Anno V - Numero 13 - Sabato 16 gennaio 2016 Direttore: Francesco Storace Roma, via Giovanni Paisiello n. 40 Inchieste Famiglia Esteri Rifiuti in Campania: bufera su De Siano Unioni civili, il Pd fa muro Tornano i venti di guerra in Somalia a pag. 3 a pag. 4 Di Giorgi a pag. 5 OGGI A LARGO GOLDONI LA PETIZIONE PROMOSSA DA AZIONE NAZIONALE. DOMENICA 31 GENNAIO LA MANIFESTAZIONE DE LA DESTRA PER RIDARE LO SCETTRO AGLI ELETTORI di Francesco Storace Ho deciso di partecipare alle primarie per il sindaco di Roma”: nel video con cui ha annunciato la sua candidatura, queste parole iniziali di Roberto Giachetti non possono non riguardare anche la nostra riflessione sul tema delle modalità di scelta con cui le coalizioni di presentano alle amministrative. Chi decide, il capo o il popolo? E se è vero che Giachetti è stato designato a correre dal premier e leader del Pd, Matteo Renzi, è altrettanto vero che la parola decisiva sarà degli elettori, se accettare o meno la proposta che arriva dall’apparato. Dall’altra parte, quella che pensavamo fosse la nostra, il campo del centrodestra, invece si sta a fare i guardoni pensando di poter contrapporre al nuovo campione della sinistra un nome scelto nel salotto di palazzo Grazioli. E’ come se si fosse attivata la modalità preistoria. Eppure, le primarie del centrodestra - se il centrodestra vuole riportare il suo popolo alle urne - vanno fatte, per incoronare il candidato che le vincerà, accompagnato dal protagonismo popolare. Magari con più competizione di quella che probabilmente ci sarà a sinistra per far vincere un candidato, che è certamente una persona perbene, “ GUARDONI larne e di confrontarci, sapendo che comunque si tratta di uno spirito libero, come ha dimostrato anche nella mia vicenda legata alla permanenza dell’assurdo reato di vilipendio del capo dello Stato. A destra, si esita ancora e non ci si decide a convocare elezioni primarie. Oggi a Roma, da Largo Goldoni alle 11,30, si avvia una petizione in proposito, rivolta ai vertici del centrodestra, per sollecitare il coinvolgimento del nostro popolo nella scelta dei candidati da contrapporre alla sinistra e ai grillini. La promuove Azione Nazionale, che analogamente ha fatto a Napoli, in una conferenza stampa con diversi altri movimenti. Se da tutta Italia sale la richiesta di democrazia e partecipazione, i dirigenti del centrodestra avvertano il dovere di non essere sordi. Anche La Destra intende sottolineare il primato del popolo sovrano in questa scelta, a partire proprio da Roma dove rilanceremo l’opzione delle primarie per il sindaco nella nostra manifestazione di domenica 31 gennaio. Sarebbe davvero incomprensibile registrare silenzio da qui ad allora, ad ignorare una richiesta che viene dal basso. Fare spallucce metterebbe molti di noi nel dubbio: non avrebbe molto senso dire di far parte di una coalizione che non ascolta la sua gente. Vogliamo consegnare lo scettro al popolo. A sinistra, Giachetti, mai votato dal popolo, si candida alle primarie per Roma. Nel centrodestra sembra impossibile aprire i gazebo ma che non è esattamente una novità: in Campidoglio Giachetti ci ha messo piede nel lontano 1993, da militante radicale arrivato alla corte di Rutelli, prima come suo caposegreteria e poi come capo di gabinetto. E va aggiunto che JUNCKER ALL’ATTACCO, RENZI ALLE CORDE compie anche un atto di grande coraggio: la notizia è che è la prima volta che Giachetti chiede consensi al popolo, essendo stato sempre eletto alla Camera nel listino bloccato che dice di odiare. Nella legislatura in cui ha comin- ciato a mettere piede a Montecitorio, nel 2001, fu eletto-nominato nelle Marche, grazie all’opzione di Dario Franceschini, che si era aggiudicato il collegio rosso di Ferrara. Ma tant’è. Avremo modo di par- NELLA TERRA DELLA MERKEL PISCINE CHIUSE AGLI IMMIGRATI DOPO I FATTI DI COLONIA La Germania adesso ha proprio paura A C’ERAVAMO TANTO AMATI Vignola a pag. 2 ncora scossa dai fatti di Colonia, a quanto pare sottovalutati solo in Italia, la Germania corre ai ripari per cercare di fronteggiare l’emergenza immigrati nel vissuto quotidiano di tutti i giorni. Due le vicende, emblematiche di questi nuovo clima, che arrivano dalla terra della Merkel: a Bornheim, cittadina non distante dalla vecchia capitale Bonn, il Comune ha deciso di tenere fuori tutti gli immigrati maschi dalle piscine pubbliche, dopo le rimostranze di diverse donne, soprattutto giovani, che lamentavano di essere state infastidite sessualmente da un gruppo di profughi arrivato in piscina da un vicino centro di accoglienza.. Le ragazze hanno dichiarato di essere state seguite a più riprese e infastidite anche a ridosso e dentro lo specchio d’acqua “Non c’è altra possibilità per dare un segnale. La nostra concezione di uguaglianza fra i sessi non è in discussione, ma non c’è altra possibilità di dare un segnale”, hanno spiegato gli amministratori. In un’altra cittadina, quella di Rheinberg, è stata invece cancellata la tradizionale sfilata di Carnevale in programma per l'8 febbraio Fruch a pag. 11 per evitare eventuali incidenti durante gli assembramenti. Questa cittadina ospita, in- fatti, un centro di accoglienza per immigrati dove sono arrivate da poco altre 500 persone e il rischio di una deflagrazione sociale è altissimo. Anche i sondaggi dicono che i tedeschi hanno paura e il 60% dei cittadini ritiene che la Merkel abbia fatto entrare troppi immigrati. E addirittura il 70% è convinto che la criminalità in Germania in questo modo aumenterà. Ma anche nel resto d’Europa ci si cautela rispetto all’ondata di immigrati. Come in Danimarca dove, come noto, il Parlamento è chiamato a decidere sulla confisca dei beni dei migranti che in questo modo si pagherebbero le spese di accoglienza. Una PERVERSIONI ACIDE decisione che ha fatto saltare la mosca al naso in tanti benpensanti, ma che in realtà non è nuova, visto che viene già adottata in Svizzera, come riportato dalla tv pubblica elvetica in lingua tedesca. Con tanto di testimonianza di un profugo siriano che, davanti alle telecamere, ha mostrato la regolare fattura ricevuta dopo aver versato una determinata somma alla Confederazione, praticamente tutto quello che aveva con sé, dopo aver pagato i trafficanti di uomini per arrivare fin lì. Ma con tanto di assicurazione controfirmata che, se dovesse lasciare volontariamente la Svizzera entro i prossimi 7 mesi, riavrà indietro quel denaro, come una sorta di cauzione. 2 Sabato 16 gennaio 2016 AttUALItA’ ESPLODE LA QUESTIONE EUROPEA, IL PREMIER È CON LE SPALLE AL MURO Juncker mette l’Italia alla porta dell’Ue Vicenda rifugiati e restrizione di Schengen sullo sfondo dello sfogo del commissario Ue Renzi: non ci faremo intimidire. Ma senza un piano B è destinato a soccombere alla Merkel di Robert Vignola a portata dello scontro tra Europa e Italia è tanto alta che non si può ridurla alla lite tra fidanzatini in atto tra Jean-Claude Juncker e Matteo Renzi. E sullo sfondo di dichiarazioni che attraversano il continente, da Bruxelles a Roma e ritorno, c’è tutto un universo che si muove; di milioni di profughi, di miliardi di euro e di percentuali alle quali non è il caso di affezionarsi troppo. Queste ultime sono quelle del solito rapporto deficit-Pil, quel 3% che potrebbe essere (e sarà) il feticcio al quale appendere l’Italia come pubblico ludibrio. Pena del contrappasso per quel “vilipendio” (il presidente della commissione Ue ha usato proprio quel verbo, vilipendere) alle istituzioni europee in cui il premier si è arrischiato, probabilmente più in sede di vertici che non in pubblico. Tanto che lo sfogo di Juncker è parso ai più un fulmine a ciel sereno. “Ritengo che il primo ministro italiano, che amo molto, abbia torto a vilipendere la Commissione a ogni occasione, non vedo perché lo faccia. È da troppo tempo che non seguo i teatrini della politica interna di certi L paesi”, ha mandato a dire a Renzi il lussemburghese. E meno male che lo ama... “Sono stufo che si accusi la Commissione Ue e l'Europa di non fare abbastanza, perché la Commissione ha fatto tutto quello che era in suo potere ma sono alcuni Stati membri che hanno difficoltà ad applicare le decisioni che sono state adottate”, ha aggiunto, sottolineando che “ci danneggiamo da soli se non mettiamo in pratica quello che abbiamo deciso”. Con un singolare riferimento a questioni di paternità. “Sono molto sorpreso che alla fine del semestre di presidenza italiana — ha dichiarato polemicamente il presidente della Commissione — Renzi abbia detto davanti al Parlamento che è stato lui ad aver introdotto la flessibilità, perché sono stato io. Io, sono stato”, ha assicurato. Alla fine però la lingua ha battuto laddove il dente duole: la questione migranti. “Non è possibile”, ha tuonato Juncker, “che una proposta adottata da Consiglio e Parlamento sui ricollocamenti non sia attuata, ma io non abbandono: noi non aspetteremo gli Stati membri, faremo il necessario là dove bisognerà”. E quel là non è altri che la Turchia, cui (ordina Bruxelles) occorre trasferire al più presto tre miliardi di euro nella speranza che Erdogan blocchi il flusso biblico in atto. Stare con Renzi quindi? Difficile, se ad un attacco del genere invece di rivendicare il diritto-dovere di seguire gli interessi nazionali si trincera dietro parole vuote: “Non abbiamo attaccato Bruxelles o la Commissione, ma non sono uno che si fa intimidire da dichiarazioni ad effetto. Ho l’onore di guidare un grande Paese che dà un sacco di soldi all’Europa e chiede che siano spesi bene. L’Italia ha fatto le riforme ed è quindi finito il tempo in cui si poteva telecomandare la linea da Bruxelles a Roma”. Intanto però il premier deve far posto in agenda: guarda caso, Juncker ha detto che “probabilmente a febbraio mi recherò in Italia perché l’atmosfera tra Roma e la Commissione non è delle migliori. Renzi si lamenta sempre che non sono mai stato in Italia da quando sono diventato presidente della Commissione”. Il 29 gennaio il presidente del consiglio italiano dovrà inoltre recarsi a Berlino dalla Merkel, incontro fissato dopo le ruggini mostrate nelle settimane scorse. In tutto questo spiccano altre parole del commissario Juncker: “Nessuno parla del legame tra Schengen e la libera circolazione dei capitali: la fine di Schengen rischierà di mettere fine all’Unione economica e monetaria e il problema della disoccupazione diventerà ancora più importante, bisogna guardare alle cose nel loro insieme”. Argomento, quello di una “mini-Schengen” dalla quale far restare fuori Italia, Grecia e Paesi dell’est (Ungheria e Polonia in testa) allergici all’accoglienza in salsa tedesca, che proprio dalla Germania è stato fatto strumentalmente rimbalzare anche su quotidiani italiani. E qui abita con ogni probabilità la “intimidazione” che Renzi, nella sua reazione, ha voluto evocare. Il dubbio che tutto questo debba diventare puro oggetto di trattative alla “lascia o raddoppia”, invece che una franca analisi del sistema di costi e benefici che le richieste europee comportano per l’Italia e per l’Europa stessa, allontana dal premier ogni possibile speranza di riuscita. Anche perché il piano B a Roma non c’è. E senza di quello, l’unico destino possibile è il ripetersi di compiti a casa sempre più pressanti ed inutili (quando non direttamente dannosi) per questa povera Italia. DA PALAZZO CHIGI Coltivare marijuana? Ora è più facile Rinviata la depenalizzazione dell’ immigrazione clandestina, passa quella per la violazione dell’autorizzazione all’agricoltura “verde” per scopo terapeutico. Non è più reato neanche guidare senza patente oltivatori diretti (di marijuana) riunitevi! Archiviato il martello, gli eredi del comunismo approdati al governo nazionale si sono occupati ieri di una grande priorità italiana: consentire a chi si diletta a far verde il suo pollice con un’agricoltura stupefacente di prodursi l’erba a casa sua invece di ricorrere al vicino spacciatore, che secondo il proverbio ce l’ha più verde. E se poi l’agricoltore del caso diventa spacciatore, questo è tema che può essere caro solo ai complottisti. Gli hanno dato pure il nome di “pacchetto depenalizzazioni”, C quando ieri mattina lo hanno approvato al Consiglio dei ministri. E tra i reati penali che la riforma trasforma in illeciti amministrativi c’è anche la violazione dell’autorizzazione a coltivare cannabis a scopo terapeutico. Il principio guida, come spiega il comunicato di Palazzo Chigi, è che “sono depenalizzati tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda previsti al di fuori del codice penale e una serie di reati presenti invece nel codice penale. Rimangono dentro il sistema penale ed esclusi dal provvedimento i reati che pur prevedendo la sola pena della multa o dell’ammenda attengono alla normativa sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ambiente territorio e paesaggio, sicurezza pubblica, giochi d’azzardo e scommesse, armi, elezioni e finanziamento ai partiti”. La realtà, è che si abbatte un altro argine alla liberalizzazione selvaggia delle droghe cosiddette leggere, anche se il ministro della Salute Beatrice Lorenzin si è precipitata a disegnare nell’aria i “paletti” che ancora esisterebbero: “Non c’è nessuna depenalizzazione” o quanto meno sono state “soltanto depenalizzate alcune prescrizioni, nel senso che l’im- pianto che produce la cannabis, come l’Istituto farmaceutico militare, a titolo terapeutico ha un processo autorizzatorio. Se ci sono delle prescrizioni - ha proseguito Lorenzin - in cui ci sono delle violazioni, alla prima scatta un’ammenda amministrativa molto pesante, mentre se non si ripristina la procedura viene revocata l’autorizzazione. Da qui a parlare di depenalizzazione, quindi, penso ci sia un doppio salto mortale con avvitamento. Forse era un desiderata di alcuni”. Fatto sta che la direzione è ben tracciata, come dimostra anche il buonumore mostrato ieri sui social network dai “sempre verdi” sostenitori del legalize cannabis. Ed anzi il fatto che vi sono rassicurazioni da parte governativa sul fatto che “la materia sarà regolata nei prossimi mesi con un provvedimento ad hoc” rappresenta un chiaro segnale: fate passare le amministrative e i residui ministri del Ncd al governo non avranno difficoltà a depenalizzare ancora, sulla marijuana come su quello che doveva essere il perno del pacchetto approvato ieri a Palazzo Chigi: l’immigrazione clandestina: Per il momento, ci si accontenta comunque di un’altra depenaliz- zazione: quella di guida senza patente. Chi sarà trovato, la prima volta, alla guida senza licenza o con patente non in regola eviterà il processo penale e pagherà una sanzione tra i 5mila e i 30mila euro, più alta di quella attuale. L’importante è che il governo raggranelli quattrini. E se qualche fenomeno al volante (incoraggiato dall’assenza di reato penale e magari sotto effetto di assunzione di sostanze… depenalizzate) compirà altre stragi, nella cattiva notizia ci sarà pur sempre quella buona: l’erario incasserà l’Iva delle bare. R. V. Via Giovanni Paisiello n.40 00198 Roma Tel. 06 85357599 - 06 84082003 Fax 06 85357556 email: [email protected] Direttore responsabile Francesco Storace IL CASO IN FRANCIA Amministratore Roberto Buonasorte Prova farmaco alla cannabis: è in stato di morte cerebrale el giorno in cui le volontà libertarie della sinistra prendono corpo a Palazzo Chigi, uscendo finalmente allo scoperto, un pessimo spot sulla marijuana “a scopo terapeutico” giunge dalla Francia. Si sono sentiti male bis. A Rennes, in Bretagna, un paziente N volontario si trova in rianimazione in stato di morte clinica, mentre gli altri cinque sono in gravi condizioni, dopo essersi sottoposti a un test per la sperimentazione di un farmaco a base di cannabis. Il ministero della Salute francese parla di “grave incidente”: il test in corso riguarda un medicinale per via orale “in corso di sviluppo in un laboratorio europee”. Sul caso è stata ovviamente aperta un’inchiesta. Comunque sia, nel corso della giornata sono stati resi noti altri particolari su questa vicenda: si sa così che il farmaco in questione è un antidolorifico che contiene una molecola prodotta dalla canapa indiana. È stato somministrato nel laboratorio della società Biotraial che opera nel settore da 25 anni ed è presente anche negli Stati Uniti. La sperimentazione a cui prendevano parte solo otto pazienti (i sei che assunto il farmaco più due sottoposti al placebo) è stata comunque sospesa. I volontari, tutti sani, hanno tra i 30 e i 50 anni e si stavano sottoponendo alla prima fase del test, quella che ha lo scopo di valutare la sicurezza dell'impiego, la tolleranza, i profili farmacologici di una molecola in persone sane. R. V. Capo Redattore Igor Traboni Società editrice Amici del Giornale d’Italia Sito web www.ilgiornaleditalia.org Per la pubblicità Responsabile Marketing Daniele Belli tel. 335 6466624 - 06 37517187 mail: [email protected] -----------------Autorizzazione del Tribunale di Roma n° 286 del 19-10-2012 3 Sabato 16 gennaio 2016 AttUALItA’ ANCORA GUAI GIUDIZIARI IN CAMPANIA PER FORZA ITALIA, MA IL PARTITO FA QUADRATO L’inchiesta rifiuti spazza via De Siano Chiesti gli arresti domiciliati per il senatore, che rinuncia all’immunità e si dimette da coordinatore regionale n'ordinanza di custodia agli arresti domiciliari con richiesta di esecuzione del provvedimento è stata trasmessa al Parlamento nei confronti del senatore Domenico De Siano, coordinatore regionale di Forza Italia. L'inchiesta riguarda appalti per la raccolta dei rifiuti a Ischia e in alcuni comuni del Napoletano per fatti avvenuti nel 2010. Immediate le dimissioni del massimo esponente regionale azzurro. "Rimetto immediatamente nelle mani del presidente Berlusconi l'incarico di coordinatore regionale del partito – ha fatto spere De Siano -. Non voglio che la mia vicenda possa essere oggetto di strumentalizzazione politica e danneggiare Forza Italia".Un'informazione di garanzia è stata emessa dalla Procura di Napoli anche nei confronti dell'ex presidente della Provincia, U Luigi Cesaro, deputato di Fi. L'ordinanza è stata emessa dal gip del Tribunale di Napoli, Claudia Picciotti, su richiesta dei magistrati della sezione Reati contro la Pubblica amministrazione, i pm Maria Sepe e Graziella Arlomede coordinati dal procuratore aggiunto Alfonso D'Avino. A quanto si è appreso sono diversi i reati contestati a vario titolo, dall'associazione per delinquere alla turbativa d'asta e corruzione. Nell'ambito dell'inchiesta è stato arrestato dagli uomini della squadra mobile di Napoli a Lacco Ameno (Ischia) Oscar Rumolo, collaboratore dello stesso De Siano. Oscar Rumolo - finito ai domiciliari - è stato assunto dal Comune di Lacco Ameno quale responsabile del servizio finanziario e tributi e dal novembre scorso distaccato presso la commissione consiliare regionale della "Terra dei Fuochi". Il partito comunque fa quadrato. Paolo Romani, capogruppo in Senato di Forza Italia, parla di "Amicizia, stima e solidarietà per l'amico e senatore Domenico De Siano che ha scelto di rinunciare a tutte le prerogative parlamentari per agevolare il corso dell'inchiesta rifiuti e poter dimostrare, nel più breve tempo possibile, la sua totale estraneità ai fatti. Confidando dunque nel lavoro della magistratura, voglio esprimere vicinanza al senatore e amico Domenico De Siano, anche da parte di tutto il Gruppo Forza Italia al Senato". "Questa volta è la Procura di Napoli a prendere iniziative quanto meno discutibili," dice Brunetta. "Siamo certi che i nostri esponenti dimostreranno la loro totale estraneità in merito ai fatti che vengono contestati. Esprimiamo tristezza per una giustizia che con eccessiva leggerezza tende a ledere le libertà personali in modo sproporzionato e ingiustificato". "In Campania abbiamo già assistito a vicende giudiziarie partite con clamore e rivelatesi infondate,” aggiunge il senatore Maurizio Gasparri, “sono certo che sarà così anche questa volta,” definendo le accuse contro De Siano “surreali”. IL PARLAMENTARE DEL PD HA DEPOSITATO LA PROPOSTA DI LEGGE Fiano vuol “sbiancare” la camicia nera Nel mirino non solo busti del Duce e calendari del Fascismo, ma anche il saluto romano di Robert Vignola a dittatura è alle porte: lo dicono in molti quotidianamente in Italia e spesso partono da ragionamenti che occorre sottoscrivere. Quando invece l’argomento reca la firma di Emanuele Fiano, c’è da sobbalzare sulla sedia: si tratta o no del Responsabile nazionale del Pd, addirittura con delega alle Riforme? Che si sia accorto anche lui della deriva renziana? Macché. Se Fiano presenta leggi (alla Camera, dov’è deputato) contro la dittatura alle porte, ce l’ha col fascismo. E il suo intento L è forte e chiaro: resistere, resistere, resistere! alle bottiglie di vino “nero” col profilo di Mussolini, ai busti del Duce (molti dalla ambigua somiglianza), ai calendari con le massime del Fascismo e le date di bonifiche e fondazioni di città. Facendo perno della propria azione addirittura la Legge Scelba: il parlamentare milanese intende infatti estendere il raggio di azione del reato di apologia di fascismo anche a chi smercia accendini, tazze o magliette con la faccia della Buonanima. Che quindi diventerebbe un reato penale. Per il quale Fiano arriva a profilare FIRENZE: LA VIOLENZA ROSSA COLPISCE ANCORA Spranghe e petardi contro la libreria di Casa Pound I “soliti noti” hanno devastato il centro culturale e colpito con bastoni una ragazza, attivista del movimento di Cristina Di Giorgi n assalto a colpi di bombe carta, mattoni e spranghe. Perpetrato, secondo quanto riferito da alcuni testimoni, da un gruppo di una ventina di persone. Ai danni della libreria fiorentina “Il Bargello” in cui si trovavano, in quel momento, i due responsabili (un ragazzo e una ragazza) e una cliente. La “colpa” del locale, devastato completamente dalla furia degli esagitati attaccanti, era quella di essere la libreria di riferimento di Casapound. E’ accaduto dunque giovedì sera (erano circa le 19) che i “soliti noti” si siano dedicati con malizioso piacere ad uno dei loro passatempi preferiti: la caccia di tanti (loro ovviamente) contro pochi. Oltretutto U quei pochi si trovavano all’interno di un luogo in cui si fa cultura. Quella non conforme, quella non omologata e non allineata. Distruzione dunque. Durante la quale gli “eroi” dal volto coperto si sono anche divertiti a prendersela con la ragazza presente, trascinandola per i capelli e colpendola più volte. “Eroi” che, per completare il quadro, hanno anche ripetutamente inneggiato alla strage di Acca Larentia, dicendo ai due attivisti di Cpi che avrebbero fatto fare loro la stessa fine dei ragazzi uccisi il 7 gennaio a Roma. “Un atto vile e infame – sottolinea in una nota Casa Pound Firenze – che conferma quello che sosteniamo da sempre: c’è una precisa parte, quella antifascista, che fa uso sistematico della violenza come stru- mento di lotta politica”. Ed in questo caso se l’è presa con un luogo in cui “negli ultimi mesi sono state organizzate iniziative dalla forte connotazione sociale, che hanno raccolto il consenso degli abitanti del quartiere”, tra cui “mercatini del libro usato per studenti, la festa della befana per i bambini e innumerevoli dibattiti, conferenze e incontri. Non sappiamo – si legge ancora nella nota - chi siano esattamente i responsabili di questo assalto. Ma è certo che l’attività di odio e intolleranza portata avanti dalle ‘assemblee antifasciste’ in questi mesi ha creato i presupposti per la maturazione della violenza di oggi. E chi politicamente ha coperto l’azione dovrebbe oggi chiedere umilmente scusa”. Chiaramente di scuse neanche l’ombra. E nemmeno delle parole di biasimo e condanna che l’episodio avrebbe dovuto suscitare negli esponenti della politica, locale e non solo. Restano comunque, numerosissimi, i messaggi di solidarietà diffusi sulla rete dai tanti – gruppi, movimenti, associazioni e singoli – che hanno voluto manifestare a Cpi la loro vicinanza. “Questi fatti – hanno detto ancora i ragazzi de Il Bargello – non ci spaventano. Anzi. Dimostrano che la strada presa è quella giusta”. persino un’aggravante di pena, nel caso in cui il reato di apologia prendesse la più moderna e strisciante delle forme: quella online. Alla fine, la domanda è una sola: ma questo ci è o ci fa? “Se guardiamo a quel che sta avvenendo in molte parti d’Europa, dove stanno riprendendo spazio molti movimenti xenofobi, dico che certi atteggiamenti non possono essere assolutamente sottovalutati. Si tratta di simboli? Certo, ma anche i simboli rivestono il loro ruolo. Se riteniamo non più punibili i simboli allora anche ciò che essi rappresentano rischia di non essere più percepito come un problema”, ha detto Fiano in un’intervista al Corriere della Sera. Lasciando in sospeso la domanda di cui sopra. Il fatto è però un altro. Nella proposta di legge depositata si fa riferimento a “tutti i reati di riproduzione di atti, linguaggi e simboli dell’allora partito fascista”. Quindi, ecco Fiano riproporre la punibilità del saluto romano, recentemente oggetto di sentenze contraddittorie tra loro. Probabilmente nella fattispecie di reato rientrerebbe anche il riferirsi a “camerati” e la sensazione netta è che la rischierebbe grossa, in un futuro carnevale, anche chi decidesse di mascherarsi da gerarca. Volevano smacchiare il giaguaro, ma s’accontenterebbero anche di passare in varecchina la camicia nera. Questa è la sinistra italiana. 4 Sabato 16 gennaio 2016 ATTUALITA’ CONTINUA LO STILLICIDIO DEI PICCOLI ADOTTATI DA FAMIGLIE ITALIANE MA DA DUE ANNI BLOCCATI NEL PAESE AFRICANO Arrivati dal Congo altri 10 bambini su 150 Mercoledì i genitori ancora in attesa si incateneranno in segno di protesta davanti a Palazzo Chigi di Igor Traboni anno potuto finalmente abbracciare i genitori e trascorrere la prima notte nella nuova casa i 10 bambini congolesi, adottati da altrettante famiglie italiane, arrivati all’aeroporto romano di Fiumicino dopo un’attesa durata oltre due anni (e prolungatasi inspiegabilmente per altri due mesi e mezzo, come diremo meglio tra poco), accompagnati dal responsabile di Nova, l’ente che ne ha seguito la pratica adottiva. Nella Repubblica Democratica del Congo restano però altri 140 piccoli, pure regolarmente adottati da famiglie italiane in possesso di tutti i requisiti, dopo che quel governo ha deciso (settembre 2013) una moratoria delle adozioni internazionali, per via di alcuni ‘intoppi burocratici’ e documentazioni ritenute non a posto nelle relazioni con alcuni Paesi – ma non l’Italia – da cui provengono le famiglie desiderose di adottare un bambino congolese. Ricordiamo anche la vicenda di numerose di queste famiglie italiane rimaste a lungo bloccate nella capitale del Congo, nell’attesa - per molti risultata purtroppo vana - di poter finalmente tornare a casa ma con il piccolo adottato. Solo nel maggio 2014 un primo gruppo di bambini è arrivato in Italia – 31 per la precisione – accompagnati dal ministro Boschi. Il governo allora aveva promesso una rapida soluzione della H vicenda, ma di fatto poco o nulla è stato fato e, come detto, la situazione ora si è felicemente sbloccata ma solo per 10 di quei piccoli ancora in attesa in Africa. Una scarsa incisività politica e diplomatica a fare il paio con quella dei governi precedenti, in particolar modo dell’esecutivo Monti e dell’allora ministro Kyenge, che pure volò nel ‘suo’ Congo ma senza riportare a casa il benché minimo risultato. L’arrivo di questi dieci bambini fa seguito alla decisione presa oltre due mesi fa dal ministro della Giustizia e dei Diritti umani del Congo di sbloccare la situazione per com- plessivi 72 bambini di tutto il mondo, compresi i 10 italiani. Già in passato avevamo dato conto di una sorta di ‘corsia preferenziale’ per i bambini di altre nazionalità rispetto a quelli italiani, anche in questa ulteriore attesa di due mesi e mezzo rispetto al via libera congolese. Un ritardo rispetto al quale - così come su tutta la vicenda – mancano notizie ufficiali, con un caldo ‘invito’ alle stesse associazioni e ai genitori a non dire niente, arrivato da parte della Cai, la Commissione governativa che si interessa delle adozioni internazionali. O che ‘dovrebbe’ occuparsene, visto IN PIAZZA SABATO 30 “PER DIFENDERE I NOSTRI FIGLI” Presentato il Family day che da un paio di anni a questa parte si contano sulle dita di mezza mano le riunioni dell’organismo presieduto da Silvia Della Monica, ex parlamentare pd. Secondo alcune indiscrezioni, la stessa Della Monica verrà sollevata dall’incarico nelle prossime settimane, forse neanche fin troppo casualmente a ridosso dell’eventuale approvazione del ddl unioni civili e della pare che potrebbe riguardare anche le adozioni da parte di omosessuali. Intanto, proprio per sollecitare un maggiore attenzione da parte del governo e una soluzione della vicenda, mercoledì prossimo 13 gen- naio alcuni dei genitori adottivi dei piccoli ancora in Congo protesteranno incatenandosi davanti a Palazzo Chigi. Anche perché c’è da considerare purtroppo un’altra variabile che potrebbe peggiorare la situazione: a metà del prossimo mese di febbraio in Congo si andrà alle urne e, come spesso accade nei Paesi africani in queste occasioni, c’è il rischio di stravolgimenti politici e, secondo le notizie che rimbalzano proprio da Kinshasa, anche di una sorta di guerra civile. Il che renderebbe ancora più complicato il già scarso operato della diplomazia italiana. TRA I FANALINI DELL’UNIONE EUROPEA Libertà educativa, l’Italia al quarantasettesimo posto a libertà di educazione non è di casa in Italia che, nell’apposita classifica mondiale, si colloca al 47° posto su 137 Paesi, un po’ sopra l’Indonesia e appena sotto al Messico. L’ultimo Rapporto è quello promosso dalla Fondazione Novae Terrae, in collaborazione con l’Oidel (Organizzazione non governativa attenta ai temi dell’educazione con status consultivo presso le Nazioni Unite), l’Unesco e il Consiglio d’Europa. E a livello di Unione Europea, peggio di noi sono messi solo Grecia, Cipro, Bulgaria e Croazia. Il Rapporto –aggiornato alla fine del 2015 – mette in luce come a tredici anni di distanza dalla prima rilevazione l’8% dei Paesi esaminati ha introdotto meccanismi di finanziamento delle scuole non governative (termine che comprende anche gli istituti paritari e quelli privati) Per quanto riguarda la libertà di scelta delle famiglie in campo educativo, la Fondazione Novae Terrae evidenza che gli Stati, come chiesto dalla Riso- L ifendiamo i nostri figli. E’ questo il ‘titolo’ scelto per il family day, ufficializzato ieri per sabato 30 gennaio a Roma con una dichiarazione rilasciata da Filippo Savarese, portavoce in Italia di Manif pour tous e Generazione Famiglia, per conto del comitato promotore che la definisce “una grande manifestazione di popolo a difesa della famiglia e del diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà”. L’obiettivo dichiarato, ha aggiunto Savarese, è quello “di chiedere che il ddl Cirinnà sia ritirato immediatamente e per sempre. I motivi della no- D stra contrarietà sono ormai noti e sempre più largamente condivisi, al di là delle appartenenze religiose e anche politiche: la famiglia, che genera e cresce figli, non ha pari nella società, e dunque è gravissima la parificazione che alcuni vogliono fare con le unioni gay, fotocopiando le leggi sul matrimonio e applicandole anche alle unioni civili". Per Toni Brandi, presidente dell'associazione Pro Vita onlus e del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, pure tra i promotori del nuovo Family day “dobbiamo fermare questo disegno di legge ingiusto, di- scriminatorio, pretestuoso e incostituzionale”. Non è prevista una partecipazione ufficiale della Chiesa ma, come ha ripetuto più volte il segretario della Cei Galantino , non verranno lasciati soli “quanti nelle sedi opportune e nel rispetto delle proprie competenze vorranno dare un loro contributo costruttivo”. Esclusa anche la presenza di simboli di partito, come ha rimarcato il senatore di FI Maurizio Gasparri: “Parteciperemo in tanti ma come cittadini che vogliono difendere i figli e la famiglia”. luzione del Parlamento Europeo sulla libertà di educazione del 14 marzo 1984, hanno l’obbligo di rendere possibile anche sul piano economico, l’esercizio pratico di questo diritto e di concedere alla scuole non statali le sovvenzioni pubbliche necessarie all’esercizio della loro missione, senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale. Pluralismo scolastico che invece neppure esiste in alcuni Paesi, dalla Cuba di castro passando alla Libia e fino al Gambia, dove è addirittura vietato metter su scuole non governative. Con i vari indicatori – dagli aiuti economici alle scuole non governative al tasso di iscrizione – la classifica stilata vede l’Irlanda al primo posto con 389 punti ; quindi Olanda (353), Belgio (352), Malta (326), Danimarca (312) e Gran Bretagna (305). Bene anche Cile (303,3), Finlandia (301), Slovacchia (298) e Spagna (281,1). L’Italia, come detto, è solo al 47° posto con 228,1. Grossi avanzamenti in classifica si registrano in Ecuador, Guatemala, Israele, Islanda, Giordania, Slovacchia e Perù, mentre arretrano Costa Rica, Honduras, Repubblica democratica del Congo, Malaysia e Pakistan. 5 Sabato 16 gennaio 2016 ESTERI SOMALIA TERRA DI CONQUISTA DI AL QAEDA Al Shabaab all’attacco: sessanta morti L’assalto alla base dell’Unione africana di Ceel Cado, iniziato con l’esplosione di un’autobomba, è durato diverse ore. Ed è stato subito rivendicato di Cristina Di Giorgi INDONESIA terroristi di Al Shabaab hanno attaccato la base dell’Unione Africana di Ceel Cado, situata nella città di El Ade nel sudovest della Somalia, vicino al confine con il Kenya. Stando alle prime ricostruzioni i miliziani, organizzati in un commando composto di decine di uomini, hanno fatto esplodere davanti ai cancelli un’autobomba guidata da un attentatore suicida. E sono quindi riusciti ad irrompere all’interno del perimetro della struttura, che si trova a circa 500 chilometri da Mogadiscio. Successivamente, armati di tutto punto, hanno iniziato a sparare all’impazzata, facendo strage dei soldati che si trovavano all’interno del compound. Secondo il network panarabo Al Jazeera, i morti sono almeno una sessantina (cifra questa, riportano le agenzie, che sembra sia stata però smentita da una dichiarazione della Difesa del Kenya). La notizia, riportata dalle agenzie, è stata confermata da fonti militari, che hanno precisato che l’attacco è iniziato prima dell’alba di venerdì ed è durato diverse ore. Un testimone, raggiunto telefonicamente, ha dichiarato alla BBC di aver sentito Giacarta: arrestati tre sospetti terroristi I Dopo quanto accaduto giovedì nella capitale, le autorità hanno rafforzato le misure di sicurezza e forze dell’ordine indonesiane hanno reso noto di aver arrestato tre uomini, sospettati di avere legami con l’estremismo islamico (non è ancora stato chiarito ufficialmente se i fermi hanno direttamente a che fare con gli attentati di giovedì). La notizia è stata diffusa dall’emittente locale Metro Tv, che riporta le dichiarazioni del capo del distretto di polizia di Depok. L’ufficiale ha fatto sapere che i tre sono stati prelevati all’alba di venerdì nelle loro case. Il colonnello Dwiyono ha poi spiegato che gli arrestati sono sospetti miliziani ed attualmente sono sottoposti ad interrogatorio. La tv ha quindi trasmesso le immagini dei tre uomini in manette scortati dagli agenti. Facendo il punto sulle indagini relative agli attacchi nella capitale (rivendicati dal Califfato, che ha dichiarato in una nota di avere avuto come obiettivi “cittadini stranieri e postazioni di polizia”), il capo delle forze dell’ordine di Giacarta ha fatto sapere che le autorità hanno fino ad ora identificato quattro dei cinque attentatori suicidi (tutti morti), due dei quali erano segnalati per attività legate all’estremismo islamico. Uno di loro – L una forte esplosione seguita da una serie di spari intorno alle 5.30 del mattino. Ed ha aggiunto: “La base è nelle mani di Al Shabaab. Abbiamo visto auto militari in fiamme e soldati morti dappertutto Non ci sono vittime civili. La maggior parte delle persone ha già lasciato la città”. Il feroce gruppo terroristico, legato ad Al Qaeda, ha già rivendicato l’attentato mediante un comunicato diffuso dalla radio on line legata ai miliziani. Nella nota si annuncia di “aver preso il totale controllo” della base, che ospita un contingente delle forze di pace dell’Unione Africana ed è gestita dall’esercito keniano. A par- lare è Abdiaiz Abu Musab, portavoce di Al Shabaab, organizzazione terroristica nata nella seconda metà degli anni Duemila e dal 2012 affiliata ad Al Qaeda. Respinto dalle principali città somale, il gruppo terroristico sembra sia attualmente insediato in vaste aree rurali del Paese, dalle quali continua a lanciare operazioni di guerriglia e attacchi suicidi in tutto il Corno d’Africa. Nel frattempo l’aviazione keniana, stando a quanto riportato da Shabelle news, ha lanciato un raid aereo contro le roccaforti di al Shabaab nella regione sud occidentale somala del Gedo. riporta la BBC – è Afif Sunakim, già noto in quanto aveva in passato scontato sette anni di carcere per aver preso parte ad un campo di addestramento per estremisti. Secondo quanto riferito in precedenza inoltre, gli inquirenti hanno individuato in Bahrum Naim, un indonesiano che si ritiene si trovi attualmente in Siria a combattere con l’Isis, il coordinatore degli attacchi. Le autorità hanno infine dichiarato che tutto il Paese è in stato di massima allerta: la “sicurezza è stata rafforzata negli uffici governativi, nelle stazioni di polizia, ambasciate e centri commerciali”. E si sta anche indagando per individuare eventuali altre cellule di estremisti islamici. Anche perché, ha fatto sapere il presidente Widodo, “in Indonesia non c’è posto CdG per il terrorismo”. TURCHIA SIRIA Ankara, tra complottisti e repressione “Sono dell’Isis, mi cercate?” Le autorità locali dichiarano di considerare l’Isis una pedina usata ai loro danni. E fanno arrestare chi firma per la pace con i curdi e autorità di Ankara si schierano decisamente contro i terroristi che “sono delle pedine manipolate da chi non vuole una Turchia forte”. Così il vicepremier Numan Kurtulmus che, parlando alla televisione locale Haberturk, a proposito dell’attacco di martedì a piazza Sultanahmet ha dichiarato: “attentati ben preparati e perpetrati in date strategiche cercano di mandare un messaggio al Paese, come se tutto fosse pianificato”. Ci sarebbe quindi a suo dire un tentativo di “sabotare l’economia e impedire le riforme politiche e democratiche”, onde evitare che la “Turchia sia un attore importante in Medio Oriente, soprattutto per quanto riguarda le questioni siriane e irachene”. Affermazioni queste che seguono di poche ore quelle del primo ministro Davutoglu, che aveva anch’egli evocato l’esistenza di una regia occulta che utilizza l’Isis per danneggiare la Turchia. E se è senz’altro vero, ipotesi L di complotto a parte, che lo Stato Islamico con le azioni di Istanbul ha colpito duramente il Paese, non è solo dall’Isis che Ankara si sente minacciata. Sul fronte interno vi sono infatti le continue azioni dei ribelli indipendentisti curdi l’ultima delle quali, appena due giorni fa, ha preso di mira una stazione di polizia nel sud est della provincia di Diyarbakir. A tal proposito però, la reazione delle autorità ha dimostrato di tenere in scarsissimo conto le possibilità di risolvere la questione curda con mezzi che non siano militarmente repressivi. All’appello che molti docenti universitari hanno sottoscritto per chiedere una soluzione pacifica alla questione, Ankara ha infatti risposto con un’ondata di arresti. Sono dodici, al momento, gli accademici finiti in manette (ma vi sono ancora 9 mandati non eseguiti) con l’accusa – riferisce l’agenzia di stampa statale Anadolu - di “propaganda terroristica” a favore del PKK. I fermi, eseguiti ieri mattina all’alba, sono il primo atto di un’inchiesta avviata alla procura locale su più di mille accademici di 90 università turche che, promuovendo la petizione, si sono resi responsabili di “insulti allo Stato” e, appunto, propaganda a favore di organizzazioni terroristiche. Il documento “incriminato” è stato lanciato dal gruppo Accademici per la pace e si intitola “Non faremo parte di questo crimine”: il riferimento è alle operazioni portate avanti da Ankara nella regione del sudest del Paese (a maggioranza curda). I firmatari – quasi 6500 in tutto il mondo, tra cui anche nomi noti come il sociologo statunitense Noam Chomsky – chiedono al governo di mettere fine ai “massacri deliberati e alla deportazione di curdi e altre persone”. Pacifisti? Difensori dei diritti civili? Sostenitori della necessità (e utilità) di adire a vie diplomatiche? No. Traditori. Così almeno li considera il presidente Erdogan. Loro e, verosimilmente, tutti coloro si oppongono alla sua politica. Stella Spada La singolare telefonata di un cittadino turco a un commissariato della capitale uole sapere se nei suoi confronti è stato emesso un mandato d’arresto per terrorismo. Ed allora telefona al commissariato di polizia di Ankara: “Pronto? Sono dell’Isis. Mi cercavate?”. Il protagonista di tale singolare vicenda è un cittadino turco che da due anni e mezzo si trova in Siria tra i combattenti dello Stato Islamico. La notizia della telefonata è emersa pochi giorni dopo l’attentato suicida di Istanbul e risulta dagli atti di un’inchiesta in corso nella capitale su gruppi jihadisti. Secondo quanto riferito, gli agenti avrebbero risposto che poteva verificarlo recandosi di persona alla stazione di polizia più vicina. “Sono nello V Stato Islamico adesso. La Turchia – ha risposto l’uomo – è la mia patria, tornerò. Lo chiederò quando tornerò”. Secondo quanto riferito dal quotidiano turco Zaman, l’estremista da quando è fuggito in Siria è rientrato già una volta nella sua città di origine, nel nord ovest del Paese, dove avrebbe tentato di reclutare volontari per l’Isis. Ed avrebbe anche tentato di portare via con la forza suo fratello per condurlo con sé. Forse per questo è stato denunciato dal padre. Secondo Zaman un mandato d’arresto è stato effettivamente emesso nei suoi confronti dalle autorità di St.Sp. Ankara. 6 Sabato 16 gennaio 2016 ESTERI PRESIDENZIALI USA 2016 Donald Trump, simbolo del“politicamente scorretto” Il magnate se la prende ancora con islam e immigrati. E dice al rivale Cruz: “sei ineleggibile” di Stella Spada onald Trump colpisce ancora. Questa volta i suoi strali sono diretti contro il suo rivale repubblicano Ted Cruz. Sulla cui testa – ha dichiarato il discusso magnate nel corso del dibattito trasmesso in diretta tv da Charleston, in South Carolina – pende “un grosso punto interrogativo”. Il fatto che Cruz sia nato in Canada da madre americana e padre cubano, secondo Trump sarebbe infatti causa di ineleggibilità alla Casa Bianca, in quanto la Costituzione Usa prevede che i candidati alla presidenza siano “natural born citizens”, cioè cittadini naturali dalla nascita. Cruz, che ritiene comunque di avere i requisiti in quanto le disposizioni costituzionali si applicano a suo dire anche ai figli di cittadini statunitensi nati all’estero, ha tentato di rispondere all’attacco di Trump con una battuta. “Da settembre la Costituzione non è cambiata” ha detto al collega di partito, riferendosi al fatto che mesi fa il magnate non aveva messo in discussione la sua eleggibilità. “Sono però cambiati i sondaggi” ha poi ag- D giunto, ricordando a Trump il calo di popolarità di cui a dire del senatore texano il magnate starebbe soffrendo in vista delle prime tappe elettorali delle primarie in Iowa e Hampshire, previste tra due settimane. Un calo che però, stando alle rilevazioni nazionali, sembra tutt’altro che reale: pare infatti che anzi Trump abbia addirittura raddoppiato il suo vantaggio su Cruz, staccato di ben 13 punti: ora – è questo il dato dell’ultimo sondaggio di Nbc e Wall Street Journal – guida il gruppo dei candidati repubblicani con il 33% delle preferenze, seguito da Cruz al 20%. Staccati gli altri (Rubio ha il 13%, NEL CORNO D’AFRICA LA SICCITÀ PEGGIORE DEGLI ULTIMI 30 ANNI Etiopia: per la Fao è emergenza carestia Carson il 12% e Bush e Christie il 5%). Forte di tale dato, il magnate – di fronte ad un pubblico che ha visto in prima fila la sua famiglia – ha ribadito la sua linea più che dura sull’immigrazione: “I rifugiati – ha infatti dichiarato sono un cavallo di Troia per introdurre nel Paese il terrorismo”. E quindi “non dobbiamo permettere che questa gente entri in America”. Per rafforzare questa tesi, Trump cita i recenti attentati di Istanbul e Giacarta: “non è questione di alimentare la paura – tuona – ma si tratta di una realtà: tra i rifugiati ci sono poche donne, pochi bambini e tanti uomini, giovani e forti”. Dal dibattito, nel quale sono stati affrontati, oltre alla sicurezza nazionale, anche temi riguardanti la politica estera e l’economia, Donald Trump sembra sia uscito ancora una volta vincitore. L’emblema del “politicamente scorretto” made in Usa a fine serata è apparso soddisfatto: “se sarò eletto presidente – ha dichiarato – i miei figli si divertiranno a gestire le mie società. A me non interessa. Io userò la mia testa per l’America”. Una minaccia o una speranza? STATI UNITI Hawai: scontro tra elicotteri militari, dispersi i membri dei due equipaggi tavano effettuando una missione di addestramento in volo notturno i due elicotteri dei marines che si sono scontrati al largo delle Hawaii. L’incidente – riferisce la Nbc – si è verificato mentre i velivoli stavano sorvolando le coste dell’arcipelago e si trovavano non lontano da Haleiva, circa 40 chilometri a nord di Honolulu. L’impatto tra gli elicotteri – due grossi CH 53S da trasporto ciascuno con a bordo sei militari – è avvenuto di fronte all’isola di Oahu. Sembra purtroppo che nessuno S dei 12 militari sia sopravvissuto: al momento risultano dispersi, ma la Guardia Costiera, al lavoro per soccorrere il personale che era a bordo, nelle perlustrazioni compiute nell’area circostante la collisione a quanto si è appreso ha individuato soltanto detriti in fiamme. Tra l’altro, ad ostacolare le ricerche, anche le cattive condizioni del mare con onde alte e forti correnti. Le autorità militari hanno reso noto che stanno cercando di fare luce sulla dinamica e sulle cause del graSt.Sp. ve incidente. Eurosky Tower . L’investimento più solido è puntare in alto. L’agenzia delle Nazioni Unite per l’Alimentazione ha diffuso una nota in cui lancia l’allarme sulla situazione del Paese africano causa dei cambiamenti climatici l'Etiopia sta affrontando la peggiore siccità degli ultimi 30 anni. A lanciare l'allarme è la Fao (Agenzia delle Nazioni unite per l'Alimentazione e l'agricoltura) che in un comunicato diffuso oggi avverte che il verificarsi del fenomeno de El Niño nella sua forma più intensa degli ultimi decenni ha portato alla perdita di diversi raccolti, decimato il bestiame e trascinato circa 10,2 milioni di etiopi nell'insicurezza alimentare. Che ha provocato l'aumento “dei ricoveri di bambini per casi di malnutrizione acuta, che hanno raggiunto i livelli più alti mai registrati”. Nel lanciare il piano d'intervento d'emergenza da 50 milioni di dollari per proteggere gli allevamenti e ristabilire la produzione agricola nel Paese del Corno d'Africa, l’Agenzia Onu ha sottolineato che la produzione agricola locale è crollata in alcune aree del 50%, in altre addirittura del 90%, mentre nelle zone orientali “è fallita completamente”. A causa della carenza di piogge sono inoltre A andati persi “centinaia di migliaia di capi di bestiame”. Preoccupa poi fortemente, quanto al raccolto, lo stato delle scorte: “le riserve sono praticamente esaurite - ammonisce ancora la Fao - lasciando i contadini vulnerabili senza mezzi di produzione per la prossima stagione di semina che inizia a gennaio”. L’organizzazione dunque sta cercando di correre ai ripari, implementando un piano di assistenza che prevede l’aiuto a contadini e allevatori. I primi saranno aiutati nella semina, i secondi beneficeranno di progetti mirati che comprendono la distribuzione d’emergenza di mangimi e vaccini. E’ previsto infine anche un intervento specifico per contrastare la malnutrizione, anche dal punto di vista delle conseguenze che ha avuto sulla salute delle persone. Agenzia DIRE Eurosky Tower è il grattacielo residenziale di 28 piani che sta sorgendo a Roma, nel prestigioso quartiere dell’EUR. Un progetto modernissimo e rivoluzionario che coniuga esclusività e tecnologia, ecosostenibilità ed eleganza. Eurosky Tower è destinato a diventare un simbolo di Roma e soprattutto un grande investimento che si rivaluterà nel tempo. Le residenze sono state progettate per offrire spazi comodi, ma al tempo stesso funzionali, perfettamente rifiniti in ogni dettaglio e con tagli che vanno dai 50 mq fino agli oltre 300 mq. La vicinanza di grandi aziende (italiane e multinazionali) e la posizione assolutamente strategica rispetto agli aeroporti e al centro città garantiscono una elevata richiesta di unità abitative di piccolo/medio taglio in affitto per manager e dirigenti. Al 19° piano, ad oltre 70 metri di altezza, sono state realizzate le prime tre residenze campione, altamente rifinite in ogni singolo dettaglio. Per prenotare la tua visita contatta i nostri consulenti al numero 800 087 087. RE AWARDS Premio Speciale Smart Green Building UFFICIO VENDITE Roma EUR Viale Oceano Pacifico (ang. viale Avignone) Numero Verde 800 087 087 www.euroskyroma.it 7 Sabato 16 gennaio 2016 STORIA NEL DICEMBRE DEL 1922 RESTITUÌ IL LIBRETTO A CESARE MARIA DEVECCHI, SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER L’ASSISTENZA MILITARE E Mussolini rinunciò alla pensione di guerra Nel 1938 un redattore del Popolo d’Italia ricercò il luogo dove il Duce era stato ferito durante il Primo conflitto di Emma Moriconi bbiamo raccontato, Edda ed io, nel nostro libro dedicato a Donna Rachele, come alla moglie del Duce non venne corrisposta la pensione se non negli ultimi anni della sua vita. Abbiamo visto che questa vicenda dipese dal fatto che suo marito, Benito Mussolini, non aveva mai preso lo stipendio come Capo del Governo, e dunque non erano stati per lui versati i contributi. Si sa, non si finisce mai di imparare, e di scoprire, quando si cerca. E dunque ecco che dall'Archivio Centrale dello Stato esce dell'altro in merito a questa vicenda. Una lettera ufficiale del Sottosegretariato di Stato per l'assistenza militare e le pensioni di guerra, datata 28 dicembre 1922 (dunque appena due mesi dopo la Marcia su Roma), inviata da Cesare Maria Devecchi a Benito Mussolini dice: "Illustre e carissimo presidente, ricevo in restituzione il tuo libretto della pensione privilegiata di guerra a cui intendi rinunziare a favore dell'Erario. A nome di tutti i combattenti d'Italia io ti porgo il ringraziamento fervido della grande madre. Come Sottosegretario di Stato alla assistenza militare e dalle pensioni di guerra ti rinnovo il ringraziamento per l'esempio altissimo che hai voluto dare, che fu già accolto da altri valorosi che rinnovano instancabilmente la loro offerta alla Patria. L'esempio lancerà il buon seme per il quale ogni buon combattente guarderà nella propria coscienza se debba o non debba gravare dopo la guerra a carico dell'Erario. L'Iddio della Patria benedice al gesto del Primo Ministro d'Italia, della Italia di Vittorio Veneto.Ti unisco, col tuo consenso, il diploma di benemerenza e la medaglia d'argento dei benemeriti. Il tuo devoto Cesare M. Devecchi". Nel nostro speciale domenicale de- A dicato alla Grande Guerra, spesso riferiamo le vicende che Mussolini visse al fronte, grazie a quanto egli stesso ci racconta nel suo Diario di Guerra (recentemente rieditato da varie case editrici, e potremmo dire di essere stati i primi a raccontare quei fatti ai nostri lettori, a voler essere proprio puntigliosi. E anche in questo caso ci corre l'obbligo morale di ringraziare la nipote Edda Negri Mussolini che ci ha messo a disposizione la sua copia personale). Sempre a proposito della storia personale di Benito al fronte, dal quale tornò gravemente ferito, è interessante un documento dell'8 gennaio 1923. Si tratta di una comunicazione che il Sindaco della Capitale invia a Mussolini, e che dice: "Eccellenza, oggi Roma, esaltando in Campidoglio i decorati di medaglia d'oro di tutta Italia, conferisce ad essi la medaglia coniata dal Comune per attestare devota riconoscenza ai valorosi che hanno combattuto per la Patria. Mi è sembrato che questa fosse l'occasione più propizia per inviare la medaglia di Roma a V.E. che, assertore fra i primi della giusta guerra, col valore e col sangue confermò la sua fede". Oltre all'interessante Diario, abbiamo però condotto altre ricerche presso l'Archivio Centrale dello Stato di Roma, e abbiamo trovato del materiale che ci può aiutare a dettagliare al meglio quelle vicende. Benito Mussolini fu ferito il 23 febbraio 1917, a quota 144 di Monfalcone, a causa dello scoppio di un lanciabombe. Del Foglio Matricolare di Mussolini abbiamo parlato con Edda nel libro dedicato a Donna Rachele: il lettore vi troverà le informazioni testuali e complete. Dunque non mi ripeterò sul tema anche in questa sede. Quanto alle ulteriori informazioni ricavate dalle carte di un secolo fa, siamo venuti a sapere che erano presenti al fatto, tra gli altri, il sottotenente Alberto Mostardi e l'aiutante di battaglia Giuseppe Li Puma. Sappiamo anche che l'11° Bersaglieri voleva - negli anni Trenta - in quel punto preciso erigere un cippo commemorativo, ma lo stesso Duce aveva negato l'autorizzazione. La vicenda torna di interesse nel 1928, quando un redattore del Popolo d'Italia Alessandro Nicotera - scrive al Segretario Particolare del Duce Alessandro Chiavolini chiedendo di conoscere il luogo preciso in cui era avvenuto il fatto "unicamente per un accertamento di carattere storico e topografico". Scrive ancora: "A me e ad altri camerati recatici sul Carso, anche con la scorta di documenti, come il 'Diario di Guerra', non è stato possibile delimitare, in modo preciso, la località dove il Capo rimase ferito e il tratto di trincea occupato dalla Sua compagnia". La cosa è urgente, dice Nicotera, per più ragioni: primo "per un moto spontaneo dell'animo che qualunque Italiano avrebbe parimenti avvertito", secondo perché "la voce dei secoli futuri reclama questa identificazione", ancora "perché s'è verificato il caso della visita di un alto personaggio straniero che ha cercato inutilmente quei riferimenti indispensabili per l'orientamento del visitatore". Ciò che Nicotera chiede è "fornirmi il recapito di qualche bersagliere od ufficiale dell'11° Reggimento presente all'episodio del 23 febbraio 1917 ch'io possa condurre sul posto per un esatto riconoscimento della località". A questa semplice richiesta il Duce acconsente: verga con il lapis rosso (com'era sua abitudine) un "Si" a fianco alle quattro righe che abbiamo appena riportato. La zona viene precisamente individuata, grazie alla collaborazione del suddetto Giuseppe Li Puma (o Lipuma, nelle fonti viene citato in entrambi i modi, anche se dalla sua firma sembrerebbe "Lipuma"), la località risulta "coperta di vegetazione alta e fitta e non curata". PARTICOLARMENTE COLPITA LA GAMBA DESTRA, I MEDICI RIFERISCONO ANCHE DI UNA PERSISTENTE FEBBRE ALTISSIMA La cartella clinica di Benito, 1917 “Ferite multiple con permanenza di numerose schegge” Subì molti interventi chirurgici dolorosissimi ra i tanti documenti abbiamo trovato anche la cartella clinica di Benito Mussolini, che riferisce - al 23 febbraio 1917 questa diagnosi: "Ferite multiple con permanenza di numerose schegge". Poi seguono gli appunti dei medici, che tentiamo di "decifrare". Decifrare è il termine giusto, i documenti sono molto vecchi e sono scritti tutti a mano, con grafia non sempre agevolmente comprensibile. Il giorno 24 febbraio il medico annota: "Venne ferito a quota 144 in seguito a scoppio di un cannoncino lanciabombe. Presenta ferite multiple alla regione frontale al 3° superiore dalla faccia anteriore del braccio destro; alla regione dorsale della mano sinistra; agli arti inferiori. Questi ultimi sono i maggiormente colpiti per la penetrazione di numerose pic- F cole schegge delle quali due si estraggono mediante piccole incisioni alla faccia anteriore della coscia destra". Quanto al "menu", il medico raccomanda latte, caffè, brodo, uova, qualcosa di incomprensibile e cognac, oltre alla magnesia San Pellegrino. Il 26 febbraio gli vengono prescritti 25 grammi di olio di ricino, brodo, due uova, latte, caffè e biscotti. Lo stesso giorno "previa narcosi cloroformica si provvede alla estrazione di una scheggia [...] dalla regione dorsale". Il medico annota che l'estrazione è particolarmente laboriosa perché la scheggia è andata a conficcarsi in modo strano, non si riescono a decifrare bene alcune parole, comunque in un rapporto del 27 febbraio vediamo che in una sola volta vengono estratte ben tredici schegge dal suo corpo, la maggior parte dall'arto inferiore di destra. Qualche parola riusciamo a leggerla: "... si incide ampiamente ..." scrive il medico. Nei giorni successivi continuano le dolorose medicazioni, gli viene prescritto marsala, caffè e biscotti, uova, pastina, arance. Nei giorni successivi si legge qua e là di drenaggi e altre incisioni per complicazioni intervenute, con "pus" che "non defluisce bene alla coscia": alcuni termini sono completamente illeggibili. Ciò che ancora riusciamo a capire è che ha uno stato febbrile persistente ( e infatti ce ne dà conto anche il redattore del Popolo d'Italia Sandro Giuliani, che lo trova febbricitante quando va a trovarlo). I medici procedono quindi con altri operazioni: si parla "di osteotomia", un intervento chirurgico di inter- ruzione della continuità di un segmento osseo, al terzo superiore e al terzo inferiore della tibia. Si procede "in parte con la fresa, arrivando fino al canale midollare, che è così ampiamente aperto". La notte successiva all'intervento, Benito la trascorre insonne "per il dolore alla regione operata" scrivono i medici. In capo a un giorno o due le sue condizioni migliorano, anche se qualche ricaduta impone ai medici di rimettere mano sul paziente: gli viene praticata una nuova incisione lungo il decorso del tendine del tibiale anteriore, a partire dall'estremità inferiore della piaga della gamba destra "essendosi verificata infiltrazione purulenta lungo il tendine stesso". Questo accade il 28 marzo 1917. Una curiosità: il letto che Benito occupa è dapprima (quando si trova al- Località del Carso dove Mussolini venne ferito l'Ospedale da Campo 46) il numero 22, poi, quando entra all'Ospedale n. 3 della Croce Rossa Italiana (2 aprile 1917), il 169. Il 4 agosto 1917 il Direttore dell'Ospedale Territoriale numero 3 della Croce Rossa Italiana scrive: "Il sergente Mussolini Benito dell'11 Bersaglieri rip. Lanciatorpedini è stato ferito da scheggia di can- noncino lanciabombe con ferite multiple arti inferiori con permanenza di numerose schegge, con lesione grave e degenza in questo Ospedale di mesi quattro circa. Può quindi essere autorizzato da codesto On. Comando a fregiarsi dei distintivo d'onore dei feriti in guerra". [email protected] 8 Sabato 16 gennaio 2016 DA ROMA E DAL LAzIO CONFERMATO LO SCIOPERO GENERALE DEL 27 GENNAIO AL VIA LA RACCOLTA FIRME PER SENSIBILIZZARE I LEADER DEI PARTITI DEL CENTRODESTRA Primarie, An lancia la petizione Favorevoli Francesco Storace (La Destra) e Luciano Ciocchetti (Conservatori e Riformisti) zione nazionale passa all’azione per tentare di svegliare il centrodestra ed entusiasmare l’elettorato attraverso le primarie, chieste a più riprese da Francesco Storace, candidato a sindaco di Roma e leader de La Destra. Per questo oggi, a partire dalle ore 11 e 30, i militanti del movimento saranno presenti a Roma in Largo Goldoni per manifestare a favore del nuovo strumento di selezione della classe dirigente e per la scelta del candidato sindaco alle prossime amministrative. A frenare la consultazione popolare non è solo Silvio Berlusconi, fortemente contrario, ma anche Matteo Salvini e Giorgia Meloni che sono tornati sui loro passi, preferendo il tavolo delle amministrative del centrodestra. Così i rappresentati di Azione nazionale rompono il silenzio e, in occasione del sit-in, lanceranno la raccolta delle firme per una petizione rivolta a tutti coloro che “si ritengono di centrodestra” volta a “sensibilizzare i leader dei partiti d’area a rivolgersi all’elettorato per la scelta del candidato sindaco di Roma da presentare alle amministrative di giugno”, si legge in una nota del movimento. An lancia il sasso nello stagno e invita Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia a sedersi intorno a un tavolo per l’organizzazione delle primarie insieme alle Salario accessorio, niente da fare A rischio la macchina amministrativa e i servizi. Non si esclude un’azione legale A l miracolo non c’è stato. E Roma si prepara al secondo sciopero nazionale dei 24mila dipendenti capitolini, che guadagnano 1.100 euro al mese, che manderà in tilt sia la città che la macchina amministrativa. Sì, perché Tronca e il governo Renzi non hanno trovato una soluzione al salario accessorio dei lavoratori, che pesa per circa il 30% della retribuzione complessiva, ai quali sarà decurtato lo stipendio di gennaio con la conferma, da parte del Comune, che la parte decurtata, appena arriverà l’ok del governo, sarà rimborsata con una determina ad hoc. Un salvagente, però, che non evita lo sciopero del 27 gennaio, che potrebbe essere esteso alle società partecipate. Confermate anche le assemblee dei dipendenti di polizia locale, scuole materne e asili nido. Natale Di Cola (Cgil) ha lasciato il Campidoglio sbattendo la porta. E’ su tutte le furie: “Siamo arrabbiati, è da irresponsaibli quanto sta accandendo”, che ha assicurato: “Appena avranno il parere della Ragioneria faranno un altro cedolino a conguaglio dopo la rideternazione del fondo da 157 milioni con un atto apposito”. I altre forze politiche. Non solo La Destra e An, ma anche i Conservatori e Riformisti, che fanno capo a Raffaele Fitto, sono convinti che “lo strumento delle primarie è l’unico sistema che può consentire questo. Certo con regole chiare e precise. Per questo, stiamo presentando una proposta di legge che regolamenti lo svol- gimento di elezioni primarie sul modello Usa”, ha spiegato il neo coordinatore di Roma e del Lazio, Ciocchetti, che ha aggiunto: “Quindi non posso non condividere l’iniziativa di Storace e di Azione nazionale per lo svolgimento di primarie per far decidere dai cittadini il candidato sindaco di Roma per il centrodestra”. Martedì comunque ci sarà un nuovo incontro. “O verranno reintegrati gli stipendi o altrimenti l’amministrazione presenterà un piano di riduzione di servizi da rendere alla città. Quest’ultima ipotesi sarebbe il tracollo”, ha continuato Di Cola. Tra i servizi coinvolti asili nido, scuole infanzia, vigili urbani, anagrafe, municipi e uffici comunali. Eppure secondo la Cgil sia il governo Renzi che il Campidoglio “avevano la possibilità di dare una sterzata alla situazione, continueremo a rivendicare che anche Teonca ormai ne è responsabile. Se non ci sarà, come promesso, il cedolino aggiuntivo lunedì, con il recupero di quanto non erogato, partirà anche un’azione legale”. Stando a uno studio della Cgil i dipendenti comunali e i ministeriali hanno guadagnato nel 2014 circa 500 euro in meno: quelli degli enti locali hanno perso circa 450 euro di salario, poco meno di 120 euro quelli impiegati nel servizio sanitario nazionale mentre hanno toccato quota 600 i cosiddetti ministeriali. Si valuta l’ipotesi di convergere tutte le categorie della città di Roma in un’unica vertenza. IL GOVERNATORE DEL LAZIO DISERTA L’INCONTRO PUBBLICO ORGANIZZATO DALL’ANAAO San Camillo, “il silenzio di Zingaretti è grave” Lo sfogo: “La richiesta fatta dal più grande sindacato di Roma avrebbe dovuto avere una risposta” naao Assomed Lazio, l’associazione dei medici dirigenti, non molla la presa su Nicola Zingaretti, reo di aver disertato l’incontro organizzato dal sindacato per affrontare le gravissime difficoltà dell’ospedale San Camillo di Roma. “Prendiamo atto con rammarico - si legge sul messaggio della segreteria della Anaao Assomed aziendale, in occasione della conferenza stampa - che il presidente Zingaretti non ha aderito al nostro invito di un pubblico incontro dedicato alle criticità dell’azienda San Camillo”. Ma le problematiche non sono solo legate al pronto soccorso del nosocomio, ma all’intero complesso ospedaliero e “la maggior parte degli ospedali del Lazio”, ha lamentato ancora l’asso- A ciazione. Per il segretario dell’Anaao, Sandro Petrolati, “la richiesta fatta dal più grande sindacato di Roma avrebbe dovuto avere una risposta. Ma c’è stato il silenzio assoluto e questo è grave”. L’associazione sindacale, pur riconoscendo un timido accenno di cambiamento con l’apertura dei 18 posti letto in medicina e l’assunzione di 120 unità sanitarie annunciate, sottolinea però la lentezza con cui il cambiamento si sta portando avanti. A difendere l’operato del governatore ci ha pensato il direttore generale del San Camillo, Antonio D’Urso, che ha presentato il rilancio del nosocomio basato su tre pilastri: interventi di tipo strutturale per migliorare la fruibilità, di tipo organizzativo e un piano assunzioni. Rispetto alle serie problematiche del ps, D’Urso ha assicurato che la situazione è in netto miglioramento, annunciando che sarà allargato per 800 metri quadrati con un piano già presentato alla Regione, grazie a un finanziamento ad hoc. “La gara sarà fatta appena avrò il finanziamento da parte della Regione”, ha ri- badito. Ma dall’associazione sono arrivate una serie di stoccate contro il governatore che “da un po’ di tempo ama fare pubblicità a una buona sanità attraverso i social ma forse è il caso di evitare tanta propaganda perché qui stiamo ancora come prima”. Da qui, ha aggiunto Petrolati, “nasce l’idea dell’evento ‘Zingaretti vieni a parlare con noi’”. Gli ha fatto eco Antonello Aurigemma, capogruppo regionale di Forza Italia e vicepresidente della commissione Salute, secondo cui “le situazioni di caos del San Camillo, rappresentano purtroppo una costante anche per altri nosocomi di Roma, e riguardano anche altri ospedali delle nostre province, come - tra gli altri - il Santa Scolastica di Cassino, il De Lellis di Rieti e il Goretti di Latina…”. La conclusione è al vetriolo: “Le criticità della sanità non si risolvono con interventi straordinari, ma serve una programmazione attenta alle peculiarità dei territori e alle istanze di pazienti e personale”. OLTRE AI DUE EX SINDACI, SONO INDAGATE ALTRE 56 PERSONE TRA FUNZIONARI E ASSESSORI Dirigenti senza gara, la difesa di Alemanno Il politico: “Confido in una rapida archiviazione” li ex sindaci di Roma, Gianni Alemanno e Ignazio Marino, sono indagati dalla procura per abuso d’ufficio, insieme a 56 tra funzionari ed ex assessori del Campidoglio. G Agli indagati viene contestato di aver nominato dirigenti, a partire dal 2008, delle persone esterne all’amministrazione capitolina senza ricorrere alla procedura di selezione pubblica e senza valutare opportunamente se dipendenti interni avessero i requisiti per ricoprire quegli stessi ruoli. Nei prossimi giorni gli indagati cominceranno a essere interrogati dal pm titolare dell’inchiesta, Francesco Dall’Olio e dagli uomini del Nucleo di polizia tributaria. A fare chiarezza è stato Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, che ha affermato in una nota: “Dell’inchiesta ho personalmente notizia solo attraverso l’elezione in domicilio che ho depositato nel dicembre scorso alla Guardia di Finanza. In realtà tutte le procedure di nomina di dirigenti esterni al Comune hanno seguito, per quello che mi risulta, le stesse identiche procedure non solo della giunta Marino, coinvolta anch’essa nell’inchiesta, ma anche delle giunte di Veltroni e Rutelli”, sottolineando che “si tratta di procedure da sempre seguite in base alle norme vigente e secondo un’interpretazione unanimemente data fino ad oggi, predisposte dagli uffici e validate dal segretario generale. Non vedo, quindi, in ogni caso come possa essere coinvolta la mia giunta comunale che ha approvato atti predisposti e validati in sede tecnica”. “Confido in una rapida archiviazione del procedimento da parte della magistratura rispetto a scelte - ha concluso l’ex primo cittadino - su cui è francamente impossibile intravedere un profilo penale e che comunque, lo ripeto ancora una volta, sono identiche a quelle da sempre seguite all’interno del Campidoglio”. 9 Sabato 16 gennaio 2016 DA ROMA E DAL LAzIO ROMA: LA PROTESTA DEGLI ASPIRANTI VIGIL I URBANI Gli orfani del concorsone dimenticato Gianmarco Sciarra: “Vogliamo solo che il concorso venga sbloccato. Meritiamo di fare la prova orale” a storia infinita del concorso per 300 posti da vigile urbano del comune di Roma. Che ad oggi, dopo quasi sei anni dall’inizio delle procedure (è stato bandito nel febbraio del 2010), non si sa ancora se e come andrà a finire. Ci sarebbe da ridere se non fosse che, oltre all’ennesima dimostrazione di malcostume della politica italiana (al di là della lunghezza dei tempi, sono infatti molti i sospetti di irregolarità e anomalie), ci vanno di mezzo sia i romani, che di nuovi “pizzardoni” ne avrebbero bisogno, sia soprattutto i ragazzi e le ragazze che speravano, partecipando alle sele zioni, di realizzare le loro aspirazioni. Ragazzi e ragazze che ieri mattina, in cinquecento, hanno manifestato di fronte al Campidoglio. Abbiamo intervistato uno di loro, Gianmarco Sciarra, per farci spiegare i motivi della loro protesta. L Perché siete qui? Quali sono le vostre richieste? Siamo venuti qui vestiti di nero. Come se fossimo in lutto, per chiedere a chi di dovere di fare qualcosa per evitare che il concorso, che ad oggi sembra un malato terminale, muoia del tutto. Abbiamo invitato rappresentanti di tutte le forze politiche (presenti in piazza i consiglieri comunali Onorato – Lista Marchini, Ghera – An Fdi e Belviso – Altra Destra, e il senatore Volpi – Lega ndr), affinché ci aiutino a far sentire la nostra voce. Volevamo essere ricevuti dal prefetto Tronca, ma non è stato possibile. Se ci avesse incontrato gli avremmo semplicemente chiesto di portare a termine il concorso, ripristinando la graduatoria Giuliani. Quella della prima commissione? Esattamente. Lo abbiamo scritto anche sui cartelli che molti di noi hanno esposto oggi. La commissione presieduta dall’ex comandante della Municipale Angelo Giuliani aveva ammesso circa 2263 persone e ne aveva respinte 488. Quella subentrata ha fatto esattamente il contrario. Oltretutto, dopo aver fatto richiesta di accesso agli atti, ci siamo accorti che la disparità tra i voti assegnati dalle due commissioni era troppo grande per giustificarla come una semplice divergenza di valutazione. Pensa che il voto del mio compito è passato da 8 a 5.30! E’ assurdo. Con l’amministrazione capitolina attualmente in carica avete già avuto contatti? Sì. Il 9 gennaio i responsabili dell’Arvu, l’associazione di categoria dei vigili urbani, hanno parlato con Iolanda Rolli, il sub-commissario alle risorse umane. Che ha dichiarato di volersi prendere qualche giorno per visionare la documentazione e capire se e come sbloccare la procedura senza creare problemi. Poi più niente. Non ho ben capito cosa ci sia ancora da visionare e valutare, dato che il tutto è già passato al vaglio di carabinieri e Tar. Che tra l’altro ci ha dato ragione, accogliendo l’istanza cautelare che abbiamo presentato. Avete esposto il vostro caso anche a rappresentanti del governo? Il 18 dicembre abbiamo parlato con Alessandro Naccarato (Pd) che ci ha ricevuto a Montecitorio. E ci ha detto che forse sarebbe stato possibile nella Legge di stabilità disporre di fondi necessari per la nostra assunzione. Ma Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio anche in questo caso, non abbiamo più saputo nulla. Allo stato attuale, quali sono le vostre speranze? Ci auguriamo, nel pieno rispetto della legalità, che il concorso riprenda da dove si è interrotto. Vogliamo soltanto fare gli orali e, se andranno bene, diventare vigili urbani. Tra l’altro forze nuove al Corpo, qui a Roma, servono proprio: tra pensioni, trasferimenti e decessi, l’organico della municipale capitolina è quasi metà di quello che servirebbe. Cristina Di Giorgi 10 Sabato 16 gennaio 2016 DALL’ItALIA SVUOTATO L’ALBERGO DI LICOLA, PAESE IN PROVINCIA DI NAPOLI Sequestrato centro di accoglienza Trasferiti i trecento stranieri che si trovavano nella struttura. Quest’estate erano stati protagonisti di una clamorosa rivolta. E anche i residenti non li volevano: “La zona è degradata” ra stata già al centro di numerose polemiche, dalle proteste della popolazione che non li voleva a quelle degli stessi migranti ai quali, quell’hotel, non andava bene. Ora quella struttura di Licola, alla periferia di Giugliano (Napoli) è stata posta sotto sequestro preventivo e i circa 300 ospiti sono stati trasferiti. Il provvedimento, eseguito dagli agenti della Polizia, è stato disposto dal gip del tribunale di Napoli Nord su richiesta della locale Procura a seguito delle indagini condotte dagli agenti del commissariato di Giugliano, coordinati da primo dirigente Pasquale trocino. Da mesi, quello che una volta era un albergo di lusso e una ricercata location per le più disparate cerimonie, non era divenuto altro che un centro di accoglienza per immigrati. Una scelta dettata dalla necessità di ospitare i tanti, troppi, sedicenti profughi che si riversavano sulle coste del sud Italia. Una struttura “improvvisata” che con il passare del tempo ha visto crescere esponenzialmente il numero degli ospiti, arrivati a diverse centinaia di persone. Motivo per cui non sono mancate le proteste. Sia da parte della cittadinanza, che degli stessi migranti. L’ampiezza delle sale per ricevimenti e del parco non sono bastate a garantire, a loro dire, condizioni di vita “necessarie e sufficienti”. Per questo la scorsa estate il complesso E era stato teatro di una vera e propria rivolta, le cui immagini fecero il giro d’Italia. Materassi ammassati uno sull’altro, gettati fuori dall’albergo dai 350 immigrati che da qualche mese erano stati alloggiati nella struttura (nella foto). Motivo? Il mancato pagamento dei pocket money (2,50 euro al giorno che la Prefettura passa ogni mese ai migranti) e le condizioni di vita precarie: le carenze igieniche, a loro dire, pasti immangiabili, niente visite, niente vestiti. E poi il numero elevato di persone ospitate nella struttura. Sul posto erano intervenuti gli agenti del Commissariato di polizia di Giugliano, diretti dal primo dirigente Pasquale trocino, insieme ai nuclei antisomossa. La situazione, dopo qualche ora di mediazione, era ritornata alla tranquillità. Non erano mancate poi le protese da parte degli abitanti di Licola, preoccupati sia della presenza degli stranieri in sé quanto da possibili reazioni incontrollate che potevano avere. Agli inizi di luglio i residenti avevano organizzato un sit-in contro l’arrivo di 250 stranieri. “Siamo stanchi – avevamo dichiarato alcuni partecipanti al sito locale ‘Il Meridiano’ – tra Licola e Varcaturo ospitiamo già circa un migliaio di immigrati. Crediamo che possa bastare, la zona già è degradata. In passato si sono registrati anche disordini e tensioni con la popolazione residente, molti di loro la sera girano all’interno dell’albergo in mutande e urinano all’aperto. Le nostre case sono vicine ed i nostri bambini non posso assistere a queste scene, ormai sembra una giungla”. Poi la richiesta di intervento. “Ci aspettiamo un intervento immediato da parte delle istituzioni – avevano detto – Chiediamo che questi ultimi arrivati vengano spostati e dislocati su altre zone”. Risposta che è arrivata. Già dai primi di gennaio l’albergo è stato pian piano svuotato. Ieri mattina poi il sequestro preventivo. E gli stranieri? Spostati in un’altra struttura. L’ennesima dimostrazione dell’emergenza arriva proprio dalla Campania, la quarta regione per numero di migranti dopo Lombardia, Sicilia e Lazio, dove la situazione, nell’arco dei mesi è diventata sempre più insostenibile. Barbara Fruch SI TRATTA DI DUE CLANDESTINI, GIÀ DETENUTI PER SIMILI REATI Furti: presa coppia di albanesi Sono responsabili di 29 colpi avvenuti nel Lago Maggiore, tra cui una rapina entinove furti per un bottino di quasi un milione di euro. È l’accusa di cui devono rispondere i due albanesi Florian Deda (44 anni) e Kleodian Tetaj (27 anni), clandestini e senza fissa dimora, autori, secondo le indagini, di una serie di colpi avvenuti tra giugno e luglio dello scorso anno nelle province di Verbania, Novara e Varese. I due, già in cella per altri reati e rispettivamente detenuti a Lodi e Monza, sono stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere notificata dai carabinieri di Verbania. Devono rispondere di reati che vanno dalla rapina aggravata, alla ricettazione della refurtiva e di numerosi furti di auto di grossa cilindrata. L’indagine era partita lo scorso giugno a seguito di alcuni furti compiuti in abi- V tazioni in diversi comuni del Lago Maggiore: le immagini delle telecamere delle zone interessate dai colpi mostravano la presenza di auto di grossa cilindrata risultate rubate che talvolta venivano abbandonate e sostituite con auto le cui chiavi venivano trovate all’interno degli appartamenti svaligiati. Tra gli episodi contestati ai due c’è la rapina in una villa di Gignese del 23 luglio: in quell’occasione erano entrati nella villa - nonostante ci fosse una luce accesa - e dopo aver immobilizzato il proprietario e averlo rinchiuso in una stanza, avevano portato via una cassaforte a muro. Per questo dovranno rispondere di rapina a aggravata. Dalla rapina, dunque, ai furti di auto, agli appartamenti svaligiati: in totale, secondo le indagini sarebbero quindi una trentina i colpi compiuti e tentati in ville e abitazioni. Non avevano scrupoli. “I criminali, particolarmente attivi e pericolosi con base in Sesto San Giovanni – spiegano i mi- AVELLINO Scatto di gelosia: uccide il rivale E ra convinto che fosse l’amante di sua moglie, per questo lo ha ucciso. È stato arrestato un uomo di 52 anni, originario di Mongauto, in provincia di Avellino, con l’accusa di aver accoltellato a morte un 39enne di nazionalità albanese, residente a Borgo Giardinetto, frazione di Foggia. I due pare si siano dati appuntamento nel parcheggio di una contrada vicino ad Ariano Irpino, nell’Avellinese, e qui sarebbe avvenuto il delitto. Secondo una prima ricostruzione, il 52enne avrebbe ammazzato a coltellate l’albanese. litari – nel corso dei mesi di giugno e luglio 2015, in modo spregiudicato, in orari serali e notturni, svaligiavano le abitazioni, non curanti dell’eventuale presenza dei relativi occupanti”. Gli accertamenti hanno permesso ai militari di risalire ai due albanesi. Il danno economico delle diverse rapine è stato stimato in un milione di euro, mentre la refurtiva è stata in parte già restituita ai proprietari. I due soggetti arrestati sono di particolare pericolosità. Deda è noto alle forze dell’ordine per la cattura, avvenuta dopo un rocambolesco inseguimento nell’aprile del 2006 per un furto in abitazione consumato a Vignone. Tetaj che doveva scontare due anni, risultava irreperibile da giugno perché colpito da un ordine di carcerazione a seguito di condanna definitiva per i reati di ricettazione e furti in abitazione. Questo è stato arrestato il 23 luglio scorso, mentre a settembre è stato il Deda a finire in manette dovendo scontare una condanna definitiva a cinque anni di reclusione. B.F. SASSARI Lo avrebbe fatto per gelosia: pensava che l’uomo avesse una relazione con la moglie. Pare che il marito li avesse infatti sorpresi insieme. Durante la fuga in macchina, il 52enne ha incrociato una pattuglia dei carabinieri del comando provinciale di Avellino, che dopo aver trovato il corpo esamine senza vita del 39enne, lo hanno inseguito, bloccato e arrestato. Per far luce sul caso i carabinieri hanno aperto un'indagine mentre la Procura di Benevento ha aperto un fascicolo. Anziana morta in casa: non convince il nipote iallo a Sassari, dove una donna di 80 anni, Bonaria Sanna, è stata trovata morta nel suo appartamento, nel quartiere di San Giuseppe. L’ipotesi più accreditata è quella dell’omicidio. A dare l’allarme, verso ora di pranzo di ieri, è stato un nipote che talvolta viveva con lei. Avrebbe spiegato ai medici che la zia era caduta G battendo la testa. Una ricostruzione che però non convince. Se da un parte gli investigatori e il magistrato di turno, giunti sul posto, avrebbero escluso un decesso per cause naturali, dall’altra pare non sia stato un incidente. Si tratterebbe infatti di omicidio, di una morte violenta. Ancora non si sa quale sia l’arma del delitto. Le prime verifiche del medico legale Salvatore Lorenzoni hanno accertato che la morte dell’anziana risalirebbe a qualche ora prima. A quel punto il nipote, 36 anni, figlio di una sorella, è stato accompagnato in Questura per essere ascoltato. Gli investigatori fanno sapere di aver sentito anche altre persone. Per ora non ci sono fermati. 11 Sabato 16 gennaio 2016 DALL’ItALIA ANCORA TRAGEDIE DOVUTE ALLA CRISI ECONOMICA Perde il lavoro: si suicida Piero Fiordigigli era stato messo in mobilità e sarebbe stato licenziato. Ha bevuto acido muriatico Inutili i soccorsi dopo l’allarme della compagna: dopo un giorno di agonia è morto in ospedale ra stato messo in mobilità dall’azienda per la quale lavorava, quindi con stipendio ridotto e verso il licenziamento. Per questo motivo ha deciso di farla finita. L’ennesima vittima della crisi arriva dall’Aquilano. È un uomo di 36 anni, Piero Fiordigigli, di Paganica, che si è suicidato bevendo un bicchiere di acido muriatico. A nulla è servito il ricovero in extremis nel reparto di Rianimazione dell’ospedale dell’Aquila, purtroppo per l’uomo, padre di due bambini di tre e sei anni, non c’è stato nulla da fare. In base a quanto accertato dagli agenti della squadra Volante della questura, coordinati dal responsabile Nicola Di Pasquale, l’ingestione dell’acido sarebbe avvenuta mercoledì a ora di pranzo dinanzi alla compagna, da poco rientrata in casa. Prima di compiere il tragico gesto l’uomo aveva scritto un massaggio a un collega manifestando le sue intenzioni. Il collega è immediatamente andato a casa dell’uomo e, resosi conto della gravità della situazione, ha avvertito la compagna di Fiordigigli, dipendente di un bar. E Proprio la donna, rientrata nell’abitazione, ha cercato di convincere Piero a non compiere il drammatico gesto. Dopo i discorsi la situazione sembrava ritornata alla normalità. Ma poi, improvvisamente, l’uomo ha bevuto l’acido contenuto nel bicchiere. Immediatamente è stato allertato il 118 che ha provveduto al trasporto dell’uomo all’ospedale, dove è giunto ancora cosciente, anche se le sue condizioni sono apparse subito disperate: devastanti le lesioni provocate dalla sostanza corrosiva all’esofago e allo stomaco. I medici hanno optato immediatamente per il ricovero in Rianimazione, dove però il 36enne è deceduto giovedì mattina. Alla base del gesto le difficoltà lavorative, come confermato dalla compagna, ancora sotto choc. Era un lavoratore in mobilità dello stabilimento Tensiter specializzato nella produzione di manufatti in cemento armato. La scelta di compiere il gesto estremo è arrivata proprio dopo l’allontanamento dalla ditta, colpo di grazia ad una situazione di depressione dalla quale Fiordigigli stava cercando di uscire. La mobilità ha aggiunto preoccupazioni che sono diventate giorno dopo giorno insostenibili per l’uomo che non ha visto altra via di uscita se non il suicidio. Nonostante la dinamica degli eventi appaia chiara, il pm Simonetta Ceccarelli ha disposto l’autopsia. Sul posto anche gli agenti della squadra volante della questura dell’Aquila che stanno investigando sul fatto. Mentre il Premier Renzi parla di ripresa, in Italia si consuma l’ennesimo dramma causato da una crisi economica senza precedenti. Da cui non si vede via d’uscita. Barbara Fruch A TRENT’ANNI DALL’OMICIDIO LA SVOLTA SUL CASO MACCHI Stuprata e uccisa: la tremenda fine di Lidia Arrestato Stefano Binda, ex compagno di liceo, che l’avrebbe assassinata perché convinto che avesse avuto rapporti sessuali e non avrebbe dovuto per motivi religiosi. Identificato grazie a un messaggio avrebbe prima violentata e poi uccisa perché convinto che lei si fosse concessa e che non avrebbe dovuto farlo per il suo “credo religioso”. A quasi 30 anni dall’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa di Varese, arriva la svolta nelle indagini e l’arresto ieri mattina del presunto assassino: Stefano Binda, ex compagno di liceo della ragazza che frequentava insieme alla vittima ambienti di Comunione e Liberazione. È accusato di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili, dalla crudeltà, dal nesso teleologico e dalla minorata difesa. Lidia Macchi, che studiava giurisprudenza alla Statale di Milano, è stata trovata cadavere nel 1987 nei boschi del Varesotto. Secondo quanto ricostruito Binda, 48 anni, laureato in Filosofia e descritto come “colto”, senza occupazione fissa (prima di essere arrestato viveva con la madre pensionata a Brebbia, nel Varesotto), e con un passato di droga negli L’ anni 90, sarebbe salito sull’auto della giovane il 5 gennaio 1987 nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio (Varese), dove Macchi si era recata per andare a trovare un’amica. L’auto con a bordo i due, sempre stando all’imputazione, si sarebbe mossa fino a raggiungere una zona boschiva non distante e là Binda avrebbe prima violentato la ragazza e poi l’avrebbe punita uccidendola, perché nella sua ottica aveva “violato” il suo “credo religioso” ‘concedendosi’. Numerose le coltellate inferte mentre la vittima che cercava di fuggire. Lidia Macchi, si legge in un passaggio del capo di imputazione, formulato dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, sarebbe morta per le ferite e per “asfissia” e dopo una lunga “agonia” in una “notte di gelo”. Frasi che riprendono alcune parole scritte nella misteriosa ed inquietante lettera anonima che arrivò il giorno dei funerali alla famiglia Macchi. Proprio la missiva intitolata “In morte di un’amica” è tra gli elementi decisivi per arrivare all’arresto. Secondo le nuove indagini con perizia calligrafica il testo sarebbe stato scritto proprio da Binda. Si tratta di una sorta di poesia composta da otto strofe e con diversi riferimenti religiosi (anche un non correttissimo verso in latino), alla crocifissione e all’uccisione di Lidia. Descrizioni della scena del crimine che potevano essere note solo agli inquirenti o all’assassino. Lidia Macchi, emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Varese Anna Giorgetti, forse si sentiva attratta da Stefano Binda, che aveva fama di “intellettuale dannato” ed era molto “carismatico” e considerato “un leader nato” dal gruppo di amici che frequentavano. E forse pensava di poterlo aiutare ad uscire dal giro di droga in cui era finito l’estate precedente, quando si era avvicinato all’eroina. “Trenta anni che aspettiamo, finalmente si fa luce sull'omicidio di Lidia – ha detto Paola Macchi, madre di Lidia – La procura di Milano ha lavorato in silenzio, ma ha lavorato sodo”. Su Stefano Binda, ex compagno di liceo della vittima, finito in manette con l’accusa di omicidio, la mamma di Lidia ha detto di averlo visto poche volte in passato e che non frequentava né la figlia né la loro casa. B.F. PER IL PROCURATORE DI VARESE “NON C'È ALCUNA PROVA DI COMPORTAMENTI ILLEGALI” Caso Uva, chiesta l’assoluzione di carabinieri e poliziotti Non c'è alcuna prova di comportamenti illegali da parte degli imputati”. Per questo il procuratore di Varese, Daniela Borgonovo, ha chiesto l'assoluzione dei due carabinieri e dei sei poliziotti imputati davanti alla Corte d’Assise di Varese per la morte dell’operaio Giuseppe Uva, 43enne deceduto nel 2008 all'ospedale, dopo aver trascorso parte della notte in caserma. A rinviare a giudizio gli imputati era stato il gup di Varese. Secondo i familiari di Uva, il decesso sarebbe stato causato dal pestaggio subito da Uva durante la custodia. Con lui, quando venne fermato per strada dalle forze dell'ordine, c’era un amico: Alberto Biggiogero. “ Ma la sua testimonianza, secondo il pm, “non è attendibile”. Per il procuratore “non ci sono prove di percosse né in strada né in caserma”. È stata una “condotta assolutamente legittima” quella messa in atto dai carabinieri e dai poliziotti intervenuti nel tentativo di contenere Uva e l’amico Alberto Biggioggero che stavano dando in escandescenze. Secondo il magistrato, insomma, “i carabinieri quella sera non fecero altro che il loro dovere. Sono intervenuti per impedire che il reato portasse a più gravi conseguenze. Che cosa dovevano fare? - si è chiesta la rappresentante della pubblica accusa - lasciarli lì ubriachi a rovesciare cassonetti e a creare ulteriori situazioni di pericolo per i cittadini? Il comportamento di carabinieri e poliziotti è stato proporzionato e conforme alla legge, così come giustificato è stato il suo ammanettamento e la successiva azione di contenimento. I testimoni che hanno riferito di percosse - ha spiegato poi il magistrato - o hanno ritrattato o sono stati smentiti dai fatti”. Uva morì, dice il pm, per via di una grave patologia cardiaca e lo stress derivante dal fatto di essere stato fermato in uno stato di forte ebbrezza alcolica. E di questa patologia non erano a conoscenza carabinieri e poliziotti. Per il legale di parte civile di Lucia Uva, sorella di Giuseppe, Fabio Ambrosetti quella fornita dal procuratore di Varese è “una ricostruzione assolutamente parziale, e che sarà smentita”. Il processo ricomincia il 29 gennaio quando interverranno gli avvocati di parte civile dei familiari del muratore. 12 Sabato 16 gennaio 2016 SPETTACOLI INTERVISTA AL CANTANTE ESPLOSO NEI FAVOLOSI SESSANTA: “MA IO ERO GIÀ TRENT’ANNI AVANTI” Don Backy, mezzo secolo di musica “Fedele al Clan, ma poi ruppi con Celentano, e lui sa perché… - I giovani? Oggi esistono solo i talent” - Intanto ha realizzato cinque volumi con la storia della canzone italiana artiamo da qui, dall’opera enciclopedica e ciclopica che Aldo Caponi, in arte Don Backy, ha pensato, scritto, disegnato e realizzato in cinque splendidi volumi che raccontano la storia della musica italiana fino al 2012, con aneddoti e vita vissuta in prima persona. Allora Aldo, cosa ci puoi raccontare di Don Backy? “Paradossalmente era più facile fare musica prima, quando c’era un solo canale televisivo e il canale Rai era una novità. Era il 1957 e il primo successo che ho avuto è stato ottenuto grazie a una mia fotografia, non più grande di un francobollo, che Mario Riva pubblicò sulla rivista settimanale Il Musichiere (editoriale della trasmissione del sabato che Riva conduceva, ndr). Quella foto faceva parte di una lettera da me scritta in terza persona in cui presentavo me stesso come un cantante di rock and roll. Ricevetti centinaia di lettere da tutta Italia, molti mi chiedevano di quella foto e di quel cantante di cui avevo scritto. Poi Mario Riva, al quale sarò sempre grato e che ho sempre considerato un mio padrino, vista la mole della corrispondenza che arrivava al Musichiere, e a me direttamente, prese a cuore la faccenda anche perché io rispondevo a tutte le lettere che mi giungevano, con richieste di foto o di come fare un disco. Mario Riva mi fece dedicare un servizio di due pagine sul Musichiere come ‘Agaton’, che fu il nome del mio primo gruppo, con un servizio fotografico su di me e sulla mia famiglia. Fu un’occasione irripetibile e io che volevo rispondere a tutte quelle lettere, non avevo i soldi per comprare i francobolli, pertanto li scollavo da quelle he ricevevo e li riciclavo su quelle che spedivo, previa ripulitura del timbro, cosa allora non molto lecita, ma di certo caduta in prescrizione. All’epoca lavoravo in una conceria e guadagnavo ottomila lire a settimana; cinque le davo a casa e il resto lo tenevo per me, per il cinema, le sigarette, all’epoca P fumavo, la benzina da dividere con Franco Bini in arte Frankie Ballade per quando andavamo a suonare assieme. Allora bastava poco e se avevi un’energia e un’immagine vincente, potevi ottenere con poco risultati incredibili, e io ho sfruttato il momento e l’opportunità costruendo giorno per giorno la mia storia che poi ho raccontato in queste Memorie di un juke box, cinque volumi realizzati da me. È il racconto della mia storia e di quella della canzone italiana dal 1955 al 2012. Opera che include fotografie, articoli, minute di canzoni, una bellissima raccolta di emozioni e insegnamenti; perché all’epoca bastava andare anche una sola volta in televisione a cantare una canzone e entravi subito in classifica”. Ma hai mai pensato di proporre questa tua opera a qualcuno? “Io so fare molte cose, scrivere canzoni e musical, recitare, e quello che potevo l’ho fatto, bene o male non so, ma quello che non sono mai stato in grado di fare, è ‘sapermi vendere’. Se potessi proporre queste mie opere, sono certo che sarei in grado di produrre un programma di un certo ascolto e successo. Queste opere, sulle quali ho lavorato trent’anni, potrebbero essere pubblicate con successo perché parlano sì della mia storia, ma anche della musica in Italia dal bianco e nero ai nostri giorni; una storia che difficilmente altri potrebbero raccontare anche documentalmente come ho fatto io. Se si parla di Don Backy si dice: ‘Ma sì, un cantante degli anni Sessanta’ e non mi si dà peso… ma poi, io non mi sono mai sentito un cantante collocato negli anni Sessanta perché già con le mie canzoni ero avanti di trent’anni. Come erano quei favolosi anni Sessanta? “Scrivevo per Celentano Sognando, Pregherò e Sabato triste, una canzone sul maschilismo. Poi anche L’immensità, Poesia, L’amore; non sono canzoni degli anni Sessanta, sono ancora attuali. Poi chi scriverebbe, come io ho fatto, Sognando, un musical anche per ragazzi che parla di lealtà, amicizia, amore? A proposito, come è andata con Celentano? “Ho avuto sempre idee e iniziative fintanto che ho incontrato Celentano, che mi ha tenuto alla catena per cinque anni e ha sempre avuto paura che lo sopravanzassi, non certo per il suo istrionismo del quale era maestro, ma per la qualità delle cose che facevo. Ho fatto il cinema con Lizzani, Puccini, Volonté, Cucciolla, ed ero pure bravo a recitare; io non avrei mai tradito e lasciato Adriano perché sono uno fedele, però alla fine lui mi ci ha costretto. E lui sa il perché. Ancora oggi non so quanti dischi ho venduto ai tempi del clan, forse 500mila? Il fratello di Adriano faceva i conti e mi diceva che io ero in classifica, ma che i mie dischi non li compravano: ma come era possibile? Io sono l’unico nel Clan che ha rispettato i cinque anni di contratto perché gli altri andavano via prima; così Ricky Gianco, dopo un anno, Guidone dopo due, poi entrarono Milena e Gino Santercole, ma pure loro dopo un paio di anni uscirono. Io sono stato il più fedele e avevo pure rinnovato per altri cinque anni rinunciando a una proposta della Rca, che mi aveva offerto 30 milioni di lire se avessi firmato per loro, nel 1968, e lasciato il Clan. Vista la poca chiarezza contabile, interruppi il contratto con il Clan. Sono poi uscito dal giro nel 1974 perché la Rca mi ha scritturato per recitare e cantare in teatro, cosa che poi non avvenne, per colpa loro, dopo che per due anni avevamo lavorato e c’era pure Gepi. La Rca, tipo per riparazione, mi fece fare un Lp di sola ritmica con Lilli Greco. Ma di fatto ero fuori dal giro dei cantanti. Uscito dalla Rca, mi fermai da Buffetti e comprai tutto l’armamentario per disegnare, cosa che io non sapevo fare, andai a casa e disegnai in quattro anni tutta la mia storia in Sognando, una commedia musicale che poi è andata in tv nel 1978 in nove puntate su Rai due”. Cosa pensi si possa fare per tanti artisti bravi ma inascoltati? “Secondo me non c’è alcuna possibilità perché, da parte di chi potrebbe, non esiste la volontà di tentare nuove strade che non siano quelle dei talent. Manca il coraggio e non esistono più i direttori artistici delle case discografiche, loro si occupano solo di risultati economici e di conti. Lo scouting di ricerca di nuovi artisti è finito, purtroppo”. SG [email protected] PARLA IL MITO DELLE SETTE NOTE Mogol: “Per Sanremo conta solo l’Auditel” ogol, mito della musica italiana, è intervenuto su Radio Cusano Campus ed è stato intervistato su vari argomenti, ad iniziare dall’imminente festival di Sanremo: "Avrebbe un grande senso il festival. Però oggi è fatto in base all'auditel. Nel comporlo si cerca subito di avere personaggi che possano assicurare o garantire ascolti. Ecco perché poi vengono chiamati i personaggi reduci dai talent, come Amici. Ricorrono a tutti M coloro che hanno un minimo di notorietà, ma magari ci sono alcuni straordinari artisti che non hanno notorietà e che purtroppo, fatalmente, non vengono inclusi". E proprio sui talent ha poi aggiunto: "Con i talent Battisti e Mogol non sarebbero mai nati. I talent si limitano a fare finte scuole, con maestri improvvisati, con persone che non sono docenti. Scelgono gli interpreti sulla base di molte considerazioni che magari non sono proprio basate sulla canzone e sull'interpretazione. Battisti-Mogol oggi, poi, non sarebbero mai nati anche perché molte radio producono i dischi. BattistiMogol oggi non sarebbero mai nati e questa secondo me non è una notizia entusiasmante". Mogol ha poi parlato anche di David Bowie, scomparso di recente: "Ho scritto la versione italiana di Space Oddity, anche se il testo era assolutamente nuovo. Entrammo in contatto perché l'editore mi fornì la canzone da fare in italiano, ma io la cambiai. Il testo inglese parlava di spazio, io non lo sentivo, così gli ho cam- biato significato. Ho pensato di scrivere un altro testo, che poi lui ha approvato, visto che l'ha anche cantato ed inciso, in una canzone che poi è diventata 'Ragazzo solo, Ragazza sola'. Per me il testo è già nella musica, io cerco sempre di raccontare qualcosa di concreto, di reale, magari accaduto a me o qualche persona che conosco. Bowie ha anche fatto la versione inglese di "Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi", ma non ha rispettato il testo e ha fatto una versione che non mi ha entusiasmato, parlava di morte, ha fatto un testo completamente diverso dal mio. Insomma, non ne fui entusiasta, anche se fu un onore che interpretasse una nostra canzone".