"Chicchi di Felicitá" Newsletter di Amici dei Bambini Cambogia Luglio- Settembre 2010 – N.3 Introduzione Cari sostenitori, eccoci, a stagione delle piogge inoltrata, all’appuntamento trimestrale della newsletter di Amici dei Bambini. Questa volta siamo, infatti, un po’ in ritardo nell’aggiornarvi sulle sfide sempre nuove che ci vedono coinvolti. La scusante é che questi ultimi mesi sono stati densi di avvenimenti e di novitá. Innanzi tutto, abbiamo salutato con grande dispiacere il volontario espatriato Bruno Gavioli, che per 2 anni è stato il coordinatore di Ai.Bi. Cambogia. Abbiamo, poi, accolto tra di noi un altro italiano, Giuseppe Bottiglieri, nel ruolo di Project Manager. Ed infine, il nostro operatore SAD ci ha lasciati e, dopo lunghe ricerche, é stato sostituito dalla signorina Kunkoet, una donna forte e tenace, ma di grande sensibilitá e cuore. Oltre a tutti questi cambiamenti nelle risorse umane, con l’avvio di 2 nuovi interventi, Ai.Bi. Cambogia attualmente ha attivi 6 progetti a favore dell’infanzia a rischio. Grazie al personale serio e motivato, è riuscita a consolidare gli interventi che aveva sul territorio ed ad avviarne di nuovi sempre piú vicini al contesto e rispondenti ai bisogni locali. La lotta di Ai.Bi. in Cambogia si focalizza sulla prevenzione e sull’accompagnamento all’abbandono, sia dal punto di vista legale che da quello sociale. Ed ecco cosí che nascono 2 nuovi progetti: il progetto finanziato dall’autoritá centrale italiana per le adozioni internazionali in collaborazione con il Ministero degli Affari Sociali cambogiano che si colloca all’interno dell’implementazione della nuova legge per le adozioni internazionali, attesa per 7 anni e approvata a dicembre 2009, e il progetto “Semi di cambiamento” per l’inclusione sociale dei care-leavers , finanziato dalla Regione Lombardia. Sperando di avervi incuriositi, vi lasciamo ai racconti e alle immagini. Buona lettura. SOMMARIO 1. Amici dei Bambini interviene contro il traffico di esseri umani 2. Un sogno possibile: la storia di Channy e Channa 3. La mia esperienza in Italia e il nuovo lavoro con Amici dei Bambini 1. Amici dei Bambini interviene contro il traffico di esseri umani I parte Un fenomeno sempre piú frequente in Cambogia è l’emigrazione di un cospicuo numero di persone, soprattutto donne, verso i paesi limitrofi. Agenzie di reclutamento ai limiti della legalità attirano un sempre maggior numero di ragazze e donne, disposte a tutto pur di avere almeno la possibilità di sognare una vita migliore. Si tratta di agenzie cinesi, coreane, malesiane che si stabiliscono in Cambogia, spesso grazie a legami con le alte sfere del potere, con l’obiettivo di mandare mano d’opera a basso costo nei loro paesi di origine. Da quando i governi di Indonesia e Malesia hanno firmato un accordo per proteggere i lavoratori indonesiani dagli abusi dul lavoro, molte agenzie si sono rivolte ad altri mercati. Una volta stabilitesi sul posto, queste agenzie mandano degli intermediari nelle zone piú povere, spesso la periferia delle grandi città, ad illustrare a persone che lottano quotidianamente per la sopravvivenza i benefici di lavorare in un altro paese. E sui giornali locali, il “Phnom Penh Post” o il “Cambodia Daily”, o sulla radio sono sempre piú numerosi i casi di donne che raccontano storie di segregazione e di lavoro forzato, di abusi e prostituzione. In molti edifici che si confondono tra le normali abitazioni ragazze, spesso giovanissime, sono tenute rinchiuse per lunghi periodi prima di essere mandate in Malesia a lavorare. I lavori sono i piú svariati, da operaie in fabbrica a domestiche in case di privati. Spesso peró dietro all’apparenza di un lavoro regolare con un buon stipendio si nasconde una realtà ben diversa: orari impossibili, violenze e abusi sembrano essere all’ordine del giorno. Nel momento in cui l’aspirante lavoratrice firma il contratto con l’agenzia, la famiglia riceve un aiuto esconomico (100 $ circa). Poi la ragazza deve trasferirsi presso l’agenzia per un periodo di 2 o 3 mesi nel quale riceve una formazione professionale e impara qualche nozione di inglese. Nel frattempo l’agenzia prepara tutti i documenti che le serviranno per la partenza: passaporto, visto, certificato medico e libretto del lavoro. Se la ragazza, durante questo periodo, cambiasse idea, la famiglia dovrebbe pagare il debito che ha contratto con l’agenzia alla firma del contratto, ma nei mesi della cosí detta formazione il debito è aumentato fino a raggiungere una cifra che nessuna famiglia cambogiana potrebbe permettersi. La ragazza non ha, quindi, altra scelta che partire. Legalmente il contratto probabilmente non sarebbe valido, ma persone illetterate, spesso analfabete, sono facilmente manovrabili e le agenzie se ne approffittano. II parte Uno dei progetti di Amici dei Bambini in Cambogia è l’Asilo dei Santi Angeli Custodi, situato nel villaggio di Kbal Tomnob, area periferica della capitale, adiacente ad una grossa discarica di rifiuti, che si estende su una penisola nel lago di Beng Toum Poung. Da alcuni giorni due bambini non si facevano vedere all’Asilo, il birichino Long Kim Liang e la piccola Chi Cham Roeun. Entriamo cosí in contatto con la triste realtà delle agenzie di reclutamento. La mamma di Kim Liang aveva deciso di andare a lavorare in Malesia e si era dovuta trasferire presso la compagnia “Philimore”. Il padre, essendo occupato con il lavoro, aveva chiesto ai nonni di prendersi cura di Kim Liang e del fratello. Nell’altra famiglia, invece, era la sorella maggiore di Cham Roeun che aveva deciso di andare a lavorare in Malesia con l’agenzia “Manpower” per allontanarsi da un fidanzato consumatore di stupefacenti e violento. Cham Roeun veniva tenuta a casa per occuparsi, a soli tre anni, del nipotino di cinque mesi. Andiamo a parlare con le due donne, con la madre di Kim Liang, Chhom Chanthy, e con la sorella di Cham Roeun, Chhon Sokcham. Entrambe, interrogate davanti al personale delle due compagnie, ci dicono che vogliono partire, ma poi piú tardi ci chiamano dicendo che hanno cambiato idea e che non vogliono abbandonare le loro famiglie. Decidiamo quindi di intervenire, contattando innanzi tutto i nostri partners di progetto, Maryknoll e la chiesa del Bambin Gesú, per metterli al corrente della situazione e concordare una strategia. Decidiamo che la priorità è la liberazione delle due donne e poi dovremo attivare un network di ONG che possano aiutarci a supportare le famiglie. Importante sarà poi organizzare una formazione per le famiglie piú problematiche dell’Asilo in parenting skills, in human rights e in money management e una campagna di sensibilizzazione nel villaggio per rendere consapevoli gli abitanti dei rischi che si nascondono dietro all’opportunità di lavorare in Malesia. Contattiamo il CWCC, organizzazione che offre assistenza alle donne e ai bambini vittima di violenza e spieghiamo il caso di Chhon SokCham. Ci dicono che sono disponibili a seguire la ragazza, una volta liberata. Poi contattiamo una ONG australiana che si occupa di anti traffico, SISHA Anti Human Trafficking and Exploitation e dopo aver illustrato quanto successo al direttore delle operazioni, si dice d’accordo ad accompagnarci ai due incontri con i Direttori delle Agenzie di reclutamento. Prepariamo la strategia di intervento, seguendo i suggerimenti di Chab Dai e Caram, altre due organizzazioni specializzate in anti-traffico. III parte Il 10 di settembre andiamo all’incontro con il Direttore di “Philimore” io, Kunkoet (l’operatrice SAD) e il rappresentante di SISHA, la cui sola statura basterebbe ad intimidire un cambogiano. Arriviamo sul posto. Una casa che si confonde tra le altre. Ci fanno accomodare all’interno dell’edificio e ci viene incontro Chanthy con gli occhi pieni di speranza. Piccola di statura e dentro alla divisa blu, sembra ancora una bambina. Sappiamo peró che ha trenta anni. La responsabile del posto, una ragazza dall’aria smarrita, ci dice che il direttore è in un altro edificio e che il suo assistente ci guiderà sul posto. Chiediamo se Chanthy puó salire in macchina con noi, ma ci dicono di no. Dopo pochi chilometri arriviamo ad un altro edificio, sulle cui pareti ci sono enormi immagini di ragazze sorridenti che lavorano in fabbrica, che confezionano vestiti, che mangiano insieme in una mensa. Nel cortile chiuso da un cancello molte persone sono sedute per terra sulle stuoie a parlare. Quando entriamo e mentre aspettiamo di essere ricevuti, abbiamo gli occhi di tutti i presenti su di noi. Ci riceve una donna sulla quarantina, vestita in modo elagante, che alla mia domanda, risponde di essere la responsabile delle ragazze. L’ufficio è dotato di tutti i conforts. Nonostante parli inglese, preferisce rivolgersi direttamente a Kunkoet che poi traduce a noi. Chiede subito a Chanthy se è vero che ha cambiato idea e lei, nonostante sia intimidita, conferma. Poi ci spiega quali sono le modalità per interrompere la procedura. Ci dice che la famiglia ha un grosso debito con la compagnia per cui solo pagando la cifra richiesta, Chanthy puó ritenersi libera. Su questo punto, il rappresentante di SISHA insiste molto perchè sia chiaro che la trattengono contro la sua volontà e registra tutto con il piccolo registratore nascosto nel taschino della camicia. La responsabile ci consegna un foglio in cui c’è la lista delle spese che la compagnia ha dovuto sostenere. L’ammontare della cifra è spropositato, 570 $, soldi che una famiglia cambogiana difficilmente riuscirebbe a mettere insieme. Iniziamo le trattative, ma la donna ci dice che lei non ha potere decisionale per cui ci chiama il Direttore di filiale. Entra un uomo ben vestito che parla un buon inglese. Ci chiede i nostri nomi e di quale ONG facciamo parte, le circostanze in cui abbiamo conosciuto Chanthy e le ragioni per cui il suo caso ci sta a cuore. Prima di dargli le risposte che vuole, gli chiedo una carta da visita. Me ne da’ una relativa ad un altro lavoro. Fa dell’ironia sul lavoro delle ONG e si lamenta del fatto che le ragazze cambiano facilmente idea e gli rovinano gli affari. Controbatto dicendogli che forse non sono state spiegate chiaramente alle ragazze le condizioni del contratto. Mi guarda e sorride cinico. Poi mi mostra la lista delle spese e mi chiede se vogliamo pagare. Noi gli diciamo che è troppo, che non abbiamo tutti questi soldi e alle nostre parole vedo che Chanthy cambia espressione del viso. Quando l’uomo non mi guarda, cerco di rassicurarla con un sorriso. Continuamo le trattative. Gli chiedo se puó venirci incontro, e riprendendo le sue parole gli dico che tanto anche se Chanthy andasse in Malesia, non sarebbe produttiva perchè non sarebbe motivata. Dice che puó scendere al massimo di 70 $, ma di piú non se ne parla. Dopo aver detto che non siamo disponibili a pagare piú di 300 $, nell’attesa che decida, gli facciamo mille domande: quali sono le condizioni di lavoro delle ragazze, che tipo di supporto ricevono sul posto, se hanno problemi a chi si possono rivolgere, quanti sono i casi di rinuncia. Si alternano momenti di speranza e di crescente tensione, ma cogliamo un certo nervosismo da parte sua. E infatti comincia a cedere leggermente, anche se non vuole scendere fino alla cifra da noi proposta. Dice che è disposto a venirci incontro, ma in ogni caso Chanthy non puó andarsene immediatamente perchè c’é bisogno della firma del marito. Quando uso il termine “rilasciare”, il nostro interlocutore mi dice di non usare termini inappropriati in quanto la sua agenzia non è una prigione. Replico che la stanno trattendo contro la sua volontà. Non risponde. Mi sembra che non si arrivi niente, allora dico che l’ultima cifra è 400 $ e propongo di mandare Kem, il nostro autista, a prendere il marito al villaggio, mentre Kunkoet andrà a prendere in ufficio il resto della cifra. Io resteró con Chanthy per farle coraggio. Lui dice che non ha il potere di prendere una decisione del genere, che deve chiedere al presidente e ci dice di aspettare fuori. Dopo un’attesa che a noi sembra eterna, ci dice che è d’accordo. Kunkoet e Kem partono e dopo mezz’ora sono di ritorno con il marito di Chanthy, il piccolo Kim Liang e la mamma di lei. É commovente il momento dell’incontro tra Chanthy e la sua famiglia. Lei trattiene a stento le lacrime. Ma non è ancora finita. Rientriamo e firmiamo tutti i documenti. Fanno una foto ad ognuno di noi e poi ci consegnano tutti i documenti di Chanthy. Tiriamo un sospiro di sollievo. Mentre stiamo per uscire dal cancello, arriva una persona dell’organizzazione sventolando il visto per la Malesia: se non fossimo intervenuti immediatamente, Chanthy probabilmente sarebbe partita e il piccolo Kim Liang non avrebbe potuto riabbracciare la sua mamma. Ma Sokcham è ancora prigioniera della seconda agenzia di reclutamento. Il giorno 16 settembre incontriamo il Direttore e dopo una lunga trattativa, troviamo un accordo: grazie al pagamento di 300 $, Sokcham è libera dal debito con l’agenzia. Questa volta è la madre ad accoglierla tra le sue braccia e poi la riportiamo al villaggio dove rivede la sua bambina di appena cinque mesi. Le lacrime bagnano a tutti le guance. Il giorno seguente accompagniamo Sokcham presso il CWCC che la accoglie presso il suo centro, dove per sei mesi riceverà una formazione professionale. La settimana prossima avremo un incontro con tutte le organizzazioni che ci hanno aiutato a risolvere questi due casi per organizzare una campagna di sensibilizzazione nel villaggio. Due storie a lieto fine in questo paese in cui i soprusi sono all’ordine del giorno e ai poveri non resta che subire. Due storie in cui l’intervento immediato di Amici dei Bambini è stato essenziale per prevenire l’abbandono e far ritrovare alle due madri i propri figli. 2. Un sogno possibile: la storia di Channy e Channa La notizia di questo mese è che forse abbiamo trovato una famiglia per Channy e Channa. Le due gemelle, che hanno passato otto anni della loro vita tra le mura del Kien Kleang Orphanage, oltre a non avere mai conosciuto l’amore di una famiglia, sono state anche private del dono del linguaggio. Nonostante non abbiano alcun problema nell’udire e comprendere le parole, non riescono a formularle. Visitate da numerosi specialisti, la diagnosi é sempre la stessa: le bambine sono intelligenti e non presentano nessuna malformazione o danno all’apparato uditivo, sentono e riconoscono i suoni, ma qualcosa impedisce loro di esprimersi verbalmente. Hanno trovato un modo di comunicare tra di loro e sembra non sentano il bisogno di comunicare con il mondo esterno, quel mondo che tuttavia cercano con curiosità e interesse e con il quale interagiscono grazie alla loro grande espressività. Fin dal suo arrivo nel paese, Amici dei Bambini, tramite il supporto di tutti i suoi sostenitori, si è presa a cuore la storia di Channy e Channa e di è adoperata per migliorare le loro condizioni di vita all’interno dell’istituto e, nel frattempo, cercare loro una famiglia. In questo ultimo anno le due vivacissime gemelle hanno frequentato la Rabbit School, una scuola specifica per bambini con problematiche di questo tipo, dove hanno imparato il linguaggio dei gesti. Grazie al supporto di un gruppo di sostenitori e all’interesse sempre costante di Bruno, l’ex coordinatore di AiBi Cambogia, le bambine sono, inoltre, seguite da una psicologa esperta in speech teraphy che, oltre a supportarle psicologicamente, insegna loro a pronunciare i suoni in lingua khmer. I risultati sono sorprendenti: dopo solo pochi mesi le 2 bambine hanno cominciato ad esprimere i loro stati d’animo tramite il disegno, passaggio fondamentale perchè possano superare i diversi traumi subiti durante la loro breve esistenza. E questo mese abbiamo potuto constatare che Channy e Channa cominciano a pronunciare le prime sillabe e a scrivere le prime parole (contemporaneamente allo studio dei suoni, le bambine stanno, infatti, imparando l’alfabeto cambogiano e di conseguenza anche il linguaggio scritto). La ricerca di una famiglia ci ha recentemente portato ad incontrare la comunità Children in Families, un’organizzazione americana la cui fondatrice si chiama Cathleen Jones. Questa donna, madre di sette figli, adottivi e non, ha dato origine al Foster Care in Cambogia sul modello del sistema americano. Cinque anni fa è nata la comunità di Svay Rieng, una comunità di famiglie, ognuna delle quail si è resa disponibile ad accogliere bambini orfani e abbandonati. Tutto il personale di Amici dei Bambini al completo è andato la scorsa settimana in visita alla comunità, distante circa tre ore dalla capitale. Si respirava una bella armonia tra le famiglie e ogni mamma teneva in braccio il suo piccolo guardandolo con occhi pieni di amore. In questi cinque anni di vita della comunità non è ancora successo che una famiglia abbia rinunciato a prendersi cura del bambino affidatole. L’organizzazione dà un supporto finanziario alle famiglie per le spese quotidiane. Siamo, poi, stati a visitare la famiglia che sarebbe disponibile ad accogliere Channy e Channa. Abbiamo incontrato la signora............ e il marito, una coppia di mezz’età con tre figli ormai adulti che vivono e lavorano a Phnom Penh. Ci hanno fatto entrambi una buona impressione, soprattutto la signora, una donna che sprigiona una grande energia. Il marito, di poche parole, sembra tuttavia una persona serena, in pace con il mondo. Ci dicono che vorrebbero tanto prendersi cura di Channy e Channa, che amano i bambini e che da quando i loro figli se ne sono andati, la loro casa è vuota e silenziosa. Ci mostrano il loro terreno, i campi di riso, uno stagno per i pesci e l’orto. Le due bambine seguono fiduciose la nuova mamma attraverso il campo. É una famiglia benestante: la casa di proprietà dei coniugi è grande, pulita e accogliente, la terra che possiedono si estende su diversi ettari ed è ben curata. Channy e Channa, dopo aver gustato e non aver lasciato neanche una briciola dei tipici piatti locali, preparati con amore dalla signora......... , hanno cominciato ad esplorare il nuovo ambiente. Hanno curiosato in ogni angolo della casa, socializzato con i vicini e con i numerosi bambini dei dintorni, provato le amache, gio cato con le bambole. Ogni cosa per loro rappresentava una novità e una sorpresa, soprattutto gli animali, presenti in grande numero nel villaggio: la gallina con i pulcini, un grosso cane, i maiali. Hanno entrambe subito legato con la nuova mamma. Ci hanno fatto ridere tutti quando hanno preso la mamma per mano, l’hanno condotta all’interno della casa, ci hanno salutato e hanno chiuso la porta. Abbiamo spiegato loro che torneremo un’altra volta e con il volto triste ci hanno seguito alla macchina. Era chiarissimo che loro volevano restare. Da questa visita, abbiamo, inoltre, scoperto che proprio nel villaggio c’è una scuola per bambini special needs con un’insegnante formata dalla ONG “Krousar Thmey”. La psicologa che ci ha accompagnato nella visita si è detta disponibile a continuare a seguire le bambine, andando periodicamente a trovarle nella nuova sistemazione. Ora non ci resta che parlare con il direttore del Kien Kleang e con il rappresentante del Children Welfare Department, tutori legali delle gemelle, e speriamo che Channy e Channa possano finalmente trovare la famiglia che hanno sempre desiderato. Il sogno si sta avverando. 3. La mia esperienza in Italia e il nuovo lavoro con Amici dei Bambini Sono proprio contentissimo e orgoglioso di avere la possibilità di condividere la mia esperienza con tutti voi. Efferatamente è vero… che posso parlare un po’ l’italiano. Ci tengo a raccontarvi la mia esperienza in Italia. Sono cambogiano e mi chiamo Chenna Phal. Nella mia famiglia ci sono cinque persone, sono il secondogenito. Ho la mamma, due fratelli, una sorella. Sono uno studente e studio informatica all’università al terzo anno. La domanda perché possa parlare la vostra lingua? Allora arrivo subito al punto. Il grande problema che la mia famiglia ha dovuto affrontare è stata la malattia di mio fratello Ranon, una brutta malattia: la leucemia. Ad aprile 2009 siamo andati in Vietnam insieme. Solo l’intervento del Signore ha fatto guarire mio fratello da quella brutta malattia. Io e Ranon siamo arrivati in Italia per controllo sanitario di Ranon. Prima eravamo andati in Vietnam insieme e ci avevano accompagnato Paola e Stefania (due missionarie laiche). Eravamo contenti di andare perché pensavamo che Ranon presto sarebbe stato meglio. Siamo andati in Vietnam, ma non siamo stati contenti perché nell’ospedale non andava molto bene ai pazienti che stavano lì per curarsi. Così abbiamo deciso di cambiare e andare in Italia per curare Ranon. Tutti: la mia famiglia, Paola, Stefania, Cristina e le persone che aiutano Ranon. Eravamo tutti contentissimi quando abbiamo saputo che Ranon poteva curarsi in Italia. Ho subito sperato che potrà sentirsi meglio. Quando siamo arrivati in Italia, ero molto contento ed eccitato. Ranon è andato subito in un ospedale molto grande e bellissimo. Tutti i medici offrivano aiuto e gli infermieri erano proprio gentili e buonissimi a curare i pazienti. Tutti i medici, gli infermieri offrivano amicizia cordiale ai pazienti. L’ospedale era molto bello e tutti i pazienti erano protetti e curati. Mio fratello è stato nell’ospedale che si chiama “San Raffaele” nella città di e faceva i controlli nel dipartimento di ematologia. Il primario e il dottore che lo seguivano erano amichevoli e molto premurosi con tutti i pazienti dell’ospedale. Quando ho visto che tutti erano molto attenti con i pazienti, mi sono sentito contento. Molti pazienti erano stranieri e venivano da paesi lontani, ma i medici, gli infermieri erano buonissimi con loro e li curavano con amore. Ranon ha fatto tre volte a chemioterapia. Ero felice che Ranon era in un ospedale bellissimo. Quando siamo arrivati in Italia, eravamo contentissimi ed eccitati, perché abbiamo visto tante cose nuove per noi, era come vivere una nuova vita. Quando non assistevo mio fratello, studiavo la lingua italiana per comunicare. Ho incontrato tante persone che hanno aiutato mio fratello. Tutti ci hanno offerto con amore il loro cuore e così abbiamo ricevuto tanta amicizia. Anche fuori dall’ospedale tutti erano gentili con noi che eravamo stranieri in Italia, non ci hanno mai lasciati soli, ci hanno fatto credere ad un amore forte. Quando sono con queste persone, capisco e penso che c’è tanti che fanno del bene, a tutti, non solo a me. Ho ricevuto anche tante esperienze da gli amici italiani che mi hanno insegnato tante cose che prima non sapevo. Sono molto contento e ricorderò sempre l’aiuto che ho avuto da tutti. Io non credevo che avrei parlato la lingua italiana in futuro. Desideravo parlare la lingua italiana perché in Cambogia ci sono persone italiane. Quando siamo arrivati in Italia, ero pieno di speranza di potere imparare l’italiano con i miei amici e i missionari italiani nel mio paese, ma era difficile. Per imparare l’italiano, tante persone come la signora Franca, Paola, Antonella, Stefania, Paolo e Emanuela hanno insegnato a me ed anche gli altri maestri erano bravissimi insegnanti. Quando studiavo la lezione d’italiano, avevo difficoltà ad imparare la lingua, ma cercavo di studiare tutto, perché volevo parlare questa lingua con i miei amici. Loro mi vogliono bene e loro si interessano a me. Quando vedo che cosa fanno per me e per Ranon lo ricordo per sempre. Adesso è un anno che siamo tornati in Cambogia. Ora mio fratello è guarito dalla malattia. Ma soprattutto io ho trovato un bel lavoro con Amici dei bambini a Phnom Penh che era da tanto che dedideravo lavorare con la gente povera. Sono contentissimo di lavorare con i bambini, con le famiglie che sono povere, spesso senza casa, senza qualcuno che si interessa a loro. Voglio aiutare loro in Cambogia ed ora è l’occasione per me di aiutarli con amore. Ho appena cominciato a lavorare con Ai.Bi., però so che fa belle cose per la gente povera. Anch’io sto migliorando le mie capacità e sfruttando la conoscenza della lingua italiana. Con questo lavoro ho l’occasione di esercitarmi e di guadagnare qualcosa per sostenere i miei studi in futuro. Infine non posso dimenticare di ringraziare tutti voi che siete molto buoni e state sostenendo molti bambini in Cambogia. Hanno collaborato a questa edizione: Carlotta Nanni Marco Rinaldi Chenna Phal Channa Ek