Anno V - Numero 13 - Sabato 16 gennaio 2016
Direttore: Francesco Storace
Roma, via Giovanni Paisiello n. 40
Inchieste
Famiglia
Esteri
Rifiuti in Campania:
bufera su De Siano
Unioni civili,
il Pd fa muro
Tornano i venti
di guerra in Somalia
a pag. 3
a pag. 4
Di Giorgi a pag. 5
OGGI A LARGO GOLDONI LA PETIZIONE PROMOSSA DA AZIONE NAZIONALE. DOMENICA 31 GENNAIO LA MANIFESTAZIONE DE LA DESTRA PER RIDARE LO SCETTRO AGLI ELETTORI
di Francesco Storace
Ho deciso di partecipare alle primarie per il sindaco di Roma”: nel
video con cui ha
annunciato la sua candidatura, queste parole iniziali
di Roberto Giachetti non
possono non riguardare anche la nostra riflessione sul
tema delle modalità di scelta con cui le coalizioni di
presentano alle amministrative. Chi decide, il capo o il
popolo? E se è vero che
Giachetti è stato designato
a correre dal premier e leader del Pd, Matteo Renzi, è
altrettanto vero che la parola decisiva sarà degli elettori, se accettare o meno la
proposta che arriva dall’apparato.
Dall’altra parte, quella che
pensavamo fosse la nostra,
il campo del centrodestra,
invece si sta a fare i guardoni pensando di poter
contrapporre al nuovo campione della sinistra un
nome scelto nel salotto di
palazzo Grazioli. E’ come
se si fosse attivata la modalità preistoria.
Eppure, le primarie del centrodestra - se il centrodestra
vuole riportare il suo popolo
alle urne - vanno fatte, per
incoronare il candidato che le vincerà, accompagnato dal protagonismo popolare. Magari con più
competizione di quella che probabilmente ci sarà a sinistra per
far vincere un candidato, che è
certamente una persona perbene,
“
GUARDONI
larne e di confrontarci, sapendo che comunque si tratta di uno spirito libero, come
ha dimostrato anche nella
mia vicenda legata alla permanenza dell’assurdo reato
di vilipendio del capo dello
Stato.
A destra, si esita ancora e
non ci si decide a convocare
elezioni primarie. Oggi a
Roma, da Largo Goldoni alle
11,30, si avvia una petizione
in proposito, rivolta ai vertici
del centrodestra, per sollecitare il coinvolgimento del
nostro popolo nella scelta
dei candidati da contrapporre alla sinistra e ai grillini. La promuove Azione Nazionale, che analogamente
ha fatto a Napoli, in una conferenza stampa con diversi
altri movimenti.
Se da tutta Italia sale la richiesta di democrazia e partecipazione, i dirigenti del
centrodestra avvertano il dovere di non essere sordi.
Anche La Destra intende sottolineare il primato del popolo sovrano in questa scelta, a partire proprio da Roma
dove rilanceremo l’opzione
delle primarie per il sindaco
nella nostra manifestazione
di domenica 31 gennaio. Sarebbe davvero incomprensibile registrare silenzio da
qui ad allora, ad ignorare
una richiesta che viene dal basso.
Fare spallucce metterebbe molti
di noi nel dubbio: non avrebbe
molto senso dire di far parte di
una coalizione che non ascolta la
sua gente. Vogliamo consegnare
lo scettro al popolo.
A sinistra, Giachetti, mai votato dal popolo, si candida alle primarie
per Roma. Nel centrodestra sembra impossibile aprire i gazebo
ma che non è esattamente una novità: in Campidoglio Giachetti ci
ha messo piede nel lontano 1993,
da militante radicale arrivato alla
corte di Rutelli, prima come suo
caposegreteria e poi come capo
di gabinetto. E va aggiunto che
JUNCKER ALL’ATTACCO, RENZI ALLE CORDE
compie anche un atto di grande
coraggio: la notizia è che è la
prima volta che Giachetti chiede
consensi al popolo, essendo stato
sempre eletto alla Camera nel listino bloccato che dice di odiare.
Nella legislatura in cui ha comin-
ciato a mettere piede a Montecitorio, nel 2001, fu eletto-nominato
nelle Marche, grazie all’opzione
di Dario Franceschini, che si era
aggiudicato il collegio rosso di
Ferrara.
Ma tant’è. Avremo modo di par-
NELLA TERRA DELLA MERKEL PISCINE CHIUSE AGLI IMMIGRATI DOPO I FATTI DI COLONIA
La Germania adesso ha proprio paura
A
C’ERAVAMO
TANTO AMATI
Vignola a pag. 2
ncora scossa dai fatti di Colonia, a
quanto pare sottovalutati solo in Italia,
la Germania corre ai ripari per cercare
di fronteggiare l’emergenza immigrati nel
vissuto quotidiano di tutti i giorni. Due le
vicende, emblematiche di questi nuovo
clima, che arrivano dalla terra della Merkel:
a Bornheim, cittadina non distante dalla
vecchia capitale Bonn, il Comune ha deciso
di tenere fuori tutti gli immigrati maschi
dalle piscine pubbliche, dopo le rimostranze
di diverse donne, soprattutto giovani, che
lamentavano di essere state infastidite sessualmente da un gruppo di profughi arrivato
in piscina da un vicino centro di accoglienza..
Le ragazze hanno dichiarato di essere state
seguite a più riprese e infastidite anche a ridosso e dentro lo specchio d’acqua “Non
c’è altra possibilità per dare un segnale. La
nostra concezione di uguaglianza fra i sessi
non è in discussione, ma non c’è altra possibilità di dare un segnale”, hanno spiegato
gli amministratori.
In un’altra cittadina, quella di Rheinberg, è
stata invece cancellata la tradizionale sfilata
di Carnevale in programma per l'8 febbraio
Fruch
a pag.
11
per
evitare
eventuali
incidenti durante gli
assembramenti. Questa cittadina ospita, in-
fatti, un centro di accoglienza per immigrati
dove sono arrivate da poco altre 500 persone
e il rischio di una deflagrazione sociale è altissimo.
Anche i sondaggi dicono che i tedeschi
hanno paura e il 60% dei cittadini ritiene
che la Merkel abbia fatto entrare troppi immigrati. E addirittura il 70% è convinto che
la criminalità in Germania in questo modo
aumenterà.
Ma anche nel resto d’Europa ci si cautela
rispetto all’ondata di immigrati. Come in
Danimarca dove, come noto, il Parlamento
è chiamato a decidere sulla confisca dei
beni dei migranti che in questo modo si pagherebbero le spese di accoglienza. Una
PERVERSIONI ACIDE
decisione che ha fatto saltare la mosca al
naso in tanti benpensanti, ma che in realtà
non è nuova, visto che viene già adottata in
Svizzera, come riportato dalla tv pubblica
elvetica in lingua tedesca. Con tanto di testimonianza di un profugo siriano che,
davanti alle telecamere, ha mostrato la regolare fattura ricevuta dopo aver versato
una determinata somma alla Confederazione,
praticamente tutto quello che aveva con sé,
dopo aver pagato i trafficanti di uomini per
arrivare fin lì. Ma con tanto di assicurazione
controfirmata che, se dovesse lasciare volontariamente la Svizzera entro i prossimi 7
mesi, riavrà indietro quel denaro, come una
sorta di cauzione.
2
Sabato 16 gennaio 2016
AttUALItA’
ESPLODE LA QUESTIONE EUROPEA, IL PREMIER È CON LE SPALLE AL MURO
Juncker mette l’Italia alla porta dell’Ue
Vicenda rifugiati e restrizione di Schengen sullo sfondo dello sfogo del commissario Ue
Renzi: non ci faremo intimidire. Ma senza un piano B è destinato a soccombere alla Merkel
di Robert Vignola
a portata dello scontro tra
Europa e Italia è tanto alta
che non si può ridurla alla
lite tra fidanzatini in atto
tra Jean-Claude Juncker e
Matteo Renzi. E sullo sfondo di dichiarazioni che attraversano il continente, da Bruxelles a Roma e ritorno,
c’è tutto un universo che si muove;
di milioni di profughi, di miliardi di
euro e di percentuali alle quali non
è il caso di affezionarsi troppo. Queste
ultime sono quelle del solito rapporto
deficit-Pil, quel 3% che potrebbe
essere (e sarà) il feticcio al quale
appendere l’Italia come pubblico
ludibrio. Pena del contrappasso per
quel “vilipendio” (il presidente della
commissione Ue ha usato proprio
quel verbo, vilipendere) alle istituzioni
europee in cui il premier si è arrischiato, probabilmente più in sede
di vertici che non in pubblico.
Tanto che lo sfogo di Juncker è parso
ai più un fulmine a ciel sereno. “Ritengo che il primo ministro italiano,
che amo molto, abbia torto a vilipendere la Commissione a ogni occasione, non vedo perché lo faccia.
È da troppo tempo che non seguo i
teatrini della politica interna di certi
L
paesi”, ha mandato a dire a Renzi il
lussemburghese. E meno male che
lo ama... “Sono stufo che si accusi la
Commissione Ue e l'Europa di non
fare abbastanza, perché la Commissione ha fatto tutto quello che era in
suo potere ma sono alcuni Stati membri che hanno difficoltà ad applicare
le decisioni che sono state adottate”,
ha aggiunto, sottolineando che “ci
danneggiamo da soli se non mettiamo in pratica quello che abbiamo
deciso”. Con un singolare riferimento
a questioni di paternità. “Sono molto
sorpreso che alla fine del semestre
di presidenza italiana — ha dichiarato
polemicamente il presidente della
Commissione — Renzi abbia detto
davanti al Parlamento che è stato lui
ad aver introdotto la flessibilità, perché sono stato io. Io, sono stato”, ha
assicurato. Alla fine però la lingua
ha battuto laddove il dente duole: la
questione migranti. “Non è possibile”,
ha tuonato Juncker, “che una proposta
adottata da Consiglio e Parlamento
sui ricollocamenti non sia attuata,
ma io non abbandono: noi non aspetteremo gli Stati membri, faremo il
necessario là dove bisognerà”. E
quel là non è altri che la Turchia, cui
(ordina Bruxelles) occorre trasferire
al più presto tre miliardi di euro nella
speranza che Erdogan blocchi il flusso biblico in atto.
Stare con Renzi quindi? Difficile, se
ad un attacco del genere invece di
rivendicare il diritto-dovere di seguire
gli interessi nazionali si trincera dietro
parole vuote: “Non abbiamo attaccato
Bruxelles o la Commissione, ma non
sono uno che si fa intimidire da dichiarazioni ad effetto. Ho l’onore di
guidare un grande Paese che dà un
sacco di soldi all’Europa e chiede
che siano spesi bene. L’Italia ha fatto
le riforme ed è quindi finito il tempo
in cui si poteva telecomandare la
linea da Bruxelles a Roma”. Intanto
però il premier deve far posto in
agenda: guarda caso, Juncker ha
detto che “probabilmente a febbraio
mi recherò in Italia perché l’atmosfera
tra Roma e la Commissione non è
delle migliori. Renzi si lamenta sempre che non sono mai stato in Italia
da quando sono diventato presidente
della Commissione”. Il 29 gennaio
il presidente del consiglio italiano
dovrà inoltre recarsi a Berlino dalla
Merkel, incontro fissato dopo le ruggini mostrate nelle settimane scorse.
In tutto questo spiccano altre parole
del commissario Juncker: “Nessuno
parla del legame tra Schengen e la
libera circolazione dei capitali: la
fine di Schengen rischierà di mettere
fine all’Unione economica e monetaria e il problema della disoccupazione diventerà ancora più importante, bisogna guardare alle cose
nel loro insieme”. Argomento, quello
di una “mini-Schengen” dalla quale
far restare fuori Italia, Grecia e Paesi
dell’est (Ungheria e Polonia in testa)
allergici all’accoglienza in salsa tedesca, che proprio dalla Germania
è stato fatto strumentalmente rimbalzare anche su quotidiani italiani.
E qui abita con ogni probabilità la
“intimidazione” che Renzi, nella sua
reazione, ha voluto evocare. Il dubbio
che tutto questo debba diventare
puro oggetto di trattative alla “lascia
o raddoppia”, invece che una franca
analisi del sistema di costi e benefici
che le richieste europee comportano
per l’Italia e per l’Europa stessa, allontana dal premier ogni possibile
speranza di riuscita. Anche perché
il piano B a Roma non c’è. E senza
di quello, l’unico destino possibile è
il ripetersi di compiti a casa sempre
più pressanti ed inutili (quando non
direttamente dannosi) per questa
povera Italia.
DA PALAZZO CHIGI
Coltivare marijuana? Ora è più facile
Rinviata la depenalizzazione dell’ immigrazione clandestina, passa quella per la violazione dell’autorizzazione
all’agricoltura “verde” per scopo terapeutico. Non è più reato neanche guidare senza patente
oltivatori diretti (di marijuana) riunitevi! Archiviato il
martello, gli eredi del comunismo approdati al governo
nazionale si sono occupati ieri
di una grande priorità italiana:
consentire a chi si diletta a far
verde il suo pollice con un’agricoltura stupefacente di prodursi
l’erba a casa sua invece di ricorrere al vicino spacciatore, che
secondo il proverbio ce l’ha più
verde. E se poi l’agricoltore del
caso diventa spacciatore, questo
è tema che può essere caro solo
ai complottisti.
Gli hanno dato pure il nome di
“pacchetto depenalizzazioni”,
C
quando ieri mattina lo hanno approvato al Consiglio dei ministri.
E tra i reati penali che la riforma
trasforma in illeciti amministrativi
c’è anche la violazione dell’autorizzazione a coltivare cannabis a
scopo terapeutico.
Il principio guida, come spiega il
comunicato di Palazzo Chigi, è
che “sono depenalizzati tutti i
reati per i quali è prevista la sola
pena della multa o dell’ammenda
previsti al di fuori del codice
penale e una serie di reati presenti
invece nel codice penale. Rimangono dentro il sistema penale ed
esclusi dal provvedimento i reati
che pur prevedendo la sola pena
della multa o dell’ammenda attengono alla normativa sulla salute
e sicurezza nei luoghi di lavoro,
ambiente territorio e paesaggio,
sicurezza pubblica, giochi d’azzardo e scommesse, armi, elezioni
e finanziamento ai partiti”.
La realtà, è che si abbatte un
altro argine alla liberalizzazione
selvaggia delle droghe cosiddette
leggere, anche se il ministro della
Salute Beatrice Lorenzin si è precipitata a disegnare nell’aria i
“paletti” che ancora esisterebbero:
“Non c’è nessuna depenalizzazione” o quanto meno sono state
“soltanto depenalizzate alcune
prescrizioni, nel senso che l’im-
pianto che produce la cannabis,
come l’Istituto farmaceutico militare, a titolo terapeutico ha un
processo autorizzatorio. Se ci
sono delle prescrizioni - ha proseguito Lorenzin - in cui ci sono
delle violazioni, alla prima scatta
un’ammenda amministrativa molto pesante, mentre se non si ripristina la procedura viene revocata l’autorizzazione. Da qui a
parlare di depenalizzazione, quindi,
penso ci sia un doppio salto
mortale con avvitamento. Forse
era un desiderata di alcuni”.
Fatto sta che la direzione è ben
tracciata, come dimostra anche
il buonumore mostrato ieri sui
social network dai “sempre verdi”
sostenitori del legalize cannabis.
Ed anzi il fatto che vi sono rassicurazioni da parte governativa
sul fatto che “la materia sarà regolata nei prossimi mesi con un
provvedimento ad hoc” rappresenta un chiaro segnale: fate
passare le amministrative e i residui ministri del Ncd al governo
non avranno difficoltà a depenalizzare ancora, sulla marijuana
come su quello che doveva essere
il perno del pacchetto approvato
ieri a Palazzo Chigi: l’immigrazione
clandestina:
Per il momento, ci si accontenta
comunque di un’altra depenaliz-
zazione: quella di guida senza
patente. Chi sarà trovato, la prima
volta, alla guida senza licenza o
con patente non in regola eviterà
il processo penale e pagherà una
sanzione tra i 5mila e i 30mila
euro, più alta di quella attuale.
L’importante è che il governo
raggranelli quattrini. E se qualche
fenomeno al volante (incoraggiato
dall’assenza di reato penale e
magari sotto effetto di assunzione
di sostanze… depenalizzate) compirà altre stragi, nella cattiva notizia ci sarà pur sempre quella
buona: l’erario incasserà l’Iva
delle bare.
R. V.
Via Giovanni Paisiello n.40
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Direttore responsabile
Francesco Storace
IL CASO IN FRANCIA
Amministratore
Roberto Buonasorte
Prova farmaco alla cannabis:
è in stato di morte cerebrale
el giorno in cui le volontà libertarie della sinistra prendono corpo a Palazzo Chigi,
uscendo finalmente allo scoperto,
un pessimo spot sulla marijuana “a
scopo terapeutico” giunge dalla
Francia. Si sono sentiti male bis. A
Rennes, in Bretagna, un paziente
N
volontario si trova in rianimazione
in stato di morte clinica, mentre gli
altri cinque sono in gravi condizioni,
dopo essersi sottoposti a un test
per la sperimentazione di un farmaco a base di cannabis. Il ministero
della Salute francese parla di “grave
incidente”: il test in corso riguarda
un medicinale per via orale “in
corso di sviluppo in un laboratorio
europee”. Sul caso è stata ovviamente aperta un’inchiesta.
Comunque sia, nel corso della giornata sono stati resi noti altri particolari su questa vicenda: si sa così
che il farmaco in questione è un
antidolorifico che contiene una molecola prodotta dalla canapa indiana.
È stato somministrato nel laboratorio
della società Biotraial che opera nel
settore da 25 anni ed è presente
anche negli Stati Uniti. La sperimentazione a cui prendevano parte
solo otto pazienti (i sei che assunto
il farmaco più due sottoposti al placebo) è stata comunque sospesa. I
volontari, tutti sani, hanno tra i 30 e
i 50 anni e si stavano sottoponendo
alla prima fase del test, quella che
ha lo scopo di valutare la sicurezza
dell'impiego, la tolleranza, i profili
farmacologici di una molecola in
persone sane.
R. V.
Capo Redattore
Igor Traboni
Società editrice
Amici del Giornale d’Italia
Sito web
www.ilgiornaleditalia.org
Per la pubblicità
Responsabile Marketing
Daniele Belli
tel. 335 6466624 - 06 37517187
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-----------------Autorizzazione del Tribunale di Roma
n° 286 del 19-10-2012
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Sabato 16 gennaio 2016
AttUALItA’
ANCORA GUAI GIUDIZIARI IN CAMPANIA PER FORZA ITALIA, MA IL PARTITO FA QUADRATO
L’inchiesta rifiuti spazza via De Siano
Chiesti gli arresti domiciliati per il senatore, che rinuncia all’immunità e si dimette da coordinatore regionale
n'ordinanza di custodia
agli arresti domiciliari con
richiesta di esecuzione
del provvedimento è stata
trasmessa al Parlamento
nei confronti del senatore Domenico
De Siano, coordinatore regionale di
Forza Italia.
L'inchiesta riguarda appalti per la
raccolta dei rifiuti a Ischia e in alcuni
comuni del Napoletano per fatti avvenuti nel 2010. Immediate le dimissioni del massimo esponente regionale azzurro. "Rimetto immediatamente nelle mani del presidente
Berlusconi l'incarico di coordinatore
regionale del partito – ha fatto spere
De Siano -. Non voglio che la mia vicenda possa essere oggetto di strumentalizzazione politica e danneggiare Forza Italia".Un'informazione
di garanzia è stata emessa dalla Procura di Napoli anche nei confronti
dell'ex presidente della Provincia,
U
Luigi Cesaro, deputato di Fi.
L'ordinanza è stata emessa dal gip
del Tribunale di Napoli, Claudia
Picciotti, su richiesta dei magistrati
della sezione Reati contro la Pubblica
amministrazione, i pm Maria Sepe
e Graziella Arlomede coordinati dal
procuratore aggiunto Alfonso D'Avino. A quanto si è appreso sono
diversi i reati contestati a vario titolo,
dall'associazione per delinquere
alla turbativa d'asta e corruzione.
Nell'ambito dell'inchiesta è stato arrestato dagli uomini della squadra
mobile di Napoli a Lacco Ameno
(Ischia) Oscar Rumolo, collaboratore
dello stesso De Siano. Oscar Rumolo
- finito ai domiciliari - è stato assunto
dal Comune di Lacco Ameno quale
responsabile del servizio finanziario
e tributi e dal novembre scorso distaccato presso la commissione consiliare regionale della "Terra dei
Fuochi".
Il partito comunque fa quadrato.
Paolo Romani, capogruppo in Senato
di Forza Italia, parla di "Amicizia,
stima e solidarietà per l'amico e
senatore Domenico De Siano che
ha scelto di rinunciare a tutte le
prerogative parlamentari per agevolare il corso dell'inchiesta rifiuti e
poter dimostrare, nel più breve tempo possibile, la sua totale estraneità
ai fatti. Confidando dunque nel lavoro
della magistratura, voglio esprimere
vicinanza al senatore e amico Domenico De Siano, anche da parte
di tutto il Gruppo Forza Italia al Senato".
"Questa volta è la Procura di Napoli
a prendere iniziative quanto meno
discutibili," dice Brunetta. "Siamo
certi che i nostri esponenti dimostreranno la loro totale estraneità in
merito ai fatti che vengono contestati.
Esprimiamo tristezza per una giustizia che con eccessiva leggerezza
tende a ledere le libertà personali
in modo sproporzionato e ingiustificato".
"In Campania abbiamo già assistito
a vicende giudiziarie partite con
clamore e rivelatesi infondate,” aggiunge il senatore Maurizio Gasparri,
“sono certo che sarà così anche
questa volta,” definendo le accuse
contro De Siano “surreali”.
IL PARLAMENTARE DEL PD HA DEPOSITATO LA PROPOSTA DI LEGGE
Fiano vuol “sbiancare” la camicia nera
Nel mirino non solo busti del Duce e calendari del Fascismo, ma anche il saluto romano
di Robert Vignola
a dittatura è alle porte: lo
dicono in molti quotidianamente in Italia e spesso
partono da ragionamenti che occorre sottoscrivere. Quando invece l’argomento reca la firma
di Emanuele Fiano, c’è da sobbalzare sulla sedia: si tratta o no
del Responsabile nazionale del
Pd, addirittura con delega alle
Riforme? Che si sia accorto anche lui della deriva renziana?
Macché. Se Fiano presenta leggi
(alla Camera, dov’è deputato)
contro la dittatura alle porte, ce
l’ha col fascismo. E il suo intento
L
è forte e chiaro: resistere, resistere, resistere! alle bottiglie di
vino “nero” col profilo di Mussolini, ai busti del Duce (molti
dalla ambigua somiglianza), ai
calendari con le massime del
Fascismo e le date di bonifiche
e fondazioni di città.
Facendo perno della propria azione addirittura la Legge Scelba: il
parlamentare milanese intende
infatti estendere il raggio di azione
del reato di apologia di fascismo
anche a chi smercia accendini,
tazze o magliette con la faccia
della Buonanima. Che quindi diventerebbe un reato penale. Per
il quale Fiano arriva a profilare
FIRENZE: LA VIOLENZA ROSSA COLPISCE ANCORA
Spranghe e petardi contro
la libreria di Casa Pound
I “soliti noti” hanno devastato il centro culturale e colpito
con bastoni una ragazza, attivista del movimento
di Cristina Di Giorgi
n assalto a colpi di bombe carta, mattoni e spranghe. Perpetrato, secondo
quanto riferito da alcuni testimoni,
da un gruppo di una ventina di persone. Ai
danni della libreria fiorentina “Il Bargello”
in cui si trovavano, in quel momento, i due
responsabili (un ragazzo e una ragazza) e
una cliente. La “colpa” del locale, devastato
completamente dalla furia degli esagitati attaccanti, era quella di essere la libreria di riferimento di Casapound.
E’ accaduto dunque giovedì sera (erano
circa le 19) che i “soliti noti” si siano
dedicati con malizioso piacere ad uno dei
loro passatempi preferiti: la caccia di tanti
(loro ovviamente) contro pochi. Oltretutto
U
quei pochi si trovavano all’interno di un
luogo in cui si fa cultura. Quella non conforme, quella non omologata e non allineata.
Distruzione dunque. Durante la quale gli
“eroi” dal volto coperto si sono anche divertiti a prendersela con la ragazza presente,
trascinandola per i capelli e colpendola più
volte. “Eroi” che, per completare il quadro,
hanno anche ripetutamente inneggiato alla
strage di Acca Larentia, dicendo ai due attivisti di Cpi che avrebbero fatto fare loro
la stessa fine dei ragazzi uccisi il 7 gennaio
a Roma.
“Un atto vile e infame – sottolinea in una
nota Casa Pound Firenze – che conferma
quello che sosteniamo da sempre: c’è una
precisa parte, quella antifascista, che fa
uso sistematico della violenza come stru-
mento di lotta politica”. Ed in questo caso
se l’è presa con un luogo in cui “negli
ultimi mesi sono state organizzate iniziative
dalla forte connotazione sociale, che hanno
raccolto il consenso degli abitanti del quartiere”, tra cui “mercatini del libro usato
per studenti, la festa della befana per i
bambini e innumerevoli dibattiti, conferenze
e incontri. Non sappiamo – si legge ancora
nella nota - chi siano esattamente i responsabili di questo assalto. Ma è certo
che l’attività di odio e intolleranza portata
avanti dalle ‘assemblee antifasciste’ in
questi mesi ha creato i presupposti per la
maturazione della violenza di oggi. E chi
politicamente ha coperto l’azione dovrebbe
oggi chiedere umilmente scusa”.
Chiaramente di scuse neanche l’ombra.
E nemmeno delle parole di biasimo e
condanna che l’episodio avrebbe dovuto
suscitare negli esponenti della politica,
locale e non solo. Restano comunque,
numerosissimi, i messaggi di solidarietà
diffusi sulla rete dai tanti – gruppi, movimenti, associazioni e singoli – che
hanno voluto manifestare a Cpi la loro
vicinanza. “Questi fatti – hanno detto ancora i ragazzi de Il Bargello – non ci spaventano. Anzi. Dimostrano che la strada
presa è quella giusta”.
persino un’aggravante di pena,
nel caso in cui il reato di apologia
prendesse la più moderna e strisciante delle forme: quella online.
Alla fine, la domanda è una sola:
ma questo ci è o ci fa? “Se guardiamo a quel che sta avvenendo
in molte parti d’Europa, dove
stanno riprendendo spazio molti
movimenti xenofobi, dico che
certi atteggiamenti non possono
essere assolutamente sottovalutati. Si tratta di simboli? Certo,
ma anche i simboli rivestono il
loro ruolo. Se riteniamo non più
punibili i simboli allora anche
ciò che essi rappresentano rischia
di non essere più percepito come
un problema”, ha detto Fiano in
un’intervista al Corriere della
Sera. Lasciando in sospeso la
domanda di cui sopra.
Il fatto è però un altro. Nella
proposta di legge depositata si
fa riferimento a “tutti i reati di
riproduzione di atti, linguaggi e
simboli dell’allora partito fascista”. Quindi, ecco Fiano riproporre la punibilità del saluto romano, recentemente oggetto di
sentenze contraddittorie tra loro.
Probabilmente nella fattispecie
di reato rientrerebbe anche il riferirsi a “camerati” e la sensazione netta è che la rischierebbe
grossa, in un futuro carnevale,
anche chi decidesse di mascherarsi da gerarca. Volevano smacchiare il giaguaro, ma s’accontenterebbero anche di passare
in varecchina la camicia nera.
Questa è la sinistra italiana.
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Sabato 16 gennaio 2016
ATTUALITA’
CONTINUA LO STILLICIDIO DEI PICCOLI ADOTTATI DA FAMIGLIE ITALIANE MA DA DUE ANNI BLOCCATI NEL PAESE AFRICANO
Arrivati dal Congo altri 10 bambini su 150
Mercoledì i genitori ancora in attesa si incateneranno in segno di protesta davanti a Palazzo Chigi
di Igor Traboni
anno potuto finalmente
abbracciare i genitori e
trascorrere la prima notte nella nuova casa i 10
bambini congolesi, adottati da altrettante famiglie italiane,
arrivati all’aeroporto romano di Fiumicino dopo un’attesa durata oltre
due anni (e prolungatasi inspiegabilmente per altri due mesi e mezzo,
come diremo meglio tra poco), accompagnati dal responsabile di
Nova, l’ente che ne ha seguito la
pratica adottiva.
Nella Repubblica Democratica del
Congo restano però altri 140 piccoli,
pure regolarmente adottati da famiglie italiane in possesso di tutti i
requisiti, dopo che quel governo
ha deciso (settembre 2013) una
moratoria delle adozioni internazionali, per via di alcuni ‘intoppi
burocratici’ e documentazioni ritenute non a posto nelle relazioni con
alcuni Paesi – ma non l’Italia – da
cui provengono le famiglie desiderose di adottare un bambino congolese.
Ricordiamo anche la vicenda di numerose di queste famiglie italiane
rimaste a lungo bloccate nella capitale del Congo, nell’attesa - per
molti risultata purtroppo vana - di
poter finalmente tornare a casa ma
con il piccolo adottato. Solo nel maggio 2014 un primo gruppo di bambini è arrivato in Italia – 31 per la
precisione – accompagnati dal ministro Boschi. Il governo allora aveva
promesso una rapida soluzione della
H
vicenda, ma di fatto poco o nulla è
stato fato e, come detto, la situazione
ora si è felicemente sbloccata ma
solo per 10 di quei piccoli ancora
in attesa in Africa. Una scarsa incisività politica e diplomatica a fare il
paio con quella dei governi precedenti, in particolar modo dell’esecutivo Monti e dell’allora ministro
Kyenge, che pure volò nel ‘suo’ Congo ma senza riportare a casa il benché minimo risultato.
L’arrivo di questi dieci bambini fa
seguito alla decisione presa oltre
due mesi fa dal ministro della Giustizia e dei Diritti umani del Congo
di sbloccare la situazione per com-
plessivi 72 bambini di tutto il mondo,
compresi i 10 italiani.
Già in passato avevamo dato conto
di una sorta di ‘corsia preferenziale’
per i bambini di altre nazionalità
rispetto a quelli italiani, anche in
questa ulteriore attesa di due mesi
e mezzo rispetto al via libera congolese. Un ritardo rispetto al quale
- così come su tutta la vicenda –
mancano notizie ufficiali, con un
caldo ‘invito’ alle stesse associazioni
e ai genitori a non dire niente, arrivato da parte della Cai, la Commissione governativa che si interessa delle adozioni internazionali.
O che ‘dovrebbe’ occuparsene, visto
IN PIAZZA SABATO 30 “PER DIFENDERE I NOSTRI FIGLI”
Presentato il Family day
che da un paio di anni a questa
parte si contano sulle dita di mezza
mano le riunioni dell’organismo
presieduto da Silvia Della Monica,
ex parlamentare pd. Secondo alcune
indiscrezioni, la stessa Della Monica
verrà sollevata dall’incarico nelle
prossime settimane, forse neanche
fin troppo casualmente a ridosso
dell’eventuale approvazione del ddl
unioni civili e della pare che potrebbe riguardare anche le adozioni
da parte di omosessuali.
Intanto, proprio per sollecitare un
maggiore attenzione da parte del
governo e una soluzione della vicenda, mercoledì prossimo 13 gen-
naio alcuni dei genitori adottivi dei
piccoli ancora in Congo protesteranno incatenandosi davanti a Palazzo Chigi. Anche perché c’è da
considerare purtroppo un’altra variabile che potrebbe peggiorare la
situazione: a metà del prossimo
mese di febbraio in Congo si andrà
alle urne e, come spesso accade
nei Paesi africani in queste occasioni, c’è il rischio di stravolgimenti
politici e, secondo le notizie che
rimbalzano proprio da Kinshasa,
anche di una sorta di guerra civile.
Il che renderebbe ancora più complicato il già scarso operato della
diplomazia italiana.
TRA I FANALINI DELL’UNIONE EUROPEA
Libertà educativa, l’Italia
al quarantasettesimo posto
a libertà di educazione
non è di casa in Italia
che, nell’apposita classifica mondiale, si colloca al
47° posto su 137 Paesi, un po’
sopra l’Indonesia e appena
sotto al Messico. L’ultimo Rapporto è quello promosso dalla
Fondazione Novae Terrae, in
collaborazione con l’Oidel (Organizzazione non governativa
attenta ai temi dell’educazione
con status consultivo presso le
Nazioni Unite), l’Unesco e il
Consiglio d’Europa. E a livello
di Unione Europea, peggio di
noi sono messi solo Grecia,
Cipro, Bulgaria e Croazia.
Il Rapporto –aggiornato alla
fine del 2015 – mette in luce
come a tredici anni di distanza
dalla prima rilevazione l’8%
dei Paesi esaminati ha introdotto meccanismi di finanziamento delle scuole non governative (termine che comprende anche gli istituti paritari
e quelli privati)
Per quanto riguarda la libertà
di scelta delle famiglie in campo educativo, la Fondazione
Novae Terrae evidenza che gli
Stati, come chiesto dalla Riso-
L
ifendiamo i nostri figli.
E’ questo il ‘titolo’ scelto
per il family day, ufficializzato ieri per sabato 30 gennaio a Roma con una dichiarazione rilasciata da Filippo Savarese, portavoce in Italia di
Manif pour tous e Generazione
Famiglia, per conto del comitato
promotore che la definisce
“una grande manifestazione
di popolo a difesa della famiglia
e del diritto dei bambini ad
avere una mamma e un papà”.
L’obiettivo dichiarato, ha aggiunto Savarese, è quello “di
chiedere che il ddl Cirinnà
sia ritirato immediatamente e
per sempre. I motivi della no-
D
stra contrarietà sono ormai
noti e sempre più largamente
condivisi, al di là delle appartenenze religiose e anche politiche: la famiglia, che genera
e cresce figli, non ha pari nella
società, e dunque è gravissima
la parificazione che alcuni vogliono fare con le unioni gay,
fotocopiando le leggi sul matrimonio e applicandole anche
alle unioni civili".
Per Toni Brandi, presidente
dell'associazione Pro Vita onlus e del Comitato Difendiamo
i Nostri Figli, pure tra i promotori del nuovo Family day
“dobbiamo fermare questo
disegno di legge ingiusto, di-
scriminatorio, pretestuoso e
incostituzionale”.
Non è prevista una partecipazione ufficiale della Chiesa
ma, come ha ripetuto più volte
il segretario della Cei Galantino , non verranno lasciati
soli “quanti nelle sedi opportune e nel rispetto delle proprie competenze vorranno
dare un loro contributo costruttivo”.
Esclusa anche la presenza di
simboli di partito, come ha rimarcato il senatore di FI Maurizio Gasparri: “Parteciperemo
in tanti ma come cittadini che
vogliono difendere i figli e la
famiglia”.
luzione del Parlamento Europeo sulla libertà di educazione
del 14 marzo 1984, hanno l’obbligo di rendere possibile anche sul piano economico, l’esercizio pratico di questo diritto
e di concedere alla scuole non
statali le sovvenzioni pubbliche
necessarie all’esercizio della
loro missione, senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli
alunni e del personale.
Pluralismo scolastico che invece neppure esiste in alcuni
Paesi, dalla Cuba di castro passando alla Libia e fino al Gambia, dove è addirittura vietato
metter su scuole non governative.
Con i vari indicatori – dagli
aiuti economici alle scuole non
governative al tasso di iscrizione
– la classifica stilata vede l’Irlanda al primo posto con 389
punti ; quindi Olanda (353),
Belgio (352), Malta (326), Danimarca (312) e Gran Bretagna
(305). Bene anche Cile (303,3),
Finlandia (301), Slovacchia (298)
e Spagna (281,1). L’Italia, come
detto, è solo al 47° posto con
228,1. Grossi avanzamenti in
classifica si registrano in Ecuador, Guatemala, Israele, Islanda,
Giordania, Slovacchia e Perù,
mentre arretrano Costa Rica,
Honduras, Repubblica democratica del Congo, Malaysia e
Pakistan.
5
Sabato 16 gennaio 2016
ESTERI
SOMALIA TERRA DI CONQUISTA DI AL QAEDA
Al Shabaab all’attacco: sessanta morti
L’assalto alla base dell’Unione africana di Ceel Cado, iniziato con l’esplosione
di un’autobomba, è durato diverse ore. Ed è stato subito rivendicato
di Cristina Di Giorgi
INDONESIA
terroristi di Al
Shabaab hanno
attaccato la base
dell’Unione Africana di Ceel
Cado, situata nella città
di El Ade nel sudovest
della Somalia, vicino al
confine con il Kenya.
Stando alle prime ricostruzioni i miliziani, organizzati in un commando composto di decine
di uomini, hanno fatto
esplodere davanti ai cancelli un’autobomba guidata da un attentatore
suicida. E sono quindi
riusciti ad irrompere all’interno del perimetro
della struttura, che si trova a circa 500 chilometri
da Mogadiscio. Successivamente, armati di tutto punto, hanno iniziato a sparare all’impazzata,
facendo strage dei soldati che si
trovavano all’interno del compound.
Secondo il network panarabo Al Jazeera, i morti sono almeno una sessantina (cifra questa, riportano le
agenzie, che sembra sia stata però
smentita da una dichiarazione della
Difesa del Kenya).
La notizia, riportata dalle agenzie, è
stata confermata da fonti militari,
che hanno precisato che l’attacco è
iniziato prima dell’alba di venerdì
ed è durato diverse ore. Un testimone, raggiunto telefonicamente, ha
dichiarato alla BBC di aver sentito
Giacarta: arrestati
tre sospetti terroristi
I
Dopo quanto accaduto giovedì nella capitale,
le autorità hanno rafforzato le misure di sicurezza
e forze dell’ordine indonesiane
hanno reso noto di aver arrestato
tre uomini, sospettati di avere legami con l’estremismo islamico (non è
ancora stato chiarito ufficialmente se i
fermi hanno direttamente a che fare
con gli attentati di giovedì). La notizia è
stata diffusa dall’emittente locale Metro
Tv, che riporta le dichiarazioni del capo
del distretto di polizia di Depok. L’ufficiale
ha fatto sapere che i tre sono stati prelevati all’alba di venerdì nelle loro case.
Il colonnello Dwiyono ha poi spiegato
che gli arrestati sono sospetti miliziani
ed attualmente sono sottoposti ad interrogatorio. La tv ha quindi trasmesso
le immagini dei tre uomini in manette
scortati dagli agenti.
Facendo il punto sulle indagini relative
agli attacchi nella capitale (rivendicati
dal Califfato, che ha dichiarato in una
nota di avere avuto come obiettivi “cittadini stranieri e postazioni di polizia”),
il capo delle forze dell’ordine di Giacarta
ha fatto sapere che le autorità hanno
fino ad ora identificato quattro dei cinque
attentatori suicidi (tutti morti), due dei
quali erano segnalati per attività legate
all’estremismo islamico. Uno di loro –
L
una forte esplosione seguita da una
serie di spari intorno alle 5.30 del
mattino. Ed ha aggiunto: “La base è
nelle mani di Al Shabaab. Abbiamo
visto auto militari in fiamme e soldati
morti dappertutto Non ci sono vittime
civili. La maggior parte delle persone
ha già lasciato la città”.
Il feroce gruppo terroristico, legato
ad Al Qaeda, ha già rivendicato l’attentato mediante un comunicato diffuso dalla radio on line legata ai miliziani. Nella nota si annuncia di “aver
preso il totale controllo” della base,
che ospita un contingente delle forze
di pace dell’Unione Africana ed è
gestita dall’esercito keniano. A par-
lare è Abdiaiz Abu Musab, portavoce
di Al Shabaab, organizzazione terroristica nata nella seconda metà
degli anni Duemila e dal 2012 affiliata
ad Al Qaeda. Respinto dalle principali città somale, il gruppo terroristico sembra sia attualmente insediato in vaste aree rurali del Paese,
dalle quali continua a lanciare operazioni di guerriglia e attacchi suicidi
in tutto il Corno d’Africa.
Nel frattempo l’aviazione keniana,
stando a quanto riportato da Shabelle
news, ha lanciato un raid aereo contro
le roccaforti di al Shabaab nella regione sud occidentale somala del
Gedo.
riporta la BBC – è Afif Sunakim, già
noto in quanto aveva in passato scontato
sette anni di carcere per aver preso
parte ad un campo di addestramento
per estremisti. Secondo quanto riferito
in precedenza inoltre, gli inquirenti hanno
individuato in Bahrum Naim, un indonesiano che si ritiene si trovi attualmente
in Siria a combattere con l’Isis, il coordinatore degli attacchi.
Le autorità hanno infine dichiarato che
tutto il Paese è in stato di massima
allerta: la “sicurezza è stata rafforzata
negli uffici governativi, nelle stazioni di
polizia, ambasciate e centri commerciali”.
E si sta anche indagando per individuare
eventuali altre cellule di estremisti islamici.
Anche perché, ha fatto sapere il presidente
Widodo, “in Indonesia non c’è posto
CdG
per il terrorismo”.
TURCHIA
SIRIA
Ankara, tra complottisti e repressione
“Sono dell’Isis, mi cercate?”
Le autorità locali dichiarano di considerare l’Isis una pedina usata
ai loro danni. E fanno arrestare chi firma per la pace con i curdi
e autorità di Ankara si
schierano decisamente
contro i terroristi che
“sono delle pedine manipolate
da chi non vuole una Turchia
forte”. Così il vicepremier Numan Kurtulmus che, parlando
alla televisione locale Haberturk,
a proposito dell’attacco di martedì a piazza Sultanahmet ha
dichiarato: “attentati ben preparati e perpetrati in date strategiche cercano di mandare
un messaggio al Paese, come
se tutto fosse pianificato”. Ci
sarebbe quindi a suo dire un
tentativo di “sabotare l’economia
e impedire le riforme politiche
e democratiche”, onde evitare
che la “Turchia sia un attore
importante in Medio Oriente,
soprattutto per quanto riguarda
le questioni siriane e irachene”.
Affermazioni queste che seguono di poche ore quelle del
primo ministro Davutoglu, che
aveva anch’egli evocato l’esistenza di una regia occulta che
utilizza l’Isis per danneggiare
la Turchia.
E se è senz’altro vero, ipotesi
L
di complotto a parte, che lo
Stato Islamico con le azioni di
Istanbul ha colpito duramente
il Paese, non è solo dall’Isis
che Ankara si sente minacciata.
Sul fronte interno vi sono infatti
le continue azioni dei ribelli
indipendentisti curdi l’ultima
delle quali, appena due giorni
fa, ha preso di mira una stazione di polizia nel sud est
della provincia di Diyarbakir.
A tal proposito però, la reazione delle autorità ha dimostrato di tenere in scarsissimo
conto le possibilità di risolvere
la questione curda con mezzi
che non siano militarmente
repressivi.
All’appello che molti docenti
universitari hanno sottoscritto
per chiedere una soluzione pacifica alla questione, Ankara ha
infatti risposto con un’ondata
di arresti. Sono dodici, al momento, gli accademici finiti in
manette (ma vi sono ancora 9
mandati non eseguiti) con l’accusa – riferisce l’agenzia di
stampa statale Anadolu - di
“propaganda terroristica” a favore del PKK. I fermi, eseguiti
ieri mattina all’alba, sono il
primo atto di un’inchiesta avviata
alla procura locale su più di
mille accademici di 90 università
turche che, promuovendo la
petizione, si sono resi responsabili di “insulti allo Stato” e,
appunto, propaganda a favore
di organizzazioni terroristiche.
Il documento “incriminato” è
stato lanciato dal gruppo Accademici per la pace e si intitola
“Non faremo parte di questo
crimine”: il riferimento è alle
operazioni portate avanti da
Ankara nella regione del sudest
del Paese (a maggioranza curda). I firmatari – quasi 6500 in
tutto il mondo, tra cui anche
nomi noti come il sociologo
statunitense Noam Chomsky –
chiedono al governo di mettere
fine ai “massacri deliberati e
alla deportazione di curdi e
altre persone”. Pacifisti? Difensori dei diritti civili? Sostenitori
della necessità (e utilità) di adire
a vie diplomatiche? No. Traditori.
Così almeno li considera il presidente Erdogan. Loro e, verosimilmente, tutti coloro si oppongono alla sua politica.
Stella Spada
La singolare telefonata di un cittadino
turco a un commissariato della capitale
uole sapere se nei suoi
confronti è stato emesso
un mandato d’arresto per
terrorismo. Ed allora telefona al
commissariato di polizia di Ankara:
“Pronto? Sono dell’Isis. Mi cercavate?”. Il protagonista di tale
singolare vicenda è un cittadino
turco che da due anni e mezzo si
trova in Siria tra i combattenti
dello Stato Islamico.
La notizia della telefonata è emersa
pochi giorni dopo l’attentato suicida di Istanbul e risulta dagli atti
di un’inchiesta in corso nella capitale su gruppi jihadisti. Secondo
quanto riferito, gli agenti avrebbero
risposto che poteva verificarlo
recandosi di persona alla stazione
di polizia più vicina. “Sono nello
V
Stato Islamico adesso. La Turchia
– ha risposto l’uomo – è la mia
patria, tornerò. Lo chiederò quando tornerò”.
Secondo quanto riferito dal quotidiano turco Zaman, l’estremista
da quando è fuggito in Siria è
rientrato già una volta nella sua
città di origine, nel nord ovest
del Paese, dove avrebbe tentato
di reclutare volontari per l’Isis.
Ed avrebbe anche tentato di
portare via con la forza suo
fratello per condurlo con sé.
Forse per questo è stato denunciato dal padre. Secondo
Zaman un mandato d’arresto è
stato effettivamente emesso nei
suoi confronti dalle autorità di
St.Sp.
Ankara.
6
Sabato 16 gennaio 2016
ESTERI
PRESIDENZIALI USA 2016
Donald Trump, simbolo del“politicamente scorretto”
Il magnate se la prende ancora con islam e immigrati. E dice al rivale Cruz: “sei ineleggibile”
di Stella Spada
onald Trump colpisce ancora.
Questa volta i
suoi strali sono
diretti contro il
suo rivale repubblicano Ted
Cruz. Sulla cui testa – ha dichiarato il discusso magnate
nel corso del dibattito trasmesso in diretta tv da Charleston, in South Carolina –
pende “un grosso punto interrogativo”. Il fatto che Cruz
sia nato in Canada da madre
americana e padre cubano,
secondo Trump sarebbe infatti causa di ineleggibilità alla Casa
Bianca, in quanto la Costituzione Usa
prevede che i candidati alla presidenza
siano “natural born citizens”, cioè cittadini
naturali dalla nascita.
Cruz, che ritiene comunque di avere i
requisiti in quanto le disposizioni costituzionali si applicano a suo dire anche
ai figli di cittadini statunitensi nati all’estero,
ha tentato di rispondere all’attacco di
Trump con una battuta. “Da settembre
la Costituzione non è cambiata” ha detto
al collega di partito, riferendosi al fatto
che mesi fa il magnate non aveva messo
in discussione la sua eleggibilità. “Sono
però cambiati i sondaggi” ha poi ag-
D
giunto, ricordando a Trump il calo di
popolarità di cui a dire del senatore
texano il magnate starebbe soffrendo in
vista delle prime tappe elettorali delle
primarie in Iowa e Hampshire, previste
tra due settimane.
Un calo che però, stando alle rilevazioni
nazionali, sembra tutt’altro che reale:
pare infatti che anzi Trump abbia addirittura raddoppiato il suo vantaggio su
Cruz, staccato di ben 13 punti: ora – è
questo il dato dell’ultimo sondaggio di
Nbc e Wall Street Journal – guida il
gruppo dei candidati repubblicani con
il 33% delle preferenze, seguito da Cruz
al 20%. Staccati gli altri (Rubio ha il 13%,
NEL CORNO D’AFRICA LA SICCITÀ PEGGIORE
DEGLI ULTIMI 30 ANNI
Etiopia: per la Fao è
emergenza carestia
Carson il 12% e Bush e Christie il 5%).
Forte di tale dato, il magnate – di fronte ad un pubblico che ha visto in prima
fila la sua famiglia – ha ribadito la sua linea più che
dura sull’immigrazione: “I
rifugiati – ha infatti dichiarato sono un cavallo di
Troia per introdurre nel
Paese il terrorismo”. E quindi “non dobbiamo permettere che questa gente entri
in America”. Per rafforzare
questa tesi, Trump cita i
recenti attentati di Istanbul
e Giacarta: “non è questione di alimentare la paura – tuona – ma
si tratta di una realtà: tra i rifugiati ci
sono poche donne, pochi bambini e
tanti uomini, giovani e forti”.
Dal dibattito, nel quale sono stati affrontati,
oltre alla sicurezza nazionale, anche temi
riguardanti la politica estera e l’economia,
Donald Trump sembra sia uscito ancora
una volta vincitore. L’emblema del “politicamente scorretto” made in Usa a fine
serata è apparso soddisfatto: “se sarò
eletto presidente – ha dichiarato – i miei
figli si divertiranno a gestire le mie
società. A me non interessa. Io userò la
mia testa per l’America”. Una minaccia
o una speranza?
STATI UNITI
Hawai: scontro tra elicotteri militari,
dispersi i membri dei due equipaggi
tavano effettuando una
missione di addestramento in volo notturno i
due elicotteri dei marines che
si sono scontrati al largo delle
Hawaii. L’incidente – riferisce
la Nbc – si è verificato mentre
i velivoli stavano sorvolando
le coste dell’arcipelago e si
trovavano non lontano da Haleiva, circa 40 chilometri a
nord di Honolulu. L’impatto tra
gli elicotteri – due grossi CH
53S da trasporto ciascuno con
a bordo sei militari – è avvenuto
di fronte all’isola di Oahu.
Sembra purtroppo che nessuno
S
dei 12 militari sia sopravvissuto: al momento risultano dispersi, ma la Guardia Costiera,
al lavoro per soccorrere il personale che era a bordo, nelle
perlustrazioni compiute nell’area circostante la collisione a
quanto si è appreso ha individuato soltanto detriti in fiamme.
Tra l’altro, ad ostacolare le ricerche, anche le cattive condizioni del mare con onde alte
e forti correnti. Le autorità militari hanno reso noto che stanno cercando di fare luce sulla
dinamica e sulle cause del graSt.Sp.
ve incidente.
Eurosky Tower .
L’investimento più solido è puntare in alto.
L’agenzia delle Nazioni Unite per l’Alimentazione
ha diffuso una nota in cui lancia
l’allarme sulla situazione del Paese africano
causa dei cambiamenti climatici l'Etiopia sta
affrontando la peggiore
siccità degli ultimi 30
anni. A lanciare l'allarme è la Fao (Agenzia
delle Nazioni unite per
l'Alimentazione e l'agricoltura) che in un
comunicato diffuso oggi avverte
che il verificarsi del fenomeno
de El Niño nella sua forma più
intensa degli ultimi decenni ha
portato alla perdita di diversi
raccolti, decimato il bestiame
e trascinato circa 10,2 milioni
di etiopi nell'insicurezza alimentare. Che ha provocato l'aumento “dei ricoveri di bambini
per casi di malnutrizione acuta,
che hanno raggiunto i livelli
più alti mai registrati”.
Nel lanciare il piano d'intervento
d'emergenza da 50 milioni di
dollari per proteggere gli allevamenti e ristabilire la produzione agricola nel Paese del
Corno d'Africa, l’Agenzia Onu
ha sottolineato che la produzione agricola locale è crollata
in alcune aree del 50%, in altre
addirittura del 90%, mentre
nelle zone orientali “è fallita
completamente”. A causa della
carenza di piogge sono inoltre
A
andati persi “centinaia di migliaia
di capi di bestiame”. Preoccupa
poi fortemente, quanto al raccolto, lo stato delle scorte: “le
riserve sono praticamente esaurite - ammonisce ancora la Fao
- lasciando i contadini vulnerabili
senza mezzi di produzione per
la prossima stagione di semina
che inizia a gennaio”.
L’organizzazione dunque sta
cercando di correre ai ripari,
implementando un piano di assistenza che prevede l’aiuto a
contadini e allevatori. I primi
saranno aiutati nella semina, i
secondi beneficeranno di progetti mirati che comprendono
la distribuzione d’emergenza di
mangimi e vaccini. E’ previsto
infine anche un intervento specifico per contrastare la malnutrizione, anche dal punto di
vista delle conseguenze che ha
avuto sulla salute delle persone.
Agenzia DIRE
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7
Sabato 16 gennaio 2016
STORIA
NEL DICEMBRE DEL 1922 RESTITUÌ IL LIBRETTO A CESARE MARIA DEVECCHI, SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER L’ASSISTENZA MILITARE
E Mussolini rinunciò alla pensione di guerra
Nel 1938 un redattore del Popolo d’Italia ricercò il luogo dove il Duce era stato ferito durante il Primo conflitto
di Emma Moriconi
bbiamo raccontato, Edda
ed io, nel nostro libro dedicato a Donna Rachele,
come alla moglie del
Duce non venne corrisposta la pensione se non negli ultimi
anni della sua vita. Abbiamo visto
che questa vicenda dipese dal fatto
che suo marito, Benito Mussolini,
non aveva mai preso lo stipendio
come Capo del Governo, e dunque
non erano stati per lui versati i contributi. Si sa, non si finisce mai di imparare, e di scoprire, quando si cerca.
E dunque ecco che dall'Archivio
Centrale dello Stato esce dell'altro
in merito a questa vicenda. Una lettera ufficiale del Sottosegretariato
di Stato per l'assistenza militare e le
pensioni di guerra, datata 28 dicembre 1922 (dunque appena due mesi
dopo la Marcia su Roma), inviata da
Cesare Maria Devecchi a Benito
Mussolini dice: "Illustre e carissimo
presidente, ricevo in restituzione il
tuo libretto della pensione privilegiata di guerra a cui intendi rinunziare
a favore dell'Erario. A nome di tutti i
combattenti d'Italia io ti porgo il ringraziamento fervido della grande
madre. Come Sottosegretario di Stato
alla assistenza militare e dalle pensioni di guerra ti rinnovo il ringraziamento per l'esempio altissimo
che hai voluto dare, che fu già accolto
da altri valorosi che rinnovano instancabilmente la loro offerta alla
Patria. L'esempio lancerà il buon
seme per il quale ogni buon combattente guarderà nella propria coscienza se debba o non debba gravare dopo la guerra a carico dell'Erario. L'Iddio della Patria benedice
al gesto del Primo Ministro d'Italia,
della Italia di Vittorio Veneto.Ti unisco,
col tuo consenso, il diploma di benemerenza e la medaglia d'argento
dei benemeriti. Il tuo devoto Cesare
M. Devecchi".
Nel nostro speciale domenicale de-
A
dicato alla Grande Guerra, spesso
riferiamo le vicende che Mussolini
visse al fronte, grazie a quanto egli
stesso ci racconta nel suo Diario di
Guerra (recentemente rieditato da
varie case editrici, e potremmo dire
di essere stati i primi a raccontare
quei fatti ai nostri lettori, a voler essere proprio puntigliosi. E anche in
questo caso ci corre l'obbligo morale
di ringraziare la nipote Edda Negri
Mussolini che ci ha messo a disposizione la sua copia personale).
Sempre a proposito della storia personale di Benito al fronte, dal quale
tornò gravemente ferito, è interessante un documento dell'8 gennaio
1923. Si tratta di una comunicazione
che il Sindaco della Capitale invia
a Mussolini, e che dice: "Eccellenza,
oggi Roma, esaltando in Campidoglio i decorati di medaglia d'oro di
tutta Italia, conferisce ad essi la medaglia coniata dal Comune per attestare devota riconoscenza ai valorosi che hanno combattuto per la
Patria. Mi è sembrato che questa
fosse l'occasione più propizia per
inviare la medaglia di Roma a V.E.
che, assertore fra i primi della giusta
guerra, col valore e col sangue confermò la sua fede".
Oltre all'interessante Diario, abbiamo
però condotto altre ricerche presso
l'Archivio Centrale dello Stato di
Roma, e abbiamo trovato del materiale che ci può aiutare a dettagliare
al meglio quelle vicende. Benito
Mussolini fu ferito il 23 febbraio
1917, a quota 144 di Monfalcone, a
causa dello scoppio di un lanciabombe. Del Foglio Matricolare di
Mussolini abbiamo parlato con Edda
nel libro dedicato a Donna Rachele:
il lettore vi troverà le informazioni
testuali e complete. Dunque non mi
ripeterò sul tema anche in questa
sede. Quanto alle ulteriori informazioni ricavate dalle carte di un secolo
fa, siamo venuti a sapere che erano
presenti al fatto, tra gli altri, il sottotenente Alberto Mostardi e l'aiutante
di battaglia Giuseppe Li Puma. Sappiamo anche che l'11° Bersaglieri
voleva - negli anni Trenta - in quel
punto preciso erigere un cippo commemorativo, ma lo stesso Duce aveva
negato l'autorizzazione. La vicenda
torna di interesse nel 1928, quando
un redattore del Popolo d'Italia Alessandro Nicotera - scrive al Segretario Particolare del Duce Alessandro Chiavolini chiedendo di conoscere il luogo preciso in cui era
avvenuto il fatto "unicamente per un
accertamento di carattere storico e
topografico". Scrive ancora: "A me
e ad altri camerati recatici sul Carso,
anche con la scorta di documenti,
come il 'Diario di Guerra', non è
stato possibile delimitare, in modo
preciso, la località dove il Capo rimase ferito e il tratto di trincea occupato dalla Sua compagnia". La
cosa è urgente, dice Nicotera, per
più ragioni: primo "per un moto
spontaneo dell'animo che qualunque
Italiano avrebbe parimenti avvertito",
secondo perché "la voce dei secoli
futuri reclama questa identificazione",
ancora "perché s'è verificato il caso
della visita di un alto personaggio
straniero che ha cercato inutilmente
quei riferimenti indispensabili per
l'orientamento del visitatore". Ciò
che Nicotera chiede è "fornirmi il
recapito di qualche bersagliere od
ufficiale dell'11° Reggimento presente all'episodio del 23 febbraio
1917 ch'io possa condurre sul posto
per un esatto riconoscimento della
località". A questa semplice richiesta
il Duce acconsente: verga con il
lapis rosso (com'era sua abitudine)
un "Si" a fianco alle quattro righe
che abbiamo appena riportato. La
zona viene precisamente individuata,
grazie alla collaborazione del suddetto Giuseppe Li Puma (o Lipuma,
nelle fonti viene citato in entrambi i
modi, anche se dalla sua firma sembrerebbe "Lipuma"), la località risulta
"coperta di vegetazione alta e fitta
e non curata".
PARTICOLARMENTE COLPITA LA GAMBA DESTRA, I MEDICI RIFERISCONO ANCHE DI UNA PERSISTENTE FEBBRE ALTISSIMA
La cartella clinica di Benito, 1917
“Ferite multiple con permanenza di numerose schegge”
Subì molti interventi chirurgici dolorosissimi
ra i tanti documenti abbiamo
trovato anche la cartella clinica
di Benito Mussolini, che riferisce - al 23 febbraio 1917 questa diagnosi: "Ferite multiple
con permanenza di numerose
schegge". Poi seguono gli appunti
dei medici, che tentiamo di "decifrare". Decifrare è il termine giusto,
i documenti sono molto vecchi e
sono scritti tutti a mano, con
grafia non sempre agevolmente
comprensibile. Il giorno 24 febbraio
il medico annota: "Venne ferito a
quota 144 in seguito a scoppio di
un cannoncino lanciabombe. Presenta ferite multiple alla regione
frontale al 3° superiore dalla faccia
anteriore del braccio destro; alla
regione dorsale della mano sinistra;
agli arti inferiori. Questi ultimi
sono i maggiormente colpiti per
la penetrazione di numerose pic-
F
cole schegge delle quali due si
estraggono mediante piccole incisioni alla faccia anteriore della
coscia destra". Quanto al "menu",
il medico raccomanda latte, caffè,
brodo, uova, qualcosa di incomprensibile e cognac, oltre alla magnesia San Pellegrino. Il 26 febbraio gli vengono prescritti 25
grammi di olio di ricino, brodo,
due uova, latte, caffè e biscotti.
Lo stesso giorno "previa narcosi
cloroformica si provvede alla estrazione di una scheggia [...] dalla
regione dorsale". Il medico annota
che l'estrazione è particolarmente
laboriosa perché la scheggia è
andata a conficcarsi in modo strano, non si riescono a decifrare
bene alcune parole, comunque in
un rapporto del 27 febbraio vediamo che in una sola volta vengono estratte ben tredici schegge
dal suo corpo, la maggior parte
dall'arto inferiore di destra. Qualche
parola riusciamo a leggerla: "... si
incide ampiamente ..." scrive il
medico. Nei giorni successivi continuano le dolorose medicazioni,
gli viene prescritto marsala, caffè
e biscotti, uova, pastina, arance.
Nei giorni successivi si legge qua
e là di drenaggi e altre incisioni
per complicazioni intervenute, con
"pus" che "non defluisce bene alla
coscia": alcuni termini sono completamente illeggibili. Ciò che ancora riusciamo a capire è che ha
uno stato febbrile persistente ( e
infatti ce ne dà conto anche il redattore del Popolo d'Italia Sandro
Giuliani, che lo trova febbricitante
quando va a trovarlo). I medici
procedono quindi con altri operazioni: si parla "di osteotomia",
un intervento chirurgico di inter-
ruzione della continuità di un segmento osseo, al terzo superiore e
al terzo inferiore della tibia. Si
procede "in parte con la fresa, arrivando fino al canale midollare,
che è così ampiamente aperto".
La notte successiva all'intervento,
Benito la trascorre insonne "per il
dolore alla regione operata" scrivono i medici. In capo a un giorno
o due le sue condizioni migliorano,
anche se qualche ricaduta impone
ai medici di rimettere mano sul
paziente: gli viene praticata una
nuova incisione lungo il decorso
del tendine del tibiale anteriore, a
partire dall'estremità inferiore della
piaga della gamba destra "essendosi verificata infiltrazione purulenta lungo il tendine stesso". Questo accade il 28 marzo 1917. Una
curiosità: il letto che Benito occupa
è dapprima (quando si trova al-
Località del Carso dove Mussolini venne ferito
l'Ospedale da Campo 46) il numero
22, poi, quando entra all'Ospedale
n. 3 della Croce Rossa Italiana (2
aprile 1917), il 169.
Il 4 agosto 1917 il Direttore dell'Ospedale Territoriale numero 3
della Croce Rossa Italiana scrive:
"Il sergente Mussolini Benito dell'11
Bersaglieri rip. Lanciatorpedini è
stato ferito da scheggia di can-
noncino lanciabombe con ferite
multiple arti inferiori con permanenza di numerose schegge, con
lesione grave e degenza in questo
Ospedale di mesi quattro circa.
Può quindi essere autorizzato da
codesto On. Comando a fregiarsi
dei distintivo d'onore dei feriti in
guerra".
[email protected]
8
Sabato 16 gennaio 2016
DA ROMA E DAL LAzIO
CONFERMATO LO SCIOPERO GENERALE
DEL 27 GENNAIO
AL VIA LA RACCOLTA FIRME PER SENSIBILIZZARE I LEADER DEI PARTITI DEL CENTRODESTRA
Primarie, An lancia la petizione
Favorevoli Francesco Storace (La Destra) e Luciano Ciocchetti (Conservatori e Riformisti)
zione nazionale passa
all’azione per tentare di
svegliare il centrodestra
ed entusiasmare l’elettorato attraverso le primarie, chieste a più riprese da
Francesco Storace, candidato a
sindaco di Roma e leader de La
Destra.
Per questo oggi, a partire dalle
ore 11 e 30, i militanti del movimento saranno presenti a Roma in
Largo Goldoni per manifestare a
favore del nuovo strumento di selezione della classe dirigente e
per la scelta del candidato sindaco
alle prossime amministrative.
A frenare la consultazione popolare
non è solo Silvio Berlusconi, fortemente contrario, ma anche Matteo
Salvini e Giorgia Meloni che sono
tornati sui loro passi, preferendo il
tavolo delle amministrative del centrodestra.
Così i rappresentati di Azione nazionale rompono il silenzio e, in
occasione del sit-in, lanceranno la
raccolta delle firme per una petizione rivolta a tutti coloro che “si
ritengono di centrodestra” volta a
“sensibilizzare i leader dei partiti
d’area a rivolgersi all’elettorato per
la scelta del candidato sindaco di Roma
da presentare alle amministrative di giugno”, si legge in una nota del movimento.
An lancia il sasso nello stagno e invita
Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia
a sedersi intorno a un tavolo per l’organizzazione delle primarie insieme alle
Salario accessorio,
niente da fare
A rischio la macchina amministrativa
e i servizi. Non si esclude un’azione legale
A
l miracolo non c’è stato. E
Roma si prepara al secondo
sciopero nazionale dei 24mila
dipendenti capitolini, che guadagnano 1.100 euro al mese,
che manderà in tilt sia la città
che la macchina amministrativa.
Sì, perché Tronca e il governo
Renzi non hanno trovato una
soluzione al salario accessorio
dei lavoratori, che pesa per circa
il 30% della retribuzione complessiva, ai quali sarà decurtato
lo stipendio di gennaio con la
conferma, da parte del Comune,
che la parte decurtata, appena
arriverà l’ok del governo, sarà
rimborsata con una determina
ad hoc. Un salvagente, però, che
non evita lo sciopero del 27 gennaio, che potrebbe essere esteso
alle società partecipate. Confermate anche le assemblee dei dipendenti di polizia locale, scuole
materne e asili nido.
Natale Di Cola (Cgil) ha lasciato
il Campidoglio sbattendo la porta. E’ su tutte le furie: “Siamo
arrabbiati, è da irresponsaibli
quanto sta accandendo”, che
ha assicurato: “Appena avranno
il parere della Ragioneria faranno
un altro cedolino a conguaglio
dopo la rideternazione del fondo
da 157 milioni con un atto apposito”.
I
altre forze politiche. Non solo La Destra
e An, ma anche i Conservatori e Riformisti,
che fanno capo a Raffaele Fitto, sono
convinti che “lo strumento delle primarie
è l’unico sistema che può consentire
questo. Certo con regole chiare e precise.
Per questo, stiamo presentando una proposta di legge che regolamenti lo svol-
gimento di elezioni primarie sul modello
Usa”, ha spiegato il neo coordinatore di
Roma e del Lazio, Ciocchetti, che ha aggiunto: “Quindi non posso non condividere l’iniziativa di Storace e di Azione
nazionale per lo svolgimento di primarie
per far decidere dai cittadini il candidato
sindaco di Roma per il centrodestra”.
Martedì comunque ci sarà un
nuovo incontro. “O verranno
reintegrati gli stipendi o altrimenti
l’amministrazione presenterà un
piano di riduzione di servizi da
rendere alla città. Quest’ultima
ipotesi sarebbe il tracollo”, ha
continuato Di Cola.
Tra i servizi coinvolti asili nido,
scuole infanzia, vigili urbani, anagrafe, municipi e uffici comunali.
Eppure secondo la Cgil sia il governo Renzi che il Campidoglio
“avevano la possibilità di dare
una sterzata alla situazione, continueremo a rivendicare che anche Teonca ormai ne è responsabile. Se non ci sarà, come
promesso, il cedolino aggiuntivo
lunedì, con il recupero di quanto
non erogato, partirà anche un’azione legale”.
Stando a uno studio della Cgil
i dipendenti comunali e i ministeriali hanno guadagnato nel
2014 circa 500 euro in meno:
quelli degli enti locali hanno
perso circa 450 euro di salario,
poco meno di 120 euro quelli
impiegati nel servizio sanitario
nazionale mentre hanno toccato
quota 600 i cosiddetti ministeriali.
Si valuta l’ipotesi di convergere
tutte le categorie della città di
Roma in un’unica vertenza.
IL GOVERNATORE DEL LAZIO DISERTA L’INCONTRO PUBBLICO ORGANIZZATO DALL’ANAAO
San Camillo, “il silenzio di Zingaretti è grave”
Lo sfogo: “La richiesta fatta dal più grande sindacato di Roma avrebbe dovuto avere una risposta”
naao Assomed Lazio, l’associazione
dei medici dirigenti, non molla la
presa su Nicola Zingaretti, reo di
aver disertato l’incontro organizzato dal
sindacato per affrontare le gravissime
difficoltà dell’ospedale San Camillo di
Roma.
“Prendiamo atto con rammarico - si
legge sul messaggio della segreteria
della Anaao Assomed aziendale, in occasione della conferenza stampa - che il
presidente Zingaretti non ha aderito al
nostro invito di un pubblico incontro
dedicato alle criticità dell’azienda San
Camillo”. Ma le problematiche non sono
solo legate al pronto soccorso del nosocomio, ma all’intero complesso ospedaliero e “la maggior parte degli ospedali
del Lazio”, ha lamentato ancora l’asso-
A
ciazione.
Per il segretario dell’Anaao, Sandro Petrolati, “la richiesta fatta dal più grande
sindacato di Roma avrebbe dovuto avere
una risposta. Ma c’è stato il silenzio assoluto e questo è grave”. L’associazione
sindacale, pur riconoscendo un timido
accenno di cambiamento con l’apertura
dei 18 posti letto in medicina e l’assunzione di 120 unità sanitarie annunciate,
sottolinea però la lentezza con cui il
cambiamento si sta portando avanti.
A difendere l’operato del governatore ci
ha pensato il direttore generale del San
Camillo, Antonio D’Urso, che ha presentato il rilancio del nosocomio basato
su tre pilastri: interventi di tipo strutturale
per migliorare la fruibilità, di tipo organizzativo e un piano assunzioni.
Rispetto alle serie problematiche del ps,
D’Urso ha assicurato che la situazione è
in netto miglioramento, annunciando
che sarà allargato per 800 metri quadrati
con un piano già presentato alla Regione,
grazie a un finanziamento ad hoc.
“La gara sarà fatta appena avrò il finanziamento da parte della Regione”, ha ri-
badito. Ma dall’associazione sono arrivate
una serie di stoccate contro il governatore
che “da un po’ di tempo ama fare pubblicità a una buona sanità attraverso i
social ma forse è il caso di evitare tanta
propaganda perché qui stiamo ancora
come prima”. Da qui, ha aggiunto Petrolati, “nasce l’idea dell’evento ‘Zingaretti
vieni a parlare con noi’”.
Gli ha fatto eco Antonello Aurigemma,
capogruppo regionale di Forza Italia e
vicepresidente della commissione Salute,
secondo cui “le situazioni di caos del
San Camillo, rappresentano purtroppo
una costante anche per altri nosocomi
di Roma, e riguardano anche altri ospedali delle nostre province, come - tra
gli altri - il Santa Scolastica di Cassino,
il De Lellis di Rieti e il Goretti di Latina…”. La conclusione è al vetriolo: “Le
criticità della sanità non si risolvono
con interventi straordinari, ma serve
una programmazione attenta alle peculiarità dei territori e alle istanze di pazienti
e personale”.
OLTRE AI DUE EX SINDACI, SONO INDAGATE ALTRE 56 PERSONE TRA FUNZIONARI E ASSESSORI
Dirigenti senza gara,
la difesa di Alemanno
Il politico: “Confido in una rapida archiviazione”
li ex sindaci di Roma, Gianni
Alemanno e Ignazio Marino,
sono indagati dalla procura
per abuso d’ufficio, insieme a 56
tra funzionari ed ex assessori del
Campidoglio.
G
Agli indagati viene contestato di
aver nominato dirigenti, a partire
dal 2008, delle persone esterne
all’amministrazione capitolina senza ricorrere alla procedura di selezione pubblica e senza valutare
opportunamente se dipendenti
interni avessero i requisiti per ricoprire quegli stessi ruoli.
Nei prossimi giorni gli indagati
cominceranno a essere interrogati
dal pm titolare dell’inchiesta, Francesco Dall’Olio e dagli uomini del
Nucleo di polizia tributaria.
A fare chiarezza è stato Gianni
Alemanno, ex sindaco di Roma,
che ha affermato in una nota:
“Dell’inchiesta ho personalmente
notizia solo attraverso l’elezione
in domicilio che ho depositato
nel dicembre scorso alla Guardia
di Finanza.
In realtà tutte le procedure di nomina di dirigenti esterni al Comune hanno seguito, per quello
che mi risulta, le stesse identiche
procedure non solo della giunta
Marino, coinvolta anch’essa nell’inchiesta, ma anche delle giunte
di Veltroni e Rutelli”, sottolineando
che “si tratta di procedure da sempre seguite in base alle norme
vigente e secondo un’interpretazione unanimemente data fino ad
oggi, predisposte dagli uffici e
validate dal segretario generale.
Non vedo, quindi, in ogni caso
come possa essere coinvolta la
mia giunta comunale che ha approvato atti predisposti e validati
in sede tecnica”.
“Confido in una rapida archiviazione del procedimento da parte
della magistratura rispetto a scelte
- ha concluso l’ex primo cittadino
- su cui è francamente impossibile
intravedere un profilo penale e
che comunque, lo ripeto ancora
una volta, sono identiche a quelle
da sempre seguite all’interno del
Campidoglio”.
9
Sabato 16 gennaio 2016
DA ROMA E DAL LAzIO
ROMA: LA PROTESTA DEGLI ASPIRANTI VIGIL I URBANI
Gli orfani del concorsone dimenticato
Gianmarco Sciarra: “Vogliamo solo che il concorso venga sbloccato. Meritiamo di fare la prova orale”
a storia infinita del concorso
per 300 posti da vigile urbano
del comune di Roma. Che ad
oggi, dopo quasi sei anni dall’inizio delle procedure (è stato
bandito nel febbraio del 2010), non si
sa ancora se e come andrà a finire. Ci
sarebbe da ridere se non fosse che,
oltre all’ennesima dimostrazione di malcostume della politica italiana (al di là
della lunghezza dei tempi, sono infatti
molti i sospetti di irregolarità e anomalie),
ci vanno di mezzo sia i romani, che di
nuovi “pizzardoni” ne avrebbero bisogno,
sia soprattutto i ragazzi e le ragazze
che speravano, partecipando alle sele
zioni, di realizzare
le loro aspirazioni.
Ragazzi e ragazze che ieri mattina, in
cinquecento, hanno manifestato di fronte
al Campidoglio. Abbiamo intervistato
uno di loro, Gianmarco Sciarra, per
farci spiegare i motivi della loro protesta.
L
Perché siete qui? Quali sono le vostre
richieste?
Siamo venuti qui vestiti di nero. Come
se fossimo in lutto, per chiedere a chi
di dovere di fare qualcosa per evitare
che il concorso, che ad oggi sembra
un malato terminale, muoia del tutto.
Abbiamo invitato rappresentanti di tutte
le forze politiche (presenti in piazza i
consiglieri comunali Onorato – Lista
Marchini, Ghera – An Fdi e Belviso –
Altra Destra, e il senatore Volpi – Lega
ndr), affinché ci aiutino a far sentire la
nostra voce. Volevamo essere ricevuti
dal prefetto Tronca, ma non è stato
possibile. Se ci avesse incontrato gli
avremmo semplicemente chiesto di
portare a termine il concorso, ripristinando la graduatoria Giuliani.
Quella della prima commissione?
Esattamente. Lo abbiamo scritto anche
sui cartelli che molti di noi hanno
esposto oggi. La commissione presieduta dall’ex comandante della Municipale
Angelo Giuliani aveva ammesso circa
2263 persone e ne aveva respinte 488.
Quella subentrata ha fatto esattamente
il contrario. Oltretutto, dopo aver fatto
richiesta di accesso agli atti, ci siamo
accorti che la disparità tra i voti assegnati
dalle due commissioni era troppo grande
per giustificarla come una semplice divergenza di valutazione. Pensa che il
voto del mio compito è passato da 8 a
5.30! E’ assurdo.
Con l’amministrazione capitolina attualmente in carica avete già avuto
contatti?
Sì. Il 9 gennaio i responsabili dell’Arvu,
l’associazione di categoria dei vigili urbani, hanno parlato con Iolanda Rolli, il
sub-commissario alle risorse umane.
Che ha dichiarato di volersi prendere
qualche giorno per visionare la documentazione e capire se e come sbloccare
la procedura senza creare problemi.
Poi più niente. Non ho ben capito cosa
ci sia ancora da visionare e valutare,
dato che il tutto è già passato al vaglio
di carabinieri e Tar. Che tra l’altro ci ha
dato ragione, accogliendo l’istanza cautelare che abbiamo presentato.
Avete esposto il vostro caso anche a
rappresentanti del governo?
Il 18 dicembre abbiamo parlato con
Alessandro Naccarato (Pd) che ci ha
ricevuto a Montecitorio. E ci ha detto
che forse sarebbe stato possibile nella
Legge di stabilità disporre di fondi necessari per la nostra assunzione. Ma
Agenzia Regionale per lo Sviluppo
e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio
anche in questo caso, non abbiamo
più saputo nulla.
Allo stato attuale, quali sono le vostre
speranze?
Ci auguriamo, nel pieno rispetto della
legalità, che il concorso riprenda da
dove si è interrotto. Vogliamo soltanto
fare gli orali e, se andranno bene, diventare vigili urbani. Tra l’altro forze
nuove al Corpo, qui a Roma, servono
proprio: tra pensioni, trasferimenti e
decessi, l’organico della municipale capitolina è quasi metà di quello che servirebbe.
Cristina Di Giorgi
10
Sabato 16 gennaio 2016
DALL’ItALIA
SVUOTATO L’ALBERGO DI LICOLA, PAESE IN PROVINCIA DI NAPOLI
Sequestrato centro di accoglienza
Trasferiti i trecento stranieri che si trovavano nella struttura. Quest’estate erano stati
protagonisti di una clamorosa rivolta. E anche i residenti non li volevano: “La zona è degradata”
ra stata già al centro di numerose
polemiche, dalle proteste della
popolazione che non li voleva a
quelle degli stessi migranti ai
quali, quell’hotel, non andava
bene. Ora quella struttura di Licola, alla
periferia di Giugliano (Napoli) è stata posta
sotto sequestro preventivo e i circa 300
ospiti sono stati trasferiti.
Il provvedimento, eseguito dagli agenti
della Polizia, è stato disposto dal gip del
tribunale di Napoli Nord su richiesta della
locale Procura a seguito delle indagini
condotte dagli agenti del commissariato
di Giugliano, coordinati da primo dirigente
Pasquale trocino.
Da mesi, quello che una volta era un albergo
di lusso e una ricercata location per le più
disparate cerimonie, non era divenuto altro
che un centro di accoglienza per immigrati.
Una scelta dettata dalla necessità di ospitare
i tanti, troppi, sedicenti profughi che si riversavano sulle coste del sud Italia.
Una struttura “improvvisata” che con il passare del tempo ha visto crescere esponenzialmente il numero degli ospiti, arrivati a
diverse centinaia di persone.
Motivo per cui non sono mancate le proteste. Sia da parte della cittadinanza, che
degli stessi migranti. L’ampiezza delle sale
per ricevimenti e del parco non sono bastate a garantire, a loro dire, condizioni di
vita “necessarie e sufficienti”.
Per questo la scorsa estate il complesso
E
era stato teatro di una vera e propria rivolta,
le cui immagini fecero il giro d’Italia. Materassi ammassati uno sull’altro, gettati fuori
dall’albergo dai 350 immigrati che da qualche mese erano stati alloggiati nella struttura (nella foto). Motivo? Il mancato pagamento dei pocket money (2,50 euro al
giorno che la Prefettura passa ogni mese
ai migranti) e le condizioni di vita precarie:
le carenze igieniche, a loro dire, pasti immangiabili, niente visite, niente vestiti. E
poi il numero elevato di persone ospitate
nella struttura. Sul posto erano intervenuti
gli agenti del Commissariato di polizia di
Giugliano, diretti dal primo dirigente Pasquale trocino, insieme ai nuclei antisomossa. La situazione, dopo qualche ora di
mediazione, era ritornata alla tranquillità.
Non erano mancate poi le protese da parte
degli abitanti di Licola, preoccupati sia
della presenza degli stranieri in sé quanto
da possibili reazioni incontrollate che potevano avere.
Agli inizi di luglio i residenti avevano organizzato un sit-in contro l’arrivo di 250 stranieri. “Siamo stanchi – avevamo dichiarato
alcuni partecipanti al sito locale ‘Il Meridiano’
– tra Licola e Varcaturo ospitiamo già circa
un migliaio di immigrati. Crediamo che
possa bastare, la zona già è degradata. In
passato si sono registrati anche disordini e
tensioni con la popolazione residente, molti
di loro la sera girano all’interno dell’albergo
in mutande e urinano all’aperto. Le nostre
case sono vicine ed i nostri bambini non
posso assistere a queste scene, ormai sembra
una giungla”. Poi la richiesta di intervento.
“Ci aspettiamo un intervento immediato da
parte delle istituzioni – avevano detto –
Chiediamo che questi ultimi arrivati vengano
spostati e dislocati su altre zone”.
Risposta che è arrivata. Già dai primi di
gennaio l’albergo è stato pian piano svuotato. Ieri mattina poi il sequestro preventivo.
E gli stranieri? Spostati in un’altra struttura.
L’ennesima dimostrazione dell’emergenza
arriva proprio dalla Campania, la quarta
regione per numero di migranti dopo Lombardia, Sicilia e Lazio, dove la situazione,
nell’arco dei mesi è diventata sempre più
insostenibile.
Barbara Fruch
SI TRATTA DI DUE CLANDESTINI, GIÀ DETENUTI PER SIMILI REATI
Furti: presa coppia di albanesi
Sono responsabili di 29 colpi avvenuti nel Lago Maggiore, tra cui una rapina
entinove furti per un bottino di
quasi un milione di euro. È l’accusa
di cui devono rispondere i due
albanesi Florian Deda (44 anni) e Kleodian
Tetaj (27 anni), clandestini e senza fissa
dimora, autori, secondo le indagini, di
una serie di colpi avvenuti tra giugno e
luglio dello scorso anno nelle province
di Verbania, Novara e Varese.
I due, già in cella per altri reati e rispettivamente detenuti a Lodi e Monza, sono
stati raggiunti da un’ordinanza di custodia
cautelare in carcere notificata dai carabinieri di Verbania. Devono rispondere
di reati che vanno dalla rapina aggravata,
alla ricettazione della refurtiva e di numerosi furti di auto di grossa cilindrata.
L’indagine era partita lo scorso giugno
a seguito di alcuni furti compiuti in abi-
V
tazioni in diversi comuni del Lago Maggiore: le immagini delle telecamere delle
zone interessate dai colpi mostravano
la presenza di auto di grossa cilindrata
risultate rubate che talvolta venivano
abbandonate e sostituite con auto le
cui chiavi venivano trovate all’interno
degli appartamenti svaligiati.
Tra gli episodi contestati ai due c’è la
rapina in una villa di Gignese del 23 luglio: in quell’occasione erano entrati
nella villa - nonostante ci fosse una
luce accesa - e dopo aver immobilizzato
il proprietario e averlo rinchiuso in una
stanza, avevano portato via una cassaforte a muro. Per questo dovranno
rispondere di rapina a aggravata.
Dalla rapina, dunque, ai furti di auto,
agli appartamenti svaligiati: in totale,
secondo le indagini sarebbero quindi
una trentina i colpi compiuti e tentati in
ville e abitazioni.
Non avevano scrupoli. “I criminali, particolarmente attivi e pericolosi con base
in Sesto San Giovanni – spiegano i mi-
AVELLINO
Scatto di gelosia:
uccide il rivale
E
ra convinto che fosse l’amante di sua moglie, per
questo lo ha ucciso. È
stato arrestato un uomo di 52
anni, originario di Mongauto,
in provincia di Avellino, con
l’accusa di aver accoltellato a
morte un 39enne di nazionalità
albanese, residente a Borgo
Giardinetto, frazione di Foggia.
I due pare si siano dati appuntamento nel parcheggio di una
contrada vicino ad Ariano Irpino,
nell’Avellinese, e qui sarebbe
avvenuto il delitto.
Secondo una prima ricostruzione, il 52enne avrebbe ammazzato a coltellate l’albanese.
litari – nel corso dei mesi di giugno e
luglio 2015, in modo spregiudicato, in
orari serali e notturni, svaligiavano le
abitazioni, non curanti dell’eventuale
presenza dei relativi occupanti”.
Gli accertamenti hanno permesso ai militari di risalire ai due albanesi. Il danno
economico delle diverse rapine è stato
stimato in un milione di euro, mentre la
refurtiva è stata in parte già restituita ai
proprietari.
I due soggetti arrestati sono di particolare
pericolosità. Deda è noto alle forze dell’ordine per la cattura, avvenuta dopo
un rocambolesco inseguimento nell’aprile
del 2006 per un furto in abitazione consumato a Vignone. Tetaj che doveva
scontare due anni, risultava irreperibile
da giugno perché colpito da un ordine
di carcerazione a seguito di condanna
definitiva per i reati di ricettazione e
furti in abitazione. Questo è stato arrestato il 23 luglio scorso, mentre a settembre è stato il Deda a finire in manette
dovendo scontare una condanna definitiva a cinque anni di reclusione. B.F.
SASSARI
Lo avrebbe fatto per gelosia:
pensava che l’uomo avesse una
relazione con la moglie. Pare
che il marito li avesse infatti
sorpresi insieme.
Durante la fuga in macchina,
il 52enne ha incrociato una
pattuglia dei carabinieri del
comando provinciale di Avellino, che dopo aver trovato il
corpo esamine senza vita del
39enne, lo hanno inseguito,
bloccato e arrestato. Per far
luce sul caso i carabinieri hanno aperto un'indagine mentre
la Procura di Benevento ha
aperto un fascicolo.
Anziana morta in casa:
non convince il nipote
iallo a Sassari, dove una
donna di 80 anni, Bonaria
Sanna, è stata trovata
morta nel suo appartamento,
nel quartiere di San Giuseppe.
L’ipotesi più accreditata è quella
dell’omicidio. A dare l’allarme,
verso ora di pranzo di ieri, è
stato un nipote che talvolta viveva con lei. Avrebbe spiegato
ai medici che la zia era caduta
G
battendo la testa. Una ricostruzione che però non convince.
Se da un parte gli investigatori
e il magistrato di turno, giunti
sul posto, avrebbero escluso
un decesso per cause naturali,
dall’altra pare non sia stato un
incidente. Si tratterebbe infatti
di omicidio, di una morte violenta. Ancora non si sa quale
sia l’arma del delitto. Le prime
verifiche del medico legale Salvatore Lorenzoni hanno accertato che la morte dell’anziana
risalirebbe a qualche ora prima.
A quel punto il nipote, 36 anni,
figlio di una sorella, è stato accompagnato in Questura per
essere ascoltato. Gli investigatori
fanno sapere di aver sentito anche altre persone. Per ora non
ci sono fermati.
11
Sabato 16 gennaio 2016
DALL’ItALIA
ANCORA TRAGEDIE DOVUTE ALLA CRISI ECONOMICA
Perde il lavoro: si suicida
Piero Fiordigigli era stato messo in mobilità e sarebbe stato licenziato. Ha bevuto acido muriatico
Inutili i soccorsi dopo l’allarme della compagna: dopo un giorno di agonia è morto in ospedale
ra stato messo in mobilità dall’azienda per la quale lavorava, quindi
con stipendio ridotto e verso il licenziamento. Per questo motivo ha
deciso di farla finita.
L’ennesima vittima della crisi arriva dall’Aquilano. È un uomo di 36 anni, Piero Fiordigigli,
di Paganica, che si è suicidato bevendo un
bicchiere di acido muriatico.
A nulla è servito il ricovero in extremis nel reparto di Rianimazione dell’ospedale dell’Aquila,
purtroppo per l’uomo, padre di due bambini
di tre e sei anni, non c’è stato nulla da fare.
In base a quanto accertato dagli agenti della
squadra Volante della questura, coordinati dal
responsabile Nicola Di Pasquale, l’ingestione
dell’acido sarebbe avvenuta mercoledì a ora
di pranzo dinanzi alla compagna, da poco
rientrata in casa.
Prima di compiere il tragico gesto l’uomo
aveva scritto un massaggio a un collega manifestando le sue intenzioni. Il collega è immediatamente andato a casa dell’uomo e, resosi conto della gravità della situazione, ha
avvertito la compagna di Fiordigigli, dipendente di un bar.
E
Proprio la donna, rientrata nell’abitazione, ha
cercato di convincere Piero a non compiere il
drammatico gesto. Dopo i discorsi la situazione
sembrava ritornata alla normalità. Ma poi, improvvisamente, l’uomo ha bevuto l’acido contenuto nel bicchiere.
Immediatamente è stato allertato il 118 che
ha provveduto al trasporto dell’uomo all’ospedale, dove è giunto ancora cosciente,
anche se le sue condizioni sono apparse
subito disperate: devastanti le lesioni provocate
dalla sostanza corrosiva all’esofago e allo stomaco. I medici hanno optato immediatamente
per il ricovero in Rianimazione, dove però il
36enne è deceduto giovedì mattina.
Alla base del gesto le difficoltà lavorative,
come confermato dalla compagna, ancora
sotto choc. Era un lavoratore in mobilità dello
stabilimento Tensiter specializzato nella produzione di manufatti in cemento armato. La
scelta di compiere il gesto estremo è arrivata
proprio dopo l’allontanamento dalla ditta, colpo
di grazia ad una situazione di depressione
dalla quale Fiordigigli stava cercando di uscire.
La mobilità ha aggiunto preoccupazioni che
sono diventate giorno dopo giorno insostenibili
per l’uomo che non ha visto altra via di uscita
se non il suicidio.
Nonostante la dinamica degli eventi appaia
chiara, il pm Simonetta Ceccarelli ha disposto
l’autopsia. Sul posto anche gli agenti della
squadra volante della questura dell’Aquila
che stanno investigando sul fatto.
Mentre il Premier Renzi parla di ripresa, in
Italia si consuma l’ennesimo dramma causato
da una crisi economica senza precedenti. Da
cui non si vede via d’uscita.
Barbara Fruch
A TRENT’ANNI DALL’OMICIDIO LA SVOLTA SUL CASO MACCHI
Stuprata e uccisa: la tremenda fine di Lidia
Arrestato Stefano Binda, ex compagno di liceo, che l’avrebbe assassinata perché convinto che avesse
avuto rapporti sessuali e non avrebbe dovuto per motivi religiosi. Identificato grazie a un messaggio
avrebbe prima violentata e poi uccisa perché convinto che lei si
fosse concessa e che non avrebbe
dovuto farlo per il suo “credo religioso”.
A quasi 30 anni dall’omicidio di Lidia
Macchi, la studentessa di Varese, arriva
la svolta nelle indagini e l’arresto ieri
mattina del presunto assassino: Stefano
Binda, ex compagno di liceo della ragazza
che frequentava insieme alla vittima
ambienti di Comunione e Liberazione.
È accusato di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili, dalla
crudeltà, dal nesso teleologico e dalla
minorata difesa.
Lidia Macchi, che studiava giurisprudenza
alla Statale di Milano, è stata trovata
cadavere nel 1987 nei boschi del Varesotto.
Secondo quanto ricostruito Binda, 48
anni, laureato in Filosofia e descritto
come “colto”, senza occupazione fissa
(prima di essere arrestato viveva con la
madre pensionata a Brebbia, nel Varesotto), e con un passato di droga negli
L’
anni 90, sarebbe salito sull’auto della
giovane il 5 gennaio 1987 nel parcheggio
dell’ospedale di Cittiglio (Varese), dove
Macchi si era recata per andare a trovare
un’amica. L’auto con a bordo i due,
sempre stando all’imputazione, si sarebbe
mossa fino a raggiungere una zona boschiva non distante e là Binda avrebbe
prima violentato la ragazza e poi l’avrebbe punita uccidendola, perché
nella sua ottica aveva
“violato” il suo “credo
religioso” ‘concedendosi’.
Numerose le coltellate
inferte mentre la vittima
che cercava di fuggire.
Lidia Macchi, si legge
in un passaggio del capo
di imputazione, formulato
dal sostituto pg di Milano
Carmen Manfredda,
sarebbe morta per le ferite e per “asfissia” e
dopo una lunga “agonia”
in una “notte di gelo”.
Frasi che riprendono alcune parole scritte nella
misteriosa ed inquietante
lettera anonima che arrivò il giorno dei
funerali alla famiglia Macchi.
Proprio la missiva intitolata “In morte
di un’amica” è tra gli elementi decisivi
per arrivare all’arresto. Secondo le
nuove indagini con perizia calligrafica
il testo sarebbe stato scritto proprio da
Binda. Si tratta di una sorta di poesia
composta da otto strofe e con diversi
riferimenti religiosi (anche un non correttissimo verso in latino), alla crocifissione e all’uccisione di Lidia. Descrizioni della scena del crimine che potevano essere note solo agli inquirenti o
all’assassino.
Lidia Macchi, emerge dall’ordinanza di
custodia cautelare firmata dal gip di
Varese Anna Giorgetti, forse si sentiva
attratta da Stefano Binda, che aveva
fama di “intellettuale dannato” ed era
molto “carismatico” e considerato “un
leader nato” dal gruppo di amici che
frequentavano. E forse pensava di poterlo
aiutare ad uscire dal giro di droga in
cui era finito l’estate precedente, quando
si era avvicinato all’eroina.
“Trenta anni che aspettiamo, finalmente
si fa luce sull'omicidio di Lidia – ha
detto Paola Macchi, madre di Lidia – La
procura di Milano ha lavorato in silenzio,
ma ha lavorato sodo”. Su Stefano Binda,
ex compagno di liceo della vittima, finito
in manette con l’accusa di omicidio, la
mamma di Lidia ha detto di averlo visto
poche volte in passato e che non frequentava né la figlia né la loro casa.
B.F.
PER IL PROCURATORE DI VARESE “NON C'È ALCUNA PROVA DI COMPORTAMENTI ILLEGALI”
Caso Uva, chiesta l’assoluzione di carabinieri e poliziotti
Non c'è alcuna prova di comportamenti illegali
da parte degli imputati”. Per questo il procuratore di Varese, Daniela Borgonovo, ha chiesto
l'assoluzione dei due carabinieri e dei sei poliziotti
imputati davanti alla Corte d’Assise di Varese per
la morte dell’operaio Giuseppe Uva, 43enne deceduto nel 2008 all'ospedale, dopo aver trascorso
parte della notte in caserma. A rinviare a giudizio
gli imputati era stato il gup di Varese.
Secondo i familiari di Uva, il decesso sarebbe
stato causato dal pestaggio subito da Uva durante
la custodia.
Con lui, quando venne fermato per strada dalle
forze dell'ordine, c’era un amico: Alberto Biggiogero.
“
Ma la sua testimonianza, secondo il pm, “non è
attendibile”.
Per il procuratore “non ci sono prove di percosse
né in strada né in caserma”. È stata una “condotta
assolutamente legittima” quella messa in atto dai
carabinieri e dai poliziotti intervenuti nel tentativo
di contenere Uva e l’amico Alberto Biggioggero
che stavano dando in escandescenze.
Secondo il magistrato, insomma, “i carabinieri
quella sera non fecero altro che il loro dovere.
Sono intervenuti per impedire che il reato portasse
a più gravi conseguenze. Che cosa dovevano fare?
- si è chiesta la rappresentante della pubblica
accusa - lasciarli lì ubriachi a rovesciare cassonetti
e a creare ulteriori situazioni di pericolo per i cittadini? Il comportamento di carabinieri e poliziotti
è stato proporzionato e conforme alla legge, così
come giustificato è stato il suo ammanettamento
e la successiva azione di contenimento. I testimoni
che hanno riferito di percosse - ha spiegato poi il
magistrato - o hanno ritrattato o sono stati smentiti
dai fatti”.
Uva morì, dice il pm, per via di una grave patologia
cardiaca e lo stress derivante dal fatto di essere
stato fermato in uno stato di forte ebbrezza alcolica.
E di questa patologia non erano a conoscenza carabinieri e poliziotti.
Per il legale di parte civile di Lucia Uva, sorella di
Giuseppe, Fabio Ambrosetti quella fornita dal procuratore di Varese è “una ricostruzione assolutamente parziale, e che sarà smentita”.
Il processo ricomincia il 29 gennaio quando interverranno gli avvocati di parte civile dei familiari
del muratore.
12
Sabato 16 gennaio 2016
SPETTACOLI
INTERVISTA AL CANTANTE ESPLOSO NEI FAVOLOSI SESSANTA: “MA IO ERO GIÀ TRENT’ANNI AVANTI”
Don Backy, mezzo secolo di musica
“Fedele al Clan, ma poi ruppi con Celentano, e lui sa perché… - I giovani? Oggi esistono
solo i talent” - Intanto ha realizzato cinque volumi con la storia della canzone italiana
artiamo da qui, dall’opera
enciclopedica e ciclopica
che Aldo Caponi, in arte
Don Backy, ha pensato,
scritto, disegnato e realizzato in cinque splendidi volumi
che raccontano la storia della musica
italiana fino al 2012, con aneddoti e
vita vissuta in prima persona.
Allora Aldo, cosa ci puoi raccontare di Don Backy?
“Paradossalmente era più facile
fare musica prima, quando c’era
un solo canale televisivo e il canale
Rai era una novità. Era il 1957 e il
primo successo che ho avuto è
stato ottenuto grazie a una mia fotografia, non più grande di un francobollo, che Mario Riva pubblicò
sulla rivista settimanale Il Musichiere
(editoriale della trasmissione del
sabato che Riva conduceva, ndr).
Quella foto faceva parte di una lettera da me scritta in terza persona
in cui presentavo me stesso come
un cantante di rock and roll. Ricevetti centinaia di lettere da tutta
Italia, molti mi chiedevano di quella
foto e di quel cantante di cui avevo
scritto. Poi Mario Riva, al quale sarò
sempre grato e che ho sempre considerato un mio padrino, vista la
mole della corrispondenza che arrivava al Musichiere, e a me direttamente, prese a cuore la faccenda
anche perché io rispondevo a tutte
le lettere che mi giungevano, con
richieste di foto o di come fare un
disco. Mario Riva mi fece dedicare
un servizio di due pagine sul Musichiere come ‘Agaton’, che fu il
nome del mio primo gruppo, con
un servizio fotografico su di me e
sulla mia famiglia. Fu un’occasione
irripetibile e io che volevo rispondere a tutte quelle lettere, non
avevo i soldi per comprare i francobolli, pertanto li scollavo da quelle he ricevevo e li riciclavo su
quelle che spedivo, previa ripulitura
del timbro, cosa allora non molto
lecita, ma di certo caduta in prescrizione. All’epoca lavoravo in
una conceria e guadagnavo ottomila
lire a settimana; cinque le davo a
casa e il resto lo tenevo per me,
per il cinema, le sigarette, all’epoca
P
fumavo, la benzina da dividere con
Franco Bini in arte Frankie Ballade
per quando andavamo a suonare
assieme. Allora bastava poco e se
avevi un’energia e un’immagine
vincente, potevi ottenere con poco
risultati incredibili, e io ho sfruttato
il momento e l’opportunità costruendo giorno per giorno la mia
storia che poi ho raccontato in queste Memorie di un juke box, cinque
volumi realizzati da me. È il racconto
della mia storia e di quella della
canzone italiana dal 1955 al 2012.
Opera che include fotografie, articoli, minute di canzoni, una bellissima raccolta di emozioni e insegnamenti; perché all’epoca bastava
andare anche una sola volta in televisione a cantare una canzone e
entravi subito in classifica”.
Ma hai mai pensato di proporre
questa tua opera a qualcuno?
“Io so fare molte cose, scrivere
canzoni e musical, recitare, e quello
che potevo l’ho fatto, bene o male
non so, ma quello che non sono
mai stato in grado di fare, è ‘sapermi vendere’. Se potessi proporre queste mie opere, sono certo
che sarei in grado di produrre un
programma di un certo ascolto e
successo. Queste opere, sulle quali
ho lavorato trent’anni, potrebbero
essere pubblicate con successo
perché parlano sì della mia storia,
ma anche della musica in Italia
dal bianco e nero ai nostri giorni;
una storia che difficilmente altri
potrebbero raccontare anche documentalmente come ho fatto io.
Se si parla di Don Backy si dice:
‘Ma sì, un cantante degli anni Sessanta’ e non mi si dà peso… ma
poi, io non mi sono mai sentito un
cantante collocato negli anni Sessanta perché già con le mie canzoni
ero avanti di trent’anni.
Come erano quei favolosi anni
Sessanta?
“Scrivevo per Celentano Sognando,
Pregherò e Sabato triste, una canzone
sul maschilismo. Poi anche L’immensità, Poesia, L’amore; non sono
canzoni degli anni Sessanta, sono
ancora attuali. Poi chi scriverebbe,
come io ho fatto, Sognando, un musical anche per ragazzi che parla di
lealtà, amicizia, amore?
A proposito, come è andata con
Celentano?
“Ho avuto sempre idee e iniziative
fintanto che ho incontrato Celentano,
che mi ha tenuto alla catena per
cinque anni e ha sempre avuto
paura che lo sopravanzassi, non
certo per il suo istrionismo del
quale era maestro, ma per la qualità
delle cose che facevo. Ho fatto il cinema con Lizzani, Puccini, Volonté,
Cucciolla, ed ero pure bravo a recitare; io non avrei mai tradito e lasciato Adriano perché sono uno fedele, però alla fine lui mi ci ha costretto. E lui sa il perché. Ancora
oggi non so quanti dischi ho venduto
ai tempi del clan, forse 500mila? Il
fratello di Adriano faceva i conti e
mi diceva che io ero in classifica,
ma che i mie dischi non li compravano: ma come era possibile? Io
sono l’unico nel Clan che ha rispettato i cinque anni di contratto
perché gli altri andavano via prima;
così Ricky Gianco, dopo un anno,
Guidone dopo due, poi entrarono
Milena e Gino Santercole, ma pure
loro dopo un paio di anni uscirono.
Io sono stato il più fedele e avevo
pure rinnovato per altri cinque anni
rinunciando a una proposta della
Rca, che mi aveva offerto 30 milioni
di lire se avessi firmato per loro,
nel 1968, e lasciato il Clan. Vista la
poca chiarezza contabile, interruppi
il contratto con il Clan. Sono poi
uscito dal giro nel 1974 perché la
Rca mi ha scritturato per recitare e
cantare in teatro, cosa che poi non
avvenne, per colpa loro, dopo che
per due anni avevamo lavorato e
c’era pure Gepi. La Rca, tipo per
riparazione, mi fece fare un Lp di
sola ritmica con Lilli Greco. Ma di
fatto ero fuori dal giro dei cantanti.
Uscito dalla Rca, mi fermai da Buffetti
e comprai tutto l’armamentario per
disegnare, cosa che io non sapevo
fare, andai a casa e disegnai in
quattro anni tutta la mia storia in
Sognando, una commedia musicale
che poi è andata in tv nel 1978 in
nove puntate su Rai due”.
Cosa pensi si possa fare per tanti
artisti bravi ma inascoltati?
“Secondo me non c’è alcuna possibilità perché, da parte di chi potrebbe, non esiste la volontà di tentare nuove strade che non siano
quelle dei talent. Manca il coraggio
e non esistono più i direttori artistici
delle case discografiche, loro si occupano solo di risultati economici
e di conti. Lo scouting di ricerca di
nuovi artisti è finito, purtroppo”.
SG
[email protected]
PARLA IL MITO DELLE SETTE NOTE
Mogol: “Per Sanremo
conta solo l’Auditel”
ogol, mito della musica italiana, è intervenuto su Radio Cusano Campus ed è stato intervistato su vari argomenti,
ad iniziare dall’imminente festival di Sanremo: "Avrebbe
un grande senso il festival.
Però oggi è fatto in base all'auditel. Nel comporlo si cerca subito di avere personaggi
che possano assicurare o garantire ascolti. Ecco perché
poi vengono chiamati i personaggi reduci dai talent,
come Amici. Ricorrono a tutti
M
coloro che hanno un minimo
di notorietà, ma magari ci
sono alcuni straordinari artisti
che non hanno notorietà e
che purtroppo, fatalmente,
non vengono inclusi".
E proprio sui talent ha poi
aggiunto: "Con i talent Battisti
e Mogol non sarebbero mai
nati. I talent si limitano a fare
finte scuole, con maestri improvvisati, con persone che
non sono docenti. Scelgono
gli interpreti sulla base di
molte considerazioni che magari non sono proprio basate
sulla canzone e sull'interpretazione. Battisti-Mogol oggi,
poi, non sarebbero mai nati
anche perché molte radio
producono i dischi. BattistiMogol oggi non sarebbero
mai nati e questa secondo
me non è una notizia entusiasmante".
Mogol ha poi parlato anche
di David Bowie, scomparso
di recente: "Ho scritto la versione italiana di Space Oddity,
anche se il testo era assolutamente nuovo. Entrammo in
contatto perché l'editore mi
fornì la canzone da fare in italiano, ma io la cambiai. Il testo
inglese parlava di spazio, io
non lo sentivo, così gli ho cam-
biato significato. Ho pensato
di scrivere un altro testo, che
poi lui ha approvato, visto che
l'ha anche cantato ed inciso,
in una canzone che poi è diventata 'Ragazzo solo, Ragazza
sola'. Per me il testo è già
nella musica, io cerco sempre
di raccontare qualcosa di concreto, di reale, magari accaduto a me o qualche persona
che conosco. Bowie ha anche
fatto la versione inglese di "Io
vorrei, non vorrei, ma se vuoi",
ma non ha rispettato il testo e
ha fatto una versione che non
mi ha entusiasmato, parlava
di morte, ha fatto un testo
completamente diverso dal
mio. Insomma, non ne fui entusiasta, anche se fu un onore
che interpretasse una nostra
canzone".
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c`eravamo tanto amati - Il Giornale D`Italia