum, dei singoli popoli) saltando le diplomazie (5). Ha osato il Parlamento Europeo qualcosa di simile, di così coraggioso, di così coerente? E' una domanda importante per quei federalisti che puntano tutte le loro carte sulla sua clezionc diretta, indipendentemente da qualsiasi aumento dei suoi poteri. Ed è una domanda importante per lo stesso Spinelli: giacché se neppure un barlume delle sue idee trova credito nel consesso strasburghese, allora è chiaro che queste mancano di ogni base politica e dovranno trovarsene una altrove. Anziché ricpondcre noi stessi, lasciamo rispondere ai testi. I n previsione del Vertice, il 13 novem- versa dalla CEE - e come tale, egli ha aggiunto, è temuta e combattuta dalle grandi forze economiche e dalle multinazionali non è andato oltre, nella mozione finale, a una richiesta di rafforzamento e democratizzazione delle istituzioni esistenti: parole che non hanno ormai più gran significato, stante la condizione di progressivo disarmo in cui tutta la costruzione comunitaria si trova da anni: il che vale anche per il successivo convegno dei comunisti europei a Bruxelles (4). bre 1973, il Parlamento Europeo ha rivolto a questo una risoluzione in cui 2. L'atteggiamento del Parlamento Europeo: prima I1 Parlamento Europeo, come si vede, accetta passivamente la nuova « aria fritta » alla moda, l'identità europea, e per il resto si accontenta che non si facciano regressi anche formali, e non si torni a parlare di segretariato politico a Parigi, diverso e scisso dalle Comunità. Nelle situazioni disperate la politica puramente difensiva è sicuramente perdente: eppure a Strasburgo non si è capaci di esprimerne altra. Peggio: quarantott'ore prima del Vertice, il 13 dicembre, il Parlamento Europeo è tornato in argomento, in una risoluzionc che ... Ebbene, cosa ha fatto il Parlamento Europeo di fronte a una tale situazione? Quale è stato il suo contributo particolare e originale in proposito? Spinelli, che pur ha una importante posizione di responsabilità in seno alla Commissione comunitaria, ha a più riprese indicato una via: elezione diretta del Parlamento Europeo; mandato a questo per elaborare un nuovo statuto di una Comunità realmente politica e realmente sovrannazionale; passaggio immediato a una ratifica (4) SU! quale riferisco nel numero del febbraio 1974 d i s Iniziativa Europea P . K chiede con insistenza agli Stati membri di i-iconoscere che la Comunità europea deve affermarsi come entità distinta nel contesto internazionale e di dedicarsi senza indugio, in uno spirito di solidarietà, all'elaborazione di una politica comunitaria in tutti i campi, compreso quello della politica estera; sottolinea in questo contesto la necessità di utilizzare efficacemente le strutture comunitarie esistenti ed esige che tutti gli sforzi per l'attuazione delllUnione europea si iscrivano nell'ambito della Comunità D. (5) Ci sia sominessamei~it consentito di Far rilcvare che anche noi, almeno fin dal 1969, avevamo fatto una proposta analoga (p. es. in x L'Europa n del 7 giugno 1969, Una proposta per I'Eliropa politica). 29 compie un altro passo indietro. L'essenziale di essa sta nella affermazione seguente: e Il Pai-lamento Europeo ritienc che occasionali Conlcrenze di Capi di Stato o di governo possano costituir.c auspicabili momenti di impulso n, pcrché e l'aumento dellc responsabilità comunitarie, tanto all'interno che di fronte agli avveiiimenti internazionali, richiede seniprc più la costituzione di un centro coinunitario di decisione politica capacc di assumere i compiti di u n xrr.ro e proprio governo curopeo ». E' esattamente il contrario di quello che chiedeva Spinelli: la cancellazione anche delle ultime tracce della sovrannazionalità. E non ci venga a dire - come I-ia ripetuto ancora, dopo Copcnaghen, Francesco Rossolillo in Milano Federalista » del dicembre scorso - che con questo si mcttc, sì, in soffitta ogni residuo di sovrannazionalità e di spirito comunitario, ma si entra in una fase « confederale », da cui l'idea federalista potrà, dialetticamente C per opposizione, prender le mosse: giacché una confederazione è pur sempre una precisa realtà politica e giuridica - ed in particolare nel campo della diplomazia e della difesa -, mentre di ciò non vi è oggi traccia alcuna in Europa, sì che i «Nove » non entrano affatto in una fase confederale, ma semplicemente regrediscono definitivamente al mero « internazionale ». Si sono certo scntite, nel corso del dibattito strasburghese, belle parole sull'urgenza dell'ora e sulla necessità di affrettare la costruzionc delllEuropa politica; e anche la risoluzione teste citata ha rivolto il suo bravo omaggio verbale alle istituzioni comunitarie e alla loro esperienza. Ma il concetto di fondo è stato quello: e tutti sono stati d'accordo nel consigliare « d'institutionnaliser en quelque sorte les réunions au sommet n. Così si è espresso, a nome del suo gruppo, il comunista francese Bordu, manifestando un'opinione che ha trovato concordi tutti, dai conservatori britannici ai democristiani continentali fino ai gollisti C ai missini, passando per i socialisti. ((Occorre rendcrsi conto - ha affermato a nome di questi ultimi il belga Radoux, dicendo ad alta voce quello che tutti gli altri pensavano dcntro di loro - che non vi è più, oggi, un centro di decisione comunitario, e che lo stesso Consiglio dei Ministri delle Comunità, pur investito di potcri legislativi cd esecutivi, n e joue pltrs sol? rble a. Cib è incontestabilmente vero: ma accettare questo fatto, e rimettersi ormai solo ai Vertici, significa appunto contcntarsi del peggio e f a r propria, come dicevo, una politica puramente difensiva. 3. ...e dopo I risultati dcl Vcrtice hanno infatti dato ragione Al'« Express » che - facile profeta - aveva previsto che « gli europei, non avendo nulla da dire, avevano deciso di dirlo insieme, a Copenaghen ». I1 « nuovo impulso », sostitutivo delle istituzioni comunitarie paralizzate, non c'è stato. La sola decisione presa - l'entrata in vigorc dcl Fondo regionale a partire dal 1" gennaio non ha potuto esser mantenuta. Ebbene, comc ha reagito il Parlamento Europeo? Un modo serio di reagire avrebbe potuto esser quello di chiedersi le ragioni dell'im- COMIJNI D'EUROPA potenza attuale delllEuropa, ormai « satellizzata D non solo dai grandi, ma perfino dagli arabi. Non è vero infatti che l'Europa non potrebbe rispondere alle pressioni arabe se non, come avrebbe detto la perpetua manzoniana « calandosi le ... P. Anzitutto - cito da un documento che il Governo olandese ha trasmesso, alla vigilia del Vertice, agli altri governi membri della Comunità (6) « non va dimenticato che almeno 1'80 per cento delle forniture militari ai Paesi arabi, Egitto e Siria esclusi, proviene tuttora dall'Europa, mentre il 70 per cento del commercio arabo, Egitto e Siria compresi, è diretto verso il nostro continente n. Così l'Europa « fa affari » vendendo armi a coloro stessi che attivamente la combattono (7). Era un'occasione per agire in modo meno suicida. I n secondo luogo sarebbe astrattamente ipotizzabile ove vi fossero un concerto europeo ed una strategia continentale - che si ottenesse dalla Svizzera un blocco dei capitali versati nelle sue banche (quasi tutte le royalties percepite dagli sceicchi finiscono lì) e si studiasse poi un controllo continentale dei relativi investimenti - da estendere ai capitali provenienti da tutti i Paesi, e in particolare ai capitali americani - in modo da evitare l'alienazione di complessi industriali che si ritenga debbano restare in mani europee, e più in generale per indirizzare quelle somme a fini di pubblica utilità continentale, in conformità di un preciso piano economico federale. Ora le ragioni per cui tutto ciò non può esser fatto sono, senza dubbio, molteplici: ma quella essenziale e di fondo resta la disunione, resta che sotto il profilo della politica estera, commerciale e della difesa l'Europa è tuttora, ed è soltanto, un'espressione geografica, un puro non essere politico e non è mai stata « così divisa come oggi e così incerta sul suo avvenire comune » (8). (6) Documento di cui desumo i l testo da una Conferenza fiorentina dell'on. Vedovato, che apparirà nel prossimo numero della sua .P Rivista di studi politici internazionali D. (7) Si veda, fra i tanti scritti in materia, l'interessante inchiesta iniziata nel numero del 20 gennaio 1974 di Epoca n. (8) Sono ancora parole di Vedovato, nel citato scritto. Questo autore ne trae però una conclusione opposta alla nostra: e cioè che si debbano, almeno per ora, abbandonare completamente i sogni dell'integrazione europea, e rifugiarsi solo nella solidarietà atlantica. Come se questa non fosse altrettanto in crisi quanto l'integrazione europea, e in buona parte proprio a causa di questa seconda crisi! ... Leggete: 14 MoNTANA@O d ' Italia Rivista dellPUnione Nazionale Comuni ed Enti Montani Roma - Viale del Castro Pretorio, 116 Direttore resp.: Giuseppe Piazzoni Abbonamento annuo L. 5.000 Sostenitore L. 10.000 - Un numero L. 500 C.C.P. n. 1/58086 intestato a: S.r.l. « I1 Montanaro D Viale del Castro Pretorio, 116 - Roma I1 che dovrebbe essere di stimolo a riproporre - meglio tardi che mai - il piano Spinelli - l'elezione diretta, la Costituente europea. Ecco invece la parte essenziale della risoluzione che il Parlamento Europeo ha approvato nella sessione di gennaio, e che non ha bisogno di ulteriore commento. « I1 Parlamento Europeo si compiace della decisione di accelerare la realizzazione dell'unione europea e domanda alle istituzioni comunitarie di concentrarsi e di presentare le loro proposte concrete a questo proposito entro il più breve termine; prende atto con soddisfazione dei principi sull'identità europea solennemente affermati dai Capi di Stato o di governo, ma insiste affinché essi siano rapidamente tradotti nei fatti attraverso procedure più efficaci e vincolanti di azioni comuni, in particolare nel settore della politica estera e della difesa; sottolinea che spetta ormai allo Stato che esercita la presidenza del Consiglio delle Comunità di convocare, quando lo ritenga opportuno, delle " riunioni presidenziali ". Detta procedura deve permettere, allorquando circostanze eccezionali lo esigano: a) di dare gli orientamenti politici necessari per continuare a stimolare e a sviluppare la Comunità; b) di fornire delle linee d'azione suscettibili di risolvere i problemi più importanti, grazie ad una preparazione minuziosa da parte degli organi comunitari adeguati D. Anche questa volta si sono certo sentite qua e là, nel corso del dibattito, delle critiche, in particolare da parte del sen. Scelba, che ha sottolineato l'indebolimento della struttura comunitaria, per l'istituzione di un quarto potere di fatto - i Vertici semestrali, ribattezzati « Conferenze presidenziali » -, o dei comunisti francesi. che hanno ribadito la loro opposizione alllEuropa capitalistica e delle multinazionali ( m a non hanno detto verbo su questa involuzione intergovernativa, che essi anzi gollisticamente auspicano). Nel complesso però la risoluzione è passata senza difficoltà: etsi coactus volui. Nulla, nemmeno un vago cenno alla straordinaria gravità della crisi comunitaria che ha fatto chiedere a Emanuele Gazzo, nella Stampa n , del 23 gennaio 1974, che la Commissione si dimetta, per protestare contro il sabotaggio dei Governi (come se non fossero gli stessi Governi a scegliere i membri della Commissione). I1 Parlamento Europeo non può perciò essere credibile, quando su singoli punti - della politica sociale, poniamo, o di quella regionale, o di quella agricola - enuncia critiche e talvolta anche severe, od esprime giudizi ed auspici validi. Dato che accetta, e anzi approva e fa sua, la premessa politica di fondo di quelle carenze e di quelle storture, esso ne è in pieno corresponsabile, e non costituisce affatto un organo a partir dal quale si possa sperar di attuare una riforma della Comunità. L'elezione diretta non potrebbe modificare sostanzialmente questo stato di cose: nemmeno se i poteri fossero diversi da quelli attuali, praticamente solo consultivi (ma ciò presuppone appunto la riforma già attuata); e nemmeno se il mandato europeo non fosse più cumulabile con il mandato nazionale (condizione assoluta, ad ogni modo, perché l'elezione diretta abbia un senso, e si possa almeno in astratto sperare che la funzione crei l'organo); argomento, tutto questo, così importante - è al centro dell'attività dell'europeismo italiano, e non vi abbiamo mai febbraio 1974 fatto cenno, nelle nostre « Cronache n - che ci sembra opportuno trattarne più diffusamente in nota (9). 4. Conclusione Tutto questo ci richiama a quanto abbiamo ripetuto, ancora una volta, nel citato scritto apparso in « Iniziativa Europea » alla vigilia del Vertice: non potersi più contare in una mutazione delle Comunità « d a l di dentro », perché non è possibile contare sui partiti e le forze, economiche e politiche, che in quell'integrazione furono, almeno in parte, impegnate negli anni '501, e che invece oggi sono attivamente interessate a non procedere verso l'unione politica, che ridurrebbe il loro potere di sottogoverno nazionale. E non è nemmeno possibile contare sulle forze che allora si opponevano frontalmente, da sinistra, a tale integrazione, perché ancora in larga misura prigioniere dell'idea del « socialismo in un solo Paese D. (9) L'affermazione incondizionata alla base della campagna per le elezioni dirette del Parlamento Europeo che, come che sia, N il voto crea il potere n, è frutto, secondo noi, di un uso incontrollato n delle parole i,oto e potere. Diversissimi sono anzitutto - per cominciare dal voto - così il senso come gli effetti di esso per l'elezione di un organo deliberante (che i. nella logica democratica) e per l'elezione invece di un organo senza poteri (che è invece al di fuori di questa): sicchf, attribuire a questo secondo tipo di voto le caratteristiche, e le conseguenze dell'altro è solo effetto di confusione insieme verbaie e mentale. Distinguo n, diceva S. Tommaso: nell'ambito di uno Stato esistente, con un suo Parlamento e un sistema elettorale già costituito, il voto elettorale relativo crea un'infltrenza politica per i partiti che vi hanno partecipato, maggiore o minore secondo i risultati ottenuti. Per questo, in un determinato momento della loro storia, i partiti socialisti hanno potuto, con ragione, giudicar utile concentrare tutte le loro rivendicazioni nella richiesta formale del suffragio universale, convinti che una presenza molto maggiore di loro rappresentanti in un organo dotato di competenze effettive (altro significato della parola potere, il quale, in tal senso, non è creato dal voto, giacché anzi il voto presuppone l'esistenza del potere, cioè appunto di un organo legiferante) avrebbe consentito loro di acquistare quella maggiore influenza necessaria a far passare anche i contenuti, o almeno alcuni contenuti del loro programma (anche se l'immobilismo di fondo dello Stato nazionale ha oggi ridimensionato di molto le loro speranze). Altro è il caso di uno Stato - nel nostro caso uno Stato federale - inesistente, in cui per potere da creare si intende ancora una terza cosa: non più l'influenza politica, e nemmeno le competenze dell'organo parlamentare di uno Stato esistente. ma appunto la capacità di pressione per dar vita a quel nuovo Stato. Ora qui, a voler continuare nell'uso controllato delle parole, si deve dire, direttamente almeno (si veda il caso statunitense della Convenzione di Filadelfia), che non è vero che il potere (il nuovo Stato federale) è creato dalla violenza o dal voto, ma dalla violenza o da altro potere legittimo: appunto i futuri Stati membri (purché sottoposti ad una pressione tale, da vincere la tendenza di ogni organismo sociologico a persistere nel proprio essere: in quel caso la minaccia di collasso insieme militare ed economico. ove l'unione federale non fosse - - s t a t i ;aggiunta). In questo terzo significato, dunque - che è quello che qui c'interessa - la tesi che il voto crea un'influenza politica potrebbe esser valida solo mediatamente. nel senso che una vartecivazione dei federalisti alle elezioni nazionali pot;ebbe Servire a determinare quel condizionamento, quella pressione che dicevo. e che oggi, ahimè, manca (ma anche qui in realtà non è vero che i metodi siano solo la violenza o il voto: i socialisti, come si è visto, ottennero il voto attraverso un'azione di pressione che non passava essa stessa essenzialmente per il voto). Non è invece concepibile, ed è puro sofisma. che l'elezione dell'organo più impotente e sempre meno influente e senza poteri di un sistema comunitario anch'esso, a sua volta, impotente ed in crescente disarmo, e per di più senza che si scinda mandato nazionale ed europeo, e senza che si eserciti praticamente nessuna pressione sulle forze che dell'organo eletto dovranno far parte, tutte ormai contrarie di fatto, a sviluppi federali ( e sarebbe questo invece. il punto centrale di una strategia federalista). anzi corteggiandole, si possa vincere la strozzatura di fondo della sovranità nazionale, allo stesso modo di come i socialisti riuscirono a vincere la strozzatura che li teneva ai margini dello Stato. Si tratta solo, come ormai deve essere chiaro, di una falsa analogia, che un'attenta distinzione insieme logica e semantica distrugge, mi sembra. in radice. Certo, esclusa unanimemente la violenza, la via è quella della Convenzione di Filadelfia, è quella dell'Assemblea ad hoc, è quella della Costituente, è, in questo senso s ì , quella del voto europeo. Ma ciò presuppone tutto un lavorio per fare acquistare influenza politica al federalismo, all'interno degli Stati nazionali, tale appunto da imporre quel voto europeo decisivo, e non un voto praticamente senza oggetto, in contrasto ed in ispregio delle regole democratiche (che vogliono appunto che ad un atto solenne come il suffragio universale si ricorra solo per organi dotati di poteri reali): una gratuita fuga in avanti che non può produrre risultati - ed infatti non ne ha prodotti e non ne produrrà -. febbraio 1974 E' questo che ci divide dalla politica attuata dai movimenti europeistici, e ce la fa ritenere illusoria. Ciò dimostra come non abbia ormai più alcun senso nemmeno il tema - dal quale anche noi ci siamo lasciati altre volte suggestionare - di quale dovrebbe essere la politica europea di un governo italiano che intendesse rinverdire la tradizione degasperiana, e non si contentasse dell'eterna funzione di « mezzano », che cerca di barcamenarsi e di trovar compromessi fra le diverse posizioni, senza averne mai una propria, e finisce per accettar sempre, passivamente, quello che il parallelogramma delle forze sembra suggerire. Non esiste, infatti - e anche qui non a caso, m a per quella profonda ragione che sopra dicevo - una posizione dello Stato e del governo italiano, e nemmeno delle forze politiche ed economiche che lo controllano, che si possa sperare essere sostanzialmente diversa da quella di Pompidou o di Heath, se non a parole, e soprattutto che sia capace di opporsi energicamente ad essa. Si può certo in astratto mostrare - lo ha fatto Spinelli al Convegno IAI, e lo fanno i federalisti - che il nostro Paese, anello più debole della catena comunitaria, h a Cari lettori, « Comuni d'Europa D, ornai giunto al XXII anno di vita, è senz'altro una delle decane tra le riviste federaliste che si stampano in Europa. Con la sua rilevante penetrazione capillare e con i suoi 11 numeri l'amo, Comuni d'Europa » vuole restare un giornale soprattutto stimolante, di lotta e di ripensamento della problematica federalista. La sua caratteristica fondamentale consiste nell'essere il tramite diretto fra tutti i centri decisionali della battaglia comunitaria ed europeista e le popolazioni di ogni regione, i giovani e coloro che sono trascurati dall'oligopolio dell'informazione. Proprio per questa sua funzione, nonostante gli aumenti vertiginosi dei costi della carta e tipografici, « Comuni d'Europa » non solo ha conservato invariato da diversi anni il suo prezzo, ma ha addirittura notevolmente aumentato il numero medio delle pagine, ed è riuscito a contenere entro limiti estremamente modesti l'aumento delle tariffe di abbonamento, che si è visto costretto a ritoccare per il 1974. Naturalmente questa situazione potrà essere mantenuta solo se gli abbonati e gli inserzionisti, cui va il nostro più vivo ringraziamento, continueranno a sostenerci e se altri lettori vorranno portare il loro contributo sottoscrivendo abbonamenti. tutto da guadagnare da unlEuropa realmente sovrannazionale, dalla politica regionale al controllo del fenomeno migratorio, e tutto da perdere dal mantenimento delle sovranità, ivi compresa la libertà politica. Ma anche qui non sono necessarie conferme del fatto che ormai da anni simili preoccupazioni non sono tali da suggerire ai « principi che ci governano » un'iniziativa seria, e tanto meno la tenacia occorrente a riproporla ad ogni occasione favorevole. I1 problema dunque non è italiano, ma europeo e sovrannazionale: quello della crea COMUNI D'EUROPA zione di una forza federalista a livello continentale che i Movimenti europeisti e federalisti - è bene dircelo con franchezza non hanno finora saputo essere, e che riesca a cogliere il legame profondo tra strutture federali e riforma della società, e a d affermarlo nella pratica, mettendo in piedi una strategia coerente, e gestendola in prima persona e in proprio, e non affidandola in appalto a forze politiche nazionali a d essa costituzionalmente ripugnanti. Basta porre il problema per rendersi conto fino a che punto si è lontani dall'aver uno strumento adatto - oggi e nell'immediato futuro - per condurre una battaglia europea che non sia solo il continuo pestar l'acqua nel mortaio che ci caratterizza da trent'anni. L'azione di massa del CCE (continuazione da pag. 18) 1'AICCE sul governo italiano perché si facesse promotore di una politica multilaterale analoga a quella dell'ufficio franco-tedesco della gioventù, inserendola in una prospettiva comunitaria, proprio per consentire al nostro Paese, certamente il più periferico (geograficamente e psicologicamente) rispetto allJEuropa, di tessere legami sempre più stretti con gli altri Paesi membri a livello di comunità di base, di giovani, di operatori scolastici, di imprenditori e di lavoratori. Serafini ha rilanciato, a Mulhouse, il problema, essenziale per il CCE, dell'orientamento politico dei gemellaggi e dell'importanza di fare in modo che essi diventino, sempre più, il « veicolo dell'idea di unlEuropa sovranazionale D. Sull'estensione territoriale dei gemellaggi e degli altri incontri fra città si è quindi sviluppata una vivace polemica fra i delegati delle diverse Sezioni nazionali. I delegati italiani - trovando interlocutori non sempre aperti al loro ragionamento e viceversa ambiguamente possibilisti - hanno insistito sul fatto che, mentre è perfettamente logica una Ostpolitik del CCE nel campo degli incontri intermunicipali (saranno semmai i regimi dell'Est a doversi preoccupare di una diffusa infezione di nonconformismo e di spirito critico attraverso il contatto con gli amministratori locali occidentali), non si giustificano poi in alcun modo gemellaggi coi Paesi fascisti dell'Europa occidentale. I n questo secondo caso, infatti, prevarrebbe sulla buona intenzione di convertire i podestà dei Paesi fascisti alla democrazia, la realtà dell'avallo di base a un compromesso mercantile che diversi Paesi della Comunità sono pronti a fare con la Grecia e i generali (ex-colonnelli), con la Spagna e col Portogallo fascisti, dimenticando gli scopi prioritari democratici del progetto di integrazione delllEuropa occidentale. I n altri termini, mentre non è in alcun modo prevista né prevedibile un'associazione della Cecoslovacchia o dell'ungheria al MEC, è a tutti nota la pressione che alcuni Paesi europei compiono ( e sono praticamente i t r e grandi del MEC) per avere « piena libertà sovranazionale di affari » coi Paesi fascisti europei. La Comunità europea, hanno ribadito i delegati italiani, o sarà antifascista o non sarà: essi in ogni caso non sono pronti ad accettarc una linea diversa. I membri della Commissione hanno poi rivolto la loro attenzione ai contenuti dei gemellaggi, alla partecipazione a d essi delle varie categorie sociali, agli strumenti più opportuni per far conoscere agli enti locali la possibilità e la tecnica organizzativa dei gemellaggi. Anche il problema dei costi finanziari dei gemellaggi per i piccoli comuni ha fornito motivo di discussione. E' stata così fatta la proposta di associare più comuni interessati al gemelaggio nel quadro di un consorzio intercomunale o in forme analoghe di coordinamento e cooperazione. Al termine la Commissione ha approvato le decisioni seguenti relative ai gemellaggi: 1) la convocazione di una riunione a livello europeo dei « comitati di gemellaggio » esistenti nei comuni interessati; 2) rilancio del contenuto politico dei gemellaggi in modo che essi divengano un'occasione di mobilitazione europea delle popolazioni; 3) redazione del testo di un « appello » che potrà essere diffuso in occasione dei prossimi Stati generali di Vienna, rivolto ai comuni gemellati e contenente una vigorosa denuncia dei pericoli insiti nell'attuale momento di stallo della Comunità europea; 4) un invito alle sezioni nazionali del CCE ad intensificare i gemellaggi verso la Gran Bretagna e a prendere analoghe iniziative anche verso i Paesi scandinavi. La Commissione di studio si riunirà nuovamente nel mese di giugno 1974. Essa potrà così verificare la realizzazione delle decisioni prese a Mulhouse ed esaminare il progetto dt una apposita pubblicazione riguardante il CCE, i suoi obiettivi e la sua azione, destinata ad essere largamente diffusa nclle varie lingue tra gli enti territoriali dei diversi Paesi. I COMUNI I I D'EUROPA Organo del1'A.I.C.C.E. ANNO XXII - N. 2 - Febbraio 1974 Direttore resp.: UMBERTO SERAFINI Redattore capo: EDMONDO PAOLINI DIREZIONE, REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE Piazza di Trevi, 86 - Roma I - tel. I Indir. telegrafico: Comuneuropa 6.784.556 6.795.712 - Roma Abbonamento annuo L. 2.500 - Abbonamento annuo estero L. 3.000 - Abbonamento annuo per Enti L. 10.000 - Una copia L. 250 (arretrata L. 500) - Abbonamento sostenitore L. 150.000 - Abbonamento benemerito L. 300.000. I versamenti debbono essere effettztati sul C/C postale n. 1133749 intestato a: u Comuni d'Europa, periodico mensile Piazza di Trevi, 86 - Roma » (specificand o la causale del versamento), oppure a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a u Comuni d'Europa D. Aut. del Trib. di Roma n. 4696 dell'll-6-1955 Associato all'USP1 Unione Stampa Periodica Italiana I TIPOGRAFlCA CASTALDI - ROMA-1974 Un'altra Fiat che consuma poco, anzi pochissimo, che ha i più bassi costi di esercizio, che paga le tariffe più basse di bollo, di assicurazione, in autostrada, in garage, dal meccanico. Un'altra Fiat che mantiene il suo valore nel tempo. Un'altra Fiat molto attesa.