REGATT 02-2012 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 27/01/2012 14.21 Pagina 4 ROMANO PENNA Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo Alcuni aspetti del Gesù storico 2012 quindicinale di attualità e documenti 2 «BIBLICA» pp. 216 - € 19,00 Attualità 001 Politica in Italia: il tripartito? 006 Tra crisi religiosa e democrazia: Belgio e Ungheria % $#"$##$$#$#$$$##$ $ #$$ $$ $#$ #$ $#$ $ # $ $# # $ #$# $$$#$$##$%$#" # $ $$# # $ #$ %$#" $## DELLO STESSO AUTORE 027 Theobald: come recepire il Vaticano II 047 Nuovo cinema religioso 057 Studio del Mese L’Europa, un’avventura spirituale J. Delors – G. Ambrosio Profili di Gesù pp. 200 - € 16,50 EDB ! Anno LVII - N. 1115 - 15 gennaio 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” ! ! $#%!!# #$%$######$%$# REGATT 02-2012 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 27/01/2012 14.21 Pagina 2 quindicinale di attualità e documenti A CHRISTOPH THEOBALD ttualità La recezione del Vaticano II 15.1.2012 - n. 2 (1115) Caro lettore, Libri del mese 1 (G. Brunelli) per una rivista come la nostra, ogni nuovo anno è un viaggio che a un tempo prosegue e ricomincia, con tanti passeggeri – lei e gli altri abbonati – ritrovati e alcuni nuovi, e con tante tappe da affrontare: solo limitandoci all’attività di Benedetto XVI e della Santa Sede, si va dalla nomina di 22 nuovi cardinali, già annunciata, all’Incontro mondiale delle famiglie a Milano e al Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione; dal viaggio del papa in Messico e a Cuba all’avvio dell’«anno della fede» in concomitanza con il 20° del Catechismo della Chiesa cattolica e soprattutto con il 50° dell’apertura del Vaticano II, come ha sottolineato Benedetto XVI al n. 5 della Porta fidei: «Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il 50° anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto”». Affrontiamo questo viaggio con sempre maggiore impegno e responsabilità, forti anche del consenso che il nostro lavoro continua a riscuotere e che rappresenta la migliore motivazione a proseguire in questo servizio. Con i migliori auguri di un buon 2012. R Italia - Politica: il tripartito? { Dal governo Monti alla prossima legislatura } 4 (M. Bombardieri) Italia - Islam: il dialogo continua… { Università, associazioni islamiche e Ministero } 6 (A. Máté-Tóth) Ungheria - V. Orbán e l’Europa: avventura democrazia { L’evoluzione del paese e della Chiesa dal muro di Berlino alla crisi europea } 9 (M. Bernardoni) Chiesa in Belgio - Indagine CRISP: Interpretare le trasformazioni { Da una pratica religiosa strutturata a una più disseminata } 13 (M.E. Gandolfi) Benelux - Violenze sui minori: ripartire dai frammenti { Linee interpretative dalle commissioni d’inchiesta di Belgio, Olanda e Lussemburgo } Olanda (M.E. G.) Belgio (M. B., M.E. G.) Lussemburgo (M.E. G.) 17 (E. Pirazzoli) Ex Iugoslavia - Crimini di guerra: tra politica e riconciliazione { Intervista a F. Pocar, già presidente del Tribunale penale internazionale (2005-2009) } 19 (G. Brunelli) Benedetto XVI - IV Concistoro Il ritorno della curia 20 (G. Mocellin) Santa sede - Lefebvriani Il senso della continuità 21 (D. Sala) Stati Uniti - Chiesa: da episcopaliani a cattolici { Un nuovo ordinariato personale dopo quello per il Regno Unito } 21 (F. Strazzari) America Latina - Ecuador: la rivoluzione di Correa { Il difficile rapporto tra la Chiesa e i leader progressisti } 26 (D. S.) Corea del Nord Dopo il dittatore 1. Tornare alla sorgente 27 (C. Theobald) Tornare alla sorgente { La recezione del Vaticano II } 33 Schede (a cura di M.E. Gandolfi) Segnalazioni 43 (M. Veladiano) C. Frugoni, Storia di Chiara e Francesco 43 (L. Pedrazzi) G. Forcesi, Il Vaticano II a Bologna. La riforma conciliare nella città di Lercaro 44 (R. Castagnetti) Musica e liturgia 47 (T. Subini) Arti - Cinema e religioni: se si mostra Dio { Dagli studi alle mostre, da Pasolini ai lavori più recenti: la tradizione e la vitalità del film religioso } 51 (M. Bernardoni) NUOVI SAGGI TEOLOGICI SERIES MAIOR Dialoghi - Fede e scienze: passione per la verità { Intervista al fisico Ugo Amaldi } pp. 728 - € 65,00 55 (D. Sala) Diario ecumenico 56 (L. Accattoli) Agenda vaticana Studio del mese { La crisi dell’Unione Europea } 57 (J. Delors) Europa: un’avventura spirituale nella nostra storia 64 (G. Ambrosio) COMECE - Crisi europea: una comunità solidale e responsabile 68 (P. Stefani) Parole delle religioni Padre onnipotente ! 70 I lettori ci scrivono 71 (L. Accattoli) Io non mi vergogno del Vangelo … E la privacy? 26 (D. S.) India - Chiese cristiane Vietare la violenza interreligiosa Colophon a p. 69 DELLO STESSO AUTORE Vocazione?! EDB pp.728 - € 65,00 &%$#"! $$#####!!$ ####$## ! ! $#%!!# #$%$######$%$# REGATT 02-2012 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 27/01/2012 14.21 Pagina 2 quindicinale di attualità e documenti A CHRISTOPH THEOBALD ttualità La recezione del Vaticano II 15.1.2012 - n. 2 (1115) Caro lettore, Libri del mese 1 (G. Brunelli) per una rivista come la nostra, ogni nuovo anno è un viaggio che a un tempo prosegue e ricomincia, con tanti passeggeri – lei e gli altri abbonati – ritrovati e alcuni nuovi, e con tante tappe da affrontare: solo limitandoci all’attività di Benedetto XVI e della Santa Sede, si va dalla nomina di 22 nuovi cardinali, già annunciata, all’Incontro mondiale delle famiglie a Milano e al Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione; dal viaggio del papa in Messico e a Cuba all’avvio dell’«anno della fede» in concomitanza con il 20° del Catechismo della Chiesa cattolica e soprattutto con il 50° dell’apertura del Vaticano II, come ha sottolineato Benedetto XVI al n. 5 della Porta fidei: «Ho ritenuto che far iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il 50° anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto”». Affrontiamo questo viaggio con sempre maggiore impegno e responsabilità, forti anche del consenso che il nostro lavoro continua a riscuotere e che rappresenta la migliore motivazione a proseguire in questo servizio. Con i migliori auguri di un buon 2012. R Italia - Politica: il tripartito? { Dal governo Monti alla prossima legislatura } 4 (M. Bombardieri) Italia - Islam: il dialogo continua… { Università, associazioni islamiche e Ministero } 6 (A. Máté-Tóth) Ungheria - V. Orbán e l’Europa: avventura democrazia { L’evoluzione del paese e della Chiesa dal muro di Berlino alla crisi europea } 9 (M. Bernardoni) Chiesa in Belgio - Indagine CRISP: Interpretare le trasformazioni { Da una pratica religiosa strutturata a una più disseminata } 13 (M.E. Gandolfi) Benelux - Violenze sui minori: ripartire dai frammenti { Linee interpretative dalle commissioni d’inchiesta di Belgio, Olanda e Lussemburgo } Olanda (M.E. G.) Belgio (M. B., M.E. G.) Lussemburgo (M.E. G.) 17 (E. Pirazzoli) Ex Iugoslavia - Crimini di guerra: tra politica e riconciliazione { Intervista a F. Pocar, già presidente del Tribunale penale internazionale (2005-2009) } 19 (G. Brunelli) Benedetto XVI - IV Concistoro Il ritorno della curia 20 (G. Mocellin) Santa sede - Lefebvriani Il senso della continuità 21 (D. Sala) Stati Uniti - Chiesa: da episcopaliani a cattolici { Un nuovo ordinariato personale dopo quello per il Regno Unito } 21 (F. Strazzari) America Latina - Ecuador: la rivoluzione di Correa { Il difficile rapporto tra la Chiesa e i leader progressisti } 26 (D. S.) Corea del Nord Dopo il dittatore 1. Tornare alla sorgente 27 (C. Theobald) Tornare alla sorgente { La recezione del Vaticano II } 33 Schede (a cura di M.E. Gandolfi) Segnalazioni 43 (M. Veladiano) C. Frugoni, Storia di Chiara e Francesco 43 (L. Pedrazzi) G. Forcesi, Il Vaticano II a Bologna. La riforma conciliare nella città di Lercaro 44 (R. Castagnetti) Musica e liturgia 47 (T. Subini) Arti - Cinema e religioni: se si mostra Dio { Dagli studi alle mostre, da Pasolini ai lavori più recenti: la tradizione e la vitalità del film religioso } 51 (M. Bernardoni) NUOVI SAGGI TEOLOGICI SERIES MAIOR Dialoghi - Fede e scienze: passione per la verità { Intervista al fisico Ugo Amaldi } pp. 728 - € 65,00 55 (D. Sala) Diario ecumenico 56 (L. Accattoli) Agenda vaticana Studio del mese { La crisi dell’Unione Europea } 57 (J. Delors) Europa: un’avventura spirituale nella nostra storia 64 (G. Ambrosio) COMECE - Crisi europea: una comunità solidale e responsabile 68 (P. Stefani) Parole delle religioni Padre onnipotente ! 70 I lettori ci scrivono 71 (L. Accattoli) Io non mi vergogno del Vangelo … E la privacy? 26 (D. S.) India - Chiese cristiane Vietare la violenza interreligiosa Colophon a p. 69 DELLO STESSO AUTORE Vocazione?! EDB pp.728 - € 65,00 &%$#"! $$#####!!$ ####$## 01-03_politica:Layout 2 31-01-2012 12:46 Pagina 1 Politica I TA L I A i l tripartito? Dal gover no Monti alla prossima legislatura I l 12 gennaio 2012, con il doppio no pronunciato dalla Corte costituzionale sui due quesiti referendari abrogativi della legge elettorale vigente (il cosiddetto Porcellum), si chiude un’intera stagione politica. Il no della Corte è stato pronunciato naturalmente secondo motivazioni tecnico-giuridiche, ma l’effetto è politico e istituzionale. Il no della Consulta ai referendum C’è una giurisprudenza della Consulta, secondo la quale non bisogna creare il vuoto sulla legge elettorale. Il referendum non può essere solo abrogativo o demolitivo. I precedenti referendum sono stati ammessi perché lasciavano in piedi una normativa. A questa giurisprudenza si è richiamata la Corte, dal momento che la legge elettorale è «costituzionalmente necessaria»: se venisse meno, infatti, si creerebbe un vuoto normativo inconcepibile, che paralizzerebbe le istituzioni democratiche. «Gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale – si legge nella sentenza – non possono essere esposti neppure temporaneamente all’eventualità di paralisi di funzionamento, anche soltanto teorica». Di diverso parere erano stati in precedenza 111 costituzionalisti (tra cui due ex presidenti della Corte), che avevano firmato un appello alla vigilia della sentenza. Essi ritenevano sufficiente l’automatico ripristino della legge elettorale precedente per evitare il vuoto normativo. Ma il relatore, il presidente Sabino Cassese, ha definito impossibile il richiamo all’istituto della cosiddetta «reviviscenza». In questo modo la Corte boccia recisamente la «visione “stratificata” dell’ordine giuridico, in cui le norme di ciascuno strato, pur quando abrogate, sarebbero da considerarsi quiescenti e sempre pronte a ridiventare vigenti». «L’abrogazione totale della legge 270 del 2005 riguarderebbe l’attuale metodo di scelta dei componenti dei detti organi costituzionali nel suo complesso e di conseguenza il referendum, ove avesse un esito favorevole all’abrogazione, produrrebbe l’assenza di una legge costituzionalmente necessaria, che deve essere operante e auto-applicabile, in ogni momento, nella sua interezza». Ancora più dura e netta la posizione della Corte sul secondo quesito, che mirava ad abrogare le «formule introduttive» di ogni articolo del Porcellum. La Consulta liquida il quesito perché viziato da contraddittorietà e da assenza di chiarezza. Nei giorni precedenti la sentenza, aveva stupito il fatto che alcuni organi di stampa riferissero unanimemente e articolatamente le motivazioni negative della Corte, accompagnate dal giudizio politico di un no di fatto motivato dalla preoccupazione per le ripercussioni che il referendum avrebbe avuto sulla stabilità dei rapporti tra i partiti che sostengono il governo Monti. La crescente certezza di un no della Corte aveva poi modificato l’atteggiamento delle forze politiche. All’indomani della raccolta delle firme, di fronte a un così ampio successo (1.200.000 in un mese), i vari esponenti delle forze politiche avevano fatto a gara nel dimostrare attenzione alle ragioni del referendum e all’indifendibilità di questa legge (dal Popolo della libertà [PDL] a Maroni), fino a episodi di vera e propria intestazione del risultato (il Partito democratico [PD], con Bersani, aveva rivendicato il proprio protagonismo nella raccolta delle firme). Per poi scoprire, una volta posti al sicuro dal no della Corte, quello che si sapeva da sempre: per il PDL e per la Lega questa legge va bene com’è; l’Unione di centro (UDC) chiede un ritocco in senso proporzionale, eliminando il premio di maggioranza; così come il PD di Bersani, il quale peraltro non aveva neppure firmato. La sentenza della Corte ha innescato l’«indietro tutta» della politica e la fine di un ciclo di riforme istituzionali. Una par titocrazia senza par titi Ora si allontana la possibilità di avere un sistema maggioritario che consenta ai cittadini di decidere. La maggioranza delle forze politiche vuole tornare al proporzionale, identificato come il sistema migliore per perpetuare sé stessi. Il rischio dunque è che una correzione dell’ultima ora ripristini il massimo di proporzionale possibile. Con i partiti pronti a farsi riconoscere ognuno la propria quota e l’autorizzazione a IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 1 01-03_politica:Layout 2 31-01-2012 12:46 gestirla al meglio, fuori da ogni decisione dei cittadini circa le alleanze, i governi e conseguentemente i programmi, la politica torna a essere identificata con la gestione del consenso pro quota dei diversi soggetti. È in atto un tentativo di ritorno al multipartitismo polarizzato, quello che nella prima Repubblica vedeva da una parte la Democrazia cristiana (DC) e dall’altra il Partito comunista (PCI). Il risultato attuale è di descrivere un campo di piccoli soggetti politici dominato dai due principali partiti, che assomigliano ai partiti di un tempo, ma solo di nome. Una partitocrazia senza partiti. Il che significa l’autodeterminazione di gruppi dirigenti senza un minimo di dialettica democratica interna ai partiti e, grazie al proporzionale, senza alcun controllo da parte del cittadino elettore. Anche in questo sistema i partiti sono obbligati ad allearsi con le forze minori per avere la maggioranza più uno, ma solo dopo il voto. Questo sistema non supera le cosiddette «coalizioni coatte», toglie semplicemente il principio di trasparenza, poiché in democrazia rimane inevitabile la necessità di assicurare ai governi la maggioranza assoluta dei voti. Il problema è se le alleanze debbano essere dichiarate prima delle elezioni o dopo. Il diverso tempo di quella dichiarazione non descrive solo una dinamica impropria o insufficiente da un punto di vista democratico per i soggetti politici, spinti verso forme oligarchiche, ma deresponsabilizza anche i cittadini, che demandano ai partiti la gestione di ogni scelta e di ogni compromesso. Chi vuole il ritorno al proporzionale non si batte contro i limiti del maggioritario, ma contro l’obbligo di dichiarare le sue alleanze davanti agli elettori. Dal tripar tito al bipar titismo Naturalmente le difficoltà degli attuali soggetti politici rimangono tutte, a partire dalla situazione di fallimento generale della politica, attraverso la quale si è giunti al governo Monti senza passare per le elezioni. Se ci fosse stata un’alterna- 2 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 Pagina 2 tiva, come in Spagna, il presidente Napolitano avrebbe potuto sciogliere le Camere. Ma qui non c’era un’alternativa politica al governo Berlusconi. Le forze del centro-sinistra non erano state in grado di costruirla. L’antiberlusconismo ha prodotto quel che poteva produrre: una mera delegittimazione del «leader avverso» e, grazie anche alla sua progressiva decadenza, la sua demolizione.1 Non la costruzione di un’alternativa politica e di governo. Questa condizione mette oggi in difficoltà i protagonisti, loro malgrado, di questa maggioranza tripartita sulla quale si regge in Parlamento il governo Monti. Di fronte a un «governo del presidente», il partito del presidente (il PD) ha pochi margini di manovra. Spera di trarre da questo contraddittorio esercizio di responsabilità (rimangono indeterminati i rapporti con le altre forze politiche del campo di centro-sinistra, e precarie le relazioni con le componenti sindacali di riferimento di fronte a politiche socialmente costose) un qualche guadagno in termini di voto moderato e rimane il «sogno» di un’alleanza con l’UDC di Casini su un piano nazionale. Tutte queste difficoltà, ricondotte nell’alveo di un sistema politico modellato sulla prima Repubblica, sono nulla per il PD, fanno parte di un lungo tirocinio storico (quello del PCI). Ciò che è intollerabile, e lo è stato per un quindicennio per il partito erede del PCI, è la messa in discussione che il sistema maggioritario e la proposta dell’Ulivo avevano fatto del partito come tale. Basterà riprendersi le dichiarazioni recenti di leader storici del PCI (oggi PD) come Violante e Macaluso, oltre che quelle di Bersani e D’Alema, per avere chiaro lo schema: l’unica cosa che non si può discutere è il partito, la sua unità, al punto che è preferibile sbagliare assieme piuttosto che avere ragione singolarmente. La colpa del maggioritario e dello schema di coalizione degli anni Novanta era quella, all’opposto, di mettere in discussione la forma partito, di farla evolvere per poter andare al governo e governare. Ma questo è un prezzo che il PD non intende pa- gare. Meglio, piuttosto, tornare all’opposizione. Il PD ha mancato l’appuntamento storico con la cultura liberal-democratica. Non minori difficoltà mostra il PDL di Alfano e Berlusconi. La decadenza berlusconiana mette certamente Alfano nella condizione di fare uscire il partito dalla fase precedente. Ma quanto è veloce davvero la fine di Berlusconi? Alfano è l’uomo del tripartito, dell’appoggio a Monti, ma tra pochi mesi ci saranno le elezioni amministrative e tra un anno le politiche. C’è per il PDL la scelta, che attraversa entrambi gli appuntamenti elettorali, di un’alleanza alternativa: o con Casini o con la Lega. Berlusconi è l’uomo dell’alleanza con la Lega, Alfano con l’UDC. Senza la Lega un partito già provato in termini di consenso come il PDL, che esce comunque drammaticamente sconfitto dalla recente prova di governo, rischia di frantumarsi in molte regioni e comuni del Nord. Il ripristino dell’alleanza con la Lega è diventato oneroso e incerto. Oneroso quanto alla volontà della Lega di stare all’opposizione del governo Monti e di andare prima possibile alle elezioni politiche. Il prezzo chiesto dalla Lega al PDL (la crisi di governo) è altissimo, difficilmente sopportabile in questa fase dal partito di Berlusconi. Incerto, perché la relazione con la Lega è resa precaria per il conflitto, interno alla Lega stessa, tra Bossi e Maroni. La resa dei conti tra i due per la leadership del partito è definitiva, e per vincerla Maroni è costretto a radicalizzare la propria posizione, non a moderarla. Almeno in questa prima fase. Fino alle elezioni politiche. Dunque si allontana un ipotetico dialogo tra Lega e UDC, patrocinabile da Maroni e dalla classe leghista veneta, quasi tutta di provenienza democristiana, mentre si ripropone in termini nuovi lo schema di un’alleanza competitiva tra Lega e PDL. Il che mette in difficoltà il rapporto tra PDL e UDC. Grazie alla fine del governo Berlusconi, e posta al riparo del governo Monti, l’UDC di Casini è in certo modo vincente in termini politici. 01-03_politica:Layout 2 31-01-2012 12:46 Ha di fronte a sé la possibilità di costruire una condizione politica neocentrista. Il ritorno al proporzionale favorisce questo esito. Il tripartito che sostiene il governo prefigura questa situazione. Difficile però immaginare che il PD regga a lungo questo posizionamento, che lo colloca di fatto nella posizione che fu del Partito socialista di Craxi, in un’area sociale ed elettorale che allora si chiamava Pentapartito. Finché Berlusconi rimane fuori scena, il PD può stare nella stessa maggioranza parlamentare, ma appena rientra… A un certo punto tutti dovranno scegliere. Alle prossime amministrative, ad esempio, è certamente possibile che scaturiscano alleanze locali tra PD e UDC, fino a spingersi a un esperimento lombardo, qualora saltasse l’equilibrio su cui si è sostenuto finora Formigoni. Più difficile è un’alleanza strategica su un piano nazionale senza la partecipazione del PDL. L’evoluzione del quadro politico rimane ancora incerta e per molti aspetti indeterminata. Le prossime elezioni amministrative determineranno una spinta decisiva a chiarire l’esito di questa sospensione della politica. Il bipolarismo delle gerarchie: né con Berlusconi, né con il PD A rendere difficile l’esito neocentrista dell’UDC è, potrà sembrare paradossale, la posizione della gerarchia ecclesiastica. A voler risolvere con uno slogan la posizione della Conferenza episcopale italiana e della Santa Sede, che su questo punto sembrano sostanzialmente concordare, si potrebbe dire che la Chiesa non intende andare (o mandare i cattolici italiani) né con Berlusconi, né con il PD. Gli sviluppi antiberlusconiani della scorsa estate, approdati a Todi,2 hanno reso definitivo il no a Berlusconi. Il che non significa un no ad Alfano o al PDL o un sì esclusivo a Casini. Quanto piuttosto un sì a un’alleanza tra un PDL non berlusconiano e un’UDC non semplicemente neocentrista. Analogamente, dopo il fallimento della stagione ulivista, la presa d’atto che il PD è un partito culturalmente radicale, anche se dagli atteggia- Pagina 3 menti politici moderati, sembra definitiva. Ci sono tra gli esponenti del PD diversi cattolici, ma al di fuori di uno schema sistemico che costringa il PD a tener conto strutturalmente del pluralismo culturale e della cultura cattolica, la presenza di singoli è ricondotta nel migliore dei casi a un ruolo testimoniale: quello che fu degli indipendenti di sinistra nel PCI. Non è poi detto che tutta la pattuglia degli ex popolari alla fine di questo processo rimanga. Saranno proprio gli esperimenti locali di alleanza con l’UDC a legittimarne l’uscita verso il centro. Per la gerarchia ecclesiastica appare insufficiente (numericamente insufficiente) lo stesso esperimento neocentrista di Casini. Non può essere quello l’approdo. Identificherebbe i cattolici italiani con una corrente. Senza dire che oggi in quel contesto politico abita anche Fini, portatore di una cultura laicista non dissimile sui temi ecclesialmente sensibili da quella di molti esponenti del PD. Le gerarchie ecclesiastiche guardano a un modello europeo, al Partito popolare europeo. In Italia quello schema deve poter mettere assieme PDL e UDC, senza Berlusconi. E dall’altra parte il PD e il resto della sinistra. Il Partito popolare europeo è in grado di riprendere quasi per intero lo spazio politico elettorale che fu della DC e dei suoi alleati e stare pressoché stabilmente al governo, costringendo il PD e le sinistre antagoniste all’opposizione. Non è la DC. Non è la «Cosa bianca». È un’altra «Cosa». Non è un progetto culturalmente avanzato su un piano politico, tale da contribuire a riformare la nostra democrazia. Ma realisticamente può bastare. Del resto, l’esperienza storica della DC è finita con Moro, con la fine (simbolicamente alta e drammatica) di un’intera generazione cresciuta in Azione cattolica e diffusa in maniera omogenea sul piano nazionale. Quella stagione è irripetibile. Non c’è oggi un’altra generazione di cattolici posta in condizioni simili. Ma già il decennio successivo alla morte di Moro aveva cominciato a descrivere una DC diversa, pienamente secolarizzata nei pensieri e nelle abitudini, nei comportamenti e nei valori. Che non tematizzava più il confronto filosofico e teologico tra morale e politica (e spesso praticava altro). Se ci fosse bisogno di altri simboli al riguardo, a riguardo di quella generazione, la morte di Oscar Luigi Scalfaro ne è un ulteriore sigillo. Quello che restava di quella stagione è stato investito con grandi speranze, sotto la definizione di «cattolicesimo democratico», nell’esperienza dell’Ulivo. E con la fine dell’Ulivo ha avuto termine anche quel «resto». Fuori da un progetto politico nazionale, sostenuto da una continuità culturale innestata in una grande tradizione, anche il futuro dei cattolici nel PD, dal piano locale a quello nazionale, sarà difficile. Senza dire del riverbero che tutto questo avrà su un piano elettorale per lo stesso PD. In una compagine di centro-destra moderato, la gerarchia vede non la possibilità di una condivisione generalizzata di valori, ma la possibilità pratica che vi trovi spazio in maniera nuovamente influente una quota di classe dirigente cattolica, tale da salvaguardare alcune posizioni. Le gerarchie ecclesiastiche hanno preso saldamente in mano il pasticcio di Todi e lo ordinano diversamente. In questo senso Todi è il fallimento di quello che rimane dell’associazionismo variamente cattolico. Del resto l’elaborazione piuttosto rigida della nozione di «valori non negoziabili» è la formula con la quale si prende atto della secolarizzazione dello stesso mondo cattolico e ci si riserva, da parte ecclesiastica, il diritto d’intervenire pubblicamente sui temi che maggiormente interessano la gerarchia e determinare, di fatto, in funzione di quella rigidità, la maggiore o minore vicinanza di singoli e di gruppi alle posizioni della Chiesa. In questo senso non serve più neppure lo strumento dell’unità politica dei cattolici. Ricomincia una storia. Gianfranco Brunelli 1 Cf. G. BRUNELLI, «Da Berlusconi a Napolitano. La fine di un ciclo politico», in Regno-att. 20,2011,649. 2 Cf. G. BRUNELLI, «Cattolici e politica: Todi prima e dopo», in Regno-att. 18,2011,578. IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 3 04-05_art islam:Layout 2 30-01-2012 11:14 Pagina 4 Islam I TA L I A i l dialogo continua... Università, associazioni islamiche e Ministero I l progetto «Nuove presenze religiose in Italia. Un percorso di integrazione» ha visto chiudere, nel mese di dicembre, i lavori del secondo anno di formazione rivolto agli esponenti dell’associazionismo islamico italiano (cf. Regno-att. 22,2010,732). Il corso all’educazione interculturale e al pluralismo religioso organizzato dalle cinque università italiane costituenti il Forum internazionale Democrazia & religioni (FIDR), con il patrocinio del Ministero dell’interno e il sostegno della Compagnia di San Paolo di Torino, si è sviluppato durante l’intero arco dell’anno, in cinque weekend, nelle città di Alessandria e Varese. I soggetti coinvolti nella formazione 2011 sono quindi le università italiane consorziate nel FIDR (Università dell’Insubria di Varese, Università del Piemonte orientale, Università Statale e Università Cattolica di Milano e l’Università degli studi di Padova),1 il Dipartimento per le libertà civili del Ministero dell’interno, e le comunità islamiche. Nello specifico sono stati più di una trentina i corsisti aderenti all’iniziativa, di cui ben 15 già partecipanti nell’anno 2010 e desiderosi di proseguire ulteriormente nel percorso intrapreso. I nuovi iscritti provengono per lo più dal Maghreb; tuttavia si registra anche la presenza di mediorientali, pakistani e senegalesi. Più dell’80% risiede nel Nord del paese, dove maggiori e ben più stabili sono le possibilità impiegatizie; il 68% è dotato di un’istruzione universitaria e appena la metà gode della cittadinanza italiana. Rispetto all’anno precedente si evidenzia una 4 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 maggiore partecipazione giovanile, migliore istruzione, conoscenza della lingua italiana e coinvolgimento nei tavoli di lavoro, e – non senza il rammarico degli organizzatori – l’assenza della componente femminile, la quale una volta selezionata ha abbandonato il corso – per motivi familiari e logistici. I corsisti sono stati scelti sulla base della carriera associativa, nonché sul grado di attivismo civico nella società italiana; alcuni di essi sono impegnati politicamente in partiti politici italiani ed esteri. Si tratta, dunque, di persone che hanno acquisito negli anni un ruolo decisivo nella leadership islamica locale o che – nel caso dei giovani – si stanno ritagliando uno spazio che potrebbe determinare nel lungo periodo un’influenza cruciale sulla comunità di riferimento. Risultano inoltre figure «ponte» tra le istituzioni e i musulmani stessi; fanno riferimento a organizzazioni islamiche che estendono il loro controllo sociale sulla umma e nello stesso tempo dialogano con le istituzioni laiche e religiose organizzando importanti iniziative sia a livello locale che nazionale. Percorso d’integrazione 2011 È guardando ai leader di oggi e intravedendo quelli di domani che il Forum internazionale Democrazia & religioni colloca la propria azione formativa, delineando un percorso di integrazione, che focalizzato sui dirigenti e le guide religiose intende investire a cascata la pluralità della umma in Italia. Nello specifico, «Nuove presenze religiose in Italia. Un percorso di inte- grazione» ha affrontato una serie di tematiche, secondo approcci multidisciplinari (sociologico, giuridico, culturale, pedagogico), concernenti le problematiche storico-politiche, che hanno contribuito a definire l’orientamento dello stato italiano nei confronti del fenomeno religioso; le dinamiche sociali connesse al pluralismo religioso; il rapporto tra religioni e democrazia e per finire le questioni giuridiche legate all’esercizio del diritto della libertà religiosa. Declinate nei cinque finesettimana come segue: – 25-26 giugno, «Libertà, pluralismo e intercultura»; – 17-18 settembre, «Islam, media e comunicazione»; – 22-23 ottobre, «Famiglia, rapporti di genere, seconde generazioni, counselling coppie miste»; – 19-20 novembre, «Moschee, zakaˉ t, halaˉ l »; – 17-18 dicembre, «Dialogo intramusulmano, interreligioso e con le istituzioni».2 Voci dai leader musulmani e dalla Chiesa cat tolica Come nel 2010 anche nel 2011 i lavori si sono chiusi all’insegna del dialogo interreligioso e intramusulmano. Nello specifico del dialogo islamo-cristiano, don Gino Battaglia, direttore dell’Ufficio nazionale ecumenismo e dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana, partendo dai documenti del concilio Vaticano II, dove la Chiesa cattolica fonda il dialogo insegnando «a non rigettare niente di quanto è “vero e santo” nelle altre religioni, dato che esse “non ra- 04-05_art islam:Layout 2 30-01-2012 11:14 ramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”, ha sottolineato l’importanza di un dialogo possibile, nonostante punti di incontro e di distacco, imparando a conoscersi e a conoscere». Ed è proprio per promuovere una migliore conoscenza reciproca che in molte diocesi sono sorti uffici preposti al dialogo interreligioso e centri di documentazione che offrono materiale informativo sulle religioni, ma anche counselling per coppie miste, corsi di cultura e lingua araba. Dei principali ricordiamo il Centro ambrosiano di documentazione per le religioni, diretto da don Giampiero Alberti, e fondato dal lungimirante ex arcivescovo card. Carlo Maria Martini, che già nel 1990 richiamava l’attenzione della Chiesa e di Milano con il discorso Noi e l’islam, tuttora di infinita e cruciale attualità. «Erano tempi – afferma don Alberti – in cui i preti non conoscevano l’islam, e andavano formati e preparati. Perché lo spirito di Dio – incalza don Giampiero – soffia dove vuole, non solo sui cristiani, era necessario per cui un discernimento cristiano sull’islam per conoscere i musulmani». «Per i musulmani, invece, il dialogo interreligioso – afferma Kamel Layachi del Consiglio delle relazioni islamiche italiane – si fonda su una profonda conoscenza del tawhid (unicità di Dio), base della vita del credente che guarda al pluralismo e alla diversità quale volontà dell’unico Dio che ha creato e amato tutti gli esseri e ci chiede di amare tutti come lui ha amato. Il Corano poi ricorda che “se Allah avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. Gareggiate in opere buone: tutti ritornerete ad Allah ed egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi”». Dunque chiosa Layachi: «Il musulmano si impegna nel dialogo interreligioso, alimentato dalla fede, a partire dalla quale comprende se stesso, il mondo e stabilisce rette relazioni nel proprio ambiente sociale». Spostandoci sul versante del dialogo tra i musulmani, Alessandro Ferrari, coordinatore del progetto, spiega come «uno dei principali obiettivi del FIDR è stato proprio quello di offrire uno spazio dove esponenti di associazioni con sensibilità religiose e orientamenti giuridici differenti potessero incontrarsi e confrontarsi”. Il secondo anno di corso rileva, Pagina 5 infatti, come il FIDR abbia colto a segno nel suo proposito; buona parte dei corsisti del primo anno hanno avviato al di fuori del Forum iniziative private e pubbliche ove dibattere su specifici temi. Le testimonianze: Seck Mansour dell’Associazione Cheikh Ahmadou Bamba di Varese afferma che le conoscenze acquisite durante il corso gli hanno permesso di promuovere incontri formativi nei propri centri, mentre Sajad Hussain Shah dell’Associazione Muhammadiah di Brescia sottolinea migliorie nell’interazione con le amministrazioni pubbliche. Nel proseguire tale percorso, i leader nazionali presenti alla tavola rotonda sul futuro dell’islam italiano hanno con coraggio espresso l’intento e l’esigenza di creare un organo di coordinamento nazionale delle associazioni islamiche con rispetto alle specifiche identità. Dunque d’intraprendere un percorso comune mettendo da parte gli antichi antagonismi, al fine di raggiungere nel lungo periodo un mirato e coeso intervento nazionale, fino alla firma dell’intesa con lo stato italiano. Prospet tive future In vista della terza edizione di «Nuove presenze religiose in Italia. Un percorso di integrazione», il FIDR potrebbe sostenere i buoni propositi dei partecipanti musulmani con azioni formative, di mediazione e di tutoring che contribuiscano difatti al processo di costituzione di una rappresentanza «dal basso» dell’islam italiano, bilanciando per quanto possibile l’esigenza di democraticità e rappresentatività della umma. Diversi infatti sono già stati i tentativi di creare organismi di rappresentanza «dall’alto»: negli anni Novanta e dal 2005 a oggi, si sono susseguiti consigli, consulte e comitati naufragati per attriti nella prima classe dirigente islamica oppure per poca lungimiranza e inadempienza politica. Il patrocinio del Ministero dell’interno concesso al progetto pilota sull’integrazione delle comunità musulmane risulta essere, quindi, di grande importanza per il FIDR, pur tuttavia inscrivendosi all’interno di un quadro politico alquanto instabile. Se nel 2010 il corso ha goduto della costante presenza di un funzionario ministeriale, lungo tutto il 2011 la sua totale assenza è stata assordante. Appena all’incontro conclusivo ha presenziato il prefetto di Varese, Giorgio Zanzi, por- tando i saluti del neo ministro Cancellieri; durante il quale ha ribadito l’interesse del Ministero a sostenere iniziative per l’integrazione, «affinché questa risulti il più possibile omogenea e in linea con il paese». Un giusto riconoscimento del lavoro fin qui svolto è giunto – oltre che dai corsisti – dal Comitato per l’islam italiano, che nel parere sugli imaˉm ha segnalato il progetto come «buona pratica da riprodurre e ripetere in altre parti d’Italia, in quanto capace di coinvolgere il mondo musulmano in un percorso di valorizzazione delle identità culturali e religiose consentendo un’armoniosa convivenza nel rispetto di una logica pluralistica». Per concludere, facciamo nostro il desiderio del direttore del Forum internazionale Democrazia & religioni, Roberto Mazzola, che nel ricordare come gli obiettivi del progetto abbiano sposato appieno le finalità del centro interdipartimentale, asserisce con vigore l’intento di proseguire con quanto iniziato. Ovvero «rinnovando le sinergie tra atenei italiani e centri di ricerca stranieri, continuando lo studio in forma interdisciplinare dei fenomeni religiosi nelle attuali democrazie, facendo ricerca applicata utile per la società civile, e soprattutto stringendo sempre più proficue cooperazioni con le istituzioni pubbliche». Maria Bombardieri 1 I seguenti docenti costituiscono il Comitato scientifico del progetto «Nuove presenze religiose in Italia. Un percorso di integrazione»: Alessandro Ferrari (coordinatore), Roberto Mazzola, Stefano Allievi, Paolo Branca, Silvio Ferrari e Milena Santerini. Sono inoltre affiancati dai ricercatori Antonio Angelucci, Maria Bombardieri e Davide Tacchini, nella pianificazione scientifica e nella realizzazione degli incontri. 2 Alla tavola rotonda islamo-cristiana hanno preso parte da parte cristiana: i responsabili del dialogo cristiano-islamico diocesano (don Giampiero Alberti – CADR di Milano, don Andrea Pacini – Facoltà teologica di Torino) e nazionale (don Gino Battaglia – CEI), invece da parte musulmana: Lubna Ammoune, giovane redattrice del blog «Yalla Italia» e l’imam Kamel Layachi del Consiglio delle relazioni islamiche italiane. Mentre all’incontro intramusulmano erano presenti i presidenti delle maggiori associazioni islamiche nazionali: Gulshan Jivraj Antivalle – Comunità ismailita italiana, Izzedin Elzir – Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, Bakari Idriss – Partecipazione spiritualità musulmana, Omar Jibril – Giovani musulmani d’Italia, Abdelaziz Khounati – Unione musulmani in Italia, Yahya Pallavicini – Comunità religiosa islamica Italiana, Abdellah Redouane – Centro islamico culturale d’Italia – Grande moschea di Roma. IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 5 06-08_art ungheria:Layout 2 30-01-2012 17:29 Pagina 6 Victor Orbán e l’Europa UNGHERIA a vventura democrazia L’ e v o l u z i o n e d e l p a e s e e d e l l a C h i e s a dal muro di Berlino alla crisi europea G uardandosi attorno in Europa, non si trova praticamente alcun paese nel quale i media non riprendano a lettere cubitali in prima pagina parole quali crisi o perdita di fiducia. Sarebbe un miracolo se l’Ungheria o altre società ex comuniste facessero eccezione. Esperti, politici e giornalisti stanno continuamente aggrappati alla corda della campana dell’opinione pubblica. Alcuni sentono suonare l’allarme della crisi, altri già i rintocchi del funerale dell’economia, della democrazia e dell’appartenenza all’Unione Europea. L’incessante ritornello trasmette sempre meno informazioni, ma riesce a rendere isterica la società. La domanda è giustificata: come si è arrivati a questo? Gli abitanti del paese si chiedono con sempre maggiore impazienza quanto ancora durerà. A 20 anni dalla svolta Circa 20 anni fa, quando l’onnipotente Unione Sovietica perse la battaglia, sul piano della concorrenza economica e dell’armamento militare, con gli Stati Uniti, i cosiddetti paesi satelliti ottennero la libertà politica per incamminarsi verso la democrazia e la possibilità di passare dall’economia pianificata all’economia di mercato. Allora l’Ungheria era considerata, già da un decennio, la felice baracca del blocco orientale, un arcipelago gulasch. Solo in pochi paesi del blocco orientale gli abitanti hanno dovuto pagare con il loro sangue l’avvento del nuovo sistema: in Romania e in seguito nelle guerre iugoslave. Le speranze erano molto alte e – oggi 6 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 appare chiaramente – l’ingenuità ancora maggiore. Il valore della libertà è caduto sotto la spada dei problemi economici e sociali. Le drastiche costrizioni al cambiamento hanno colpito duramente la società inesperta e impreparata all’economia di mercato; il divario sociale è aumentato. Al breve periodo dell’euforia è subentrato il lungo periodo della delusione. A un libro che ho scritto insieme a Pavel Mikluščák sulle sfide pastorali nell’Europa centro-orientale ho dato il titolo Non come latte e miele.1 All’inizio molti pensarono che la peregrinazione della società nel deserto fosse finita con la svolta attorno al 1990, ma in seguito ci si è resi sempre più conto che essa era appena all’inizio. Riguardo all’Europa orientale si ricorda come principale cesura la caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989. Un dato molto concreto, molto evidente. Io stesso conservo nello scaffale sopra la mia scrivania un frammento del muro come reliquia. In altri paesi della regione, specialmente in Ungheria, non esistono alcuna data e simbolo della svolta riconosciuti da tutti. Ha avuto una risonanza mondiale il gesto compiuto, alcuni mesi prima della caduta del muro, già il 27 giugno 1989, dall’allora ministro degli esteri austriaco Alois Mock e dal suo omologo ungherese Gyula Horn, i quali hanno simbolicamente attraversato insieme il segnale di confine, cioè la Cortina di ferro che dopo la Seconda guerra mondiale aveva diviso in due l’Europa. A livello nazionale, gli ungheresi considerano importante come momento di svolta la nuova tumulazione simbolica di Imre Nagy (16.6.1989), il martire della ri- voluzione del 1956, in occasione della quale proprio l’attuale primo ministro Viktor Orbán tenne il discorso più infuocato. Questi simboli quasi incomprensibili della svolta, del passaggio, indicano già di per sé che la svolta deve essere continuamente realizzata e molti si chiedono se qualcuno non l’abbia loro rubata. Evoluzione o involuzione democratica? Oggi parecchi osservatori occidentali – ma che cosa significa «occidentale» a vent’anni di distanza dalla caduta del muro? – segnalano la crisi della democrazia, ma occorre fare una distinzione fra le istituzioni democratiche e la cultura democratica. In tutti gli stati dell’Europa centrale le istituzioni della democrazia sono presenti e piuttosto stabili. Stanno in piedi le colonne capitali della democrazia: multipartitismo, elezioni parlamentari libere e controllate, magistratura indipendente, corte costituzionale, libertà di stampa. Ma la relazione del potere con queste istituzioni e l’accettazione delle decisioni da parte della società corrispondono sempre più alla disparità della cultura politica nelle società, con brevi interruzioni totalitarie. Le società post-totalitarie hanno assolto i loro compiti democratici per quanto riguarda le istituzioni, ma riguardo alla cultura sembrano a volte oscillare fra sufficiente e insufficiente. Su questo punto occorre uno sviluppo, all’ombra di una crisi economica mondiale. La coalizione di governo ungherese, guidata dal primo ministro Viktor Or- 06-08_art ungheria:Layout 2 30-01-2012 bán, si trova a livello nazionale e internazionale sotto l’appassionato fuoco incrociato della critica. I brutali e non infrequenti epiteti con cui viene apostrofato il presidente – spaziano da idiota a fascista – sono termini di battaglia sommari che nascondono più che svelare la reale situazione del paese. Secondo le sue costanti e coerenti affermazioni, il premier è un inequivocabile sostenitore dell’Unione Europea e un volenteroso partner di dialogo e discussione di tutte le sue istituzioni economiche, giuridiche e politiche. D’altra parte è un appassionato sostenitore degli interessi nazionali e della sovranità statale dei magiari. Con la sua politica cerca di bilanciare gli interessi dell’Unione Europea e dell’Ungheria e parallelamente di stabilire un’assoluta cesura rispetto alle ombre del comunismo. Con una maggioranza di due terzi nel Parlamento ungherese, sente di aver ricevuto dal suo paese il compito di cancellare «finalmente» i compromessi con il passato comunista e di fondare la nuova Ungheria. Vuole realizzare in fretta il suo impegnativo programma, come chi sa di aver ricevuto dalla storia un’opportunità unica e di avere poco tempo per coglierla. Il presidente ha subordinato tutto a quest’obiettivo e a questa rapidità e ora ne sconta le conseguenze. Chi semina vento raccoglie tempesta, e Orbán ha ammassato un ricco raccolto. In base agli attuali punti nodali della critica nazionale e internazionale, Orbán avrebbe imposto attraverso il Parlamento una Costituzione e molte altre leggi che riguardano anche le garanzie istituzionali della democrazia. Si sottolinea, con grande preoccupazione, che sarebbe stata soppressa l’indipendenza della magistratura e della Banca centrale e non sarebbe stata rispettata la regola dell’Unione Europea in materia di deficit di bilancio. Negli ultimi giorni il governo ha lanciato chiari segnali di una ripresa dei negoziati con il Fondo monetario internazionale senza se e senza ma, e di una disponibilità del governo a valutare attentamente tutte le critiche giustificate riguardo alle leggi incriminate e anche a procedere alle necessarie correzioni. La comune crisi finanziaria e i traballanti confini della capacità funzionale dell’Unione Europea nel suo com- 17:29 Pagina 7 plesso sono le cornici esterne del progetto della fondazione dell’Ungheria perseguito da Orbán. Nella politica interna, i ceppi ai piedi con i quali deve camminare sono costituiti da una totale perdita di fiducia. Non solo la critica distruttiva dell’opposizione, non solo i sentimenti di disperazione della popolazione, ma l’afflosciamento della fiducia all’interno della coalizione e del suo stesso partito abbreviano il ballo sulle punte di Orbán. Con la maggioranza di due terzi, la coalizione Fidesz-Partito popolare cristiano-democratico ha formalmente possibilità quasi illimitate di varare leggi. Ma la preparazione e l’attuazione di leggi prodotte a ritmo di catena di montaggio deve/dovrebbe essere assicurata da persone professionalmente competenti e ancor più da un apparato statale assolutamente leale. Le necessità di render conto della politica del governo ha lentamente subordinato la competenza alla lealtà. In tutti gli angoli della società si diffonde sempre più l’impressione che a comandare siano soprattutto burocrati meschini e mediocri. Questo tipo di politica personale ricorda i tempi del comunismo, quando il libro del Partito comunista contava più di tutti i diplomi e di tutte le competenze specifiche. Il risultato è una politica economica discutibile, leggi inconsistenti, odio e agitazione disseminati ovunque. Strascichi della storia L’intera regione, che io amo definire «regione delle società in transizione», sviluppa attivamente relazioni economiche e politiche vitali. In questo gioca un ruolo importante, accanto ai fattori già ricordati, l’intreccio con il nazionalismo, che ricorda in parte il tempo dello sviluppo degli stati nazionali europei nel XIX secolo. Nella regione vi sono degli stati che hanno conseguito la loro sovranità solo nel XX secolo grazie alla benevolenza delle grandi potenze di riferimento, come la maggior parte degli stati dei Balcani o la Slovacchia. E ve ne sono altri che sono stati per secoli regni indipendenti, come la Polonia e l’Ungheria. L’azione del nazionalismo in queste società ha un elevato parallelismo con la lunghezza del periodo storico dell’indipendenza. Dove questo è più breve, lo stato nazionale basato per lo più sulle etnie ha bisogno di assicurare e sottolineare maggiormente la pratica e la cultura dell’indipendenza con mezzi politici. Come affermava già István Bibó nei suoi studi, questa regione è tormentata dalla situazione precaria dei piccoli stati dell’Europa orientale. Le tensioni fra le etnie e la logica nazionalistica dell’esercizio della politica non offrono solo la maggior parte della polvere da sparo ai conflitti, ma anche l’opportunità di un rafforzamento della coesione sociale. Di questo avevano bisogno le succitate società dopo la svolta e hanno ancor più bisogno nell’attuale crisi economica. Ciò che risuona da parte dell’Ungheria come una forte accentuazione dell’autonomia nazionale nelle discussioni con l’Unione Europea esprime chiaramente l’opinione della maggioranza delle società della regione, solo in una forma essenzialmente più moderata di quanto si può ascoltare dalla bocca di altri politici della regione. Chiesa in transizione La domanda alla quale devono rispondere i cattolici in tutti i paesi dell’Europa centro-orientale, ma certamente anche in tutto il mondo, è questa: quali sono i valori fondamentali che Dio chiede loro di testimoniare in modo credibile? Qui non penso a profonde teorie a livello di dogmatica o etica sociale, che sono certamente importanti, ma nelle quali ci si sente spesso come persi in una giungla. Penso agli imperativi più semplici, basati sulla fede cristiana, che oggi in questa regione presentano una particolare validità. Penso ai valori cattolici fondamentali, comuni a tutti, non all’interesse particolare della Chiesa cattolica. Per noi, nella ricerca e nelle lunghe discussioni notturne, sono particolarmente importanti tre di questi valori fondamentali, sui quali vorrei soffermarmi brevemente: ricordare, credere, imparare. Ricordare. Le società dell’Europa centro-orientale, e in esse anche le grandi Chiese cristiane, hanno conseguito solo negli ultimi vent’anni la libertà di elaborare il loro passato. Le discussioni pubbliche al riguardo dominano in parte l’intera politica ufficiale. Ma ricordare non significa mai rappresentarsi esclusivamente il passato, bensì sempre anche costruire il futuro. Nessun ricordo è neutrale, e neppure mai libero da interessi. Le analisi dei discorsi pubblici mostrano IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 7 06-08_art ungheria:Layout 2 30-01-2012 17:29 chiaramente che anche le Chiese e i cristiani usano il passato per riposizionare le stesse Chiese e altre comunità religiose. Questo fenomeno appartiene alla normalità dell’elaborazione pubblica del passato, ma non dispensa i credenti e i rappresentanti delle comunità religiose dal dovere religioso dell’autocritica, compresa la confessione dei peccati. Soprattutto il leitmotiv «vittime» richiede una profonda e decisiva nuova ermeneutica. Nell’opinione pubblica le istituzioni religiose chiedono diritti e privilegi speciali, richiamandosi per lo più al fatto di essere state perseguitate più di tutte le altre durante la dittatura comunista. In una discussione, alla domanda se i vescovi in Ungheria dovessero imitare il papa Giovanni Paolo II nella sua confessione di colpa nella Pasqua del 2000, un vescovo ungherese rispose: no, noi siamo stati le vittime del regime, a noi deve essere chiesto anzitutto perdono. Al contrario i vescovi cechi, in una lettera, hanno chiesto perdono per non essere stati sempre abbastanza coraggiosi a schierarsi dalla parte dei loro fedeli durante la persecuzione della Chiesa. Oggi un’elaborazione critica del passato della Chiesa è importante per l’onestà e credibilità della sua presenza. Se la Chiesa chiede giustamente una purificazione della società, lo può fare in modo credibile solo dopo aver riconosciuto pubblicamente le sue decisioni sbagliate e la sua corruzione. Se le Chiese chiedono a ragione una maggiore giustizia nella società, devono anche domandarsi come si comportano in materia di etica sociale, di morale del lavoro, di diritti dei dipendenti o delle donne al loro interno. Se la Chiesa proclama giustamente l’amore, fino all’amore dei nemici, a partire dal Vangelo, deve anche chiedersi se essa non corrompa l’olio della guarigione con le lotte gladiatorie delle nazioni. Usare misericordia. È sempre difficile porre le dure domande dell’autocritica cristiana ed ecclesiale. Le esperienze della persecuzione religiosa sotto i regimi totalitari hanno insegnato ai cristiani che la confessione delle debolezze avvantaggia i nemici della Chiesa, per cui hanno evitato l’autocritica con il pretesto dell’unità della Chiesa e con il rinvio all’amore per la Chiesa nostra madre. Ma senza riconoscere pubblicamente i propri problemi non si ottiene misericordia; si impedisce persino a Dio di mostrare la forza della 8 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 Pagina 8 sua misericordia. L’autocritica della Chiesa, proprio riguardo alla società moderna e in caso estremo riguardo all’ateismo, è stata un leitmotiv della Gaudium et spes. La Chiesa cattolica ha annullato la sua critica accusatoria unilaterale della modernità con l’affermazione dei diritti umani, della libertà religiosa e così via, e ha riconosciuto, facendo autocritica, che persino l’ateismo può essere considerato una critica giustificata di una falsa predicazione e pratica della Chiesa. Imparare. Le Chiese sanno di dover proclamare la verità rivelata da Dio, per cui si considerano istituzioni magisteriali. Soprattutto in un tempo nel quale i canali dell’opinione pubblica sono diventati accessibili anche alle Chiese, esse hanno preso sul serio il compito dell’insegnamento e hanno investito molte energie per far giungere l’insegnamento a tutte le generazioni e fin negli angoli più remoti della società. Al riguardo, la loro domanda principale è stata come riuscirvi e quali mezzi, tempi di trasmissione, leggi e così via occorrevano. In tutte le società post-totalitarie i mezzi sono più o meno assicurati da circa un decennio. Molti di coloro che sono impegnati nella proclamazione del Vangelo constatano sempre più spesso che bisogna porsi una domanda più radicale sui contenuti dell’insegnamento. Scoprono che le reazioni spesso negative dei destinatari del messaggio della Chiesa non sono dovute al loro cuore di pietra, ma probabilmente al fatto che la Chiesa proclama la parola del passato o, secondo l’espressione che un poeta della Romania mette in bocca a un profeta di oggi, «la parola, sì ho dimenticato la parola». Secondo molti ricercatori della regione, la Chiesa cattolica in questi paesi avrebbe dei problemi con la recezione del concilio Vaticano II. La recezione è già di per sé una questione piuttosto complicata; è oggetto di molte discussioni teoriche, e del resto la recezione del Concilio non è ancora terminata, come dimostra fra l’altro la nuova serie di commentari dei documenti conciliari (a cura di Peter Hünermann e altri). Ma io non vedo più il problema in primo luogo nel modo in cui le singole affermazioni conciliari sono state ricevute nella Chiesa della nostra regione e introdotte nella riflessione e nella pratica locale. Forse la domanda fondamentale posta a queste Chiese è piuttosto questa: con quale atteggiamento teologico e spirituale la Chiesa si pone in dialogo con la cultura e la politica contemporanea? Dal Concilio la Chiesa ha imparato molto, si è lasciata provocare dall’epoca moderna, ha approfondito la tradizione cattolica e ha prodotto nuove risposte e un nuovo atteggiamento. Anche nella nostra regione la Chiesa è provocata, è chiamata e stimolata, ad abbandonare i comportamenti del passato, a riscoprire qui e ora la sua propria tradizione. La Chiesa docente diventa credibile se è credibile anche come discente. Visione e previsione Considerando l’attuale cammino delle società nell’Europa centro-orientale come passaggio, molti possono vedere chiaramente il punto dal quale si è partiti: comunismo, dittatura, persecuzione della religione e della Chiesa. Ma la questione della meta, del «verso dove» continua a porsi. La risposta non può fermarsi a un «mai più dittatura», ma deve essere formulata anche in forma positiva: democrazia, diritti umani, tolleranza religiosa. Le pietre angolari europee del futuro sono messe in discussione in questi paesi, e soprattutto in Ungheria, al massimo da gruppi radicali di destra e di sinistra. La grande maggioranza della popolazione e le forze politiche decisive accettano e rappresentano concordemente i valori fondamentali europei. Anche le discussioni profonde in Ungheria, e in Europa sull’Ungheria, indicano l’esistenza di questa comune base valoriale. Le ingenuità dei primi anni dopo la svolta sono da tempo superate. Una seconda ingenuità – quella secondo cui la democrazia significa anche mancanza di discussione e secondo cui oggi nel mondo globalizzato si dovrebbe perseguire una totale indipendenza statale – può dimostrarsi dannosa e deve essere demistificata dall’intellighenzia politica ed ecclesiale, in armonia con il coro europeo. András Máté-Tóth* * Titolare della cattedra di Scienza della religione presso l’Università di Szeged (Seghedino). 1 A. MÁTÉ-TÓTH, P. MIKLUŠČÁK, Nije kao med i mlijeko. Bog nakon komunizma, Kriscanska sadasnjost, Zagreb 2001; ed. tedesca Nicht wie Milch und Honig. Unterwegs zu einer Pastoraltheologie der postkommunistischer Ländern Ost(Mittel)Europas, Schwabenverlag, Ostfildern 2000. 09-12_art_belgio:Layout 2 CHIESA IN 30-01-2012 18:10 Pagina 9 Indagine CRISP BELGIO i nterpretare le trasformazioni B ruxelles, ora di religione: la maggioranza sceglie il corso di islam». Così titolavano i giornali lo scorso 20 gennaio riportando i risultati di un’indagine del Centre de recherche et d’information socio-politiques (CRISP), secondo il quale nelle scuole della città che è sede delle istituzioni europee «l’insegnamento della religione musulmana ha superato per numero di studenti quello della religione cattolica», essendo quest’ultima «insidiata» anche dalla possibile scelta di «corsi di morale laica» offerti nelle scuole superiori. Il dato richiede di essere letto nel con- La chiesa di Sainte-Catherine a Bruxelles. Da una pratica religiosa strutturata a una più disseminata testo. La regione di Bruxelles-Capitale – una delle tre regioni autonome del paese insieme a quella fiamminga (Fiandra) e a quella vallona (Vallonia) – è quella dove gli effetti incrociati della secolarizzazione e dell’immigrazione straniera, in particolare di religione musulmana, fanno sentire maggiormente il loro peso. Col suo milione di abitanti, l’area di Bruxelles è oggi tra le regioni europee più cosmopolite e multietniche. La stessa indagine rivela, infatti, che nel resto del paese le proporzioni si ribaltano: nella Fiandra sono ancora più dell’80% i liceali che scelgono i corsi di religione cattolica (contro meno del 4% per la religione islamica), mentre nella Vallonia francofona sono ancora più del 50% (contro l’8% per i corsi di religione islamica), ma qui sale sensibilmente la percentuale di coloro che si avvalgono in alternativa dei «corsi di morale laica» (64%). Il paese rimane dunque legato alla sua tradizione cattolica. Ma i segnali di una crisi profonda ci sono tutti. Secolarizzazione, calo vertiginoso della pratica religiosa e delle vocazioni sacerdotali, flussi migratori che accrescono comunità di altre confessioni e mutano il contesto socio-religioso. Ma anche il grave scandalo delle violenze sessuali e le polemiche seguite alle ultime nomine episcopali, eventi che hanno suscitato anche in Belgio – dopo altri paesi europei – un movimento di protesta da parte del clero e dei fedeli per domandare riforme ritenute «urgenti e necessarie». Tanti segni di una Chiesa in sofferenza, che da alcuni anni ormai sta attraversando una crisi preoccupante e di difficile lettura. La cronaca recente ne offre testimonianza. A fine dicembre suscita un certo clamore l’annuncio (in realtà risalente a metà agosto) che la chiesa di Sainte-Catherine, spazio di preghiera condiviso da cattolici e ortodossi nel cuore della capitale belga, verrà sconsacrata e forse «convertita» – mantenendo la struttura attuale – in un mercato coperto: sovradimensionata e con «costi di gestione e mantenimento troppo elevati», dice l’autorità cittadina che ne è proprietaria. La stessa sorte potrebbe toccare presto ad altre chiese della capitale e dintorni, a motivo del calo impressionante di fedeli degli ultimi anni. Una conferma è venuta dall’accordo con il quale – a metà gennaio – IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 9 09-12_art_belgio:Layout 2 30-01-2012 18:10 Mons. André Léonard. l’arcivescovo di Malines-Bruxelles, André-Joseph Léonard, ha concesso che parte della chiesa di Saint-Hubert a Watermael-Boitsfort sia sconsacrata e trasformata in un lotto di abitazioni (www.dhnet.be, 19.1.2012). Una Chiesa nella tormenta «L’anno 2010 resterà per la Chiesa in Belgio un annus horribilis». Si apre così un’altra recente indagine del CRISP dedicata al funzionamento della Chiesa cattolica in Belgio «in un contesto di crisi».1 La ricerca ricostruisce anzitutto le vicende che hanno scatenato la «tormenta» nella quale la comunità ecclesiale si trova attualmente, individuando nel corso del 2010 due eventi chiave: la nomina di mons. Léonard come successore del card. Godfried Danneels per la sede di Malines-Bruxelles, a gennaio, e la successiva esplosione, nel mese di aprile, del «più grande scandalo cui abbia mai dovuto far fronte la Chiesa del Belgio»: le dimissioni del vescovo di Bruges, Roger Van- 10 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 Pagina 10 gheluwe, per il suo coinvolgimento in una vicenda di pedofilia cui è seguita – nei mesi successivi – la scoperta dolorosa e sconcertante di una lunga serie di casi di violenza sessuale commessi da sacerdoti e religiosi nel corso di diversi decenni (cf. qui a p. 15). La nomina di mons. Léonard a successore di Danneels suscita reazioni contrastanti (cf. Regno-att. 4,2010,85). Egli, infatti, era già noto per le sue prese di posizione pubbliche piuttosto intransigenti in materia di bioetica, aborto, eutanasia e omosessualità, nonché per le sue scelte in ambito formativo e pastorale. Il nuovo arcivescovo, appena insediato, inizia una sistematica visita pastorale ai decanati della sua diocesi, senza però manifestare propositi di riorganizzazione della struttura esistente. Le sue posizioni dottrinali, in parte pubblicamente riconfermate, suscitano interrogativi in particolare all’Università cattolica di Lovanio, di cui l’arcivescovo di Malines-Bruxelles è gran cancelliere e con la quale l’allora vescovo di Namur si era scontrato, nel 2002, su questioni di bioetica: «Léonard adotterà o meno la posizione del suo predecessore» che aveva scelto «una linea di dialogo piuttosto che una posizione autoritaria nei confronti delle università?». Pochi mesi dopo il suo insediamento esplode pubblicamente in Belgio lo scandalo delle violenze sessuali commesse da chierici al quale si aggiunge – in seguito alle clamorose perquisizioni all’arcivescovado di Malines-Bruxelles e all’abitazione del card. Danneels del giugno 2010 (cf. Regno-att. 14,2010,437ss) – uno scontro istituzionale tuttora in corso tra la Chiesa e la magistratura, che mina il «compromesso belga» tra Chiesa e stato. Infatti, nonostante la Corte d’appello di Bruxelles abbia dichiarato «illegali» le stesse perquisizioni (29.11.2011), il 17 gennaio scorso il portavoce della Conferenza episcopale, p. Tommy Scholtes, ha confermato che le autorità giudiziarie hanno effettuato nuove perquisizioni negli uffici delle diocesi di Malines-Bruxelles, di Anversa e Hasselt, e negli uffici della diocesi di Bruges, quella nella quale è esploso lo scandalo pedofilia. Un occhio alle statistiche L’indagine del CRISP traccia poi un quadro sociologico della pratica religiosa in Belgio, il cui continuo declino indica «la fine di una religione di “massa” alla quale si apparteneva per eredità familiare e della quale si osservavano i precetti come si rispetta una norma sociale». Esiste ormai una generazione di cattolici per cui le forme di appartenenza tradizionali sono integrate, o addirittura sostituite da altre forme di coinvolgimento, come quelle offerte da gruppi e movimenti, vecchi e nuovi, riconosciuti o meno dalla Chiesa, che sono espressione di sensibilità religiose anche molto diverse. Nel quadro tracciato si vede come il declino della pratica religiosa inizi a essere rilevante dopo gli anni Sessanta e subisca un’accelerazione durante i trent’anni dell’episcopato di Danneels a Malines-Bruxelles. L’indagine mette a confronto i dati relativi a frequenza alla messa, battesimi, matrimoni e funerali rilevati dal servizio statistico della Conferenza episcopale (1977 e 1996) e dall’Università cattolica di Lovanio (2007 e 2009). Confrontando i differenziali del periodo 1977-1996 con quelli del 20072009 è chiara l’accelerazione di cui si è detto. Se tra il 1977 e il 1996 la percentuale dei battezzati era scesa da 85,2% a 68,1% (20% in meno su 20 anni), il 54% di battesimi del 2009 indica un ulteriore calo del 15%, ma stavolta in soli 11 anni. I matrimoni civili seguiti da quello religioso erano 3 su 4 nel 1977, 1 su 2 nel 1996, e 1 su 4 nel 2007. Il numero di funerali è il dato che in trent’anni ha resistito meglio; ma è anche quello che negli ultimi 11 anni ha conosciuto il calo più vistoso, segnando una diminuzione superiore al 20%. La pratica domenicale ha registrato un crollo difficile da spiegare e ben più preoccupante di quello legato a battesimi, matrimoni e funerali: dal 30% del 1977 al 13% del 1996 (meno 55% in 20 anni), fino al 5% registrato nel 2009 (meno 62% in 11 anni). La distribuzione del dato per regioni mostra ovviamente delle differenze notevoli. Occorre ricordare che la pratica religiosa è stimata in rapporto alla popolazione totale, per cui sono cause di riduzione del dato sia la maggior secolarizzazione sia il tasso di immigrazione di una determinata area. Quanto alla dichiarazione di appartenenza, un sondaggio del 2000 – commissionato dalla Fondation Roi Baudouin – conferma che la Fiandra rimane la regione più cattolica del paese (60%), mentre Bruxelles-Capitale è quella dove tale 09-12_art_belgio:Layout 2 30-01-2012 18:10 identificazione è minore (46%). Nella stessa regione si registra però inaspettatamente anche il minor numero di coloro che si dichiarano «non religiosi», a conferma del fatto che il calo della pratica religiosa nella capitale è piuttosto legato alla presenza crescente di persone di confessione diversa (entrambe le comunità protestante e musulmana superano già l’8% della popolazione). Negli ultimi trent’anni la società belga ha senz’altro conosciuto un processo di rapida secolarizzazione. I riflessi di questo processo si colgono nel calo della pratica religiosa, ma anche in una «deconfessionalizzazione» della vita politica dai due risvolti: da un lato, il progressivo abbandono del riferimento al cattolicesimo di partiti tradizionalmente cattolici; dall’altro, l’esaurirsi dell’anticlericalismo di partiti socialisti e liberali. Questo ha permesso l’adozione di disposizioni legislative tendenti ad «adattare le norme sociali alla modernità», in un progressivo allontanamento dal riferimento alla morale cattolica. La prima significativa svolta si registra nel 1990, quando viene votata – nonostante la presenza nel governo di partiti cattolici e l’opposizione del re Baldovino – la depenalizzazione parziale dell’aborto. Altri provvedimenti legislativi, relativi in particolare all’eutanasia e all’apertura prima al matrimonio e poi all’adozione per coppie omosessuali, approvati in particolare dai governi guidati da Guy Verhofstadt tra il 1999 e il 2007, hanno confermato in seguito che l’influenza e il peso condizionante della Chiesa cattolica nella società e nella politica belga è andato progressivamente riducendosi. Come si finanzia la Chiesa? La ricerca si occupa anche del finanziamento di una Chiesa la cui struttura, nonostante la contrazione numerica di fedeli e sacerdoti degli ultimi decenni, è rimasta pressoché invariata nella sua onerosa complessità. Il finanziamento del culto cattolico avviene nel quadro di un «regime ibrido», non essendovi in Belgio né un Concordato tra Chiesa e stato né un regime di separazione formale, ma un sistema «d’indipendenza reciproca, moderato dall’esistenza di un finanziamento pubblico». È riservato ai ministri dei «culti riconosciuti», concetto che fa riferimento Pagina 11 Card. Godfried Danneels. alle forme di culto per cui esistono delle disposizioni legali. Sono 6 quelli finora «riconosciuti»: cattolico, protestante, anglicano, ebraico, musulmano e ortodosso. Il sistema è stato recentemente esteso a organizzazioni filosofiche non confessionali (si deve quindi più propriamente parlare di un finanziamento pubblico del culto e della «laicità organizzata»). Alla sua costituzione, lo stato belga ha rinunciato a ogni diritto sull’organizzazione interna della Chiesa, sebbene tale organizzazione abbia delle ricadute sul diritto civile. Le circoscrizioni ecclesiastiche, infatti, sono tuttora oggetto di una ratifica amministrativa e alla nomina di un ministro di culto corrisponde un atto di presa in carico da parte dello stato. Ogni parrocchia «riconosciuta» è amministrata da un ente pubblico, la «Fabbrica della chiesa», il cui controllo e finanziamento è di competenza dell’amministrazione pubblica, la quale sot- topone i conti e i budget all’approvazione dell’autorità ecclesiastica. Dal luglio 2001, l’organizzazione, la tutela e il finanziamento delle «fabbriche delle chiese» (o di entità analoghe per gli altri culti) avviene a livello regionale. La ripartizione delle competenze è così fotografata: all’autorità federale compete la definizione del «quadro del personale», il cui trattamento economico e pensionistico è a carico del Tesoro, così come la determinazione dell’importo delle retribuzioni e il pagamento delle stesse. Alle entità federate (le tre regioni e la comunità germanofona) compete il riconoscimento delle parrocchie; la legislazione concernente l’organizzazione delle «fabbriche»; il finanziamento e il controllo di queste ultime. Anche la competenza sul patrimonio e i monumenti pubblici collegati ai luoghi di culto è regionale. Il finanziamento pubblico della Chiesa cattolica avviene dunque su tre livelli: la presa in carico delle retribuzioni IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 11 09-12_art_belgio:Layout 2 30-01-2012 18:10 e delle pensioni dei ministri del culto da parte dell’autorità federale; gli interventi del potere regionale per l’organizzazione e il finanziamento delle «fabbriche delle chiese»; altre forme di finanziamento (come quelle dei cappellani dell’esercito, degli ospedali e delle carceri). La Chiesa cattolica dispone del finanziamento pubblico per 6.938 ministri. Tuttavia, la crisi delle vocazioni determina un utilizzo sempre più ridotto di tale risorsa: nel 2009, i ministri di culto cattolici sovvenzionati erano soltanto 2.776. I sacerdoti sono inoltre sempre più vecchi: quasi il 60% supera i 55 anni (con un 10% già oltre i 75). Per far fronte a tale situazione sono state decise alcune misure: un aumento del salario (del 50%) ai sacerdoti che hanno in carico più di una parrocchia; l’ingresso di sacerdoti stranieri nel personale finanziato dallo stato (già il 12% del totale) e la possibilità di assegnare un compenso a collaboratori parrocchiali laici (già 340 quelli nominati, soprattutto donne). Nel 2008, alla Chiesa cattolica è andato il 77% dell’ammontare complessivo per il finanziamento pubblico del culto. Nel 1996 lo stesso dato era ancora superiore al 92%. Una società «sovra-istituzionalizzata» Non si può che rimanere colpiti, secondo i ricercatori del CRISP, dal contrasto evidente tra l’abbondanza e la permanenza delle strutture diocesane e interdiocesane e la drastica diminuzione della frequenza domenicale e del numero delle vocazioni. «Si può dunque parlare di “sovra-istituzionalizzazione” di una società che, a ben vedere, è relativamente semplice, non avendo al suo interno che due livelli di potere: quello del papa e quello dei vescovi». Gli annuari diocesani impressionano per il numero di servizi, commissioni, gruppi di lavoro che assistono il vescovo nei diversi aspetti della sua funzione di governo della Chiesa. A livello interdiocesano, l’esistenza di due grandi gruppi linguistici genera un sistematico raddoppiamento di queste strutture. Se, da un lato, la «pletora istituzionale» contrasta con l’invecchiamento e la diminuzione della popolazione a cui si rivolge, dall’altro essa sembra in difficoltà di fronte al moltiplicarsi delle nuove forme di associazionismo di ispirazione 12 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 Pagina 12 cristiana, ma senza più una chiara o diretta dipendenza dalla Chiesa istituzione. Il quadro istituzionale della Chiesa belga è giudicato «anacronistico» rispetto all’umanità a cui si rivolge – risalendo la sua definizione a un tempo in cui la Chiesa era e si pensava in espansione – e al contempo «inadatto alle trasformazioni» che hanno interessato le forme del credere nella società. Il declino della pratica religiosa insieme al calo delle vocazioni sacerdotali e religiose è interpretato dai ricercatori del CRISP come il segno della «fine di una forma di “cattolicesimo sociologico”», che segnava profondamente le condizioni spazio-temporali della vita sociale. La fitta rete territoriale delle parrocchie permetteva infatti di seguire ogni persona in tutti i passaggi significativi della sua vita, dalla nascita alla morte. Le risposte a questa situazione di crisi evidenziano una sfaldatura profonda, ma poco visibile, all’interno della Chiesa tra due grandi tendenze, esse stesse declinate secondo molte varianti. Una prima, che cerca di «ridefinire il posto della Chiesa nella società accompagnando la modernità e la secolarizzazione in modo positivo, benché critico». Tale corrente fa riferimento alle opzioni del Vaticano II e presta un ascolto positivo all’evoluzione del mondo contemporaneo. Prende atto dello statuto di minorità della Chiesa in un contesto di crescente indifferenza religiosa. È sostenuta da una parte del clero autoctono, quella tendenzialmente più anziana, e valorizza fortemente il ruolo dei laici preparandosi così a far fronte alla rapida diminuzione dei preti. Una seconda tendenza «rifiuta la modernità e spera in una riconquista da parte della Chiesa della sua influenza del passato sulla società». Appare più giovane, ma «mostra anch’essa segni di difficoltà». Ospita correnti che inseguono «un ripiegamento identitario su valori pre-conciliari e continuano a sacralizzare il ruolo dei sacerdoti. È sostenuta dalle autorità romane, da una parte del clero autoctono e dal clero straniero, in particolare polacco e africano». Considera il Belgio una terra di missione, compromessa dalla secolarizzazione, e «sogna una restaurazione della Chiesa su basi non contaminate». Le cosiddette «nuove comunità» vi sono naturalmente prossime. Viene segnalato, inoltre, che «certe componenti, come l’Opus Dei, potrebbero approfittare dell’attuale disseminazione del quadro per occupare posizioni d’influenza e visibilità». Rispetto a queste due tendenze, le autorità ecclesiastiche del paese hanno finora mantenuto una «posizione centrista», ma la nomina a Bruxelles di mons. Léonard potrebbe spostare qualche equilibrio. Una coraggiosa fedeltà La pratica religiosa, per rarefatta che sia, «resta, senza eccezioni, disseminata in una moltitudine di luoghi di culto». Tale disseminazione ha per effetto il fatto che «le due tendenze sopra descritte s’ignorano largamente, perché non coabitano, ma occupano in qualche modo dei territori differenti». Sarà ancora possibile gestire questa disseminazione di fronte alla contrazione delle forze a cui si va incontro? L’incomunicabilità delle «due anime» descritte non rischia di ostacolare lo sviluppo locale delle previste «unità pastorali»? Quali riforme sono necessarie e quali praticabili per ridare forza all’annuncio del Vangelo? Diverse domande animano la riflessione di una Chiesa che, sotto la pressione incrociata degli avvenimenti recenti e di un crescente movimento di protesta interna, cerca di interpretare le trasformazioni e di valorizzare i segni di vitalità che, pur nella loro attuale disseminazione, non mancano. Si tratterà anzitutto di recuperare quella «preoccupazione per la partecipazione» a tutti i livelli – dei laici in particolare – che ha animato gli anni del postconcilio e che oggi, di fronte alla contrazione numerica, appare inceppata ma inevitabile. Se la storia può venire in aiuto alla Chiesa anche attraverso le sue epoche di secolarizzazione, permettendole di ritrovare nella purificazione e nella riforma un nuovo punto di partenza, allora il presente esige dalla Chiesa in Belgio una disponibilità profonda a capire il suo tempo, a riconoscere le nuove risorse e a impegnarsi con tutte le forze a una rinnovata, coraggiosa e creativa fedeltà. Marco Bernardoni 1 É. ARCQ , C. SÄGESSER, Le fonctionnement de l’Église catholique dans un contexte de crise, numero monografico di Courrier hebdomadaire, n. 2112-2113, CRISP, Bruxelles 2011. 13-16_benelux:Layout 2 30-01-2012 16:43 Pagina 13 Violenze su minori BENELUX r ipartire dai frammenti P iù che per i numeri, l’emergere delle violenze sessuali su minori in contesti pastorali nei paesi del Benelux ha messo in luce alcuni tratti specifici: la frammentazione della Chiesa olandese; la crisi della cattolicità belga (cf. l’articolo qui a p. 9); la presenza delle violenze anche in un’area molto ristretta come il Lussemburgo (cf. il riquadro qui a p. 16). Tre casi molto diversi che confermano che le violenze sessuali in contesti ecclesiali non sono una prerogativa di talune zone geografiche e linguistiche, ma sono diffuse trasversalmente, ben oltre l’area anglosassone, così come esse non sono più frequenti in ambito ecclesiastico che in quello civile in generale. In particolare, la recente pubblicazione in Olanda del rapporto finale della Commissione d’inchiesta indipendente Deetman Sexual abuse of minors in the Roman Catholic Church (16 dicembre; cf. riquadro qui a p. 14) e in Belgio del documento dei vescovi e dei superiori maggiori (13 gennaio) Une souffrance cachée (entrambi saranno pubblicati in Regno-doc.) ha riproposto gli interrogativi di fondo su quanto è accaduto: un passaggio obbligato per ogni commissione d’inchiesta. Interpretare correttamente ciò che è avvenuto all’interno della Chiesa è infatti la condicio sine qua non per individuare percorsi di prevenzione adeguati. Un «caso» Olanda? Il primo interrogativo pone l’accento sul contesto culturale in cui sono avvenute le violenze: a più riprese nella Linee inter pretative dalle commissioni d’inchiesta di Belgio, Olanda e Lussemburgo pubblicistica tradizionalista, talora sostenuta anche da dichiarazioni di qualche figura ecclesiastica, ritorna l’idea che il fermento del Vaticano II abbia creato un clima libertario nel campo della sessualità. La Chiesa olandese, poi, con l’aver dato i natali al noto Catechismo omonimo e spazio al dibattito sul celibato ecclesiastico, avrebbe creato secondo alcuni le condizioni più propizie per comportamenti sessuali trasgressivi. Va da sé che basterebbe citare i casi noti del fondatore dei Legionari, M. Maciel, o dell’ex arcivescovo di Vienna, card. H. Groër, per smontare questo teorema. Ma le conclusioni del Rapporto Deetman, che ha preso in considerazione il periodo 1945-2010, forniscono alcune risposte alternative senza occultamenti o semplificazioni. Da un lato «fino agli anni Cinquanta si è registrato nel paese un costante aumento di delitti sessuali» contro minori «in relazione di dipendenza». In quegli anni «la percentuale dei casi che coinvolsero i cattolici rimase sempre al di sopra della media». Poi però, a partire dal 1963, le ordinazioni presbiterali «registrarono un calo drammatico, che, sommato al numero crescente di abbandoni del presbiterato, determinò una “diminuzione allarmante” dei sacerdoti nei Paesi Bassi. A partire dal 1966 il numero dei nuovi sacerdoti ordinati rimase costantemente al di sotto di quello dei sacerdoti deceduti». E se da un lato la società olandese a partire dal 1960 adottò «comportamenti più liberi nei riguardi della ses- sualità, (…) al tema della violenza sessuale sui minori si cominciò a prestare attenzione solo durante gli anni Ottanta», quando cadde un vero e proprio tabù. La Commissione che ha curato il rapporto ha effettuato un’indagine ad hoc inviando un questionario a un gruppo di persone che aveva sporto denuncia e a un campione di 34.234 olandesi dai 40 anni in su. Dai risultati emerge che «1 olandese su 10 ha subito contro la sua volontà contatti sessuali da parte di un adulto non appartenente alla famiglia prima dei 18 anni». Il rischio è risultato doppio per chi ha frequentato istituti (collegi, scuole private, seminari, orfanotrofi) «ma senza alcuna significativa differenza fra istituzioni cattoliche e non cattoliche». Per quanto riguarda, poi, il rischio di avere subito violenza da parte di personale operante all’interno della Chiesa cattolica, «tra 1 su 100 (0,9%) e uno su 300 (0,3)» degli olandesi con più di 40 anni ha subito contatti non voluti prima dei 18 anni da parte di personale cattolico. Questo ha portato a una stima che «oscilla tra le 10.000 e 20.000» vittime nell’arco di 65 anni, che hanno subito contatti sessuali inappropriati di varia gravità all’interno delle strutture della Chiesa cattolica.1 Pertanto la Commissione afferma che «la violenza sessuale su minori è stata ed è diffusa nella società olandese». Quanto alla questione se il celibato sia un fattore di rischio per questo tipo di violenza, il che significherebbe dire «che la violenza sessuale è molto IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 13 13-16_benelux:Layout 2 30-01-2012 16:43 Pagina 14 più frequente nella Chiesa cattolica» che in altri contesti, «così non è, a giudicare dai risultati dell’indagine effettuata» per conto della Commissione.2 Tuttavia – afferma la Commissione Deetman – «non si può neppure concludere che non esiste alcun collegamento fra queste due realtà», soprattutto a motivo del «legame giuridico fra il presbiterato e l’obbligo di vivere nel celibato. Secondo gli esperti di salute mentale, è proprio questo obbligo a rendere i preti e i religiosi vulnerabili e inclini a varie forme di comportamento inappropriato. (…) In realtà la richiesta del celibato come primo e principale criterio di selezione (perché senza di esso non c’è ordinazione al presbiterato) richiede un diverso tipo di formazione e consulenza rispetto a quello puramente spirituale». Riecheggiano le considerazioni del primo Rapporto sulla crisi stilate dal Consiglio nazionale di riesame – l’organismo laicale incaricato nel 2002 dai vescovi statunitensi di monitorare l’applicazione delle proprie normative in materia – nel 2004: «Benché l’obbligo del celibato non sia di per sé una causa della crisi attuale, la mancanza di un’adeguata illustrazione del celibato e preparazione dei seminaristi alla vita celibe l’ha certamente favorita» (Regno-doc. 7,2004,243). Nella medesima direzione vanno anche le considerazioni del documento dei vescovi e superiori religiosi belgi a seguito delle diverse commissioni d’inchiesta, Une souffrance caché, che dice in merito: «Lo sviluppo di una sessualità sana esige qualcosa di più della spiritualità o dell’ascesi. Le occorre un inquadramento umano e un accompagnamento che permetta alla sessualità d’essere affrontata esplicitamente e senza pregiudizi». In conclusione – afferma la Commissione Deetman – «nel contesto storico e socio-culturale tra il 1945 e i nostri giorni, è degno di nota [che] il tabù della sessualità [sia] esistito così a lungo nella Chiesa cattolica e in altri settori della società olandese». A ben vedere, quindi, lo snodo della visione sulla sessualità rimane irrisolto; ma d’altra parte i dati non consentono semplificazioni in un senso o in un altro. Un approccio strut turale Il secondo interrogativo è quello relativo a come considerare gli episodi delle violenze e l’approccio che essi hanno ricevuto dai responsabili ecclesiastici, vescovi e superiori religiosi: non si tratta tanto e solo – dicono i diversi rapporti – di deplorevoli incidenti da trattare caso per caso all’interno di strutture fondamentalmente funzionanti, ma costituiscono, pur nel diverso grado di gravità, una cartina di tornasole per questioni più profonde. «Abbiamo l’occasione di ripensare la Chiesa», aveva dichiarato il vicario generale di Lussemburgo mons. Ma- thias Schiltz all’indomani della pubblicazione del Rapporto della Commissione d’inchiesta (novembre 2010): se può sembrare, questa, un’affermazione radicale, non lo è meno quella del Rapporto Deetman, che dice che «non esisteva un approccio strutturale al problema», o quella degli ordinari belgi, secondo i quali «nel contesto ecclesiale si corre il rischio di spiritualizzare il potere. L’abuso di potere è allora camuffato dietro a considerazioni o a visioni di tipo religioso». Il valore di queste affermazioni va soppesato con alcuni clamorosi casi di cronaca che sono emersi in Olanda e Belgio: nel primo caso le affermazioni fatte dai salesiani; nel secondo quelle del vescovo emerito di Bruges (cf. box qui a p. 15). Secondo la Commissione Deetman in Olanda «la struttura di governo [della Chiesa] era ed è frammentata. È basata sul principio dell’autonomia delle singole diocesi». Ma analizzando gli archivi di 7 diocesi e 16 congregazioni religiose, la Commissione ha rilevato che tale autonomia è diventata frammentarietà quando si è trattato di gestire i vari casi. «Benché l’espressione “violenza sessuale” non fosse comunemente usata prima del 2000, la commissione d’inchiesta ha trovato negli archivi ecclesiastici molte informazioni riguardo a comportamenti sessuali inappropriati da parte di preti e di religiosi fin dalla metà degli anni Cin- Olanda 24.8.2010: viene insediata la Commissione d’inchiesta sulle presunte violenze sessuali commesse da membri del clero cattolico in Olanda presieduta dall’ex ministro per l’educazione W. Deetman. In dicembre dichiara d’avere ricevuto 2.000 segnalazioni; raccomanda alla Chiesa un risarcimento collettivo per le vittime e una riorganizzazione robusta della commissione consultiva episcopale Aiuto e giustizia (creata nel 1995). 10.2.2011: un servizio radiofonico rivela che mentre era vescovo di Utrecht, il card. Simonis trasferì su consiglio di uno psicologo un prete colpevole di pedofilia in un’altra parrocchia. Maggio 2011: viene rivelata la militanza di un salesiano settantatreenne in un’associazione per la liberalizzazione della pedofilia. Il superiore per l’Olanda p. H. Spronck si dice a conoscenza del fatto e aggiunge che le relazioni sessuali con minori sono legittime, «dipende dal bambino». Il 23 la curia generalizia salesiana sospende i due religiosi da ogni incarico pastorale. 7.11.2011: la Conferenza episcopale accoglie il parere della Com- 14 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 missione Lindenbergh (che studia gli aspetti legali delle violenze nella Chiesa) di creare un fondo per l’indennizzo delle vittime di violenze sessuali, secondo alcuni parametri: da 5.000 € per molestie a 25.000 per violenze sessuali, fino a 100.000 per casi gravi o che hanno creato gravi conseguenze per le vittime. 16.12.2011: presentazione del rapporto finale della Commissione Deetman e dichiarazione dell’episcopato olandese che si dice «scioccato» dalle conclusioni. Anche il card. Simonis parla di «rammarico e profonda vergogna». 18.12.2011: viene letta in tutte le chiese una lettera di richiesta di perdono a firma di mons. W. Eijk, arcivescovo di Utrecht, a nome di tutta la Chiesa cattolica. 20.12.2011: il vescovo di Roermond F. Wiertz dichiara all’agenzia ANP di aver appreso che il suo predecessore, mons. J. Gijsen (cf. Regno-att. 6,1993,152s), ha distrutto i documenti dell’archivio diocesano che vanno dal 1972 al 1993. M.E. G. 13-16_benelux:Layout 2 30-01-2012 16:43 Pagina 15 Belgio Febbraio 2009: si dimette G. Halsberghe, presidente della Commissione interdiocesana per il trattamento delle denunce di violenze sessuali nel contesto di relazioni pastorali (creata nel 2000). La commissione si scioglie perché la Chiesa non intende concedere risarcimenti alle vittime. 23.4.2010: la Santa Sede accetta le dimissioni del vescovo di Bruges, R. Vangheluwe, colpevole di atti di pedofilia verso un nipote. 19.5.2010: lettera pastorale dei vescovi che chiedono perdono alle vittime e annunciano riforme nella gestione e nella prevenzione dei casi di violenze. 10.6.2010: nuova Commissione interdiocesana, presieduta da P. Adriaenssens. 24.6.2010: perquisizioni nell’arcivescovado di Malines (cf. Regno-att. 14,2010,437ss; 16,2010,516). Pochi giorni dopo Adriaenssens si dimette. 9.9.2010: reso noto il Rapporto Adriaenssens (cf. Regno-doc. 17,2010,571ss). Fine ottobre 2010: il Parlamento belga crea la Commissione speciale per il trattamento dei casi di pedofilia nelle relazioni d’autorità, in particolare in seno alla Chiesa, presieduta da K. Lalieux. 3.11.2010: si dimette il portavoce di mons. A. Léonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles, J. Mettepenningen. 29.12.2010: il sacerdote F. Houtard, già docente a Lovanio e fon- quanta. La documentazione comprende regole e codici di condotta, ma anche rapporti su singoli casi. Dalla metà degli anni Quaranta alla metà degli anni Cinquanta venne emanata una serie di norme di condotta riguardo alla vita morale dei religiosi. (...) Le autorità diocesane e i superiori di ordini e congregazioni religiose si sforzarono di conoscere e combattere la violenza sessuale perpetrata da preti e religiosi della Chiesa cattolica romana nei Paesi Bassi. Perciò a livello amministrativo è impossibile parlare di ignoranza dovuta alla cultura del silenzio nelle diocesi, negli ordini e nelle congregazioni religiose». Più che altro furono date risposte «su misura del singolo autore della violenza. Non esisteva un approccio strutturale al problema». In molti casi, anche per un eccesso di fiducia nelle terapie psicologiche, le decisioni pastorali furono demandate agli esperti. In altri le stesse congregazioni religiose investite dal fenomeno approntarono centri di consulenza ma – afferma il rapporto Deetman – «si può dubitare che quei centri fossero autenticamente equipaggiati per trattare le persone colpevoli di violenza sessuale su mi- datore della rivista Alternatives Sud, viene accusato di pedofilia; gli atti sono prescritti. 7.4.2011: il Parlamento approva il rapporto della Commissione. 14.4.2011: mons. Vangheluwe in un’intervista alla rete televisiva fiamminga VT4 rivela d’avere avuto rapporti anche con un secondo nipote, ma di non aver pensato che ciò potesse avere un tale impatto. 30.5.2011: un comunicato dei vescovi e dei religiosi belgi s’impegna a risarcire le vittime. 14.12.2011: i vescovi e i religiosi belgi si dicono soddisfatti dell’istituzione di un tribunale d’arbitrato che deciderà i risarcimenti finanziari per le vittime che andranno da 2.500 fino a 25.000 € a seconda che si tratti di attentati contro il pudore, minacce o violenze in generale fino allo stupro con le aggravanti della durata, dell’eccezionalità delle circostanze e della gravità dei danni subiti dalle vittime. 13.1.2012: mons. G. Harpigny, vescovo di Tournai e referente della Conferenza episcopale per le violenze sessuali, presenta alla stampa il documento a firma dei vescovi e dei superiori maggiori del Belgio Une souffrance cachée. Pour une approche globale des abus sexuels dans l’Église. 16.1.2012: nuova ondata di perquisizioni nei vescovadi di Anversa, Malines, Hasselt; nei giorni successivi anche a Bruges, Gand, Tournai e Namur. M. B., M.E. G. nori». Un caso emblematico è dato dal salesiano Spronk, che fino alle recenti dichiarazioni prendeva parte agli incontri con gruppi di vittime. A partire dalla fine degli anni Cinquanta, anche su pressione di Roma, le diocesi favorirono un approccio eminentemente psicologico al problema. Così, «essendo considerato una questione riguardante l’individuo, il problema della violenza sessuale non fu oggetto di un’attenzione strategica o strutturale, benché le autorità (...) fossero normalmente consapevoli dei problemi». Il testo belga invece, di natura diversa quanto a genesi perché costituisce la risposta di vescovi e religiosi dopo la pubblicazione dei lavori di più commissioni d’inchiesta, nella parte finale afferma: «In un contesto pastorale dobbiamo vigilare continuamente a che non si creino posizioni intoccabili. All’interno di ogni nostra struttura noi vogliamo continuare a promuovere dei modelli di animazione collegiale e di responsabilità condivisa. Forme di esercizio di potere di tipo abusivo devono essere bandite dalla Chiesa. Non è un caso che una violenza sessuale avvenga più facilmente in un contesto in cui le differenze di potere sono sancite istituzionalmente e per questo non possono essere messe in discussione. Perché si possa fare davvero prevenzione – dicono i vescovi e i religiosi – occorre che sia esplicitamente incentivata e garantita la possibilità nella Chiesa di comunicare in maniera aperta e senza timore di avere un contraddittorio». Sono parole che impegnano la gerarchia, messa sotto accusa per la gestione della pedofilia, a cambiamenti strutturali non marginali in prospettiva futura. Il peso del silenzio Il terzo interrogativo è quello sulla prospettiva: se non si parte dalla prospettiva delle vittime, dall’ascolto del loro dolore, della rabbia e della frustrazione, la pedofilia nella Chiesa viene trattata con i meccanismi difensivi tipici dell’istituzione, che si sente assediata – in questo caso – dai mezzi di comunicazione ma non responsabile. «Noi non sapevamo», la frase detta dal card. Simonis, vescovo emerito di Utrecht, in un’intervista televisiva per la quale successivamente si è scusato, è l’emblema di una reazione di IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 15 13-16_benelux:Layout 2 30-01-2012 16:43 Pagina 16 Lussemburgo 18.11.2010: viene pubblicato il rapporto finale della Cellula d’accoglienza per le vittime di violenze sessuali o fisiche all’interno della Chiesa. 19.11.2010: l’arcivescovo di Lussemburgo, mons. F. Franck, firma una lettera in cui chiede perdono alle vittime per gli atti compiuti da sacerdoti, religiosi e laici: «Questi atti sono in contraddizione flagrante con il Vangelo di Cristo e con la missione e i doveri della Chiesa». difesa rispetto a situazioni che solo oggi – ha dichiarato successivamente lo stesso Simonis – si comprende siano state trattate con un eccesso di «buona fede». È a partire da questo riconoscimento che i vescovi e i religiosi belgi insistono a più riprese nel loro testo programmatico: «Per elaborare questo documento ci siamo lasciati guidare innanzitutto da ciò che abbiamo appreso dalle vittime». Affermano i presuli: «Nel corso degli ultimi 18 mesi ci è stata data la possibilità di ascoltare personalmente le vittime, nella maggior parte dei casi, purtroppo, per la prima volta. Questi racconti si sono dunque associati a nomi e a volti, spesso dopo anni di sofferenza nascosta e di tristezza. Il male inflitto alle vittime per non avere riconosciuto i fatti ha riempito di confusione noi responsabili della Chiesa. È proprio vero: le violenze sessuali contraddicono l’etica e il messaggio che la Chiesa vorrebbe diffondere». «Non possiamo riscrivere il passato – proseguono –, ma dobbiamo pur volgerci al futuro». Ciò significa imboccare due vie: quella del ristabilimento della giustizia e quella della prevenzione. «La principale lezione da trarre dal passato recente riguarda la rottura del silenzio. Si è taciuto anche nella Chiesa. Molte vittime non hanno potuto condividere le proprie storie». Qualcuno forse l’ha scelto per un eccesso di sofferenza, altri perché hanno trovato porte sbarrate. Ma parola e trasparenza sono importanti per impedire il ripetersi di tali fatti dolorosi. Per questo la Conferenza episcopale belga e la Conferenza dei superiori maggiori delineano e rafforzano la presenza e l’attività dei cosiddetti «punti di contatto»: 8, uno per ciascuna diocesi e 2 per i religiosi, uno per 16 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 31.12.2010: durante una celebrazione liturgica in cattedrale, mons. Franck chiede pubblicamente perdono alle vittime; prega affinché si possano «demolire i muri di silenzio»; si riesca a porre «sempre i diritti dell’uomo al di sopra dell’immagine dell’istituzione» e non si rifiuti «mai l’aiuto a chi ne ha bisogno». i fiamminghi e l’altro per i francofoni, dal 1o gennaio. Il loro finanziamento – ogni punto avrà una serie di collaboratori di varie discipline – proverrà dalle diocesi. Le vittime – di violenze sessuali avvenute in contesti pastorali – possono naturalmente scegliere altre vie e sono vivamente incoraggiate a rivolgersi direttamente alla magistratura nel caso in cui i reati non siano prescritti. «I colpevoli che ricoprono cariche ecclesiastiche o che sono membri di congregazioni religiose» sono assoggettati alla legislazione penale «come ogni cittadino». Poi la Chiesa al suo interno ricorrerà alle sanzioni canoniche «che non sono alternative al diritto civile e che non possono contraddire l’intervento della giustizia». Tuttavia i punti di contatto si offrono come luogo di mediazione e semplificazione per tutte le procedure nel caso la vittima voglia accedere a un procedimento penale; ma anche, quando non sia possibile per decorrenza dei termini, per adire a istituti giuridici alternativi in vista di un risarcimento, come la mediazione o l’arbitrato con i quali, sotto la supervisione di un mediatore terzo, la Chiesa collaborerà. Il principio che regolerà l’intervento dei punti di contatto è quello di evitare che «l’interessato si senta sballottato da una parte e dall’altra» e far sì che il percorso «sia il più rapido possibile». Ogni anno, poi, sulla base dei rapporti di ogni punto di contatto la Commissione interdiocesana per la protezione dei bambini e dei giovani stenderà un rapporto e alcune raccomandazioni ai vescovi e ai superiori maggiori. La cornice essenziale entro cui questi organismi saranno inseriti e che renderà efficace il loro intervento è co- M.E. G. munque data da un rinnovato clima complessivo: «Vivere in comunione», dicono i vescovi e i religiosi belgi. «Molte cose sono per fortuna già cambiate: all’interno di un’équipe pastorale i sacerdoti lavorano con uomini e donne, sposati e non. Le canoniche e le case religiose sono diventate sempre più luoghi d’incontro largamente aperti. (…) Ma le tentazioni nondimeno rimangono: solitudine, mancanza d’attenzione al proprio stile di vita, mancanza d’intimità, di calore umano o di cordialità, debole adesione a reti sociali che permettano un feedback e una riflessione critica libera, scoraggiamento, mancanza di contatti stimolanti. Coloro che non si trovano bene nel proprio lavoro o nel proprio ruolo potrebbero andare a cercare compensazioni che possono portare a comportamenti inadatti e anche destrutturanti». «Anche il periodo difficile che attraversa la Chiesa – prosegue il testo belga – può avere un peso. I sacerdoti e i religiosi potrebbero sentirsi delusi e scoraggiati, come potrebbero aggrapparsi a posizioni di potere o a soluzioni di ricambio adatte a nascondere il loro sentimento di vuoto». Così – conclude il documento – «dobbiamo cercare nuove forme di comunione e di sostegno reciproco»; dobbiamo collaborare in maniera «trasparente ed efficace». Maria Elisabetta Gandolfi 1 Tra marzo e dicembre 2010 la Commissione ha ricevuto direttamente 1.795 segnalazioni di casi di violenza in cui era coinvolto personale ecclesiastico. 2 Dati confermati dai rapporti del John Jay Institute, l’organismo indipendente incaricato dai vescovi statunitensi sin dal 2004 (cf. Regnoatt. 6,2004,166; Regno-doc. 11,2011,337) d’effettuare indagini sistematiche in tutto il paese. 17-18_art_pirazzoli:Layout 2 30-01-2012 16:44 Pagina 17 Crimini di guerra E X I U G O S L AV I A t ra politica e riconciliazione N el corso del 2011, a distanza di pochi mesi, le indagini e i processi per i crimini nella ex Iugoslavia hanno portato alla sentenza di condanna per il generale croato Ante Gotovina (insieme a Mladen Markač) e all’arresto di Ratko Mladič, generale nell’Armata popolare di Iugoslavia e capo di stato maggiore dell’Esercito della Repubblica serba di Bosnia-Erzegovina: nelle rispettive patrie ci sono state manifestazioni e presidî permanenti, soprattutto di ex combattenti, per chiedere la loro liberazione. A Zagabria uno dei temi di rivendicazione era quello reducista: «Quello che ha fatto Gotovina l’abbiamo fatto tutti, arrestate anche noi, allora», mentre parallelamente si è registrato in quei mesi un calo di adesione al progetto di ingresso della Croazia nell’Unione Europea (poi approvato nel referendum del 22.1). Rispetto alla situazione serba, il procuratore Serge Brammertz ha dichiarato che quel paese ha ora un’importante opportunità: «Quella di aiutare i propri cittadini a capire perché Mladič è stato arrestato e perché la giustizia richiede che egli venga processato». Per approfondire, accanto alle questioni politiche, gli aspetti giuridici di questo importante e difficile lavoro, il suo immediato futuro e la ricaduta nelle diverse aree locali, abbiamo rivolto alcune domande sull’attività del Tribunale penale internazionale per i crimini dell’ex Iugoslavia a uno dei suoi giudici, l’italiano Fausto Pocar, già docente di Diritto internazionale presso l’Università di Milano e membro del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, presidente dello stesso Tribunale dal 2005 al 2009. I n t e r v i s t a a Fa u s t o P o c a r, g i à p r e s i d e n t e d e l Tr i b u n a l e p e n a l e i n t e r n a z i o n a l e ( 2 0 0 5 - 2 0 0 9 ) – Il Tribunale penale internazionale per i crimini dell’ex Iugoslavia è un tribunale ad hoc, ovvero ha una missione «a tempo». Qual è lo stato dei lavori? Alcuni processi sono passati di competenza ai tribunali locali: quali sono i rapporti con queste corti e con le nazioni corrispondenti (scaturite dalla dissoluzione iugoslava e quindi dalle guerre stesse)? «Il Tribunale per la ex Iugoslavia è stato istituito per una durata indefinita, ma è divenuto “a tempo” quando il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha deciso che le indagini del procuratore dovevano terminare nel dicembre 2004. A quella data erano stati incriminati 161 individui. Attualmente vi sono sei processi in appello e sette in primo grado (anche se alcuni riguardano più accusati), e solo due accusati il cui processo deve ancora cominciare. Una quindicina di casi, relativi ad accusati di minore profilo, sono stati rimandati alle giurisdizioni nazionali, nel quadro di una collaborazione sempre più significativa con i giudici nazionali. È evidente che la giurisdizione assunta dal Tribunale nel momento del conflitto debba essere “restituita” alle autorità giudiziarie nazionali in tutti i casi e non appena questo sarà possibile». – Tutte le parti in causa, tutte le «nazionalità», hanno avuto allo stesso tempo vittime e carnefici al loro interno. Il Tribunale come si rapporta con questo aspetto? «Un tribunale, e il nostro non fa eccezione, ha il compito di accertare i fatti in un processo equo e di pronunciare una sentenza secondo diritto, di condanna o di assoluzione. La circostanza che in una comunità possano esservi vittime e responsabili di crimini non deve fermare l’amministrazione della giustizia. Un tribunale deve investigare in tutte le direzioni e pronun- IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 17 17-18_art_pirazzoli:Layout 2 30-01-2012 16:44 ciarsi su tutti i casi secondo gli stessi parametri». Conoscere il passato – Lei ha lavorato e lavora anche sui crimini in Ruanda: senza mettere in campo difficili e forse inutili confronti tra le due situazioni, che cosa pensa di come attualmente sono vissute le due tragedie nelle aree che ne sono state teatro? «È sempre difficile fare un confronto fra situazioni dissimili, determinate da cause diverse e caratterizzate da contesti diversi. Quello che accomuna le diverse situazioni è solo la circostanza della commissione di crimini internazionali che hanno gli stessi elementi giuridici. Inoltre, credo che in ogni caso in cui una società sia attraversata da conflitti interni che portano alla commissione di crimini internazionali, tutta la popolazione senta il bisogno di ricostruire una convivenza accettabile e di guardare avanti. Penso però che ciò sia possibile solo se quella comunità fa i conti col suo passato, attraverso un riconoscimento da parte di tutti di quello che è avvenuto. E un riconoscimento passa anche attraverso l’individuazione di coloro che si sono resi responsabili di crimini e, almeno nei casi più gravi, la persecuzione dei crimini stessi». – I processi per i crimini di guerra hanno tempi molto lunghi: tempi necessari, tempi importanti anche per fare depositare nella storia l’accaduto. D’altra parte, esiste ora una generazione già maggiorenne che sa pochissimo di questi fatti. Pensa che una comunicazione maggiore, o anche un lavoro storico approfondito sul «processo processuale» possa essere utile per comprendere e far conoscere i fatti? E quale può essere il ruolo del Tribunale penale internazionale nei processi di riconciliazione? «Alla luce di quanto dicevo prima, è estremamente importante che i processi contro i responsabili di gravi crimini siano pubblici e possano essere seguiti dal maggior numero possibile di persone interessate. A questo aspetto il Tribunale ha dedicato molta attenzione sin dai primi processi che ha celebrato, che non solo sono pubblici all’Aja, ma vengono trasmessi per televisione nei paesi della ex Iugoslavia nelle lingue locali, in modo che possano essere seguiti da tutti. La conoscenza dei processi non deve però esaurire le fonti di informa- 18 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 Pagina 18 zione delle nuove generazioni sui fatti accaduti. Un tribunale può invero accertare solo la verità “processuale”, quale risulta dai casi e dalle prove portati alla sua attenzione, e comunque un tribunale internazionale può trattare solo un numero limitato di casi, rispetto ai numerosi che caratterizzano conflitti di questa natura. È necessario quindi che altre fonti di informazione vengano attivate e messe a disposizione per arrivare a quella conoscenza più ampia necessaria per costituire la base di un vero processo di riconciliazione di una società colpita da avvenimenti di questo genere. Il nostro Tribunale ha cercato di ampliare il suo ruolo in questa direzione attivando una serie di contatti e attività con i procuratori e giudici nazionali nei Balcani, al fine di assicurare che questi continuino a perseguire i crimini di guerra e contro l’umanità commessi negli anni Novanta secondo procedure e criteri simili a quelli finora seguiti». Una valutazione non giuridica – Qual è la differenza tra i tribunali ad hoc (Iugoslavia, Ruanda, o il caso delle Camere straordinarie per la Cambogia e della Corte speciale per la Sierra Leone) e la Corte penale internazionale? Quali sono i casi in cui per intervenire è necessaria la richiesta di intervento da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU? E qual è il riconoscimento dell’attività della Corte da parte degli stati membri? «A differenza dei tribunali ad hoc, istituti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in base ai suoi poteri di intervento non armato per il mantenimento o il ristabilimento della pace, per far fronte a situazioni particolari, la Corte penale internazionale ha uno statuto adottato a Roma nel 1998 mediante un trattato internazionale, al quale hanno finora aderito 118 stati. Questo significa che la Corte può giudicare solo di crimini commessi in uno degli stati parte o da cittadini di uno di tali stati. Tuttavia è prevista la possibilità che il Consiglio di sicurezza deferisca alla Corte situazioni di paesi che non sono parte dello statuto. Solo in questo caso il procuratore della Corte può trattare di situazioni estranee agli stati parte e sottoporre casi specifici alla Corte. È quanto è avvenuto in questi anni per la situazione del Sudan e, più recentemente, della Libia. Gli stati membri sono tenuti a cooperare con la Corte in ogni caso, ma la pratica ha fin qui mostrato che la cooperazione è molto meno attiva quando la situazione riguardi uno stato terzo rispetto allo statuto». – Un’ultima domanda, che ci porta all’attualità. Una figura come quella di Milošević è stata, prima di essere incriminata, una personalità legittimata politicamente, con un ruolo di referente politico anche a livello internazionale (pensiamo alle trattative di pace di Dayton nel 1995). Allo stesso modo potremmo parlare oggi di Mubarak o di Gheddafi, dopo i fatti della primavera araba. Se il primo è oggetto di un processo celebrato presso un tribunale egiziano, il procuratore capo della Corte penale internazionale, dopo un’inchiesta del Consiglio di sicurezza dell’ONU, aveva chiesto l’incriminazione di Gheddafi, che non avverrà per il recente sanguinoso epilogo. Come si stabilisce in quali situazioni intervenire a vicenda conclusa o ancora in corso? «La domanda relativa a come si stabilisce in quali situazioni intervenire a vicenda conclusa o ancora in corso andrebbe girata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, perché in tutti i casi ora menzionati la giurisdizione della Corte è stata attivata dal Consiglio, la cui valutazione è essenzialmente politica e non giuridica. Una volta che la giurisdizione sia attivata o conferita, non importa se per un deferimento alla Corte penale internazionale o la creazione di un tribunale ad hoc, l’organo giudiziario non dovrebbe procedere a valutazioni di convenienza politica sul momento in cui intervenire con un atto di accusa e un possibile arresto. La valutazione del procuratore dovrebbe essere solo giuridica, anche relativamente al momento più opportuno perché un atto di accusa e un arresto possano avvenire efficacemente. Non tocca a me stabilire se questo si sia sempre verificato in tutti i tribunali. Quanto ai giudici, questi ovviamente procedono all’esame dei casi non appena essi siano loro sottoposti». a cura di Elena Pirazzoli 19_concistoro:Layout 2 B ENEDETTO 30-01-2012 11:18 Pagina 19 XVI - IV Concistoro I l ritorno della curia C on il quarto concistoro del suo pontificato, Benedetto XVI avrà creato 68 cardinali elettori, dei quali 63 sono attualmente votanti. Il numero complessivo dei cardinali votanti diventerà di 125. Supera di cinque il numero fissato da Paolo VI. Ma a novembre prossimo sarà già tornato a 120. Annunciato il 6 gennaio 2012, il prossimo concistoro si celebrerà a Roma il 18 febbraio e prevede la consegna di 22 nuove berrette cardinalizie: 18 a vescovi votanti; 4 a ultra-ottantenni. Tra essi, 7 sono italiani (6 di curia). In occasione dell’ultimo concistoro, nel novembre del 2010, gli italiani erano stati 8 su 20. Se un ipotetico conclave si riunisse tra qualche mese gli italiani sarebbero 30 su 120 (il 25%), mentre erano 20 su 117 (il 17%) nel conclave del 2005 che elesse Benedetto XVI. Papa Benedetto intende dunque riportare il papato in Italia? È presto per dirlo. Le nuove nomine segnalano anche altri equilibri. Complice il gran numero degli italiani, l’Europa torna a essere in maggioranza: i cardinali elettori europei sono infatti attualmente 67 (di questi 39 creati da Benedetto), mentre erano 58 su 115 nel conclave del 2005. Vi è poi una ulteriore e più significativa variabile: il forte rafforzamento della curia romana. Dei nuovi cardinali 10 sono infatti di curia. Su 125 elettori, 43 sono o capi dicastero in carica o emeriti; ma anche altri 14 cardinali residenziali sono stati in passato in curia. Dunque, da un terzo alla metà dell’attuale collegio votante può considerarsi curiale o vicino alla curia. È questo il dato istituzionale più significativo, quello maggiormente carico di conseguenze ecclesiologiche: una minore rappresentanza delle Chiese locali. Anche se gli spostamenti, pur significativi, a favore di curiali ed europei di per sé non significano un orientamento decisivo nell’eventualità della scelta di un nuovo papa. Essi infatti sembrano rispondere più al desiderio di Benedetto di avere collaboratori a lui più vicini per mentalità e cultura. Il dato del rafforzamento curiale è stato generalmente interpretato come un rafforzamento del segretario di stato, card. Bertone, anche per la contiguità regionale tra lui e alcuni neocardinali. Sono certamente presenti figure vicine al segretario di stato, ma l’alto numero di curiali può anche significare la ricerca di consenso. La lista dei nuovi cardinali Ecco i nomi dei nuovi porporati nell’ordine col quale il papa li ha pronunciati: mons. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli; mons. Manuel Monteiro de Castro, penitenziere maggiore; mons. Santos Abril y Castelló, arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore; mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti; mons. Giuseppe Bertello, presidente della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente del Governatorato; mons. Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi; mons. João Braz De Aviz, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica; mons. Edwin Frederik O’Brien, pro-gran maestro dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme; mons. Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica; mons. Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura degli affari economici della Santa Sede; sua beatitudine George Alencherry, arcivescovo maggiore di Ernakulam-Angamaly dei siro-malabaresi (India); mons. Thomas Christopher Collins, arcivescovo di Toronto (Canada); mons. Dominik Duka op, arcivescovo di Praga (Repubblica Ceca); mons. Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht (Paesi Bassi); mons. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze (Italia); mons. Timothy Michael Dolan, arcivescovo di New York (Stati Uniti); mons. Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Berlino (Repubblica federale di Germania); mons. John Tong Hon, vescovo di Hong Kong (Repubblica popolare cinese). A questi il papa ha aggiunto «un venerato presule, che svolge il suo ministero di pastore e padre di una Chiesa, e tre benemeriti ecclesiastici, che si sono distinti per il loro impegno a servizio della Chiesa». Essi sono: sua beatitudine Lucian Muresan, arcivescovo maggiore di Făgăras˛ e Alba Iulia dei romeni (Romania); mons. Julien Ries, professore emerito di Storia delle religioni presso l’Università cattolica di Lovanio; p. Prosper Grech osa, consultore presso la Congregazione per la dottrina della fede; p. Karl Becker si, docente emerito della Pontificia università gregoriana, consultore della Congregazione per la dottrina della fede. I non italiani che sono vescovi di grandi diocesi sparse per il mondo sono 6: John Tong Hon di Hong Kong, Timothy Michael Dolan di New York (è presidente dei vescovi statunitensi), Dominik Duka di Praga, Thomas Christopher Collins di Toronto, Willem Jacobus Eijk di Utrecht, George Alencherry di Ernakulam-Angamaly (India, di rito siro-malabarese), Rainer Maria Woelki di Berlino (55 anni: il più giovane tra i cardinali). Due gli orientamenti: mons. Tong Hon rappresenta una novità significativa rispetto al suo predecessore, il card. Zen, perché meno intransigente nei rapporti con il regime cinese. Mentre Dolan va a rafforzare la componente conservatrice dei vescovi americani. Chiese in at tesa Non breve l’elenco dei candidati curiali e residenziali che sono rimasti fuori. Tra gli ecclesiastici italiani che ricoprono incarichi cardinalizi ma che non hanno avuto per ora la nomina e dovranno perciò attendere il prossimo concistoro, ci sono l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia e i curiali Rino Fisichella e Claudio M. Celli. I due curiali non sono stati inseriti per non inflazionare il numero degli italiani; Nosiglia perché l’arcivescovo emerito di Torino – Severino Poletto – ha meno di 80 anni e dunque in caso di conclave Torino esprimerebbe due elettori. Per la stessa norma non scritta avevano atteso nei precedenti concistori gli arcivescovi di Palermo, Paolo Romeo (nominato nel 2010), di Firenze, Giuseppe Betori e di New York, Dolan (tra i nominati in questa occasione). In attesa di nomina l’arcivescovo di Philadelphia, mons. Chaput; di Manila (Filippine), mons. Luis Tagle; il patriarca maronita del Libano, Béchara Rai; Gerard Lacroix, arcivescovo del Québec; Ricardo Ezzati, arcivescovo di Santiago (Cile); Braulio Rodríguez Plaza, arcivescovo di Toledo, che ha un predecessore cardinale in curia (Cañizares Llovera); l’arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols; l’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici in Ucraina, Sviatoslav Schevchuk. Tra i nuovi cardinali non c’è nessun africano (aspettano: Angola, Mozambico, Uganda, Costa D’Avorio e Camerun), così come mancano all’appello Taiwan (ma qui il problema è politico-diplomatico nei confronti della Cina) e la Thailandia. La scelta di privilegiare il rafforzamento della curia e il tetto dei 120 non ha consentito altro in questa occasione. Gianfranco Brunelli IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 19 20_box lefbvriani:Layout 2 S A N TA 30-01-2012 16:44 Pagina 20 SEDE - Lefebvriani I l senso della continuità N iente nuove, a livello ufficiale, nei negoziati tra la Santa Sede, attraverso la Commissione Ecclesia Dei, e la Fraternità sacerdotale San Pio X (FSSPX), in vista di un ritorno dei seguaci di mons. Lefebvre nella piena comunione con la Chiesa cattolica. Nessuna delle due istituzioni ha dato notizia dell’esistenza di una risposta vera e propria di Ecône al «preambolo dottrinale» ricevuto da Roma il 14 settembre, e sul quale si era svolta ad Albano Laziale, il 78 ottobre 2011, una riunione dei 28 responsabili mondiali della FSSPX (cf. Regno-att. 18,2011,587; cf. anche Regno-att. 22,2011,747, dove P. Stefani ragiona della vicenda in prospettiva storica a partire dal recente volume di P. Miccoli, La Chiesa dell’anticoncilio). Tuttavia, i sensibili sismografi che tengono monitorata questa piccola ma significativa faglia del pianeta cattolico hanno registrato, non diremo delle scosse, ma certo diversi movimenti. Il primo è un’intervista rilasciata il 28 novembre da mons. Bernard Fellay, superiore della Fraternità, all’agenzia DICI, organo ufficiale della Fraternità stessa, in cui egli accredita l’idea, già filtrata dopo l’incontro di Albano, che «questo preambolo dottrinale non può ricevere» l’avallo della FSSPX, «benché comporti un margine per una “legittima discussione” su certi punti del Concilio», e parla della «proposta che avanzerò in questi giorni alle autorità romane» e della relativa risposta come degli strumenti per misurare tale margine. Ocáriz e Gleize, dialogo pubblico Di soli quattro giorni dopo un saggio breve di mons. Fernando Ocáriz, «Sull’adesione al concilio Vaticano II», comparso in italiano sull’edizione a stampa de L’Osservatore romano (2.12.2011, 6) e in altre cinque lingue sul sito web, pur senza riferirsi esplicitamente alla disputa con i lefebvriani, ribadisce che «un’interpretazione autentica dei testi conciliari può essere fatta soltanto dallo stesso magistero della Chiesa». L’autore, oltre che vicario generale dell’Opus Dei, è anche membro per parte romana della commissione mista di studio istituita nel 2009 per «chiarire i problemi di ordine dottrinale» tra le due parti. Ancora mons. Fellay, nell’omelia per la festa dell’Immacolata (8 dicembre, anch’essa riportata dall’agenzia DICI), dedica un lungo passaggio alle «recenti proposte di Roma», e le riassume così: «“Sì, potete criticare il Concilio, ma a una condizione: bisogna prima accettarlo”. E noi replichiamo: “E dopo, che cosa ci resta da criticare?”». E dopo che il 21, su Vatican Insider (il sito web che La Stampa ha consacrato all’informazione religiosa), Andrea Tornielli – attraendosi le ire degli ambienti tradizionalisti – rivela (e p. Lombardi su Radio Vaticana conferma) che la Fraternità ha inviato alla Santa Sede non una «risposta» al preambolo dottrinale ma una interlocutoria «documentazione», ecco comparire, il 23, sempre sull’agenzia ufficiale lefebvriana DICI, gli estratti del lungo saggio «Une question cruciale», che p. Jean-Michel Gleize, docente di ecclesiologia a Ecône e anch’egli membro, per parte tradizionalista, della Commissione mista, pubblica sul numero di dicembre 2011 del Courrier de Rome, rivista della Fraternità. Una risposta, anzi due Descritto dall’agenzia come «risposta all’articolo di mons. Ocáriz», verrà poi accreditato il 13 gennaio dalla stessa DICI come «com- 20 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 Mons. Bernard Fellay. plemento della risposta» fatta pervenire da mons. Fellay a Roma, e individua nei quattro punti della libertà religiosa (Dignitatis humane, n. 2), dell’ecclesiologia (Lumen gentium, n. 8), dell’ecumenismo (ancora Lumen gentium, n. 8 e Unitatis redintegratio, n. 3) e della collegialità (Lumen gentium, n. 22 e Nota explicativa praevia, n. 3) gli insegnamenti del Vaticano II che «sono evidentemente in contraddizione logica» col magistero precedente, ovvero non interpretabili in continuità con esso. Da ultimo, mentre scriviamo queste righe, è ancora Tornielli su Vatican Insider (18 gennaio) a raccontare che a fronte di un giudizio di inadeguatezza espresso dalla Santa Sede rispetto ai documenti ricevuti prima di Natale dalla FSSPX, a essi Fellay ha aggiunto «un secondo testo, più stringato», che ora sarebbe all’esame della Commissione Ecclesia Dei. In sintesi, dai fatti di questi ultimi tre mesi par di capire che la trattativa, questa volta, non si sia ancora arenata, ma che le secche siano sempre vicine. Se è vero infatti che Benedetto XVI, nel famoso discorso alla curia romana del 2005 (Regno-doc. 1,2006,5), ha raccomandato per gli insegnamenti del Vaticano II l’«ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità», incrociando una prospettiva indicata da mons. Lefebvre sin dagli anni Settanta, rimane diverso, spiega p. Gleize, il senso che si attribuisce alla parola «continuità»: tradizionalmente essa andrebbe intesa in senso oggettivo, «senza che la predicazione presente possa contraddire la predicazione passata», mentre «nel discorso attuale degli uomini di Chiesa» (l’allusione è allo stesso Benedetto XVI) si parla di continuità a proposito non di un oggetto del dogma o della dottrina, ma «di un soggetto che evolve nel corso del tempo», la Chiesa. Guido Mocellin 21-22_art USA:Layout 2 30-01-2012 11:19 Pagina 21 Chiese STAT I U N I T I d a episcopaliani a cattolici I l primo ordinariato per ex anglicani, quello di Nostra Signora di Walsingham, ha compiuto un anno il 15 gennaio,1 e negli stessi giorni vede ora la luce il suo omologo statunitense, l’ordinariato personale della Cattedra di San Pietro, per accogliere i gruppi di fedeli ex episcopaliani (come vengono chiamati gli anglicani degli Stati Uniti) insieme ai loro pastori nella Chiesa cattolica. Già annunciato come imminente lo scorso 17 novembre nel corso dell’Assemblea generale dei vescovi cattolici americani a Baltimora dal card. D. Wuerl, arcivescovo di Washington e incaricato della questione, è stato eretto il 1° gennaio con un decreto della Congregazione per la dottrina della fede.2 L’ordinariato personale è un organismo giuridicamente paragonabile a una diocesi, ma che ha giurisdizione non su un territorio bensì su un gruppo di persone che condividono determinate caratteristiche – analogamente all’ordinariato militare – e con un proprio «ordinario», che può essere un prete o un vescovo, nominato dal papa e che entra a far parte della conferenza episcopale locale. È lo strumento tecnico istituito da Benedetto XVI nel 2009 con la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus,3 per rispondere ai «gruppi anglicani» che avevano chiesto «più volte e insistentemente» di entrare, «anche corporativamente, nella piena comunione cattolica». Il «provvedimento pastorale» del 1980 In precedenza nel territorio degli Stati Uniti era in vigore la cosiddetta Un nuovo ordinariato per sonale d o p o q u e l l o p e r i l Re g n o U n i t o Pastoral provision, un «provvedimento pastorale», appunto, concesso dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 1980 per consentire agli episcopaliani che lo desideravano di entrare nella piena comunione con la Chiesa cattolica «conservando alcuni elementi della loro identità» anglicana;4 ai preti episcopaliani sposati, che erano ri-ordinati come preti cattolici, veniva caso per caso concessa la dispensa dal celibato. La Pastoral provision andava considerata, secondo la dichiarazione della Congregazione,5 «come la riconciliazione di singole persone», descritta dal decreto Unitatis redintegratio del concilio Vaticano II al n. 4, e dunque in quanto tale non in conflitto con il cammino di riconciliazione ecumenica tra le Chiese. In questi 30 anni così sono state costituite dai vescovi diocesani interessati tre parrocchie personali e alcuni gruppi minori in quattro stati: Massachusetts, Pennsylvania, Missouri e Texas. Sono definite di «anglican use», con riferimento alle forme liturgiche mantenute. Le ragioni principali per l’abbandono della Chiesa episcopaliana sono state prima la decisione di questa di ordinare donne prete (1975) a vescovo (1989), e in questi ultimi anni l’atteggiamento nei confronti del clero omosessuale, in particolare dopo l’ordinazione episcopale di un prete gay impegnato in una relazione omosessuale stabile, Gene Robinson.6 Benché la Pastoral provision, in quanto intesa a salvaguardare la «comune identità» anglicana degli ex episcopaliani, costituisca effettivamente il Jeffrey N. Steenson. precedente principale dell’Anglicanorum coetibus, questa se ne distingue in primo luogo perché ha una portata universale e non limitata al territorio statunitense, benché l’erezione dei singoli ordinariati venga attuata in collaborazione con l’episcopato locale; e in secondo luogo perché configura il su- IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 21 21-22_art USA:Layout 2 30-01-2012 11:19 Pagina 22 peramento del ruolo del vescovo locale, al quale prima competeva la scelta se costituire o meno una parrocchia personale per gli ex episcopaliani. Alcuni vescovi, per non creare problemi nelle relazioni con la Chiesa episcopaliana, hanno deciso di non costituire la parrocchia di «uso anglicano», indirizzando i fedeli ex episcopaliani nelle parrocchie già esistenti. Il basso numero delle parrocchie personali costituite in 30 anni fa capire che per la maggior parte i circa 80 preti usciti dalla Chiesa episcopaliana sono entrati nelle diocesi e nella pastorale ordinaria senza più alcun riferimento all’«uso anglicano». Ora invece l’adesione all’ordinariato personale è subordinata solo alla manifestazione del desiderio per iscritto, all’adesione a un programma di formazione catechetica e alla professione di fede previa la piena accettazione del contenuto dottrinale del Catechismo della Chiesa cattolica. I preti e i vescovi verranno riordinati sacerdoti. Che cosa accadrà ora alle parrocchie di «uso anglicano»? Il decreto CENTRO DI ORIENTAMENTO PASTORALE (COP) Educarsi alla corresponsabilità I battezzati nel mondo alla prova della vita quotidiana cinquant’anni dal Vaticano II, il ruolo dei laici nella Chiesa è ancora assai sottovalutato; tale situazione impone un approfondito ripensamento. La 61ª Settimana nazionale di aggiornamento pastorale organizzata dal COP (Firenze, 20-23/6/2011), invita a riflettere sulla relazione pastorale per aiutare le comunità cristiane a elaborare esperienze e percorsi formativi. A «PARROCCHIA OGGI» pp. 272 - € 19,50 www.dehoniane.it EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Fax 051 4290099 della Congregazione per la dottrina della fede non lo precisa, ma sul sito ufficiale dell’ordinariato USA si afferma: «Benché sia verosimile che molte parrocchie del provvedimento pastorale chiederanno di unirsi all’ordinariato, non è d’obbligo. Alcune possono scegliere di rimanere a far parte della diocesi alla quale appartengono già».7 La Pastoral provision sembra rimanere in vigore – visto che è stato nominato un nuovo delegato nella persona del vescovo di Fort Worth, Kevin Vann – secondo alcuni per quei singoli preti che lasciano la Chiesa episcopaliana senza portarsi dietro una comunità, ma intorno a questo vi è ancora una buona dose di indeterminatezza. Liturgia anglicana tradizionale Contestualmente all’erezione del nuovo ordinariato Benedetto XVI ha nominato il relativo ordinario. È Jeffrey N. Steenson, prete cattolico, già vescovo episcopaliano di Rio Grande, sposato e con tre figli. I preti che hanno chiesto di diventare cattolici sarebbero un centinaio. I gruppi che hanno già manifestato l’intenzione di aderire all’ordinariato sono due: la comunità episcopaliana di St. Peter of the Rock di Fort Worth, Texas, e la parrocchia episcopaliana di St. Luke a Bladensburg, Maryland. Mentre non è stato reso noto come si finanzierà l’ordinariato, questione che appare già problematica nel Regno Unito,8 è stato precisato che le parrocchie useranno il Book of Divine Worship, un adattamento dell’anglicano Book of Common Prayer già in uso nelle parrocchie di «uso anglicano», approvato dalla Congregazione per il culto divino e dai vescovi statunitensi nel 1983, che ha associato al rito eucaristico cattolico una grande quantità di preghiere in inglese tradizionale e la tipica salmodia detta «anglican chant». Benché non si tratti di un rito separato, è l’unica variante del rito latino approvata nella Chiesa cattolica degli Stati Uniti. È chiaro comunque che gli ambienti episcopaliani interessati all’ordinariato sono molto più contigui al tradizionalismo cattolico che non all’anglicanesimo turbo-liberal a cui si pensa solitamente parlando di Chiesa episcopaliana degli Stati Uniti.9 22 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 I prossimi ordinariati che potrebbero nascere sono quello canadese e quello australiano. Tuttavia le vicende personali di John Hepworth, primate della Comunione anglicana tradizionale (TAC, anglicani tradizionalisti) e firmatario nel 2007 della richiesta di entrare nella Chiesa cattolica romana, potrebbero rallentare i tempi. John Hepworth ha rivelato nello scorso settembre di aver abbandonato l’Australia e il sacerdozio cattolico durante la giovinezza, dopo un decennio di violenze sessuali sistematiche per mano di preti e seminaristi più anziani negli anni Settanta. Dopo che un’inchiesta interna della Conferenza episcopale australiana ha concluso che le sue accuse non erano fondate, ha sporto denuncia alla polizia. Nel frattempo però da Roma avrebbe saputo di non poter rientrare nell’ordinariato se non come laico, perché secondo le Norme complementari dell’Anglicanorum coetibus «coloro che erano stati ordinati nella Chiesa cattolica e in seguito hanno aderito alla Comunione anglicana non possono essere ammessi all’esercizio del ministero sacro nell’ordinariato» (art. 6 § 2; Regnodoc. 21,2009,708). A metà dicembre ha annunciato l’intenzione di dimettersi da primate della TAC. Daniela Sala 1 Cf. Regno-doc. 3,2011,117. Cf. L’Osservatore romano 4.1.2012. Cf. Regno-att. 20,2009,657-661; Regnodoc. 21,2009,705. 4 Cf. Regno-doc. 21,2009,709. 5 La dichiarazione è dell’1.4.1981; EV 7/123. 6 Cf. Regno-att. 12,2003,370. L’ordinazione del vescovo Robinson ha provocato un terremoto nella Chiesa episcopaliana e in tutta la Comunione anglicana, fino a indurre i vertici di quest’ultima a mettere in campo un processo per la gestione delle controversie relative alla comunione, il Patto anglicano. La nostra rivista ha seguito la vicenda passo passo; per un quadro sintetico cf. Regno-att. 2,2010,16. 7 Cf. www.usordinariate.org, «Frequently asked questions», visitato il 20.1.2012. 8 Cf. l’ultima edizione del bollettino The Portal dell’ordinariato di Nostra Signora di Walsingham, www.portalmag.co.uk, gennaio 2012, 9. Molti dei preti dell’ordinariato hanno moglie e figli. 9 Anche nel Regno Unito si segnala la tendenza dei nuovi fedeli ex anglicani e dei loro preti a privilegiare nella liturgia le forme più tradizionaliste, dal latino al culto celebrato verso l’altare (cf. The Tablet 15.10.2011, 12ss; A. BURNHAM, Liturgical patrimony of the ordinariate and the reform of the reform, 15.10.2011, in ordinariateportal.wordpress.com). 2 3 23-25_art_america latina:Layout 2 AMERICA 30-01-2012 11:21 Pagina 23 Ecuador L AT I N A l a rivoluzione di Correa R afael Correa è il presidente della Repubblica dell’Ecuador, che conta più di 14 milioni di abitanti. Fu eletto il 26 novembre 2006 come candidato della Alianza PAIS-Patria Altiva Y Soberana, un movimento da lui fondato, che propugnava la sovranità politica dell’Ecuador, l’integrazione regionale e l’aiuto economico ai meno abbienti. Nato nel 1963 a Guayaquil, popolosa città di oltre 2 milioni di abitanti, la perla del Pacifico, in carica dal 15 gennaio 2007, rieletto il 26 aprile 2009. Si formò negli ambienti universitari: studi di economia all’Università cattolica di Guayaquil (1987); laurea di primo livello in Economia all’Università cattolica di Lovanio (Belgio, 1991); laurea magistrale in Economia all’Università dell’Illinois (1999); dottorato nella stessa università (2001). Dice di ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa ed è un assertore convinto della teologia della liberazione. Si è sempre impegnato in ambito sociale come dirigente studentesco: volontario in attività promosse dai salesiani tra gli indigeni di Zumbahua nelle Ande equatoriali, accademico e politico. Leader della Rivoluzione cittadina in Ecuador, ha ottenuto sei vittorie elettorali consecutive; e oggi continua la sua azione rinnovatrice, come lui sostiene, alla ricerca della seconda e definitiva indipendenza dell’Ecuador. Il sociologo e politologo marxista argentino Atilio Boron ha firmato il Il difficile rapporto tra la Chiesa e i leader progressisti Rafael Correa. IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 23 23-25_art_america latina:Layout 2 30-01-2012 prologo al libro di Correa Ecuador: de Banana Republic a la No República, uscito nel 2009 e già giunto alla terza edizione (2011), presentandolo ovviamente con grande enfasi. Bastino queste espressioni: «Rafael Correa è il presidente di un paese che sotto la sua leadership ha cambiato per sempre e in bene, superando le polemiche che, senza dubbio, suscitano una gestione che come quella di Hugo Chávez in Venezuela ed Evo Morales in Bolivia, hanno diviso la storia del suo paese in un prima e in un dopo». Scrive Correa, presentando l’edizione riveduta e corretta del volume, che, pur avendo per oggetto la situazione dell’Ecuador, induce tuttavia ad allargare l’orizzonte su tutta l’America Latina: si appella a un imperativo, che fa da cornice a tutta l’attività del presidente, «Proibito dimenticare!», che sta alla base della Rivoluzione cittadina, programma della sua presidenza. Ricorda inoltre quanto avvenne il 30 settembre 2010 in Ecuador, quando si tentò di destabilizzare il go- a cura di Roberto Reggi Pentateuco Traduzione interlineare in italiano D ei cinque libri del Pentateuco, il volume offre il testo ebraico, la traduzione interlineare in italiano (da destra a sinistra, seguendo la direzione dell’ebraico) e il testo della Bibbia CEI (a piè di pagina, con a margine i passi paralleli). Non si tratta di una ‘traduzione’, ma di un ‘aiuto alla traduzione’: un utile strumento di sostegno per affrontare le difficoltà dell’ebraico e introdursi nel testo biblico in lingua originale. pp. 496 - € 30,00 www.dehoniane.it EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 11:21 Pagina 24 verno della Rivoluzione cittadina fino al progetto di assassinare il presidente. Osserva Correa: «Non è casualità che tutti i golpe di stato del XXI secolo in America Latina – Venezuela nel 2002, Bolivia nel 2008, Honduras nel 2009 ed Ecuador nel 2010 – siano stati fatti contro governi che operavano per cambiamenti profondi e contro paesi appartenenti all’Alleanza bolivariana dei popoli della nostra America». Mercato e democrazia: l’irrisolto rapporto con gli USA Atilio Boron definisce Correa uno dei più importanti leader dell’epoca contemporanea in America Latina. Vediamo sinteticamente i punti principali della sua dottrina e azione politica. Riguardo al debito pubblico il governo presieduto da Correa ha introdotto una novità fondamentale esigendo l’istituzione di un tribunale internazionale per determinare quale parte del debito sia legittima e quale no. Correa si appella al saccheggio di cui è stato vittima l’Ecuador, il cui debito tra il 1970 e il 1981 crebbe ben 19 volte. Un altro tema caro a Correa riguarda l’autonomia della Banca centrale. In nome di questa autonomia si è commessa in Ecuador ogni sorta di latrocini, che dissanguarono economicamente il paese a vantaggio dell’oligarchia finanziaria internazionale e i suoi rappresentanti locali. L’autonomia della Banca centrale priva il governo di turno di uno strumento fondamentale di politica finanziaria oltre a essere profondamente contraria allo spirito democratico. Promuove progetti che, nel caso concreto dell’Ecuador, ebbero paradossalmente il risultato che, mentre il paese espelleva più di due milioni di ecuadoregni, con le loro rimesse essi avrebbero permesso di raggiungere un certo equilibrio nella bilancia dei pagamenti. La Banca centrale «autonoma» facilitava la fuga di capitali e la crescita esponenziale del debito estero. Un terzo punto della sua teoria economico-politica è la questione della «dollarizzazione», la sostituzione della moneta nazionale con il dollaro, la quale priva – come insegna l’Argentina di Carlos Menem e di Fernando de la Rua – i governi di uno strumento fondamentale come la po- 24 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 litica monetaria che, a sua volta, permetta, mediante il controllo del cambio, di dar vita a politiche che favoriscano lo sviluppo dell’economia e del benessere sociale e affrontino gli effetti di una eventuale recessione. Uno dei capitoli più significativi del libro di Correa riguarda «la fallacia del libero commercio», un mito che ha recato danni enormi ai paesi sottosviluppati. Un autentico inganno, che ha rafforzato le pressioni e i condizionamenti di istituzioni finanziarie internazionali in nome dei mandanti. Nelle pagine successive Correa si sofferma sui concetti tradizionali di «sviluppo» e di «stabilità economica» e sferra duri attacchi al capitalismo, che definisce «predatorio», soprattutto riguardo all’ambiente. Capitalismo inteso e praticato come ideologia da alcuni organismi internazionali, quali il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, la Banca interamericana di sviluppo e altri simili che promuovono e perpetuano un modello di accumulazione capitalista, che ha prodotto un olocausto sociale ed ecologico senza precedenti nei paesi latinoamericani. Per Correa queste istituzioni non sono altro che la longa manus del dipartimento del Tesoro degli USA e cita Robert Reich, il quale di recente ha scritto che la politica estera americana è nelle mani del Fondo monetario internazionale con alcune direttive del dipartimento del Tesoro. I risultati – secondo Correa – sono sotto gli occhi di tutti: le non-repubbliche latinoamericane, sotto la pressione dei paesi economicamente più potenti e delle oligarchie locali, sono puramente «mercati». Il confronto con la Chiesa Non resta che andare verso una nuova politica economica, che sia indipendente dagli organismi finanziari internazionali, i quali giocano a vantaggio solo degli interessi stranieri. Occorre che si ponga al centro il ruolo dei leader. «La leadership è semplicemente la capacità di influire sugli altri, quello che, disgraziatamente, è prevalso in America Latina quando vi erano leader forti. Buone leadership sono fondamentali per supplire all’assenza di capitale sociale, istituzionale e culturale e la loro importanza diminuirà 23-25_art_america latina:Layout 2 30-01-2012 nella misura in cui di fatto aiutano a consolidare questi capitali» (213). Alla mancanza di leader coraggiosi e capaci si deve la lunga e triste notte neoliberale. Correa deve fare i conti con una forte congiuntura economica. Il paese è fortemente dipendente dalle esportazioni di petrolio e dall’andamento dei prezzi degli idrocarburi sui mercati internazionali, soprattutto canadesi e cinesi. Questo ha causato l’aggravamento del deficit dello stato, notevolmente cresciuto anche a motivo dell’espansione della spesa sociale. Nel 2009 l’Ecuador di Correa ha rinegoziato il debito dello stato detenuto da investitoti stranieri. Correa in più deve fare i conti con la disoccupazione di oltre il 7% della popolazione e la continua emigrazione, che però fa entrare nelle casse dello stato flussi di rimesse. Alcuni mesi dopo il suo insediamento, nel maggio 2007, Rafael Correa, cattolico praticante, dovette confrontarsi con i vescovi, i quali chiesero che nel progetto della nuova Costituzione venissero rispettati e protetti alcuni valori fondamentali. Nel campo dell’educazione chiesero che fosse mantenuto l’art. 71 della Costituzione vigente, secondo il quale lo stato deve aiutare l’educazione. Essi chiesero che lo stato e le leggi proteggessero la vita dal concepimento fino alla sua fine naturale e ne favorissero lo sviluppo e la crescita in salute, sicurezza, educazione e lavoro. Chiesero allo stato che si facesse carico della lotta contro la corruzione in tutte le sue forme, sradicasse la povertà e prestasse un’attenzione preferenziale ai settori meno favoriti della società. Il 12 settembre 2007, in vista dell’elezione dei rappresentanti per l’Assemblea costituente, che aveva il compito di elaborare una nuova Costituzione, i vescovi riaffermarono che la Chiesa non interviene a favore di uno o l’altro partito, ma fecero uso del loro diritto e obbligo di dire una parola di orientamento affinché venissero eletti quei cittadini che avessero veramente l’intenzione di servire la patria, perché i cambiamenti avessero di mira il bene delle persone e del paese e non promuovessero falsi progressi. Non si facesse insomma uso della condizione di «cattolico» per prendere voti. 11:21 Pagina 25 Quattro erano le caratteristiche di chi si voleva eleggere rappresentante alla Costituente: che fosse cosciente che l’Ecuador è un paese multietnico e multiculturale con quattro regioni geografiche che abbisognano di integrazione e di complementarietà; che avesse dimostrato capacità di collaborazione e disinteresse; che difendesse l’uguaglianza dei diritti: l’inviolabile e sacro diritto alla vita e alla dignità della persona umana dal suo concepimento fino alla sua morte naturale, la libertà e la pluralità nell’educazione, la libertà religiosa, il rispetto della coscienza e del pensiero altrui e una moderna concezione di laicità; che promuovesse un sistema economico-sociale equo. Il 24 giugno 2008 l’Assemblea costituente approvò alcuni articoli riguardanti il diritto alla vita che irritarono l’episcopato, che vide in essi la possibilità di prendere in qualsiasi momento la decisione di ricorrere all’aborto. Il 28 luglio un comunicato della segreteria dell’episcopato fece il punto sul progetto della nuova Costituzione, che venne sottoposto a referendum popolare nel mese di settembre. Si dichiararono soddisfatti perché il progetto accolse gli enunciati circa la centralità della persona umana nei vari campi e lamentarono che non vi fosse chiarezza sui cosiddetti «principi non negoziabili». Il neostatalismo pare essere il filo conduttore della nuova Costituzione, che non è certamente di gradimento della Chiesa. Non chiara in particolare la posizione di Correa sull’aborto: il testo lascia aperta ogni porta alla soppressione della creatura nel seno della madre. In questo i vescovi vedono un serio attentato alla famiglia, cellula fondamentale della società, mentre criticano che si equipari alla famiglia l’unione di persone dello stesso sesso. Limitare per legge l’azione della Chiesa In occasione del bicentenario della liberazione dei territori di Quito (10.8.1809), quando il paese insorse contro il dominio spagnolo, i vescovi hanno inviato un messaggio al paese, dicendosi favorevoli a una sana laicità, che superi la concezione di quanti non riconoscono alla fede lo spazio di li- bertà che le corrisponde. Questa laicità rinuncia alle discriminazioni per motivi religiosi, assume la propria responsabilità per il bene comune e procede con metodi e norme propri. Il 30 settembre 2010, all’indomani del tentato colpo di stato, – una rivolta di poliziotti e militari, ostili alla legge che equipara le forze dell’ordine agli altri dipendenti riducendone i benefici economici e di carriera – i vescovi hanno invitato i fedeli alla serenità, all’impegno per la pace sociale e l’esercito e la polizia a rientrare nei loro ranghi di guardiani dello stato di diritto. Di fronte alla campagna aggressiva e massiccia di pianificazione familiare e di controllo della natalità annunciata dal governo, i vescovi hanno affermato che quest’ultima non si controlla con metodi meccanici né con trattamenti farmacologici, ma con un’adeguata educazione sessuale. Hanno attaccato la diffusa e ostinata propaganda a favore degli anticoncezionali, che risponde a interessi economici. In un comunicato del 21 ottobre 2011 i vescovi hanno manifestato inquietudine per la notizia di un articolo del progetto del nuovo Codice penale, il numero 270, che pretende di limitare in forma drastica la libertà religiosa e di espressione, così come l’uguaglianza davanti alla legge. Indignazione ha provocato inoltre il progetto di riforma della legislazione penale. Con un altro comunicato del 25 ottobre seguente, i vescovi hanno preso posizione contro la proposta concreta di sanzionare i ministri di qualsiasi culto quando intervengono direttamente in favore o contro partiti e movimenti politici. Si è trattato – sempre a parere dei vescovi – di una discriminazione per motivi religiosi perché si proibiva al ministro ciò che si permetteva a tutti gli altri, privandolo del diritto di pari trattamento di fronte alla legge. In quell’occasione il presidente della Conferenza episcopale e arcivescovo di Quayaquil, mons. Antonio Arregui, aveva ricordato che la proibizione ai sacerdoti di entrare in politica è una norma interna della Chiesa cattolica, acquisita nel modus vivendi che in Ecuador regola i rapporti tra stato e Chiesa. Francesco Strazzari IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 25 26_info_corea_1c:Layout 2 30-01-2012 16:45 Pagina 26 Corea del Nord Dopo il dittatore I l caro leader» è morto per «sovraffaticamento eccessivo dovuto ai suoi sforzi senza fine per fare in modo di costruire una nazione potente»: così la presentatrice in lacrime sulla TV di stato nord-coreana il 19 dicembre ha dato la notizia della morte del dittatore Kim Jong-il. 69 anni, al potere ininterrottamente dal 1994, è morto d’infarto il 17 dicembre, lasciando tutto il potere al figlio Kim Jongun, neanche trentenne. La morte del dittatore nord-coreano ha suscitato apprensione in tutta la diplomazia internazionale, non ancora certa dell’affidabilità del giovane successore e anzi tendenzialmente preoccupata delle sue performances negli ultimi anni. Recentemente nominato generale e promosso dal padre alla testa delle forze armate – pilastro del potere nel paese –, ha giocato un ruolo rilevante nella politica militarista e aggressiva della Corea del Nord nei confronti della Corea del Sud. E il cambio al vertice arriva in un momento delicato, nel quale si stavano svolgendo trattative per la denuclearizzazione del paese, presupposto richiesto dagli Stati Uniti per la ripresa degli aiuti alimentari. Un paese prostrato Pochi giorni dopo la morte di Kim Jongil, il 21 dicembre, il segretario generale della Caritas internationalis, Michel Roy, ha levato un allarme sulla situazione umanitaria del paese: «È un imperativo umanitario aiutare la popolazione nord-coreana senza che essa diventi ostaggio delle questioni geopolitiche». Un inverno molto freddo e inondazioni durante l’estate hanno aggravato lo stato di penuria alimentare già endemico nel paese, dopo la carestia che fece un milione di morti tra il 1995 e il 1999. Il regime ha sempre coperto il problema, avviando una serie di liberalizzazioni embrionali del sistema di produzione agricola, ancora del tutto insufficienti. Finora anche la risposta 26 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 della comunità internazionale è stata scarsa. Il principale aiuto alla popolazione viene dalla Cina. Alcuni segnali provenienti dalla Corea del Sud tuttavia fanno pensare che si possa aprire una fase di distensione. Il ministro dell’Unificazione sud-coreano Yu Woo Ik ha affermato che il suo paese è pronto a tenere colloqui di altissimo livello e a fornire aiuti alimentari su larga scala alla Corea del Nord, anche se Pyongyang non ha presentato «scuse ufficiali» dopo i due attacchi militari del 2010. Secondo il vescovo di Cheju, mons. Peter Kang, che già un mese fa aveva definito l’elezione di Kim Jong-un «un’opportunità per la pace e la riconciliazione», è un passo di apertura importante e rimarchevole, perché finora il governo di Lee Myung Bak aveva mantenuto una linea piuttosto dura verso il Nord. Ora sembra voler cogliere un’opportunità di dialogo, che potrebbe essere decisiva per il futuro della penisola. La Caritas Korea è da molto tempo impegnata in prima linea negli aiuti umanitari al Nord. Il 10 gennaio il nuovo leader nord-coreano ha annunciato un’amnistia, in occasione dell’anniversario della nascita del padre Kim Jong-il e del nonno Kim Il-sung. Tuttavia secondo un gruppo di organizzazioni non governative alcune delle quali cristiane, che gli ha scritto una lettera aperta il 19 dicembre, più che un gesto simbolico è necessaria «una nuova era per il pieno rispetto dei diritti umani nel paese». La Coalizione internazionale per fermare i crimini contro l’umanità in Corea del Nord (ICNK) chiede al nuovo leader di «abbandonare il pluridecennale modello di abusi dei diritti umani commessi dal governo di Pyongyang contro il popolo della Corea del Nord». Secondo la Coalizione nel paese oltre 200.000 uomini, donne e bambini sono detenuti per motivi politici in campi di prigionia. D. S. India Chiese cristiane Vietare la violenza interreligiosa I l progetto di legge «per prevenire la violenza sulle minoranze religiose», proposto dal National Advisory Council di Sonia Gandhi lo scorso anno e fortemente appoggiato dal Consiglio cristiano dell’India e dalla Conferenza dei vescovi cattolici dell’India (CBCI), dovrà attendere. Il Parlamento federale infatti non ha inserito l’esame del Communal violence bill nella programmazione della sessione invernale, suscitando le proteste dei vescovi indiani, che hanno definito la legge «urgente» e di «primaria importanza» per una democrazia matura come quella indiana. Il progetto di legge, la cui necessità è emersa dopo i gravi tumulti che hanno col- pito le minoranze religiose (contro i sikh a Nuova Delhi nel 1984, il pogrom contro i musulmani nel Gujarat del 2002, la strage anti-cristiana in Orissa del 2008), attribuisce al governo centrale il potere di intervenire direttamente nei casi di violenza interreligiosa. Il nodo critico si colloca infatti al livello delle autorità locali che, pur in presenza di legislazioni statali sufficienti a fermare e punire tale crimine, sono invece state conniventi o complici nell’orchestrare le campagne d’odio anti-cristiano (cf. Regno-att. 10,2011,337 e il recente rapporto del Tribunale nazionale del popolo di Kandhamal, Orissa, in Fides 5.12.2011), a causa della presenza massiccia di radicali indù nel governo. I due punti giudicati controversi dagli oppositori della legge riguardano la definizione di «gruppo», inteso come una minoranza religiosa o etnica o le caste e tribù registrate secondo l’art. 366 della Costituzione, che risulterebbe divisiva per la nazione; e l’intervento diretto del governo centrale con il potere di dare disposizioni ai funzionari statali. Ma secondo i vescovi indiani «la legge prevede solo la creazione di un’autorità nazionale con il compito di controllare gli episodi di violenza interreligiosa. Tale organismo avrebbe solo carattere informativo, registrando i casi in cui sono riscontrate lacune giudiziarie» (Asianews 2.1.2012). D. S. L 27-32_R1-6_info biblio:Layout 2 30-01-2012 16:45 Pagina I L ibri del mese Tornare alla sorgente La recezione del Vaticano II C he possiamo attenderci oggi dal Vaticano II? Che cosa dobbiamo necessariamente attenderci da esso? E come interpretarlo? È con queste tre domande che abbiamo iniziato il nostro percorso sulla recezione del Vaticano II, ed è con esse che ora terminiamo la sua prima tappa.* Invece di riconsiderarne gli elementi es- I senziali secondo l’ordine storico riflesso dalle cinque parti di questo volume, ne raccoglieremo i tre risultati principali, rispondendo alle domande in questione, sperando così di porre in risalto la logica interna dell’itinerario seguito. 1) Se si parte dal titolo del volume, che indica che siamo entrati nell’opera del Concilio attraverso la fase della recezione, bisogna iniziare la rilettura dalla quarta parte, che ha voluto rispondere alle ultime due domande. Uno spirito di «sintesi» e di «equilibrio» ha dominato i circa quarant’anni che ci separano dall’evento stesso: la liturgia, le istituzioni ecclesiali e la dottrina cattolica sono state gradualmente adattate e riarticolate secondo le esigenze normative del Vaticano II, in interazione con i cambiamenti di contesto avvenuti successivamente, soprattutto nel 1989. Da questo paesaggio emergono alcuni «picchi profetici» di recezione ufficiale, come, tra gli altri, l’esortazione postsinodale Evangelii nuntiandi (1975), l’incontro di Assisi (1986) e l’enciclica Ut unum sint (1995). Per il resto, è più una logica del «sì, però…» a essersi imposta; essa consiste certamente nel prendere atto del fatto che con il Concilio la Chiesa cattolica ha varcato la soglia di una nuova era, ma anche nel ribadire – al contempo e sempre più fermamente – che la recezione del Vaticano II si deve inscrivere armoniosamente nelle esperienze e nelle riflessioni dell’epoca precedente, di cui rappresenta lo sviluppo. Questo processo complesso e conflittuale, orientato dal centro romano e vissuto in modo differenziato sul campo delle Chiese locali, è stato accompagnato da una riflessione ermeneutica di cui abbiamo reso conto nel primo capitolo della quarta parte. Durante l’ultimo decennio del XX secolo, questa riflessione ha preso nuovo slancio, in parte a motivo degli sviluppi della recezione. Il gioco di contrasti che l’ha segnata sin dagli inizi, tra la lettera e lo spirito o tra l’evento e il corpus testuale del Vaticano II, continua a ossessionare gli spiriti; la sua ultima espressione è la contrapposizione tra un’«ermeneutica IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 27 27-32_R1-6_info biblio:Layout 2 L 30-01-2012 16:45 Pagina II ibri del mese P. CATI, La Chiesa trionfante schiaccia l’eresia, sullo sfondo del Concilio di Trento, 1588. della discontinuità» e una «ermeneutica della continuità o della riforma». Da una quindicina di anni, però, questo dibattito deve affrontare l’inevitabile «storicizzazione» del Concilio, difficile da accettare da parte di alcuni protagonisti: essa si è realizzata a causa del cambiamento di generazione avvenuto dal 1965, ma anche grazie a opere nuove, tanto nel campo della storia e dei commentari quanto in quello delle ricerche sul campo della recezione. Tutti – soggetti ecclesiali, storici e teologi – devono quindi esplicitare il proprio interesse nei riguardi del Concilio, necessariamente segnato dal proprio modo di collocarsi nel presente e in rapporto al futuro del cristianesimo e della Chiesa. L’ermeneutica del Vaticano II è quindi divenuta più complessa. Un primo risultato del nostro percorso è quello di aver affrontato il problema dell’interpretazione in tutte le sue dimensioni. Contrariamente all’idea 28 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 ampiamente diffusa che le difficoltà della recezione del Concilio provengono dallo scontro postconciliare tra diverse ermeneutiche – cosa che presupporrebbe l’identità del Vaticano II come dato certo –, abbiamo avanzato l’ipotesi che, per una grandissima parte, la causa dei problemi postconciliari sia da cercarsi nello stesso sinodo e, in particolare, nelle dimensioni eccezionali del suo corpus. I due assi della recezione a. Avendo preso coscienza di questo fenomeno, dovevamo anzitutto ripercorrere la storia della composizione del corpus testuale, accreditare l’idea che si tratti effettivamente di un corpus e porre in evidenza le sue relazioni intertestuali; l’abbiamo fatto nella terza parte di questo volume. Non solo i «compromessi» tra maggioranza e minoranza, ma anche e soprattutto il carattere incompiuto della «retroazione» di alcuni documenti su altri pongono difficoltà alla recezione; svariati esempi sono stati analizzati nell’ultima parte. Visto che l’edizione dei testi non ci dava alcuna indicazione decisiva sulla struttura del corpus né su ciò che l’unifica, ci era necessario affrontare tale questione decisiva. L’unità è data forse da una «sintesi» dell’insegnamento del Vaticano II sulle istituzioni della Chiesa, la sua liturgia e la sua dottrina, come ha supposto la recezione ufficiale e pratica, basandosi sulla posizione di coloro che – Paolo VI in primis – hanno considerato la Chiesa come «argomento principale» del Concilio? O bisogna piuttosto seguire quelli che, come il relatore di Dei Verbum, considerano il prologo della costituzione dogmatica sulla rivelazione come introduzione e principio di tutti gli altri testi conciliari? Dinanzi a questa alternativa, abbiamo scelto di descrivere il corpus conciliare sulla base dei preamboli e delle introduzioni delle quattro costituzioni, il che articola una struttura a due assi: l’asse teologale o verticale, che è quello della rivelazione e della sua recezione per fede, e l’asse orizzontale o «sociale», che è quello della comunicazione tra la Chiesa e tutte le componenti della società, cioè delle società umane nella loro estensione mondiale. Introdotto da Giovanni XXIII nel suo discorso d’apertura, il principio di pastoralità si colloca al crocevia tra questi due assi e rappresenta in qualche modo il punto focale in cui si costituisce l’unità interna del corpus. Vivendo nella storia e nella società, la Chiesa occupa di certo un posto essenziale in tale dispositivo, ma essa si trova decentrata grazie a una doppia alterità: quella della parola di Dio, che essa ascolta, e quella dei destinatari di tale Parola, che le rimandano la sua stessa eco, dato che essa è già all’opera in loro. Del resto, tale struttura elementare è fondamentalmente «aperta»: fatta dai padri conciliari stessi, l’esperienza teologale del doppio ascolto è proiettata sulla scena del testo in una forma enunciativa; quest’ultima, a sua volta, non è reale se l’esperienza che configura non è nuovamente vissuta dai destinatari o ricettori dei testi conciliari – un percorso implicato nella struttura «aperta» del corpus, che fa comprendere il legame intrinseco tra l’opera del Vaticano II e la sua rece- II 27-32_R1-6_info biblio:Layout 2 30-01-2012 zione. Oltre alle ragioni che ci consegna la storia della composizione del corpus, tale scelta spiega in ultima istanza perché abbiamo preferito presentare anzitutto questa doppia esperienza teologale prima di affrontare, nel secondo volume, le questioni propriamente ecclesiologiche. Controversie interpretative b. Così descritto nella sua configurazione, il corpus pone però un secondo problema agli interpreti: quello del suo rapporto con la Scrittura e la tradizione, che «mediano» l’ascolto della parola di Dio. Abbiamo visto che tale riferimento è complesso, essendo al contempo inscritto nel corpus e riflesso come tale in alcuni dei suoi testi. Il conflitto principale tra padri conciliari a proposito di tale riferimento solleva, dopo il Concilio e più ancora negli ultimi tempi, la questione di sapere come collocare il Vaticano II nella lunga storia del cristianesimo e, su questo sfondo, come comprendere l’identità stessa dell’assemblea, per la quale Giovanni XXIII non ha trovato altro modello che quello della «Pentecoste». In definitiva, è in merito alla risposta a questa domanda che si dividono oggi gli interpreti del Vaticano II. Per questa ragione, abbiamo iniziato con il ripercorrere, in una prima parte, la storia dei concili «ecumenici» riconosciuti come tali dalla Chiesa latina: questa storia ci ha offerto lo sfondo necessario per situare il Vaticano II in rapporto alle origini del cristianesimo e in seno alla sua tradizione bimillenaria; ci ha messo anche sul sentiero di una teologia dell’istituzione conciliare, necessaria se si vuol comprendere la relazione che, in modo riflessivo, il Concilio ha stabilito con questa tradizione. Due dei quattro punti cardinali di una tale teologia – il ruolo e l’identità di coloro che trasmettono il Vangelo in una forma conciliare (tradentes) e ciò che essi trasmettono o devono trasmettere (traditum, tradendum) – sono stati poi affrontati nella seconda parte di questo volume, mentre gli altri due – lo statuto del corpus dei testi e il funzionamento della sua recezione – hanno accompagnato la terza e la quarta parte. Il fine di questo percorso era quello di mostrare, nella quinta parte, III 16:45 Pagina III come viene gestito, da parte del Concilio, il riferimento alla totalità della Tradizione, comprese le Scritture, e come tale riferimento diviene esso stesso oggetto di riflessione nella costituzione Dei Verbum e in altri testi maggiori. Sono essi che, per finire, ci hanno fatto cogliere il senso teologico dell’espressione così spesso malintesa di «concilio pastorale». Le regole dell’analisi c. Da questa doppia osservazione e analisi, possiamo desumere ora una regola d’interpretazione che ci sembra rispondere al meglio alla controversia tra differenti ermeneutiche conciliari. Bisogna prima di tutto rispettare la circolarità, non solo tra l’opera del concilio Vaticano II e i ricettori di oggi, collocati in un altro universo culturale, ma anche tra questi due «poli» e la lunga tradizione della Chiesa. Si tratta di un compito difficile, poiché nessuno di questi tre «poli» sussiste in se stesso, ma esiste sempre in relazione con gli altri due. La nostra percezione dell’evento e del corpus conciliari si avvantaggia della distanza storica che ci separa da essi; all’inverso, però, il riferimento al Vaticano II consente di interpretare teologicamente ciò che una diagnosi culturale ci rivela del contesto dei destinatari attuali del Vangelo. Del resto, la lunga tradizione del cristianesimo – soprattutto, ma non esclusivamente, le separazioni che si sono originate nel suo seno – si chiarisce alla luce del rapporto che il Vaticano II stabilisce con essa; all’inverso, però, e rispettata in tutta la sua complessità, questa tradizione dona alla «soglia» varcata dalla Chiesa durante il Concilio e nell’epoca postconciliare il suo vero significato teologale. Poco importa, in definitiva, mediante quale «polo» si entri in tale circolarità ermeneutica. La regola non stabilisce che il necessario rispetto dell’insieme dei tre «poli», rispetto che fa sì che il risultato di un’analisi, per esempio l’ipotesi della struttura «aperta» del corpus conciliare, debba sempre essere testato dalla virtù euristica che esso esercita nella trattazione degli altri due poli. Siamo allora condotti a un relativismo ermeneutico? Certamente no, IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 29 quanto meno per una ragione teologica che è stata lungamente discussa nel terzo capitolo della quarta parte, quando abbiamo abbozzato la nostra teoria della recezione. Se l’interpretazione dell’identità cristiana obbedisce sempre a una struttura circolare a motivo della nostra «incarnazione» nella storia, essa deve restare al servizio della relazione kerygmatica e pastorale tra emittenti (tradentes) e destinatari (recipientes) del Vangelo (tradendum). Come dimensione escatologica e pentecostale, questa relazione «aperta» rappresenta la struttura elementare del corpus e fonda al contempo il circolo ermeneutico. Di qui la nostra distinzione tra due livelli testuali in seno al corpus conciliare: un primo livello elementare, che regola il processo pastorale o kerygmatico, così come dev’essere vissuto concretamente sul campo nella sua novità teologale sempre inesauribile; un secondo livello di regolazione, che verte sul rispetto del radicamento variabile di emittenti e ricettori. a cura di Roberto Reggi Profeti Traduzione interlineare in italiano D ei diciotto libri profetici, il volume offre il testo ebraico, la traduzione interlineare in italiano (da destra a sinistra, seguendo la direzione dell’ebraico) e il testo della Bibbia CEI (a piè di pagina, con a margine i passi paralleli). Non si tratta di una ‘traduzione’, ma di un ‘aiuto alla traduzione’: un utile strumento di sostegno per affrontare le difficoltà dell’ebraico e introdursi nel testo biblico in lingua originale. pp. 624 - € 35,00 www.dehoniane.it EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 27-32_R1-6_info biblio:Layout 2 L 30-01-2012 16:46 Pagina IV ibri del mese donne del nostro tempo alla sorgente della vita. È il secondo risultato del nostro percorso, prospettato dal titolo di questo volume: quello di avere esplorato la dimensione della «pastoralità», già evocata, in ciò che precede, in quanto principio stesso del Concilio. La ripresa che ne offriremo adesso partirà dalla fine della seconda e della terza parte; essa intende illustrare allo stesso tempo come abbiamo concretamente applicato la regola ermeneutica appena formulata. A sinistra: Costantino convoca i vescovi a Nicea per il concilio, 1000, Istanbul, Santa Sofia. A destra: Ecclesia romana, XII sec., Città del Vaticano, San Pietro. Quando si prende coscienza della complessità ecumenica e storico-culturale dell’atto elementare di «tradizione», inevitabilmente si pone il problema ermeneutico. I padri conciliari hanno fatto fatica a darne una formulazione soddisfacente, che integri non solo l’insieme dei suoi parametri ma segni anche, di ritorno, la trattazione di tutte le altre questioni affrontate dal Concilio. Questa difficoltà manifesta chiaramente il carattere incompiuto dell’opera conciliare. Aggiungiamo però subito che questa incompiutezza è strutturale: al secondo livello, il corpus conciliare è infatti la traccia di un gigantesco processo teologale di apprendimento individuale e collettivo, che continuerà dopo il 1965, essendo la capacità di apprendimento o di riforma di ordine principiale, dal momento che essa condiziona e condizionerà sempre la trasmissione, collocata al primo livello. È questa capacità teologale a rappresentare la difficoltà maggiore della recezione conciliare: una difficoltà inerente al Concilio stesso, che non si lascia aggirare riducendo i problemi postconciliari a un conflitto tra ermeneutiche diverse. Riconoscerlo onestamente non porta a minimizzare la struttura normativa dell’opera del Vaticano II, ma la apre a un modo di comprendere la recezione che coniuga e articola l’esperienza kerygmatica, fatta sul terreno delle Chiese locali, e la prosecuzione di un lavoro d’interpre- 30 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 tazione del Vangelo in una prospettiva al contempo culturale ed ecumenica. Le at tese del postconcilio 2) Questa apertura ci riporta allora verso la prima delle nostre tre domande: che possiamo attenderci oggi dal concilio Vaticano II? A dire il vero, quando l’avevamo posta nell’introduzione generale essa voleva semplicemente far prendere coscienza dei vari «interessi» che ci spingono verso il Concilio: alcuni manifestano una certa assenza di interesse; altri ritengono che – essendo terminata la sua applicazione – sia sufficiente continuare fedelmente nella stessa direzione; altri ancora invitano a una rilettura attuale del Vaticano II, per ricevere da tale assemblea un’ispirazione per il nostro tempo. Quando siamo tornati sulla medesima domanda, dopo aver riletto nella quarta parte i circa quarant’anni della recezione conciliare, l’abbiamo intesa in un altro modo: è la dimensione di «possibilità» che abbiamo percepito nella domanda, e l’appello alla libertà che questo «possibile» ci rivolge. Un certo tipo di recezione liturgica, canonica e dottrinale è di fatto giunto al proprio termine, suscitando l’interrogativo circa le «soglie» che restano ora da varcare. Quello che oggi ci si può aspettare dal Vaticano II, e quello che si può ascoltare al cuore stesso dell’opera conciliare, è rappresentato dall’appello pastorale a far accedere gli uomini e le Appello alla pastoralità a. Il principio di «pastoralità» è stato di fatto consegnato all’assemblea da Giovanni XXIII nel suo discorso Gaudet mater Ecclesia, che abbiamo analizzato alla fine della seconda parte di questo volume: «È necessario che tale dottrina autentica sia studiata ed esposta seguendo i metodi di ricerca e lo stile espositivo di cui fa uso il pensiero moderno. Una cosa è infatti la sostanza del deposito della fede, un’altra è la formulazione di cui la si riveste; bisogna tener conto di tale distinzione – con pazienza, se necessario – , ponderando tutto secondo le forme e le proporzioni di un magistero dal carattere soprattutto pastorale». Il punto nodale della terza parte è rappresentato dal ripercorrere l’itinerario di recezione conciliare di questo principio, un itinerario che consiste nel mettere gradualmente in luce tutte le sue implicazioni, la sua dimensione ecumenica, l’esigenza di autoriforma e il rispetto dei ricettori del Vangelo e del loro radicamento culturale. Siamo stati particolarmente attenti al fatto che tale recezione e l’ordine dei lavori conciliari (e quindi la composizione del corpus) diano luogo a due itinerari sfasati l’uno rispetto all’altro. Questo «parallelismo» ha un certo significato per l’interpretazione dell’insieme del corpus: è all’origine della tensione, già evocata, tra una lettura che colloca il principio del futuro insieme testuale nella coscienza ecclesiale, protesa tra l’interno e l’esterno della Chiesa, e un’altra che parte dalla parola di Dio ricevuta dalla Chiesa nel mondo di oggi, grazie a un nuovo rapporto – detto «pastorale» – con la tradizione e i destinatari del Vangelo. Basandoci sull’analisi del processo di composizione sulla nostra descrizione stilistica del corpus conciliare, abbiamo IV 27-32_R1-6_info biblio:Layout 2 30-01-2012 potuto identificare i testi più prossimi al principio di «pastoralità» che va precisandosi nei dibattiti conciliari: la costituzione dogmatica Dei Verbum, l’esposizione preliminare e altri passi chiave della costituzione pastorale Gaudium et spes sulla lettura dei «segni dei tempi» e la dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa come paradigma di un tale discernimento. Sono questi i testi che abbiamo poi affrontato nella quinta parte del presente volume. Con un significativo ritorno alle Scritture, ispirato da uno spirito ecumenico, i nn. 10-12 di Dignitatis humanae riescono a unificare i concetti di fede e di rivelazione a partire dal modus agendi di Gesù di Nazaret e dei suoi apostoli, presentato da subito nella sua forma costitutivamente relazionale; tale modus fonda sia l’esigenza di coerenza che verte su tutta l’opera riformatrice del Vaticano II e il rispetto dei destinatari del Vangelo sin nel loro radicamento storico e nella loro libera ricerca della verità. Poiché questi numeri, che restano un hapax nell’insieme dei documenti considerati, sono l’ultima esplicitazione della «pastoralità», senza peraltro utilizzare questa parola, abbiamo riconosciuto loro una posizione principiale nell’opera del Concilio. Essi illustrano al contempo il carattere incompiuto del corpus e i suoi limiti, in quanto, come abbiamo segnalato a più riprese, il principio in questione non può più agire in senso inverso sugli altri testi, né può farlo sulla trattazione delle molteplici problematiche che vanno accumulandosi durante l’ultimo periodo del Concilio. Appare così una distanza tra la prima menzione – in qualche modo «nucleare» – del «magistero a carattere soprattutto pastorale» da parte di Giovanni XXIII – menzione che avrebbe meritato, secondo il desiderio del card. Bea, un dibattito di fondo in seno all’assemblea – e la sua formulazione ultima in Dignitatis humanae; una formulazione principiale, senza essere però identificata come tale, né riconosciuta nelle sue implicazioni propriamente «rivoluzionarie». Rileggere l’identità del Concilio Secondo la regola ermeneutica enunciata in precedenza, tale perce- V 16:46 Pagina V zione non è possibile senza riferimento agli altri due «poli», che sono la lunga tradizione della Chiesa e l’attuale situazione culturale di coloro che si riferiscono all’opera conciliare. Per quanto riguarda il primo «polo», la quinta parte di questo volume ci riconduce alle prime due, in particolare al secondo capitolo della seconda parte, dove abbiamo ripercorso le tre tappe della coscienza ermeneutica della Chiesa, la messa in atto della sua «istituzione (dispositio)» di regolazione (tradizione, Scrittura e magistero vivente), il ritorno al principio evangelico della «continua riforma» e l’ingresso della coscienza storica nella Tradizione. Situando le acquisizioni di Dei Verbum, di Gaudium et spes e di Dignitatis humanae in seno a tale coscienza, abbiamo potuto soppesare la posta in gioco del discorso di Giovanni XXIII e il cammino percorso dall’assemblea tra il 1962 e il 1965. La nozione ermeneutica di «reinquadramento», esplicitata nella conclusione della quarta parte, si situa nel punto di intersezione tra questa rilettura della Tradizione e del percorso del Vaticano II, considerando che il semplice riferimento allo sviluppo organico non permette più di rendere conto di ciò che rivela, sul versante del Concilio e su quello della Tradizione, un’attenzione nuova al modus agendi di Cristo e al «fermento» (DH 12 § 2) che tale modus ha introdotto nella storia dell’umanità. Secondo la stessa regola, il terzo «polo», la nostra rilettura del processo di recezione che, come abbiamo visto sin dall’introduzione generale, è il nostro vero punto di partenza, interviene nell’attenzione prestata al modus agendi Christi e al concetto di «reinquadramento». Il punto cruciale e ultimo del nostro percorso è infatti l’interpretazione del Concilio nella sua identità in seno alla Tradizione, percepita a partire dal punto in cui ci troviamo nella sua recezione. Dinanzi allo sfondo della logica del «sì, però…» si profila il carattere «profetico» del Vaticano II. Intendiamo questo termine non come la designazione di una delle tre funzioni (tria munera) di Cristo, dei fedeli e della Chiesa, una distinzione che ha giocato un ruolo importante nell’aggiornamento postconciliare delle istituzioni cristiane; lo definiamo invece in modo inglobante e, nel senso neotestamentario del termine, come caratteristica pentecostale dell’identità del cristiano e della Chiesa (At 2,17s).1 Giovanni XXIII cercava analogie nella tradizione e noi continuiamo a esitare in rapporto all’identità del Vaticano II: una questione che il papa aveva risolto con il suo riferimento alla Pentecoste. È il processo storico della mondializzazione (DV 1e LG 1) che obbliga la Chiesa a prendere posizione sull’insieme delle questioni che le vengono poste in funzione di un’identità cristiana da «ridefinire» nel suo insieme, affinché essa e i cristiani possano, nel contesto ormai globale, trovare il «modo» che conviene all’annuncio del Vangelo. Questo atto di «reinquadramento» è unico nella storia del cristianesimo, anche se viene già annunciato al tempo della prima «mondializzazione» e al concilio di Trento. È a questo titolo che lo si deve dire «profetico». Tale qualifica dà ragione allora a coloro che, una volta posto questo atto, invocano il ritorno alla normalità? Certamente no, poiché se questa normalità fosse esplicitamente considerata finirebbe per essere in contraddizione con la promessa del Cristo, che non può realizzarsi se non in una concezione profetica dell’istituzione ecclesiale. Il criterio della coerenza stilistica b. Il Concilio ha definito e ha applicato a se stesso un efficace criterio per rendere credibile tale statuto «profetico», uno statuto che – del resto – non ha mai rivendicato. È il criterio di coerenza stilistica tra ciò che è trasmesso (traditum) e il modo di farlo, una coerenza che si mostra nel gioco relazionale tra coloro che trasmettono il Vangelo (tradentes) e coloro che lo ricevono (recipientes).Tale criterio si ritrova nei nn. 11 e 12 di Dignitatis humanae; esso fa parte del principio di «pastoralità» e fonda l’esigenza di riforma, come abbiamo già menzionato. L’analisi dei testi, nella quinta parte, ci ha permesso di individuare un esplicito legame tra questo modus agendi di Cristo e il modus procedendi del Concilio, che nel primo capitolo della terza parte avevamo soltanto presupposto. Vi ab- IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 31 27-32_R1-6_info biblio:Layout 2 L 30-01-2012 16:46 ibri del mese biamo mostrato come il Concilio precisi progressivamente il suo modo di procedere: la ricerca in comune della verità, identificata con «le insondabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8), una posizione che esclude ogni atteggiamento di possesso ed esige delle «virtù» che corrispondono a Colui che tutti cercano: «Amore della verità, carità e umiltà» (UR 11). Questo modus però viene messo a dura prova quando l’accordo sul modo di procedere non è più garantito, in quanto ciascuna parte difende la propria concezione del cattolicesimo e del ruolo che deve svolgervi l’istituzione conciliare. Il regolamento del Concilio, che deve garantire l’intesa tra tutti nei limiti di tempo disponibile, non può imporre questo modo evangelico di procedere, poiché esso dipende da una conversione non programmabile da parte di tutti i partecipanti. È degno di nota come i principali soggetti conciliari propongano la regola del gioco in modo tale che risulti sviluppato uno «spazio» di conversione in vista di una libera intesa fra tutti. È questo modus procedendi, inclusa la sua messa alla prova in seno all’assemblea, a rendere credibile il suo modo di definire le relazioni ecumeniche e le relazioni con i membri di altre religioni e di altre componenti della società. L’ascolto di colui che è vicino è la condizione dell’ascolto dei meno vicini o dei lontani; e l’ascolto della parola di Dio non può essere separato dall’ascolto di ciò che si mostra umano nell’altro, visto che la lettura delle sante Scritture e il discernimento dei «segni messianici» devono andare di pari passo. A questo titolo il modus procedendi del Concilio, fondato sul modus agendi di Cristo e degli apostoli, entra nella composizione del corpus conciliare: è ciò che avevamo mostrato nel terzo capitolo della terza parte. Alla luce dell’intimo legame tra il modus agendi di Cristo e il modus procedendi del Concilio, si illumina anche la nostra rilettura della tradizione conciliare nella prospettiva della forma delle assemblee e del giudizio storico che si esercita a loro riguardo nella storia. È lo stesso criterio di credibilità che abbiamo messo in atto nella prima parte e nel primo capitolo della seconda parte di questo volume. Ed è ancora il criterio di apprendimento (discere) e di autocorre- 32 Pagina VI IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 zione che ha determinato la nostra rilettura della recezione del Concilio, nella quarta parte, e ci ha permesso di indicarvi alcuni vertici «profetici». Quando, nel 2001, Giovanni Paolo II presenta il Vaticano II come «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel XX secolo», avendo fatto riferimento nel 1994 al «tono nuovo, sconosciuto prima di allora con il quale le questioni sono state presentate dal Concilio», possiamo comprendere questa grazia come quella della «profezia» neotestamentaria. Se oggi ci interroghiamo su ciò che ci è dato di attenderci dall’opera del Vaticano II, il riferimento a questa grazia è senz’altro la risposta ultima. Il più piccolo di tutti i semi 3) Ora questa risposta esige, nella logica del principio di «pastoralità» e dell’intreccio relazionale che esso implica, che i ricettori del Concilio siano essi stessi – fino alla fine – messi in grado di entrare liberamente in tale attesa e in un modo di vivere il modus agendi di Cristo. Il terzo risultato del nostro percorso consiste nell’avere dato rilievo a tale scommessa pedagogica del Vaticano II. La sua recezione canonica, liturgica e dottrinale ne è stata senz’altro un po’ eclissata, e l’abbiamo fatto presente nella quinta parte di questo volume. Per varie ragioni, i movimenti biblici, liturgici, catechetici, apostolici, sociali ecc. (cf. UR 6), che hanno sorretto per buona parte il Concilio, si sono indeboliti nel periodo postconciliare. La loro dispersione ha avuto senz’altro un motivo; e la pedagogia dell’Azione cattolica, che fino agli anni Ottanta ha giocato un ruolo determinante nell’unificazione del lavoro apostolico, ha poi smesso di farlo, per ragioni culturali come la scomparsa della figura del militante, e per ragioni epistemologiche e teologiche – essenzialmente il sospetto nei riguardi del suo schema «vedere-giudicare-agire». Di qui la necessità di rivisitare le pratiche pastorali suggerite dal Concilio e di mettere in evidenza la loro unità interna. In nome di ciò che è, la fede cristiana non può rinunciare al discernimento dei «segni messianici» praticata da Gaudium et spes e da Dignitatis humanae. Questa pratica rappresenta l’altro versante di una certa lettura attuale delle Scritture richiesta dal capitolo VI di Dei Verbum. L’uno e l’altro versante sono inseparabilmente legati, come lo sono Gesù Cristo e i tempi messianici. È però impossibile andare a fondo in queste due pratiche, basate su una capacità di ascolto e di apprendimento e orientate a una conversione permanente, senza un’iniziazione spirituale che dia accesso all’interiorità e, ultimamente, al «colloquio» tra Dio e l’uomo, nella solitudine e nella liturgia. Solo questa triplice pratica pedagogica permetterà alla recezione conciliare di varcare una nuova soglia. La principale scommessa della pastorale è quindi quella di creare degli «spazi» in cui la grazia «profetica» del Vaticano II possa essere recepita. Questi spazi devono senz’altro essere oggi molto più ristretti, per rendere possibile un’autentica attenzione al «più piccolo di tutti i semi del mondo», al quale le Scritture hanno promesso una fecondità incommensurabile. Sono questi tre risultati – una regola ermeneutica, il principio di «pastoralità» e una pratica spirituale e apostolica – che tenteremo di far fruttificare nel secondo volume di quest’opera. In particolare, due prospettive ci accompagneranno: anzitutto il criterio di coerenza di cui il concilio esplora tutta la profondità, grazie all’«invito universale alla santità» che, venendo dal Dio tre volte santo, risuona nella Chiesa e grazie a essa nell’umanità intera – un invito, però, che la giudica, la mobilita e al contempo la precede già misteriosamente nella storia e nella società; poi una visione genetica della Chiesa e della sua missione, già presente nell’ultima parte di questo volume, una visione che ci viene suggerita dal momento presente e dalle Scritture. Secondo la lettura a ritroso dell’opera conciliare, adottata in quest’opera, tale percorso ci farà risalire al suo primo testo, la costituzione Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia in quanto fonte e culmine dell’esistenza cristiana. Christoph Theobald * Il testo che qui pubblichiamo costituisce la conclusione (691-699) del primo volume di C. THEOBALD, La recezione del Vaticano II. 1. Tornare alla sorgente, pubblicato dalle EDB, Bologna 2011, pp. 724, € 65,00; nostra titolazione. 1 Cf. il secondo capitolo della seconda parte, con il riferimento a Giovanni da Segovia, 143s. VI L 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 30-01-2012 11:23 Pagina VII L ibri del mese / schede I Libri del mese si possono ordinare indicando il numero ISBN a 13 cifre: per telefono, chiamando lo 049.8805313; per fax, scrivendo allo 049.686168; per e-mail, all’indirizzo [email protected] per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano, via Nosadella 6, 40123 Bologna. Sacra Scrittura, Teologia ANELLI A., Heidegger e la teologia, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 145, € 12,50. 9788837225094 autore di Essere e tempo ebbe sin dagli inizi del suo lavoro filosofico L’ un dialogo serrato con la teologia e il suo contributo al discorso teologico è ormai un dato acquisito. L’a., rigoroso studioso di Heidegger, con questo nuovo vol. pubblicato nella pregevole collana «Novecento teologico» privilegia un percorso che si discosta dalla consueta ricostruzione storica tra il maggiore filosofo del secolo scorso e il pensiero teologico. Viene, infatti, abolita la pur utile rassegna storica per favorire la ricostruzione di ciò che ha permesso questo mai ininterrotto confronto. Ne risulta una disamina approfondita, chiara, efficace sul problema di fondo che venne affrontato da H.: quello dello statuto epistemologico della teologia dal medesimo messo in discussione. BOCCACCINI G., STEFANI P., Dallo stesso grembo. Le origini del cristianesimo e del giudaismo rabbinico, EDB, Bologna 2012, pp. 179, € 16,50. 9788810207048 rapporto tra ebrei e cristiani ricorda quello di Esaù e Giacobbe. Due Iforte,lgemelli, così simili e così diversi: l’uno peloso e l’altro glabro, l’uno così l’altro troppo furbo; si combatterono fin nel ventre materno per condurre una vita nello scontro, nella paura o nell’indifferenza reciproca. Ma poi l’impossibile accadde: dopo anni di separazione e pur tra mille sospetti e ripensamenti, le loro strade s’incontrarono di nuovo e allora, corsisi incontro, s’abbracciarono, si baciarono e piansero (cf. Gen 33,4). Il vol. intende fare luce sulla complessità delle origini cristiane e del giudaismo coevo, per leggerne vicinanze e richiami, difficoltà e malintesi. Nella prospettiva che le due strade s’incontrino di nuovo. BRACCI M., Nel seno della Trinità. Il mistero dell’Ascensione di Gesù, ETS, Pisa 2011, pp. 436, € 30,00. 9788846728241 imettere l’ascensione in posizione corretta nella cristologia, evidenziandone il significato proprio all’interno del nexus mysterii, al fine di recuperarne il prezioso «servizio ermeneutico» del mistero di Dio Trinità. È quanto si propone il presente studio nei suoi due momenti. Nella sezione biblica, l’a. fa emergere «il modello e il paradigma teologico proprio del mistero dell’ascensione» dalla narrazione dell’evento pasquale-pentecostale. La ripresa sistematica (II parte) si concentra sulla rivelazione connessa all’ascensione quale scomparsa della corporeità di Gesù «dallo spazio del mondo» e «nuova presenza» del Crocifisso-Risorto nella sfera divina. Testo di studio. R COMPIANI M., Fuga, silenzio e paura. La conclusione del Vangelo di Mc. Studio di Mc 16,1-20, Editrice Pontificia università gregoriana, Roma 2011, pp. 292, € 25,00. 9788878391888 vol., tesi di dottorato dell’a. in teologia biblica, si occupa del finale «auIdettoltentico» del Vangelo di Marco (Mc 16,8) e della sua relazione col cosid«finale lungo» (Mc 16,9-20). Dopo lo status quaestionis intorno al versetto – vera crux interpretum dell’esegesi biblica –, la reazione di «fu- VII Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi ga, silenzio e paura» delle donne davanti al sepolcro vuoto viene studiata assecondandone il «carattere performativo» che permette di rilevarne il «senso positivo» alla luce dell’economia complessiva del racconto, e di coglierne i legami col «finale lungo» canonico. Sono proprio tali nessi che, a giudizio dell’a., consentono di «superare l’enigmaticità del versetto» senza alterare in alcun modo il testo recepito. Testo di studio. DEWEY J., MICHIE D., RHOADS D., Il racconto di Marco. Introduzione narratologica a un Vangelo, Paideia, Brescia 2011, pp. 241, € 25,40. 9788839407979 differenza dell’analisi semiotica (struttura) e dell’analisi retorica (comA posizione), l’analisi narrativa si occupa del testo come evento che vive solo grazie al suo «lettore». Il vol. si propone di leggere il Vangelo di Marco dischiudendone il «mondo del racconto» nel quale l’evangelista ha composto personaggi, luoghi ed eventi. La lettura degli aa. coglie il testo «come una storia, piuttosto che come storia», senza «spiegarlo o arricchirlo» con gli altri Vangeli e cercando di evitare, per quanto possibile, di applicarvi «presupposti culturali o concezioni teologiche moderne». Interessante invece l’utilizzo, ai fini dell’interpretazione, delle «informazioni di base tratte dalla cultura generale del I secolo», che fu una cultura prevalentemente orale. MEISTER ECKHART, Il libro delle parabole della Genesi. A cura di Marco Vannini, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 256, € 18,00. 9788837224974 issuto tra il XIII e il XIV sec., tra le più grandi personalità sia delV l’ordine domenicano sia della spiritualità cattolica, Meister Eckhart si distingue per il suo tentativo d’interpretare le Scritture alla luce della ragione. Come acutamente sottolinea nella sua presentazione Marco Vannini, curatore dell’edizione, «il punto fondamentale d’interesse metodologico ed ermeneutico è dunque questo: non si tratta di dimostrare le realtà divine, naturali e morali attraverso le parabole, quasi deducendole da esse, ma mostrare invece che quanto affermiamo di tali realtà si accorda con ciò che la Scrittura dice, sia pure in forma di parabole, ovvero in modo quasi nascosto”. In tutto il suo commento E. enfatizza il primato di quella scintilla d’intelligenza presente nell’uomo dovuta a Dio stesso che l’ha impressa in quest’ultimo. Al contempo Dio che è intelletto sente la necessità di salvaguardare la Scrittura come veritas. Tra la ragione e la Scrittura E. stabilisce un raccordo tale per cui individua come primo dovere del cristiano quello di passare dalla storia all’essenza. Il libro delle parabole della Genesi ne è un straordinario esempio. GRILLI M., «Paradosso e mistero». Il Vangelo di Marco, EDB, Bologna 2012, pp. 118, € 11,00. 9788810221600 a vita di Gesù e la fede, secondo Marco, sono legate al «paradosso» e L al «mistero». Due termini che danno coerenza all’intera struttura del testo e che vengono sviluppati come filo tematico dal vol.: dall’iniziale paradosso/mistero del Figlio messo alla prova, al Cristo che si nasconde, ai vicini che «stanno fuori» e ai discepoli senza intelligenza, fino al paradosso/mistero della croce come via da seguire, dell’impotenza trasfigurata e dell’impotenza che salva, di un tempio senza Dio, della luce che sgorga dalle tenebre e al paradosso/mistero finale di una bella notizia avvolta nel silenzio. KNAUSS S., ZORDAN D., La promessa immaginata. Proposte per una teologia estetica fondamentale, EDB, Bologna 2012, pp. 400, € 28,00. 9788810415252 l presupposto che accomuna i saggi raccolti nel vol. è che la teologia fonIl’apologetica, damentale, per non accontentarsi d’essere un vago aggiornamento deldeve implicare un’estetica, intesa inscindibilmente come teoria dell’arte e del sentire. Solo così la sostanza teologica della rivelazione e la forma antropologica della fede possono essere adeguatamente vagliate alla luce del sentire umano. Affinché la promessa cristiana ci appaia degna di fede non basta considerarla ragionevole, occorre saperla immaginare: impegnare cioè nei suoi confronti le risorse della sensibilità e dell’immaginazione. IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 33 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 30-01-2012 11:23 Pagina VIII www.edizionimessaggero.it L ibri del mese / schede NICOSIA P.S., Gesù mediatore. Cristo, la Legge e il giudizio, Monti, Saronno (VA) 2011, pp. 193, € 17,00. 9788884772206 hi scrive è un conciliatore credente che osserva la figura di Gesù, fiC glio di Dio, che testimonia con la sua vita e la sua morte il senso più profondo della Legge (la Legge mosaica nel suo contesto storico) e del giudizio, nella visione fondante e perenne del Padre». Impegnato nella pratica e nella formazione sui temi della mediazione e della conciliazione, l’a. – docente di mediazione e conciliazione all’Università di Pisa e in passato team leader del progetto UE per l’introduzione della mediazione nei tribunali serbi – cerca nei Vangeli l’esempio di Gesù come conciliatore, sia tra gli uomini sia con il Padre. Una lettura inusuale e attuale. PENNA R., Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo. Alcuni aspetti del Gesù storico, EDB, Bologna 2012, pp. 211, € 19,00 9788810221631 Ernesto Borghi Il mistero appassionato Pag. 416 - € 28,00 Che cosa dovrebbe fare chi desidera incontrare Gesù di Nazaret in modo significativo e coinvolgente? Una lettura intelligente del Vangelo secondo Marco: sedici capitoli evangelici che parlano di un mistero appassionato, quello dell’amore di Dio per gli esseri umani. esù di Nazaret visse in un preciso contesto culturale e il messaggio G dell’incarnazione di Dio non sarebbe neppure intellegibile, se non comprendesse la dimensione della sua inculturazione. Proprio lo studio dell’ambiente culturale del Gesù storico ci aiuta a comprendere meglio la sua umanità. Essa è quella di un giudeo, che conservava i tratti specifici di un semita, appartenente alla tradizione mosaica e profetica d’Israele, pur essendo inserito in un quadro di cui l’ellenismo rappresentava la cornice culturale dominante. Gli studi presentati dall’a. richiamano l’attenzione sui due versanti storico-culturali dell’umanità di Gesù. Dopo un c. introduttivo, tre cc. approfondiscono la figura di Gesù all’interno del giudaismo e tre in riferimento all’ellenismo. Il c. conclusivo apre la prospettiva al dopo Gesù, affrontando l’universalismo di Paolo. PEREGO G. (a cura di), Vangelo secondo Marco. Introduzione, traduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, pp. 364, € 28,00. 9788821571015 l vol. appartiene al progetto editoriale «Nuova versione della Bibbia dai Icontemporanee» testi antichi», che si propone – «alla luce della ricerca e della sensibilità – di offrire, insieme al testo ebraico, aramaico o greco una versione italiana «che assicuri la fedeltà alla lingua originale, senza rinunciare a una buona qualità letteraria». Ogni vol., curato da un noto biblista italiano, comprende una sintetica introduzione generale e un commento «su due livelli»: un primo livello «dedicato alle note filologico-testuali-lessicografiche», e un secondo livello «dedicato al commento esegetico-teologico». Il presente vol. è a cura di uno dei tre direttori della serie. SALVADORI I., L’autocoscienza di Gesù. «In tutto simile a noi eccetto il peccato», Città nuova, Roma 2011, pp. 421, € 28,00. 9788831133746 n errore di giudizio circa la scienza di Gesù può avere conseguenze U devastanti sulla cristologia». Così affermava H. Riedlinger, negli anni Sessanta, riaprendo dopo la modernità la «questione dell’autocoscienza Éloi Leclerc I simboli dell’unione Pag. 256 - € 25,00 Un classico in cui l’autore analizza il Cantico di frate Sole strofa per strofa, offrendone una lettura interiore rigorosa, che, oltre a fraternizzare con le creature, porta il lettore a imparare e assorbire il lessico e la grammatica della trasformazione interiore di Francesco d’Assisi. di Gesù». Il tema, sulle orme di Riedlinger, sarà sviluppato in area tedesca da teologi del calibro di Karl Rahner, Hans Urs von Balthasar e Georg Essen, aa. di cui lo studio si occupa per ricostruire criticamente una vicenda complessa e decisiva: confessare la «reale coscienza umana di Gesù, contro le tendenze monofisite della teologia tradizionale», salvaguardando al contempo la «conoscenza unica della sua peculiare missione dal Padre e un suo rapporto assolutamente particolare con lui». SESBOUÉ B., Salvati per grazia. Il dibattito sulla giustificazione dalla Riforma ai nostri giorni, EDB, Bologna 2012, pp. 319, € 29,50. 9788810408308 a giustificazione per grazia mediante la fede è il tema simbolo del conL flitto che ha separato cattolici e luterani al tempo della Riforma. Oggi è tornata a essere l’oggetto di un dialogo condotto in un clima di reciproca benevolenza ritrovata e coltivato nella speranza di una piena riconciliazione fra le Chiese. Il vol. presenta il dossier di questa vicenda, che si estende su cinque secoli, e costituisce anche un contributo teologico, di tipo sistematico ed ecumenico. Si tratta di uno strumento di lavoro assai documentato e insieme di un tentativo d’interpretazione sia del passato sia della situazione attuale. La sintesi e il bilancio offerti dall’a. – attivo da 40 anni nel dialogo ecumenico – sono strettamente coerenti con la sua radi- 34 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 VIII 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 30-01-2012 11:23 Pagina IX Giuseppe Barbaglio ce ecclesiale: un cattolico che propone il suo lavoro a cattolici e protestanti con l’intento di fornire una nuova occasione di dialogo. Un testo rilevante per completezza e chiarezza, nonché per l’attualità che il tema assume nei rapporti tra le Chiese. VIGINI G., Dizionario del Nuovo Testamento. Concetti fondamentali, parole-chiave, termini ed espressioni caratteristiche, Paoline, Milano 2011, pp. 680, € 44,00. 9788831532914 n circa 2.400 voci (nomi, luoghi, temi principali del Nuovo Testamento, Istridore frasi, termini, immagini ed espressioni caratteristiche, come «pianto e di denti» o «Dio della pace») si offre uno strumento ricco ma ma- Pace e violenza nella Bibbia neggevole che può avvicinare a una migliore comprensione del messaggio evangelico anche chi non è sorretto da una formazione specialistica. Pastorale, Catechesi, Liturgia BORELLI P., CALVETTI E., Nel deserto metropolitano. Un itinerario verso Pasqua, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 132, € 6,90. 9788801047028 accolta di meditazioni, sulla traccia delle letture quaresimali delle R messe feriali, che partendo dal confronto con situazioni ordinarie vissute dagli stessi aa., propongono una riflessione nuova alla luce della parola di Dio. Un cammino per vivere e pensare la Quaresima attraverso la quotidianità di parole e gesti che formano il contesto della vita vera, con le sue contraddizioni e complicanze. BOSELLI G., Il senso spirituale della liturgia, Qiqajon, Magnano (BI) 2011, pp. 237, € 22,00. 9788882273354 onaco di Bose e liturgista, l’a. propone una guida per accedere al senM so spirituale della liturgia e poterla vivere, comprendere e interiorizzare, perché «il futuro del cristianesimo in Occidente dipende in larga misura dalla capacità che la Chiesa avrà di fare della sua liturgia la fonte della vita spirituale dei credenti». Il principio guida è: «Quello che la lectio divina è per le Scritture, la mistagogia lo è per la liturgia», la conoscenza cioè del mistero narrato dalle Scritture e celebrato nella liturgia. CENTRO DI ORIENTAMENTO PASTORALE (COP), Educarsi alla corresponsabilità. I battezzati nel mondo alla prova della vita quotidiana. 61a Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, EDB, Bologna 2012, pp. 268, € 19,50. 9788810531174 tema proposto da questa 61ª Settimana nazionale d’aggiornamento Irale,lpastorale, ultima della serie realizzata dal Centro orientamento pastoha subito attirato la mia attenzione per l’attualità che la tematica scelta, «Educarsi alla corresponsabilità – I battezzati nel mondo alla prova della vita quotidiana», riveste nel quadro degli orientamenti pastorali della Chiesa italiana in questo decennio. È così che ho prontamente accolto la proposta di organizzare a Firenze, i lavori della Settimana. Si tratta di un tema certamente urgente e coinvolgente per la sua importanza e consistenza» (dalla prefazione di mons. G. Betori, arcivescovo di Firenze). FRIGERIO L., Cene ultime. Dai mosaici di Ravenna al Cenacolo di Leonardo, Àncora, Milano 2011, pp. 254, € 29,50. 9788851408770 n queste pagine vengono presentate alcune opere che hanno a tema l’UlIartistica tima cena, compiendo attraverso la loro interpretazione e comparazione e teologica una vero percorso sull’eucaristia nell’arte. Dai mosaici di Ravenna del VI secolo alla scultura romanica, dagli affreschi di Giotto alla pittura del beato Angelico, dalle tavole dei maestri fiamminghi fino al Ghirlandaio e al Perugino. Chiude il vol. la presentazione del capolavoro leonardesco del Cenacolo nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano. PILLONI F., CENTRO DI SPIRITUALITÀ «P. ENRICO MAURI», Amore che educa. Il compito spirituale degli sposi e dei genitori, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 206, € 13,00. 9788874026791 I l compito educativo secondo gli aa. – alcuni dei quali sono coppie di sposi attive nella pastorale della famiglia, altri sono sacerdoti e docenti IX IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 35 I l filone pace-guerra-violenza è stato centrale nella ricerca biblica di Giuseppe Barbaglio. Il volume utilizza tre livelli di analisi. Quello biblicoesegetico, con visioni d’insieme e analisi di singoli versetti. Quello teologico, che chiama in causa il monoteismo e la sua pretesa di assolutezza, i binomi colpa/castigo, perdono/espiazione. Quello antropologico: Bibbia e diritti umani, esperienza storica e di fede, laicità e presenza del credente nel mondo. «Biblica - sez. Scritti di Giuseppe Barbaglio» pp. 112 - € 10,00 Dello stesso autore: Il mondo di cui Dio non si è pentito Temi laici della Bibbia pp. 280 - € 25,50 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 30-01-2012 11:23 Pagina X L ibri del mese / schede Notker Wolf con Leo G. Linder Pellegrini verso chi? Pellegrini verso dove? Strade antiche e mete nuove A ttraverso ricordi personali e letture di antichi diari, riflessioni sull’uomo e la società, sulla fede e le sue manifestazioni, l’abate primate dei benedettini discorre di pellegrinaggio, di santuari e del credere. Ma anche dell’oggi e del bisogno di senso che ogni persona, prima o poi, avverte nella propria vita. Perché il viaggio è la vita, e il pellegrino è ciascun uomo. TÀBET M., DE VIRGILIO G., Sinfonia della Parola. Commento teologico all’esortazione apostolica post-sinodale «Verbum Domini» di Benedetto XVI, Rogate, Roma 2011, pp. 184, € 16,00. 9788880754060 testo dell’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini, scritto da IdellBenedetto XVI a conclusione della XII Assemblea generale ordinaria Sinodo dei vescovi su «La parola di Dio nella vita della Chiesa», viene qui commentato con intento divulgativo da alcuni docenti della Pontificia università della Santa Croce, che fa capo all’Opus Dei. VERDON T., Bellezza e vita. La spiritualità nell’arte contemporanea, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, pp. 167, € 24,00. «Itinerari» pp. 320 - € 23,00 9788821572265 Dello stesso autore: Il tempo è vita: non correre! pp. 208 - € 17,50 EDB di teologia e pedagogia – ha una natura intrinsecamente spirituale trattandosi non soltanto di una responsabilità genitoriale ma soprattutto di una vocazione. Educare, quindi, è un atto di fede per mezzo del quale la coppia cristiana può esprimere il proprio rapporto con il divino testimoniando ai figli «l’amore stesso che li anima e il più grande amore che li ha creati» perché anch’essi possano incontrarlo. Il vol. è dunque un sussidio sul ruolo formativo della famiglia come principale agente della costituzione affettiva e dinamica dell’essere umano. Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it vol. scaturisce dalla recente esperienza della costruzione della ChieIvalsacomunità della Trasfigurazione a Orleans, Massachusetts, sede di una nuocristiana che s’identifica nella tradizione monastica e in particolare nel cenobitismo benedettino. Si tratta della Comunità di Gesù, che ha la peculiarità d’essere nata nell’ambito della Riforma e di avere diversi membri provenienti dal protestantesimo. Il vol. riflette la profonda compenetrazione tra espressione artistica e vita della comunità. Con contributi di A. Ciferni, J. Cottin, F. Rossi, M.I. Rupnik, M. Shannon. BUSCHINI P., La morte nel cuore della vita. Commento alle letture festive dell’anno B, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 124, € 9,50. 9788874022724 Carmela Gaini Rebora Padre Marella L’orgoglio vinto dalla carità Nuova edizione CASPANI P., Viviamo la messa. Commento alla celebrazione eucaristica, EDB, Bologna 2012, pp. 61, € 5,50. 9788810512081 CILIA A., Lectio divina. Sui Vangeli feriali. Tempo ordinario. Meditando giorno e notte nella legge del Signore (regola carmelitana 10), Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 895, € 25,00. 9788801048698 DE VANNA U., Giorno di festa. Riflessioni sulla Parola di Dio della domenica. Anno B, Àncora, Milano 2011, pp. 400, € 17,50. 9788851409128 I pubblici riconoscimenti che hanno accompagnato in vita l’azione educativa e di carità di don Olinto Marella – autentico “padre” per i moltissimi di cui si prese cura – sono continuati dopo la morte. La nuova edizione della sua biografia è stata accresciuta dal resoconto delle grazie e dei miracoli che stanno accompagnando il necessario cammino affinché la Chiesa possa proclamarlo beato. «Itinerari» pp. 192 - € 14,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna GUGLIELMONI L., NEGRI F., Effonda ovunque il tuo profumo. Via crucis col Vangelo di Marco, EDB, Bologna 2012, pp. 47, € 2,40. 9788810710616 In cammino Pasqua 2012. Adulti. Bambini. Ragazzi, EDB, Bologna 2012, pp. 64+47+47, € 4,30+3,60+3,60. MACHETTA D., Le luci del sabato. Spunti di riflessione per una «Lectio Divina» sulla 1a lettura e sul Vangelo delle domeniche e delle solennità dell’anno, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 213, € 12,00. 9788801049138 SEMERARO D. (a cura di), Messa e preghiera quotidiana/marzo 2012. Riflessioni a cura di di fratel MichaelDavide, EDB, Bologna 2012, pp. 329, € 3,90. Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 36 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 X 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 30-01-2012 11:23 Pagina XI Innocenzo Gargano Lectio divina sul Vangelo di Marco Spiritualità AA.VV., Comunione e solitudine. Atti del XVIII Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa. Bose, 8-11 settembre 2010, Qiqajon, Magnano (BI) 2011, pp. 375, € 28,00. 9788882273408 l convegno, registrando la presenza di molte Chiese cristiane e ricevenIpresentato do i messaggi di molti personaggi di primo piano di tali Chiese, ha rapun momento concretamente ecumenico. Ma il motivo di interesse è sicuramente nel tema prescelto, in quanto la necessaria correlazione fra solitudine e comunione con gli altri è un elemento centrale per il cristiano, monaco o no, e per l’uomo in generale, specialmente per quello moderno che sembra averne smarrito il significato. ACCATTOLI L., Solo dinanzi all’unico Dio. A colloquio con il priore della Certosa di Serra San Bruno, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2011, pp. 140, € 12,00. 9788849831313 all’incontro di due stili di vita agli antipodi nasce questo vol.-intervista: D da quello «divagante [del] giornalista nell’intento esplorativo» a quello «concentrato [del] monaco, nell’impresa di comunicare quello che in cella ha contemplato». A partire dall’occasione della visita del papa alla Certosa durante il viaggio in Calabria, A. partecipa alla vita dei monaci per tre giorni; colloquia a lungo con il superiore e poi stende e rielabora il frutto di tali conversazioni, anche alla luce di precedenti esperienze fatte accanto a monaci. La domanda che torna a più riprese è quella relativa al «senso» sulla vita monacale nel mondo contemporaneo. Cf. Regno-att. 18,2011,647s. CASTELLANO CERVERA J., CIARDI F., Il castello esteriore. Il «nuovo» nella spiritualità di Chiara Lubich, Città nuova, Roma 2011, pp. 124, € 9,00. 9788831158503 cinque anni dalla scomparsa dell’a., l’editore raccoglie in un vol. – a cura di F. Ciardi, che firma anche l’introduzione – gli scritti da lui dedicati alla spiritualità di Chiara Lubich. L’antologia racconta di un incontro possibile e fecondo tra due spiritualità distanti nel tempo, ma capaci d’accogliersi e illuminarsi, come attesta la biografia del religioso carmelitano. Autentico discepolo della «mistica dell’interiorità» di Teresa d’Avila, egli ritenne «una grazia ancora più grande» l’incontro col Movimento dei focolari, che gli diede la possibilità «di vivere l’avventura della santità comunitaria ed ecclesiale, nella costruzione di uno splendido e luminoso castello esteriore, incarnato nell’Opera di Maria, per la Chiesa e per l’umanità». A CHIALÀ S., Silenzi. Ombre e luci del tacere, Qiqajon, Magnano (BI) 2011, pp. 82, € 8,00. 9788882273224 silenzio non è un’esperienza necessaria solo per i monaci ma «un’esiInélgenza umanamente irrinunciabile». Esso però non è un valore assoluto è sempre positivo; ecco dunque che la I parte del libro fornisce alcuni criteri per operare un discernimento e riconoscere i vari silenzi. La II offre poi le motivazioni per le quali il silenzio è particolarmente importante per il credente. Infine, la III indica alcune vie per entrare nella lotta per il silenzio e viverlo in modo fruttuoso. L’a., monaco di Bose, non intende fare un trattato sul silenzio, ma condividere i frutti dell’esperienza che lui e i padri del deserto ne hanno fatto. EVDOKIMOV P., La vita spirituale nella città, Qiqajon, Magnano (BI) 2011, pp. 233, € 22,00. 9788882273415 idea del «monachesimo interiorizzato», sostenuta dal teologo ortodosL’ so russo Evdokimov esule a Parigi, è sviluppata nei cc. del vol., che costituiscono la riedizione di saggi e articoli ormai introvabili del celebre pensatore, tra i fondatori della «scuola di Parigi». Un saggio significativo del pensiero di una delle figure più illuminate dell’ortodossia, che ha avuto un ruolo di ponte tra le ricchezze dell’Oriente e dell’Occidente cristiani. FÉDRY J., Decidere secondo Dio. Il metodo di Ignazio di Loyola, ADP - Apostolato della preghiera, Roma 2011, pp. 167, € 10,00. 9788873575207 spirituale che attraverso la vita di s. Ignazio di LoIlyolavol. eè iunsuoiitinerario Esercizi spirituali, intende mostrare l’arte del prendere XI IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 37 Ciclo di conferenze tenute a Camaldoli I l cofanetto propone in CD formato MP3 cinque conferenze del monaco camaldolese che introducono alla meditazione del Vangelo di Marco attraverso la lectio divina. Uno strumento adeguato al pubblico di oggi, utile all’interno di gruppi biblici o per la meditazione personale, particolarmente indicato per chi ha difficoltà di lettura. «Lectio divina» CD/MP3 - € 17,40 Dello stesso autore: La Lectio divina Ciclo di conferenze tenute a Camaldoli EDB CD/MP3 - € 17,40 Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it Lázaro Iriarte Esercizi spirituali con Francesco e Chiara I a pubblicazione in traduzione italiana degli esercizi spirituali di fr. Iriarte non costituisce soltanto un omaggio alla sua memoria, ma il riconoscergli «il merito di aver colto l’essenziale da dire a coloro che sono consacrati al Signore con i voti religiosi. Egli ha voluto lasciarci uno strumento per vivere, con la filigrana degli scritti di Francesco e Chiara, l’ascolto e l’annuncio della Parola di Dio» (dall’Introduzione di fr. M. Jöhri, ministro generale dell’Ordine dei frati minori cappuccini). «Teologia spirituale» pp. 224 - € 20,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 L 30-01-2012 11:23 Pagina XII ibri del mese / schede decisioni cercando la volontà divina. La I parte è centrata sulla decisione nel cuore della vita di Ignazio: come egli sia stato «condotto a ordinare la propria vita senza prendere decisioni in base ad alcun effetto disordinato». Nella II seguono i riferimenti per prendere decisioni: le condizioni per effettuarle, sfuggendo sia alla confusione sia all’illusione dei propri immaginari, e infine i mezzi per fondare la decisione sulla preghiera, sapendo discernere le priorità guidati da una sensibilità ecclesiale. FRÈRE EMMANUEL DI TAIZÉ, Un amore misconosciuto. Al di là delle rappresentazioni spontanee di Dio, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 271, € 24,00. 9788825025347 uando si allude alla questione di Dio, l’uomo – “credente” o “non Q credente”, “in ricerca” o semplicemente “aperto” – è condizionato da proiezioni psicologiche inconsce. Alcune di esse possono suscitare una rappresentazione di Dio che alimenta rivolta, rifiuto, paura o indifferenza». L’a., membro della comunità religiosa ecumenica di Taizé, in una ricerca ai confini tra la teologia e la psicologia vuole smascherare l’influenza inconscia nelle rappresentazioni spontanee di Dio più ricorrenti – sull’onnipotenza, il giudizio, la trascendenza, la tenerezza divini – «per riuscire a considerare, scoprire o riscoprire un amore misconosciuto». GRÜN A., MÜLLER W., Chi sei tu, o Dio?, Queriniana, Brescia 2011, pp. 270, € 22,00. 9788839928757 l monaco benedettino Grün, noto a. di temi spirituali, e il teologo e Icristiano psicologo Müller non intendono redigere un trattato teologico sul Dio ma, più umilmente, parlare della loro esperienza di Dio, nella convinzione che questi possa essere conosciuto più nella propria vita intima e concreta che nelle speculazioni astratte. Il libro, in forma di dialogo, parla dunque del Dio uno e trino, manifestatosi in Gesù, delle idee false che di lui si possono avere, del rapporto del credente coi dogmi, con la Chiesa e con la pratica religiosa e dei modi in cui si può incontrare Dio. KNAUSS S., La saggia inquietudine. Il corpo nell’ebraismo, nel cristianesimo e nell’islam, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 237, € 15,00. 9788874027347 l corpo è segno di mortalità e di vita, di peccato e di salvezza, autonoIsi costituiscono mo e in relazione, bassamente fisico e intimamente sacro: tali paradosun limite e una sfida possibile per il contatto con il divino. L’a. indaga, in prospettiva storica e sistematica, il coinvolgimento del corpo nelle tre grandi religioni monoteistiche, dipanando una vicenda che passa, attraverso rituali, regole alimentari, aspetti teologici e mistici, dal corpo sociale dell’ebraismo all’incarnazione di Cristo, fino al carattere comunitario e materno dell’islam. MAZZI A., Le beatitudini del marciapiede, Monti, Saronno (VA) 2011, pp. 168, € 13,50. 9788884772046 SERVAN-SCHREIBER D., GAUTHIER U., Ho vissuto più di un addio, Sperling & Kupfer, Milano 2011, pp. 126, € 14,90. 9788820051747 testamento spirituale dell’a. – scomparso a cinquant’anni nel luglio del Iunl2011 – di Guarire e Anticancro, i testi che tra i primi hanno elaborato approccio olistico preventivo alla malattia del secolo, il cancro. Rimangono validi i consigli elargiti in questi voll. e in tante interviste e conferenze che l’a. ha rilasciato negli anni di febbrile attività. Qui però la riflessione si concentra su come «affrontare bene la morte»: salutare gli amici; riconciliarsi con le persone con cui si è rimasti in sospeso per qualche cosa; sistemare le proprie cose. Non è esclusa la visita di un sacerdote e neppure l’esperienza di Lourdes: quello che viene definito come «una grande privilegio» è quello di «avere la possibilità di preparare la propria partenza». ZELINSKIJ V., Come un mosaico restaurato. Il Volto di Cristo cuore dell’incontro con Dio, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 201, € 13,00. 9788874026982 vol. raccoglie scritti diversi e apparsi in occasioni diverse che l’a., saIsitàlcerdote ortodosso e docente di Lingua e civiltà russa presso l’Univercattolica del sacro cuore, oggi raccoglie sotto il filo conduttore del mosaico. «In questo libro cercherò di ri-scoprire e ripulire alcune tessere del mosaico della fede, costituito con le immagini e le figure maggiormente essenziali»: il tema del volto di Cristo, la Sindone, la Trinità di Rublëv; il messaggio degli apostoli Andrea e Paolo; chiudono il vol. 4 conversazioni immaginarie con V. Solov’ëv, M. Skobcova, S. Averincev, O. Clément. Storia della Chiesa DELL’OMO M., Storia del monachesimo occidentale dal Medioevo all’età contemporanea. Il carisma di san Benedetto tra VI e XX secolo, Jaca Book, Milano 2011, pp. 611, € 65,00. 9788816304932 n testo impegnativo che si presenta come «nuova sintesi rigorosaU mente scientifica» di storia della tradizione monastica benedettina e dei suoi effetti dalle origini al Novecento. L’a., benedettino e docente di Storia del monachesimo, ha organizzato il vol. in due parti: una I parte («Da Benedetto a Bernardo») indaga la diffusione dell’esperienza monastica della Regola benedettina nel Medioevo, attraverso le vicende che ne fecero «uno dei fattori più rilevanti» nello sviluppo della civiltà occidentale. La II parte («Dall’autunno del Medioevo alle soglie del terzo millennio»), si occupa del monachesimo europeo, tra crisi e riforme, fino al rinnovamento seguito al Vaticano II. GHIBERTI G., CORONA M.I. (a cura di), Marianna Fontanella beata Maria degli Angeli. Storia spiritualità arte nella Torino barocca, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 393, € 28,00. 9788874027378 350 anni dalla nascita (7.1.1661) la diocesi dedica uno studio alla fin’autobiografia sui generis del fondatore delle comunità Exodus per U ragazzi borderline: nelle beatitudini rivisitate prende vita tutta la «spi- A gura di una monaca di clausura che, pur di origini nobiliari, non esiritualità del marciapiede» – profondamente segnata dalla contemplazione tò a dedicarsi anima e corpo alla vita monastica in un costante dialogo spidel mistero dell’incarnazione – di un prete ormai ottantenne che, tuttavia, non si è stancato di cercare ancora «un modo nuovo, più sommesso ma non meno evangelico, per incontrare Cristo». MOIX Y., Morte e vita di Edith Stein. Storie di giovani che hanno dato volto all’amore di Dio, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 126, € 11,00. 9788825017946 iografia romanzata – senza forzature – della santa filosofa, miglioB re allieva di Husserl, nata da famiglia ebrea e che ha finito i propri giorni come carmelitana. L’a., che è anche romanziere e cineasta, rende con vivacità un percorso di ricerca interiore fatto di grandi slanci ma anche di grandi abbattimenti. Fino al mansueto abbandono all’arresto da parte dei nazisti e della morte in campo di concentramento nel 1942. 38 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 rituale e di solidarietà con la città di Torino. Ricchi e poveri, principesse Savoia e gente semplice spesso bussava alle porte del monastero per chiedere consiglio e aiuto. Tanto che nel 1703 viene messo mano alla costruzione di un nuovo Carmelo a Moncalieri, dove ora giacciono le spoglie mortali della beata. LUCHINO DAL CAMPO, Viaggio del marchese Nicolò d’Este al Santo Sepolcro (1413). Edizione e commento a cura di Caterina Brandoli, Olschki, Firenze 2011, pp. 325, € 36,00. 9788822260611 ella figura leggendaria di Nicolò III d’Este, di cui tanta letteratura si D è occupata per via dell’aver egli ucciso moglie e figliastro scoperti in un rapporto incestuoso, è meno noto il viaggio-pellegrinaggio in Terra Santa compiuto 10 anni prima e del cui resoconto il vol. presenta un testo con apparato critico rivisto e aggiornato. Presentazione di F. Cardini. XII 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 30-01-2012 11:23 Pagina XIII PIERPAOLO CASPANI RAMELLI I., I cristiani e l’impero romano, Marietti, Milano 2011, pp. 107, € 12,00. 9788821193132 ra il 2009 e il 2010 la storica dell’antichità Ilaria Ramelli ha pubblicato sul quotidiano Avvenire, nella rubrica «Colombario», una serie di articoli che rappresentavano una stretta selezione e condensazione, a scopo divulgativo, di alcuni risultati delle sue ricerche sulle origini del cristianesimo, in particolare con riferimento al I secolo d.C. Sono divisi in 4 sezioni, che trattano rispettivamente della presenza di Gesù nelle fonti non cristiane, dell’arrivo del cristianesimo a Roma, del cristianesimo nei romanzi e nelle satire pagane e delle fonti dell’Oriente cristiano antico. La studiosa è tra quanti propendono per l’autenticità di una parte dell’epistolario Seneca-Paolo. Viviamo la messa Commento alla celebrazione eucaristica T Attualità ecclesiale ALETTI M., GALEA P., Preti pedofili? La questione degli abusi sessuali nella Chiesa, Cittadella, Assisi 2011, pp. 125, € 9,80. 9788830811645 gile libretto che invita a non semplificare un fenomeno complesso nel A quale entrano in gioco fattori emotivi e sociali non sempre facilmente controllabili. Da parte dell’istituzione ecclesiastica, gli aa., uno psicoanalista e uno psicologo, chiedono un’attenzione partecipe non solo ai responsabili degli atti contro i minori ma anche e soprattutto alle vittime. Citando vari casi di Chiese locali e delle loro risposte (i testi sono tutti tratti da Il Regno), viene messo in evidenza il fatto che vi sono stati diversi approcci al problema e che ormai vi sono prassi virtuose consolidate che occorrerebbe far conoscere e renderle patrimonio comune. BUSCHINI P., Cristiani laici nella vita della Chiesa e nella società. Con un commento alla Christifideles laici, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 125, € 9,50. 9788874027132 I l volumetto presenta lo svolgimento della celebrazione eucaristica, così com’è indicato dalle norme liturgiche, mostrandone il senso e offrendo sobrie indicazioni per una partecipazione consapevole e fruttuosa. Il riferimento è alla messa secondo il rito romano, con qualche nota anche sul rito ambrosiano. Il linguaggio, preciso dal punto di vista teologico e liturgico, risulta accessibile a tutti. «CAMMINI DI CHIESA» pp. 64 - € 5,50 EDB a., gesuita dalla lunghissima esperienza di docente e animatore spiL’ rituale, non intende condurre una disamina teologica del ruolo del laico nella vita della Chiesa ma stimolare una riflessione sia nei laici sia nella gerarchia sul fatto che il laico, come ogni cristiano, necessiti di farsi rinnovare dallo Spirito Santo ed essere innanzitutto un uomo controcorrente, profeta di una realtà nuova che egli stesso deve realizzare. Lo spunto è fornito dall’esortazione Christifideles laici, commentata brevemente e criticamente, dalla quale ci si sposta alle Beatitudini, modello per l’uomo nuovo che il laico deve incarnare in ogni ambito della sua vita. Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it MASSIMO GRILLI «Paradosso» e «mistero» Il Vangelo di Marco GALEAZZI G., PINOTTI F., Wojtyla segreto, Chiarelettere, Milano 2011, pp. 315, € 16,00. 9788861901148 no dei vaticanisti de La stampa firma con un giornalista d’inchiesta U questa «prima controinchiesta» su Giovanni Paolo II, nella convinzione che «con la beatificazione lampo di Wojtyla la Chiesa celebra soprattutto la sua ossessione secolare per il potere». Si ricostruisce dapprima la storia del vescovo di Cracovia fin dai tempi della sua gioventù sottolineando quanto sia stato osteggiato dai servizi segreti polacchi. Si denunciano poi due dei principali elementi critici del suo pontificato: i presunti finanziamenti a movimenti anticomunisti con denaro di dubbia provenienza e la durezza, ritenuta intransigente, verso la teologia e le istanze ecclesiali innovatrici. VIRGILI R., FALLICA L., CASATI A., Giustizia della legge giustizia dell’amore. Chiesa e cambiamento dopo il dolore della pedofilia, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2011, pp. 93, € 10,00. 9788860991423 e «riflessioni che compongono questo vol., frutto del VI Convegno sulL la vita monastica, organizzato dalla Piccola famiglia della risurrezione di Marango (VE) e dalla Piccola fraternità di Gesù di Pian del Levro (TN), vogliono essere un contributo serio al dibattito in corso, nella speranza di un cammino evangelicamente significativo della Chiesa che è in Italia. Il superamento del manicheismo e del legalismo, un’autentica guida pasto- XIII IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 39 econdo Grilli, il forte impianto teologico del Vangelo di Marco è legato ai concetti di «paradosso» e «mistero», che danno coerenza all’intera struttura del testo. Dall’iniziale paradosso/mistero del Figlio messo alla prova, al Cristo che si nasconde, si giunge fino al paradosso/mistero della croce, dell’impotenza trasfigurata che salva, di un tempio senza Dio, della luce che sgorga dalle tenebre, di una bella notizia avvolta nel silenzio. S «BIBLICA» pp. 120 - € 11,00 DELLO STESSO AUTORE SCRIBA DELL’ANTICO E DEL NUOVO. IL VANGELO DI MATTEO pp. 128 - € 11,50 EDB Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 L 30-01-2012 11:23 Pagina XIV ibri del mese / schede rale delle comunità , il radicamento nelle sacre Scritture e nella grande tradizione sapienziale del nostro popolo potranno, con fiducia, indicarci la strada». Testi di G. Scatto, R. Virgili, L.A. Fallica e A. Casati. Filosofia COURCELLE P., Conosci te stesso. Da Socrate a San Bernardo, Vita e pensiero, Milano 2010, pp. XXIV+679, € 40,00. 9788834320297 suo ramificarsi in una crescente complessità e lungo «linee evolutive privilegiate» che conducono prima allo «psichismo» e poi, nell’uomo, allo sviluppo dell’intelligenza riflessiva (noosfera). «Uno stupendo quadro di quella “salita” verso l’uomo che è il senso profondo della cosmogenesi» (dalla prefazione di J. Piveteau). Imperdibile. VIVARELLI V., Nietzsche e gli ebrei. Con due saggi di Jacob Golomb e Andrea Orsucci, Giuntina, Firenze 2011, pp. 270, € 15,00. 9788880574200 na leggenda ancora perdura nonostante sia stata efficacemente smena storia del precetto delfico «conosci te stesso» viene percorsa attraL verso le numerose riprese dello stesso che hanno caratterizzato il pen- U tita dagli studiosi del filosofo della volontà di potenza: Nietzche prosiero occidentale da Socrate a san Bernardo, passando per aa. come Cice- feta del nazismo. Come, invece, dimostrano i due magnifici saggi introrone, Plotino, Origene e Agostino. Il vol., pubblicato nel 1974-75 e ora riproposto nella sua 2a edizione italiana, rivela l’esistenza nella storia dell’interpretazione di due linee: una «socratica», che sottolinea l’aspetto della finitezza umana «rispetto a Dio e al divino», e una «neoplatonica», che il pensiero cristiano esalterà, tesa a far emergere invece la grandezza dell’uomo per la sua sorprendente «tangenza col divino». «Un opera di riferimento, al momento unica nel suo genere» (dalla presentazione di G. Reale). GARDNER H., Verità, bellezza, bontà. Educare alle virtù nel ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano 2011, pp. 222, € 20,00. 9788807104749 a bellezza, la bontà e, prima di tutto, la verità sono state virtù dichiarate superate se non addirittura morte. Stranamente mai come in questo convulso inizio millennio si sente la necessità non più procrastinabile di un criterio che sappia distinguere il vero dal falso, un segno artistico da uno scarabocchio. L’a. con una scrittura lontana da qualsiasi tecnicismo invita il lettore, nella pluralità di modi d’intendere il vero, il bello ed il giusto, a riflettere sulla sua proposta di come immaginare i prossimi decenni nella condivisione di principi trasversali a tutte le culture. Un invito a evitare i conflitti, dunque, un appello alle virtù. Da leggere. L GRASSI P., Trascendenza fra i tempi. Dimensioni dell’esperienza religiosa, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 115, € 18,00. 9788837224684 el tempo in cui sfumano i contorni della verità e il senso dell’agire, si N avverte il richiamo all’evento della salvezza». Il vol., dopo aver ripercorso le questioni principali affrontate nel Novecento tra filosofia e teologia della religione (I parte), cerca di «decriptare» la sfida del religioso nei nostri tempi (II parte). Sotto quali interrogativi – si chiede l’a. – è presente oggi «il problema religioso, in senso lato, come rapporto fra l’uomo e ciò che lo trascende»? Ne emerge una ricerca di salvezza che, «con o senza Dio», si lascia cogliere sotto la cifra della responsabilità, ovvero come «invito a mettere in gioco sin da ora il nostro futuro». Testo di studio. MARASSI M.Y., Il Sutra del diamante. La cerca del paradiso, Marietti, Milano 2011, pp. 245, € 26,00. 9788821165177 Sutra del diamante, opera indiana del II secolo, è la base di tutta la Idottol«mistica» del buddhismo mahayana. Viene qui per la prima volta trae commentato in italiano, accompagnato da un’introduzione al senso del Sutra oggi. Nella II parte del vol. un saggio di Gennaro Iorio, filosofo, già collaboratore di Raimon Panikkar al progetto «The spirit of religion», esamina le analogie linguistiche tra l’opera indiana e la mistica occidentale. TEILHARD DE CHARDIN P., TASSONE A., Il posto dell’uomo nella natura. Struttura e direzioni evolutive, Jaca Book, Milano 2011, pp. 122, € 16,00. 9788816370142 editore sceglie un classico per iniziare la ripubblicazione delle opere L’ di de Chardin, gesuita e paleontologo, figura straordinaria e fondamentale per superare il conflitto tra l’idea di evoluzione del cosmo e il pensiero teologico cristiano. Nel vol., una raccolta di 5 conferenze programmate alla Sorbona nel 1949, l’a. si occupa della comparsa del «fenomeno umano» nell’evoluzione dell’universo: dal sorgere della vita (biosfera) al 40 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 duttivi all’antologia degli scritti nicciani sul mondo ebraico, il suo anti-antisemitismo è un dato inoppugnabile. Tuttavia la sua critica al mondo giudaico e a quello cristiano è tale da essere tutt’oggi motivo di controversia. L’antologia ha il pregio di trovare il giusto equilibrio, grazie anche a una rete di note oltreché di eccellenti introduzioni che sottendono ogni brano scelto, tale da permettere al lettore di farsi un’idea il più possibile oggettiva sui rapporti che il pensatore tedesco ebbe con l’ebraismo e con il cristianesimo. Storia, Saggistica BRANCA P., DE POLI B., ZANELLI P., Il sorriso della Mezzaluna. Umorismo, ironia e satira nella cultura araba, Carocci, Roma 2011, pp. 196, € 18,00. 9788843059942 ulla civiltà islamica la nostra cultura media è ancora attaccata a steS reotipi più o meno antichi, rinfocolati negli ultimi anni a causa del terrorismo di matrice islamica, che ha rafforzato l’immagine negativa di una civiltà incapace di leggerezza e ironia. L’analisi della letteratura classica, della satira proverbiale, della pubblicistica rivela invece che il divertimento e l’ironia accomunano tutte le civiltà – compresa quella araba o più latamente musulmana –, spesso come unica forma di dissenso e di protesta a disposizione. Un c. finale, firmato da P. Branca, esamina le «reazioni a vere o presunte provocazioni», per suggerire alcuni possibili anticorpi da far crescere in entrambe le culture, quella occidentale e quella orientale, contro la violenza religiosa. CALCHI NOVATI G.P., L’Africa d’Italia. Una storia coloniale e postcoloniale, Carocci, Roma 2011, pp. 442, € 26,40. 9788843059997 «d’uso iniziare le storie del colonialismo italiano con una lamentazioÈ ne per i ritardi della ricerca e della pubblicistica in Italia su un tema che tanta importanza ha avuto nella nostra storia e per la lunga egemonia della storiografia d’impianto apologetico e sostanzialmente colonialista. Le recriminazioni sono giustificate (…) ma il libro parte dal presupposto che gli studi sul colonialismo italiano sono entrati da tempo in una nuova fase (…) e che perciò si può cominciare a ragionare sui risultati. (…) È così che si è sentito il bisogno (…) di fare una rilevazione dello stato dell’arte in materia producendo un’opera d’insieme capace di sottoporre a un riesame critico le molte dimensioni di un fenomeno di per sé complesso e multiforme che riguarda in pari grado l’Italia e l’Africa». CANNELLI S., Cattolici d’Africa. La nascita della democrazia in Benin, Guerini e associati, Milano 2011, pp. 255, € 24,00. 9788862502375 «rappresenta uno dei rari casi africani in cui la transizione da I– silunBenin regime autoritario alla democrazia – avvenuta tra il 1989 e il 1990 è svolto secondo modalità consensuali e negoziate. Con la Conferenza nazionale di tutte le forze vive della nazione, convocata e preparata in meno di tre mesi e svoltasi nell’arco temporale di dieci giorni, il Benin è uscito dalla dittatura senza violenza e spargimento di sangue». In tale assise giocò un ruolo chiave la Chiesa cattolica, nella persona di mons. Isidore de Souza, vescovo coadiutore di Cotonou. «Un concorso di ragioni (…) ha reso così significativa l’azione di De Souza durante e dopo la Conferenza nazionale: le sue indubbie capacità di mediazione e moderazione e il rapporto personale da lui instaurato con il capo del XIV 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 30-01-2012 11:23 Pagina XV LUIGI GUGLIELMONI - FAUSTO NEGRI regime marxista Mathieu Kérékou; il profondo radicamento della giovane Chiesa cattolica nella storia del Dahomey coloniale e del Benin indipendente, in particolare il suo ruolo nell’opera di formazione delle élites istruite, in un paese che fu definito dal filosofo Emmanuel Mounier il “quartiere latino” dell’Africa». DE BENEDETTI P., L’alfabeto ebraico. A cura di Caramore G., Morcelliana, Brescia 2011, pp. 103, € 10,00. 9788837224912 iproponendo uno dei cicli monografici della trasmissione di Radio 3, «Uomini e profeti», l’alfabeto ebraico viene raccontato dall’a. in dialogo con la curatrice e conduttrice. Attenzione, amore, cura per ogni lettera emergono in questa narrazione, che si presenta come un utile strumento per chi approccia per la prima volta la conoscenza della lingua, intessendo l’apprendimento linguistico con quello della cultura, della parola, cui tale alfabeto assume e veicola. Grafia, significato, pronuncia, valore numerico e lessicale vengono presentati insieme a racconti talmudici e rabbinici, in modo tale da alleggerire con la narrazione gli aspetti più mnemonici dello studio. R BOURKE J., Stupro. Storia della violenza sessuale dal 1860 a oggi, Laterza, Roma - Bari 2009, pp. 600, € 20,00. 9788842085409 BUONANNO M., Se vent’anni sembran pochi. La fiction italiana, l’Italia nella fiction. Anni ventesimo e ventunesimo, Rai, Roma 2010, pp. XXIV+506, s.i.p. 9788839715159 DE TULLIO E., La ricchezza intangibile. Proprietà intellettuale e competitività del settore audiovisivo, Rai, Roma 2011, pp. 333, s.i.p. 9788839715333 Effonda ovunque il tuo profumo Via Crucis col Vangelo di Marco l cammino della Via Crucis si snoda lasciandosi sollecitare dai personaggi della Passione presenti nel Vangelo di Marco. A ogni stazione, l’attenzione si concentra attorno a un gesto/simbolo che aiuta ad addentrarsi nel mistero della «follia d’amore» della croce. I «SUSSIDI PER I TEMPI LITURGICI» pp. 48 a due colori - € 2,40 EDB !# !! & GISOTTI R., SAVINI M., TV buona dottoressa?. La medicina nella televisione italiana dal 1954 a oggi, Rai, Roma 2010, pp. 292, s.i.p. 9788839715142 PADOAN P., Momenti di preghiera e di implorazione nell’opera lirica, Ed. Insieme, Terlizzi (BA) 2010, pp. 406, € 20,00. 9788876021145 RAPELLI G., Giuseppe Rapelli e «Il lavoratore». La formazione di un sindacalista cattolico nella Torino degli anni ’20. Con la ristampa anastatica della rivista «Il lavoratore», Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 227, € 27,00. 9788874026760 ZAULI G., I cancelli d’Europa. Quando l’unità non è stata una parola, Ares, Milano 2010, pp. 177, € 13,00. 9788881555130 BURUMA I., Domare gli dei. Religione e democrazia in tre continenti, Laterza, Roma - Bari 2011, pp. 138, € 15,00. 9788842094951 a più grande novità degli ultimi decenni è stato indubbiamente il riL torno della religione. In realtà il pensiero religioso, nelle sue diverse fedi, non è mai stato superato da un razionalismo di stampo neoilluminista. Di questo ritorno e dei suoi effetti sulla democrazia è acuto indagatore l’a., esperto mondiale delle culture orientali, in particolare di quella giapponese. Il vol. è, infatti, un tentativo, intellettualmente onesto da parte di un agnostico, di focalizzare sul modo in cui culture diverse hanno affrontato le tensioni causate dall’impatto che le religioni hanno avuto con il sistema delle varie democrazie. Nel saggio si affrontano innanzitutto i rapporti tra Chiesa e stato in Europa e negli USA, successivamente il problema dell’autorità religiosa in Cina e in Giappone e, da ultimo, le sfide dell’islam nell’Europa contemporanea. Da leggere. IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 RINALDO PAGANELLI Con Cristo dalla testa ai piedi Via Crucis ispirata agli scritti di mons. TONINO BELLO enere in testa e acqua sui piedi: tra questi due riti si snoda la strada della Quaresima. Un percorso faticoso, perché si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. La riflessione della Via crucis è guidata dalle annotazioni suggestive tratte dagli scritti di mons. Tonino Bello. La nuova edizione, a caratteri grandi, è particolarmente apprezzata da persone anziane o con difficoltà di lettura. C Politica, Economia, Società XV A CURA DI 41 NUOVA ED «SUSSIDI PER I TEMPI LITURGICI» pp. 36 a due colori - € 1,80 EDB IZIONE # 33-42_R7-16_libri_schede:Layout 2 L 30-01-2012 11:23 Pagina XVI ibri del mese / schede CASALI A., Tra cielo e terra. Cinema, artisti e religione. Interviste ai protagonisti del grande schermo, Pendragon, Bologna 2011, pp. 212, € 16,00. 9788865980798 a alcuni anni, ogni autunno si svolge a Terni il festival cinematografico Popoli e religioni, ideato dal vescovo mons. Vincenzo Paglia e promosso dall’Istituto di studi teologici e storico-sociali: da quella esperienza nasce questo vol., che raccoglie interviste, contributi e dialoghi di protagonisti del mondo del cinema sul rapporto tra il loro lavoro, la loro ricerca e la religione. Da Liliana Cavani a Carlo Verdone passando per Ascanio Celestini, emerge un quadro di vivissima attenzione e dialettica. In particolare, si segnala il dialogo fra Nanni Moretti (che non solo dal recente Habemus papam è attento al tema della Chiesa) e la giovanissima regista Alice Rohrwacher, autrice del duro e delicato Corpo celeste. D DAL BELLO M., I ricercati. Padri e figli nel cinema italiano contemporaneo, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 175, € 12,50. 9788874026722 gionando sull’emotività e sull’empatia come strumenti per imparare a relazionarsi con l’altro. CASTENETTO D., L’educatore e il suo profilo spirituale. Sulle orme dell’unico maestro, La scuola, Brescia 2011, pp. 85, € 8,50. 9788835026860 a. intende offrire alcuni elementi fondamentali per una spiritualità L’ dell’educatore, un compito che da sempre rappresenta una «sfida» perché esige la capacità di mettersi in ascolto della Parola attendendo da essa con fiducia, che necessita di tempo senza rinunciare ad amare. Su questa traccia anche l’esperienza dell’educare si può definire «spirituale nella misura in cui chi educa vive e mantiene l’assoluto riferimento a Cristo, in obbedienza allo Spirito» e se ne lascia plasmare. ORLANDO V., PACUCCI M., La paura di volare. Il difficile passaggio all’adultità dei giovani italiani, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 200, € 13,00. 9788801048063 uando si parla d’urgenza educativa, si pensa solitamente agli adoledifficile rapporto con la figura paterna e lo scontro generazionale sono Ile, lunpopolare tema classico nella letteratura e ora anche di «quel romanzo globa- Q scenti e ai giovani, ma non alla categoria ambigua e complessa dei e mediatico che è il cinema». L’a. dunque esplora «i molti pa- giovani adulti, alle prese con un passaggio alla condizione adulta sempre dri» che sono raffigurati dal cinema italiano dell’ultima decade, dopo aver velocemente fatto la stessa cosa per i film americani e quelli europei dello stesso periodo. Ne emerge tutta la difficoltà e la complessità del rapporto attuale fra figli e padri, che tuttavia si cercano reciprocamente. Conclude il lavoro una serie d’interviste ad autori e interpreti che hanno rappresentato questi temi. GIRARD R., PALAVER W., Violenza e religione. Causa o effetto, Raffaello Cortina, Milano 2011, pp. 85, € 11,00. 9788860304315 e «religioni arcaiche non sono semplicemente spiegazioni sbagliate delL l’universo. (…) Avevano il compito di mantenere la pace. Per raggiungere questo scopo hanno dovuto fare ricorso a mezzi violenti, che in realtà non erano veramente una loro invenzione, ma erano stati messi a disposizione (…) dall’evoluzione spontanea delle relazioni umane. Non possiamo considerare queste religioni estranee rispetto alla natura umana. Anche cercando di apportare miglioramenti, non c’è dubbio che il compito sia infinitamente più difficile di quanto non fosse un centinaio di anni fa. La violenza che vorremmo attribuire alla religione è in realtà la nostra violenza, e dobbiamo affrontarla direttamente. trasformare le religioni in capri espiatori della nostra violenza può alla fine, avere solo l’effetto opposto». LAMY A., NIEZBORALA M., Lavorare senza crollare. Vivere bene il lavoro è ancora possibile?, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2011, pp. 109, € 9,50. 9788825025880 a globalizzazione ha spinto l’economia occidentale verso derive semL pre più onerose da sopportare per i lavoratori dipendenti, anche del terziario. Questo agile libro, scritto da un medico del lavoro e da una giornalista, parla della realtà francese ma può essere trasferito con relativa facilità a quella italiana. Il lavoratore comune si sente sempre più in difficoltà – solitamente si dice «stressato» – fino a esiti nocivi per la salute. Le dimensioni del fenomeno fanno pensare che esso non sia un’eccezione ma una caratteristica generale, che necessiterebbe dunque di una riflessione individuale e collettiva, in cui il libro ci accompagna. Pedagogia, Psicologia BONAFEDE F., SOPRANI M., Empatico sarà lei! Per la mediazione dei conflitti e l’educazione alle relazioni, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 110, € 9,50. 9788874026449 i fronte alle difficoltà nel saper gestire le relazioni sociali, spesso perD cepite come fonte di conflitti, il libro vuole essere un primo approccio al tema della mediazione e dell’educazione alle relazioni. Per questo gli aa., soci fondatori di un’Associazione per la promozione sociale, per mezzo della rielaborazione degli incontri e dei corsi di formazione tenuti negli ultimi anni, offrono alcune linee guida per uscire dalla concezione negativa del conflitto. L’obbiettivo è di giungere alla risoluzione delle ostilità ra- 42 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 più difficile. Essi «sono stati lasciati alla solitudine e alla intraprendenza individuale, ad una visione fatalistica del destino», ma hanno bisogno di essere ancora accompagnati e di farsi protagonisti della propria formazione, non in modo individualistico ma collettivo. C’è bisogno di relazione e solidarietà fra le generazioni e all’interno delle generazioni. Con questi punti fermi gli aa. tentano di definire la condizione dei giovani adulti e tracciare un percorso per la loro formazione. SZERMAN S., GRAVILLON I., L’arte della lentezza. Come riconquistare il proprio tempo?, EMP - Edizioni Messaggero Padova, Padova 2011, pp. 87, € 8,50. 9788825025897 iccola serie di consigli furbi cui è sottesa l’idea che riappropriarsi del P tempo significa acquisire il senso del proprio limite che spesso, proprio attraverso la variabile tempo, mettiamo a dura prova. WANG L., L’istruzione di base in Cina, LAS, Roma 2011, pp. 176, € 12,00. 9788821307768 vol. appartiene a una collana scaturita dalla collaborazione fra la PonIrireltificia università salesiana e la Zhejiang University (Cina), volta a favola reciproca conoscenza fra i sistemi educativi dei due paesi e a stimolare la ricerca in ambito pedagogico. I voll. dedicati alla realtà educativa cinese colmano un vuoto finora non superato a causa dello scoglio linguistico. Questo libro, dopo un sintetico excursus storico sulla nascita del sistema scolastico moderno in Cina, descrive l’organizzazione e il funzionamento dell’istruzione di base in Cina, comprendente l’educazione prescolare, l’istruzione primaria e quella secondaria generalista. FOGAROLO F., SCAPIN C., Competenze compensative. Tecnologie e strategie per l’autonomia scolastica degli alunni con dislessia e altri DSA, Erickson, Gardolo (TN) 2010, pp. 216, € 19,00. 9788861376458 NEENAN M., DRYDEN W., I cento punti chiave della psicoterapia cognitiva. Teoria e pratica, Erickson, Gardolo (TN) 2010, pp. 245, € 20,00. 9788861376663 ORTNER G., Dimmelo con una fiaba. Migliorare il rapporto con i propri figli, Erickson, Gardolo (TN) 2010, pp. 238, € 15,50. 9788861376830 Ristampe ACETI E., Amarsi e capirsi. Per un’educazione alla reciprocità, Monti, Saronno (VA) 22010, pp. 100, € 8,00. 9788884772138 PAGANELLI R., Con Cristo dalla testa ai piedi. Via crucis ispirata agli scritti di mons. Tonino Bello, EDB, Bologna 52012, pp. 35, € 1,80. 9788810710623 XVI L 43-46_R17-20_segnala_pedrazzi+box:Layout 2 30-01-2012 16:46 Pagina XVII L ibri del mese / segnalazioni C. FRUGONI, STORIA DI CHIARA E FRANCESCO, Einaudi, Torino 2011, pp. 202, € 18,00. 9788806205133 P er amore si torna ancora e poi ancora e poi di nuovo a frequentare la stessa persona, a ripercorrere luoghi di cui sappiamo colori e ombre, a riascoltare parole che potremmo ripetere a memoria più di una preghiera cara dell’infanzia, alla ricerca di quel nucleo di luce che promette ogni volta uno stupore diverso. Qualcosa di molto simile all’amore sembra portare Chiara Frugoni a regalarci ora un nuovo libro, tessuto con passione intorno a quella storia straordinaria che ha visto insieme san Francesco e santa Chiara in un’avventura spirituale che non finisce di parlare alla nostra vita di uomini e donne. Storia di Chiara e Francesco, uscito in questi giorni da Einaudi, viene dopo una quantità di saggi, interventi, studi che Chiara Frugoni ha già dedicato sia a san Francesco e santa Chiara, sia al «tempo del pressappoco» come ama chiamare nel testo il Medioevo, in cui un anno può anche essere quello prima o quello dopo, quasi un anticipo dell’unico tempo eterno che san Francesco sapeva essere la promessa di Dio al mondo. E così con la spigliatezza che le arriva da una conoscenza meravigliosa di documenti, fatti, luoghi e persone, l’autrice segue le strade di Chiara e Francesco non ancora santi (ma per poco, saranno santi subito, entrambi due anni dopo la morte). Lui in spontanea e precocissima lotta contro i «chiusi pensieri di profitto e guadagni» del suo ambiente familiare, dentro un clima cittadino di pesante lotta fra la sua classe, quella degli homines populi, e la classe dei boni homines, nobili, potenti e inaccessibili, «da odiare ma anche da ammirare». E ancora segue Francesco dopo la battaglia di Collestrada, rinchiuso nell’atroce prigione di Perugia, circondato da feriti per i quali «la morte non riesce a venire». E poi nei molti scontri tremendi e necessari: con il padre, con i concittadini, con se stesso, in una tormenta di umanissimi slanci e abbandoni e ritorni, fino alla solitudine nella quale incontra insieme Dio e l’uomo. Dio per l’uomo. E una nuova storia nasce, e nulla è più come prima, e Francesco, ora in buona com- XVII pagnia del suo Signore, mostra con la sua bizzarra e mai vista comunità di laici e chierici e nobili e colti e illetterati, che il Vangelo può essere messo in pratica davvero. Intanto Chiara bambina cresce e le fonti dicono che prestissimo si interessò a quel che capitava intorno a Francesco, fino agli incontri con lui, alla vocazione, alla fuga e alla nascita della sua comunità a San Damiano. In tutto simile a quella di Francesco: povera, a servizio degli uomini, con la straordinaria novità delle sorores extra monasterium servientes, sorelle attive fra gli uomini e le donne del mondo, testimoni del Vangelo come i frati di Francesco, con la stessa libertà. È libertà la parola che Chiara Frugoni ci consegna come sigla di questa storia. In una società costretta nella lotta per il potere e per il denaro i fratelli di Francesco e le sorelle di Chiara rifiutavano ogni onore, avevano in odio il potere, supplicavano il pontefice per conservare il «privilegio della povertà». Una purezza implacabile arrivava loro dal Vangelo e diventava volontà fermissima di costruire «un modello di comportamento che pacificamente si contrapponesse a quello in auge e che pacificamente lo scardinasse». Pacificamente, rinunciando anche alla violenza implicita in ogni giudizio, liberi anche dalle sante attese: «E nel Signore amali. E non pretendere che siano cristiani migliori», scrive Francesco a un ministro suo confratello turbato da chi lo accusava ingiustamente. Fu la stagione degli inizi, alleanza inimmaginabile fra terra e cielo. Prestissimo venne il tempo degli accomodamenti a cui la storia sempre obbliga. Certo la lettura insieme rigorosa e combattente di Chiara Frugoni può fare nascere qualche critica, come accade sempre quando l’amore per una persona o una storia è condiviso con molti. Perché l’amore è spesso geloso. È forse vero che l’esito della vicenda di Chiara, la clausura stretta decretata nel 1263 da Urbano IV, somiglia molto a un umano fallimento. Ma non sempre gli esiti diversi da quelli attesi son fallimenti. Chi crede può ben riconoscere nella vita nascosta delle clarisse la potenza carsica di una beatitudine ugualmente profetica. È invece difficile negare che la battaglia per la povertà sia stata un vero fallimento, visto lo scandalo che ancora oggi la ricchezza della Chiesa rappresenta agli occhi del mondo. Eppure anche qui la fede salva dall’amarezza pur nella determinazione della verità da affermare. Ecco quel che scrive santa Chiara ad Agnese di Boemia, a capo del monastero di Praga, a proposito della loro comune lotta con le autorità religiose per la difesa del privilegio di essere povere: «Con corsa spedita, passo leggero, piede sicuro, in modo che i tuoi passi non sollevino polvere, avanza sicura, gioiosa e vivace, sul sentiero di una pensosa felicità». Mariapia Veladiano* * Il testo, che pubblichiamo per gentile concessione di La Repubblica, riprende l’articolo «Chiara e Francesco soldati della povertà. Un nuovo studio della storica Frugoni dedicato ai santi di Assisi», apparso sul quotidiano il 14.11.2011. G. FORCESI, IL VATICANO II A BOLOGNA. La riforma conciliare nella città di Lercaro e Dossetti, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 559, € 41,00. 97888815233189 D a qualche mese è in libreria, pubblicato dal Mulino, un libro intitolato Il Vaticano II a Bologna. La riforma conciliare nella città di Lercaro e Dossetti, di cui è autore Giampiero Forcesi. Prima di riferire brevemente sul contenuto del volume, articolato in cinque parti (distinte cronologicamente e relative all’intero episcopato bolognese di Lercaro: 1952-59; 1960-61; 1962-63; 1964-65; 1966-68), è opportuno dire qualcosa dell’autore e dell’origine di questo singolare testo. Giampiero Forcesi è nato a Roma nel 1949 e, dopo aver lavorato come operaio edile e fatto l’educatore popolare, è giunto a laurearsi in Storia del cristianesimo nel 1985 a Roma, con i professori Monticone e Pitocco. Aveva 36 anni ed era animato dalla passione per l’autonomia di studio e ricerca, così forte in quegli anni, comprese le tematiche religiose tanto ravvivate dal Concilio. Forcesi le aveva incontrate, quando era sui vent’anni, nelle comunità di base, numerose allora nelle periferie romane, sperimentandosi, su fogli del dissenso, come «osservatore religioso», nuovo professionista rispetto alla figura tradizionale del «vaticanista». Per scegliere l’argomento della sua tesi aveva pensato alle Chiese di Torino e Bologna, dove era stata avvertita più forte – anche nei vescovi Pellegrino e Lercaro – l’at- IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 43 43-46_R17-20_segnala_pedrazzi+box:Layout 2 L 30-01-2012 16:46 Pagina XVIII ibri del mese / segnalazioni Musica e liturgia I l rapporto tra musica e liturgia è da sempre oggetto di aspri dibattimenti polemici. Si tratta di una questione che, presente già nei testi dei padri della Chiesa, si è periodicamente riproposta all’interno della riflessione ecclesiale, giungendo fino ai nostri giorni. A essere messi in discussione sono stati di volta in volta il significato teologico dell’espressione musicale, la sua funzione all’interno della celebrazione, la valutazione estetica dei brani e la qualità della loro esecuzione. In particolare, a questi ultimi due aspetti è dedicata la maggior parte dei contributi prodotti nel secolo scorso, che di norma riservano a essi una critica estremamente negativa. Se da un lato, infatti, risulta ormai acquisita a livello teorico la rilevanza teologica e antropologica della presenza della musica all’interno della liturgia, dall’altro la prassi concreta è comunemente additata come inadeguata, sia sotto il profilo della comunicazione della fede che dal punto di vista estetico. A rettifica di una situazione giudicata da più parti disastrosa, si invoca spesso il ritorno alla tradizione musicale del passato, sia monodica che polifonica, con particolare enfasi sul canto gregoriano. Una recente pubblicazione antologica raccoglie numerosi contributi dell’attuale pontefice sul tema del rapporto tra musica e liturgia.1 Si tratta di testi in parte già tradotti e pubblicati in italiano, scritti a partire dalla metà degli anni Settanta, uniti a brevi discorsi pronunciati in occasioni pubbliche. Il saggio di apertura sul fondamento teologico della musica sacra, pubblicato originariamente nel 1974, colloca questa riflessione tenzione alle problematiche del rinnovamento ecclesiale: alla fine, contatti preliminari lo portarono a preferire Bologna, dove compì, per oltre due anni, intense ricerche e numerosi colloqui, tra fine anni Settanta e inizio anni Ottanta. A quell’epoca, pur lontani da più che un decennio, gli avvenimenti seguiti al Vaticano II, a Bologna particolarmente intensi e segnati da contraddizioni e contrasti culminati nella rimozione del cardinal Lercaro (12 febbraio 1968, cui si accompagnò il contemporaneo ritiro di Dossetti dall’incarico di provicario della diocesi), erano ancora vivi nell’animo e nella riflessione di molti. Forcesi visitò queste «situazioni» con attenzione, studiandole in una misura certo 44 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 all’interno del dibattito sulla recezione e interpretazione del concilio Vaticano II. L’assunto di base da cui muove l’allora docente di teologia dogmatica presso l’Università di Ratisbona è che la musica, in quanto elemento insostituibile della liturgia, partecipa della crisi che ha colpito quest’ultima nel suo insieme. La causa di questo impoverimento risiederebbe nella progressiva riduzione della liturgia postconciliare (e di quanto a essa connesso, musica compresa) alla mera dimensione funzionale. La razionalità strumentale che caratterizza l’epoca contemporanea avrebbe quindi appiattito la celebrazione al mero livello antropologico. Nel saggio «La trasposizione artistica della fede. Problemi teologici della musica sacra», redatto nel 1978, la musica sacra è vista come schiacciata da due concezioni teologiche della liturgia che nascono all’interno di quello che Ratzinger addita come l’ermeneutica della rottura nell’interpretazione del Vaticano II: da un lato, il «funzionalismo puritano», secondo cui «l’evento liturgico dovrebbe venire (…) de-cultizzato e ricondotto al suo semplice punto di partenza, un pasto comunitario» (49). A tale concezione corrisponde una visione della musica liturgica non come oggetto estetico ma come puro oggetto d’uso. Dall’altro lato, si staglierebbe invece il «funzionalismo dell’adeguamento»: la liturgia si deve adeguare alle modalità comunicative tipiche del contesto in cui viene celebrata, con la conseguenza che tutto ciò che proviene dalla tradizione musicale ecclesiale sia considerato come ormai superato e inadeguato all’uso liturgico. Questo si configura come «un atteggiamento secondo cui l’intera musica sacra, anzi la cultura fino ad allora sviluppatasi nel mondo occidentale» non sarebbe più «attributo dell’attualità», cessando perciò di «far parte del processo attuale, come invece la liturgia vorrebbe e dovrebbe» (50). Secondo questo schema argomentativo, per superare la banalizzazione in cui pare caduta la musica liturgica occorre ritrovare la vitalità della tradizione musicale innescando un fecondo processo di purificazione della cultura attuale per permetterle di essere nuovamente uno strumento di comunicazione della fede. Negli stessi decenni in cui maturano queste considerazioni del futuro pontefice, veniva redatto il primo documento programmatico di Universa laus, un gruppo di studio formato da liturgisti e musicologi nato alla fine degli anni Sessanta al fine di sostenere la diffusione e l’applicazione delle linee guida della riforma liturgica del Vaticano II in materia di musica. Il documento del 1980, intitolato Musica – liturgia – cultura (cf. Regno-att. 20,2003,702ss), cercava di tradurre in indicazioni teorico-pratiche le linee guida contenute nella costituzione Sacrosanctum concilium prendendo le mosse non da una critica della musica liturgica contemporanea alla quale opporsi, ma esplicitando alcuni requisiti fondamentali che la musica deve possedere per svolgere all’interno della liturgia la propria funzione senza essere né un mero elemento decorativo, ma nemmeno un corpo estraneo. L’impegno di Universa laus, tutt’ora molto attivo a livello europeo, è portato avanti dalla rivista quadrimestrale Musica e sovrabbondante rispetto alle necessità di una tesi universitaria, la quale, alla fine, tra testo e note, sfiorò le 900 pagine fittamente dattiloscritte, collocando a fuoco tutta la dinamica spirituale e pastorale di un grande vescovo italiano operante in una città politicamente simbolica, durante un’«epoca» segnata da pontefici italiani del livello di Pacelli, Roncalli, Montini, tutti venerati da Lercaro con devozione e indipendenza personali. Forcesi fece conoscere il testo della sua lunga e complessa tesi ad alcuni degli ambienti bolognesi, che doveva ringraziare per la disponibilità mostrata a rispondere alle sue domande. Fu così che l’Istituto per le scienze religiose diretto dal prof. Alberigo venne a possederne una copia, che fece conoscere ad alcuni studiosi, i quali poterono citarla in pubblicazioni successive. E mons. Fraccaroli, segretario di Lercaro e primo presidente dell’omonima Fondazione, avuta e letta la tesi, assegnò un premio al suo autore: tutto questo era avvenuto in un passato remoto, ma non sparito. Recenti iniziative editoriali (in particolare quelle delle «memorie» del card. Biffi, pubblicate e ripubblicate), hanno presentato critiche, anche pungenti, della figura e dell’opera di Dossetti: questo amarcord polemico, a molti spiaciuto, ha concorso a provocare una circolazione della tesi (fotocopiata) di Forcesi, e suscitato lo svolgimento di alcuni seminari in ambienti ecclesiali di memoria lunga XVIII 43-46_R17-20_segnala_pedrazzi+box:Layout 2 30-01-2012 16:46 Pagina XIX assemblea (EDB, Bologna), nella quale sono raccolti numerosi contributi a sostegno della prassi liturgico-musicale concreta. Negli ultimi anni il panorama dell’editoria religiosa si è arricchito di numerosi testi (seppur di diverso valore euristico), segno dell’interesse che la questione della musica liturgica suscita. Una sistematizzazione d’indirizzo tradizionalista del rapporto tra musica e liturgia a partire dai testi del magistero dei pontefici novecenteschi (sostanzialmente a partire da Pio XII) è contenuta nel volume di Marco Ronchi.2 Una riflessione più articolata, condotta a partire non dal rapporto tra musica e liturgia, ma dall’analisi dell’espressione musicale stessa come forma simbolica capace di esprimere attraverso i suoni l’esperienza del divino, è sviluppata nel volume di Marie Thérèse Henderson, accompagnato da una prefazione di Pierangelo Sequeri.3 Mettendo al centro non il problema del repertorio come fa Ronchi, ma analizzando direttamente il fatto musicale concreto nella sua capacità di dire il mistero religioso, l’autrice, compositrice del gruppo internazionale Gen verde, ripercorre le tappe della storia della musica come elemento di comunione tra Dio e gli uomini. Facendo interagire le riflessioni di Chiara Lubich e di Hans Urs von Balthasar, la musicista e studiosa mostra la capacità teologica dell’espressione musicale. La musica è considerata qui come una forma di espressione e non come un determinato insieme di repertori, vedendola da un punto di vista storico e teologico: musica, quindi, come relazione, reciprocità, comunicazione e comunione. Questa universalità del linguaggio musicale è un elemento che ne ha permesso il ricorso all’interno delle relazioni ecumeni- che. Come ricorda il musicologo Nicola Sfredda, esiste uno scambio reciproco tra il repertorio musicale cattolico e quello luterano o riformato, occasione importante per costruire la comunione fraterna e anche la conoscenza reciproca.4 All’interno del mondo della Riforma il problema della musica liturgica è percepito con altrettanta – se non maggiore – urgenza che in ambito cattolico, mostrando una polarizzazione del dibattito intorno a due posizioni: «La Chiesa deve esprimere valori artistici alti o deve parlare il linguaggio della quotidianità, più comprensibile dalle masse?» (206). L’approccio storico che connota questo volume fornisce un utile quadro d’insieme dell’evoluzione della musica liturgica in ambito riformato; proprio l’approfondimento diacronico in epoche e contesti differenti può aiutare a superare l’apparente impasse – musica alta o linguaggio della quotidianità? – mostra come il problema di individuare il repertorio della musica sacra abbia accompagnato la storia della Chiesa cattolica e delle Chiese luterane e riformate. Esso non rappresenta quindi una novità postmoderna. Basti ricordare che già nel concilio di Toledo del 587 veniva affrontato il problema della presenza di canti e danze di origine siriana ed ebraica all’interno della liturgia. Tuttavia, il problema pratico di quale musica eseguire rimane e pertanto anche di come e su quali principi guida selezionare e fondare la produzione di un repertorio musicale adeguato alla liturgia. In ambito italiano, in questa direzione si è mossa la Conferenza episcopale italiana, individuando un repertorio nazionale di canti per la liturgia che cerca di mettere ordine all’interno di uno sterminato numero di brani. quanto affettuosa, finalizzati a un approfondimento di conoscenze e valutazioni del periodo e dei personaggi che ne erano stati i maggiori protagonisti. È merito di un amico, promotore di queste iniziative, aver rintracciato a Roma Giampiero Forcesi, e averlo coinvolto in alcuni dei seminari svolti nel 2010 e 2011, fino all’ipotesi di una stampa, più di 20 anni dopo, di quell’appassionato e ricco documento di una «fase» così importante della Chiesa di Bologna. Quel tempo era stato notevole davvero: non solo per l’episcopato di Lercaro dal 1952 al 1968, inclusa la nomina (decisa da Paolo VI) inserente il cardinale bolognese, unico italiano, tra i quattro moderatori del Concilio; contò molto anche il ruolo di Dos- setti, in città e al fianco del suo vescovo a Roma, e il forte coinvolgimento bolognese all’evento conciliare (in primo piano il «Centro» di Alberigo e l’Avvenire di La Valle). E fu notevole pure l’accoglienza effettuata dall’amministrazione comunale al «ritorno» in diocesi del vescovo bolognese, e lo slancio con cui questi avviò, nominando Dossetti provicario generale, il progetto di uno «studio per l’applicazione locale» delle indicazioni teologiche e pastorali del Vaticano II. Tutti questi anni, con i loro appassionati eventi, meritavano una forte attenzione, e l’avevano ricevuta da Forcesi. Ma, ad accrescere l’interesse oggettivo di questa «storica tesi», rimasta però inedita, ha contato XIX Resta però ancora molto lavoro da fare: la produzione musicale liturgica non si arresta e occorre sempre confrontarsi nuovamente con una cultura in rapido cambiamento. La sfida appare quindi quella di riuscire a scrivere musica che possa non solo risultare comprensibile e accessibile a chi la ascolta, ma anche in grado di comunicare in modo sempre nuovo la realtà della fede e l’annuncio. In questa direzione vanno alcune recenti raccolte di canti che presentano brani né ascrivibili al solo indirizzo della musica di consumo né a una rigida conservazione di un depositum di brani musicali tradizionali.5 Per concludere, una strada da percorrere può essere quella di ripartire dal rapporto tra musica, liturgia e cultura, facendo sì che la liturgia riesca a essere comprensibile all’interno di una cultura e che le forme musicali che questa cultura esprime siano assunte in modo significativo all’interno della liturgia. Riccardo Castagnetti 1 J. RATZINGER – BENEDETTO XVI, Lodate Dio con arte. Sul canto e la musica, Marcianum Press, Venezia 2010, pp. 270, € 28,00. 2 M. RONCHI, La musica nella liturgia, Lindau, Torino 2011, pp. 160, € 15,00. 3 M. T. HENDERSON, Il velo sottile. Il mistero della musica, Città Nuova, Roma 2011, pp. 208, € 16,00. 4 N. SFREDDA, La musica nelle chiese della Riforma, Claudiana, Torino 2010, pp. 236, € 19,00. 5 F. MASSIMILLO, Ti cerco Signore mia speranza. Canti per la liturgia e la preghiera, con CD musicale (39’), Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 48, € 11,00; D. MACHETTA, Canta e cammina. Canti per la celebrazione dell’eucaristia sul tema della Chiesa in cammino, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 24, € 8,00. anche l’ulteriore vicenda della Chiesa bolognese, con i due primi successori di Lercaro, cioè Poma (1968-1983) e Biffi (19842003), per le interpretazioni che essi vollero e seppero dare del loro «predecessore», nonostante tutto indimenticabile, e dell’intensa collaborazione di quel suo provicario, rimasto di fatto – anche dopo la rimozione di Lercaro, con i suoi frequenti soggiorni in Israele e la missione ricevuta da Biffi a Monte Sole –, una personalità fortemente significativa in Bologna e nella sua Chiesa. E di fatto il volume viene anche a colmare una carenza storiografica nella ricostruzione di questo tratto della biografia di Dossetti. A un certo punto, la figura di Dossetti fu IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 45 43-46_R17-20_segnala_pedrazzi+box:Layout 2 L 16:46 Pagina XX ibri del mese / segnalazioni sorprendentemente «riattualizzata sul piano nazionale» dagli interventi svolti in difesa della Costituzione repubblicana, minacciata dal populismo telecratico di Berlusconi, a lungo ben accolto in Italia da autorevoli esponenti ecclesiali, che lo preferirono a un politico «cattolico adulto» come l’ulivista Prodi, localizzato anch’esso in Bologna. Il volume di Forcesi, fornisce un affresco esauriente e riflessivo, in misura oggi rara per completezza ed equilibrio, di una Chiesa locale indubbiamente «esemplare», in un momento che fu straordinario per l’intera Chiesa, la quale vi conosceva un’alternativa potenziale impegnativa, tuttora aperta a progetti problematici. La tesi di Forcesi, pubblicata nell’estate 2011 (con la sollecitazione di circa 200 prenotazioni a prezzo di copertina), risveglia molto più della «memoria» (pur base preziosa per ogni rinnovamento), ma fornisce anche un «termometro» per avere una misura della qualità pastorale e teologica elevata che è possibile recuperare guardando nelle esperienze forti della Chiesa bolognese, soprattutto nelle sue relazioni più intrinseche con il grande XXI Concilio, davvero ecumenico della Chiesa cattolica e bussola per la sua strada nella società mondiale globalizzata. Il titolo preposto alla pubblicazione della vecchia tesi del 1985 ha concentrato, molto opportunamente, i due elementi caratterizzanti il testo ora ripreso in vista del 2012 e degli anni seguenti, accostando la forza del «messaggio universale» e i limiti di una «ricezione intensamente adeguata ma iniziale e locale», cioè «il Vaticano II» e «a Bologna». Nel sottotitolo, poi, si allude con coraggio a una sua forte ammonizione: «La riforma conciliare», accostata al dato di verità da non dimenticare perché veramente significativo: «Nella città di Lercaro e Dossetti». Nel libro appena stampato, tre aggiunte completano con tre informazioni utili e ben fatte il «testo storico» della tesi di Forcesi: 1. Premessa, in cui Forcesi dà conto della sua iniziativa di allora, nelle condizioni e convinzioni del tempo, e della sorpresa e soddisfazione per la decisione di procedere a questa «voluta» pubblicazione odierna. 2. Introduzione, in cui Giovanni Turbanti, da anni collaboratore della Fondazione per le scienze religiose «Giovanni XXIII», illustra intenzioni e meriti del testo di Forcesi, nel contesto più ampio degli studi su Lercaro, la Chiesa bolognese, l’evento conciliare. E chiude il suo utilissimo contributo con un inedito molto interessante, una lettera di Lercaro a Dossetti del giugno 1966 in cui anticipa la sua intenzione di nominare Dossetti suo vicario, ma con finalità cen- 46 30-01-2012 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 trate sulla cultura, che in realtà nel giro di pochi mesi si estese per logica interna a un proposito assai più ampio, trasformando questo formale invito alla collaborazione di Dossetti nel lavoro dell’applicazione in Bologna delle novità conciliari: evento sul quale occorrerebbe riflettere sia alla luce degli avvenimenti seguiti, sia di altri documenti lercariani e dossettiani oggi accessibili. 3. Aggiornamento bibliografico, a cura di Enrico Galavotti, pure esso autorevole collaboratore della Fondazione per le scienze religiose «Giovanni XXIII»: completa e aggiorna esaurientemente categorie e informazioni bibliografiche della tesi di Forcesi. Quanto al contenuto del volume, l’interesse di Forcesi per le «motivazioni» peculiari di spiritualità e azione pastorale del vescovo Lercaro, lo portano a estendere la sua analisi partendo dall’inizio, dal «primo quinquennio di episcopato bolognese», considerando con attenzione il mix di «spiritualità liturgica» e «integrismo» che caratterizzarono i suoi primi «gesti» (attenzione per la liturgia, rifare cristiana Bologna, fini e strumenti della campagna per le nuove chiese in periferia, suoi sviluppi culturali con risvolti urbanistici e politici). Una seconda parte completa questa prima, giungendo «al bivio – che Forcesi vede affrontato da Lercaro – tra approfondimento spirituale e dottrina sociale», con un successo evolutivo maturato tra il 1960 e il 1961. Al termine di queste due prime parti introduttive, il libro che ora riproduce la tesi di Forcesi ha raggiunto la pagina 222, cui subito ne aggiunge altre 50 di una parte terza, intitolata «Dalla cristianità alla Chiesaeucarestia. Il passaggio decisivo (1962-1963)»: Lercaro è così seguito da Forcesi per tutto il primo periodo conciliare, realmente fondamentale per le scelte che preparano la gloria della svolta effettuata poi nel secondo periodo, nei confronti della stessa preparazione conciliare, abbandonata perché troppo ancora segnata da cultura e orientamenti preconciliari e «difensivisti». La parte quarta e quinta riempiono la seconda metà esatta del ponderoso volume. La quarta affronta i «Primi lineamenti di una proposta ecclesiale rinnovata (19641965)», e Forcesi vi espone anche alcuni dei contributi di Lercaro più importanti (quelli pronunciati a Beirut, su «Eucarestia ed ecumenismo», e su «La povertà nella Chiesa», e altri pronunciati a Roma a latere del Concilio, su «La libertà religiosa» e su «Papa Giovanni»). La quinta (la più estesa, riempie quasi 200 pagine), finalmente espone «Il progetto di riforma e di valorizzazione della Chiesa locale». Vi compaiono con franchezza i problemi del postconcilio bolo- gnese (con documenti anche inediti sulla «questione dell’Avvenire d’Italia»), la formazione e il lavoro dei «Dieci gruppi di studio per la riforma della diocesi»,1 attacchi di curiali a Lercaro, tensioni con Paolo VI, un esame interessante delle «due scelte religiose – quella montiniana e quella bolognese», l’accoglienza a Poma, insignito di un «diritto di successione», tutto sotto il titolo «L’interruzione di un’esperienza ecclesiale carica di attese (luglio 1967 – febbraio 1968)». Le dieci pagine di «Osservazioni conclusive» con cui Forcesi chiuse la sua tesi discussa a Roma nel 1985, lette ora acquistano una grande chiarezza e lucidità di valutazione che fanno onore al «giovane» autore, per la tranquillità severa con cui giudica «l’approdo cui Lercaro è giunto nel dopoconcilio: l’inizio di un cammino nuovo che sarebbe stato tutto da compiere. Questo nuovo punto di partenza stava proprio nell’aver liberato l’essenza del cristianesimo da quelle che gli erano apparse come delle incrostazioni storiche contingenti e nell’aver riproposto nella sua purezza il nesso tra Vangelo e storia perché il Vangelo potesse riacquistare in pieno la sua forza dinamica per il cammino del popolo di Dio e di tutto il genere umano. E questo in una fase della storia che segna un cambio d’epoca e che esige dalla Chiesa una disponibilità profonda a capire il suo tempo, a riconoscere le nuove risorse e le nuove miserie, e a cooperare con tutte le forze che si muovono verso un autentico progresso umano. E ha individuato anche il criterio con cui il nuovo cammino deve essere intrapreso, sottolineando l’assoluta necessità di ridare spazio alla riflessione di fede del popolo di Dio. Nel diffondersi di una rete capillare di comunità locali inserite nella vita quotidiana ha individuato l’alveo in cui il popolo di Dio può tornare a vivere un’autentica vita di fede, ponendo concretamente le proprie esperienze esistenziali e storiche a contatto con la parola di Dio e ricercando a partire di qui i modi per servire la comunità umana in relazione al piano di salvezza di Dio» (541). Luigi Pedrazzi 1 Segnaliamo sull’argomento della riforma conciliare a Bologna due saggi in uscita in Rivista di teologia dell’evangelizzazione (2011) 28, uno di taglio storico (G. TURBANTI, «Una riforma ecclesiale secondo il Concilio») e uno di taglio teologico (F. MANDREOLI, «Un “laboratorio” di Chiesa significativo: note su alcune istanze teologiche dei primi progetti di riforma post-conciliare della diocesi di Bologna»). XX 47-50_art_cinema:Layout 2 30-01-2012 11:25 Pagina 47 Cinema e religioni ARTI s e si mostra Dio L o studio del cinema religioso si è ormai strutturato, nell’ambito dei religious studies anglofoni, in una sorta di disciplina, con tanto di nome proprio, Religion and film, e di luoghi dedicati.1 Qualcosa di simile da qualche anno comincia a mettere radici anche nelle università italiane, sebbene non sia ancora chiaro (e forse non lo sarà mai, trattandosi di un tema per sua natura interdisciplinare) se debba prendere posto presso i dipartimenti e i corsi di laurea dove trovano collocazione gli studi di cinema o presso quelli di cristianistica e di storia delle religioni. La questione non è di poco conto: in gioco vi sono gli statuti epistemologici, gli scopi stessi che una specifica disciplina, proprio in quanto tale, si pone, le modalità con cui questi scopi sono perseguiti. Sul tavolo c’è insomma il problema di come sia possibile per gli studiosi di due distinti campi disciplinari, come quelli che affrontano il cinema e le religioni, percorrere un tratto comune di strada, segnato dallo studio del film religioso, senza mascherare le proprie origini, ma condividendo le rispettive specifiche competenze. Ma si tratta di un tema il cui interesse travalica gli steccati dell’accademia, come testimoniano due mostre che tra il 2010 e il 2011 lo hanno proposto all’attenzione di un pubblico di non specialisti con riscontri senz’altro significativi. Allestita nel maggio 2010 in Vaticano (Sala Nervi) e aperta al pubblico qualche mese dopo in due distinte oc- Dag li studi alle mostre, da Pasolini ai lavori più recenti: la tradizione e la vitalità del film religioso casioni, prima presso l’Università lateranense di Roma e poi presso la Curia arcivescovile di Milano, la mostra «Preti al cinema: i sacerdoti e l’immaginario cinematografico» viene inaugurata dal card. Bagnasco alla presenza di Carlo Verdone (che ha interpretato la figura di un sacerdote, per la verità alquanto stereotipato, nel suo ultimo film Io, loro e Lara). Il percorso espositivo, a cura della Fondazione Ente dello spettacolo e della Cineteca nazionale di Roma, ha passato in rassegna, attraverso un centinaio di immagini (tra foto di scena e fotogrammi tratti direttamente dai film), le figure di alcuni sacerdoti affrontati dal cinema: dai preti del neorealismo a don Camillo, dal curato bernanosiano messo in scena da Robert Bresson agli irriverenti e problematici preti di Luis Buñuel, per giungere ai sacerdoti del cinema italiano contemporaneo di Mimmo Calopresti (Preferisco il rumore del mare, 2000), di Alessandro D’Alatri (Casomai, 2002), di Roberto Faenza (Alla luce del sole, 2005), di Saverio Costanzo (In memoria di me, 2007) e dello stesso Verdone.2 Di ancora maggiore impegno (e Il card. Bagnasco e Carlo Verdone all’inaugurazione della mostra «Preti al cinema». IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 47 47-50_art_cinema:Layout 2 30-01-2012 11:25 impatto) è stata l’altra mostra recentemente dedicata al cinema religioso. Curata da Silvio Alovisio, Nicoletta Pacini e Tamara Sillo, e intitolata «Ecce homo: l’immagine di Gesù nella storia del cinema», si è svolta durante i mesi dell’ostensione della Sindone negli spazi del Museo nazionale del cinema di Torino. I quasi trecento materiali esposti (fotografie di scena e di lavorazione, manifesti, locandine, fotosoggetti, riviste, libri, partiture e dischi) hanno articolato un percorso che, a 48 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 Pagina 48 partire dalle Passioni del cinema delle origini, ha toccato alcune celebri realizzazioni dell’epoca muta (come il Christus di Giulio Antamoro ed Enrico Guazzoni del 1916 o il Re dei re di Cecil B. DeMille del 1927), numerosi kolossal americani (come Il Re dei re di Nicholar Ray del 1961 o La più grande storia mai raccontata di George Stevens del 1965, ma anche La tunica di Henry Koster del 1953 o il Ben-Hur di William Wyler del 1959, dove Gesù non è il protagonista ma condiziona, sfiorandoli, i destini dei personaggi), alcuni celebrati film d’autore (come Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini del 1964 o L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese del 1988), per giungere infine alle più recenti produzioni.3 Quel che è apparso chiaro dal percorso espositivo è lo straordinario rilievo che la storia del cinema ha assegnato alla figura di Gesù: la mostra dava conto di una settantina di film, un numero piuttosto elevato nell’esperienza che ne faceva il visitatore, ma relativamente esiguo se commisurato alle rappresentazioni cinematografiche di argomento cristologico effettivamente esistenti, che qualche anno fa Dario Viganò ha provato a contare e a catalogare.4 Come sottolinea Jean-Michel Frodon nel catalogo della mostra, «il cristianesimo non ha paura delle immagini, o piuttosto ha superato questa paura», dal momento in cui ha autorizzato, con il secondo Concilio di Nicea, l’uso di immagini devozionali. Il cristianesimo si inserisce nella tradizionale dialettica del mostrato/celato, con cui le religioni antiche si accostavano al divino, privilegiando la visibilità, in considerazione proprio del passaggio terreno di Cristo: evento rivelatore per eccellenza grazie al quale Dio «si mostra»; evento che non a caso il cinema (l’arte della visibilità del Novecento) ha a sua volta così spesso «mostrato». Il cinema è uno strumento meccanico in grado di riprodurre un calco di ciò che gli è transitato davanti e in quanto tale capace di rendere presente ciò che è ormai assente, di dare visibilità a ciò che non è più visibile: quanto vediamo scorrere sullo schermo è di fatto qualcosa che non c’è, ma è stato là, davanti alla macchina da presa. André Bazin, uno dei fondatori della critica cinematografica cattolica, per spiegare il funzionamento del cinema (inalterato fino all’avvento del digitale) e la sua vocazione primaria (conservare le apparenze del reale tramite un processo meccanico) porta ad esempio la sacra Sindone di Torino.5 Per questo la mostra sull’immagine di Gesù nella storia del cinema si è rivelata particolarmente appropriata nel contesto delle manifestazioni per l’ostensione. La Sindone è in qualche 47-50_art_cinema:Layout 2 30-01-2012 11:25 modo la progenitrice del cinema; o meglio, il processo di impressione del reale messo a punto prima con la fotografia e poi con il cinema è parente di quello che ci consente di vedere ancora oggi la sagoma di un uomo crocifisso 2.000 anni fa. Il cinema, la Chiesa e il sacro: i «tre stili» di Ayfre Da La ricotta (1963) di Pier Paolo Pasolini, a Totò che visse due volte (1998) di Daniele Ciprì e Franco Maresco, al recente La passione di Cristo (2004) di Mel Gibson, il film religioso ha fatto e continua a fare discutere molto.6 Del resto il cinema ha svolto (e in parte continua a svolgere) un ruolo di straordinaria importanza nel consentire e regolare l’accesso a un sapere visivo altrimenti inaccessibile: Francesco Casetti lo ha definito «l’occhio del Novecento».7 Nell’ambito dell’esperienza religiosa, il cinema è stato per molti il principale (se non l’unico) luogo per entrare in contatto con narrazioni e immaginari biblici, per quanto spesso falsati da logiche spettacolari: per lo spettatore medio degli anni Cinquanta Mosè aveva il volto di Charlton Heston, nondimeno per quello odierno la passione di Gesù ha avuto luogo su una collina di Matera. In considerazione del fatto che il cinema è stato e in alcuni casi è ancora uno dei principali veicoli (nel bene e nel male) con cui le narrazioni religiose trovano diffusione, la Chiesa ha spesso attivamente partecipato alla realizzazione di film d’argomento religioso, dietro ai quali, abbiano essi come protagonista Gesù o un suo sacerdote, siano stati effettivamente realizzati o solo progettati, vi è quasi sempre la figura di un religioso, chiamato a fare da guida, ora indirizzando, ora vigilando: dall’abate Giuseppe Ricciotti a don Giacomo Alberione, dal domenicano Félix Morlion al servita David Maria Turoldo, per limitarci a qualche nome noto prestato al contesto del cinema italiano. Anche don Lorenzo Milani nei primi anni Cinquanta riflette sulla possibilità di collaborare a un film su Gesù studiando «uno schema generale (…) dal punto di vista catechistico e dell’apostolato». Milani auspica «un film che abbia l’austerità di un documen- Pagina 49 tario scientifico, fonte d’informazione utile per lo specialista e nello stesso tempo appassionante testimonianza per l’analfabeta». Guidato dalla sua potente vocazione pedagogica, Milani ripercorre le tappe della vita terrena di Gesù che a suo avviso il film dovrebbe rappresentare. E poiché «lo scopo del film (…) deve essere catechistico», il suo stile dovrà di conseguenza essere improntato a un forte realismo. «È strano – scrive –, ma oggi è più facile che si creda Gesù Dio che Gesù uomo. Il film dovrà far capire a fondo che cosa significa in concreto “la Parola si è fatta carne”. Immagini di Palestina (paesaggi, case, strade, mercati, lavori, visi, occupazioni domestiche, miseria, sporcizia, ecc.) daranno un’idea più precisa che molte parole. Andare a fotografare dal vero la fame che tormenta oggi la Palestina ci darà il più giusto sfondo alla vita del Signore. Un popolo di schiavi, folle senza pane, bambini rachitici, sofferenze di tutti i generi (…), ecco il mondo che Gesù ha abbracciato».8 Anni dopo, in una sala di Borgo, Milani riconoscerà alcune caratteristiche del suo film su Gesù, rimasto allo stadio di progetto, assistendo insieme ai ragazzi di Barbiana a una proiezione de Il Vangelo secondo Matteo (1964) di Pier Paolo Pasolini. Negli stessi mesi in cui Pasolini lavorava a quello che ancora oggi è considerato «il più riuscito, il più autentico e il più religioso film su Gesù mai realizzato»,9 uno studioso francese appartenente alla Compagnie des prêtres de Saint-Sulpice, Amédée Ayfre, rifletteva sulla possibilità del cinema di evocare, con propri mezzi specifici, il sacro. Secondo Ayfre sono tre gli stili con cui il cinema può rappresentare il sacro.10 Il primo, definito da Ayfre lo «stile dell’idealizzazione», trova una perfetta declinazione nei film religiosi di Cecil B. DeMille (come I dieci comandamenti, 1923, 1956): tramite la magia del mezzo, ovvero degli effetti speciali, si mitizza Dio e il rapporto tra Dio e gli uomini. Ayfre respinge questo stile, riconoscendo in esso il pericolo dell’evasione: è uno stile irrealistico, che falsifica il fatto religioso. Sulle incongruenze di un simile stile ha riflettuto anche Martin Scorsese, l’autore de L’ultima tentazione di Cristo (1988). «Quando avevo circa quindici anni – afferma –, in un piccolo cinema di New York vidi la riedizione del film muto del 1927 di Cecil B. DeMille Il Re dei re. (...) La prima volta che si vede Gesù nel film, quando cura il bambino cieco ed è inquadrato dal punto di vista del bambino, De Mille usa, piuttosto ingenuamente ma al tempo stesso efficacemente, l’effetto speciale di un fascio di luce. Mi chiedevo: se Gesù era davvero così, come è possibile che nessuno lo ascoltasse? Come mai la sua predicazione non ebbe successo e perché venne crocifisso?».11 Dopo la venuta di Cristo un qualsiasi volto di uomo può essere il volto umano di Dio: da qui la possibilità del secondo stile con cui il cinema ha trattato il sacro, definito da Ayfre lo «stile dell’incarnazione». Se lo «stile dell’idealizzazione» è da rifiutare in quanto irreale e insincero, lo «stile dell’incarnazione» ci ha regalato importantissimi film religiosi, molti dei quali non riconosciuti tali da subito. Ma c’è anche un terzo (e ultimo) stile in grado di rappresentare il mistero del sacro tramite il mezzo cinematografico: Ayfre lo chiama lo «stile della trascendenza». Mettendo l’uomo direttamente in presenza di Dio, esso vuole aprire un varco verso il trascendente, ma a partire da una posizione di onestà nei confronti del reale: evitando di «truccare» l’esistente, esso intende «evocare» l’invisibile. Due recenti film: fra Tibhirine e Nazaret La tradizione del film religioso è oggi tutt’altro che spenta. Due recenti film d’argomento religioso hanno riattivato il dibattito, proponendo due diversi, direi quasi antitetici, modi di approccio e raccogliendo ben diversi riscontri di pubblico e critica. Il primo è un film francese di Xavier Beauvois. Uscito nelle sale italiane nell’autunno 2010 con il titolo Uomini di Dio,12 affronta l’assassinio dei sette monaci di Tibhirine (Algeria), rapiti nel 1996 da uomini del Gruppo islamico armato (GIA) e morti in circostanze mai del tutto chiarite: il principale dubbio è se a uccidere i monaci siano stati i gruppi islamici o le forze governative che secondo alcuni avrebbero prima bombardato il luogo in cui i mo- IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 49 47-50_art_cinema:Layout 2 30-01-2012 11:25 naci erano tenuti prigionieri e poi messo in scena le decapitazioni per screditare a livello internazionale il GIA. Beauvois aveva fatto realizzare dei manichini decapitati ma alla fine ha (saggiamente) preferito sfumare sulle modalità con cui si consumò la tragedia. Il titolo con cui il film è stato distribuito nelle sale italiane non restituisce appieno il senso veicolato dall’originale Des hommes et des Dieux. Il film infatti, oltre a raccontare la storia di alcuni «uomini di Dio», svolge anzitutto una riflessione sui rapporti tra gli uomini e gli Dei. Ci pare che esso raggiunga tale scopo proprio attivando entrambi gli stili con cui secondo Ayfre il cinema può mettere in scena il trascendente: Des hommes ovvero lo «stile dell’incarnazione», des Dieux ovvero lo «stile della trascendenza». Lo «stile della trascendenza» sostiene le sequenze in cui è protagonista Dio, a partire da quelle, registrate in presa diretta, dedicate alla rappresentazione dei momenti di preghiera che scandiscono la giornata dei monaci. Ma soprattutto dà corpo a quella che è forse la sequenza più bella del film. Prima dell’epilogo tragico viene rivissuto il memoriale dell’ultima cena: sulle note del Lago dei cigni di Tchaïkovski i monaci si siedono intorno alla tavola e, bevendo il vino del sacrificio, godono di un momento di grazia. Con grande maestria, Beauvois sottolinea la dimensione comunitaria che sostiene la storia di questi uomini di Dio, le cui identità sono tenute insieme da un montaggio serrato che, in un crescendo di grande impatto, alterna inquadrature sempre più ravvicinate dei singoli monaci. Lo «stile dell’incarnazione» governa invece il resto del film – la quotidianità del lavoro dei monaci, i loro rapporti con la comunità locale, il sacrificio finale – adottando, e riattualizzando, toni di ispirazione neorealista.13 Diverso è il caso di Io sono con te, film italiano diretto da Guido Chiesa, centrato sulla maternità di Maria di Nazaret e sul progetto educativo con cui ci si immagina possa essere stato cresciuto suo figlio Gesù. Realizzato nel 2010 e presentato al Festival di Roma dello stesso anno, il film ha poi avuto una distribuzione a singhiozzo che ha di fatto suscitato più perplessità che entusiasmi. 50 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 Pagina 50 Se Beauvois si dimostra attento nel conservarsi a distanza dalla materia rappresentata, nell’evitare di indirizzare in modo univoco la lettura degli eventi messi in scena, l’intento di Chiesa è di realizzare un film a tesi. Una tesi così sintetizzabile: dietro alla vicenda della nascita del Salvatore vi sarebbe la straordinarietà di Maria, una pedagoga ribelle, che cresce suo figlio secondo i principi dell’amore, in aperto contrasto con la mentalità maschilista e legalista della cultura ebraica dell’epoca. Si tratta con tutta evidenza di un film che ribalta (un po’ schematicamente) la «prospettiva di genere» con cui ci è stata tramandata la storia sacra, facendo di Giuseppe sostanzialmente un debole che accetta con poca convinzione le imposizioni di Maria, la quale al contrario è rappresentata come un personaggio forte e volitivo, oltre che sempre sorridente, mai a disagio, sostenuta da un’energia incrollabile, che le consente di partorire da sola e di crescere poi suo figlio ignorando le leggi ebraiche. Il rischio è che l’agiografia cacciata dalla porta rientri dalla finestra: un’agiografia di nuovo conio, senz’altro più umana della precedente, ma non meno eroica. Di un eroismo di stampo troppo scopertamente moderno (figlio della cultura della «non violenza» e di un certo femminismo) per non rischiare di fare a pugni con la tradizione evangelica. Un film così palesemente a tesi è naturale che venga discusso sulla base dell’accettazione o meno della tesi in questione.14 Ma ciò per un film d’argomento religioso rappresenta un grosso rischio: il rischio è che la personale prospettiva del regista finisca di fatto per occupare l’intera scena, spingendo in un angolo il mistero del sacro. Che è precisamente quanto non accade in Uomini di Dio, dove, pur nel contesto di una vicenda molto più umana di quella raccontata da Chiesa, si respira la verticalità dell’esperienza religiosa. Tomaso Subini 1 Come la rivista dell’Università del Nebraska The Journal of Religion and Film, on-line all’indirizzo Internet www.unomaha.edu. 2 Sul prete nel cinema si veda E. ALBERIONE, D.E. VIGANÒ, I preti del cinema, Effatà, Milano 1995; D.E. VIGANÒ, Tonaca nera vs colletto bianco. Immagini del prete nel cinema. Nove sguardi d’autore, La Cittadella, Assisi 2010. 3 Alcuni materiali della mostra sono ancora disponibili on-line all’indirizzo internet www.museonazionaledelcinema.it, aprendo la pagina «Collezioni» e successivamente quella «Collezioni on-line». 4 D.E. VIGANÒ, Gesù e la macchina da presa. Dizionario ragionato del cinema cristologico, Lateran University Press, Roma 2005. Sul cinema cristologico cf. L. BAUGH, Imaging the Divine. Jesus and Christ-Figures in Film, Rowman & Littlefield, Lanham-Boulder et alia, Kansas City (MO) 1997. Un originale e agile percorso in lingua italiana è tracciato in G. BERTAGNA, Il volto di Gesù nel cinema, Pardes, Bologna 2005. 5 Cf. A. BAZIN, Qu’est-ce que le cinéma? I. Ontologie et Langage, Cerf, Paris 1958, 17. 6 Per l’importanza assunta da questo tema, tanto a livello accademico quanto a livello più divulgativo, Il Regno ha deciso di aprire le sue pagine a una serie di contributi a esso dedicati. Si cercherà di evitare l’errore di concentrare l’analisi esclusivamente su film con tematiche apertamente religiose: una tale chiusura correrebbe infatti il rischio di riportarci all’epoca in cui le sale parrocchiali proiettavano quasi esclusivamente film biblici e agiografici, nonostante fossero spesso espressione di propositi unicamente commerciali. Ma nondimeno riteniamo pericolosa un’eccessiva apertura, contestabile a molti studi recenti sugli aspetti religiosi del cinema popolare, a volte impegnati in dotte disquisizioni sui sottotesti biblici di Psyco e Terminator. Ci si occuperà prevalentemente di film contemporanei, ma con qualche apertura su film del passato ancora «vitali». Si cercherà di capire il presente e quanto ci accade intorno, ma mettendo in gioco un bagaglio di sapere figlio di una tradizione ormai consolidata. 7 F. CASETTI, L’occhio del Novecento. Cinema, esperienze, modernità, Bompiani, Milano 2005. 8 Tutte le citazioni relative a don Milani sono tratte dalla lettera inviata il 15 febbraio 1952 da Milani al regista Maurice Cloche, in M. GESUALDI (a cura di), Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori, Milano 1970, 6-14. 9 BAUGH, Imaging the Divine, 94. 10 A. AYFRE, «Il senso cristiano del mondo delle immagini. Primi passi verso una teologia delle immagini», in Rivista del cinematografo n. 2, febbraio 1964, 70-75. 11 M. SCORSESE, Scorsese on Scorsese, a cura di Ian Christie e David Thompson, Faber and Faber, London 2003; tr. it. Scorsese secondo Scorsese, Ubulibri, Milano 2003, 160-161. 12 Su Regno-att. 18,2010,592 lo ha presentato al pubblico italiano, definendolo «un dono di Dio», l’arcivescovo emerito di Algeri, mons. H. Teissier. 13 Del resto per Ayfre uno dei più grandi maestri dello «stile dell’incarnazione» è proprio il padre del cosiddetto Neorealismo italiano, Roberto Rossellini. Il film di Beauvois condivide con il cinema di Rossellini l’aderenza del soggetto a fatti reali della storia recente, le ambientazioni autentiche (la location è in Marocco, presso un antico monastero benedettino in rovina rimesso in sesto dallo scenografo), l’amalgama tra interpreti presi dalla strada e attori professionisti, la confezione dimessa (troupe leggera, basso budget). 14 Un’equilibrata lettura del film, intelligentemente dosata nel mettere in luce i pregi e i difetti del testo, è in D. ZORDAN, «Gesù, il figlio del desiderio? “Io sono con te” di Guido Chiesa tra umanizzazione e idealizzazione», in Cabiria nuova serie n. 168, maggio-settembre 2011, 83-101. 51-54_intervista CERN:Layout 2 30-01-2012 16:47 Pagina 51 Fede e scienze DIALOGHI p assione per la verità Intervista al fisico Ugo Amaldi N 12 gennaio 2012. egli ultimi mesi del 2011, il CERN di Ginevra ha annunciato due risultati sperimentali che hanno riscosso l’attenzione mondiale per le possibili sorprendenti conseguenze. Il 23 settembre: un esperimento che cercava tutt’altro sembra indicare che i neutrini viaggino a una velocità superiore a quella della luce, ritenuta finora il limite della velocità nel cosmo. Il 13 dicembre: due esperimenti con l’acceleratore Large Hadron Collider (LHC) segnano Il rivelatore ATLAS di LHC presso il CERN di Ginevra. un passo avanti nella ricerca dell’elusivo bosone di Higgs. Alcune evidenze registrate permettono ora di restringere il campo d’indagine: se esiste, questa cosiddetta «particella di Dio» ha una massa inclusa con grande probabilità in un certo intervallo individuato. «Nessuno come l’uomo chino sulla materia – scriveva Teilhard de Chardin – comprende quanto Cristo, grazie alla sua incarnazione, sia interno al mondo, radicato nel mondo fin nel cuore del più piccolo atomo». L’originale definizione «particella di Dio» interroga. Da un lato, sul permanere tenace di categorie religiose in tempo e ambiti di forte secolarità. Dall’altro, sul significato e sul valore che l’uomo di fede può e deve attribuire a tali risultati e alla scienza in generale. Tanto più interessante ascoltare quest’uomo se, oltre a essere credente, ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca scientifica ad altissimo livello, come il prof. Ugo Amaldi. Figlio di Edoardo, anch’egli fisico nel celebre gruppo di Enrico Fermi, è stato per 25 anni ricercatore al CERN, dove ha fondato e diretto una delle grandi collaborazioni internazionali – di oltre 500 fisici – che ha lavorato sul precedente acceleratore di particelle, il Large Electron-Positron Collider (LEP). Oltre 400 pubblicazioni testimoniano la sua attività scientifica nei campi della fisica atomica, delle particelle fondamentali e degli acceleratori. Conoscendo la sua passione per l’insegnamento e la divulgazione, e sapendo del suo vivo interesse per le cosiddette questioni «di confine» tra scienza e fede, lo abbiamo raggiunto per intervistarlo durante un viaggio tra Berna e Ginevra. Ritorno alle origini – Prof. Amaldi, partiamo dai suoi interessi attuali che, se non sbaglio, la vedono impegnato a tempo pieno su un fronte che la riporta in qualche modo agli inizi della sua carriera di ricercatore. «Proprio così. Da giovane ricercatore mi ero occupato, presso i laboratori di fisica dell’Istituto superiore di sanità, di radiazioni per la terapia del cancro. Vent’anni fa insieme a dei colleghi abbiamo creato la Fondazione per l’adro- IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 51 51-54_intervista CERN:Layout 2 30-01-2012 terapia oncologica (TERA), di cui sono presidente, allo scopo di promuovere in Italia e in Europa una radioterapia che non utilizza fasci di raggi X, ma fasci di protoni o ioni carbonio (che sono tra le particelle denominate “adroni”; ndr), i quali penetrano nel corpo del paziente depositando nel tumore solido, anche profondo, dosi letali di radiazione risparmiando i tessuti sani meglio dei convenzionali raggi X. In particolare, gli ioni carbonio permettono di trattare anche i cosiddetti tumori radioresistenti, quelli che non si riescono a curare coi raggi X e nemmeno coi protoni. A partire dal 1992 TERA ha progettato, in collaborazione con il CERN, l’acceleratore e tutti i sistemi tecnici necessari al trattamento di migliaia di pazienti all’anno e, finalmente, nel 2001 abbiamo ottenuto l’approvazione del primo finanziamento dall’allora ministro Veronesi. Con la conferma del finanziamento ministeriale da parte del ministro Sirchia, è stato realizzato a Pavia il primo centro italiano (il secondo in Europa) di radioterapia adronica. Il progetto è stato affidato a una fondazione creata ad hoc e denominata Centro nazionale di adroterapia oncologica (CNAO), la quale si è avvalsa del prezioso contributo dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN). Nell’ottobre del 2010 sono stati prodotti i primi fasci di particelle accelerate all’energia necessaria per penetrare fino a 30 centimetri nel corpo umano. Lo scorso settembre è stato trattato il primo paziente. Tra tre anni si prevede di trattarne tra 2.000 e 3.000 all’anno, in particolare con ioni carbonio. In Italia, ogni anno, sono circa 3.500 i casi di tumori radioresistenti che necessiterebbero di questa terapia». – I risultati sperimentali annunciati tra settembre e dicembre hanno fatto scalpore e messo in fibrillazione il mondo scientifico. Qualcuno ha parlato della possibile soglia di una nuova fisica. Quali scenari si possono prevedere? «Anzitutto bisogna chiarire che si tratta di due problematiche del tutto diverse e indipendenti. La questione della velocità dei neutrini ha a che fare con una delle teorie – la Relatività ristretta di Einstein – tra le più utilizzate e verificate nell’ultimo secolo da una serie innumerevole di esperimenti. La 52 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 16:47 Pagina 52 ricerca della particella di Higgs, invece, riguarda la teoria del “modello standard” della fisica delle particelle, e in particolare è legata alla necessità di capire come mai nel nostro universo esistano – e si possono produrre con gli acceleratori – 24 tipi di particelle che hanno caratteristiche e massa completamente differenti». Modificare la Teoria della relatività? – Cominciamo dai neutrini. «I neutrini sono particelle molto particolari, simili agli elettroni, ma senza carica e poco reattivi, tanto che possono attraversare l’universo intero senza praticamente interagire. La notizia è che per la prima volta è stata eseguita una misura accurata della velocità con cui tali particelle viaggiano nello spazio che, per le loro caratteristiche, è come se fosse assolutamente vuoto. Tutte le misure finora effettuate sulla velocità di altre particelle avevano confermato l’assunto fondamentale della Relatività, secondo il quale nessuna di esse può viaggiare a una velocità superiore a quella della luce. La velocità dei neutrini non era mai stata misurata con tanta precisione. Durante l’esperimento OPERA (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus), condotto da un gruppo di fisici in prevalenza italiani e giapponesi e guidata dal prof. Antonio Ereditato – un fisico dell’INFN di Napoli chiamato alla cattedra di Berna – è stato usato uno strumento, costruito per tutt’altro scopo, modificato con l’aggiunta di strumentazioni molto precise al fine di misurare il tempo impiegato dai neutrini tra il punto di produzione – un tunnel del CERN – e il rivelatore dell’interazione di neutrini, in una caverna nei laboratori dell’INFN al Gran Sasso. La distanza (circa 730 Km) è stata stimata con un errore inferiore ai 2 metri da due sistemi GPS metrologici accuratissimi. Dalla misura del tempo di percorrenza – invero piuttosto complicata – ci si attendeva una conferma che non è arrivata: i neutrini sembrano impiegare un tempo, seppur di pochissimo, inferiore a quello che impiegherebbe un fascio di luce. Il risultato deve essere ovviamente confermato e si rendono necessarie misure indipendenti. Motivo per cui il gruppo di OPERA ha deciso di sottoporre i risultati all’esame della comunità scientifica. Due gruppi di scienziati, negli Stati Uniti e in Giappone, stanno ripetendo l’esperimento. Prima di trarre qualsiasi conclusione si deve attendere una conferma almeno altrettanto attendibile». – Che cosa accadrebbe nella comunità scientifica se il fenomeno venisse confermato? «La reazione degli scienziati non sarebbe la stessa. Già oggi c’è chi non crede ai risultati, ritenendo la cosa impossibile, e chi vorrebbe modificare drasticamente la Teoria della relatività. Il metodo scientifico ci suggerisce la scelta più conservativa, ovvero non abbandonare subito quanto è già stato raggiunto a livello teorico – soprattutto se ben provato come la Relatività –, tentando prima altre spiegazioni. Si potrebbe, ad esempio, ipotizzare che il fenomeno – se fosse verificato – riguardi solo i neutrini e non le altre particelle. In forza della loro particolarissima natura essi potrebbero esplorare durante il viaggio una quarta dimensione fisica prendendo, per così dire, una sorta di scorciatoia lungo il percorso. Si tratta, ovviamente, solo di un’ipotesi che, pur richiamando in qualche modo la Teoria delle superstringhe, non ha al momento il sostegno di alcuna teoria provata e ha anche alcune gravi controindicazioni». Il grande ricercato – Veniamo alla seconda questione: le evidenze sperimentali della particella di Higgs che LHC sembra aver registrato e che sono state annunciate ufficialmente nel seminario del 13 dicembre. «La costruzione del “modello standard” della fisica delle particelle è stata un’avventura straordinaria del XX secolo: dall’ipotesi dei quanti di energia di Max Planck (1900) allo spegnimento del LEP (2000). Questo modello – per cui “la stoffa” del nostro universo fisico sarebbe costituita di 24 particelle, 12 “particellemateria” e 12 “particelle-forza” – è però insoddisfacente. Infatti, non c’è modo di capire come tutte queste particelle abbiano massa. Esiste, infatti, un potentissimo principio teorico, che in italiano si può chiamare principio di “invarianza locale per ricalibratura” (in inglese local gauge invariance), che per- 51-54_intervista CERN:Layout 2 30-01-2012 mette di dedurre dal fatto che esistono le 12 particelle-materia la necessità che esistano proprio quelle 12 particelleforza. Poter ricavare le forze dalle particelle è un risultato straordinario dal punto di vista teorico; probabilmente è il più grande successo della fisica teorica del XX secolo dopo la meccanica quantistica. Ma tale principio ha un grave inconveniente: prevede che tutte le 24 particelle del modello abbiano massa nulla, il che significherebbe l’impossibilità fisica dell’esistenza di tutto ciò che esiste, ovvero dell’universo materiale. Per risolvere questo problema, i fisici non hanno trovato di meglio che ipotizzare l’esistenza di un campo – il cosiddetto campo di Higgs – che dovrebbe esistere in tutto lo spazio fin dal tempo del Big Bang e interagire con le altre particelle in modo differenziato: molto con quelle più pesanti, che verrebbero maggiormente rallentate; meno con quelle più leggere e più veloci, come il neutrino. Si tratta di un ingrediente essenziale della fisica del XX secolo che al LEP abbiamo inseguito disperatamente fino all’ultimo giorno, perché sembrava che fossimo davvero vicini a rintracciarlo». – Spento il LEP si è aperta la stagione attuale, quella di LHC. «È stata una decisione combattuta, ma alla fine si è stabilito che il LEP non avesse abbastanza energia per proseguire gli esperimenti. Si è così scelto di smantellarlo per fare posto all’LHC col quale – grazie a collisioni tra protoni che circolano in un anello di mille magneti superconduttori – si dispone di un’energia dieci volte superiore. L’energia però non è tutto, perché la particella di Higgs è un evento estremamente raro e difficile da registrare per la sua instabilità: ci sono voluti due anni di raccolta dati e la produzione di milioni di miliardi di eventi per arrivare, forse, all’evidenza di qualche decina di tali particelle. Il 13 dicembre, i responsabili di due degli esperimenti di LHC – i fisici italiani Fabiola Gianotti e Guido Tonelli2 – hanno comunicato lo stato della ricerca, senza poter fare alcun annuncio circa l’esistenza o la non esistenza della particella. Infatti, sebbene i dati raccolti siano già cinque volte superiori a quelli preventivati, non sono ancora suf- 16:47 Pagina 53 ficienti a fare affermazioni conclusive. Diciamo così: combinando i risultati ottenuti la probabilità che la particella di Higgs, se esiste, sia nell’intervallo di massa individuato è superiore al 9899%. Si è ristretto il campo di ricerca, ma al momento non si può dire di più. Entro il 2012 si spera di arrivare alla risposta definitiva. A quel punto o si vedrà confermata la presenza della particella di Higgs in quell’intervallo, oppure saremo quasi certi che non esiste». – E se si dovesse ammettere che il ricercato non esiste? «Mi lasci dire che il pensiero della non esistenza per uno scienziato è perfino più eccitante. Se esiste la particella – e quindi se esiste il campo di Higgs – avremo conferma di una bellissima teoria. Ma se non esiste… allora saremo “in braghe di tela” e si aprirebbe davvero una stagione nuova e diversa per la fisica». Questioni tra scienza e fede – «Sono convinto che non ci sia per la vita religiosa nutrimento naturale più potente del contatto con le realtà scientifiche ben comprese», scriveva ancora Teilhard. Quali sono i punti di distanza e quelli di contatto, e direi anche quali attenzioni è necessario avere, ipotizzando possibili ricadute di tali risultati sul dialogo tra il mondo scientifico e quello della fede? Penso al nome «particella di Dio», ma anche al significato della realtà, questione che la nuova comprensione fisica del mondo ripropone con forza. «Anzitutto, a me la definizione “particella di Dio” non piace affatto. La dobbiamo a una scelta del Nobel americano Leon Ledermann, che la inventò con intelligenza per vendere un bel libro3 sulla teoria di Higgs e sugli esperimenti che conduceva al Fermilab di Chicago. Se si volesse far uso della metafora sarebbe più corretto parlare di “campo di Dio”, in quanto la teoria prevede l’esistenza del campo di Higgs per dare massa, cioè consistenza, a tutte le altre particelle. Utilizzando il linguaggio filosofico, un passaggio necessario ogni volta che affrontiamo questioni di “confine”, avere massa vuol dire esistere. Si potrebbe quindi sostenere che il campo di Higgs sia quell’entità diffusa ovunque che mantiene nell’essere le particelle, le quali, di loro natura, avrebbero massa nulla per il IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 53 A CURA DI STEFANIE KNAUSS DAVIDE ZORDAN La promessa immaginata Proposte per una teologia estetica fondamentale saggi raccolti nel volume intendono contribuire alla comprensione del ruolo della teologia nell’epoca contemporanea. Li accomuna il presupposto che la teologia fondamentale, per non accontentarsi di essere un vago aggiornamento dell’apologetica, deve implicare un’estetica intesa inscindibilmente come teoria dell’arte e del sentire. I «SCIENZE RELIGIOSE - NUOVA SERIE» pp. 400 - € 28,50 www.dehoniane.it EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Fax 051 4290099 IRSEF Famiglia, educazione, maturazione umana A cura di Lorenzo Macario e Angela Ferrari Crivelli L’ Istituto di ricerche e studi sull’educazione e la famiglia presenta un’importante riflessione pedagogica sul rapporto tra l’ambiente educativo e la maturazione umana, e sul ruolo dell’esperienza individuale e di gruppo nella crescita della persona. Il testo, frutto di incontri con genitori, operatori di pastorale familiare e responsabili di gruppi giovanili, è anche l’ultimo lavoro del prof. Macario, sdb (1934-2011). «GENITORI-FIGLI E FORMAZIONE» pp. 152 - € 12,50 www.dehoniane.it EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Fax 051 4290099 51-54_intervista CERN:Layout 2 30-01-2012 principio di invarianza di cui ho parlato. L’unico modo in cui posso giustificare l’uso della metafora per uscire dall’ambito scientifico è quello di sostenere che il Creatore, creando un universo che “si fa da sé” – come io penso si debba dire oggi –, ovvero creando una realtà in grado di sviluppare le sue potenzialità fino all’autocoscienza e alla libertà, che sono le strutture di base dello spirito, abbia potuto “scegliere” l’esistenza di questo campo, che occuperebbe tutto lo spazio fin dal Big Bang, quale riflesso del suo “mantenere le cose nell’essere”. Questo mi sembra l’unico modo di utilizzare una dizione che è del tutto ingiustificata per una particella. Ma una cosa deve essere chiara: anche riferendoci a un impalpabile campo, diffuso da sempre in tutto l’universo, parliamo sempre di fenomeni fisici che non hanno di per sé alcuna relazione immediata col mondo spirituale e non possono essere strumentalizzati né a favore né contro tale dimensione». – La fisica dell’infinitamente piccolo solleva domande importanti sulla realtà degli oggetti studiati e quindi sul senso della realtà più in generale. Che cosa è reale e che cosa non lo è in fisica? Qual è la posizione dello scienziato credente? «Sono convinto che tra gli scienziati di opzioni filosofiche o religiose diverse non vi sia alcuna sostanziale differenza di approccio all’attività scientifica, rispondendo tutti alla curiosità intrinseca dell’essere umano che spinge a voler sapere come è fatta la realtà. La sola differenza che io vedo è sui fondamenti, non sul modo di fare scienza: si tratta quindi proprio della visione della realtà. Mi sembra evidente che uno scienziato, se è credente, non può che essere ciò che filosoficamente si dice un “realista”, ovvero uno che crede all’esistenza di una realtà fuori di sé, ritenendo egli che tale realtà sia opera di un Creatore e, quindi, essendo consapevole che coi suoi esperimenti osserva un riflesso, sempre parziale e mai del tutto soddisfacente, di questa realtà. Se invece è ateo, o agnostico, potrà più facilmente parlare di quanto osserva rifiutandosi di entrare nella questione, eminentemente filosofica, dell’esistenza o dell’origine della realtà osservata. Il risultato del suo lavoro può essere interpretato da un fisico delle particelle 54 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 16:47 Pagina 54 come semplice fenomeno naturale, o come il riflesso della volontà di un creatore trascendente di dare forma a un universo straordinariamente complesso e “fertile”, come dice p. George Coyne. Ricordando bene, però, – e ci tengo a sottolinearlo ancora – che Dio non ha creato nei dettagli tutto quello che noi osserviamo oggi, ma ha dato vita a un universo che aveva e ha in sé le potenzialità di produrre l’incredibile varietà di sistemi, di esseri, di fenomeni che noi possiamo ammirare, anche facendo ricerca nel campo della fisica subatomica». Fiducia nello «sforzo umano» – Come vive, da credente, l’avventura di una ricerca scientifica a questo livello, così avanzata per strumenti, mezzi e personale investito, ma anche al centro dell’attenzione mondiale per l’importanza dei risultati attesi? «In un momento così difficile per la vita sociale, soprattutto nel mondo occidentale, vedere tanti giovani scienziati – molti dei quali italiani – pieni di entusiasmo che dedicano la loro vita, con stipendi spesso modesti, a cercare di capire come è fatto il mondo, collaborando a partire da posizioni filosofiche e culturali del tutto differenti, è una bella speranza per il futuro dell’umanità che non può che far piacere all’uomo credente. Il cristiano, infatti, crede in un Dio che lo invita ad avere fiducia nelle potenzialità dell’uomo. Verificare a questi livelli che esiste la possibilità di lavorare insieme senza essere mossi solo da ambizioni o da intrecci economici, è una bella speranza per chi crede nella capacità dell’uomo di ricercare la verità al di sopra degli interessi e degli egoismi di parte. Ci sono senz’altro forti volontà di primeggiare dietro le grandi collaborazioni scientifiche internazionali. Ma nei laboratori c’è sempre anche una sincera volontà di superare le differenze che crea uno spirito di collaborazione convinta e appassionata superiore a convinzioni e opzioni di vita anche molto differenti. Un atteggiamento a cui noi credenti dovremmo puntare sempre». – Mi sembra di capire che a questo livello la scienza si annuncia come terreno di possibile avanguardia, o almeno di valida sperimentazione, per quella ri- cerca comune nel dialogo tra credenti e non credenti, che è una delle linee del pontificato attuale. Le chiederei in conclusione se ha un suggerimento da rivolgere agli uomini di Chiesa in vista del dialogo col mondo scientifico. «Se posso iniziare con una battuta, direi che già Galilei si era mostrato più avanti di certi uomini di Chiesa del suo tempo quando, citando il card. Baronio, aveva scritto che la Bibbia ci insegna come si va in cielo e non come vanno i cieli. Giovanni Paolo II ha saputo riconoscerlo e non mi sorprende costatare che anche oggi gli scienziati possano essere in qualche modo all’avanguardia in quel dialogo tra appassionati cercatori della verità che il papa sollecita. Quanto al mio suggerimento direi così. Mentre quando si parla di fisica o astronomia i contrasti tra fede e scienza sono abbastanza facili da dirimere, se si ha una visione aperta e non ideologica, quando ci si avvicina ad ambiti della scienza che toccano nelle applicazioni temi eticamente sensibili, ovvero nell’ambito dei cosiddetti valori non negoziabili, le questioni si fanno più delicate. Il mio desiderio sarebbe che gli uomini di Chiesa, quando si pronunciano su determinati argomenti, fossero capaci di una chiara distinzione delle questioni e cogliessero che parlare di temi non negoziabili rischia, all’orecchio degli scienziati, di suonare come una preclusione alla ricerca per essi difficilmente accettabile. Si dovrebbe distinguere, dunque, tra i necessari consigli e orientamenti etici e un eventuale freno alla ricerca imposto per paura che possano nascere questioni delicate. È su questo che molto spesso si divide la coscienza degli scienziati credenti». a cura di Marco Bernardoni 1 L’intervallo di massa individuato per la particella di Higgs incrociando i dati degli esperimenti ATLAS (A Toroidal LHC Apparatus) e CMS (Compact Muon Solenoid) è compreso tra 117 GeV e 131 GeV. 2 La dott.ssa Fabiola Gianotti e il dott. Guido Tonelli sono direttori e portavoce rispettivamente degli esperimenti ATLAS e CMS. 3 L. LEDERMAN (e D. TERESI), The God particle. If the Universe is the Answer, What is the Question?, Dell Publishing, New York 1993. 55_diario:Layout 2 30-01-2012 11:26 Pagina 55 diario ecumenico DICEMBRE 2011 CEC – Libertà religiosa. Il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) ha avviato un processo di studio sulla situazione della libertà religiosa nel mondo nel corso di una consultazione internazionale tenutasi a Istanbul dal 28 novembre al 1° dicembre presso il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. Sono stati esaminati 27 paesi in diverse regioni del mondo, oltre a diversi esempi di violazione della libertà religiosa e di soluzioni positive per la tutela di tale diritto. Il prossimo incontro – nel quale sarà presentato un primo rapporto sulla libertà religiosa – si terrà in Cina in giugno. Mosca – Chiesa ortodossa ed elezioni. Il 4 dicembre si svolgono in Russia le elezioni per il rinnovo della Duma, la Camera bassa del Parlamento, con la vittoria, tra accuse di brogli e irregolarità, del partito di governo Russia unita. Dopo la proclamazione dei risultati monta un movimento di protesta che porta in piazza oltre 50.000 persone il 10 dicembre e oltre 100.000 il 24 dicembre, nelle manifestazioni più grandi degli ultimi 15 anni. Gli indignados russi sono per lo più cittadini appartenenti alla classe media, che chiedono l’annullamento del voto e l’indizione di nuove elezioni politiche in febbraio. Il Patriarcato di Mosca, schierato su una posizione I cristiani nel mondo – Statistiche. Il 21 dicembre viene diffusa dal Pew Forum (www.pewforum.org), autorevole istituto di statistica americano, la ricerca Gobal Christianity sulla diffusione e la distribuzione della popolazione cristiana globale. Il cristianesimo emerge come la religione più diffusa nel mondo, con 2,18 miliardi di persone (1,6 miliardi i musulmani). I cattolici sono il 50,1% dei cristiani, i protestanti il 37%, gli ortodossi il 12% e il resto seguaci di varie denominazioni. Globalmente i cristiani rappresentano all’incirca la stessa percentuale di popolazione di cento anni fa, ma è molto diversa la loro distribuzione geografica. Oggi il maggior numero di cristiani (36,8%) è nelle Americhe, mentre l’Europa è al secondo posto (25,9%). L’Africa sub-sahariana ora rappresenta il 23,6% dei cristiani e l’Asia-Pacifico il 13,1%. «Alcuni dati – si legge nella sintesi della ricerca – evidenziano quanta strada il cristianesimo abbia percorso dalle sue origini storiche: benché sia nato nel Medio Oriente, oggi questa regione ha sia la minore concentrazione di cristiani (circa il 4% della popolazione) sia il minor numero di cristiani (circa 13 milioni); l’Indonesia, un paese a maggioranza musulmana, ospita più cristiani di tutti i 20 paesi del Medio Oriente messi insieme; la Nigeria ora ha il doppio dei protestanti (in senso lato, compresi anglicani e Chiese indipendenti) della Germania, luogo d’origine della Riforma; il Brasile ha il doppio dei cattolici che ha l’Italia; benché i cristiani costituiscano meno di un terzo della popolazione mondiale, sono la maggioranza in 158 paesi, circa i due terzi del totale; circa il 90% dei cristiani vive in paesi dove i cristiani costituiscono la maggioranza della popolazione, mentre solo il 10% circa dei cristiani nel mondo vive in condizione di minoranza». I cattolici sono in tutto 1.100 milioni. I protestanti sono 801 milioni. Solo 2 dei paesi con la più numerosa comunità protestante sono ormai europei. Gli ortodossi sono 260 milioni, il 39% dei quali in Russia. Quanto ai movimenti trans-denominazionali, i cristiani pentecostali sono circa 279 milioni, i carismatici 305 milioni e gli evangelicali 285 milioni. di endorsement rispetto al governo, è costretto a mediare rispetto a un discreto numero di preti e fedeli che condividono le ragioni della protesta. Il patriarca Cirillo chiede il 18 dicembre l’apertura di «un vero dialogo civile in modo da non distruggere la vita della nazione»; esorta le autorità civili ad ascoltare le ragioni del popolo; e a metà gennaio, in un’intervista trasmessa sul primo canale della televisione, esorta il potere politico ad agire secondo verità e a dimostrare di sapersi riformare. Cipro – Ebrei e ortodossi. Il 6 dicembre Yona Metzger, gran rabbino d’Israele, e l’arcivescovo ortodosso Chrysostomos, primate della Chiesa di Cipro (una delle 14 Chiese ortodosse autocefale, cioè indipendenti), firmano a Nicosia una dichiarazione comune che definisce illegittima la dottrina della colpevolezza collettiva degli ebrei per il deicidio di Gesù. È la prima volta che una Chiesa ortodossa rigetta esplicitamente tale dottrina, che ha costituito nella storia uno dei principali fattori di sviluppo dell’antisemitismo. Nella dichiarazione i due leader religiosi condannano il proselitismo e s’impegnano inoltre a rafforzare le relazioni tra la Chiesa e il popolo ebraico. Il gesto si accompagna a un più generale rafforzamento dei legami tra Cipro e Israele, contemporaneamente all’indebolirsi delle relazioni tra quest’ultimo e la Turchia. Dialogo cattolici-giainisti. Ha luogo a Roma il 6 dicembre il secondo incontro (il primo si era tenuto nel 1995) fra una delegazione del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, guidata dal presidente, il card. Jean-Louis Tauran, e una delegazione giainista, presieduta da Nemu Chandaria, vicepresidente del Consiglio direttivo dell’Istituto giainista. Il giainismo, che conta circa 3 milioni di adepti concentrati soprattutto nella regione indiana del Gujarat, predica la dottrina della ahimsa, il rispetto assoluto verso qualsiasi forma di vita. Nel corso del colloquio vengono esaminati il principio giainista della «non violenza» e quello cristiano della «carità», e vengono individuati elementi comuni che possono promuovere la collaborazione reciproca. Il rabbino Jonathan Sacks dal papa. Ricambiando la visita ricevuta nel settembre 2010 da Benedetto XVI nel corso del suo viaggio nel Regno Unito, e ricordata come «un bellissimo momento», il 12 dicembre il rabbino capo delle Congregazioni ebraiche unite del Commonwealth, Jonathan Sacks, fa visita a Benedetto XVI. Durante l’incontro, a porte chiuse, lord Sacks esprime le proprie preoccupazioni per il declino della fede e la perdita dell’anima dell’Europa, incontrando profonda consonanza spirituale da parte del papa. Le stesse riflessioni vengono successivamente proposte dal rabbino nella conferenza su «L’Europa ha perso la sua anima?», presso il Centro «Cardinale Bea» della Pontificia università gregoriana. Berlino – Incontro europeo dei giovani di Taizé. Si volge a Berlino dal 28 dicembre al 1° gennaio il XXXIV Pellegrinaggio di fiducia sulla terra. Frère Alois, priore della comunità di Taizé, che ogni fine anno organizza questo momento di spiritualità e scambio tra giovani di paesi e confessioni cristiane diverse in una città europea, annuncia ufficialmente che l’edizione 2012 si svolgerà a Roma, su invito e con la partecipazione del papa. L’appuntamento dunque sarà un po’ diverso dal solito; i giovani si riuniranno per pregare ma nelle grandi basiliche romane anziché presso la fiera. Daniela Sala IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 55 a 56_agenda:Layout 2 30-01-2012 11:27 Pagina 56 agenda vaticana DICEMBRE 2011 Mozambico. Un accordo di cooperazione e di amicizia viene firmato il 7 dicembre tra Santa Sede e Mozambico: è il primo accordo di quadro con un paese dell’Africa australe e si compone di un preambolo e di 23 articoli che regolano vari ambiti tra i quali lo statuto giuridico della Chiesa cattolica in Mozambico, il riconoscimento dei titoli di studio e del matrimonio canonico, il regime fiscale. ICI-IMU e Chiesa. «Il problema dell’ICI – dice ai giornalisti il card. Tarcisio Bertone il 7 dicembre in risposta a una polemica abituale ma riaccesa dal dibattito sulla “manovra” del governo Monti (cf. Regno-att. 22,2011,729) – è un problema particolare, da studiare e da approfondire. Però la Chiesa fa la sua parte, soprattutto a favore delle fasce più deboli della popolazione». Più puntuali il giorno dopo le parole del card. Angelo Bagnasco: «In linea di principio, la normativa vigente è giusta, in quanto riconosce il valore sociale delle attività svolte da una pluralità di enti non profit e, fra questi, dagli enti ecclesiastici. È altrettanto giusto, se vi sono dei casi concreti nei quali un tributo dovuto non è stato pagato, che l’abuso sia accertato e abbia fine. In quest’ottica non vi sono da parte nostra preclusioni pregiudiziali circa eventuali approfondimenti volti a valutare la chiarezza delle formule normative vigenti, con riferimento a tutto il mondo dei soggetti non profit, oggetto dell’attuale esenzione». Segnata dai nostri peccati. «L’unica insidia di cui la Chiesa può e deve aver timore è il peccato dei suoi membri. Mentre infatti Maria è immacolata, libera da ogni macchia di peccato, la Chiesa è santa, ma al tempo stesso segnata dai nostri peccati. Per questo il popolo di Dio, peregrinante nel tempo, si rivolge alla sua Madre celeste e domanda il suo aiuto; lo domanda perché ella accompagni il cammino di fede, perché incoraggi l’impegno di vita cristiana e perché dia sostengo alla nostra speranza. Ne abbiamo bisogno, soprattutto in questo momento così difficile per l’Italia, per l’Europa, per varie parti del mondo»: così parla Benedetto XVI nell’omelia dell’8 dicembre durante l’omaggio all’Immacolata in piazza di Spagna. Foley. L’11 dicembre muore il cardinale statunitense John Patrick Foley, 76 anni, gran maestro emerito dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e già presidente del Consiglio delle comunicazioni sociali. Il numero dei cardinali scende a 192, dei quali 109 elettori. Educare i giovani alla pace. «Essere attenti al mondo giovanile, saperlo ascoltare e valorizzare, non è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società, per la costruzione di un futuro di giustizia e di pace»: l’afferma Benedetto XVI nel messaggio per la XLV Giornata mondiale della pace «Educare i giovani alla giustizia e alla pace» pubblicato il 16 dicembre. E ancora: «Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali e internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti». Cf. Regno-doc. 1,2012,1. Ai carcerati di Rebibbia. «So che il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rendere ancora più amara la detenzione: mi sono giunte varie lettere di detenuti che lo sottolineano. È im- 56 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 portante che le istituzioni promuovano un’attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino le strutture, i mezzi, il personale, in modo che i detenuti non scontino mai una “doppia pena”; ed è importante promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione»: così il papa il 18 dicembre in visita ai carcerati di Rebibbia con i quali intavola un dialogo molto vivo, con sei domande e sei risposte, presente il ministro della Giustizia Paola Severino. Cf. Regno-doc. 1,2012,8. Cause dei santi. Il 19 dicembre il papa autorizza la pubblicazione di 23 decreti riguardanti nuovi santi e beati. Tra i sette nuovi santi vi è il sacerdote bresciano e fondatore della Congregazione della Sacra famiglia di Nazaret e della Congregazione delle suore umili serve del Signore (1841-1913), beato dal 1997; nonché la prima santa pellerossa: Caterina Tekakwitha, laica vissuta tra Stati Uniti e Canada dal 1656 al 1680, beata dal 1980. Tedio e gioia della fede. «Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se a essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione e una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci. In questo senso l’incontro in Africa con la gioiosa passione per la fede è stato un grande incoraggiamento. Lì non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile»: così il papa nel discorso alla curia del 22 dicembre nel quale ricorda anche il «modo nuovo dell’essere cristiani» mostrato dai giovani nella Giornata mondiale di Madrid, caratterizzato dall’entusiasmo come quello africano: «La fede rende lieti a partire dal di dentro». Cf. Regno-doc. 1,2012,5. «Dimostra la tua potenza». «In questo momento, in cui il mondo è continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi, gridiamo al Signore: amiamo il tuo essere bambino, la tua non violenza, ma soffriamo per il fatto che la violenza perdura nel mondo, e così ti preghiamo anche: dimostra la tua potenza, o Dio. In questo nostro tempo, in questo nostro mondo, fa’ che i bastoni dell’aguzzino, i mantelli intrisi di sangue e gli stivali rimbombanti dei soldati vengano bruciati, così che la tua pace vinca in questo nostro mondo»: così prega papa Benedetto XVI la notte di Natale in San Pietro, facendo suo il grido di Isaia 9. Il giorno di Natale al termine del messaggio Urbi et orbi Benedetto augura il «buon Natale» in 65 lingue. Nigeria. «Ho appreso con profonda tristezza la notizia degli attentati che, anche quest’anno nel giorno della nascita di Gesù, hanno portato lutto e dolore in alcune chiese della Nigeria. Desidero manifestare la mia sincera e affettuosa vicinanza alla comunità cristiana e a tutti coloro che sono stati colpiti da questo assurdo gesto e invito a pregare il Signore per le numerose vittime. In questo momento voglio ripetere ancora una volta con forza: la violenza è una via che conduce solamente al dolore, alla distruzione e alla morte; il rispetto, la riconciliazione e l’amore sono l’unica via per giungere alla pace»: così parla il papa all’Angelus del 26 dicembre, con riferimento agli attentati che nel giorno di Natale hanno colpito tre chiese cattoliche della Nigeria del Nord provocando la morte di una quarantina di persone. Luigi Accattoli 57-67_dossier:Layout 2 30-01-2012 16:48 Pagina 57 S studio del mese La crisi dell’Unione Europea Europa: un’avventura spirituale nella nostra storia «Stiamo vivendo la fine o la metamorfosi di una grande idea attraverso il ritorno in Europa della politica degli stati?». La domanda che si pone Jacques Delors, che appartiene alla «seconda generazione» dei fondatori dell’Unione Europea, lo porta a definirne l’ispirazione fondatrice come un’«avventura spirituale», perché «lo spirituale abita nelle istituzioni, nelle regole del gioco, nelle politiche e soprattutto nelle pratiche». Essa tuttavia oggi si trova in mezzo alla sua crisi più grave, per non aver conquistato un radicamento popolare e non aver raggiunto il livello dell’unione politica. Ma – sostengono i vescovi dell’UE in un loro recente documento, qui presentato da mons. Gianni Ambrosio – questa «avventura spirituale» si è fatta sin qui promotrice di valori come la solidarietà e la responsabilità, che hanno ispirato un modello socio-economico, l’economia sociale di mercato, che richiede di essere riscoperto e attuato nella sua forma caratteristica a beneficio di tutta l’umanità. IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 57 S tudio del mese 57-67_dossier:Layout 2 58 30-01-2012 16:48 I Pagina 58 l tema potrà apparirvi strano e inusitato. Infatti, si tratta di parlare dell’Europa come di un’avventura spirituale, nel momento in cui una grave crisi economica scuote l’Unione economica e monetaria e nel quale gli egoismi nazionali si scontrano con l’imperativo di estinguere l’incendio che minaccia la zona euro. Vorrei sbarazzarmi subito dei rimproveri di ambiguità, affermando che nessuno ha il monopolio dello spirituale. Ma aggiungo immediatamente che i riferimenti che delimitano la mia riflessione mi collegano a un approccio cristiano. E per giustificare questo confronto fra lo spirituale e la nostra storia umana riprenderò questa riflessione da mons. Dalloz: «Una vera dimensione spirituale non è, oggi più di ieri, una questione di grandi parole e di grandi sentimenti. Se lo spirituale è in sé carnale, bisogna che anche il carnale sia in qualche modo spirituale». Il fondamento di questa riflessione è per me l’appello di Robert Schuman del 9 maggio 1950. A partire di lì, come definire una sessantina d’anni di costruzione europea che ha conosciuto alti e bassi? Essa non è mai stata, come mi piace ripetere, un lungo fiume tranquillo: conflitto di sovranità, conflitto di squilibri economici e conflitto della globalizzazione. Le sfide lanciate sono state superate più o meno bene, senza spezzare il filo dell’ispirazione. Ma indubbiamente la crisi più grave è quella che gli europei affrontano ora. E per il nostro tema non si può evitare di esaminarla, perché lo spirituale abita nelle istituzioni, nelle regole del gioco, nelle politiche e soprattutto nelle pratiche. Allora siamo presi dal dubbio. Stiamo vivendo la fine o la metamorfosi di una grande idea attraverso il ritorno in Europa della politica degli stati, questi «mostri freddi»? O questo progetto ha ancora tutta la sua pertinenza, perché corrisponde alle esigenze della storia e della globalizzazione, e anche perché nasconde un supplemento d’anima che trascende le attività umane? In principio il perdono e la promessa L’idea di unire i popoli e le nazioni d’Europa nasce nelle tenebre degli anni Trenta del secolo scorso. Sarà una parola profetica, che purtroppo non impedirà gli orrori perpetrati dal razzismo e dalla guerra. Ma diventerà la piccola fata Speranza al Congresso dell’Aia del 1948, con questo tema centrale: «Mai più la guerra fra noi». Gli uomini e le donne presenti a quella riunione non dimenticheranno mai quella specie di giuramento, e molti di loro svolsero in seguito un ruolo decisivo per consolidare il cammino verso un’Europa unita. Ma occorreva un gesto più forte, più intriso di spiritualità. E fu l’appello di Robert Schuman del 1950. Jacques René Rabier, uno dei pionieri di quest’Europa, racconta che all’uscita dalla conferenza del 9 maggio 1950 un giornalista avrebbe chiesto a Schuman: «Ma, signor ministro, ciò che lei propone è un salto nel buio». E Schuman, maliziosamente, IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 avrebbe risposto: «Lei ha ragione, è un salto nel buio». Mi sembra che dobbiamo ad Hannah Arendt la spiegazione più profonda di quest’avvenimento. Nel suo libro La condizione dell’uomo moderno, del 1961, ella fa appello al Vangelo, e più precisamente a Matteo, per sostenere la sua tesi: «Se voi perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi» (Mt 6,14). Ella lega così il perdono e la promessa. Il perdono, che non è oblio, perché senza memoria non si può concepire né costruire un avvenire. La promessa, perché l’altro, dopo i suoi crimini, non sprofondi nella disperazione e nel desiderio di vendetta. Chi potrebbe contestare la grande portata spirituale di questo appello? Questa riconciliazione fra la Germania e i suoi avversari di ieri non piaceva a tutti. C’erano troppi ricordi tragici, troppi rancori, troppe idee di rivincita. Ma la forza spirituale ebbe il sopravvento. Molte iniziative sono seguite per dare un contenuto a questa comunità europea. Alcuni contenuti sono falliti, come la Comunità europea di difesa o come la traduzione costituzionale di un’Europa politica. E infine si è dovuto cominciare dall’economia, e in realtà non ne siamo ancora veramente venuti a capo. Mettere in comune il carbone e l’acciaio, nerbo della guerra all’epoca. Costruire istituzioni capaci di interiorizzare un’autentica cooperazione fra i paesi membri. Fu la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, la CECA. Robert Schuman vedeva lontano quando giustificava la sua proposta: «L’Europa ha bisogno di vivere meglio, mettendo in comune la pienezza delle sue risorse. Essa deve diventare un’entità operante, cosciente delle sue particolarità, e organizzarsi in vista delle sue necessità e delle sue possibilità, in un mondo che cessa di essere una massa informe e confusa». Altri due trattati ebbero come oggetto essenziale l’approfondimento dell’integrazione economica: il trattato del Mercato comune (1957) e il trattato dell’Atto unico (1987), che si spingeva oltre nel campo della solidarietà e tentava di gettare le basi di una politica estera comune. I dibattiti si incentravano sulla realizzazione di questo mercato unico, sull’approfondimento delle politiche comuni – fra cui l’agricoltura, l’aiuto alle regioni in difficoltà o in ritardo – e ovviamente sul contributo finanziario di ogni stato membro alle spese comuni… Ma che cosa diventava il piccolo sassolino bianco collocato da Robert Schuman sul cammino della storia? Allora, presidente della Commissione europea, presi l’iniziativa di consultare tutte le correnti spirituali, compresa la Federazione dei non credenti. Speravo in questo modo di alimentare l’ispirazione iniziale. Al punto che nel 1992, ricevendo il presidente della Chiesa evangelica in Germania, Karl Engelhardt, lanciai un appello a tutte le coscienze in 57-67_dossier:Layout 2 30-01-2012 16:48 Pagina 59 Da sinistra: Jean Monnet e Robert Schuman. questi termini: «Se nel giro di dieci anni non saremo riusciti a dare un’anima, una spiritualità all’Europa, avremo perso la partita». Il mio successore, Jacques Santer, continuò, insistendo sul fatto che le questioni che devono affrontare i responsabili politici «riguardano sempre più spesso il senso, l’orientamento spirituale e la dimensione etica dell’unificazione europea e delle politiche attuate in questo contesto». Venne creato un programma, intitolato «Un’a nima per l’Europa», per finanziare iniziative di riflessione e di stimolo a dare un senso a quest’avventura collettiva. Dello spirituale nel carnale, per riprendere l’espressione di mons. Dalloz. Lo si ritrova in due testi adottati dal Consiglio europeo: la Dichiarazione sui diritti dei lavoratori del 1989 e la Carta dei diritti fondamentali, che costituisce ormai il preambolo dei Trattati europei. Il Parlamento europeo sperava che questa Carta «contribuisse alla definizione di un patrimonio collettivo di valori e di principi, nonché di un sistema di diritto, fondamentali in cui i cittadini si riconoscessero e che ispirasse la politica dell’Unione». Non fu mai un lungo fiume tranquillo Cercare la pace e la giustizia nei comportamenti, nelle regole del vivere insieme, nelle istituzioni. È ciò a cui ci invita Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est: «La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica» (n. 28; EV 23/1580). Effettivamente i fondamenti dell’Unione Europea mirano a sostenere istituzioni protettrici dei diritti umani, che è l’imperativo primario della giustizia. Lo spirito di giustizia deve ispirare anche l’esercizio in comune di una parte della sovranità, una ripartizione chiara delle competenze fra l’Unione e gli stati membri, con la preoccupazione della sussidiarietà, e la creazione di una comunità di diritti sotto il controllo della Corte di giustizia. Ma c’è anche una responsabilità democratica che implica sia il livello europeo (e quindi i poteri di co-decisione del Parlamento europeo) sia il livello nazionale, che dovrebbe approfittare di ogni questione d’interesse europeo per discutere con i cittadini, specialmente in seno ai parlamenti nazionali. Queste affermazioni dei trattati possono sembrare soddisfacenti sulla carta, ma occorre che i responsabili e i cittadini diano loro vita. Senza stancarvi con il richiamo di tutta la storia della costruzione europea, vorrei sottolineare alcune difficoltà essenziali. Anzitutto, lo scontro delle sovranità. L’integrazione europea si costruisce nella tensione. Fu la politica della sedia vuota praticata dal generale de Gaulle, di fronte agli eccessi della corrente più federalista. Di conseguenza, fino al 1987 (l’Atto unico) IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 59 S tudio del mese 57-67_dossier:Layout 2 60 30-01-2012 16:48 Pagina 60 la generalizzazione del voto all’unanimità fu un ostacolo alla realizzazione del mercato comune, deciso nel 1957. La soluzione fu quindi l’adattamento del voto alla maggioranza qualificata per permettere la realizzazione dell’obiettivo 92: il mercato unico. Ma l’avanzamento istituzionale non era sufficiente. Ricordo unicamente, ad esempio, la crisi provocata in Europa dall’abbandono da parte del dollaro del sistema monetario ancorato all’oro e dall’enorme aumento del prezzo del petrolio. I primi anni Settanta furono i peggiori vissuti dalla costruzione europea. Ogni paese tirava la coperta dalla sua parte, finché, nel 1979, venne creato il Sistema monetario europeo. Questo balzo in avanti non fu la conseguenza di un buon sistema istituzionale in grado di condurre a una concertazione approfondita fra gli stati membri. Fu la visione dei dirigenti dell’epoca. La loro iniziativa trascese situazioni nazionali molto divergenti, le visioni a breve termine, per creare un sistema basato sulle convergenze necessarie e sulle discipline comuni in materia economica e monetaria. È un esempio che i responsabili di oggi dovrebbero meditare. In ogni episodio della storia dell’integrazione europea voi ritroverete questo eterno dibattito sui ruoli rispettivi delle istituzioni e degli uomini. Allora, nel 1992, la Comunità europea subì un primo contraccolpo monetario. Lo superò elaborando e adottando le regole del Sistema monetario europeo. In seguito essa dovette gestire la spettacolare disgregazione dell’Europa orientale, che usciva dalla notte del totalitarismo per imboccare le strade della libertà. Quale gioia per tutti gli europei, quale sfida per l’Europa occidentale per essere all’altezza delle speranze nutrite dall’Europa orientale! Si poté fare molto grazie alla prontezza e alla consistenza dell’aiuto offerto dalla Comunità. Ritorniamo al Trattato di Maastricht, nel quale, specialmente su richiesta degli inglesi, si abbandonò il bel termine «comunità» per quello più banale di «unione». Purtroppo il seguito degli avvenimenti dimostrò che questo cambiamento voleva essere ben più di un semplice cambiamento di nome: segnalava le reticenze di fronte all’integrazione dei popoli in un’Europa unita e riunita dagli stessi valori e soprattutto dagli stessi fini. Tuttavia si deve a quel trattato la creazione di una moneta unica – una vera rivoluzione – e passi avanti nei campi del diritto civile e della politica dei cittadini. Senza dimenticare il passo avanti democratico costituito dalla co-decisione legislativa fra il Consiglio dei ministri e il Parlamento europeo, che ha permesso a quest’ultimo di accrescere la propria influenza politica e fare conoscere meglio la grande qualità dei suoi dibattiti. Quest’Unione ha affrontato una sfida storica con la globalizzazione e ha subito un attacco terribile, a partire dal 2008, con la crisi finanziaria mondiale. La globalizzazione vede l’Occidente sfidato da IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 nuove potenze emergenti, proprio nel momento in cui si afferma il dominio dell’ideologia neo-liberale basata sul mercato sovrano e il trionfo insolente della finanza. L’Unione Europea non ha ancora trovato delle buone difese. Lo scontro culturale mette profondamente in discussione la supremazia dell’Occidente, del suo modo di pensare e di agire. Gli europei non ne sono ancora consapevoli. Ma, in modo ancor più fondamentale, non si tratta di uno scontro di vitalità? Abbiamo ancora le forze necessarie, spirituali e materiali, per affrontare questo mondo della competizione, dell’affermazione del diritto di vivere per ognuno, mentre le ricadute negative dell’attività umana sull’ambiente si fanno sempre più pesanti? Di fronte a queste sfide, alcuni parlano dell’indispensabile forza per rispondervi, altri pongono l’accento sulla generosità e sull’apertura verso le altre civiltà. Ma non è essenziale che la nostra Europa sia potente e generosa al tempo stesso? Nella crisi più grave, una grande sfida Quando gli europei decisero di passare dalla realizzazione del mercato unico all’adozione di una moneta unica, avvertivano chiaramente che si trattava di un salto radicale. Non ne comprendevano bene le ragioni: perfezionare l’integrazione economica, facilitare i viaggi delle persone e i trasferimenti di capitali, potenziare i vantaggi dell’Unione Europea nelle sue relazioni e nei suoi negoziati con il resto del mondo. Alcuni fra i più favorevoli alla causa europea vi vedevano anche il passaporto verso l’unione politica. Personalmente non condividevo questo punto di vista, considerando gli ostacoli fino ad allora insormontabili che si ergevano contro ogni tentativo di politica estera comune. Ma lo slancio spirituale impresso dai padri dell’Europa non si spingeva fino alla soppressione delle barriere della sovranità nazionale, del peso della storia e delle diverse tradizioni diplomatiche. A causa della sua forza simbolica, della sua accessibilità, la moneta unica potrebbe partecipare, per quanto paradossale possa sembrare, allo slancio spirituale. Infatti essa è essenzialmente un bene comune, la cui sorte determina non solo il grado di potenza dell’Unione, ma anche le condizioni e il livello di vita degli europei. Per valutarne correttamente il carattere strategico, conviene ricordare che il rilancio del 1985 e il suo trattato, l’Atto unico, prendevano atto dei limiti ai trasferimenti di sovranità verso l’Unione ed erano, di conseguenza, basati su un trittico: la competizione che stimola (attraverso il mercato e le norme che devono inquadrarlo), la solidarietà che unisce (attraverso le politiche di coesione economiche e sociali), la cooperazione che rafforza. Non insisterò mai abbastanza sul legame fra la dimensione spirituale e lo spirito di cooperazione. Ora la cooperazione fu, e resta, l’anello mancante, il che spiega in gran parte la crisi dell’euro. 57-67_dossier:Layout 2 30-01-2012 16:48 Pagina 61 Poiché il passaggio alla moneta unica non era accompagnato dalla creazione di un’entità politica europea responsabile della sua gestione, la riuscita dell’impresa dipendeva non solo dalle regole definite dal trattato, ma soprattutto dalla volontà e dalla capacità dei governi di orientare le loro politiche verso una convergenza. Quest’ultima doveva assicurare al tempo stesso la solidità e la stabilità dell’euro, la realizzazione degli obiettivi economici e sociali dell’Unione economica e monetaria (UEM). Per dirla in termini semplici, la UEM doveva camminare sulle sue due gambe: quella monetaria, con una banca centrale indipendente, e quella economica, grazie a una cooperazione efficace fra i paesi membri. È la ragione per cui avevo perorato, nel 1997, un patto di coordinamento delle politiche economiche che, con le sue proprie regole, affiancasse il patto di stabilità monetaria. Questa proposta non venne accolta per vari motivi che sarebbe inopportuno commentare in questa sede. Nei primi dieci anni del suo funzionamento, l’UEM ha potuto indubbiamente mostrare risultati onorevoli in materia di crescita e d’inflazione, ma senza che la zona potesse ricuperare il suo ritardo in materia di competitività, di fronte alla concorrenza dei paesi emergenti e all’impatto della potenza americana. All’epoca, cioè nel 1998, osai affermare: «L’euro protegge ma non stimola». E aggiungevo: «Ci protegge anche dalle nostre stupidità». In altri termini, l’organo responsabile, il Consiglio dei ministri dell’euro, non si è accorto di ciò che stava arrivando: né dell’aumento esplosivo dell’indebitamento pubblico greco, e poi di altri paesi, né dell’aumento dell’indebitamento privato in Irlanda, Spagna, Italia. Nell’euforia e nella follia del neo-liberalismo finanziario si è assistito in Europa a una distorsione dello stesso tipo di quella, di ben altra ampiezza, vissuta negli Stati Uniti, che ha portato a questa crisi mondiale. Ho sempre affermato che si è trattato, da parte del Consiglio dei ministri, di una colpa morale, della dimenticanza dell’eredità di voler vivere e agire insieme, precisamente per il bene comune. Di conseguenza l’euro vive sull’orlo dell’abisso. I governi non hanno accettato quest’idea della responsabilità morale che comporta una responsabilità politica. Da tre anni intervengono troppo tardi o fanno troppo poco. Cosa altrettanto grave, ci subissano di dichiarazioni non coordinate, che producono solo una cacofonia che spaventa i mercati, alimenta la speculazione e riempie i cittadini di inquietudine e di scetticismo. Di qui i disordini istituzionali, l’abbandono del metodo di lavoro che aveva assicurato il successo dei periodi dinamici della costruzione europea, e, recentemente, la presa del potere da parte della coppia franco-tedesca. Finché si tratta di spegnere il fuoco, si può solo sperare nel successo delle ultime iniziative. Ma dopo occorrerà ricostruire, abbozzare un altro sistema. Di qui la fiammata di iniziative o più GIORGIO VECCHIO Un «Giusto fra le Nazioni» Odoardo Focherini (1907-1944) Dall’Azione Cattolica ai Lager nazisti O doardo Focherini, un uomo del tutto «normale» che fu, tra l’altro, amministratore de L’ Avvenire d’Italia, nel 1969 è stato proclamato «Giusto fra le Nazioni» per aver salvato decine di ebrei tra il 1943 e il 1944, pagando con la sua stessa vita. Scoperto e deportato, trovò infatti la morte nel lager di Hersbruck. Il volume ne costituisce la prima biografia completa, condotta con criteri scientifici e fondata sui molti documenti custoditi dalla sua famiglia e in archivi pubblici e privati. «FEDE E STORIA» www.dehoniane.it Via Nosadella 6 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Edizioni Dehoniane Bologna IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 61 pp. 192 - € 16,00 Fax 051 4290099 S tudio del mese 57-67_dossier:Layout 2 30-01-2012 16:48 Pagina 62 semplicemente di discorsi a favore di una riforma istituzionale. Alcuni ne parlano alla leggera, specialmente in Francia, dove non ci si è resi conto delle dismissioni di sovranità che una riforma del genere comporterebbe in campo finanziario e fiscale, ma anche in campo economico e sociale. È nello stesso spirito che vorrei evocare ogni operazione di mutualizzazione fra gli stati membri, che è dopotutto semplicemente un approfondimento della cooperazione. Questa ci conduce allora verso una condivisione certamente limitata dei rischi e delle opportunità, come contropartita – anche in questo caso – di discipline comuni. Può trattarsi di una mutualizzazione parziale dei debiti sovrani o dei bilanci degli stati membri o anche dell’emissione di obbligazioni europee che offrono il doppio vantaggio della garanzia dell’Unione e di un costo di prestito inferiore a quello che gli stati membri dell’Unione sopportano separatamente. Le responsabilità di ciascuno stato Concentrandosi troppo sul progetto europeo si rischia di trasformarlo in una panacea e dimenticare che le nostre autorità nazionali hanno voltato le spalle a certe esigenze di amministrazione e di solidarietà. E quindi allo slancio spirituale. Il card. André Vingt-Trois ce lo ha recentemente ricordato con forza: «Separare lo spirituale dal sociale equivale a cedere a un certo fatalismo», concludendo che «se non si può cambiare la società, non resta più che pregare». Anzitutto, la solidarietà deve concretizzarsi anche fra le generazioni. In un «libro bianco» presentato nel 1993 al Consiglio europeo avevo denunciato la tendenza dei responsabili a regolare fra loro i loro problemi di potere e di ripartizione dei frutti dell’attività collettiva, senza preoccuparsi dei giovani e quindi del futuro. È lì che si trova il male dell’indebitamento, perché si addossa alle nuove generazioni un peso eccessivo e scoraggiante. Siamo in questa situazione e dobbiamo affrontare la doppia sfida della solidarietà e della giustizia. Possiamo superare questa difficoltà centrale dimenticando due imperativi? Il primo è quello del dialogo sociale. Molti specialisti mi avevano giudicato eccessivamente idealista quando, giungendo nel 1985 alla Commissione, avevo invitato patronati e sindacati a discutere seriamente obiettivi che potevano essere assegnati alla Comunità europea. La riuscita di quel dialogo sociale contribuì allo slancio impresso al rilancio del progetto europeo. Per una ragione più fondamentale: la vita democratica si basa su due pilastri, quello delle nostre istituzioni centrali e decentralizzate e quello della concertazione e del negoziato fra gli attori economici e sociali e fra loro e il potere politico. Basta vedere il successo delle riforme realizzate nei paesi nordici per rendersi conto dell’utilità democratica ed economica del dialogo sociale. Si sbaglierebbe a dimenticarlo, a livello sia europeo sia 62 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 nazionale, adagiandosi sulla facilità dei rapporti di forze, rapporti poco favorevoli, in questo periodo, al mondo del lavoro. Il secondo imperativo riguarda il futuro dei nostri sistemi di protezione sociale: il loro peso finanziario è sempre maggiore alla luce dell’evoluzione demografica e del progresso della medicina. Bisogna preservarli. Essi costituiscono una dimensione essenziale del modello europeo. Non si può più contare su un po’ più di indebitamento, ogni anno, per rinviare gli adattamenti necessari. Non è e non sarà facile. Ma lo slancio spirituale deve aiutarci a trovare le soluzioni in grado di conciliare la copertura dei rischi per tutti e l’attenzione ai più poveri e ai meno fortunati. E anche di coniugare meglio responsabilità collettiva e responsabilità individuale. Ma, soprattutto, come combinare questo sforzo necessario di consolidamento delle spese pubbliche con il sostegno di un’attività economica? Si impone la strada di un nuovo sviluppo, più rispettoso della natura e dei tempi dell’uomo: un modello che dia a ciascuno la capacità e, attraverso l’educazione, il passaporto della riuscita e un impiego, un lavoro, elemento fondante della dignità umana. Spetta a ciascun paese mettersi al lavoro, tenendo conto delle tradizioni, dell’eredità del welfare state, delle prospettive demografiche. In queste condizioni, è un obiettivo veramente formidabile trovare un quadro accettabile a livello dell’Europa e anzitutto e soprattutto a livello dell’UEM; in altri termini, un’azione europea che, attraverso le sue politiche e i suoi interventi, assicuri questo supplemento di attività indispensabile per non cadere nella pericolosa illusione dei deficit nell’atonia economica e sociale. Ma è urgente. E le chiavi della riuscita sono legate a questo slancio spirituale, attraverso una cooperazione franca ed efficace, una mutualizzazione parziale dei dati finanziari, un allargamento e rafforzamento delle politiche comuni. Limito i miei commenti tecnici per sottolineare semplicemente la vera sfida che è legata al senso da dare all’avventura europea. Perciò lo spirito di cooperazione è fondamentale per l’avvenire dell’Europa. Anche supponendo che si accettino e realizzino nuovi abbandoni di sovranità, non sarà possibile fare nulla di grande senza ravvivare lo spirito fondatore, la scelta a favore dei valori fondamentali dell’Europa, la capacità di vivere e lavorare insieme: la conciliazione, così ben riuscita in varie fasi di questa storia di sessant’anni, fra l’ideale e la necessità, la forza e la generosità. Mi piace ricordare e citare uno degli animatori del Congresso dell’Aia, Denis de Rougement, che affermava: «La vocazione dell’Europa si definisce chiaramente. È quella di unire i suoi popoli in base al loro vero genio, che è quello della sua diversità, e nelle condizioni del XX secolo, che sono quelle della comunità, per aprire al mondo la strada che esso cerca, la strada delle libertà organizzate». Egli ci invita quindi, nelle condizioni di questo 57-67_dossier:Layout 2 30-01-2012 16:48 Pagina 63 inizio del XXI secolo, a confermare la pertinenza del progetto europeo. Confermare la per tinenza del proget to europeo Di fronte a tutte le difficoltà che l’avventura europea incontra, ci si chiede se il progetto non sia superato a causa dell’evoluzione radicale che stiamo sperimentando. È vero che l’Occidente è sempre meno il centro del mondo e che questo genera paure e ripiegamenti su sé stessi, di cui si nutrono il populismo e una forma – purtroppo diffusa – di nazionalismo strisciante. È vero, anche se quest’analisi è contestata, che viviamo al tempo dell’individualismo esasperato, favorito dall’arretramento delle religioni, dalla società consumistica delle immagini, dal culto dell’istantaneo, cioè da una società troppo emotiva. Avrete certamente notato che quest’individualismo coincide con l’epoca del mercato sovrano e giudice universale. Lo spirito di competizione – certamente necessario – pervade tutta la vita economica e sociale, inquina il sistema educativo e accantona ogni progetto collettivo e portatore di senso. E anzitutto portatore di solidarietà, di spirito di solidarietà, come ricorda il card. André Vingt-Trois: «È quindi anzitutto l’educazione alla solidarietà che costruisce la pace. La costrizione può essere un mezzo necessario per accompagnare i progressi dell’integrazione alla vita sociale. Ma non potrà in alcun caso sostituirsi a essa». Questo quadro, abbozzato a grandi linee, è troppo schematico e potrebbe indurre al pessimismo. Lo riconosco. Ma esso pone l’accento su alcune delle cause del malessere contemporaneo e quindi sulle difficoltà di fare l’Europa. E tuttavia tutto è collegato. C’è un rapporto stretto fra riforma sociale e rilancio del progetto europeo. L’Europa è il continente nel quale si è cercato sempre un equilibrio fra la società e l’individuo, fra la solidarietà collettiva e la responsabilità individuale. Questo si traduce, nella maggior parte dei nostri paesi, in una dialettica positiva fra le autorità pubbliche e i mercati, fra le regole comuni e l’esercizio delle libertà individuali. Questo modello è scosso dai cambiamenti del mondo e dagli eccessi del liberalismo. Ma i suoi fondamenti restano validi, ispirati dal giudeo-cristianesimo, dal pensiero greco e dal suo apporto alla democrazia, dal diritto romano. Poi, più tardi, dalla Riforma, dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione. Il progetto europeo ci offre l’argomento per evitare il ripiegamento eccessivo dell’individuo su se stesso e il ritorno al nazionalismo dei «mostri freddi». Ma è un’Europa fedele al meglio di se stessa, come proponeva Vaclav Havel: «La missione dell’Europa non è più e non sarà mai più quella di governare il mondo, né quella di diffondervi con la forza la sua rappresentazione della felicità e del bene, né quella di inculcargli la sua cultura, e neppure quella di dargli delle lezioni. L’unica missione pertinente è quella di essere il meglio possibile se stessa, cioè di risuscitare e proiettare nella sua vita la sue tradizioni spirituali migliori, e così contribuire a creare un nuovo modo di coesistenza a livello mondiale». Vi sono stati periodi in cui si poteva parlare, secondo la linea di Vaclav Havel, del sogno europeo. Occorre ricordare il momento felice in cui paesi, che uscivano dalla dittatura e imparavano una nuova democrazia, entravano a far parte della Comunità europea: la Grecia, poi la Spagna e il Portogallo? Occorre ripetere che fu una vera gioia accogliere i popoli che uscivano dalla dittatura comunista e bolscevica? Non conviene sottolineare l’influenza che ebbe la parola di Giovanni Paolo II su quest’evoluzione e non trascurare la forza d’attrazione della Comunità europea? Non saremo più capaci di questi slanci? In ogni caso occorre vigilare, perché il progetto europeo rimette continuamente in gioco il proprio titolo. Nell’ottobre 1989, quando la costruzione europea era in pieno svolgimento, esprimevo i miei timori, parlando agli studenti del Collegio di Bruges e rispondendo a coloro che, oltre Manica, si allarmavano per questa riuscita. Sostenevo l’unione dei popoli, l’associazione delle nazioni, lo sviluppo del sentimento di appartenenza e aggiungevo: «Se si rifiuta tutto questo, la costruzione europea fallirà, gli egoismi nazionali riprenderanno il sopravvento, perché la nostra comunità non avrà conquistato quel supplemento d’anima e quel radicamento popolare senza i quali ogni avventura umana è condannata al fallimento». Noi europei siamo solo in mezzo al guado. Abbiamo lasciato la sponda della vecchia Europa minata dalle sue guerre civili e minacciata di perdere ogni influenza, per tentare di raggiungere l’altra sponda, quella di un’Europa potente e generosa, esemplare nelle sue forme interne di organizzazione e di relazione. E il mondo, da parte sua, si è allontanato dalla sponda del dopo guerra per andare in modo caotico verso la sponda del villaggio globale. La nostra ambizione deve essere quindi quella di dire definitivamente no al declino morale e politico e di ritrovare la buona bussola, cioè il vero senso dell’attività umana. Senza questo slancio spirituale, non si potrà compiere nulla di grande e di duraturo. La piccola Speranza è sempre lì, con il suo tesoro fatto di pace, di comprensione reciproca e di solidarietà per tutta l’umanità. Domani saremo abbastanza numerosi e sufficientemente determinati per raccogliere e far fruttificare questa Speranza? Jacques Delors* * Già ministro francese delle Finanze e presidente della Commissione europea dal 1985 al 1995, ha tenuto questo intervento, che pubblichiamo in una nostra traduzione dal francese, il 24.11.2011 in occasione del conferimento del dottorato honoris causa presso l’Institut catholique di Parigi. IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 63 30-01-2012 16:48 Pagina 64 CO M E C E /C r i s i e u ro p e a S tudio del mese 57-67_dossier:Layout 2 Una comunità solidale e responsabile L a Commissione degli episcopati della Comunità Europea (COMECE), che riunisce i vescovi rappresentanti degli episcopati degli stati membri dell’Unione Europea, ha pubblicato lo scorso 12 gennaio una dichiarazione intitolata Una Comunità Europea di solidarietà e di responsabilità. Nel sottotitolo si precisa che i vescovi intervengono «sull’obiettivo di un’economia sociale di mercato competitiva nel Trattato dell’Unione Europea». Precisiamo in che cosa consiste l’economia so- L’economia sociale di mercato I vescovi della COMECE fanno riferimento all’economia sociale di mercato innanzi tutto perché essa – al di là delle differenze di impostazione e delle diverse realizzazioni – ha contribuito e contribuisce in modo sostanziale all’evoluzione della teoria economica: il compito dello stato non è semplicemente quello di «guardiano notturno», tipico del liberalismo del laissez faire, bensì è quello di uno stato capace di contrastare l’assalto contro il funzionamento del mercato da parte dei monopoli e dei «cacciatori di rendite». È poi molto significativa l’affermazione della Scuola di Friburgo della dimensione istituzionale da inserire nel paradigma liberale, dimensione assente o negata dalla letteratura liberale-libertaria. Questa dimensione istituzionale necessita di essere difesa e garantita per due motivi. In primo luogo per superare le chiusure, i privilegi, le rendite, gli interessi corporativi o localistici. In secondo luogo per valorizzare il «sociale» nelle sue diverse espressioni, sia come libertà, responsabilità, capacità personali, proprietà privata, concorrenza sia come sussidiarietà, solidarietà, reti sociali che proteggono dai rischi. Le istituzioni pubbliche – in primo luogo lo stato – non possono essere neutrali rispetto alle diverse forme di vita socio-economica e anche rispetto ai diversi stili di vita personale. L’agnosticismo delle istituzioni tende a escludere di fatto l’etica come principio alla base degli scambi economici e finanziari e della com- Konrad Adenauer. 64 IL REGNO - AT T UA L I T À ciale di mercato prima di esporre alcuni punti significativi della dichiarazione. L’espressione «economia sociale di mercato» è di derivazione tedesca e va inquadrata nella travagliata esperienza della crisi della Repubblica di Weimar e della successiva ascesa del nazionalsocialismo. Durante gli anni del regime nazista, si raccolsero intorno alla cosiddetta Scuola di Friburgo (sotto la guida del prof. Walter Eucken) alcuni studiosi, decisamente critici delle teorie di Adam Smith e della sua fede in una spontanea armonia che sarebbe dovuta scaturire dall’opera della «mano invisibile», e altrettanto critici nei confronti delle diverse forme dello statalismo autoritario e della pianificazione economica centralizzata. Questi studiosi di molteplici scienze umane erano interessati ai grandi temi della democrazia, dello sviluppo e delle istituzioni pubbliche. Per la Scuola di Friburgo, è compito dello stato fissare l’ordine costituzionale dentro il quale opera l’economia di mercato, che non deve cadere in forme monopolistiche e corporative. Queste forme di chiusura non solo rallentano lo sviluppo e producono danni economici, ma arrivano a indebolire il potere politico, fino a impedire una seria politica di solidarietà e di equità. Il sistema economico, basato sul mercato competitivo garantito e regolato dall’ordine costituzionale, deve contribuire in modo ordinato al bene pubblico: è ancora compito delle istituzioni pubbliche, come pure di tutti i cittadini, favorire questo impegno per il bene comune. 2/2012 57-67_dossier:Layout 2 30-01-2012 16:48 Pagina 65 plessiva vita sociale, mentre è compito delle istituzioni favorire e sostenere le forme e gli stili che creano e custodiscono valori sociali e «capitali sociali». Proprio la crisi che stiamo vivendo – che mette in difficoltà il welfare state – esige dunque un ripensamento e un superamento di quell’idea che sta alla base della neutralità, secondo la quale i diritti sarebbero da intendere esclusivamente come diritti individuali. Non dimentichiamo che l’economia sociale di mercato non si richiama solo a una teoria economica ma a concrete realizzazioni presenti in diversi paesi europei. Anzi, il nostro documento afferma che questo tipo di economia è già presente come modello sociopolitico in quasi tutti i paesi europei: forse vi è un eccesso di generosità da parte dei vescovi, in quanto non sembra – fino a prova contraria – che questo modello abbia un’effettiva concretizzazione almeno in parecchi paesi della nostra Europa. Tuttavia vi è il caso esemplare della Germania. La teoria economica fu infatti ripresa, sviluppata e soprattutto applicata nell’immediato dopoguerra da Ludwig Erhart che, come influente ministro federale dell’Economia durante il cancellierato di Konrad Adenauer, gettò le basi del «miracolo economico» della Repubblica federale di Germania, realizzato all’insegna di quella che egli stesso denominò «economia sociale di mercato». Vale la pena di soffermarci sulla realizzazione di questo tipo di economia realizzata in Germania, anche se la dichiarazione dei vescovi non fa alcun cenno diretto all’esperienza tedesca. Senza addentrarci nell’esame analitico dei molti indicatori economici, almeno a livello generale si può affermare che anche oggi – forse soprattutto oggi – il caso della Germania si presenta come emblematico. Soprattutto se si tiene conto che per anni nei media e anche in molta letteratura economica sono stati celebrati i successi del cosiddetto liberismo anglosassone, come pure il successo di alcune economie europee che si sono ispirate allo stesso modello, come la Spagna e l’Irlanda. I fatti dicono che i decantati successi sono stati effimeri e hanno anche causato gravi problemi ovunque. Proprio la grande crisi generata dal modello anglosassone (più esattamente generata dagli Stati Uniti, con tutte le bolle speculative, compresa quella edilizia), ha portato l’economia tedesca ai vertici della competitività mondiale, insieme alla Cina. I dati sono chiari e significativi. Partiamo dal 1990, anno in cui è iniziata la riunificazione con la ex Germania Est, che ha appesantito e rallentato per anni l’economia tedesca: le stime del costo della riunificazione sono altissime e a tutt’oggi vi è uno speciale trasferimento di miliardi di euro ogni anno ai territori dell’ex Repubblica democratica tedesca per la ricostruzione. Nonostante questo, se prendiamo in considerazione il periodo che va dal 1990 al 2010, la crescita media annua della Germania è stata dell’1,32%, molto inferiore a quella USA, pari al 2,53%. Ma gli Stati Uniti hanno aumentato il loro de- IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 65 bito pubblico (più che raddoppiato dal 2000 al 2010) con gravi squilibri finanziari e commerciali e con risvolti sociali problematici. La Germania è invece cresciuta con regolarità ed è oggi l’economia più solida e più forte del mondo, se si considerano da un lato le finanze pubbliche, la ricerca e l’internazionalità commerciale e d’altro lato la protezione sociale e la qualità della vita. Per cui, insieme alla teoria dell’economia sociale di mercato che ha precisi risvolti culturali ed etici, vi è anche un concreto esempio proprio nel cuore stesso dell’Unione Europea. Naturalmente il riferimento al caso tedesco non significa voler «germanizzare» l’Europa: la dichiarazione della COMECE non parla della Germania, ma invita tutta l’Unione Europea a prendere sul serio l’economia sociale di mercato per favorire un mercato competitivo e dinamico, ma regolato anche rispetto al sistema finanziario, e per far crescere la responsabilità, la generosità e la solidarietà all’interno della vita associata. Superare la sfiducia Il documento della COMECE viene pubblicato in un preciso momento di crisi economica e finanziaria dell’Unione Europea (e non solo). I vescovi della COMECE invitano l’Unione Europea a favorire la libertà del mercato eliminando chiusure e sprechi: solo con un’economia competitiva si può avanzare nello svi- Aimone Gelardi Il bruco e la farfalla Una rivisitazione delle virtù I l discorso sulle virtù fatica oggi a trovare un proprio spazio, poiché “virtù” è parola impopolare e percepita come fuori moda. Occorrerebbe, invece, “dire” di nuovo le virtù con parole attuali. L’autore accompagna il lettore a comprendere il più autentico significato e la ricchezza delle tre virtù teologali come delle quattro cardinali. «Meditazioni» pp. 96 - € 7,90 Dello stesso autore: Vizi, vezzi, virtù Una rivisitazione dei peccati capitali pp. 104 - € 7,90 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it S tudio del mese 57-67_dossier:Layout 2 66 30-01-2012 16:48 Pagina 66 luppo, ridurre il debito e finanziare il welfare. Ma la libertà di mercato deve essere associata a strumenti che intensificano l’impegno di solidarietà e di equità sociale: la protezione sociale deve essere assicurata dalle istituzioni pubbliche e dallo stato. La libertà economica, la solidarietà e la responsabilità non fanno solo parte della «filosofia sociale» dell’Unione Europea, ma anche delle indicazioni normative contenute nei trattati. In un certo senso già nel Trattato di Roma troviamo alcuni cenni in linea con l’affermazione sia del libero mercato sia della solidarietà. Nel Trattato di Lisbona del 2010 si afferma formalmente per la prima volta che l’Unione Europea ambisce a essere un’economia sociale di mercato. Da qui parte la dichiarazione che intende fornire un contributo, in un momento delicato della storia europea, per dare slancio e contenuto alle indicazioni del Trattato, che in verità sembrano essere più elencative che esplicative, più esortative che pratiche. Comunque, l’intento della COMECE è quello di aiutare l’Unione Europea a dare concretezza alla formale indicazione dell’economia sociale di mercato. Se il mercato ha oggi, in un sistema globalizzato, un ruolo essenziale, come l’ha avuto fin dall’inizio dell’Unione Europea (UE), il «mercato comune» sta soffrendo perché non è poi così «comune» e nemmeno così «mercato», anche a causa delle tensioni derivanti dalla faticosa integrazione europea e dalle varie forme di rigidità. Con l’avvento della globalizzazione non governata e poi con la grave crisi finanziaria (dal 2008), in molti è venuta meno la fiducia nell’economia di mercato così come in molti è cresciuto il timore di una riduzione marcata del welfare. Per superare la sfiducia e per vincere il timore, il documento invita a perseguire con determinazione la conciliazione del mercato con il «sociale», anche se l’impresa può apparire ardua. L’Unione Europea deve dare slancio alla propria competitività rispetto al resto del mondo: non può permettersi di isolarsi dal mondo e non può rinunciare al «mercato comune» o acconsentire alla sua progressiva frammentazione. Questo renderebbe il «sociale» ancora più precario, mentre il «sociale» deve invece entrare in gioco come esigenza di fondo della civiltà europea, non solo da parte dei singoli stati ma dell’Unione Europea in quanto tale. Un’esigenza dovuta ai problemi sociali di vario genere (dalla questione occupazionale al welfare) causati dalla situazione di crisi. Ma, ancor prima, dovuta alla priorità che deve avere il «sociale» in una società degna dell’uomo. Anche per questo occorre favorire un mercato competitivo: solo favorendo l’iniziativa, la responsabilità, la cooperazione delle persone e dei gruppi sociali si può venire effettivamente incontro al diritto all’istruzione, alla sicurezza, alla salute e alla qualità ambientale. Questa è la sfida che sta davanti all’Europa. È necessaria un’economia aperta e internazionalizzata, dove le imprese competono tra di loro all’interno e all’estero e dove le posizioni dominanti e monopolistiche sono vietate: «I monopoli, i cartelli, le intese sui IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 prezzi e la distorsione della concorrenza per abuso di potere economico o di aiuti pubblici devono essere attivamente combattuti e impediti dal legislatore e dall’esecutivo dell’UE», afferma il documento. Ma fa parte della stessa sfida evitare un’economia tesa unicamente al profitto, che «minaccia di eclissare le dimensioni sociali ed ecologiche della qualità della vita (…), di trasferire i costi dell’attività economica su altre persone, in particolare sulle generazioni future». Così pure occorre tener presente che «un aiuto pubblico sproporzionato può generare relazioni di dipendenza e impedire l’assunzione di responsabilità, la carità attiva e la solidarietà», così come «orientare l’economia verso il solo fine di massimizzare i profitti è un errore». Per cui da un lato si invita l’autorità pubblica a «garantire i beni essenziali, i servizi di interesse generale», e d’altro lato si invitano «i consumatori» (ma si poteva dire «i cittadini») a ricordare che «con le loro abitudini di consumo determinano in gran parte la vita economica in Europa e nel mondo». Dato che «ogni decisione economica ha una conseguenza morale», i vescovi invitano a «uno sforzo culturale determinato per permettere ai cittadini un consumo responsabile. La Chiesa è, anche qui, pronta a dare il suo contributo». Così pure i vescovi invitano con forza a rispettare il principio etico ed economico dello sviluppo durevole: «Né la competitività economica né la giustizia sociale possono essere realizzate senza un’integrazione sistematica dei fattori ecologici». Per cui, anche in questo caso, i vescovi invocano l’impegno di tutti e una garanzia istituzionale specifica, sia a livello europeo sia a livello mondiale per la protezione dell’ambiente. La COMECE invita l’Unione Europea a procedere con più determinazione e con maggior concretezza sulla strada di questo modello socio-economico in quanto tale indicazione – e, in un certo senso, tale normativa europea – è presente nel Trattato stesso di Lisbona. Ma l’invito dei vescovi è anche – et quidem – motivato dal fatto che l’economia sociale di mercato è in linea con alcuni fondamentali principi della dottrina sociale della Chiesa. Certo, non può sfuggire il paradosso: l’Unione Europea, dopo aver rifiutato di menzionare le radici cristiane, ha affermato nel Trattato di Lisbona di volere un’economia sociale di mercato. Ora, come viene giustamente evidenziato nella prefazione del documento dal presidente della COMECE, mons. Adrianus van Luyn, «le radici del concetto di economia sociale di mercato affondano nell’eredità filosofica e religiosa, e in particolare cristiana, dell’Europa». Il novus ordo Sarebbe facile fare dell’ironia. In ogni caso, l’economia sociale di mercato presenta effettivamente molte affinità con alcuni principi fondamentali del pensiero sociale cristiano. Anzi, parecchi sostenitori di questa teoria economica, partendo dalla triste esperienza della storia tedesca, fecero propria la nozione 57-67_dossier:Layout 2 30-01-2012 16:48 Pagina 67 Alcide De Gasperi. di «giustizia sociale» proposta dalla dottrina sociale della Chiesa. Prima che la seconda guerra mondiale finisse, il novus ordo pensato da alcuni studiosi tedeschi non era solo economico ma culturale, morale e spirituale, istanze necessarie per la ricostruzione della società tedesca. Naturalmente al centro di questa ricostruzione – e di ogni altra ricostruzione della società –, vi è sempre la persona umana da accogliere nella sua unicità, nella sua libertà e nella sua socialità: questa è la condizione di base per evitare che la persona sia ridotta a semplice mezzo o strumento. È dunque viva e forte l’istanza umanistico-cristiana alla base dell’economia sociale di mercato. Questa istanza parte dalle (e si fonda sulle) seguenti premesse: la natura dell’uomo è capace del bene, questo bene si compie nella comunità ed è a servizio della comunità, questo bene va oltre la sola esistenza materiale. Concretamente, o meglio, politicamente e istituzionalmente, questa istanza si esplicita nella divisione dei poteri, nel federalismo, nelle sfere indipendenti ma collaborative dello stato, nel riconoscimento e nella valorizzazione dei corpi intermedi. Ma resta ancora da evidenziare con maggior determinazione il ruolo decisivo della famiglia e le reti comunitarie e sociali. Così come resta da evidenziare l’importanza del dono, della gratuità, della volontarietà, della generosità: sono energie e istanze indispensabili «perché nutrono la sensibilità morale e creano un capitale di fiducia». Per questo «le istitu- zioni che corrispondo a questa forma libera di solidarietà (dalle mutue alle cooperative alle forme dell’economia sociale e dell’investimento etico) richiedono un’attenzione particolare in vista dell’elaborazione di un’economia sociale di mercato europea» (c. 2). La dichiarazione della COMECE riguarda l’Unione Europea, ma interpella i singoli paesi membri. Interpella in particolare il nostro paese che vive da anni, come sappiamo, in una situazione difficile e grave, senza slancio progettuale, senza indirizzo politico, senza coesione sociale. Credo che nella dichiarazione della COMECE l’Italia possa trovare molte precise sollecitazioni per arrivare a una condivisa responsabilità e tentare di superare l’attuale stagnazione (che non è solo economica). Dopo la ricostruzione postbellica e dopo un certo slancio in vista del nostro inserimento in Europa, non vi è stato più sviluppo (non solo crescita) in forma dinamica e creativa. La stessa solidarietà – su cui, giustamente, ci soffermiamo piuttosto compiaciuti, con qualche ironia su alcune rigidità nordiche – non appare, in verità, vera e autentica, perché spesso è pensata e realizzata in forme prevalentemente redistributive, rischiando di cadere nell’assistenzialismo. Basti solo pensare a ciò che richiederebbe una seria e doverosa solidarietà intergenerazionale all’interno del nostro paese: proprio questa solidarietà così decisiva risulta nei fatti sottovalutata o addirittura ignorata. Eppure ci sono molti elementi della nostra tradizione storica e culturale che depongono a favore di una più convinta e determinata scelta italiana per un’economia sociale di mercato, declinandola secondo lo «stile mediterraneo», ma capace di valorizzare lo sviluppo, la solidarietà e la sussidiarietà. Ci troviamo invece con una pubblica amministrazione costosa, con una caotica distribuzione di competenze tra molteplici istituzioni, con le varie categorie sociali e professionali arroccate in difesa, con un sistema produttivo forte ma troppo frammentato, con divisioni culturali e sociali di ogni tipo, con un tasso di educazione superiore tra i più bassi in Europa. Se saremo capaci di favorire il dinamismo e la competitività del sistema economico e di attuare una semplificazione radicale del sistema istituzionale e nello stesso di far valere le istanze capaci di dare slancio ed efficienza alle reti sociali e comunitarie, potremo reinserirci in un processo capace di «produrre beni» tra istituzioni, società ed economia: è la finalità dell’economia sociale di mercato. Le istanze per «produrre beni», e dunque per un serio sviluppo economico e sociale, esistono nel nostro paese: speriamo che queste istanze possano non solo esistere potenzialmente ma anche agire fattivamente. Gianni Ambrosio* * Vescovo di Piacenza-Bobbio, e delegato della Conferenza episcopale italiana presso la COMECE. IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 67 p 68-69_parole:Layout 2 p arole 30-01-2012 16:49 Pagina 68 delle religioni Padre onnipotente Un Dio che guarda con amore il suo mondo I l trascorrere delle età fa mutare la maniera di percepire molte affermazioni. Le si ripete, ma esse risuonano in modo diverso. La massima non perde di valore se applicata ai dettami della fede. Anzi in quest’ambito, spesso, un simile procedere risulta più intenso. La prima proposizione contenuta nel Credo, che qualifica Dio come «Padre onnipotente creatore del cielo e della terra», ha creato, per molti secoli, pochi problemi. A livello generale ciò è avvenuto perché l’onnipotenza era da tutti collegata alla creazione. Chi altri, se non chi può tutto, sarebbe stato in grado di dar origine al sole, alla luna, alle stelle, alla terra e all’acqua, alle piante, agli animali e, infine, al genere umano? Chi, se non l’Onnipotente, avrebbe potuto creare dal nulla tutte le cose? Si trattava di pura evidenza. I più dotti erano poi in grado di pensare anche all’originale termine greco, pantokrator, colui che sostiene ogni cosa. Quanto al termine «Padre», chi sapeva di teologia lo riferiva innanzitutto all’eterna esistenza del Figlio. In fin dei conti, non si sta recitando il Padre nostro: si proclama il Credo in cui la fede trinitaria è pienamente affermata. Non a caso, subito dopo essersi riferito al Padre, il Simbolo niceno-costantinopolitano parla del Figlio inteso come colui per mezzo del quale sono state create tutte le cose. Essere padre Il modo di sentire contemporaneo coglie, dal canto suo, la paternità di Dio riferita, fin da subito, anche a noi: il contesto trinitario e creazionistico non racchiude più nel suo seno il significato pieno dell’essere Padre. Questo spostamento di asse fa nascere una domanda che, formulata provocatoriamente, suonerebbe così: «Ma che razza di paternità è mai la sua visto che, tanto spesso, lascia i propri figli soccombere e perire tra i gorghi dell’esistenza?». In termini aulici si direbbe che il riferimento al Padre onnipotente solleva, ipso facto, il problema della teodicea. Per dirla con Peter L. Berger, nell’affermazione si coglie subito una straordinaria tensione tra il sostantivo e l’aggettivo a esso riferito. Dio, secondo le nostre esperienze, «usa il suo potere in maniera assai parsimoniosa» e lo fa anche di fronte alle richieste più autentiche e strazianti.1 Come tener assieme, da un lato, paternità e potenza divine e, dall’altro, le sciagure di cui è piena la terra? Vi è un altro celebre inizio di un testo di fede: «Altissimu, 68 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 onnipotente, bon Signore». Francesco, nell’atto di dettare quei versi aveva, tra gli altri, anche l’intento di replicare al dualismo dei catari, per i quali tutto il mondo materiale era segnato in modo irrimediabile dal male. Probabilmente per questo l’inizio del Cantico di frate Sole è contraddistinto dall’aggettivo «bon». Tuttavia un poeta moderno, se mai gli toccasse in sorte di scrivere un simile verso, sarebbe tentato di introdurre un «incomprensibile» al posto di «altissimu». Quella sarebbe, infatti, la qualifica più consona al suo essere contemporaneamente onnipotente e buono. Di fronte alla misera condizione in cui giace tanta parte dell’umanità, l’interrogativo di come il Signore possa essere a un tempo onnipotente e buono rimane senza risposta. Per uscire dalla precaria dialettica tra sostantivo e aggettivo, più volte si è optato per la drastica scelta di sostantivare l’ultimo termine parlando semplicemente di onnipotente. Così facendo, si accantona a un tempo tanto la speculazione trinitaria quanto la teodicea. Ora lo sguardo è tutto rivolto alla potenza di Dio creatore. Avviene qualcosa di simile nei capitoli finali del libro di Giobbe (cf. Gb 38-41). Se si considera la descrizione dell’azione di Dio creatore, espressa in quei versi come una risposta alla domanda del perché il giusto soffra, lo sconcerto diviene inevitabile. In tal caso si deve per forza dar ragione a Ernst Bloch, che giudicava quel Dio onnipotente un faraone celeste che tenta di replicare a domande etiche attraverso divagazioni estetiche incentrate sulla sfolgorante bellezza del creato. Altro è il discorso se quei capitoli (negli ultimi anni fortemente rivalutati) sono orientati a evidenziare la sproporzione tra la piccolezza umana (entro la quale rientra anche il dolore) e la grandezza di un immenso cosmo frutto dell’azione creatrice di Dio. Le misure allora divengono reciprocamente incommensurabili. Percorrendo questa via non si ottiene risposta alcuna al perché si soffra, si è solo obbligati a confrontarsi con grandezze imparagonabili con quelle proprie del cerchio entro il quale è racchiuso il nostro vivere. Colui che sostiene «Pantokrator, colui che sostiene». Il modo più appropriato per giudicare la qualifica di onnipotente è di vedere Dio, ancor prima che come principio di tutte le cose, come 68-69_parole:Layout 2 30-01-2012 16:49 Pagina 69 chi perennemente sostiene il suo mondo. Ciò equivale ad affermare che l’universo, lasciato a se stesso, è contraddistinto da un’intrinseca tendenza ad autodistruggersi. Alla creazione non è dato di autofondarsi partendo dal nulla; a essa è però concessa la paradossale capacità di precipitare verso il proprio annichilimento. Questi pensieri, che a qualcuno possono suonare stravaganti, sono, in realtà, la spina dorsale della visione cosmologica di Isaac Newton. Il suo celebre Scholium generale (in cui la parola pantokrator è giudicata tanto qualificante da essere scritta in caratteri greci) prospetta un Dio non trinitario, che signoreggia su una creazione posta sempre sul bilico del precipizio: «E affinché i sistemi delle stelle fisse non cadano l’uno sull’altro, a causa della gravità, egli pose una distanza immensa tra loro». La legge che regge e regola l’universo può trasformarsi in cagione di distruzione. L’onnipotenza dell’Uno si manifesta nel contrastare le dinamiche nichilistiche presenti nell’universo da lui creato. La qualifica di «Colui che sostiene» in Newton è da prendersi alla lettera. Come scrisse a suo tempo Alexander Koyré, per quanto possa sembrare paradossale: «Il credo nella creazione diventa il fondamento della scienza empirico-matematica».2 Spingendo il discorso all’eccesso, si potrebbe affermare che la Philosophia naturalis principia mathematica è una specie di riscrittura scientifica di alcuni versi del libro di Giobbe, i quali (proprio come fa la legge della gravitazione universale) collegano tra loro cielo e terra: «Puoi tu annodare i legami delle Plèiadi / e sciogliere i vincoli di Orione? Puoi tu far spuntare a suo tempo le costellazioni / e guidare l’Orsa assieme ai suoi figli? Conosci tu le leggi del cielo / e ne applichi le norme sulla terra?» (Gb 38,31-33). Chi signoreggia può anche distruggere; appunto questo, alla fine, farà il Dio onnipotente di Newton. Ci chiediamo: vi è un modo diverso di guardare al Pantokrator o si è per forza costretti a celebrarne la forza? Si può evitare di porre l’accento sull’insindacabile signoria divina anche quando si è consapevoli del fatto che la realtà corre costantemente il rischio di cadere nel nulla? Ci è dato di vedere «Colui che sostiene» sotto una veste diversa da quella del potente e indiscutibile reggitore universale? Per andare alla ricerca di una risposta affermativa occorre risalire a circa tre secoli prima di Newton. Dalla stessa terra, si alzò allora una voce veggente che, consapevole della precarietà di tutte le cose, trovò non nel dominio bensì nell’amore la ragione della loro non estinzione: «E mi mostrò una piccola cosa, grossa quanto una nocciola, che stava nel palmo della mia mano, così mi sembrava ed era rotonda come una palla. La guardai con l’occhio della mia intelligenza e pensai: “Cosa mai può essere?”. E mi fu risposto così: “È tutto ciò che è creato”. Mi chiedevo con meraviglia come potesse durare, perché mi sembrava che si sarebbe in fretta ridotta al nulla, tanto era piccola. E alla mia mente fu risposto: “Dura e durerà per sempre, perché Dio l’ama; e così tutte le cose ricevono il loro essere dall’amore di Dio» (Giuliana di Norwich).3 Qui si afferma con la massima nettezza la sproporzione tra l’intrinseca precarietà della realtà (qui non c’è proprio nulla che possa evocare la consistenza, sia pure relativa, della natura) e l’amore che la regge. Diviene perciò pertinente evocare la pagina forse più famosa di Giuliana, quella in cui, accanto alla paternità, si evoca la divina maternità: «Come è vero che Dio è nostro Padre, così è vero che Dio è nostra madre». Poco dopo, alla veggente di Norwich, fu rivelato: «Sono io, la forza e la bontà della paternità, sono io la sapienza e la dolcezza della maternità».4 Una voce nel tempo a noi più prossima continua ancora a parlare di amore divino, ma afferma che, perché esso sia a noi comprensibile, occorre che sia connesso più con l’impotenza che con la potenza. Con quale sguardo, si chiede, Dio pieno di amore può guardare al suo mondo? Un paragone ce lo comunica con straordinaria capacità evocativa: Dio rassomiglia a «un padre afflitto che guarda il suo piccolo fatto “diversamente” e vorrebbe rimediare ma non può. E lo ama “così com’è”».5 Per noi la «teodicea» del Dio creatore si situa su questa soglia. Piero Stefani 1 P.L. BERGER, Questioni di fede. Una professione scettica del cristianesimo, Il Mulino, Bologna 2005, 53. 2 A. KOYRÉ, Studi newtoniani, Einaudi, Torino 1965, 103. 3 GIULIANA DI NORWICH, Libro delle rivelazioni, Àncora, Milano 2003, 110 4 ID., Libro delle rivelazioni, c. 53. 5 V. ROZANOV, L’apocalisse del nostro tempo, Adelphi, Milano 1979, 72. DIRETTORE RESPONSABILE CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ Gianfranco Brunelli CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI Guido Mocellin SEGRETARIA DI REDAZIONE Chiara Scesa REDAZIONE p. Marco Bernardoni / Gianfranco Brunelli / Alessandra Deoriti / p. Alfio Filippi / Maria Elisabetta Gandolfi / p. Marcello Matté / Guido Mocellin / p. Marcello Neri / p. Lorenzo Prezzi / Daniela Sala / Piero Stefani / Francesco Strazzari / Antonio Torresin EDITORE Centro Editoriale Dehoniano, spa PROGETTO GRAFICO Scoutdesign Srl IMPAGINAZIONE Omega Graphics Snc - Bologna STAMPA DIREZIONE E REDAZIONE Via Nosadella, 6 40123 Bologna tel. 051/3392611 - fax 051/331354 www.ilregno.it e-mail: [email protected] ABBONAMENTI tel. 051/4290077 - fax 051/4290099 e-mail: [email protected] QUOTE DI ABBONAMENTO PER L’ANNO 2012 Il Regno - attualità + documenti + Annale 2012 - Italia € 63,00; Europa € 102,00; Resto del mondo € 114,00. Il Regno - attualità + documenti Italia € 61,00; Europa € 100,00; Resto del mondo € 112,00. Solo Attualità o solo Documenti Italia € 45,00; Europa € 68,00; Resto del mondo € 73,00. Una copia e arretrati: € 3,70. Il Regno digitale - attualità + documenti + Annale 2012 - € 63,00; CCP 264408 intestato a Centro Editoriale Dehoniano. italia tipolitografia s.r.l. - Ferrara Chiuso in tipografia il 27.1.2012. Il n. 1 è stato spedito il 13.1.2012; il n. 22 il 29.12.2011. Registrazione del Tribunale di Bologna N. 2237 del 24.10.1957. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana In copertina: P. CATI, La Chiesa trionfante schiaccia l’eresia, sullo sfondo del Concilio di Trento (part.), 1588, Roma, Santa Maria in Trastevere. IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 69 i 70_lettori:Layout 2 30-01-2012 11:29 Pagina 70 i lettori ci scrivono La vecchiaia che vorrei Caro direttore, e cari amici de Il Regno, vi scrivo solo per dirvi grazie della pubblicazione nello studio del mese di dicembre: «La vecchiaia che vorrei» (22,2011,769ss). Sento come un impegno di gratitudine esprimere questa piccola riflessione per confermare soprattutto la seconda parte del documento citato. Sono un sacerdote che entra nell’ottantesimo anno di età e nel cinquantasettesimo di sacerdozio. Dopo tante incombenze ecclesiali sono ora uno di quelli che voi chiamate i «grandi vecchi». Sto vivendo le mie giornate in un piccolo appartamento che però è sempre occupato da visite che rendono attraente l’amicizia sia, e questo mi meraviglia, da parte di giovani sia di anziani. La mia è una fortunata convivenza con Marisa. Ci conosciamo da tanti anni e abbiamo approfondito la nostra amicizia alla luce dei beati Charles de Foucauld per Marisa e di p. Chevrier per me. Posso tranquillamente affermare che questa piena convivenza mi ha aiutato tantissimo a scoprire l’attrattiva e la fecondità del celibato e a viverlo anche insieme al «gruppo famiglie» della parrocchia. Vivo il mio quotidiano nella gratitudine e nell’attrattiva del nuovo orizzonte che mi attende. La fine della possibilità di usufruire dell’auto mi obbliga a camminare e a incontrare persone e sempre a causa della gratuità della vita non mi viene neanche lontanamente l’idea di non avere tempo di intrattenermi con loro. Godere di un tempo liberato da impegni e occupazioni prestabilite, mi fa gustare i dialoghi e le amicizie, la disponibilità di trovarmi con la gente semplice, di andare oltre un semplice saluto e di camminare insieme. Sono scoperte dei volti e dei cuori delle persone, comunione reale che inizia ogni mattina con il piccolo gruppo di donne con le quali concelebriamo l’eucaristia in una piccola cappella ricavata da una vecchia cantina della canonica e parlante con vari segnali delle Chiese sorelle e di quei semi del Verbo presenti in ogni religione. Mi sembra di essere inserito in quella storia sacra che nei libri sapienziali e nella Lettera agli Ebrei capitoli 11 e 12, mi aiutano e mi immettono tra le figure dei vari patriarchi che hanno fatto la storia sacra degli ebrei e dei cristiani. Così riscopro anche la realtà della Chiesa e delle Chiese che continuano nella memoria a essere vive nell’oggi di Dio e nella profezia ad aprire orizzonti sempre nuovi e affascinanti. Avrei anche un desiderio da esprimere, che i nostri «superiori» (non so come chiamare questi responsabili dell’organizzazione ecclesiastica) avessero il tempo di fermarsi anche loro a dialogare con noi e di accogliere e di ascoltare. Parlando qualche volta con loro li sento impegnati ma usurati dal tempo sempre avaro per loro e abbondante per noi. Nella nostra diocesi dal vescovo ai vari vicari generali e foranei, c’è attenzione, pensano a strutture per alleviare le inevitabili difficoltà della vecchiaia, ma il vero ascolto è merce molto rara. Nell’attualità della nostra vita la decrescita ci aiuta anche a perdere quel «sacro» che crea distanze e qualche volta anche caste chiuse e non dà proprio il tempo per camminare insieme. Avete accennato nello stesso numero della rivista alla famosa lettera del card. Pellegrino Camminare insieme (Regno-att. 22,2011,775-778), che resta sempre un’attrattiva e una nostalgia che dona speranza al quotidiano. Ringraziandovi del vostro lavoro, mi piacerebbe tanto vivere 70 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 non solo personalmente, ma mettere a disposizione questi ultimi momenti di vita qui in terra, non solo come assistiti dalla Chiesa, ma come continuatori del dono della nostra vita alle Chiese che tanto amiamo. Cordiali saluti e buon lavoro, don Olivo Bolzon Il santo ateismo del buon Samaritano Caro direttore, leggo che nelle Parole delle religioni di dicembre, intitolate «Il santo ateismo del buon Samaritano» (Regno-att. 22,2011,779s), P. Stefani, dopo aver liquidato le cosiddette «precomprensioni» della volontà di ridurre la morale a un codice di comportamento e della morale intesa come «un insieme di imperativi di una legge naturale ritenuta universale», aggiunge che la «morale biblica» sarebbe «seconda» in quanto «primo e fondante è l’iniziativa di Dio». Stefani non si accorge che la deprecata «legge naturale ritenuta universale» è proprio quella derivata dal piano creativo divino (che lui chiama «fondante iniziativa di Dio»!), giacchè il pensiero etico medievale (che ovviamente Stefani o ignora o disprezza!) indicava proprio la «legge naturale» come «participatio legis aeternae in rationali creatura» (Summa theologiae I-II, q. 91, a. 2), ovviamente dopo aver rilevato (Summa theologiae I-II, q. 91, a. 1) «supposito quod mundus divina providentia regatur, ut in Primo habitum est» (cf. Summa theologiae I, q. 22, art.1, ad 2um). Mi sembra quindi che anche il sig. Stefani debba fare i conti con questi… precedenti. Che poi la «morale», che piace a Stefani, debba essere chiamata «atea» o «laica», perché prescinderebbe da un riferimento fondante a Dio, è tutto da… dimostrare, in quanto anche «il commuoversi nelle viscere» del testo greco, splanchnizomai, è dovuto alla convinzione (etico-razionale!) che l’altro (ritenuto uguale a me, perché si trova nella stessa condizione di «dipendenza creaturale da Dio») va aiutato per rispetto e solidarietà con il prossimo e, nella concezione religiosa, anche per amore di Dio. Che «il comandamento divino qui non c’entra per nulla» è asserzione che lasciamo dimostrare al sig. Stefani, che non lo ha dimostrato! Quanto alla tesi che «tutto culmini nel vedere e nel commuoversi» di fronte a chi è nel bisogno, si può vedere anche «razionalmente» collegato al fatto che «l’uomo è per natura un animale socievole» (Aristotele, pagano!) e che l’uomo può vivere da solo o perché non sopporta il consorzio umano per durezza di cuore (e ciò è da bestia selvatica!), oppure per dedicarsi maggiormente alla contemplazione della realtà divina (e ciò è oltre l’umano!). Si veda sempre Aristotele (pagano!) riportato e condiviso (!) da Tommaso d’Aquino, nel Commento all’Etica nicomachea. Distinti saluti. Bergamo. Angelo Marchesi 71-72_io non mi vergogno:Layout 2 30-01-2012 11:29 Pagina 71 ... E la privacy? Quando parlare e quando tacere nelle cose della fede “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ U so il blog – www.luigiaccattoli.it – come laboratorio per la ricerca di «fatti di Vangelo» e con esso raccolgo buoni materiali, o cerco ampliamenti di storie che mi sono già note, chiedendo ai visitatori «chi sa mi dica». Con un post del 3 gennaio ho chiesto aiuto per avere un completamento della storia di Aurelio Andreoli, malato di AIDS, che ha narrato la sua vicenda – compreso il recupero della fede nella malattia – in un diario pubblicato da Marsilio nel 1999 (Il bacio di Francesco. Un credente nella notte dell’AIDS): dall’editore e da Ernesto Olivero prefatore del volumetto ho saputo che nel frattempo Aurelio è morto, ma non sono riuscito a conoscere la data né le circostanze della morte. Dai visitatori non ho avuto contributi conoscitivi, ma varie considerazioni e una dura protesta. «Scusate se sono brutale – ha scritto a commento di quel post una visitatrice che si firma discepolo – ma trovo che questo ficcare il naso nella morte di una persona sia una forma sublimata di voyeurismo morboso, anche se a fin di bene. La morte ha una sua intimità che nessuno ha diritto di violare, neanche per la legittima curiosità di sapere che cosa ha detto questo sant’uomo negli ultimi istanti. Gli ultimi istanti e le eventuali ultime parole vanno lasciati al silenzio». LE PAROLE DI CHI MUORE NELLA SPERANZA DELLA RISURREZIONE Sono quasi vent’anni che vado raccogliendo storie di vite convertite e ritengo importante l’attestazione di chi muore nella speranza della risurrezione. Quell’attestazione passa per i testamenti, il modo della morte, l’eventuale conversazione del morente con chi gli è vicino, le sue indicazioni per la tomba o la messa di addio. Ho cercato di ottenere questi elementi informativi ogni volta che mi parevano utili e li ho narrati in centinaia di storie che sono consultabili nei due volumi intitolati Cerco fatti di Vangelo, pubblicati uno dalla SEI nel 1995 e un altro dalle EDB nel 2011 (un terzo uscirà con le EDB il prossimo marzo), ma anche nella pagina del blog che ha quello stesso titolo. Tra le storie presenti nel blog al capitolo 14 («Dalla droga dall’AIDS dalla strada e da ogni male») c’è quella di Aurelio Andreoli. Desiderando completarla così avevo scritto nel post, provocando la protesta della visitatrice: «Da quando lessi il diario di Aurelio sono alla ricerca di notizie sulla morte di questo cristiano meritevole di memoria. Vorrei sapere chi l’ha accompagnato negli ultimi giorni, se abbiamo le sue ultime parole, dove sia sepolto. Ho chiesto qua e là ma senza esito. Ora lancio la richiesta nella rete: chi sa di Aurelio mi parli di lui». È lecita una tale indagine o costituisce violazione della privacy? Più volte mi è capitato – nonostante la prudenza del giornalista sperimentato – di incappare in obiezioni simili a quella della visitatrice: «Come si è permesso di pubblicare quel testamento, quella lettera, quella preghiera letta in chiesa, di farsi raccontare quelle ultime parole dai familiari». Ho sempre seguito le regole del buon giornalismo, riproducendo testi già pubblici o chiedendo l’autorizzazione a riportare quelli inediti. Ma avverto che la correttezza del pubblicista non è l’obiettivo della protesta di tanti, che piuttosto mettono in discussione la stessa opportunità di indagare, e non solo sulla morte ma anche sulla vita delle persone, sui gesti di carità, sulle attestazioni della fede. Una visitatrice milanese di nome Emilia dice di condividere la mia passione per i «fatti di Vangelo», ma di trovarsi in difficoltà a rispondere quando le obiettano che non è il caso di «anticipare il giudizio della Chiesa» o le ricordano che «Paolo ha scritto a Timoteo d’insistere in ogni occasione nell’annunciare la Parola, non la storia di chissà chi». «VOI RISPLENDETE COME ASTRI NEL MONDO» Anch’io sono stato rimproverato da lettori o uditori occasionali per aver usato la parola «santo» o «giusto» nell’accezione biblica, come se ciò fosse facoltà d’ognuno. E ho sentito usare contro di me le raccomandazioni evangeliche: «Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto» (Mt 6,6); «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra» (Mt 6,3); «Ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole» (Lc 16,15); «Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?» (Gv 5,44). Alle citazioni rispondo con le citazioni: «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 71 30-01-2012 ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,14-16); «Chiunque infatti fa il male, odia la luce (…). Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,20s); «In mezzo a una generazione malvagia e perversa (…) voi risplendete come astri nel mondo» (Fil 2,15). Citando e controcitando ci si diverte – io mi diverto – ma non si va lontano. Già dovettero avvedersene Gesù e il Satana nel deserto. Occorre interpretare ogni detto nell’insieme della Scrittura e alla luce del comportamento di Gesù e dell’intelligenza che ne ha avuto e ne ha la Chiesa. Un punto per me è chiaro: è inaccettabile ogni esibizione della preghiera, dell’elemosina, del digiuno che sia dettata da intento promozionale mondano. Denaro, audience, fama di santità: nella Chiesa nulla si vende meglio della fama di santità. Ma questo divieto non toglie che si faccia conoscere il bene operato disinteressatamente e disinteressatamente a noi narrato. Chi narra sa sempre perché narra. LA PROPAGANDA DELLA FEDE HA LA SUA LEGITTIMITÀ Altro punto chiaro: io racconto. A me non compete comprovare, valutare, riconoscere. A me – giornalista trovarobe – spetta la sola narrazione. Nel condurla è giusto che io mi ispiri ai Vangeli, che sono anche narrazioni. In essi sono narrate le ultime parole dei morenti (comprese quelle di Gesù e del ladrone), le preghiere di tanti, le conversioni, atti di generosità minimi e massimi. Se di tutto questo non dovesse esservi narrazione, allora vuol dire che i Vangeli sono sbagliati. Un ragazzo fa una preghiera di perdono alla messa di addio per l’intera sua famiglia sterminata da un folle. Gli chiedo di pubblicare quel testo. Egli – che nel frattempo è divenuto adulto e ha figli – obietta che il Vangelo invita a pregare nel segreto. Io osservo che quella sua preghiera fu comunque pubblica. Egli replica che 72 IL REGNO - AT T UA L I T À 2/2012 11:29 Pagina 72 «lì» quella preghiera pubblica era nel giusto luogo perché si trattava di un’assemblea liturgica che pregava con lui mentre al di fuori di un contesto orante si verrebbe a configurare un elemento di propaganda. Io controargomento che la propaganda della fede (De propaganda fide) ha la sua legittimità, purché svolta disinteressatamente, e faccio riferimento alle invocazioni che riempiono i Vangeli e che furono preghiera in atto e poi – nel testo evangelico – preghiera narrata: dunque la narrazione della preghiera non è proibita. Se Matteo 8 narra la preghiera del centurione («Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto», Mt 8,8) e se Luca 22 narra l’invocazione di Gesù al Padre nell’Orto degli ulivi («Padre, se vuoi, allontana da me questo calice», Lc 22,42) vuol dire che la preghiera è narrabile. IL CONVERTITO DI MEDJUGORJE COME ZACCHEO CHE DONA AI POVERI Lo stesso dirò per le conversioni. Poniamo che il nostro fatto sia la conversione di un bandito o di un morente di AIDS. L’obiezione prima sarà che facciamo propaganda, e qui qualcosa abbiamo già detto: la propaganda è riscattata dal disinteresse. Ma diranno anche che narrando quella conversione facciamo violenza a quella persona, o alla sua memoria, o alla famiglia. Ma allora – dico io – come spieghiamo che i Vangeli narrino la conversione in morte del ladrone, quella della samaritana con i cinque mariti «e quello che hai ora non è tuo marito» (Gv 4,18) e quella della peccatrice che bagna di lacrime i piedi di “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ 71-72_io non mi vergogno:Layout 2 Gesù? Il Maestro non proibisce questi racconti, anzi li sollecita: segnala ai discepoli la vedova che getta due monetine nel tesoro del tempio e dice della donna con il vaso di alabastro: «Dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9 e cf. Mc 12,13). Qualcuno vive una conversione a Medjugorje e spende 10 milioni di euro per realizzare in loco un cittadella per giovani disadattati. «Raccontare questo fatto non è pubblicità?». Controdomando: e Luca 12, che narra di Zaccheo che dà ai poveri «la metà di ciò che possiede» (cf. Lc 12,8)? IMPARO A DISTINGUERE LE STORIE DALLE PARABOLE Il narratore rispetta la volontà di nascondimento dell’interlocutore ma anche si propone un lavoro di convincimento. Intervisto un malato di AIDS che accetta di apparire con nome e cognome ma sa che i genitori sono contrari: è un caso che mi è capitato. Propongo ai genitori di partecipare alla conversazione perché vedano che cosa cerco. Alla fine accettano che io metta il nome e la città e le date, tacendo il cognome: «Perché il cognome non è solo nostro». La giusta via – io credo – è quella di una reciproca pedagogia: del giornalista che mira alla comunicazione e dei protagonisti intesi alla riservatezza. Si pianta la bandierina dove arriva il convincimento. Molte storie per questa ragione restano inedite o vengono derubricate come «parabole». Se non si possono mettere i dati essenziali per un riscontro documentale – nome e cognome, luogo e date – il «fatto» potrà essere comunque narrato ma secondo un genere morale più che fattuale. Tra i capitoli della mia pagina Internet intitolata Cerco fatti di Vangelo l’ultimo, che ha il numero 21, è intitolato «Parabole» e contiene fatti minimi o anche grandi ma privi di verificabilità documentale. Un giorno forse pubblicherò un volume di «parabole». Luigi Accattoli www.luigiaccattoli.it REGATT 02-2012 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 27/01/2012 14.21 Pagina 4 ROMANO PENNA Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo Alcuni aspetti del Gesù storico 2012 quindicinale di attualità e documenti 2 «BIBLICA» pp. 216 - € 19,00 Attualità 001 Politica in Italia: il tripartito? 006 Tra crisi religiosa e democrazia: Belgio e Ungheria % $#"$##$$#$#$$$##$ $ #$$ $$ $#$ #$ $#$ $ # $ $# # $ #$# $$$#$$##$%$#" # $ $$# # $ #$ %$#" $## DELLO STESSO AUTORE 027 Theobald: come recepire il Vaticano II 047 Nuovo cinema religioso 057 Studio del Mese L’Europa, un’avventura spirituale J. Delors – G. Ambrosio Profili di Gesù pp. 200 - € 16,50 EDB ! Anno LVII - N. 1115 - 15 gennaio 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”