Anno LX - N. 20 - 31ottobre 2012 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401 Panorama www.edit.hr/panorama Turismo: stagione senza precedenti Il fondo di opere d’arte di Pola P er esporre la collezione di opere d’arte di proprietà cittadina la Municipalità di Pola ha creato una nuova galleria ubicata in un ambiente di cultura per eccellenza: il Teatro istriano. La prima mostra di opere selezionate è stata aperta al terzo piano dello stabile e resterà aperta fino al maggio del 2013. Il fondo di opere d’arte cittadino ammonta a ben 400 quadri, sculture ed opere d’arte figurativa che diventano 600 se si contano uno per uno i 200 fogli singoli delle mappe grafiche ma ad essere attualmente esposte sono 75 opere realizzate da 57 autori. Nel salutare i presenti il vicesindaco, Fabrizio Radin, ha confermato che “l’obiettivo finale della Città si chiama Museo dell’arte contemporanea, istituzione entro la quale dovrebbero trovare collocazione definitiva sia il fondo Motika che quello cittadino”. A. V. 2 Panorama In primo piano Il susseguirsi di arresti nella polizia e le manovre occulte a livello politico Corruzione? No, molto peggio di Mario Simonovich V uoi evitare d’incappare in una pattuglia della stradale? Fanno cento euro. Essere certo che i giocatori d’azzardo non saranno sorpresi nel cuore della notte da un’irruzione nel tuo locale trasformato in bisca clandestina? La tariffa va da 200 a 500. Sei un uomo d’affari che vorrebbe preventivamente dare un’occhiata alla fedina penale di un partner di fresco conio? Anche qui il prezzo è relativamente basso e va da 100 a 500 euro perché il numero di coloro che dispongono in anticipo dell’informazione è relativamente ampio. Se però sei un “giocatore di prima lega” che ha assolutamente bisogno di sapere se la persona che t’interessa o tu stesso avete i telefoni sotto controllo, la tariffa sale in misura vertiginosa, in quanto a saperlo sono in pochi, per cui è chiaro che a dartela potrà essere solo uno che occupa una carica di alto livello all’interno delle strutture dell’apparato di polizia. A conti fatti però, se sei pronto ad esborsare da mille a 20 mila euro, anche in questo caso sarai a posto. Un capitolo a parte è rappresentato dalle “soffiate” che elargite con dovizia agli autotrasportatori, non solo per metterli in guardia ad evitare i blocchi stradali atti a controllare le merci trasportate per evitare le sanzioni per i sovraccarichi, a cui di regola si ricorre molto più spesso di quanto non si pensi. ma anche per eludere le possibilità di verifiche all’atto di carichi di particolare pericolosità. Se qualcuno avesse avuto anche il minimo dubbio che il più recente scandalo di cui si occupano da una decina di giorni a questa parte i media in Croazia fosse, tutto sommato, una questione di poco conto, man mano che affiorano certi inquietanti particolari, ha ampie possibilità di ricredersi. La riprova più palese viene dal susseguirsi di arresti all’intarno del corpo di polizia: undici negli ultimi giorni di ottobre, che vanno ad aggiungersi ai 26 soggetti “esterni”. Se Atene piange... con quel che segue. Se infatti quanto detto fa riferimento eslcusivo alla cosiddetta criminalità comune, quanto sta accadendo nel chi sapeva/chi non sapeva in riferimento alle intercettazioni (unico, sembra, elemento comune con quanto detto sopra) ha assunto fin dall’inizio una coloratura politica tanto miseranda e squalificante nei confronti di chi ha smosso il meccanismo, quanto pericolosa per l’assetto dello stato e delle sue strutture, di cui, sembra, né l’uno né l’altro degli schieramenti sembrano tener conto nella misura dovuta. Senza voler puntare con decisione l’indice accusatore, pare comunque che nella sua (comprensibile) azione di contrasto della struttura al potere, Karamarko, il leader dell’opposizione, sia vicino a bruciarsi le dita con la miccia da lui stesso accesa. La sua asserita volontà di portare avanti un’azione esclusivamente moralizzatrice cozza infatti con la (palese sembra) dimostrazione che i dati in base a cui ha formulato la sua accusa erano di esclusiva pertinenza del presidente della repubblica e del capo di governo. In altri termini, mentre tuona contro gli illeciti che trovano corpo anche nella fuga di notizie in merito alle intercettazioni, si serve di dati di cui sembra essere venuto in possesso con sistemi palesemente illegittimi, con buona pace del rispetto dei criteri di legalità. Non solo: il passaggio sembra essere avvenuto addirittura in anticipo, prima che questi finissero sulle scrivanie a cui erano ufficialmente e tassativamente destinati. In ambedue i casi ci troviamo insomma di fronte a comportamenti che avendo come fine primario il solo perseguimento di utili personali e di gruppo - e che ciò avvenga con l’occhio volto al portafogli o al conseguimento di determinate posizioni politiche è del tutto secondario - di fatto scardinano la stessa struttura dello stato, con conseguenze che potrebbero essere impensabili. Non dunque di sola corruzione si tratta ma di atti molto più lesivi del nostro futuro. ● Costume e scostume Minoranza e menomazioni Niente rifinanziamento per la minoranza in Slovenia e Croazia nel biennio 2013-2015. Idem per le associazioni degli esuli. Il no viene dalla proposta di Legge di stabilità inviata dal governo Monti alle Camere, quale effetto diretto dell’austerity e conseguenza indiretta dell’assenza di una legge di interesse permanente, come rilevato da Silvio Forza. Chi opera da maggior tempo entro le strutture minoritarie ha ben presenti le ristrettezze con cui ci si è confrontati non per anni, per decenni. Speravamo fossero tempi definitivamente tramontati e condizionati anche dal ristretto raggio d’azione entro cui poteva muoversi l’Italia. Ogni tanto scopriamo con comprensibile disappunto e delusione che sono invece d’intramontabile attualità. Eppure non ci vuole molto a capire che quei soldi sono più che ben spesi. Seppur numericamente ridotta, la minoranza italiana che vive in questo territorio svolge un’attività ramificata e stratificata tale da potersi tranquillamente confrontare anche con i popoli di maggioranza dei due paesi. Un’attività che significa in primo luogo una presenza qualitativa e duratura nel tempo, che dev’essere tassativamente mantenuta e semmai incrementata qualora si vogliano evitare perniciose menomazioni. Le nostre scuole, comunità, enti ed istituzioni fanno affidamento su quella che non per caso chiamiamo nazione madre. Sarebbe davvero miope se da questa non venisse, e in tempi brevi, una risposta rassicurante. Panorama 3 Panorama www.edit.hr/panorama Ente giornalistico-editoriale ED IT Rijeka - Fiume Direttore Silvio Forza PANORAMA Redattore capo responsabile Mario Simonovich [email protected] Progetto grafico - tecnico Daria Vlahov-Horvat Redattore grafico - tecnico Annamaria Picco Collegio redazionale Nerea Bulva, Diana Pirjavec Rameša, Mario Simonovich, Ardea Velikonja REDAZIONE [email protected] Via re Zvonimir 20a Rijeka - Fiume, Tel. 051/228-789. Telefax: 051/672-128, direttore: tel. 672-153. Diffusione: tel. 228-766 e pubblicità: tel. 672-146 ISSN 0475-6401 Panorama (Rijeka) ISSN 1334-4692 Panorama (Online) ABBONAMENTI: Tel. 228-782. Croazia: annuale (24 numeri) kn 300,00 (IVA inclusa); semestrale (12 numeri) kn 150,00 (IVA inclusa); una copia kn 14,00 (IVA inclusa). Slovenia: annuale (24 numeri) euro 62,59 - semestrale (12 numeri) euro 31,30 - una copia euro 1,89. Italia: annuale (24 numeri) euro 70,00 una copia: euro 1,89. Versamenti: per la Croazia sul cc. 2340009-1117016175 PBZ Riadria banka d.d. Rijeka. Per la Slovenia: Erste Steiermärkische Bank d.d. Rijeka 7001-3337421/EDIT SWIFT: ESBCHR22. Per l’Italia - EDIT Rijeka 3337421- presso PBZ 70000 - 183044 SWIFT: PBZGHR2X. Numeri arretrati a prezzo raddoppiato INSERZIONI: Croazia - retrocopertina 1.250,00 kn; retrocopertina interna 700,00 kn; pagine interne 550,00 kn; Slovenia e Italia retrocopertina 250,00 euro; retrocopertina interna 150.00 euro; pagine interne 120,00 euro. PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della Repubblica di Slovenia e viene parzialmente distribuita in convenzione con il sostegno del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (FiumeCapodistria) e l’Università Popolare di Trieste EDIT - Fiume, via Re Zvonimir 20a [email protected] La distribuzione nelle scuole italiane di Croazia e Slovenia avviene all’interno del progetto “L’EDIT nelle scuole III”, sostenuto dall’Unione Italiana di Fiume, realizzato con il tramite dell’Università Popolare di Trieste e finanziato dal Governo italiano (Ministero degli Affari Esteri - Direzione Generale per l’Unione Europea) ai sensi della Legge 193/04, Convenzione MAE-UPT. Consiglio di amministrazione: Roberto Battelli (presidente), Fabrizio Radin (vicepresidente), Maria Grazia Frank Franco Palma, Ilaria Rocchi, Marianna Jelicich Buić. 44Panorama Panorama Panorama testi N. 20 - 31 ottobre 2012 Sommario IN PRIMO PIANO Il susseguirsi di arresti nella polizia e le manovre occulte a livello politico CORRUZIONE? NO, MOLTO PEGGIO... 3 di Mario Simonovich ATTUALITÀ Brdo presso Kranj: la quarta riunione del Comitato di coordinamento dei ministri di Italia e Slovenia dedicata a economia, trasporti, energia e cultura I PROGETTI DOVREBBERO ANDARE AVANTI SENZA IL FRENO DELLE ISTANZE LOCALISTICHE.................... 6 Vittorio Sgarbi a Fiume, standing ovation IL CONTEMPORANEO È INFINITAMENTE ESTESO............ 9 di Diana Pirjavec Rameša Palese la soddisfazione espressa dagli operatori croati alle tradizionali Giornate dell’ospitalità 2012: UNA STAGIONE TURISTICA CON I FIOCCHI.................................. 10 di Ardea Velikonja ANNIVERSARI Cinquant’anni fa l’inaugurato il Concilio fortemente voluto da papa Giovanni XXIII VATICANO II, FINO A CHE PUNTO È STATO UNA NUOVA PENTECOSTE?......12 di Mario Simonovich La Marina lascia l’incrociatore che diede il via alla Rivoluzione d’Ottobre AURORA, DOPO 115 ANNI SOLO MUSEO... 14 a cura di Ardea Velikonja Aspetti poco noti della personalità arrivata ai vertici del potere in URSS STALIN, L’UOMO DAL BRACCIO RIGIDO DEL DITTATORE............... 16 a cura di Marin Rogić SOCIETÀ Per la prima volta uno scrittore italiano è ricorso alla magistratura contro un collega FARE INFORMAZIONE NON È FACILE, MA NON MERITA LA GALERA............18 di Marino Vocci LA STORIA OGGI Le CI in Istria e Dalmazia prediligono “La civiltà veneziana” LE SECOLARI VICENDE DI UNA CITTÀ-MONDO.................. 20 di Fulvio Salimbeni PSICOLOGIA L’atteggiamento del singolo individuo è costellato anche da diversi fattori inconsci LA RELIGIONE, UNA CARATTERISTICA UNIVERSALE DELLA SPECIE UMANA... 22 di Denis Stefan CINEMA E DINTORNI In “Reality”, Matteo Garrone parte dal fenomeno del Grande Fratello UN FILM PER USCIRE DAL GRIGIORE DELLA VITA DI OGNI GIORNO..........24 di Gianfranco Sodomaco ARTE Grazie alle “Giornate della lingua e cultura italiana” svoltesi nel capoluogo quarnerino UN OTTOBRE FIUMANO DA FAVOLA PER LA CREATIVITÀ.......26 di Erna Toncinich REPORTAGE Da otto anni Vrbovsko dedica un fine settimana a questo importante ortaggio OTTOBRE: IL TEMPO DELLE... ZUCCHE... 28 di Ardea Velikonja LETTURE “FOSCA E DINTORNI” (Storiele).... 34 di Ester Barlessi LIBRI Alessandro Piperno è il vincitore del Premio Strega 2012 con “Inseparabili” UN’OPERA SPLENDENTE ED IRONICA... 39 ITALIANI NEL MONDO Le modifiche alla legge Tremaglia IMPORTANTI NOVITÀ NELLA RIFORMA... 40 a cura di Ardea Velikonja MADE IN ITALY I locali in cui viene offerta superano le seimila unità È SAN PAOLO LA CITTÀ “PIÙ PIZZA”... 42 a cura di Ardea Velikonja MUSICA Una carrellata sulle opere più famose del mondo GIANNI SCHICCHI, ASTUTA FIGURA PUCCINIANA.................... 44 a cura di Ardea Velikonja SPORT Sette volte vincitore del Tour, potrebbe fare la fine di Marion Jones per doping IL CICLISTA ARMSTRONG RISCHIA LA DETENZIONE...............................46 di Nevio Tich TRA STORIA E GUSTO FINALMENTE LA MODERNA ESTRAZIONE DELL’OLIO.............. 48 di Sostene Schena MULTIMEDIA SETTIMA GENERAZIONE PER L’IMAC E NUOVI MAC MINI......... 50 a cura di Igor Kramarsich IN COPERTINA: Lussingrande ha avuto il Fiore azzurro come migliore centro turistico con meno di mille abitanti Agenda Riconoscimento per l’opera d’informazione dei bambini della minoranza Città di Chiavari: Menzione speciale ad Arcobaleno I l mensile per ragazzi delle Scuole elementari italiani della CNI, pubblicato dalla nostra Casa editrice, “Arcobaleno”, si è guadagnato una Menzione speciale al Premio Nazionale “Città di Chiavari” per la “meritoria azione di informazione e di intrattenimento svolta a favore dei bambini della minoranza di lingua italiana della Croazia e della Slovenia” (così recita la motivazione).Visibilmente sod- disfatta la caporedattrice Tiziana Dabović (nella foto) ha tra l’altro detto di essere “particolarmente lieta che questa menzione arrivi proprio in coincidenza con il sessantesimo dell’EDIT, di modo che va a rappresentare un contributo particolare a questo importante anniversario”. Il Premio “Città di Chiavari”, nato da un’idea del prof. Angelo Nobile, è l’unico concorso destinato alla stampa periodica per ragazzi. La ce- rimonia di premiazione si svolgerà il 14 novembre a Chiavari.● Incontro a Capodistria tra rappresentanti della CNI e dell’ARCI italiana Impegno comune per coltivare la cultura del dialogo U na delegazione dell’Associazione Ricreativa e Culturale Italiana ha fatto visita nel Capodistriano per conoscere la realtà italiana in Istria a Fiume e in Dalmazia. Come ha detto il suo presidente Paolo Beni “la rete ARCI è impegnata nel rafforzare i contatti con varie culture, per abbattere le barriere, valorizzando le differenze e far convivere le varie identità, per costruire dalle fondamenta una casa comune europea”. Maurizio Tremul, presidente della GE dell’Unione Italiana, ha illustrato agli ospiti in sintesi l’organizzazione della CNI, il suo sforzo per mantenere viva la presenza italiana lungo le coste slovene e croate dopo la tragedia della II guerra mondiale e degli avvenimenti immediatamente successi. “Noi abbiamo fame di collaborazione, ha detto tra l’altro Tremul, di trovare nuovi partner, nuovi stimoli per portare la cultura italiana qui da noi ma anche per far conoscere la nostra cultura in Italia”. All’incontro alla CI di Capodistria hanno partecipato pure Walter Massa, responsabile dello sviluppo associativo dell’ARCI, Marianna Jelicich Buić, dei settori Cultura e Teatro dell’UI, Igor Tuta, presidente dei circoli culturali sloveni in Italia, nonché Manuela Rojec, della CI di Pirano, ed Ondine Gregorich, della CI di Capodistria.● Presentato all’IIC di Zagabria il libro di Christian Eccher pubblicato dall’EDIT La letteratura degli Italiani d’Istria e di Fiume A ll’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria nell’ambito della Settimana della lingua italiana nel mondo è stato presentato il volume di Christian Eccher edito dalla nostra Casa editrice La letteratura degli Italiani d’Istria e di Fiume dal 1945 ad oggi. Nel suo saluto l’addetta reggente dell’IIC, Virginia Piombo, ha rilevato che una delle direzioni in cui l’Istituto intende procedere è quella delle iniziative da realizzare in collaborazione con la CNI e le sue isti- tuzioni, nonché la tutela del gruppo minoritario italiano. Christian Eccher è un ricercatore esterno al mondo minoritario e quindi il suo lavoro è ancora più interessante. A spronare Eccher è stato un intellettuale di stampo europeo ovvero Predrag Matvejević, all’epoca professore alla Sapienza di Roma. Visto che uno dei maggiori editori italiani non ha pubblicato il libro ritenendo che si tratti di un argomento estraneo al grande pubblico italia- no, ha detto il professore, l’incombenza è stata assunta dall’Edit. Ora si fa conto su un adeguato riscontro in Italia.● Panorama 5 Attualità Brdo presso Kranj: la quarta riunione del Comitato di coordinamento dei m I progetti dovrebbero andare avanti s di Diana Pirjavec Rameša L a quarta riunione del Comitato di coordinamento dei ministri di Italia e Slovenia a Brdo, nei pressi di Lubiana, è stata un’occasione per ribadire l’importanza strategica dei rapporti tra i due paesi e rinnovare l’impegno bilaterale a favore di progetti comuni in tutti i settori. Come si legge nella dichiarazione finale della riunione che si è svolta a metà ottobre firmata dal ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, e dall’omologo sloveno, Karl Erjavec, “i due paesi sono pronti a continuare i progetti avviati nel settore economico, delle infrastrutture, dei trasporti, dell’energia e della cultura”. All’incontro, celebrato nell’anno della ricorrenza del ventennale dello stabilimento delle relazioni diplomatiche italo-slovene, ha preso parte, oltre a Terzi, una folta delegazione del governo italiano, composta dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, il sottosegretario all’Istruzione, Marco Rossi Doria, il viceministro delle Infrastrutture e Trasporti, Mario Ciaccia, e il sottosegretario allo Sviluppo economico, Massimo Vari. Da parte slovena hanno partecipato invece il ministro dell’Agricoltura e dell’Ambiente, Franc Bogovič, quello dell’Istruzione, Ziga Turk, il segretario di Stato allo Sviluppo economico, Uroš Rožič, ed i segretari di Giulio Terzi: tanti progetti 6 Panorama Il centro congressi di Brdo presso Kranj Il ministro dell’Ambiente italiano, Corrado Clini, ha proposto al suo omologo sloveno, Franc Bogovič, l’organizzazione di una riunione trilaterale tra Italia, Slovenia e Croazia, entro pochi mesi, dedicata alle politiche energetiche e ambientali. Obiettivo della riunione “non è quello di convincere qualcuno sulle bontà dei progetti italiani ma di capire insieme cosa vogliamo fare”, valutando anche i progetti di Slovenia e Croazia, ha aggiunto Clini riferendo che la proposta di un incontro trilaterale è stata accettata dal collega sloveno Franc Bogovič. Stato alle Infrastrutture e all’Energia, rispettivamente Ljubo Žnidar e Igor Salamun. Roma e Lubiana si sono impegnate in progetti comuni nel settore dei trasporti, come il collegamento ferroviario tra Trieste e Divaccia e le collaborazioni tra i porti del Nord Adriatico. I due paesi sono interessati inoltre a rafforzare la cooperazione territoriale transfrontaliera, nonché allo sviluppo di programmi comuni nel settore dell’energia. A tale proposito Uroš Rožič ha discusso con Massimo Vari del progetto South Stream, ritenuto di importanza strategica per entrambi i paesi. In campo culturale, invece, l’Italia si è impegnata per il ripristino della cattedra di lingua e letteratura slovena presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Per quanto riguarda l’ambiente, poi, è stato particolarmente ricco il dibattito sui progetti dei rigassificatori nel Golfo di Trieste. Comitato di coordinamento dei ministri di Italia e Slovenia Il ministro dell’Ambiente italiano, Corrado Clini, ha proposto al suo omologo sloveno, Franc Attualità inistri di Italia e Slovenia dedicata a economia, trasporti, energia e cultura enza il freno delle istanze localistiche Bogovič, l’organizzazione di una riunione trilaterale tra Italia, Slovenia e Croazia entro pochi mesi dedicata alle politiche energetiche e ambientali. Parlando alla stampa a margine della riunione del Comitato di coordinamento dei ministri, Clini ha spiegato che la riunione servirà per “esaminare insieme le politiche energetiche che i tre paesi vogliono adottare per affrontare impegni ambientali in ambito europeo. È importante - ha aggiunto Clini - che ci comprendiamo reciprocamente su quello che intendiamo fare. L’Italia ha pubblicato la strategia energetica nazionale che è in consultazione pubblica e in questo contesto il ruolo che l’Alto Adriatico può avere nel sistema energetico futuro è molto importante”. Ha poi aggiunto che Corrado Clini: una trilaterale “la riunione potrà contribuire ad affrontare tematiche puntuali che riguardano i tre paesi Condividiamo lo stesso mare in un territorio molto ristretto. È un mare importante per il trasporto di prodotti petroliferi e installazioni energetiche - ha sottolineato il ministro - e se riusciremo a tenere la riunione, potremo guardare diversamente singole problematiche oggetto di contenziosi”, come i progetti dei rigassificatori nel golfo di Trieste. Per quanto riguarda il rigassificatore di Zaule, “la dichiarazione di impatto ambientale è stata rilasciata tenendo conto delle indicazioni della Slovenia”, ha ricordato Clini. È necessario invece completare la Karl Erjavec con il premier croato Zoran Milanović in occasione di un recente incontro valutazione di impatto ambientale sul gasdotto, la pipeline che dovrà portare il gas da Trieste alla rete italiana. “Ho informato il mio collega Bogovič che sono in corso valutazioni a livello locale, con il comune, la provincia e l’autorità portuale di Trieste - ha spiegato Clini - ma non abbiamo una previsione dei tempi entro i quali la procedura potrà essere conclusa”. Riguardo invece al rigassificatore offshore, “la procedura di valutazione di impatto ambientale è ancora aperta - ha continuato Clini - anche tenendo conto delle problematiche relative alla definizione della buffer zone (zona cuscinetto) che potrebbero avere implicazioni sulle acque di Slovenia e Croazia”. I rigassificatori sono infrastrutture necessarie per la sicurezza energetica dell’Italia. Lo ha detto il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, durante la conferenza stampa congiunta tenuta a Brdo, con l’omologo sloveno Karl Erjavec. “Il tema dei rigassificatori in Italia è un tema che va affrontato e discusso”, ha detto, aggiungendo che si tratta di “infrastrutture necessarie per la sicurezza energetica” del paese. Terzi ha spiegato che l’argo- mento “va valutato e possibilmente concordato anche con i paesi vicini, che tra l’altro potrebbero trarre vantaggi evidenti da soluzioni più economiche rispetto a quelle prese in una dimensione nazionale. Ben venga quindi la riunione proposta dal ministro Clini con i responsabili di Croazia e Slovenia”. La Slovenia è il primo partner commerciale dell’Italia tra i Paesi della ex-Jugoslavia più l’Albania, e l’interscambio con Lubiana rappresenta, con un valore di circa 6,5 miliardi di euro nel 2011, il 40 p.c. dell’interscambio commerciale totale tra l’Italia e tali 8 Paesi. In particolare, l’Italia si è confermata nel 2011 il secondo partner commerciale della Slovenia (dopo la Germania), con una quota di mercato del 15,3 p. c. ed un saldo commerciale positivo di 1,44 miliardi di euro. Le esportazioni italiane in Slovenia (quasi 4 miliardi di euro nel 2011) sono cresciute del 10,1 p. c rispetto al 2010; anche le importazioni dalla Slovenia (pari a circa 2,5 miliardi di euro) sono cresciute nel 2011 (+15,9 p. c). Inoltre, secondo le ultime stime ICE disponibili, nel primo semestre del 2012 l’Italia è al primo posto nella classifica dei Pa- Panorama 7 Attualità esi fornitori della Slovenia, avendo sopravanzato la Germania. Nel 2011 l’Italia è stato il terzo investitore estero nel Paese (dopo Austria e Svizzera). La presenza dei grandi gruppi italiani si concentra nei settori assicurativo (Generali), bancario (Intesa SanPaolo e UniCredit), energetico (ENI, ENEL e Acegas), della grande distribuzione organizzata (Eurospin e Autogrill), mentre numerose piccole e medie imprese operano nel settore manifatturiero (industria del legno/mobili, metalmeccanico, tessile/moda). Terzi ha sottolineato la “necessità di “Il ruolo del gas naturale nell’economia italiana, in quella della Slovenia e anche in quella della Croazia, che ormai è un paese dell’Ue, è molto importante anche ai fini del rispetto dei nostri obblighi ambientali, in particolare la seconda fase del protocollo di Kyoto a partire dal prossimo anno e l’impegno in vista della conferenza sui cambiamenti climatici di Doha a dicembre;” ha spiegato il ministro Clini. guardare a questi diversi settori in un approccio di sistema”. È sempre più necessario, ha spiegato il mini- stro Terzi, “cercare di slegarci il più possibile da quelle che possono essere istanze localistiche”.● Lo sostiene il segretario di Stato per lo sviluppo economico sloveno, Uroš Rožič La Slovenia pronta a estendere investimenti in Italia I n Italia ci sono ancora molte opportunità per le imprese slovene che sono molto interessate ad investire anche nell’area centrale e meridionale della Penisola. È quanto affermato dal segretario di Stato per lo sviluppo economico sloveno Uroš Rožič in un’intervista eslusiva all’agenzia “Nova”, al termine dell’incontro bilaterale con il sottosegretario allo Sviluppo economico italiano Massimo Vari a Brdo, nell’ambito della riunione del Comitato di coordinamento dei ministeri dei due paesi. “In Slovenia operano oltre 400 società italiane e noi sloveni siamo più che interessati a investire non solo nel nord dell’Italia, ma anche nel centro e nel sud del paese”, ha detto Rožič. “Siamo convinti che gli investimenti da parte slovena in Italia aumenteranno”. Si è detto soddisfatto inoltre della cooperazione con Roma nel settore dell’energia. “Siamo felici che ci siano progressi nel progetto South Stream”, ha affermato il segretario di Stato sloveno, dicendosi particolarmente soddisfatto per la decisione di Eni di accelerare le attività riguardanti il progetto. “Non si può costruire un gasdotto se non c’è un mercato per il gas - ha continuato -. E da quello che abbiamo appreso oggi tale mercato esisterà e questo incoraggerà entrambi i paesi a procedere con il progetto”. 8 Panorama I piani per la realizzazione del South Stream prevedono l’inizio dei lavori nel dicembre di quest’anno e il completamento nel 2015. Il progetto è portato avanti dal gigante russo Gazprom, l’italiana Eni, la francese Edf e la tedesca Wintershall per il trasporto di metano dall’Asia centrale verso l’Europa centrale e meridionale. La Russia ha siglato finora accordi con Bulgaria, Ungheria, Grecia, Slovenia, Croazia e Austria per la costruzione della conduttura. L’ad di Gazprom, Alexei Miller, ha firmato il 31 maggio scorso a Portorose con l’AD della società slovena Plinovodi, Marjan Eberlinc, l’accordo per la creazione di una joint venture per la costruzione della sezione locale del South Stream. Gazprom e Plinovodi hanno ciascuna il 50 per cento della nuova società. La Slovenia ha siglato il primo accordo con la Russia per la costituzione della joint venture nel marzo del 2011 dovrebbe iniziare a lavorare al gasdotto nel 2013. Nel frattempo, però, il governo di Lubiana è alle prese con una grave crisi economica dovuta alle ripercussioni di quella europea. La Slovenia deve quindi approvare quelle che Rožič ha definito “riforme cruciali”, indispensabili per superare l’attuale momento di difficoltà: “Il governo ha già inviato al Parlamento tutte le leggi relative alle riforme, ma ci sono ancora Il segretario di Stato, Uroš Rožić negoziati in corso con i sindacati”. Il politico è convinto che “in ogni caso tutte le riforme saranno approvate al momento opportuno”. “La riforma delle pensioni potrebbe già essere approvata a gennaio del 2013 - sostiene l’interlocutore -. Per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro ci sono ancora lotte tra sindacati e imprese, ma saremo in grado di superarle”. Rožič ha ricordato inoltre la proposta d’istituire una holding statale per la gestione di tutti gli asset pubblici, come misura per fronteggiare la crisi, e ha sottolineato infine che “particolarmente importante” nell’ambito delle politiche economiche è la legge finanziaria per i prossimi due anni approvata recentemente dal governo. “Anche su questo fronte - ha concluso il ministro - sono convinto che arriveremo a un consenso entro fine anno”.● Attualità Vittorio Sgarbi a Fiume salutato con una standing ovation Il contemporaneo è infinitamente esteso di Diana Pirjavec Rameša foto di Željko Jerneić S garbi critico d’arte rigetta tutta quella serie di accuse che gli vengono rivolte e che riguardano il fatto di non comprendere e di non saper apprezzare l’arte contemporanea pur essendo un grande conoscitore della storia dell’arte in genere. La sua breve permanenza a Fiume in occasione delle “Giornate della cultura e della lingua italiana” promosse dal Consolato generale d’Italia è servita soprattutto a fare una sintesi dello Sgarbi- pensiero. La sera della conferenza l’aula consiliare del Municipio è risultata troppo piccola per accogliere i tanti fan o semplici curiosi che avrebbero voluto, alcuni ci sono anche riusciti, condividere con il professore una serata all’insegna della polemica (in fondo Sgarbi è soprattutto questo) ascoltando alcune riflessioni sull’arte che ad alcuni piacciono mentre da altri vengono contestate con grade ferocia. Nel suo libro, presentato a Fiume dal titolo L’arte è contemporanea. Ovvero l’arte di vedere l’arte (Bompiani 2012) l’autore illustra alcuni concetti fondamentali: 1. tutta l’arte è arte contemporanea; 2. contemporaneo è un dato non ideologico, ma semplicemente cronologico. “È questa la forza dell’arte in divenire, che va ritenuta contemporanea non in quanto Vittorio Sgarbi più o meno sperimentale, più o meno avanzata, ma solo in quanto concepita elaborata ed espressa nel nostro tempo. Non c’è altro modo di essere contemporanei che essere qui ed ora. Così, insieme alla contemporaneità di ciò che esiste, c’è la contemporaneità di ciò che è esistito e continua a vivere” sostiene l’autore. Vittorio Sgarbi, critico e storico dell’arte, ha curato numerose mostre in Italia e all’estero, ed è autore di saggi e articoli. Laureato in filosofia con specializzazione in storia dell’arte all’Università di Bologna e inizia ad occuparsi di arte, diventando ispetto- Sgarbi nell’aula consiliare, alla sua destra il console Renato Cianfarani re della sovrintendenza ai beni storici e artistici in Veneto. Ha insegnato per tre anni Storia delle tecniche artistiche all’Università di Udine. I titoli più rilevanti da lui pubblicati sono “Carpaccio” (1979), “I capolavori della pittura antica” (1984), “La stanza dipinta” (1989), “Davanti all’immagine” (1990, vincitore del Premio Bancarella), “Onorevoli fantasmi” (1994), “Lezioni private” (1995), “Lezioni private 2” (1996), “Davanti all’immagine” (2005), “Ragione e passione. Contro l’indifferenza” (2006), “Clausura a Milano. Da Suor Letizia a Salemi” (2008) (scritto con Marta Bravi). Nel 2010 viene nominato Soprintendente della Soprintendenza speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare. La nomina è stata successivamente annullata dalla Corte dei Conti. Attualmente Sgarbi ricopre il ruolo di Soprintendente “ad interim” in attesa che il Ministero definisca la procedura per la nuova nomina. Nel 2011, incaricato dal Ministero per i Beni e le attività culturali, è curatore del Padiglione Italia e dei Padiglioni regionali per la 54 Esposizione internazionale d’arte di Venezia organizzata dalla Biennale di Venezia (4 giugno - 27 novembre 2011). Con i Padiglioni Panorama 9 Attualità regionali per la prima volta l’esposizione viene dislocata in terraferma nelle diverse regioni. Il critico passa per l’acerrimo denigratore dell’arte contemporanea. Ma Vittorio Sgarbi all’addebito non si scompone: da oltre quarant’anni, pur manifestando interesse prevalentemente per l’arte antica, non smette di occuparsi della produzione artistica più recente. Lo dice (e lo scrive) ne “L’arte è contemporanea”. Per Sgarbi la contemporaneità è rintracciabile anche in Mantenga e Piero Della Francesca, giacché nelle opere di questi due grandi artisti del passato è possibile specchiare “ciò che è esistito e continua ancora oggi a vivere”. E al cospetto di quanto venga divulgato o si voglia far credere, secondo il critico ogni opera si riconosce per una sua specifica identità e natura, “ogni opera d’arte è, e basta, così come la bellezza è. “L’arte - scrive - non ha bisogno di specialisti per essere capita”. E se tutti siamo legittimati e capaci a dare una lettura di un quadro o di una scultura, se è più facile interpretare un’opera di Kounellis, Pollock o Manzoni rispetto ad un affresco di Michelangelo in quanto quest’ultimo richiede in più una conoscenza storica e letteraria, Sgarbi - per dare ulteriore accredito al suo concetto di contemporaneo - non si risparmia nel biasimare chi fa dell’arte contemporanea non una libera ricerca estetica, ma merce da spremere, per massimizzare i profitti che girano intorno a gallerie, collezionisti e grandi mostre allestite con tanto di spreco di 10 Panorama denaro pubblico. E sferra colpi bassi contro quel sistema “mafioso” che porta dentro di sé enormi contraddizioni e, soprattutto, opera con discriminazione, osannando comunicatori (e, quindi, non-artisti) come i Cattelan e i Koons e lasciando nell’anonimato artisti-artisti che meriterebbero più riconoscimento e notorietà come i pittori Paolo Giorgi, Roberto Ferri, Lino Frongia o gli scultori Giuseppe Bergomi, Livio Scarpella o Giuseppe Ducrot. Ma ritornando al titolo e all’idea portante del libello, Sgarbi ammette che analizzando il contemporaneo passato e presente non si fanno antitetici, diventano elementi di complemento dentro un unico discorrere per cui non si può stabilire che un’artista è più attuale di un altro, “uno è più contemporaneo di un altro. L’arte contemporanea - sentenzia il critico - è in divenire, quindi non ce n’è una, non ce n’è un aspetto soltanto. Il contemporaneo è infinitamente esteso”. Venduto nelle librerie con due diverse copertine di cui una riporta un’opera di Gaetano Pesce e l’altra di Antonio Lòpez Garcìa - il piccolo saggio si chiude con una conversazione tra Sgarbi e il massimo estetologo italiano vivente, l’ultracentenario Gillo Dorfles, il quale con ferma lucidità sostiene che oggi i pittori sono quasi del tutto scomparsi e gli artisti che passavano per avanguardisti a trent’anni col tempo, non avendo saputo imprimere alla loro arte altri elementi di novità, sono diventati la peggior retroguardia.● Palese la soddisfazione 2012: una di Ardea Velikonja U na stagione turistica con i fiocchi. Si potrebbero definire così i primi nove mesi del 2012 in quanto a presenze ma anche al movimento in genere. Tutto ciò è ancora più importante considerato l’aumento dei posti di lavoro che tutta questa mole di attività ha portato con sé. Lo ha detto il ministro al Turismo, Veljko Ostojić, alle tradizionali Giornate del settore che si sono svolte a Ragusa (Dubrovnik). Questa è stata anche l’occasione per premiare con il Fiore azzurro (per la parte costiera) e il Fiore verde (per la parte continentale) le città, le cittadine, i parchi, i balconi, le vie, i distributori di benzina e i singoli soggetti che si sono distinti nel corso dell’annata. Ricorderemo che l’azione “Voglio bene alla Croazia”, portata avanti dall’Ente nazionale da più di dieci anni, ha fatto migliorare la qualità dell’offerta turistica dalla pulizia, ai parchi, alla cordialità del personale. Infatti da quando è iniziata questa azione tutte le città e i centri più piccoli si sono dati veramente da fare per aggiudicarsi l’ambito premio, tanto che di anno in anno l’Ente ha aggiunto altre categorie. Quest’anno la più bella città costiera con più di 10.000 abitanti è risultata Ragusa (Dubrovnik), seconda Zara e terza Umago. Da rilevare che Lussingrande, la pittoresca cittadina isolana, è risultata essere la più bella nella categoria delle cittadine fino a 1000 abitanti. Per quanto riguarda la parte continentale, ovvero il “Fiore verde”, la città di Varaždin si è aggiudicata il primo posto nella prima categoria mentre Gospić è risultata prima nella terza categoria. Da alcuni anni l’Ente turistico ha deciso pure di premiare i singoli che si sono distinti nel turismo e quest’anno la Regione quarnerina e quella Istriana hanno fatto man bassa di premi. Il miglior animatore turistico è risultato essere Attualità espressa dagli operatori croati alle tradizionali Giornate dell’ospitalità stagione turistica con i fiocchi Branko Vlačić di Rabac, miglior cameriere è stato eletto Miran Sušanj del ristorante “Johnson” di Draga di Moschiena. Darinka Jelenić Trošt invece è la miglior governante del personale ai piani dell’albergo “Monte Mulini” della Maistra di Rovigno e Ivica Pedišić, della “Jadrolinija”, il miglior capitano marittimo. Nevenka Šegan di Crikvenica è la più brava ispettrice e Marko Ćavarević di Umago il miglior autista. Ljubomir Stojčić di Villa Župan di Crikvenica è il primo tra gli affittacamere in Croazia. Insomma per Istria e Quarnero i premi sono stati tantissimi. Ma tornando agli andamenti turistici e alla soddisfazione del ministro Ostojić, da rilevare che i passi che si sono fatti già oggi per il prossimo anno in questo campo sono molto importanti, primo fra tutti quello della diminuzione dell’aliquota IVA per il settore che sarà dal 1.mo gennaio prossimo del 10 per cento. Con l’entrata della Croazia nell’Unione europea, che dovrebbe avvenire il 1.mo luglio 2013, le sfide si faranno ancora più grandi. Anche se quest’anno il paese è risultato il primo in quanto a pernottamenti nel Alle Giornate del turismo è intervenuta la nuova direttrice dell’Ufficio centrale dell’Ente turistico croato Meri Matešić Mediterraneo, “nel 2013 bisognerà fare molto di più specie per quanto riguarda la prestagione dato che le grandi feste ‘cadono’ in date che non favoriscono le presenze. Quindi solo creando nuove condizioni e nuove offerte si creeranno i presupposti per un soggiorno in questo periodo”, ha concluso il ministro. Lussingrande: primo premio per le località con meno di mille abitanti Nell’ambito del turismo è doveroso nominare anche il “piccolo terremoto” avvenuto in seno all’Ente nazionale. Scaduto il mandato del direttore (che da dodici anni risultava essere Niko Bulić, ex ministro al Turismo) c’è stato il regolare concorso al quale ha partecipato pure Bulić, a detta di parecchi, largamente favorito. A grande sorpresa però, fra i dodici candidati in lizza la commissione ha optato per la zaratina Meri Matešić, attuale rappresentante dell’Ente turistico della Croazia a Londra al termine di una lunga gavetta che l’ha portata dalle agenzie agli alberghi. A elezione confermata, la prescelta ha immediatamente rilevato di considerare compito prioritario l’approvazione del Programma di lavoro in cui si prevedono tante attività che bisognerà rimboccarsi le maniche e cominciare subito a lavorare, dapprima sul piano del marketing e sulla presenza alle più importanti fiere del turismo, tanto nel Vecchio continente che oltreoceano. Essenziale, nel contesto, ricorrere alle nuove tecnologie ed ai social network su cui poggia il futuro. ● Panorama 11 Anniversari L’11 ottobre di cinquant’anni fa la cerimonia inaugurale del Concilio Vaticano II, fino a che punto è stato llontanati gli altari dalle pareti e posti e posti al centro del presbiterio, il celebrante si è spostato per volgersi non più al tabernacolo ma ai fedeli che seguono o, si direbbe più opportunamente, partecipano al rito. Sicuramente è stata questa una delle espressioni più visibili e recepite del Concilio vaticano II, i cui lavori furono solennemente inaugurati cinquant’anni fa, l’11 ottobre 1962. Pochi sanno che, di contro a quanto si potrebbe pensare, tale pratica non fu espressamente prevista in alcun documento conciliare, ma si diffuse in quanto adottata dal Messale romano e qui introdotta dal significato innovativo attribuito alla celebrazione liturgica, incentrata sull’attiva partecipazione attiva dei fedeli. Lo stesso, come si vedrà, sarebbe avvenuto con l’introduzione delle lingue nazionali nei riti, nonostante la posizione privilegiata assegnata in partenza al latino. Non vi è dubbio che il nuovo papa, Giovani XXIII, accarezzasse l’idea da tempo: diede infatti l’annuncio il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione. Il 16 maggio venne nominata la commissione antipreparatoria, presieduta dal cardinale Tardini, in dicembre lo stesso pontefice lasciò intendere che uno dei principali compiti sarebbe stata una riflessione sulla Chiesa nella definizione della sua identità e natura e quindi nel rapporto con il mondo. L’anno successivo fu nominata la commissione preparatoria presieduta dallo steso Papa, con il compito di definire da vicino gli argomenti da trattare alle sessioni plenarie. Il giorno di Natale del 1961 il Papa indisse ufficialmente il Concilio che inaugurò con grande solennità l’11 ottobre successivo (la giornata in cui, in serata, pronunciò anche il celebre riferimento alla luna). Nel discorso d’apertura Gaudet Mater Ecclesia (Gioisce la Madre Chiesa) definì compito primario dell’assise la spiegazione e approfondimento della dottrina “secondo quanto è richiesto dai nostri tempi” perché “altro è (...) il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dot- A 12 Panorama Il Concilio ecumenico Vaticano II è stato il ventunesimo e ultimo concilio ecumenico, ovvero una riunione di tutti i vescovi del mondo per discutere di argomenti riguardanti la vita della Chiesa cattolica. Si svolse in quattro sessioni, dal 1962 al 1965, sotto i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI trina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate”. Dunque un sinodo essenzialmente pastorale, teso a cogliere “i segni dei tempi”, con la Chiesa tesa alla ripresa del dialogo con il mondo. In quanto ai profeti di sventura, come chiamava gli esponenti del clero più avversi al concilio, li accusò di non essere capaci che di “vedere altro che rovine e guai”. Arrivano al punto di comportarsi “come se non avessero nulla da imparare dalla storia” come se ai tempi dei precedenti concili “tutto procedesse felicemente” tanto in campo dottrinario che etico. La qualifica di ecumenico era fuori discussione: vi parteciparono infatti quasi 2500 fra cardinali, patriarchi e vescovi provenienti da tutto il mondo che, al termine delle sue quattro sessioni, avevano all’attivo quattro Costituzioni, tre Dichiarazioni e nove Decreti. Ad essi si aggiunsero, per la prima volta, in qualità di osservatori, diversi esponenti delle comunità ortodosse e protestanti. Uno dei primi elementi che si fecero strada furono le realtà ecclesiali diffuse e consolidate in seguito alle attività missionarie avviate nei decenni precedenti ma rimaste, a livello di considerazione, ai margini della Chiesa. In quanto alle “diversità interne”, accanto alle Chiese di rito orientale si ponevano ora quelle africane e latinoamericane, che chiedevano una maggior considerazione. La morte di papa Giovanni XXIII, avvenuta il 3 giugno del 1963, ridiede coraggio all’ala conservatrice tanto da indurla a chiedere la sospensione dei lavori. Il successore, Paolo VI, fece subito capire che avrebbe continuato sulla strada del predecessore. Si arrivò così al 7 dicembre, giorno dell’ultima seduta pubblica in cui il Papa spiegò come il concilio avesse rivolto “la mente della Chiesa verso la direzione antropocentrica della cultura moderna”, senza che però questo interesse fosse disgiunto “dall’interesse religioso più autentico”. Fra i documenti conciliari il più importante era la definizione della natura e organizzazione della Chiesa, Lumen Gentium, definita la magna charta del Vaticano. Essa ribadiva la sua struttura tripartita: sacerdozio, profezia e regalità, attribuite in prevalenza, nell’ordine, ai presbiteri, religiosi e laici. Ogni suo componente però, in quanto battezzato, doveva vivere tutte e tre le di- Anniversari o fortemente voluto da papa Giovanni XXIII o una nuova Pentecoste? mensioni. Venne approfondito il ruolo dei vescovi che dovevano lavorare collegialmente tra loro e in comunione con il vescovo di Roma. Al laicato cattolico venne data la preminenza nella dimensione regale, ossia nel rapporto con il mondo, con lo specifico compito di “ricondurlo a Cristo”.Fu rinsaldato così il ruolo delle organizzazioni cattoliche esterne alla Chiesa. Un cenno particolare merita il decreto Unitatis Redintegratio sull’unità delle confessioni cristiane e la dichiarazione Nostra Aetate sulle religioni non cristiane in cui fu riconosciuta la presenza di “semi di verità” anche nelle altre Chiese cristiane e confessioni religiose: Cristo era la Verità e l’unica Via per giungere al Padre, ma si riconobbe il ruolo delle altre realtà religiose nel contribuire all’elevazione morale del genere umano. Esplicito anche il ripudio dell’antisemitismo teologico. Di conseguenza, la Chiesa cattolica fece proprio il principio della libertà religiosa: all’uomo deve essere garantita ma non imposta la facoltà di credere. Le aspettative furono molte sia fra il clero che fra i laici - basti ricordare ad esempio lo slancio che sembrò pervadere la Chiesa in Croazia, che in questo modo vedeva aprirsi nuovi spazi anche per contrastare uno stato avverso tanto per la sua “multinazionalità quanto ancor di più per il diktat ideologico, contro cui si era esplicitamente espresso il concilio - ma in molti casi la realizzazione si fermò a metà strada. Se ne rese acutamente conto lo stesso Paolo VI che, rilevando la perdita di prestigio della Chiesa nella società, in un’omelia del 1972 affermò con amarezza che sembrava come se da qualche fesssura “sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. Non ci si fida più della Chiesa, ci si fida del primo profano che viene a parlarci da qualche giornale per rincorrerlo e chiedere a lui se ha la formula della vera vita (...) Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli”. Uno dei problemi più scottanti fu la grossa emorragia di sacerdoti e religiosi che di fatto, in maniera più o meno marcata, si distanziarono dalla dottrina e in moltisimi casi si arrivò all’abbandono delle vesti talari. Si sviluppò significativamente il movimento dei preti operai, stimolato, va ricordato dallo stesso Papa, che in questi modo a sua volta si distanzziò notevolmente da Pio XII e Giovanni XXIII che erano invece fermamente contrari. Le Chiese sudamericane, come detto, tese all’affermazione delle proprie particolarità espressero figure di notevole spessore che si avvicinarono alle idee marxiste. I contrari alle aperture ebbero invece il loro rappresentante 11 ottobre 1962, iniziano i lavori del Concilio I padri conciliari in piazza San Pietro il giorno dell’apertura più significativo nel vescovo Lefebvre (1905-1991) il cui allontanamento dal Vaticano fu tale da incorrere nella scomunica decretata da Giovanni Paolo II. Significativa nel contesto una dichiarazione del 1985 dell’allora cardinale Joseph Ratzinger sulla “crisi” del post-concilio. “Nelle sue espressione ufficiali, nei suoi documenti autentici, il Vaticano II non può essere ritenuto responsabile di questa evoluzione che - al contrario - contraddice radicalmente sia la lettera che lo spirito dei Padri conciliari”. Spiegava quindi che “se per ‘restaurazione’ intendiamo la ricerca di un nuovo equilibrio dopo le esagerazioni di un’apertura indiscriminata al mondo, dopo le interpretazioni troppo positive di un mondo agnostico e ateo; ebbene, allora una ‘restaurazione’ intesa in questo senso è del tutto auspicabile ed è del resto già in atto nella Chiesa. In questo senso si può che dire che è chiusa la prima fase dopo il Vaticano II”. Da qui la sua convizione che “il tempo vero del Vaticano II non sia ancora venuto, che la sua recezione autentica non sia ancora cominciata”. ● M. S. 8 dicembre 1965, la cerimonia di chiusura Panorama 13 Anniversari La Marina lascia l’incrociatore che diede il via alla Rivoluzione d’Ottobre Aurora, dopo 115 anni solo museo a cura di Ardea Velikonja L’ ultimo equipaggio della Marina militare russa ha abbandonato definitivamente l’“Aurora”, l’incrociatore che il 25 ottobre 1917 sparò il primo colpo di cannone dando il segnale d’inizio della Rivoluzione bolscevica, con l’assalto al palazzo d’Inverno. All’alba i 14 marinai sono scesi e hanno affidato la nave a un equipaggio civile, riferisce una fonte militare all’agenzia Ria Novosti. Tre anni fa il comando della Marina federale aveva deciso di togliere all’imbarcazione lo status di nave militare, lasciandole di fatto solo quello di museo, dopo lo scandalo che l’aveva coinvolta nella notte tra il 5 e il 6 giugno del 2009: in quell’occasione, durante il Forum economico internazionale di San Pietroburgo, l’oligarca Mikhail Prokhorov aveva organizzato a bordo dell’“Aurora” un mega party per vip, con tanto di showgirl per rendere indimenticabile una delle “notti bianche”. Alcuni uomini d’affari russi, ubriachi, si erano tuffati nelle acque della Neva ed erano stati recuperati poco dopo da un motoscafo che li aveva ricondotti a bordo dell’incrociatore. A sollecitare un’inchiesta erano stati i comunisti di San Pietroburgo, che avevano definito il ricevimento sull’“Aurora” un “vilipendio mostruoso” di uno dei simboli più alti della storia della Russia. La procura del distretto militare locale aveva messo sotto inchiesta alcuni alti ufficiali per aver autorizzato il party violando lo statuto della marina. Lo scorso ottobre l’“Aurora” subì un’altra “profanazione”: il blitz di un gruppo di giovani che issò una bandiera pirata sull’albero maestro, restandovi a cavalcioni per ore. L’azione fu rivendicata dal movimento “Cibo, non bombe”, nell’ambito di una campagna contro guerra e povertà. Nel 1908 in soccorso di Messina disastrata L’incrociatore, pur essendo ormai dal 1957 un museo visitato da milioni di turisti, era restato finora una nave della Marina russa, con il proprio re- 14 Panorama golare equipaggio. L’“Aurora”, così battezzato in onore della fregata che difese la città di Petropavlovsk-Kamchatski durante la guerra di Crimea (1853-1856), fu progettato da K.K. Ratnik, responsabile del cantiere navale di Baltiyskiy. La sua costruzione, iniziata il 23 maggio 1897, fu eseguita a San Pietroburgo e richiese tre anni di lavoro. Il varo avvenne nella capitale russa l’11 maggio 1900, ma l’incrociatore entrò in servizio solo nel luglio del 1903. Lungo 127 metri e largo 17, l’“Aurora” poteva raggiungere la velocità di circa 20 nodi, il suo equipaggio era composto da 550 marinai e 20 ufficiali. Dopo aver compiuto una crociera nel Mediterraneo e nel Mar Rosso raggiunse il mar Baltico all’ inizio della guerra russo giapponese del 1904-1905 ed entrò a far parte della seconda divisione di incrociatori della squadra del Pacifico agli ordini del contrammiraglio O. A. Enkvist. Durante la disastrosa battaglia di Tsushima del 27-28 maggio 1905, dopo aver scortato un convoglio di navi da trasporto provenienti da oriente, fu colpito e danneggiato da un siluro lanciato da una corazzata nemica. Fu uno delle pochi bastimenti russi a scampare al fuoco delle navi giapponesi ed a poter riparare nel porto di Manila nelle Filippine. Al termine della guerra fu adibito a nave scuola del Corpo dei cadetti della marina e dal 1907 effettuò numerose crociere di addestramento attraverso i porti della Spagna, Algeria, Tunisia, Francia, Turchia, Italia, Creta, Grecia, Francia. Nel 1908 fu una delle prime navi a portare i soccorsi alla popolazione di Messina e Reggio Calabria colpite dal terribile terremoto del 1908. Dall’autunno 1909 all’estate 1910 compì un lungo viaggio attraverso gli Oceani Pacifico, Atlantico, Indiano e nel Mar Mediterraneo. Nel novembre 1911 prese parte ai festeggiamenti per l’incoronazione del re del Siam (attuale Thailandia) a Bangkok. L’ammutinamento: comandante ucciso All’inizio della Prima guerra mondiale entrò a far parte della seconda brigata della flotta del Baltico. In quella zona di operazioni portò a termine numerose missioni come la sorveglianza dei lavori in immersione sul relitto dell’incrociatore tedesco Magdeburg, la ricognizione delle scogliere navigabili dei golfi di Finlandia e di Botnia, la ricerca di passaggi segreti delle scogliere finlandesi. Nel 1916 fu temporaneamente adibito ad addestramento dei cadetti e più tardi partecipò alla difesa del golfo di Riga: protetto dal fuoco di sbarramento delle truppe di terra respinse gli attacchi aerei contro un convoglio di navi russe. Nell’autunno 1916 rientrò a S. Pietroburgo per eseguire grandi riparazioni nell’arsenale franco-russo. Durante l’inverno 1916/1917 furono riattivati i macchinari per il vapore e montate nuove caldaie Belleville-Dolgolenko. Inoltre venne potenziato l’armamento in dotazione, costituito da 14 cannoni da 152 mm, 4 cannoni da 76 mm, 3 lanciasiluri (2 antisommergibili ed 1 di superficie), e 35 mine da 10 pollici. Durante la permanenza a Pietrogrado l’incrociatore si trovò al centro degli eventi della Rivoluzione russa del 1917. Essendo a stretto contatto con i lavoratori, i suoi marinai furono convinti dagli attivisti a parteggiare per la rivoluzione. L’opera di proselitismo fu favorita dalla situazione generale in Russia, che aveva assunto i contorni della catastrofe a causa della guerra. L’esercito russo, stanco, esangue, insufficientemente armato, aveva subito pesanti perdite e passava di sconfitta in sconfitta. L’economia nazionale era in declino; c’era la penuria di pane, di carne, di carburante, tutti beni di primaria necessità. Era divenuta evidente l’incapacità dei vari governi imperiali a far fronte alla situazione di crisi. I rapporti tra gli ufficiali dell’unità ed i marinai divennero in quel periodo estremamente tesi. Il 12 marzo per disperdere l’assembramento dei componenti dell’equipaggio, che si erano Anniversari radunati per chiedere al comandante la revoca dell’arresto di tre operai propagandisti, il capitano M. I. Nikolskiy ed il primo ufficiale P. P. Ogranovich spararono alcuni colpi di pistola ferendo alcuni di loro. Il 13 marzo i marinai, spalleggiati dagli operai, si ammutinarono e si impadronirono della nave; il comandante venne ucciso e l’ufficiale anziano ferito. Fu eletto subito un Comitato della nave per l’attuazione dei diritti democratici dei marinai. A seguito del risultato di un voto segreto fu auspicato che il governo della Russia assumesse una forma democratica, ma nella primavera-estate 1917 l’incapacità del governo provvisorio di fronteggiare la perdurante situazione catastrofica in cui versava la nazione, spinse un numero sempre maggiore di marinai a simpatizzare per il partito bolscevico. Dopo gli eventi sanguinosi del 1314 marzo i rapporti tra l’equipaggio e gli ufficiali si normalizzarono: questi ultimi non si occupavano delle questioni politiche ed il Comitato non creava ostacoli nella gestione dell’unità per ciò che riguardava il servizio, la disciplina e la conduzione della nave. Quando nell’ottobre la situazione politica nel paese si aggravò di nuovo ed il conflitto tra il Governo provvisorio ed i rappresentanti dei Comitati dei lavoratori, dei contadini e dei soldati giunse ad un punto di rottura: la maggior parte dell’equipaggio passò dalla parte del partito bolscevico. L’equipaggio ristabilì i collegamenti sul ponte Nikolayevskiy ed i marinai presero parte alla Rivoluzione del 25 ottobre. Più tardi l’“Aurora”, per minare il morale dei difensori del Palazzo d’Inverno, sede del Governo Provvisorio, sparò un colpo d’arma da fuoco dal ca- stello di prua, che segnò l’inizio della rivoluzione. All’inizio di novembre fece ritorno alla Seconda brigata incrociatori, ma poco dopo gran parte dell’equipaggio fu congedato a seguito del Decreto governativo di scioglimento della vecchia flotta zarista e di riorganizzazione della nuova flotta rossa degli operai e dei contadini. Solo 40 uomini restarono a bordo per la custodia della nave e per le faccende di routine. Nel 1918, durante la guerra civile, l’incrociatore fu trasferito a Kronstadt e posto in riserva. Sei cannoni furono smontati e spediti ad Astrakhan per armare le batterie della flottiglia navale rossa del Volga e del Caspio. Nel 1922 l’unità fu consegnata al porto di Kronstadt per un lungo stazionamento, ma quando cominciò la ricostruzione della forza navale sovietica fu decisa la sua riattivazione in considerazione del fatto che i più impegnativi lavori di ammodernamento erano già stati eseguiti nel 1916-1917. Dopo i lavori di ripristino e il completamento dell’equipaggio, l’incrociatore fu associato alla flotta del Baltico come nave d’addestramento. Tra il 1924 ed il 1930 effettuò numerosi viaggi con i cadetti delle migliori accademie navali. Dopo aver ricevuto nel 1924 la Bandiera Rossa del Comitato Centrale dell’URSS, in occasione del decimo anniversario della rivoluzione fu insignito dell’Ordine della Bandiera Rossa per gli alti meriti acquisiti nella formazione dei nuovi ufficiali della marina sovietica. La nave fu sottoposta nuovamente a lavori di manutenzione iniziati nei cantieri navali Marti di Leningra- do, ma non vennero terminati a causa della enorme mole di lavoro dei cantieri. L’unità fu riadibita a scuola di addestramento non navigante per i cadetti del primo anno dell’Accademia navale di Lelingrado e durante l’inverno fu utilizzato per il pattugliamento sottomarino. La nuova guerra lo salva dalla demolizione Solo lo scoppio della Seconda guerra mondiale la salvò dalla demolizione. L’“Aurora”, che aveva gettato le ancore a Oranienbaum (Lomonosov), partecipò attivamente all’eroica difesa di Lelingrado, ma il 30 settembre 1941 venne gravemente danneggiata dal fuoco dell’artiglieria tedesca. I cannoni superstiti furono smontati, ma fino al termine della guerra l’incrociatore non ammainò le sue insegne: pur incapace di muoversi, semi affondato, continuò la sua battaglia contro gli invasori. Recuperato nel 1944 venne di nuovo restaurato tra il 1945-1947. Negli anni seguenti e fino al 1961 fu adibito all’addestramento per la scuola navale Nakhimov. Ulteriori restauri, eseguiti nel periodo 1957-1958, 1966-1968 e 1984-1987 le restituirono l’aspetto originale del 1917. Dal 1956 divenne un museo galleggiante (parte del Museo Navale Centrale) ed una delle principali attrattive turistiche di San Pietroburgo. Nel 1968 è stata decorata con l’Ordine della Rivoluzione di Ottobre. Dal luglio 1992 la bandiera navale del Sant’Andrea, simbolo del potere navale russo, sventolava sul suo pennone fino appunto al giorno in cui l’Aurora è stato abbandonato dalla Marina militare.● Panorama 15 Anniversari Aspetti poco noti della personalità che arrivò ai vertici del potere in URSS dopo Stalin, l’uomo dal braccio rigido a cura di Marin Rogić erso la fine del 19.mo secolo, il 6 dicembre del 1878 in Russia, nacque un bambino che nel corso della sua vita cambiò radicalmente il corso della storia mondiale. Battezzato a Gori con il nome di Josef Vissarionovic Dzugasvili, nella sua prima giovi- V Stalin a 24 anni, nel 1902 nezza era un gracile ragazzino, chiamato Soso da parenti e amici, che studiava in seminario ma faceva a botte nelle strade pur avendo un braccio quasi paralizzato. Poi è diventato un giovane rivoluzionario georgiano con un piede nel mondo della malavita e un indubbio fascino sulle femmine. Tutti lo chiamavano Koba, simpatico al punto da ironizzare sui propri difetti fisici auto-nominandosi “Peppino il butterato” per le varie cicatrici presenti sul viso che tentava di nascondere attravareso l’uso massiccio di cipria (un soprannome che non gradì con il passare degli anni, tanto da diventare impronunciabile per il lasso di tempo che lo ha visto al potere). Una volta che la Russia è diventata l’Urss, questo ragazzo dalla gioventù turbolenta è diventato Josef Stalin ossia “acciaio” (forse scelto per una vicenda galante con una fiamma che di cognome faceva Stal, oltre che per l’assonanza con Lenin) interessato a portare a termine il suo piano politico e a far sparire ogni traccia imbarazzante del suo passato soprattutto sui suoi difetti fisici. Quando si parla del ditta- tore russo si pensa a una figura imponente, massiccia, l’immagine collettiva lo ritraeva come un gigante forte ed intelligente, capace di ogni impresa, dedito alla cura del fisico, senza difetti, capace da solo di battersi senza curarsi del numero di nemici che ha di fronte. Sebbene volesse sembrare imponente, Stalin era alto solo 1,64 cm, ed aveva parecchie deformazioni fisiche. Un’infezione avvenuta subito dopo la nascita aveva fatto sì che il secondo ed il terzo dito del piede destro fossero uniti. Niente di terribi- Dal monastero all’esilio in Siberia S talin nacque a Gori, vicino a Tbilisi, in Georgia, nel 1879, da una famiglia povera. Grazie ad una borsa di studio, ebbe l’opportunità di studiare in un seminario teologico ortodosso di Tbilisi, da dove fu espulso a causa dell’attività politica per il Partito socialdemocratico russo. Nel 1912 venne chiamato da Lenin a Pietroburgo per far parte del Comitato centrale del partito, ma nel 1913 fu nuovamente esiliato in Siberia (la prima nel 1902 quando venne accusato di avere organizzato delle agitazioni) dove rimase fino alla caduta dello Zar. Al rientro a Pietroburgo, insieme a Kamenev e a Murianov, assunse la direzione della “Pravda”, appoggiando il Governo Provvisorio, entrando a farne parte il 9 novembre 1917. Nel 1922 venne nominato Segreta- 16 Panorama rio Generale del Comitato centrale ed assistente di Lenin, il quale morirà due anni dopo. Designò Trotzki come suo erede e prese da subito le distanze da Stalin. Grazie ai contrasti che sorsero alla morte di Lenin, all’interno del gruppo dirigente sovietico, Stalin riuscì a instaurare un’alleanza con la destra del partito e ad estromettere Trotzki. Nel 1927 espulse dal partito Trotzki e gli altri avversari politici, l’anno dopo prese il potere assoluto e cominciò ad attuare il suo progetto di collettivizzazione forzata dell’agricoltura e di trasformazione della Russia da paese agricolo a potenza industriale. Mantenne il potere con il pugno di ferro, costruendo attorno a sé un culto della personalità esasperato, deponendo, o più spesso eliminando fisicamente, tutti gli avversari. Nel Stalin a 16 anni, nel 1894 1939 strinse un patto con la Germania di Hitler ma quando nel 1941 la Germania attaccò l’Unione Sovietica, Stalin rispose e con l’aiuto degli Stati Uniti portò alla disfatta delle truppe tedesche nel 1945. Morì nel 1953 colpito da paralisi.● Anniversari la rivoluzione di 95 anni fa del dittatore le, ma questa piccola malformazione rimase per lui una cosa di cui vergognarsi, tanto che quando si faceva visitare i piedi dai medici del Cremlino uno degli uomini più potenti del mondo si sentiva in dovere di nascondere il viso sotto una coperta. Pochi anni dopo, compiuti appena cinque anni, la città venne investita da un’epidemia di vaiolo che fece vittime soprattutto tra i più piccoli. In molti persero la vita, la maltattia portò via con sé i tre figli dei vicini di casa, ma anche se Stalin sopravvisse la malattia gli segnò per la vita intera le mani e lasciò molti segni sulla sua pelle, soprattutto sul volto. A dieci anni venne investito da un cavallo davanti alla scuola ecclesiastica di Gori, dove avrebbe studiato, e rischiò per l’ennesima volta la morte. Le cause di quel incidente non sono mai state chiarite, forse fu una prova di coraggio oppure un caso, fatto sta che fu riportato a casa tramortito. Anche questa volta si riprese, ma l’incidente gli causò un danno permanente al braccio sinistro. Fu soprattutto questa menomazione, in aggiunta al piede e al viso (oltre alle voci molto diffuse all’epoca sulla sua illegittimità), che contribuì a dargli un senso di diversità e d’inferiorità fisica: non avrebbe più potuto incarnare l’ideale del guerriero secondo il quale era cresciuto. Questi suoi difetti fisici sono per anni rimasti avvolti nella leggenda, quasi un tabù. Negli ultimi anni di vita, il leader responsabile di purghe, deportazioni e carestie che hanno causato milioni di vittime, autorizzò con riluttanza la pubblicazione di uno dei tanti libri di memorie che lo riguardavano. Si trattava di un testo scritto dalla sorella della seconda moglie Nadja, un’opera mol- Con Lenin nel 1919 È morta il 22 novembre 2011 Svetlana Allilueva, l’unica figlia N el 2011 è morta negli Stati Uniti, all’età di 85 anni, Svetlana Allilueva nata Svetlana Losifovna Stalina, l’unica figlia femmina di Stalin. La donna si faceva chiamare Lana Peters, per vivere nel più assoluto anonimato. Ma chi era? L’infanzia di Svetlana non fu felice e spensierata. Nikita Chruscev, che negli anni Trenta frequentava la famiglia di Stalin, dirà molti anni dopo: “I rapporti di Svetlana con suo padre erano complessi. Lui le voleva bene, ma (…) manifestava la sua tenerezza come può farlo un gatto con il topo”. A 17 anni, Svetlana s’innamorò di A. Kapler, ma fu un’unione ostacolata dal padre che fece internare il giovane per dieci anni nel gulag di Vorkuta in Siberia. Ancora studentessa sposò un suo compagno di università, G. Morozov. Da questo matrimonio nacque un figlio, Iosif (1945). Da un secondo matrimonio, con Ju. Zhdanov (figlio dello stretto collaboratore di Stalin, Andrej Zhdanov) nacque, invece, Ekaterina (1950). Ma nemmeno questa unione durò. Nel 1963 si innamorò di Brajes Singh, un comunista indiano in visita nell’URSS, con il quale non si sposò a causa della burocrazia del regime. Singh morì pochi anni dopo, nel 1966, e solo a quel to audace, perché non curandosi dei timori diffusi osava parlare del braccio rigido del dittatore, un difetto fisico che lo tormentò per tutta la vita e che, come tanti altri fatti, era ammantato di reticenze e ambiguità. A proposito di questi poco conosciuti aspetti sulla fisicità di Stalin, di recente è uscito un libro dal titolo “Il giovane Stalin“ di Simon Sebag (in Italia pubblicato da Longanesi) che racconta nel dettaglio i suoi diffetti fisici, sottolinendo come questi abbiano fortemente influito e plasmato il carattere di Stalin. Per concludere e per sfatare un alibi senza senso, sono molti gli storici che, per rendere più “umane“ le scelte Svetlana e suo padre nel 1935 punto a Svetlana venne concesso un viaggio in India. Proprio in quell’occasione venne avvicinata dall’ambasciatore americano a New Delhi. Le venne offerta protezione, insieme all’asilo politico negli Stati Uniti. Per gli USA si trattò di un’operazione di propaganda irripetibile. Partì dall’India alla volta di New York nell’aprile del 1967. Nel 1970 sposò William Peters. Da lui ebbe la sua terza figlia, Olga. Svetlana, diventata ormai Lana Peters, trascorse gli anni Novanta a Bristol, in Inghilterra, per poi finire in una casa di riposo, il “Richland Center”, nel Wisconsin (Stati Uniti), dove visse i suoi ultimi anni prima di morire per un tumore al colon, il 22 novembre 2011, a 85 anni.● fatte nel corso della vita dal dittatore, danno la colpa del suo carattere e della sua totalitaria follia a questi diffetti e malformazioni fisiche. Certamente avranno in un piccola percentuale, ma estremamente residua, influenzato la psiche di Stalin, ma arrivare a dire che sono la causa di migliaia e migliaia di morti è pura follia. Se passasse questo concetto (per fortuna non c’è per ora il pericolo), allora potremmo dire, seguendo il ragionamento di quegli storici, che le paraolimpiadi tenutesi di recente a Londra non erano un inno alla vita, un ritrovo di amanti dello sport, ma un covo di pericolosi futuri dittatori!● Panorama 17 Società Per la prima volta, in assoluto, uno scrittore italiano è ricorso alla magistratura Fare informazione non è facile, m di Marino Vocci nizio questa mia riflessione chiedendo scusa se questa volta ho scelto di parlare di noi, di noi giornalisti. Lo faccio partendo da alcuni fatti che hanno interessato la recente cronaca italiana a livello nazionale, ma anche a quello anche locale ed inerenti un tema importantissimo per questa nostra società e cioè la libertà di espressione e il diritto, anzi i limiti di una corretta informazione Vincenzo Ostuni della casa editrice Ponte alle Grazie, querelato dallo scrittore-magistrato Gianrico Carofiglio. “Un libro letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di ‘responsabilità dello stile’, per dirla con Roland Barthes”. Così Ostuni si era espresso su Facebook, all’indomani della sconfitta allo Strega per il libro che portava in gara, che era Qualcosa di scritto di Emanuele Trevi, arrivato secondo, davanti a Gianrico Carofiglio, terzo (per la cronaca, ha vinto Alessandro Piperno, Inseparabili, con Mondadori). Per questo giudizio che qualcuno ha definito abrasivo, Carofiglio ha fatto causa, civile, anche se non penale, ad Ostuni, chiedendo un risarcimento di 50 mila euro. Un’azione legale che secondo il testo dell’appello di 43 intellettuali italiani “palesa un intento intimidatorio”. Un appello dove oltre ad esprimere solidarietà a Vincenzo Ostuni, si ricordava che le storie letterarie sono piene di stroncature anche assai più feroci; eppure questa è in assoluto la prima volta che uno scrittore italiano ricorre alla magistratura contro un collega per far sanzionare dalla legge un giudizio critico sfavorevole. Qualcuno ha ricordato ad esempio che un tal… Luigi Pirandello fu aspramente criticato da un tal… Benedetto Croce, che della produzione dello scrittore siciliano salvava solo Liolà e La mosca. Nell’appello si precisava che “non è necessario condividere il parere di Ostuni per rendersi conto che la decisione di Carofiglio costituisce in questo senso un precedente potenzialmente pericoloso. Se dovesse passare il principio in base al quale si può essere condannati per I 18 Panorama un’opinione - per quanto severa - sulla produzione intellettuale di un romanziere, di un artista o di un regista, non soltanto verrebbe meno la libertà di espressione garantita dalla Costituzione, ma si ucciderebbe all’istante la possibilità stessa di un dibattito culturale degno di questo nome. La decisione di Carofiglio è grave perché, anche a prescindere dalle possibilità di successo della causa, la sua azione legale palesa un intento intimidatorio verso tutti coloro che si occupano di letteratura nel nostro paese. Ed è tanto più grave che essa giunga da un magistrato e parlamentare della Repubblica”. Negli ultimi mesi un altro caso, che ha avuto come oggetto sempre la libertà di espressione e la diffamazione a mezzo stampa, è stato quello del cosidetto “Caso Sallustri” Il Direttore del quotidiano italiano “Il Giornale” condannato alla galera per un articolo apparso sul suo giornale. Qui è importante ricordare quanto a tal proposito ha detto il ministro della Giustizia, Paola Severino, che intervenendo ad un convegno della Federazione Nazionale della Stampa Italiana proprio sul tema della diffamazione a mezzo stampa e al carcere per i giornalisti e cioè che la: “sanzione detentiva, in questo caso, non è né riparativa, né risarcitoria, né rieducativa. Bisogna pensare a sanzioni di tipo diverso, come la pena pecuniaria”. Ma soprattutto importante, immediata e direi anche efficace in merito al tema della diffamazione e delle querele temerarie, è stata la reazione della Federazione Nazionale della Stampa. Che ricordando come nei mesi scorsi, condanne sono state inflitte anche a giornalisti di altre testate - vedi “Alto Adige” e “Il Centro” - sottolineava che: “Molti di noi non condividono nulla di quel che dice e scrive Sallusti, sono lontani dalla sua concezione di giornalismo. Ma la sentenza che condanna al carcere il direttore del Giornale è il risultato sconvolgente di una norma orrenda del nostro codice, incompatibile con le democrazie avanzate e liberali e con i canoni delle democrazie europee. La Fnsi si appella ai colleghi, e particolarmente ai direttori perché, accanto ai loro editoriali, compaiano spazi bianchi in prima pagina come segni tangibili di protesta, dandone conto ai lettori, evidenziando la mostruosità di queste norme affinché siano cancellate al più presto. La Fnsi continua la sua battaglia per la cancellazione immediata di una norma illiberale che punisce con la galera le opinioni”. Per questo il giornalismo italiano chiede da anni una profonda modifica della legge, che tolga di mezzo lo spettro del carcere e che freni il fenomeno delle richieste di risarcimento di entità spropositata a scopo intimidatorio. Al contempo, i giornalisti ribadiscono la necessità che gli errori professionali vengano sanzionati con la necessaria durezza, a tutela dei diritti dei cittadini coinvolti nelle vicende di cronaca. Sino ad ora ho scritto di noi che scriviamo di noi giornalisti quasi a difendere la nostra categoria, che spesso però commette dei gravi errori. Purtroppo ne abbiamo una triste conferma e una testimonianza concreta in molti casi in cui negli ultimi anni hanno, dei nostri colleghi senza scrupolo e professionalità, sbattuto colpevolmente e direi criminalmente dei mostri in prima pagina. Creando spesso dei danni irreparabili a persone, ripeto persone, che poi si sono dimostrate completamente estranee ai fatti denunciati, confermando purtroppo che, in alcuni casi con la penna si può veramente uccidere. Vorrei concludere con un altro fatto che come padre mi ha particolarmente colpito e come giornalista profondamente ferito. Soprattutto per lo strazio e gli interrogativi suscitati a Trieste dal suicidio nel mese di settembre di una ragazza di dodici anni, con le giuste polemiche seguite per il risalto, secondo alcuni eccessivo, dato alla notizia dal quotidiano “Il Piccolo” (con tanto di locandina per le strade, oltre che di titoli in prima pagina). Devo dire innanzitutto che ha fatto benissimo l’Associazione di categoria e cioè Assostampa del Friuli Venezia Giulia, ricordare a tutti i colleghi quanto suggerito dall’Oms e dalla “Carta di Trieste” in questi casi. E così anche per farvi riflettere e soprattutto farvi capire cosa in questi casi i giornalisti dovrebbero pensare e a qua- Società a contro un collega per far sanzionare dalla legge un giudizio critico sfavorevole ma certamente non merita la galera li orientamenti e indicazioni dovrebbero attenersi, mi sembra giusto riportavi proprio quanto hanno scritto gli amici giornalisti di Assostampa. Hanno innanzitutto voluto ricordare che a partire dal 1996, l’ONU e l’OMS hanno consigliato alle nazioni di attuare programmi di prevenzione del suicidio con strategie mirate ad ampio raggio e nella lunga e articolata lista delle strategie consigliate dal titolo “Incoraggiare un’informazione responsabile da parte dei media”. Si legge quanto segue: “Numerosi studi e ricerche dimostrano infatti la correlazione tra notizie riportate da Tv e giornali (ma anche Internet) inerenti il suicidio e l’aumento di questo fenomeno nel periodo immediatamente successivo e soprattutto tra le persone giovani. Gli esperti ritengono che non siano le notizie sui suicidi di per sé a colpire le persone già vulnerabili e per certi versi più ‘predisposte’, bensì alcune modalità di riportare le notizie. La questione non è dare o non dare la notizia di un suicidio, bensì come darla. Il ruolo dei Mass Media nella prevenzione del suicidio sembra essere quindi non meno determinante di altri fattori sociali, quali la famiglia, la scuola, le strutture sanitarie e la comunità nel suo insieme. Ricerca ed esperienza sono giunte alla conclusione che sia possibile ipotizzare un ‘giornalismo della prevenzione’, e hanno tracciato alcune linee guida in questo senso”. Quale tipo di informazione può aiutare: - un’informazione che insista nel trattare il suicidio come “l’illusione di una soluzione definitiva” di difficoltà, se pur complesse, comunque passeggere e che incoraggi la ricerca di altre, fattibili e mai estreme soluzioni; - un’informazione “preventiva” sul fenomeno del suicidio in generale, che esponga dati statistici, risultati di ricerche, spiegando i fattori di rischio e le modalità di affrontamento e di prevenzione,trattando il fenomeno come un problema di salute pubblica; - un’informazione particolarmente attenta, nella forma come nei contenuti, ai sentimenti e alla condizione dei familiari e degli intimi della persona che ha compiuto il suicidio; - un’informazione che metta in guardia i cittadini sui fattori o segnali di rischio; - un’informazione costante e iterata sulle istituzioni e i servizi che possono essere di aiuto e sostegno. Quale tipo di informazione può danneggiare: 1. Un’informazione dell’episodio del suicidio con: descrizioni dettagliate del fatto; la pubblicazione di fotografie o, nel caso della televisione, le riprese del fatto; la pubblicazione di nome, cognome e indirizzo della persona che ha compiuto il suicidio o di altri elementi di identificazione, comprese le iniziali anagrafiche; la pubblicazione della notizia in prima pagina, con tanto di locandina o come notizia in apertura di un telegiornale; la descrizione particolareggiata del luogo, del tempo, delle modalità (metodo) e dei moventi ipotizzati. 2. Un’informazione che rappresenti il suicidio come un atto di difesa della propria dignità da parte di chi lo compie o addirittura come un gesto eroico o romantico. 3. Un’informazione di stampo sensazionalistico o scandalistico al fine di attirare un maggior numero possibile di lettori o di pubblico. 4. Un’informazione che descriva il suicidio come unica soluzione possibile per quella persona. 5. Un’informazione che insista sulla ricerca dei “colpevoli” ovvero di coloro o di quelle circostanze che avrebbero spinto la persona a compiere il gesto. 6. Un’informazione che esprima giudizi o analisi affrettate e non pertinenti. I Mass Media hanno inoltre il potere di influenzare positivamente: la comprensione del problema del suicidio attraverso una corretta e consapevole informazione; le opinioni distorte della comunità e dei singoli rispetto al fenomeno del suicidio (pregiudizi, miti, credenze false e nocive); la diffusione di modalità costruttive di risoluzione delle difficoltà e dei momenti di crisi che potrebbero portare al suicidio; la diffusione della conoscenza delle forme e delle fonti di aiuto: chi e che cosa potrebbe aiutare. (Servizi di salute mentale sul territorio, programmi pub- blici dedicati, numeri di telefono e ogni altra informazione del caso). I Mass Media hanno inoltre il potere di: - rafforzare nelle persone la sensazione di non avere via di uscita e la convinzione semplicistica e fatalistica che - per esempio - “Trieste è una città di suicidi”; rafforzare i sensi di colpa e di vergogna nelle persone che si trovano a vivere momenti di particolare difficoltà o crisi; enfatizzare una determinata visione della vita e del mondo che può indurre le persone a rassegnarsi a un certo tipo di soluzione. Alcune domande che il giornalista può farsi: - Quello che ho scritto va al di là di quello che serve veramente? (Tutto ciò che è inutile è dannoso). - Sto calpestando la dignità di una persona, che sia viva o meno? - Se qui davanti alla scrivania ci fossero i familiari di quella persona, scriverei allo stesso modo? (Si sostiene che nel 99% dei casi la notizia cambia e nel 100% dei casi cambia il titolo). - Ho dimenticato qualcosa? Ho consultato gli esperti, chi potrebbe saperne di più? Per concludere, sempre in merito all’ultimo viaggio della ragazza triestina, mi sembra giusto riportare a questo riguardo, la nota dal titolo “Il fatto e il silenzio”, pubblicata nei giorno del tragico fatto sul Primorski dnevnik, il quotidiano triestino in lingua slovena, eccola: “Il quotidiano italiano di Trieste si e’ dilungato ieri sulla notizia della bambina che non c’e’ più. Il Primorski dnevnik ha saputo del triste evento, il fotografo ha ripreso il luogo del fatto, ma la penna si e’ fermata quando i carabinieri hanno comunicato il desiderio della famiglia di non divulgare per rispetto la tragedia. Abbiamo rispettato il desiderio. Ci siamo chiesti: avremmo messo a conoscenza dell’opinione pubblica (e della sua curiosita’) una notizia analoga se ci avesse coinvolto direttamente?La risposta era scritta nel silenzio” Complimenti! Un bel modo di fare informazione e GRAZIE!● Panorama 19 La storia oggi Le Comunità degli Italiani in Istria e Dalmazia per le loro conferenze predilig Le secolari vicende di una citt di Fulvio Salimbeni U no dei temi storici maggiormente richiesti dalle Comunità degli Italiani in Istria e Dalmazia per le loro conferenze è “La civiltà veneziana”, il che si spiega con il desiderio di meglio conoscere sia la realtà d’un mondo di cui per secoli la sponda orientale dell’Adriatico ha fatto parte, conservandone innumerevoli e significative testimonianze artistiche, linguistiche e storiche, sia i momenti e gli aspetti più significativi e rilevanti della storia di quella che uno storico francese di vaglia come Fernand Braudel ha definito una “città mondo”, vale a dire - al culmine della sua potenza, tra Quattro e Cinquecento - il centro principale dell’economia e del commercio mediterranei ed europei, allorché la sua moneta, il ducato, svolgeva un ruolo analogo a quello odierno del dollaro e la piazza veneziana era più o meno quello che oggi è Wall Street per la finanza mondiale. La Serenissima, però, per i contemporanei era pure il simbolo per eccellenza delle arti e del buon governo, del che sono testimonianza indiscutibile i riconoscimenti di letterati e intellettuali quali Shakespeare e Montaigne. Il drammaturgo elisabettiano, infatti, nel Mercante di Venezia pone in bocca all’ebreo Shylock l’elogio della giustizia veneziana, pronta a rendere ragione a chiunque, perfino ai giudei, allora discriminati ovunque, mentre ne La bisbetica domata il protagonista esalta la cultura e il sapere dominanti a Padova, soggetta al Serenissimo Dominio, che ospitava la più prestigiosa università del tempo, pari alle odierne Cambridge e Oxford - e d’entrambe queste opere vi sono splendide trasposizioni cinematografiche, rispettivamente con Al Pacino e con Richard Burton e Liz Taylor quali protagonisti -, né sostanzialmente diversa era la valutazione che ne dava il filosofo francese. Ciò era il risultato d’una vicenda secolare, delineatasi dal V-VI secolo in poi, allorché i fuggiaschi da Aquileia, nel 453 espugnata dagli Unni di Attila, ripararono nella laguna veneta, dove nell’area realtina esisteva già un 20 Panorama La sede della Fondazione Giorgio Cini insediamento abitativo, dando origine a una “Nova Aquileja” che, con il tempo, ne avrebbe ereditato funzioni e compiti, divenendo il tramite ideale tra area adriatico-mediterranea e danubiana per un verso e tra quella padana e balcanica per un altro. Protetta dal mare dalle incursioni barbariche e soggetta al dominio, più formale che reale, dell’impero bizantino, Venezia crebbe progressivamente, acquisendo una sempre maggior autonomia da Costantinopoli e gradualmente imponendo il proprio controllo sull’Adriatico, debellando i pirati narentani prima e fronteggiando efficacemente quelli saraceni poi - così come nel Seicento avrebbe fatto con gli uscocchi -, instaurando rapporti commerciali sempre più intensi con l’opposta costa adriatica, sicché nel XII secolo essa era ormai ben più che una potenza regionale: le sue galere la collegavano con Alessandria d’Egitto, Antiochia e Costantinopoli, principali porti del Levante, mentre, più tardi, altre, oltrepassando lo stretto di Gibilterra, si sarebbero spinte fin nelle Fiandre e in Inghilterra, competendo vittoriosamente con Genova, che sarebbe stata sconfitta nella guerra di fine Trecento. L’affermazione decisiva, peraltro, era già avvenuta nel 1204, allorché dirottò la IV crociata su Costantinopoli, per punire l’imperatore bizantino, che ne aveva colpito gli interessi, non senza aver prima fatto tappa a Zara, ribellatasi al suo dominio, sotto il quale venne riportata dalle forze crociate. Se allora il Santo Sepolcro non venne liberato, Venezia comunque dall’impresa uscì definitivamente confermata come una potenza di prim’ordine, che, consolidata l’egemonia marittima, a partire dal Trecento venne espandendosi pure nel retroterra, progressivamente affermando il proprio dominio sul Veneto, sulla Lombardia orientale e sul Trentino meridionale, così da avere il pieno controllo dell’Adige, della parte terminale del Po e della via che conduceva al Brennero, porta principale ai mercati d’Alemagna. Nel secolo successivo, liquidato il dominio temporale dei patriarchi d’Aquileia, la Serenissima incorporò nei domini di terraferma pure il Friuli, prendendo il controllo delle vie di comunicazione con l’Austria meridionale. Divenuta uno dei grandi stati italiani, con proiezioni diplomatiche e mercantili su tutta l’Europa, la Serenissima coronò il proprio successo sul piano spirituale, trasferendo la sede patriarcale da Grado a Venezia, e primo patriarca marciano fu san Lorenzo Giustiniani, mentre tre suoi prelati diventavano papi (Gregorio XII, Eugenio IV, La storia oggi gono «La civiltà veneziana» tà-mondo Paolo II), incrementando ulteriormente il prestigio della città natia. È da allora che inizia pure la fioritura artistica e culturale veneziana, che irradia pure nei “domini da mar” il proprio influsso, attestato, ad esempio, dai celebri quadri del Carpaccio a Capodistria, oltre che in tutta la penisola e nel continente. Un’aristocrazia colta e illuminata incomincia a investire i proventi degli affari nella campagna, attuando bonifiche, migliorie e innovazioni agrarie, e affidando ai maggiori architetti del tempo, sommo dei quali il Palladio, l’edificazione di sontuose ville, che molto spesso diventano cenacoli d’alta cultura, in uno dei quali il Bembo ambientò i celebri dialoghi “Asolani”, in cui affrontava la questione della lingua, dando il primato al fiorentino delle tre “corone” (Dante, Petrarca, Boccaccio) rispetto al veneziano, che pure al principiare del Cinquecento, dato il prestigio acquisito, pareva poter diventare l’idioma nazionale. Bloccate le sue velleità espansionistiche italiane nelle guerre d’inizio Cinquecento e impegnata a fondo nel contenere l’espansione ottomana nell’Egeo, una volta caduta Costantinopoli (1453), la Dominante rimase ad ogni modo almeno ancora per più d’un secolo un fattore determinante della politica europea, imponendosi, però, come indiscusso epicentro culturale internazionale. Il XVI secolo, infatti, vede attivi a Venezia e nel dominio pittori quali Veronese, Tintoretto e Tiziano, impegnati ad affrescare chiese, palazzi e ville o a ritrarre i grandi del tempo, nei luoghi di culto risuonando le musiche dei Gabrielli, mentre nel campo della politica si distinguono pensatori d’alta caratura come Paolo Paruta e il consultore in jure fra Paolo Sarpi, protagonista della vicenda dell’Interdetto (1605-1607), allorché la Repubblica sfida papa Paolo VI per rivendicare e difendere la propria primazia nel temporale di fronte alle interferenze del potere spirituale. A questo riguardo si tenga presente la politica di tolleranza dal senato veneziano sempre adottata, sia pure per ragioni di convenienza, nei riguardi dei mer- I canali e le chiese di Venezia: un patrimonio noto a livello mondiale canti stranieri professanti altre confessioni cristiane e degli stessi ebrei, pur confinati nel ghetto, donde il già ricordato elogio di Shylock. L’ateneo patavino, inoltre, poteva vantare i più bei nomi della cultura umanistica, letteraria e scientifica, del tempo, tra i quali, nel Seicento, lo stesso Galileo Galilei, che durante il soggiorno ivi mise a punto il cannocchiale e sviluppò le proprie ricerche astronomiche, senza scordare, nel Quattrocento, il pedagogista capodistriano Pier Paolo Vergerio il Vecchio, cui, tre secoli dopo, sarebbe seguito il concittadino Gian Rinaldo Carli, che per qualche anno avrebbe tenuto una cattedra di nautica. Tutto ciò spiega l’attrazione e il fascino che Venezia, anche una volta perso il potere politico e il primato economico, continuò a esercitare sino alla fine in ambito internazionale, poiché nessun giovane colto poteva ritenere completa la propria educazione finché non avesse soggiornato almeno per qualche tempo nella capitale marciana. E anche nel Settecento, tramontata definitivamente la potenza marinara e militare dopo la gloria di Lepanto, la ventennale resistenza di Creta agli assalti ottomani e le vittorie del Morosini nel Peloponneso nella guerra di fine Seicento con l’eterno nemico mussulmano, il primato della civiltà veneziana rimase indiscusso, semmai consolidato dalla presenza di Antonio Vivaldi per la musica, di Carlo Goldoni per il teatro, di Gian Battista Tiepolo - che avrebbe operato pure nelle maggiori corti europee - per la pittura, libretti- sta di Mozart essendo il veneto Lorenzo da Ponte. Allorché con il trattato di Campoformido tra Napoleone e l’Austria (1797) ebbe termine la millenaria storia della Serenissima Repubblica, ebbe inizio il mito di Venezia e rimase inalterato, anzi s’accrebbe, il suo richiamo sul piano artistico e culturale, come attesta il passaggio e il soggiorno in essa di alcuni dei più bei nomi della cultura europea (Byron, Ruskin, Wagner), mentre tra Otto e Novecento sarebbero stati D’Annunzio e il Thomas Mann di Morte a Venezia a rinverdirne il fascino e la leggenda. Nel XX secolo poi l’avvio delle Biennali d’arte, l’elaborazione in chiave nazionalista della storia veneziana per giustificare l’imperialismo italiano verso i Balcani, le intraprese economiche di Giuseppe Volpi, cui si deve pure l’ideazione della zona industriale di Porto Marghera per il rilancio della propria città, la geniale intuizione della Mostra del Cinema, inaugurata nel 1932, prima nel suo genere a livello mondiale, ne rilanciarono l’immagine, Dopo il secondo conflitto mondiale la Fondazione Giorgio Cini con i suoi convegni, mostre e collane editoriali avrebbe posto solide basi scientifiche alla ricostruzione della civiltà veneziana in tutti i suoi aspetti, momenti e componenti, dando nuova vita e sostanza a una storia millenaria, di cui per secoli Istria e Dalmazia sono state parte integrante, moltissimo ricevendo, ma anche molto dando con i propri uomini di cultura.● Panorama 21 Psicologia L’atteggiamento che il singolo individuo professa o re La religione, una caratteristica di Denis Stefan P er quanto non ci sia un accordo tra gli autori che si occupano delle religioni e della religiosità dall’aspetto scientifico, è difficile escluderne un discorso che tenti di spiegare il motivo per il quale questa forma del “credere in” sia nata probabilmente con la comparsa della specie umana, visto che, sia oggi che nel passato, nessun popolo pare essere privo di credenze in entità soprannaturali ed immateriali, dotate di raziocinio, intelligenza, volontà, emozioni e motivazione e capaci di esercitare la propria influenza sul mondo materiale e sugli esseri umani stessi. Vediamo come potrebbe essere andata dal punto di vista evoluzionista. Le teorie evoluzioniste ci dicono che una data funzione mentale e dati comportamenti si mantengono qualora abbiano una loro valenza evolutiva, ovvero servono ad un miglior adattamento all’ambiente ed aumentano le probabilità di sopravvivenza. Può essere così anche con le credenze nel soprannaturale? La credenze non avrebbero dovuto mai nascere Va ricordato che gli esseri umani “spendono” tantissimo tempo e mezzi nelle loro pratiche religiose, che richiedono sacrifici materiali e spirituali e visto che la natura impone il risparmio di energie e di mezzi, si potrebbe pensare che tendenzialmente tali pratiche rappresentino uno “spreco inutile”, per cui le credenze religiose non avrebbero dovuto neanche mai nascere, o comunque essere eliminate dalla selezione naturale. Per capire queste affermazioni basta pensare ai lussuosi templi delle varie religioni ed ai riti che richiedono il digiuno in certi giorni o l’astensione permanente da certe bevande o cibi interdetti da varie religioni. Così evidentemente non è stato, ed allora perché gli esseri umani hanno instaurato una tale forma di 22 Panorama credenze che richiedono un grande dispendio di energie? Per spiegarlo sono sufficienti le ipotesi funzionaliste, che darebbero alla religione una primaria funzione di aggregazione sociale, tendente a mantenere le coesione di gruppo e l’ordine morale? Vanno meglio forse le ipotesi psicologiche che trovano nella religiosità una serie di benefici individuali? È probabile che tutto ciò abbia concorso nel mantenimento della religiosità, ma non ne spiega la nascita ed il mantenimento. Gli evidenti benefici della religione possono presentare anche un’altra faccia, diametralmente opposta alla prima: generare stress e sofferenza, creare conflitti, rovinarci la vita, e lascio al lettore di immaginarsi simili situazioni! Spiegazioni in termini darwiniani Essendo a quanto pare la religiosità una caratteristica universale della specie umana, per un evoluzionista essa richiederebbe una spiegazione in termini di darwiniani. Se ne possono trovare alcune, una di queste pare essere piuttosto ben accettata da un buon numero di biologi e di psicologi evoluzionisti. Essa vede nella religione qualcosa che può non rappresentare direttamente un vantaggio evolutivo, ma un sottoprodotto di qualcos’altro che lo ha, o lo ha avuto. Vediamo come potrebbe essere andata. Gli esseri umani, in misura molto maggiore di qualunque altra specie, sopravvivono grazie all’esperienza accumulata dalle generazioni precedenti che viene trasmessa ai figli per via verbale. Affinché i figli accettino la trasmissione di queste conoscenze ci vuole un qualche “istinto” che li renda accomodanti e ricettivi, chiamato da alcuni “istinto di obbedienza”. Esso porta i bambini, e spesso anche noi adulti, che tendenziamente siamo “mentalmente pigri”, poco propensi ad analisi approfondite di ciò che ci viene detto, ma piuttosto tendenti a credere, ad obbedire agli adulti. Tale istinto però non permette di discernere i consigli utili da quelli che invece creano una sorta di “effetto placebo”, accettati anche questi senza discutere. Si suppone allora che le credenze religiose siano poi sottoposte ad una serie di cambiamenti casuali e a loro volta selezionate da culture locali, per cui Psicologia espinge è costellato anche da diversi fattori inconsci universale della specie umana in luoghi diversi sono nate e si sono instaurate credenze religiose piuttosto diverse tra loro. Avevo già soltanto sfiorato alcune delle ipotesi che tentano di spiegare la nascita delle credenze religiose, in base a delle osservazioni sul comportamento umano dalle quali trasparirebbe una innata tendenza ad essere “dualisti” ovvero di essere convinti di avere una mente e convinti che ce l’abbiano anche gli altri, che comanda il corpo, ma ne è al contempo separata e che obbedirebbe a delle leggi diverse da quelle “della natura”. Queste convinzioni derivano da dei processi cognitivi di tipo “intuitivo” che ci sono stati “dati” dall’evoluzione ed avrebbero dunque anche queste uno scopo “adattivo” per la specie. Per instaurare queste credenze quindi non sarebbe necessaria una riflessione di tipo “razionale”, ma comunque ci vuole necessariamente la presenza di una forma di coscienza, detta autocoscienza, tipica degli esseri umani e vista da tanti filosofi come i fondamento di qualunque forma di conoscenza ulteriore e che consiste nella consapevolezza dei propri stati e processi che chiamiamo psichici come gli stati emozionali, le intenzioni, le finalità delle nostre azioni e quant’altro. Thomas Lawson. Professore di religioni comparate alla Western Michigan University sostiene che (cit.): ”La religione è un fenomeno così diffuso perché la nostra mente è particolarmente attratta da idee intuitive, che tendono a trasmettersi di generazione in generazione molto più di quanto avvenga con concetti che richiedono una riflessione approfondita”. La tendenza al dualismo Allora l’innata tendenza al dualismo ci renderebbe particolarmente predisposti a creare delle credenze nel soprannaturale, per cui ci possono benissimo esistere degli esseri immateriali (spiriti puri) che riescono ad agire sulla materia e dotati di intenzionalità. Essendo la mente umana in un certo senso programmata a ragionare in maniera intenzionale, poiché si fa prima a prevedere il comportamento di qualcuno o qualcosa se lo riteniamo dotato di intenzioni, che non a ragionare in termini di cause fisiche o fisiologiche. Ad esempio se ci troviamo davanti un lupo, non ci mettiamo a ragionare sulla sua fisiologia che lo porta ad aggredirci quali prede, ma crediamo piuttosto che “abbia l’intenzione” di aggredirci, ed è una buona scorciatoia per reagire in modo adeguato. Tendiamo inoltre a cercare sempre cause e scopi (teleologia), ed allora risulta piuttosto scontato che tendiamo “naturalmente” ad essere “teisti” e cercare le cause degli avvenimenti nelle intenzioni di qualcuno che se non c’è nel mondo fisico, allora c’è nel soprannaturale. Il filosofo americano Daniel Denett parla di sistemi intenzionali di ordine via via superiore, e le religioni monoteiste troverebbero nell’unico Dio il sistema intenzionale di ordine più elevato. Un altro meccanismo psicologico che sarebbe coinvolto nella nascita delle religioni consisterebbe nella tendenza ad innamorarci e formare dei legami affettivi stabili e duraturi, evolutivamente utile allo scopo di dividersi le fatiche dell’allevare la prole. La religione potrebbe essere un prodotto indiretto dei meccanismi cerebrali che consentono l’innamoramento avendo la fede religiosa alcune caratteristiche che ricordano l’innamoramento, riscontrabili addirittura a livello di attività cerebrale. Inoltre un fattore di natura psicologica che favorirebbe le credenze nel soprannaturale sarebbe la consapevolezza di dover morire nel fisico e la difficoltà di accettare che con il nostro fisico se ne va anche la nostra “persona”, intesa come tutto ciò di cui ci sentiamo “fatti” (pensieri, emozioni, ecc.) che esula dal mondo fisico. Abbiamo fin qui visto una serie di possibili spiegazioni sulla nascita delle credenze religiose, sono piuttosto plausibili e probabilmente un po’ tutte riescono a dare un’idea sufficientemente completa di come siano potute nascere e svilupparsi delle credenze religiose, che poi nel corso della storia dell’umanità si sono evolute in maniere diverse. Ma come in parecchi altri casi, le spiegazioni di tipo evoluzionista risultano attraenti quando si spiegano comportamenti e tendenze a livello di specie, diventano carenti quando si vogliono spiegare a livello dell’individuo. Ci potremmo chiedere “come mai che seppur oggi siano venute a cadere diverse possibili motivazioni della religiosità, essa, anche in forme nuove e diverse da quelle tradizionali, rimane tuttavia una costante? Le tendenze innate alla mente sono sufficienti a spiegarlo? Tutto sommato, negli individui possono benissimo coesistere dei sistemi cognitivi paralleli, uno razionale, ed uno più spicciolo e meno razionale, per spiegare la realtà, ma è anche possibile che gli individui non si accontentino delle spiegazioni offerte dall’indagine razionale del mondo e che a torto, o a ragione, continuino a porsi delle domande teleologiche alle quali la religione può offrire delle risposte. Non starò a divagare sugli evidenti paradossi che si accompagnano ad una visione religiosa del mondo, né tanto meno dei paradossi etici che la religione comporta, ma senz’altro non starò neppure a esaltare delle visioni ideologiche ateistiche secondo le quali i credenti sono persone ignoranti, retrograde e antisociali e che trovano nella religione soltanto uno dei modi di assoggettare le persone, non escludendo ovviamente che la religione contenga anche marcatamente questo aspetto e che in passato, come ora, se ne faccia abuso sfruttando la buona fede dei credenti. Ecco infine qualche consiglio per le letture: R. Dawkins, L’illusione di Dio (Mondadori), D.C. Dennett, Rompere l’incantesimo (Cortin), P. Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani (Longanesi). ● (3 - fine) Panorama 23 Cinema e dintorni Nella sua ultima pellicola Reality, Matteo Garrone autore di «Gomor Un film per uscire dal grigiore de di Gianfranco Sodomaco l regista Matteo Garrone, dopo “L’imbalsamatore” (2002) e “Primo amore” (2004), ma soprattutto dopo “Gomorra” (2008), Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, si è imposto come uno dei grandi del cinema italiano. Difficile definire il suo stile, anche perché l’uomo ha bisogno di confrontarsi, con linguaggi diversi, con tematiche sociali nazionali diversificate. Nel suo ultimo film, Reality, ad esempio, il fenomeno da cui parte è quello del “Grande Fratello”, la trasmissione televisiva che, in modo ingannevole, finge di raccontare, riprendere, la vita quotidiana di persone fino a quel momento anonime e desiderose, in realtà, di mettersi in mostra, di apparire sui teleschermi, di diventare, in qualche modo, dei divi. Questa storia del desiderio compulsivo di “andare in televisione”, fortunatamente, è andata un po’ in crisi con l’inevitabile “decadenza” del mezzo televisivo dopo la diffusione delle nuove forme di comunicazione informatica (su cui, in questa sede, non diciamo nulla); e infatti il bello, l’originalità di “Reality” è proprio quella, spiazzando giustamente lo spettatore, di andare ben oltre e di toccare un problema ben più importante, che ci riguarda tutti: quello di voler realizzare un sogno, quello di voler cambiare vita, quello di uscire dal grigiore della vita di ogni giorno... fino alle estreme conseguenze. Sicché Garrone, al di là delle apparenze, lavora su due piani, quello esteriore della vicenda della famiglia del pescivendolo, e piccolo truffatore, Luciano, della sua famiglia (peraltro, tratta da una storia realmente accaduta) e di tutto l’ambiente napoletano (folkloristico è dir poco) che lo circonda: e quello interiore (non facilmente decifrabile all’inizio) del protagonista che, mano a mano la storia procede (anzi, non procede), entra in un “suo mondo” fino a... Tutto parte dal desiderio (è già un inizio assai significativo) della più piccola delle figlie di Luciano I 24 Panorama Cinema e dintorni rra» parte dal fenomeno del Grande Fratello ella vita di ogni giorno che vuole che il padre partecipi ad un provino locale della ormai tristemente famosa trasmissione televisiva. Il padre, senza particolare convinzione, tramite la raccomandazione di un concittadino che ha sfondato nell’universo del reality, asseconda la bambina e supera la prima selezione. Immediata la reazione della gente, del “popolo”, del quartiere dove abita, della piazza dove vende il suo pesce e tutti lo conoscono, del parentado (una rassegna di piccoli personaggi tipicissimi di quello che una volta chiamavamo sottoproletariato urbano, immaginarsi in una città come Napoli che Garrone conosce “alla perfezione”): Luciano e la sua famiglia diventano subito degli “eroi”, dei miti baciati dalla fortuna con cui, fatalmente, la massa si identifica. Ma siamo solo agli inizi. Luciano è chiamato al livello successivo di selezione, a Roma, a Cinecittà. E qui si convince di aver fatto colpo. Ma la chiamata definitiva non arriverà (come presumibile) mai e Luciano, in attesa che parta la nuova edizione del programma, inizia lentamente “a dare di testa”, a farne una malattia: vende la pescheria (perché crede di aver conquistato tutto e quindi di poter condividere tutto con tutti!), rompe con la moglie (che, almeno lei, è rimasta con i piedi per terra), passa le giornate davanti alla televisione e, convinto già da subito di essere sottoposto a costante vigilanza da parte di una misteriosa entità televisiva, sente la necessità di redimersi dai propri peccati (chi non ne ha) regalando ai “poveri” del quartiere mezzo arredamento di casa. Siamo dalle parti del finale, durante il quale, sottrattosi al rituale del pellegrinaggio romano che la moglie l’ha convinto a seguire nella speranza di fargli ritrovare la pace, Luciano si intrufola nella Casa del “Grande Fratello” televisivo (nella fattispecie sarebbero gli studios del canale Italia 1, gruppo berlusconiano Mediaset) e, convinto di essere arrivato al traguardo, di aver vinto la gara, si mette a ridere non si sa quanto istericamente quanto pacificamente, comunque totalmente alie- nato mentre la macchina da presa lo riprende dall’alto, sempre più dall’alto finché diventa una specie di stella nell’immenso buio della notte. Ripeto, mica semplice la lettura del film che, con l’”aiuto” di Nanni Moretti, presidente della Giuria del Festival di Cannes 2012, per la seconda volta ha vinto il premio della Giuria. Perché difficile? Perché il mondo che descrive Garrone è un mondo ambiguo, che spesso fa ridere per i personaggi scelti, per le loro facce, le loro battute, ecc., ma, nello stesso tempo, ci vuole poco per accorgerti che stai ridendo amaro, che dietro a quella superficie anche piacevole, familiare, v’è una povertà culturale e morale da far paura e meno Garrone non insiste, non vuol cadere nella banale commedia all’italiana nel migliore dei casi di denuncia, più questa povertà emerge: un lavoro geniale e sottilissimo di ricreazione degli ambienti, di direzione degli attori. Primo fra tutti il protagonista, Luciano, interpretato, pensate un po’, da Aniello Arena, un detenuto condannato da anni per reati di camorra e che da anni partecipa alle attività teatrali della Compagnia della Fortezza di Volterra e diretta da un grande del teatro italiano, Armando Punzo. Ebbene, non c’è dubbio che Garrone sfrutta al massimo le particolari capacità teatrali di Aniello e che Aniello, alla prima sua esperienza cinematografica, ha messo tutto se stesso in questo personaggio, non ultima la sua “separatezza” dalla normalità sociale, il suo vivere rinchiuso in una cella, che in qualche modo è un suo mondo. Non sono cose da poco e allora..., allora torna alla memoria (ne abbiamo parlato poco tempo fa) l’esperienza che hanno fatto i fratelli Taviani con i carcerati del carcere romano di Rebibbia portando sullo schermo “Cesare deve morire”, film che ha vinto, e non è poco, l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e che parteciperà agli Oscar come miglior film straniero. C’è un filo rosso che lega questi fatti ed è, a mio modo di vede- re, la superlativa esperienza del neorealismo italiano classico (anni ‘40 e ‘50), che oggi, ovviamente, si aggiorna e si modifica ma che trova sempre questo bisogno di rimanere attaccato alla realtà fisica e sociale di una nazione, di una tradizione storica, di un paese diverso e diversificato, per molti aspetti, ieri come oggi, disgraziato ma sempre ricco di storie, facce, costumi, abitudini, dialetti, psicologie, caricature, ecc. Giunti a questo punto, giusto riportare alcune frasi di Garrone, tratte da un’intervista rilasciata a “la Repubblica” (19 maggio 2012) in occasione della presentazione del film a Cannes: “Volevo un racconto senza pretese, per ritrovare il piacere di divertirmi, di non angosciarmi, di non obbligare confronti con ‘Gomorra’. Senza messaggi, politica, sociologia, una specie di fiaba contemporanea... ‘Reality’ è la storia vera di un pescivendolo. Che come spinto da un contagio, da un virus, da un intero quartiere, ha perso la testa nel sogno di poter partecipare a quel luogo di magie che possono cambiare la vita che è il ‘Grande Fratello’... Aniello Arena è un grandissimo attore, entrato in galera a 19 anni con l’ergastolo... Adesso ha 43 anni, è stato tra l’altro protagonista del ‘Marat-Sade’ di Weiss e di ‘I pescecani’ tratti da Brecht. Ma è stato anche un meraviglioso Pinocchio. Anche nel film, con quella faccia napoletana, tra De Niro e Totò, è una specie di Pinocchio che non trova fortuna”.● Panorama 25 Arte Grazie alle Giornate della lingua e cultura italiana svoltesi nel cap Un ottobre fiumano da favola per di Erna Toncinich n ottobre fiumano da favola per l’arte e la cultura, un’abbuffata di mostre. Mostre “ad ogni pie’ sospinto”. C’è stata la personale di Ottavio Missoni, quella di Ugo Maffi e del Design italiano, allestite in due spazi espositivi della città, e poi conferenze di illustri personaggi dell’arte, della cultura e della scienza italiana: Vittorio Sgarbi, Margherita Hack, Guido Baldassarri, Sabino Matarrese, la scrittrice Bossi Fedigrotti. Questi i protagonisti delle Giornate della lingua e della cultura italiana (9 - 22 X), iniziativa promossa dal Ministero degli Affari Esteri italiano, dal Consolato Generale d’Italia a Fiume congiuntamente all’Unione Italiana, all’Università degli Studi di Fiume e dalla Comunità degli Italiani, e ancora altri e numerosi gli artisti da conoscere sia al Museo di Arte Moderna e Contemporanea che nella piccola galleria Klović e al Museo Civico dove espongono ben centocinquanta fotografi, tutti attivi a Fiume. U Ottavio Missoni, «il genio del colore» A definire così Missoni artista è stato Balthus, uno dei grandi della pittura contemporanea. Se, infatti, la Vittorio Sgarbi al cimitero di Cosala ha ammirato alcuni capolavori d’arte delle vecchie tombe forma linguistica di Missoni si basa su un’armoniosa disciplina di solide, incisive strutture formali abbinate ad una indubbia chiarezza compositiva, ciò che emerge nelle sue creazioni sempre manifestamente in primo piano è la dimensione coloristica, il colore, scandito, ritmato, misurato. Chi non ha ben presenti le creazioni di Ottavio Missoni 26 Panorama Sapientemente accostato, il colore è protagonista sovrano, l’essenza della sua creatività. Dopo Maribor - capitale della Cultura europea 2012 -, Capodistria, Pola e Dubrovnik-Ragusa, la personale dell’artista, stilista, designer ed ex atleta olimpionico, è approdata a Fiume, alla galleria Kortil. Gran serata, quella del 9 ottobre scorso, un pubblico quanto mai numeroso è intervenuto alla vernice, curioso di conoscere il personaggio già tante volte visto in televisione e ovviamente conoscere l’artista, le sue opere. Artista e opere raccontate anche da una pluralità di momenti, da proiezioni video, da installazioni, da bambole viventi e bambole flessibili, ecc. Personalità artistica dotata di innegabile ricchezza inventiva, impegnata in una lunga, appassionante opera di ricerca, di sperimentazioni, Ottavio Missoni si è guadagnato concordi giudizi molto positivi da parte dei maggiori critici d’arte italiani e stranieri. Ugo Maffi, 16 quadri per la Croazia Pittore, grafico, ceramista, orafo scultore. Anche poeta. Ed altro ancora. Ugo Maffi viene da Lodi, ama la Croazia, l’ Istria in modo particolare, risiede spesso a Torre-Abriga; nella prima delle due località ha dipinto un murale in uno dei vani della rinnovata sede della Comunità degli Italiani. Questo ex allievo di Oskar Kokoschka che svaria, con esiti più che lodevoli, tra tante tecniche espressive, sempre nell’ambito delle Giornate della lingua e della cultura italiana, alla galleria Kortil si è fatto conoscere come pittore-autore di dodici dei sedici quadri uniti sotto il titolo Sedici quadri per la Croazia. In questi dipinti, più espressione che riproduzione (il critico d’arte croato Tonko Maroević ha definito Maffi pittore neoespressionista), l’artista lodigiano semplifica e aggrega elementi naturali, li immette in un contesto di ampie zonature, di linee ondulate e di verdi e azzurri illuminati da roboanti gialli. Arte poluogo quarnerino la creatività Le inesauste opportunità offerte dal design L’utilità è una delle principali fonti della bellezza... Lo ha detto, più di due secoli or sono Adam Smith. Disegno Italia, terza mostra organizzata nell’ambito delle Giornate della lingua e della cultura italiana, curata dall’architetto Lucia Krasovec Lucas e divisa tra due spazi espositivi, il Piccolo Salone in Corso e la Galleria Garbas in Cittavecchia, conferma le parole appena citate. Preceduta dalla conferenza Il cerchione e il battistrada tenuta nell’aula consiliare del Municipio dall’architetto Marco Marzini, “Disegno Italia” ha proposto lavori di giovani designer che hanno progettato oggetti di uso quotidiano con materiali nuovi, creazioni che soddisfano dal punto di vista estetico e funzionale e atte ad una produzione meccanica, industriale. Vittorio Sgarbi, chi non lo conosce? Per ragioni indipendenti dalla mia volontà non ho potuto assistere all’esposizione che il noto storico e critico d’arte e notissimo personaggio televisivo ha tenuto nell’Aula Consiliare del Municipio fiumano.Piena carica, per l’occasione, come una melograna. In compenso già il giorno dopo il seguitissimo evento Sgarbi ho acquistato (libreria Edit in Corso, centodieci kune, 12 euro) e mi sono I “Sedici quadri per la Croazia” di Ugo Maffi letta il suo ultimo libro, L’ arte è contemporanea - Ovvero l’arte di vedere l’arte, che è stato poi il tema della sua esposizione. Del suo intervento in Sala Consiliare non posso pronunciarmi, non essendo stata presente, del libro però sì. Si lamenta, Sgarbi, già nelle prime pagine, di essere “perseguitato dalla leggenda nefasta e maligna di essere persona che non ama l’arte contemporanea”. E risponde il saggio Sgarbi: “In realtà non amo quello che non mi sembra degno di essere né contemporaneo né antico: le ‘croste’ ci sono fra gli artisti del nostro tempo come fra gli artisti del passato. L’arte contemporanea, d’altronde, è abbastanza facile da riconoscere proprio perché è un avvenimento del nuovo, ossia un nuovo modo di vedere la realtà...”. E spiega lo studioso che il suo primo incontro con l’arte contemporanea avvenne in casa di un compagno di scuola, dinanzi ad un quadro di Neri Pozza, “...ebbi il primo sussulto di chi avverte di essere di fronte a qualco- Grande l’interesse di pubblico per tutte le esposizioni sa che si chiama ‘arte’”. In poco più di cento paginette, con un linguaggio accessibile a chiunque, Sgarbi sciorina esempi, fa paragoni, presenta personaggi del mondo della critica d’arte, parla del tramonto dell’arte chiamando in causa due personaggi, un filosofo, Hegel, e il noto storico e critico d’arte Carlo Giulio Argan secondo i quali “l’arte è morta”. Che sia proprio così, Sgarbi non ne è proprio sicuro, “vero è che il suo stato sia disperante”. Un interessante dialogo tra l’ultranovantenne teorico dell’arte e pittore triestino Gillo Dorfles sulla contemporaneità dell’arte si conclude con domande “insolite” da parte di Sgarbi, domande su alcune pittrici del passato.“Come era Leonor Fini?...”. “...Era una bellissima ragazza, ma poi è invecchiata...” è la risposta di Dorfles. “E Felicita Frai?”. “... da giovane era straordinaria, ma poi è invecchiata..., è arrivata a cent’anni... Non solo, ma invecchiando è incattivita”.● La mostra sul design italiano al Piccolo salone Panorama 27 Reportage Da otto anni Vrbovsko dedica un fine settimana a questo importante ortaggio Ottobre: il tempo delle... zucche testo e foto di Ardea Velikonja O ttobre è il mese in cui maturano i frutti che serviranno per tutto l’inverno. Noi parliamo delle zucche, quelle belle grandi di colore arancione che si raccolgono in autunno, si lasciano al sole a completare la maturazione e si conservano fresche, disposte su tavole di legno. Nel Gorski kotar, il “polmone del Quarnero” come viene definito, il clima è ideale per la crescita di questo frutto fiabesco autunnale (non c’è bambino o persona che non lo associ Belle, arancioni e succose sono andate a ruba Tatjana Kušić, direttrice dell’Ente turistico di Vrbovsko alla carrozza di Cenerentola) che alcuni decenni fa non veniva neppure “guardato”. Anche d’estate di primo mattino c’è la rugiada che “bagna” quanto basta questa pianta che altro non chiede che acqua. Finalmente le sue proprietà nutritive sono state valorizzate con l’organizzazione a Vrbovsko della Festa delle zucche, manifestazione che si è talmente allargata in un decennio da diventare pure una specie di fiera delle colture biologiche di questo territorio. Cominciata timidamente presso il canyon del Kamačnik, la “Bundevijada” come viene chiamata in Gorski kotar, è di- 28 Panorama ventata l’appuntamento più importante della fine del mese di ottobre nel Gorski kotar. Migliaia di persone provenienti sì dal Quarnero ma anche dall’Istria e dall’interno della Croazia, per due giorni visitano quella che è l’unica fiera della zucca della regione. Spettacoli fokloristici, di bambini e tanta musica fanno da cornice alla manifestazione che quest’anno, visto il grande interesse degli espositori, è stata tenuta nella locale Palestra. Ben settanta le fattorie a conduzione familiare che si occupano esclusivamente di agricoltura biologica provenienti da tutta la Croazia che han- no voluto presentare i propri prodotti. Sugli stand c’era veramente di tutto, dalla grappa al basilico ai salami e prosciutti di selvaggina. Lo Zagorje croato, per esempio, si è presentato con i prodotti per cui è conosciuto il territorio: le verdure sott’aceto che non hanno rivali in tutto il paese. Ma quello che fa sperare bene per il Gorski kotar, una regione ricca di flora e fauna ma che non è ancora riuscita a mettersi al passo con il turismo in Croazia, è la crescita delle fattorie a conduzioni familiare. Tra questi abbiamo scelto uno stand con i lamponi, frutto del bosco di cui po- Le donne della Senjsko hanno preparato ben dieci tipi di dolci Il fiabesco frutto autunnale Panorama 29 La fiera dei prodotti biolo 30 Panorama ogici Panorama 31 Leccornie alla zucca 32 Panorama Reportage che persone sanno che si può coltivare. Rafael Brajdić di Brod Moravice, il paese con meno anime in questa regione, ci ha spiegato il perché di questo suo “lavoro”: “Sono andato in pensione molto presto e avendo la vecchia casa dei genitori a Brod Moravice sono tornato qua. Non avevo cosa da fare e visto il terreno mi son detto ma perché non provo a coltivare lamponi che qui in Gorski kotar crescono ovunque: l’acqua c’è, l’aria è pulita, non c’è inquinamento e allora dovrebbe venir fuori un prodotto altamente biologico. Ho piantato 200 piantine e ci sono riuscito. Annualmente riesco a raccogliere dai 230 ai 250 chili di lamponi: alcuni li vendo così freschi, gli altri li confeziona mia moglie e ne fa succo, che va a ruba, marmellate e grappa. E posso dirvi che non c’è persona che passa per Brod Moravice, anche se sono pochi, che non viene ad acquistare da noi qualcosa”. E come Rafael Brajdić ce ne sono tanti altri in questa verde regione. C’è addirittura chi si occupa di lavanda, nonostante il clima freddo. E tutti hanno solo bisogno di una leggera spinta per farsi strada. Quindi la “Bundevijada” è anche un mezzo per promuovere i prodotti biologici del Gorski kotar. Ma questa è anche una festa delle massaie, delle varie associazioni di donne che con le loro mani fanno i più svariati dolci con questo ortaggio. All’edizione di quest’anno le più laboriose sono state le massaie dell’Associazione donne di Senjsko che si sono date veramente da fare nel loro stand allestito come “la stanza della nonna” con tutte le suppellettili con davanti un bancone di dieci specie di dolci che sono andati letteralmente a ruba. Come ogni anno nel corso della “Bundevijada” sono state premiate la più grande e la più piccola zucca presenti alla manifestazione. La grande siccità di quest’estate non ha permesso alla maggior parte dei coltivatori di raggiungere misure da record cosicché quest’anno la più grande è stata quella proprio dell’associazione delle donne “Senjsko” che pesava ben 42 chili. La più piccola è risultata essere quella raccolta dai bimbi dell’asilo di Vrbovsko che aveva appena 200 grammi.● L’idea è venuta dalla Macedonia N on ci crederete ma l’idea della Festa della zucca ha origini macedone. Si perché l’ideatore è Gamni Ramadani, nato in Macedonia e trasferitosi con i genitori nei dintorni di Vrbovsko nel 1971. Da piccolo nel suo paese natale giocava con le zucche, ortaggio che dato il clima della zona che è molto secco riusciva male. Suo padre, per le necessità del bestiame che aveva, piantò le prime zucche che grazie alla rugiada mattutina del Gorski kotar riuscivano benissimo. Poi per anni la coltura di questa piante venne lasciata lì, da parte. “Nel Duemila circa io ho ripreso a coltivare la zucca dato che intorno alla casa ho tanto terreno. Ho pensato quindi come usarla in modo commerciale dopo aver visto mia moglie che faceva brodi, succhi, marmellate, confetture varie e tantissimi dolci. Oggi produco 10 tonnellate di questo ortaggio che è sanissimo, è un cibo dietetico, ha più carotene che non le carote e può venir mangiato da tutte le generazioni. Qui devo dire subito che la produzione è altamente ecologica: niente conservanti o disserbanti dato che la zucca è una pianta che difficilmente viene attaccata dagli insetti. Non necessita di particolari cure, basta che abbia sempre acqua a sufficienza. Quello che è importante è la concimazione e qui sono severissimo: solo concime naturale. Mi spiego io produco come detto 10 tonnellate di zucche: il 30 per cento lo scambio per il concime con gli allevatori della zona di cavalli e mucche. Il 30 per cento lo vendo, e c’è sempre più interesse, infatti gli acquirenti arrivano da tutte le parti della Croazia e del resto produciamo marmellate, succhi, ecc. Nel 2001 nella bellissima cornice del canyon del Kamačnik ho deciso di portare le zucche e i suoi prodotti e di allestire una specie di mostra. La tantissima gente che specie al sabato e la domenica viene a fare una passeggiata in questo paradiso Gani Ramadani, il macedone che ha iniziato la manifestazione oggi visitata da migliaia di persone L’ortaggio può venir usato in cucina in mille modi Il succo di zucca mescolato a quello di mela è ideale per una dieta equilibrata naturale si è dimostrata molto interessate ai prodotti anche perché sono tutti ecologici. E così l’Ente turistico di Vrbovsko ha deciso di includersi e di allestire otto anni fa la manifestazione ‘Bundevijada’, ovvero la festa della zucca. Da allora l’interesse è talmente cresciuto che il tutto si svolge nell’arco di due o tre giorni”. ● Panorama 33 Letture L o scorso maggio sono stati attribuiti i Premi della XLIV edizione del concorso Istria Nobilissima, che hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba fruire il maggior numero di lettori, nelle pagine riservate alle letture “Panorama” propone le opere a cui siano stati attribuiti premi o menzioni. Nella categoria “Letteratura” alla sezione “Prosa in uno dei dialetti della Comunità nazionale italiana” la giuria ha assegnato la menzione onorevole ad ESTER BARLESSI di Pola per la raccolta di racconti dal titolo “Fosca e dintorni” di cui pubblichiamo la prima parte. «Fosca e dintorni» (Storiele) La bonaman e Barba Nane Che bel che iera una volta el mio paese! Tuta la gente iera come una familia. I fioi giogava in strada o in corte e i se divertiva con poco. I veci che gaveva sula punta dei diti el sal dela vita ne insegnava tuto, del modo de comportarse con creansa, ale tradissioni e ai veci deti. Mia nona iera una gran dona, una santa e la ricordo con rispeto e teneressa. Tuto quel che so la me ga insegnà ela co le bele o co le brute. Iera una vita fata de pice robe ma piena de sodisfassioni. Più volte capitava che l’ora de pranso te trovava in qualche casa che no iera la tua e con semplicità le mame o le none zontava in tola un piato in più e se spartiva el magnar in alegria. Tuto ne fasseva contenti, l’ano novo per esempio iera per noi fioi un avenimento importante. No se vedeva l’ora che rivassi la matina del primo per corer a farghe i auguri a parenti e amici e zà de bonora andavimo a bater ale porte più per ritirar la bonaman, che credevimo che ne spetassi de dirito, che per far i auguri e ghe la domandavimo sensa tanti complimenti. Iera uso che le familie gavessi zà pronto un fagotin con drento do mandarini, un pomo, una grampa de mandole, una de fighi sechi e qualche caroba. Co i verseva la porta la mularia diseva in coro: - Semo vegnudi a farve i auguri, bon principio, ne dè la bonaman? I te conzava el sacheto zà pronto e via ti in un’altra casa. Sucedeva qualche volta che qualchedun no sentissi de quela recia e dopo fati i auguri ti te trovassi a mani svode, in questo caso noi gavevimo la nostra bela formula zà pronta per vendicarse: - Tanti ciodi in te la porta e tanti diavoli che ve porta! La domenica dopo la messa se fasseva do passi per la piassa. Visin la cesa iera un sental de piera do’ che el vecio Barba Nane stava sempre infagotà a ciapar el sol. El ghe tegniva che se lo saludassi con rispeto e a mi el me intimoriva vecio come che el iera e con quei do oci penetranti che me fissava, cussì che zà de lontan cominciavo a prepararme per saludarlo e a ogni passo che fassevo me ripetevo pian, “bongiorno barba Nane”. Iero una sgnesola bionda sempre in moto e piena de morbin ma co ghe rivavo visin lo saludavo con una voseta tremolante, quasi spaurida e lui imancabilmente el me diseva: - 34 Panorama Bondì! Che bela muleta che ti son! E de chi ti son mare? - No savevo mai cossa risponderghe e scampavo via. Un giorno ghe go domandà a mia nona: - Ma perché el me domanda sempre de chi che son mare? Mi no so cossa dirghe. E ela: - ‘Sta altra volta co el te disi cussì ti ti ghe rispondi: “Mare de nissun ma fia de qualchedun!” Iero tuta contenta de gaver finalmente la risposta giusta e spetavo la domenica per passarghe davanti e dirghela. No vedevo l’ora. Ma la me xe andà per tresso: la domenica dopo la banchina iera svoda e la gente in piassa parlando sotovose se contava che barba Nane iera morto. Che pegola! No go avù la sodisfassion de darghe la risposta che el meritava! Pecà, perché se solo gavessi parlà con nona una setimana prima barba Nane saria restà de stuco prima de svolar in ciel, che Dio ghe brassi l’anima! La meniga La Meniga la andava col caro col muss a portar a vender i fasseti in cità una o do’ volte per setimana e quasi tuti i legni i iera zà ordinai perché li usava i pek per scaldar el forno e cussì la se becava qualche flica, perché no iera bobane e schei in casa mancava sempre. De inverno, povera dona, la tornava a casa dura de fredo, perché le bore de una volta le iera tremende, le te magnava naso e rece e le fasseva vegnir le buganze sui diti. La se involtisava tuta in te ‘l sial nero co le franze e la tegniva le redine lasche perché el muss saveva la strada e anche sensa esser guidà el tornava in corte. ‘Sta povera femina, vedova con sinque fioi, la lavorava come un samer per sfamarli, de estate l’andava a sesolar a giornada, po’ a spigolar, po’ a lavar mastei e mastei de lissia, po’ dei paroni dele stanzie a netar e in autuno a vendemiar nele vigne dei altri o a ingrumar olive per ciapar qualche litrus de oio bon, de inverno la se alsava presto per far fassine e fasseti che la stivava soto la tetoia in corte per prelevarli via via che i ghe coreva e portarli a vender in cità. Insoma la strussiava tuti i santi giorni per ciò che quei fioi d’un cin de fioi podessi gaver a mezodì el piato pien ogni giorno che Dio mandava in tera. Ah, perché ela per i sui fioi la gavaria dà la vita. La voleva anche Letture che i andassi a scola, che i savessi almeno leger e scriver, per quel nissun sacrificio no ghe pesava. E la sera la restava a orbarse fin tardi in cusina visin a la lume a petrolio perché sempre iera o de repessar calse o de giustar la pieta de la cotola dela Adele che ghe passava a la Lina o de scurtar le braghe de Mate per darghele a Toni o de tirar fora de la camisa a quadreti de Berto, che ormai no la iera più per gnente, magari do’ o tre fassoleti de naso che i coreva sempre perché el fio più picio iera un mocoloso de prima categoria! Insoma la lavorava solo per lori e per ela no rivava mai spago per gnente e co la tornava a casa ‘sti fiol d’un can iera solo boni de domandar: - Coss’ ti ga comprà? Un sabato fredo fredo de febraio la se gaveva alsà presto che fora ancora no se vedeva. Tirava una bora che scassava tuto e ela a la luce dela lanterneta, quela che la impicava sul caro co iera scuro, la stivava i fasseti per portarli a vender in cità. La pensava, “più bonora che vado prima torno, compro un poco de spesa in te la botega magnativa de sior Gigi che me xe de strada e rivo a casa giusto per prepararghe el pranso ai fioi”. Ma la gaveva fato i conti sensa la bora de febraio che co la se meteva...! Bon che febraio durava solo venti oto giorni! Gaveva ragion el proverbio che diseva, riferindose che el iera curto, che se febraio gavaria avù la forsa de genaio el gavaria fato iassar la creatura in te la pansa de la mare! Bon, insoma ‘sta povera Meniga la se involtissa in tel sial tuta, anche la testa, la impica la lanterna al caro strapien de fasseti, la monta e, gìe Moro, via ela verso la cità. Cominciava a farse ciaro ma man man che se alsava el sol cresseva anche la bora e la dava de quele scuriade che la povera Meniga se sentiva trapassar tuta oltra el sial e le mani gnanche no la le sentiva che quasi quasi la molava anche le redine. No la vedeva l’ora de consegnar tuti i fasseti, passar in botega e tornar a casa ché la se insognava el calduss del fogolorer ma la gaveva de passar ancora del ultimo pek e quel iera proprio foraman. De tanto infredolida che la iera la gaveva l’impression che Moro caminassi più pian del solito, insoma che no ‘l rivassi mai in quel benedeto ultimo forno cussì ogni tanto la ghe caressava i fianchi co la scuria, ma legermente, tanto per farlo mover. Finalmente i riva, ela la salta zò e la taca scarigar i fasseti sul marciapìe do’ che el garzon del pek li ingruma per portarli in corte. - Meniga - ghe disi el pek dela porta del forno, - vegnì dentro che ve pago. Dentro iera un bel caldo, el pek iera in maieta bianca manighe curte e vedendola tuta imbacucada el ghe fa: - Fredo ah, ogi! Scaldeve un pochetin. - Ehh, magari sior Frane ma no’ posso, devo tornar subito a casa che la mularia speta la manasa. - Ben Meniga, eco qua le fliche e spetè un momentin che ve ofro almeno un bicerin de vermut che cussì ve scaldè. El vermut iera bon, gialo ciaro e dolse, la Meniga se sluca el bicerin e la senti un bel calor in te ‘l stomigo, la cior i schei, la ringrasia, la torna a imbacucarse col sial e via ela de novo sul caro. “Che bon che xe ‘sto vermut” la pensava per strada, “mi digo che con due o tre slucheti no se senti gnanche la bora, xe una roba che iuta contro el fredo”. In botega de sior Gigi la fa la spesa e zà sula porta, come per una decision ciapada al ultimo momento, la torna indrio e la ghe fa al botegher: - Deme anche una fiasca de mezolitro de vermut che quasi quasi me dimenticavo. Sentada sul caro, dura de fredo, pena fora de cità la tira fora la fiasca e la fa un sluc, tanto per scaldarse un fià. Ciò, de novo quela bela sensazion de calor in te ‘l stomigo, in te i brassi... E zò, daghe un altro sluc e dopo ancora uno e un altro ancora. La se sentiva come sule nuvole, no la gaveva più i pìe ingelai e no ghe fasseva mal gnanche le buganse, anzi, dei guanti co i diti taiai ghe pareva che la carne no fussi più cussì viola, o ghe fasseva i oci o i sui diti iera diventadi rosa, el vermut fasseva proprio ben e via ela un altro sluc. Le redine ghe sbrissava dele man ma tanto Moro andava pian pian solo. - Dai Moro, va più presto che quele povere creature a casa me speta - e zò un’altra bevuda. Oramai la iera in te le nuvole, no la gaveva più fredo e i oci ghe se serava ma no la molava la fiasca. Ogni tanto ghe vegniva de rider e subito dopo ghe ciapava una forte malinconia e el pensier ghe coreva ai fioi. “Povere mie creature”, la brontolava pian, “voi se tuta la mia vita, cossa che no farìa mi per voialtri!” - Dai Moro, fiol d’un can, va più presto che devo rivar a casa, su movite. - Ma come che el muss slongava el passo la cominciava a perder l’equilibrio e la dondolava de qua e de la del caro e alora la tacava a sigar: - Dai, va più pian che casco, ti vedi che se ti cori son imberlada, cossa ti son insempiado Moro? Sempia de bestia! - E via un altro sluc. Oramai la fiasca iera quasi svoda e vardandola controluce con vose impastada la diseva: - Ma va in malora! No’ xe più vermut! Ma cossa el se ga spanto? Rivada proprio in fondo dela fiasca, la la ciapa e la la buta in graia e po’ zò a rider come mata. Intanto el muss gaveva imbrocado la strada del paese e passando fra le case el se dirigeva verso la corte dela Meniga. Ela, tuta strenta, co la testa che ghe picava sul peto e i oci serai la sentiva buligar el stomigo, la stava proprio mal perché tuto quel vermut sul stomigo svodo gaveva fato un bruto efeto. ‘Desso se tratava de smontar del caro. Le gambe no la tegniva, la testa andava per le sue e el stomigo fasseva cussì monade che ghe pareva de gaverlo in gola. In poche parole la riva in qualche maniera a strassinarse in casa. La voleva dir, “poveri fioi, ‘desso i tornerà de scola e devo farghe qualcossa de magnar”, ma le parole ghe se intornigava torno la lingua e la rivava solo a tartaiar qualcossa, cussì via ela, drita in leto, col sial i guanti e anche i stivai e no la riva gnanche pensar, “povere anime mie, bele mie creature che se tuto per mi”, che zà la ronchisa. Co i fioi torna de scola i la trova come morta butada in sbiego sul paion e pieni de paura i cori a ciamar la sorela dela Meniga: - Aiuto zia, mama ‘sta mal, la xe butada sul leto vestida e no la rispondi. Piena de fifa la dona cori in casa e co la xe in camera sentindo quela spussa de vermut la magna la foia. La la scorla e la Meniga brontola, “bei mii fioi, bei mii fioi”, ma subito la sera de novo i oci perché solo cussì sdraiada la senti de star ben, no la desidera altro e invese sua sorella torna a scorlarla: - Bruta mussa, ti son imbriaga, sveite che le creature se ga spaurì e le speta el pranso. La Meniga versi un oceto, la se sistema un poco meo sul leto e fra le strasse se perdi anche el pensier de i fioi ché più importante de tuto desso xe poder dormir e prima de sprofondar de novo in te ‘l sono benedeto, la tartaia: - I fioi! Ma che i vadi a remengo anche lori! Sant’Antonio Giovanin de mestier el iera bandaio, un lavorator che no ve digo! Ogni matina in bicicleta el andava in cità, do’ che el iera Panorama 35 Letture soto paron, e tuti lo voleva a lui co iera de far qualche gorna o qualche ciaveta per i tubi del spacker per ciò che no el gavessi tropo tiragio, o lamiere per i teti de lissiere e tetoie, perché el lavorava con perfession e do’ che meteva le mani lui iera sempre un lavor ben fato. Ma el gaveva un vizio: co iera giorno de paga el ciapava de quele bale che no se saveva come che el fassessi a tornar in paese in bicicleta. Però el rivava sempre, anche perché a quei tempi no iera trafico, moto e auti no esisteva, in cità iera solo do’ auti de piassa, quel de sior Dobran e quel de Bilucaglia, do’ Balille nere. El viveva solo, no ‘l se gaveva mai sposà, el cusinava, lavava e stirava, el fasseva tuto insoma, e se no ‘l saveva qualcossa el ghe domandava consilio a una vecia zia. - Gnagna - el ghe diseva, - me insegnè come che se fa i gnochi? - opur: - Me mostrè come che se sopressa el colo de le camise che no voio andar in cesa mastrussà. In cesa el andava ogni domenica e qualche volta se mancava qualche chiericheto el rispondeva anche messa e dopo la cesa el passava per un bicer in osteria ma mai che el se gavaria imbriagà in paese! Quel sucedeva solo in cità el giorno de paga. Un giorno el se meti a cusinar una chibla de cafè de cicoria, el lassa un poco che deponi i fondaci e intanto el va in corte a spacar do’ legni, co el torna el se bevi do’ scodele de cafè e co el vol cior la terza el vedi come un gropo in mezo ai fondaci, el missia un po’ col cuciar e ciò, no ‘l te tira fora un sorso! Ala sera el ghe la conta a la gnagna e ela: - Mama mia Giovanin! E cossa ti ga fato? - Me go slucà meza fiasca de trapa per disinfetarme el stomigo e go lavà co l’asedo la pignata! El iera devoto a Sant’Antonio de Padova e convinto che fussi lui el meo santo e el se gaveva messo in testa che ‘sto Sant’Antonio lo gavaria proteto in tute le ocasioni e più volte sospirando el diseva: - Dio mio ma lo volario veder almeno una volta! E la vecia zia ghe diseva per farlo star bon: - Ti lo vedarà co ti sarà in paradiso Giovanin. Bon, un dopopranso de giugno, poco prima dela festa del Santo, iera giorno de paga e zà metà el se la gaveva magnada un poco in osteria de Piero e un poco in quela de Picol Zvane, el nostro Giovanin el monta in bicicleta e via lui verso el paese. El iera cussì pien che verso Bosco Rizzi no ‘l ghe la fa a andar su de rato e volendo smontar el finissi in graia. In qualche maniera el riva sul drito ma ghe toca far un bel toco a pedalin prima de issarse in sela. Pien come un ovo el te imbroca la strada del paese a forte velocità e do’ o tre muli che giogava in strada i se buta de parte per scansarse urlando: - Ocio, via, che riva “celere”. In cusina el se meti de traverso sula carega co i comi sula tola e la testa fra le man. Forsi el se indormensa ma fato sta che co el versi i oci e el varda el muro visavì el vedi un grande Sant’Antonio col gilio in man che lo fissa. Per un momento el resta come imbambolà po’ de colpo el se alsa e el cori fora urlando: - Gnagna, vegnì a iutarme che son morto, Sant’Antonio xe a casa mia sul muro, el xe vegnù a ciorme. Vegnì che go paura. La zia riva corendo, la va dentro per prima, la varda el muro, po’ la se volta e la ghe fa: - Ma che Sant’Antonio! Mona! No ti vedi che xe el calendario col Duce! Sior Gregorio e el Vangelo Sior Gregorio el fasseva l’infermier in manicomio e co iera de trasferir qualche mato el montava in Caro Socorso col 36 Panorama safer e lo compagnava lui in qualche altro ospedal per una visita o altro. Co el se meteva a contarle de quele che capitava in reparto iera de scoltarlo a boca verta. Per esempio una volta un malado el iera scampà del manicomio, e daghe tuti a sercarlo, perché i infermieri iera responsabili de quel che sucedeva. In poche parole ghe riva una segnalasion che el xe in una campagna visin de Grega e che el ghe ga ciolto una sfalza ai contadini e che con quela i li minacia tuti. Sior Gregorio ciama un giovine infermier, el ciol la camisa de forsa e el ghe disi al safer dela Croce Rossa de portarlo in ‘sta campagna per imbragar el mato. Co i riva l’omo mola la sfalza e come un gato el se rampiga su un albero alto alto e Sior Gregorio con le bele a sercar de convinserlo de vegnir zò. Machè! Gnente de far. El mato se tegniva strento al tronco e a le rame co i ginoci e co le mani e ogni tanto el molava un urlo.Tuti i contadini torno a vardar come che saria andà finir la storia. A un certo momento Gregorio ghe disi a l’infermier giovine: - Torna in manicomio e porta qua la Berta -. La Berta iera anche una ricoverada dela psichiatria, un toco de dona che co ghe ciapava el matìo per meterghe la camisa de forsa ghe voleva almeno tre infermieri ma co la gaveva i periodi boni la iera dolse e umile come un toco de pan. Co ghe becava el futer anche i mati mas’ci gaveva paura de ela. Fin che tuti spetava che tornassi el giovine co la Berta, sior Gregorio continuava a dirghe al mato: - Vien zò co le bele perché se no taio l’albero -, e el ghe mostrava una manera che el se gaveva fato dar ma l’altro de la sima el ghe rispondeva: Cucù! Co te riva la Berta oramai sior Gregorio iera stufo e imbestialì e el ghe se rivolgi subito disendoghe che la provi convinserlo ela. ‘Sta mata, la se meti soto l’albero e la urla: - Ciò, vien subito zò che se no mi te taio l’albero! - Come per magìa el mato se cala e in dò e dò quatro el toca tera do’ che Gregorio presto lo imbraga co la camisa de forsa e lo cariga in vetura. Per strada el ghe domanda: - Mi te go dito sento volte che se no ti vegnivi zò te taiavo l’albero e no ti me volevi scoltar, perché co te lo ga dito la Berta ti te ga calà subito? - E lui: - Perché voi se un infermier ma la Berta xe mata e so che la lo gavaria taià per de bon! Sior Gregorio gaveva sento de queste storiele de contar e in paese la gente lo scoltava volentieri. El iera un bon diavolo sposà e con do fie. Co el iera libero del lavor el fasseva el nonsolo in cesa e el pretendeva che piova o sol, fredo o caldo sia moglie che fie andassi in cesa ogni domenica matina e tuto el mese de magio al rosario e in giugno a la tredicina sensa contar tute le altre feste comandade. Le mule iera stufe, le saria andade meo in giro per el paese co le amiche ma no le se insognava de disubidir. Un sabato Gregorio ciapa l’ordine de andar compagnar con l’ambulansa un mato in un’altra cità. - Mi torno doman dopopranso ma ve racomando de andar a messa tute tre doman matina che co torno me contarè el Vangelo che ga leto el paroco. Domenica matina iera una piova che Dio la mandava e le mule e la mare no se la sentiva de alsarse e andar fora con quel tempo de lupi cussì le resta in cucio fra le coverte, tanto lui tornava de dopopranso e no el gavaria savù che le gaveva fato scapola dela Messa. Verso le quatro torna sior Gregorio e serio serio: - Ieri a Messa? E lore tute tre insieme: - Sì. Letture - Che Vangelo iera? - Secondo Matteo - disi la molie. - Secondo Matteo?! - Ma no mama, secondo Giovanni - la coregi una fia. Lui se alsa, el spalanca la porta dela cusina su un diluvio de piova e lampi e con vose teribile el disi: - Fora! Brute vergognose e bugiarde! Prima de vegnir a casa go passà per la cesa. Ogi no iera Messa, perché don Biagio el xe in leto co la febre! E voi stanote andè do’ che volè e domenica prossima ve alsarè ale sei per la prima Messa e per penitensa ‘sta setimana Vespero ogni sera! E col fredo che fasseva molie e fie quela note ga dovù dormir in lissiera. El levero Gino gaveva lassà el paese de giovine e el iera andà in cità do che el fasseva el safer del federal soto el fassismo. La sua familia iera fra le più povere del paese e a su’ mare l’aiutava un poco tuti dopo che la iera restà sola con una fia zitela in una caponera de casa. Lui vegniva poco a trovarla e co el rivava el se fasseva solo che maravea. El gaveva comincià anche a parlar in cichera e la vecia ghe capiva poco perché la parlava solo el dialeto del paese che no gaveva tanto de spartir co la lingua. Qualche volta el te rivava in Balilla, una nera, che el parchegiava in piassa e che subito la iera circondada de un nuvolo de mularia che pareva ciapi de mosche. El vegniva fora con aria de importansa come se el fussi stà el Duce in persona, el se vardava torno caressandose con le mani i gambai dei stivaloni, po’ el se drissava la bareta de safer e el ghe diseva con vose cavernosa ai fioi: - Faccio do passi fino da mia madre, poveri voi se la toccate! - Cussì i muli vardava de lontan i ferai e i parafanghi mostrandoli col dito, de lontan, perché i gaveva paura co a Gino ghe tremava i mustaci e li minaciava disendo che se i ghe sgrafava la vetura tuta la familia gavaria dovù far i conti col federale e de quei tempi tuti saveva che dir el federale o Dominedio iera la stessa roba. La vecia e la sorela zitelona dopo ogni visita no le fasseva che parlar de lui e a contarghe a tuti che el iera vegnù a trovarle. Siora Pina, che no gaveva pei sula lingua, la ghe diseva ogni volta che la vecia fasseva la tiritera de xe rivà Gino, xe rivà Gino...: - Ah! El xe rivà! E cossa el ve ga portà stavolta siora Marieta? - Ma ti sa fia mia, el xe vegnù in premura... giusto un salto a saludarme... - Ah! E no el podeva far un salto anche in botega che xe do passi de qua? - No el rivava... no el rivava... el doveva corer a cior el federal per portarlo a pranzo... Ti sa fia mia che lavor importante che el fa! - E, altro che so! Cussì importante che el va a incoconarse col federal e poco ghe intaressa se voi siora Marieta no gavè cossa meter in pignata! - Ma va sul’ostia Pina! Che cativeriosa che ti son! Sa coss’ che te digo? Mi no ghe domando gnente a nissun... - Sì, xe vero, ma tuti ve porta qualcossa lo stesso... - Vol dir che son una brava femina! Anca mi ghe dago a tuti quel che posso... - E che sarìa? - Una bona parola fia mia, una benedission de cor che vol dir tanto! - Eh... ti capirà ! Bon, bon siora Marieta no ste ciorvela per mal... iera giusto un parlar... - Chi mi?! Mai più! Cossa ti ga per pranzo ogi cara Pina? - Vedarè dopo. Co la Pina se tirava drio la porta la vecia brontolava, “ostrigheta, ma te par de esser chissà chi fiolduncan!” Una sera sul tardi, la Balilla del federal se ferma davanti ala casa dela vecia e vien fora Gino con un fagoto in man e el cori in casa. - Mama - el ghe fa -, el federale mi aspetta in vettura, devo fare presto che dobbiamo essere a Pola per le otto; vi ho portato un levero che ho buttato sotto per strada, vi farete dei boni gnocchi, e mostratelo a tutto il paese e diccetelo a tutti che avete il levero... - A Gino mio, creatura mia che Dio te benedissi! - Ve racomando madre diccetelo a tutti che ve lo ho portato io con il mio federale. Devo scappare adesso. Siora Marieta tuta contenta la ciol el cortel e la se meti a spanzar el levero e finido el lavor la ghe disi ala fia de cior ciodi e martel e de inciodarlo per le quatro zate sul stipite dela porta dela cusina che vardava drito in strada e de lassar la porta spalancada che cussì tuti quei che passava gavaria podù mirar el levero impicà. Do o tre done passando la matina le te ocia el levero e la vecia gongolante ghe disi che ghe lo ga regalà el suo Gino insieme col federal. In do e do quatro se ga sparso la vose e tuto el paese fassendo finta de gnente ga comincià a passar de là per cucar el levero inciodà a fianco dela porta. La Pina una matina la ghe domanda ala vecia: - Ben siora Marieta, quando fe ‘sta gnocada? - Un de ‘sti giorni, ti sa che la selvagina devi riposar prima de esser cusinada. Iera estate, e mosche e mosconi ga comincià a svolar torno la carcassa. La fia zitela la stava quasi tuto el giorno con la sventola del fogoler in man a scassar via quele maledete bestie. Dopo cinque giorni, co ormai la vecia iera sicura che tuti gaveva oramai visto el levero, la decidi de far i gnochi e la lo dispica dela porta. Sorpresa! La pansa del levero iera un nido de mosconi e i gnochi tanto sognai per quela volta i xe andai a farse benedir compagnadi dele maledissioni dela vecia Marieta: - Ah, diccetelo a tuto il paese, madre, che avete il levero! Iera meo se lo fassevo subito che ‘pena desso el paese me ridarà drio! E con la bile in peto e l’aquolina in boca, la prima volta in vita sua la Marieta a malincuor, perché se tratava de carne dela sua carne, la xe ‘sta mentalmente d’accordo con la Pina che Gino iera proprio un fanfaron, perché solo per farghe un piasser a lui el levero iera andà a farse friser! GLOSSARIO Bobana = abbondanza Che le lati = che gioiscano (da allattare) Chibla = grosso recipiente Crafen = bombolone Kimel = cumino Fiolduncan = figlio di cane Ludri = ingordi Papina = sberla Plafon = soffitto Poboga = per Dio! (slavo) Slosso = avariato, sterile si dice riferendosi a un uovo Sopa = boccone di pane inzuppato Traverseta = grembiulino Panorama 37 Novità in libreria Flavio Caroli IL VOLTO DELL’OCCIDENTE È possibile descrivere lo spirito della civiltà occidentale, così come si è evoluto con mutamenti vertiginosi nel corso del XX secolo, attraverso venti capolavori dell’arte? L’impresa è senza dubbio temeraria, e non priva di insidie che potrebbero indurre a forzature o interpretazioni arbitrarie. Ma Flavio Caroli, da sempre interessato a indagare i fondamenti prima- ri del “pensiero in figura”, accetta la sfida. Ed ecco allora che, dopo aver tratteggiato i volti dell’uomo e della natura nelle sue molteplici manifestazioni artistiche, delinea un nuovo volto che in qualche modo li racchiude. Un’immagine essenziale e al tempo stesso complessa, un poliedro a venti facce: venti opere da Van Gogh a Warhol. Editore Mondadori Pagine 240. Prezzo 22,50 euro Andrea Camilleri UNA VOCE DI NOTTE Questa volta l’autore catapulta il commissario Montalbano nell’omertosa Vigata, costretto a dover fronteggiare il silenzio dei potenti e i sensi di colpa di un’opinione pubblica 38 Panorama che sa sempre di più rispetto a quanto sembra. Ed ecco che storie parallele che, inizialmente non sembrano avere nulla in comune, si intrecciano diventando un’unica strada (tortuosa) sulla quale compiere la propria indagine che, quando c’è Montalbano di mezzo, si trasforma sempre in un’indagine anche sui vizi e costumi della nostra società. Editore Sellerio Pagine 244. Prezzo 14,00 euro Giovanni Fasanella e Antonella Grippo INTRIGHI D’ITALIA. 1861-1915 Dalla morte di Cavour alla Grande guerra: le trame nascoste che non ci sono sui libri di storia Nel 1912 Giovanni Giolitti raccomandava “molta prudenza nell’aprire gli archivi del nostro Risorgimento”, perché “non è bene sfatare leggende che sono belle”. Comprensibile, forse, in un Paese ancora giovane e fragile. Purtroppo, per molti aspetti, il suo monito è stato preso alla lettera Anthony C. Grayling IL BUON LIBRO. UNA BIBBIA LAICA Un libro di conoscenza, intuizione, ispirazione, saggezza, conforto e analisi sul mondo, sulle sue tradizioni e culture. Non si tratta di un’antologia, ma di una vera e propria alternativa laica alla Bibbia. Realizzato dal grande filosofo inglese A. C. Grayling così come fu realizzata la Bibbia giudeo-cristiana: interpolando, parafrasando, ridisponendo e analizzando le grandi tradizioni secolari degli ultimi tremila anni di storia umana. Le fonti di questa pubblicazione si estendono dall’antichità classica (sia occidentale che orientale) fino al XIX secolo, racchiudendo centinaia di autori e un migliaio di testi, di cui Grayling distilla gli insegnamenti, le intuizioni, i consigli, le storie umane... Editore Ponte alle Grazie Pagine 640. Prezzo 29,00 euro per un secolo intero e l’effetto si è esteso ben oltre i confini del racconto (epico) dell’Unità d’Italia. Così, la storiografia ufficiale e, per ricaduta, la divulgazione scolastica hanno spesso preferito accontentarsi di una versione edulcorata dei fatti, che nulla spiega di cosa sia poi diventato il Paese. In questo libro gli autori hanno ricostruito alcuni fra i più interessanti misteri d’Italia, lungo un arco di sessant’anni dai giorni dell’Unità, attingendo a documenti inediti, atti giudiziari mai consultati dagli storici e preziosi archivi stranieri. Editore Sperling & Kupfer Pagine 286. Prezzo 18,50 euro Aldo Cazzullo L’ITALIA S’ È RIDESTA A Parma rubavano tutti, di tutto, su tutto. Comincia così, mostrando la miseria di una classe politica inadeguata e la rabbia di una città tradita, il resoconto di Aldo Cazzullo da una provincia ricca e all’apparenza sempre uguale a se stessa. Trieste, Bergamo, Napoli, Palermo, Bari, Genova, Siena, Verona sono le altre tappe del viaggio attraverso l’Italia, per mostrare il volto noto e rispettabile, quel che si sa e quel che non si dovrebbe sapere, di un’Italia che occupa raramente le prime pagine dei giornali. Editore Mondadori Pagine 204.Prezzo 15,90 euro Libri Alessandro Piperno è il vincitore del Premio Strega 2012 con Inseparabili Un’opera splendente ed ironica I nseparabili. Il fuoco amico dei ricordi, romanzo di Alessandro Piperno edito da Mondadori è il vincitore del Premio Strega 2012. Inseparabili. Questo sono sempre stati l’uno per l’altro i fratelli Pontecorvo, Filippo e Samuel. Come i pappagallini che non sanno vivere se non sono insieme. Come i buffi e pennuti supereroi ritratti nel primo fumetto che Filippo ha disegnato con la sua matita destinata a diventare famosa. A nulla valgono le differenze: l’indolenza di Filippo - refrattario a qualsiasi attività non riguardi donne, cibo e fumetti - opposta alla determinazione di Samuel, brillante negli studi, impacciato nell’arte amatoria, avviato a un’ambiziosa carriera nel mondo della finanza. Ma ecco che i loro destini sembrano invertirsi e qualcosa per la prima volta si incrina. In un breve volgere di mesi, Filippo diventa molto più che famoso: il suo cartoon di denuncia sull’infanzia violata, acclamato da pubblico e critica dopo un trionfale passaggio a Cannes, fa di lui il simbolo, l’icona in cui tutti hanno bisogno di riconoscersi. Contemporaneamente Samuel vive giorni di crisi, tra un investimento a rischio e un’impasse sentimentale sempre più catastrofica: alla vigilia delle nozze ha perso la testa per Ludovica, introversa rampolla della Milano più elegante con un debole per l’autoerotismo. Nemmeno l’eccezionale, incrollabile Rachel, la mame che veglia su di loro da quando li ha messi al mondo, può fermare la corsa vertiginosa dei suoi ragazzi lungo il piano inclinato dell’esistenza. Forse, però, potrà difendere fino all’ultimo il segreto impronunciabile che li riguarda tutti... Alessandro Piperno ritrova la famiglia Pontecorvo - già protagonista di “Persecuzione” - e chiude il dittico del “Fuoco amico dei ricordi” con un’opera del tutto autonoma che, al tempo stesso, scioglie ogni nodo lasciato in sospeso dal primo libro. “Inseparabili” è la storia di una famiglia che deve lottare con l’amore e il rancore, il lutto e la solitudine, fino alla resa dei conti. È il racconto verosimile fino al dettaglio di quanto fortuito e inarrestabile sia il meccanismo che genera un grande successo mediatico e insieme il ‘referto’ implacabile, scioccante, degli effetti che una pubblica glorificazione può sortire su chi ne è oggetto: sui suoi desideri, sul suo carattere, sulle relazioni con coloro che ama. È un libro splendente, ironico, emozionante, percorso da una felicità narrativa che ricorda l’euforia di “Con le peggiori intenzioni”, la cui protagonista, Gaia, fa da guest-star in un velenoso cammeo. Un grande romanzo di oggi, veloce, crudele ma cadenzato dal passo classico di una Commedia umana che senza tempo si ripete. Nato a Roma, dove vive, nel 1972 Alessandro Piperno insegna letteratura francese a Tor Vergata. È redattore di “Nuovi Argomenti”. Ha pubblicato il saggio “Proust antiebreo” (Franco An- geli 2000), “Con le peggiori intenzioni” (Mondadori 2005), “Persecuzione” (Mondadori 2010).● La Cità de Buie, in colaborazion con la Region Istriana, l’Unione Italiana, l’Università Popolare de Trieste e la Region Veneto, publica el Concorso «Dimela cantando» per canzoni nove che vegnarà sonade e cantade al Festival dell’Istroveneto 2013. Cosa bi∫ogna far? Prima de tuto ghe vol scriver la canzòn, parole e musica, e mandarla fina el 15 dicembre 2012 per posta semplice, al indirizo: Grad Buje - Città di Buie Festival dell’Istroveneto - Concorso “Dimela cantando” Istarska/via dell’Istria 2 52460 Buje (Buie) opur, per quei più moderni, per posta ‘letronica al indirizo gorangriff@ gmail.com. Quando mandè la canzòn, cusì o colì, dovè scriver: - titolo dela canzòn - i dati de chi che ga scrito la canzòn - la registrazion demo (su cidì o in formato emepitre) - tre copie dele parole della canzòn Ste tenti: le canzoni che mandè le pol eser scrite solo in istroveneto! Tute le canzoni che rivarà per tempo le sarà valutade de una comision che decidarà quele che vegnarà sonade e cantade al Festival, in ba∫e al valor artistico dela canzòn. I autori dele canzoni che sarà sjelte i se impegna a firmar, entro trenta giorni, un contrato con l’organi∫ator con el qual i ghe cedi tuti i diriti. Ai autori comunque ghe resta i diriti previsti dala lege. Le canzoni sarà sonade e cantade a Buie in maggio del 2013, dal vivo o sula ba∫e mu∫icale pronta, e le sarà valutade da una ‘po∫ita giuria e dal publico. Le meje, le vinzarà el premio. Panorama 39 Italiani nel mondo Commenti alle modifiche alla legge Tremaglia contenute nel testo-Malan Importanti novità nella riforma a cura di Ardea Velikonja I l testo in discussione nella Commissione Affari Costituzionali del Senato sulla riforma elettorale offre il fianco a serie riserve per quanto riguarda il sistema di elezione dei candidati, un tema che quasi ogni giorno riaffiora purtroppo nelle cronache giudiziarie, ma offre spunti d’interesse per gli italiani all’estero. È quanto si legge nella nota congiunta con cui i sei deputati e i due senatori eletti all’estero del Pd - Bucchino, Farina, Fedi, Garavini, Micheloni, Narducci, Porta e Randazzo - commentano le modifiche alla legge Tremaglia contenute nel testo-Malan sulla riforma elettorale. "Parliamo - continuano gli otto parlamentari - della proposta trasversale di introdurre nel disegno di legge la conferma del voto per corrispondenza e l’inversione dell’opzione, che comporterà per gli italiani all’estero l’obbligo di prenotazione nel caso vogliano votare per corrispondenza. Da tempo - ricordano - guardiamo con favore a queste soluzioni normative, tanto è vero che i capigruppo del Pd, sia alla Camera che al Senato, hanno depositato disegni di legge centrati proprio su questa innovazione. Mettere al centro del sistema la consapevole partecipazione dei cittadini all’estero, da manifestare con un’inequivocabile manifestazione di volontà, significa rafforzare il rapporto democratico, avere finalmente elenchi 'puliti' e certi di elettori, aumentare il controllo sul proprio voto evitando irregolarità e brogli sempre possibili, ridimensionare in modo significati- L’assemblea il 3 dicembre stato rinviato al 3 dicembre l’inizio della assemblea plenaria del Consiglio generale degli Italiani all’Estero, ospitata dalla Farnesina fino a venerdì 7. Inizialmente fissata al 26 novembre, l’assemblea si svolgerà come stabilito nell’ultimo Comitato di Presidenza e avrà come momento centrale i due seminari tematici su lingua e cultura e rappresentanza. Nel comunicare il rinvio dei lavori ai consiglieri, il segretario generale Elio Carozza dà conto anche della costituzione dei due gruppi di lavoro entrambi di sei membri ciascuno: 2 del Governo, 2 delle Regioni e 2 del Cgie - che dovranno preparare i due seminari. Il gruppo che lavorerà al seminario sulla Rappresentanza è composto da Mario Tommasi e Gian Luigi Ferretti (Cgie); il Ministero degli Esteri ha designato il Direttore Centrale e Vice Direttore Generale DGIT, Francesco Saverio Nisio che sarà assistito dai capi degli uffici competenti, il I, con Paola Russo, ed il V, con Marco Giungi e Anna Ruffino. Per le Regioni sono stati designati Luigi Scaglione (Lucani all’estero) e Bruna Zuccolin (Friuli Venezia Giulia). Il gruppo di lavoro che si occuperà del seminario su Lingua e Cultura sarà composto da Norberto Lombardi e Tommaso Conte per il Cgie, mentre le Regioni saranno rappresentate da Silvia Bartolini (Emilia Romagna) e Nicola Cecchi (Toscana). Mancano i designati ministeriali.● È 40 Panorama vo le spese organizzative”. "Di fronte alle polemiche, ricorrenti e talvolta speciose, che investono il voto per corrispondenza e che di solito sottendono il proposito di cancellarlo - osservano i parlamentari democratici -, il fatto che si dica nel contesto di una legge elettorale nazionale che si continua a votare con questo sistema è certamente un fatto positivo. La preiscrizione non è una limitazione del diritto, che resta integro, ma è solo un modo per tutelarlo. Nessuno, poi, può far finta di non capire che dietro molte posizioni contrarie al voto per corrispondenza, in realtà si nasconde l’intenzione di eliminare la stessa Circoscrizione Estero”. "Una significativa anticipazione argomentano – si è già avuta con le modifiche del voto per i Comites che hanno evidenziato concretamente il rischio di svuotare, con il pretesto dei costi insostenibili, lo stesso sistema di rappresentanza. Non ignoriamo che per mandare a regime un tale sistema occorrano un serio impegno organizzativo, assidui contatti con gli elettori perché siano informati e motivati e risorse adeguate. Su questo - ricordano -, la proposta emendativa del testo base precisa che il nuovo sistema sarà applicato a partire dalla tornata elettorale successiva a quella della prossima primavera”. "Per quanto ci riguarda - concludono i parlamentari Pd - chiediamo, e vigileremo in tal senso, che tutti coloro che hanno responsabilità di organizzazione e gestione della delicata materia elettorale facciano presto e bene la parte che loro compete”. (aise) Italiani nel mondo Per intraprendere un'attività di studio o di lavoro nell'intera area di Alpe Adria Mobilità transfrontaliera per i giovani M obilità transfrontaliera sarà la parola d'ordine della nuova generazione di cittadini europei che, grazie ad una formazione trilingue e trilaterale, potranno facilmente intraprendere un'attività di studio o di lavoro nell'intera area di Alpe Adria. In un futuro oramai non molto lontano sarà questa la realtà di molti giovani della "Classe Alpe Adria" che vedrà la luce grazie alla collaborazione tra istituti scolastici e istituzioni pubbliche italiane, austriache e slovene. Gli istituti scolastici che negli ultimi anni hanno già collaborato in numerosi progetti transfrontalieri, faranno ora parte di una rete educativa che, con il supporto delle istituzioni e del mondo economico, renderà il territorio noto come triangolo dei tre confini una vera e propria regione europea. Grazie al progetto di cooperazione transfrontaliera Interreg IV "ESCOEducare Senza Confini" si sta infatti creando il programma didattico per una classe transfrontaliera, giocando sulle carte del plurilinguismo e dell'interculturalità. Per creare questo percorso educativo comune che si concluderà con un titolo di studio internazionale, sarà prima necessario instaurare una rete educativa ed istituzionale adeguata. Ed è questo che sta succedendo ora: a distanza di quattro mesi dall'avvio dei lavori, le fondamenta del nuovo percorso educativo stanno diventando sempre più solide. Sono così state avviate le numerose attività di formazione dei docenti nel campo della didattica specialistica che, dopo un'attenta analisi delle condizioni preliminari dei sistemi scolastici presenti nei tre Paesi, porteranno alla realizzazione di una bozza educativa trilaterale tutta da sperimentare e valutare. In un primo periodo il nuovo curriculo didattico transfrontaliero comprenderà gli ambiti di lingue, scienze naturali, informatica, matematica, scienze «Senza parole» corso per docenti S i svolgerà dal 9 all’11 novembre prossimi, presso la Sede Centrale della Società Dante Alighieri a Roma, il XXVI Corso D’Aggiornamento per Docenti di Italiano L2/LS. Il corso dal titolo "Senza parole. Le competenze non verbali nella didattica dell’italiano L2/LS", tratterà il tema delle competenze non verbali sia in ambito linguistico che in ambito glottodidattico. Sono previsti interventi di esperti di linguistica e glottodidattica e laboratori didattici, in cui verranno affrontate le strategie didattiche e le attività legate all’acquisizione della competenza non verbale in percorsi per l’apprendimento dell’italiano lingua seconda o lingua straniera. Si lavorerà alla programmazione dei corsi e all’elaborazione di materiali didattici destinati ad apprendenti l’italiano L2 o LS. Il corso si svolgerà durante un fine settimana (dalle 15.00 del venerdì alle 13.00 della domenica), avrà una durata complessiva di 15 ore ed è riconosciuto dal MIUR come attività formativa. (aise) umanistiche, sport ed arte; dopo il 2013 si concretizzerà invece in un curriculo completo per i primi due anni della classe transfrontaliera. Nei prossimi mesi partirà anche una campagna di informazione e sensibilizzazione. Nel percorso educativo si intende infatti coinvolgere non soltanto le scuole che hanno già aderito all'iniziativa ma tutto il contesto sociale, culturale ed economico del triangolo dei tre confini, nel più ampio contesto di una Europa delle Regioni. Il progetto prevede la sistematizzazione in rete dell'intensa colla- borazione tra le scuole, sia a livello istituzionale che operativo. La partecipazione della Regione Friuli Venezia Giulia e della direzione generale per gli Affari internazionali del Ministero dell'Istruzione assicurerà la dimensione istituzionale del progetto, con l'obiettivo di contribuire al processo di trasformazione dell'area interessata in un territorio ricco di scelte formative e lavorative, per far fronte al previsto incremento di domanda di risorse umane con una formazione plurilingue e soprattutto interculturale. (aise) Panorama 41 Made in Italy I locali in cui viene offerta superano le seimila unità È San Paolo la città «più pizza» a cura di Ardea Velikonja L a notizia è sensazionale solo per chi non ha dimestichezza con la questione: San Paolo è la città del mondo che ha più pizzerie, sono oltre seimila. Con questo primato “in tasca” la città “più italiana” della faccia della terra si sta preparando nell’organizzazione della prima Fiera della pizza in Brasile, aperta in egual misura ai professionisti del settore ed ai golosi del prodotto che di regola s’identifica con Napoli. Seimila pizzerie solo in questa citt, come detto, in quanto “le pizzerie funzionanti in tutto il Brasile sono molte di più, per l’esattezza 25 mila, per un fatturato che si calcola superiore ai 4 miliardi di euro all’anno, e che pongono il paese in seconda posizione assoluta, preceduto dai soli Stati Uniti nel ranking delle nazioni che consumano più pizze”. È quanto scrive Oliviero Pluviano su “Gente d’Italia”, quotidiano delle Americhe diretto da Mimmo Porpiglia. Considerate le posizioni dei singoli conglomerati urbani, San Paolo, che conta oltre 6 milioni di oriundi italiani nella sua popolazione che complessivamente sfiora i 20 milioni di abitanti, risulta superiore a New York e alla stessa Napoli: le pizze qui sfornate ogni mese superano infatti i 43 milioni. La “fabbrica” più antica della città è la “Casteloes”, che ha raggiunto la veneranda età di 83 anni, ma migliaia di “pizzarias” propongono il cerchio di pasta con i più disparati ingredienti, fonte della creatività brasiliana e dei prodotti diversi dall’Italia che abbondano in natura. E la pizza al metro, arrivata dalle pizzerie e dai panifici italiani solo ultimamente, sta prendendo sempre più campo nella megalopoli brasiliana. “Ne consumiamo di più degli stessi italiani che l’hanno inventata” spiega Luis Augusto de Alcantara Machado, dirigente della Fispizza, l’ente che riunisce i “pizza- 42 Panorama Augusto de Alcantara Machado, boss della Fispizza, l’ente che riunisce le pizzerie della capitale paulista ioli” della capitale paulista. Novità della stagione è la “pizza-cono”, che è chiusa come un gelato ed ha al suo interno tutti i ripieni che si vogliono, dalla “mozzarella e pomodoro” di una Margherita ai Quattro Formaggi, alla Napoletana o alle Quattro Stagioni. Si può portare alla partita di calcio o in uno shopping center, le due distrazioni maggiori in una domenica di un paulista, senza correre il rischio di sporcare e di insudiciarsi. “Il brasiliano ha scoperto nuovi modi di mangiarla - aggiunge Alcantara Machado - e questo ha creato un filone enorme di nuovi affari. La pizza di regola si mangia in Brasile a cena, nient’altro che a cena, ma adesso anche a mezzogiorno è vista come alternativa al fast food per la gente che lavora nel cuore delle metropoli brasiliane”. Vanno molto le pizze anche come dolci: la pizza di banana o ai frutti amazzonici, come i cupuacu, l’acaì e il taperebà, è di moda. C’è poi uno specifico “effetto di ritorno”. “I brasiliani che vengono in Italia restano delusi dalle pizze nostrane: quelle brasiliane - aggiunge il boss della Fispizza - hanno più ripieno. I pizzaioli del Brasile sono più creativi di quelli italiani: adesso hanno lanciato anche la pizza calda con sopra un gelato al cioccolato freddissimo”. San Paolo ha anche un clima che si presta al consumo di questo tipo di cibo in qualsiasi stagione. Alta 900 metri sul livello del mare dal quale dista una settantina di chilometri, ha in inverno temperature fredde che arrivano anche a 3 gradi, con l’accompagnamento della “garoa”, una pioggia sottilissima che è caratteristica del luogo. Ma anche in estate sono rare le serate afose in cui non viene voglia di mangiare niente. La pizza è la favorita dei bambini e dei grandi: a San Paolo anche le discendenze calabresi e napoletane, le più diffuse fra i paulisti, fanno gioco”. (aise) Made in Italy La manifestazione chiude in bellezza il calendario espositivo annuale A Udine Natale arriva il 15 novembre Udine Fiere è appena finita Casa Moderna che già scatta il conto alla rovescia per Natale, che in Fiera arriva prima con Idea Natale, manifestazione fieristica alla quale spetta di chiudere in bellezza il calendario espositivo di Udine e Gorizia Fiere e che da 24 edizioni registra grande attesa e attenzione da parte del pubblico. Il sipario si alzerà giovedì 15 novembre con l’apertura degli stand ai visitatori a partire dalle ore 15.00. Con la 24.esima edizione di Idea Natale prenderà il via anche la 14.esima edizione della contestuale Idea Solidale che, di fatto, è l’unico appuntamento annuale capace di restituire il giusto risalto promozionale e commerciale all’impegno e al lavoro delle associazioni di volontariato, al mondo del no-profit, alle coo- A perative sociali che attraverso questa vetrina possono non solo far sapere l’impegno svolto, ma anche vendere i frutti del proprio lavoro. Idea Solidale, realizzata con la collaborazione e il sostegno della Provincia di Udine e del Centro regionale Servizi per il Volontariato, concentrerà in Fiera il messaggio e l’attività di molte realtà attive nel settore del sociale. Ad Idea Natale parteciperanno numerosi espositori italiani ed esteri con stand ricchi di proposte tradizionali e innovative per il regalo natalizio. Stand che si trasformeranno in laboratori della creatività, della manualità, dell’ascolto e della fantasia per adulti e bambini. Stand che metteranno in bella mostra tantissimi prodotti da acquistare, ma che forni- ranno anche consigli, dimostrazioni, assistenza e tante occasioni di utile intrattenimento. Tanti quindi i colori e profumi che invaderanno piacevolmente gli stand di Idea Natale. Da sempre punto di riferimento di particolare attrazione per il pubblico femminile anche per i corsi di cucina che alternano ricette e segreti per preparare i dolci tradizionali delle feste, Idea Natale resta l’appuntamento ideale per la famiglia alla quale sarà dedicata una particolare offerta per l’ingresso e una serie di eventi anche con laboratori.● Dal 12 al 16 novembre a Veronafiera nell’ambito di Vinitaly 2012 T XX Concorso Enologico Internazionale re domande per interpretare il mercato del vino nei più importanti Paesi di consumo o in quelli emergenti, tre domande per capire come cambia l’enologia alla luce dell’evoluzione del gusto dei consumatori ma anche dei cambiamenti climatici. Sono sei le domande che Vinitaly proporrà ai giornalisti e agli enologi, tra i più famosi e qualificati al mondo, chiamati a far parte della giuria del XX Concorso Enologico Internazionale, in programma dal 12 al 16 novembre a Verona. Una serie di interviste settimanali che rappresentano un’occasione di confronto sui vini e sui mercati e che verranno pubblicate sul sito della manifestazione (www.vinitaly.it), dove tutti potranno commentarle e aggiungere le proprie esperienze. Si inizia con un focus sugli Stati Uniti, con le risposte dei giornalisti Antonio Cevola, Charlie Arturaola e Marisa D’Vari, ma nelle prossime settimane diranno la loro an- che giornalisti ed enologi europei, asiatici, dell’America latina. Quello americano è descritto come un mercato in crescita, ma differenziato a seconda della zona e dell’età di consumo. Un mercato in continua evoluzione, lontano anni luce da quello che era 25 anni fa, ma anche da quello che sarà lo scenario che vedremo tra dieci anni. Nel sud-ovest, in Texas “il Moscato e il Malbec sono molto alla moda - dice Cevola - come pure Chardonnay, Pinot Grigio e Pinot Nero non invecchiati in legno, seguendo l’influenza della gente che arriva per motivi economici dagli Stati del nord-est e del Pacifico, ma anche dall’America latina”. “Mai come in questo momento - spiega Charlie Arturaola - i consumatori sono attenti al rapporto qualità-prezzo e questo è un vantaggio per i vini italiani in Florida, ma anche a New York, nel New Jersey e a Vancouver nel Canada occidentale. Gli importatori stanno aumentando l’offerta di piccole doc, come pure di vini siciliani, campani, pugliesi, marchigiani, sardi e calabresi di varietà meno conosciute”. Importante l’educazione al prodotto, soprattutto nei confronti di quella che è la fascia di consumo maggiormente in crescita, cioè quella dei ‘millennians’ tra i 21 e i 30 anni. Questi giovani “sono aperti a qualsiasi stile di vino - dice Marisa D’Vari - e pur essendo molto sensibili al prezzo si fanno influenzare dalle scelte degli amici e dai ‘racconti’ o dagli articoli di esperti letti su Internet, specialmente quelli postati sui social media”. (aise) Panorama 43 Musica Una carrellata sulle opere più famose del mondo atto per atto, per rinfre Gianni Schicchi, astuta figura p a cura di Ardea Velikonja G ianni Schicchi è un’opera in un atto di Giacomo Puccini, su libretto di Giovacchino Forzano basato su un episodio del Canto XXX dell’Inferno di Dante (vv. 22-48) e una commedia in un atto di Roger Martin du Gard. Fa parte del “Trittico”. La trama Il Trittico T rittico è il nome con cui sono conosciute tre opere in un atto musicate da Giacomo Puccini: Il tabarro, su libretto di Giuseppe Adami, Suor Angelica e Gianni Schicchi, entrambe su libretto di Giovacchino Forzano. Inizialmente Puccini compose solo “Il tabarro” (l’idea originaria gli fu suggerita dall’ascolto a Parigi, nel 1912, del dramma “La houppelande” di Didier Gold); solo in seguito pensò di accompagnare questo truce dramma con altri due lavori di carattere contrastante, appunto “Suor Angelica”, scritta tra la fine del 1916 ed i primi mesi del 1917, e “Gianni Schicchi”, terminato nella primavera del 1918. Le tre opere furono rappresentate in prima assoluta il 14 dicembre 1918 al Metropolitan di New York con esito sostanzialmente positivo, anche se solo Gianni Schicchi fu accolto senza riserve. La “prima” fu diretta dal Maestro Roberto Moranzoni. Oggi l’orientamento della critica è mutato e tutte e tre le opere sono entrate a pieno titolo nei repertori dei teatri lirici. Raramente, però, vengono eseguite tutte assieme. ● Il Metropolitan di New York 44 Panorama Firenze, anno 1299. Buoso Donati è morto e giace nella sua bara circondato dai parenti che lo vegliano in preghiera. Ma un dubbio sorge ad interrompere quella triste serata: che il Donati abbia davvero lasciato tutto in eredità ai frati? I parenti lasciano che la preghiera ceda il passo alla curiosità patrimoniale così aprono il testamento che conferma ogni precedente timore. Rinuccio vede sfumare il suo progetto di vita con il suo amore Lauretta pertanto propone ai parenti di chiedere consiglio su come aggirare le imposizioni testamentarie affidandosi al parere del padre di lei, Gianni Schicchi, uomo di fama molto astuto ed accorto (C’è una persona sola che ci può salvare…Avete torto! È fine…Firenze è come un albero fiorito…). Gianni giunge alla casa dei Donati (Quale aspetto sgomento e desolato…) ma non riceve la migliore accoglienza visto che la Vecchia Zita fa osservare l’inadeguatezza del posto per quell’uomo di origini non borghesi ma plebee. Gianni si offende ed è pronto a lasciare la casa non fosse altro per le implorazioni che riceve dalla figlia affinché resti e trovi una soluzione per farle coronare il suo sogno d’amore (Oh mio babbino caro…). Qui scatta la beffa. Il dottor Spinelloccio è venuto ad informarsi sullo stato di salute di Buoso, già morto. Gianni si infila nel letto e prende il posto del morto, risponde alle domande del dottore (Buongiorno Maestro Spinelloccio) e, dopo essersi vestito come Musica escare un po’ la memoria pucciniana Buoso (Ecco, la cappellina..) chiede subito che sia fatto chiamare il notaio per dettare il suo testamento. Gianni a questo punto avverte tutti i parenti presenti che sostituire una persona in testamenti e lasciti è un reato che comporta per il truffatore ed i complici il taglio della mano e l’esilio (Addio Firenze, addio cielo divino…). È il momento di Gianni che, astuto qual è, non spreca tempo a dispensare lasciti per se stesso: si fa lasciare i beni più preziosi del patrimonio tra cui la casa di Firenze, la mula, i mulini di Signa. I parenti restano beffati dal beffatore e nulla possono per disinnescare la truffa pena la giusta punizione che sarebbe inflitta loro. Gianni scaccia tutti dalla casa, ormai divenuta sua per testamento di Buoso. Torna protagonista sulla scena dopo essersi riappropriato di tutti i suppellettili che i parenti Donati avevano cercato di rubare per toglierli dalle grinfie dell’abile truffatore. Lauretta, adesso, non è più di famiglia plebea. Suo padre, Gianni, ha acquisito una fortuna, fortuna maltolta ma sempre fortuna. Gianni osserva i due ragazzi amoreggiare e, rivolgendosi al pubblico, cerca di purificare la propria astuzia spiegando di aver osato tanto ma solo per il bene dei due fidanzati. E se l’occasione fa l’uomo ladro è anche vero che il movente rende il sacco meno peso ragion per cui Gianni reclama l’attenuante ed invoca un applauso dal pubblico (Ma con licenza del gran padre Dante, concedetemi voi l’attenuante!). Non perdetevi il finale dell’opera, dopo il gran padre Dante. L’autore I l 22 dicembre 1858 Giacomo Puccini nasceva a Lucca, quinto di nove figli e ultimo discendente di una singolare dinastia che in un arco temporale di un secolo e mezzo aveva dominato la vita musicale lucchese. Rimasto orfano di padre trascorse la sua giovinezza tra la casa di famiglia a Lucca e la casa estiva di Celle; all’età di nove anni entrò in seminario e iniziò a suonare l’organo nella Cattedrale di Lucca. Ma Puccini preferiva l’opera. Alla fine del 1880, dopo aver ottenuto il diploma all’Istituto Musicale Pacini di Lucca, proseguì gli studi al Conservatorio di Milano. Il soggiorno milanese fu un periodo importante per il giovane Puccini che venne in contatto con il mondo musicale del periodo e il movimento della Scapigliatura (un gruppo di intellettuali che intendeva ribellarsi alle forme auliche dell’arte e rifarsi alla libera ispirazione e alla fantasia). Incontrò Pietro Mascagni e condivisero una stanza per alcuni mesi. Nel 1883 finì i suoi studi, ottenne il diploma con la composizione Capriccio Sinfonico che rivelò immediatamente il genio del maestro. Il primo aprile dello stesso anno, la rivista “Il Teatro illustrato” pubblicata dall’editore Sonzogno annunciò un concorso per artisti esordienti per un’opera inedita in un atto. Puccini compose Le Villi, ma l’opera non vinse e non venne nemmeno menzionata fra i lavori degni di considerazione. L’opera comunque venne rappresentata il 31 maggio 1884 al teatro Dal Verme di Milano, grazie a una sottoscrizione firmata da amici ed investitori influenti. Il successo, sia di critica che di pubblico, fu entusiastico. “Il compositore che l’Italia stava aspettando…” scrisse ‘Il Corriere della Sera’ e Marco Sala affermò: “l’opera di Puccini è un piccolo prezioso capolavoro dall’inizio alla fine”. Questo primo successo permise a Puccini di firmare il suo primo contratto con un grande editore: Giulio Ricordi. La sua seconda opera Edgar (La Scala di Milano, aprile 1889) non raggiunse il successo sperato. Ricordi continuò ad avere fede in lui e sostenne Puccini per molti anni per aiutarlo nella sua affermazione. Con la sua terza opera Manon Lescaut (Torino, Teatro Regio, febbraio 1893) arrivarono la fama ed il successo. Puccini aveva 35 anni. Si stabilì a Torre del Lago con Elvira e il figlio Antonio. Qui sulle sponde del lago Massaciuccoli scrisse la maggior parte delle sue opere: La Bohème (Torino, Teatro Regio, febbraio 1896), Tosca (Roma, Teatro Costanzi, gennaio 1900) e Madama Butterfly (Brescia, Teatro Grande, maggio 1904). Da quel momento in poi Puccini divenne famoso in tutto il mondo e compì numerosi viaggi per assistere alle rappresentazioni delle sue opere in Europa ed in America: La fanciulla del west (New York, Metropolitan Opera, dicembre 1910), La Rondine (Montecarlo, marzo 1917), Il Trittico (New York, Metropolitan Opera, dicembre 1918), fino all’ultima grande opera per cui il maestro è rimasto a lungo dubbioso prima di scegliere Turandot dal commediografo veneziano Carlo Gozzi. Sebbene gravemente malato, Puccini lavorò a Turandot fino alla fine e purtroppo la lasciò incompiuta. Si sottomise ad un intervento chirurgico per un cancro alla gola a Bruxells il 24 novembre, e morì pochi giorni dopo il 29 novembre 1924.● Canto XXX E l’Aretin che rimase, tremando mi disse: “Quel folletto è Gianni Schicchi, e va rabbioso altrui così conciando”. 33 “Oh”, diss’io lui, “se l’altro non ti ficchi li denti a dosso, non ti sia fatica a dir chi è, pria che di qui si spicchi”. 36 Ed elli a me: “Quell’è l’anima antica di Mirra scellerata, che divenne al padre, fuor del dritto amore, amica. 39 Questa a peccar con esso così venne, falsificando sé in altrui forma, come l’altro che là sen va, sostenne, 42 per guadagnar la donna de la torma, falsificare in sé Buoso Donati, testando e dando al testamento norma”. 45 ● Panorama 45 Sport Sette volte vincitore del Tour de France, potrebbe fare la fine di Marion Jones per Il ciclista Armstrong rischia la di Nevio Tich N on solo la revoca dei sette Tour de France vinti tra il 1999 e il 2005, prontamente avvenuta, ora Lance Armstrong rischia anche la prigione. Il modo più cruento di calare il sipario sulla favola del corridore texano che, una volta sconfitto il cancro, ha segnato nel bene e nel male gli ultimi venti anni del ciclismo mondiale. Tutto nasce dal rapporto dell’USADA, l’agenzia antidoping statunitense, che lo ha radiato dopo che in un dossier di oltre mille pagine è stato accusato di avere messo in piedi insieme alla sua squadra, la US Postal, “il più grande sistema di doping al mondo”. Un dossier che si basa su documenti, ricevute, dati scientifici e risultati di test che dimostrano l’uso costante e prolungato di sostanze dopanti nonché lo spaccio di queste ai compagni di squadra. Un dossier che raccoglie inoltre le testimonianze sotto giuramento di 26 persone, tra cui 15 corridori. E proprio una testimonianza sotto giuramento potrebbe inguaiare definitivamente Armstrong, e aprirgli le porte del carcere. Si tratta di quella rilasciata davanti a un tribunale ameri- Enormi i danni d’immagine cano nel 2005, dove Armstrong avrebbe dichiarato il falso: negando sotto giuramento di avere assunto sostanze dopanti e di aver conosciuto il famigerato dottor Michele Ferrari (il medico che secondo l’USADA era dietro il sistema doping messo in piedi da Armstrong e dalla US Postal). Una situazione che ricalca quella di Marion Jones, anche lei atleta di successo e Sette i Tour de France vinti, ma poi revocati 46 Panorama fama mondiale - cinque medaglie alle Olimpiadi di Sydney 2000, poi revocate - che mentì davanti al Grandjury riguardo allo scandalo doping del laboratorio Balco e che nel 2008 fu poi condannata a scontare sei mesi di prigione per falsa testimonianza. In attesa che l’UCI (Unione ciclistica internazionale) ratifichi le accuse dell’USADA - contro cui Armstrong ha rinunciato al ricorso e alla difesa, sostenendo chel’unica cosa che gli interessava preservare era la sua reputazione - il suo avvocato,Tim Herman, prova invece a giocare l’ultima carta a sorpresa. In un’intervista ha infatti dichiarato che Armstrong sarebbe disponibile a sottoporsi all’esame della macchina della verità per ripulire la sua immagine dalle accuse di doping. Ma a condizione che lo facciano anche i suoi 26 accusatori. Anche qui c’è un precedente. A inizio anno il ciclista spagnolo Alberto Contador ha chiesto di usare come prova a sua discolpa il test del poligrafo. Un esame di cui non sono stati resi noti i risultati, ma che non ha impedito al TAS di squalificarlo comunque per due anni e di revocargli lo scorso febbraio le vittorie al Tour 2010 e al Giro d’Italia del 2011. Il presidente della UCI, Pat McQuai Sport Reazione a catena Proseguono anche gli effetti collaterali della vicenda. Dopo Levi Leipheimer, licenziato in tronco dalla Omega Quick-Step dopo le sue confessioni, anche Matthew White perde il lavoro. L’australiano, alla US Postal dal 2001 al 2003, era l’attuale commissario tecnico della nazionale del suo paese. “Riconosciamo a White - si legge nella nota della federazione australiana - un prezioso contributo allo sviluppo del ciclismo australiano e apprezziamo la sua confessione. Ma le ammissioni fatte costituiscono una violazione del codice di condotta sul doping che siamo dati, e quindi siamo costretti a licenziarlo”. Lasciata la presidenza di Livestrong Lance Armstrong ha presentato le dimissioni da presidente della Livestrong, la fondazione da lui stesso creata a sostegno della lotta contro il cancro. “Ho voluto risparmiare all’organizzazione gli effetti negativi della GIRO D’ITALIA Vi ha partecipato una sola volta, nel 2009, classificandosi nono ANSA-CENTIMETRI US POSTAL DISCOVERY CHANNEL RADIO ASTANA SHACK ’09 ’10 ’11 Cross Country del Colorado Giro di Svizzera ’92 ’93 ’94 ’95 ’96 ’97 ’98 ’99 ’00 ’01 ’02 ’03 ’04 ’05 Giro del Delfinato GP del Midi Libre IL RIENTRO 2009: 3˚ al Tour de France e 1˚ negli Usa; 2010: 2˚ al Tour Suisse e 23˚ in Francia COFIDIS MOTOROLA GP delle Nazioni Gp Eddy Merckx IL MALE Gli è diagnosticato nel 1996 un cancro ai testicoli, sconfitto nel 1998 Lance Armstrong nasce a Dallas (Texas, USA) il 18 settembre 1971 CARRIERA Giro del Lussemburgo Debutto tra i prof 1992 Freccia Vallone Tour du Pont Ma il lavoro di Herman non è finito qui. Ora c’è da difendersi dalla SCA PromotionsInc, che ha chiesto la riapertura di un vecchio processo intentato contro Armstrong. La SCA è la compagnia di assicurazioni con cui la US Postal aveva stipulato un contratto per assicurarsi “contro” le vittorie al Tour, come è uso comune per tutte le società sportive che così si garantiscono il pagamento dei bonus e dei premi promessi ai dipendenti al raggiungimento di determinati risultati. Dopo le prime voci sul doping di Armstrong, la SCA aveva chiesto la restituzione del premio di 5 milioni di dollari pagato per la vittoria al Tour 2004. Ma alla fine di un arbitrato legale, nel 2006 accettò di pagare sia il premio di 5 milioni che 2,5 milioni tra interessi e spese legali sostenute dal corridore. Ora, alla luce del dossier USADA, la SCA chiede la riapertura del processo e la restituzione di 7,5 milioni. 178 cm Peso forma 77 Kg Classica San Sebastian Contratto d’assicurazione Altezza Gp d'Atlanta detenzione Carriera cancellata Mondiale su strada Campionato USA doping e falsa testimonianza TOUR DE FRANCE I SECONDI IN CLASSIFICA Alex Zulle Jan Ullrich controversia sulla mia carriera ciclistica”, ha spiegato il vincitore di sette Tour, travolto dallo scandalo del doping. Livestrong è stata fondata nel 1997 ed ha fino ad oggi raccolto 500 milioni di dollari per sostenere i pazienti malati di cancro. Armstrong, che ha sempre svolto gratuitamente il ruolo di presidente, ha fatto comunque sapere che rimarrà nei 15 membri del consiglio direttivo. I compiti principali saranno ora svolti dal vice presidente Jeff Garvey, presidente-fondatore dell’ente con Armstrong nel 1997. “Questa organizzazione, la sua missione e i suoi sostenitori mi sono incredibilmente cari – dice Lance -. Concludo la mia presidenza per risparmiare la fondazione da eventuali effetti negativi a causa della controversia che riguarda la mia carriera ciclistica”. Anche la Nike lo molla Intanto, la Nike ha annunciato la rescissione del contratto di sponsorizzazione con lo statunitenese: “In ragione delle prove apparentemente incofutabili - recita una nota - sul fatto che si è dopato ingannando la Nike per più di dieci anni, con grande tristezza poniamo fine al rapporto con lui”. Revocati i sette Tour de France L’USADA aveva indubbiamente ragione: Lance Armstrong, per vincere, ha fatto ricorso al doping. Lo ha confermato a Ginevra l’UCI che, per bocca del suo presidente PatMcQuaid, in un colpo solo, gli ha cancellato tutte e sette le vittorie conquistate al Tour de France. Il texano ha dominato la Grande Boucle dal 1999 al 2005, anno in Jan Ullrich Joseba Beloki Jan Ullrich Andreas Kloden Ivan Basso cui precedette l’italiano Ivan Basso. Non è in discussione, invece, la conquista del Mondiale su strada dell’agosto 1993, a Oslo. Il provvedimento, infatti, parte dall’1 agosto 1998. Il danno, in termini pratici e d’immagine, è di dimensioni catastrofiche: la corsa a tappe più prestigiosa del mondo resta con un buco di ben sette anni nel proprio albo d’oro, dal momento che quei titoli probabilmente non verranno mai assegnati. Ma non è tutto: va aggiunto che, per la credibilità del ciclismo, si tratta dell’ennesimo colpo da KO. In ogni caso, l’UCI ha confermato che i podi non verranno modificati, dopo che la direzione della corsa francese si era già espressa negativamente al riguardo per bocca del suo direttore Christian Prudhomme. E questo, per Basso, rappresenta un’ulteriore delusione. Difficile digerire un secondo posto per il varesino, sapendo che non esisterà un primo. McQuaid ha ricordato che “per Armstrong nel ciclismo non ci sarà mai più posto”. È questa l’ultima condanna del numero uno del ciclismo mondiale. Una vera e propria pugnalata al cuore di chi, in questo sport, ha continuato a crederci. Nonostante tutto. Sono bastate un paio di settimane all’organismo mondiale per valutare i dossier dell’USADA e capire il marchingegno ideato per utilizzare sostanze proibite quanto sofisticate. “Negli anni in cui si svolsero i fatti - dice McQuaid - i mezzi di controllo a nostra disposizione erano molto più limitati rispetto a quelli attuali. Nella lotta al doping sono stati compiuti passi da gigante e sono dispiaciuto del fatto di non essere stato capace di prendere i dopati e buttarli fuori dal mondo del ciclismo”.● Panorama 47 Tra storia e gusto Finalmente la moderna estrazione di Sostene Schena I principi su cui si basa la pratica estrattiva dell’olio sono sempre gli stessi del passato, mutarono invece risparmio di tempo e lavoro, vennero progressivamente realizzate le macchine utilizzate per la lavorazione del prodotto. Si cercarono nuovi sistemi per accelerare il processo produttivo, gli schiavi vennero sostituiti dal cavallo, a questi seguì la macchina, nuove forze energetiche ridussero i tempi di lavoro, l’energia elettrica divenne la forza motrice principale. Il consumo crescente dell’olio e maggiori esportazioni del prodotto aprono la strada a un’industria olearia sempre più intensa e specializzata. Nella produzione olearia, di importanza fondamentale è la conservazione delle olive che devono essere macinate entro tre/quattro giorni dal raccolto, prima che avvenga il processo di fermentazione. Per evitare ciò, esse vengono conservate su appositi graticci. Il macchinario per oleificio, è costituito da macchine per la lavorazione delle olive e macchine per l’estrazione dell’olio. Tra le prime compaiono i “macelli”, o “macine”, o “mole,” o “molazze” di granito che ruotano su un piatto dove le olive vengono poste per essere macinate, essi sono collegati a distanza col “maneggio”, un mecca- nismo che mette in comunicazione i macelli con la forza motrice; fa parte del gruppo meccanico un argano che serve per stringere il torchio a stanga nelle alte pressioni. I frantoi possono funzionare con la forza animale e con l’impiego di uno o più macelli, il peso totale di ogni apparecchio si aggira sui 25004000 chili e può triturare in un’ora dai 300 ai 400 chili di olive. Dopo la frangitura che serve a triturare le olive, si passa alla gramolatura, operazione che serve a rimescolare e amalgamare le olive frantumate e a effettuare una prima separazione fra la sansa, parte oleosa e liquido acquoso (amurca). La pressatura si ef- fettua per pressione; con questo processo che dura circa un’ora, la parte liquida si libera ulteriormente dalle sanse; il mosto viene quindi filtrato. Un altro tipo di estrazione può avvenire per centrifugazione: una centrifuga agisce a una velocità di 6000 giri al minuto consentendo la precipitazione dell’acqua che essendo più pesante dell’olio viene convogliata in un apposito canale di raccolta. L’olio raccolto in recipienti, subisce una chiarificazione; in seguito passa a successivi travasi. Altro sistema in uso è il procedimento estrattivo per percolazione: la pasta ottenuta dalla frangitura e dalla gramolatura viene collocata in speciali macchinari dotati di lamine d’acciaio che trattengono la parte oleosa lasciando cadere quella acquosa; questo sistema non surriscalda la massa, mantiene inalterate molte caratteristiche aromatiche ma non permette una totale estrazione dell’olio dalle sanse. Il prodotto ottenuto mediante questi sistemi di estrazione deve essere esente da trattamenti chimici. La classificazione Secondo il regolamento CEE 2568/91 gli oli di oliva vengono così classificati: olio d’oliva vergine: è ottenuto dalla spremitura delle olive mediante procedimenti meccanici o altri processi fisici, rispettando tempera- 48 Panorama Tra storia e gusto ne dell’olio ture e norme igieniche tali da garantire la qualità del prodotto; sono vietati altri trattamenti e miscele con oli diversi da quelli “di oliva vergini” olio di oliva extravergine: ottenuto da prima spremitura all’esame organolettico deve risultare assolutamente perfetto con acidità (determinata dall’acido oleico contenuto) che non deve superare 1 p.c. ogni 100 gr. olio di oliva vergine; all’esame organolettico deve risultare perfetto con acidità (determinata dall’acido oleico contenuto) che non deve essere superiore del 2 p.c. ogni 100 gr. olio di oliva vergine corrente: all’esame organolettico deve risultare di gusto buono, con acidità (determinata dall’acido oleico contenuto) che non deve eccedere del 3,3 p.c. ogni 100 gr. olio di oliva vergine lampante: all’esame organolettico risulta di gusto imperfetto, difettoso, l’acidità non deve superare il 3,3 p.c. ogni 100 gr. Oli di Oliva: Olio di oliva raffinato: ottenuto dalla raffinazione di oli di oliva vergini, la cui acidità determinata dalla quantità di acido oleico contenuto non può eccedere dello 0,5 p.c. ogni 100 gr. Olio di oliva: ottenuto da un taglio di olio di oliva raffinato e di oli di oliva vergini diversi dall’olio lampante, l’acidità non deve superare l’1,5 p.c. ogni 100 gr. Olio di sansa di oliva greggio: ottenuto mediante il trattamento al solvente di sansa di oliva e altre miscele diverse, l’acidità non può eccedere in acidità dell’1 p.c. ogni 100 gr. Olio di sansa raffinato: ottenuto dalla raffinazione dell’olio di sansa di oliva greggio, l’acidità può superare lo 0,5 p.c. ogni 100 gr. Olio di sansa di oliva: ottenuto da un taglio di olio di sansa raffinato e di oli di oliva vergini diversi dall’olio lampante, non può eccedere dell’1,5 p.c. ogni 100 gr. Vengono posti in commercio per usi alimentari: l’olio extravergine di oliva, l’olio vergine di oliva, l’olio di oliva, l’olio di sansa di oliva. Dall’antico modo di ottenere l’olio di oliva... ...a quello praticato con i sistemi in uso al giorno d’oggi Esame organolettico L’esame olfattivo: si effettua roteando l’olio nel bicchiere coperto, poi si scopre e mediante lievi inspirazioni si memorizzano tutte le sensazioni percepite, riportandole sull’apposito foglio. L’esame gustativo: si effettua introducendo in bocca una minima quantità di olio, la si distribuisce dalla lingua in tutta la cavità orale, si effettuano delle brevi e profonde inspirazioni per percepire le sensazioni retronasali, gusto-olfattive e tattili quali: il dolce, l’amaro, il piccante, l’astringenza, si pone attenzione soprattutto alle sensazioni retrolfattive che possono offrire notevoli riconoscimenti aromatici quali, l’aroma della foglia d’olivo, della mandorla, aromi fruttati, erbacei, ecc. L’esame visivo relativo al colore: non determina la qualità dell’olio ma la tipicità, il colore dell’olio dipende infatti dal tipo di olive utilizzate, dalla situazione geografica, dalle condizioni pedoclimatiche. I colori variano anche in base alla presenza di clorofilla, per cui troveremo oli che vanno da un colore molto verde, alle varie tonalità di giallo. L’esame visivo relativo alla fluidità: indica la consistenza dell’olio, che varia a seconda del tipo di olive e dell’ambiente pedoclimatico.● (5 - continua) Panorama 49 Multimedia Ultime novità dei desktop più avanzati mai realizzati da Apple e tra i Settima generazione per l’iMac e nuo a cura di Igor Kramarsich T ra i numerosi annunci Apple spicca sicuramente il nuovo iMac, il desktop in assoluto più venduto negli Stati Uniti, ha fatto sapere Tim Cook, Ceo della società, che ora viene proposto in una versione ultrasottile con un design completamente rivisitato. I nuovi processori quad core Intel di terza generazione e la grafica Nvidia unita al disco ibrido Fusion Drive, fanno dei nuovi iMac i desktop più avanzati mai realizzati da Apple. Il nuovo iMac racchiude una tecnologia ad alte prestazioni in un case di alluminio e vetro che occupa fino al 40 p.c. di volume in meno rispetto al suo predecessore, e un bordo che misura solo 5 mm di spessore. Realizzato con un livello di rifiniture senza precedenti, il nuovo iMac ha un display interamente riprogettato che riduce il riflesso del 75 p.c. pur mantenendo colori brillanti e contrasto. Il vetro di copertura inoltre è interamente laminato all’Lcd, mentre un rivestimento antiriflesso viene applicato utilizzando un processo di ‘plasma deposition’ ad alta precisione. Ogni display iMac viene calibrato individualmente tramite un evoluto spettroradiometro. I processori quad core Intel i5 di terza generazione si 50 Panorama possono potenziare a Core i7. Ogni iMac ha di serie 8 GByte di Ram a 1600 MHz e un hard disk da 1 TByte, la memoria si può espandere a 32 GByte e l’hard disk fino a 3 TByte o in alternativa si può avere 768 GByte di memoria flash. La vera novità è la tecnologia di archiviazione Fusion Drive che offre le prestazioni delle memorie flash unite alle capacità di un disco fisso, combinando 128 Gbyte di memoria flash con un disco rigido standard da 1 TByte o 3 TByte così da creare un singolo volume di archiviazione ca- pace di gestire in maniera intelligente i file, ottimizzando le prestazioni in lettura e scrittura. Fusion Drive inoltre sposta in automatico i file e le app utilizzati più spesso nella memoria flash permettendo quindi un accesso più veloce e prestazioni migliori. Novità anche per il Mac mini che viene rinnovato con processori dualcore Intel Core i5 e quad-core Intel Core i7 di terza generazione, fino a due volte più veloci, e grafica integrata fino al 65 p.c. più scattante. Mac mini include di serie 4 GByte di memoria a 1600 MHz espandibili fino a 16 GByte. Pur mantenendo inalterato il suo design in alluminio, Mac mini include ora quattro porte Usb 3.0 oltre alle porte Thunderbolt, Hdmi, Sdxc, Gigabit Ethernet e FireWire 800. Sia iMac che Mac mini rispettano requisiti Energy Star 5.2 e hanno ottenuto la certificazione EPEAT Gold. In particolare iMac consuma fino al 50 p.c. in meno rispetto alla generazione precedente quando inattivo, e il display a retroilluminazione Led è privo di mercurio e realizzato in vetro privo di arsenico. Mac mini a sua volta consuma solo 11W quando inattivo. Mac e Mac mini includono di serie il sistema operativo OS X Mountain Lion e grazie ad iCloud, integrato in Multimedia più venduti al mondo uovi Mac mini iPad Mini, piccolo solo nella forma Mountain Lion è ancora più facile tenere tutti i contenuti sincronizzati sul Mac, iPhone, iPad e iPod touch. iMac è disponibile da novembre nella versione da 21,5 pollici con processori quad-core Intel Core i5 a 2,7 Ghz con velocità Turbo Boost fino a 3,2GHz e Nvidia GeForce GT 640M a un prezzo di 1.379 euro e nella versione con processore quad-core Intel Core i5 a 2,9GHz con velocità Turbo Boost fino a 3,6GHz e Nvidia GeForce GT 650M a un prezzo di 1.579 euro, Iva inclusa. Nella versione a 27 pollici con processore quad-core Intel Core i5 a 2,9 GHz con velocità Turbo Boost fino a 3,6 GHz e Nvidia GeForce GTX 660M iMac costa 1.899, mentre con processore quad core Intel Core i5 a 3,2GHz con velocità Turbo Boost fino a 3,6 GHz e Nvidia GeForce GTX 675M viene venduto a 2.079 euro Iva inclusa. La versione a 27 pollici di iMac sarà però disponibile solo a partire dal mese di dicembre. Mac mini è disponibile fin da subito nella versione con processore dual-core Intel Core i5 a 2,5GHz con velocità Turbo Boost fino a 3,1GHz, 4 GByte di memoria e disco rigido da 500 GByte al prezzo di 649 euro; con processore quad-core Intel Core i7 a 2,3GHz con velocità Turbo Boost fino a 3,3GHz, 4 GByte di memoria e disco rigido da 1 TByte al prezzo di 849 euro e con processore quad-core Intel Core i7 a 2,3GHz con velocità Turbo Boost fino a 3,3GHz, OS X Server, 4 GByte di memoria e due dischi rigidi da 1 TByte a 1.049 euro (prezzi Iva inclusa).● L’ azienda di Cupertino ha messo al mondo il tablet in versione Mini, ribattezzato proprio iPad Mini. L’interesse dei media era, quasi esclusivamente qui, una versione ridotta della tavoletta che ha contribuito a rendere la Apple l’azienda leader nella produzione di dispositivi mobili hi-tech. Eppure c’è chi grida allo scandalo: il compianto Steve Jobs avrebbe permesso una tale frequenza di aggiornamenti dei prodotti, che si sarebbe potuta spalmare su (almeno) un altro anno? Probabilmente no, ma è anche il mercato ad essere cambiato. L’interesse suscitato dal Nexus 7 ha accellerato la produzione e la presentazione dell’iPad Mini. Per una volta la Apple è stata presa di sorpresa, costretta a rincorrere gli avversari, invece di dettar legge e segnare la strada maestra. Ecco che la sifda si gioca con il vantaggio, in termini di tempo, acquisito da Asus con il Nexus 7, sperando che le vendite del Mini siano veicolate dal “nome” che porta. A livello tecnico siamo dinanzi ad un prodotto di tutto rilievo: display da 7,9 pollici e risoluzione da 1.024 x 780 pixel (la stessa dell’iPad 2); il processore è Apple A5, la videocamera frontale è FaceTime HD e quella posteriore (iSight) è da 5 megapixel. C’è il chip LTE, Wi-Fi e connettore Lightining, compatibile con i nuovi adattatori USB, HDMI, VGA o slot per schede SD. Il prezzo? 329 euro per la versione Wi-Fi con 16 gigabyte di memoria, 429 euro IVA compresa per quella da 32 gigabyte e 529 euro per quella da 64 gigabyte. Le versioni LTE costeranno rispettivamente 499, 599 e 699 euro. Arriva anche la quarta generazione di iPad, chiamato iPad Retina. Un ‘altezza di 241,2 mm, una larghezza di 185,7 mm, una profondità di 9,4 mm e un peso di 652 g (modello Wi-Fi), 662 g (modello Wi-Fi + Cellular). Il display è un multi-touch Retina da 9,7” con risoluzione da 2048x1536 pixel e rivestimento oleorepellente a prova di impronte. Quello che cambia è il chip-on-system, A6x dual-core con grafica quad-core. La disponibilità delle versioni WiFi è prevista dal 2 novembre con prezzi da 499, 599 e 699 euro IVA compresa per le versioni da 16, 32 e 64 gigabyte. Due settimane dopo arriveranno quelli con LTE a 629, 729 e 829 euro.● Panorama 51 Scienza Divulgata la classifica dei rumo a cura di Nerea Bulva facile distinguere un odore sgradevole da uno più piacevole; così come è semplice fare distinzione tra un alimento che ci piace e uno che ci piace meno; e lo stesso discorso vale per l’olfatto ed il tatto, che sono sensi che si “accendono” non appena vengono a contatto con delle molecole specifiche. Ma come va inteso, invece, il discorso con i suoni? Come facciamo a capire se un’onda acustica può provocarci o meno fastidio? Qual è il rumore più fastidioso di tutti? A porsi questa domanda è stato un gruppo di scienziati della Newcastle University che, probabilmente per stemperare i toni “ufficiali” dei premi Nobel appena assegnati, ha voluto divulgare la “simpatica” classifica dei suoni più odiati al mondo dall’orecchio umano. È La stanza del silenzio da Guinness C hi non vorrebbe immergersi nel silenzio più assoluto, anche solo per pochi minuti? Sarebbe fantastico. Ebbene, esiste un luogo. La società del Minnesota Orfield Laboratories ha creato una “camera anecoica” (senza eco) al 99,99 p.c. fonoassorbente, tanto da valerle una menzione nel Guinness dei Primati. Ma come è fatto il “posto più silenzioso al mondo”? La stanza con delle mura molto spesse e delle speciali costruzioni in fibra di vetro, acciaio e 30 centimentri di calcestruzzo, accende la sensazione di trovarsi completamente isolati dal mondo. Lo spessore isolante misura 3,3 metri. L’ingresso si trova dietro due grosse porte corazzate per caveau, mentre il pavimento cede come una sorta di trampolino, in modo da non produrre alcun suono mentre si entra. Nessuna vibrazione, scricchiolio o fruscio. Se una normale conversazione misura un volume di circa 60 decibel - e in una stanza da letto è attorno ai 30 - all’interno del locale “più silenzioso al mondo” c’è una rumorosità di fondo di -9,4dB. Qui, però, il silenzio non è affatto d’oro. Anzi, diventa quasi insopportabile. E può portare allo squilibrio mentale. Soprattutto se si spengono anche le luci, così da eliminare anche l’ultimo dei rumori. I volontari che entrano nella stanza (dal 2004 il luogo più silenzioso della Terra), dopo un po’ di tempo si sentono male, ha spiegato al britannico Mail, Steven Orfield, fondatore e presidente della società. “Le persone si orientano normalmente col suono quando si muovono. Tuttavia, questa camera anecoica è priva di tutte queste informazioni”. L’esperienza extrasensoriale può risultare disorientante e inquietante. “Tanto più è silenziosa la stanza, quanto più saranno le cose che senti”, sottolinea giustamente Orfield, “come per esempio il proprio battito cardiaco, la respirazione o lo stomaco che gorgoglia. Insomma, quì si diventa l’unica fonte di rumore. Nessuna persona è riuscita a resistere per più di tre quarti d’ora”. La stanza viene usata da diverse società per testare l’acustica dei suoni su prodotti prima di lanciarli sul mercato: valvole cardiache; cellulari, apparecchi per le auto; lavatrici; moto. Anche la Nasa sottopone i propri astronauti a dei test dentro queste quattro mura e medici e ricercatori per studi clinici sulla sordità.● 52 Panorama Pensate alle unghie sulla lavagna? Sbagliate! Lo studio, pubblicato sul Journal of Neuroscience, conferisce senza alcuna esitazione il primo posto al coltello affilato su una bottiglia di vetro. Questione di punti di vista? Niente affatto! Infatti, Sukhbinder Kumar, neuro scienziato a capo dello studio, ci tiene a precisare che le ragioni della avversione umana nei confronti di certi rumori andrebbero ricondotte a particolari Scienza ori più insopportabili al mondo! circuiti neuronali che connettono la corteccia uditiva all’amigdala. Il verdetto emesso dallo studio pubblicato sul Journal of Neuroscience non lascerebbe dubbi: in cima alla classifica c’è un coltello affilato su una bottiglia di vetro. E non è neppure questione di gusti, visto che alla base del rigetto ci sarebbe l’azione dell’amigdala. Come ha spiegato Sukhbinder Kumar, neuroscienziato a capo dello studio, le ragioni della avversione umana nei confronti di certi rumori andrebbero ricondotte a particolari circuiti neuronali che connettono la corteccia uditiva all’amigdala. Quest’ultima è un’area del cervello deputata al controllo delle emozioni in grado di modulare i segnali provenienti dalla corteccia uditiva. Insomma, una volta che lo stimolo sonoro è stato percepito dal cervello, spetta all’amigdala il compito di suscitare le reazioni comportamentali. Reazioni che risultano quasi sempre negative in risposta a rumori con frequenze comprese fra i 2000 e 5000 Hertz (Hz). Nulla di sorprendente, visto che le orecchie umane sono molto sensibili agli stimoli presenti in quel range acustico. Ma gli scienziati hanno voluto approfondire le radici del disgusto, chiedendo a 13 volontari di ascoltare un repertorio di 74 suoni e valutarne la sgradevolezza in base a una scala da 1 a 5. Nel frattempo, un dispositivo a risonanza magnetica funzionale (fMri) mappava l’attività all’interno delle loro aree cerebrali. Incrociando i dati, il team di Kumar ha realizzato che in presenza di rumori considerati sgradevoli (cioè quelli con punteggio più negativo e compresi tra 2000 e 5000 Hz) l’attività dell’amigdala era molto pronunciata. Ecco spiegato perché alcuni suoni a bassa frequenza, come il gor- gogliare d’acqua, il rombo del tuono o uno scroscio di applausi siano molto più piacevoli di un concerto di unghie che stridono sulla superficie di una lavagna. Eppure, anche quando si parla di suoni fastidiosi le sorprese non mancano. In definitiva, la classifica dei rumori più odiati (almeno dai 13 volontari) è così composta: 1) coltello su una bottiglia, 2) forchetta su vetro, 3) gesso sulla lavagna, 4) righello su una bottiglia, 5) unghie sulla lavagna, 6) urlo di una donna, 7) una smerigliatrice angolare, 8) freni stridenti di una moto, 9) il pianto di un bambino e 10) un trapano elettrico. Grazie a questi primi risultati, i neuroscienziati contano di approfondire il ruolo dell’amigdala sul controllo delle emozioni. In molti casi, gli studi di Kumar potrebbero fare luce sulle cause di alcuni disturbi (autismo, iperacusia e misofonia) e valutare possibili terapie.● Panorama 53 Benessere Le noci, piccoli scrigni pieni L a noce è il frutto secco più consigliato dalla medicina popolare per chi svolge un’attività intellettuale pesante (studenti, insegnanti, ragazzi in crescita e bambini). I cinesi sin dai tempi più remoti la chiamavano il “frutto del cervello”, certamente a causa della forma dei suoi gherigli. Rientra a buon diritto fra i frutti secchi oleosi, ricchi di grassi vegetali e quindi di calorie (695 calorie per 100 g). Sconsigliata, se non a piccole dosi, a chi svolge una dieta dimagrante, è l’ideale per ritemprarsi e darsi una buona carica alla mattina, soprattutto in questi mesi. Contiene acidi grassi essenziali come quello linoleico e linolenico, importantissimi per il trofismo delle cellule nervose. È ricca anche di zinco, potente coadiuvante dell’immunità e degli scambi cellulari, e di rame, che aiuta a mantenere elastiche le mucose. Dal punto di vista fitoterapico i preparati a base di noce possiedono proprietà amaro-toniche, digestive, sfiammanti e astringentiintestinali, utili nel trattamento di diarree e dissenterie. Si sono ottenuti buoni risultati anche contro le infestazioni dell’intestino causate da vermi e in particolare contro la tenia. 54 Panorama Per via esterna alle noci sono riconosciute proprietà astringenti, antisettiche e cicatrizzanti, utili quindi nelle più comuni affezioni della pelle: dermatosi, eczemi, piaghe, ulcere e geloni. Preparati a base di noci si possono utilizzare con ottimi risultati come collutori nelle affezioni della bocca e della faringe e come colliri efficaci nelle congiuntiviti per la loro azione astringente e disinfettante. P e r via interna ed esterna è inoltre utile, data la sua azione astringente, per frenare la produzione del latte e per diminuire la sudorazione. Spesso, in ambito cosmetico, viene utilizzato l’olio estratto dal mallo delle noci per la preparazione di creme solari protettive o addirittura per la preparazione di lozioni fortificanti per i capelli; infatti l’estratto ha la proprietà di riuscire a penetrare in profondità la fibra capillare donandole un aspetto estetico più morbido e ostacolandone la caduta. A chi serve di più - Bambini in crescita e adolescenti: una fetta di pane alle noci con un velo di miele integrale per merenda fornisce una dose di energia che non viene subito consumata, come quella degli zuccheri semplici contenuti nelle merendine, nel miele, nel cioccolato e costituisce anche un buon sostitutivo per i piccoli inappetenti o capricciosi, che di fronte alla mensa scolastica o casalinga fanno le bizze. - Donne in gravidanza: apporta acidi grassi essenziali per la formazione del tessuto nervoso fetale, è digeribile e dà anche un buon apporto calorico: l’ideale per chi soffre di nausee e non riesce a trattenere niente nei primi tre mesi. Per questo in gravidanza è consigliabile integrarle nella dieta e consumarle sia nell’insalata, sia da sole. Sono anche uno spezzafame naturale. Benessere di salute - Anziani: le noci proteggono la funzionalità cerebrale, per cui sono consigliate anche agli anziani che non vogliono “perdere colpi”. La dose ideale è di tre-quattro noci alla sera, dopo i pasti, magari al posto del dessert, mescolate con yogurt bianco e un cucchiaino di miele. Il loro consumo poi contribuisce a ridurre i fattori di rischio cardiovascolare: contengono grassi “buoni” (mono e polinsaturi) in grande quantità, i quali abbassano i livelli ematici di colesterolo LDL (quello “cattivo”). Inoltre questi frutti contengono vitamina E, dalle spiccate proprietà antiossidanti, magnesio, implicato nella regolazione della pressione sanguigna, e arginina, un aminoacido che favorisce la dilatazione dei vasi sanguigni e riduce le infiammazioni delle arterie, con benefici effetti sul circolo e sulle scorie che, accumulandosi, favoriscono il sovrappeso. - Vegetariani: essendo molto ricche di proteine nobili possono tranquillamente sostituire un pasto proteico, come la carne, il pesce o il formaggio. Una bella insalata mista cruda con insieme circa 1 etto di noci soddisfa abbondantemente le esigenze dell’organismo in termini di proteine, grassi, calorie, vitamine e sali minerali. A tavola Sì: con il latte Ottimi i gherigli cotti nel latte, poi passati nei mixer e conditi con una spolverata di parmigiano reggiano, per ottenere una zuppa al sapore inconsueto ma delicato. Sì: con le verdure Aggiungete noci, pinoli e uvetta alle verdure bollite e ripassate al tegame con un filo di olio. Con una fetta di pane è un piatto unico digeribile e gustoso. No: con la panna È da sfatare il mito, peraltro gradito al palato, delle noci con la panna. Grassi vegetali e animali rendono difficilmente digeribile l’abbinamento. No: con le carni Evitate di farcire con la noce tacchini, faraone, conigli: carne, noci, uova e condimenti vari in un solo pasto comportano troppo lavoro anche per un fegato sano.● Panorama 55 In casa Rimedi naturali per eliminare i cattivi odori Z affate di fumo o di fritto, puzza di chiuso e il delicato “effluvio” proveniente dalla sacca della palestra: a nessuno piacciono i cattivi odori che si possono diffondere in casa, ma le soluzioni chimiche a questo inconveniente potrebbero rivelarsi peggiori del problema. Molti deodoranti per ambienti - i cosiddetti “air freshner” ma anche alcuni tipi di candele profumate, bastoncini d’incenso o diffusori di aromi - contengono sostanze chimiche dannose per la salute: tra le più pericolose da segnalare troviamo gli ftalati, che in alcuni studi su roditori hanno mostrato di creare problemi a fegato, reni e allo sviluppo delle ghiandole sessuali; benzene e formaldeide, che sono stati correlati a tre, esistono comunque valide alternative innocue per l’organismo, ecosostenibili e altrettanto piacevoli. Aprite la finestra Arieggiate anche con il termometro pericolosamente vicino allo zero! Bastano pochi minuti per far “respirare” la casa (ma non esagerate, o ci rimetterete in spese sul riscaldamento). Staccate la spina rischio di danni neurologici e cancro; e composti organici volatili irritanti per naso, occhi e gola che possono causare mal di testa e nausea, nonché aggravare le condizioni di salute degli asmatici. Molte di queste sostanze semplicemente coprono gli odori, ma non li neutralizzano o, peggio, si depositano temporaneamente nelle nostre cavita nasali alterando la percezione olfattiva. Come fare, quindi, per avere una casa profumata ma attenta alla salute dei suoi abitanti e dell’ambiente? Innanzi tutto, al momento dell’acquisto consultate attentamente l’etichetta: la dicitura “naturale” non implica che il prodotto sia al 100 p.c. privo di componenti chimiche dannose. Inol- 56 Panorama Togliendo dalla corrente i diffusori per aromi ricaverete anche il piacevole effetto collaterale di risparmiare energia. Create in casa il vostro deodorante per ambienti personalizzato riempiendo una bottiglia spray riciclata con acqua distillata e qualche goccia di olio essenziale. Il classico dei classici è l’olio di lavanda. Quel suo classico colore viola è utilizzato anche in cromoterapia per calmare persone particolarmente ansiose. Ma di oli ce ne sono per tutti i gusti e per tutte le stanze: c’è un’essenza per il soggiorno (fresca e frizzante), una per la camera da letto (il bergamotto, ad esempio), una acchiappa odori per la cucina. Molto consigliato, per forti odori di frittura, è l’essenza di eucalipto, indicata anche curare i sintomi da raffreddamento. Le bucce di arancia, mandarino o pompelmo lasciate nel locale che intendete profumare sono un’altra valida soluzione che non delude mai. Pure i classici sacchetti riempiti di lavanda (ma anche, per esempio, timo, rosmarino, salvia e petali di rosa) diffonderanno un aroma delicato in tutta casa. In caso di odori pungenti e sgradevoli, un metodo efficace è disseminare nei punti critici piccoli contenitori di bicarbonato di sodio o aceto; mezzo limone cancella le zaffate sgradevoli di frigoriferi e lavastoviglie, mentre per neutralizzare le fragranze di cibo stagnanti basterà immergere chiodi di garofano e cannella in una casseruola con acqua tiepida.● In casa Piante d’appartamento: depurano l’aria L’ aria che respiriamo tra le mura domestiche può arrivare ad essere tre volte più nociva di quella che inaliamo per strada: lo sostiene uno studio dell’Università di Sheffield (Gran Bretagna). Complice l’uso di forni, cucina a gas, deodoranti e detersivi, i livelli di monossido di carbonio e altri gas dannosi per la salute registrati in un appartamento del centro città possono essere tre volte superiori ai limiti concessi dai governi per l’ambiente esterno (lo studio è stato condotto a Sheffield ma potrebbe valere anche per altre città). Ma una soluzione per riossigenare l’aria delle nostre case c’è: armatevi di pollice verde e circondatevi di piante. Come quasi tutti sappiamo, la principale capacità di purificazione dell’aria avviene nel processo di fotosintesi clorofilliana, dove dei piccoli fori presenti sulle foglie (detti stomi) assorbono l’anidride carbonica trattenendo il carbonio e rilasciando ossigeno. Bene, alcuni tipi di piante nel loro nutrirsi d’aria sono capaci di assorbire anche inquinanti, trattenendoli al posto nostro e migliorando la qualità dell’aria interna e sono: la palma areca e la sansevieria, che definiamo una pianta per la camera da letto poiché converte CO2 in ossigeno di notte. Se l’anidride carbonica, un inquinante non pericoloso che però può determinare mal di testa e riduzione di capacità critica e di giudizio, può essere assorbita da tutti i tipi di piante ci interessa sapere che altri inquinanti possono essere trattenuti solo da alcuni tipi di piante. Qui di seguito un accenno sui più importanti. Partiamo dalla formaldeide, un composto cancerogeno per l’uomo, è purtroppo presente in diversi mobili di casa soprattutto in quelli in truciolato, ma la possiamo trovare anche in collanti, vernici o smacchiatori. Aerare l’ambiente soprattutto in caso di mobili nuovi è sicuramente la prima accortezza da avere, ma i tipi di piante che possono aiutarci a smaltire tale inquinante sono: il ficus benjamin, l’aloe, l’epipremnum e la dracena compacta. Possiamo poi citare il monossido di carbonio, che è incolore, insapore, inodore e non irritante, può causare morti accidentali senza che le vittime se ne rendano conto. Viene prodotto con la combustione di carbone, legno, olio, carburanti, perciò lo producono stufe a legna, incensi e il fumo di tabacco. La pianta che si suggerisce per assorbirlo è la margherita. Frequente nei centri urbani, perché prodotto dai tubi di scappamento delle automobili, è il benzene. Entra nei nostri appartamenti tutte le volte che cambiamo l’aria, perciò è un inquinante inevitabile con cui dobbiamo convivere. Per difendersi da questa sostanza tossica esistono molte piante, tra cui la drace- La margherita assorbe il monossido di carbonio na marginata, la spathiphyllum e l’edera. Infine il crisantemo. Questo infatti oltre ad essere molto bello è capace di assorbire la trielina e l’ammoniaca presente in alcuni detergenti che si usano per pulire le superfici di casa. e che comportano irritazione delle vie respiratorie. Molte altre sono le varietà con capacità depurative, è bene dunque ricordarsi che più piante avremo in casa e più pulita sarà l’aria che respireremo.● Il crisantemo assorbe l’ammoniaca. Sansevieria, la pianta per la camera da letto. L’aloe assorbe la formaldeide Panorama 57 Passatempi ORIZZONTALI: 1. Compenso di risarcimento – 9. Spetta a lui gettare il guanto – 16. Rifiuto russo – 17. Sovraccarico di lavoro – 19. Il sangue degli Dei – 20. Intagliati o inseriti in un contesto – 22. Ampi locali… per condire – 23. Una... dolce città – 24. Fornisce il fegato per un paté – 25. Lo stato USA con Dover capitale – 27. Prefisso per sotto – 29. Il ramo giovane della vite – 31. Salvador pittore surrealista – 32. L’Agnese a Madrid – 33. La Terra nelle parole composte – 34. La banca del Vaticano (sigla) – 35. Una ballerina del varietà – 36. Gli esami che seguono gli scritti – 37. Le prime del Rigoletto e della Norma – 38. Gli Stati Uniti la festeggiano il 4 luglio – 41. Il simbolo dell’americio – 42. Capitale con il porto del Pireo – 44. Il nome di Buazzelli – 45. Cattive, malvagie – 46. È detto anche pan di serpe – 47. Affetto da microsomia – 48. Duecento grammi in due – 49. Sciocche, stupide – 51. L’eterna ripetente – 52. La esprimono i contestatori – 54. Risuona nella corrida – 56. Grande vaso di terracotta – 58. Ispide, pungenti – 59. Quella Giovine la fondò Mazzini – 61. L’aeroporto di Cagliari – 62. Non è più Soluzione del numero precedente consentito nell’edilizia – 64. Un quadrato con le corde – 65. Si serve a tavola – 66. Consente di acquistare esperienza. VERTICALI: l. Delfino d’acqua dolce – 2. Il nome della scrittrice Anaïs – 3. Ornamento o dignità nell’aspetto – 4. La scienza del costume – 5. Tu con me – 6. Il centro dei contribuenti – 7. Si salvò col filo d’Arianna – 8. Per estensione il quarto lago della Terra – 9. Una hostess… coi calzoni – 10. Dario premio Nobel – 11. Un… mare lo divide dal fare – 12. Colpo magistrale nel tennis – 13. Il conferimento della carica – 14. Palesarsi attraverso piccoli indizi – 15. Le hanno mele e pere – 18. Possedeva una lampada magica – 21. Forniscono… cloruro di sodio – 23. Il verso del grillo – 25. Si studia in giurisprudenza – 26. Segnale che mette sul chi vive – 28. Comune delle Marche in provincia di Ancona – 29. Ne ha dieci la piovra – 30. Capo del Massachusetts – 32. Infiamma il collerico – 33. Seccature, fastidi – 35. Soldati costruttori – 36. Il gattopardo americano – 38. Perseguitò Frisso ed Elle – 39. Noioso cataplasma – 40. Isola delle Cicladi – 43. Spropositatamente grande – 46. La Terra dell’Antartide possedimento della Francia – 48. Leandro la raggiungeva a nuoto – 49. Lo pseudonimo del regista Stefano Vanzina – 50. Palesano il buon umore – 52. Fu fiorentissima repubblica marinara – 53. Il nome di Laurel – 55. Isola dell’arcipelago dalmata – 57. Il gatto della miss – 59. Centouno in lettere – 60. Istituto Nazionale Trasporti – 61. Le iniziali di Petrolini – 62. Le estremità dell’alfabeto – 63. Treviso su targa d’auto. Pinocchio Airzooka: divertente giocattolo spara... aria! S pesso, in estate, è abitudine lanciare gavettoni e sparare con pistole ad acqua. Oggetti che è meglio non usare nei mesi freddi ma che sono dannatamente divertenti. Come si può continuare a fare scherzi senza causare bronco polmonite ed ipotermie assortite al prossimo? La risposta si trova in Airzooka, una pistola capace di “sparare aria”. Il meccanismo è semplice: all’interno di una tromba in plastica (con manico e mirino) è inserita una parete di plastica leggermente ela- 58 Panorama stica. Tirate, mirate, lasciate e un flusso d’aria accelerato colpira il vostro bersaglio. Del tutto innocua, la “palla d’aria” potrà arrivare ad una distanza di 9 m e più ! Il risultato? Molto rumore ed una ventata in faccia. ● Un congresso tutto... dolce S i è svolto ad Umago il primo Congresso internazionale dei pasticceri organizzato dalla Casa giornalisticoeditoriale “Robinson” di Zagabria. Per tre giorni dodici équipe di pasticceri provenienti da Croazia, Slovenia e Bosnia si sono dati da fare per aggiudicarsi i primi posti nelle tre categorie: torta a 3 piani, sculture con zucchero soffiato e mignon. Delizie quindi non solo per il palato ma anche per l’occhio. Infatti i giovani pasticceri hanno dato sfogo alla fantasia. Come rilevato dal direttore della Robinson Stjepan Odobašić i nostri pasticceri sono pronti per le sfide europee: “Da tempo i turisti hanno riconosciuto e cercano i dolci autoctoni e negli ultimi dieci anni molto si è fatto per ‘l’occhio’ per così dire dato che i gusti sono rimasti sempre quelli fatti con le ricette delle nonne e quindi naturali”. Quindi un vero successo la manifestazione di Umago che certamente si terrà anche il prossimo anno sempre in collaborazione con l’Unione cuochi della Regione Istriana e dell’Associazione di categoria a livello nazionale. A. V. Foto ricordo dei premiati Questa torta della pasticceria di Veglia è stata premiata per il gusto I tradizionali dolci istriani Selena Jurašić della pasticceria vegliota “Casa del padrone”, primo premio dei giornalisti internazionali per l’eleganza e l’aspetto delle creazioni L’équipe della pasticceria “Palma” di Sarajevo è risultata esPanorama 59 sere prima in tutto. A sinistra il proprietario Šaban Ljumić 60 Panorama