Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 trittico 208 16:12 Pagina 208 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 209 Devo al lettore una motivazione sulla scelta di tre autori ai quali, in una rassegna di così ampia portata, ho dedicato tre piccole monografie privilegiate. Franco Canale, Gelsomino D’Ambrosio e Alfredo Profeta possiedono, infatti, molte affinità che spiegano questa mia scelta. È stato molto divertente per me scoprirle, studiarle e confrontarle, spero lo siano anche per il lettore attento al linguaggio delle immagini. La prima delle tre motivazioni è quella di tipo generazionale. Tutti e tre appartengono alla seconda generazione di designer grafici, dal dopoguerra, che hanno scelto di dedicarsi alla comunicazione, talvolta comprimendo il loro talento per piegarlo alle esigenze di funzionalità comunicazionale, altre volte liberandolo totalmente, anche a scapito della facilità, della semplificazione, che la funzione comunicativa richiede. La seconda motivazione è che nessuno dei tre ha avuto un itinerario convenzionale nella formazione di comunicatore, anche questa è una casuale affinità; ma tutti intrattengono un rapporto denso e compromesso con le arti visive e la passione per il prorprio lavoro; ciascuno di loro ne coltiva più di una, e le accudisce anche a costo di privilegiarle e di anteporle agli interessi professionali. La terza motivazione che mi ha spinto a legarli insieme è la condivisione di una scelta di campo di tipo professionale, tutti e tre sono schierati anche ideologicamente dalla parte del design, e di una visione positiva della storia; insomma, per dirla con le parole di Alfredo Profeta, alla possibilità di costruire un mondo migliore ci credono ancora. 209 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 210 franco canale 210 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 211 Come fa un napoletano, artista, illustratore, grafico a sfuggire all’oleografia del pulcinellismo e del vesuvismo? Franco Canale1 ce l’ha fatta, perché ha scelto il percorso più difficile, quello dell’interpretazione del genius loci, della grande madre, la storia dell’arte, della visione politica del proprio operare al servizio degli altri. Una vita professionale quella di Canale, spesa tutta nella stessa direzione, con coerenza, con passione, con testardaggine, con un nitido disegno etico attraverso il quale filtrare la propria attività di «Grafico nel Corpo di Napoli», come intitolava uno scritto del 19832. Franco non abita più lo studio di piazzetta Nilo, ma – in oltre vent’anni – si è spostato solo fino a Piazza del Gesù, è rimasto nel cuore di una città che non lascia indifferenti, che impregna di sé, della sua storia millenaria e immensa, come delle sue turpitudini e meraviglie chiunque svolga un lavoro creativo. E non solo quello. Dicevo della testardaggine, del disegno etico che ha caratterizzato l’attività di Canale, si tratta di una visione del lavoro che è anche la sua contraddizione, o meglio il suo conflitto interiore, che si dibatte più o meno consapevolmente, più o meno dialetticamente, tra un’istanza estetica, un bisogno di misurarsi con la componente artistica di un lavoro che va svolto al servizio del committente e un’esigenza di funzionalità comunicativa, quel bisogno di essere anche e comunque al servizio del fruitore, di stare dalla parte del destinatario dei propri messaggi di comunicazione visuale. Canale è sempre stato più vicino alla sfera etico-educativa del mestiere del grafico, si tratta quasi di una militanza politico-professionale che condizionava anche le scelte della committenza. Il nostro comune marketing – se così possiamo chiamare l’attività di autopromozione – puntava ad una committenza pubblica, sociale, culturale, condivisa. In tutti questi anni Franco Canale ha lavorato tenendo ben chiari questi riferimenti, vivendo la sua dimensione di ricerca estetica, creativa, contaminando la sfera professionale del fare comunicazione con la storia dell’arte e del proprio territorio. Di questa cultura sono impregnate le immagini che accompagnano la tipografia del Nostro. I grandi modelli, ai quali in una società di massa è difficile sfuggire, i Folon, i Lionni, i Pericoli, sono patrimonio dell’inconscio dell’autore, non già facili stilemi da replicare; le fonti primarie dell’iconografia sono le più diverse, dalla nuova fotografia americana, al Push Pin Studio ma sono frequentate senza sacralità. Ma la quota di artista che è presente nel patrimonio di esperienze e di competenze di ogni comunicatore risponde a tutto questo solo con gli strumenti di cui dispone: l’aumento di valori estetico-formali; è questa la strategia di Canale, per questo nel suo lavoro è sempre più presente il Mito, la Storia, la grande Storia dell’Arte. Con questi elementi il pioniere protegge il proprio territorio magico della comunicazione e si difende dalla contaminazione dello stile internazionale digitalglobalizzato; come la DOP, la denominazione di origine protetta, il design grafico originale, d’autore, dovrebbe chiedere la protezione. 1 Riprendo in parte il testo di presentazione, scritto con Gelsomino D’Ambrosio, per il catalogo della mostra di Canale a Napoli, Castel Nuovo, 15 settembre 2006, in Canale, 2006. 2 Canale, 1983. 211 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 212 28-01-2008 16:12 Pagina 212 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 213 213 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 214 28-01-2008 16:12 Pagina 214 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 215 215 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 216 28-01-2008 16:12 Pagina 216 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 217 217 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 218 gelsomino d’ambrosio 218 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 219 È difficile scrivere di un compagno con il quale ho condiviso solamente gli ultimi quarant’anni. Ho cominciato questo testo al presente ed è doloroso ora trasformarlo al passato; tuttavia, non intendo essere neutrale né distaccato. Gelsomino D’Ambrosio un itinerario tra arte e design. Non sempre queste due anime possono convivere in un equilibrio sereno; il designer deve comprimere la dimensione emotiva della creatività per farla confluire nella razionalità della produzione industriale e si tratta di una schizofrenia faticosamente ricomponibile; spesso l’artista tenta di sottrarre al designer tutto il nutrimento della componente razionale per travasarlo nella sfera estetica; Gelsomino, pur con una lucidissima consapevolezza, aveva deciso che nella sua vita la ricerca estetica doveva prevalere e sopravanzare tutto, doveva venire prima di tutto, anche prima della «convenienza» della produzione industriale, ma senza rompere del tutto l’equilibrio dialettico. Gelsomino è stato uno dei pochi autori che si è occupato di comunicazione e che possedeva talenti molteplici, difficilmente presenti in una sola persona, raramente così fortemente interiorizzati. Scenografo e illustratore, artista e designer, ha sempre saputo tenere nitidamente distinte le sue qualità professionali, nessuna contaminando l’altra, nessuna confusa – se non volutamente – nell’altra e ha sempre saputo donarsi il privilegio di scegliere con cura i suoi maestri. Ha coltivato con intensità le sue tante passioni: la Storia dell’Arte, il Barocco ha rappresentato la sua cifra espressiva più amata; la letteratura, possedeva interamente gli autori italiani più raffinati, Leonardo Sinisgalli, Carlo Emilio Gadda, Tommaso Landolfi, Giorgio Soavi, Luciano Bianciardi, ma l’elenco sarebbe troppo lungo. Ha studiato scenografia nell’Accademia napoletana con Franco Mancini ed è stato a bottega da Pier Luigi Pizzi, ha percorso il territorio per la ricerca etno-musicologica, poi ha cantato la tarantella alla Scala di Milano, suonando la tammorra. In ogni settore delle sue attività ha percorso sempre, con grande leggerezza, solo l’eccellenza. Le sue passioni originarie sono state il teatro e la scenografia, ha frequentato questa disciplina, forse più d’ogni altra, in costante equilibrio tra la scienza e l’arte, prima nella messa in scena, dal K Teatro di Rino Mele al Teatrogruppo, con l’evoluzione della ricerca nella cultura popolare fino alla metà degli anni settanta, poi nella messa in pagina, come recita il titolo di un suo recente libro, fondendo le nostre attività nello Studio Segno, che fondammo nel 1973. Poi con Giovanni Vietri, nel 1984, lo studio divenne una vera impresa. Mino (così lo chiamavamo in pochissimi) si è formato su libri letti per passione, per piacere, prima che per dovere, alimentando sempre di più sia la dimensione artistica che quella scientifica. Questa ricchezza, questa molteplicità, è tutta presente nel suo lavoro, impastata – come a lui piaceva dire – contaminata nello spettacolo della sintesi visiva che raccoglie i materiali più diversi, sapientemente armonizzati in una dialettica costantemente in bilico sapiente tra disegno e design. E qui entra in gioco il rapporto con la tecnologia ed il disegno nel progetto di design. Mino non ha mai scelto tra tecnofilia e tecnofobia; ha vissuto il rapporto con le protesi tecnologiche (utilizzando da bravo scenografo anche gli umani con una funzione protesica) come un male necessario, convinto com’era di saper trarre da ogni cosa, uomini e macchine, le immagini funzionali al suo disegno, anche quando il suo disegno era necessariamente design. 219 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 220 Ho sempre tentato di rimproverargli l’utilizzo dei collaboratori come «pennelli» della sua «pittura», ma sapevo che le pulsioni sono anche più forti della razionalità, anche più forti della consapevolezza e della sua intelligenza, del suo disarmante buon senso. Ha saputo vivere da sempre la sua contraddizione, ciascuno ha la sua: essere uomo che deve lavorare nel team, ma voler rimanere testardamente autore. Ed è passato dal teatro al design senza risolverla. Perché questa è un’altra chiave di lettura dei suoi talenti, saper restare nel disegno – nel senso più denso e profondo della sapiente voluttà del segno grafico – e saper gestire la complessità progettuale dei sistemi di design. Negli ultimi anni il suo prepotente bisogno di autorialità individualistica, l’esigenza di imprimere e far emergere un segno personale anche nei progetti di design, lo ha portato ad una sorta di ritorno alle nostre origini, quando le nostre strade si sono incontrate e, per molti anni, fuse. Dunque se oggi non esisteva più «Una persona come noi due» (il libretto di racconti che pubblicammo per i nostri vent’anni di lavoro insieme1) Segno Associati aveva guadagnato – con tutte le contraddizioni – quello che io definivo un brand: D’Ambrosio come marchio di Segno Associati; un concetto che naturalmente nessuno avrebbe potuto capire. Nel suo lavoro emergeva una visione della comunicazione personale, in particolare questo era possibile nei manifesti, nei quali tendeva a far emergere l’autore rispetto ad ogni progetto. Per sostenere questa cifra aveva recuperato anche l’uso più frequente del disegno, il suo segno voluttuoso e potente. Voleva evitare ogni equivoco tra il suo lavoro ed il nostro, voleva firmare ogni progetto con la riconoscibilità, consapevole com’era di non poterlo fare diversamente. Questa dinamica ci ha portato in qualche modo alle origini del nostro sodalizio, quando «litigavamo» anche per ore (avevamo tempo allora) per una soluzione formale che fosse la mediazione delle nostre due visioni, che sintetizzerei proprio nella contrapposizione tra disegno e design. Era stato Filiberto Menna a farci riflettere su questa problematica, dopo che Rino Mele e Angelo Trimarco ci spinsero a lavorare insieme per la seconda rassegna teatrale (del 1974). Come tutte le intuizioni premature dei grandi intellettuali, Filiberto l’aveva già annunciata con più di vent’anni di anticipo. Come aveva perfettamente fotografato i tipi: lui il «melanconico», io il «mercuriale». Il problema era quello di coniugare la metodologia della produzione industriale propria dei sistemi di design con il segno grafico d’autore, nel senso della riconoscibilità stilistica del segno. Per me questo significava spingere troppo il versante «artistico», privilegiare l’area della esteticità in luogo di quella della funzionalità comunicativa. Per me il design doveva trovare un difficile ma inequivocabile equilibrio tra l’istanza estetica e quella della funzionalità comunicativa; Mino tentava lo sbilanciamento, privilegiava il dominio dell’estetica, cercava tenacemente la via delle arti. Infinite volte lo avevo spinto a percorrere la strada della ricerca estetica per compensare la sua pulsione artistica, per liberare l’artista dal designer. Nasce forse anche per questo, nel 2004: «Scenografica. Dalla messa in scena alla messa in pagina»2, un libro ed una mostra nei quali lascia finalmente volare la sua dimensione di artista e di poeta. Poi il lavoro, l’impresa, ci ha tolto il tempo di «litigare» con serenità e profondità e ciascuno ha percorso le proprie strade senza poterle discutere con l’altro; le nuove tecnologie, il marketing, i nuovi itinerari della ricerca, 220 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 221 della didattica, ci hanno ulteriormente allontanato. Ma nel frattempo è cambiato anche il mercato, la concorrenza, la comunicazione; è proprio cambiato il mondo. Ci è mancato il tempo di progettare una separazione creativa per tradurla in una nuova ricchezza. È stato troppo poco il tempo per accorgerci che non avevamo più tempo. 1 Una persona come noi due, Edizioni 10/17, Salerno, 1992. Il volumetto raccoglie racconti di Antonio Castaldi, Redenta Formisano, Luigi Giordano, Vito Maggio, Rino Mele, Generoso Picone, con cinque versi di Edoardo Sanguineti. 2 Gelsomino D’Ambrosio, Scenografica. Dalla messa in scena alla messa in pagina, Edizioni 10/17, Salerno, 2004. Il libro contiene uno testo critico di Ada Patrizia Fiorillo. 221 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 222 28-01-2008 16:12 Pagina 222 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 223 223 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 224 28-01-2008 16:12 Pagina 224 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:12 Pagina 225 225 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 226 28-01-2008 16:12 Pagina 226 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:13 Pagina 227 227 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 228 28-01-2008 16:13 Pagina 228 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:13 Pagina 229 229 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:13 Pagina 230 alfredo profeta 230 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:13 Pagina 231 Liceo classico, una giurisprudenza senza entusiasmo, poi Alfredo Profeta ha fatto molti mestieri: impiegato, elettricista teatrale a Londra, regista teatrale a Napoli, dirigente di un’azienda editoriale, libraio, redattore e grafico, critico musicale, grafico professionista. Ma è interessante considerare come tutto torna con coerenza nella storia di un itinerario formativo, anche avventuroso e ricco, come quello di Profeta, che ha incontrato nel suo percorso, artefice l’editore Gaetano Macchiaroli, molte figure di intellettuali, di napoletani-europei, come Giorgio Amendola, Luigi Compagnone, Ermanno Rea, Paolo Ricci, Riccardo Ricciardi, Manlio Rossi-Doria, Maurizio Valenzi, Vittorio Viviani, e tantissimi altri artisti, letterati, politici, editori, che gli hanno segnato le strade e il destino, nella cultura, come nella professione, nella visione politica. La sua dimensione professionale nasce e si sviluppa dunque intorno a tre grandi insegnanti: il primo maestro è il libro, ma non il libro inteso solo come oggetto di book design, certamente anche quello, ma il libro vissuto nella sua più tradizionale e nobile funzione: lo studio non finalizzato, lo studio per passione, per curiosità, per amore, direi. Da libraio (lui con più dotta umiltà scrive «commesso di libreria»), a dirigente editoriale, a progettista grafico, c’è un curioso itinerario al contrario, che va dalla progettazione, alla gestione, alla vendita ed al consumo del libro nella sua vita, ma sempre al centro dei suoi interessi. Una conferma ulteriore, se mai ce ne fosse bisogno, che il book design non può essere attività da neofiti o da frequentatori occasionali dell’oggetto libro. Né potrà dire molto, alle giovani generazioni, una lunga frequentazione del piombo delle linotypes, nel rapporto con gli operai della tipografia, laddove si imparavano regole professionali e di vita insieme, dove gli intelletuali del design grafico apprendevano dal proto le regole di base della buona pagina. Il secondo maestro di Profeta è una maestra – ed è anche molto seduttiva – è la musica. Appassionato musicofilo, ma anche esperto musicologo e critico musicale, con la musica convive da tutta la vita, al punto da diventare egli stesso produttore di musica, fabbricatore di quel meraviglioso strumento di comunicazione che è il disco. Alfredo ha fondato e cura con testardaggine e con passione una piccola ma sofisticata casa di edizioni musicali, la «Imprint records»; è autore di tutto, dalle scelte al design delle confezioni; è totale padrone di ciò che ama e che vuol condividere con altri. La musica, i libri e la grafica, dunque, sono parte importante del suo progetto di vita, con una precisa poetica: «ho tentato di trascodificare nel linguaggio grafico che ho provato a darmi, il rigore razionale e la spigolosa imprevedibilità di un assolo di sassofono (come quelli di Charlie Parker, di John Coltrane, di Eric Dolphy o di Ornette Coleman, per chi è in grado di intendere cosa voglio dire)»1. Anche Profeta è di quelli che hanno sognato di cambiare la società, il mondo, ma «per sgombrare il campo da ogni possibile equivoca interpretazione, alla possibilità di costruire un mondo migliore ci crede ancora»2. 1 2 Profeta, 1997: 31. Ivi, p. 31. 231 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 232 28-01-2008 16:13 Pagina 232 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:13 Pagina 233 233 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 234 28-01-2008 16:13 Pagina 234 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:13 Pagina 235 235 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 236 28-01-2008 16:14 Pagina 236 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:14 Pagina 237 237 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 238 28-01-2008 16:14 Pagina 238 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:14 Pagina 239 239 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 240 28-01-2008 16:14 Pagina 240 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:14 Pagina 241 241 Com.Vsiva_IMP.03 trittico 28-01-2008 16:14 conclusioni 242 Pagina 242