Salvatore Cosentino il giallo della BENZINA SOLIDA ininfiammabile che riduce i costi del 50% Romanzo storico Bonfirraro Editore Attenzione! Si tratta di un giallo vero da maneggiare con cura. © 2007 by Bonfirraro Editore Viale Ritrovato, 5 - 94012 Barrafranca - Enna Tel. 0934.464646 - 0934.519716 - telefax 0934.400091 E-mail: [email protected] ISBN 978-88-6272-001-4 Questo libro comincia dalla fine dei fatti narrati, per quella preponderanza logica che la realtà, certe volte, ha sulla fantasia. Infatti, non sempre si possono sgomitolare a piacimento le furbizie narrative per dipanare matasse aggrovigliate, tradendo i personaggi. E né imporre soluzioni artificiose a fatti che, di per se stessi, hanno esplosioni drammatiche ed economiche mai viste. Quindi un racconto a ruota libera, imprevedibile e discontinuo sino alla fine. La storia iniziò tanti anni fa e si ripropone ancora per le sue vicissitudini, tutte le volte che se ne parla, specialmente a proposito della sempre attuale crisi petrolifera. Il dattiloscritto era rimasto sepolto in una cassaforte, unitamente ai documenti probatori. In attesa di trovare un editore coraggioso e spregiudicato, disposto a portare alla luce una grande scoperta scientifica che potrebbe rivoluzionare l’economia petrolifera. Al di sopra di interessi egoistici e speculativi. Si tratta dell’invenzione di un nuovo tipo di carburante, che minaccia colossali interessi e della vita del suo inventore, morto in miseria, dopo episodi romanzeschi e prospettive di guadagni miliardari. Anche a parlarne, misteriosi interessi internazionali intervengono subito, imponendo con ogni mezzo il silenzio. Dunque una scoperta da soffocare. Specialmente in Francia e in Germania, il discorso della Benzina solida ininfiammabile viene chiuso sbrigativamente 5 con lo slogan: non se ne deve parlare. Perché? Quali ragioni di stato si nascondono? Quali interessi economici vengono minacciati da una scoperta scientifica veramente prodigiosa per l’umanità? Intanto, da qualche tempo, l’autore dell’inchiesta ha la fondata impressione che la vicenda si complichi, anche se la scoperta è conosciuta ormai in tutti gli ambienti interessati. Quindi bisogna renderla pubblica subito, nel timore che si speri la morte dell’unico detentore della formula. Infatti nessuno sarebbe più in grado di rivelarne i fatti ed i retroscena. Con buona pace dei petrolieri. Adesso si hanno buone ragioni per sospettare degli intrighi di un giornalista che fece perdere le tracce di se, dopo avere avuto in mano la storia e i documenti originali di questa scoperta. Ed allora, con alcuni elementi disponibili per rendere pubblica la storia, non resta che ispezionare, con un marchingegno metaforico, la cassaforte del giornalista M.M., dove si ritiene che siano conservate importanti testimonianze. Dato che la verità, come diceva un filosofo greco, spesso, ha bisogno del travestimento per assumere credibilità, non resta che cercare l’ausilio della fantasia che, in certi casi, supera la stessa realtà. Per rendere credibile la vicenda. Come fece quel contadino siciliano che, per farsi ascoltare dal re borbonico e per rendere pubblica la sua stravagante rivelazione, indossò gli abiti del giullare, e rivelò i fatti sconvolgenti, cantando in versi. Come nelle satire. Ma cerchiamo di mettere in ordine la narrazione, cominciando dal materiale conservato nella cassaforte del giornalista. S. C. 6 ARCHIVIO PERSONALE di M.M. (riservato) cassetta N.OO3, indice - IL GIALLO DELLA BENZINA SOLIDA - IL MISTERO DELLO SPEZIALE DI ERBITA - LA FORMULA E I DOCUMENTI. - LA CHIAVE DEL TESORO NASCOSTO - LA TRAGICA CHIUSURA DEL CASO APPUNTI Trovo sul mio tavolo, in redazione, alcuni ritagli di giornale col biglietto di un collega che dice: “vedi se puoi fare qualcosa, l’interessato vorrebbe entrare in contatto con qualcuno della Poleone editore per pubblicare un giallo” Da una rapida scorsa, i primi documenti mi sembrano interessanti anche per redigere un servizio giornalistico. Parlo con i capi, ed ho subito l’autorizzazione a occuparmene . Telefono alla Poleone – che, poi, è la stessa casa editrice del settimanale per cui lavoro - ed ottengo il via, con la promessa: “dopo l’articolo, molto probabilmente pubblicheremo il libro”. Mi metto subito in contatto con l’autore, e volo in Sicilia per una intervista. Sull’aereo, sfogliando il materiale ricevuto per posta, mi convinco che esistono gli elementi per uno scoop a livello internazionale. 7 Questo giallo, infatti, cade a proposito della crisi petrolifera in Medioriente e potrebbe avere interessanti risvolti economici mondiali. Lo sconosciuto scrittore raccomandatomi mi accoglie all’aeroporto di Catania con euforia. D’altronde, non è facile provocare un servizio su una rivista come la mia, e nemmeno una semplice recensione, se non si è sponsorizzati adeguatamente da poteri forti. L’incontro è stato interessante. Si tratta di uno di quegli intellettuali di provincia che vivono fuori del nostro tempo e che ti piombano addosso, inaspettatamente, come una meteora. Anziano di età, ma molto in forma. Vive facendo lo speziale a Erbita, un paesino dell’interno della Sicilia, noto nella storia soltanto per aver dato i natali ad uno spregiudicatissimo papa santo: Leone II°, e per un terremoto catastrofico subito nella preistoria. Lo speziale – che, stranamente, fa anche lo scrittore ed il “libero” giornalista – dice subito che prende la penna soltanto quando ha qualcosa da dire e se viene preso da “un particolare stato di grazia”, ma, non sempre gli lasciano pubblicare ciò che pensa, perchè predilige il ruolo anarcoide dell’eretico. Parla a ruota libera, senza quella riserva mentale che impreziosisce la merce in vendita, con una fiducia disarmante nell’interlocutore. Come se si ritenesse un fratello, prima di conoscerlo. Eclettico, di idee ribelli, non è con nessuno, non avalla politici e né idee partitiche correnti, anzi è contro tutti. Non per nulla si vanta di essere amico di Montanelli. Credo che forse scriva soltanto per divertimento. Dice che legge poco gli autori contemporanei, per non 8 lasciarsi influenzare negativamente. Preferisce i classici, perchè li paragona a quegli artigiani che hanno fiducia nella bontà del loro prodotto e che ancora non hanno conosciuto la mistificazione consumistica. Tutto ciò lo afferma col sorriso di chi trae divertimento da ogni evento, persino umorizzando su se stesso. Nell’affollato aeroporto catanese lo avevo identificato subito: come segno di riconoscimento, mi aveva detto per telefono, “ho la zucca pelata, porto i baffi e fumo clandestinamente il sigaro toscano”. Vado subito all’argomento della mia intervista, anche perchè dopo il pranzo (che molto gentilmente mi viene offerto), debbo riprendere l’aereo di ritorno per Roma. Lo speziale – così ama farsi chiamare – mi racconta la sua stranissima storia. Dispone di documenti probatori inediti, raccolti con molta pazienza. Me li mette a disposizione in copia, senza la necessaria diffidenza per quanti – capita spesso nel nostro mestiere – potrebbero approfittarsene. È sicuro del fatto suo, chissà perchè. Mi consegna il tutto, e, infine, mi affida anche il dattiloscritto dell’inchiesta da presentare alla Poleone editore per la pubblicazione. Gli prometto il mio interessamento e riparto. Viaggiando, ripensando all’incontro, intravvedo per la mia rivista un articolo di successo a buon mercato: soltanto la spesa dell’aereo! A Roma trovo tutti d’accordo, e mi metto subito al lavoro. Ecco la registrazione su nastro della storia che avrei dovuto pubblicare se non fossero intervenuti fatti imprevedibili e preoccupanti. 9 IL GIALLO DELLA BENZINA SOLIDA Siamo a Erbita, un tranquillo paesino dell’interno della Sicilia, che la sera abbandona tutte le realtà quotidiane come per darsi appuntamento con i sogni. Per le strade, dopo il tramonto, non circola più nessuno. Le porte e le finestre delle case sono serrate come per assicurare la protezione dell’intimità familiare. Molti vanno presto a dormire, dopo avere trascorso diverse ore in piazza, per le strade e nei cortili, chiacchierando del più e del meno, magari pettegolando o dibattendo problemi irrisolvibili. Tre quarti della popolazione è emigrata in Germania, lasciando un paese che sembra un reclusorio di vecchi. Squilla il mio telefono a notte fonda. (Proprio quel giorno avevo messo la parola fine alla mia inchiesta, dopo I7 anni di ricerca, ed avevo ripreso l’abitudine di andare a letto alle ventidue.) Chi poteva telefonare a quell’ora? È una voce dall’accento siciliano, sconosciuta, rauca e perentoria che dice: “un amico mi ha incaricato di dirle di non occuparsi più di “benzina solida”. Ne resterebbe scottato. Baciamo le mani”. Altre quattro telefonate anonime (puntuali alla stessa ora) si ripeterono in altrettante nottate, ma tutte seguite dal compiaciuto silenzio dall’altra parte del filo. Chi minacciava, evidentemente, era sicuro di avere provocato un incubo, e, col silenzio, pensava di avere superato il peso delle parole. In Sicilia, il silenzio, ha un linguaggio paradossale, supera il segno fonetico più acuto, uccide meglio di ogni arma e 10 raggiunge la forza della più raffinata intimidazione. Non ha faccia, ma può assumere la forma più eloquente del disprezzo. Esprime l’atmosfera più propria della morte, anche per quanti accettano quest’ultima con animo rassegnato. Non è mai virtù – contrariamente all’affermazione dei sapienti e dei proverbi che lo rivestono d’oro – e non è costume delle anime buone, come spesso è stato detto. I miti e gli ingenui sono grandi ciarloni, come i cani non aggressivi che abbaiano soltanto la notte per dare sfogo alle loro fantasie imprescrutabili. Ma non mordono. Il silenzio è un dramma senza autore e una minaccia senza voce. Forse questo è il vero volto della mafia. Decisi ugualmente di insistere nella mia ricerca, malgrado le minacce. Gli interrogativi, però, restarono angosciosi. La esumazione della storia della “benzina solida” aveva fatto perdere la testa ad una gran quantità di persone, e la mia testardaggine di arrivare fino in fondo, era diventata infrenabile e caparbia. Ma cominciamo da principio. 11 UN FANTASMA La mia lunga ricerca, che turba ancora il sonno di petrolieri, di affaristi e dei servizi segreti di mezzo mondo, inizia nel mese di Ottobre del I973. Avevo appreso, per caso, la notizia che era morto in miseria l’ing. Gaetano Fuardo, nato in Sicilia, a Piazza Armerina, inventore della famosa Benzina ininfiammabile. La notizia mi incuriosì, anche perché in questa Sicilia dell’interno, dove si vive al di sopra del bene e del male, circolano figure di estrosi dalla fantasia molto accesa da rasentare l’alienazione. Non ultimo il caso di un maestro elementare che riteneva di avere inventato il “moto perpetuo”, portando la sua scoperta alla conoscenza (inviando un messaggio per raccomandata R.R.) alle massime autorità nazionali. Papa compreso. Mi recai nella città natale di Fuardo, che dista pochi chilometri dal paesino in cui vivo, e raccolsi le notizie necessarie per pubblicare il 3 novembre 1973 un servizio speciale per un quotidiano catanese .Ma il giorno dopo accaddero fatti strani che mi preoccuparono. Numerose telefonate, addirittura anche da parte di giornali esteri. Qualcuno mi proponeva la cessione dei diritti esclusivi sull’articolo per l’estero. Altri giornalisti si fecero avanti per intervistarmi. Molte chiacchiere sui rischi che stavo affrontando, tante curiosità da farmi ritenere che ero diventato un giornalista importante. Qualcuno, addirittura, sospettò che avessi una lontana parentela con lo scenziato piazzese e che aspiravo a diventare suo erede. Era scoppiato un caso, proprio nella piccola oasi di quiete in questo interno della Sicilia, dove si attende la peste, o il 12 terremoto, per salire agli onori della cronaca. Qualche giorno dopo, di buon mattino, due sconosciuti bussarono alla mia porta. Uno si presentò come il dott. S.S. di Palermo e l’altro sibilò un nome breve e incomprensibile. Il primo, entrando, precisò che era un parente dell’inventore Gaetano Fuardo, e, l’altro, si limitò ad acconsentire col capo tutte le volte che S.S. parlava. (Il classico testa di legno che fa da accompagnatore nelle missioni importanti e che suole testimoniare nelle contrattazioni di affari.). Erano venuti per protestare e per capire quale interesse avessi a scrivere sul suo parente. S.S. si doleva di non essere stato interpellato, prima che scrivessi sul cugino, vantandosi di essere l’unico erede. Mi accusava di avere fotografato per il giornale la sua tomba di famiglia, nel cimitero di Piazza Armerina, senza l’autorizzazione. Di avere, inoltre, svelato pubblicamente che Fuardo era stato tumulato nella tomba di S.S. senza una lapide che lo ricordasse. Infine, insinuò che il mio articolo era stato scritto, probabilmente, nell’interesse di personaggi oscuri. (Borbottò nomi, da me allora sconosciuti, fra i quali un certo Chiappori). Poi, mi diffidò a non scrivere più sul parente inventore e nè sulla “benzina solida”, perchè lui era personalmente impegnato in una complicata vicenda giudiziaria. Era implicita una minaccia di querela. Ma le principali ragioni del suo risentimento erano basate sul timore che potessi avanzare diritti ereditari. Mi resi conto subito che bollivano in pentola complicate controversie e consistenti interessi su una scoperta tutta da dimostrare. Fu così che si accese la mia curiosità e mi trasformai in un vero e proprio detective, incurante delle minacce ricevute. Mi recai a Piazza Armerina per saperne di più. 13 PIAZZA ARMERINA Piazza Armerina è una città paradossale, dove il tempo scorre come un fiume a zigzag, lento e quasi stagnante. Le sue bellissime case in pietra intagliata, di color giallo-ferrigno, il silenzio sonnolento dei suoi cortili, danno il senso dell’austerità cimiteriale. Le sculture antropomorfe delle mensole che reggono i lastroni di pietra dei balconi, sembrano i testimoni divertiti, che seguono la vita dei passanti che nascondono, di giorno, le loro vicissitudini e, di notte, i soliloqui spesso esaltati dal buon vino. Questo centro dell’interno, nella zona orientale dell’isola, fa parte della Sicilia babba, cioè bonaria, rassegnata, dell’antica civiltà contadina dei Siculi. Gli uomini qui nascono col destino influenzato da un paesaggio idilliaco, della oscura macchia mediterranea, che sopravvive miracolosamente fin dalla preistoria. Una terra di profumi acri di lumache, di uomini dotati di fertile fantasia e di poeti dialettali, (della tradizione gallo-italica), ma sconosciuti oltre le mura della città. Molti, però, si pentono di non esser nati nell’altra Sicilia (quella di Occidente, di tradizione Sicana) mafiosa e furba, dove si può toccare col dito il cielo del potere e della ricchezza, del successo politico, della rapida carriera, senza molta fatica. Infatti Sciascia diceva che a Palermo basta trovare la chiave giusta o la intermediazione adatta, per ottenere l’impossibile. Le attività produttive che non sono connaturate ai piazzesi, sono l’industria e la speculazione economica. Vive qui, infatti, un inconsueto genere di umanità che, per un sorriso di donna, per un caso pietoso, o per la commozione di un vecchio, si può 14 mandare a gambe per aria un buon affare. Non parliamo del fascino abnorme che esercita il forestiero. Infatti, il linguaggio di chi viene da lontano ha il potere di disarmare l’iracondo, il diffidente o il furbo, come per un prodigio. D’altro canto, in Sicilia, il culto antico dell’ospitalità è ben noto e rasenta spesso la dabbenaggine. Diversi anni fa, un mercante piazzese di antiquariato mi propose l’acquisto di un quadro dell’Ottocento, un bellissimo San Francesco in estasi, se gli davo soltanto 100 mila lire per la bellissima cornice indorata. A suo parere, il valore del pezzo stava nella cornice. E la tela l’avrebbe regalata, dopo, al primo cliente di passaggio. Il ministro di Giuliano l’Apostata, Claudio Mamertino, duemila anni fa, fu il più illustre forestiero che restò affascinato dall’ambiente piazzese e dal costume bonario e aggraziato della sua gente. Proprio qui, costruì la famosa villa del Casale ornandola con i preziosi mosaici, ormai noti in tutto il mondo. I Normanni, affascinati dai languidi occhi neri delle donne piazzesi, segnati da un velo di tristezza – che è forza irresistibile e ammaliante –, innestarono il seme inconfondibile della loro razza, dando la più felice caratterizzazione etnica della fusione degli opposti. Infatti oggi si incontrano facilmente belle brune che ti elettrizzano con due grandi occhi azzurri o, donne dai capelli biondi naturali, con occhi nerissimi. In questo ambiente fantasioso, vivificato soltanto dalle periodiche controversie politiche e dal pettegolezzo di provincia, gli esclusi e i vinti trovano vitalità soltanto nella poesia e nella meditazione filosofica, anzichè nelle idee positive. Qui nacque Gaetano Fuardo l’8 Settembre I878. Don Ferdinando, suo padre, era lo speziale del paese, cioè il gestore di quella bottega-sodalizio che, nella provincia italiana dell’8OO, riuniva le lingue più pungenti del paese, gli 15 ingegnacci sciattoni più estrosi, i borghesi illuminati che citavano Voltaire come un compaesano. (Le vere battaglie dei Carbonari, dei Garibaldini o dei Conservatori Borbonici, furono combattute proprio nelle “spezierie”, fra pestello e mortaio.) Gaetano era figlio unico. La madre si chiamava Maria Grazia Turino. Fin dall’infanzia mostrò interesse per l’ambiente professionale del padre da restarne coinvolto. Frequentava la farmacia come una scuola. Traeva spunti che, subito dopo, andava ad approfondire ed a verificare sui libri. Aveva un carattere introverso e testardo. Era curioso anche dei particolari più insignificanti. Furono queste le prime notizie raccolte nella città natale di Fuardo, ma erano insufficienti. Della sua clamorosa scoperta nessuno era informato. Molti, addirittura, lo sconoscevano. Qualcuno affermò che si trattava di un visionario, di uno dei soliti folli che, nei paesini, suscitano il motteggio generale. Un amico mi disse che esisteva ancora l’ultimo dei Fuardo a Piazza, e mi indicò dove poterlo trovare. S.V., cugino dell’inventore, si aiutava a vivere vendendo bombole di butangas. Corpulento. Mite di carattere. Rassegnato. Trasandato e triste, come quel tale che, quando gli domandano come stai, suole rispondere: attendo la morte. Il suo unico vezzo era la ripetuta carezza sull’accurato riporto dei capelli, da valle a monte. S.V. prima mi accolse con diffidenza, ma dopo, come un vecchio diesel che ha bisogno di una lunga carburazione, diede il via ad un lungo sfogo su controversie ereditarie familiari che teneva in animo da chissà quanto tempo. Mi parlò della figura dello zio Don Ferdinando, uomo di cultura e, nello stesso tempo, abile miscelatore di intrugli efficaci in terapia. Disse che lo zio speziale era anche poeta, sia in 16 lingua italiana, come nel dialetto siciliano (gallo italico). I suoi brindisi di occasione, le sue aggressive satire politiche in versi, i discorsi funebri commemorativi, erano ben noti anche nel circondario. “Oggi, queste poesie, che tutti recitavano a memoria, sono introvabili. Sopravvive qualche verso nella memoria dei vecchi, dato che mio zio non ebbe mai cura di raccoglierle.” Gaetano ebbe, dunque, come suo primo maestro, il padre e la élite culturale della farmacia. Ma, aggiunse il cugino, ne ebbe per pochi anni perchè perdette i genitori in giovanissima età, a causa della epidemia della spagnola. La famiglia piombò nella miseria. La farmacia fu svenduta e Gaetano rischiò di non potere continuare gli studi. Un lascito, però, gli piovve dal cielo come una manna. Si venne a scoprire l’esistenza del legato di un vecchio zio, frate Ignazio, “morto in odore di santità”, di lire sessanta mensili. Beneficio destinato “agli eredi maschi Fuardo, meritevoli e volenterosi a proseguire negli studi”. Con questa provvidenziale fortuna, Gaetano Fuardo iniziò gli studi ginnasiali. Dopo il liceo, frequentato a Realsedani in un collegio dei Gesuiti, completato in due anni (anziché in tre), si trasferì a Milano per frequentare il Politecnico e per laurearsi poi in ingegneria chimica, col massimo dei voti. 17 REALSEDANI Dopo le notizie fornitemi dal cugino, mi incuriosiva l’ambiente scolastico che aveva frequentato Fuardo. Fu così che andai nella città etnea di Realsedani nella speranza di raccogliere ulteriori informazioni. Il collegio S. Ignazio, retto dai Gesuiti, arroccato sulla sommità di una collina ricca di frutteti e di verde intenso, guarda il suggestivo vulcano Etna da una parte e, dall’altra, il mare Jonio col suo intenso colore blu. Fino agli anni cinquanta, questo collegio aveva avuto fama nazionale. I giovani della borghesia meridionale più illuminata – quelli che resistettero alla rigida disciplina – passarono da qui. Un college all’inglese per struttura, per autonomia e per alto livello didattico. Una piccola università per chi iniziava con la quinta elementare e completava gli studi con la maturità classica. Questo convitto, svolgeva anche molte attività sportive, compresa la scuola di scherma. Disponeva di un molino–pastificio per uso privato, di un’azienda agricola, di una tipografia, di laboratori scientifici e persino di un osservatorio astronomico con attrezzature sismologiche. La sua ricca biblioteca, famosa nel circondario, era dotata anche di un reparto librario per le pubblicazioni messe all’indice dalla Chiesa. Naturalmente tenuto rigorosamente sotto chiave. In questo collegio Fuardo era entrato come studente all’età di 12 anni. Giunto nella grande portineria chiesi subito di parlare con il padre Gesuita più avanzato negli anni. Poco dopo, mi trovai di fronte un lucido vecchio novantaseienne, smilzo, basso di statura, con molti capelli bianchi mal contenuti, ermetico e lapidario nel fraseggiare, vivace con quegli occhi che ti colpisono subito. 18 Vestiva col tradizionale abito talare, austero e solenne, tanto da ingigantire la sua piccola statura. Come prima cosa mi disse: “ben poche informazioni le posso dare su Gaetano Fuardo. Mi sento come il sopravvissuto dopo un terremoto. O come un carcerato, condannato al silenzio, ma felice di incontrare un interlocutore disposto ad ascoltarmi. Mi ricordo vagamente di questo alunno che si esprimeva bene nel dialetto siciliano gallo-italico di Piazza Armerina, che raddoppiava spesso le consonanti e che aveva difficoltà a parlare e scrivere in perfetta lingua italiana. Spesso mi aiutava nel montaggio dei circuiti nella stazione sismologica del collegio. Non so se lei è informato dei recenti studi americani per lo sfruttamento energetico dei vulcani: io avevo pensato molti anni prima a questo progetto ed a questi studi, mirando alla economicità della sostituzione della energia vulcanica con i carburanti petroliferi. Scrissi anche un libretto. Ma tutto è piombato nel dimenticatoio, perché la società consumistica non ama più gli studi approfonditi. Non ricordo altro di questo giovane piazzese e nè sono in grado di promuovere una ricerca dal momento in cui l’archivio del collegio è stato trasferito alla Casa Professa di Palermo, sede del Provincialato. Oggi non esiste più nemmeno la struttura didattica di questo antico collegio, ormai in disarmo a causa delle vocazioni mancanti nell’Ordine dei Gesuiti. (Così si dice ufficialmente, per giustificare la vendita del palazzo). Io sono rimasto come il custode delle sue macerie, fino alla morte.” Subito dopo il vecchio padre chiuse improvvisamente il nostro incontro, come preso da uno scatto d’ira dominata a stento. Si alzò, e andò via senza salutarmi .Mi accorsi che, voltandomi le spalle, aveva preso in mano il Rosario che portava legato alla cintola, dando l’impressione di aggrapparsi ad un punto fermo. 19